Capita, a volte, di imbattersi in un libro la cui lettura ti colpisce come la luce abbagliante all'uscita di
un tunnel, ti penetra fin nelle midolla, sconvolge i tuoi schemi mentali, ti spinge a radicali
cambiamenti di rotta. È quello che mi è accaduto con Le origini medievali della scienza moderna di
Edward Grant. Per chi non lo sapesse, l'Autore è docente di Storia e Filosofia delle Scienze all'Indiana
University e ha al suo attivo diversi saggi sulla scienza e la filosofia naturale del Medioevo, uno dei
quali pubblicato in Italia dal Mulino con il titolo La scienza nel Medioevo. La tesi di Grant è, in
estrema sintesi, la seguente: se nel tardo Medioevo, a partire cioè dal secolo XII, non ci fosse stata,
in Europa, la diffusione della filosofia naturale, a cui contribuì fattivamente la Chiesa cattolica, non ci
sarebbe stata nessuna Rivoluzione scientifica nel secolo XVII.
La tesi è senz'altro rivoluzionaria, perché abbatte il secolare pregiudizio secondo cui il Medioevo
sarebbe un periodo di buio e di oscurantismo per la civiltà umana, un periodo in cui - come è stato
scritto - «oggetto del sapere non è l'uomo, né il mondo, ma ciò che "sta scritto" in certe pagine
sull'uomo e sul mondo; scopo del sapere non è una formazione umana, una liberazione umana, ma
l'acquisizione di tecniche [...]. L'aggancio originario con la realtà, con la res del mondo, con
l'esperienza, si fa sempre più lontano, sempre più convenzionale».
Da ammirare sono soprattutto il coraggio e l'onestà intellettuale dell'Autore, che non esita a
confessare, nell'introduzione, di essere stato pure lui vittima della leggenda nera sul Medioevo:
«Quando scrissi La scienza nel Medioevo ero convinto che questa interpretazione fosse
essenzialmente corretta, e che il Medioevo non avesse fornito alcun contributo significativo alla
Rivoluzione scientifica del secolo XVII. [...] Il mio atteggiamento cambiò radicalmente quando, alcuni
anni fa, mi chiesi se una rivoluzione scientifica avrebbe potuto aver luogo nel secolo XVII qualora il
livello della scienza nell'Europa occidentale fosse rimasto immutato rispetto a quello raggiunto nella
prima metà del secolo XII. In altre parole, una rivoluzione scientifica sarebbe mai potuta avvenire nel
secolo XVII sec, in precedenza, le opere di scienza e di filosofia naturale greco-arabe non fossero
state massicciamente tradotte in latino? La risposta sembrava ovvia: no, essa non sarebbe potuta
avvenire» (pp.5-6).
Al pari di Edward Grant, anch'io debbo confessare di aver nutrito grossi preconcetti nei confronti del
Medioevo, come testimoniano diversi miei interventi, tra cui il primo che mi viene in mente è
l'editoriale Medievalismo e fantascienza, apparso sul n.4 (nuova serie) di "Future Shock". Ma, dopo
la lettura dell'illuminante e ben documentato saggio di Grant, non posso non ammettere, per onestà
intellettuale, di essere caduto in errore. Naturalmente, ciò non significa che io accetti la posizione
degli autori di fantasy, heroic fantasy, sword and sorcery et similia, che danno del Medioevo un'idea
distorta.
Il Medioevo non è solo ed esclusivamente l'epoca dei cavalieri della Tavola Rotonda, dei paladini di
Carlo Magno, delle Crociate, dello schiaffo di Anagni... Il Medioevo è anche e soprattutto l'epoca in
cui il Cristianesimo forgia l'identità europea. I greci prima e i romani dopo non si sentivano europei.
Prima del formidabile risveglio culturale medievale in cui i filosofi teologico-naturali, tra cui S.
Alberto Magno e il suo illustre discepolo San Tommaso d'Aquino, accolsero, meditarono e
rielaborarono il pensiero del grande Stagirita e le dottrine dei suoi commentatori islamici: Avicenna,
Avempace, Averroè, l'Europa era una pura e semplice espressione geografica. Invece dunque di
sottacere, nel "Preambolo" della Costituzione europea, il doveroso riferimento al fattore cristiano
dell'identità europea, tutti i capi di governo europei dovrebbero ripetere, parafrasando una famosa
frase di Benedetto Croce, «non possiamo non dirci cristiani».
Ma vediamo più in dettaglio la tesi che Edward Grant porta avanti nel suo libro. Da premettere che
nel secolo XII si accende un vivo interesse per lo studio della natura, interesse che nei secoli
precedenti era stato acceso e alimentato dai commentari cristiani al racconto dei sei giorni
contenuto nella Genesi.
Perché l'interesse si concentrò sulla filosofia naturale di Aristotele? Perché in essa gli uomini colti del
Medioevo trovarono una spiegazione soddisfacente del funzionamento di quella che ora veniva
chiamata la macchina del mondo. Poiché i testi aristotelici erano scritti in greco, che i latini non
sapevano più leggere, si ricorse alle traduzioni dall'arabo, lingua in cui Aristotele era stato tradotto e
commentato dai filosofi naturali islamici.
Per Grant, le traduzioni furono uno dei tre prerequisiti che consentirono lo sviluppo, nel secolo XVII,
della Rivoluzione scientifica galileiana. Ben più importanti, tuttavia, furono gli altri due prerequisiti:
la creazione delle università medievali e l'emergere di filosofi teologico-naturali. Sul sorgere e
l'affermarsi di entrambi, la Chiesa cattolica esercitò un influsso positivo, nel senso che non ostacolò
l'autonomia della nascente istituzione universitaria e permise non solo che i suoi teologi studiassero
la filosofia naturale di Aristotele, ma che quest'ultima assumesse un ruolo di primo piano nel
processo educativo. L'atteggiamento non teocratico della Chiesa, che affonda le sue radici nella
celebre pagina evangelica del tributo, spiega perché la scienza moderna si sviluppò nell'Europa
occidentale, mentre non riuscì a decollare nel mondo islamico, che pur aveva raggiunto, nel campo
delle scienze esatte, un progresso di gran lunga superiore a quello dei latini.
Perché dunque si formò la leggenda nera attorno al Medioevo? La maggiore responsabilità, secondo
Grant, è da attribuirsi all'eccessiva polemica in cui si lasciò trascinare, a causa del suo carattere,
Galileo, il quale «con il suo genio letterario e artistico, [...] creò una potente caricatura che fu estesa
a tutti i filosofi naturali aristotelici: non solo a quelli del secolo XVII, ma - retroattivamente - anche a
quelli vissuti nel Medioevo. La devastante critica galileiana fu rafforzata da altri autori. Verso la fine
del secolo XVII, il grande filosofo inglese John Locke, che aveva studiato la filosofia medievale, definì
lo scolasticismo poco più che una vana ginnastica mentale. Nel suo Saggio sull’intelletto umano
(1690), Locke definì “gli uomini delle Scuole” e i metafisici “i grandi maestri di Zecca”, coniatori di
parole vuote. Quella che essi volevano spacciare per “sottigliezza” e acutezza non era “altro che un
buon espediente per coprire la loro ignoranza”» (pp.303-304).
A questo punto, credo che sia chiaro come la luce del sole che omettere, dall'attuale "Preambolo"
della Costituzione europea, le precise radici cristiane del nostro Continente sia una decisione assurda
e ridicola. Ma c'è un rischio ben peggiore: è la laicità stessa, che è frutto del Cristianesimo, ad essere
minacciata, come dimostrano i fondamentalismi che turbano, oggi, i nostri sonni e come hanno
tragicamente dimostrato le grandi dittature, dal nazismo allo stalinismo, che sono nati proprio
quando gli uomini hanno schiodato Dio dal cielo della trascendenza e l'hanno dissolto
nell'immanenza: ecco allora, come scrive il filosofo Nicola Abbagnano, «che ogni freno è caduto e
che si è aperto il varco all'irrompere nella storia di ogni ignominia» (la cit. è in p. Ildebrando A.
Santangelo, Il senso dell’esistenza, p.119) .
DESCRIZIONE:
Commento dell'editore:
Un libro che è al tempo stesso una completa introduzione alla storia della filosofia e della scienza nel
Medioevo e un significativo riesame dell'inesauribile dibattito relativo alle continuità e fratture che
hanno accompagnato lo sviluppo del pensiero occidentale. Edward Grant presenta il risultato delle
sue lunghe ricerche in un saggio sintetico ed esauriente che offre un significativo apporto alla storia
della cultura scientifica occidentale.
Contrariamente all'opinione diffusa, le radici della scienza moderna affondano nel terreno del
mondo medievale, dove attecchirono assai prima della cosiddetta «rivoluzione scientifica». Quattro
furono i fattori che permisero all'Europa medievale di aprire il cammino alla nuova scienza: le
traduzioni latine dei testi scientifici di Greci e Arabi (quasi tutte portate a termine fra XII e XIII
secolo); lo sviluppo delle università (fatto esclusivamente occidentale); il binomio sempre più
marcato di sapere e Cristianesimo e l'imporsi, previe alcune essenziali modifiche, del pensiero
aristotelico in materia di filosofia della scienza. Lo studio di Grant, che per il suo linguaggio chiaro e il
taglio interpretativo si rivolge sia agli specialisti sia a un pubblico più vasto, ricostruisce le complesse
dinamiche del conflitto fra tradizione teologica e nuovo spirito scientifico esaminando l'apporto
specifico dei più fondamentali testi filosofici e naturalistici del Medioevo.
Quarta di copertina:
Secondo l'opinione più diffusa fino a qualche anno or sono anche tra medievisti e storici della
scienza, un indiscutibile iato divide definitivamente la cultura medievale, nutrita di teologia e
aristotelismo, e il nuovo spirito conoscitivo venuto alla luce alla fine del secolo XVI. In realtà, come
Grant si propone di illustrare in questo libro, che riprende e capovolge le tesi contenute in un suo
precedente lavoro, le radici della scienza moderna affondano nel terreno del mondo medievale,
dove attecchirono assai prima della cosiddetta Rivoluzione scientifica. Secondo tale prospettiva,
Galilei, Copernico, Keplero, Cartesio e Newton costituirebbero l'estensione e la rielaborazione delle
idee fisiche e cosmologiche formulate in primo luogo dai maestri parigini o dai filosofi naturali della
scolastica. Quattro furono i fattori che permisero all'Europa medievale di inaugurare il cammino
della nuova scienza: le traduzioni dei testi scientifici del mondo greco e arabo del XII e XIII secolo; lo
sviluppo delle università, fenomeno esclusivo dell'Occidente europeo, che utilizzarono le traduzioni
come base essenziale del curriculum scolastico; l'adeguamento del cristianesimo ai saperi del mondo
antico; l'eredità del pensiero di Aristotele e le sostanziali trasformazioni a cui sarebbe stata
sottoposta, nel Medioevo, la filosofia naturale aristotelica. Passando in rassegna con stile chiaro e
sintetico le conquiste della scienza medievale nei campi della teoria del moto, della matematica,
della medicina e di altre discipline, Le origini medievali della scienza moderna costituisce un
significativo contributo al dibattito storico-culturale concernente l'idea di continuità e rottura nel
processo di sviluppo del pensiero occidentale.
Indice:
pag. 3 Prefazione
14 2. La letteratura sui "sei giorni" della creazione: i commentari cristiani al racconto contenuto nella
Genesi
20 4. Lo stato della scienza e della filosofia naturale nei primi sei secoli del cristianesimo
60 1. Studenti e maestri
68 3.1. La logica
69 3.2. Il quadrivium
107 V. La recezione della dottrina aristotelica e la sua influenza. La reazione della Chiesa e dei suoi
teologi
122 5. I due tipi di ragionamento ipotetico nella filosofia naturale del Medioevo
150 Il moto come quantificazione di una qualità: l'intensione e remissione delle forme
169 2.5. La Terra possiede un moto giornaliero di rotazione intorno al suo asse?
175 3. Il mondo come un tutto, e che cosa può esistere al di là di esso
252 VIII. Come nel Medioevo furono gettate le basi della scienza della prima età moderna
302 3. Sul rapporto fra scienza medievale e scienza della prima età moderna
306 4. Sul rapporto fra la scienza dei primi secoli del Medioevo e quella del tardo Medioevo
309 Bibliografia