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®

ARTQU Z
TEORIA

Edizioni Giurleo

Web site: www.artquiz.it


e-i;nail: info@artquiz.it
o
o
Artquiz Teoria - ISBN 978-88-908284-8-5 o
o
Quarta. Edizione
Copyright© 2012-2015
E<lfaioui Arturo Giurleo

u
Viale Volontari della Liberta 36/2 - 33100 Udine
Pa.rtita IVA: 02527860304

info@artqui;r,.it
Web i;itc: www.artqubdt
o

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A uorma di legge, le p,\giuc cli questo volume nott possono essere fotocopiate o
ciclostilate o couumqne riprodotte con n.lcnn mezzo meccanico.
Ogni cvcmtnale viola�ionc suri\ perseguita a norma di legge.
1\1tti i diritti cl'antore sono tntelat\.

Sviluppo del progetto e coordinatore rcdnzionale: Arturo Giurlco


Iconogrnfia: Renato Marvasi
o
I
I.

o
Stampato da Ri.: Grafica Venotn. S.p.A. - 'I.\-ebn.r;cleghe (PD)
Pcl' conto di Giurlco Arturo
Aprile 2016
Artquiz
Teoria
I Auto,;,�.J

Prof. Franco Quadrifoglio


Profcst.orc Ordinario cli Biologia Molecolare
Facolth. cli Meùicilm e Chirnrgia. - Università degli Studi cli Udine

Prof. Giuseppe Damante


Professore Ordinario di Geuetica Medica
Facoltà di Medicina o Chirurgia - Università degli Stncli cli Ucl,ine

Prof. Paolo Viglino


Professore Ordinario cli Biofisica
Facolti\ cli Mccliciua e Chirurgia - Università degli Stu<li cli Udine

Prof. Gianluca Teli


Professore Associato di Biologia. Molecolare
Facoltà cli Medicina e Chirurgia - Università degli Studi di Udine

Prof. Giovanna Lippe


' Biochimica
Professore Associato cli
Facoltà di Medicina e Chirurgia - Universitu. degli Studi di Udine

Prof. Dora Fabbro


Professore a coni.ratto cli Genetica Medica
Facoltit di Medicina e Chirurgia. - Università degli Studi cli Udine

Prof. Paolo Alberto Beltrami


Ricercatore Universitario di Anatomia Patologica.
Facoltà cli Mccliciua e Chirurgia - Università. degli Stuùi di Ucliue

Prof. Alfio Marini


Pl·ofcssore a contratto di Matematica
Facoltà di Agraria - Università degli Studi di Udine

'
Indice

I LOGICA 1

1 Rag ionamento logico 1


1.1 Sillogismi . . . . . 1
1.2 Modus ponens 3
1.3 Derivazioni logiche 4
1.4 Logica concatenativa 7

o
2 Ragionamento logico-matematico 11
2.1 Succcssioue muueriche, di lettere e di figure 11
2.1.1 Successione numeriche 11

o
2.1.2 Succcssioui di lettere . 13
2.1.3 Successioni di figure 14
2.2 Rclazioui insicmi$tiche 14
,
2.3 Rela�ione d ordine ... 16
2.4 Esercizi cli crittografia 17

3 Problemi logico-matematici 19
3.1 Problemi con soluzione logico-matematica 19
3.2 Problemi con i giorni della settimana . . . 19
3.3 Problemi con i rapporti di parentela . . . 20
::J.4 Calcola quante persone sono necessarie per fare determinate cose in :un
certo lasso di tempo . . . . . . .. . , . 20
3.5 Calcola quanto tempo occorre per... . . . . .. . . . 20
3.6 Calcoli con i clm;aggi . . . . . . . . . . , . . . . . . . 21
3.7 Calcoli relativi alla distanza percorsa e alla velocità. 21

4 Probabilità e Statistica 23
4.1 Percentuali . . . . ·. . 23
,
4.2 TclSso d interesse ... 24
4.3 Calcolo delle probabilità 24
4.3.1 Probabilità condizionata . ·. 25
4.3.2 Calcolo combinatorio .... 25
4.3.3 Monete, dadi, ume e simili 30
4.4 Statistica . . .. . .. . . . . . . 30
'
4.4.1 Moda, mediana e media .. 31

VII
INDICE © Artquiz
o
II MATEMATICA 33
1 Aritmetica 33
1.1 Numeri naturali e interi. Relazione d>ordine 33
1.2 Divisibilità, numeri primi, mcm e MCD 34
1.2.1 Potenze . . . . . . . . . . . 35
1.3 Numeri razionali, reali e complessi 35
1.3.1 Notazione decimale . . .. 36
1.3.2 Radici . . . . . . . .... 38
1.3.3 Numeri complessi (cenni) 38
2 Algebra 39
2.1 Monomi e polinomi . 39
2.1.1 Frazioni algebriche 40
2.2 Equazioni e disequazioni . 41
2.2.1 Equazioni ..... 41
. 2.2.2 Disequazioni .. . 43
2.2.3 Equw:ioni parametriche 44
2.3 Sistemi di equazioni e disequazioni 45
2.3.1 Sistemi di equazioni .. 45
2.3.2 Sistemi di disequazioni . . 46
2.4 Equazioni razionali e radicali .. 46
2.5 Dh:iequa-Lioni razionali e radicali . 48
2.6 Esponenziali e logaritmi . . . . . 49
3 Geometria 53
3.1 ,ntroduzione . 53
3.2 I Poligoni . . 53
3.2.1 Triangoli 54
3.2.2 Quadrilateri . 55
3.3 La circonferenza in ottica euclidea 57
3.4 I poliedri ... . ..... . . . 58
3.4.1 Pamllelepipedo e cubo . 58
3.4.2 Piramide . . 58

o
3.5 I solidi di rotazione . 59
3.5.1 Cono .. 59

ù
3.5.2 Cilindro . . 59
3.5.3 Sfera ... . 60
I
3.6 Il piano cartesiano . .I 60
3.6.1 Luoghi di punti. 60
3.6.2 Distanze·e punto medio 61
3.6.3 La retta . . . . . . . . . 62
3. 7 Le coniche . . . . . . . . . . . . 63
3.7.1 La circonfèrnnza in ottica cartesiana 63
3.7.2 Parabola 64
3.7.3 Iperbole .. . . 65
3.7.4 Ellisse . . .. . 66
3. 7.5 Luoghi comuni 67

VIII
o © Artquiz

4 'frigonometria
INDICE

69
4.1 Misura degli angoli . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
4.2 Coseno, seno, tangente e cotangente di un angolo 70
4.3 Uguaglian7.e e relazioni trigonometriche . 71
4.4 Equazioni e disequazioni trigonometriche . 73

5 Funzioni 75
5.1 Introdu:tione ........... . 75
5.2 Le proprietà delle funzioni ... . 75
5.2.1 Dominio di una fun�ione . 76
5.2.2 La. funzioue inversa . . . . 76
5.2.3 Zeri di una funzione . . . 77
5.3 Grafici di alcune funzioni fondamentali. . '. 77
5.4 Limiti e calcolo differenziale ... 79

o
5.4.1 Limiti di una funzione . . • • 79
5.4.2 Derivata di una funzione . 80
5.4.3 Crescenza e decrescenza 82
5.4.4 Massimi e minimi . . . . 82

III FISICA 83
1 Grandezze fisiche e unità di misura 83
1.1 Introduzione . . . . . . . . . . . 83

..
1.2 Multipli e sottomultipli delle unità di misura f t Il • 4 84
1.3 Grandezze scalari e vettoriali 84
1.4 Errore assoluto e relativo 86

2 Cinematica 87
2.1 Introduzione .. . . . . . . . 87
2.1.1 Moto rettilineo uniforme . . . . . . 87
2.1.2 Moto rettilineo uniformemente accelerato 88
2.2 Moto in un campo gravitazionale e la balistica 88
2.3 Moto circolare uniforme 89
2.4 Moto armonico . . . 90

3 Dinamica 93
3.1 I principio della dinamica 93
3.2 II principio della dinamica . . 94
3.3 III principio della dinamica 94
3.4 Quantità di moto e impulso ti • • • I 94

4 Statica
.
95

o
4.1 Le forze e loro unità di misura . . . .. . . 95
4.2 Massa, forza gravita'.!lionaie, gravità e peso . 95
.
, + • 4

4.3 Densità e peso specifico 96


4.4 Forze elastiche . . . . . . ..
t t • I

96
4.5 Forze di contatto � . . .
t lt • •

96
4.5.1 Reazioni vincolari 96

IX
INDICE © Artquiz

4.5.2 Forze di attrito ..... 96


5 3 Pulegge e corde flessibili
ll.. 97
4.6 Statica dei corpi estesi 97
4. 7 Momento cli una forna 97
4.8 Le leve . 98

5 Energia 101
5.1 Introduzione..... . 101
5 2 Il lavoi·o . ... . . ..
. 101
5.3 Poten�a e rendimento 102
5.3.1 Energia cinetica 102
5.3.2 Campi di forze com;ervative ed energia potenziale , 102

6 Dinamica dei corpi estesi 105


6.1 Momento d'incrxia e momento angolare 105
G.2 Urti ................... . 106

7 Meccanica dei fluidi 107


7.1 Statica dei Huidi. La pressione 107
7.1.1 Unità di misura della pressione 108
7 1.2 Pressione idrostatica_ .
. 108
7.2 Spinta di Archimede 108
7.3 Dinamica. dei Hui<li 109

8 Termodinamica 111
8.1 La temperatura. ........... . 111
8..1 1 La misma della temperatura 111
8.1.2 Il calore ........ . 112
8.2 Pa�i-mggi di stato .. . . ... . 112
8.3 I principio della termodinamica 113
8.4 Legge dei gas perfetti .. . . . . 115
8.5 II principio della. termodinamica 115
8.6 Teorema di Carnot e macchine termiche 116

9 Elettrostatica 117
9.1 Legge di Coulomb 117
9.2 Il campo elettrico . 117
9.3 Teorema di Gam;s 118
9.4 Energia potenziale elettrostatica e differenza di potenziale . ,. 118
9.5 Corrente elettrica e leggi di Ohm •!. 119
9.6 Corrente alternata ..... .. . 120
9. 7 Effetto Joule e potenza elettrica . . 121
9.8 Resistenze .. . . . . . . . . ... . 121
9.9 Condensatori ........... . 122
9.10 Pile e batterie (generatori di forze elettro;notrici) 123
10 lviagnetismo 125
10.1Il campo magnet ci o . 125
10.2 lndu7.ione magnetica 126

X
o © Artquiz INDICE

o 11 Fenoqieni ondulatori
11.1 Le onde . . .. ·. .
129
129

o
11.1.1 Riflessione, rifrazione e diffusione 132
11.2 Le onde sonore 135
11.2.1 Il suono ....... 135
11.3 Ottica ...... . .... . 136
11.4 Le onde elettromagnetiche . 140

IV CHIMICA 143

a
1 La costituzione della materia 143
1.1 Stati di aggregazione e passaggi di stato 143
1.2 Elementi e composti 146

2 L'atomo 149
2.1 L'atomo e i suoi co:.tituenti. Gli isotopi.La ra<lioattivitit ... Il peso
atomico e il peso molecolare. La.mole . . . . . . . . . . . . 149
2.2 Modello atomico e coufignraiione elettronica tlegli elementi .. . . . .152

3 Sistema periodico degli elementi 157


3.1 Tavola periodica degli clementi .. . . .. . . . ... . . . . . . .. . . 157
t
: 2 Metalli, non metalli e semimetalli. Raggio atomico, energia di ionir,za-
zioue e affinità elettronica. Elettronegatività . . .. . . . . . . .. . .. 158

4 Il legame chimico 161


4.1 Iutrodmdonc ...... . . 161
.4 1.1 Legame ionico .. 161
4.1.2 Legame covalente . 162
4.1.3 LHgami covalenti con orbitali ibridi . I legami del carbonio 165
4.1.4 Forze <li interazione intermolecolari .. 167
4 1.5 Interazioni di van der Waals ......
. 168

o
4.1.6 Interazioni dipolo-dipolo e ione-dipolo 168
4.1.7 Legami idrogeno ....... . . . 168

o
5 Stati delta materia · 171
5.1 Lo stato gassoso 171
5.2 Lo stato liquido . 173
5.3 Lo stato solido 175

6 Termodinamica 177
6.1 Principi generali 177

7 Le soluzioni 179

o
7.1 Unità di misura per esprimere la concentrazione . 179
7.1.1 Calcoli sulle soluzioni 180
7.2 Solubilità dei gas ......... . 180
· 7.3 Elettroliti .. . ..... ..... . 181
7.4 Proprietà colligative delle soluzioni 181
7.4.1 Pressione osmotica ..... 183

XI
INDICE © Artquiz

8 Nomenclatura e formule dei composti inorganici 185


8.1 Principi generali . . . . . . . . .. . . . . . 185
8.1.1 Ossidi basici e ossidi acidi o anidridi 185
8.1.2 Idruri . . 186
8.1.3 Idracidi . 186
8.1.4 Idrossidi . 186
8.1.5 Ossiacidi 186
8.1.6 Sali ... 186

9 Le reazioni chimiche 189


9.1 Definizioni e tipologie , . .. ... . . . . . 189
9.1.1 Nwneri di ossidazione . . . . . . . . 190
9.1.2 Reazioni di ossido-riduzione (redox) 191
9.1.3 Calcoli stechiometrici 194
9.1.4 Reazioni di equilibrio. . . . . . . . . 195
9.2 Acidi e basi. Il pH . . . . . . . . . . . . . . 197
9.3 Peso equivalente e grammoequivalente di un acido, di una base, di nn
ossidante e di 1111 riducente. 202
9.4 Solnzioni tampone 202

10 Cinetica chimica 205


10.1 Velocità delle reazioni e parametri che la influenzano . . � . . . . . . ' 205

11 Elettrochimica 207
11.1 Pile. Equ�iono di Nerust 207
11.2 Elettrolisi ...... . 209

12 La chimica del carbonio 211


12.1 Ibridhr.zazione del c�rbonio . 211
12.2 Formule e isomerie dei composti organici . 211
12.3 Isomeria . . . ... . . . . . 212
12.4 Gruppi funzionali . . . . . . . 213
12.4.1 Idrocarburi alifatici. . 213
12.4.2 Idrocarburi aromatici 214
12.4.3 Alcoli e fenoli .. . 215
12.4.4 Eteri.. ... . ... . 216
12.4.5 Ammine e immine.. -
i
. 217
12.4.6 Composti carbonilici. Aldeidi e chetoni 217
12.4 .7 Acidi carbossilici . 219
12.4.8 Anidridi organiche 221
12.4.9 Esteri 221
12.4.10 Ammidi 221
12.5 Lipidi . . . . . 221
12.6 Saponificazione e saponi . ·223
12.7 Reazioni di addizione e di sostituzione . · 224
12.8 Polimeri ........ ........ . 224

XII
@ Artquiz INDICE

13 Le hiomolecole 225
13.1 Iiitroduzionc ..... 225
13.2 I carboidrati . . . . . . 225
13.2.1 Monosaccaridi 226
13.2.2 Disaccaridi . . 228
13.2.3 Polisaccaridi . 229
13.3 Le proteine: costituzione chimica 230
13.3.1 I vari livelli di struttura delle proteine 234
13.4 Valori calorici di carboidrati, proteine e lipidi 235

V BIOLOGIA 237
1 Istologìa, anatomia e fisiologia ' 237
1.1 Cellule. te:;suti 1 organi e apparati 237
1.1.1 Tessuto epiteliale . .. . 237
1.1.2 Tessuto connettivo 238
1.1.3 Tessuto mu:;colare 240
1. 1.4 Tessuto nervoso . . 240
1.2 Apparato tegumentario . 241
1.2.1 Cute e annes:;i cutanei 241
1.2.2 Patologie dcll 1apparato tegumentario . 242
1.3 Apparato locomotore . . . . 242
1.3.1 Apparato scheletrico 242
1.3.2 Apparato articolare 248
1.3.3 Apparato muscolare 249
1.4 Apparato cardiocircolatorio 252
1.4.1 Cuore ..... . . . 252
1.4.2 Vasi :;anguigni: arterie. vene e capillari . 254
1.4.3 Sistema linfatico . ... . . . . ... . . 256
1.4.4 Il sangue. le cellule del sangue e la circolazione sanguigna 257
1.4.5 Emoglobina e mioglobina 25 9
1.4.6 Milza ... . . . . . . . . 261
1.4.7 Patologie cardiovascolari . 262
1.5 Apparato respiratorio ..... . 263
.1.5.1 Muscoli re:;piratori e respirazione 264
1.5.2 Vie aeree 264
1.5.3 Polmoni . . . 265
1.6 Sistema olfattivo .. 267
1.7 Apparato digerente . 267
1.7.1 Cavità orale . 267
1. 7 .2 Faringe . 26 7
1.7.3 Esofago .. . 268
1.7.4 Stomaco.. . 268
1.7.5 Intestino tenue 269
1.7.6 Intestino crasso . 270
1.7. 7 Fegato e ch::tifellea 270
1.7.8 Pancreas .. 271
1.7.9 Digestione ..... 272

XIII
INDICE @ Artqui2

1.7.10 Alimenti .. 273


1.7 .11 Vitamine 274
1.8 Apparato urinario 276
1.8.1 Rene ... . 276
1.8.2 Ureteri, vescica e uretra 277
1.9 Apparato riproduttivo (genitale) 278
1.9.1 Genitali maschili . . . . . 278
1.9.2 Genitali femminili e gestazione 279
1.10 Sistema nervoso . . . . . . . .. . . . . 281
1.10.1 Sistema nervoso centra.le e periferico 282
1.10.2 Organi di scuso: l'occhio . . 284
1 .10.3 Organi di senso: l'orecchio . . 285
1.11 Sistema ghiandolare . ... . . . .. 286
1.11.1 Ghiandole e cellule endocrine 286
1.11. 2 Ormoni . . . . . . .. . . . 287
1.11.3 Feedback positivi e negativi 290

2 Biologia cellulare e molecolare 291


2.1 Introduzione . . 291
2.2 Teoria cellulare ...... . . 291
2.3 Il microscopio..... ... . 292
2.4 Misure e dimensioni di alcune i-trutture biologiche 293
2.5 La cellula . . .. .. .. . . . . . . . . . . . . . .. 293
2.5. l La cellula procariotica cd eucariotica. Differenze 294
2.5.2 La cellula vegetale e animale. Differenze ... . 296
2.5.3 Morte cellulare: apoptosi e necrosi ...... . 299
2.6 La comunicazione intercellulare e le giunzioni cellulari 300
2.7 Il differenziamento cellulare .... . . ........ .

o
300
2.8 La membrana plasmatica ............ . .. . 301
2.8.1 Funzioni della membrana plasmatica: osmosi, diffusione, tra-
sporto, endocitosi ed esocitosi, fagocitosi e pinocitosi 303
2.9 Nucleo, nucleolo e pori 1mcleari 306
2.10 Il citoplasma . .. .. .. 307
2.11 I ribosomi . . . . . ... . . 307
2.12 Il reticolo endoplasmatico 307
2.13 L'apparato di Golgi . . . . 308
2.14 I lisosomi e i perossisomi . 308
2.15 I mitocondri . . . . . . . . ..r. 309
2.16 Citoscheletro e motilità cellulare: microtubuli, microfìlamenti, filatnen-
ti intermedi, ciglia e .flagelli . .. . . . . . . . . . .... . . . . . . . . 310

3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione 313


3.1 Storia e scienzio.ti del DNA ..... 313
3.2 DNA e RNA: costituzione chimica . 314
3.3 La conformazione degli acidi nucleici 316
3.4 Il genoma e la sua organi'.!l·im:done . . 321
3.5 Replicazione del DNA .... . .. . 323

o
3.6 'Iì:ascrizione e maturazione dell'mRNA 327

XIV
@. Artquiz INDICE

3.7 DNA ricombinapte. Organismi transgenici.Polymerase chain reaction


(PCR) ......... ..................... ...... 330
3.8 Il codice genetico. 'Iì·aduzione o sintesi proteica.. . . . . . . . .. . . 334
3.9 Mutazioni del DNA. Riparaz.ìone. Ricombinazione omologa. Sequen­
ziamento del DNA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . 338
3.10 Le modifiche post-tradnzionali e la localizzazione delle proteine nella
I'
cellula encariota . . . . .. , . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . 343

4 Biochimica metabolica 345


4.1 Gli enzimi . . . . . . . . . . . . . . ... . . 345
4.2 Il metabolismo del glucosio e del glicogeno. ·347
4.2.1 Introduzione al metabolismo 347
4.2.2 La glicolisi . . . . . . . . . . . . . . . 349
4.2.3 Il metabolismo del glicogeno . . . . . 350
4.3 Il ciclo di Krebs ·e la fosforilazione ossidativa . . 350
4.3.1 I mitocondri . . . . . . . . 350
4.3.2 Il ciclo di Krcbs. . . . .. . 351
4.3.3 La fosforilaz.ione ossidativa 351
4.4 La fotosintesi . . . . . . . . ... . 352
4.4.1 Le reazioui alla luce . . . . 353
4.4.2 Le reazioni indipendenti dalla luce (ciclo di Calvin-Benson) 354
5 Le basi della genetica 355
5.1 Caratteri . .. . . . . . . . . . . 355
5.1.1 Alleli, genotipo e fenotipo 355
5.1.2 Omozigosi ed eterozigosi . 356
5.1.3 1ì·asmis::;ione dei caratteri: leggi di Mendel 356
5.2 Rapporti mendeliani atipici . . . . .. . . ... 359
5.2.1 Dominanza incompleta e codominanza . 359
5.2.2 Alleli multipli e gmppi sanguigni . 360
5.3 Mitosi, meiosi e cromosomi . . . . . . . . . .. 362
5.3.1 Cromosomi, ciclo cellulare e mitosi . . . 362
5.3.2 La riproduzione: Meiosi e gameti. Crossing-over . 366
5.3.3 Associazione genica e mappe di ricombinazione 371
5.3.4 La fecondazione negli animali . . . . . . . . . . . 372
5.3.5 Lo sviluppo embrionale . . . . . . . . . . . . . . 373
5.4 Corredo cromosomico umano e alterazioni cromosomiche . 375
5.4.1 Il con-edo cromosomico umano . 375
5.4.2 Analisi del cariotipo nell'uomo 377
5.4.3 Alterazioni cromosomiche . . . . . 378
5.5 Ereditarietà legata al sesso . . . . . . 385
5.5.1 I cromosomi sessuali nella specie umana 385
5.5.2 Inattivazione del cromosoma X 386
5.5.3 Ereditarietà X-linkcd . . 388
5.6 Ereditarietà mitocondriale . 389
5.7 Mutazioni . . . . . . . . . . . 391
5.7.1 Generalità. . . . . . . . 391
5.7.2 Mutazioni puntiformi . . . 392
5.7.3 Mutazioni di sequenze ripetute , . . . 395

xv
Indice @ Artquiz

5.7.4 Mutazioni da amplificazione di triplette ..... 39 5


5.8 Interazione tra geni diversi e interazione gene-ambiente . 395
5.9 Malattie genetiche e alberi genealogici 397
5 .9.1 Malattie genetiche umane 397
5.9.2 Caratteri autosomici . ... . . 397
5 .9.3 Alberi genealogici ... ... . . 39 9
5.10 Genetica di popola,,.tioni, evoluzione e speciazione 401
5.10.1 Frequenze alleliche e genotipiche . .. .. 401
5.10.2 La legge di Hardy-Weinberg....... . 401
5.10.3 Fenomeni che allontanano le popolazioni dalrequilibrio
Hardy-Weinberg ........... ........... 404
5.10.4 Evoluzione e specia¼ione . ................ . 406
5 .11 Genetica quantitativa e ereditarietà poligenica o multifattoriale 410
5 .11.1 Il modello poligenico additivo ....... . ... . . 410
5.11.2 Il calcolo del numero di geni e l'utilizzo del modello 412
5.11.3 L'ereditabilità... ............ ...... . 413

6 Il mondo animale e vegetale 415


6.1 Classificazione. . . . . . . . 415
1 1 Il regno delle Monere .
6.. 417
6 .1.2 Il regno dei Protisti . 418
6 .1.3 Il regno dei Funghi .. 418
6.1.4 Il regno degli Animali 418
.
6 2 L'evoluzione dell'uomo 419
.6 3 Le piante ..... . . 419

7 Interazione tra i viventi 421


7.1 Ecosistema e comunità biologiche . . .. . .. . . .. . . . .. 421
7.1.1 Catena alimentare .... . .......... ... .. 422
7.1.2 Simbiosi, competizione, parassitismo e opportunismo . 423
7.2 Cicli biologici e degli elementi chimici 424
7.2.1 Ciclo del carbonio 424
7.2.2 Ciclo dell,azoto ......... 424

S. Microrganismi e sistema immunitario 427


8.1 Virus .. 427
8.2 Batteri . 429
8.3 Funghi . 430

..
8.4 Protozoi 431
8.5 Sistema immunitario 431

o
8.5.1 Immunità specifica cellulo-mediata 432
8.5.2 Immunità specifica umorale . ... 432
8.5.3 Le fasi della risposta immunitaria e la vaccinazione . 433
8.5.4 Reazioni di ipersensibilità .... . . . ... . .. . . 434

9 Patologie e farmaci 435


9.1 Patologie e loro cause 435
9.1.1 Farmaci ... . 436

XVI
[ PARTE I
LOGICA

Capitolo 1
Ragionamento logjco

1.1 Sillogismi
Il sillogismo è un tipo di ragionamento dimostrativo in cui tre termini A, B e C
sono legati a 2 a 2 da opportune relazioni di tipo insiemistico (ossia, del tipo "essere
contenuto in" o "essere elemento di") con il quale si giunge ad una conclusione, cioè
ad una relazione tra due dei tre termini, partendo da brevi enunciati, detti premesse,
anch'essi sotto forma di relazione. Ad esempio, se le premesse sono tra A e B e tra
Be C, si giunge ad una conclusione tra A e C.
Dati due termini A e B sono possibili 4 tipi di relazione:
• universale affermativa del tipo "tutti gli A sono B";
• universale negativa del tipo "nessun A è B";
• particolare affermativa del tipo "qualche A è B";
• particolare negativa del tipo "qualche A non è B".

Esempio da Artquiz: Ogni uomo è un mammifero - qualche animale è uomo - dunque


è un mammifero. Si individui il corretto completamento del sillogismo:
Qualche animale è mammifero. Infatti, ci troviamo in una situazione del tipo:
• qualche A (animale) è B (uomo);
• tutti i B (nomini) sono C (mammiferi);

da cui segue che: qualche A (animale) è C (mammifero).

1
Capitolo 1 Ragionamento logico © Artquiz

Si presti attenzione alle diverse forme verbali che si possono incontrare, sebbene
queste siano del tutto equivalenti, ad esempio "tutti gli A sono B" si trova anche sotto
forma di "ogni A è B", oppure "chi è A, allora è anche B" ed altresì "gli A sono B".
Oppure, al posto di "qualche A è B", spesso si trova "alcuni A sono B''.
È da notare che in generale la conclusione di un sillogismo corretto non è neces­
sariamente vera o sensata dal punto di vista semantico, ma è tale solo dal punto di
vista logico.
La corrette-bza di un sillogismo deriva dalla sua correttezza come relazione tra
insiemi, quindi il sillogismo sarà corretto se la relazione tra gli insiemi è corretta.
Vale qnindi il seguente schema:

• "tutti gli A sono B" è da intendersi come "l'insieme ( degli) A è contenuto


nell'insieme (dei) B";

• "nessun A è B" è da intendersi come "l'insieme (degli) A è dh,ginnto dall'insieme


(dei) B";
• "qualche A è B'' è da intendersi come "l'insieme (degli) A e l'insicmo (dei) B
hanno interse:r,ione non vuota";

• "qnnlche A 11011 è B" è da intendersi come "l'insiem� (degli) A non è contenuto


nell'insìeme (dei) B".

È del tutto t:vidcnte che l'ordine con il quale vengono enunciate le due premesse è
inilcvante, in quanto ciò che conta ò la loro verità che è ru;sunta nelle ipotm;i. Quindi,
per poter determinare la conclusione che rende corretto un sillogismo, è importante
eventualmente invertire l'ordine delle due premesse in modo tale da far sì che il termine
medio (identificato come "B" nella tabella sottostante) leghi la prima premessa alla
seconda, come esemplificato dai sillogismi cosiddetti autoevidenti che sono illustrati
nella seguente tabella:

Premessa 1 Premessa 2 Conclusione


tutti gli A sono B tutti i B sono O tutti gli A sono C
tutti gli A -sono B ne:,-ssun B è c nessun A è C
qualche A è B tutti i B sono C qualche A è C
qualche A è B nessun B è C qualche A non è C

Tabella 1.1: Sillogismi autoevidenti.


,i

Nei quiz ufficiali si sono presentati solo i seguenti due casi, non inclusi tiella tabella
precedente, che illustriamo prima in senso astratto e poi con esempi concreti:

Premessa 1 Premessa 2 Conclusione


tutti gli A sono B tutti gli A sono C qualche B è C
tutti gli A sono B qualche C non è B qualche C non è A

Tabella 1.2: Altri sillo9ismi.

2
© Artquiz LOGICA

Esempio da Artquiz: I bugiardi sono ingiusti (esiste almeno un bugiardo) - i bugiardi


sono uomini - dunque ... sono ingiusti. Si individui il corretto completamento del
sillogismo:
Alcuni uomini sono ingiusti. Infatti, ci troviamo in una situazione del tipo:
1. gli A (bugiardi) sono B (ingiusti);
2. gli A (bugiardi) sono C (uomini);

da cui segue che: alcuni C (uomini) sono B (ingiusti).

Si noti che iu qne.sto sillogismo la conclusione è simmetrica, ossia vale anche che
,,
"alcuni B sono C .

Esempio da Artquiz: Tutti i piccioni mangiano le fave - alcuni uccelli non mangiano
le fave - dunque ... non sono piccioni. Si individui il corretto completamento del
sillogismo:
Alcuni uccelli non sono piccioni. Infatti, ci troviamo in una situazione del tipo:
1. tutti gli A (piccioni) wno B (mangiatori di fave);
2. alcuni C (uccelli) non sono B (mangiatori di fave)�

da cni segue che: alcuni C (uccelli) non sono A (piccioni).

1.2 Modus ponens


Il modus ponens è mm forma di derivazione logica, o inferenza, che ha la seguente
struttura:
se "A implica ff1 e se A è vera, allora anche B è vera.
,

,,
Insiemisticamentc, il termine "A implica B , spesso scritto A�B, va interpretato
,,
come "Pinsieme degli A è contenuto nclPinsieme dei B . Quindi, se è vera Pimplica­
,,
zion� precedente e la sua premessa, cioè se "A è contenuto in B e si è in presenza di
un elemento x di A a.llora si è in presenza pure di un elemento di B, ossia lo stesso x.

Esempio da Artquiz: Se: Giovanna ama i qnndri di Kandinskij; Kandinslc.ij è un


pittore astrattista; a chi ama K.andinslc.ij non piacciono tutti i quadri di Picasso ,
quale affermazione è vera?
Dopo aver osservato che la seconda nffermazione non è utile ai fini della soluzione,
si tratta di applicare il modus ponens: Giovanna ama i quadri di Kandinskij, e come
membro di tale categoria di persone (di tale insieme), non le piacciono t�tti i quailii
di Picasso. Quindi 1 1 affermazione derivabile logicamente è:
Giovanna apprezza solo alcune opere di Picasso.

Esempio da Artquiz: I cani a dne te.c:ite sono esseri viventi. Tutti gli esseri viventi
si nutrono. Dando per vere queste due affermazioni, quale affermazione consegue
logicamente?
Tutti i cani a due teste sono esseri viventi, e dunque, come tali, si nutrono. Quindi
è vero che: Tutti i cani a due teste si nutrono.

3
Capitolo 1 Ragionamento logico © Artquiz

1. 3 Derivazioni logiche
Una completa trattazione delle regole di derivazione logica implicherebbe un appro­
fondimento eccessivo per quanto richiesto in sede d 1 ammissioue. Pertanto ci limitiamo
ad esplicare alcune regole principali che permettono di risolvere i quiz proposti nei
test ufficiali.
Date 2 proposizioni A e B, diciamo che:
,,
• la negazione di A (scritto "non A ) è vera se e solo se A è falsa;
,,
• "A e B è vera se e solo se entrambe le proposizioni A e B sono vere;
,,
• "A o B è vera se e solo se almeno una oppure entrambe le proposizioni A e B sono
vere.
,,
Una scrittura del tipo A-+B, che :-.i legge come "A implica B , indica che se la
proposbdoue A è vera, allora lo è anche la proposizione B; per esempio "se oggi è
domenica (A) allora (-+) io non lavoro (B)». Il campo di applicazione delPimplicazio­
ue si estende con Pintro'duzione dei quantificatori, il quantificatore universale: "per
ogni x » e il quantificatore esistenziale: "esiste x» . Con i quantificatori si producono
enunciati del tipo "ogni domenica nessuno lavora» , che si interpreta "se una giçmiata
x è domenica., allora non esiste alcun uomo y tale che y è al lavoro.»

A-+B non è equivalente a B-+A


Esempio da Artquiz: Se gli studenti si applicano, conseguiranno la promozione. Se
quanto affermato è vero, allora è necessariamente vero che:
Se uno .c,tudeute è promosso, non è detto che si sia applicato. Infatti (Logica§ 1.2),
,,
A-+B è insiemisticamente equivalente ad "A è contenuto in B e ciò non è certamente
,,
equivalente alFimplic�ione contraria, ossia "B è contenuto in A .

Esempio da Artq1tiz: "Per poter continuare a giocare a pallavolo, Carlo deve risolvere
,,
il problema. alla schiena . Se la precedente afferma-tione è vera, allora non è certamente
vero che:
Se Carlo risolve il problema alla schiena allora può certamente continuare a giocare
a pallavolo. Si tratta di riconoscere che da A-+B non si può concludere che B-rA. In
,,
questo caso, Pimplicazione è ."Carlo gioca a pallavolo -+ "Carlo ha risolto il problema
,,
alla schiena . Viceversa, il semplice fatto di aver risolto il problema alla schiena non
è condizione sufficiente (ma solo necessaria) per poter giocare (Carlo potrebbe avere,
a<l esempio, anche una gamba rotta).

A-+B equivale a "non (A e non B)" I

Pii1 in particolare, la forma quantificata di questo caso è:


,,
"per ogni x in A, allora x in B equivale a "non esiste x in A e x non in B >1 •

Esempio da Artqui":: Nella città di Colleallegro è possibile sostenere Pesarne per il


conseguimento della patente di guida ogni mese, finché non lo si supera. Quest 1 anno,
tutti i candidati provenienti dalFautoscuola Guidabene, che si sono presentati alP�a­
me di marzo, lo hanno superato in quell'occasione. Determinare, sulla base di queste
sole informazioni, quale delle seguenti affermazioni è sicuramente vera:

4
@.A_r�qui� LOGICA

Riccardo 1 che si è presentato all'esame di marzo e non lo ha superato, non provie­


ne dall'autoscuola Guidabene. Infatti, se Riccardo, che si è presentato all'esame di
marzo, provenisse dall'autoscuola Guidabene, avrebbe passato l'e same. Quindi non
.avendolo passato, non può provenire dall'autoscuola Gnidabene.

A-+B implica che se x è A, allora x è (anche) B


Più in partkolare, la forma quantificata di questo caso è:

"per ogni x in A, allora x in B" implica "se (uno specifico) x è in A, allora x è in B".

Esempio da Artquiz: Se è vero che "chi vede una stella cadente è fortunato", allora è
necessariamente vera anche l'affermazione:
Se vedi una stella cadente, sei fortunato. Infatti, si passa dal generale al partico­
lare: se vale per "tutti" coloro clw vedono una stella cadente, val� anche "per te" che
sei nell'insieme di chi le vede.

Non(A-+B) equivale a (A e non B)


PiiI in par ticola.re, la forma. quantificata di questo ca.-;o è la negazione di:

"por ogni x in A, allora x in B", che equivale a "esiste x in A e x non in B".

Esempio da Artquiz: II corso di logica prevede 120 ore di lezione. All'inizio del corso il
docente afferma: "Per superare l'esame è necessario, ma non snflìcieute, avere seguito
almeno 60 ore di le½ionc". Cosa deve accadere affinché l'affermazione del docente
risulti falsa?
Almeno uno studente supera l'e�mme pur avendo seguito meno di 60 ore di le�ione.
Dalle premesse segue che se uno studente supera l'esame, allora dev_e essere accaduto
(essendo necessario) che ha seguito almeno 60 ore di lezione. Ciò non è compatibile
con quanto affermato nella risposta (che invece ne è la negazione).

Se A-tB e B-tC, allora A-tC (catena di implicazioni)


Esempio da Artquiz: "Chi legge libri o ascolta musica classica ama l'arte. Chi ama
l'arte ama la natura". Se le precedenti affermazioni sono vere, allora è vero che:
Chi leggo libri ama la natura. Infatti, chi legge libri ama l'arte, e in quanto amante
dell'arte, ama (anche) la nalura.

Se A:-+B e A-tC, all ora A-t(B e C)


Esempio da Artquiz: Sandro è una persona atletica; le persone alte sono tutte atleti­
che; le persone alte sono magre. Se le precedenti afferm�ioni sono vere, allora è vero
che:
Chi è alto è magro e atletico. Infatti, tralasciando l'afferma�ione che "Sandro è
una persona atletica" che non è utile, la conclusione segue dalla congiunzione di "le
persone alte sono tutte atletiche" con "le· persone alte sono magre".

5
I.
li
Capitolo 1 Ragionamento logico @ Artquiz

A----+B è equivalente a (non B)----+(no n A)

Esempio da Artquiz: "Se c'è lo sciopero dei treni, rimando la partenza per le vacan­
ze", In base alla precedente afferma�ione, è necessariamente vero che:
Se non ho rimandato la partenza per le vacanze, vuol dire che non c'è stato lo
sciopero dei treni. Infatti, non potrebbe verificarsi simultaneamente che non ho ri­
mandato le vacanze e c'è statq lo sciopero dei treni (in quest'ultimo caso si dovrebbero,
infatti, rimandare le. vacanze). Dunque non c'è stato lo sciopero.

"A se e solo B" è equivalente a "A----+B e B----+A"

Esempio da Artquiz: "Se e solo se mangio cibi dietetici, riduco i miei grassi superflui".
In base alla precedente affermazione, è necessariamente vero che:
I miei grassi superflui si riducono quando mangio solo cibi dietetici. Infatti, se i
gra&ii superflui si riducono, allora ho mangiato solo cibi dietetici, perché "(se e) solo
se" mangio tali cibi riesco a ridnrre i miei grassi superflui.

Non(non A)) è equivalente ad A

Skcome la doppia nega�ione di una proposbr.ione A è c'quivalente ad A, segue che una


i;eqnen�a di neg�ioni di A equivale ad:

• A se il numero di uegm�ioni è pari;

• (non A) se il numero di negazioni è dispari.

Esempio da Artq1tiz: Non è sbo.gliato evitare di rinunciare a non violare la legge pur
non avendo dubbi sull'impossibilità di essere colti in flagrante. Qual è il corretto
significato della precedente affermazione?
Non si deve violare la legge in ogni caso, Quindi, la parte "Non è sbagliato evitare
di rinunciare a non violare la legge" è una sestupla negazione, composta da tre coppie:
"non è sbagliato", "evitare di rinunciare" e "non violare", equivalenti, altresì, a "è
giusto seguire la legge", La seconda parte "pur non avendo dubbi sull'impossibilità di
e8Sere colti in flagrante" è una tripla negazione, equivalente a "essendo certi èhe non
è possibile essere colti in flagrante". Pertanto, si riformuli H testo come "è giusto
seguire la legge pur essendo certi che non è possibile essere colti in flagr8.!lte" o, più
semplicemente, come "è giusto seguire la legge pur sapendo di farla franca'' e, quindi,
"in ogni caso" .

Esempio da Artquiz: "Non è possibile negare l'inesistenza di un filtro pe1: il corretto


funzionamento del motore", Qual e il corretto significato della precedente afferma-
�� .
Non esiste alcun filtro che permetta il corretto funzionamento del motore, Infatti,
l'impossibilità di negare l'inesistenza di un filtro per il corretto funzionamento del
motore equivale ad affermare l'inesistenza di un filtro per il corretto funzionamento·
del motore. (Si noti: tripla negazione, equivalente ad un'unica negazione).

6
© Artquiz LOGICA

Non(A e B) equivale a "non A o non B"

Più iu particolare, la forma quantificata di questo caso è la negazione di:


"per ogni x vale che x è in A e x è in B", che equivale a "esiste x· tale che x non è in
·A o x non è in B".
Esempio da Artquiz: "Per superare il provino ed entrare in una squadra di calcio
è necessario, ma non sufficiente, saper giocare bene_ e non avere più d:i 14 anni".
Determinare quale delle seguenti situazioni è non compatibile con la· frase precedente:
Elena non sa giocare bene a calcio, ha meno di 14 anni, e supera il provino. Infatti,
per superare il test si devono soddisfare entrambe le condizioni date. Elena però non
rispetta la condizione di saper giocare bene. Quindi non può superare il prqv-ino, e
ciò contraddice Paffern1c.1.Y..io11e del testo.

Non(per ogni x vale A) equivale a "esiste un � per il quale non vale A"
. .
Esempio da Artquiz: Andrea afferma che tutte le pecore toscane so�o nere. Quale
condi:1.fone è necessario che si verifichi affinchè l'affermazione di Andrea risulti falsa?
Deve esistere almeno una pecora toscana non nera. Infatti, l'afferma�io.ne proposta
e falsa qualorn non tutte le pecore toscane siano nere. Ossia, qualora esi�ta almeno
una pecora toscana che non sia nera.

Esempio dà Artquì:z: Quale aff�r��-ione equivaJe a dire:_ "Non tutti i laureati in


Medicina Veterinaria fauno il veterinario"?.
Vi è almeno un laureato in Medicina Veterinaria eh� non fa il veterinario.

Non(per ogni x esiste y tale che A) equivale a "esiste un x per il quale non
esiste y tale che A''

Esempio da Artquiz: Simona afferma: ·"In ogni corso di Ia�f�a iu Medicina e Chhurgià
c'è almeno uno studente che-·ha superato tutti gli esami del primo anno". Se tale
affermazione è falsa, allora sicuramente:
C'è almeno un corso di laurea.in Medicina e Chirurgil.1n cui nessuno studente ha
.-
�mperato tutti gli_esami del primo anno: Infatti, la falsità della proposizione proposta
si riconduce ad una forma del tipo "non è vero che per ogni X esiste un Y" ( con X
"corso di medicina" e Y "studente che ha superato tutti gli esami"). Ciò è logicamente
èquivalente a: "esiste un X tale che non esiste Y", come nella risposta �atta del quiz.
Attenzione: esistono diversi quiz che non rientrano in casistiche. particolari,
ma costituiscono casi a sé stanti. Pertanto, per essi, si rinvia alle singole solu:doni
commentate in Artquiz Studio_. . 1:,,-

1.4 Logica concatenativa


Nei problemi di questo tipo vengono presentate delle proposizioni che devonp esse­
re soddisfatte dalla soluzione richiesta. Dalle proposizioni in premessa si possono
escludere le varie opzioni proposte o arrivare direttamente alla soluzione desiderata.
Talvolta, vista la complessità delle situazini proposte, è utile costruire una tabella con
una colonna per ogni soggetto/elemento proposto dai quiz e con una riga per ogni

7
Capitolo 1 Ragionamento logico © Art.quiz
proprietà che devono soddisfare i soggetti nelle colonne. Anche in questo caso pre­
sentiamo un paio di esempi per chiarire la situazione e rimandiamo al volume Artquiz
Studio per nno studio puntuale dei vari casi possibili.
Esempio da Artquiz: Delle tre società Alpha, Beta e Gamma almeno due sono lus­
semburghesi. Sapendo che se Alpha è lussemburghese anche Beta lo è, che se Gamma
è lussemburghese lo è anche Alpha, e che tra Beta e Gamma almeno una è non
lussemburghese, si può dedurre che:
1. Alpha, Gamma e Beta sono lussemburghesi;
2. Gamma è lussemburghese e Beta non è lussemburghese;
3. Alpha. non è lussemburghese e Beta è lussemburghese;
4. Alpha e Gamma sono lussemburghesi;
5. Gamma non è lussembnrghCl:le e Beta è lussemburghese;
\

Partiamo dalla tabella:

Alpha Beta Gamma


Stato Stato Stato

o
e cerchiamo di stabilire cosa mettere negli spazi relativi aglt stati: se Gamma fosse
lussemburghCl:le, ossia se fosse
Alpha Beta Gamma
Stato Stato Lussemburghese

allora dovrebbe essere lussemburghese anche Alpha, ossia si avrebbe anche


Alpha Beta Gamma
Lussemburghese Stato Lussemburghese

Dall'essere Alpha lussemburghese, avremmo poi che anche Beta lo sarebbe, ossia si
avrebbe che
Alpha Beta Gamma
Lussemburghese Lussemburghese Lussemburghese

Assurdo perché almeno una società non è lussemburghese. Quindi il .Primo passo
doveva essere
t I
Alpha Beta Gamma
Stato Stato non lussemburghese

I'

il Ma dovendo esserci almeno 2 società. lussemburghesi, si può ora completare la tabella:


1·'I,, Alpha Beta Gamma

o
l�­ Lussemburghese Lussemburghe.se non lussemburghese

Quindi la risposta corretta è la 5.

li! 8
@ Artquiz LOGICA

Esempio da Artquiz: Aldo, Barbara, Carlo, Daniele, Elio, Federica e Giuliana sono
sette bambini le cui età sono sette numeri interi e consecutivi compresi tra 1 e 10.
Sapendo che:
1. Daniele ha 3 anni meno di Aldo;
2. Barbara ha un'età tale per cui è la mezzana;
3. Aldo ha un'età di 2 anni superiore a quella di Barbara;
4. Federica è inferiore a Barbara dello stesso numero di anni di cui Carlo e maggiore
di Daniele;
5. Giuliana è maggiore di Federica;

quanti anni ha Elio meno di Giuliana?

Dobbiamo siI,temare le posiiioni consecutive:

Barbara sta in mez�o (2.), Aldo le sta 2 posti avanti (3.) e Daniele 3 posti dietro Aldo
(1.), dunque la tabella a questo punto è
I Daniele I Barbara I :J Aldo
Carlo può avere solo 2 o 4 anni più di Daniele (ci sono solo 2 caselle a disposizione
a destra di quest'ultimo), e Federica può avere solo 2 o 3 anni meno di Barbara (ci
sono solo 2 caselle a disposizione a sinistra di quest'ultima), quindi i suddetti anni
di distanza, per coincidere (condizione 4.) devono essere 2, e dunque la tabella ora
diventa
I Federica I Daniele I Barbara I Carlo I Aldo
Siccome Giuliana è maggiore di Federica (condizione 5.), questa deve occupare l'ultima
ca.<:iella, e per esci usione Elio occupa la prima.
[ Elio I Federica I Daniele I Barbara I Carlo Aldo I Giuliana I
Essendo le varie età date da anni consecutivi, la differenza tra Elio e Giuliana è di 6
anni.

9
Capitolo 2

Ragionamento logico-matematico

2.1 Successione numeriche, di lettere e di figure


ln un problema di questo tipo si deve stabilire una regola generale che pennette
di spiegare logicamente perché da una successione nota di numeri, di lettere o di
figure, ogni elemento segue dal precedente o dai precedenti. Si tratta quindi di un
ragionamento induttivo.
Più precisamente, la spiegazione logica sarà di due tipi: matematico o geometrico.
Il tipo matematico riguarda i numeri e le lettere, con la prccisa:tione che per Je lettere si
usa. l'ordine alfabetico e che quindi, per i nostri fini, le lettere si possono sostituire con il
numero associato alla loro posi:donc ndl'alfabeto. Il tipo geometrico riguarda le figure,
che quindi si possono ruotare, riflettere e in generale manipolare con "movimenti
rigidi".

2.1.1 Successione numeriche


In questo tipo di problemi viene proposta nna succes8ione del tipo:
a0, ai, ... an;
dove n è un numero naturale e per ogni 1 :'.S i :'.S n, ai è un numero teale. Si tratta di
trovare la regola f per la quale ai+1 = f(ai) o, in generale, ai+1 = f (ai, a2, ... ai).
Elenchiamo alcuni cru:ii classici e poi presentiamo degli esempi per ognuno di essi:
• ai+l = f(ai) =ai+ k, ossia ai+I - ai = k. La suc<..:essione è del tipo:
ao, ao + k, a1 + k, ... an-1 + k
'-v-' -----
ao+ 2k a0 + nk

ed è detta progressione aritmetica;


• ai+1 = f(ai) =ai+ ik, ossia lti+1 - ai = ik. La successione è del tipo:
ao, ao + k, a1 + 2k, ... an-1 + nk;
• ai+I = f(ai) =ai+ ki , ossia ai+1 - ai= k i . La successione è del tipo:
ao, ao + k, a1 + k 2 , ... an-l + k11 ;

11
Capitolo 2 Ragiona.mento logico--rnatematico © Artquiz

o ai+1 = f(ai) = aik, ossia ai+i/ai = k. La successione è del tipo:


ao, aok, ... aokn

ed è detta progressione geometrica. Inoltre, k è detta ragione della progressione.


• ai+1 = f(ai) = ai+ ai-I, ossia ai+1 - ai = ai-I, con i ?: 2. La successione è
del tipo:
ao, a1, a1 + ao, ... an-1 + an-2i
...._____., .____.,
a2 an

Nel caso a0 = O, a 1 = 1 si ha la celeberrima successione di Fibonacc;i.


Si presti attenzione al fatto che non di rado capita che i numeri in posizione pari
seguano una regola e i numeri in posizione dispari una seconda regola. Si tratta dunque
di lavorare con dne successioni: la sottosnccessione pari e quella dispari. Inoltre,
talvolta vengo proposte successioni simili alle suddette ma con la moltiplicazione al
posto della somma, ad esempio, an�iché f(ai) = ai + k, si ha: f(ai) = ai · k; e così
via. •
E,c;ernJJÙJ d<t Artquiz; Individùare il numero che segue logicamente: 100, 95, 85, 70,
50:
Basta notare ché ogni numero si ottiene dal precedente sommando -5i. Infatti,
95 = 100 - 5, 85 = 95 - 10, 70 = 85 - 15, ecc. Quindi 50 - 25 = 25 è il successivo.
,, E,c;empio da Artquiz: Individuare il numero che segue logicamente: 9, 10, 8, 11, 7, 12:
Si nota. che i numeri in posIBione dispari sono 9, 8 (= 9 - 1), 7 (= 8 - 1), quindi
manca il 6 (= 7-1). A margine, si nota. che la sottosncccssioue dei numeri in posizione
pari è del tipo 10, 11, 12, ossio ad ogni passo si somma 1. Graficamente si ottiene:

I'. -1 -1 -1
j;' (\,. (\,. (\,.
9 10 8 11 7 12 [Q)
,' \J' \J' \J'
+1 +1 +1

·I Fignra 2.1: Schema grafico della successione 9, 10, 8, 11, 1, 12.


I

Esempio da Artquiz: In una progressione geometrica il primo elemento :è 2 e il sesto


è 0,0625. Il quinto elemento della progressione è:
0,125. Infatti, sia x la ragione, allora vale 2 · x 5 = O, 0625; quindi x5 = O, 0625/2,
cioè x5 = O, 03125 = O, 55 • Pertanto il termine precedente al sesto è 0,_0625/0, 5 =
o, 125.
1-;
h. Esempio da Artquiz: Individua tra quelli sotto riportati il numero mancante nella
I
::,;I serie: "51 - 49 - 45 - 37 - , .. "
V! Dopo aver notato che ogni numero si ottiene dal precedente sommando -2i : 49 =
li:·'[ 51 - 2, 45 = 49 - 4, 37 = 45 - 8 etc. segue che 37 - 16 = 21 è il successivo.
CJ
�: 12
© Artquiz LOGICA

Esempio da Artquiz: Individuare l'alternativa che completa correttamente la seguente


serie di numeri: 1; 15; 16; 31; 47.
Basta notare che ogni numero è dato dalla somma dei precedenti: 1 + 1 5 = 16; 15 +
16 = 31 etc, quindi manca 31 + 47 = 78.

Esempio da Artquiz: Completare la successione numerica: 360; 72; 18; 6:


Si erva che 360 · i·= 72, 7 2 · � = 18, 18 · � = 6 e quindi manca un x tale che

.x-
- 6· 2-- 3.

Esistono anche successioni che hanno come regola un misto delle regole suddette, e
magari qualche ulteriore e fantasiosa complicazione, come il seguente esempio 1�ostra:

Esempio da Artquiz: Individuare qual è il numero mancante nella seguente serie: 6,


8, 24; 9, 4, 19; 5, 6, 17; 4, 4.
L a regola è ((6 · 8)/2) -!-O= 24, ((9 · 4)/2) + 1 = 19, ((5 · 6)/2} + 2 = 17 e dunque
il numero mancante si ottiene eseguendo ((4 · 4)/2) + 3 = 11.

Si noti che non è possibile fare una clas8ificazionc completa delle succC:'.S8Ìoni perché
diverse successioni sono, per così dire, casi a sé stanti. Pertanto, per tali queHiti, si
rimanda alle Hingole soluzioni commenta.te nel volume Artquiz Studio.

2.1.2 Successioni di lettere


Come accennato nella premessa al presento capitolo, questo tipo di successioni consi­
stono in una sequemm di lettere dell'alfabeto, ossia in una seqnemm del tipo:

Xo, Xi, ... X, 1; con Xi E {A, B, C, ... Z}, O :s; i :s; n.

Una siffatta sequenza è riconducibile ad una successioue numerica dopo aver so­
stituito ad ogni elemento Xi il numero naturale relativo alla posizione nell'alfabeto
di tale elemento. Si faccia sempre attenzione al fatto che alle volte viene utilbt,mto
l'alfabeto anglosassone, che rispetto all'alfabeto italiano contiene anche le lettere "J,
K, W, X, Y" e dunque ha 26 elementi. Spesso l'alfabeto usato è dichiarato nel testo
del quiz, ma talvolta è compito del candidato riconoscere quale alfabeto usare per
giungere alla soluzione. Una volta sostituite le lettere·con i relativi numeri delle po­
si:tioni nell'alfabeto, la risoluzione del quiz si ottiene utilizzando quanto detto per le
successioni numeriche, come i seguenti esempi mostrano.

Esempio da Artquiz: Completare la seguente sequenza di lettere: URO L G . , .


Sono le lettere in posizione 19; 16; 13; 10; 7 ... quindi ad ogni passo si somma al
numero_ precedente -3. Dunque la lettera mancante si trova in posi:tione 7 - 3 = 4
che corrisponde alla lettera D.
Con le successioni di lettere si incontrano ulteriori variazioni alle regole più note,
come i seguenti eaempi dimostrano:
Esempio da Artqui.z: Quale tra le coppieRS, QS,RU, SW, PV, completa la seguente
serie (alfabeto internazionale) CZ FY IX LW OV ... ?

13
Capitolo 2 Ragionamento logico-matematico @ Artquiz

Le seconde lettere delle coppie della suc,-cessione sono, nell'ordine dato, Z, Y, X,


vV, V, e quindi nella coppia mancante la seconda lettera deve essere una U. Elemento
di per sé sufficiente a individuare la risposta corrett�: RU.

Esempio da Artquiz: Sillogismo alfabetico AZ BV CU DT ES:


L'n-esima coppia di lettere è formato dalle lettere dell'alfabeto italiano in posizione
(u, 21-n), quindi la coppia mancante ha le lettere in posizione (6, 21 - 6): FR.

Esempio da Artquiz: Quale tra le opzioni F 29, I 26, D 28, E 23, D 23 completa
correttamente la seguente successione, utilizzando Palfabeto italiano: E; 5; I; 6; Q;
11; U; 17; '!; ?
Osservando la parte numerica della successione (ossia i dati nelle posizioni pari)
si nota che dopo i primi dne numeri, ogni numero è dato dalla somma dei due numeri
nelle posizioni precedenti (infatti 11 = 5 + 6; 17 = 6 + 11). Dunque il numero
mancante è 11 + 17 = 28. Solo la terza opzione prevede tale numero: D 28. Si faccia
attcniione chG la parte letterale altro non e che un elemento di distmbo ��r la ricerca
_
della soluzione corretta.
Anche per le successioni di lettere e le relative innumerevoli varianti non classifi-
cabili, 8i rimanda alle singole soluzioni commentate nel volume À 7:"tquiz Studio.

2.1.3 Successioni di figure


Le :mccei:;sioui di figure introducono ulteriori varianti alle classificazioni di successioni
di tipo nmnertco elencate in precedenza, questo a causa della possibilità di usare regole
legate a schemi e simmetrie spaziali a differenza del caso di numeri o lettere, per i
quali gli schemi sono lineari. Riportiamo nn e8 empio a sostegno di quanto detto e
rimandiamo al volmne Artqniz con i quiz proposti e le relative soluzioni per avere un
quadro adeguatamente esaustivo dei casi possibili.

Esempio da Artquiz: Inserisci la terna mancante tra le seguenti:

8 - 4 - 2;. 7 - 14 - 14; 3 - 1 - 3; 5 - 10 - 5; 6 - 2 - 3
? '?
21 150.,5 10[��}
3�}
5 10 10
-I
'•

Si vede che i numeri nei quadrati sono il prodotto dei numeri esterni se la tema
corretta è 3 - 1 - 3.

2.2 Relazioni insiemistiche


I quesiti sulle relazioni insiemistiche si rifanno a.Ila teoria degli insiemi in modo del
ii' tutto intuitivo: un "insieme A è inteso come una famiglia, o collezione, di elementi
:t· che Io caratterizzano completamente. In altre parole, un insieme è definito compiu­
tamente dalla totalità degli elementi che contiene. Graficamente, un insieme è spesso

!l'1:1 14
@ Artquiz LOGICA

rappresentato da un diagramma di Eulero-Venn, che consiste in una curva chiusa


(tipo un cerchio) entro il quale, all'occorrenza, si pone un puntino per_ ogni elemento
con il relativo nome.
Dati due insiemi A e B, ha senso considerare in che relazione stanno vicende­
·volmente, ed in particolare determinare la loro intersezione, denotata AnB, che per
definizione è l'insieme contenente tutti e soli gli elementi comuni ad A e B. Possono
succedere 3 casi: · · · · · · .,
• A e B non hanno elementi in comune e quindi i relativi diagrammi di Eulero-Venn
sono 2 curve una esterna all'altra. AnB è l'insieme vuoto;
o A e B hanno sia elementi in comune, sia elementi solo in A che elementi solo in B
e quindi i relativi diagrammi di Eulero-Venn sono 2 curve che si sovrappongono e
determinano tre aree chiuse: quella contenente gli elementi di A e non di B, quella
contenente gli elementi di A e di B, quella contenente gli elementi di B e 11011 di A.
AnB non ò l'insieme vuoto ed è diverso sia da A che da B;
.
• nno dei due insiemi, diciamo A, ha tutti gli elementi che appartengono anche all'al­
tro insieme, quindi a B, e dunque i relativi diagrammi di Eulerç-Venn sono 2 curve
una (A) interna all'altra. (B). AnB coincide con A.
I qni¼ proposti ai test di ammissione 'consistono nell'identificare Ldiagrammi di
Enlcro-Venn che rapppresentano correttamente 3 insiemi dati, ossia. èon le giuste
relazioni tra-gli insiemi presi a due ·a due. Dei 27 c�si possibili (3 casi per ognuna
delle 3 possibili coppie di insiemi), ne sono apparsi solo 7. Presentiamo perciò l'elenco
di eletti 7 casi tramite 1111 esempio per ognuno facendo riferimento alla Figura 2.2.

cr; ®
e::>
@=> 00
o
� Cv �

Diagramma 1 Diagramma 2 Dlagramma 3 Dlagramma4 Diagramma 5 Dlagramma6 Olagramma 7

Figura 2.2: Relazioni insiemistiche.

Esempio da Artquiz: Personaggi famosi, Persone nate a Milano, MonÙmenti equestri.


Individuare il diagramma che soddisfa la relazione insiemistica esistente tra i tre
termini dati.
Ci possono essere persone simultaneamente famose e di Milano, o anche facenti
parte di una sole delle due categorie. Ma nessuna di esse è una statua equestre.
Quindi il diagramma 1 è quello corretto.

Esempio da Artquiz: Tori, Maiali, Suini. Individuare il diagramma .che soddisfa la ..


relazione insiemistica esistente tra i tre termini dati.
L'insieme dei maiali è contenuto nell'im,ieme dei suini. Mentre i tori non possono
mai essere anche suini, quindi l'insieme dei primi è disgiunto dall'insi�me dei secondi,
per cui il diagramma corretto è il secondo.

Esempio da Artqniz: Mele, Pere, Fì·utta raccolta quest'anno. Individuare il diagram­


ma che soddisfa la relazione insiemistica esistente tra i tre termini dati.

. 15
Capitolo 2 Ragionamento Jogico-matematico © Artquiz

Nell'insieme della frutta raccolta quest'o.nno è certamente inclusa anche una parte
dell'insieme delle mele e una parte dell'insieme delle pere (le parti dì tali frutti raccolti
appunto quest'anno). Tuttavia, tra questi ultimi due insiemi non ci sono elementi in
comune, e dunque l'intersezione è necessariamente vuota. Quindi il diagramma 3 e
quello corretto.

Esempio da A rtquiz: Indicare il diagramma che soddisfa la relazione insiemistica


esistente fra i tre termini dati: numeri compresi tra 15 e 20, numeri compresi tra 5 e
30, numeri compresi tra 10 e 25.
Vale che: "numeri compresi tra 15 e 20" è contenuto in "numeri compresi tra 10 e
25" che è contenuto in "numeri compre1:1i tra 5 e 30". Quindi il diagramma 4 e quello
corretto.

Esempio da Artquiz: P<�scatori tarantini, Pescatori con più di trentadue anni, Pesca-
tori biondi. Individuare il diagramma che soddisfa la relazione insiemistica esistente
tra i tre termini dati
A priori è perfettamente possibile che ci siano pescatori che appartengono a esat-
tamcnte 1 o 2 degli insiemi suddetti, o anche a tutti e tre simultaneamente. Quindi
il diagramma 5 e quello corretto.

· Esempio da Artquiz: Individuare il di agramma che soddisfa la relazione insiemistica


esistente tra i termini dati. Galline, Rettili, Anfibi
Nessun tipo di animale (Gal�ine, Rettili, Anfibi) può appartenere simultaneamente
a due o tre delle tipologie proposte. Dunque il diagramma corretto è il sesto.

Esempio da Artquiz: Identificare il diagramma che rappresenta correttamente i se­


guenti insiemi: A: Numeri compresi tra 1 e 22. B: Numeri compresi tra 5 e 11. C:
Numeri pari divisibili per 7.
A = {1, 2, 3, ... 22} contiene propriamente l'insieme B = {5, 6, ... 11}, inoltre
l'intersezione tra A e C = {14, 28, 42, ... } è {14} -(cioè, AnB non è l'insieme vuoto)
mentre l'intersezione tra B e C è vuota. Quindi il diagramma 7 e quello corretto.

2.3 Relazione d'ordine


Una relazione d'ordine binai·ia, solitamente detta "minore o uguale" e denotata con
$, è una relazione tra due clementi di un insieme A tale, che comunque si scelgano
a, b, e E A, valgono le seguenti proprietà :
lt! • riflessività: a $ a;
,_1·..i
'j • simmetria: a $ b e b $ a implica a = b; I

i·�Jr • transitività: a$ be b $ e implica a$ e;


Se si pensa all'insieme dei numeri (dai naturali a.i reali), $ è l'usuale relazio­
ne a tutti nota. Si usa per mettere in relazione quantità di quàlsiasi tipo (purché
omogeneo), come le distanze, le masse, gli intervalli di tempo (età), il denaro, ecc.
Si presti attenzione al fatto che spesso in luogo di � si usa la relazione "maggiore
o uguale", denotata � e così definita:
a 2 b se e solo se b $ a.

16
o @ Artquiz LOGICA

In altre parole, quando si incontra una frase del tipo "a è maggiore o uguale a b",
la si può sostituire con "b è minore o uguale ad a". Infine, se è noto che a � b e a =I= b,
spesso si scrive solamente a< b (e similmente con �).

'Esempio da Artquiz: Giovanni è più vecchio di Carlo; Lorenzo è più vecchio di Mario;
Mario è più giovane di Alessandro; Carlo ed Alessandro sono gemelli. Sulla base delle
precedenti si può affermare che ...
Sia G l'età di Giovanni, C quella di Carlo e così via. Dunque G > C= A> M,
per cui G > M.

2.4 Esercizi di crittografia


Questo tipo di esercizi consistono in problemi dove compaiono simboli (@, #, & etc.)
o sillabe (TEP, ZOP ... ) ma che in realtà si risolvono con le regole usuali della
matematica (dove invece si è soliti usare x, y, z ... ). Un esempio chiarificherà la
situazione, e in generale si rimanda al volume Artquiz Studio per l'usuale pratica.

Esempio da A1·tquiz: Se§·@= 1; §= 5/3; @ + 2/5= #. Allora# è uguale a:


# = 1. Infatti, sostituendo 5/3 a§ nella prima uguaglianza si ottiene (5/3)·@ = 1,
da cui @= 3/5. Infine, sostitutendo@ = 3/5 nella terza uguaglianza si ha 3/5+2/5 =
#.

17
o
Capitolo 3

Problemi logico-matematici

3.1 Problemi con soluzione logico-matematica


,,
Un problema di questo tipo è riconducibile al classico "problema di matematica della
scuola clementnre, benché chiaramente nel contesto delle prove di ammissione il livel­
lo di difficolt.ù. sia <li molto superiore. Sostan'.lialmcntc un siffato problema va risolto
ideutificauclo le quantità note e le quantità incognite, sostituendo queste ultime con
opportune lettere (a, b, e.,. x, y, z) e detC::rminando così le equa'.lioni o disequazioni
dcrivauti dalle proposiiioni in premessa. Applicando le regole cli risoluzione di equa­
zioni e disequazioni, singole o in sistemi, per le quali si riqvia alla parte di matematico.
del presente manuale, si giunge infine alla soluzione.

Esempio da Artquiz: "In nn cinema ci sono 200 spettatori: 40 sono italiani, 50 sono
,,
donne, e GO preferiscono i film di genere fantasy . Sulla base di queste informazioni,
di quanti spettatori si può affermare con certertza che sçmo allo stesso tempo italiani,
donne e amanti del genere fantasy?
Di nessuno, infatti basta osservare che 40 + 50 + 60 = 150, quindi nel cinema ci de­
ve essere qualcuno che non rientra in nessuna delle dette tre categorie. In particolare,
tanto meno potrà rientrare in tutte simultaneamente.

3.2 Problemi con i giorni della settimana


In un problema di questo tipo viene solitamente chiesto di stabilire che giorno della
settimana è un dato giorno, in base ad un numero di affermazioni e tenendo conto ,
dell'ordine convenzionale tra i giomi della settimana e la suddivisione degli anni in
mesi. Attenzione agli anni bisestili, che ricordiamo essere i multipli di 4. Anche in
que::ito caso si rimanda allo studio delle singole soluzioni commentate dei quesiti di
A rtquiz Studio.

Esempio da Artquiz: Una "non-stop televisiva" inizia alle ore 21:00 del 25 ottobre, e
prosegue ininterrottamente per 400 ore. Quando termina'?
Alle ore 13:00 dell'll novembre, infatti eseguendo la divisione tra 400 e 24 (il
numero di ore in un giorno), si ottiene 16 con resto di 16, rispettivamente il numero
di giorni e ore passate dal momento in questione. Data e ora richieste si ottengono

19
r
Ciipitolo 3 Prohlemi logico-matematici @ Artquiz

aggiungendo 16 ore dopo 16 giorni trascorsi dal 25 ottobre alle 21:00. Quindi 16 ore
dopo il 10 novembre alle 21:00, ossia 1'11 novembre alle 13.00.

3.3 Problemi con i rapporti di parentela


Quiz di questo tipo riguardano il tipo di parentela che lega due persone X e Y, note
alcune assunzioni sul rapporto che intercorre tra X, Y e altri individui ancora. Per
giungere alla soluzione è sufficiente un po' di attenzione e la conoscenza dei termini
(nipote, cognato, nuora, ecc.).

Esempio da Artquiz: Mario è il secondogenito di una coppia con due figli, e sua moglie
è figlia unica. Uno dei nonni del figlio di Mario ha una figlia che si chiama Fì·ancesca,
la quale ha d uc anni meno di Mario. Date queste premesse, chi è la Fì·ancesca di cui
si parla nel testo?
La moglie di Mario; infatti uno dei nonni del figlio di Mario è il padre di Mario o
di �ma moglie. Siccome tale nonno ha una figlia(che si chiama Fì·ancesca) che è più
giovane di Mario, detta Fì·ancesca non può essere sorella di Mario, che è il secm�do­
genito di una coppia con due figli. Dunque Fì·ancesca è figlia del nonno materno(del
figlio di Mario), per cui Fì·ancesca è moglie di Mario.

3.4 Calcola quante persone sono necessarie per fare determina-


te cose in un certo lasso di tempo
La quasi totalità dei problemi di questo tipo si possono ricondurre nl problema del
seguente esempio. Si vedano come sempre i quiz del volume Artquiz Studio.

Esempio da Artquiz: Se 2 dietisti elaborano 6 diete in 120 minuti, quanti dietisti


sarebbero teoricamente necessari per elaborarne 12 in 7200 secondi?
Un dietista elabora 3 diete in 120 minuti, quindi una ogni 40 minuti. 7200 secondi
sono pari a 120 minuti, nei quali un dietista elabora 3 diete. Quindi sono necessari 4
dietisti.

3.5 Calcola quanto t�mpo occorre per...


Si tratta di problemi che riguardano il tempo e risolvibili con l'uso della matematica
e le ovvie nozioni di secondo, minuto(= 60 secondi), ora(= 60 minuti), giorno(= 24
I° ore), ecc.
I Spesso questo tipo di problemi non si discostano dai problemi del pai·agrafo pre-
cedente (Logica 3.4), oppure sono riconducibili all'esempio seguente: :

Esempio da Artquiz: 'Ire architetti df?vono completare insieme un progetto. Sapendo


che, lavorando singolarmente, ciascuno di loro impiegherebbe rispettivamente 10, 8 e
9 giorni per terminare il progetto, in quanto tempo lo porteranno a termine lavorando
I•
I, · ' insieme?
I.
'1 -� In un giorno, singolarmente, completano 1/10, 1/8 e 1/9 di progetto. Quindi
j. al giorno, insieme, completano una frazione di progetto pari-a circa 1/10 + 1/8 +
}ijl
,,, 1/9 = (72 + 90 + 80)/720 = 242/720 � 0,336. Dunque, per completare il progetto,
impiegheranno circa 1/0,336 = 2,975 � 3 giorni.

20
© Artquiz LOGICA

3.6 Calcoli con i dosaggi


Esempio da Artquiz: Tizio e Caio devono ricevere una certa quantità di farmaco, in
maniera da avere una quantità di principio attivo proporzionale al proprio peso cor­
poreo. Tizio pesa 50 kg, Caio pesa 60 kg. Due flaconi identici di farmaco contengono,
complessivamente, la dose totale necessaria per il fabbisogno di entrambi. Qual è la
dose esatta da somministrare a Caio?
,
Un flacone intero e un undicesimo dell altro flacone. Infatti, fissiamo come unitaria
la quantità di principio attivo di ogni flacone; in totale abbiamo dunque 2 unità. Si
tratta ora di suddividere in 11 parti dette unità: 6 parti per Caio e 5 per Tizio (infatti
il rapporto tra le loro massa corporea è 6 a 5). A Caio spettano quindi 6 undicesimi di
2 unità, ossia 12 undicesimi di unità (2 · 6/11 = 12/11). Essendo 11 undice.':limi pari
ad una unità, cioè ad un flacone, a Caio spetta un flacone e un undicesimo dell'altro
(12/11 = 11/11 + 1/11).
.
3. 7 Calcoli relativi alla distanza percorsa e alla velocità
Il mncetto principale da conoscere in questo contesto è quello di velocità, crn:;l definita:
distamm percorsa
velocità= . . .
tempo 1mp1egato
Per i <letta.gli sulla velocità e le formule relative si rimanda alla parte di Fisica del
presente volume. 1ùttavia, in questo contesto, è sufficiente la suddetta definizione, la
conoscenza delle unità di misura di spazio e tempo, con relativi multipli e sottomultipli
(si veda la parte di fisica del prei.;ente volume) e osservare che in qneio;to tipo di problemi
i.;peio;so vengono aggiunte delle complicazioni quali ad esempio:
o oggetti in movimento che si avvicinano o allontanano (relatività- galileiana: le
velocità si sommano o si sottraggono);

• distanze percorse in successione con direzioni perpendicolari (per la distanza totale


si usa il teorema di Pitagora);

o distanze percorse a tratti con velocità differenti (si sommano le singole distanze e
tempi);

• etc.

Non è possibile dare una classificazione esauriente di questo tipo di problemi,


pertanto si rimanda allo studio delle singole soluzioni commentate al volume Artquiz
Studio.

Esempio da Artquiz: In un momento X, un treno che corre a 30 km/h precede nn


,
treno che corre a 50 km/h. Quanti km distano l'uno dall altro, se occorreranno 15
minuti al treno più rapido per raggiungere il più lento?
Rispet.to al primo treno, il secondo treno viaggia a 50 km/h -30 km/h= 20 km/h.
Quindi, in 15 minuti, il secondo treno percorre, rispetto al primo, 20 km/h · 1/4 h =
5 km, ossia la distanza che li separava al momento X.

21
Capitolo 3 Problemi logico-matematici © Artquìz
Esempio da Artquiz: Luigi decide di fare un giro nel fine settimana ma non ha una
meta. All'inizio si dirige verso est per 248 km, poi gira a sinistra e gnida verso Nord per
310 km. Quanti km avrebbe risparmiato guidando in linea retta fino a destinazione?
Tramite il teorema di Pitagora si ottiene che dal punto di partenza Luigi ha per­
corso J2482 + 3102 km = 397 km. Luigi avrebbe quindi risparmiato circa (248 +
310- 397) km= 161 km.
Esempio da Artquiz: Un autoveicolo percorre metà dei giri di una pista a 300 km/h
poi percorre l'altra meta a 100 km/h. In media a che velocità ha viaggiato?
Questo è il tipico problema che si risolve con la media armonica: tralasciando le
unità di misura, la velocità media cercata. è pari alla media armonica tra 300 e 100,
ossia 2/(1/300 + 1 /100) = 2/(4/300) = 600/4 = 150 (km/h).

22
Capitolo 4

Probabilità e Statistica

In questo capitolo ci limitiamo a presentare le nozioni essenziali del calcolo delle


probabilità, approfondendo invece maggiormente gli esercizi e le r€lative soluzioni.

4.1 Percentuali
La percentuale x di nn numero a rispetto ad un secondo numero b esprime la pro­
porzione tra i due numeri a e b in termini della stessa proporzione tra x e 100. In
altre parole, la percentuale di a rispetto a b è data da "quel" x che rende vera la
proporzione:
a: b =X: 100.
Operativamente, x si ottiene dal seguente calcolo:
a
:r: = b · 100.
È ampiamente utilizzata la notazione x% per indicare che il numero x indica una
percentuale. Nel linguaggio comune si suol dire che "fatto b uguale a 100, x è la
frazione di 100 equivalente a quella rappresentata da a rispetto a b". Solitamente
si usa la percentuale per numeri tali che O � a � b, ma le eccerbioni non sono così
insolite.

Esempio da Artquiz: Calcolare il 35% di 150.


Dalla definizione è 150 · (35/100) · 52,5.

Esempio da Artquiz: Il 70% degli iscritti a medicina veterinaria mangia pizza almeno
una volta alla settimana. Tra questi, il 60% ci beve insieme una bevanda alcolica.
Determinare la percentuale degli iscritti a medicina veterinaria che mangiano pizza
almeno una volta alla settimana, senza accompagnarla con bevande alcoliche.·
28%. Infatti tra gli iscritti a medicina veterinaria che mangiano pizza almeno una
volta alla settimana, la percentuale di quelli che non l'accompagnano con una bevanda
alcolica è del 40%. Quindi, la percentuale cercata è (O, 7, O, 4 · 100)% = 28%.

Esempio da Artquiz: Aumentando del 10% le lunghezze della base e dell'altezza di


un rettangolo, l'area aumenta del:

23
Capitolo 4 Probabilità e Statistica © Artquiz
21%. Infatti, siano B e h la base e l'altezza di partenza, che aumentate del
10% danno B' = (1 + 10/lO0)B = 1, 1B e h' = (1 + 10/lO0)h = 1, lh. L'area del
rettangolo finale è B'h' = Bhl, 12 = Bhl, 21 = Bh(l + O, 21) = Bh(100 + 21)/100,
cioè Bh + Bh · 21%.

4.2 Tasso d'interesse

Il tasso di interesse tè la percentuale del capitale C prestato che viene pagata an­
nualmente per ìl prestito ricevuto oltre alla restituzione del capitale C stesso. Quindi,
dopo un anno di prestito, iL capitale che il creditore si vede restituire è:

e . ( + �o) = e + e
1
1 1�0.
Se invece il tempo trascorso tra il prestito e la restituzione è pari a g, con O < g <
365, allora il capitale restituito è:

e· ( +1 {I) = e + e 100t · 365g ·


t · 365
100
Infine, per n anni di tempo trru;corsi dal prestito, vale la formula:

(
e. l + 1io) n
Esempio da Artquiz: Se investo 12000 € per 3 mesi al tasso annuale del 5%; l'interesse
che ottengo per tali tre mesi è:
150 €. Infatti, siccome gli interessi maturano per 3/12 di anno, il problema si
traduce in 12000 € · (3/12) · (5/100) = 150 €.

4.3 Calcolo delle probabilità


Nella definizione classica di probabilità, dato un insieme di eventi possibili rispetto
ad un dato esperimento (in senso esteso) si·definisce probabilità P che si verifichi
un evento x come il rapportò tra i casi favorevoli nei quali x si verifica rispetto ai casi
possibili che si possono verificare.

Esempio da Artquiz: La probabilità che lanciando contemporaneamente tre monete


uguali esse presentino la stessa faccia è: 1
1/4. Infatti, le combinazioni favorevoli sono testa-testa-testa e croc�croce-croce,
su 8 totali, dunque 2/8 = 1/4.
Si dice che due eventi x e y sono incompatibili quando non si possono verificare
simultaneamente. In tal caso si ha che la probabilità P(x oppure y) = P(x) + P(y).
Ad esempio, l'esito del lancio di un dado non può essere simultaneamente pari (p) e
dispari (d) e dunque P(p oppure d) = P(p) + P(d) = O, 5 + O, 5 = 1; infatti, è certo
che l'esito sarà pari o dispari.
Due eventi x e y sono indipendenti quando il verificarsi di un esito non influenza
il verificarsi dell'altro. In tal caso si ha che la probabilità P(x e.y) = P(x) · P(y). Ad
esempio, gli esiti dei lanci di due dadi sono indipendenti, e se si calcola la probabilità

24
l'!!
a
@ Artquiz LOGICA

che il primo lancio sia pari (p) e il secondo dispari (d), si ottiene P(p ed) = P(p) .
P(d) = O, 5·0, 5 = O, 25; infatti, i possibili esiti sono pari-pari, pari-dispari, dispari-pari
e dispari-dispari, quindi si ha un caso favorevole su 4 possibili, appunto O, 25 = 1/4.

· Esempio da Artquiz: Siano A e B due eventi incompatibili con P(A) = O, 4 e P(B) =


O,3. Allora P(A U B) vale:
P(A U B) = P(A) + P(B) = 0,4+ 0,3 = O, 7.

4.3.1 Probabilità condizionata


La probabilità condizionata cli nn evento A rispetto a un evento B, scritto P(AIB)
è la probabilità che si verifichi A, sapendo che B si è verificato. Dalla teoria si sa che:

P(A n B)
P(AIB) = (4.1)
P(B) '
dove P(A n B) è la probabilità che si verifichino entrambi gli eventi.
Dalla formula 4.1 segue che P(A n B) = P(AIB) · P(B), da cui, invertendo i moli
di A e B, si ottiene che deve anche valere P(A n B) = P(BIA) · P(A).
Date le due formule per P(A n B), si ,ottiene il Teorema di Bayes:
Siano A e B dne eventi, allora vale

P(AIB) · P(B) = P(BIA) · P(A).

Esempio da Artquiz: In una scatola ci sono 4 monete. Due preseiitano testa su un


lato e croce sull'altro. Le altre due presentano testa su entrambi i lati. Si sceglie a
caso una moneta che presenta testa sul lato di chi osserva. Qual è la probabilità che
sull'altro lato ci sia croce?
Sia A l'evento: "la faccia presenta croce" e B l'evento: "la faccia presenta testa".
Si tratta di calcolare la probabilità di A noto B, che in notazione probabilistica si
scrive P(AIB). Il teorema di Bayes afferma che P(AIB) = P(BIA)P(A)/P(B). Ora
P(BIA) = 1, ossia la probabilità che una faccia sia testa se quella osservata è croce.
P(A) = 2/8 perché ci sono 2 croci su 8 facce, e similmente P(B) = 6/8 perché ci sono
6 teste su 8 facce. Quindi P(AIB) = P(BIA)P(A)/ P(B) = (1 · 2/8)/(6/8) = 1/3.

4.3.2 Calcolo combinatorio


Oggetto del calcolo combinatorio è quello di determinare il numero dei modi mediante
i quali possono essere 1·aggruppati, secondo prefissate regole, alcuni elementi di uno
stesso insieme. In molte applicazioni sorge il problema di Hapere in quanti modi pos­
sibili si può presentare un certo fenomeno. Il problema, all'apparenza, sembra banale:
ciò è vero se il numero degli elementi presi in considerazione è piccolo, ma quando que­
sto numero è elevato si presentano delle difficoltà nel formare tutti i raggmppamenti
possibili e senza considerare ripetizioni.
Il calcolo combinatorio costituisce anche uno strµmento aritmetico che è di sup­
porto indispensabile nel calcolo delle probabilità poiché consente di determinare il
numero di eventi possibili (ma anche quelli favorevoli e contrari) che si possono ve­
rificare in una prova. Iu definitiva possiamo dire che il calcolo combinatorio fornisce

25
Capitolo 4 Probabilità. e Statistica © Artquiz

quegli strnmenti di calcolo per determinare il numero di raggruppamenti che si pos­


sono formare con un numero k di oggetti presi da 1111 insieme contenente n oggetti
secondo certe modalità che andiamo ad espletare:
Pensiamo ad un raggruppamento come ad una estrazione di k oggetti da un insieme
composto da n oggetti (ad esempio da 1m 1 urna). Si possono allora distinguere le
modalità seguenti:
• estrazione con ordine, ossia Pordine con cui i k oggetti vengono estratti conta (ad
esempio, Pordine di arrivo di una gara, pensando alPinsieme dei concorrenti come
gli oggetti di un'urna, e ogni arrivo come ad una estrazione). In questo caso si parla
di disposizioni;
• estrazione senza ordine, ossia l'ordine con cui i k oggetti vengono estratti non conta
(ad esempio, nelle estrazioni del lotto, o un terno è tale qualsiasi sia l'ordi'ue col
quale sono estratti i tre numeri vincenti). In questo caso si parla di combinazioni.
Inoltre:
• estrazione senza ripetizione o semplice, ossia dopo ogni estrazione 11011 si reinserisce
Poggetto estratto nell'urna ( come nelle estrazioni del lotto o nella tombola).
• estrazione con ripetizione, ossia. dopo ogni cstra1.ione si reinserisce l'oggetto estratto
nell'urua;
Introduciamo ora cluc defini1.ioni utili per la trattazione. Fissato un numero
naturale n E N, si definisce il fattoriale n! come:
O!= 1; n! = n · (n - 1) · (n - 2) · · · 3 · 2 · 1 se n � 1,
ossia come il prodotto dei primi n numeri naturali.
Dati inoltre due numeri naturali n, k E N con k ::; n, si definisce anche il
coefficiente binomiale (�) come:
(n) n!
k = (n · k)!k! ·

Disposizioni semplici
Consideriamo un insieme formato da n elementi distinti ed un numero k ::; n. Un
raggruppamento ordinato formato da k degli n elementi dell'insieme dato è detto
disposizione semplice della classe k su n elementi. Si faccia attenzione ai seguenti
aspetti:
• in ciascun raggruppamento figurano k oggetti senza ripetizione;
-.
• due di tali disposizioni si ritengono diverse quando differiscono pe1· almeno un
elemento oppure per l'ordine con_ cui gli stessi elementi si presentano.
i Il numero delle possibili disposizioni semplici di n elementi distinti della classe k si
I
... indica con il simbolo Dk,n e il suo valore è dato dalla formula che deriviamo dalle
ijJ
seguenti osservazioni: alla prima estrazione si hanno n possibili esiti, alla seconda
,!l'J; (:,'Straziane se ne hanno n - 1, e così via fino alla k-esima estra7,ione, per la quale gli
rr., esiti possibili sono n - k + 1. Quindi, il numero di casi possibili è:
lf Dk,n = n · (n - 1) · (n - 2) · .. (n - k + 1) nl
= ' · k)!,
n-

26
@ Artquiz LOGICA

Permutazioni semplici -
Nel caso di una disposizione semplice della classe k S7t n in cui k = n, valgono le
seguenti uguaglianze:
nl
Dk,n = n · (n - 1) · (n - 2) · · · (n - k + 1) = n · (n - 1) · (n - 2) · · · 1 = , ". = n!
In tal caso, si definisce Dn,n = Dn come il numero di permutazioni di n clementi,
che è il numero di possibili modi con i quali si possono disporre detti elementi, che
dunque è pari a n!. Se ne deduce che le permutazioni semplici sono raggruppamenti
che differiscono soltanto per l'ordine con cui sono disposti tutti gli n oggetti distinti
contenuti.
Esempio: Si vuole calcolare D3,1 e D1 ,1- Si ha:
D3. 1 = 1 · 6 · 5 = 210
D 1 = 7 · 6 · · · 2 · 1 = 5.040

Esempio: Quante sono le disposi¼ioni (senza ripetbr.ioni) delle basi del DNA prese a
tre a tre?
Risposta: n è uguale a 4, k è uguale a 3 e quindi Da,1 = 4!/(4 - 3)! = 24/1 = 24.
Infatti le pm;sibili triplette �ono: ATG, AGT, ATC, ACT, AGC, ACG, TGA, TAG,
TCA, TAC, TGC, TCG, CTA, CAT, CGA, CAG, CTG, CGT, GAT, GTA, GCA,
GAC, GTC, GCT.

Combinazioni semplici

Una combinazione semplice con n, k E N e k � n si ottiene da una disposizione D


sen¼a consiclemre l'ordine degli clementi. Diverse cfo;posizioni senza ordine produco­
no la stessa. combim1.¼ione se gli elementi dei relativi raggruppamenti sono gli stessi e
differiscono solamente per una pennntMione. Siccome il numero di possibili pernm­
tazioni di k clementi è k!( = Dk,k), il numero cli possibili combinazioni Ck ,n è pari al
numero cli disposizioni senza ripetizioni Dk ,n diviso per il numeri di pennutazioni dei
k clementi Dk ,k , e si ottiene:

Ckn = D1,:, n
= n!
= (n)·
' D1,:,1,: (n - k)lk! k
Si noti la differenza fra cli.<,posizioni e combinazioni (semplici): a differenza delle
disposizioni, per le quali si tiene conto dell'ordine, d ue combinazioni si considerano
distinte solo qnanclo i relativi raggrnppamenti differiscono almeno per un elemento.
Esempio cla Artq·1tiz: Aci un concorso per 4 posti partecipano 9 candidati. Quanti
sono i grnppi possibili di vincitori?
126. Infatti, è il numero cli insiemi di 4 clementi che si possono formare da un
insieme cli 9 clementi (chiarai�ente, senza ordine). Tale numero è C,i ,9 = G) = 126.

Disposi.zioni con ripetizione

Consideriamo un insieme formato da n clementi distinti ecl un numern k E N. Una


sequernm ordinata formata da k elementi, anche ripetuti, dell'insieme dato è detto
disposizione r.on r-ipetizione della classe k su n elementi,

27
Capitolo 4 Probabilità e Sta.t.istica © Artquiz

Si faccia atteniione ai segncnti aspetti:


o in ciascuna sequenza figurano k oggetti;
o due di tali disposizioni si ritengono diverse quando differiscono per almeno un
elemento in almeno una posizione della sequenza.
Il numero delle possibili disposizioni con ripetizione cli n elementi distinti della classe
k si indica con il simbolo Dk,n e il suo valore è dato dalla formula che deriviamo dalle
seguenti osservazioni: alla prima estrazione si hanno n possibili esiti, alla seconda
estrazione se ne hanno nuovamente n, e così via fino alla k-esima estrazione. Quindi,
il numero di casi possibili è:
k
I'
D k,n =n
Un esempio classico di clisposizioui con ripetizione è il codice segreto di una
cassaforte (nell'uso comnne, erroneamente detto combinazione).

Permutazioni con ripetizione


Nel caso delle permutazioni semplici abbiamo supposto che gli n oggetti dell'urna
fossero tutti distinti. Supponiamo ora che di questi n oggetti ve ne siano a uguali tra
loro (a < n). Ci proponiamo allora di trovare il nnmero delle loro permntm�ioni che
indicheremo con D�.
Esempio: Consideriamo la parola ORO che contiene due lettere ugnali. Abbiamo visto
che il numero cli permntaY.ioni di una parola (con lettere tutte diverse) cli tre lettere è
dato da: D3 = 3! = 6. Nel caso della parola ORO i possibili anagrammi distinti sono
soltanto: ORO, ROO , OOR, cioè sono tre e non sci come ci si sarebbe aspettato. In
ge�1cralc, volendo calcolare le permutazioni di n oggetti in cui ve ne siano a identici
fra loro, si ottiene un numero di permutazioni dato da: D� = Du/a! = n!/a!. Nel
nostro caso quindi è: D§ = 3!/2! = (3 · 2 · 1)/2, 1 = 3.
Se poi, datl\ un'urna di n oggetti nella quale un oggetto è ripetuto a volte, un
altro b volte, il numero delle pennuta1.ioni distinte con clementi ripetuti che si possono
ottenere è dato da:
D!tu, b) = n!/a!b!.
La generalizzazione è ovvia se si aumenta il numero cli elementi ripetuti a volte, poi

I!
b volte, poi e volte, ecc.
Esempio: Se prendiamo in considerazione la parola MATEMATICA osserviamo che
i� nelle 10 lettere in essa contenute, la lettera M si ripete 2 volte ( a = 2), la lettera A si
ripete 3 volte (b = 3) e la lettera T si ripete 2 volte (e= 2). Il numero dJ anagrmnmi
l
1:f 1 distinti che si possono costruire con essa è dato da: ,.,
.J
li ,
D�� 3, ) = 10!/2!3!2! = (10 ·O· 8 · 7 · 6 · 5 · 4 · 3, 2 · 1)/(2 · 3 · 2 � 2) .' 151.200.
�j
2

Esempio: In quanti modi si può anagrammare la parola OTTO?


� Risposta: il numero delle permutazioni 8emplici con n = 4 è 4. 3 · 2 · 1 :::: 24, mà t�c
numero dovrà essere diviso per il numero di modi con cui possono essere scambiati tra
loro le lettere uguali nelle stesse posizioni (es: OTtO e OtTO; oTTO e OTTo e tutte
11 le altre). In questo caso le permutazioni di T sono 2 e quelle di O sono 2. Quindi
IlI� tutte le permutazioni dovranno essere divise per 2 · 2 = 4, In totale quindi si avranno
6 permutazioni con ripetizione: OTTO, OTOT, OOTT, TOOT, TTOO, TOTO.

28
@ Artquiz LOGICA

Combinazioni con ripetizione

Consideriamo un insieme formato da n elementi e fissiamo un numero k E N e ci


proponiamo di costruire i possibili raggruppamenti distinti prendendo k elementi
· dell'insieme dato in modo che:

• in ciascun raggruppamento figurino k elementi dell'insieme dato potendovi uno


stesso elemento figurare più volte;

• due raggruppamenti sono distinti se uno di essi contiene almeno un elemento


che non figura nell'altro, oppure gli elementi che figurano in uno figmano anche
nell'altro ma sono ripetuti un numero diverso di volte.

Esempio: Se consideriamo l'insieme cli tre elementi {a, b, e}, le combinazioni di classe
2 (cioè prendendone due alla volta) con ripetizione, sono: (aa), (ab), (ac), (bb), (bc) f
(cc), quindi sono sei; le combinazioni di classe 3 , con ripetizione; sono: (aaa), (a.ab),
(aac), (abb), (abc), (ace), (bbb), (bbc), (bcc), (ace), quindi sono 10.
La formula che dà il numero delle combina�doni con ripeti1.ione di n elementi di
classe k è:
rk = (
Cn,
tt + k - 1) ·
k
Negli esempi precedenti si ha:

c;·,3 = (3 + 2 - 1)!/2!(3 -1)1 = 4!/(2. 2) = (4. 3. 2)/4 = 6,


c;;, 3 = (3 + 3 - 1)!/3!(3 - 1)1 = 5!/(3. 2. 2) = (5. 4. 3. 2)/12 = 10.

Tipo estmzione ripetizione ordine notazione kS:n nnmero cosi


'
SI
iii
Disposi�ione no Dk,n sì (n-k)I

Disposizione sl sì nr.n no nk
Dk,•,
Combinazione no no ck,n sì Dk,k = (1t)
k

' n+ -I
t
Combinazione SI 110 C'kn no ( )

Permutazione no
'
sì Dn
-- n=k n!

Permutazione SI sl (a.,b, ... )


D1t n=k n!/a!b! ...

Tabella 4.1: Numero di disposi�ioni, combinazioni e permutazioni con o senza


\'i petizione.

29
Capitolo 4 Probabilità e Statistica © Artquiz

4.3.3 Monete, dadi, urne e simili


Concludiamo il presente capitolo con una sel'ie di quesiti esplicativi sul calcolo delle
probabilità.
·1(1

lfl ti Esempio da Artquiz: Una moneta è lanciata 4 volte. Qual è la probabilità di ottenere
2 croci e 2 teste sapendo che la prima volta si è ottenuto croce?
3/8. Infatti, si vuole ottenere 2 teste uei secondi 3 lanci, il che è possibile in
'!,l,l (�) = 3 modi, su un totale di D2,3 = 23 = 8 possibili esiti di 3 lanci (chiaramente,
'1� con ordine).

Esempio da Artquiz: Se si lancia 1111 dado 5 volte con qua.le probabilità il "2" esce

(!)
�a.ttamente 3 volte?

;'·,1
�i

.h
;� I·
2 :: . Infatti, si hanno = 10 combinazioni favorevoli (i 3 lanci nei quali deve
uscire il 2, ad es. 222?? oppure ?222?), ognuna. cli probabilità:
(1)3
6 *
(r:)2 (il "2"
�i
..f
!: lm probabilità di uscire 1/6, il "non 2" ha probabilità e.li m;circ 5/6 e ogni lancio è
1 13 r:2 r::i
1! indipendente dagli altri). Quindi, in totale, ln probabilità cercata. è 10 3 �2 = 2 �5 •
� 6
.�!
t
Esemvio <la Artq1tiz: Si ha 111 1'11ma contcmmtc 8 palline bianche. Qual è il numero
,. . I
lf,I' minimo di palline rosse che hisoguercbbc aggiungere perché, estraendo due pu.llinc
contemporaneamente, la. probabilità. che eBsc siano una bianca e una. rosstt sia 16/45?
"'t

nj 2. Infatti, i;ia :t: il numero di palline rosse inserite, e dunque x + 8 il numero toLale
cli palline. Tale numero x deve ora soclclii;fare l'eqna'l.ionc:

2
. _8_ . � = 16
8 + :t: 7 + X 45
l dove 8/(8 + a:) è ltt probabilità di estrarre una pallina bianca e 7/(7 + x) è la pro­
babilità cli estrarne i;imnltaneamente una rossa. Notar e che il fattore 2 è dovuto al

-,r
11 fatto che anèhe invertendo l'ordine, ossia rÒssa-bianca, si userebbero rispettivamente

r,. le probabilità x/(8 + x) e 8/ (7 + :i:), che non cambiano la. probabilitit dell'evento
favorevole.
1 ,'

E:,·empio da Artquiz: In 1111 esperimento si ottiene una miscela mescolando 2 liquidi


divcr�i scelti a caso da 4 flaconi contrassegnati dalle lettere A, B, C e D. La probabilità
che la miscela non contenga il liquido del flacone A è pari a:
1/2. Infatti, i casi favorevoli sono quelli nei quali la miscela è fatta con 2 liquidi
presi dai flaconi B, C e D. Il calcolo combinatorio ci dice quindi che ci ?-bno (;) = 3
possibili combina'l.ioni favorevoli su (�) = 6 posi;ibili combinazioni. Quindi il numel'o
cercato è 3/6 = 1/2.

4.4 Statistica
Dato un insieme A detto popolazione, una variabile statistica (solitamente denotata
con X, Y ... ) è una funzione che ad ogni elemento a della popolazione assegna un dato
valore X(a), non necessariamente numerico. Ad esempio, sulla popolazione degli
studenti di una data scuola, si consideri la varia�ilc statistica che ad ogni studente

30
© Artquiz LOGICA

assegna il colore dei suoi occhi; oppure la variabile statistica che ad ognuno assegna
la distanza dalla sua abitm�ione alla scuola.
Data una popolazione con n elementi a 1 , a2, •.. an e una variabile statistica X su
A, si ottengono n valori non necessariamente distinti X(a 1), X(a 2), ..• X(a n )- Siano
• Xi, X2, •.. Xi gli i valori assunti da X, con i < n e la disuguaglianza stretta nel caso
generale in cui ci sono valori assunti più volte.
Si definisce frequenza assoluta � del valore Xi il numero di volte che tale valore
viene assunto da X. Si definisce frequenza relativa li del valor4i! Xi il rapporto -Pifn.
Esempio da Artquiz: Dati i seguenti valori 1, 3, 4, 2, 5, 3, 3, 2, 6, 5, la frequenza
(relativa) della classe 5 vale:
0,2. Infatti, il 5 compare due volte su 10 valori rilevati.

Dati gli x 1, X2, ... Xi valori assunti da una variabile statistica X, si definisce campo
dì variabilità la difforenut tra il valore mcwsimo e il valore minimo assur1,ti da X,
ossia tra il massimo e il minimo degli :v 1, X2, ... Xi-
.
Esempio da A1·tquiz: Da.ti i :-;eguenti valori 1, 3, 4, 2, 5, 3, 3, 2, 6, 5, il campo di
variabilità elci da.ti vale:
6 - 1 = 5. Infatti, 6 e 1 sono rispettivamente il mas:.;hno e il minimo dei valori
dati.

4.4.1 Moda, mediana e media


Data una variabile stati:-;tica X, si clefini:,;cono i Hcguenti indid di centralità, ognuno
elci quali è un numero che vuole in qualche modo sintetizzare l'informazione contenuta
nei dati X(at),X(ci2), ... X(a 1J di X e i cui valori cli:-;tinti 80110 :i: 1, :i:2, ... :vi:

• moda: è quel valore tra gli x 1, :v2, ... Xi valori assunti da X e denotato con Xucodn
la cui frequenza è massima;
• mediana: è quel valore tra i dati X(a i ), X(a2),, •• X(a n ) che, una volta riordinati
(con le.eventuali ripetizioni), occupa la posizione a metà tra il primo e l'ultimo
valore, e che quindi divide la successione di valori in due sottosuccessioni di pari
lunghez'l.a; viene denotato con X,acdinccn;
• media: è il valore che si ottiene facendo la somma dei va.lori X(a 1 ), X(a2), ... X (a ii )
divisa per la popolosità n e denotato con Xmcdin· Quindi:
tt
1 1 i
Xmc clin. = - LX(aj) = - LXj/J·
n .=l n .= l
J J

Esempio da Artquiz: Dati i seguenti valori 1, 3, 4, 2, 5, 3, 3, 2, 6, 5, la moda vale:


3. Infatti, 3 è il valore che compare pii1 volte, pari a 3 (ossia, 3 è il valore la cui
frequenza è massima).

Esempio da Artq1tiz: Dati i seguenti valori 1, 3, 4, 2, 5, 3, 3, 2, 6, 5, la mediana vale:


3. Infatti, riordinando i valori si ottiene 1, 2, 2, 3, 3, 3, 4, 5, 5, 6 e il 3 divide
questa successione in dne insiemi di pari popolosità, o8sia di 5 elementi.

31
Capitolo 4 Probabilità e Statistica © Artquiz

Esempio da Artquiz: Dati i seguenti valori 1 > 3 > 4 > 2 > 5 > 3 > 3 > 2 > 6 > 5 > la media vale:
34/10. Infatti> basta eseguire il calcolo:
o
o
1+3+4+2+5+3+3+2+6+5 34
10 10

Esempio da Artquiz: Uno studente universitario > dopo aver superato 3 esami> ha la
media di 28. NeWesame successivo lo studente prende 20. QuaPè la sua media dopo o
o
il quarto esame?
26. Infatti > la somma dei 4 voti dà 28 · 3+20 = 104 > e la media si ottiene dividendo
tale somma per 4 > quindi la media cercata è (28 · 3+ 20)/4 = 104/4 = 26.

'.,

o
Il
"I
r• l
ff,.
·
;..-,i·.'.

o
I�
32
t

I
PARTE II
MATEMATICA

Capitolo 1
Aritmetica

1.1 Numeri naturali e interi. Relazione d'ordine


L'insieme dei numeri naturali è, d'ora in poi, denotato con la lettera N. Esso è
l'insieme dei numeri che si usa pcl' contare, ossia:

N= {0,1,2,3, ... }.
Per dire, ad esempio, che 17 appartiene a N, useremo la notazione 17 E N. In
generale, il simbolo E si usa per dire che un elemento a appartiene ad un dato insieme
A, e si scrive quindi a E A. Inoltre, se tutti gli elementi di un insieme A sono anche
elementi di un insieme B, allora diremo che A è sottoinsieme di B e scriveremo A ç B.
In N ci sono due operazioni binarie dette somma e prodotto, denotate rispettiva­
mente con+ e· (questo _simbolo è spesso omesso e, in luogo di a· b, si scrive ah), e una
relazione d'ordine binaria detta "minore o uguale", denotata con <. Per la somma, il
prodotto e la relazione d'ordine valgono, comunque si scelgano a, b, c E N, le seguenti
proprietà:
• Riflessività: a < a.

• Antisimmetria: a ::; b e b ::; a implica a = b.


• Transitività: a :::; b e b ::; e implica a < c.
o Associatività di somma e prodotto: (a+ b) +e= a+ (b + e), (ab)c = a(bc).
• Commutatività di somma e prodotto: a+ b = b+ a, ab= ba.

• Esistenza dell'elemento neutro dì somma e prodotto: a+ O = a, a· 1 = a.


• Distributività della moltiplicazione rispetto all'addizione: a(b+c) = ab+ac.

33
D
Capitolo 1 Aritmetica © Artqniz
Siccome in N non esiste un elemento x tale che x + 1 = O (tuttavia si noti che al
o
posto di 1 si potrebbe usare qualsiasi numero natura.le non nullo), si estende l'insieme
dei numeri naturali aggiungendoci i numeri del tipo -1, -2, -3,... , così da ottenere O
l'insieme dei numeri interi (denotato con la lettera Z), ossia:

Z = { ... , -3,-2, -1,0,1,2,3, ... }. (1.1)


In Z valgono le stesse proprietà di Ne l'ordine è quello evidenziato nella definizione
1.1, inoltre, comunque si scelga a E Z, vale anche la seguente proprietà: o
• Esistenza dell'inverso additivo: esiste b E Z tale che a+ b = O.
L'inverso additivo (unico) o opposto, di a E Z è denotato con -n.
o
Esempio da Artqu.iz: Dati 2 numeri interi com.;ecutivi si indica con S la loro somma.
Si può affermare che, per tutti i numeri interi, tale :,;omma S è:
Dispari. Infatti, due numeri interi consecutivi sono sempre uno pari e uno dispari,
e quindi la somma è dispari.

Esempio da Artquiz: Le quantità positive H, I< e L sono legate dalle relazioni H < I<
e L � I<, quale reln¼ione è sempre vera?
Da lI < I< ( ossia, H =:;; I< e H � I<) e I< =:;; L e per la proprietà transitiva si ha
H<L.

1.2 Divisibilità, numeri primi, mcm e MCD


Dati due numeri a, b E Z, diciamo. che a divide b (scritto alb), se esiste 1111 elemento
e E Z tale che ac = b. In tal caso, diciamo che b è multiplo di a. Un numero intero a
o
si dice primo se ha come divisori solo 1, -1,a, -a. Ad esempio, 6 non è primo perché
216, mentre 2, 3, 5,... 23813,... sono primi. È possibile dimostrare che ogni numero
intero è scrivibile come pl'Odotto di primi, eventualmente ripetuti, e tale scrittura è
unica a meno dell'ordine dei fattori primi. Ad esempio, 116620= 2 · 2 · 5 · 7 · 7 · 7 · 17.
Inoltre, è un risultato noto già ai classici che l'insieme dei numeri primi non è finito.

mcm e MCD
Dati due numeri non nulli a, b E Z, è possibile definire l'insieme M ç Z di tutti i
multipli comuni ad a e b ( M contiene cert·amente ab e - ab) e l'insieme D ç Z di tutti
i divh;ol'i comuni ad a e b (D contiene certamente 1 e -1). Si definisce il minimo
comune multiplo di a e b, scritto mcm(a,b), come il più piccolo numero naturale
di M. Si definisce inoltre il massimo comun·e divisore di a e b, scritt� MCD(a, b),
.!.

come il piì1 grande numero naturale di D. /


Quindi, dati due numeri a, b E Z, si ha che mcm(a,b) = m se e solo se alm, blm e
se alm' e blm' allora mlm'. Similmente, :rviCD(a,IJ) = d se e solo se dia, dlb e se d'lb
e d'lb allora d'Id,

Esempio da Artquiz: Il minimo comune multiplo di 2, 4, 5, 8 è:


40. Infatti, fattorizzando i numeri proposti sì ottiene, rh,pettivamcnte, 2, 2 · 2, 5 e
2 · 2 · 2, dunque dalla definizione mcm= 5 · 2. 2 · 2 = 40.
'' ..
i

iti 34
© Attqntz MATEMATICA

Se due numeri a, b E_Z sono tali d1e MCD(a, b) = 1, diciamo che a e b sono coprimi
(o primi tra loro). Ad esempio, 15 e 14 sono coprimi.

. 1.2.1 Potenze
Si definisce la potenza <li un elemento non nullo a E Z con esponente naturale . n
come segue:
.
se n =Osi definisce a0 = 1; se n >Osi definisce a n = an-t · a. (1.2)

Operativamente, nel caso non banale in cui n > I, si ha a n

Ora, anziché scrivere 116620


--------
= n · a· ... ·a.
n-voltc
= 2 · 2 · 5 · 7 · 7 · 7 · 17, possiamo usare la notazione:
116620 = 22 · 5 · 73 • 17.
Dalla defini�ione 1.2 si dimostra che per ogni a, b E Z, a =/= O=/= 6 e m, n E N valgono
le seguenti proprietà:

a"am = a n+m ; (a")m. = a70"; a1 tb 1' = (ab)". (1.3)

E.i,empio da Artq1tiz: Quanti sono i divisori (con resto nullo) del numero 100, 1 e 100·
compresi?
9, infatti è sufficionto fattorizzare 100 come 52 · 22 , dunque tra i divisori ci sono
5 i · 2i con O :s; i :s; 2 e O :s; j :s; 2, in totale 9 possibili valori al· variare <li i e j.

Esempi.o da Artquiz: Determinare quale numero tra 10000, 12 · 27, 256, 800 e 11 · 44
non è un quadrato perfotto:
800, infatti basta oHservure che 800 si scompone in fattori primi come 25 52 ,
quindi non è un quadrato nell'insieme dei numeri 1mturali.

In Z vale il seguente teorema che permette di definire una divisione con resto.

Teorema: dati a, b E Z con O< b, esistono unici q, r E Z tali che:

1. a= qb +r;

2. 0 :s; T :s; b - 1.

1.3 Numeri razionali, reali e complessi


Siccome in Z non osiste un elemento x tale che 2x = 1 (ma al posto di 2 si potrebbe
usare qualsiasi numero intero diverso da Oe ±1), si estende l'insieu�e dei numeri interi
aggiungendoci i numeri del tipo 1/n, dove n è un numero intero non nullo e per il quale
vale n · 1/n = 1. Imponendo che le operazioni soddisfino ancora le proprietà elencate
precedentemente, si ottiene l'insieme dei numeri razionali (denotato con la lettera
Q), ossia:
Q= {:, m, n E Z, n =/= O} .

35
Capitolo 1 Aritmetica © Artquiz

m 1 m m'
Si presti attenzione al fatto che - =m· - e che - = - se e solo se mn' =m'n;
n n n �
· 10 14 · m
ad esempio - = - (veri'ficar1o) . Uu numero raziona1e scritto · �1orma

o
· - s1· d ice m
15 21 n
. 10 14 2 ·
n"dotta seme n sono copnm1. . . Ad esempio - = - = -, dove 1 'u1tima scrittura e·
15 21 3
appunto ridotta. Per le operazioni vale inoltre:
m m' · mn' +m'n m m'
-+-=----
mm'
n n'· nn' ;: · n' == nn' ;
mentre per l'ordine si ha che:
rri 1n' ,
- <- se e solo se mn <m'n.
n n,
In Q valgono le �tesse proprietà di Z. Inoltre, comunque si scelga a E Q, a =j:. O,
vale anche la seguente proprietà:
• Esistenza dell'inverso moltiplicativo: esiste b tale che a· b = 1.
L'inverso moltiplicativo (unico) di a E Q, a =j:. O è denotato con a-1 e in particolare
-1
(: ) = : . Si noti che a- è la potenza di a con esponente -1.
1

In generale, la definizione di potenza n-esima di un elemento non nullo a E Q ò r-i

come nella definizione 1.2 se n E N, mentre se n E Z e n < O la definizione Hi estende

o
come segue:

se n = -1, a-1 è ·l'inverso moltiplicativo di a;


se n < -1, allora - n > O e si definisce an = (a-1 )-n. (1.4)
Chiaramente le proprietà in 1.3 continuano a valere anche in Q.

Esempio da Artquiz: La potenza (-1/4)- 2 è uguale a:


Ricordando che a-1 = 1/a, segue che (-1/4)-2 = ((-1/4)-1 ) 2 = (-4)2 = 16.
Si noti che dalla definizione di numero razionale segue una (curiosa) proprietà che
in Z non vale: per ogni x, y E <Q esistono infiniti z E Q tali che x < z < y. Si pensi
solo che y - x, che è ancora· razionale, se diviso per qualsiasi n E N (o meglio, se
( -x
moltiplicato per .:, ) è ancora razionale. Sia a = y ) E Q; allora x < x + ma < y
n n
per ogni m E N tale che 1 <m< n, come è facile verificare.

. da Art.qu.iz:
Esempw · ar1 compresi tra
' Q uant'1 sono 1· numeri· raz1on
· 1 1 '
4 e 3?.::
'I

o
o
Da quanto detto, segue che ce ne sono infiniti.

o
1.3.1 Notazione decimale
Si noti che i numeri razionali si possono scrivere in notazione decimale, ossia come
sequenza di cifre da O a 9 separate eventualmente da una virgola, alla destra della

o
quale si trova la cosiddetta parte frazionaria, che si può dimostrare dover essere finita
o periodica. Per convenzione, una cifra n in posizione i prima della virgola, partendo

o
da i= O, corrisponde al numero n· lOi , mentre se si trova in posizione i dopo la virgola

36
@ Artquiz MATEMATICA

corrisponde al numero n · 10-i. La seqnenza di numeri nella nota1.ione decimale è da


intendersi come somma, quindi, ad esempio 12, 3 = 1 · 10 1 + 2 · 10 ° + 3 · 10- 1.
Viceversa, facendo uso della divisione con resto, si trova che, ad esempio:

9/8 = 1 + 1/8
= 1 + 10/80
= 1 + 8/80 + 2/80
= 1 + 1/10 + 2 /80
= 1 + 1/10 + 20/800
= 1 + 1/10 +2 · 8/800 + 4/800
= 1 + 1/10 + 2 · 1/100 + 5/1000
= 1 + 1 · 10- 1 + 2 · 10- 2 + 5 · 10- 3 = 1, 125
ì Oppure 1/6 = O+ l · 10- 1 +6 · 10- 2 +6 · 10- 3 + · · · = O, 1666 · · ·· = 1, 16, che come si
vede non può avere parte frazionaria finita (ma comunque periodica). Inoltre, si può
dimm;trare che ad ogni scrittura di numero decimale finita o periodica corrisponde un
numero ra�ionale (e viceversa).

Esempio da Artquiz: 0,0076 è uguale a:


7 · 10- 3 + 6 · 10- 4 = 76/10000.

r
Esempio da Artquiz: Quale serie riporta in ordine decrescente i seguenti numeri?
a=73/1000; b=7,3; c=0,03;·d=7; e=0,07.
È sufficiente osservare che 73/1000 = O, 073 e che 7, 3 > 7 > O, 073 > O, 07 > O, 03.

Incompletezza di Q
Anche Q presenta delle mancanze perché, ad esempio, non esiste alcun elemento x E Q
tale che x2 = 2. Infatti, s0 fosse m/n E Q tale che (m/n) 2 = 2, allora si avrebbe che
m2 = 2n2 ; ma in tal caso, nella scomposizione in fattori primi di quest'ultimo numero,
il fattore primo 2 comparirebbe un numero pari di volte a sinistra e un numero dispari
di volte a destra, il che è assurdo.
In Q non esiste neppure la misura del perimetro di una circonferemm di raggio 1,
che notoriamente è 21r, in quanto 1r = 3, 14 . . . non è razionale (ha parte frazionaria
non periodica). In altre parole, se su una retta (Matematica, § 3.1), si scelgono 2
punti in modo tale che uno abbia coordinata O e l'altro 1, allora tramite i multipli e le
frazioni si può associare ad ogni numero razionale un determinato punto della retta.
Con questa costruzione esistono dei punti ai quali non è viceversa associata alcuna
coordinata razionale, come appunto v'2 e 1r (in realtà, esistono infiniti punti di questo
tipo). A detti punti è possibile tuttavia avvicinarsi arbitrariamente per mezzo dei
numeri ra,�ionali, che costituiranno un'approssimazione della coordinata del punto in
questione. Ad esempio, al punto che si raggiunge partendo dal punto di coordinata
O percorrendo, verso il punto di coordinata 1, un segmento di lunghezza pari a metà
del perimetro della_ circonferenza di raggio 1, ci si avvicina, via via con maggior
precisione, mediante i numeri razionali 3; 3, l; 3, 14; 3, 141; 3, 1415; 3, 14159; ecc. Si
denota con la lettera JR l'insieme dei numeri che ammettono una scrittura decimale
con parte frazionaria eventualmente anche illimitata e non periodica, ad esempio

37
D
Capitolo 1 Aritmetica

-/2 ;:;;..
J,4142135623 ... e 1r = 3,141592653 ... (i puntini significano che la sequenza
© Artquiz
o
non si arresta).

D
La trattazione dei numeri reali e la loro corretta assiomatizzazione è molto labo-
riosa ed esula dalle finalità del presente mmmale,pertanto ci limitiamo ad evidenziare
che valgono tutte le proprietà di Q e delle potenze in 1.2, 1.3 e 1.4, anche nel caso

o
iu cui la base delle potenze sia un numero reale qualsiasi purché positivo non nullo e
l'esponente reale; ossia,è definito ax per ogni a > O ex E JR mediante un opportuno
processo di passaggio al limite (Matematica§ 5.4.1).

Esempio da ATtquiz: Stabilire quali tra i seguenti numeri è irrazionale (cioè reale ma
razionale):
11011

a= J3 · �; b = /3; e= 1,02; d = O,25; e= ./49.


o
1: È sufficiente osservare che O,25 = 1/4, che 1,02 è periodico (qnindi razionale), eh�
f
./49 = 7 e v'3 · � =1,che �0110 tutti numeri razionali. Dunque,il numero irrazionale
tra i proposti è /3.

1.3.2 Radici
t
Una potemm del tipo ai con a > O e E Q si può notoriamente scrivere come zy'a;
essa definisce un muncro rea.le positivo b, tale che t,n = a. Si suole dire che b ò la
radice n-esima. di a. Ad esempio, -e,'32 = 2. Chìanuuentc, a.W = am fi = (am ),\- è un O
O
numero reale positivo b tale che bn =arn. Le proprietà in 1.2,1.3 e 1.4 continuano a
valere u.nchc per le radici in qrniuto trattasi in ultimn istanza di poten'l.e ad esponente
razionale.

Esempio da A1·lquiz: Il radicale Z1/4 è uguale a:


256 1 1 1 2, infatti dalle regole dei rndicali va.le y'4=4 1 /3 =44 / 1 2 = 256 1 / 1 2.

1.3.3 Numeri complessi (cenni)


.I Completiamo la tratta1,ione degli insiemi numerici introducendo brevemente i numeri
.. complessi: dopo aver constatato che in JR non esiste nessun elemento che soddisfa

o
l'uguaglianza. :i: = -1, si introd nce nell'insiemc dei realt un elemento i tale che
2

i 2 =-1. Imponendo a questo nuovo insieme,chiamato l'in sieme dei numeri complessi
e denotato <C,tutte le proprietà di R della somma e del prodotto (ma uon dell'ordine

D
' �),otteniamo che nn elemento generico z E C si scrive come z =a+ ib con a,b E R
.f, .
. La somma e il prodotto tm 2 clementi complessi z = a+ ib e z'=a'+ ib{� si dimostra
.
piuttosto face·1 mente essere: •.,

z+ z' = (a+ a')+ i(b + b'); z · z'= (aa' - bb') + ·i(ab'+ a'b).
o
D
� a
Infine,-z=-a-ib e se z#,O=O+iO,si haz- 1 = -i� �·
hl a 2 + 1>2 a +b
j:, Esempio da Artq·uiz: Il prodotto dei due numeri complessi (5+ 2i) e (7+ 3i) equivale

ih
a:
(5+ 2i)(7+ 3i) = (5 · 7 - 2·· 3)+ i(5 · 3+ 2 · 7) = 29+ i29.
o
I
I 38
I
Capitolo 2

Algebra

Nota: In questo capitolo gli insiemi numerici utili�¼ati si intendono es:mre Q o R

2.1 Monomi e polinomi


Quando si lavora con i numeri , ci si imbatte inevitabilmente nelle formule. Nel cru;o
dell'area di un rettangolo si trova la formula. base per altezza, che solitamente Hi denota
simbolicamente con bh; per un cilindro � se--,r,ione circolare si calcola. il volume con la
formula a1·ea di base ver altezza, la cui formula ò 7rr2 h. E così via.
Definiamo monomio una scrittura in cui figurano solo oper�ioni di prodotto tra
numeri, noti o meno. Per indicare i "numeri non noti" si usano delle lettere opportune,
che vengono solitamente chiamate variabili. Sono quindi monomi ab, 1rr2 h. come altresì
J3
17, x, 2ac3 , ax 3 z, ecc.
2
I monomi si possono :.;ommare tra di loro, e ciò eh<.! si ottiene in genernfo è un
po linomio.
Ad esempio sommando i monomi precedenti si ottiene 17 + x + 2ac3 + ax 3 z. V:
Siccome deve valere la proprietà distributiva, se si sommano monomi che hanno la
stessa parte letterale (monomi simili) si ottiene nuovamente un monomio, ad esempio:
2ac3 + 5ac3 = (2 + 5)ac3 = 7ac3 .
Es!;endo un polinomio una sequenza di monomi legati dall'operazione di somma,
è possibile anche sommare polinomi tra loro.
Ad esempio, sfruttando anche la proprietà commutativa della somma, Hi ha:

. + 2ac·3
(17 + x +- J3 ax3 z) + ( 5x - 2) =
2
J3 3
17 - 2 + x + 5x + 2a_c3 +
2 ax z =
15 + 6x + 2ac3 +
J3 3
2 ax z.
Utilizzando le proprietà. <lellc potenze (e non solo) si possono moltiplicare monomi
tra loro, ad esempio:
2a 5 c3 • 3a 2 x 3 z = 2 · 3a 5 a2 c·1x 3z = 6ar,+2 c3x 3 z = 6a1 c3x 3 z.
39
i::
o
rI Capitolo 2 Algebra @ Artquiz

Infine, utilizzando tutte le proprietà viste in precedenza, si possono moltiplicare


polinomi in modo da ottenere un nuovo polinomio, come nel seguente esempio:

I
I
(15 + 6x + 2ac3 )(2 + x) =
(15 + 6x + 2ac3 )2 + (15 + 6x + 2ac3 )x =
(30 + 12x + 4ac3) + (15x + 6x2 + 2ac3 x) =
30 + 12x + 15x + 6x2 + 4ac3 + 2ac3 x =
30 + 27x + 6x2 + 4ac3 + 2ac3 x.

Grado di un polinomio
Il grado di una variabile di un monomio è l'esponente con la qua.le quella lettera figura
nel monomio. Ad t'\Hempio, il grado di a in 2ac3 è 1, mentre il grado di c è 3. Il grado
di un monomio è la somma degli esponenti delle variabili del monomio. Ad esempio,
il grado di 2ac3 è 4. Nel caso del monomio nullo, ossia di O, non è definito il grado.
Per quanto riguarda un polinomio, il grado è definito come il massimo grado dei
monomi che lo compongono; si badi che nella scrittura di tale polinomio non devono
figurare monomi simili, che devono essere sommati, cose da porlo in forma ridotta o
normale. Ad esempio, 30 + 27x + 6x 2 + 4ac3 + 2ac 3 x ha grado 5.
Allo steb-so modo, si definisce il grado di un polinomio rispetto ad una variabile
come il massimo grado di tale variabile tra i monomi del polinomio. Ad eserp.pio, il
grado di x nel polinomio precedente è 2. Nel caso di polinomi in una variabile x si è
soliti usare il simbolo o o deg (dall'inglese degree) per indicare il grado. Ad esempio,
se p = x2 - 1, allora o(p) = 2 (o deg(p) = 2).

2.1.1 Frazioni algebriche


Come nel caso dei numeri interi, diremo che il polinomio p divide il polinomio p' se
esiste un polinomio q tale che p' = p · q, e si scriverà pjp'. Diremo inoltre che p' è
un multiplo di p. Ad esempio (x + l)l(x 2 - 1), infatti (x 2 - 1) = (x + l)(x - 1).
Per i polinomi p in una variabile x, solitamente denotati p(x), esiste un teorema di
divisibilità del tutto simile al caso in Z.

Teorema: dati a(x), b(x) polinomi in una variabile x con O =f:. b(x), esistono unici
polinomi q(x), r(x) tali che:
I
1. a= ql>+r;

f 2. O::; deg(r) ::; deg(b) - 1 oppure 7' = O. .,


· Anche per i polinomi è possibile definire una scomposizione in fattori primi, ma
la ricerca di tali fattori è in generale piuttosto difficoltosa. Inoltre, dati due polinomi
p e q, si definiscono:
• mcm(p, q) come il polinomio di grado minimo tra i multipli comuni a p e q;
• MCD(p, q) come il polinomio di grado massimo tra i divisori comuni di p e q.
Si noti che MCD e mcm sono unici a meno di una costante moltiplicativa non nulla.
Una frazione algebrica f è una scrittura del tipo / = E dove p e q sono polinomi.
!. q
r.
!i 40
© Artqutz MATEMATICA

2
x - l
Ad esempio, f = ---
X
è una frazione algebrica.

Chiaramente, non è ammissibile assegnare alle variabili i valori che annullano il


. denominatore. Nell'esempio precedente, non ha quindi senso sostituire Oalla variabile
x. Come per i numeri razionali, una frazione algebrica/= P. si dice in forma ridotta
se p e q sono coprimi, ossia se MCD(p, q) = 1. Operativamente, per ridurre una
frazione si deve scomporre i polinomi p e q in fattori primi e semplificare i fattori tn
comune.
Ora, date due frazioni algebriche/ = P. e g = P, si può definire somma e prodotto:
q q

f+g = pq' +p' q . fg = pp'


qq' ' qq'.
Ove possibile, la somma ò più agevole calcolarla come segue:

p(mcm(q, q')/q) +p1 (mcm(q, q1 )/q 1 )


f +g=-------C..'--------'-----'-
' mcm(q, q')

Esempio:
x+l x-1 x+l x-l
--+--=---+--­
:t - x
2 x +x x(x -1) x(x +1)
2

(x +l)(x + 1) + (x - l)(x - 1)
,,;3 - X
2x 2 +2
- (x + 2x + 1)3-+ (x 2x + 1)
2 2
-

x -x x 3 -x
Si noti che:

x3 - x .= x(x+ l)(x - 1) = mcm(x(x - 1), x(x + 1 ))


e che:

x + l = (x3 - x)/x(x - 1) ex - l = (x3 - a:)/x(x + 1).

2.2 Equazioni e disequazioni


2.2.1 Equazioni
Spesso in matematica ci si trova a decidere se due quantità a e b sono uguali, ossia se
vale a= b, o più comunemente, se vale a - b = O; il problema non è banale nel caso
in cui a e b contengano delle variabili. Se p è un polinomio in una variabile, solita­
mente x, il problema di decidere per quali clementi a vale p(a) =Osi chiama ricerca
delle soluzioni di un'equazione, ossia la ricerca di quegli elementi a che �ddisfano
l'uguaglianza data. Si noti che va preliminarmente specificato l'insieme con U quale
si intende lavorare, tipicamente Q o R

41
!('r'

Capitolo 2 Algebra © Artquiz

Esempio:
il problema 2x - 1 = x si traduce in 2x - 1 - :i; = O e infine in x - I = O, che ha
come unica soluzione 1.
In generale, un 1 equazione algebrica è del tipo p(x) = q(x), che può essere ridotta
nella formap(x)-q(x) = O. Sia dunque P(x) il polinomio (p-q)(x). I casi risolvibili D
immediatamente sono quelli in cui deg(P) = 1 oppure deg(P) = 2.
Analizziamo quindi la relativa casistica.

Equazioni di primo grado


Data ! > equazione ax+b = O, sommando -b ad entrambi i membri si ottiene ax+b-b =
-b, ossia ax = -b. Moltiplicando ora ambo i membri per a- 1, che esiste perché a=/- O,
si ottiene x = -b/a, che dunque è Punica soluzione delPequazione.

Esempio: risolvere Pequazione:

5x + 3 = 2-x.

Si porta a sinistra il secondo membro:

o
5x + 3 - 2 + .T. = O, da cui 6:c + 1 = O e infine x = -1/6.

Equazioni di secondo grado


Data ! >equazione ax 2 + b:-c +e= O, riscriviamo il polinomio associato come segue:

ax 2 + bx + c = o, (x2 + � � +

=a ((x+
b
- 2
)
2 . b2
�)

+
e)
o
2a 4a �
!.
I,

= a ((.
x+
_!!_)
2a
2
_ b2 -
4a 2
4ac
)
·
I
i;
!l Nuovamente, si noti che da a=/- O segue che 1/a esiste. Comunemente, b2 - 4ac è

indicato con la lettera greca À ed è detto il discriminante dell 1equazione.

1li:: A questo plinto, siccome a =/- O, la soluzione delPequazione di partenza è equiva-


lente alla soluzione delPequazione: "I
\

b2 -4ac
>·,
iL
]�i (n;J 4a 2
= O.
:1:

l:,
.t-.J Dopo aver notato che il termine (x + !) 2
non può essere negativo (è un qua­
drato), si possono presentare 3 casi:
l1•\1lf:I•l
ii,_!•.

1. À < O, allora (x+ : )


il

--- > O e ! > equazione non ha dunque soluz1om;


2
b2 - 4ac ' . •
a

42
© Artquiz MATEMATICA

= o, allora b
2
&2 4ac b
2
b 2
o
= (X + -2a) = X + -2a )
_ � (
2. � (X+ -) -
2a 4a 2 - -4a2 --
4a2 =
(, + :a)
2
e l'equazione associata ha un 'unica soluzione (doppia) x - - :a;
'
b2 - 4ac
2
b b b - 4ac ·
3. � > O, allora (x + = 4a2
) da cui . x + = ±� e quindi
2a ,
2a 4a2
2
-b± /b -4ac
l'equazione ha due soluzioni :1: 1 2 = 0a
I

Esempio: risolvere l'eq�mzione ·


(x - 3) 2 +X-= 4 + X.
Sviluppando e portando tutto a sinistra si giunge i. x2 - 6x+ 9 + x - 4 - x =Oe
quin<li a x2 - 6x + 5 = O. Ora si può applica re ht formula ri�olutiva:
6 ± \!'36 - 20
X!,2 = 2
= 1; 5.

2.2.2 Disequazioni
Una disequazione è mm scrittura <lcl tipo p(:v) < q(x) o 1>(x) :::;. q(.1;) (o, simmetrica­
mente, p(x) > q(x) o p(x) � q(x)). Analizziamo sol amente il primo caso (essendo gli
altri <lel tutto :-;imili) la cui scrittura può essere ricondotta alla forma p(x) - q(x) < O.
In generale si tratta quindi di studiare P(x) < O, dove P(x) è un polinomio in una
variabile. Cercare le soluzioni della diseq1mzione suddetta significa trovare gli n tali
che P(n) < O.
In generale si procede come nel caso delle equazioni, ossia si risolve l'equazione
ru;sociuta (sostituendo il simbolo = al simbolo > ).
Analizziamo la relativa casistica.

Disequazioni di primo grado


Data la disequazione ·ax + b < O, sommando -b ad enti·ambi i membri si ottiene
a.'t + b- b < -b, ossia a::i: < -b. Moltiplicando ora ambo i ·membri per a- 1, che esiste
perché a. =J O, si ottiene:
{x < .:.....b/a se a > O;
x > -b/a se a< O.
L'insieme cli soluzioni ·è quindi del tipo:
{x E IRI x > -b/a} (oppure, {x E JR! :i;< -b/a}).
Esempio: risolvere la cli.,;equaziouc
2-X :::; 5.'t + 3.
Si poi·ta a sinistra il secondo meqibro:
-5x - 3 + 2 - x � O, da cui -6x - 1 � O, e infine x 2: -1/6.

43
Capitolo 2 Algebra © Artquiz

Disequazioni di secondo grado


Data la disequazione a:i: 2 + bx + c < O, si cercano le soluzioni dell'equazione associata,

o
quindi ci si trova in uno dei tre casi seguenti:

1. ò. < O. L'equazione associata non ha soluzioni e ci sono due sottocasi: se a > O


nessuno elemento soddisfa la disequazione di partenza; se a < O ogni elemento
soddisfo la disequazione di partenza.

2. ò. = O. L'equazione associata ha un'unica soluzione a:1 e la situazione è la medesima


o
del caso precedente. "'
Attenzione: nel caso a< O si esclude dalle soluzioni xi, mentre nel caso ax 2 +bx+
c s-; O, se a> O allora x 1 (solamente) soddisfa la disequazione di partenza.

3. ò. > O. L'equazione ha due. soluzioni x1, x2 e di nuovo: se a> O, allora. l'insieme


di soluzioni è dato da {x ERI x1 < x < x2}; se a< O l'insieme di soluzioni è dato
da {x E Rj x < x1 oppure :c2 < x}.

Esempio: risolvere la disequazione o


a:(x + 1) < -(4 + x).
Sviluppando e portando tutto a sinistra si giunge a:

x2 + x + 4 + x < O, e quindi a x2 + 2x + 4 < O.


Il discriminante dell'equazione associata è:
o
ò. = 22 - 16 < O, e quindi dettc1, equazione non ha solu�ioni.
Siccome il coefficiente del monomio :r: 2 è 1 > O, si conclude che anche la disequa­
zione iniziale non ha soluzioni.

2.2.3 Equazioni parametriche


Un caso particolare di equazioni è quello nelle quali figura un cosiddetto parametro,
<
solitamente denotato con a. Per la ricerca delle soluzioni si deve procedere come per le
_! , equazioni normali, ma con la differenza che in questo caso si lavora con i coefficienti del

o
';

polinomio associato all'equazione che contengono il parametro. Infatti, ip generale, si


·f I I

r
incontrerà un'equazione del tipo a(a)x2 + b(a)x + c(a) = O. 'J

Si dovrà procedere in sottocasi come segue:

a) Si studia l'equazione a(a) = O, poi pe1' gli elementi ai che la soddisfano, si


studia l'equazione (non più parametrica) b(ai)x + c(ai) = O.

b) Per gli elementi a che non annullano a(a) si studia per quali elementi il di­
scriminante ò.(a) = b(a) 2 - 4a(a)c(a) è positivo, nullo o negativo (si devo-
no cioè risolvere delle disequazioni), quindi si risolve l'equazione come visto in
precedenza. O

44 o
@ Artquiz MATEMATICA

Esempio: risolvere l'eqµazioue parametrica


(a+ l)x 2+ ax - a = O.
Osserviamo che i coefficienti (parametrici) dell'equazione sono:
a(a)=a+ 1, b(a) = a, c(a) = -a,
quindi procediamo:
• a(a) = a+l = O ha come soluzione a= -1. In questo caso, l'equazione di parteil7.a
si riduce all'equazione -x + 1 =O, che ha come soluzione x = 1;
• se a :f:. -1, si studia il discriminante A(a) = a2 - 4(a+ 1)(-a) = 5 a2+ 4a:
-a± v'5a 2+ 4a
- A(a) > O se a< -4/5 oppure a> O. In tal caso x1,2 = n,_ . 1, ;

- A(a) = O se a= -4/5 oppure a=O.


Se a= O, l'equazione si riduce a x 2 =O che ammette l'unica soluzione x = O;
se a= -4/5 , l'equazione si riduce a x2 /5 -4x/5+4/5 =O da cui x2 -4x+4 = O,
e infine (x -2)2 = O che ammette l'unica soluzione x = 2;
- A(a) < O se -4/5 < a < O, caso in_ cui l'equazione iniziale non ha soluzioni.

2.3 Sistemi ·di equazioni e disequazioni

2.3.1 Sistemi di equazioni


Un sistema di equazioni è nna serie di equazioni in più variabili, e la ricerca delle
relative soluzioni consiste nell'insieme di clementi da sostituire alle variabili in modo
tale da soddisfare le equazioni simultaneamente. Solitamente, si studiano sistemi cli
2 o 3 equazioni con altrettante incognite, e il grado delle equa:,,.ioni è al più 2·.
Per risolvere i sistemi si utilizza il seguente procedimeuto. A titolo esemplificativo
si consideri un sistema in 2 equazioni e 2 incognite:

p(x, y) = O;
{
q(x, y) = O.
Si risolve una delle 2 equazioni come un'equa:,,.ione parametrica, diciamo p(x, 11) =
O, in una delle 2 variabili, diciamo x, così da ottenere le soluzioni in funzione di y,
ossia x(y). A questo punto si sostituiscono le soluzioni nella seconda equa:,,.ione, che
ora è nella sola incognita 11 e ha quindi come soluzione un numero finito di elementi
Yi· Sostituendo tali elementi in x(y) si trovano le coppie di elementi che soddisfano il
sistema.

Esempio da A rtquiz:
y -2 = 4 -2x;
{
(x + y) = 3.
La prima equazione dà y = 6 -2x. Sostituendo tale soluzione parametrica nella
seconda equazione si ottiene x + (6 -2x) = 3, che ha come soluzione x = 3. Risosti­
tuendo tale valore in y si giunge a y = 6 -2 · 3 = O. L'unica soluzione al sistema è
dunque x = 3, y = O, o meglio, la coppia (3, O).

45
r··
Capitolo 2 Algebra ©_ Art.qnìz

Si noti che in genero.le si lavora con piil variabili ed equazioni, ma il priuc1p10


rimane lo ste:;so: si risolve una equazione alla volta, e si sostitui8cono le soluzioni
trovate alle variabili delle equazioni rimanenti. St faccia attenzione che si può giungere
a casi in cui non ci sono soluzioni, o ce ne sono infinite.

2.3.2 Sistemi di disequazioni


La differenza. soi;tanzialc tra i sistemi di disequazioni e i sistemi di equazioni è che
nel caso delle disequazioni c'è una sola variabile, e la soluzione del sistema consh;te
nel trovare l'insieme i etti clementi soddisfano simultaneamt>ntc tutte le disequazioni
date. Si tratta quindi di risolvere ogni singola diseq1mzione come visto in prcccdemr,a., e
procedere infine con l'intersezione degli insiemi trovati (insieme degli elementi comuni
agli insiemi di soluzioni delle singole diseqnn.zioni).

Esempio: Risolvere la disequazione

:e -2 > 4 -2x;
{
2x � 5.
La prima clisequazione clìt 3x > G, da cui :e > 2. Lu. i;ccondit è immcdiatn. e pone
:e � 5/2. L'irn,iemc di solu'/,ioni del shitcma è {x tcùc che a: > 2 ex � 5/2}, · ossia.
{2 <X� 5/2}.
Anche in questo caso, le discqna¼ioni possono essere cli secondo grado e in numero
maggiore <li 2 e l'insiemr. cli i..olu:t.ioni può essere vuoto.

2.4 Equazioni razionali e radicali

Equazioni razionali
Un'equazione razionale è una equazione i cui termini sono frazioni algebriche che,
con le regole di calcolo viste in prcccden?.a, si può ricondnrro ad una ugnagliu.nza del
tipo:
p(x) = ,
O (2.1)
q(x)
dove p e q sono polinomi in umi. variabile.
Dopo aver risolto l'equazione q(x) = O, le cui soluzioni Xi non possono essere
ammesse tra quelle dell'equazione di partenza percl�é annullano il denorninatore, si
osserva che le soluzioni all'equazione 2.1 sono le stesse di p(x) == O, putché diverse
d·alle xi suddette.

Escmvio: Risolvere l'equazione ra:�ionale

x -
-
2-1
- == o.
J.
•11
�,; Si impone preliminarmente che il denominatore non si annulli: xi- O.
A questo punto i:ti pone x2 - 1 = O, le cui b-oluzioni x = 1, -1 sono compatibili con
la limitazione xi- O e dunque costituiscono le soluzione dell'equazione.

u.
't{ 46
@ �rt�1._�1i_z MATEMATICA

Equazioni radicali
,
Un equazione rad icale è una equazione i cui termini contengono delle potenze con
esponente razionale, cioè scrivibili con il segno di radice. In generale i casi di interesse
' si possono ricondurre, dopo opportuni passaggi, a un'equazione radicale che si può
assumere essere nella forma:
vJ(zj = g(x); (2.2)
con n E N, n =/:- O e f(x), g(x) polinomi in x.
Ora, è necessario affrontare due casi ppssibili: n pari on dispari.
Nel secondo caso (di più semplice soluzione) l'equazione 2.2 è del tutto equivalente
alla f(x) = g(x)n, perché l'elevamento a potenza reale è di tipo 1 a 1 (anche detto
biettivo, vedi Matematica § 5). E, dunque, il metodo risolutivo di questo caso è il
medesimo utilizzato per le equazioni polinomiali (vedi Matematica§ 2.2.1).
Viceversa, se n è pari, preliminarmente si deve fare attenzione che l'argomento
della radice non può essere negativo, e dunque va imposto f(x 2 O, che è una
disequazione (vista. in precedenza). Allo stesso modo, 8iccome '' f(x) 2 O, deve anche
valere g(x) 2 O. Fatto ciò, si può ora notare che elevando alla n, l'ugna.gliamm deve
ancora sussi8tere, e quindi, con le due restrizioni precedenti, deve valere f(x) = g(xr.
Tirando le �onune, abbiamo visto che risolverc-1 l'equazione 2.2 con n pari, è equivalente
a risolvere simultaneamente le seguenti equazioni o diseqmt7.ioni:

f(x) = g(x)'i; f(x) 2 O; g(:t) 2 O.

Esempio: Risolvere l'equazione radicale

v'x + 1 - y'x = 1.

Si impongono le condizioni iniziali x + 1 2 O e x 2 O, riassumibili in a: 2 O. Si


osserva che la radice quadrata è crescente, ossia che per ogni coppia :i:, y He vale a:� y
allora xn ::s; yn e viceversa (per una definizione rigorosa di crescenza vedi Matematica,
§ 5.4.3).
Quindi da x + 1 > x segue che: Jx+T > ,jx e .,/x + 1- ,lx> O. A que_"lto punto
si possono elevare i membri dell'equazione al quadrato e ottenere:

x + 1 - 2./(x + l)(x) + x = 1.

Dopo aver sottratto il termine 1 - 2-J(:e + l)(x) ad ambo i membri si ottiene


l'equazione:

2x = 2J(x + l)(x).

Moltiplicando per 1/2 cd elevando nuovamente al quadrato si ottiene infine:

x2 = x2 + x, ossia :t = O,
soluzione compatibile con i vincoli iniziali, e dunque (unica) soluzione dell'equazione.

47
r Capitolo 2 Algebra

2.5 Disequazioni razionali e radicali


© Artquiz
o
Disequazioni razionali
Per risolvere una disequazione razionale, che dopo opportuni passaggi si può sup­
porre essere del tipo:�:� 2'.: O, si deve imporre il denominatore q(x) i= O e poi risolvere

tiva e similmente P9 l'insieme dove g è positiva. Ora, la frazione :i:�


separatamente le disequazioni p(x) � O e q(x) � O. Siano P1 l'insieme dove f è posi­
è positiva se
numeratore f e denominatore g hanno segni concordi. Quindi, l'insieme delle soluzio­
ni è dato dall'intersezione P1 n P9 e dall'intersezione degli insiemi N1 n N9 (insiemi
dove f e g sono negative).

Esempio: Risolvere la disequazione razionale

-
x-
2
- � o.
-1

Si impone preliminnrmente che il denominatore non si annulli: x i= O. A questo


punto si studia il segno del numeratore e del denominatore: x 2 -1 2'.: O, che è verificata
8e x � -1 oppure x � 1, e re� Q.
· x2 1
· 1 nesta
La ne · e' e11e 1a frazmne
· a1ge bnca ---
- · negat1va,
sta · dunque ehe numeratore
X
e denominatore abbiano segni discordi. Ciò succede sex < -1 oppure O� x � 1. Ri-
cordando che deve essere x i= O, l'insieme di soluzioni è {x tale che :e � -1 oppure O <
X� 1}.

-1 O 1
x2 - 1 + +
X +l+
x2 1
; BI+ IBI +
---ì - - ]-J - -
Figura 2.1: Schema grafico delle soluzioni di (x 2 - 1)/x� O.

Esempio da Artquiz: .,
.,
x + 25
2
. 1 va
S.1 nso 2'.: O
X 2 - 4X
Siccome per ogni x vale x 2+ 25 > O, è sufficiente x2 - 4x > O (si noti il segno di
disuguaglianza forte, perché il denominatore non può annullarsi). Quindi, deve valere
x(x - 4) > O, che ha soluzioni x < O oppure x > 4.

Disequazioni radicali
In questa tratta:lione suddividiamo il problema in due casi:

d
fl 48
I,�
© Artquiz MATEMATICA

1. v'i(x) S g(x);
2. v'i(x) 2 g(x).
Se nè dispari, basta elevare i due membri alla ne ottenere la disequazione equiva­
lente f(x) S g(x)n (rispettivamente f(x) 2 g(xt). Si noti che si è sfruttato il fatto
che l'elevamento a potenza dispari è crescente (Matematica, § 5.4.3), ossia per ogni
coppia x, y se vale x S y allora xn S yn e viceversa.
Se invece n è pari, abbiamo visto che va imposto f(x) 2 O. Fatto ciò, veniamo
allo studio separato dei due casi:
1. v'i(x) S g(x). Siccome sicuramente v'i(x) 2 O, si deve impone, per la
proprietà transitiva di S, che pure g(x) .2 O. A questo punto, entrambi i membri
della disequazione sono positivi, e quindi si può procedere con la disequazione
,
f(x) S g(x) i (in quanto l'elevamento a potenza pari è crescente per i numeri
positivi).
.
2. v'i(x) 2 g(x). Nell'insieme in cui g(x) SO la disequazione è certamente veri­
ficata (perché v'i(x) 2 O).
Viccwersa, nell'insieme in cui g(:r.) 2 O si lavora nuovamente con quantità po­
sitive, e in tal caso la disequazione. ini�iale equiva.le, come prima, alla f(x) >
g(x)n.

Esempio: Risolvere la disequazione radicale

VX - 2 S X+ 3.

Si impongono sia x - 2 2 O che x + 3 2 O, cioè x 2 2.


Lavorando ora con numeri positivi, si può elevare al quadrato ambo i membri e
ottenere:
x - 2 S x 2 + 6x + 9, da cui x2 + 5x + 11 2O.
Si cercano ora le soluzione dell'equazione associata all'ultimo polinomio: siccome
.6. = 52 -4· 1 · l 1 < O e il coefficiente del termine quadratico è 1 > O, il polinomio assume
valori positivi per ogni x, e quindi la disequazione è sempre verificata. Ricordando i
vincoli imposti, ::ii conclude che l'insieme delle soluzioni della disequazione è dato da
{x tale che x 2 2}.

� I sistemi di equazioni e di disequazioni razionali o radicali seguono lo stesso


metodo risolutivo dei sistemi di disequazioni polinomiali: si risolvono le
varie disequazloni separatamente e si intersecano i vari insiemi di soluzioni.

2.6 Esponenziali e logaritmi


Abbiamo visto (Matematica, § 1.3) che nell'insieme JR è possibile definire ax per ogni
a > O e x qualsiasi. Si presti attenzione che se fissiamo la base a e lasciamo libero
x, otteniamo un oggetto matematico detto esponenziale che 11011 va confuso con i
monomi, dove erano gli esponenti ad essere fissati. Chiaramente, valgono tutte le
proprietà 1.3 e la definb�ione 1.4. Con strumenti di matematica superiore si può

49
Capitolo 2 Algebra @ Artquiz

dimostrare che gli esponenziali sono positivi per ogni base a (maggiore di O) e ogni
esponente :'l:. Non essendo di alcun interesse Pesponenziale 1x , si richiede anche che
la base non sia 1.
Per varie ragioni (la cui trattazione esula dalle finalità del presente manuale) una
base in particolare è stata privilegiata dai matematici, ossia il numero di Eulero
e = 2 1 71828 ... , che è un numero reale non razionale.
Strettamente connesso al concetto di esponenziale è il concetto di lo,i;aritmo di
un elemento reale x rispetto ad una base fissata a, la cui notazione è Ioga ,-i; e la cui
definizione è la seguente:

loga x = y se e solo se aY = x.
Si noti che dal fatto che ax > O per ogni x, segue che Pargomento, di un logaritmo
non può essere negativo o nullo.
Dalle proprietà delle potenze, e quindi degli esponerndali, segue che valgono le
seguenti proprietà:

Iog b
log(t xy = loga x + loga y· logCl xY = y loga x· log a b = __ , (2.3)
log a'
C
I I e_

Siccome Pesponenziale più importante è quello di base e, si è definito un logaritmo


privilegiato con la stessa base e e detto naturale, la cui notazione è ln al posto di loge.
O
Esempio da Artquiz: Quanto vale il logaritmo decimale di 5000, sapendo che il loga-
ritmo naturn.le di 5 è 1,609 e quello di 10 è 2,303?
ln5
log 10 5000 = log 10 (5· 1000 ) = log 10 5+log10 1000 = -- +3 = 1, 609/2, 303+3 =
1nlO
O, 699 + 3 (si è usato, tra le altre, la regola del cambio di base dei logaritmi).
o
Equazioni esponenziali

Questi tipi di problemi possono essere molto complicati, tuttavia nei quiz vengono
affrontati solo cosi relativamente semplici, come i seguenti:

1. af(x) = an(x) 1 da cui deve essere f(x) = g(x) perché la funzione esponenziale è
crescente (Matematica, § 5.4.3);

2. a2 b2x + a 1 bx + a0 = O, che si risolve ponendo bx = t in modo tale da ottenere


Pequaiione polinomiale di secondo grado a 2 t 2 + a 1 t + ao = O. Date�le radici t 1
e t2 1 si deve infine porre bx = t 1,2 1 facendo attenzione ad eliminare 1'e radici in t
non positive.

Esempio: Risolvere l'equazione


I

22:v 3 · 2 :v - 4 =
I•:1
I
I
- o.
Si sostituisce 2x con t e si ottiene t2 - 3t - 4 = O, cha ha soluzioni 4 e -1. Dopo
aver scartato 11 11ltima soluzione in t, si ha che 2 x = 4, da cui segue che x = 2.

50
I',. :
d:
© A1tqniz MATEMATICA

Equazioni logaritmiche

Le equazioni logaritmiche sono equazioni che. con le regole di calcolo dei logaritmi,
si possono ricondurre ad equazioni del tipo logn p(x) = O, che è equivalente a p(x) 1. =
· In realtà i calcoli possono essere anche molto laboriosi, qui ci limitiamo solo a dire che
in tutti i passaggi si dovrà sempre avere cura di imporre agli argomenti dei logaritmi
di essere strettamente positivi.

Esempio: Risolvere l'equazione

log3x + loga(a: + 1) = 2log3(x - 1).

Si impone che gli argomenti siano positivi, ossia x > O, x > -1 e x > 1 (basta
dunque x > 1).
Ora, sfmttando le regole dei logaritmi, si ottiene:

. x(x -I- 1)
1Og3 X ( a: + 1) - 1og�i ( a; - 1)2 = 0, e qulll<l'1 1og�i , _, n = 0.

Ciò è equivalente a.:


:c(:i: + 1)
=
(x - 1)2 1.
Avendo già richif'.sto in pmticoln.re x =/:- l, possinmo scrivere:
:c(x + 1) = (x - 1) 2 , da cui :c 2 + x = :c 2 - 2x + 1, poi 3:r, = 1 e infine x = 1/3.

Soluzione che va scartata e quindi l 'equa:.r.ione non ha solm�ioni.

Disequazioni esponenziali e logaritmiche


La ricerca delle soluzioni di mm clisequa;,.ione esponenziale o logaritmica è strettamente
legato alla soluzione dell'equa'l.ione associata, come vedremo nell'esempio sottostante.
Ciò che va sottolineato è che ax e Iog a x sono crescenti se a> 1, decrescenti se a< 1
(Matematica, § 5.4.3).
Riassmnendo:

1. sea>l: ax < a11


- e log(L x < log
- a
y se e solo se x < 1'J'
-• )

2. se O <a< 1 : a': =::; aY e Iog a x =::; Iog a y se e solo se y =::; x.

Esempio: Risolvere la disequazione

3x+l =::; gx-1.

Si osserva che 9 = 32, quindi riscriviamo la disequazione come:


3:v+l =::; (32)x-l, e p oi 3:e+l =::; 32(x-l),

Siccqme 3 > 1, la precedente disequazione è soddisfatta se e solo se x+l =::; 2(x-1),


ossia x � 3.

51
Capitolo 3

Geometria

3.1 Introduzione
In questo capitolo tratteremo le principali caratteristiche geometriche delle figure
piane e solide, descrivendo anche i principali aspetti della geometria analitica, ossia
di quel ramo della matematica elementare che coniuga la geometria con l 1algebra. In
altre parole, svilupperemo una sorta di �lgebrizzazione della geometria.
Preliminarmente definiamo i principali concetti di punto, retta, segmento, distan­
za, angolo. perpendicolarità e parallelismo:
• il punto è un concetto primitivo che intuitivamente equivale ad un'entità adimen­
sionale spaziale;
• la retta è un concetto primitivo. Un filo ben teso tra due punti è un modello mate­
riale che ci può aiutare a capire cosa sia un tratto di una retta, un ente g(:,'Ometrico
immateriale senza spessore e con una sola dimensione. La i·etta è inoltre illimitata
in entrambe le direzioni e contiene infiniti punti;

X
• un segmento è una parte di retta delimitata da due punti, detti estremi;
• la distanza fra due punti è la misura del segmento avente per estremi i due punti;
• un angolo è una parte di piano definita da due semirette aventi l'origine in comune;
• la. perpendicolarità indica la presenza di un angolo retto tra due entità geometriche;
• il parallelismo tra due enti geometrici si verifica quando tutti i punti dell'uno hanno
la stessa distanza dall'altro e viceversa.
Per quanto riguarda il concetto di congruenza tra due oggetti geometrici, questa
·• è sostanzialmente corrispondente al concetto di uguaglianza:, o meglio, uguaglianza a
meno di un movimento rigido che sovrappone i due oggetti geometrici. L'asse di un
segmento è la retta perpendicolare al segmento e contenente il suo punto medio. La
bisettrice di un angolo è la retta che divide l'angolo in due angoli congruenti.

3.2 I Poligoni
Un poligono è una figura piana data dall'unione di n segmenti aventi estremi a due
a due coincidenti e non gi�enti su una retta comune. Il perimetro di un poligono,

53
Capitolo 3 Geometria @ Artquiz

solitamente denotato con 2p, è la somma della misura dei suoi lati, mentre P n.rea è la
misura della porzione di piano delimitata dai lati del poligono.
Dato un poligono convesso fJìJ con n vertici (e quindi n lati e n angoli), siano
a1 1 02 ... On gli angoli interni di fJìJ e sia d il numero di diagonali di & . Allora
valgono le seguenti uguaglianze:
o
o
n
Lai = ay + a2 + · · · + CTu = (n - 2)180° ; d = n(n - 3)/2.

o
i=l

Esempio da Artq1tiz: In un poligono convesso che ha 54 diagonali il numero dei lati è:


12. Infatti, detto n il numero di lati, vale che il numero cli diagonali è n(n-3)/2 =
54, da. cui n = 12. Ciò è vero perche:
1. ogni vertice è Pestremo di n -3 diagonali ( una per ognuno degli altri n - 1 vertici,
tranne i due adiacenti, con i qmùi vengono formati due lati);
2. ogni diagonale si trova 811 2 vertici.
Esempio da Artq11,iz: Sia. ABCDEF un esagono regolare. Determinare Pampie'lza

o
<lelPnngolo AEIJ è:
30 ° . Infatti, la somma degli angoli interni di un esagono è 720° 1 ed e88emlo ABC­
DEF regolare, ogni angolo misura 120 . Di8egnando lu. figura., 8i vede che il segmento
°

o
EB è la bisettrice delPangolo DEF, quindi l'angolo BEF misura. 60° . Inoltre, il trian­
golo AEF è is08ccle e Pn.ngolo EFA misma appunto 120 ° ,'quimli Pangolo AEF mhmra
(180 ° - 120° )/2 = 30° . On1.1 Pangolo AEIJ ha n.mpim�ia data da IJEF - AEF = 60°
- 30° = 30° .

3.2.1 �iangoli
Un triangolo è Punione di tre segmenti aventi estremi a due a due coincidenti e
non giacenti su una retta comune. Gli estremi dei l11ti si dicono vertici del triangolo,
i:;olitnmente denotati con A, B, C. Il lato oppo8to nl vertice A e di estremi B, C è
denotato con a e l 1 angolo interno al triangolo di vertice A è denotato con a; similmente
per B e C si definiscono, rispettivamente; i lati opposti b e e e gli angoli /3 e 1.
Dato tl lato di un triangolo, diciamo b, siano r la retta contenente ·b e s la retta
contente il vertice B (opposto u b) e perpendicolare a r. Sia H Pinternezione di s
con r. Il segmento h di ei:;tMmi B e H è detto altezza relativa al lato b. Uarea del
triangolo vale A = 1 bh.

e .•
'•

a

P,
e B Figura 3.1: Triangolo di vertici A, B, C.

Un triangolo è detto isoscele se due dei suoi lati 0 1 equivalentemente, due dei suoi
angoli, 80110 congruenti.
Un triangolo è detto equilatero se i 8uot lati 0 1 equivalentemente, se i suoi angoli,
8ono congruenti.

54
© Artquiz MATEMATICA

Nel caso in cui nn triangolo sia rettangolo, ossia abbia un angolo retto, si de,.
finiscono 1:potenusa il lato opposto all'angolo retto e cateti i rimanenti lati. Vale il
celeberrimo Teorema di Pitagora:
dato un triangolo rettangolo di ipotenusa a e cateti be e, risulta a2 = b2 + c2 .
Esempio da Artquiz: I cateti di un triangolo rettangolo sono lunghi, rispettivamente,
303 e 404. Determinare la lunghezza dell'ipotenusa.
Per il teorema di Pitagora l'ipotenusa misura (303) 2 + (404) 2 = 505.

Due triangoli sono detti congruenti se con 1111 movimento rigido si possono far
coincidere. Due triangoli sono, invece, eletti simili se hanno gli angoli a due a due
uguali.
Si elencano i principali risultati elementari sui triangoli:
1. la somma della misura di due lati deve eccedere strettamente la misura del terzo
lato. In simboli, ad esempio, a + b > e;
2. la somma degli angoli interni di un triangolo è 180° ;
3. due triangoli sono congrnenti se vqrificano uno dei seguenti criteri:
a) hanno congrnenti due coppie cli lati e i duo relativi angoli compre8i;
b) hanno congrnenti un lato e i due angoli a esso adiacenti;
c) hanno tntt.i i lati (ordinatamente) congruenti.

Esempio da A rtquiz: In un triangolo, gli angoli a, {:J e , sono legati dalle relazioni
(3 = a + 20 ° e , = (3 + 50° : si ha che , è uguale a:
100° . Infatti, si ha {:J - 20 ° = a, dnnqne a+ f3 +, = ,B - 20 ° + (3 + {:J + 50° = 180° ,
quindi (3 = 50° e , = 100 ° .

3.2.2 Quadrilateri
Un quadrilatero è un poligono con quattro vertici. Di particolare interesse :-mno i
quadrilateri convessi, ossia quelli con gli angoli minori cli 180° . Per €ssi si definisce
diagonale un segmento congiungente dne vertici 11011 giacenti su uno stesso lato, da
cui segue che un quadrilatero ammette dne diagonali.

Esempio da Artquiz: La somma degli angoli interni cli un poligono è 360° . Si può
affermare che il poligono è certamente:
Un quadrilatero. Infatti, la somma degli angoli interni di un poligono con n lati è
(n - 2)180° . Dovendo essere tale espressione pari a 360° , si co_nclude che n = 4.

Un trapezio è un quadrilatero con due lati paralleli. Siano be b' i due lati paralleli
di un trapezio e sia h l'altezza relativa ad uno qualsiasi dei lati bob' (che corrisponde
alla distanza tra le rette parallele sulle quali giaciono be b', e che quindi è indipendente
dalla scelta di base e vertice). L'area del trapezio è data.da A = (b + b')h/2. Un
trapezio con i due lati non paralleli congruenti è detto isoscele; un trapezio con un
angolo retto è detto rettangolo.

55
1:lt @ Artquiz
Capit.o]o 3 Gcomctrìa

Esempio da Artquiz: Un trapezio isoscele ha perimetro di 50 cm e le basi di 7 cm e


17 cm. Qual è la sua area?
144 cm2 • Infatti i lati obliqui del trapezio misurano (50- 7 - 17)/2 cm = 13 cm,
inoltre il piede di un altezza h dista dal vertice sulla base {l 7 - 7)/2 cm = 5 cm. Dal
teorema di Pitagora si ottiene h = /13 2 - 52 cm = Ji44 cm = 12 cm. L'area del
trapezio misura quindi A = (a+ b)h/2 = {17 + 7)12/2 cm2 = 144 cm2 •

Uu parallelogrammo è un quadrilatero con i lati a due a due paralleli o, equi­


valentemente, congruenti. Come per il triangolo, si può definire l'altezza h relativa
al lato b di un parallelogrammo { che, grazie al parallelismo, uo;n dipende dal vertice
scelto tra i <lue vertici non adiacenti alla base b). L'area del parallelogrammo è data
<la A= bh.

Esempio da Artquiz: La somma di due latt adiacenti di un parallelogrammo:


È maggiore della diagonale maggiore. Infatti, due lati adiacenti e la diagonale
maggiore formano un triangolo.
O
. B

A b B D C Figura 3.2: Quadrilateri


(a) 'fro.pezto (b) Parallelogro.mmo particolari.

Un Rombo è nu parallelogrammo con i. lati congruenti (cioè . av�nti la stessa


misura). In un rombo le diagonali d e D sono perpendicolari e l'area è data da
O
A= dD/2.

o
Esempio da Artquiz: In un rombo uua diagonale è il doppio dell'altra e l'area vale 36
cm2 • Quanto vale il lato del rombo?
3/5 cm. Infatti, siano de D la misura delle diagonale minore e maggiore. L'area

o
è quindi pari a (d·D)/2 = (d-2d)/2 = d2 = 36 cm2 , da cui d = 6 cm. Ora, un lato del
rombo è l'ipotenusa di un triangolo i cui cateti sono le semidiagonali che, nel presente

o
caso, misurano 6 cm e 3 cm. Il teorema <li Pitagora fornisce quindi la misura comune
dei lati pari a /62 + 32 cm= 3/5 cm. 1
I.
'I

Un Rettangolo è un parallelogrammo avente tutti gli angoli retti. Un'altezza


rispetto ad un lato a è uno dei lati adiacenti be l'area è data da A= ab. Le diagonali
�;·_
! dei rettangoli sono congruenti (basta applicare il teorema di Pitagora ad a e b).
!'.t,

o
j

t. '
Esempio da Artquiz: La somma di due lati di un rettangolo è 110 cm, la loro differenza
è 10 cm. Il lato minore misura:
50 cm. Infatti, il problema si traduce nel sistema x + y = 110 cm, x - y = IO cm,
dove x è il lato maggiore e y quello minore. Quindi x = 60 cm e y = 50 cm.

56
© Artquiz MATEMATICA

Un quadrato è un rettangolo con i lati cougrueuti. È quindi simultaneamente un


rombo e un rettangolo, e ammette in particolare tutti gli angoli retti.
Sia a la misura di un lato l di 1111 quadrato (misura, comune ai quattro lati). Dalla
formula dell'area di un rettangolo segue che l'area del quadrato è data da A= a2 . Le
· diagonali dei quadrati sono congruenti e perpendicolari e misurano d = ,v'a2 + a2 =
av'2, e dalla formula per l'area del rombo si riottiene A = (av'2)(av'2)/2 = a2 •

3.3 La circonferenza in ottica euclidea


Una circonferenza di centro Ce raggio r è una figura piana data dal luogo geometrico
dei punti P la cui distanza da C è pari ad r.
Il perimetro di una circonferenza di raggio r è dato dalla formula 2p = 21r1·, mentre
l'area è data dalla formula A= 1rr2 • Benché 1r sia un unmero irrazionale, solitamente
si usa l'approssimazione 1r = 3, 14. La diagonale di una circonferenza misura d = 2r.
Dato un poligono /?JJ e una circonferenza <'ttJ', si definisce:

1. /?JJ circoscritto a 'if se ogni lato di /!JJ è tangente a CC;

2. /?JJ inscritto a Y/ se ogni vertice di ./?JJ giace su cc.

Il caso più interessante è qnello in cui .<:i' Hia un triangolo. In qnesto particolare
caso valgono le seguenti proprietà:

a) ogni triangolo può essere inscritto in una circonferenza il cui centro è dato da
un punto chiamato circocentro dato dall'i utersczione degli assi del triangolo;

b) ogni triangolo può essere circoscritto ad una circonferenza il cui centro è dato da
un punto chiamato incentro dato dall'intersezione delle bisettrici del triangolo.

Figura 3.3: Trian,qolo inscritto in una circonferenza.

Esempio da Artquiz: Qual è il rapporto tra l'area di un cerchio di raggio unitario e


l'area del quadrato inscritto?
1r/2. Infatti, l'arca del cerchio è A = m·2 = 1r 1 2 .= 1r, mentre il diametro d del
cerchio misura d = 2r = 2. Ma il diametro del cerchio è la diagonale del quadrato
inscritto, da cui segue che il lato l del quadrato misura l = d/v'2 = ,v'2. Quindi l'area
A' del quadrato misura A' = l 2 = ( v'2)2 = 2 e il rapporto richiesto è A/A' = 1r/2.

57
Capitolo 3 Geometria © Artquiz

3.4 I poliedri

o
Un poliedro è l'unione nello spazio tridimc1tsionale di un numero finito <li poligoni,
dette facce, che si intersecano a coppie su lati, detti spigoli del poliedro, oppure su
vertici o che hanno intersezione vuota. Inoltre, un poliedro deve dividere lo spazio
tridimensionale in due parti disgiunte, una interna e una esterna.
Vale il segnente importante risultato: siano F, S e V i numeri delle facce, degli
spigoli e dei vertici di un poliedro semplice, allora:

F - S -1- V= 2 (Formula di Eulero).

Indichiamo ora i principali poliedri e le loro relative caratteristiche.

3.4.1 Parallelepipedo e cubo


Un parallelepipedo è un poliedro le cui facce sono 6 parallelogrammi; tuttavia qui
nseremo l'accezione più comune secondo la qnale le facce sono rettangoli.
Siano a, be e le misure dei lati di un parallelepipedo; è immediato calcolare l'area
della superficie esterna: A=2(ab+bc+ca) e il volume occnpélto: V= abc. Si noti che
qneste formule, cosi come le formule relative ai poHgoni, altro non sono che polinomi.

- ; ····---
r�__.........-:----
-..;_ --
... ....._

-L- -
Figura 3.4: Parallelepipedo.

'
l i
i

Un caso particolare di parallelepipedo è il cubo, per il quale si impone la con­


dizione che le facce siano quadrati. In tal caso l'area e il volume sono A 6a2 ; =
,,...,
V=a . 3
.
�:i,, Esempio da Artquiz: Il rapporto tra i volnmi di due cubi è 4. Qual è il rapporto tra
� le loro superfici?
,,t
W. Infatti, siano l e l' i lati dei cubi in questione. Dunque vale l 3 = V= 4V' =
4l'3 • Si ricava che l = {1/4l' es= 6l2 = 6?'42l'2 = Ws'.
!l:
1,
1
1,
-I
.,
�, r


�­ 3.4·.2 .Piramide
itu
o
Una piramide è uua figura geometrica solida, con una base poHgonale e un vertice,
t1
detto apice piramidale, che non giace sullo stesso piano della base. Il poligono di base
e le facce triangolari della piramide che hanno per base un lato della base piramidale
e come vertice l'apice piramidale sono facce della piramide.
Solitamente si studiano le piramidi che hanno per base un poligono regolare (come
ad esempio un triangolo equilate�o, un quadrato, un pentagono regolare, ecc.) e

58
@ Artquiz MATEMATICA

l'apice posto sulla retta perpendicolare alla base e contenente il centro di simmetria
della base. 11 segmento congiungente l'apice piramidale e il centro della circonferenza
circoscritta alla base è detto altezza della piramide. Il volume della piramide è data
rlalla formula V= Bh/3, dove B è l'area della base eh è la misura dell'altezza.

Esempio da Artquiz: Una piramide ha per base un quadrato di lato 3 cm, ed è alta 4
cm. Il suo volume è quindi:
12 cm 3 . Infatti, ·il volume della piramide è pari a V = Bh/3 = (3 cm)2 · 4 cm/3
= 12 cm3.

3. 5 I solidi di rotazione

3.5.1 Cono
Un cono è una figura nello spazio tridimensionale ottenuta facendo compiere una
rotazione di un angolo giro (360 ° ) ad un triangolo lungo un suo lato. Solitamente si
intende che il tria.golo in questione è rettangolo e il lato rispetto al quale avviene la
rotazione è 11110 dei cateti, che a8sume il nome di altezza del cono. La circonferenza
che descrive il secondo cateto è detta base rlel cono.
Il volume del cono è dato dalla fo�mnla usata per la piramide (della quale il
cono può essere consiclerato un caso particolare): V = 1n-2h/3, dove Ab = 1rr 2 è
chiaramente l'area della base (circolare) eh è la misura. dell'altezza.
L'ipotenusa del t.riangolo che genera il cono è detta apotema e 1.nisura a = Jr 2 + h2 •
La s11perficie laterale del cono ·si calcola mediante la formula Ai = 1r1·a da cui si ricava
la superficie totale: A= Ab+ A, = 1r1·2 + m·a = 1rr(r + a).

Esempio da Artqniz: Due coni C1 e C2 circolari retti hanno uguale base di raggio
r. L'altezza h1 del cono C1 è uguale alla metà dell'altezza h2 del cono C2, In che
rapporto stanno i volumi Vi e V2 dei dne coni?
1/2. Infatti, dai principi teorici sopra esposti segue che Vi = 1rr2 hi/3 e V2 =
1rr 2hi/3 = m· 2 2h i /3 = 27fr 2 hi/3 = 2Vi, quindi Vi/V2 = 1/2.

3.5.2 Cilindro
Un cilindro è una figura nello spazio tridimensionale ottenuta facendo compiere una
rotazione di m1 angolo giro (360 ° ) ad uil rettangolo lungo un suo lato, detto altezza
e solitamente indicato con h. Qualsiasi delle due circonferenze, descritte dai lati
adiacenti al lato h rispetto al quale avviene la rotazione, è detta base del cilindro.
Il volume del cilindro è dato dalla f01mula V= Bh = 1rr 2 h, dove B = 1rr2 è l'area
della base (circolare) e h è la misura dell'altezza.
La superficie laterale del cono si calcola mediante la formula A, = 21rrh (infatti la
superficie laterale è un rettangolo di base 21rr e altezza h) da cui si ricava la superficie
totale: A = 2B + A1 = 21rr 2 + 21rrh = 21rr(r + h).

Esempio da A1·tquiz: Se il raggio di un cilindro viene raddoppiato mentre la sua


nltezza viene dimezzata, come varia il suo volume?
Raddoppia. Infatti, siano 1·, h e V il raggio, l'altezza e il volume del cilindro di
partenza. Il volume V' del cilindro modificato è pari a V' = 1r(21·)2 h/2 = 2m· 2 h = 2V.
Quindi il volume viene raddoppiato.

59
.mf1': Capitolo 3 Geometria @ Artqutz

h\ o
o
.
.. ·,
(o.) Cono (b) Ctlìndro Figm·a 3.5: Due solidi di rotazione.

3.5.3 Sfera
Sebbene anche la sfera sia un soHdo di rotazione, in quanto ottenuta tramite la
rotazione di una circonferenza rispetto ad un suo diametro, è più intuitivo defluirla
come la figura tridimensionale data dal luogo geometrico dei punti P, la cui distanza
da un punto O, detto centro, -è pari ad una fissata distanza r, detta raggio.
Il volume V e l'u.rea A della sfera sono dati dalle seguenti formule:
4
V = 1rr3 , A = 41rr2 •
3
Esempio da Artquiz: Il diametro di una sfera ha lunghezza 6 cm; approssimativamcm­
te, H volume della sfera è:
;1r1· = 6 cm/2 = 3 cm, cost

o
113 cm3 . Infatti, nella formula V = 3 si sostituisce r
da ottenere V= 41r33 /3 cm3 = 41r9/3 cm3 � 113 cm .
3

3.6 Il piano cartesiano


Il piano cartesiano è il piano euclideo nel quale st è fissato un sistema di riferimento,
ossia si sono fissate due rette perpendicolari x e y dette assi, una unità di misura
comune ai due assi e un verso di percorremm su ogni asse.
Nel piano cartesiano rimdngono definiti tre punti privilegiati:
1. l'origine del piano cartesiano, indicata con O, data dall'intersezione dei due assi;
,.
!,
2. il punto 1 dell'asse x èbe si trova spostandosi da O di un'unità nel verso di
rnI• percorrenza scelto su x; _,
•::--
3. il punto 1 dell'asse y che si trova spostandosi da O di un'unità' nel verso di
acl.[
;1.:
percorrenza scelto su y.
ì}·
,,r:,
11,1.:
�.j!f'
3.6.1 Luoghi di punti
;
•'
!ioi
I Avendo ora definito il punto O e il punto 1 su ogni asse, ad ogni punto di ognuno
l ·� dei due assi rimane associato un numero reale. Di conseguenza, ad ogni punto P
,.. del piano si può associare una coppia dì numeri, dette coordinate del punto P, come
..
e•

'il
�l
t·1···
esplicato dalla seguente costruzione:

60
© Artquiz MATEMATICA

• si tracciano le rette P:c e Pv contenenti P e perpendicolari agli assi x e y;


• si osserva che la retta Px interseca l'asse x in un punto al quale è associato il numero
xp, similmente Py interseca yin un punto al quale è associato il numero yp;
• i numeri Xp e yp sono le coordinate di P, scritto (xp, yp).

4j lP(2, 3)
3
2
1
-
-2 -1 01 1 21 3 4 X
-1
-2

Figura 3.6: Il piano cartesiano �,;y con il pmito P(2, 3).

Dato un punto P di coordinate (xp, YJ> ), diciamo che xp è l'a.<Jcissa di P mentre yp


è l'ordinata di P. Il piano cartesiano è diviso convenzionalmente in quattro quadranti:
il primo quadrante è ln porzione di piano i cui punti hanno coordinate positive, quindi
si trova sopra l'asse xe a destra dell'asse y. Il secondo quadrn.nte è definito similmente,
ma con la richiesta che i suoi punti abbiano ascissa negativa e ordinata positiva. E
cosi a seguire fino al quarto quadrante ruotando in senso antiorario.

3.6.2 Distanze e punto medio


Dati due punti P = (xp, yp) e Q = (xq, yq), definiamo la distanza tra P e Q, che
indichiamo con la notazione d(P,Q) come segue:

d(P,Q) = J(xp - xq)2 + ·(yp - yq)2. (3.1)

Si noti che la definizione segue dal teorema di Pitagora, perché grazie alla perpen­
dicolarità degli assi, si ha che il segmento di C8tremi P o Q è l'ipotenusa del triangolo
rettangolo di estremi P, Q e (xp, yq), i cui cateti misurano lxp - XQI e IYP - Y QI­
Si vede immediatamente che per ogni terna di punti P, Q e R del piano valgono:
1. d(P,Q) = O se e solo se P = Q;
2. d(P,Q) =d(Q,P);
3. d(P, R) < d(P, Q) + d(Q, R).
Il punto medio M del segmento di estremi P = (xp, yp) e Q = ( xq, YQ), è dato
dalla formula:
xp xq y yq
M=· ( + 2 1 p+ )·
2
E,,;ernpio da Artquiz: Il segmento individuato da due punti di coordinate cartesiane
pari a (2, 4) e (-2, 1), ha lunghezza uguale a:
d((2, 4), (-2, 1)) . ../(2 - (-2))2 + (4 - 1) 2 = ,/25 = 5.
_
61
fr11r Capitolo 3 Geometria @ Artqutz

Esempi o da Artquiz: Determinare l'area del triangolo che ha come vertici i punti
(0,0), (0,1 ), (13, 12) del piano cartesiano:
Utilizzando U punto ausiliario P(0,12), l'area cercata è pari alla differenza tra O
l'area del triangolo T di vertici (0,0), P, (13,12) e l'area del triangolo T di vertid
P, ( 0,1), {13,12), entrambi rettangoli in P come è facile notare. L'area cercata vale
quindi { 13 · 12)/2 - (13 · 1 1)/2 = 13/2.
O
3.6.3 La retta
Dalla geometria eudidcu. è noto che una retta r è definita tmivocruncnte da 2 p1mti
distinti su di essa. Siano quindi P1 = (:z:1,yi) e P'2 = (x2 ,Y2 ) due p1tnti appru·tenenti o
o
ad r; cosa si pnò clirn cli un �cnerico punto P = (x, y) E r? Studiamo inizialmente 2
casi pru-ticola.ri:
1. se x1 = x2 allora tntti i punti di r, in particolare P, devono avere ascissa comune,
I'..._!
r:
e quindi l'eq1ta2ione di 1· Hi rid1tce a x = x1 {o, equivalentemente x = x2);
2. se y 1 = Y2 allora tutti i punti di r, in rn1.rttcola.re P, devono ::werc ordinata
com1tne, e quindi l'cq1tru-.ione dir ,,;i riduce n y = Yt (o, eq1tivalentementc y = y2 ).
o
Il CéIBO generico è infine quello in cui :2:1 -:/- :c2 e y1 f. y2, In que:-;to caso il

o
rapport.o 'I/· -112 '1/1 - y2
· deve essere uguale al rapporto · , cioè <leve valere l'nguagHan'l.a
X -X2 X1 - X2
seg1tentc:

o
1/ - J/'2 YI -112
{3.2)
,'l: - X-i :i:1 - X2
In tntti e tre i casi si ottiene nn'eqtta7.ione data da nn polinomio di primo grado

o
in dm.: variabili, infatti dall'cqu�,done 3.2 si ottiene l'eqtu'l.Y.ionc:
(y -112)(:c1 - x2) = fo1 -112)(x - x2).

o
., Viceversa, si può dimostrare che un'equazione di primo grado del tipo ax+by+c =
O, detta equazione implicita, definisce una retta.

o
,(. Dall'equazione generica 3.2 si può passare alla formt1:
+(
!f

1/ = (
1/t - Y2 )
X
Y1 - Y2
Y2 - X2--- ) ,

o
X1 -X2 X1 - X2

che possiamo scrivere come y = mx + q, detta equazione e.<;plicita della retta, dove
rn = ---Y1 - Y2 e• eletto coe,tr;·icien te angolare e q = y2 - x2---
Y1 - Y2 e. etta .

o
JJ . d intercetta cl'1
X1 - X2 X1 - X2
1· con l'a.ssc y. !

Il coefficiente angolare m delPcqnazioue esplicita di una retta r rappredèuta quindi

o
,.
l'inclinazione della retta, ossia il rapporto tra l'incremento lungo l'asse y e l'incremento
lungo l'asse x tra qualsiasi coppia di punti distinti sn dì essa. Si presti attenzione
v•,,,
{.-

che trrunite le equazioni esplicite non è possibile scrivere le rette verticali, che invece
�-t·,I J·
11

hanno cqt1a'lio1tc del tipo x = k.


,;·
Esempio: Si definiscano le equazioni delle rette contenenti il punto P = {l,2) e, �
!!f
·, rispettivamente, i punti Q1 = (1,- 1), Q2 = (-2,2), Q3 = (3,3).
Si osserva che l'ascissa di P e Q1 è in comune e vale 1, dunque un'equazione della
retta ·contenente P e Q 1 è x = l. Viceversa, l'ordinata dt P e Q2 è pure in comune e

62
© Artquiz MATEMATICA

vale 2, dunque un'equazione della retta contenente P e Q2 è 1J = 2. Infine, utiliz�ando


la formula3.2 si ottiene l'equazione esplicita della retta contenente i punti P e Q3 :
2-3 2-3
y
= (1-3) x+ (3-31-3) ;

ossia y = x /2 +3/2. Oppure, in versione implicita, x - 2y +3 = O.


Si noti che data l'equazione esplicita di una retta, è immediato passare ad un 'e­
quazione implicita, infatti d�l'equazione y = mx+ q basta scrivere y - mx - q = O.
Viceversa, da un 'equazione implicita del t.ipo ax + b-y + e = O si può ricavare
un'equazione esplicita solo nel caso in cui b =f. O, in modo da ottenere y = -�x - �-
Siano re 1" due rette di equazione, rispettivamente, ax+by+c = O e a'x+b'y+c' =
O, oppme, nel caso in cui b f=. O f=. b', di equazione esplicita y = ma:+ q e :IJ = rri' x +q'.
Indichiamo con r Il r' il caso in cui le rette sono parallele e con r .l 1·1 il caso in cui le
rette sono perpendicolari. Allora valgono le Heguenti proprietà:

r//r' r .l 1·1 .
eq. implicita ab' = a'b aa' + bb' = O
eq. esplicita m= 1n' mm.'= -1

Tabella 3.1: Relazione tra. i coefficienti delle equaziop.i di rette parallele o


perpendicolari

Esempio da Art<11tiz: Date le due curve y + 8- 5x= O e y-3 + O, 2:r= O, è vero che:
Le rette sono normali. Infatti, dopo aver riscritto le cqna.7,ioni in forma csplièita:
y = 5x - 8 e y = -0, 2x +3, si verifica immediatamente che il prodotto dei coefficienti
angolari 5 ·(-0, 2) è -1.
Sia ora P = ( x 0, y 0) un punto del piano cartesiano. Una retta 1· contenente P
è sempre del tipo a(x - xo) + b(y - Yo) = O, con a e b 11011 entrambi nnlli, come è
immediato verificare sostituendo ad x e y le coordinate di P.
In alternativa, le rette contenenti P non verticali hanno equazione esplicita y- yo =
k(x - xo)- Altrimenti, l'unica retta verticale contente P ha equazione x = Xo,
Infine, dato un punto P = (x 0, y 0) e una retta r di equazione ax + by + c = O si
può dimostrare che la distanza( minima) tra P e 1· è data dalla formula:

laxo + b?Jo +cl


d(P, 1,) = , 3
( 3
. )
../a2 + b2
Esempio da Artquiz: La dh,tanza tra il punto(1, 2) e la retta 1· = {y = -x} è:
�- Infatti, riscrivendo 1· = {:e+ y = O}, si ha:
1 1 +1 · 2 + 01 �
d((l ' 2) ! r) = 1 · = -
• v'l2 + 12 -12

3, 7 Le coniche

3.7.1 La· circonferenza in ottica cartesian a


Il luogo geometrico dei punti P = (x, y) la cui distanza da un punto fissato C =
(xc, Yc) è costante e pari a 1· > O è detta circonferenza di centro C e raggio r.

63
Capitolo 3 Geometria © Artquiz

Indichiamo con Ctf tale circonferenza. Dalla formula 3.1 segue che per poter valere
P E Ctf deve essere soddisfatta l'uguaglianza /(x - xc)2 + (y- Yc)2 = r, o meglio,
dopo aver elevato ambo membri al quadrato, deve valere:

(.1:- xc)2 + (y- Yc)2 = r2 •


Sviluppando l'equazione precedente, si ottiene un'equazione di secondo grado in
due incognite:
x2 + y2 + ax + by + c = O
con a = -2xc, b = -2yc e c = xb + Yb - r2 •
Si faccia attenzione che tm'equa:L.ioue di secondo grado in due incognite del tipo
x2 +y2 +ax+bu+c = O definisce una circonferenza se e solo se vale (a/2)2 +(b/2)2 -c >
O, e in tal caso si ha che il centro della circonferenza ha coordinate C = (-a/2, -b/2)
e il raggio misurar= ..j(a/2)2 + (b/2)2 - c.

o
Figura 3.7: La circonferenza di equazione:
x2 + y2 - 2x- 2y+ 1 = O.

X
+LO +2.0

Esempio: Data la circonferenza di equazione x2 + y2 - 2x- 2y + 1 = O, determinare


centro C, raggio re hmghezza 2p.

o
Dalle formule precedenti si ricavano le coordinate del centro C = (-2/2, -2/2) =
(1, 1) e la mhmra del raggio: r = ..,/(-2/2)2 + (-2/2)2 - 1 = 1.
A questo punto si utilizza la formula del perimetro di una circonferenza, da cui st
ottiene 2p = 21r · 1 = 21r.

o
3. 7.2 Parabola
Data una retta d di equazione ax + by + c = O chiamata direttrice e un punto F =
(xF, 1/F) detto fuoco non appartenente ad, si definisce la parabola & di direttrice

o
de fuoco F come il luogo geometrico dei punti P = (x, y) del piano carte:siano la cui
distanza da d è uguale alla distanza da F. Deve cioè valere l'uguagltanza:;

o
d(P,d) = d(P, F), (3.4)
dove d(P,d) e d(P, F) sono calcolabili tramite le formule in 3.3·e 3.1.

,,1

1'1i11

t\
•1-t

.<,
I casi studiati a livello pre�universìtario sono quelli in cuid è parallela ad uno dei
due assi coordinati, nel qual caso si può facilmente dimostrare che l'equazione che
deriva dall' ug uaglianza 3.4 è, nel caso in cuid Il {y = O}, del tipo:
o
iU I
y = ax2 + bx+ c. (3.5)

64
@ Artquiz MATEMATICA

Figura 3.8: La parabola di equazione y = x2 - 2x,


con evidenziate le distanze del punto O = (O, O)
dal fuoco e dalla direttrice.

-2.a

Altrimenti, basta invertire i ruoli delle incognite x e y.


Ci sono inoltre due altri luoghi geometrici associati ad nna parabola: l'asse di
simmetria s, che è la retta perpendicolare alla direttrice de conten�mte il fuoco F e il
vertice V della parabola, che è il punto della parabola avente distanza minima dalla
direttrice d (dato anche dall'intersezione tra l'asse se la parabola).
Data mm p,u·abola di equazione come in 3.5, si definisce D:.. = b2-4ac (esattamente
come nel ca8o dell'eqUa7rione di secondo grado) e si può dimostrare che valgono le
seguenti uguaglianze:

(-!i ,-!); F= (-� �)-


b
V= S: X -
- --; d: y=-l+D:..
2a' 4a 2a 4a

Esempio È dnta la parabola di equazione y = x2 - 2x. Si calcolino le coordinate del


fuoco e del vertice e si determinino le equazioni della direttrice e dell'asse di simmetria.
Preliminarmente si calcola D:.. = (-2) 2 - 4 · 1 · O = 4. Quindi, dalle formule
precedenti si ricavano:
(-2) 4) = (1, -1)·, (-2) 1 - 4)
V= ( - - , -- F = ( -- -, - - = (1, -3/4);
2 4 2 4
S: X= lj d: y = -5/4.

3.7.3 Iperbole
Dati due punti distinti F1 e F2 del piano cartesiano e un numero reale a > O tale che
2a < d(F1 , F2 ), si definisce l'ip erbole J di fuochi F1 e F2 come il luogo geometrico
dei punti P del piano che soddisfano l'uguaglianza:

ld(P, F1) -d(P, F2)I = 2a.

In altre parole, P E J se e solo se il valore assoluto della differenza tra le distanze


di P da F1 e F2 è costante e pari a 2a .
La retta contenente i due fuochi F1 e F2 è detta a.s.'Je focale, mentre il punto medio
tra F1 e F2 è detto centro dell'iperbole.
Come nel caso della parabola, anche per l'iperbole i casi studiati a livello pre­
universitario sono dei casi particolari, ossia quelli in cui i fuochi giaciono sull'asse delle
x e sono simmetrici rispetto all'origine, ossia hanno coordinate del tipo F1 = (-c, O).

65

,i
Capitolo 3 Geometria @ Artquiz

e F2 = ( c, O) con e > O. In questo contesto si può dimostrare che con opportuni


passaggi algebrici un punto P E J se e solo se soddisfa l'equazione:
x2 y 2
�2 - 2 = 1, con b > O e b = c - a
2 2 2•
b
Le rette di equazione y = ±bx/a sono detti asintoti dell'iperbole e nel caso in cui
a = b, l'iperbole è detta equilatera. Nel caso in cui i fuochi giacciano sull'asse delle
y, basta invertire x e y nella formula precedente.
Quindi, data l'equazione di un'iperbole, è possibile calcolare le coordinate dei
fuochi in quanto va.le e= Ja 2 + b2 .
2 2
Infine, se un'iperbole equilatera di equazione :2 - t2 = 1 viC'ne fo.tta ruotare
di 45 ° , si ottiene un'iperbole con gli asintoti coincidenti con gli assi coordinati e
l'equazione è xy = k, notoriamente associata al concetto di proporzionalità inversa.
x2
Esempio È data l'iperbole di equazione
4 -y = 1. Si calcolino le coordinate dei
lt 2

fuochi, del centro e le equazioni dell'asse focale e degli asintoti.

o
I,
Figura 3.9: Iperbole di equazione :
2
- y2 = 1 e gli asintoti y = ±x/2.
o
Si noti che per l'iperbole in questione i parametri associati all'equazione sono
a = 4 e b2 = 1. Dalle formule precedenti si ottiene che deve essere e = .;;r=T = ./3,
2

e dunque i fuochi cercati hanno coordinate F1 ,2 = (±./3, O). Il centro dell'iperbole è


il punto medio tra i fuochi-testè calcolati che è l'origine O= (O, O). Similmente, l'asse
focale è sempre uno dei 2 assi coordinati, e in questo caso l'asse delle x. Infine, i 2
asintoti hanno equazione, rispettivamente, y = x/2 e y = -x/2.

3.7.4 Ellisse .}

o
Dati due punti distinti F1 e F2 del piano cartesiano e un numero reale a> O tale che
2a > d(F1 , F2 ), si definisce l'ellisse Cdi fuochi F1 e F2 come il luogo geometrico dei
punti P del piano tali che soddisfano !_'uguaglianza:
ld(P, F2 ) + d(P, F2 )l = 2a.
,:.
·,
In altre parole, P E C se e solo se la somma delle distanze di P da F1 e da F2 è
r· - costante e pari a 2a.
L La retta contenente i due fuochi F1 e F2 è detta asse focale, mentre il punto medio
i"•i: tra F1 e F2 è detto centro dell'iperbole.
';;j�,
lf 66
·"[
I
[j.j.
@ Artquiz MATEMATICA

Come nel caso dell'iperbole i casi studiati a livello pre-universitario sono dei casi
particolari, ossia qHelli in cui i fuochi giacciono sull'asse delle x e sono simmetrici
rispetto all'origine, ossia hanno coordinate del tipo F'1 = (-c, O) e F2 = ( c, O) con
c > O. In questo contesto si pnò dimostrare che, con opportnni passaggi algebrici, un
pimto P E cf se e solo se soddisfa l'eqnazione:
x2 2
a2
+
y
b2
= 1, con b > O e· b2 = a2 - c2 .
Quindi, data l'equazione di un'ellisse, è possibile cn.lcolare le coordinate dei fuochi in
quanto vale c = Ja2 - b2 •
I numeri positivi a e b sono detti, rispettivamente, il semiasse maggiore e il semiasse
minore dell'ellisse.
Nuovamente, uel caso in cui i fnochi giacciano sull'asse delle y, basta invertire i
ruoli di x e y nella formula precedente.
.2 2
Esempio È data nn'cllisse di equazione � + � = 1. Si calcolino. le coordinate dei
5 6
fuochi, e il seminsse maggiore e minore dell'ellisse.

+2
Figura 3.10: Ellisse di equazione:
x2 y2
-,I -2 +2 +4 J X
25
+ 16 = 1.
-2

Si noti che per l'ellisse in questione i parametri associati all'equazione sono a2 = 25


e b = 16. Dalle formule precedenti si ottiene che deve essere c = v'25 - 16 = v'9 = 3,
2

e dnnqne i fuochi cercati hanno coordinate F 1,2 = (±3, O). Infine, il semiasse maggiore
e il semiEIBse minore valgono, rispettivamente, 5 e 4.
� Circonferenze, parabole, iperboli ed ellissi prendono il nome di sezioni co­
niche, in quanto si possono ottenere come intersezione nello spazio tridi­
mensionale tra la superficie di un cono e un piano.

Figura 3.11: Le quattro sezioni coniche ottenute


quando un cono doppio è intersecato con 1in piano:
CD (2) ® 1 Parabola; 2 Circonferenza ed Ellisse; 3 Iperbole.

3.7.5 Luoghi comuni


Uu luogo di punti è un sottoinsieme del piano dato da un numero finito di punti,
oppure è un sottoinsieme 11lgebrico, definito cioè da un'equa:.tione algebrica al pi�

67
Capitolo 3 Geometria @ Artquiz


di secondo grado in 2 incognite. Nel secondo caso si ottengono rette, circonferenze,
parabole, i perboli ed ellissi.
Da.ti due sottoinsiemi algebrici .91 e fÀ di grado a.l più 2 del piano cartesiano, di
equazioni rispettivamente P(x, y) = O e Q(x, y) = O, si definisce il luogo comune di
·�

.91 e � come l'insieme di punti P appartenenti sia ad .PI che fÀ, ossia l'insieme dei
punti dell'intersezione Jl1 n fÀ.
Dal punto di vista algebrico si tratta di risolvere un sistema in 2 equazioni e 2
incognite (Matematica, § 2.3), ossia:
.f
P(x, y) = O;
Q(a:, y) = O.
{

Le soluzioni del sistema, che sono coppie di numeri (x, y), sono le coordinate dei
punti cercati.
j
I casi comunemente affrontati sono le intersezioni tra 2 rette o tra una retta e una I

ser.tione conica, mentre in generale l'intersezione tra 2 coniche è di ardua risoluzione in


quanto si tratta di risolvere un sistema iu 2 equazioni cli secondo grado e 2 incognite.
Diciamo che una retta r e una conica PI sono tangenti se l'intersezione 1· n .PI si
riduce ad un unico punto P. Altrimenti, si pos::;ono verificare i casi in cui l'intesezioue
è vuota (11011 ci sono punti in comune), oppure l'interscz,ione è data da due punti
distinti.
� Se tma retta intersecata con una parabola o un'iperbole è parallela all'asse
di simmetria nel primo ec·,so o a un asintoto nel secondo caso, allora si ha
un solo punto di intersm�ione che tuttavia uon è di tangenza.
Esempio Determinare il luogo comune all'iperbole f di equazione xy = 2 e alla retta
di equazione y = 3x e dire se 1· è tangente a .f o meno.
7'

+4 X

Figura 3.12: Intersezione tra l'iperbole xy = 2


e la retta y = 3x.

Si tratta di risolvere il sistema.: :;


{xy = 2;
;i Y =3x.
J
t Sostituendo y = 3x nella prima equazione si ottiene 3x = 2, da cui x 1,2 = ±y'ff3,
2
4

� da cui y 1,2 = ±3y'ff3 == ±./6. Dunque si ha Jnr = {( y'ff3, ./6); (-y'ff3, -./6)}.
,I
t':I Essendo l'intersezione data da 2 punti, si conclude che r non è tangente a .f.

68
Capitolo 4

Trigonometria

Introduciamo in questo capitolo un nuovo potente strumento per lo studio della


geometria e degli angoli in particolare: la trigonometria.

4.1 Misura degli angoli

·--- .... .. , ...


...

amd =­
r

o..,; � Figura 4.1: L 'angolo a in radianti.

Consideriamo una circonferenza Cfl e osserviamo che la lunghezza di un arco A di


W è proporzionale all'ampiezza dell'angolo al centro a che definisce A. Sia r il raggio
di W; definiamo come unità di misnra degli angoli, detta radiante e abbreviata in
rad, un angolo il cui arco associato su W ha lunghezza pari ad r. Segue che la misura
di qualsiasi angolo (al centro) a è l/r, dove l è la lunghezza dell'arco corrispondente.
Chiaramente, se Cfl è di raggio unitario (cioè, r = 1), allora la misura in radianti di a
è l/1 = l.
Dunque, poiché un augolo giro (360° ) definisce come arco corrispondente Cfl stesso,
la misura in radianti dell'angolo giro è pari a 21r e, pi·oporzionalmentc, un angolo piatto
misnra 1r, un angolo retto 1r/2, ecc.
.
Esempio da Artquiz: A quanti radianti corrispondono 225 ° '!
È sufficiente notare che un angolo pari a 1r radianti è 180° , dunque 225° = 51r/4.
In altre parole abbiamo stabilito la proporzione 225° : 180° = x : 1r, dunque:

= 2250 . 11"
X = 51r/4.
180 °

69
Capitolo 4 Trigonometria © Artquiz

Tabella 1J. l: Conversione di alcuni angoli


Angolo (gradi) Angolo (radianti)
notevoli da gradi sessagesimali a radianti.
360 ·27f
180 7r
90 1r/2
60 1r/3
45 1r/4
30 7r /6 ':

4.2 Coseno, seno, tangente e cotangente di un angolo


Nel piano cartesiano consideriamo la circonferenza Ceff' di raggio unitario con centro
O= (O, O), quindi di equazione x2 + y 2 = 1.
Dato un angolo a, realizziamo tale angolo utilizzando la semiretta s contenuta
nell'asse x, di eBtremo O e ascisse positive (ossia, la semiretta {(x, O) tale che x >O})
e la semiretta s' di estremo sempre O e ottenuta ruotando in senso antiorario s di un
angolo pari ad a. Si estende la definizione nel cru:;o a < O ruotando in senso orario di
1111 angolo lai.
Sia P = ( x p, yp) il punto in comune a <:cf e s' (ossia, { P} = '@' n s'). Si definiscono
coseno e seno <li a, e si scrive rispettivamente co�(n) e sin(a), come segue:

cos(a) = xp; Hin(o:) = yp.

Segue immediatamente che devono valere le uguaglianze in tabella 4.2:

Q o 1r/2 7r 31r/2 21r


Tabella 4.2: Coseno e seno di multipli
dell'angolo retto.
cos(n) 1 o -1 o 1
siu(a) o 1 o -1 o

Dopo aver notato che da a = 1r/2 + k1r, k E Z segue cos(a) = O, si definisce la


tangente di a per a # 1r/2 + k1r, k E Z:
_ sin(a) _ YP
tanct
( )- - .
COS( Q) Xp

�. Similmente, per a# k1r, k E Z si definisce la cotangente di a: �



'·I cot(a) =
cos(a)
=
xp
.
sin(a) 1/P

Si osservi che nella Figura 4.2 i triangoli OCD e OAB sono simili, essendo retti
.:j
f
in Ce A e avendo l'angolo x in comune. Dunque è verificata la proporzione
OC: CD= OA: AB. F.osendo OC= cos(x), CD= sin(x) e OA = 1, segue che:

CD· OA sin(x) · 1 ·
AB = ---,=-- = _...;.....;.._ = tan(x)
OC cos(x)

70
@ Artquiz MATEMATICA

I:� c�:1---

Figura 4.2: Coseno, seno e tangente


di un angolo x.

Si noti infine che la stessa relazione valo anche se il punto D si trova in qualsiasi
altro quadrante, tenendo in considerazione il segno di seno e coseno.
Utilizzando il teorema di Pitagora e delle semplicissime considerazioni geometriche
non è difficile dimostrfl.,re che per gli angoli 1r/3, 1r/4 e 1r/6 valgono i seguenti valori di
seno e coseno:

a cos(a) sin(a) tan(a)

7r / 3 1/2 VJ/2 V3
1r/4 V2 /2 V2/2 1
1r/ 6 VJ/2 1/2 -/3/3

Tabella 4.3: Coseno, seno e tangente di angoli particolari.

Esempio da Artquiz: Determinare il più grande tra i seguenti numeri:


cos(40° ), sin(30° ), cos(20 ° ), cos(60 °) e sin(50° )
Si tratta di calcolare i valori delle funzioni proposte. Dopo aver osservato che se
O < a < 90° vale sin(a) = cos(90 ° - a), tali valori sono, rispettivamente, cos(40° ),
cos(60° ), cos(20° ), cos(60 ° ) e cos(40° ). Essendo il coseuo decrescente per angoli tra
0 ° e 90° , si conclude che il valore massimo tra quelli proposti è cos(20° ).

4.3 Uguaglianze e relazioni trigonometriche


Riportiamo di seguito una serie di identità e relazioni trigonometriche fonda­
mentali delle quali omettiamo le varie dimostrazioni.
Dal teorema di Pitagora risulta evidente che:

cos2 (x) + sin2 (x) = 1 per ogni x E JR..

71
Capito lo 4 Trigonome tr ia @ Artquiz

a
Dalle definizi oni se gue immediatamente che:

• -1 � cos(x) � 1, -1 � sin(x) � 1; o
• cos(x) = cos(x+21r), sin(�)= sin(x +21r);
o
• tan(x) = tan(x+1r);

• cos(x) = cos(-x), sin(x)= -sin(-x). " ' o


Relazione tra seno e coseno o
sin(x) = cos (x- i), cos(x) = sin (x+i).

Siano x, y E JR, allo ra valgono le seguenti formule:

Formule di duplicazione

sin(2x) = 2 sinxcos x, cos(2x) = cos2 x-sin2 x.

Formule di bisezione

o
_ 1 -cosx
. 2( x/2 )
sm -
2
, cos2 (x/2 ) = 1 + cosx

Formule di addizione e sottrazione

sin(x+y) = sinxcosy+siny cosx;


cos(x+y) = cosxcos y-sinx sin y;
.o
sin(x-y)= sinxcosy-sinycosx;
cos(x-y) = cosxcosy+sinxsiny.

o
Formule di Werner e Prostaferesi

sinxcosy·= �(sin(x+y) +sin( x-y));


1
cosxcosy = (cos(x+ y) +cos(x- y));
2 t'
sinxsiny= �(cos(x-y)-'cos(x+y));

o
,,,
x x
I!. '
sinx+sin y= 2 sin ( ; cos ( ; y) Y);

o
. . . x-y x+y
smx-smy= 2 sm ( - -) cos ( - -) ;

·'l r, 2 2
COS
X
+ COS y = 2 COS ( X ; y) COS ( X ; y) ;
x y x
cosx -cos y = -2 sin ( ; ) sin ( ; Y)
72
@ Artquiz MATEMATICA

Esempio da Artquiz: Il seno di un angolo di 75 ° è uguale a?


Per la formula del seno di una somma vale:
sin 75° = sin(30 ° + 45° ) = sin30° cos45 ° + cos30° sin45° =

! v'2 + 2
22
v'3 v'2 = v'2 + v'6 = v'2 (1 + v'3).
2 4 4 4
Esempio da Artquiz: L'espressione goniometrica sin(9a) - sin(3a) equivale a7
È un'applicazione diretta della formula di prostaferesi, cioè di:
, .
smx - smy =2sm
. (X - y)
-
(X+ y)
- cos - - ,
2 2
dove x = 9a e y = 3a. Si ottiene quindi:
90 30 90 3
sin(9a) - sin(3a) =2sin ( ; ) cos ( ; a) =2sin (3a) cos (6a),

4.4 Equazioni e disequazioni trigonometriche


Un'equazione trigonometrica è una scrittura del tipo f (x) = O nella quale , in /,
cpmpaiono una o pii1 funzioni trigonometriche, ossia coseno, seno, ecc. Ln. trattazione
approfondita di tale argomento esula dalle finalità del p�·eseute manuale, pertanto ci
limitiamo n.d analizzare gli aspetti principali emersi dai quiz passati.

Equazioni elementari
Le equazioni elementari souo quelle riconducibili alla seguente equazione:
·sin(x) = a, (4.1)
( oppure, cos(x) = a, ecc.). Si osserva preliminarmente che l'equazione 4.1 non ha
soluzioni se !al > 1. Inoltre, siccome la funzione seno ha periodo21r, le soluzioni
dell'equazione 4.1, qualora esistano, sono sempre del tipo a+2k1r e 1r - a+2k1r, con
a E {O :5 x <21r} tale che sin(a) = a e k E Z.
Invece, un'equazione del tipo: ·
cos(x ) = a, (4.2)
qualora le soluzioni esistano (lal � 1), sono sempre del tipo ±a+2k1r, con a E {O :5
x <21r} tale che cos(a) = a e k E Z.

Esempio da Artquiz: L'insieme delle soluzioni in x dell'equazione trigonometrica:


sin2 x -4 sinx + 4 = O è:
Vuoto. Infatti, l'equazione equivale a ( sinx -2) 2 = O, ossia sinx =2. Dunque,
non esistono soluzioni reali.

Esempio: Si risolva in x l'equazione trigonometrica2cos2 x + cosx - 1 = O.


Per semplificare la scrittura, conviene porre cos x = t. La soluzione dell'equazione
di partenza è equivalente alla soluzione dell'equazione algebrica2t 2 + t - 1 = O, che
ha soluzioni:
-1 ± J1 +s 1 . ��·,
ti, 2 =
4
= -1,

73
iru Capitolo 4 'Iì-igonometria © Artqui�

Dunque, l'equazione proposta si può scrivere come 2(cosx + l)(cosx - 1/2) = O,


le cui soluzioni sono gli x tali che cos x = -1 oppure cos x = 1/2. Si conclude che
:e = 1r + 2k1r oppure x = ±1r/3 + 2k1r con k E Z. o

Disequazioni
Si osservi la relazione fondamentale per ::ieno e coseno:
-1:::; cos(x):::; 1, -1:::; sin(x):::; 1,
dalla quale segue che disequazioni del tipo sinx > a con a > 1 o sin x < a con a < -1
(lo stesso vale per il coseno) non ammettono solm�ioni.
Viceversa, se lal � 1, allora si può procedere risolvendo l'equazione associata e poi
guardando il cerchio trigonometrico in Figura 4.2 per stabilire l'insieme di soluzioni S
nell'intervallo {O:::; x < 21r}. Influe, si considerano tutte le soluzioni (in JR) partendo
da Se prolungando tale insieme per periodicità.
Per le funzioni tangente e cotangente non ci sono problemi, in quanto entrambe
assumono tutti i valori reali. Si faccia però attenzione:
• che la funxione tangente è crescente;
• che la funzione cotangente è decrescente;
• che entrambe hanno periodo 1r (Matematica, § 5.4.3).

Bsempio da Artquiz: Nell'intervallo { O :::; x < 21r} la disequazione cos :e > sin a: è
verificata per:
{O:::; x < 1r/4} U {51r/4 < x < 21r}. Infatti, la disequazione proposta equivale a
sinx sin :e
-- = tau x < 1 se cosx > O e a cosx -- = tau x > 1 se cosx < O.
cosx
Dalla Figura 4.2, si evince che:
• nel primo caso le soluzio�i appartengono all'intervallo:

{0 s:; X< 1r/4} U {31r/2 <X< 21r},


• nel secondo caso le soluzioni appartengono a:
. o
{51r/4 <X< 31r/2}.

I casi cos x = O, ossia x = 1r/2 oppure x' = 31r/2 sono immediati, e solo x' soddisfa
la disequazione propoota.
o
._'Y
Dunque l'insieme di soluzioni è dato da: .

{51r/4 < x < 31r/2} U {31r/2} U {O:::; x < 1r/4} U {31r/2 < x < 21r} =
{O :::; x < 1r/4} U { 51r /4 < x < 21r}.

;;
•• Si noti che se le soluzioni si fossero cercate in tutto JR, l'insieme risolutivo sarebbe
stato:
{51r/4 + 2k7r < x < 91r/ 4 + 2k1r, k E Z}.

74
Capitolo 5

Funzioni

5 .1 Introduzione
Siano A e B due insiemi non vnoti. Diciamo che f è una funzione da A in B, e
scriviamo f : A � B, se per ogni elemento :i; di A è associato un'nnico elemento y
di B, e in tal caso scriviamo f(x) = y. L'insieme A è detto dominio, l'insieme B è
detto codominio e y è detta immagine d� x tramite f. Nei casi di nostro interesse,
dominio e codominio (spesso indicati con Dom(f) e Cod(f)) sono solitnmeute insiemi
numerici o loro sottoinsiemi, quindi N, Z, Q o JR, mentre/ è solitamente data da una
legge matematica, ad esempio f(x) = 2x + 3 oppure J(x) = 2x , ccc.
Due funzioni f : A � B e .<J : A' -, B' sono ugna.Ii se e solo se A = A', B = B' e
per ogni x E A = A' vale J(x) = g(:z:).
� Le radici pari 11011 definiscono una fum:ioue. II problema non è dovuto
al fatto che non ammettono argomenti negativi; basta infatti usare come
dominio un sottoinsieme numerico contenente solo numeri positivi. II pro­
blema consiste nel fatto che la radice pari di un nmpero positivo non nullo
ammette sempre un valore positivo e il suo opposto additivo. Ad esempio,
,&'4 = ±2. Quando si parla di una radice pari come funzione, si intende
convenzionalmente che si considerano solo le radici positive, quindi in tal
cuso varrebbe, ad esempio, .if.i = 2.
Le funzioni si usano spesso per calcolare quantità che dipendono da nn certo valore
indipendente, come si vede dal seguente esempio.

Esempio da Artquiz: Un triangolo isoscele ha base lunga 12 cm e x rappresenta la


lunghezza di ciascuno dei 2 Iati uguali. Quale formula espl'i�e l'area S del triangolo
in funzione di x?
L'altezza relativa alla base divide quest'ultima in 2 parti uguali (lunghe 6 cm
ciascuna). Per il teorema di Pitagora h = .,Jx2 - 62 • La formula richiesta segue dal
calcolo:
S = bh/2 = (12\/'x 2 -62 )/2 = 6\l'x2 - 62 •

5.2 Le proprietà delle funzioni


Per descrivere una funzione è necessario preliminarmente definire alcune sue proprietà
fondamentali.

75
r © Artquiz l
I' Capitolo 5 Funzioui
(

5.2.1 Dominio di una funzione


Spesso una funzione viene succintamente definita solamente tramite la legge f che
determina come ottenere da un elemento x la sua immagine y = f(x). Un problema
che spesso si pone è il seguente: fissata una legge f, trovare il più grande dominio
D dove f è ben defluita (al posto del termine "dominio" vengono usati anche altri
termini: insieme di definizione, campo di esisten�a, ecc.). Presentiamo un elenco delle
situazioni più comuni:

1. se in f compare una frazione ��:� , si devono escludere dal dominio gli elementi x
tali che h(x) = O;
2. se in f compare una radici pari 2
yg{x), si devono escludere gli elementi x tali che
g(x) < O;
3. se in f compare un logaritmo Ioga g(x), si devono escludere gli elementi x tali che
g(x) � O.
Dall'elenco precedente si evince che per studiare il dominio di nna legge f si deve
saper risolvere, rispettivamente, nel primo caso un'cquai,ione, negli altri due casi una
disequazione (Matematica, § 2).
1
Esempio da Artquiz: II campo di esistenza della funzione f(x) = �::
./x2 -1
L'insieme nel quale la radice ha senso e 11011 assume valore O, ossia x 2 - 1 ?: O e
./x 2 - 1 =J=. O, dunque :.i: 2 > 1.
Quindi il dominio D di f è dato da D = {x < -1 ex> 1}.

5.2.2 La funzione inversa


Data una fun7,ione f : A --t B diciamo che f è invertibile se esiste una funzione
g: B --t A tale che y(f(x)) = x per ogni x E A e tale che f(g(y)) = y per ogni y E B.
Si può dimostrare che questo è possibile se e solo se:
1. per ogni coppia di elementi x, x' E A tali che x =J=. x' vale f(x) =J=. f(x'). In tal caso
si dice che f è iniettiva;
2. per ogni y E B esiste un elemento x E A tale che f(x) = y. In tal caso si dice che
f è suriettiva.
Si presti attenzione al fotto che non tutte le funzioni sono invertibili,, ad esempio
f(x) = x2 11011· ammette una funzione inversa perché per ogni x =J=. O si Ivi x2 = (-x) 2
(oppure perché per ogni y < O non esiste x tale che x 2 = y).
Spesso per l'invertibilità si chiede che la funzione f : A --t B sia solo iniettiva, e
si considera come codominio l'im�ieme B' di elementi y di B che sono immagine di
qualche elemento x di A, ossia tali che y = f(x) per un qualche x.
' ' Addirittura, se si restringe il dominio A di f ud un Rottoinsieme A' ç A, si
può ottenere l'iniettività, e a quel punto si può considerare l'inversa della funzione
!r; � .
: i�· -
f: A' --t B.
Ad esempio, x 2 è bicttiva 1 nell'irn;ieme dei numeri positivi JR+ = {x?: O} e assume
1 Una. fun�lonc che è sfo iniettiva. che suriettivo è detta biettivo.

76
© Artquiz MATEMATICA

valori positivi, dunque l'inversa, <letta radice quadrata, è la funzione 0: � + ·-, ]R+
definita da y'x = y <=> y n = :1:.
A titolo di esempio, riportiamo le principali fun�ioni inverse:

r Funzione 1 1 1- 1 I Dom(f-1) I Cod(f-1) I Legge 1-1


xn ,n ·pari v'x ]R+ ]R+ y'x = y <=> y" = X
x", n dispari y'x IR IR y'x = y <=} y" = X
ex Inx IRJ" = {x > O} IR In x = y <=> eV = x
siux arcsinx [-1, 1] I t, �I arcsìnx = y <=> siny = x
cosx arccosx [-1, 1] [O, 1r] arccos x = y <=> cos y = x
tanx arctaux IR 1-.t, �[ arctan x = y <=> tan y = x

Ta.bella 5.1: Elenco delle funzioni inverse principali.

3 -3 ·
. L a fuuz10ne
. d a A rtquiz:
Esernpw . mversa
. c1·1 f (x) -= ---
x e' espressa
. d aIl'equazione:
3
X=--.
3-y
Infatti, dopo aver ristretto il codominio a {�: E IR tali che x # 3}, basta porre
3x - 3
y= da cui ottenere �:y = 3x - 3, poi xy - 3x = -3, quindi x(y - 3) = -3 e
:i:
cooì giungere all'eqnm�ione cercata.

5.2.3 Zeri di una funzione


Data una funzione f : A � B si definisce l'insieme degli zeri di f come l'insieme Z
contenuto in A tale cbe per ogni x E Z vale f(x) = O e se x (/: Z allora f(x) # O. In
tal caso, x E Z è detto 11110 zero di/.
La ricerca dell'insieme degli zeri di una funzione si riduce-quindi alla ricerca delle
soluzioni dell'equazione J(x) = O (Matematica, § 2).
4
Esempio da Artquiz: La funzione f(x) = 4+x
non ha zeri.
2

Ilasta notare che il numeratore non assume mai valore O.

5.3 Grafici di alcune funzioni fondamentali


Data una funzione f : A� IR il grafico di/, scritto W(f), è il sottoinsieme del piano
cartesiano i cui punti hanno coordinate (x, f(x)) al variare di x E A.
Quindi, ad esempio, il punto di coordinate (1, e) appartiene al grafico di ex , infatti
(1, e) = (1, e 1 ), mentre invece il punto di coordinate (O, O) non appartien e al grafico
di ex in quant,o (O, e0 ) = (O, 1) # (O, O).

Esempio da A1-tquiz: II grafico della funzione f(x) = log 1 0(x - 2):.


Giace tutto nel primo e quarto quadrante. Infatti, il dominio deve essere·x-2 > O,
quindi x > 2 (escludendo così il secondo e il terzo quadrante). Inoltre il logaritmo
assume sia valori negativi che po8itivi, quindi il grafico giace sia nel primo che nel
quarto quadrante.

77
Capitolo 5 Funzioni @ Artquiz
,1

+2 -2 +2

(a) f(x) = x2 (b) f(x) =x 3 (e) f(x) =e "'

Figura 5.1: Grafici di funzioni {la parte).

+I.O

+2.0 +3.0 +4.0


+I.O
-I.O

---·-"'· -I.O -3.0


-�I.O +2.0

(a) f(x) = ._fi (b) f(x) = if:i; (e) f(x) = h1x

· Figura 5.2: I grafici delle funzioni inverse della Figura 5.1.

y y:

+I.O +I.O

;,
,,
,.
ii
------- -
1.0
7. ---·- +1.0
··-·x·
I �1.0 �2.0 ...3_0 x
;,
t
f.
-I.O -I.O

[,

(a) f(x) = sinx (b) f(x) = cosx (e) f(x) = tanx

Figura 5.3: Grafici di funzioni {2a parte).

78
© Artq11iz MATEMATICA

yr yl '1

+I.O +w2

·--- -Ù /f ----+I.O --·y +I.O +2.0 x

-I.O -ru2

___________ ,______.____..
-I.O
,

(a) f(x) = arcsinx (b) f(x) = arccosx (e) f(x) = arctanx

Figma 5.4: I grafici delle funzioni inverse della Figura 5.3.

5.4 Limiti e calcolo differenziale

5.4.1 Limiti di una funzione


In questo paragrafo si introducono i concetti e le definizioni di base che ci permette­
ranno di sviluppare la teoria dei limiti di una funzione.
Introduciamo due nuovi elementi, indicati con +oo e -oo (si legga "più influito e
meno influito"), aIFinsieme JR e definiamo il concetto cli intorno come segue:

• un intorno I di xo E JR è un sottoinsieme del tipo I = { a < x < b} contenente xo;

• nn intorno I di +oo è un sottoinsieme del tipo I= {a< x} con a E;:: R.;


• un intorno I di -oo è un sottoinsieme del tipo I= {x < b} con b E JR.

r Siaùo ora A e B sottoinsiemi di JR e f una funzione f: A � B. Inoltre, sia dato un


elemento xo E JR o x 0 = ±oo tale che per qualsiasi intorno J di xo esista un elemento
x E A nI. Si dice che il limite di f per x che tende as x 0 è L (con LE JR o L = ±oo)
e si scrive:
Iim J(x) = L
:c ---U;o

se e solo se per ogni intorno J di L esiste un intorno I di xo tale che per ogni elemento
x E A n I vale J(x) E .J. Dalla definizione segue che, in generale, il limite di una data
funzione non necessariamente deve esistere.
Una funzione è continua in xo se vale:

Iim f(x) = J(xo),


:i:-t:co

Tutte le funzioni elementari e loro somme, prodotti, inverse e composizioni sono


continue.
Per i limiti vale un'algebra (che riportiamo qui di seguito) per la quale si intende
chef: A -+ JR e g : A� JR sono due funzionf per le quali hanno senso le qpei-azioni
specificate e xo E JR o xo = ±oo è tale che ha se:t;1so il calcolo dei limiti. Inoltre, dato

79
TP

Capitolo 5 Funzioni @ Artquiz

e E JR, si assume convenzionalmente che:

(±oo) + (±oo) = ±oo; ± oo +e = ±oo;


(±oo) · (±oo) = +oo; (±oo) · (=Foo) = -oo;
± oo·c= {±oo see> O
c
- = O·
± )
=fOO se c < O.
I:
00

11
Non sono definite invece le operazioni:
±oo o
-· ±oo
+oo + (-oo); ±oo· O;
±oo' o' o·
Con queste premesse, e dati:

lim (x)
x-+xo f
= L; lim g x) = L'
x-+xo (
si può dimostrare che valgono questi limiti:

lim (x + g( x) = L + L'; lim (x · g(x) = L · L';


x-+xo f ) x-+xo f )
(5.1)

Hm f x = �-
( )
x-+xo g( X) L' '
lim
x-+xo lf(x)I = ILI. (5.2)

Per alcuni importati casi, non definiti dall'algebra dei limiti, si può dimostrare che
valgono i seguenti limiti:
xn Iog a x
lim -
x-++oo ax
= Oi Iim
x-++oo x
= O; lim xn Ioga x
x-+0
= O; per ogni n E N, a> 1;
. -
n

. 1 x In{l + x) . cx 1
hm (1 + - ) = e; hm ---- = 1; hm --- = 1;
x-+±oo X x-+0 X X-+0 X
. sin x ' 1- cos X
I1m -- = 1 ; Ilm = 1/2.
x-+0 X x-+O x"

2x11
Esempio . da A rtquiz:
. L'espressione
. 1·
1m C7i + x è :
1:·
• x-+O 1 + vx3
O. Infatti, si tratta di un limite che si può calcolare direttamente, essendo tutte
[t,
I! le funzioni elementari e quindi continue. Dunque, x11 tende a O così come ./x3 e
1. 4 ovv iamente x stesso. Applicando poi l'algebra dei limiti delle uguaglianze 5.1 e 5.2 si
ottiene che l'espressione data è del tipo � + O, e il limite tende quiti,tli a O.
I� 1+0 t

5.4.2 Derivata di una funzione


Il1,,
ltl

I I
Data una funzione f : A -+ JR la derivata di f in un punto xo interno al dominio A
'' è data dal limite del rapporto incrementale:
f(x) - f(xo)
I1. m , (5.3)
x-+xo X - Xo

purché detto limite esista e sia finito (cioè sia un numero reale).

80
@ Artquìz MATEMATICA

II significato matematico e geometrico della derivata è legato aIPandamento della


funzione f nelle vicinanze di xo; infatti, la derivata "quantifica" la relazione tra f(x)
e f (xo) contenuta nel termine J(x) - J(xo) (si veda la definizione 5.3) rispetto alla
variazione di x vicino a x0 (variazione contenuta nel termine x - xo della definizione
5.3). In altre parole, si studia come varia la variabile dipendente f(x) in relazione
alla variazione della variabile indipeJ?.dente x vicino xo.
Nel caso in cui una funzione f : A � JR sia derivabile per ogni x E ,:4 si dice che
tale funzione / è derivabile. In tal caso, facendo uso della notazione:
J(x) - J(xo)
f'(Xo) - 1.lm
_ X-tX u X - XQ
si può defluire una nuova funzione f' :. A � R, detta la derivata prima di /.
Ripetendo questo procedimento, ove possibile, si ottengono la derivata seconda,
· , via
t erza e cosi . (f" , f"' , . . . J(i) , ....
)
Non è difficile dimostrare che valgono le seguenti regole per la derivazione di somme
e prodotti di funzioni:
(J + g)'(x) = J'(x) + g'(x); · (Jg)'(:i:) = J'(x),q(x) + J(x)g'(x). (5.4)
Inoltre, sotto opportune condbdoni di generalità, si può dimostrare che la derivata
di una composizione di funzioni/ e g e della funzione inversa 1- 1 verificano le seguenti
I

uguagI•ianze:
(J g)'(x) = J'(g(x)). g'(x); u- )'(x)= �
1
... . � �� .
Utilizzando anche le considerazione sul calcolo dei· limiti, si può dimostrare che
per le funzioni elementari le relative funzioni derivate sono le seguenti:

Funzione Derivata Funzione Derivata


costante o sinx cosx
a
x axa-1 cosx -sinx
ex ex , ta.nx 1 + tan 2 x
ax ax Ina arcsinx 1/-/1- x2
Inx 1/x arccos:t: -1/-/1- x2
Ioga x 1/ (x In a) arctanx 1/(1 + x2 )
Tabella 5.2: Elenco delle fm1zioui derivate principali.
,'

Infine, con il termine integrale indefinito di una funzione f: A� R si intende una


qualsiasi funzione F : A � R tale che F' = f per ogni x E A e si scriverà:

F' = j f(x) dx.

Esempio da Artquiz: La derivata della funzione J(x) = 5x+2 Inx (con Inx logaritmo
in base e di x) è:
5+2/x. Infatti, si usano le regole di derivazione in 5.4 in quanto si sta trattando la
derivata di una somma, quindi si ottiene la somma delle derivate di 5x e 2 In x: a loro
volta questi due termini sono prodotti, quindi con la regola 5.4 per il prodotto e dalla
Tabella 5.2 si giunge a (5)'x+5(x)' +(2)' Inx+2(In x)' = 0,x+5· 1+0-In x+2· (1/x) =
5+ 2/x.

81
Capitolo 1 G!:andezze fisiche e uuità di misura @ Artquiz
f'.[f
�h

Ogni gra11 dez1.a fisica è caratterizzata da una unità di misura, oltre alle unità fon­
damentali esistono quelle da esse derivate che hanno delle dimensioni legate alle leggi
dalle quali vengono derivate. Il calcolo dimensionale permette di verificare la corret­
tezza di qualunque espressione di una grandezza fisica. L'espressione delle dimensioni
di una grandezza fisica si indicano come potenze in parentesi quadra dei simboli delle
dimensioni delle grandezze fondamentali. Per la meccanica i simboli sono L per la
lunghezza, M per la massa, T per il tempo.
Ad esempio:
• le dimensioni della velocità sono: [velocità] = [spazio)/[tempo] = [L]/[T];
• le dimensioni del volume sono: [volume) = [L3 ].

Il
Altro sif>tema adottato in passato era il CGS, che utilizza come unità di misura
fondamentali il centimetro, il grammo e il secondo.
Per passare da un s�tema di unità di misura ad un altro occorre utilizzare i fattori
di conversione, ad esempio 1 metro= 100 cm.
o
,I

1.2 Multipli e sottomultipli delle unità di misura


In fisica, visto il grande intervallo di valori che si può incontrare nel misurare una

o
stessa gro.ndez¼u., è necessario l'uso di multipli e sottomultipli:
'

·� p

101s
1,,
:'1 exa: deci: 1 0-1
10-2
'1
I
peta: 10 15 centi:
1012

tera: milli: 1 0-3

: - M ulflpl'l = {
giga: 1 09
Unità: 10° . Sottomultipli �
micro: 10- 0
·.l�
,j mega: 100 nano: 1 0- 0
10-1 2
·;

jl· kilo: 103 pico:


• etto: 102 femto: 1 0- 15
i:
r.
'I "
deca: 101 atto: 10-18
·�
1.3 Grandezze scalari e vettoriali
I risultati di una misura possono esse re espressi da due tipi diversi di grandezze.
Il primo tipo è costituito dalle grandezze scalari che, una volta stabilita una unità
M: di misura, sono definite da un numero. ,
'' i
.I

l Il secondo tipo è costituito dalle grandezze vettoriali, che sono definite solo quan-
do di esse si conoscano il valore numerico (modulo), una direzione e un verso. Anche
I
il punto di applicazione di una grandezza vettoriale può essere importante.
I I vettori godono di proprietà. particolari, come di seguito indicate. Il prodotto di

n:n grarnlezza scalare per un vettore è sempre un vettore.
I •

Somma tra due vettori


1. a+b=c;
2. regola. del parallelogramma (Fig. 1.1 ).

84
@ Artquiz FISICA

·�-__:.--�e (a) e
e
o
(b) O B
o b
Figura 1.1: Somma di due vettori secondo la regola del parallelogrammo.

II vettore c, somma dei vettori a e b, è la diagonale del parallelogramma costruito


con i vettori a e b disposti in modo da avere l'origine in comune.

Differenza fra due vettori


1. e= a - b;

2. e= b- a.

A 1 A 2

Figura 1.2: Differenza tra due vettori.

Nella parte 1 della figura è indicata la differenza e = a - b.


Nella parte 2 della figura è indicata la differenza e= b - a.

Prodotto scal are di due vettori


Si veda la Figura 1.3.

A•B= IAf • IBI • cos 8

Figura 1.3: Prodotto scalare di due vettori.

85
Capitolo 1 Grande7.7.e fisiche e nnità di misura @ Artquiz

'�11
Questo prodotto dà come riimltnto una grn.ndez1.a scalare il cui valore è il prodotto

dei due moduli per il coseno dell'angolo fra. i vettori. Il prodotto scalare è simmetrico,
'I cioè non dipende dall'ordine dei fattori.
:1
� Prodotto vettoriale di due vettori
� Si veda la Figura 1.4.
11
�i
�·lii
11
B x A :;; IBI • IAI • sen {)
�!

'
il�.

o
,,
•I i

l:·_
.. 1
A x B = IAI • IBI • sen {)
,,
;,.

t:
t1·�

1
':1•

Figura 1.4: Prodotto vettoriale di due vettori.

Il prodotto vettoriale fra, due vettori vieue indicato con il simbolo x. La dirc-.lionc
del vettore prodotto è perpendicolare al piano definito da A e B. Il verso è dato dalla
regola della vite.
Il prodotto vettoriale è una operazione 11011 simmetrica in quanto A x B -# B x A.
t
,..f.
1.4 Errore assoluto e relativo
\I
I
Quando si effettua una misura, il valore ottenuto non è generalmente preciso, quindi
il numero <li cifre significative utilizzate e l'errore di misura ci danno il senso della
.1•·
precisione della misura.
1
�1 ' Si definisce come errore assoluto l'errore che ha le stesse dimensioni della mi­
' sura e definisce l'ultima cifra significativa della misura. Esempio: per una misura di
lnngllezza 23,5 ± 0,1 m è nna misura corretta, invece 23,512 ± 0,1 è errata perché le
due nltime cifre significative della misura non hanno senso.
Si definisce come e�rore relativo il rapporto fra l'errore assoluto e la media dei
valori misurati, l'errore relativo è quindi una percentuale e non ha dimensioni.
I.,:'
'

,,; .f
.i
t

i,,n
lojj
,l

86
Capitolo 2

Cinematica

2.1 Introduzione
La cinematica è quella branca della meccanica che studia il moto di un corpo, mentre
non si occupa delle cause del moto. Il corpo viene locali'l'lato in un punto (punto
rappresentativo del corpo, a<l esempio il baricentro), quindi di quel punto materiale
si studia il moto.
Queste sono le grandezze base della cinematica:
• Spostamento, che si misura in metri [m].
• Velocità, che si misura in metri al secondo [ms-1].
• Accelerazione, che si misura in metri al secondo per secondo [ms-2].
Tutte queste grandezze sono vettori.

Il moto può essere in una o più dimensioni.. Le caratteristièhe di un moto sono


completamente determinate se sono note in ogni istante la posizione, la velocità e
l'accelerazione del punto. In pratica, è sufficiente conoscere la legge di variazione
nel tempo di una delle tre grandezze, poiché è possibile dedurre da essa le leggi di
variazione nel tempo delle altre grandezze. Di seguito vengono fornite le leggi di
alcuni moti semplici caratteristici.
In generale, va ricordato il fatto che se, in una determinata situazione, la velocità
è nulla questo non significa necessariamente che l'accelerazione sia nulla (e viceversa).

2.1.1 Moto rettilineo uniforme


Considerando:
• Xo = posizione iniziale;
• x = posizione al tempo t;
• vo = velocità ini'liale;
• v = velocità al tempo t;
• a = accelerazione.
87
·I

Capitolo 2 Cinematica @ Artquiz

Le equazioni che caratterizzano il moto rettilineo uniforme sono:


x-xo
x = xo + vot; V= Voi a=O; v=
t

X X

Vo

t t
J.i'igura 2.1: Moto rettilineo uniforme.

L'equazione dello spostamento (Fig. 2.1 a sinistra) è un > equazione di primo grado
dove il coefficiente angolare è la velocità; mentre Pequazione della velocità (Fig. 2.1
a destra) è rappresentata da una retta oriizontale.

2.1.2 Moto rettilineo uniformemente accelerato


Le equazioni che descrivono il moto rettilineo uniformemente accelerato (Fig.
2.2) sono:
1
a = costante; v = vo + at; Vm=
vo+v
2 ;
x = xo + vot + at2 i
2 a=
v-vo
t
dove, Vm = velocità. media.

X V

Xo

t t
Figura 2.2: Moto rettilineo uniformemente accelerato.
.,
·1
L'equazione dello spostamento (Fig. 2.2 a sinistra) è un'equazione di;secondo gra,..
do (segmento di parabola) dove il coefficiente angolare è la velocità> mentre l'equa­
I t zione della velocità (Fig. 2.2 a destra) è rappresentata da una retta il cui coefficiente
f,. �
angolare è l'accelerazione ..
h:t ,;l
� J

.,

lj 2.2 Moto in un campo gravitazionale e la balistica


La caduta dei corpi in un campo gravitazionale è un moto uniformemente accelerato.
La accelerazione di gravità è g = 9 >81 ms- 2•
La balistica è un esempio di moto in due dimensioni che studia il movimento di un

88
@ Artquiz. FISICA

proiettile lanciato in presenza di un campo gravitazionale. Per proiettile si consideri


qualunque oggetto battuto o lanciato con una generica velocità iniziale e lasciato
libero di percorrere la sua traiettoria (8i trascura l'attrito dell'aria e la rotazione della
�erra). Il moto osservato è di tipo parabolico, perché è presente una acceleraiione
costante lungo l'asse y dovuta alla gravità (Fig. 2.3).

y
Vy =0 ig
VxO

VyO �(!-----------,,--
Vxo X
.

Figura 2.3: Moto parabolico.

In particolare la componente del moto lungo l'as::;e x è un moto rettilineo uniforme,


··� mentre il moto lungo l'asse y è un moto uniformemente accelerato.
Le condizioni iniziali sono:
� '
Vox = Vo · cos0o 'Voy = vo · sen00
Durante la traiettoria avremo:

ay = -g ax = o Vx = Vox = VQ • COS0o Vy = Voy - g · t
Le componenti dello spostamento saranno:

x - Xo = Vox · t y - 'Yo = vo11 • t - 21 g · t2


Se punto di partemm e punto di arrivo sono alla stessa quota si può ca,lcolare
facilmente la gittata G del proiettile:

G
= v5 · sen20o
g
Questa relazione mostra che la gittata dipende dal quadrato della velocità di partenza
ed è massima quando sen:200 = 1, cioè quando l'angolo di partenza è 00 = 45° .

2.3 Moto circolare uniforme


Il moto circolare uniforme è il moto di un punto P che si muove lungo una circon­
ferenza di raggio R con velocità costante in modulo (Fig. 2.4). La velocità v con cui
si muove il punto si chiama vèlocità lineare. Il moto è soggetto ad una accelerazione
centripeta (perpendicolare alla velocità e diretta al centro)· in quanto la velocità pur
rimanendo costante in modulo cambia continuamente direzione.
La velocità con cui ruota il raggio R è la velocità angolare w (detta anche
pulsazione).

89
Capitolo 4 Statica © Artquiz

Uequivoco fra massa e peso nasce dallo scorretto uso delle unità di misura nel
linguaggio comune. Vunità di misura della massa è il kg, mentre J >unità di misura
del peso è il Newton (talora si usa il chilogrammo peso). Quindi, quando diciamo che
un uomo pesa 60 kg ci riferiamo alla sua massa, se diciamo che pesa 588 Newton ci
riferiamo al suo peso.

4.3 Densità e peso specifico

La densità d (o anche p) è il rapporto fra massa e volume (d = ; ) di un corpo e si


misura in chilogrammo per metro cubo [ML- 3]. Ad esempio la densità de!Pacqua è
1.000 kg/m3 .
Il peso specifico è il rapporto fra peso e volume (peso specifico = peso/volume).

o
Il p·eso specifico relativo è il rapporto fra il peso di una sostanza e quello di un
uguale volume di acqua distillata a 4 °Celsius e quindi un numero puro.

4.4 Forze elastiche


Le forze elastiche si osservano ad esempio quando si tende un elastico o una molla.

F = -k-x.
Il segno meno nella equazione è dovuto alla forza di richiamo che si oppone all'allun­
gamento, quindi riassumendo, per una forza elastica, avremo:

F = m · a = -k · x.

La forza elastica di richiamo è proporzionale ma di verso opposto alla accelerazione.

4.5 Forze di contatto


4.5.1 Reazioni vincolari
Un corpo in quiete appoggiato ad una superficie piana, sperimenta una forza uguale
e contraria a quella di gravità F0 che viene chiamata forza di contatto o reazione
vincolare del piano Fc :

Fc = -F9 •

•·,
Le reazioni vincolari sono quelle che impediscono ai corpi immersi in un campo
gravitazionale di penetrare nei piani di appoggio.
'
[r·
i/-t·
'
I

4.5.2 Forze di attrito


t�t
L >attrito è una forza di contatto, che una superficie di un qualsiasi materiale esercita
J� sulla superficie di un corpo a contatto con essa. La forza di attrito è parallela alle
I,.,I superfici di contatto e si oppone al moto del corpo.
Ogni coppia di materiali è caratterizzato da un coefficiente di attrito µ.

96
© Artquiz FISICA

4.5.3 Pulegge e corde flessibili


Una puleggia (o carrucola) è un dispositivo (macchina semplice) che consente di
variare la direzione di una forza.
Una corda flessibile trasmette una forza solo nel senso della lungher.lza.

4.6 Statica dei corpi estesi

La prima legge della dinamica è una condizione necessaria ma 11011 sufficiente per
l'equilibrio di un corpo esteso.

Importanza del punto di applicazione delle forze nei corpi estesi


Il primo principio della dinamica assicura l'equilibrio traslazionale (:EF = O) solo se il
punto di applicazione è sempre lo stesso per tutte le forze applicate. Quando le forze
applicate ad un corpo esteso sono applicate in punti diversi del .corpo il corpo può
entrare in rotazione (Fig. 4.1).

Figura 4.1: Corpo este_cw sottoposto ad una coppia di


forze parallele di u_quale entita ma di verso opposto
--- F2 applicate in punti diversi del COTJ)O.

Il corpo in Figura 4.1 non è in equilibrio e tende a ruotare. Le linee di azione delle
forze non coincidono e non passano per il baricentro del corpo, pertanto, anche se
F1 + F2 = O il corpo non è in equilibrio.

4. 7 Momento di una forza

La grandezza fisica che misura l'intensità del movimento rotatorio indotto da una
forna si chiama momento della forza r). Supponiamo una barretta r libera di
ruotare intorno al vincolo O (Fig. 4.2).

--·

Figura 4.2: Momento di una forza.

97
Capitolo 6

Dinamica dei corpi estesi

Le condi�ioni di equilibrio statico per un corpo esteso rigido sono:

�r = O; �F = O.

Tali condizioni sono necessarie ma non sufficienti (se un corpo è già in moto con­
tinuerà a muoversi, se sta ruotando continuerà a ruotare).
Se vogliamo variare la quantità di mdto deve essere: �F =/:- O. Analogamente per
variare la velocità angolare deve essere: �r = =/:- O.

6.1 Momento d'inerzia e momento angolare


Si introduce a questo punto una nuova grande��a, il momento di inerzia I rispetto
ad un a.sse di rotazione (Fig. 6.1), dove m è la mussa del corpo alla distan�a r dall'asse
di rotazione.

Figura 6.1: Momento d'inerzia di un


corpo libero di ruotare intorno ad un
asse O.

Il momento d'inerzia J del corpo in Figura 6.1 è dato da: J = m · r2 •


Per un corpo esteso di massa M = �mi dove mi è l'elemento di massa del corpo
alla distanza ri dall'asse di rotazione, il momento d'inerzia risulta: J = �mi1'?.
Se vogliamo variare la velocità di rotazione di un corpo esteso dovremo applicare
ad esso il momento di una forza r.
La legge di variazione della velocità di rotazione è: Ttot = I · a dove, a è l'acce­
lerazione angolare.
Cioè il prodotto del momento d'inerzia per l'accelera�ione rotazionale è uguale
alla somma dei momenti applicati ad esso. Questa legge è l'analogo rota;1,ionale della
seconda. legge della dinamica (F = m · a), infatti,_il momento d'inerzia è l'analogo
della massa e l'accelerazione angolare a è l'analogo dell'accelerazione; la diffel'enza
sostanziale è che mentre la massa è una proprietà intrinseca dei corpi che non varia

105
Capitolo 6 Dine.mica dei corpi estesi © Artquiz
nello spazio e nel tempo, i momenti di inerzia dipendono da!Passe di rotazione: al
variare di esso (o al variare di 1·i) varia anche il momento di inerzia. Quindi un corpo
,
esteso può possedere infiniti momenti d inerzia (per quanti possono essere gli assi di
rotazione).
Per un corpo in rotazione si definisce come momento angolare L ( detto anche

o
momento della quantità di moto) il prodotto:
L=I ·w

dove, I è H momento di inerzia e w è la velocità angolare. L è un vettore diretto lungo


Passe di rotazione ed è Panalogo rotazionale della quantità di moto (p = m · v).
A questo punto possiamo ricavare la seconda legge della dinamica. generalizzata
I
, per il moto rotatorio:
I;

'
,' 6.w 6.L
!. ET= I· a= I, - = -.
1l· 6.t 6.t

!
,
!1
..
-�
Questa legge ci dice che:
i�
' 1. la somma dei momenti agenti su un corpo è pari alla variazione nel tempo del
I·I momento angolare ed è analoga alla F = 6.p/ 6.t vista precedentemente;

i, o
,I

2. se su di un sistema non agiscono dei momenti di forze, il momento angola.re non


vn.ria (tale enunciato costituisce il principio di conservazione del momento angolare,
JL a.nalogo a quello di conservazione della quantità di moto in assenza cli forze).
i
,I
'
6.2 Urti
lt 1

:11. Possiamo dividere gli urti fra due corpt m due cutegorie: urti elastici ed urti
anelastici (sebbene esistono situazioni intermedie).

Urti completamente elastici


i;.
,· Sono caratterizzati dalla conservazione della quantità di moto totale p = m·v e
1 . .
delPenergia cinetica totale �( = m · v (vedi i principi di conservazione nei sistemi
2

,,. 2
, 1. conservativi).
:i- Dopo Purto, c >è conservazione di p e di J(, Punica soluzione possibile è J >inversione
del moto iniziale (ad esempio il rimbalzo di una palla perfettamente elastica).
"
·!'
Urti completamente anelastici ,:,:1.
\[
t�:: Sono caratterizzati dalla conservazione della quantità di moto totale, mentre Penergia
cinetica si trasforma, almeno i:Q parte, in calore (ad esempio il proiettile che colpisce
... i
e penetra in un albero).
f

"
�f

•rlt

106
Capitolo 7

Meccanica dei fluidi

I liquidi hanno volume definito, come i solidi, ma non hanno forma. definita (completa
deformabilità dei fluidi), mentre i gas non hanno né forma nè volume definito. La
massa dei fiuidi è distribuita nel volume occupato, e per caratterizzare la distribuzione
di uu fluido nello sp�io usiamo il concetto di densitii p (o n.uche ,1):
1n
p= -
V
dove, m. = massa e V = volume.
I liquidi sono poco comprimibili, quindi la. densità di un liqnido 'è nornmlmcl!te
costante in t;ntte le sue parti. Si definisce come densità relativa quella riferita all'acqua.,
presa come unità (la densità relativa è un numero puro).
La densità dell'acqua è 1.000 kg/m :l a 4 °C.

7.1 Statica dei fluidi. La pressione


Si definisce come pressione in un liquido in quiete il rapporto fra il modulo della.
componente della forz_a perpendicolare ad una superficie generica (anche all'interno
del liquido) e la superficie ste.<IBa (Fig. 7.1). Supponiamo un elemento cli superficie
1).8 interna. ad un fluido sulla quale agisce una forza F. 1

Fn

p= J!hl.
6S

Figura 7.1: Pressione in un liquido in quiete.

La pressione, in un punto cli un liquido in quiete, è la. stessa quahmq11c sia. la


superficie scelta in quel punto (se non fosse così il liquido entrerebbe in movimento,
ma allora non sarebbe più in quiete). Nei fluidi in quiete la pressione è una grandezza
scalare. La pressione si indica con p (o anche P) e le sue dimensioni sono M L- 1 T- 2•

107
Capitolo 7 Mcccnnica dE>i fluidi © Artquiz

q
7.1.1 Unità di misura della pressione
L'unità di misura della pressione nel S.I. è il Pascal (Pa) = Newton/m2 • Altre unità
di misura usate sono:
• Atmosfera: 1 atm = 1,013 · 10 5 Pa = 760 Torr;
• Bar: 1 bar = 10 5 Pa;
• Torr (mmHg): 1 torr = 133 Pa.
La pressione totale ?tot in una miscela gassosa è la somma delle pressioni parziali Pi:
'
I
' = BPi.
;I Ptot

,. In un fluido in quiete le forze tangenti alla superficie limite sono nulle (altrimenti
r si avrebbe scorrimento degli strati superficiali fino aWequilibrìo). Ne segue che le
,'l..i forze agenti su di un corpo immerso in un fluido sono perpendicolari alle superfici <li
u�,�' contatto. La pressione su di un elemento di superficie .6S interno al fluido non di­
pende dall'orientamento di .6S (altrimenti la superficie si metterebbe in movimento).
,.
11'
'
Dall'isotropia della pressione segue il principio di Pascal: la pressione interna si
i!,;j;
•j propaga uniformemente nel liquido fino alle superfici limite (le pareti del contenitore).
J

"•.,
,1f:
7.1.2 Pressione idrostatica
\
'
Se si considera solo il peso del liquido la pressione dipende dalla quota h (distanza
verticale dalla �mperficìe libera) secondo la legge di Stevino:
P=Po+ p · g · h
li,
dove, Po è la prcssio11e esterna al liquido e g è la accelerazione di gravità.
La legge di Stevi110 si applica solo ai fluidi con densità (p) costruite.
:;
r,
7 .2 Spinta di Archimede
Il principio di Archimede afferma che: un corpo immerso in un fluido riceve una
\ .
,f
spinta verso l'alto uguale al peso del liquido spostato.
lii
I•
I La spinta di Archimede SA è dovuta alla diversa pressione agente sulle superfici
superiore e inferiore del corpo di ,altezza .6h immerso in un fluido di densità d (Fig.
I

I
Il i 7.2).

,,
:�1¼'· 1

�,
',
,. I

I•
:·�
.j ·'
,.j
P1 = dgh1

I V= Sf.h

------ ·- ----..... ..

P2 = dgh2 Figura 7.2: Spinta di Archimede.



108
© Artquiz FISICA

La spinta di A rchimecle è dovuta ai diversi valori della pressione sulle superfici del
solido (nella Fig. 7.2 un cilindro) immerse nel liquido. Le pressioni sulla superficie
laterale del cilindro si annullano a vicenda e non contribuiscono alla spinta di Archi­
mede, quelle sulle basi del cilindro hanno valori diversi e quindi generano la spinta di
'Archimede SA. La spinta cli Archimede è una forza e, in base alla legge di Stevino e
al principio che F = p · S, avremo:
SA = P2 · S- P1 · S = d · g · h2 - d · g · h1 · S = d · g · S · l:l.h = d · g ·V = m · g
dove, m è la massa del liquido spostata dal corpo.
Questa relazione, ricavata per un cilindro, è generalizzabile per nn corpo immerso
di qualunque forma.
Gli effetti della spinta di Archimede dipendono dalla forza di gravità, dal rapporto
fra le densità del liquido e del corpo in esso immerso. Se il liquido è piil denso il corpo
galleggerà: se il liquido è meno denso il corpo andrà sul fondo, i.n caso di uguaglianza
avremo eq11ilibrio. La spinta di Archimede nei gas è circa un millesimo di quella in
acqua.
La densità dell'acqua è maggiore di quella del ghiaccio, e la massima densità
dell'acqua si ottiene alla temperatura di 4 °C.

7.3 Dinamica dei fluidi


Il moto dei fluidi è un fenomeno complesso e non esiste uu unico modello concettuale
per descriverlo.
Una grandezza che descrive il moto di un fluido che scorre con velocità v all'interno
di un condotto è il flusso o portata Q, ·definito come il volume V che attraversa la
sezione S del condotto nell'unità di tempo (Fig. 7.3).

s
vdt ) Figura 7.3: Flusso di un liquido
all 1interno di un condotto.

V S·v·dt
Ricordando che il volume V= S · v · dt, segue che: Q =
dt
= .. = S · ·u.

Equazione di continuità del flusso per liquidi incompressibili


Si veda la Figura 7.4.

kJ

F,
dt

l '. Figura 7.4: Equazione di continuità per


un liquido incompressibile.

Dall'analisi della Figura 7.4 emerge che:


• Il volume che attraversa nel tempo dt la sezione 1 è: dVi = S1 · v 1 '. dt.
• Il volume che attraversa nel tempo dt la sezione 2 è: dVi = S2 • v2 • dt.
109
Capitolo 7 Meccanica dei fluidi

• Essendo il liquido ìucompressibile risulta essere: S 1 · v 1 · dt


@ Artquiz

= S2 · v2 · dt, ossia:
o
S1 · v, = S2 · V2.
• La velocità all'interno del condotto e inversamente proporzionale alla sezione.
r,,
'I
Equazione di Bernoulli
,,il-
IJ·
t,! Questa equazione è valida per un sistema conservativo, cioè per un Huido incom­
pressibile e privo di attriti che scorre in 1111 condotto rigido nel quale si riscontrano Q
I!: variazio1 1i di sezione e di quota: Si applica il principio di conserva'l,ione dell'energia,

r pertanto l'energia totale di un liquido perfetto in moto stazionario attraverso un con­


dotto rigido di sezione e quota variabile è costante nelle diverse se'.lioui <li c,-sso cd è

�I
,,�IILI.»
data dalla somma di tre contributi che corrispondono al lavoro, all'energia potenziale
e all'energia cinetica. Divideudo ogni termine per il volume V si ottiene la relazione:

+ pgh1 + 2 pv 1 = P2 + p.Qh2 + 2 pv2 2 = costante


1 2
1
P1

dove, p = pressione, p = densità, !J = accelerazione di gravità, h.= quota, v = velocità.


I fluidi reali sono viscosi e la viscosità di un liquido dipende dalle forze di attrito
,. interno che ostacolano lo scorrimento delle molecole:� ii, movimento.
11
I,•

::
i
1· Tensione superficiale
�·-I!;.,! �� Nello studio dei liquidi è importante prendere in c0 1 1siden\.'l,io 1 1e le spechùi for:,,,e che si
1
t'
'I
' !ì manifestano alle loro superfici, quali conseguenze delle forze di coesione tra le molecole
1�1 del liquido (forze attrattive).
La superficie di un liquido si comporta, in un certo sem;o come mia mc1nbrana te�m,
per aumentare l'arca. snperficia.lc di un liquido bisogna quindi compiere un lavoro.
La tensione superficiale è una energia <li superficie legata alle forne di coesione ·
del liquido.
Quando un liquido è a contatto con un gas, un altro liquido o· un solido, oltre
alle forze di coesione che si esercitano fra le molecole, vanno considerate le forze di
attrazione tra le molecole del liquido e le molecole della sostanza a contatto, queste
sono dette forze di adesione.
La tensione superficiale cli un liquido all'interfaccia fra due mezzi, dipende dalla
natura di entrambi i mezzi. Se il liquido è all'interno di un tubo sottile (1· < 1 mm)
si osservano i Ìenomeni di capillarità. Anche questi fenomeni sono legati alla t<-msioue
superficiale. La superficie del liquido è incurvata (menisco) in vicinai.1'l,a delle pareti

D
del capillare.
Per un capillare parzialmente immerso in un liquido Of>'Serveremo che:�·
• se il menisco è concavo avremo un innalzamento della colonna <li liquido all'interno
del capillru·e;
• se il menisco è convesso avremo depressione della colonna di liquido all'intei·no dd
capillare.
Il fenomeno è dovuto al fatto che la tensione superficiale in queste condizioni
possiede una componente verticale in grado <li spostare il livello del liquido all'interno )

del capillare. Questo fenomeno è in grado di spiegare (almeno in parte) come fauno i
liquidi che si trovano nel terreno a raggiungere le foglie delle piante e degli alber,i.

110
Capitolo 8

Termodinamica

8.1 La temperatura
La temperatura T (o anche t) è la misura dell'energia cinetica molecolare interna.
media di un corpo. Più la temperatura è alta più l'agitar.ione termica delle molecole
in esso contenute aumenta.
Quando due corpi, a differenti temperature, entrano in contatto tendono nel tempo
a raggiungere l'equilibrio termico, cioè ad avere la stessa tempera.tura. La grandezza.
che i chtc corpi si scambiano per raggiungere l'equilibrio termico è il calore Q. Il calore
transita. dal corpo piii caldo a quello più freddo. Il calore è una forma di energia.
1\1tti i corpi si dilatano all'amnent.are della temperatura. (unica. eccezione l'acqua
che nell'intervallo fra. O e 4 °C si contrae ragghmgcmdo il massimo cli densità), in ge­
nere i liquidi si <lilata.no per effetto termico ph't doi solidi, e i ga� ancor cli più. Di
conseguenza, densità e peso 1:ipecifico sono grandezze variabili e dimhmiscouo con la
temperatura.
Molti termometri utilizzano la dilatazione dei liquidi per la misura della tempera.­
tura.

8.1.1 La misura della temperatura


Le scale di misura della temperatura più comunemente usate sono tre. La scala di
temperatura Celsius ( ° C) 1:ii costruisce attribuendo il valore di O °Calla temperatura
del punto H1:i1:iO del ghiaccio (cioè alla temperatura di fusione del ghiaccio alla pressione
di 1 atmosfera) e 100 ° C alla temperatma del punto fil:iso del vapore acqueo (cioè alla
temperatura di ebollizione dell'acqua alla pressione di una atmosfera). La scala di
temperatura Fahrenheit ( ° F) si costruisce attribuendo il valore di 32 ° F al punto
fisso del ghiaccio e 212 ° F al punto fisso del vapore acqueo. Questi sono i fattori di
conversione fra le due scale:
Te = �9 (TF - 32 °F) e Tp =
�-(Te + 32 °F).
5
La terza scala di misura della temperatura è la scala ussoluta delle temperature
(scala Kelvin K) che differisce d�la scala Celsius per la sccl�a della temperatura zero
(lo zero della temperatura Kelvin è lo zero assoluto).
TI( = Te + 273, 15 I<.
Nel sistema internazionale (S.I.) ::ii utilizza la scala Kelvin.

111
�,�!

!
Capitolo 8 Termodinamica @ Artquiz

;,

8.1. 2 Il calore
Quando due corpi a differenti temperature entrano in contatto tendono nel tempo a
raggiungere l'equilibrio termico, cioè ad avere la stessa temperatura. La grandezza
che i due corpi si scambiano per raggiungere l'equilibrio termico è il calore Q. Il calore
transita dal corpo più caldo a quello più freddo, cd è una forma di energia.
Se si fornisce calore a una sostanza la sua temperatura generalmente aumenta
secondo la legge:
Q = C · !J.T = m · e · !J.T
;1
dove, m = massa, c = calore specifico (calore per unità di massa), C = capacità
termica della sostanza.
I:I L'unità di misura del calore nel S.I. è il Joule J (il calore è una forma di energia),

r
L e le dimemlioni sono [M L2 r- 2 ]. Un'unità storica della misura del calore era la caloria
(cal). L'equivalente meccanico della caloria è: 1 cal = 4,18 J. Questa equivalenza fu
dimostrata da Joule in uno storico esperimento.
Quindi il calore specifico è la quantità di calore da somministrare ad una unità di
massa di una sostanza per aumentarne la temperatura di un grado. L'acqua possiede
un calore specifico molto elevato. Mescolando fra loro le masse m 1 e m2 di due liquidi
della stessa natura, ma a temperature differenti, la temperatura finale della miscela
è data dalla relnzioue:

= m1 · T1 + m2 · T2
Tp
m1 + m2
Quando si mescolano due sostanze con calori specifici c 1 e c2 differenti la relazione
diventa:

= c1 · m1 · T1 + c2 · m2 · T2
----------
Tp
c 1 · m1 + c2 · m2
Il trasporto del calore all'interno di uno stesso corpo o da un cOl'po all'altro, quando
vi sia una differenza di temperatura, avviene secondo tre pm;sibili meccanismi.
:I:
1. Conduzione: trasmissione di energia attraverso collisioni molecolari all'interno di
,, un corpo. I solidi e i liquiqi sono migliori conduttori <li calore dei gas.
li'
2. Convenzione: trasmissione del calore attraverso moti macroscopici di fluidi fra
regioni dello spazio a diversa temperat�ra (moti convettivi presenti nei fluidi).
3. Irraggiamento: trasmissione di energia per emissione di onde eletVomagneti­
J. che (più alta è la tempe�·atura maggiore è l'energia emessa dal corpof che si può
propagare anche nel vuoto come l'energia solare).
,
l'Ì
..
iv
' '. 8.2 Passaggi di stato
1
e'
L La materia si presenta a noi in tre possibili stati (fasi) facilmente identificabili: stato
�; solido, s tato liquido e stato g�ssoso (nella realtà alcune sostanze presentano più
IJ1f fasi solide).
I. I passaggi da un stato all'altro sono legati alle variazioni della temperatura. Se ce­
diamo calore a un solido ( composto puro) questo aumenta la sua temperatura, quando

112
© Artquiz FISICA

però si arriva alla temperatura cli transizione di stato, il calore viene utiliz7,ato per
fondere il solido mentre fa temperatura rimane costante (trasformazione isoterma).
Il calore assorbito a temperatura costante clnrante la transizione di fase viene chia­
mato calore latente di fusione ,\. Per la trasformazione inversa (solidificazione) si
"parlerà di calore latente di solidificazione che avrà lo stesso valore numerico di
quello di fusione ma con il segno cambiato in quanto in questo caso il calore viene
ceduto all'ambiente. Analogamente si definisce il calore latente di evaporazione
per il fenomeno dell'eb ollizione e il suo inverso condensazione, e il calore latente di
sublimazione (passaggio diretto da solido a gas, come ad esempio per naftalina e
ghiaccio secco).
La temperatura di ebollizione di un liquido dipende fortemente dalla pressio­
ne. Un liquido è sempre in equilibrio con la sua fase vapore (la tensione di vapore
di un liquido dipende fortemente dalla temperatura), quando la tensione di vapore
raggiunge la pressione atmosferica si ha l'ebollizione e quindi il pa..c;saggio di tutto il
liquido a ga'> (ad esempio per l'acqua, la tensione di vapore è 47 ton a 37 °C ma
diventa 760 torr a 100 °C). Una conseguemm di questi fenomeni è che la temperatu­
ra di ebollizione dell'acqua varia notevolmente in montagna con la quota (perché la
pressione atmosferica varia con la quota).

8.3 I principio della termodinamica


La termodinamica fa una precisa distinzione fra sistema e ambiente. Un sistema è
una parte cli spa:do o materia delimitato da un preciso confine, tutto ci<> che è al di
fuori di esso viene dei,to ambiente. La termodinamica identifica i seguenti sistemi:
• sistema aperto: può scambiare materia, calore e lavoro con l'ambiente;
• sistema chiuso: non può scambiare materia con l'ambiente;
o sistema adiabatico: non può scambiare calore con l'ambiente;
• sistema isolato: non può scambiare né calore né lavoro né materia con l'ambiente.
Un altro schema concettuale fondamentale della termodinamica è quello che defi­
nisce la nO'liione di stato e di trasformazione.
Si definisce stato termodinamico (stato di equilibrio) quello per il quale è
possibile definire un numero sufficiente di variabili che lo caratterizzano. Le variabili
che lo definiscono possono essere estensive in quanto dipendono dalle dimensioni del
sistema. (massa, volume, energia totale, ecc.) oppure intensive in quanto sono carat­
teristiche uniformi nel sistema (pressione, temperatura, concentrazione, densità, e·cc.)
che non dipendono dalle dimensioni.
Si definiscono come trasformazioni quei processi che collegano fra loro due stati
di equilibrio. Le trasformazioni possono essere aperte (quando si passa da uno stato
ad un altro diverso) oppure cicliche ( quando stato di partenza e dì arrivo coincidono),
possono essere altresì reversibili quando possono essere viste come una successione di
sta.ti estrema.mente vicini a stati di equilibrio, e questo significa che leggeri cambia­
menti delle condizioni di alcune variabili possono inver�ire la direzione del processo.
Mentre nelle trasformazioni irreversibili si hanno varia'l,ioni defini�e delle variabili che
determinano inequivocabilmente la direzione del processo. La maggioranza delle tra­
sformazioni reali è irreversibile.

113
Cap itolo 8 Termodinamica @ Artquiz

Esistono alcune trasformazioni caratteristiche:


• trasformazioni isobare: trasformazioni a pressione costante;
• trasformazioni isocore: trasformazioni a volume costante;
• trasformazioni isoterme: trasformazioni a temperatura costante; Q,,
• trasformazioni adiabatiche: trasformazioni senza scambio di calore con l'am­
biente.
Il primo principio della termodinamica è un enunciato del principio di con­
servazione dell'energia. Per una generica trasfor�mzione fra due stati di equilibrio
esso può essere espresso nella forma:
6-U = Q-L
dove, 6-U = variazione di energia interna del sistema, Q = calore fornito al sistema,
L = lavoro compiuto dal sistema.
U è una funzione di stato del sistema che dipende solo dallo stato iniziale e quello
finale del processo, indipendentemente dalle modalità del processo (calore e lavoro non
sono funzioni di stato e qui11di dipendono dai dettagli della trasformazione). Anche
P, V e T sono fu117,ioni di stato. Poiché Q non é funzione cli stato esistono più �alori
specifici.
Sono di particolare interesse nei gas il calore molare a pressione costante (cv) e il
calore molare a volume costante (c11 ). Nei gas abbiamo:
e,, - Cv = R
dove R è la costante dei gas.
Per 1111 gas perfetto la dipendenza dell'energia interna dalla temperatura è data
dalla relazione:
6-U = Ct1 · 6-T
dove, Cv è il calore specifico a volume costante.
L'energia interna U di un gas perfetto è data dalla somma dell'energia cinetica
delle molecole. Si può dimostrare che essa vale:
3
U= -n·RT
2
dove, n = numero di moli, R = costante dei gas, T = temperatura in gTadi Kelvin.
L'energia interna di un solido è associata ai gradi di libertà dell'energilJ, vibrazio-
nale delle molecole che lo costituiscono: ,;·
U = 3n·RT.
Il lavoro di espansione (o _di compressione) di un gas può essere espresso dalla

..
relazione:
L = F · 6-x = P · A · 6-x = P · 6- V
!� dove, 6- V = A · 6-x rappresenta la var iazione di volume del gas (dove A è una
superficie).
'. Un gas che si espande nel vuoto non compie lavoro (P = O). ..;

i
,i
114
© ArtquJ� FISICA

8.4 Legge dei gas perfetti


I gas reali, in condizioni di bassa pressione e lontani dal punto di liquefazione, si
comportano come gas perfetti.
Leggi dei gas perfetti:
• A temperatura costante P · V = costante (legge di Boyle-Mariotte).
• A pressione costante V= Vo (1 + aT) (I legge di Gay-Lussac).
• A volume costante P = Po (1 + o.T) (II legge di Gay-Lnssac).
dove, o = coefficiente termico dei gas.
Equazione di stato dei gas perfetti:

P·V=n·R·T
dove, n = numero di moli, R = coota.nte dei gas perfetti, T = temperatura in gradi
Kelvin. La costante R si ottiene moltiplicando la costante k cl.i Boltzmann per N
mnnero di Avogadro.
Questa eqm�ioue ha carattere g<-mer�ùe per i gru; perfetti ed è omnicomprensiva
delle altre tre leggi precedentemente esposte. Secondo questo modello concettuale 1m
gas pe1fetto è sempre allo stato gasso,c,o aùche a temperature bassissime. In concli'l,i01�i
standard (O °C, 1 atm) una mole di gas perfetto occupa. 22,4 litri.
I gas reali invece possono li.qnefare se la. temperatura. è sufficientemente bassa
(cioè sotto la temperatura critica) e la pressione sufficientemente elevata. Ogni gas
reale è carn.tteri'l,zato da una temperatura critica.
Esiste una distin:tione concettuale fra gas e vapore: un vapore è un gas che si trova
sotto la temperatura critica e quindi pub essere liquefatto per compressione isoterma,
un gas è sempre a temperatura superiore a quella cri�ica. Ad esempio la temperatura
critica dell'acqua è circa 400 °C quindi il vapore acqueo può essere eletto gas solo oltre
i 400 °C.

8.5 II principio della termodinamica


Il secondo principio della termodinamica mette in evidenza una differenza so­
stanziale fra calore e tutte le altre forme di energia. Tutte le forme di energia sono
convertibili fra loro, l'energia elettrica (o meccanica) può essere convertita in lavoro
o calore, ma non tutto il calore può essere trasformato in altre forme di energia.
L'enunciato del secondo principio, secondo Kelvin-Planck, afferma che:
È impossibile che una macchina operante in un ciclo produca come solo efjetto quello
di sottrarre calore ad una sorgente per produ,rre una equivalente quantità di lavoro.
Una macchina termica cioè può operare tra dne sorgenti (la sorgente 1 alla quale
sottrae calore, la sorgente 2 alla quale ne restituisce una parte). Il lavoro compiuto
risulta:
L =
1 - Q2,
Q
Si definisce come rendi mento rJ della macchina il rapporto fra lavoro prodotto e
calore sottratto:
-
11 = !:__ = Qi Q2 = 1 - Q21 •
Q1 Q1 Q

115
Capitolo 8 Termodinamica © Artquiz

Una seconda formulazione di tale principio, dovuta a Clausius, afferma che:



I
E impossibile che una macchina frigorigena operante in un ciclo produca come solo
effetto quello di trasferire calore da un corpo più freddo a uno piu caldo.
Una macchina frigorigena quindi per tra.c;ferire calore da un corpo più freddo ad
li
uno più caldo deve ricevere dall'esterno lavoro.
r.
l.
11.l
·, 8.6 Teorema di Carnot e macchine termiche
:1
rt-1•

M
r;
Il teorema di Carnot afferma che:
Nessuna macchina che lavori fra due sorgenti di calore puo avere un rendimento
�:
maggiore di una macchina reversibile che lavori tra queste due sorgenti.
Un ciclo reversibile particola"rmente semplice è quello costituito da una macchina.
1 ·i,
1J termica a gas perfetto che operi �eguendo in successione: una espansione isoterma,
.,, una espansione adiabatica, una compressione isoterma e una adiabatica tornando così
al punto <li partenza. Per una tale macd 1iua si può dimostrare che:

= T2
77 l-T1·
rr Q2
,, Confrontando questa relazione con quella precedentemente vista 'f/ = 1 , si
Qi
',1
,I•
ottieue che:

1 Q2 _ T2
r:' Q 1 - Ti .

La funzione di stato entropia


I
r: Una delle conseguenze del secondo principio della termodinamica. è uno. nuova gran­
dez:m, funzione di stato, l'entropia S.

• Per una trnsformazione reversibile: �S = J f)�, dove Q è Q rcv ·

• Per una trasformazione irreversibile: �S > J f)�, <love Q è Qhr·


Poiché S é una funiione di stato segue che:

Q,·cv > Q;n·


cio è il calore reversibile è quello massimo realiz7,abilc in una trasformazio�e.
:,
I

1! Per un sistema isolato o adiabatico che effettua. una trasformazione si p.a �Q = O


,It
(infatti un sistema isolato è anche adiabatico), segue che:
,1 • �S = O trasformazione reversibile;
,il • �S > O trasforma�ione irreversibile.
'
!
.:;
Per un sistema termodinamico isolato quindi l'entropia totale aumenta o resta
costante. Da queste considerazioni nasce l'affermazione che l'entropia dell'universo
(come sistema isolato sede di processi irreversibili) è in aumento.

116
Capitolo 9

Elettrostatica

La materia è costituita da particelle cariche, infatti ogni atomo è formato da un nucleo


centrale positivo intorno al quale orbitano uno o più elettroni catichi negativamente.
Cariche di eguale segno si respingono, cariche di segno opposto si attraggono.

9.1 Legge di Coulomb


Se Q1 e Q2 sono due cariche a distanza r l'una dall'altra nel vuoto, la forza con In.
quale interagiscono fra loro è:
Q1 . Q2 ( .
F = I<o legge d1 Coulomb ) .
1'2
La forza elettrica gode cli proprietà conservativa.
L'unità· di misura della carica elettrica è il Coulomb C. Il Coulomb è la carica
(puntiforme) che posta nel vuoto a distanza di un metro da una carica uguale la attrae
o la respinge con una forza F = 8, 99 · 10 9 Newton, cosi la costante nel vuoto risulta
fissata in ko = 8,99 · 109 • Nm 2 C- 2 ,
1
Per ragioni pratiche si preferisce esprimere ko come ko = --
471"€0
dove, €O è la costante dielettrica del vuoto.
Se siamo in presenza di un mezzo diverso dal vuoto la costante €O va moltiplicata
per fr, che è la costante relativa del mezzo r rispetto al vuoto; € 7, è sempre maggiore
di 1.
Esistono materiali (come l'ambra, determinate plastiche, ecc.) che strofinati con
un panno di lana si caricano elettricamente e quindi possono dare origine a intera�ioni
coulombiane.

9.2 Il campo elettrico


Una carica genera nello spazio un campo elettrico E, che è del tutto simile al campo
gravitazionale generato da una massa (sebbene possa essere attrattivo o repulsivo a
seconda del segno della carica che Io sperimenta). Il campo elettrico è un campo
vettoriale conservatiyo e viene definito come il rapporto fra la forza dovuta ad una
carica e una carica dì prova qo molto piccola:

E=-=--·
F l Q
- .
Qo 41r€0 r2

117
!' Capitolo 9 Elettrostatica © Artquiz

Quando sono presenti pii1 cariche i campi elettrici da esse generati si sommano
vettorialmente. Il campo elettrico all'interno di un conduttore è nullo e, se esso è
carico, le cariche si distribuiscono sulla superficie del conduttore.

9.3 Teorema di Gauss


Il teorema di Gauss mette in relazione H campo elettrico su di una superficie chiusa
(ad esempio una sfera) con la carica totale racchiusa all'interno della superficie. Se
chiamiamo flusso elettrico il prodotto della componente del campo elettrico, perpen­
dicolar e alla superficie, per un elemento generico di superfide (Fig. 9.1), H teorema
di Gauss afferma che:
Il flusso r.lettrico totale t/1 attra·uerso una superficie chiusa è uguale alla carica
totale all 'intemo della superficie. divisa per Eo. Quindi:
l.· '1/J = Q;nt.

. Eo

En

4' = EnS

Figura 9.1: Flusso di campo dettrico


attmverso una .rn,pcrfù:ie.

9.4 Energia potenziale elettrostatica e differenza di potenziale


Le forze elettrostatiche quando spostano una carica. elettrica compiono un lavoro (che
può essere positivo o negativo a seconda del seguo delle cariche): L = F · Àx.
In presenza cli una carica Q che genera un campo elettrico E in un punto generico
p, dove si trova uu a carica dì prova positiva Qo, si definisce energia potenziale
elettrostatica U l'energia associata alla forza elettrica presente nel punto p. Questa
considerazione è del tutto analoga a quella fatta per l'energia pot.enziale iu un cainpo
gravitazionale, infatti entrambi i campi sono conservativi e l'energia potenziale è una
funzione delle coordinate.
Se la carica qo pas1.;a da un puuto A in cui ha.una energia UA ad un punto B in cui
ha energia poten?.iale Un il lavoro L compiuto dalla forza del campo elettrièo sarà:
,,
.,
L=ÀU=UB-UA.
Si definisce potenziale elettrico Vp in un punto p l'energia potenziale posseduta
dalla carica unitaria di prova Qo in quel punt.o:
Up .. . U
VP. =- e pm m generaIe u
AV --
=À .
Qo qo
Da cui il lavoro elettrico per spostare una carica q0 risulta: L = ÀV , q0•
Il potenziale elettrico di una carica puntiforme Q è una grandcz¼a scala r e e varia
con la distanza r secondo la relazione:

118
© Artquiz FISICA

Q
V(r) - -­
47r�or ·
Quindi il potenziale elettrico in un punto p è il lavoro che le forze del campo
elettrico devono compiere per portare la carica unitaria eia quel pnnto a distanza
infinita. Nel sistema S.I. l'unità di misura del potenziale elettrico è il Volt V, 1 V =
1 J/1 c.

Relazione fra campo elettrico e differenza dì potenziale

Ricordando che per uno spostamento generico :e:


. . bi.V
L = F · x = AU ='lo· E· x =A· Vqo, si ricava E=-.X

II potenziale generato da più cariche elettriche è la somma algc_brica dei potenziali


elettrici generati dalle :,;ingolc cariche.

Superfici equipotenziali
Si definiscono superfici equipoten�iali le 1mperfici che hanno lo stesso potcn¼iale elet­
trico, e quindi tra due punti qualsiasi della :,;uperficic: AV = O.
Le superfici equipotenziali godono di due proprietà:

1. Quando i:;i sposta u�ia carica elettrica Q tra due punti di una 1mperficie equipo­
tenziale il lu.voro è nullo (L = AVq0, ma in una superficie equipotenziale bi.V =
O).

2. Nei punti di una superficie equipote11ziale il campo elettrico è perpendicolare al­


la superficie stessa (se il campo elettrico avesse delle componenti tangenti alla
superficie essa non sarebbe più equipotenziale).

9.5 Corrente elettrica e leggi di Ohm


Consideriamo un conduttore metallico a cui applichiamo in due punti A e B una
differenza di potenziale costante (ad esempio con una batteria). In questo caso il
conduttore non è in equilibrio elettrostatico cd è sede di un campo elettrico che
agisce tmlle cariche libere del conduttore, si genera pertanto 1111 flm:1:,;o di car iche detto
intensità di corrente i (o anche J) che viene definito come la quantità. di carica che,
nell'unità di tempo, attraversa una se-hioue del conduttore i = � .
uf,
L'unità di misura dell'intensità di corrente nel sistema S.I, è l'Ampere A, 1 A =
1 C/1 s.
Convenzionalmente, si considera verso positivo della corrente quello concorde con
il campo elettrico, cioè lo scorrimento di cariche positive da poten¼iale più alto a
potenziale più basso. In realtà ciò è falso perché in un conduttore le cariche che si
muovono sono gli elettroni (negativi) e quindi in senso contrario a quello del campo
E.

119
Capitolo 9 Elettrostatica @ Artquiz

Leggi di Ohm
La prima legge di Ohm definisce il rapporto esistente tra <lifferemm <li potenziale
e intensità di corrente in un conduttore introducendo il concetto di resistenza R.
ÀV=i·R.
L'unità dì misura della resistenza nel sistema S.I. è l'Ohm n, 1 n = 1 V /1 A.
La seconda legge di Ohm definisce i parametri da cui dipende la resistenza di un
conduttore:
l
R=p­
S
dove, l = lunghezza del conduttore, S = sezione del conduttore, p = resistività
elettrica, che è mm cnratteristica intrim;eca del materiale del conduttore.
La resistività di un conduttore aumenta con la temperatura.

• 9.6 Corrente alternata


l! La corrente elettrica fiu qui trattata è la corrente elettrica continua (con una intensitii
f costante nel tempo) generata da pile o accumulatori.
La corrente generata. dalle centrali elettriche e di normale utilizzo nelle nostre case
,il

J·� è la corrente alternata sinusoi�alc. II verso della corrente cioè si inverte nel tempo
50 volte til secondo (in ltaiia, 60 volte al secondo negli Stati Uniti) cioè con una
, !� frequenza di 50 Hertz. Anche la differenza di potenziale (Fig. 9.2) oscilla nel tempo.
,,
·•1,, con In. stessa frequenza secondo la legge: V(t) = Vo · sen(21rvt).
.
··t
,ij
·1
l•
11'
1,
l
·�!
1-:» Vo
;1 I
ì14

-Vo
n:1d
j
H

w
;i

,,
,r
Figura 9.2: Andamento della differenza di potenziale di una corrente alternata
I. 'I

Come si vede in Figura 9.2 la tensione alternata oscilla fra due val�ri di picco
I

iii +Vo e -V0 • La legge di.Ohm è valida anche per le correnti alternate. II valore della
tensione della corrente alternata in uso nelle nostre città (220 Volt) fa riferimento al

i!� valore efficace della tensione alternata ¼rr, tale valore si ottiene dalla relazione:
1
il,� Verr = v'2 Vmax

dove, V,nax è il valore di picco della tensione alternata.


In questo modo ad una tensione efficace di 220 V corrispondono valori di picco (di
cresta) di circa 310 Volt.

120
© Artquiz FISICA

9. 7 Effetto Joule � potenza elettrica


Un conduttore percorso da corrente si scalda e il fenomeno viene chiamato effetto
Joule. Su questo fenomeno si basano ad esempio le lampadine ad incandescenza e le
stufe elettriche,
Il calore dissipato nell'unità di tempo, cioè la potenza P dissipata è data da:
V2 •
P = i2 • R = V · i =
R
I tre modi di esprimere la potenza dissipata sono assolutamente equivalenti. Si
sceglie il più opportuno caso per caso. È importante ricordare che in un conduttore
R è costante mentre V e i sono collegati fra loro dalla Ia legge di Ohm.
La potenza 8i esprime nel 8istema S.I. in Watt W, 1 W = 1 J /1 s = 1 V · 1 A.
II consumo di energia nelle nostre case normalmente si esprime in chilowattora
kWh, 1 kWh = 103 W · 3.600 8 = 3,6 · 106 J.

9.8 Resistenze

Resistenze in serie
Due o più resistenze o conduttori si dicono collegati in serie (Fig. 9.3) quando sono
attraversati dalla 8tessa corrente i.

R1 R2 R3 Req

! ''y'j!: : !!
I, I .: I /.
n
' ' ,,
':P

I
:: .: i I
i: i: ;: ::
LL\.V1 _j LL\.V2_JLL\.V3_j
L\.V
L\.V
Figura 9.3: Resistenze in serie.

Le resistenze possono essere lampadine, stufe elettriche, ecc. Ai capi di ogni resi­
stenza ci sarà una caduta di potenziale!::,.¼, In definitiva, per un gruppo di resistenze
in serie avremo:
6.V = E6.¼.
E la resistenza complessiva (resistenza equivalente R0q ) sarà:

Rcq = E./4.

Mentre l'intensità di corrente è la stessa per tutte le resistenze.

121
Capitolo 9 Elettrostatica © Artquiz
·1
•;/
Resistenze in parallelo

!,"
Due o più resistenze sono collegate iu parallelo quando su ciascuna di esse è applicata
la stessa differenza di potenziale V (Fig. 9.4).

I '

�V
;1
R1� Rz
i2
i

i3

Ra� �V
I
i

�Req
4


: I
i
i
¼j

Figura 9.4: Resistenze in parallelo.

Per tali resistenze avremo: i= E· ii,


Mentre per la resistenza equivalente avremo: l = E l ..
Rcq Rt :i

R1 . R2
.
Pcr d ue res1st.enY-e .
l' u1t·una relmuone pno. e.-;sere scn·ttu. come: .1,,t-cq = R .
•l + R2
Relazioni analoghe si possono ottenere per tre o più resistenze in parallelo.

9.9 Condensatori
Si definisce come capacità elettrica C di un conduttore isolato il rapporto tra la
sua carica Q e il suo potenziale elettrico V:
Q
C= v·
Il concetto di capacità elettrica può essere esteso a.I condensatore che consiste
in un sistema <li due conduttori isolati (armatu1'e) che· abbiano carica +Q e -Q
rispettivamente e potenziale Vi. e V2:
Q
C=-
V1 - Vi.
Per un condensatore piano nel vuoto, costituito cioè cla due condutto�i piani e
paralleli di superficie S e separati da una distanza d vale la relazione: ;·

C = Eo d'
s
Inti·oducendo fra le armature del condensatore un dielettrico (cioè una sostanza
non conduttrice con costante dielettrica €7,) la relazione diventa:

e= €o€,, d'
s
L'unità di misura della capacità è il Farad F, 1 F = 1 C/1 V. Per usi pratici si
usano sottomultipli (µF, nF e pF) perchè questa unità cli misura è troppo grande.

122
© Artquì¼ FISICA

Condensatori in parallelo
Collegando in parallelo dne o pii 1 condensatori la capacità risultante (capacità equi­
valente) risulta: Ccq = C 1 + C2 + ... + Cn . Mentre la carica complessiva è la somma
'delle cariche Q = Q1 + Q2 + ... + Qn , e la differenza di potenziale b. V è uguale per
tutti i condensatori.

Condensatori in serie
Collegando in serie clne o più condensatori la capacità risultante è data dalla relazione:
1 1 1 1
-
c. =-c
CC) l +-c2 + ... +-cn ·
Da cui, ad esempio per due condemm.tori, si ricava:
_ C1 · C2
C
CC) - C1 + C2

La differem�a cli potenziale fra gli estremi della serie è la somma di quelle dei
singoli condensatori: b. V = b. V1 + b. V2 + ... + S� t . La carica Q è la stessa (in
w.lorc m;solnto) per tutte le arrnature, e ogni comlemm.torc avrà un armatura. positiva
e l'altra negativa.

o
9.10 Pile e batterie (generatori di forze elettromotrici)
I generatori cli forna elettromotrice sono dei dispositivi capaci di trasformare in ener­
gia elettrica altre forme di energia (chimica, meccanica, solare, ecc.).
Si definisce forza elettromotrice f.e.m. la differenza cli potenziale tra i terminali
ciel generatore quando non eroga corrente ad un circuito esterno. La forza elettromo­
trice si misura in Voi t V.
Quando il generatore è collegato ad 1111 circuito esterno eroga corrente elettrica che
va nel circuito esterno compiendo quindi 1111 lavoro elettrico. Un generatore di f.e.m.
ha al suo intemo una propria resistenza ?'in (legata alla sua struttura) che, quando il
generatore lavora, va considerata in serie al circuito esterno. Un 'altra caratteristica ·
di un generatore è la capacità (da non confondere con la capacità dei condensatori);
essa rappresenta la carica che il generatore può fornire e si misura in Ampereora Ah,
1 Ah = 3.600 Coulomb.

Generatori collegati in serie


Le forze elettromotrici si sommano, e la corrente è la stessa per ogni generatore.

o Generatori collegati in parallelo


La corrente totale ·i è la so mma delle correnti generate da ciascun generatore e aumenta
anche la capacità del generatore.

123
Capitolo 10

Magnetismo

10.1 Il campo magnetico


Il magnetismo è un fenomeno legato al movimento di cariche elettriche. Una carica
in movimento (ad esempio un filo percorso da corrente) genera un campo magnetico
B (detto anche induzione magnetica) e, nel caso del filo percorso da corrente, le linee
di forza del campo magnetico 8ono delle ,circonferenze concentriche e normali al filo
(Fig. 9.4).

Figura 10.1: Linee di forza del campo magnetico generato da un filo percorso
da corrente.

Due fili paralleli percorsi da corrente interagiscono fra loro attraverso forze ma­
gnetiche che sono ortogonali ai fili e attrattive o repulsive a seconda che le correnti
siano concordi o dirette in sen�o opposto:
F = _µ . _i 1_· i_2 _ 6._ l_
· ·
271" d
dove, d = distanza fra i fili, 6.l = lunghe-h7..a dei fili, JLl = permeabilità magnetica del
mezzo in cui sono immersi i fili.
Questa forza può essere scritta nella forma F = B · i2 · 6.l, dove con B si intende
il campo magnetico generato dal filo 1:
i1 µ i1 µ
B = km = • d, dove km = 71" •
d 211" 2
, ·
. e. 1.111esIa ·r, 1 T =
Newton volt. s
L umta · d'1 misura
· deI campo magnetico = . •
Ampere·m m2
Il campo magnetico non è un campo conservativo.

125
>
Capitolo lO Magnetismo © Artquiz
F�
1.
t di particolare interesse il· campo magnetico generato da un filo avvolto in più
f·1 spire circolari che costituiscono un solenoide. All'interno di un solenoide costituito da
N spire e di lunghezza l il campo magnetico B è uniforme:

B = Jt · ·i · n, dove n = N .
l

Movimento di una carica elettrica in un campo magnetico uniforme


Una particella car ica Q in movimento alla velocità vin un campo magnetico uniforme
è soggetta alla for2>a di Lorentz Ji' uguale alla carica Q moltiplicata per il prodotto
vettoriale fra ve B:
F = Q · v · B · senB
dove, B è l'angolo comprcs© fra la direzione di v e quella di B.
Ovviamente la direzione di F è perpendicolare al piano definit.o <la 11 e B, quindi
perpendicolare a v. Tale forna non compie lavoro (perpendicolarità tra fonm e velocità.)
perché cambia la direzione ma non il modulo della vclociti1., e nel caso in cui v sia
parallela a B, tale for1,a è nulla (angolo O= O). Il moto che ne risulta è quello di·una
traiettoria circolare se v è perpendicolare a B, se invece esiste uua componente del
moto nella direzione di B ( cioè 0 è diverso da 90 0 ) il moto ha mm traiettoria a forma
di elica cilindricn nella direzione di B.

Proprietà magnetiche della materia


Uun calamita immersa in uu campo magnetico uniforme B tende n orientarsi secondo
la direzione del campo ( come la bussola). Una spira o uu solenoide percorsi da corrente
e immersi in un campo magnetico uniforme si comportano come un ago magnetico.

t0.2 Induzione magnetica


. '

Si definisce come flusso di campo magnetico concatenato ad un circuito elettrico


(ad esempio una spira) il prodotto del campo magnetico B per l'area delimitata dal
circuito per il coseno dell'angolo <I> formato fra la perpendicolare alla superficie e la
direzione del campo magnetico ·(Fig. 10.2). Come indicato dalla formula:
<I>(B) = S · B · cosa.
.
J

Figura 10.2: Carnpo rnagnr.tir.o concatenato ad una spira.

126
@ Artquiz FISICA

L'unità cli misnra del flusso di c ampo magnetico è il \Veber Wb, 1 Wb = l'fesla · 111 2 .
Il flusso può variare nel tempo ::ie il circ uito viene mosso nel campo magnetico (ad
esempio viene fatto ruotru·e) o se il campo ,•aria nel tempo, in quest'ultimo c aso si
.osserva agli estremi del circ uito aperto una differenza di potenziale elettrico per tutto
il periodo in c ui varia il flusso. li fenomeno viene chiamato induzione elettr�ma­
gnetica e la differenza di potenziale osservata viene chiamata forza elettromotrice
indotta¼.
La legge di Faraday-Newmann afferma che:
r
Vit -
__ ò[<I>(B))
òt
.

dove il segno meno sta ad indicare che tale f.e.m. si oppone ( con il c ampo da lei
generato). al flusso che l'ha generata.
Una. applic azione importante dell'inclmàone elettromagnetic a si ha nei trasfor­
matori per c orrente alternata. Tali dispositivi (costituiti eia un. circuito primario e
uno secondario avvolti su di un nuc leo di ferro ad elevata permeabilità magneti ca)
::iono in grado di trasformare correnti alternate da alta tensione a ba!-lsa tensione e
viceversa.

1Z7
Capitolo 11
1
Fenomeni ondulatori

11.1 Le onde
Molti fenomeni naturali sono di natum ondulatoria, hanno cioè caratteristiche ricor­
sive, come le onde sonore, le radiazioni luminose, le onde del mare, i terremoti e i
fenomeni oscillatori in genere. Appartengono, altresì, a questa categoria di fenomeni,
il ciclo cardiaco e il conseguente moto pulsatile del sangue, come anche i moti armo­
nici, che abbiamo incontrato in meccanica, e alcune delle equazioni che li descrivono
sono generalizzabili.
I fenomeni ondulatori si dividono in due categorie, in dipendenza della rela�io­
ne tra direzione della vibrazione e direzione della propagazione della perturbazione.
Una perturbazione ondulatoria può prnpagarsi lungo una direzione che può essere
parallela ( onde longitudinali) o perpendicolare ( onde trasversali) alla direiione

-
delle oscillazioni (Fig. 11.1).

-

-.it·�

=

Figura 11.1: A sinistra: propa­
gazione delle onde trasversali, a
destra: propagazione delle onde
longitudinali in una molla.

Le onde sonore sono onde longitudinali, mentre la luce è un'onda trasversale.


Molti aspetti dei fenomeni ondulatori possono essei·c studiati tutti assieme e de­
scritti con rela�ioni matematiche che sono di validità generale, invece altri aspetti
dovranno essere trattati singolarmente a seconda della tipologia del fenomeno consi­
derato. I fenomeni ondulatori sono importanti in fisica perché descrivono una modalità
di trasferimento di energia piuttosto comuQe.
Le grandezze fisiche che caratteiizzano i fenomeni ondulatori sono funzioni perio­
diche, ovvero ricorsive, del tempo descrivibili come:
1 Il Ca.p. 11 non è più parte del programma d'esame, ne conserviamo tuttavia la. t"ra.tta.zione per
completezza. espositiva. e utilità anche per Biologia § 1.10.2.

129
Capitolo 11 Fenomeni ondulatori @ Artquiz
I -Ì

I
! J(t) = J(t + nT), dove n = 1, 2, 3, ... Con T definito come periodo del fenomeno.
!

Quando un fenomeno ondulatorio si propaga trasmette le oscillazioni a punti con­


tigui del mezzo in cui si propaga. Si definiscono superfici d'onda i punti dello spazio
in cui la perturbazione ondulatoria è massima. Le superfici d'onda che noi tratteremo
saranno quelle piane e quelle sferiche.
Le onde generate da una sorgente si propagano nello spazio e nel tempo, infatti
ogni punto dello spazio sarà sede di oscillazioni S (Fig. 11.2) che varieranno nel
tempo secondo una legge del tipo:
27ft
T + <J>)
S(t) =A· sen (

dove, A = ampie-.11ia massima dell'oscillazione, T = periodo, cioè la distanza minima


fra due punti con la stessa fase, </> = angolo di fase ini:àale.

Ali: a w »
t
I \ / \ / \ / lll
-A I V V V
Figura 11.2: Propagazione di un'onda nel tempo.

Si definisce come pulsazione della perturbazione la grandezza w, data da:


27f
w=-

Si definisce frequenza 11 (ma anche/) il numero di oscillazioni nell'unità di tempo.
La frequenza si misura in 1-Ierti (Hz).

Per definizione 11 = �, da cui segue: w = 21r �.

Ma le onde si propagano anche nello spazio circostante S (Fig. 11.3) secondo una
legge del tipo:

S(x) = Asen (27rX


T + </J
)

dove, À = lunghezza d'onda dell'oscillazione, cioè la distanza minima fra due punti in
fase.
i,

L-i .,

Al. w w »
I \ I \ I \ I .,s

Figura 11.3: Propagazione di un'onda nello spazio.

La velocità di propagazione v dell'onda è data da:


À
v =-

130
@_ Artq_ui�
_ FISICA

Quando una sorgente puntiforme emette delle onde (come un sasso gettato in uno
stagno), queste si espandono conccntricarnente secondo fronti d'onda. In modo più
generale, le onde si propagano nello spazio, cioè in tre dimensioni, e se la sorgente è
puntiforme e il mezzo di propagazione è isotropo le onde propagandosi generano delle
'superfici d'onda sferiche (allo stesso modo del suono o di una lampadina). In queste

Ftu"
condizioni l'equazione cli propagazione è ancora valida (basta sostituire la x con il
raggio r·).
L'energia della sorgente, mano a. mano che ci si allontana da essa, si clistribujsce su
sfere sempre più grandi, cioè, considerando il principio di conserva:7-ione dell'energia
in assenia di fenomeni dissipati,,i, si ottiene.per nn pnnto di una superficie sferica alla
distania r:
l
t
,.
E
E(r) -
- 471"1'2

Quindi, l'energia in un punto generico della snperficie d'onda di una sfera di


propagazione diminuisce con il quadrato della distamm.

Interferenza

o
La propagazione Hinmltauea cli pii1 onde nello stesso meizo avviene: per ogni onda, iu
maniera indipendente dalle altre. Quando due o pii1 onde coesistono nello stesso punto
dello spw.io vale il princi]Jio cli sovrnpposizione, l'effetto risaltante che si ottiene viene

o
chiamato interferenza e dipende dalle caratteristiche delle onde che interagii-icono.
Un caso molto importante di interferenza è quello che �i osserva fra due onde ·
che hanno la stessa fr eqmmza e viaggiano nella stessa dirc�ionc, in questa 8itnazione
l'interferenia dipende dalla differen�a dell'angolo cli fase <I> fra le due onde: se la
differenza di fase è O ( concordanza di fase) le onde si Hommano, l'ampiezza l'isultante
è la somma dello ampiezze delle singole onde (interferenza costruttiva); se invece le
onde sono sfasate di 180° ( opposizione <li fase) l'interferenza è distruttiva e si ottiene
una ampie��a risultante nulla. Ovv iamente esistono anche le �ituazioni intermedie fra
le due appena considerate.

Onde stazionarie
Le onde stazionarie nascono dalla interferenza fra due onde che hanno uguale fre­
quenza ma che viaggiano in senso opposto.
Vediamo ora in coHa differisce un 'onda stazionaria da una normale onda viaggian­
te: in un'onda che viaggia nello spa�io e nel tempo i punti dello spa�io con x diversi
oscillano con fasi diverse nel tempo (Fig. 11.4 a), in un'onda stazionaria tutti i punti
dell'asse x oscillano in fase, ma con ampie�ie di oscillazione differenti e dipendenti da
x (Fig. 11.4 b).
In un'onda stazionaria i punti sull'asse x con ampiezza nulla sono detti nodi, i punti

o
con ampiezza massima (positiva o negativa) sono detti ventri. Le onde stazionarie
sono importanti perché sono le onde che possono essere localiz¼ate e persistere in uno
spazio limitato (le alt1·e onde interferiscono in maniera distruttiva). Queste sono le
onde che troviamo naturalmente quando studiamo il moto oscillatorio di un mezzo a
dimensioni finite, come la coula di una chitarra o di un violino, che sono corde tese
fra estremi fissi.

o 131
(J,
(!, Capitolo 11 Fenomeni ondulatori @ Artquiz
l!f,
s direzione dl propagazione') ,
''
l2

f rr t,
a)

ts
iii'.:
l3

·'
'} b)

Figura 11.4: Confronto fra onde nonnali viaggianti e onde stazionarie.


:-j•

�-/rr1
".'!. I
11.1.1 Riflessione, rifrazione e diffusione
•,, Quando un'onda si propaga in un me1.w omò'geneo viaggia in linea. retta (raggio di
:.! propagazione) e con una velocità che dipende dalle caratteristiche del mezzo. Quando
l''
'l questa onda arriva sulla superficie di separa7.ione fra due mezzi, parte dell'onda viene
,-!
·:· .
! riflessa e torna indietro nel primo mezzo e parte penetra e si propaga nel secondo
..,.
mezzo; questa seconda parte viene definita onda rifratta (Fig. 11.5).
1 ,ii
r1· !
MEZZO 1

' �. i .

ti .o
r1:!
111;1I
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Il
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I· MEZZ02·
Figura 11.5: Riflessione e rifrazione.
'I
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I
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I,

l!
Riflessione

n
l. Secondo le leggi della riflessione, angolo di incidenza e angolo di riflessione dol
I: raggio di propagazione, misurati rispetto alla normale al piano di riflessione sono
uguali, inoltre angolo di incidenza, angolo di riflessione e normale, giacciono nello
l f! stesso piano (Fig. 11.6 a sinistra).

i1
Il fronte d'onda AA' avanza da sinistra, quando l'estremo A' dell'onda tocca il

I.
piano di riflessione, l'altro estremo A deve percorrere la distanza d per raggiungere
il piano nel punto B. Qu�do questo succede Pestremo A' ha raggiunto il punto B'
e la retta BB' rappresenta il fronte d'onda dopo la riflessione. I due triangoli AA' B
I e A' B' B risultano uguali perché raggio incidente e raggio riflesso si propagano, con

132
À
@ Artquiz FISICA

identica velocità, nello stesso mezzo, come conseguenza 81 e 0'1. risultano uguali come
previsto dalla legge di riflessione. Questa trattazione è valida solo se la superficie
di riflessione è effettivamente piana e levigata (come ad esempio uno specchio), cioè
l'angolo d'incidenza è costante per tutti i punti del fronte d'onda incidente. Quando
· ciò non accade, punti diversi del fronte d'onda incontrano la superficie di riflessione
(scabra) con angoli diversi e vengono quindi riflessi con angoli diversi; si parla in
questo caso di riflessione diffusa della luce (Fig. 11.6 a destra).

MEZZO 1

A a'

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j
... • ·f • ... �-� ... -� :••"--· t :·r-...-.:•. :1 :�:

Figura 11.6: A sinistra: il fenomeno della riflessione; a destra: la riflessione


diffusa.

Diffusione

La diffusione si osserva quando le onde incontrano nel loro percorso superfici scabre.
Il fenomeno è del tutto generale> si verifica nei gas, nei liquidi e nei solidi trasparenti
all'onda, quando essi contengono impurezze che agiscono come superfici riflettenti.
Dato l'ol'Ìcntamento casuale di queste impure-.t;Ze abbiamo la diffusione in tutte le
direzioni. Il colore del cielo è dovuto a questo fenomeno, ed il colore varia al variare
del tipo di impurez7.e presenti. In un cielo limpido, dopo una pioggia prevale l'azzurro>
in aree industriali inquinate prevale il grigio, in caso di nebbia prevale il bianco. Se,
ad esempio, non ci fosse diffusione della luce solare nell'aria il cielo apparirebbe nero
come di notte, le stelle ·sarebbero visibili di giorno ed il contrasto fra luci ed omb1·e
sarebbe molto più forte.

Rifrazione

Il fenomeno della rifrazione si osserva quando l'onda incidente supera la superficie


di separazione fra i due mezzi e si propaga nel secondo mezzo. Di norma i fronti
d'onda che viaggiano nel secondo mezzo cambiano direzione, ma anche in questo
caso raggio di propagazione incidente, normale al piano di incidenza e raggio rifr atto
giacciono nello stesso piano (Fig. 11.7). L'onda piana AA' incontra un piano che
separa due mezzi; la penetra:.t;ione inizia nell'estremo A dell'onda mentre il punto A'
deve perconere ancora il tratto A' B' prima di incontrare la superficie di separazione.
Quando dopo il tempo dt, l'estremo A' raggiunge il punto B', Pestremo A è arrivato
nel punto B, in questo caso però le velocità di propagazione nei due mezzi sono
differenti come quando ad esempio V1 > v2.

133
�;r
V'!Jj
© Artquiz
f"!
Capitolo 11 Fenomeni ondulatori

. t.
A'


I

.
!I.

B
Figura 11.7: Il fenomeno della 1'ifrazione.

Con semplici consiclera:tioni trigonometriche sulla figura si vede elle:


AB' · sen i= vi · dt e AB' 1 .sen r = v2 · dt. i
Dal rapporto fra. AB' · sen ·i = v·, · dt e AB' · s<�-i r = v2 · dt si ricava:
i n2
--
sr,n r = - =n12 = -.
S�"n Vi

V2 n1 '
Si defiuh;ce con n = c/u Pindice di rifrazione del mei7.o considerato rispétto al
vuoto ( indice di 1·ifrazione assoluto), dove e è la velocità della luce nel vuoto (e = 1
300.000 km/s) e n 12 è Pindice di rifrazione frn due mei.zi 1 e 2.
Sperimentahncnte .'li o�scrv-d. che se si passa da un me'l.zo meno rifrangente ad nno
più rifrangente (a.cl <>�'!empio dalParia al vetro), Pa.ugolo del raggio cli propagazione
rifratto sa.rà più vicino alla perpendicolare alla superficie di separazione. Nella situa­
zione opposta, cioè pa�-sando da un mezzo piì1 rifrangente a.d 11110 meno rifrangente
Pangolo rispetto alla normale aumenta. In questo caso esiste un angolo limite di
incidenza per il quale Pangolo di propngazione rifratto è di 90 °, cioè parallelo alla

o
superficie di separazione fra i due mezzi, superato qucs1; 1a11golo (Fig. 11.8) non si
osserva più la rifrazione ·e il raggio incidente viene totalme11te riflesso. Esistono molte
applicazioni pratiche che sfrnttauo il principio dclPangolo limite (fibre ottiche, prismi
a riflessione totale, ecc.).

·1

,,
I,

"2 n1 - Figura 11.8: Angolo limite di rifrazione.

Passando da un mezzo trasparente ad un altro la frequen�a rimane costante, ma


velocità e lunghezza d 1 onda possono cambiare, se cambia Pindice cli rifrazione.
Un mezzo viene definito otticamente più denso di un altro quando possiede un
indice di rifrazione maggiore. L 1 in<lice di rifrazione di un materiale dipende normal­
mente dalla frequenza e dalla temperatura (a fenomeni cli questo tipo è dovuta la
dispersione dei colori della luce bianca in un prisma cli vetro).

134
@ Artquiz FISICA

11. 2 Le onde sonore

Le onde sonore sono onde elastiche longitudinali che si propagano in un me'hZO


deformabile come l'aria; infatti nei gas le forze di richiamo elastiche esistenti non
· consentono l'oscillazione delle molecole in dire�ione trasversale alla propagazione del­
l'onda, mentre nei liquidi o nei solidi le onde sonore possono essere sia longitudinali
che trasversali. Le onde del mezzo entrano in oscillazione e questa vibrazione si pro­
pa.ga nello spazio e nel tempo. Le onde sonore non si propagano nel vuoto.
Lo, velocità cli propagazione del suono è: in aria :::::: 340 m/s, in acqua :::::: 1.500
>
m/H, e nei solidi 2.000 m/s. Queste differenze cli velocità danno origine ad effetti
significativi in corrispondenza delle superfici di sepm·azione tra mc7.zi diversi (echi,
ecc.).
L'intero spettro acustico viene suddiviso in tre regioni:
l. infrasuoni, con frequenxe < 20 Hx;

2. s1wni udibili, con frequen�e fra. 20 Jfa e 20.000 H�;

3. 1tltras·uoni, con f rcquen�c > 20.000 I-fa.


Ricordando che in aria v = 340 m/H, �vremo per le frcqnen¼e acustiche udibili un
intervallo di lunghezze d'onda compreso f ra. 1,72 cm e 17,2 ni.
Esistono notevoli applica�ioni degli ultrasuoni in medicina, ad esempio tutte le
tecniche ecografiche si ba8ano sull'utili�zo di ultrasuoni.

11.2.1 Il suono
Esiste una sostanziale differenza fra suono e rumore. Il rumore è una vibrazione del
tutto inegolarn alla quale manca un predi-lo carn.ttere cli periodicità. Il suono, se purn,
è una semplice vibrazione a r monica (un semplice sinu�oide), se complesso, è costitui­
to dalla sovrapposizione di onde semplici. Il suono compleHso è scomponibile nella
somma di una sede di comp01}enti sinusoidali 8e?Iplici iù relazione armonica fra loro,
la componente a frequenza più bassa viene chiamata prima armonica o fondamentale,
mentre le armoniche superiori hanno frequen�e multiple cli quella fondamentale.
L'altezza di un suono (la nota) nei suoni complessi dipende dalla frequenza. della
vi brazione fondamentale.
Il timbro di un suono dipende dalla forma della vibrazione complessa, cioè dal
numero e dalle ampiez�e della varie armoniche presenti.
L'intensità I di un'onda sonora è la quantità di energia che attraversa nell'unità
di tempo l'unità di superficie e si misura in watt/m 2 ; essa dipende dall'energia tra­
sportata dall'onda sonora, cioè dal quadrato delle ampie�1.e massime delle vibrazioni
Hemplici che la compongono. L'ampiezza è massima in prossimità della sorgente.
Il suono emesso da una sorgente puntiformè Hi propaga per onde sferiche in tutte
le direzioni e, su tali superfici sferiche, l'energia sarà uniforme.
Pèr il principio di c�nservazione dell'energia ricaviamo la rel�ione fra intensità
1-lonora e la distanza r:

E
I = -41r-r-.2-.-�-t'
135
'·�t -1ij: Capito]o 11 Fenomeni ondulatori @_ Artquiz

Effetto Doppler

Se una sorgente di onde e il sistema che riceve e misura le onde si muovono Puna
rispetto all'altro, la frequenza delle onde misurata risulta differente da quella emessa
dalla sorgente. Se il movimento relativo è di avvicinamento la frequenza osservata
è maggiore di quella della sorgent.e, se invece il movimento è di allontanamento, la
frequenza risulta inferiore a quella della sorgente. Qu�to fenomeno, chiamato effetto
Doppler, è ben conosciuto da tempo (esempio tipico è il suono di una ambulanza in
avvicinnment.o o in allontanamento).

11.3 Ottica
La luce è un'onda elettromagnetica costituita dalla vibrazione di un campo elettrico
E e di un campo magnetico B, che oscillano su piani perpendicolari fra loro e per­
pemlicolari alla clh-czione di propagazione.
L'unità di misura dell'intensità luminosa, nel sistema S.I. è la candela cd.
Quando è possibile trattare la propagazione delle onde in termini di onde piane
che si propagano perpendicolarmente al fronte dell'onda (raggi) e la si tratta in un
contesto in cui le dimensioni degli oggetti e degli strumenti di misura sono molto più
grandi della lunghe-tzu. d'onda della luce, parliamo di ottica· geo)'lletrica. In questo
contesto si utilizzano la riflessione e la rifrazione nonché la geometria Euclidea.
Quando è invece necessaria una trattazione in cui gli aspetti microscopici della
radiazione sono prevalenti, parliamo di ottica fisica.
Vediamo di seguito alcuni aspetti elementari della ottica fisica.

Luce coerente
Una sorgente luminosa comune (come per esempio il sole) emette radiazioni (o fo­
toni) di frequenza, lunghezza d'onda, fase e piano di polarizzazione, diyersi, inoltre
la sorgente emette radiazioni in tutte le direzioni. Questo tipo di luce viene definita
non coerente. È tuttavia possibile ottenere sorgenti luminose di luce coerente, carat­
teriz?:ate dalla costanza dei parametri visti, _in cui tutti i fotoni sono uno la fotocopia
delPaltro; un esempio classico di queste sorgenti sono i laser.

o
'
La polarizzazione della luoe
Si definisce come piano di polarizzazione della luce quello in cui oscilla il campo
magnetico B, Normalmente la luce solare o quella emessa da una sorgente generica
non sono polarizzate.
Esistono dei materiali in grado di polarizzare la luce o cli ruotare il piano.�i polariz­
:i:azione della luce, un esempio classico sono i materiali polaroid, che se attràversati da
raggi luminosi lasciano passo.re solo quelli con un ben preciso piano di polarizzazione.
.�rr
.J

·I' La diffrazione
I· La diffrazione è un fenomeno che si osserva quando raggi monocromatici interagisco­
j,
' no con oggetti dalle dimensioni paragonabili con la loro lunghezza d'onda, in queste
,
condizioni non valgono più le regole dell'ottica geometrica e si osservano fenomeni di­
rettamente collegati alla natura ondulatoria delle onde, quali le frange cli interferenza
o la propagazione di onde non in linea retta.

136
© Art�uiz FISICA

Ottica geometrica
Alla base dell'ottica geometrica sussistono alcune considerazion e di carattere fonda­
mentale:
· • La lunghezza d'onda della luce è molto più piccola della dimensione dei sistemi
ottici.
• In un mezzo omogeneo la luce si propaga per linea retta.
• La traiettoria seguita dai raggi luminosi non dipende dal verso di propagazione.
• Un raggio luminoso segue sempre il percorso più breve per andare da un punto ad
un altro (principio di Fermat).
Due mezzi distinti, con indice di rifrazione diverso, separati da una superficie sfe­
rica, costituiscono un diottro sferico. Ut� diottro sferico è un sistema ottico stigmatico
(Fig. 11.9).

Figura 11.9: Diottro sferico.


Un raggio proveniente dal pun­
n1 to P posto sull'asse ottico si
p' rifrange s1tl diottro sferico e
p interseca l'a.,;.,;e nel p1tnto P'
p / V\T q
oggetto Immagina di coordinata q nello spazio
asse otnco
acla , valto immagine.

Un sistema ottico si dice stigmatico quando i raggi luminosi, che partono da un


punto che si tl'Ova. su di un lato della superficie di sepura:,done del sistema ottico,
convergono biunivocamente, dopo la rifrazion e, sn di un punto posto sull'altro lato
del sistema.

Lenti sottili
La lente sottile è un sistema ottico limitato da due superfici rifrangenti (diottri sferi­
ci o piani) che hanno in comune l'asse ottico. Lo spessore della lente è molto inferiore
ni raggi delle superfici. Le lenti sottili sono sistemi ottici stigmatici.
Una lente è carattcriz'iata da un asse ottico e da due raggi di curvatura. Per
convenzione l'Mse p, a sin istra, ci dà le coordinate del punto oggetto, mentre l'asse q,
a destra ci dà le coordinate del punto immagine.
Una lette sottile è caratterizzata da due fuochi, il primo nello spazio degli oggetti
e il secondo nello spazio delle immagini. Per una lente sottile le due distanze focali
hanno lo stesso valore assoluto.
A seconda che la distanza focale sia positiva o negativa si distinguono lenti con­
vergenti o divergenti (Fig. 11.10).
La formula delle lenti sottili mette in relazione la coordinata del punto oggetto, la
coordinata del punto immagine e la distamm focale:
1 1 1
-+- =-
P q F
dove, p = coordinata del punto oggetto, q = coordinata del punto immagine, F =
distanza focale.

137
Capitolo 11 Fenomeni ondulatori © Artquiz

� .:::; :�;:i:=�yp:_ :�
:�···· ..-:·····..

(a) Posizione del fuoco in una lente (b) Posizione del fuoco iq una lente
convergente: il fuoco è reale (si trova divergente: il f11oco è virtuale (si trova
nello spa1.io dell'immagine) e positivo. nello spuzio degli oggetti ed è costruito
sui prolungamenti dei raggi) e negativo.

Figura 11.10: Lenti conveTgenti e lenti divergenti.

Il potere diottrico <li una lente caratterizza le proprietà ottiche di una lente, si in­
dica con '1/J = 1/F, si misura in diottrie (m- 1) e può essere positivo (lenti convergenti)
o negativo (lenti divergenti).
Pei· determinare graficamente il punto immagine da una lente sottile si possono
utiliz7,are l'intersezione di tre raggi:
1. il raggio parallelo all'asse ottico, dopo la lente passerà per il fuoCOi
2. il raggio passante per il centro della lente, non viene deviato;
3. il raggio passante per il primo fuoco, dopo la lente è parallelo all'asse ottico.
Si definisce come ingrandimento lineare G (o anche !VI) di 1ma lente il rapporto
fra le dimensioni clcll'hnmagine A' B' e quelle dell'oggetto AB:
i? q -F
G=-=-=--
q
. F
p p-F

Lenti convergenti
In Figura 11.11 sono riportati alcuni esempi di costruzione e caratterizzazione del
punto immagine di lenti convergenti.

Lenti divergenti
.
In Figura 11.12 sono riportati alcuni esempi <li costruzione e caratterizzazione del
punto immagine di lenti divergenti.

Lente di in�randimento I

,,
I,

La lente di ingrandimento è una lente convergente con piccola distanza focale che
permette di aumentare l'angolo sotto il quale l'immagine di un determinato oggetto
viene osservata. (che quindi apparirà più grande ).

Specchi

Uno specchio piano fornisce l'immagine virtuale e ribaltata (una mano destra osser­
vata allo specchio diventa una mano sinistra) di un oggetto reale conservandone le
dimensioni. L'immagine di uno specchio convesso è sempre più piccola dell'oggetto
( come per le lenti divergenti).

138
© Artquiz FISICA

(n) Se l'oggetto si trova nel una distnnza 111aggiore del doppio delln distn.nza focale,
l'immagine è renle, capovolta e rimpicciolita.
8,,,__ 4-
I

o
(b) Se l'oggetto si trovn mi lllll\ distm,za p�ri al doppio della clistmrna focale, l'immagine
è reale, capovolta e cli uguale dimensione.

o
B'
(e) Se l'oggetto si trova. tra il fuoco e il doppio della clistunzu, focale, l'immagine è reale,
capovoltn e ingrandita.

BrI' ,.
'�"·•
·<:::···,
·, .......,... .
",,,....,.,,"',,. .
B,w::: �
'·,,',,,a"···············
_J _____ .,2____ _
J&..

A=F2 A' F. A

(cl) Se l'oggetto si trova in corrisponden­ (e) Se l'oggetto si trova nel unn, distan,,m mino,
zll del fuoco, i raggi emergono paralleli re della distm11.a focale, l'immagine è virtnale,
(immagine all'infinito). diritta e ingmnclita.

Fig11ra 11.11: Lenti convergenti.

o 139
Capitolo 11 Fenomeni ondulatori © Artquiz

__,,-

,,-· F2 A
.. -· ··-·--
,,
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A' 1
F1
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,.-· F A
-·-�-·-
A'
,, ,.

2 F1

Figura 11.12: Lenti divergenti. L ,immagine è sempre virtuafo dritta e rimpic­


,
ciolita.
·�
•t

11.4 Le onde elettromagnetiche


La luce è un'onda elettromagnetica trasversale costituita dalla vibr�ioue di un cam­
po elettrico E e un campo magnetico B, che oscillano su piani perpendicolari fra loro e
perpendicolari alla direzione di propag�ioue. In Figura 11.12 sono riporto.ti la rappre, 1
sentazioue di un onda elettromagnetica e lo spettro delle radiazioni elettroma.guetiche
con la suddivisione nelle varie regioni spettrali.

...·t.:-;. \ :)9-·� ·0. . · . ·.


I,

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11

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ultravioletto
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raggi Y raggi X infrarosso microonde onde radio
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visibile

,, viola blu giallo ro�so b) ·,


.'

400 500 600 700


lunghezza d'onda À(nm)
!' • -4
Figura 11.13: Onde elettromagnetiche e spettro delle radiazioni elettrpmagneti,
I' che. Fig. a: rappresentazione di un,onda elettromagnetica; il campo magnetico
:
B è perpendicolare al campo E; fig. b: spettro delle radiazioni elettromagneti•
· che, sulla scala orizzontale è riportata la lunghezza d,onda delle varie regioni
spettrali.
!
I
,! 140
@ Artquiz FISICA

La velocità di propagazione della luce nel vuoto è e= 300.000 km s- 1 i c = >i.v.


Questa velocilà è collegata alla permeabilità magnetica del vuoto µo e alla costante
dielettrica del vuoto € 0. Nei me1,zi materiali la velocità .della luce diminuisce (vedi
indice di rifrazione).
Lo studio della interazione fra le onde elettromagnetiche e gli atomi o le molecole
ha condotto alla scoperta delle proprietà corpuscolari delle onde elettromagnetiche 1
che in determinate _condizioni si comportano come onde 1 in altre come particelle prive
di massa 1 chiama.te fotoni 1 il cui numero è proporzionale all 1 intensità dell 1onda1 mentre
Penergia del singolo fotone aumenta con la frequenza della radiazione.
Venergia di un fotone è legata alla frequenza dalla relazione di Planck:
e
E= h-v = h .
>,,

Effetto fotoelettrico
L 1effetto fotoelettrico era un fenomeno assolutamente inspiegabile con i modelli del­
la meccanica classica. Si era infatti osservato che quando la luce colpiva una superficie
metallica in opportune conc�i7.ioni questa emetteva elettroni 1 iu particolare Penergia
cinetica degli elettroni emessi dipendeva dalla frequenza della radiazione incidente 1
an7.i esisteva una soglia di frequemm sott<;_> la quale i[ fonomeno non :,;i verificava 1 inol­
tre Pintcnsitò. della radiazione incidente influiva sul numero degli elettroni emessi ma
non 1 e questo sembrava del tutto stupefacente 1 sulla loro energia. La spiegazione cli
Einstein era semplice ed elegante 1 il quanto di luce 1 il fotone appunto 1 possedeva una
energia legata alla sua frequenza dalla relazione di Planck: E = hv. Quando il fotone
colpiva la superfir.ie metallica era in grado di trnsfcl'ire la sua energia ad un elettro­
ne del metallo. Se essa era :mperiore alI 1 energia che teneva Pelettrone vincolato al
solido (poten7,iale di estrazione) si osservava Peffetto fotoelettrico. Venergia cinetica
che l 1 elettrone espulso acquisiva era data dalla differenza fra Penergia del fotone e il
potenziale di estrazione. Ossia Penergia cinetica dell 1 elettrone espulso risultava:
1
2 mv = hv - hvo,
2

dove 1 vo era la frequenza di soglia legata dalla relazione di Planck al potenziale di


estra:,done.

Raggi X
Indichiamo le caratteristiche principali dei raggi X:
• Sono onde elettromagnetiche di frequenza molto elevata (10 1 7 - 1021 Hz) e
lunghezza d 1onda >,, < 1 nm.
• Il loro indice di rifrazione nella materia è praticamente 1 ( quindi non possono
essere focalizzati) .
• Danno origine a fenomeni di diffrazione quando interagiscono con materiali ·cri­
stallini che con la loro distribuzione spaziale regolare agiscono come reticoli
tridimensionali ( questi fenomeni sono alla base delle tecniche di cristallografia
a raggi X).
• Attivano schermi fluorescenti e impressionano lastre fotografiche.

141
r Capitolo 11 Fenomeni ondulatori © Artquiz

• Attra.vcrsuno qua�i tutti i materiali, anche quelli opachi alle radiazioni ottiche,
essendone tuttavia più o meno assorbiti.
• I raggi X a frequenze pii1 alte sono piit penetranti.
• Radiotrasparenza e quindi radioopacità di uu materiale dipendono, a parità
di energia della radiazione, da tre fattori: il numero atomico degli atomi che
costituiscono il materiale, lo spessore e la densità del materiale.
• L'energia dei raggi X (e delle particelle nucleari) si misura in elettronvolt (eV).
1 eV = 23,06 kcal/mole = 96,48 kJ/mole.
• S0110 in grado di ionizzare l 'a.ria.
Per generare raggi X si può utilizzare una sorgente cli elettroni a�ocinta ad una
forzn. che li acceleri e 1m bersaglio che li freni (tubo di Coolidge) 1 il tutto sotto vuoto.
Gli elettroni vengono emessi da un catodo (spiralina di tungsteno) per effetto termo­
ionico, vengono accelerati da una differc11�"'1. di potenziale .(variabile) e incontrano un
anticatodo nel qmtle vengono frena.ti emettendo coi;i raggi X.

,'

142
.[
PARTE IV
CHIMICA

Capitolo 1·

�·- La costituzione della materia

1.1 Stati di aggregazione e pa�saggi di stato


La. chimica è lél. disciplina che studia la costitmdone della materia. 1 la sua. trasforma,
�ionc• <' Penergin in gioco nella trm-1formazio11e. Viene definita materia tut.to ciè> che
occupa uno spa.r.io e ha mm massa. Tutta 111 materiél. esistente è� costituita da atomi.
Gli atomi sono le particelle più piccole che costituh:;cono la materia. Gli atomi si
combinano tra loro in modi diversi per dare le molecole. La molecola è la più piccola
quantità della materia a cui corrispondono le proprietà chimiche cioè la cn.pacità di
reagire con altre molecole per dare nuovi composti. Le molecole contribuiscono anche
a definire le propri età fisiche delle sostanze.
La materia con la quale abbiamo interazioni tutti i giomi e di cui siamo fotti è in
genere costituita da miscele di sostanze. Si intende per miscela l 1 insieme di dne o più
::i0stanze 1 a composizione variabile. Le miscele (o miscugli) possono es:-.ere omogenee!
o eterogenee: Si noti che nei quiz il termine miscuglio viene spesso ·usato impropria,
mente pe1· definire una miscela eterogenea.

(
Una miscela omogenea è costituita da una sola fase1 cioè una porzione della
materia nella quale le proprietà sono identiche punto per punto. L1 aria 1 l 1 acqua del
rubinetto 1 il vino 1 la benzina 1 un diamante 1 una sbarra di alluminio sono esempi di
miscela omogenea. Si può avere una sola fase in tutti e tre gli stati di aggregazione1
solido1 liquido e gassoso. Qualsiasi sostanza o miscela di sostanze allo stato gassoso
(soluzioni gassose) è costituita da una sola fase 1 perché qualsiasi porzione del gas (a
meno che non si scelga una porzione corrispondente ai volumi clello molecole) presenta
sempre le stesse proprietà. Lo stesso è vero per le soluzioni liquide1 come l 1 acqua
del rubinetto ( che oltre all 1 acqua contiene gas e sali disciolti) 1 il vino (che è costituito
da acqua1 alcol etilico e altre sostanze disciolte) 1 Pacqua del mare (se filtrata) e la
benzina (che è una miscela di idrocarburi liquidi). Ma è vero anche per le soluzioni
solide. Una barra di alluminio contiene solo alluminio e quindi non è una soluzione,
così come non è una solmdone un diamante 1 che è carbonio puro. Ma una barra di
acciaio o di bro117.0 1 che sono leghe 1 cioè una soluzione di ato_mi diversi 1 è una solu­
zione solida.

143
t:
i;
Capitolo 1 La costitu7.ione della materia © Artquiz

Una miscela eterogenea è costituita da più fo.si, è cioè possibile suddividere la


miscela in porzioni definite che hanno proprietà di\•erse. Mescolando acqua e olio (che
sono insolubili l'uno nell'altra) si ottengono due fasi, anche se costituite da piccolis­
shne goccioline, una fase acquosa e una fase oleosa. 'Ira i liquidi biologici il sangue
è una miscela eterogenea, nella quale è possibile distinguere le varie cellule che vi
sono disperse dalla soluzione acquosa. Le lacrime, invece, sono costituite da una sola
fase. La nebbia, costituita da goccioline di liquido disperse nel gas aria, è una miscela
eterogenea, come il fumo, costituito da particelle solide disperse nel gas.
'Iì·a le miscele eterogenee molta importanza, dal punto di vista biologico, hanno le
dispersioni colloidali o sospensioni colloidaH, in cui particelle solide sono sospese
in un liquido. Il sangue e il latte appartengono a questa categoria.
Un modo per distinguere sperimentalmente una soluzione da una sospensione col·
loidale è quella di farla attraversare da un raggio di luce: nel caso della soluzione il
raggio passa senza lu!>ciare traccia, nel caso delle sospensioni il raggio viene percepito
perché viene disperso in tutte le direzioni dalle particelle sospese (effetto Tyndall).
Tale effetto si osserva quando un raggio di sole penetra da una fessura della finestra
in una stanzo. buia: il raggio vieue individuato perèhè disperso dalle particelle solide
(polvere) sospese nell'aria..
I singoli componenti di una miscela spesso possono essere purificati usando mezzi
fisici. 'I'l:a i pii, usa.ti c'è la fil trazione, che separH. i solidi sia dai liquidi che dai gas,
�fruttando le dimensioni più grandi delle particelle solide per trattenerle su un filtro.
Anche la centrifugazione è un mezzo comunemente usato quando si vogliono sepa­
rare particelle che hanno diversa densità: in questo modo dal latte si separa il grasso
(burro) che galleggin. :ml liquido dopo la centrifuga¼ione, o dal sangue si separano i
globuli rossi che invece si raccolgono al fondo della provetta dopo la centrifugazione.

� Le proprietà della materia vengono suddivise in ìntensive ed ·estensive.


Le prime non dipendono dalla quantità di materia che si prende in consi­
derazione. Esempi di proprietà intensive sono la densità, la temperatura,
il pH, l'indice di rifrazio ne, il calore specifico, il punto di fusione, la con,
centrazione, ecc. Esempi di proprietà estensive sono la massa, il volume, la
quantità di calore, l'entropia, ecc.

Gli stati della materia sono: lo stato solido, lo stato liquido e lo stato gassoso
(o aeriforme).
Lo stato solido è caratteriz1mto dall'avere un volume e una forma propria, grazie
alla forte interazione tra gli atomi e le molecole che lo costituiscono. Una definizione
piii restrittiva è quella che individua nel solido solo una sostanza allo stato cristal­
lino, in cui cioè tutti gli atomi componenti hanno una precisa posizione netrreticolo
cristallino. Secondo questa definizione un vetro non sarebbe un solido ma unHiquido
sottoraffreddato ad alta viscosità: le molecole del vetro infatti sono disordinate
(come tutti i liquidi), solo che per il loro attrito non sono capaci di muoversi se non
a velocità bassissime (tanto basse da non essere misurabili in tempi normali). Questi
tipi di solidi non hanno un punto di fusione definito.
Lo stato liquido è caratterizzato dall'avere un volume proprio ma non una forma
p ropria: ciò è dovuto al fatto che, pur essendoci tra le molecole una forza di attrazio­
ne tale da tenere le molecole vicine l'una all'altra, essa non è tanto forte da fissarne
la posizione nello spa:.tio. Le molecole quindi sono libere di muoversi (più o meno
facilmente e questo carattcriz�a la proprietà che si chiama viscosità).

144
@ A1tqui1, CHIMICA

Lo stato gassoso è c�atterizzato da non avere né una forma nè un volume pro­


prio. Le molecole non hanno tra loro un'attrazione tale da tenerle vicine una all'altra
e tendono a muoversi in modo disordinato in tutte le direzioni e quindi ad occupare
tutto il volume a disposizione.
· A seconda della sua natura e della temperatura e pressione alla quale si trova, una
sostanza assume uno dei tre stati. I diagrammi di stato per ogni sostanza individuano
i campi di temperatura (T) e pressione (P) ai quali ogni stato di aggregazione è sta,.

r
bile. Nella Figura 1.1 è riportato il diagramma di stato dell'acqua. Un punto in una
della tre aree in cui è suddiviso il diagramma rappresenta una coppia di valori P,

g
in cui quello stato di aggregazione è stabile in assenza degli altri. Un punto qualsiasi
su una curva individua i valori di P e T ai quali due stati di aggregazione sono in
I equilibrio. Le tra curve si incontrano in un punto, chiamato punto triplo, dove sono
in equilibrio tutti e tre gli stati di aggregazione.

b+- punLo
critico
j

1 Atn, l gns

i 1>1u1to
ghhtcclo cr l triplo
!,._ Lc111pcr,tL1u·,t
cl'iLic1t
Vltl)Ol'O

-------f;�---L_-1.!
o
-.
100 374 t ·e
Figura 1.1: Diagramma di stato dell'acqua. Alla pre.'ìsione atmosferica l'acqua
congela a O ·e e bolle a 100 ·c.
La retta 1 che divide lo stato solido dallo
,'ìtato liquido ha una pendenza negativa perché l'acqua solida ha una densità
inferiore a q1tella dell'acqua liquida: la pres.'ìi one facilita quindi il passaggio
dallo stato solido allo stato liquido e la temperatura di congelamento diminui,
sce con l'aumentare della pressione. Al di sopra della temperatura critica è
stabile solo lo stato gassoso. La curva 2 rappresenta la pressione di vapore del
liquido in funzione della temperatura. La c1trva 3 rappre.,:umta la pressione di
vapore del ,'ìolido in funzione della temperatura. La scala delle ascù;.�e non è
proporzionata.

Nel caso dell'anidride carbonica il diagramma di i-,tato si difforen7,ia da quello


dell'acqua per due caratteristiche:
1. La retta che divide lo stato solido dallo stato liquido ha una pendenza positiva
perchè l'anidride carbonica solida ha una densità superiore a quella dell'anidride
carbonica liquida.
2. Il punto triplo si trova a circa 5 atm di pressione per cui l'anidride carbonica nel

o
nostro pianeta non potrà mai apparire nella forma liquida (a meno di esercitare
su di essa una pressione superiore a 5 atm). L'anidride carbonica solida infatti si
chiama ghiaccio secco appunto perché non fonde ma s11blima.

145
·'I
,':
.,;1
,: 1 Capitolo 1 La costituzione dello. materia © Artquiz
! •
'i
• l

Cambiando la temperatura (e la pressione) la sostanza può cambiare stato di


aggregazione, senza variare la sua composizione chimica. A pressione costante il pas·
..
I,
',. ' saggio di stato avviene a temperatura costante, nel senso che, anche se si riscalda
·,
I
o si raffredda il sistema, la temperatura non cambia fino a che sono presenti i due
l:; �
stati di aggregazione. Il calore che viene fornito o sottratto serve a far passare una
;J,
..
rf
� parte del sistema da uno stato di aggregazione all'altro.
Si chiama ebollizione il passaggio dallo stato liquido allo stato gassoso (vapore;

I'
'·. Chimica,§ 5:2). Tale passaggio non deve essere confuso con l'evaporazione, un pro,
cesso che avviene a tutte le temperature (vedi infra). Il processo inverso si chiama
condensazione.
Il passaggio dallo stato liquido allo stato solido si chiama solidificazione e il pro­
,,
cesso inverso si chiama fusione.
Il passaggio dallo stato solido allo stato gassoso (vapore) si chiama sublimazione
e il passaggio opposto si chiama brinamento (Fig. 1.2).

o
;,
�- I cambiamenti di stato sono processi che mettono in gioco dell'energia. Quando

si passa da uno stato pii1 stabile (solido) ad uno meno s'tabile (liquido o gassoso)
bisogna fornire al sistema energia. I processi sono eodotermici e si parlu. di calore di

o
fusione, di sublimazione o di ebolliiione. I pass�ggi iuvel'si sono invece esotermici e si
definiscono i calori di solidificazione, di liquefazione e di brina.mento.

o
VAPORE

o
SOLIDIFICAZIONE
LIQUIDO+--------- SOLIDO
FUSIONE
.. o
Figura 1.2: I passaggi di stato.
o
� Poiché il passaggio di stato avviene a temperatura costante e la temperatura
di un corpo è la misura dell'energia cinetica media delle molecole che lo D
o
costituiscono (,�m·u 2 ) l; molecole nei diversi stati hanno la stessa velocità
media.

1.2 Elementi e composti


Un elemento è una sostanza costituita da atomi dello stesso tipo. Solo nel CEJ.80 dei
t,
j gas nobili la molecola è costituita da un solo atomo (es. He); le altre sostanze sono
I,

.li costituite da molecole contenenti due, tre, quattro o pii1 atomi (es. Cb, P 4 , N2 ), Nel
,I i
caso dei metalli, dei sali e del car bonio la molecola consiste nell'aggregato di tutti gli
atomi costituenti la quantità di sostanza presa in considerazione. In altri termini, in
�:. I alcuni solidi, la molecola non è identificabile, perché tutti gli atomi sono legati tra

I!j
loro (Chimica,§ 4.1.3).
Gli atomi degli elementi noti sono 105. Alcuni di questi sonq prodotti artificial­
mente. Ognuno è caratterizzato da un simbolo formato da una o due lettere e occupa

ff
146
© Artquiz CHIMICA

un posto preciso su una Tavola (dettn periodica), da cui è possibile dedurre alcune
proprietà (Chimica,§ 3.1).
I composti chimici souo formati da. più atomi di specie diverse, che costituiscono
1� molecola di quel composto. Nella formazione di una molecola gli atomi che la
compongono si legano tra loro secondo rapporti fissi determinati dai numeri che ap,
paiono nella formula chimica o formula molecolare (es. H2S04, C2HsOH, C02).
La formula chimica individua il composto dal punto di vista qualitativo e quantita­
tivo. Per i composti di natura ionica (Chimica,§ 4.1.1) la formula indica solamente i
rapporti quantitativi tra gli ioni costituenti la sostanza. La formula di strutt ura di
un composto indica il modo con cui gli atomi :,;i legano tra loro per formare la moleco,
la. Spesso ad una formula grez za o bruta corrispondono più formule di struttura.
;--,
Con formula minima si intende il rapporto quantitativo più smnp1ice tra gli atomi
costituenti il composto.
'....I

.,

147
�---
af

...
Capitolo 2

L'atomo

o
�.

2.1 L'atomo e i suoi costituenti. Gli isotopi. La radioattività.


Il peso atomico e il peso molecolare. La mole ·
In maniera molt.o generale ogni atomo è costituito da un nucleo centrale con çarica
positiva circondato da particelle con carica negativa., chiamati elettroni, che si muo,
vono intomo al nucleo. Lo �par.io entro il qun.le si trovano quei-;t;e particelle è di natura
pressochc sferica e il raggio delle sfere è dell'ordine cli grande;,.xa degli angstrom (A).
A= 10- 8 cm= 0,1 nm = 10- 10 m = 100 pm.

-o
1
Il nucleo è costituito da particelle elementari d1iamate protoni e neutroni ( o
nucleoni). I protoni hanno carica po�itiva, della steS8a entità di quella negativa degli
elettroni, mentre i neutroni �ono :,;carichi. Protoni e neutroni hanno massa pressoche
equivalente e circa 1.800 volte più grande della mas:·m degli cl�ttroni, per cui la massa
di un atomo è praticamente concentrata nel nucleo.
� I protoni, gli elettroni e i mmt;roni hanno la loro corrispondenza in particel,
le opposte che costituiscono l'antimateria. Gli antiprotoni hanno la stessa
massa de protoni ma carica negativa, gli antineutroni hanno la stessa massa
e sono semm carica, gli antielettroni hanno la stessa massa ma carica po,
sitiva (sono chiamati anche positroni, usa.ti nella tecnica PET, "positron
emission tomography"). Quando due particelle di antimateria si incontrano
si annichilano ed emettono una gTande quantità di energia pari a E = mc 2 ,
in cui E è l'energia emessa, m la massa delle particelle annichilite e e la
velocità della luce.
La specie chimica cli ogni atomo ( e quindi il suo simbolo atomico) è definita dal
numero di protoni contenuti nel nucleo. Tale numero viene chiamato numero ato­
mico e definito dalla lettera Z. L'atomo più semplice ha un solo protone nel nucleo
e corrisponçle all'elemento idrogeno il cui simbolo atoEJii.co è H. I tre concetti sono
sinonimi. Il carbonio ha nunrnro atomico 6 e il suo s'ffliholo è C. Poichè nél nucleo
ci sono i neutroni viene definito anche il numero di mas sa (A) che rappresenta la
somma del numero dei protoni e dei neutroni presenti nel nucleo. Quando si vuole
mettere in evidenza que.c:;ti due numeri nel simbolo dell'elemento si mette il valore di
D Z in basso a sinistra del simbolo e il valore di A in alto a sinistra del simbolo. Esempi:
12c a1p
6 I 15 '

Q 149
Capitolo 2 L'atomo © Artquiz

La stn.bihtà di un uncleo dipende dal rn.pporto tra. il nnmcro dei protoni e quello
dei neutroni. Questo rapporto è variabile all'interno di un certo intervallo, per cui
un atomo può essere stabile pur avendo nn nu11tero di neutroni diverso nel nudeo.
Gli n.tomi che hanno nel nucleo Io stesso numero di protoni ma diverso numero di
:{
:1
neutroni vengono definiti isotopi. Essi quindi hn.nno lo stesso valore di Z, ma un
diverso valore di A. Gli isotopi di un elemento possono eb-scre separati sottoforma di
specie ioniche dallo spettrometro di massa, che separa le sostanze sulla. base· del
rapporto massa/carica. Per esempio gli ioni 56 Fe2+ e 58 J:<è2+ possono essere separati
·1 perché la carica è sempre ln. stessa mentre le masse dei dne ioni sono diverse. Se il
· rnpporto tra protoni e neutroni eccede o è al di sotto di 1111 certo valore, il nucleo è
�:1( instabile e tende n. trasformarsi. In tnl caso si pn.rla di isoto pi radioattivi, essendo
la radioattività mm emissione di particelle e di energia (decadimento radioattivo)

:l
(esempio l'isotopo 1 dell'idrogeno, �H, o protio e l'isotopo 2, ?H, o deuterio, sono
j' 11gnn.Imente stabili, mentre l'isotop o 3, r H, o tritio, non è stn.bile ed è rndion.ttivo).
Le radiazioni emesse sono di tipo a (nn nucleo di elio, He, contenente due protoni e
if due neutroni) poco penetranti, di tipo /3 (elettroni e positroni) più penetranti, o di
.� tipo, (radiazioni elettromagnetiche molto energetiche e penetranti).

i:
Qun.uclo vengono emesse particelle a cambia nel nucleo il numero di protoni e
quindi, a seguito dell;cmil;sione, ca1nbia la. nn.turn. dell'elemento. Esempio:
J!
2
J�U --> 2g3Th + �He++
!f,.
Quando vengono emesse pa.rt�cellc /3 (elettroni o positroni) un neutrone nel nucleo
si trasforma in protone o viceversa, e qniudi anche iu questo caso cambia la. mttura
:, dell'atomo. Esempio:
ooc
,.
21 ° --> 2aooN·t + e -
La cinetica di decadimento di un isotopo radioattivo è specifica di og11i isotopo. Si
definisce tempo di dimezzamento (o emivita) di un isotopo radioattivo il tempo
·necessario per perdere metà della sua radioattività. Esso viene usato per datétre
��
reperti' fossili sulla base della radioattività del 14 C, il cui tempo di dime-tzamento è
di 5.760 n.nni. Il tempo cli dime-1,zamento è inversamente propor1.ionale all'attività
I: specifica di un radionuclide: più corta è la vita più pericoloso è U radionuclide, in
I quanto emette la sua radioattività in un tempo minore.
··j1 L'emissione di radiazioni gamma accompagna in genere le emissioni beta. Se
emesse da sole, le radiazioni gamma non cambiano la Qatura. dell'atomo.
La natura dei nuclei, oltre che per decadimento radioat.tivo, può essere cambiata
.!.l per bombardamento con neutroni. I nuclei pesanti subiscono in taL,modo una
:1.,•I scissione in più nuclei di massa intermedia con grande emissione di energia.�Il processo
t,: si chiama fissione ed è utili7:,mto sin. nella bomba atomica che nelle centtali nucleari

;!
per produrre energia elettrica. Il processo inverso, quello di unire nuclei di idrogeno
per formare un nncleo di elio, si chiama fusione nucleare. Esso avviene nel sole e
I• produce una qmmtità di energia molto superiol'e a qncllo della fissione (sul processo
di fusione si basa la bomba termonucleare o a idrogeno).

:: � Nella bomba atomica si usa come combustibile 235 U. In natura l'uranio è


presente sotto forma di due isotopi 235U e 238U. Per costruire la bomba
è necessario sepal'are 238 U da 235 U. Questo processo prende il nome di
arricchimento dell'uranio.

150
@ Artquiz CHIMICA
r:
,.\,
1:•.

Alcuni isotopi radioattivi, come il 6°Co, sono utilizzati per la terapia dei
fl
,\.'"
'Vl-•
tumori (radioterapia). Il principio è quello di indirizzare le radiazioni
(raggi , ed elettroni) sulla massa tumorale, per provocarne la distruzione.
ff1
�.
Poiché le radiazioni sono genotossiche (capaci di provocare mutazioni sul
DNA) esse sono anche causa di cancro.
Un atomo è neutro quando il numero di elettroni che contiene è pari al numero
dei protoni. Quando i due numeri sono diversi l'atomo viene chiamato ione. Esisto­
no, per ogni specie atomica, ioni positivi o cationi (per carenza di elettroni) e ioni
negativi o anioni (per eccesso di elettroni). Esempi: Ca2 + , A]3+ , Li+ , ci-, s2 -.
I protoni e i neutroni hanno una massa quasi uguale di 1, 67 · 10-2 4 g. Uelettrone
ha una massa di 9, 11 · 10- 2 8 g, molto pii1 piccola. Data la bassissima massa di queste
particelle non è pratico usare il grammo o il chilogrammo come unità di misura delle
masse atomiche. Si usa invece una unità di misura che è il dalton (Da) (sp9Sso in­
dicata nei quir. anche come u.m.a., unità di massa atomica), che è definito come
la dodicesima parte della massa deWisotopo 12 del carbonio (pari .a 1, 66054 · 10-24
g). Poiché quc.c;t> u]timo contiene 6 protoni, 6 neutroni e 6 elettroni, il dalton corri­
sponde alln massa di mC'1:1,o elettrone più quella di mer;,:,,o protone più quella di me7,7,0
neutrone. Ma data la pratica uguaglianza delle uui.::;se dei protoni e dei neutroni e la
trascmatC'.-;:;,,a della massa dell'elettrone, si può dire che il clalton corrisponde in pra­

o
tica alla massa ciel protone (o del neutrone). Per questa ragione ogni specie chimica
dovrebbe avere un peso atomico (misurato in da.ltou) quo.si intero, corrispondente
alla somma ciel numero dei protoni e dei neutroni contenuti nel nucleo. Cionono­

o
stante, se si va a controllare i pesi atomici riportuti nella Tavola periodica per ogni
elemento, spesso si vede che esso non è un numero quasi intero. Questo dipende dal
fatto che nella Tavola periodica vengono riportati i pesi atomici degli elementi secon­
do la composizione isotopica che essi hanno in natura. Se Piclrogeno in natura fosse
presente solo come protio (fatto da un protone e un elettrone) il :=mo peso atomico
sarebbe praticamente 1. Se fosse presente sòlo come cleuterio il suo peso atomico sa­
rebbe praticamente 2. Se fosse presente come tritio, sarebbe 3. Se l'idrogeno presente
in natura fosse una miscela al 50% di protio, 30% di deuterio e 20% di tritio, il suo
peso atomico sarebbe O, 50 · 1 + O, 30 · 2 + O, 20 · 3 = 1, 70 Da. Poiché il peso atomico
reale deWidrogeno è 1,01, questo ci suggerisce che ] >idrogeno in natura è costituito
essenzialmente da protio.
Il peso atomico è usato anche per ricavare la massa delle molecole (peso moleco­
lare), che si ottiene semplicemente sommando i pesi atomici degli atomi costituenti.
Esempio: la CO2 ha un peso molecolare pari a 12, 01 + 2 · 16, 00 = 44, 01 Da.
Viene definita mole (o grammomole, indicata con il simb�lo mol) la quantità di

D
sostanza in grammi che corrisponde al peso molecolare (o atomico se si tratta di ato­
mi, in tal caso si chiama. grammoatomo) della sostanza. 44,01 g di CO2 sono una
mole di CO2 . 2 g di I-12 (il peso molecolare di H2 è 2) sono una mole di iclrogeno.
12 g di carbonio (C) sono una mole (o grammoatomo) di carbonio. È immediato
capire che una mole di una qualsiasi sostanza contiene lo stesso numero di molecole:
tale numero è il numero di Avogadro pari a 6, 02 · 10 23. Il. numero di moli di una
sostanza (indicata con la lettera n) viene facilmente ricavato se si conosce il numero
di grammi della sost11nza e il suo peso molecolare:
• n = (massa della sostanza)/(peso molecolare della sostanz�).
Da questa relazione si può ricavare qualsiasi grandezza incognita conoscendo le_
altre due:

151
'] Capitolo 2 L > atomo © Artquiz
p
·I

•i
�;h • massa della sostanza = 11 · peso molecolare;
I•1 I
il t
,, ,
• peso molecolare= massa della sostauza/n.
�,.
ti i

.1 Una reazione chimica è un processo con il quale si cambia la natura delle so­
stanze. Questo avviene perché alcuni legami si rompono e se ne formano degli altri.
Per esempio quando si brucia carbone con ossigeno si ottiene l'anidride carbonica. La
reazione, utilizzando i simboli delle sostanze, può essere scritta come:
�i C + 02 � CO 2
i Questa reazione può essere letta in due modi: il primo, di tipo qualitativo, ci
iJr.!1'•
.�fl dice che il carbonio reagisce con l'ossigeno per dare anidride carbonica; il secondo, di
it
'1 tipo quantitativo, ci dice che una mole di carbonio (pari a 12 g) reagisce con una
,, mole di ossigeno (pari a 32 g) per dare una mole di anidride carbonica (pari a 44 g).
l••
1'
'fl
Come si vede la massa di CO2 è pari alla somma delle masse di C e di 02 che hanno
�I reagito. Questa è l'espressione della legge di Lavoisier.
I Un altro esempio:
t1
j

e; ...
N2 Oi; + 2 H2 O � 2 HNO3
Anche in questo caso la somma delle masse dei reagenti (le sostanze a sinistra
11

della freccia) <� uguale alla somma delle masse dei prodotti (a destra della fr eccia).
:I Questa reazione ci dice anche che ci vogliono due molecole di acqua per reagire con

una molecola di anidride nitrica (o peutossido di diazoto) e clte la rea:lione porta
1, .;, alla formaiioue di due molecole· di acido nitrico. Per rispettare la legge di Lavoisier è
l
t
quindi necessario mettere i corretti coefficienti davanti ai simboli delle specie chimiche
che reagiscono. Un altro modo di esprimere la legge è quello di dire che durante la
reazione chimica non si crea né si distrugge materia (e quindi gli atomi di a:.wto, di
I' ossigeno e di idrogeno presenti nei reagenti debbono essere ritrovati nei prodotti). La
l reazione corretta si dice bilanciata. Nel caso di reazioni nelle quali compaiono gli

D
I ioni, oltre alle masse debbono essere bilanciate anche le cariche. Esempio:
t!
Cr2 O1 2 - + 3 SO3 2 - + 8 H + � 2 Cr3 + + 3 so.?- + 4 H2 O
�..

.�
•I
I

i
!
In un composto gli elementi che lo formano si combinano sempre con un rapporto
in peso definito: è questa la legge delle propornioni definite che va sotto il nome di
legge di Proust. o
:1.•I
I '
2 .2 Modello atomico e configurazione elettronica degli elementi
Il primo modello di atomo fu concepito da Thomson il quale suppose cl,ie esso fosse
fatto da una massa di carica positiva che conteneva immerse in essa le cariche negative.
L'esperimento 'di Rutherford, il quale inviò un fascio di nuclei di elio (due protoni e
,
.o
due neutroni) su una lamina d oro molto sottile, dimostrò che lo spazio occupato dagli
atomi era essenzialmente vuoto e permeabile al fascio di nuclei di elio. Solo una pic­

o
colissima parte di essi (3%) venivano deviati, seg110 che avevano incontrato un nucleo
carico positivamente: il modello di Thomson avrebbe portato all'attraversamento sen­
za deviazione di tutto il fascio. L'atomo di Rutherford può essere schematizzato come
I una pallina centrale (il nucleo) dove è concentrata quasi tutta la sua massa e la carica
11
positiva, e una nube elettronica intomo ad essa (molto più grande del nucleo stesso)
che definisce il volume dell'atomo (oltre che costituirne la parte con carica negativa).

152
© Artquiz CHIMICA

Poiché le proprietà chimiche delratomo (cioè la sua capacità di combinn.rsi con altri
atomi per formare le molecole) dipendono da come sono distribuiti gli elettroni nello
spazio intorno al nucleo, lo studio di questa distribuzione è stato fondamentale per
definire un modello di atomo.
In breve, e schematicamente, alla base della stabilità di un atomo sta la interazione
che c >è tra la carica negativa di ogni elettrone e la carica positiva del nucleo. Tuttavia
la fisica cosiòdetta classica non riesce a spiegare Pesistenza separata degli elettroni e
dei nuclei, nel senso che Papplicazione delle leggi note della fisica porterebbe comun­
que alla caduta degli elettroni nel nucleo, con emissione di energia elettromagnetica.
Gli atomi sono invece stabili e quindi gli elettron1 non cadono nel nucleo e inoltre
emettono e assorbono energia non in modo continuo ma con definite lunghe1s¼e d> on­
da o frequen'l,e (non dimenticar si Pequazione di Planck-Einstein: E = hv, dove
h è la costante di Planck e J/ è la fr equemm della radiazione elettromagnetica emessa
o assorbita. Jl pacchetto di energia E si chianm anche fotone). Ogni tipo di atomo,
infatti, ha un definito spettro di assorbimento e di emissione che è fatto a righe
(sulla base di questi spettri vengono identificati i tipi cli atomi presenti in un crunpio- ·
ne). Ogni riga rappresenta Penergia emessa o assorbita quando un elettrone salta da
1111 livello energetico ad un altro. Questi spettri ci dicono che gli elettroni di un atomo
si trovano in uno stato energetico stabile: solo quando vengono eccitati essi saltano
da quello �tuto stabile ad un altro stato,stabile assorbendo energia. (o emettendola.
nel salto inverso). Uenergia degli elettroni in un atomo non è quindi continua ma
quantizzata. Bohr fu il primo n clescrivere nit modello qnantiz:,,ato cli atomo, con
gli elettroni capaci di percorrere determinate orbite permesse, nelle quali sono stabili
e non emettono ennrgia. Uenergia viene eme:;sa, o nHsorbita. solo quando c>è il salto
, ,
da. un orbita ud uu altra.
Il tentativo di prevedere il moto dcWclettrone nel suo stato sta.bile (cioè de8criver­
ue il moto con una equazione) si è poi scontrato con un ostacolo fortissimo costit.uito
dal principio di indeterminazione di Heisenberg, il quale asserisce che non è
possibile prevedere contemporaneamente posiz.ione e velocità di una particella come
Pelettrone. Questo precludeva la scrittura di una equa:,;ione del moto delPelettrone,
come si fa per un satellite intorno ad un pianeta. L'ostacolo fu aggirato dopo aver
scoperto la natura duale della materia: essa infatti ha proprietà ovvie di corpuscolo
ma ad essa è associata anche la proprietà di onda. Uequazfone che lega i due aspetti
è quella di De Broglie:
À= .!!__
mv
dove À è la lunghezza d> onda delPonda associata alla mru:;sa m di nn_ corpo che si
muove a velocità v e h è la costante di Planck.
I due concetti, di impossibilità di descrivere il moto deWelettrone e di natura on­
d ulntoria dello stesso, permisero a Schrodinger di costruire una equ�zione d'onda
degl i elettroni. Le soluzioni di questa equazione forniscono si� Penergia degli sta­
ti elettronici permessi che lo spazio occupato dai singoli elettroni intorno al nucleo.
Si badi bene che la posizione degli elettroni (e quindi lo spw,do da essi occupato) è
de:;critto in termini di probabilità (per non violare il principio di indeterminaz.ioue).
Schrodinger ha dimostrato che la soluzione deWequazioue è possibile solo per certi
valori di alcuni numeri, chiamati numeri quantici. Ogni soluzione (1/J, o meglio -il
sno quadrato, 1/)2) definisce nn orbitale (per distinguerlo dalle orbite che sono per­
cori:;i ben definiti) e rappresenta lo spazio entro il quale c > è una probabilità finita di

153
Capitolo 2 L'atomo @ Artquiz

o
,j
il
trovare l'elettrone e a cui corrisponde un'energia definita dell'elettrone. Gli orbitali
descrivono quindi glt stati possibili e quantiiiati che l'elettrone può assumere in un
·.�, determinato atomo.
I numeri quantici i cui vnlori permettono di trovare solu�ioni all'equazione di
Schrodinger sono:
1. Il numero quantico principale (definito dalla lettera n) che può assumere valori
positivi interi da 1 in poi (n = 1, 2, 3, ecc.). Il suo valore è per buona parte


proporzionale all'energia dell'elettrone e alla sua distanza media dal nucleo. Esso

o
definisce il livello nel quale si trova l'elettrone, che viene in q11alche testo designato
·,t,·· con le lettere K (n = 1), L (n = 2), M (n = 3), N (n = 4), ecc.
t::
l: 2. Il numero quantico secondario (definito dalla lettera 1) rappresenta la forma
••�·
IL dello spa:.t;io occupato dall'elettrone e, in parte, anche l'energia dell'elettrone. Esso
può assumere valori che dipendono da n, nel senso che, fissato 11, 1 può variare da

o
.I
\ ) f� O a (n-1), comprendendo tutti i numeri interi intermedi. Quindi, quando n = 1,
1 può essere solo O. Quando n = 2, 1 può essere solo O e 1, e cooì via. Quando 1
,,,', = O, la forma dell'orbitale è sferica. Quando l = 1 la forma dell'orbitale è a d11e

o
lobi sferici opposti. Quando 1 = 2, la forma dello spa2io è a quattro lobi, come nn
.. I quadrifoglio, ecc.
' La forma sferica dello spazio è indicata anche <-'Ome un orbitale di tipo s, la forma
a due lobi è indicata come orbitale di tipo p, la forma a quattro lobi è indicata
come orbitale di tipo d. In seguito ci �ono gli orbitali di tipo f e g. (Fig. 2.1).
3. Il numero quantico magnetico (definito dalla lettera mL o solo dalla lettera
m) rappresenta l'orientazione nello spa7.io degli orbitali. Esso può variare tra -1
e +l. Quindi quando 1 = O, IIlL è 7,ero (la sfera non ha. orientazione, c'è un solo
1t.
!� I• orbitale di tipo s). Quando 1 = 1, mL può as�mmere i valori -1, O e +1 (i doppi
',,
lobi hanno tre orientazioni lungo i tre assi cartesiani e quindi ci sono 3 orbitali di
t;
�:
tipo p), come nella Figura 2.1. Quando 1 = 2, mL pnò assumere i valori -2, -1, O,
+l, +2 (ci sono cinque orienta7.ioni diverse per gli orbitali a quattro lobi, di tipo
d). E così via.

o
·.: 4. Il numero quantico di spin (definito dalla lettera m8 ). Esso caratteriZ7.a due

�..,J;1
stati possibili dell'elettrone, indipendenti dall'orbitale che esso occupa, e raffigu­
rabili come due rotazioni possibili (destrogira e levogira) intorno all'asse. I due
valori possibili sono +1;2· e -1/2.
,!-1
1
1
I',

a�J �·
� y y y

·, ,,.,/2
:, >t"
'I
·,... X I 'X .)(
"x
j!

'!1
[

!'
,J '"
Orbitale s Orbitali P

�t Figura 2.1: Rappresentazione degli orbitali atomici di tipo s e di tipo p.


�I.,If
fl
,.t Partendo da queste premesse si può costruire la configurazione elettronica
J�t··
I'
di qualsiasi atomo nel suo stato fondamentale, cioè nel suo stato stabile a bassa

154
© Artquiz CHIMICA

energia. Questo vuol dire che in un dato atomo, con il suo numero atomico e quindi
con il suo numero di elettroni> questi possono essere assegnati agli orbitali secondo
delle regole> che sono così riassunte:
'A. Gli elettroni cominciano ad occupare gli orbitali partendo da quelli a più bassa
energia> quindi prima quelli con 11 = 1> poi quelli con n = 2 e così via (principio
dell'Autbau).

B. Gli elettroni non possono avere tutti e quattro i numeri quantici uguali (principio
di esclusione di Pauli). Quindi > poiché un orbitale è designato da tre numeri
quantici (n > l e m) > esso può essere occnpnto solo da due elettroni di spin opposto.

C. Quando gli elettroni hanno la pos.sibilifa di occupare diversi orbita.li alla stessa
energia> lo fauno occupando il mas..�imo numero possibile di essi (regola di Hu nd
o della massima molteplicità).

Ln scala di energia degli orbitali è riportata nella Figura 2.2. •

6d...._____5
f

-........____ _
7s
�...._____

6s ...,_____
d
.IL
--
...._____ 4 f

_...,_____-
5p
4d

_...,_____4p
5s----

4s��3d

/3p
3s

-/p
2s

Figura 2.2: Ordine crescente delle energie degli orbitali


1s atomici.

Proviamo a costruire la configurazione elettronica degli elementi seguendo Piucre­


meuto del numero atomico.
Il primo elemento è l'idrogeno (H)> con Z = 1. L'unico elettrone si dispone nel­
l'orbitale ad energia più bassa> con n = 1 e l = O. Questo orbitale viene designato
con il termine ls. Il numero rappresenta il valore di n > mentre la lettera rappresenta
il tipo di orbitale (s perché quando n è uguale a 1 > l non può essere che O). Quindi la
configura:-,;ione elettronica delPidrogeno è ls.
Il secondo elemento è l'elio (He). Ha Z = 2 e quindi ha due elettroni. Essi pos­
sono andare entrambi nelPorbitale ls > perché possiedono il numero di spin opposto e
quindi non contraddicono il principio di Pauli. La configura¼ione elettronica è quindi
ls 2 > con il 2 cp.e non rappresenta una potenza ma il numero di elettroni contenuti
nell >orbitale.
Il terzo elemento > il litio (Li) ha tre elettroni: due Ii dispone nell'orbitale 1s. Il
terzo non può esservi alloggiato perché si violerebbe il principio di Pauli > quindi va in

155
Capitolo 2 L'atomo © Artquiz
o
un nuovo orbitale, che avrà nutnero quantico principale 2. Con n = 2 si può n.vere 1
= O e 1 = 1, quindi orbitali di tipo s (sferici) e orbitali <li tipo p (doppio lobo). Se i
due tipi di orbitali avessero ln. stessa energia sarebbe indifferente per H ter7,0 elettrone
collocarsi nell'uno o nell'altro. Mn. l'energia, anche se in misura non rilevante, dipen­
o
de anche da 1, oltre che da n. Gli orbitali con 1 = O hanno energia. inferiore a quelli
con 1 = 1. Per cui il terzo elettrone si collocherà nell'orbitale 2s. La confignrazione
elettronica del litio sarà quindi: ls2 2s.
Il quarto elemento, il berillio (Be), ha quattro elettroni. Seguendo pari pari il
ragionamento di prima si giungerà alla configurazione ls 2 2s2 .
Il quinto elemento, il boro (B) ha cinque elettroni. I primi quattro sono siste­
mn.ti come quelli del Ile; il quinto n.ndri't in uno qualsiasi dei tre orbitali p (l = 1).

o
B = ls2 2s2 2p.
Il sesto elemento, il carbonio (C), collocherà il sesto elettrone sempre in un orbitale
p. Esso avrà la possibilità di andare nello stesso orbitale p dove è alloggiato il quinto
:�
rr1
elettrone (ovviamente con spin opposto), oppure andare in uno degli altri due ancora
vuoti, con lo stesso spin (spin parallelo). Questa seconda scelta è energeticamente
favorita, secondo la regola di Hund. C = ls2 2s2 2p2 .
Lo stesso farn. il settimo elettrone dell'awto (N). N = ls2 2s2 2p3 , con i tre elettroni
negli orbitali p diversi con lo stesso spin.
Gli altri tre elementi (O, F e Ne) riempiranno progressiva.mento i tre orbitali p,
per cui O == 182 2..,;2 2p,i , F = 1s2 2s 2 2p 5 e Ne = ls2 2s2 2p6. In questo modo il livello
o
corrispondente al numero n = 2 è completamente riempito e bisogna passare al terl'.o
livello, con n = 3.
In maniera analoga a quanto fatto in precedenza si costruisce la configunt¼ione
elettronica di:

• Na = ls2 2s2 2p6 3s • P = ls2 2s2 2p6 3s2 3 p3


• Mg = 1s2 2s2 2p63s2 • S = ls2 2s2 2p0 3s2 3p'1
• Al = ls 2s 2p 3s 3p
2 2 6 2
• F = 1s2 2s2 2po 3s2 3ps
• Si = ls 2s 2p 3s 3p = ls2 2s2 2p6 3s2 3p6
2 2 6 2 2
._. • Ar
--�;.
!•:
li,•:

1I!�';1,i:
L'argon ha 18 elettroni. ll 19 ° èlettrone dovrebbe anelare in uno degli orbitali 3d
r(!:
(1 = 2). Ma poiché, come si è detto, l'energia di un orbitale dipende sia da n che da
1, l'orbitale 4s del livello successivo ha un'energia inferiore a quella posseduta da un
111 orbitale 3d (Fig. 2.2). Quindi il potassio (K) e il calcio (Ca) hanno configurazione
I?
:, elettronica: ·1
I,
,,; ,"<
ri: • K = ls2 2s2 2p6 3s2 3p64s • Ca = ls 2 2s 2 2p6 3s2 3p6 4s2 ·
.i ;
111{•t• Dopo aver riempito l'orbitale 4s, gli ulteriori elettroni possono andare negli orbitali

r:;
,;
3d, che sono 5 e quindi possono alloggiare complessivamente 10 elettroni. Questi
elettroni sono alloggiati seguendo la regola di Hund e il principio di esclusione. Gli
I ••• elementi che progressivamente riempiono gli orbitali d sono Se, Ti, V, Cr, Mn, Fe,
Co, Ni, Cu e Zn.
La configurazione elettronica degli altri elementi può essere facilmente ricostruita
usando la Figura 2.2, che riporta in sequenza gli orbitali con energia via via crescente.

156
'.
Capitolo 3

Sistema periodico degli elementi

3.1 Tavola periodica degli elementi


Lo. configma�ionc elettronica d egli elettroni piì1 esterni clcgli elementi viene 11tili;1,zntn
per incascdln.re gli clementi stes..�i in 1111 modo ra;1,ionale dal qnn.lc si possnno clednrrc > in
mnniera immediata> alcune proprietà. Tale incasellamento porta alla forma�ioue della.
cosiddetta Tavola periodica degli eleqienti o Tavola di Mendeleev > clal nome
dello scienziato russo che cominciò a collocare in maniera ordinata gli elementi stessi
in base alle lorn proprietà chimiche. Infatti le proprict;à chimiche di un elemento
dipcnclono dalla configurazione elettronica degli elettroni piì1 esterni, come si vedrà
quando si affrontcrh il problema della formazione elci legami per ottenere le molecole.
Lu. Tavola pc-•riodicn. (Fig. 3.1) è suddivisit in righe (chiamate anche periodi) e
colonne (chiarnu.te anche gruppi). Nei periodi vengono disprn-;ti gli elementi con il
numero atomico crescente du. sinistra a. destra. Un perioclo finisce �empre con un gas
nobile, 1111 elemento che si trova allo stato gassoso (a temperatura e pressione ambien­
te) e che è straordinariamente poco reattivo (in questo consiste la �un nobiltà). Un
gruppo è costituito dagli elcmwuti che hanno lit stessn confi.,;mnzione elettronica degli
el<:ttroni estern·i> e quindi k stesse proprietà chimiche > indipendentemente dal numero
complessivo di elettroni che essi posseggono e quindi della grandC'.-;za del loro atomo.
Questi elettroni vengono chiamati anche elettroni di valenza. Se si prendono gli
elementi ciel primo gruppo (denominato anche IA) si vede che tutti pos:-;icdono nel
gm:;cio più esterno un solo ·elettrone di tipo s. 'l\1tti questi elementi (con Peccc--1.iouc
deWidrogeno) vengono anche chiamati metalli alcalini (per la definizione di metallo>
Chimica > § 3.2). Se si prendono gli dementi del i,,econdo gruppo (IIA) si vede che
tutti po:-;sieclono nel guscio piì1 esterno due efottr-oni con coufig111·1Y1.-ioue elettronica
s2 (] >elio> pm avendo questa. configurazione > fa. eccezione� vedi infra). Gli clementi
appartenenti n. questo gruppo vengono denominati metalli alcalino-terrosi. Analo­
gamente gli clementi del terno (IIIA > configura:-.-;ioue elettronica degli elettroni esterni
s 2 p)> ciel quarto (IVA > s 2 p2 )> del quinto (VA > s 2 pa ), del sesto (VIA> s2 p,a )> del Hcttimo
(VIIA > :,;2 p5 ) e dcWottnvo gruppo (VIIIA > s2 pG). Gli clementi del Hcttimo gruppo
sono chiama.ti alogeni> quelli cleWotta.vo gruppo> rome detto> gas nobili.
Tra il gruppo IIA e il IIIA sono· inseriti altri 10 gruppi (dns:-;ificati come gruppi
B nella tavola), pcrtauto i gruppi iu totnle (A + B) sono quindi 18. 1 gruppi B
comprendono i cosiddetti metalli di transizione. Essi �0110 carntteri;1,zati dal fatto
di riempire progressivamente gli orbitali di tipo d > che > come abbiamo visto in pre­
cedenza> sono sempre utilizzati dopo aver riempito il livello s del numero quantico

157
Cnpito[o 3 Sistema periodico degli elementi @_ Artquiz

principale seguente (3d dopo 4s, 4d dopo 5s, ecc.). Gli orbitali d non appartengono
a livelH molto pi"it interni rispetto ai livelli s esterni e quindi quesU clementi hanno
proprieth che in parte rispecchiano quelle del secondo gruppo e in parte propricth
proprie, come la possibilità di dar luogo a ioni colora.ti e di formare composti di coor­
dinazione.
A partire dal numero atomico 57 (Lantanio) e dal numero.atomico 89 (Actinio)
si riempiono anche gli orbitali f, che però sono più interni rispetto agli elettroni del
guscio esterno. Le due serie sono costituite da elementi chiamati anche lantanidi e
actinidi, che, proprio perché sono diversi solo per questi elettroni f interni, hanno
proprietà chimiche molto simili e sono quindi difficili da separare tra loro.
Come si è visto il primo periodo contiene solo due elementi, l'idrogeno e l'elio. Il
primo ha proprietà speciali, anche per [a sua dimensione, e quindi non è considerato
metallo alcalino. Il secondo appm·tiene ai gas nobili, anche se non ha la configurazione
elettronica esterna s2 p6 come gli altri. Esso è poco reattivo perché ha chiuso il primo
livello con due elettroni. Gli altri sono poco reattivi perché il numero di elettroni
esterni ha raggiunto il vnlol'e di otto, che è una specie di numero magico, che tutti
gli elementi tenderebbero ad avere nel guscio esterno (regola dell'ottetto, Chimica§
4.1.2).

•.,

11
.;
3. 2 Metalli, non metalli e semimetalli. Raggio atomico, energia
di ionizzazione e affinità elettronica. Elettronegatività

,.•,1 Ln disposizione degli elementi nella tavola periodica. può dare luogo ad alcune classi­
..
;! fica,,1,ioni di facile memorizzazione. Gli dementi che occupano tutta la pmte sini:;trn.
<ld[a. tavola perioclicn e parte anche <leHn clestra. (F-ignra 3.1) vengono dcnominitti
metalli. Essi lmnno la carnttoristic:�t di perdere facilmente gli elettroni esterni e di
,I
,·,(' trasformarsi in ioni positivi (cationi). A tempera1.nrn ambiente sono solidi (il mercurio
� è una cccC'1,io11e), lucenti, duttili (ln cnpncità cli essere ridotti in fili sottili), mnlleabili
..
,i (ht c,tpacità di essere ridotti a fogli sottili), conducono bene ht corrente e il calore. Al
I
[,
contmrio gli clementi che stanno snlln destra della tavola periodica sono denomino.ti
i
I• non metalli, per le caratteristiche opposte: essi tendono ad acquistare elettroni e a

trasforman,i in ioni negativi (anioni), non sono lucenti, non sono né duttili né mal­
leabili, non conducono la corrente (sono isolanti elettrici) e poco il calore. Quelli che
si trovano nel mez�m, hnnno càrntteristiche a cavallo trn i due grnppi e sono chiamati
semimetalli: sono B, Si, Ge, As, Sb e Te.

'lt

l' In maniera analoga si può vedere· come variano alcune proprietà degli elementi
lungo la Tavola. periodica.
Raggio atomico, diminuisce andando da sinistra a destra lungo un periodo,
,l perché gli elettroni aggiunti occupano lo stesso guscio, ma sono attratti �empre più
1ii
1r dalla carica crescente positiva del nucleo, mentre aurnes"Tda andando dall'alto al basso
lun,qo 1m ,gruppo, perché gli elettroni aggiunti vanno su gusci più esterni (che sono
I�,
I quelli che definiscono il raggio dell'atomo) e l'aumentata carica positiva del nucleo è
schermata da un maggior numero di elettroni interni.
L'energia di ionizzazione (chiamato n.nclw potenziale di ioni zzazione), de­
finita come l'energia per strn,ppare l'elett.ronc più esterno da un atomo, aumenta da
sinistra a destra e diminuisce dall'alto al bas.<,o, esattamente all'opposto del raggio
li atomico. D'altra parte un elettrone che sta più lontano vuol dire che è meno attratto
dal nucleo e quindi può essere strappato più facilmente.
'1
158
© Artqniz CHIMICA
carf'E> )_\ B� \)\ ( t?�.tVì..ft.Cirt:'bcvb �
..., L'affinità elettronica, è definita come Penergia in gioco quando un atomo pren­
de un elettrone (questa energia può essere emess� o acquistata a seconda dei casi).
Essa aumenta dal ba.,;so in alto in un gruppo e da, sinistra a destra lungo un periodo.
Gli alogeni, con sette elettroni nel guscio esterno, prendono più volentieri di tutti gli
aÌtri elementi Pelettrone in più per completare Pottetto. Mentre i gas nobili son o
molto r!luttanti a prendere un altro elettrone perché sconvolgerebbe il loro stato di
"beness�re".
Poiché la reattività di un elemento è correlata alla capacità di cedere o acquistare
elettroni, nel primo gruppo la reattività cresce dalPalto verso il basso (in parallelo con
la capacità di perdere più facilment.e Pelettrone esterno) mentre nel settimo gruppo la
reattività cresce dal basso verso Palto (in parallelo con la capacità di acquistare più
facilmente un elettrone).
Una proprietà chiamat� elettronegatività è correlata sia alPenergia di ionizzazio­
ne che alPaffiuità elettronica. E�sn infatti viene definitn come In tendemm ad attrarre
gli elettroni di legame (gli elettroni che sono meH..<{i in comune tra due atomi, Chimica,
§ 4.1.2) ed è rappresentata da un numero. Come le altre proprietà (rnggio atomico,
affinità elettronica, ecc.) anche qucst,t varia in maniera progreHSivn scorrendo lungo i
gruppi e i periodi sulla Tavola periodica. Più precisamente Pclettroncgntività cresce
dal basso ver1:>o Palto lungo i gruppi e da sinistra verso destra lungo i periodi. I tre
elementi piÌl elettronegntivi sono il Hnoro (valore 4), PosHigcno (3,5) e Pnzoto (a parità
con il cloro) (3). In qneHta scaln Pidrogcno ha valore 2,1 e il carbonio 2,5.

159
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Tavola Periodica degli Elementi


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o
Capitolo 4

Il legame chimico

4.1 Introduzione
Un legame chimico trn atomi si forma quando si genera nn'attra7,io11e forte e sta­
bile tra di e�si tanto da generare nna entità definita, che chiamiamo molecola. È
necessario aggiungere gli aggettivi forte e stabile perché gli atomi e le molecole pos:m-
110 attrar}ii senza genenu·c un legame ma �;olo nua generica interazione. Per rendere
chiaro questo concetto: in nu bicchiere di acqua liquida ci sono delle molecole di ac­
qua. Nella molecola d'acqun, di formula I-hO, i legami chimici Rono qndli che legano
i dne atomi di idrogeno all'atomo cli oRsigcuo, mentre le iutcraxioui sono quelle che Hi
geucrruw tra le molecole di acqua per stabilire lo stato liquiclo. In altre parole ln mo­
lecola d'n.cqna i.� sempre present.e o iudivtcluabile tu tutti e tre gli stati <li aggregazione.

o
In questi ultimi ciò che varia è l'energia di tnternzione tra le molecole di acqua. La
defir1izione di legame chimico che è stata data si applica solo ai ca�i in cni si forma
una molecola: in questo cMo il legame che si forma è un lega.mc di tipo covalente.
Tuttavia tra i legami chimici vengono clMsificati nnche i legami ionici e t legami
metallici, con i quali p<'rÒ non viene definita nna molecola nm un aggregato indefi­
nito, auch0 se ordinato, di atomi. Si definisce energia di legame l'energia emessa
quando il k-game si forma o l'energia da spendere per rompere il legame.

4.1.1 Legame ionico


Il legame ionico si instaura quando la differen;..a di elettronegatività tra i due atomi
che si lega.no è superiore al valore 1,9. Questo avviene tra tutti metalli (bassa energia
di ioni7,Zazione) e gli clementi del sesto-settimo gruppo, come l'ossigeno, lo zolfo e gli
alogeni (alta affinità elettronica). In queste condizioni l'elemento meno elettronegativo
perde gli elettroni esterni (diventa catione) a favore dell'elemento più elettronegativo
(che diventa anione). Ti:a i cationi e gli anioni si genera una forte attraiione di tipo
elettrostatico. Questo legame è tipico dei sali, degli oi:isidi e degli idro$idi dei metalli
sia allo stato solido che liquido. Allo stato solido i composti che si ottengono vengono
chiamati solidi ionici. In questi solidi cristallini gli ioni positivi sono circondati da
un certo numero di ioni negativi e viceversa, per cui non è possibile riconoscere la
molecola. Per esempio, nel cloruro di sodio (NaCl) ogni ione Na + è circondato da.sei
ioni c1- e viceversa. La formula NaCl non ha quindi il significato di formula chimica,
come nel caso di H20, ma semplicemente esprime il rapporto numerico con cui sono

o
presenti nel cristallo i due tipi di ioni. Negli ossidi dei metalli, per cse�pio Al203 1

Ii
161
Capitolo 4 Il legame chimico © Art<1niz i

gli ioni sono Al3 + e 02-. Negli idrossidi, come NaOH, gli ioni sono Na.+ e OH-.
Poiché l'attrazione tra gli ioni dipende solo dalla distanza i legami ion-ici non sono
direzionali. Gli ioni dei solidi ionici permangono anche allo stato fuso, anche se essi
non sono più disposti nello spazio in modo ordinato.
� Poiché la differenza di elettronegatività tra ossigeno e idrogeno è circa 0,9
tra questi atomi non ci può essere legame ionico.

4.1.2 Legame covalente


Si è visto in precedenza che un atomo è stabile quando raggiunge nel suo guscio elet­
tronico più esterno lo stato di ottetto. QueHto c.: lo stato posseduto dai gas nobili,
che, non a caso, 80no monoatomici e molto poco reattivi, perché la loro energia è al
valore minimo. Gli altri a.tomi hann o vari modi per raggiungere questo stato di "be­
nessere". Uno <lei modi è quello di perdere o acquh,tétl'e elettroni, come nel caso dei
composti ionici; un altro è quello di condividere 11110 o pii1 elettroni del loro guscio più
esterno con altri atomi. Condividere gli elettroni vuol dire che essi non appartengono
più solamente all'atomo di partenza (subiscono l'attrazione del nucleo dell'atomo <li
partenza) ma anche all'altro atomo con cui si è stipulata la condivisione. Gli elettroni
condivisi sentono l'attraiiouc di ùnc (o pii1) nuclei. Prendiamo per esempio l'atomo di
idrogeno. Esso non è stabile come il gns nobile che lo segue (elio, che ha due elettroni)
ma tende ad assumere questa stabilità.. Un modo per raggiungerla è quella di mettere
a disposizione di 1111 alt.ro atomo <li idrogeno il suo elettrone, che fa altrettanto con
il primo. I due elettroni, che prima si muovevano nello 8pa:tio definito dall'orbitale
atomico ls di ciascun atomo, orn si muovono in 11110 spaiio comune, che d1imnim110
orbitale molecolare, sotto l'iufluenia <lei due nuclei. In questo modo i due atomi
sono accontent�tti perché hanno ciascuno due elettroni e credono di essere elio. Si
forma così la molecola H2 , indicata anche nel seguente modo: H:H o H-H, in cui
i due punti o H trattino rappresentano la coppia di elettroni condivisa e quindi 1111
legame covalente.
Tutti gli elementi, molecole o ioni, che hanno un elettrone spaiato vengono chia­
mati radicali o radicali liberi. Per la pre.senza di questi elettroni spaiati e8si hanno
vita molto breve perché sono molto reattivi: tendono infatti a reagire con altri radicali
o con altre molecole per appaiare l'elettrone spaiato. Sono molto importanti in molti
campi, compresa la biologia (Biblogia, § 3.9).
In modo del tutto simile all'idrogeno si comporta un atomo di cloro che ha sette
elettroni nel guscio esterno (3s2 3p5). Uno degli orbitali p possiede un elettrone spa­
iato. È proprio questo elettrone che viene messo in comune con l'altro simile di un
altro atomo di cloro, per formare la .molecola di Ch, Ogni atomo di cloro h� quindi
otto elettroni, i sei propri (s2 p4 ) più i due ora in comune: Cl:Cl o Cl-Cl. ,:
L'atomo di ossigeno ha sei elettroni nel guscio elettronico esterno (s2 p1 ), gliene
mancano quindi due per raggiungere lo stato stabile del gns nobile neon che lo segue.
Un modo per raggiungere questo stato è quello di mettere in comune con un altro
atomo di ossigeno due elettroni e formare quindi la molecola 02 . Poiché gli elettro­
ni messi in comune sono quattro la molecola può essere rappresentata in questi due
modi: 0::0 oppure 0:::::0. Il ,doppio trattino rappresenta il doppio legame. Un altro
modo per raggiungere lo stato stabile da parte dell'ossigeno è quello di combinarsi
con l'idrogeno per formare l'acqua. In questo caso l'ossigeno mette a dispo�izione un
elettrone per ciascun atomo di idrogeno e la molecola è descritta in questo mod�:

162
' I

© Artquiz CHIMICA

H:O:H oppure H-0-H. V.idrogeno ha assunto anch'esso lo stato stabile dell'elio. ·.


L'azoto ha cinque elettroni nel guscio esterno (s2 p3 ): gliene mancano 3 per rag­
giungere l'ottetto. Esso può mettere in comune i tre elettroni p con un altro atomo
di.azoto che fa altrettanto da.ndo luogo alla molecola N2 , descritta in questo modo:
N:::N oppure N=N. Può miche mettere in comune i tre elettroni p con tre atomi di
idrogeno per formare l'ammoniaca, NH3, in cui ogni legame N-H è formato da una
coppia di elettroni.
La lunghezza (e quindi l'energia) di un legame dipende dnl numero di C'lettroni
condivisi: un legame semplice è piit lungo (e meuo forte) di un legame doppio, che a
sna volta è più luugo (e meno forte) di un legame triplo.
Ora si cercherà di spiegare come si ottengono gli orbitali molecolari dove alloggiano
gli elettroui condivisi. Un approccio molto usato è quello di fare la combinazione degli
orbitali atomici. Questa è una operazione matematica che alla fine porta a nuove fun­
Y-ioni d'onda (chiamate appunto orbitali molecolari) che descrivono lo spazio occupato
dalla coppia di elettroni di legame. Se si combinano due orbitali atomici si ottengono
due orbitali molecolari (nno a piit bassa energia, uno a più alta). La combinazione si

a
può formare tra orbitali s, tra orbitali p (in due modi), tra un orbitale s e nn orbitale
p. Le combinazioni sono rappresentate in Figura 4.1 dove sono rappresentati solo gli
orbitali a piì1 bassa euergia ( che sono quelli effettivamente occupati dalla coppia di

o
elettro11i di legame). Dei due modi con cui gli orbitali p possono combinarsi (invece
di combinm�ione si usa spesso il termine sovrapposir.ione) uno avviene lungo l'asse
degli orbitali p, l'altro avviene in una direiione perpendicolare agli assi degli orbitali
p ste8si. La prima sovrapposir.ione è migliore e il legame è più forte. Quando l'orbita­
le molecolare che si ottiene è cilindrkameute simmetrico rispetto all'asse del legame,
quest'ultimo viene definito come legame sigma (a), qnaudo questa simmetria è pe1�­
duta il legame viene chiamato lega.me pi greco (1r). Tra due atomi non può esserci

D più di un legame a. Quindi nu doppio legame è costituito sempre da un legame a e


da un legame 1r, un triplo legame è sempre formato da un legame a e da due legami

--·
1r. Un legame a tra due atomi è piì1 forte di un legame 1r tra gli stessi due atomi, per
cni quest'ultimo è il primo a rompersi se si forniisce euergia.

es
+ e s
_. O' (s+s)

es
+ C><) _.
p
·-0--:3·
O (s+p)

D<l p
+ C>·<J _.
p
�B-
(j (p+p)

o + _. e::>
___
___ ....

ç:;;;,
,..___ ..

o
.
� �
p p 1t (p+p)

Figura 4.1: La formazione degli orbitali molecolari leganti mediante combina-


zione degli 01'bitali atomici. Non sono rappresentati gli orbitali a energia più

o
elevata (orbitali molecolari antileganti).

163
Capitolo 4 Il legame chimico © Artqniz

Rkapitolando: un legame tra due atomi si forma mettendo in comune due elettroni
per ogni le&ame. In genere gli elettroni provengono uno ciascuno dagli atomi che
si legano. E tuttavia possibile avere un legame tra due atomi di cui uno mette a
disposizione due elettroni e l'altro un orbitale vuoto. Questo legame è del tutto uguale
al precedente, anche se qualche libro di testo dà ad esso il nome di "legame dativo"
o "legame coordinato11 • D'altra parte gli elettroni sono tutti uguali e la provenienza
non dà ad essi un carattere speciale (Chimica, § 4.1.3).
Mettere in comune elettroni tra due atomi vuol dire che e�si subiscono l'attrazione
contemporanea dei nuclei dei due atomi. La domanda che ci dobbiamo porre ora è se
l'attrazione esercitata dai due nuclei è uguale. In altri termini: gli elettroni di legame
sono equamente condivisi? È ovvio che se i due atomi che si legano sono uguali (come
nelle molecole di H2, Ch, ecc.) la condivisione è completa e il legame \•iene definito
covalente omopolare o covalente puro. Ma se gli atomi sono diversi (esempio
HF) c'è da aspettarsi che la condivisione uou sia completa e si formi quindi un lega.me
covalente polare. Con altre parole: gli elettroni di legame subiscono un'attrazione
maggiore da parte del nucleo di un atomo piuttosto che dall'altro. L'elettronegatività
degli atomi è responsabile di questa differen�a di attl'a"/,Ìonc e quindi della polarità
dei legami e, di conseguenza, della polarità delle molecole. La polarità di un legame
è misurata dal dipolo che si forma per la diversa attrazione degli elettroni di legame.
A sua volta la grandezza di un dipolo è definita dal �uo momento dipolare (µ) che
è il prodotto di due grandezze: la carica (q), positiva in un polo e ncgn.tiva nell'altro,
e la distanza (d) tra i due poli. (Fig. 4.2).



+q

µ=q·d
-q

& ' ' ' l " ""


l-120
Figura 4.2: Rappresentazione dei momenti
dipolari della molecola di HF e della molecola
di H20.

Molecole come HF o HCl sono sicuramente polari perché costituite da due atomi,
uno dei quali è più elettronegativo dell'altro e quindi attrae gli elettroni di legame più
dell'altro e diventa baricentro di carica negativa, mentre l'altro diventa baricentro di
carica positiva. In modo del tutto analogo si può dedurre la polarità della molecola
di acqua (H2 0). Ogni legame 0-H è polare perché l'ossigeno è più elettr\'.megativo
dell'idrogeno. Se la molecola d'acqua fosse una molecola lineare (H-0-H) ,� polarità
di un legame sarebbe annullata dalla polarita opposta dell'altro legame, e la molecola
risulterebbe non polare. La molecola d'acqua non è però lineare (i due legami formano
°
tra loro un angolo di 104 ) e quindi le polarità dei due legami (rappresentabili da due
vettori) si sommerebbero vettorialmente per dare un vettore risultante non nullo.
Detto in un altro modo: l'ossigeno costituirebbe il baricentro della carica negativa,
mentre il baricentro della carica positiva si troverebbe a metà strada tra i due atomi
di idrogeno.
Quindi: mndizione necessaria, ma non sufficiente, per a11ere 1ma molecola polare
é la prnsenza di legami polari. La geometria della molecola può annullare la polarità
dei legami.

164
© Artquiz CHIMICA

4.1.3 Legami covalenti con orbitali ibridi. I legami del carbonio


Si è visto che la fon1ta¼io11c' di 1111 l<-'géllll<' chimico covalente:! co111porta la �ovraµposi­
zione di orbitali atomici. Non sempre gli orbitali atomici utilizzati sono quelli finora
visti (s, p, d). Quando una molecola contiene atomi di carbonio (è il caso di tutte le
molecole "biologiche" appartcnentì alla cosiddetta chimica organica) gli orbitali ato­
� mici usati da questo atomo per formare legami cova.lenti sono sempre orbitali ibridi.
Il concetto di ibrido è quello di mm mescolanza di caratteri.
u
Gli orbitali ibridi utilizzati dal carbonio sono quelli ottenuti mescolando in vario
modo gli orhìt,ali atomici s e p. La regola è che il mnnero di orbitali ibridi che si ot­
tengono è uguale al numero di orbitali di µ,utenza che si mescolano. Il mescolamento
(Fig. 4.3) può riguardare:
�-�-
•·.;

(.

1. un orbitale s e un orbitale p (ibridi sp): si ottengono due orbitali a 180 ° l'uno


dall'altro1 formati _da due lobi (cnrn.ttere p), ma con un lobo molto piit grande
dell'altro (carattere s). Quando il carbonio utiliz:t.a que�to tipo di ibridizimzione
·
rimangono due orbitali p utifo,.'l.abilì;
2. un orbitale s e due orbitali p (ibridi sp 2 ): vengouo fuori tre orbitali ugna.li disposti
su un piano n 120° l'mto dall'altro, sempre formati da due lobi (carattere p), ma
con nno piit grande dell'altro (carattere s). Rimane un orbitale p perpendicolare
al piano;

3. un orbitale se tre orbitali p (ihridi sp 3 ): vengono fuori quattro orbitali diretti


verso i vertici di nn tet.raedro (109.5 °)1 :-.emprc con carattere s e p mescolati.

o -'\80°

Orbitali sp Orbitale sp2 Orbitale sp3


(lineare) (triangolare planare) (tetraedrica)

Figura 4.3: Rappresentazione degli orbitali ibridi usati dall'atomo di carbonio.

Stabilito che il carbonio utilizza sempre orbitali ibridi per formare i legami, ve­
diamo alcuni esempi in cui vengono usate i tre tipi di ibridizzazione. Una regola
facilmente memorìzzabìle è la seguente:
• quando il carbonio forma quattro legami semplici è ibridir.'l.ato sp\

..
• quando forma un doppio legame è ibridizzato sp2;

• quando forma un triplo legame o due doppi legami è ibridb:xato sp.

o Esempi del prjmo tipo di ibridiz7,azione sono la molecola di metano (CH4), le


molecole degli idrocarburi saturi (Chimica, § 12.4.1), la molecola dì tetracloruro di
carbonio (CCl,i ). In quest'ultimo caso, pur essendo i legami C-Cl polari, la molecola

165
o
Capitolo 4 Il legarne chimico @ Artquiz

risulta non polare per la. sua geometria. Anche alt.ri atomi, oltre al carbonio, utilizzano
l'ibridi:tza7,ione: l'a7,oto :i nella molecola cli ammoniaca (NH3) e> nello ione ammonio
(NH4 +) è ibridizzato $ p , l ossigeuo nella molecola. d'acqua (H 2O) è ibricliizato sp .
> 3

Esempi del seconclo tipo sono le molecole di alcheui (Chimica, § 12.4.1) come
l'etilene H2 C=CH2 - I due atomi di carbonio utilizzano gli orbitali sp2 (ciascuno con­
tenente un elettrone: non dimenticarsi che il carbonio ha quattro elettroni nel guscio
esterno, tre li mette nei tre orbitali ibridi sp2 e uno rimane nell'orbitale p) per formare
legame rispettivamente con due atomi di idrogeno (il cui orbitale s si sovrappone al
lobo grande dell'orbitale sp2) e con l'altro carbonio (il lobo grande delPorbitale sp2
di un a.tomo cli carbonio si sovrappone al lobo grande clell'orbitale sp2 dell'altro).
Rimane un orbitale p a ciascuno clegli atomi di carbonio con un elettrone. I due
orbitali p si dispongono paralleli e si sovrappongono per dare un legame 7T.
Esempi del terw tipo sono le molecole cli CO 2 (O=C=O) e di HCN (H-C=N).
Nella prima i due orbitali sp (a. 180 l'uno dall'altro e contenenti ciascuno un elettrone)
°

vengono utilizzati per formare uu legame con l'orbitale p dei due atomi di ossigeno
(legami a). Rimangono a cia.scun atomo di carbonio due orbitali p con un elettrone
cim;cuno. Ciascuno di questi orbitali p si mette parallelo all'orbitale p con 1m elettrone
dell'ossigeno e forma 1111 legame 7T.
Nel caso cli HCN, il carbonio forma un legame a tra il suo orbitale sp e l'orbitale
s dell'idrogeno, e uu legame a tra l'altro orbitale sp (a 180 ° dal primo) e l'orbitale p
clell'azoto. Rimangono due orbitali p al carbonio e due orbitali p all'azoto, tutti con
un elet,troue. Essi si sovrappongono iu modo parallelo formanclo due legami 7T.
Sulla base delle strutture ricavate Vùdiamo se le molecole risultano polari o meno.
Nd caso cli CO2 , rossigeno è piì1 elettronegativo clel carbonio per cui attrae i quattro
elettroni rli lcgamn più cli quanto non faccia qnest,'ultimo: i due dipoli risultano però
uguali e opposti, per cni l> a.niclricle carbonica non è? una molecola polare (questa è
la ragione per cui non si scioglie molto nell'acqua, Chimica, § 7.2). Nel cm;o di 1-ICN,
il legame H-C è poco polare, data la bas.'>a differemm <li elettronegatività tra i due
ntollli (0,4). Anche il legame C-N è poco polare (differenza di elettronegatività 0,5)
ma la sua polarità si somma a quella di H-C, quincli la molecola nel suo comple88o
risulta polare.
Finora si è vh;to che i legami 7T sono costituiti dalla sovrapposizione di <lue orbitali
p paralleli tra loro. Cosa succede se in una molecola abbiamo piì1 orbitali p vicini e
paralleli tra loro (contenenti m1 elettrone spaiato ciascuno)? La risposta è che essi
si sovrappongono tutti e danno luogo ad orbitali 7T delocalizzati e quindi a doppi
legami delocalizzati. Alcuni esempi:
1. Ione formiato, HCOO-. Il carbonio è ibriclizzato sp2 , ognuno di questi' orbita-
li ibridi contiene un elettrone spaiato che forma un legame, rispettivam,ente, con
l'elettrone ls dell'idrogeno, con l'elettrone 2p di un ossigeno e con l'ele'ttrone 2p
dell'altro ossigeno. Rimangono un elettrone del carbonio in un orbitale p perpendi­
colar e al piano dei tre orbitali ibridi sp2 , un elettrone in 1111 orbitale p dell'ossigeno
e clue elettroni nell'orbitale p dell'altro ossigeno (che ha nn elettrone in più perché
è negativo). I tre orbitali p possono essere resi paralleli. Essi si fondono e i quattro
elettroni vanno a finire in orbitali 7T clelocaliz'.l.ati tra il carbonio e i due ossigeni.
Quindi la distanza <li legame C-O è uguale nei due casi e tra di essi c'è più di
un legame semplice ma meno di un doppio legame. Questo meccanismo è usato in
tutti gli ioni carbossilato che si ottengono dagli acidi carbossilici organici (Chimica,
§ 12,4.7).

166
@ Artqniz CHIMICA

2. Benzene, CoH6. Anche in questo caso tnttt gli atomi di carbonio sono ibridizzati
sp 2 , ognuno dei quali forma nn legame con l'elettrone ls dell'tdrogeno e un legame
con l'elettrone sp 2 dei due atomi di carbonio che l'affiancano. 1ùtti questi legami
. sono di tipo CJ. Si forma in questo modo un esagono perfetto ai cui vertici ci sono i
sei atomi di carbonio. Rimane a ogni atomo di carbonio un elettrone in uu orbitale
p perpendicolare al piano generato dai legami tra gli atomi di carbonio descritti
prima. Questi orbitali p paralleli tra loro si sovrappongono per formare tre orbitali
molecolari a bassa energia 1r delocalizzati su tutto l'anello, dove alloggiano i sei
elettroni p. Anche nel caso di CoHo il legame tra due C è più di un legame semplice
ma meno di un doppio legame.
3. Grafite, una delle forme allotropiche del carbonio. 'I\1tti gli atomi di carbonio
sono ibridizzati sp2 e con gli elettroni in essi alloggiati formano i legami carbonio­
carbonio: ogni carbonio sta al centro di un triangolo equilatero ai cui vertici ci sono
altri tre atomi di carbonio: in tal modo si forma un piano di atomi di carbonio
disposti ai vertici di esagoni regolari tutti fusi tra loro come le cellette di un'arnia.
Per ogni atomo di carbonio rimane un elettrone in un orbitale p perpendicolare
al piano infinito di tutti gli atomi di carbonio. Questi orbitali si sovrappongono
tutti e formano orbitali che si estendono a tutto il piano di atomi di carbonio. Gli
elettroni sono liberi di muoversi su tutto1 il piano e quindi conducono la corrente
·elettrica. Il solido che si ottiene è 1111 solido covalente, perché tutti gli atomi sono
legati tra loro e non si può distinguere la molecola di cm·bonio. Un piano di atomi
di carbonio disposti in questo modo si chiama grafene, e sta assumendo una

o hnportan?:a straordinaria in molte tecnologie chimiche. Quando si hanno molti


piani paralleli che interagiscono tra loro (vedi in seguito van der \,Vaals, § 4.1.5) si
ottiene la banale grafite che è la fuliggine o il materiale con cui si fa.uno le matite.
Oltre che nella forma allotropica grafite il carbonio è presente in natura sotto
forma di diamante, molto piìt pre:àoso della grafite. In esso il carbonio è ibridiizato
sp3 e ciascun atomo di carbonio è al centro di un tetraedro ai cui vertici ci sono
altri atomi di carbonio. Il legame tra gli atomi di carbonio è singolo e di tipo CJ. Il
solido che si ottiene è molto duro. Anche esso è un solido covalente perché non si
distingue la molecola. Poiché non ci sono elettroni delocalizzati, il diamante è un
isolante elettrico.
Uu esempio di utilizzo di orbitali ibridi per formare legami di tipo "dativo" o
ucoordinato", in cui i due elettroni sono messi a disposizione da un solo atomo è
dato dallo ione ammonio (NH4 + ). Esso si forma per addizione di H+ alla molecola
di ammoniaca NI-1 3 ,. Iu quest'ultima molecola N è ibridizzato sp 3 . In tre di questi
orbitali ibridi è localizzato un elettrone, nell'ultimo ci sono due elettroni (l'azoto ha
5 elettroni esterni). Con i primi N forma tre legami N-H con l'atomo di idrogeno.
N si trova al centro di un tetraedro: a tre dei vertici sono sistemati i tre atomi
di idrogeno, al quarto vertice è sistemata la coppia di elettroni. È proprio questa
coppia di elettroni che forma un legame semplice con lo ione H+ (senza elettroni).
Questo legame è esattamente uguale agli altri tre (è formato dagli stessi tipi di orbitali
atomici) e quindi lo ione NH4 + è un tetraedro perfetto con una carica positiva.

4.1.4 Forze di interazione intermolecolari


TI·a le molecole, tra gli ioni e tra molecole e ioni ci sono sempre interazioni. Que­
ste interazioni condizionano lo stato di aggregazione della materia _ma sono anche

167
Capitolo 4 Il legame chimico @ Artqui2

responsabili di molti processi naturali, tra cui quelli biologici. Esse coprono uno spet­
tro di energie molto ampio. 'I\itte hanno una base elettrostatica perché gli atomi
e le molecole sono tutti costituiti da protoni ed elettroni, tuttavia per comodità es­
se sono suddivise iu interazioni di van der Waals, interazioni dipolo-dipolo,
interazioni ioni-dipolo e legami idrogeno.

4.1.5 Interazioni di van der Waals


Le interazioni di van der Waals si esercitano tra da tutti i tipi di molecole. Esse
derivano dal fatto che nelle molecole e negli atonii ci sono dettroui in movimento. In
ogni istante la posizione degli elettroni genererà un baricentro delle cariche negative in
1
..c.\ una posizione che, con grande probabilità, sarà diversa da quello generato dalle cariche
,-: -.;p.,1..-·JJ posi�ive dei. nuclei. Ci sarà q�indi un dipo}� istant��eo dive�·so sia in intensità
.....�.f; _ 1 _
che m direzione da quello dell'istante successivo. In vicmanza di un'altra molecola
il dipolo istantaneo indurrà in quest'ultima la formazione di un dipolo istantaneo
(dipolo indotto). I dipoli i8tantanei delle dne molecole oscilleranno in fose e tra essi
ci sarà sempre un'attraxioue. L'entità del dipolo istantaneo dipende da due fattori: il
numero di elettroni e la grandezza della molecola. Il numero di elettroni influenzerà il
valore q medio dei dipoli istantanei, mentre la grandezza della molecola influenzerà il
valore d medio (Fig. 4.2). In questo modo si spiega perché il fluoro (F2 ) e il cloro (Cl 2 )
sono gassosi a temperatura ambiente, mentre il bromo (Br 2 ) è liquido e lo iodio (1 2 )
è solido. 'lì-a queste molecole c'è solo l'intera-6ione di van der Waals: ma il numero di
elettroni e la dimensione delle molecole crescono progressivamente scendendo in basso
lungo il gruppo rendendo i dipoli istantanei sempre più grandi.

4.1.6 Interazioni dipolo-dipolo e ione-dipolo


Le molecole polari i;ouo quelle <love è presente un dipolo permanente, dovuto alla
differenza di elettronegatività degli atomi che sono legati. In tal caso due molecole
polari si orienteranno in modo da portare l'estremità positiva dell'una vicino all'estre­
mità negativa dell'altra e daranno luogo all'interazione dipolo-dipolo. L'energia
dell'intera7,ione dipende dalla grandezza dei dipoli.
Nella interazione ione-dipolo la carica dello ione attrarrà l'estremità del dipolo
con carica opposta. Questa interazione è quella che garantisce la dissoluzione di al­
cuni soluti ionici in acqua. Il dipolo della molecola d'acqua si orienta vicino agli ioni
positivi e negativi e indebolisce le interazioni tra gli ioni di segno opposto nel cristallo
ionico. Non è detto che l'interazione ione-dipolo sia sufficiente a vincere questa in­
terazione. Infatti non tutti i solidi ionici si sciolgono in acqua: il cloruro di sodio si
1
scioglie mentre il carbonato di calcio no, ,,
,, .,

4.1.7 Legami idrogeno


Il legame idrogeno è un tipo di legame elettrostatico particolare che si instaura tra
due molecole in una delle quali c'è un atomo di idrogeno legato a uno dei tre elementi
più elettronegativi (F, O, N) e nell'altra è presente di nuovo uno dei tre elementi. Nella
prima molecola il legame X-H è molto polarizzato e l'atomo di idrogeno è fortemente
positivo e si mette vicino all'atomo negativo dell'altra molecola. L'atomo di idrogeno
positivo fa da ponte tra due atomi molto elettronegativi e carichi negativamente:
X-H- - -X, in cui X è F, O o N (Fig. 4.4), Questo legame è direzionale nel senso

168
ù © Artquiz

che i tre a.tomi teudono a. mettersi sulla stessa retta. L'energia del legame idrogeno
CHIMICA

dipende molto da questa orientazione.


Il legame idrogeno è basilare per le proprietà dell'acqua, sia allo stato liquido che
solido. Il gl1iac;cio ha una densità inferiore all'acqua liquida (unico esempio di densità
di' solido inferiore a quella del liquido corrispondente) gra-..de alla presenza di legami
idrogeno. L'ossigeno della molecola d'acqua si trova al centro di un tetraedro distorto
(l'ossigeno- infatti ibridizza ·8p 3 ): a due vertici sono posti i due atomi di idrogeno
appartenenti alla molecola d'acqua. Agli altri due vertici (un po' più lontani) ci sono
due atomi di idrogeno, ognuno dei quali appartiene ad un'altra molecola di acqua,
legati attraverso legami idrogeno. Esso è molto importante anche dal punto di vista
biologico (Biologia, § 3.3 e Chimica, § 13.3.1).

H H / '-. H_ H
' /
F-H- - -F/ N:--H--1'\f-H 'O
·O I
"-.
Hl-I
I
"-.
Hl-I
I-I "-o/ 1-r'
/ " •
I-I_,, /
o"-
I-I

H
Q Figura 4.4: Rappresentazione dei legami idrogeno intermolc:colari che si fonna­
no tra le molecole di HF, di NHs e di H20. Notare che i tre atomi che formano
il legame idmgeno sono disposti su una retta.

o
o
o

o
169
Capi'tolo 5

Stati della materia

5.1 Lo stato gassoso

Mqlte sostanze sono capaci di esistrn·e a.Ho stato solido, liquido o gassoso in funzione
della temperatura e della prcsl:iioue alla quale si trnvano. Si è visto che tra le molecole
esistono delle forze di interazione piì1 o meno consistenti a sec01�da. della natura delle
molecole stesse. Que::;te for�e tcndcrebbefo a tenere unite le molecole 1:1otto forma di
liquido o di solido. Quando però la t.empern.tura del sistema è tale per cui l'energia
cinetica corrispondente è superiore all'energia di interniione trn le molecole, eS8e si
separano e il sistema diventa gru;soso. La temperatma neceS8aria affinché questo av­
venga è tanto più alta quanto più forte è l'intera'l.ione tra le molecole. Questo spiega
perché l'acqua a temperatura e pressione ambiente è liquida (tra le molecole di ac­
qua. ci sono interazioni di van der Waals, interazioni dipolo-dipolo e legami idrogeno)
mentre l'ossigeno nelle stc::;se condizioni è gassoso (tra le molecole di ossigeno ci sono
1:1010 interazioni di van der Waals).
Lo stato di aggregazione gassoso è caratterizzato dal fatto che le molecole che
lo costituiscono sono tra loro indipendenti, si muovono in tutte le direzioni e quindi
tendono ad occupare tutto il volume a di1:1posizione. Per questa ragione un gas ha
densità variabile, si mescola con qualsiasi altro gas in tutte le proporzioni, è com­
primibile ed esercita una pressione ( data dalla frequenza e dalla violenza degli urti
sulle pareti del recipiente che lo contiene). Le molecole di un gas si urtano anche
tra loro e negli urti si scambiano l'energia cinetica, per cui l'energia cinetica di ogni
molecola è variabile con il tempo ment1·e non cambia né l'energia cinetica totale né la
distribuzione dell'energia cinetica tra tutte le molecole se non cambia la temperatura
(Fig. 5.1). L'energia cinetica media è quindi una funzione crescente della tempera­
tura. Da notare che l'energia cinetica non fa riferimento solo al moto traslazionale
delle molecole ma anche al moto rotazionale e ai moti vibrazionali (variazione della
lunghezza dei legami e variazione degli angoli di legame in una molecola). Infatti la
molecola di un solido e di un liquido in equilibrio alla stessa temperatura hanno la
stessa energia cinetica media.
Pe1· lo stato gassoso sono state ricavate delle leggi che ne spiegano il comporta­
mento:
1. Legge di Boy le: a temperntura costante il prodotto della pressione P e del volume
V è una costante (PV = costante). Quindi a temperatura costante il volume è
inversamente proporzionale alla pressione e viceversa.

171
Capitolo 5 Stati della materia @ Artquiz

T, 'l'i < T2
.si
o

;a
...
ol
<2)
•I

Energia cinetica E, E2

Figura 5.1: Distribuzione dell'energia cinetica tra le molecole di un gas a due


temperature fissate. Il punto scelto indica quante molecole del gas (il numero è
letto suWasse delle ordinate) hanno il valore deWenergia cinetica, letta sull'asse
delle ascisse. Tali valori rimangono sempre costanti se la temperatura non
viene variata, ma una molecola può acquisire o perdere energia cinetica a causa
degli urti con altre molecole o con le pareti del recipiente, senza però cambiare
la distribuzione. E 1 ed E2 rappresentano i valori dell'energia cinetica media
alle due temperature T1 � T2.

2. Legge di Charles: a pressione costante il volume di un gas è proporzionale alla


temperatura.
3. Legge di Gay-Lussac: a volume costante la pres.�ione è dirntt.amente proporzio­
nale alla temperatura.
Tutte queste leggi sono riassunte in un'unica. legge che prende il nome di equa­
zione di stato dei gas:

PV = nR'.l'
dove P è la pressione, misurata in atmosfere (1 atm = 760 torr o 760 mmHg), V è il
volume, misurato in litri (L), n è il numero di moli del gas (rapporto tra massa del
gas e peso molecolare dello stesso), T è lu. temperatura assoluta, misurata in gradi
Kelvin (K), definita come la somma algebrica della temperatura in gradi centigradi e
273,15. R è una costante pari a 0,0821 atm · L/(mol · K).
Questa equazione ci dice 11nche che una mole di un gas qualsiasi in condizioni
standard (O °C, pari a 273,15 K, e 1 atm di pressione) occupa un volume definito pari
a 22,414 L (che viene chiamato volume molare di un gas a TPS, nelle condizioni
standard) e che in tale quantità di gas ci sono un numero di Avogadro di molecole,
pari a 6,02 · 1023 • 1
Un corollario delPequazione è che volumi uguali di due gas nelle stesse fOndizioni
di temperatura e pressione contengono un ugual numero di moli, e quindi di molecole
(principio di Avogadro).
Un altro corollario di questa equazione è che può essere definito in una miscela di
gas il contributo di ciascuno alla pressione totalè. Tale pressione si chiama pressione
parziale e può essere calcolata dalla semplice relazione:

P1 =p 'X1

dove x1 è la frazione molare del gas 1, pari a ni/(n 1 + n2 + ecc.) cioè al rapporto
tra le moli del gas 1 e la somma delle moli di tutti i gas presenti nella miscela. P è la

172
© Artquiz CHIMICA

pressione totale della miscela gassosa. Per esempio, l'm'ia è costituita da circa il 20%
in moli di ossigeno e da circa 1'80% in moli di a7,0to. Alla pressione ambiente cli 1 atm
la pressione dell'ossigeno è quindi circa 0,2 atm e quella dell'azoto è circa 0,8 atm.
La legge dei ga.8 vale solo per i gas ideali, i gas nei quali l'interazione tra le mo­
lècole è nulla e nei quali il volume delle singole molecole è nullo. I gas reali non
seguono perfet,tamente la legge perché tra le loro molecole ci sono sempre interazioni
più o meno forti e il volume delle loro molecole 11011 è zero. Per avvicinare il com­
portamento dei gas reali all'idealità bisogna che il gas sia il più rarefatto possibile
.it (bassa pressione) e che la temperatura sia piì1 alta possibile (conumque sopra la tem­
peratura critica, Chimica, § 5.2 e Fig. 1.1). In tal moclo il volume delle molecole
è trascurabile rispetto al volume ciel recipiente clove il gas è contenuto e l'interazione
tra le molecole è trascmabile perché l'cnergia cinetica <lelle molecole del gas è elevata.
Un'altra conseguenza della non idealità di un gas reale si riscontra quando si va
a comprimere o a espandere improvvisamente un gas. Comprimendo 1111 gas im­

o
provvisamente costringiamo le molecole del gas ad avvicinarHi: le molecole, a causa
dell'attrc1Zione presente tra di esse, vanno a. trovarsi in uno stato di energia più bas­
sa rispetto alla situazione precedente, quanclo erano a distanza più grande e questo
comporta un rilru:;cio improvviso di energia che 11011 ha il tempo <li essere dissipata al­
l'esterno e viene accumulata clal gas sotto forma di energia cinetica. Il gas si riscalda.


Il contrario avviene se espau<liamo improvvisamente il gfill: esso si raffredda. Su que­
sto principio funzionano i gas contenuti nel sistema di raffre<ldamcuto dei frigoriferi.
ll gas con il quale siamo più a contatto è l'aria, contenente azoto e ossigeno. Nell'a ­
ria è presente anche il vapore d'acqua, che costituisce l'umidità dell'aria (Chimica,
§ 5.2) e l'anidride carbonica. nella misnrn. dello 0,04%, iu crescita negli ultimi anni
grazie all'uso sempre più massiccio cli combustibili fossili e alla deforestazione, che
diminuisce la quantità cli anidride carbonica utili:t:tata. nella. fotosintesi clorofillia­
na. L'anidrid !} carbonica uell'atmmifera produce l'effetto serra, in quanto cattura
le radiazioni infraroHsc emesim dalla terra riscaldata <lal 8ole e ne impeclisce il raf­

o
freddamento. Questo sta portando ad un progressivo riscaldamento dell'atmosfera
terrestre con possibili conscguen'l.e <lisa�trose (tempeste, tornados, scioglimento dei
ghiacciai, ecc.). Negli strati alti dell'a.t.mosfcra è presente anche l'ozono (03), una
forma allotropica dell'ossigeno che è capace di bloccare buona parte delle rn<liazioni
ultraviolette (genotossiche) emesse dal sole. Lo strato <li ozono è però in pericolo per
la presenza nell'atmosfera dei cosiddetti CFC, clor:ofluorocarbnri, con cui l'O'/.OilO rea­
gisce e che sono (erano) prodotti utilizzati come propellenti nelle bombolette o come
gas nei motori refrigeranti dei frigoriferi.
Un altro inconveniente provocato dall'atmosfera è la cosiddetta pioggia acida,

o
dovuta alla presenza nell'aria, per effetto della combm;tione di combustibili fo::;sili, di
ossidi di azoto (NO x ) e di zolfo (S0 2 e S0 3) che con l'acqua danno ossiacidi dello
'l.olfo (acido solforoso e solforico) e dell'awto (aci<lo nitroso e acido nitrico).

5.2 Lo stato liquido

o Come già ricordato lo stato liquido è caratterizzato dal fatto che le snc molecole

o
hanno una interazione sufficientemente forte da tenerle vicine. Per questa ragione i
liquidi non sono molto comprimibili. Se mettiamo un liquido in un recipiente aperto
lo molecole che si trovano sulla superficie del liquido stanno in uno stato energetico

o
più alto cli quelle che sono immerse: la ragione sta 1iel fatto che le molecole immer-

173
Capitolo 5 Stati della. materia © Artquiz

se sono attratte da tutti i lati mentre le molecole che sono sulla supeTfìcic sentono
l'attrazione solo delle molecole immerse. Per questa ragione si genera una forza che
è tangenziale alla superficie del liqnido che tende a ridnrne l'area per diminuire al
i
i - massimo il nnmero di molecole che si trovano in quella sitnazionc svantaggiata. Tale
foTZa si chiama tensione superficiale ed essa spiega perché qualsiasi liquido sospeso
sotto forma di goccia ha nua forma sferica: la sfera infatti è il solido che, a parità di
volnme, ha la snperficie minore. La temperatma superficiale, inoltre, tende a com­
primere le molecole snperficiali e a creare una specie di pellicola.
Fissata la temperatura del liquido è fissata anche la sua energia cinetica totale e,
come nel caso dei gas, anche la sua distribuzione. Le molecole del liquido si urtano e
si scambiano l'energia cinetica ma mantengono costante la sua distribuzione. Tra di
esse c'è nua frazione ad alta energia cinetica capace di superare la barriera superficiale
(bncare la pellicola) e passare allo stato vapore. Le molecole in questo stato sono però
capaci di ritornare nel liquido. Ad ogni temperatma si crea un equilibrio tra il nu­
mero delle molecole che escono e di quelle che entrano. La pressione che corrisponde
a questo equilibrio si chiama pressione di vapore (qnalcuno la chiama tensione
di vapore). Essa è nna costante se la temperatura è costante. Se la temperatura
aumenta, aumenta anche la pressione di vapore, pcrchR aumenta la quota cli molecole
allo stato liqnido capace di superare la barriera snperficiale. La pressione <li vapo­
re di nn liqnido dipende anche dalla nntnra del liquido stesso: tm liquido tra le cui
molecole c'è una interazione bassa tendono ad evaporare più facilmente di liquidi tra
le cui molecole c'è una interazione forte (l'alcol e l'acetone evaporano piit facilmente
dell'ncqmt alla stes�a temperatura).
Perché il gas in eqnilibrio con il suo liquido' viene chiamato vapore e non gru;'?
Questo dipende dal fatto che 1111 gas si chiama così proprio perché non può essere
riportato allo stato liquido a qualsiasi valore della pressione. Esiste una temperatn­
ra, chiamata temperatura critica, caratteristica cli ogni sostanza, al di sopra della
quale 11011 è possibile liqnefore un gas (vedi parte a destra della Fig. 1.1). ·Per la sem­
plice ragione che al disopra di qnella temperatura l'energia cinetica corrispondente è
superiore alla energia di interazione trn le molecole della sostanza. Alla temperatura
ambieute azoto e ossigeno (e quindi l'aria) non è liquefacibile, mentre lo è l'acqua il
cui gas alla temperatnra ambiente si chiama infatti vapore.
L'evaporazione è 1111 fenomeno superficiale nel senso che riguarda solo le molecole
che sono capaci di superare la barriera alla superficie. Quando la pressione di vapore
raggiunge la pressione esercitata sul liquido (per esempio la pressione atmosferica in
una pentola di acqua) essa bolle. La temperatura di ebollizione è quella a cui cor­
risponde una evaporazione in tutta la massa del liquido e non solo alla sua superficie.
Si creano bolle perché l'evaporazione avviene anche nella massa di liquido. I
L'umidità dell'aria denota la quantità di vapore acqueo presente nell'aria,,, L'umi-
dità relativa (espressa come percentuale) è definita come il l'apporto tra la �pressione
parziale del vapore acqueo presente nell'atmosfera e la pressione di vapore saturo che
si avrebbe alla temperatura dell'atmosfera (P 0 }, moltiplicata 100. La ragione per cui
la termÒregolazione del corpo umano è cÌifficile nelle giornate umide e dovuta
al fatto che non c'è (o c'è poca) evaporazione dell'acqua sull'epidermide (perché l'at­
mosfera è già satma cli vapor acqueo) e quindi non c'è il conseguente raffreddamento
dovuto all'evaporazione.
Il sudore non rappresenta il meccanismo con cui l'organismo si termoregola. L'ab­
bassamento della temperatura del corpo è dovuta all'evapornzione che è tanto maggio-

174
@ Artquiz CHIMICA

re quanto più elevata è la temperatura esterna e quanto più bassa è l'umidità dell'aria.
Un ventilatore dà refrigerio perché sposta. l'aria umida a contatto con l'epidermide
e favorisce l'e·,apornzione. È lo stesso meccanismo per cui si soffia sulla tazzina del
caffè per abbassarne la tempera.tura (evaporano le molecole a più alta energia cinetica,
l'energia cinetica media del liquido si abbassa e quindi si abbasssa la temperatura).

5.3 Lo stato solido


·i
I," I solidi sono considerati come quei composti nei quali l'interazione tra le molecole o
gli atomi (ioni) costituenti sono forti e dire-.tionali. Il solido è quindi cristallino. Come
abbiamo visto esistono vari tipi di solidi:
�;-
• molecolari, quelli nei quali sono distinguibili le molecole (per esempio acqua nel
ghiaccio, ben7,ene, anidride carbonica);

• ionici, quelli nei quali i costituenti sono gli ioni (tutti i sali, gli ossjdi, gli idrossidi);
• covale riti, quelli nei quali gli atomi sono legati tra loro in tutto il solido (diamante,
grafite, silicati, ccc.);
• metallici, quelli nei quali gli ioni positivi dei metalli occupano posizioni fisse nel
cristallo e alcuni elettroni (chiamati elettroni di valenza) sono alloggiati in un or­
bitale esteso n tutto il cristallo. Sono questi ultimi che conducono il calore e la
corrente elettrica.

o
o 175
Capitolo 6

Termodinamica

6.1 Principi generali


Un processo può essere di uatnra fil:,ica.. (.un corpo che cade, due cariche che si attrag­
gono, una frn,ione) oppure di natura chimica (una reazione). In tutti i casi i proces::;i
(definiti chi. 11110 stato iniziale e da 11110 finale) sono accompagnati da una variazione di
energia. La termodinrunica si occupa di queste vm·inzioni pc�r prevedere se uu processo
prn,sa o non possa avvenire.
Uu 1,istcma tennodinmnico viene definito isolato se esso 11011 può 1,cmuhim·e né
cm:rgia né materia con l'esterno, chiuso se pnè> scambiare energia ma 11011 materia,
aperto se può scambiare sia energia che materia (come 1111 organismo vivente).
La tennocliumnica nella descrizione dei prncesi,;i utilizza delle grandezze che sono
chimrmtc funzioni di stato perd1é esse dipendono solo dallo stato in cui si trova il
sistenm. (definito a 1,ua volta da pressione, tempcra_tma, concentrazione, ecc.). Tali
grru1dc:tze 1,ono l'entalpia (H), l'entropia (S) e l'energia libera (G). Ogni proces­
so è caratterizzato <la una variazione cli queste grnuclcz:1,c. La variazione è cspre�sa ·
dalla lettera grl-'Ca maiuscola /)._ ( delta) e rappresenta la differenza tra il valore della
grandc-,t;za nella stato finale meno il valore della grandezza nello stato iniziak. Quindi:

1 AI�= Hr - H;
; ''
I
,.�\= Sr - S;
; �1= Gr- G;
�n processo pub essere spontaneo o indott9_. Un gas si espande spontaneamente
se il volume a sua disposizione viene aumentato, mentre non è spontaneo il processo
inverso. Cosi una determinata reazione chimica può avvenire o meno spontaneamen­
te. In genere un processo avviene spontaneamente se l'energia. Jentalpia) dello 1>tato
finale è più bl:l8sn dell'energia dello stato iniziale: per questo l'acqua cade sempre ver­
so il basso. Ma se fosse sempre cosi le sostanze di cui è formato l'nniverso sarebbero
sempre e tutte allo stato solido, che è lo stato dove l'energia del sistema è minimo
perché l'interazione tra le molecole è al suo massimo stato. Noi sappiamo che così non
è perché u_p.'altra tendenza universale per un sistema e_ quello di possedere lo stato piu
probabil;, L� ;,'i,�to più probabile cqi!lcide con lo stato 'piu disordinato. C'è una defi-
-nìzfoné del disordine (misurato CO� la.grandezza entropia) che COl'risponde al numero
di descrizioni pos1>ibili per un sistema. Maggiore è il numero di descrizioni maggiore

177
Capitolo 6 Termodinamica © Artquiz

è il disordine. Con un esempio semplice: il sistema palla-buca può essere descritto in


un solo modo, la palla nella buca. Ivh� se si ha una palla e tre buche il sistema può
essere descritto in tre modi possibili. E quindi piit disordinato. I sistemi tendono ad
essere più disordinati possibiH, a possedere cioè l'entropia più alta. Fissate queste due
tendenze è stato necessario definire un'altra grandezza che tenga conto di entrambe,
·che si chiama energia libera, per prevedere la direzione di nn processo.
Esistono processi che, quando avvengono, sono favoriti sia dall'entalpia che dal­
l'entropia: per esempio nn solido che si scioglie nell'acqua con sviluppo di calore. Lo
sviluppo di calore ci dice che il sistema finale lta. un'energia più hassa.. La 1-;oluzio1te
è inoltrn (generalmente, non sempre) un sistema più disordinato del solvente e del
solido iniziale.
Esistono proce!:iSi che sono favoriti dall'entalpia ma sfavoriti dall'entropia. Sarà
allora la temperatura che deci<lera il verso del processo. Un esempio è l'equilibrio
solido-liquido: l'entalpia favorisce sempre lo stato solido allo stato liquido, mentre
l'entropia fa il contrario. La temperatura decide quali dei due stati è stabile: sopra
O 9 (a 1 atm di pressione) è stabile l'acqua. liquida, sotto O °C è stabile il ghiaccio
0

solido.
La grandezza energia libera è quindi una funzione di queste tre grandezze sotto la
forma:
�G = �H -T�S
Quando il �G è negativo il processo risulta. spontaneo (esoergonico). Qna.nclo è·
·positivo (endoergonico) il procc:-;so non avviene a. meno che la. diffcrcn:ta. cli cnPrghi.
libera non venga �mpplita cla un altro processo concomitante.. È qmmto avviene alla
maggior parte <lelle reazioni biochimiche cellulari che sono mtcloergonidm e ncc:c:-;sitano
di una reazione parallela esoergonica, che è normalmente la trasfonm1.;,,ione <li ATP in
ADP. Quando �G è uguale a. zero il sistema è in equilibrio tra i dne sta.ti (Chimica,
§ 9.1.4).

·rct).
-t
,.�
-, .•
, ,• '·

,,,.J· ,_,.

A�
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'·(
... .7
)

--
-•

178
Capitolo 7

Le soluzioni

7.1 Unità di misura per esprimere la concentrazione


.
Le soluzioni sono miscele omogenee di più composti. Un componente della solu­
zione liquida viene chiamato solvente (in genere è la. sostanza presente in maggior
quantità) gli altri compoueut,i :-muo chiamati soluti. Una sostanza ::;i scioglie in un
solvente se con e::;so instrnll'a delle interazioni. Più forti ::;0110 le interazioni tanto più
la so::;tauza si scioglierà. In genere V!ÙC la regola simile scioglie il s11,o simile. Sostanze
polari sciolgono sostanz e polari, mentre sostan'l,e a.polari sciolgono sostanze a.polari.
Esistono vari modi pC'r misurare la couceutra,1:ionc delle soluiioui liquide. Si hanno

o tre classi cli conccut.razioni: volnmc/volnme, peso/peso e peso/volume.


Al primo gruppo appartiene il percento in volume: è il modo <li misurare il con­
tenuto cli alcol in una soluzione éu:qnosa come il vino o nn liquore. I gradi alcolici

o misurano il volume di alcol contenuto in 100 mL cli solm�iouc.


Al secondo gruppo appa.rteugouo la percentuale in peso, la molalita(m) e la
frazione molare (x). Il primo tipo esprime qnnuti grammi di soluto sono contenuti

o in 100 g di soh1'l,ione. Il secondo rappresenta le moli cli soluto sciolte in 1.000 g di sol­
vcnté. Il terzo rappresenta il numero di moli di soluto sul numero totale di moli della
::;ob1'l,ione. E un numero sempre compreso tra zero e uno. La somma delle frazioni

o molari di tutti i componenti cli una soluzione è uguale a 11110.


Al terzo gruppo appartengono la molarità (M)e ln normalità. (N). La prima

o
rappresenta il nu1Uero <li moli di ::;oluto sciolte in 1111 litro di soluzione. La 11or1Ualità
esprime il numero di equivalenti (Chimica, § 9.3) sciolti in 1111 litro di soluzione.
Ci sono soluti che si sciol ono in grande ua 't' nel solvente, altri che invece si
sciélgon�o;:; �o;
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SC
ne si <licc satura. La dissoluzione di una sostanza in 1111 solvente può assorbire calore
e quindi essere endotermica (�H>O) o svilup pare calore e quindi essere esotermica

o
(�H<O). Quasi sempre ln dissoluzione è accompagnata <la un aumento <li entropia,
perché la soluzione è intuitivamente più disordinata dei suoi componenti originari.
Questo non e sempre vero, perché le molecole del soluto di un composto ionico, una

o
volta in soluzione, orientano intorno a loro in modo ordinato le molecole del solvente
e producono quindi una climiunzione di entropia che è maggiore dell'aumento dovuto
al mescolamento.

o
Quando la dissoluzione è endotermica, l'innalzamento della temperatura aumenta
la solubilità della sostanza. Se la dissoluzione è invece esotermica, l'aumento della
temperatura ne diminuisce la solubilità (Chimica, § 9.1.4).

179
Capitolo 7 Le soluzioni © Artquiz

7.1.1 Calcoli sulle soluzioni


Le formule chi ricordare sono:
• numero di moli di una sostanza= massa della sostanza (in g)/peso molecolare
della sostanza; -- �
• molarità (M)
..
, ,_ �
= moli della sostanza/volume in litri;
• normalità (N) = grammoequivalenti della sosta11?:a/volnme in litri;
• normalita (N) = molarita (M) · numero di protoni (elettroni) scambiati;
• peso eqnivalentc = peso molecolare/numero di protoni (elettroni) scambiati;
• densità (g/mL) = massa (in g)/volume (in millilitri)
Qn�c/t��solu���ne diluita con il solvente vale l'uguaglianza M1 V 1 -
M 2 V2 , dove V 1 e M 1 sono il volume e la molariti1. iniziale, mentre lvh e V2 sono il
volume e la molarità finale. Il prodotto MV rappresenta le moli del soluto che, nella
diluizione con il solvente, Timane invarinto. Se l'esercizio chiede a quale volume si deve
portare la soluzione per portare la molarità dulle condizioni 1 alle condizioni 2, allora
V2 e la risposta. Se l'esercizio chiede quanto solvente bisogna aggiungere per ottenere
lo stesso risultato allora la risposta è V2 - V 1 ( che è un risultato approssimato perché
c7è una variazione di densità della solu1.ioue).

7.2 Solubilità dei gas


I gas si sciolgono nei liquidi. Naturalmente la quantità di gas che si séioglie dipende
·
da diversi fattori:
1. La natura del gas e la natura del liquido. Se il gas è polare si scioglierà meglio in
un solvente polare. Se il gas è apolare si scioglierà meglio in un solvente apolare.
L'ammoniaca si scioglie bene in acqua perché è polare, l'ossigeno no, perché non è
polare.
2. Un gas si scioglie in misura maggiore in un liquido quanto più alta è la sua pres­
sione. La prnssione favorisce,sempre i processi che avvengono con diminuzione di
· volume, come la dissoluzione di un gas in nn liquido.

3. Un gas si scioglie in misura maggiore in un liquido quanto più bassa è la temperat11.­


ra. Infatti la dissoluzione di un gas in un liquido è sempre un processo esotermico
perché si creano interazioni che pri�a non c'erano. Come tutti i pro��ssi eso­
termici la solubilità di un gas in un liquido è sfavorita da un innalzamento della
temperatura.
La legge che governa la solttbHità dei gru:; nei liquidi è la legge di Henry che può
essere espressa come:
XA = KPA

dove XA è la frazione molare del gas nella soluzione, K è una costante che dipende
dalla natura del solvente, dalla natura del gas e dalla temperatura (I< diminuisce con
l'aumentare della temperatura) e P A è la pressione parziale del gas.

180
p © Artquiz CHIMICA r·
;O
7.3 Elettroliti
Si chiamano elettroliti quei ,'ioluti che una volta messi in ::mlnzione acquosa si dis­
sociano in ioni. La dissociaz;ionc pnò essere totale e, in tal caso, i soluti si chiamano
elettroliti forti, oppure parziale e i soluti si chiamano elettl'oliti deboli.
La for:m cli un elettrolita viene misurata da una grandezza che si chiama grado di
dissociazione (a): esso è il rapporto tra le moli dissociate e le moli totali. E quindi
un numero compreso tra O e 1. Quando a = 1 l'elettrolita è forte, quando a = O il
soluto è 1111 non elettrolita, quando a è compre::m tra O e 1, l'elettrolita è debole.
Gli elettroliti si chiamano così perché in ::mluzioue sono in grado di condurre la cor­
rente elettrica. Piì1 1111 elettrolita è forte più è capace cli condurre la corrente elettrica

o
(a parità di couccutrmdone e di cm-ica. degli ioni: uno ione con duq cariche positive
conduce più di uno ione con una carica positiva). L'acqua pura è 1111 debolissimo
elettrolita perché ·capace di dare solo in misura molto ridotta ioni HaO + e ioni OH­
(Chimicn, § 9.2). L'acqua del rubinetto e capa.cc cli condurre la. corrente elettrica
perché contiene disciolti elettroliti forti, come alcuni sali.
I sali sono tutti elettroliti forti, mentre la maggior parte degli acidi e delle basi
::;uno elettroliti deboli (alcuni, come HCl, sono forti).
Tutti gli elettroliti deboli diventano forti quando sono estrcmmncute diluiti. Per
essi la clissociazioru: <! immr:;am.ente provorzimuilc alla concentmzione.

7.4 Proprietà colligative delle soluzioni


Una solu'l,iouc liquida si ottiene mescolando due o più liquidi oppure sciogliendo nel
solvente un soluto solido o p;a..<;soso.
Come si è visto in prccedemm ogni liquido ha una sua intrinseca teuden'l,a a pas:m.re
allo stato vapore. Questa tendenza è definita dalla. pressione cli vapore P0 che ha 1111
preciso valore ad ogni valore della tcmpcn.\.t.ura. Una solu¼ioue ottermt,a a partire <la
due o più liquidi pro:::ienta auch'cs:·m una. pressione <li vapore che, acl ogni temperatura,
sarà data dal contributo di ciascun componente.
La legge di Raoul t permette di conoscere la pressione cli vapon} cli una soh1¼io11e
fatta da n componenti liquidi ad una certa temperatura.
Essa è espressa con la formula:
P = P 1x1 + P 2x2 + ccc.
dove 1, 2, ecc. sono i comp onenti della soluzione, x 1 , x2, 1 ccc. le rispettive fra-1,ioni
molari e P1, P 2, ccc. le pressioni cli vapore <lei componenti PVri a quella tempcratum.
Quando P ruggiunge_ il valore della pressione esercitata <lalÌ'esteruo ::;ulla solu:tione,
e�sa bolle. Inoltre, a qualsiMi tempcratnra, il vapore in equilibrio con la solm�ione

o
sarà. sempre più ricco nel componente più volatile. Se si fa evaporare 1111 vino al 12%
il vapore in equilibrio con esso conterrà più del 12% di alcol, perché l'alcol etilico è
più volatile dell'acqua. Se si condensa il vapore raccolto e lo si fa rievaporare l'arric­

o
chimento nel componente più volatile procederà ulteriormente. E questa la base della
distillazione, che permette di separare due liquidi, componenti di una miscela, sulla
base della loro volatilità. La legge di Raoult e le �mc applicazioni valgono per una

o
soluzione ideale: l'idealità è proprio definita dalla validità della legge.
In teoria la legge di Raoult è valida anche per le soluzioni ottenute. sciogliendo
un solido in un solvente. N ormalmeute i solidi hanno una pressione di. vapote .che_ è

D 181
Capitolo 7 Le soluzioni @ Artquiz

molto vicina a zero (salvo qualche eccezione co1Ue lo iodio, la naftalina, ecc.). Per cui
la pressione di vapore della soluzione coincide con la pressione di vapore del solven­
te. Avendo il solvente una frazione molare nella soluzione minore di 1, la pressione
di vapore della soluzione sarà più bassa della corrispondente pressione del solvente
puro. Una soluzione (ottenuta con i soluti solidi) presenta quindi un abbassamento
della pressione di vapore. Tale abbassamento è proporzionale alla frazione molare del
soluto.
Se la pressione di vapore della soluzione è più bassa di quella del solvente puro,
essa ragginugerà tl valore della pressione esteTna ad una temperatura piit alta di quella
alla qnale la raggiungerebbe il solvente puro: la soluzione avrà nna temperatura di
ebollizione più alta. L'aumento della temperatura di ebollizione sarà tanto pii1 alta
quanto più i:: concentrata la soluzione.
In modo del tutto analogo nna soluzione avrà una temperat1tra di congelamento
più bassa rispetto al solvente pnro. L'ebullioscopia e la crioscopia sono le due
tecniche che permettono di ricavare dalla misura delle temperature di ebollizione e di
congelamento la. concentrazione delle solu1.ioni.
Le formule che legano le proprietà descritte alle concentr�ioni sono le seguenti:
= x2 per l'abbassamento della pressione di vapore;
• �p /P 0
dove �p = P0 P e x2 è la fra'l.ionc molare del soluto.
-

• �T = Km per l'inmilzamento del punto di ebollizione e per l'abbassamento del


pnnt.o cli gelo;
dove K è mm costante che dipende dal solvet"1tc e nte la molalità della solu�ione e �T
è la difforenY.a, prnim sempre con U segno positivo, tra punto di ebollizione o punto
di congelamento del solvente puro e il punto di ebollizione o di congelamento della
�mluzione.
Poiché nna parte elci soluti sono elettroliti, cioè sostanze che in soluzione si tro­
vano totalmente (elettroliti forti) o parzialmente (elettroliti deboli) sotto forma di
ioni, le formule sopra riportate debbono essere corrette, perché i fenomeni illustrati
dipendono dal numero delle particelle e non dal numero delle molecole. Inoltre una
particella piccola (per esempio lo ione Li+ ) conta quanto una particella grande (per
esempio nna proteina).
Le proprietà che dipendono dal numero delle particelle sono anche chiamate pro­
prieta colligative. Quindi abbassamento della pressione di vapore, innalzamento del
punto di ebollizione e abbassamento del punto di congelamento (insieme alla pressione
osmotica) sono proprietà colligative. Ognuna di queste proprietà è sempre �c,sociata
alle altre tre. Le formule sopra riportate debbono essere quindi corrette per l'�ventuale
dissocia:i;ione del soluto in soluzione. Quindi:
t:i.P/P0 = x2(l + a(v - 1))
dove a è il grado di dissociazione e v (in qualche testo viene usato 'Y invece di v) è il
numero di ioni prodotti dalla dissocia,7,ione stessa. Analogamente:
�T = Km(l + a(v - 1))
Non bisogna confondere il termine (1 + a(r/ - 1)) (che viene chiamato anche indice
di van't Hoff, e indicato con la lettera i), che trasforma il numero <li molecole in

182
@_ Art.quiz CHIMICA

numero di particelle (sia ioniche che 11011 ioniche), con il termine ''forza ionica" la

n
quale invece è una misura dell'intensità del campo elettrico generato dalle cariche
� degli ioni cd è uguale a:
1
, ,2
- Ec·z·
2
dove e; è la concentrazione di ogni specie ionica e z; è la carica di ogni specie ionica.
E è il simbolo di sommatoria.

o
Esempio. Se si ha una soluzione: 0,1 Mdi NaCl e 0,1 M di Na2SO,i , la forza
O, 1 · 1 + O, 1 · 1 + O, 2 · 1 + O, 1 · 4
;...
. , ,
10mca e ugnaIe a = O, 8 = O , 4 .
2 2

o
I primi due termini sono il contributo cli NaCl, mentre i secondi due sono il con­
tributo di Na2S04. In questo cru;o le particelle 11011 contano tutte allo stesso modo:
la particella So,i2- conta di più delle particelle Na+ e c1-.
Il termine [1 + a(v - 1)] per la stessa soluzione sarebbe: O, 1 · 2 + O, 1 · 3 = O, 5.
II primo termine si riferisce a NaCl, che si dissocia in due ioni, 1"nentre il secondo
termine si riferisce a Na2 S0 ,i , che si dissocia in tre ioni.

7.4.1 Pressione osmotica


TI·a le proprietà colligative è annoverata anche la pre ssione osmotica, una proprietà
molto importante in campo biologico.
Tecnicamente la pressione osmotica di mm soluzione pub essere considerata come la
pressione che il soluto esercita sulle pareti del recipiente dove è contenuta la soluzione
ed è pari a quella che lo stesso soluto eserciterebbe se fosse allo stato gassoso (cioe senza
il solvente) alla stessa temperatma e nello stesso volume occupato dalla soluzione.
L'applicazione della legge dei gas alle molecole di solnto darebbe l'espressione:
1rV = nRT
dove 1r rappresenta la pressione osmotica (misurata in atm) e le altre grandez7,e sono
quelle già incontrate con i gas. Tale espressione diventa:
1r = cRT
dove e è la concentrazione molare del soluto (= 11/V).
Poiché la pressione osmotica è una proprietà colligativa anche questa espressione
deve essere corretta dal fattore che tiene conto dell'eventuale dissociazione del soluto.
Quindi:
1r = cRT[l + a(v
I
- 1)]
La proprietà pressione osmotica viene m/4ssa in evidenza quando la soluzione in
questione è separata dal resto da una membrana semipermeabile, una membrana
ideale che fa passare il solvente e non fa passare il soluto. Tale membrana è in

o
qualche misura rappresentata dalla membrana citoplasmatica delle cellule che, per
la sua composizione, permette il passaggio dcll'acqua (e di pochi- altri soluti come
ossigeno, azoto e altre piccole molecole neutre) ma non di molecole grandi o ioni.

o
Quindi i vari soluti all'interno di una cellula esercitano una pressione osmotica che, se
non è bilanciata, da una pressione osmotica uguale e contraria all'esterno, producono
degli effetti sulla cellula.

o 183
Capitolo 7 Le soluzioni· © Artquiz

Quando la pressione osmotica esterna e interna. sono uguali si dice che le due
soluzioni sono isotoniche. In questo caso la quantità di acqua che entra nell'unità di
tempo è uguale alla quantità di acqua che esce.
Quando la pressione osmotica di una delle due prevale sull'altra, quella che ha
pressione maggiore è ipertonica e quella che ha pressione minore è ipotonica. Una
cellula (come un globulo rosso) immersa in una soluzione ipotonica fa entrare acqua
(perché l'acqua va sempre dalla soluzione più diluita a quella più concentrata come
effetto globale) e si rigonfia fino, al limite, a scoppiare ( se è nn globulo rosso il processo
si chiama emolisi) mentre una cellula immersa in una soluzione ipertonica fa uscire
acqua e si raggrinzisce. Una cellula vegetale in queste condizioni dà luogo al fenomeno
della plasmolisi, cioè al distacco della membrana plasmatica dalla parete cellulare. La
concentrazione in particelle responsabile della pressione osmotica viene anche definita
osmolarità.
L'osmosi è il processo con il quali si attua la dialisi, processo con il quali si
purifica il sangue dai prodotti tossici del catabolismo (per esempio urea ). In tal caso
la membrana usata uon è semipermeabile perché è in gTado di far passare gli ioni e le
molecole piccole presenti nel sangue. La membrana, in questo caso, serve a impedire il
passaggio delle macromolecole (come le proteine) e ovviamente delle cellule contenute
nel sangue. Il sangue quindi passa a.ttrnverso un tubo che ha le pareti permeabili alle
molecole piccole, ma non alle grandi, e il tubo è immerso in una soluzione di sali la
cui concentrazione è quella che si vuole· resti nel sangue. La soluzione esterna uon
· conticme le molecole da cni il sangue deve essere ripulito (per esempio l'urea), che
quindi dal sangue e..'-¾cono.
Il processo di salnt;ura per conservare i prodotti alimentari è basato sulla pressione
osmotica. Il sale usato toglie acqua alle cellule batteriche e quindi le uccide. Gli
impacchi di acqua e sa.le servono a ridurre gli edemi.

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I

184
Capito!� 8
!,.
l:
Nomenclatura e formule dei composti
• • •
1norgan1c1

8.1 Principi generali


I composti sono formati da combinazioni di atomi uniti tra loro da legami covalenti
o ionici. Essi sono indicati da una formula çhe contiene i simboli degli atomi che costi­
tuiscono il composto e il numero di volte ogni singolo atomo è presente nel composto.
Per esempio C0 2 significa che esiste una molecola costituita da 2 atomi di ossigeno e
un atomo di carbonio, legati tra loro in un certo modo ( che dalla formula non appare)
ma che rispetta i principi illustrati nella forma7.-ionc dei legami. .Per esempio non esiste
la molecola Ha perché non c'è nessun modo per legare tre atomi di idrogeno, mentre
oltre all'acqua (H2 0) esiste l'acqua ossigenata (H2 0 2 ) perché si possono legare due
ossigeni tra loro cd esiste l'o'llono (Oa) perché è possibile legare ancora nn atomo di
ossigeno ad una molecola di ossigeno. � -

o
In alcuni casi la formula rappresenta solo il rapporto tra gli atomi che costituiscono
la sostanza. Per esempio CaCh vuol dire che la sostanza allo stato solido è costituita
da ioni Ca2+ e da ioni Cl-, in rapporto 1 a 2 per rispettare la elettronentralità. In
effetti nel solido non è distinguibile la molecola di CaCh.
I composti inorganici (per distinguerli dai composti organici, derivati del car­
bonio) sono a loro volta suddivisi in vari tipi.

o
Le regole più usate per la nomenclatnra dei composti verranno descritte nelle
sezioni dei vari tipi di composti.

8.1.1 Ossidi basici e ossidi acidi o anidridi


Viene definito ossido, il composto di un elemento con l'ossigeno. Poiché gli elementi

o
sono divisi tra metalli e metalloidi, gli ossidi di un metallo (CaO, Na 2 0, Ah03, ecc.)
sono chiamati ossidi basici perché se posti in acqua danno luogo agli idrossidi che
hanno un comportamento basico (Chimica, § 9.2).

o
Essi allo stato solido sono costituiti dagli ioni metallici e dallo ione 02-. Il nome
dell'ossido è dato dalla dizione ccossido di <nome del metallo>". Quando il metallo
presenta numeri di ossidazione diversi vengono usate le desinenze -oso e -ico, per
designare rispettivamente lo stato a più basso e più alto numero di ossidazione (es.
FeO, ossido ferroso, Fe2 03 , ossido ferrico) (Chimica, § 9.1.1).
Quando l'ossido è fatto con un metalloide (non metallo) l'ossido viene chiamato

185
Capitolo 8 Nomenclatura e formule dei composti inorganici @ Artquiz

ossido acido (in italiano anche anidride) perché in acqna dà luogo alla formazione
di nn ossiacido con reazione acida. Anche in questo caso si usano le desinenze -osa o
-ica (anidride solforosa, SO 21 anidride solforica, SO3 ) quando gli stati di ossidazione
sono diversi.
L'acidità o la basicità deriva dal fatto che i due tipi di ossidi in acqua producono
sempre 1111 composto del tipo M-O-H. Quando M è un metallo il legame più pola­
rizzato è M-O, e quindi l'acqua lo rompe per formare M+ e OH- (comportamento
basico). Quando M è un non metallo, il lega.me piì1 polarizzato è O-H, e quindi
l'acqua lo rompe per formare MO- e H"f- (comportamento acido).

8 .1.2 Idruri
Come già detto, gli idruri sono i composti binari formati da idrogeno e un metallo
(LiH, idruro di litio; CaH 2 idruro di calcio; A�H3 idruro di alluminio, ecc.). Poiché
1 1

in questi composti l'idrogeno ha una carica negativa, essi tendono facilmente a cedere
elettroni e sono quindi riducenti (Chimica, § 9.1.2).

8.1.3 Idracidi
Gli idracidi sono composti binari tra idrogeno e gli elementi del VII e lo zolfo del
VI gruppo. Gli esempi sono HF, HCl, HBr, Hl e H2S. Sono acidi perché tendono a
cedere l'idrogeno sotto forma di protone (Chimica, § 9.2).
I loro nomi finiscono sempre con la desinen1..a -idrico (acido fluoridrico, cloridrico,
bromidrico, iodidrico, solfidrico). I loro so.li (l'idrogeno sostituito da 1111 metallo)
prendono la desinenza -uro (fluoruro, cloruro, bromuro, ioduro, solfuro di <nome del
metallo>).

8.1.4 Idrossidi
Gli idrossidi sono i composti tra ioni metallici dei primi tre gruppi e dei metalli di
transizione e gli ioni ossidrili (OH-). Si ottengono facendo reagire gli ossidi basici
con l'acqua. Hanno comportamento basico.

8.1.5 Ossiacidi •.

Gli ossiacidi sono i composti che i non metalli formano con idrogeno e ossigeno. Essi
si ottengono per reazione degli ossidi acidi, o anidridi, con l'acqua. Hanno comporta­
mento acido più o meno marcato in acqua.
Uno stei:;so elemento può formare diversi ossiacidi: in tal caso il nome, pltre alla
desinenza -oso e -ico, può assumere il prefisso ipo o per. Come esempio st possono
usare gli ossiacidi che forma il cloro. Essi sono HClO, HC1O 2, HClO3 e HClO4 .i cui
nomi sono acido ipocloroso, cloro!:>'0 1 clorico e perclorico, rispettivamente.

8.1.6 Sali
I sali sono i composti che si formano !:>'OStituendo l'idrogeno negli ossiacidi o negli
idracidi con un metallo e che provengono dalla reazione tra gli ossiacidi e gli idracidi
con gli idrossidi. Sono sempre composti ionici, sia allo stato solido che allo stato
liquido (fusi). Ovviamente in soluzione acquosa sono sempre totalmente dissociati.

186
@ Artqui� CHIMICA
l"'
� Non confondere la d·issoc'iazione in ioni con la solubilità: un sale pnò essere
molto o poco solnbile 1 ma la parte sciolta è completamente sotto forma
ionica.
I sali provenienti dagli ossiacidi prendono la desinenza -ito se provengono da un

o
acido con desinenza -oso e la desinenza -ato se provengono da un acido con desinenza
-ico. Dall'acido solforoso (1-12S03) si ottengono i solfiti e dalPacido solforico (H2S04)
i solfati.
Nella sostituzione degli idrogeni da parte dei metalli bisogna tener conto che la
nonnna delle cariche positive dei cationi metallici sia uguale alla somma delle cariche
negative dell'anione dell 'ossiacido. Per esempio il solfato di sodio è Na2SO,i e il solfato

o
di ammonio è (NH,i )2S0,1, il solfato di calcio è CaSO ,i , il solfato ferroso è FeS04, il
solfato ferrico è Fc2(S04 ) 3 e il solfuro di alluminio è AhS.1.
Esistono anche i su.li ottenuti per pan:iale .-;ostituzioue dell'idrogeno degli ossiacidi
come NaHC03 , cmbonato <lì idrogeno esodio (in italiano chiamato anche bicarbonato
di sodio, nonostante non ci sia niente preso <lue volte come indicherebbe il prefisso
bi-, o carbonato acido di sodio, perché In molecola possiede ancora 1111 idrogeno con
carattere acido), Fel-I(S04 )2, solfato di idrogeno e ferro (III) 9 solfato acido ferrico,
(NI-Li)2HP04, fosfato di diammonio e idrogeno o fosfato acido di diammonio.

I principali acidi inorganici:


• Monoprotici: HF (acido flnori<lrico), I-ICI (acido cloridrico), 1-IBr (acido bromi­

o
drico), Hl (acido iodidrico), HNO:J (acido nitrico), HCIO (acido ipocloroso), I-ICI02
(acido cloroso), HC103 (acido clorico), HCIO,i (acido perclorico).
• Diprotici: 1-12S04 (ncido solforico), H2Cr0,1 (acido crnmico), H2S (acido solfidri­
co), H2C03 (acido earbonico), lhS03 (acido solforoso).
• 'Iriprotici: H:iP04 (acido fosforico)

o ALCUNE COSE DA RICORDARE SULL'ACQUA

1. È una sostanza polare e quindi scioglie composti polari e composti ionici.


2. Allo stato liquido ha una densità superiore a quella dello stato solido, per cui i
l aghi e i fiumi non ghiacciano completamente a basse temperature perche il ghiaccio
rimane in superficie e riduce quindi la trasmissione di calore tra l'acqua sottostante
e l'ambiente.
3. L'acqua è definita ''dura" se contiene disciolti nna quantità elevata di sali. L'acqua
con pochi sali si definisce "dolce".
4. L'acqua "pesante" è l'acqua che contiene deuterio invece di protio nella sua formula.
Essa è usata nelle centrali nucleari per ridurre la velocità dei neutroni.
5. A causa della sua alta tensione 8Uperficiale l'acqua presenta una forte tendenza alla

o "capillarità", la capacità di risalire attraverso fessure e tubi sottilissimi. Questa


tendenza è utilizzata, tra gli altri, dalle piante che prendono l'acqua dal suolo e la
fanno risalire fino alla cima.

187
Capitolo 8 Nomenclatura e formule dei composti inorganici @ Artqniz

6. L'acqua pura conduce pochissimo la corrente elettrica perché la concentrazione dei


suoi ioni idrossonio e ossidrile è bassa. Ma l'acqua comune contiene disciolti sali
che aumentano notevolmente la capacità di condurre la corrente.
7. L'acqua dovrebbe avere un pH pari a 7 ma, poiché contiene disciolta l'anidride
carbonica, il suo pH è vicino al valore 5 ( a meno che non contenga disciolti sali
con proprietà basiche).

I
I,
4

188
r.!':

Capitolo 9

Le reazioni chimiche
'

9.1 Definizioni e tipologie

Si definisce reazione chimica un processo nel quale alcune sostanze cambiano natura
chimica. In una reazione chimica quasi sempre alcuni legami chimici sono rotti e si
formano nuovi legami. La reazione viene espressa da una equazione chimica del

o
tipo:
aA+bl3-tc C+<lD

o
dove A e B sono le formule dei reagenti e C e D sono le formule dei prodotti. La
freccia indica In trasformazione e a, b, c e <l sono coefficienti .numerici (coefficienti
stechi ometrici) che servono a bilanciare la reazione.
Unn reazione si dice bilanciata quando il numero di atomi. di ogni specie chimica
è uguale a destra e a sinistra della equazione (bilanciamento della massa).
Il bilanciamento delle reazioni chimiche va anche sotto il nome: di legge di Lavoi­
sier, la quale dice che le masse dei reagenti deve essere uguale alle masse dei prodotti.
Nel caso che la reazione avvenga con alcuni composti sotto forma ionica non solo le
masse devono essere bilanciate ma anche le cariche. La singola freccia vuole signifi­
care che la reazione va a compimento, cioè alla fine della reazione si trovano solo i
prodotti (se la reazione è bilanciata). Se invece è presente una doppia freccia (t:+)
questo significa che la reazione arriva ad un equilibrio e che procede nelle dne direzioni
ad ugnale velocità, quindi apparentemente non succede più niente (Chimica§ 9.1.4).
Le reazioni possono essere suddivise in:

o
• Sintesi: H 2 0 + S03 --, H 2 S04
• Decomposizione: CaC03 --; CaO+ C02

o • Dissociazione: MgS0 4 --; Mg2+ + S04 2 -

o
• Neutrali1,zazione: 2 NaOH+ H 2 SO,i --, Na2 S04+ 2 H 20
Bilanciare questo tipo di reazioni è molto semplice. Più difficile è bilanciare alcuni

o
tipi di re�ioni di ossido-riduzione.
Le reazioni chimiche possono anche assorbire o sviluppare energia. Quando Pe­
ncrgia è sotto forma di calore le reazioni si dividono in reazioni endotermiche,

o
quelle che assorbono calore, e l'eazioni esotermiche, quelle che producono calore.

189
· Capitolo 9 Le reazioni chimiche @ Artqniz

Il calore prodotto o assorbito coincide con le variaiioni di entalpia ("6.II>0, reazioni


endotermiche; "6.H <0 reazioni esotermiche).
· Una reazione può essere spontanea o non spontanea. Una reazione è spontanea
quando la varin:tione di energia libera (�G) a essa connessa è negativa (esoel'gonica).
Quando la reazione non è spontanea la variazione di energia libern. è positiva (endo­
ergonica).
Come si fa a far avvenire una reazione che 11011 è spontauen (come è la maggior
parte delle reazioni biologiche)? Basta accoppiare ad essa una reazione spontamm
con una variazione di energia libera negativa maggiore della variazione positiva della
renzione non spont.anea. Quasi sempre, in biologia, questa rea¼ione è la reazione <li
degradazione dell'ATP (adenosiutrifosfato) in ADP (adenosindifosfato).

9 .1.1 Numeri di ossidazione


Abbiamo visto che nella formazione delle molecole i legami tra gli at.omi sono costituiti
da coppie di elettroni condivisi. La condivisione è completa se i dnc atomi tra cui c'è
nn legame sono ug1mli (per es. H2)- Qua.udo c.lnc a.tomi sono diversi sarà quello più
elettronegativo che attirerà di più i dne elettroni condivisi. Se assegniamo comple­
tamente gli elettroni di legame all'atomo più elettronegativo, gli è\tomi costituenti la
molecola potranno risultare con cariche positive o negative. La carica apparente che
ciascun atomo possiederebbe dopo questa nsscgnazione arbitraria si chiama numero
di ossidazione.
Le reazioni chimiche possono essere sndclivisc in reazioni di scambio, nelle qua.li
nessun elemento cambia numero di ossidazione, e reazioni di ossido-riduzione ( o
reazioni redox) dovt� invece almeno dne clementi cambiano munero di o..c.;sidazione,
uno lo aumenta (si ossida) e 1'11.ltro lo diminuisce (si riduce). Come si vedrà, le rea­
zioni cli ossido-riduzione sono molto comuni e con esse si possono costruire apparati
nei quali l'energia chimica svolta da una reazione è trasformata in energia elettrica
(le pile). Nelle rea¼ioni di ossido-riduzione il loro bilanciamcmto è facilitato se si tiene
èouto delle varia:tioni del numero di 081:!idmdouc.
L'attribu1,ioue del numero di ossidazione dovrebbe essere fatto sulla base della
conoscenza dei valori di elettronegatività degli atomi. Poiché la. memorizzazione di
questi valori uou è facile esistono delle semplici regole che permettono di assegnare ai ·
singoli atomi costituenti la mol�coln. il numero di ossida:,-;ione:

1. Gli atomi nelle sostanze allo stato elementare hanno numero di ossida.-1,ionc zero
(e..,;. 1-12 , Cl2 , S, C, �cc.).
2. Il numero di ossidazione dell'idrogeno è sempre +1, salvo quando l'idrogeno è allo

stato elementare (numero di ossidazione O) e quando forma gli idruri, i composti
con i metalli (es. NaH, LiH, ecc.) (numero cli ossida·zione -1).

3. Il numero di ossidazione dell'ossigeno è sempre -2, salvo quando l'ossigeno è allo


stato elementare (numero di ossida-tione O), quando è legato al fluoro (che è piì1
clett.ronegativo dell'ossigeno e quindi quest'ultimo assume numeri di ossidazione
positivi) e quando si trova in composti dove esiste il legame 0-0 (perossidi come
l'acqua ossigenata, H 2 O 2 , dove il numero di ossidazione è -1).

4. Il numero di ossidazione di uno ione monoatomico è uguale alla carica dello ione
(Mg2 +, c1-, Al3+, ecc.).

190
@ Artquiz CHIMICA

5. Il numero di ossidazione degli clementi del I gruppo ( metalli alcalini) è sempre + 1


(con l'eccezione di quaudo·souo allo stato elementare) e <li quelli del II gruppo è
sempre +2 (sempre con l'eccezione di quando si trovano allo stato elementare).
o. In una molecola neutra la somma dei numeri di ossidazione di tutti gli atomi che la
formano è uguale a zero. In 11110 ione la somma dei numeri di ossidazione di tutti
gli atomi che lo formano è uguale alla carica dello ione.
Esempi:
?'·
� a) Nella molecola di H2S0 41 ogni atomo di idrogeno ha numero di ossidn:zione +1,
quindi in totale +2, ogni atomo di ossigeno ha numero di ossidazione -2, in totale
-8. La somma algebrica tra +2 e -8 è -6. Quindi lo zolfo deve avere numero di
ossida�ione +6 perché la somma complessiva deve essere zero.
b) Nella molecola K2Cr20 7 , K ha numero di os...,idazione +1 (primo gruppo) quindi
somma +2, l'ossigeno ha numero di ossidazione -2, quindi -14. La somma alge­
brica è -12, quindi i due atomi di cromo devono avere complessivamente numero
di ossidazione +12, cioè +6 per cia::;cun atomo di cromo.
. c) Nello ione C2 oi- (ione ossalato), l'atomo di ossigeno ha numero di ossida:dciuc
-2, quindi in totale -8. I due atomi di çarbonio debbono avere in totale +6 (cioè
+3 per ciascun atomo di carbonio) perché la somma +6 -8 deve essere uguale alla
carica -2 dello ione.
In genere per ogni elemento si nota che il massimo numero di ossidazione che esso
può avere corrisponde ul numero del gruppo della Tavola periodica n cui l'elemento
appartiene. La ragione è comprensibile: il numero del grnppo rappresenta il numero
<li elettroni esterni, con i quali si fauno i legami. Un elemento non può ccperdere» altri
elettroni oltre gli esterni. Gli elementi di transizione fauno eccezione a questa regola.
In alcune reazioni lo stesso elemento può ossidarsi e ridursi: in tal caso si parla
di reazione di dismutazione (ad esempio: Ch + H20 -t HCl + HClO. 11 cloro
passa contemporaneamente da zero a -1 e a +1).

9.1.2 Reazioni di ossido-riduzionE:': (redox)


Come già detto sono le reazioni nelle quali qualche elemento cambia il proprio numero.
di ossidazione. Questo avviene mediante acquisto o perdita di elettroni.
La sostanza che contiene l'elemento che aumenta il numero di ossidazione si ossi­
da (cede elettroni) cd ò quiutli riducente, mentre la sostanza che contiene l'elemento
che diminuisce il numero di ossidazione si riduce (acquista elettroni) ed è quindi
ossidante.
'Iì·a gli ossidanti piì1 usati c'è il permanganato di potassio (KMnO ,i ), l'acqua os­
sigenata (H202), il fluoro (F2), il cloro (Ch), il cromato e il bicromato (Na2CrO,i ,
Na2Cr20 7 ) e l'ossigeno (02). 'Iì·a i riducenti più usati l'idrogeno (H2), i metalli alcali­
ni e i metalli alcalino-terrosi, i solfuri (derivati dell'acido solfidrico) e i tioli (composti
che contengono il gruppo -SH).
Una reazione redox può essere scritta in questo modo (non ci può essere ossidazione
se non c'è contemporanea�1ente mm. riduzione):
RED1 + OX2 � OX1 + IlED 2
- la sostanza 1 viene oAsidata e la sostania 2 viene ridotta -

191
Capitolo 9 Le reazioni chimiche © Artquiz

Il bilanciamento delle rea�ioni redox spesso non è così semplice come quello delle
altre reazioni. Il principio di base è quello che il numero di elettroni ceduti deve essere
uguale al numero degli elettroni acquistati. Per facilitare la comprensione delle regole
si fa un esempio di reazione, affrontato in tre modi diversi.

Reazio ne in forma mo lecolare:


K2Cr2O1 + K2SO3 + HCl -+ KCl + CrCl3 + K2SO4 + H2O
Si calcolano tutti i numeri di ossidazione degli elementi presenti nella reazione. K
ha il valore +1 sia nei comp o::�ti a sinistra che in quelli a destra. L'ossigeno ha sempre
il valore -2. L'idrogeno ha sempre il valore +1. Il cloro ha sempre il valore -1. Gli
elementi che cambiano numero cli ossidU'òone sono: il cromo che nel bicromato di
potassio ha numero di ossidazione +6 e passa a numero di ossidazione +3 nel cloruro
di cromo e lo zolfo che ha numero di ossidazione +4 nel solfito di potassio e numero di
ossidazione +6 nel solfato di potassio. Quindi il bicromato si riduce (ed è l'ossidante)
mentre il solfito si ossida (ed è il riducente). Il cromo nel passare da +6 a +3 deve
acquistare 3 elettroni: di atomi di cron.10 nel dicromato ce ne b'OllO 2 e quindi in totale
la molecola di bicromato deve prendere G elettroni. Lo zolfo nel pussare da +4 a +6
deve cedere due elettroni e poiché c'è nn solo atomo di zolfo nel solfito questo è il
numero di elettroni che la molecola cede.
In una reazione redox il rmmcro di elettroni ceduti dal riducente deve· essere u,q-uale
al numero di elettroni acquistati dall'ossidante.
Se l'ossidante in questo caso acquista G elettroni ci vorranno tre molecole di solfito
per poter cedere 6 elettroni. Quindi il bilanciamento degli elettroni ceduti e acquistati
porta a definire i primi due coefficienti stechiometrici (il coefficiente 1 in genere non
si scrive ma in questo caso si mette per ricordare che esso è definito):
1 K2Cr2O1 + 3 K2SO3 + HCl -+ KCl + CrCla + K2SO4 + H2O
I due atomi di cromo del bicromnto li dobbiamo trovare a destra sotto forma di
cloruro e quindi il coefficiente di quest'ultimo sarà 2. In maniera del tutto analoga
i tre atomi di zolfo contenuti nelle tre molecole di solfito dovranno essere trovati a
destra come solfato: quindi il coefficiente di quest'ultimo sarà 3. In questo modo
saranno stati sistemati i coefficienti dell'ossidante, del riducente, dell'ossidato e del

ridotto:
1 K2Cr2O1 + 3 K2SO3 + HCl -+ KCl + 2 CrCl,3 + 3 K2SO4 + H2O
Il resto diventa un banale
-
8 atomi di potassio. A destra ne
�,
bilanciamento delle masse: a sinistra sono s+ati usati
troviamo 6 nel solfato, quindi gli altri du� saranno
sotto forma di KCl:
1 K2Cr2O1 + 3 K2SO3 + HCl -+ 2 KCl + 2 CrCls + 3 K2SO4 + H2O
A destra ora ci sono 8 atomi di cloro che provengono dall'HCl a sinistra; quindi ci
vogliono 8 molecole di HCl:
1 K2Cr2O1 + 3 K2SO3 + 8 I-ICl -+ 2 KCl + 2 CrCl3 + 3 K2SO4 + H2 O
A sinistra ora ci sono 8 atomi di idrogeno che dovremo ritrovare tutti sotto forma
di acqua a destra. Quindi si formeranno 4 molecole di acqua:

192
o @ Artquiz CHIMICA

1 K 2 Cr 2O7 + 3 K2SO3 + 8 HCl ---; 2 KCl + 2 CrCb + 3 K2 SO,i + 4 H2O


Il controllo del bilanciamento può ora essere fatto usando gli atomi di ossigeno,
che infatti sono nel numero di 16 sia a destra che a sinistra.

Reazione in forma ionica:


�,·t.
�:: r

La stessa reazione quando si svolge in acqua -avviene nella seguente forma:


�f . Cr2 Or 2 - + SO32- + H+ ---; Cr3 + + SO,i2- + H2 O
Come si pnò vedere scompare dalla reazione sia il potassio che il cloro. Essi
infatti non cambiano numero di ossidazione nella reazione e sono quindi dei semplici
spettatori.
I passaggi sono praticamente ngnali a quelli di prima. Il cromo passa da +6 a +3
e acquista 3 elettroni (Io ione bicromato ne acquista 6). Lo zolfo passa da +4 a +6 e

o cede due elettroni (lo ione solfito quindi ne cede 2). Il numero di �lettroni acquistati
e ceduti deve essere lo stesso, quindi ci vorranno 3 ioni solfito per ione dicromato:
1 Cr2O/-- + 3 Soi- + H+ ---; Cr3+ + SO,i2 - + H2O
Questo porterà a destra nd avere dne ipni cromo e tre ioni solfato:

o 1 Cr2O12 - + 3 SO:?- + H+ ---; 2 Cr3+ + 3 SO,t 2- + H2O

o
Poiché in una reazione in forma ionica devono essere bilanciate, oltre alle masse,
anche le cariche, si può vedere che a sinistra abbiamo due cariche negative dello ione
bicromato piit sei cariche negative dello ione solfito (totale otto cariche negative: sono

o
le cariche degli ioni a cui è già stato assegnato il coefficiente) mentre a destra abbiamo
sei cariche positive dello ione cromo e sci cariche negative dello ione solfato (totale
zero cariche). Dobbiamo q11indi usare otto ioni idrogeno positivi per bilanciare le otto

o
cariche negative a sinistra e portare il conto a zero, come a destra:
1 Cr2O7 2 - + 3 SO:?- + 8 1-1+ ---; 2 Cr3 + + 3 Sol- + H2O
Resta da bilanciare l'idrogeno: da otto ioni idrogeno si ottengono quattro molecole
di acqua. Il controllo può essere effettuato usando gli atomi di ossigeno:
1 Cr2O 12 - + 3 SO 32 - + 8 H+ ---; 2 Cr3+ + 3 SO4 2- + 4 I-12O

o
Reazione con le semireazioni di ossidazione e dì riduzione:
La reazione in forma ionica può essere bilanciata usando le semìreazioni di ridu­

o
zione e di ossidazione:

Cr2or2- + e- ---; Cr3+ (semireazione di riduzione)


Soi- ---; sO4 2 - + e- (semireazione di ridu?.ione)
La prima semircazione si bilancia sapendo che lo ione bicromato contiene il cromo
che passa da +6 a +3, quindi ha bisogno di sei elettroni in totale:
1 Cr2O12 - + 6 e- ---; Cr3 +

193
Capitolo 9 Le reazioni chimiche @ Artqui7.

Due atomi di cromo a sinistra producono dne ioni cromo a destra:


1 Cr2 012 - + 6 e- --+ 2 Cr3 +
A sinistra si hanno le due cariche negative del bicromato più le sei cariche negative
degli elettroni (totale otto cariche negative). A destra abbiamo le sei cariche positive
dello ione cromo: poiché la reazione avviene in ambiente acido ci vogliono quindi 14
ioni idrogenò per bilanciare. Questi ioni produrranno sette molecole di acqua:
1 Cr201 2- + 6 e- + 14 H+ --+ 2 Cr 3 + + 7 H2 0
In modo analogo nella seconda semireazione il solfito per passare a solfato deve
cedere due elettroni:
1 SOa 2- � 1 S042 - + 2 e-
A sinistra si hanno le dne cariche negative del solfito, a destra le due cariche nega­
tive del solfato più le due cariche negative degli elettroni (totale 4 cariche negative).
Per bilanciare le cariche, poiché la reazione avviene in ambiente acido, bisogna ag­
giungere a destra due ioni idrogeno per avere sia a destra che a sinistra due cariche
negative:
1 SOa 2- + H2 0 --+ 1 SO,:i2- + 2 e- + 2 H+
i
,. Se la reazione fosse avvenuta in ambiente basico il bilanciamento delle cariche

sarebbe stato fatto aggiungendo a destra o a sinistra di ogni semireazione ioni OH-.
La scmireazione risulta ora bilanciata (si può controllare con l'ossigeno).
Se ora vogliamo bilanciare la re.azione complessiva dobbiamo fare in modo che
gli elettroni acquistati dalla prima semirea?.ione siano uguali agli elettroni ceduti dalla
seconda.. Basta lasciare la prima così come è e moltiplicare la seconda per tre:
1 Cr2 01 2- + 6 e- + 14 H+ � 2 Cr3 + + 7 H2 0
3 SOa 2- + 3 H2 0 --+ 3 S04 2 - + 6 e- + 6 H+
Sommando i componenti a sinistra e a destra della freccja· e semplificando si ottiene:
1 Cr2012 - + 3 SOa2 - + 8 H+ � 2 Cr3+ + 3 S04 2- + 4 H2 0
che è esattamente il risultato ottenuto con il secondo metodo.
L'nso delle due semireazioni non è solo importante come tecnica per assegnare i
coefficienti. Esse esprimono la "realtà quando si mettono i reagenti delle due semi­
reazioni in recipienti separati che sono collegati tra loro da un conduttore di seconda
specie (una soluzione elettrolitica) e da due elettrodi metallici inerti collegati tra lo­
ro. La reazione avviene ugualmente senza che l'ossidante venga a contatto con il
riducente: basta che gli elettroni vengano trasportati da un recipiente all'q)ltro me­
diante il collegamento degli elettrodi. Questo è il principio della costruzione della pila
(Chimica, § 11.1).

9.1.3 Calcoli stechiometrici


Una reazione chimica bilanciata ci dice molte cose. Dal punto di vista qualitativo ci
dice cosa avviene nel processo: la rottura di alcuni legami chimici nei reagenti e la
formazione di nuovi legami per dare i prodotti. Dal punto di vista quantitativo una
reazione bilanciata ci dice in che rapporti devono reagire le molecole dei reagenti per
ottenere i prodotti. Per esempio la reazione:

·�
194
© Artquiz CHIMICA

C{s) + I-I20(g) � CO {g ) + H2{g)

ci dice che il carbone allo stato solido è capace di reagire con l'acqua allo stato di
vapore per dare, in modo reversibile, ossido di carbonio gassoso e idrogeno gassoso.
·Ma ci dice anche che nella reazione una mole di carbonio (12 g) reagisce con una mole
di acqua (18 g) per dare (se la reazione è completa) una mole di ossido di carbonio
(28 g) e una mole di idrogeno (2 g). Si parte da 30 g di reagenti e si arriva a 30 g
di prodotti. Poiché ci sono reagenti e prodotti che sono allo stato gassoso, invece di

o
usare per essi le masse si possono usare i volumi (ovviamente se è definita la pressione
e la temperatura). Se la re�ione avvenisse a O C ° e alla pressione di un atmosfera una
mole di carbonio (12 g) reagirebbe con 22,414 L di vapore d'acqua (volume molare

o ..
di un gas a temperatura e pressione standard, TPS) per dare 22,414 L di ossido di
carbonio e 22,414 L di idrogeno.
Non è detto che nel recipiente della rea·tioue i reagenti siano nelle condi¼ioni ste­

o
chiometriche giuste per reagire. Per esempio si potrebbero uvere 15 g diC e 40 g di
vapor d'acqua: in tal caso quanto CO e H 2 verrebbe prodotto, t1.mmettendo che la
reazione vada a termine e non sia una reazione di equilibrio? Il calcolo delle moli dei
reagenti ci dice che 15 g diC sono 15/12 = 1,25 moli diC, mentre in 40 g di acqua ci
sono 40/18 = 2,22 moli di acqua. Poiché dalla stechiometria della rea¼ione Hi deduce
che una mole diC reagi1:,ce con una mole di acqua, 1,25 moli diC reagiranno con 1,25

o
moli di acqua (che quindi nel recipiente è in ecce8so) per dare 1,25 moli diCO (pari
a 35 g) e 1,25 moH di idrogeno (pari a 2,5 g). In questo caso si dice che il carbonio è
il reagente limitante.

9.1.4 Reazioni di equilibrio


Si è già visto che mm reazione può procedere completamente verso la forma¼ione dei
prodotti oppµre può apparentemente ferman;i e 11011 cambiare pii1 la concentrazione
dei reagenti e dei prodotti nel tempo. In questo caso si parla di reazione di equili­
brio. Queste reazioni sono caratterizzate dal fatto che la reazione diretta ha la stessa
velocità della reazione inversa. Si tratta quindi di 1111 equilibrio mobile.
Le reazioni di equilibrio si hanno quando l'energia libera dei reagenti diventa ugua­
le alla energia libera dei prodotti, cioè qnando .6.G = O. In qne1:,te condiiioni per una
generica reazione del tipo:

aA+bB�cC+dD
Dove le lettere minuscole 1:,ono i coefficienti stechiometrici della reazione e le let­
tere maiuscole rappresentano le specie chimiche della reazione, all'equilibrio vale la
relmdone:

K = !?t · ��!:1 �love K è la cosiddetta costante di equilibrio.

I simboli tra le parentesi quadre indicano la concentrazione molare della sostanza


all'equilibrio.
Una reazione si dice all'equilibrio quando il rapporto tra il prodotto delle concen­
trazioni dei reagenti e quello dei prodotti rispettano il valore di K, indipendentemente
dal valore di 1tna concentrazione o dell'altra.
La costante di equilibrio ha un valore che 1lipende dalla natura della reazione e

195
Capitolo 9 Le reaiioni chimiche © Artquiz

dalla temperatura. Poiché nell'espressione di K compaiono solo conceutra,'.ioni ( even­


tualmente elevate ad una potenza) essa avrà le dimensioui di una concentrazione
(mol/L) elevata ad un esponente positivo o negativo a seconda se la somma c + d
è maggiore o minore della somma a + b, rispettivamente. Quando la somma dei
coefficienti a ,destra è uguale aila somma dei coefficienti a sinistra (c + d = a + b) il
numero che rappresenta la costante di equUibrio K è adimensionale.
Quando una reazione ha tra i suoi reagenti o prodotti una sostanza aIIo stato so­
lido o ailo stato liquido puro essa non compare neil'espressioue deIIa costante, perché
il solido e il liquido puro (finché è presente neIIa miscela di reazione) ha nna concen­
trazione costante. Con lo stesso criterio quando una reazione avviene in soluzione
acquosa e l'acqua compare tra i reagenti o tra i prodotti, se la soh17.ione dei reagenti
e prodotti è dilnitn, si può considerare la concentrazione dell'acqua costante in prima
approssimazione e quindi essa non appare ueila espressione della costante di equili­
brio.
Se una rea�ione avviene aIIo stato gassoso la costante di equilibrio può essere
espressa mediante le pressioni parziali dei reagenti e dei prodotti, invece deile concen­
traiioni (d'altra parte, secondo la legge dei gas, la pressione parziale dì un gas in una
uiiscela è direttamente prop�rzionale aila coucentrn:tione di quel gas ueila miscela).

I( = Pc . p� dove P e' 1a pressmne


. de1. van· component1.
PA·P131

Fissata la reo.1.ione e fissata la temperatura la costante K ha 1111 valore dctcrminn.to.


Questo ha come conseguenza che nn equilibrio può eHsere modificato se si aggiunge
o si toglie alla misceln. aII'equilibrio 11110 o più componenti deila miscela di rea'l.ione.
Se ueila reazione generica considerata all'equilibrio si aggiunge una certa quantità di
A, il prodotto al denominatore deIIa costante diventa piì1 grande di prima e quindi
il rapporto diminuisce. Ma K deve rimanere costante e quindi alcune molecole di A
reagiranno con alcune molecole di B (producendo C e D) fino a che il valore del rap­
porto non ritomi al valore di K. AIIa stessn maniera l'equilibrio può essere disturbato
se si toglie una o più deile sostan7.e presenti.
Cosa succede ad un equilibrio se si cambia la pressione esercitata sul sistema.? La
risposta è duplice:

a) il sistema è incomprimibile (o· quasi). Vuol dire che la rea·tione avviene ailo stato
solido o allo stato liquido: la variazione deila pressione non esercita nessun effetto;

b) il sistema è aIIo stato gassoso. In tal caso se il numero di molecole gassose a sinistra
deila rea�ione è uguale a.I numero di molecole a destra, la variazione di p�)essioue
non ha nessun effetto suil'equilibrio. Questo per�hé in qualunque direzidne vada
la reazione il volume rimane sempre lo stesso. Ma se 1� reazione avviene con
diminuiione di numero di molecole (o con aumento) ·si ha una diminuzione (o
un aumento) del volume e quindi la variazione cli pressione ha un grande effetto.
L'aumento di pressione favorisce sempre la reazione che avviene con diminuzione
di volume e viceversa. D'altra parte non poteva essere altrimenti: l'aumento di
pressione fa sempre diminuire il volume.

Cosa succede ad un equilibrio se si cambia la temperatura? Anche in questo caso


la risposta è duplice:

196
o © Artquiz CHIMICA
--
�-
a) se la reazione è esotermica (sviluppa calore, .6.H<0) l'aumento di temperatura fa
diminuire il valore di K, e quindi la reazione diretta è sfavorita;
b) se la reazione è endotermica (assorbe calore, .6.H>0) l'aumento di temperatura fa
· aumentare il valore di K e quindi la reazione diretta è favorita. Abbassando la
temperatura si ha l'effetto contrario.
Gli effetti della temperatura, della pressione e dell'aggiunta di sostan7.e ad un
equilibrio sono tutti descritti dal principio dell'equilibrio mobile di Le Chatel-ier che

o
dice "se un equilibrio è disturbato il sistema reagisce in modo da annullare l'effetto
dell'agente perturbante".
1ì·a le reazioni di equilibrio ci sono anche quelle di preci pitazione. Esse riguar­

o dano i composti ionici poco solubili in acqua e l'equilibrio in questo caso è tra il solido
indisciolto e gli ioni prodotti dalla parte disciolta. Per esempio il fluoruro di calcio è
nn sale poco solubile:
CaF2 (s) q Ca2+ + 2 F­
E la coHtante di questo equilibrio è:

Kµ11 = [Ca' 2 ·l·J[F-] 2


La costante viene designata con il simbolo K 11 che viene indicato come prodott o
p
di solubilità.
Un sale poco solubile si scioglie fino a soddisfo.re K1,:-1. Viceven;a, quando il prodotto
della conceutraiione degli ioni supera 1( >11 si forma il sale t;olido che precipita.
1
1ì·a i sali poco solubili c'è il solfato di bario (BaSO4 ) che si nsa in diagnostica

o
radiologica perché il bario è un metallo pesante opaco ai raggi X. Il precipitato di
solfato di bario si dispone sulla superficie dei tessuti molli e li rende opachi, in modo
che la loro superficie possa essere esaminata dai raggi X. Altri sali poco solubili sono il

o
cloruro d'argento (AgCl), il carbonato di calcio (CaCO3), il solfato di calcio (CaSO4 ).
Se ad una soluzione satura di un sale poco solubile si aggiunge nna 8oluiione di uno
ione costituente il sale poco solubile, tale aggiunta provoca ulteriore precipitaiione
del sale. Infatti:
AgCl(:-1) !::i Ag + + CI-
Se si aggiunge a questo equilibrio altro CI- (sotto forma di NaCl), il prodotto
[Ag+ ][c1-1 supera Kps e quindi altro sale precipita. Viceversa la solubilità di un sale

o
può essere aumentata se si aggiunge alla soluzione satura un composto che sottrae
uno degli ioni in soluzione. Il carbonato di calcio è praticamente insolubile in acqua,
ma se si aggiunge un acido (H+ ) questo sottrae ioni Co3- dalla soluzione e quindi

o
altro CaCO3 si scioglie.

9.2 Acidi e basi. Il pH

o Ci sono due definizioni normalmente usate per gli acidi e le basi. La prima è quella
di Arrhenius (molto vecchia) che dice che un acido è una sostanza che in soluiione

o
acquosa libera gli ioni H+ (protoni) che possiede nella sua molecola, mentre una base
è una sostanza che libera gli ioni or-r- (ioni ossidrili).
Bnllnsted-Lowry cambiarono la definizione di acido e di base relativiizandola.

197
Capitolo 9 Le reazioni chimiche @ Artquiz

Un acido è tale se è capace cli cedere un protone ad un'altra sostamm cl�e per questa
ragione diventa nna base.
Questa definizione fo, i:l parallelo con la defini1.ioue di ossidante e ridncent.e: 11011
può esistere il primo se non c'è il secondo. Quindi secondo Brnmsted-Lowry vale la
reazione:
AH+ B !::. A-+ BH +
dove AH è l'acido e B la bnse. L'acido, dopo aver perduto il protone, si trasforma
nella sua base coniugata A-, mentre la base B, dopo aver acquistato il protone, si
trasforma nel suo acido coniugato BH+ . Se si legge la rea�done in senso contrario,
infatti, BH+ è l'acido e A- è·la base.
Un acido in acqua quindi 11011 libera il protone, come dice Anhenins, ma lo cede
all'acqua che si comporta perciò da base:
AH+ H20 !:=i A-+ I·hO+
L'acido è forte se cede completamente il protone all'acqua, altrimenti è debole.
Una base in acqua si prende il protone da qnest 'ultima.:
B+ H20 !:=i BH+ + OH-
Di nuovo la base è forte se la reru:-.iouc procede completa.mente verso destra, altri­
menti è debole.
Esempi:
• 0 2 - + H20 --t OH-+ OH- (comportamento da base forte degli ossidi dei metn.lli)

• NHa + H20 !::. NH4 + + OH- (comportamento da base debole dell'ammoniaca)


Poiché una base accetta uno ione idrogeno e lo lega a sé, c'è da aspettarsi che la
base abbia una coppia di elettroni 11011 condivisi con cui formare il legame (dativo)
con H+ che 11011 lm elettroni.
Come tutte le reazioni di equilibrio le reazioni degli aci<li deboli e delle basi de­
boli in acqua sono regolate dal valore della costante cli equilibrio, che in questi casi
viene indicata con K n. (costante di ionizzazione acida) e K b (costante di ionizz�ione
basica). Più grande è il valore di K meno debole (11011 più forte: perché forte vuol
dire ionizzazione totale) è l'acido o la base. Spesso invece di K si usa pK (= -logK),
quindi tanto più piccolo è il pK tanto meno debole è l'acido o la base.
Anche l'acqua pura ha un comportamento da acido e da base. Infatti in acqua
avviene sempre la reazione:
.,,
_,'.i

lhO+ I-hO !:=i H3Q + + OH-


La prima molecola cli acqua si comporta da acido perché cede un protone ad
un'altra molecola d'acqua, che a sua volta si compo'i·ta da base.
La molocola che si comporta da acido si trasforma in OH-, sua base coniugata,
mentre quella che ha preso il protone si trasforma. nel suo acido coniugato H3Q + (lo
ione ossonio o idronio o, meglio, idrossonio).
La c01;tante di rea7.ioue:
Kw = [H30 +][oH-] a 25 °C ha nn valore di 1,0 . 10-14

198
© Artquìz
;:,
:
CHIMICA

Da not,tre che a denominatore dell'espressione della costante non compé:Lre il ter­


mine [H 2 O] 2 perché l'acqmt ha una concentra)'.ione costante e tale valore è inglobato
nel computo di Kw· Poiché la concentrazione di H3O + è u�ua.le a quella di OH- (i
.. coefficienti della rea:tione sono uguali) e il prodotto delle due concentrazioni è 10- 14,
1a concentrazione di ciascuno dei due ioni sarà 10- 7, Questa è la condizione di neu­

o
tralità di 1ma solu:done acquosa.
Quando si mette un acido in acqua la concentrazione di H3O + aumenta e quindi la
concentrazione di OH- diminuisce: il prodotto delle due concentrazioni dovrà sempre
essere uguale a 10- M.
Normalmente l'acidità n la basicità di una soluzione acquosa viene misurata da
nna grande?'.za che 1,i chiama pH, definito come il logaritmo (in base 10) con il segno
cambiato della concentrazione dello ione idronio:
pH = -log10 [H3O +]
In modo analogo viene definit;o il pOH:
pOH = -log10 [OH-]
Poiché:
Kw = [H:io + I 1or-r-1 = 10- t-1
se si fa il logaritmo con il seguo cmnbittto di entrambi i termini dell'uguaglianza si
ricava eh.e:
pH + pOI-I = 14
Quindi conoscenclo il pI-I si può ricavare il pOH e viceversa.
La neutralità è definita quindi da pI-I = 7 e pOH = 7. Quando la soluiioue è acida
la concentrazione di H3 o+ è maggiore di 10-7 e quindi il pH è inferiore a 7. Per le
soluzioni basiche il pH è superiore a 7. Se si usa il pOH, le �mluzioni acide hanno nn
pOI-I>7, mentre le solmdoni basiche hanno nn pOH<7.
Il pH di una solu�.ione può essere misnra.to con un apparecchio chiamato pHmetro
il cui funzionamento è quello di una pila. Il pH può ei:isere misnrato approssimati­
vamente anche con delle speciali cartine imbevute di sostanze colorate, il cui colore
risultante cambia con il valore del pH, per cui confrontando il colore ottenuto sulla


cartina con quello di una scala cromatica fornita dal produttore della cartina si ot­
tiene il valore approssimato del pH. C'è una particolare cartina, chiamata cartina al
tornasole che è imbevuta della sostanza tornasole il cui colore è rosso se immersa in

o
una soluzione acida, blu se immersa in una soluzione basica. La cartina al tornasole,
quindi, non è in grado di darci un valore, nepptire approssimato del pH, ci dice solo
i-;e la soluzione nella quale la cartina è stata immersa è acida o basica.
Il pH di una sohrnione può anche essere calcolato se si conosce la concentrazione e
la uaturn dell'acido o della base in essa sciolti. Come esempio si vuole ricavare il pH di
nua solm.ione di nna acido forte come l'HCI a concentraiione 10-3 M. Poiché l'acido
è forte ed è monoprotico, la sua concentrazione coincide anche con la concentrazione
dello ione idronio. Quindi il pH = -log1010-3 = 3.
Se la concentraiione dell'I-ICI è 10- 8 quale sarà il valore del pH? Poiché I-ICI è un
acido forte esso produce in soluzione una conceutra¼ione di H3O+ pari a 10- 8 e il pH
sarebbe 8. Come è possibile avere un pH basico mettendo in acqua un acido'? L'errore
sta nel fatto che HCI non è l'unico fornitore di H3o+ in acqua, essendo l'acqua, come

o 199
Capitolo 9 Le reazioni chimiche © Artqutz ••
abbiamo visto prima, antoprotonata. Mentre nell 1 esercizio precedente si è trascurata
(e si è fatto bene) la quantità di ioni idronio fomiti dalPacqua rispetto a quelli forniti
dalPHCl, nel secondo caso la quantità fornita dall 1acqua è superiore a quella fornita
dall 1acido e quindi il pH sarà leggermente inferiore a 7. Il calcolo preciso (che può
essere fatto) va al di là degli scopi di questo manuale.
Se invece di mettere un acido forte si mette in soluzione un acido debole anche in
questo caso si può calcolare il valore del pH se si conosce la concentrazione dell 1 acido
e il valore della sua costante di ionizzazione, che si riferisce alla reazione:
AH+ H2 0 =. H3Q+ + A-
la cui espressione è:
I<u
= (H3Q+ l(A -J
(AH)
Il calcolo va al cli là degli scopi di questo manuale, ma a parità di concentrazione
1111acido forte abbassa il valore del pH più dell 1acido debole.
In maniera del tutto simile si può calcolare il pH di una base forte e di una base
debole.
La teoria di Briausted-Lowry prevede la coppia acido-base coniugata e viceversa.
Piì1 l'acido è debole piì1 forte è la sua base coniugata e viceversa. Questa affermazione
ha grande rilevan'6a perché permette di ctipire come anche sostanze nel cui nome non
compare la parola acido o base, possano però presentare proprietà acide o basiche.
Questi composti sono i sali, prodotti che si ottengono per la rea·tione tra una acido e
una base. Si cousiclcriuo questi s11li: ·NaCl, NaF, NH,i Cl, NaHC03, N�C9:i- Quando
i sali messi in acqua producono una solnv,ioue acida o basica il processo viene anche
indicato con il nome di idrolisi salina.
NaCI in acqua è dissociato negli ioni Na+ e c1-. Il primo ione non ha proprietà
né acide (non possiede un protone nella sua formula da cedere) né basiche (non prende
certamente un protone). Lo ione c1- è invece la base coniugata dell'acido cloridrico
HCl. HCl è un acido forte quindi la sua base coniugata ha forza zero. Quindi una.
soluzione acquosa di NaCl non altera il pH dell 1 acqua, che rimane 7.
NaF � dissociato in acqua negli ioni Na + e F-. Il primo ione non è né acido né
base, come visto in precedenza. Lo ione F- è la base coniugata dell 1 acido HF, che
è un acido debole, e come base ha una certa forza. La soluzione di NaF ha quindi
proprietà basiche. La reazione che avviene in soluiione acquosa è:
p- + H2 0 =. HF + OH-
con produzione cli ioni ossidrili che rendono basica la reaiione. La costante di equili­
brio della reazione è:
_ (HFl(OH-J �
�-
K 'I

b- (F-J
se si moltiplica e si divide per [H3Q+] si ha:

_ [HFl[OH-l(H3Q +]
K
b - (F-l(H3Q+]

Il prodotto (OI·I-l(H3Q +] ·corrisponde a Kw, mentre il resto è la costante K 0 rove­


sciata, per cui il risultato è Kw = K,J{b, cioè il prodotto delle costanti di ioniizazione
dell 1 acido e della sua base coniugata è uguale al prodotto di ionizza"tione delPacqua.

200
@ Artqui� CHIMICA

Da quest.a relazione si deduce quanto detto iu precedenza che più grande è K a più
piccola è Kb e viceversa.
NH 4 Cl è dissociato in acqua in NH,i + e c1-. NH4 + è l'acido coniugato della base
debole NH3 (NH3 + H2 0 !::; NH,i + + OH-) e quindi è un acido, mentre CI- è la
base coniugata di un acido forte (HCl) e quindi non si comporta da base in acqua.
La soluzione quindi risulta acida. La reazione che avviene in acqua è:
NH4 + + H2 0 q NHa + H30 +
t
'-' NaHC03 (carbonato di idrogeno e sodio o bicarbonato di sodio) in acqua produce
gli ioni Na + e HC03-. Il primo non è né acido né base. Il secondo è sia nn acido che
una base. È un acido perché può dare un protone all'acqua:
HC03- + H2 0 q HaO + + C032-
ma è anche una base perché è la. base coniugata di un acido debole:
H2C03 + H20 t:; H30 + + HC03-
Il suo comportamento complessivo dipenderà dal valore delle costanti di ioniz'..m­
zione come acido e come base. La costante (K1,) come base di HC03- è più alta della
K1, come acido e quindi il bicarbonato di ,imdio si comporterà da base: non a caso
viene ingerito in soluzione acquosa quando si ha acidità di stomaco.
Na2C0 3 in acqua si dissocia in dne ioni Na+ (né acido né base) e iu uno ione
carbonato (C032-). Que.o;;t'nltimo è la base coniugata dell'acido HC0:1- (ione bi­
carbonato), che è un acido molto debole. Questo vnol dire che il carbonato è una
ba.se abbnstan·1,a forte: infatti il carbonato di sodio viene chiamata anche soda, che
è notoriamente una base abbastanza-forte, poco meno della soda c aus tica (NaOH,
idrossido di sodio).
Un altro modo per prevedere se una soluzione salina possa risultare acida o basica

o
è quello di analizzare il sale: se un sale è costituito dalla reazione tra un acido forte e
una base forte il sale non sarà capace di modificare il pH dell'acqua. Se il sale proviene
da un acido forte e una base debole (NH,i Cl) il pH risulterà acido. Se invece il sale è
formato da una base forte e da un acido debole (CH3COONa, acetato di sodio) il pH
risulterà basico.
Alcuni acidi sono monoprotici, cioè sono in grado di cedere all'acqua solo un
protone (tipo HCl, CH3COOH). Altri acidi sono poliprotici: diprotici come H 2 SO,i
(acido solforico), come H2C03 (acido carbonico), o triprotici come H3PO,i (acido
fosforico). Un acido poliprotico possiede più di una costante di ionizzazione. Per

o
esempio l'acido fosforico cede il primo protone all'acqua con nna "forza" misurata dal
valore della KIL di circa 10-2 , cede il secondo con una Ku. di circa 10-7 e il terzo con
una Kn di circa 10- 1 2 .
Ci sono sostam�c che possiedono sia uno o più gruppi acidi sia uno o più gruppi
basici. Queste sostanze si chiamano anfoli ti. Tipici anfoliti sono gli aminoacidi e i
loro derivati che sono le proteine. Il valore del pH che queste sostam�e determinano,
quando sono i:;ciolte in acqua, dipende dal numero dei gruppi acidi e basici e dalla
loro forza. Si definisce punto isoele ttrico di un anfolita il valore del pH al quale la
loro carica è zero. Per esempio un aminoacido come la glicina (H 2 N-CH 2 -COOH)
che posi:;iede sia nn gruppo acido (-COOH) che un gruppo basièo (-NH2 ), a valori
molto acidi di pH ha la forma H3N+ -CH 2 -COOH (e quindi carica positivamente);
a valori molto basici ha la forma I-I2 N-CH 2 -COO- (e quindi carica negativamente).

201
Capitolo ·g Le rea1.ioni chimiche @ Artquiz

:;!�n
Ad un valore preciso del pH (corrispondente al punto isoelettrico) si ha solo la for­
ma H3 N+-CH2 -COO- (e quindi scarica). Ad ogni proteina corrisponde un punto
isoelettrico che dipende dalla composizione in aminoacidi. Al punto isoelettrico la
sostanza non si muove in un campo elettrico e non migra quindi verso il catodo (come
fa un catione) o verso l'anodo (come fa un anione).
.
.

9.3 Peso equivalente e grammoequivalente di un acido, di una


base, di un ossidante e di un riducente .

Si definisce grammo equivalente (o semplicemente equivalente) di un _acido e di


unn. base o di un ossidante e cli un riducente la quantità che è capace cli cedere o
acquistare un numero di Avogadro di protoni (acido/base) o cli elettroni (ossidante/
riducente).
Da questa definizione è automatica l'altra affermazione che un equivalente di base
(ossidante) reagisce sempre con un equivalente di acido (riducente).
Qual è il rapporto tra peso molecolare dell'acido/base/ossidante/riducente e peso
equivalente dello stesso? Se un acido in una reazione cede solo 1111 protone il suo peso
molecolare è uguale al suo peso equivalente. Lo stesso vale per una base che acquista
un solo protone, oppure per un ossidante o riducente che scambia un solo elettrone.
Se invece un acido (come l'acido solfori°co) è capace di cedere due protoni allora
nua mole è capace cli cedere due volte il numero di Avogadro di protoni e quindi con­
tiene due grammoequivalenti. Il sno peso equivalente è quindi h.\. metà del suo peso
mole<.:olare.
In modo simile si può ragionare per le basi, gli ossidanti e i riducenti, mettendo per
questi ultimi gli elettroni al posto dei protoni. In pratica il peso equivalente è uguale
al peso molecolare diviso il numero dei protoni (o elettroni) scambiati per molecola.
Ragionando in tP.rmiui cli concentrazioni la molarità (M) può essere trasformata
in normalità (N, numero cli grammoequivalcmti/litro di soluzione) con la semplice for­
mula N = M · numero di protoni (o elettroni) scambiati. Quindi la normalità è qu_asi
sempre un multiplo intero della molarità. Con lo stesso meccanismo razionale si può
dire che il numero di equivalenti è uguale al numero di moli per il numero di protoni
(o elettroni) scambiati.
Nel caso dei sali la formula ci dice quanti protoni sono stati scambiati nella for­
mazione del sale, oppure si può Vedere quanti ioni idrogeno sono stati sostituiti dal
metallo nella formula dell'acido di pru:tenza. Esempi: la molecola di NaaP0 4 contie­
ne tre equivalenti perché deriva da HaP04, Fe 2 (PO.i h contiene 6 equivalenti perché
deriva da 2 molecole di HaP04, ecc.
r,

9.4 Soluzioni tampone


Una soluzione tampone serve per mantenere pressoché invariato il pH di una solu­
zione quando ad essa si aggiungono modeste quantità di acido e di base. Poiché il pH
è un fattore importante per regolare l'attività di molte molecole biologiche esso deve
essere mantenuto entro certi limiti negli organismi. Il sangue è infatti una soluzione
tampone che regola il pH fisiologico intorno al valore 7 ,4. Solo lo stomaco e in parte il
duodeno hanno un pH diverso da quello del sangue: lo stomaco è notevolmente acido
(pH 2-3) mentre il duodeno ha un pH leggermente più basico del sangue (7,8).
Una soluzione tampone è ottenuta da una miscela di una base debole con il suo

202
ò
u
© Artqui�

acido coniugato, oppure da nna miscela di nn acido debole con la sua bas e coniugata.
CHIMICA

:o
..t��
Come deve essere fatta la scelta della miscela opportuna per avere nn tampone ad un
valore prefissato del pH?
Supponiamo di voler preparare una soluzione tampone a pH = 5. Per fare questo
bisogna cercare tra tutti gli acidi deboli quelli che hanno un valore del pK (= -log K0 )
il più vicino possibile a 5, comunque non più di 6 e non meno di 4. Se si è fortunati e
si trova l'acido con pKa = 5 (l'acido è HX) si prepara nna soluzione di questo acido ad
una certa concentrazio ne ([HX]) e a questa bisogna agginngere la sna base coniugata
alla stessa concentrazione ([X-]).
Ricordando che:
[X -l[H3O+ ]
K= = 10_ 5
[HX]
se [X-J = [HX] allora K li = [I-1:3O+ ] e quindi pKa = pH.
Ma perché una soluzione del genere deve funzionare in modo da bloccare ( o far
cambiare poco) il pH della soluzione quando si aggiunge un acic-1.o o nna base? Se
si aggiunge un acido vuol dire che si aggiungono H3O+ . Questi reagiranno con x­
per dare HX. Se l'aggiunta non è elevata si avrà nna variazione modesta del rapporto
[X-] •
�. ',
. d'1 d'1 [H·3 o+] • I111èl.tt1.
e qum
[I-IX]

o [HaO + ] = K,i ·
[HX]
- e pi-I
[X J
= -log [H3O+ ] = -log (Kn ·
[HX]
-)
[X J

Se il rapporto ���� cambia poco il logariti�to cambia ancora di meno e il pH


rimane pressoché invariato.

o Perché il pH cambi di una unità è necessario che il rapporto f��� cambi da 1 a 10,
o da 1 a 0,1. Se invece di aggiungere nn acido si aggiunge una base il ragionamento

D rimàne lo stesso: l'unica variazione è che 01-1- reagirà con I-IX per dare
rapporto cambia poco il pH cambia ancora meno. Per fare in modo che il rapporto
Se il

���� cambi il meno possibile, per determinate aggiunte di acido o di base, è bene
x-.

fate le concentrazioni [x-J e [HX] pitt grandi possibili.


Riassumendo:
• Un tampone è sempre una miscela <li acido debole e di base coniugata, o viceversa.
• Il rapporto tra questi due componenti deve essere il piit vicino possibile a 1.
• La scelta dell'acido debole o della base debole è fatta in modo tale che pKn sia più
vicino possibile al valore del pH che si vuole tamponare oppure che il valore di pKb
sia il più vicino possibile al valore del pOH che si vuole tamponare (ricordare che
pi-I+ pOH = 14).
• Una volta scelte le sostanze la concentrazione del tampone (o meglio dei due
pai,tner) deve essere la piit alta possibile per aumentare la capacità t�mponante.
Il sangue è nn tessuto tamponato a pi-I 7,4. I componenti del tampone ematico sono
le coppie H2 CO3/HCO3 e H2 PO4 /HPO4 2 . La grande concentrazione di emoglobina
nel sangue (insieme alle altre proteine ematiche) contribuisce al sistema tampone con

o
i residui aminoacidici sia acidi che basici.

203
Capitolo 10

Cinetica· chimica

10.1 Velocità delle reazioni e parametri che la influenzano

La termodinamica, mediante la variazione della graudez�m energia libera G, ci dice se


una reazione può avvenire o 110, ma non ci dà alcuna indicazione sul tempo necessario
per avvenire. Questo è compito della cinetica chimica.

o
La velocità di una reazione è definita come la variazione della concentrazione
dei reagenti con il tempo.
Come è noto una reazione è 1111 processo nel quale alcuni legami chimici sono rotti

o
e altri h'e ne formano. È quindi intuitivo che una reazione nella. quale i legami da
rompere sono deboli e quelli <la formare sono forti avvenga in maniera più facile e
quindi in meno tempo di quello necessario per una reazione dove invece avviene il

o
contrario. Quindi la velocità di una reazione dipende dalla natura dei reagenti.
Perché una real!lione avvenga è necessario inoltre:

o
1. che i reagenti si incontrino. La rottura dei legami preesistenti e la formazione
di nuovi legami è sempre successiva all'incontro tra le molecole reagenti. Poiché
l'incontro tra. le molecole reagenti dipende dalla loro concentrazione non c'è da
stupirsi se la velocità di una reazione dipende dalla concentrazione dei reagenti;
2. che l'incontro avvenga in un certo modo. L'incontro delle molecole dei reagenti è
una condizione necessaria ma non sufficiente. Molti urti non sono, come si dice,
efficaci. Per essere efficaci gli urti debbono avvenire con una energia cinetica tale
da essere capaci di rompere i vecchi legami (per poi formarne di nuovi) e con
la geometria giusta perché i legami possano rompersi e riformarsi. Solo alcune
molecole possiedono l'energia cinetica per poter dare luogo agli urti efficaci. A
seguito di questi tipi di urti si forma un intermedio della reazione, il cui nome
è complesso attivato, che non rappresenta più le molecole reagenti perché i
legami sono modificati, ma non è ancora l'insieme delle molecole dei prodotti. La
differenza tra l'energia dei reagenti e l'energia del complesso attivato si chiama
energia di attivazione: tanto più elevata è l'energia di attivazione tanto più
basso sar à il numero degli urti efficaci, perché poche molecole avranno l'energia
cinetica sufficiente a superare la barriera energetica del complesso attivato (Fig.
10.1).

3. che la temperatura sia più alta possibile. L'aumento della temperatura aumenta

o
sempre la velocità di una reazione, qualunque essa sia. La ragione sta nel fatto

205
Capitolo 10 Cinetica chimica © Artquìz

che l'aumento della temperatura sposta verso destra la cnrva di distribnzione del­
l'energia cinetica. (Fig. 5.1) e quindi ci saranno più molecole che avranno l'energia
sufficiente a dare il complesso attivato. La velo cità cresce in maniera esponenziale
con la temperatura (raddoppia ogni 10 °C circa di aumento). �

COl\•I PLESSO
ATTIVATO
/
� w
REAZIONE NON
;,;

w � / CATALIZZATA
z �
w
s REAZIONE
< CATALIZZANTE

i
PRODOTTI
w
e,-+

PERConso DELLA RELAZIONI;�

Figura 10.1: Diagramma dell'energia duranfo ·una reazione esotermica.

Come si è visto ogni reazione ha una sua ::;tcchiomctria ma la rea.zione bilanciata


non necCb.':iariamentc rappre::;enta il meccanismo di nna ren,'l,ione. In altre pnrole Re
nna reazione è del tipo:
2A+3B-+2C+D
è impossibile che la reazione avvenga con il mccca.nismo secondo il quale 2 molecole
di A debbano incontrare 3molecole di B. Quest.o incontro è staticamente altamente
improbabile. La. reazione avviene quindi a stadi; alcuni pii1 lenti, altri più veloci.
In tal ca.so la velocità. della reazione tiene più conto degli stadi lenti che degli stadi
veloci. Non c'è una teoria sulle reazioni chimiche: solo gli e::;perimenti possono dare
indicazioni sul loro m(..'CCanismo.
La velocità di una reazione può essere modificata da sostanze che alla fine della
reazione si trovano inalterate, non consmnate, ma che modificano il percorso della
reazione rendendolo più facile (doè abbassando l'energia di attivazione dcg�i stadi
con cui la reazione avviene); si veda la Fignra 10.1. Queste sostanze sono cltiamate
\

catalizzatori. I catalizzatori biologici più noti sono gli enzimi, che sono capaci di
legare le molecole reagenti e con i loro gruppi chimici intervengono nel meccanismo
della reazione (Biologia, § 4.1).

206
o
Capitolo 11

Elettrochimica

11,1 Pile, Equazione di Nernst


La pila è un dispositivo con il quale si sfr�ttauo le reazioni cli ossido-ridm�ioue ver
trasformare la loro energia chimica in energia elettrica. Viceversa il processo <li elet­
trolisi serve a. trasformare l'ene1:qia elettrica in energ-ia chimica.
Si è visto che nel capitolo delle os�i<lori<lmdoui una reazio�w può essere suddivisa

o
in due sernireazioni, una che assorbe elettroni (la rea'l.ione di riclnzioue) e l'altra che
cede elettroni (la reazione cli ossidazione). Se si fanno due solu�ioni, una. contenente
tutti i composti della semireazioue di o8sicla:,;ione e l'altra contenente tutti i compoHti

D
della semireazioue di riduzione, e in esse vèngouo immersi due elettrodi inerti (che
non partecipano alla reazione, per esempio clne fili di platino) e si collegano le due
solmdoni con un dispositivo (ponte sa.lino) che permette il tnu;porto della corrente da

D
parte degli ioni senza far mescolare le due soluzioni (Fig. 11.1) si è montata una pilar.
tra i due elettrodi si potrà misura.1·0 una differenza di potenziale (misurato in volt) e
quindi 1111 flusso di elettroni che vanno dalla soluzione nella quale avviene il processo di

D ossidazione verso l'altra soluzione. L'elettrodo immerso nella soluzione dove avviene
l' os sidazione si chiama anodo, mentre quello immerso nella soluzione dove avviene la
riduzione si chiama catodo. Questa <lescriiione si riferisce ad una pila la piì1 generica
possibile. In qualche caso gli elettrodi stessi, invece <li essere inerti, possono prendere
parte alla reazione di oHsi<lo-riclul!lioue.

p alln
�/ �
......·
0'. ®
,,.,
,,

anodo catodo
eleilrodo di 1111,
plallno

,; ·:_ ,
'.Semlr88zlone ISemlreezlone
di di
ossidazione riduzione

Figura 11.1: Rappresentazione schematica di una pila.

207
Capitolo 11 Elettrochimica

Esempio del tipo 1


© Artqnii '
Viene usata la reazione redox che è ::;ervita per spiegare come si trovano i coefficienti
della reazione mediante l'nso delle semireazioni:

1 Cr2 0l- + 6 e- + 14 H + � 2 Cr3+ + 7 H2 0


3 80 32- + 3 H2 0 � 3 804 2- + 6 e- + 6 H+

Nel redpiente a sinistra si trova una soluzione acquosa contenente Cr2 0l-, H+
e Cr3+ , in quello a destra si trova nna soluzione di 8032-, di 80 4 2- e di H+ . Nelle
dne soluzioni vengono immersi due elettrodi platino che è un metallo inerte (il platino
è un metallo nobile: la nobiltà consiste nella grande difficoltà ad ossidarsi) e le due
soluzioni vengono collegate da nn ponte salino (basterebbe uno straccio imbevuto di
una soluzione di KCI). Se si prende un voltmetro si può misurare unn differenza di
potenziale e gli elettroni si muoveranno dalla soluzione contenente lo ione solfito alla
soluzione che contiene il bicromato . Quale sarà il valore della differenza di potenziale
miHurato con il voltmetro?
Esso dipenderà dallo. natura della reazione, dalla concentruzione dei singoli com­
ponenti della reazione e dalla temperatura.
Il primo pnnto è facile da spiegare: se l'ossidante è forte ha una grande capacità 'cli
strappare elettroni, così se il riducente è forte avrà nna grande capacità di cedere gli �
elettroni: In piìt alta. differenza di potenziale si avrà accoppiando il più forte ossidante
e il pii1 forte riducente. Si è visto in preccdcn'l,a che una rea:iionc di equilibrio viene più
spostata verso i prodotti quanto più ·elevata è la concentrazione dei rea.genti e minore

o
quella dei prodotti, per cui la tendenza a dare o a prendere gli elettroni nella reazione
dipenderà dalla concentrazione di tutti i componenti. Ogni semireazionc avrà una sna
tenden1..a ad avvenire che è misurata da un valore di E 0 definito come il potenziale
,

standard che si genera in una pila fatta nel modo seguente. In un recipiente ci sono
gli ingredienti della semireazione in questione tutti a concentrazione 1 M (o a pressio­
ne 1 atm, se sono gas) e alla temperatura di 25 °C, nell'altra c'è una semireazione di
riferimento, che è il cosiddetto elettrodo a idrogeno. Quest'ultimo è fatto da idrogeno
gassoso alla pressione di 1 atm, che gorgoglia intorno ad un elettrodo di platino, a
sua volta immerso in una soluzione 1 M di H+ . A questo elettrodo, per convenzione,
viene attribuito il valore O per E 0 per cui la differenza di potenziale che si misura
,

nella pila cosi costruita è attribuibile (con il segno) all'elettrodo in questione. I valori
di E0 di tutte le semireazioni sono noti e tabellati. Le semireazioni di riduzione che
avvengono meglio della semireazione 2 H+ + 2 e- � H2 (g) avranno un E 0 positivo
(più ossidanti di H+ ), quelle che avvengono peggio .un E 0 negativo (più riducenti di
H2 ).
Cosa succede se le concentrazioni non sono 1 M o la pressione dei gas �on è 1
atm? Viene in soccorso l'equazione di Nernst che permette di ricavare il valore di E
di una semire�ione in qualsiasi condizione, conoscendo il valore di E 0 L'equa:tione

di Nernst è:
RT [OX]
E= E 0 + ln
nF
Dove E 0 è il potenziale standard, R è la costante dei gas, pari a 8,31 joule/mol
K) T è la temperatura ussoluta, n è il numero di elettroni in gioco nella semireazione
bilanciata, F è chiamato Fara.day e corrisponde a 96.500 Coulomb. [OX] e [REDJ
rappresentano i prodotti delle concentrazioni di tutte le sostanze (elevate al proprio

208
@ Artquiz CHIMICA

coefficiente stechiometrico) che stanno dalla parte della forma ossidata e dalla parte
della forma ridotta, rispettivamente.
L A 25 °Ce trasformando i logaritmi naturali in decimali la relazione diventa:
·=-�

E_ E + 0,0591og [OX]
0

- n [RED]
I valori di E calcolati tramite l'equazione di Nernst permettono di definire il catodo
(il valore di E più positivo, o meno negativo) e l'anodo (il valore di E meno positivo
o più negativo). La FEM (forza elettromotrice) della pila si ricava dalla relazione:
FEM = Ec - En (in Volt).

11.2 Elettrolisi
L'elettrolisi è il processo in cui fornendo energia elettrica (con un potenziale che
deve essere superiore a quello generato dalla pila che si basa su]la reazione inversa)
ad una soluzione si fa avvenire una reazione redox. Per esempio fornendo la giusta
differenza di potenziale all'acqua si può far avvenire la reazione di elettrolisi:
2 H2O --t 2 H2 + 02
'
Ad un elettrodo l'acqua si riduce, prende elettroni e trasforma JI + in I-b. All'altro
elettrodo l'acqua cede elettroni, si ossida e il suo ossigeno passa da -2 a O. È il
processo inverso di quello che avviene in una. pila dove l'ossida-1,iouc dell'idrogeno e la
riduzione dell'ossigeno producono energia elettrica.
Quando nell'apparecchio di elettrolisi passa un Fara.day di corrente questo corri­
sponde ad un numero cli A vogadro di elettroni che verranno assunti per ridurre un
equivalente di sostanza. Nel caso dell'elettrolisi dell'acqua un Faraday produrrebbe
un equivalente di I-b gassoso pari a 11,207 L misurati a condizioni normali e a un
equivalente di 02 gassoso, pari a 5,u03 L di ossigeno misurati a condizioni normali. Si
ricordi che per ottenere una mole di H2 a partire da H + ci vogliono 2 volte il numero di
Avogadro di elettroni (2 equivalenti), mentre per ottenere una mole di 02 ci vogliono
4 volte il numero di Avogadro di elettroni (4 equivalenti).

209
o '� ....
...
-- I
\.
....
i
o Capitolo 12

o La chimica del carbonio

D 12.1 Ibridizzazione del carbonio


Ln chimica organica è la chimica dei composti del ca.rbouio, di cui è costituita la
maggior parte della materia. vivente. Il carbonio appartiene al quarto gruppo deIIa

D Tavola. periodica e forma un inmunercvole i-;eric di composti sia perché è capace di


formare ca.tene di atomi, sin. perché è capace di legarsi a molti altri tipi dì atomi, tra

D
i quali idrogeno, ossigeno, azoto, wlfo, fosforo, cloro, bromo, ccc.
II carbonio forma sempre quattro legami e per fare ciò è sempre ibridizzato. La
regola dell'uso degli orbitali ibridi è la seguente:
• quattro legami semplici: ibridizzazione i-;p3 ;
• un doppio legame e due legami semplici: ibridizzazione sp2 ;
• due doppi legami o lega.mc triplo e un legame semplice: ibridiziazione sp.
I composti del carbonio conoi-;ciuti (che sono potenzialmente un numero iIIimitato,
imperiore attualmente a 100 milioni) sono raggrnppati i-;econclo la presenza in essi di
grnppi funzionali che ne definiscono le p1'oprictà chinùche.

12.2 Formule e isomerie dei composti organici


In genere i composti del carbonio contengono catene più o meno lunghe çli atomi

D
di carbonio, a cui sono attaccati i gruppi funzionali. Per la presenza di queste
catene gli atomi di carbonio vengono designati come primari, se i-;ono legati ad un
solo atomo cli carbonio; s econdari, se sono legati a due atomi di carbonio; terziari,
se sono legati a tre atomi di carbonio e quaternari, se sono legati a quattro atomi
di carbonio.

o
Proprio perché il èarbonio può dare origine a. numerosi composti di essi si possono
scrivere diversi tipi di formule:
1. la formula minima, rappresenta il rapporto numerico più semplice con cui si
trovano gli atomi costituenti la molecola. Es. un carboidrato ha formula minima

D CH2 0;
2. la formula molecolare o grezza o bruta che rappresenta H numero di atomi
costituenti la molecola ma non ci dà alcuna indicazione del modo con cui sono
formati i legami neIIa molecola. Es. CoH 1 20 6 rappresenta sia il glucosio che il
galattrn;io e tanti altri esosi;

211

[l
Capitolo 12 La c:himica del c:arbonio © Artquiz
3. la formula di struttura, che ci indica come sono formati i legami tra tutti gli
atomi della molecola.
Quando due molecole hanno la stessa formula molecolare ma diversa disposizione
degli atomi nello spazio si chiamano isomeri (Fig. 12.1).

A. ISOMERIA DI STRUTTURA
Isomeri di catena Isomeri di funzione Isomeri di posizione
Formula bruta C2H6 0 Formula bruta C2H1CI

CHa-CH2-CH2-CHrCH:1 CH3 -CHrCHO CH2CI-CHrCH3


11-pc11t1, 110 propn1111lc 1-cloropropono

CH:1-CH-CH2-CH:1 CHrCO-CHa CHa-CI·ICI-CH:1


I propauouc 2-cloroprop1,110
CHa
2-metilbutnno

Clh
I
CH3-C-CH;i
I
CI-la
2 ,2-dln1ctilprop1,110
B. STEREOISOMERIA
Enantlomeri Isomeri geometrici

OH 011 Cl
, )'I Cl CI

H2C� kcH'..! C=C 'c=<f


nooc· rn rn cooH 1/ 'èi f( 'i-1
acido 2-idrossi-2-cloropropionico Ln,nii-1 ,2-dicloroctene cis-1 ,2-diclornetenc

Figura 12.1: Isomeria

12.3 Isomeria

Esistono due classi di hmmeri, gli-isomeri di struttura e gli stereoisomeri. Tua gli
isomeri di struttura si distinguono: isomeri di catena, isomeri di funzione e isomeri
di posizione (Fig. 12.1 A.). Tm gli stereoisomeri si distinguono gli isomeri ottici e
gli isomeri geometrici (Fig. 12.1 B.):

• Gli isomeri o ttici o enantìomeri sono i composti in cui tutti gli atomi sonb legati
allo stesso modo ma differiscono per la posizione nello spazio. Questi is6meri sì
hanno ogni volta che nna molecola possiede un carbonio che forma quatt1:o legami
semplici (quindi con ibridizzazione sp3 ) con quattro sostituenti differe.nti. Un
carbonio di questo genere viene definito carbonio asimmetrico (o stereogenico
o chirale) e porta alla formazione di due composti non sovrapponibili, ognuno dei
quali è l'immagine speculare dell'altro.
Gli cnantiomeri hanno proprietà chimiche e fisiche uguali, eccettuata la capacità
di ruotare (a destra o siuistra) .il piano della luce polarizzata che li attraversa. La
luce polarizzata è la luce le cui onde elettromagnetid1e vibrano su un unico piano,
invece che su infiniti piani come fanno le onde elettromagnetiche di una luce non

212
ii
@ Artquiz CHIMICA

polarizzata. I due enantiomeri sono come la 111ano (o il piede) destra e si11istra.


Ma proprio come è impossibile stringersi la mano con la sinistra di uno e la destra
dell'altro, le molecole euantiomere possono interagire con un'altra molecola in modo
diverso. I farmaci chirali sono attivi solo in uqa delle clue forme.
La miscela in parti uguali dei due stereoisomeri viene designata come miscela
racema. Tale miscela non è in grado di ruotare il piano della luce polarizzata.
Una molecola può possedere più di un carbonio asimmetrico. In tal caso il numero
di isomeri che si ottengono (definiti diastereoisomeri) è 2'1, se n è il nnm�ro di
atomi di carbonio asimmetrici.. Questo è il numero massimo di diastercoisomeri

;u- � .�,
��
I'�'·.
ottenibili: ci possono essere infatti dei diastereoisomeri uguali tra loro che sono
chiamati forme meso.
-:_�·.. • Gli isomeri geometrici o cìs-trans: si originano dalla presenza nella molecola
di un doppio legame, intorno al quale non può essere effettuata alcuna rotazione
se 11011 dopo rottura del legame 1r del doppio legame. I gruppi legati agli atomi di
carbonio uniti dal doppio legame possono trovap,;i dalla stesSc\ parte o dalla parte
opposta rispetto al doppio legame.
Quelli descritti sono tutti isomeri configurazionalì, cioè isomeri che possono
essc1:c convertiti uno nell'altro rompendo legami e riformandoli iu altro modo. Di una
molecola po�souo csh;terc anche isomeri ,conformazionali che derivano da. posizioni
diverse nello spazio degli a.tomi che li costit11iscono, ottenute mediante rotazioni in­
torno ai legami semplici. Ogni volta che si cambia l'angolo di rota¼ioue alcuni a.tomi
della molecola si allontanano e si avvicinano tra. loro. La molecola cercherà in questo
modo il minimo energetico che corrisponderù. a.lln. massimiziazione delle attrazioni
tra gli atomi e a.Ila minimizzazione delle repulsioni tra gli atomi. Questa regola è
importante specialmente per le biomolecole (proteine, acidi nucleici, glucidi) la cui

o
funzione biologica d strettamente legata alla conformazione che e,<Jse a.ssumono.

12.4 Gruppi funzionali


D I gruppi funzionali sono i raggruppamenti degli atomi che defi_niscono le proprietà
chimiche di un composto organico. I principali gruppi funzionali sono rappresentati

o nella Figura 12.2.

12.4.1 Idrocarburi alifatici


Gli idrocarburi sono i composti formati solamente da atomi di carbonio e idrogeno.
Essendo costituiti da atomi con elettronegatività molto simile, tutti gli idrocarburi

o sono poco polari: non si mescolano con l'acqua ma si mescolano con solventi apolari.
Essi si dividono in idrocarburi alifatici e in idrocarburi aromatici. I primi sono
caratteriz¼ati da catene di atomi di carbonio più o meno lunghe e più o meno rami­

D ficate. I secondi sono caratterizzati dalla presenza di uno o più anelli benzenici fusi
con delocalizzazione degli elettroni 1r e quindi con ibridazione sp2 •
Gli idrocarburi alifatici, a loro volta, si dividono in idrocarburi saturi, nei quali
o sono presenti solo legami semplici C-C (con gli atomi cli carbonio tutti ibridiziati
sp:i), e idrocarburi insaturi, dove sono presenti doppi (C=C) e tripli (C=C) legami
tra gli atomi di carbonio. Agli idrocarburi saturi appartengono gli alcani (catene
lineari di formula generale C2H 2n + 2 e con nome che ha come desinenza -ano) e i ci­
cloalcani (catene chiuse di formula generale CnH2n ),

213
]'
Capitolo 12 La chimica del carbonio © Artquiz ,''!_

GRUPPI FUNZIONALI

Strutture Classe Strutture Classe


-i:
-C=C-
l
Doppio legame Alcheni o
.I'
R-C
'
,-;' -C=c-·
. . ·.· 1Hplo legame Alchi11i 'b A11dridi
R-C/
R-OH Ossidrile Alcoli �

R-0-R Eteri R-C� Amniidi


R NI-12
"C=O Carbonile Aldeidi, Chetoni
/
(R}H R-NI-h Ammi11e
.l'o r R-SH

,,-;
Acidi
i\
R-C Carbossile Tioli
'b H
'- '
) ·,
Figura 12.2: Gruppi funzionali.
\

Gli alcani a ca.tena lineare con meno di 5 atomi cli carbonio (metano, etano, pro­
pano e butano) sono gassosi a. temperatura ambiente. Gli ultimi dne possono essere
facilmente liquefatti sotto pressione e diventano GPL (gas di petrolio liquefatto).
Quelli con catene da 5 a 17 atomi di carbonio Bono liquidi, quelli con più di 17 atomi
sono solidi. Gli alcani e i cicloalcani sono tra i maggiori componenti elci petrolio.
I cicloalcani possono essere formati a partire da tre atomi di carbonio (ciclopro­
pauo) anche se la. molecola è molto instabile per l'a1 1golo cli legame molto pii1 piccolo
di 109 ° (angolo corrispondente all'ibrido spa ). Gli alcani e i cicloalcani sono composti
che reagiscono facilmente con ossigeno, dando C02 e acqna, ma non altrettanto fa­
cilmente con altri reagenti (sono poco reattivi). Se si toglie un atomo di idrogeno ad
1111 alcano o ad un dcloalcano si ottiene un radicale alchilico (0spresso normalmente
co1� la lettera R) che prende il nome dall'alcano corrispondente terminando con la
desi11en7,a -ile (Fig. 12.3 a sinistra).
Gli idrocarburi con doppi legami si chiamano alcheni (la cui formula generale
è C1< H2,.), quelli con triplo legame si chiamano alchini (la cui formula generale è
Cn H2,1-2), Un alchene può contenere piii doppi legami: si chiama dìene se ne con­
tiene due e triene se ne contiene tre. I due doppi legami dei dicni potrebbero essere
,. L
coniugati, cioè separati da un solo legame semplice: in tal caso i quattro �tomi di
carbonio si comportano come quelli del benzene, con delocaliz7,azione degli �lettroni
1r (fenomeno della risonanza). Vedi Figura 12.3 a destra.

12.4.2 Idrocarburi aromatici


..
.,, _,,,. ,

Gli idrocarburi aromatici sono composti che contengono uno o più anelli benzenici
fusi tra loro. Gli idrocarburi aromatici sono tutti composti molto stabili e in genere
pericolosi per la salute ( cancerogeni), vedi Figura 12.4. Un piano infinito di anelli
-·l
benzenici fusi tra loro costituisce il grafcne. Più piani di grafene sovrapposti costitui­
scono la grafite.

214·
© Artquiz CHIMICA

<,
Idrocarburi alifatici saturi Idrocarburi alifatici insaturi
,· Alcani Gruppo alchilico Cìcloalcani \( Alcheni �, Alchini
J (C nH2,,+2) (C,,H2n+1) (C nH2,1) (Cn H2 n)
-
(C nH2 n +2)

CH,1 -Clh C H2 CH2 =CH2 CH::CH


\(
metnuo metile eteue (etilene) etino (ncetileue)
fh
CH 3 -CH3 CH3 -CH2 - ciclopropnno CH2 = CH-Cfb CH::C-CH3
et nno et.ile H H propene propino
H,t-t,...H
CI-l 3 -CH 2 -Clh CH 3 -CH2 -CH2 - Clh=.CH-CH2 -CH3
propano propilc I I 1-lmtcnu
I-1,...C-C ,
I I H
- -
CH;,-(CH2h-CH;1 CH 3 -(CH2h-CIh H li CH3 -CH=CH-Clh
butnno Imtile Ciclobntnno 2-1.>ntene
CH:1-CH-CH:1 CH2 =CH-CH==CH2
I l,3-Imtn,Ii�11c
CH:i (cliene coniugato)
2-mcti lpropluto
CH 2 =CH-CHrC1·I:::CH2
1,4-pu11tudienu
(, licnu non ,:oningl\Lo)

Figura 12.3: Idrocarburi alifatici .c;aturi e in.rnt1J,ri.

Se si toglie un idrogeno ad un idrncarbnro a.romatioo quello che reste viene gene­


rica.mente chiamato arìle, e indicato con R, come nel caso degli alchili. Gli a.rili più
comuni sono il fenile, C6 H 5 -, e il benzile, CoH 5 Clh-.
Alla stessa categoria appartengono anche gli idrocarbmi aromatici cterociclici, che

o
contengono atomi diversi dal carbonio negli anelli (Fig. 12.4).

o
IDROCARBURI AROMATICI IDROCARBURI AROMATICI ETEROCICLICI

� @ @ © l?J lsr§(
@00 11

pirrolo f11m110 Liofcnu piridina pirimidim\ pmitm


Il

bouzeuc naftalene fenantrene

Figura 12.4: Idrocarburi aromatici ciclici ed eterociclici.

12.4.3 Alcoli e fenoli


Gli alcoli sono composti che contengono la funzione alcolica -OH legata ad un gruppo
alchilico (R-OH). Poiché il gruppo -OH può essere legato ad un atomo di carbonio
primario, secondario o terziario, anche gli alcoli vengono definiti primari, seconda­
ri o terziari. Gli alcoli sono i:;ostanze liquide anche se contengono pochi atomi di
carbonio, perche, contenendo il gruppo -OH, sono capaci di formare tra loro legami
idrogeno. Per questa ragione sono miscibili con l'acqua se la catena di atomi di car­
bonio del gruppo alchilico non è molto lunga. Essi prendono il nome dell'alcano da
cui provengono a cui viene aggiunta la desinenza -olo (Fig. 12,5).

215
Capitolo 12 La chimica del carbonio © Artquiz

Esistono anche alcoli bivalenti come il glicol etilcnico (contiene due gmppi funzio­
nali alcolici) o trivalenti come la glicerina (o triidrossipropano ).
Se il gruppo funzionale -OH è legato ad un radicale aromatico il composto ap­
pa tiene alla serie dei fenoli (Fig. 12.5).
r

Gli alcoli, pur possedendo un gruppo -OH, non hanno né caratteristiche basi­
che né caratteristiche acide. I fenoli, poiché possiedono un gruppo aromatico che è
un elettronattrattore (gli elettroni 7f aromatici sono particolarmente stabili: questa è
la ragione per la qnale essi ne attraggono degli altri) che rende il legame 0-H più
polarizzato, hanno deboli proprietà acide, cioè sono capaci di cedere parzialmente
all'acqua il protone.
Gli alcoli possono essere ossidati blandamente (la reazione con 02 non è completa
altrimenti si otterrebbero C02 e acqua): in tal caso si ottengono le aldeidi dagli alcoli
primari e i chetoni dagli alcoli secondari. Gli alcoli terziari non subiscono ossidazione
blan<la, solo quella drastica.
Gli alcoli possono essere ottenuti con la rea7,ione inversa di quella precedentemente
descritta (ridnzione con H2 ): dalle aldeidi si ottengono gli alcoli primari e dai chetoni
gli alcoli secondari. Essi possono essere ottenuti ,mche addizionando acqua a composti
con 1m doppio legame.
Gli alcoli e i fenoli reagiscono con gli acidi, sia organici (acidi carbossilici) che
inorganici pur dare gli esteri.

ALCOLI E FENOLI

Alcoli primnri Alcoli secondari Alcoli te1·zìnrl Glicole Glicerolo

CH:iOH Clla-CHOH-0H3 CH·1 CI-I'.lOI-1 Cl-12 O1-1


2-J)l'OJ>NIOlo I . I I
111ct1,11oh> CHa-C-O1-1 CH2OH 91-10H
I
CH:1-CH2OH CH:1 -CHOH-Cl·h-CHa · CH:1 Cl-12O1-I
etn.uolo 2-butauolo . 2-1nctll-2,prop1•nolo
Fenolo
CH:i-CHrCI·I2OH
1-propnuolo

Figura 12.5: Alcoli e fenoli.


@
12.4.4 Eteri ,,

Gli eteri sono composti che possiedono il gruppo funzionale -0- legato a due gruppi
alchilici e/o arilìci. Essi possono essere considerati come derivati dalla reazione tra
alcoli o tra fenoli con eliminazione di una molecola d'acqua.
L'etere più noto è l'etere dietilico (CH3-CH2 -0-CH2-CH3), chiamato comune­
mente e più semplicemente etere. Esso è un liquido molto volatile perché non possiede
la capacità di formare legami idrogeno con sé stesso. Poiché però contiene un atomo di
ossigeno, che è un ricevente di legame idrogeno, esso presenta una discreta solubilità
in acqua.

216
i
© Artquiz CHIMICA

-
12.4.5 A1nmine e immine
Le ammine sono i derivati organici dell'ammoniaca, in cui uno o più dei suoi atomi
di idrogeno sono sostituiti da gruppi alchilici o arilici. Se la sostituzione riguarda
. uno solo degli idrogeni si hanno le ammine primarie, se riguarda due idrogeni le

n
ammine secondarie (immine), se tre idrogeni le ammine terziarie.
Poiché l'azoto dell'ammoniaca co11tiene una coppia di elettroni non condivisa es so
può legare un protone (H+) e quindi comportarsi da base. Questo comportamento è
mantenuto anche dalle ammine che sono quindi basiche. In genere i gruppi alchilici,
·;t.
r. poiché sono elcttronrepellcnti, rendono la coppia elettronica ancora più disponibile
e quindi rendono le ammine più basiche dell'ammoniaca e tanto più basiche quanto
maggiore è il numero di gruppi alchilici presenti. Un'ammina ten�iaria è quindi più
basica di un'ammina secondaria che a sua volta è pii1 basica di un'ammina primaria.
L'opposto succede per le� ammine aromatiche, perché gli anelli aromatici attirano gli
elettroni e quindi rendono meno disponibile la coppia elettronica sull'azoto.
Così come esiste Io ione ammonio (NH4 +) esistono anche i rispettivi derivati al­
chilici o arilici (NR,i +) con i quattro radicali R uguali o dìven;i. i sali con un acido dì
questi derivati vengono chiamati genericamente sal ì dell'ammonio quaternario.
Ci sono molte ammine importanti in biologia: in genere quasi tutti i composti i
cui nomi terminano in �ina sono ammine (anilina, spennina, spermidina, putrescina,
cadàveriua, ccc.). Alcuni di questi compòsti sono poliammine perché contengono piì1
gruppi amminici nella. stessa molecola.
Le ammine primarie, scconcla.ric e terzia.rie possono essere distinte dalla rca:,.ione
con acido nitroso: le prime danno alcol, azoto e acqua., le secondo danno le nitroso
ammine, le torne non rèagiscono (Fig. 12.6).

Ammine Ammine Ammine Ammonio


primarie secondarie terziarie quaternario

CH3-NH2 CI-!3
"
CI-13 CH3
'-.+/
CI-!3
motilammin1t '-N-H
/
CI-h-N
' / /
N
"
o
CI-l3-CH2-Nl-h CI-13 CHa CI-13 CH3
etilammina climetilamminu. trin1etilammina tetrn.metilammouio

REAZIONI DISTINTIVE DELLE AMMINE CON ACIDO NI TROSO (HNO2 )

Ammine primarie CI·b-NH2 + HONO --t Cl-faOH + N2 + H20


CH.1 CH3
Ammine secondarie � N-H + HONO --t IhO + �N=NO
CH:i (dimetilnitroso ammina) CH3
Ammine terr.in.rie non reagiscono

Figura 12.6: Ammine e reazione che le distingue.

12.4.6 Composti carbonilici. Aldeidi e chetoni

o I composti carbonilici sono caratterizzati dalla presenza nella loro molecola del
gruppo funzionale carbonile >C=O. Nelle aldeidi, le due valenze libere del car-

217
Capitolo 12 La chimica del carbonio © Artquiz

bonio sono satmate da un idrogeno e da un radicale alchilico o arilico. Nei chetoni,


entrambe le valen1,e sono saturate da radicali alchilici o arilici.
Il nome ufficiale di tutte le aldeidi è preso dall'idrocarburo corrispondente e ter­
mina con la desinenza -aie. Il nome ufficiale di tutti i chetoni termina invece con la
desinenza -one.
La reazione di riduzione delle aldeidi porta alla formazione di un alcol primario,
mentre la sua ossidazione blanda porta alla formazione di un acido carbossilico.
La reazione di riduzione di un chetone porta nlla formazione di un alcol seconda­
rio mentre la sua ossidazione blm1da non avviene (l'ossidazione spinta porta a rottura
della molecola o a formazione di C02 e H20).
Di converso, ossidando 1111 alcol primario si ottiene un 'aldeide, mentre ossidando
un alcol secondario si ottiene un chetone.
Le aldeidi e i chetoni hanno alcune reazioni in comune, per esempio reagiscono con
l'acido cianidrico (HCN) per dare le cianìdrine. Questa è una reazione di addizione
al doppio legame del gruppo >C=O, che ambedue i composti contengono (Fig. 12.7).

ALDEIDI E CHETONI
Aldeidi Chetoni
H CHa,
'r '\
"c=O /C=q
/-
H � CI-la
mctanale o formaldeide o aldeide formica 2-propanonc o acetone

CI-h
"-c=O
/
H
etanale o acetaldeide o aldeide acetica

REAZIONI CARATTERISTICHE
R'\. :. R '\.
I
Ossidar.ione blanda C= 0
/ Q+ 2 2� C=O
H I ·

1
-,L·- OH
(ncido)
R /OH R
Rel\Zione con acido "c=O + HCN � "e
ciu.nitrico
(R}H/ (R}H/ '-cN
(cinuldrinn)
R\
Rcn1.ione di riduzione C=O + 1-h � R-CH20H T
.

I-I/ (nicol pri1n11rio)


R'\. R
Reazione di riduzione /C=O + I-h � �CHOH
R R
(nicol 8CCondnrio)
I chetoni non si ossidano

Figura 12.7: Aldeidi e chetoni e reazioni caratteristiche.

218
© Artquiz CHIMICA

12.4. 7 Acidi carbossilici


Gli acidi carbossilici sono gli acidi o?'ganici caratteriz7.ati dalla presemm nella loro
formula del gruppo carbossile -COOH, dove il C è legato mediante un do ppio le-
. &_ame ��?.�sJg;�.-�_11]..ec;l_ianJe u� �e�-seÌnpffèe �Jgfiippo�:.:-oK-(U-grHppo éa1:bo·ssile
contiene sia il gruppo carboriilè-·che il gruppo ossidrilico, tha questo non significa che
possiede contemporaneamente le proprietà delle aldeidi e dei chetoni, da una parte, e
degli alcoli, dall'altra).
Gli acidi carbossilici (R-COOH) sono tutti acidi deboli specialmente se R è un
gruppo alifatico, che è un elettronrepulsore e quindi rende il gruppo -OH meno po­
larizzato e quindi meno propenso a cedere il protone. Se R è un grnppo arilico (come
il fenile) l'acido risulta meno debole del corrispondente con R alchilico, perché un
gmppo arilico è un elettroua.ttra.ttore e quindi rende più polarizzato il legame 0-H.
Se nel gruppo R alchilico ::;ono presenti atomi molto elettronegativi, come F e CI, que­
sti rendono il gruppo elettronattrattore e quindi rendono l'acido tanto meno debole
quanti piì1 atomi di CI o di F sono presenti.
La desinemm degli acidi carbossilici è -oico, quindi acido metanoico, etanoico,
propanoico (ecc.), nia hanno anche un nome connme come acido formico, acetico e
propionico. Se agli aèidi carbossilici si toglie il gmppo -OH, quello che rimane viene
chiamato radicale acilico e il nome cle,I diventa quello dell'acido con la desinernrn.
-ile al posto di -ico (per esempio formile dall'acido formico, acetile dall'acido acetico,
propunoile dall'acido propanoico, ccc.) (Fig. 12.8).

ACIDI CARBOSSILICI ESTERI REAZIONE DEGLI ACIDI


E TRIGLICERIDI CARBOSSILICI C ON GLI AL COLI
PER FORMARE ESTERI
H, -?" O
II, Il-COOII +HO-Il� R-CO-O-Il.
C
/C=O acido nicol cstc:ru
'01-1
ncido 111cto.11oico o acido formico (mdi�nlc forn1ilc)
CI-I:1 CH:i
'C=O 'C=C)
ÒH
acido ctn11oico o ncido ncctico (rndicnlc ncctilc)

CHa-CI-h
CHl-CI-12-COOH 'C=O
/

il ncido propanico o acido propi11ico (mdic:ilc propionilc)


CHa-(CI-12)1,1-COOH
acido esndccnnoico o ncido pnhnitico
CI-I:1 -( CI-12)7-CH=CH-(CI-hh-COOH
ncido cis-0-octndccanoico o 1\cido oleico

Figura 12.8: Acidi carbo,'lsilici, esteri e trigliceridi.

Gli acidi grassi sono acidi carbossilici con una catena idrocm·burica composta da
4 a 36 atomi di carbonio ( C4 - C36), ma nelle piante e negli animali superiori sono

o
predominanti gli acidi grassi a catena lineare formata da Cm a C 1 s (acidi palmitico,
oleico, linoleico e stearico) (Fig. 12.9).
La maggior paite degli acidi grassi possiede un numero pari di atomi di C poiché
viene biosintetiz7.ato mediante la concatenazione di unità di C2, La catena può essere

219
Capitolo 12 La chimica del carbonio @ Artquiz

completamente satura o iusat.ura, cioè contenere uno o più doppi legami, quasi Lutti
in configurazione cis (circa il 50% degli acidi grassi presenti nelle piante è insaturo o
poliìnsaturo).
Le proprietà fisiche degli acidi grassi sono molto influenzate dalla lunghezza della
catena e dal numero di doppi legami: a temperatura ambiente (25 °C) gli acidi grassi
saturi Ci2 - C24 hanno una cousistenza cerosa, in quanto le catene adottano uua con­
formazione estesa che consente loro di impaccarsi strettamente mediante interazioni
cli van der Waals e formare strutture quasi cristalliue. La presem:a di doppi legami
cis produce invece dei ripiegamenti nelle catene carboniose, che non sono iu grado
di impaccarsi strettamente e gli acidi grassi iusaturi di ugual lunghezza sono liquidi
oleosi alle stesse temperature.
Nell'uomo gli acidi grassi iusaturi liuoleico e liuolenico souo essenziali e devouo
essere forniti con la dieta (legumi e pesci li contengono in maggior quantità). Essi
sono precursori di importanti metaboliti, come le prostaglandine, che mediano diversi
proce.<ìsi, quali l'infiammazione e la pressione del sangue.
Quando c'è più cli un doppio legame gli acidi grassi si chiamano polinsat,µ ri.. Tra
di essi sono importanti i cosiddetti omega 3 e omega 6. Si chiamano così perché
hanno il primo doppio legame nell'atomo cli carbouio numero 3 o uumcro 6, contando
questi atomi a partire dal carbonio più lontauo dal gruppo carbossilico. Alcuni acidi
grassi sono riportati uella Figura 12.9.

1-h 1-12 I-li lh 1-h 1-12 H2


c c c c c c c coo1-1
Ha c / '--c(" '--if" '--if" '--if" � ---....
� ---....
if"
lh H2 lh I-12 1-h l·l 2 H2
Acido Pa.lmitico
H2 � � � � � � �
e e, c
_.,,,... ---.... _.,,,...c---.... /e , _.,,,...e---.... /comi
_/c---....e
c
HaC/ '--if" 'e
_.,,,... ---....e e e 'e e
H� 1-h H2 H2 1-12 I-12 lh 1-12
Acido Stearico
I-12 H2 I-12 H2 H2 112 H2 H2
e e e e
H:, c :"" '--if" '--e/ '--if" '--ç=(
H2 1-12
e
I-b /
'--� 1-12
e e e
'--if" '--if" 'èoo1-1
H2 H2
Acido Oleico I-I H
H
I H2 H2 H2 H2
u �e e e e e
·--......e� --....,_ç=( '--if" '--if" '--if" 'èooH
I / lh I-12 H2
·,
'•
CH 2 H H
I-Ì2C/

/lh
H2C
I
/I-12
H2C

Acido Linoleico

Figura 12.9: Gli acidi _grassi più abbondanti nei lipidi.

220
© Artqni:r. CHIMICA

12.4.8 Anidridi organiche


Le anidridi organiche possono essere preparate da due molecole di acidi carbossilici
(uguali o non) con sottrazione di una molecola di acqua. Il gruppo funzionale è quindi
· -CO-O-CO-. Il nome delle anidridi deriva dal nome degli acidi che le costituiscono
(Fig. 12.10).


o
R-C
o ....._

/
n.-c,
o Fig11ra 12.10: Anidridi organiche.

12.4.9 Esteri
Gli esteri Rouo i prodotti di reazione tra un acido (sia organico che inorganico) e un
alcol (sia alifatico che aromatico, come il fenolo) con eliminazione di una molecola di
acqua. Se l'acido è organico essi contengono il grnppo funzionale -CO-O-. Essi,
oltre che per elimilm¼ione di acqua da un acido e un alcol, possono essere preparati

n dalla reazione tra gli alogenuri acilici (per esempio cloruro di acetile, CH3 CO-Cl,
o bromuro di butanoile, CH3CH2CI-I2CO-Br) e un alcol.
TI·a gli esteri più importanti vanno annoverati i trigliceridi (vedi lipidi) ottenuti
per esterificazione del glicerolo con acidi grassi a catena lunga. Gli esteri sono idro­
li�zati a caldo sia in ambiente basico che in ambiente acido: se l'idrolisi è acida si
ottengono gli alcoli e gli aeidi, se l'idrolisi è basica si ottengono gli alcoli e i sali degli
acidi. Poiché i sali di sodio e di potassio degli acidi a catena lunga vengono chiamati
saponi, il processo prende il nome di saponificazione (Chimica, § 12.6).

12.4.10 Ammidi ..
-

Le ammidi sono composti organici contenent.i il gruppo funzionalé -CO-NH2, Si


possono pensare derivate dalla reazione tra un acido e l'ammoniaca,J con eliminaiione
di una molecola d'acqua. È chiaro che questa re�ione non potrebbe avvenire in acqua
in quanto un acido con l'ammoniaca (che è una base) darebbe un sale. La reazione
d'idrolisi delle ammidi porta invece alla rew:ione opposta, con formazione di acido
e ammoniaca. Il nome delle ammidi deriva dal nome dell'acile corrispondente con
la desinenza -ammide (esempi: acetilammide, propionilammide, ecc,). Se l'ammide
viene ridotta il gruppo >C=O viene trasformato in gruppo >CH2 e l'ammide si
trasforma nell'ammina primaria corrispondente. Le ammidi non hanno proprietà
acide o basiche: sono composti neutri. Le ammidi possono essere anche sostituite: i
due atomi di idrogeno del gmppo NH2 possono essere sostituiti da radicali alchilici o
arilici R, uguali o non uguali, e possono essere monosostituite e bisostituite.

12.5 · Lipidi
I lipidi sono una categoria di sostanze strutturalmente differenti, che hanno in comu­
ne l'idrofobicità, cioè la bassissima solubilità in acqua. I lipidi sono invece solubili nei

221

t1
Capitolo 12 La chimica del carbonio © Artquiz

solventi organici, come cloroformio e metanolo, e, di conseguenza, è po$sibHe separar­


li facilmente da altri materiali biologici mediante estrazione con solventi organici. A
differen7,a delle altre categorie di biomolecole non formano polimeri, tuttavia si aggre­
gano (per ridurre il contatto con il solvente acquoso) e alcuni di essi formano struttnre
complesse, come le m icelle e le membrane cellulari. La loro diversità strutturale
si riflette in diversità funzionale e i lipidi, oltre a essere componenti essenziali delle
biomembrane, costituiscono le maggiori riserve energetiche negli organismi superiori
(un uomo di 70 kg contiene 15 kg di grasso, che costituisce 1'85% delle sue riserve
energetiche) e partecipano a numerosi eventi di segnalazione intra- e intercellulare.
I trigliceridi sono composti da tre acidi grassi, ognuno legato con un legame
estereo a uno dei tre gruppi -OH del glicerolo (1,2,3-propautriolo) (Fig. 12.11). So­
no molecole a.polari, es8en�ialmente insolubili in acqua e costituiscono la forma di
deposito per l'energia metabolica.

H2C-O

HC-0
Figunt 12. II:
lhC-() I trigliccri,di.

Sono contenuti sia nei semi elci vegetali, dove vengono utilii�ati per la germina:;.io­
ne, che nei vertebrati. In quest'ultimi, i trigliceridi sono prevalentemente inmt.agn1.ii­
nati nel tessuto adiposo (in piccola parte anche nei mm;coli), <love vengono mobiliz:-m.ti
nei momenti cli necessitlt metabolica (ad esempio nel digiuno) tramite idrolisi in acidi
grns;i·e glicerolo a.cl opera cli una lipasi attivata eia diversi ormoni, come glucagone e
aclrenalina. Gli acidi grassi vengono poi esportati, tramite il circolo ematico,· ai siti '
dove vi è bisogno cli energia. La loro ossi<laiione intracellulare rende una quantità
cli energia due volte maggiore di quella liberata da una pari quantità cli carboidrati
(Chimica, § 13.4). La maggior parte ·dei grassi naturali, come quelli presenti in oli
vegetali, latticini e grasso animale, è costituito cla miscele complesse di trigliceridi. Lo
stato fisico dei trigliceridi dipende dal contenuto cli acidi grassi insaturi: più elevata
è la loro pre8en7,a pii1 basso è il loro punto di fusione. È la quantità di doppi lega.mi
che fa la differen1.a tra burro, margarina e oli vegetali.
I glicerofosfolipidi o fosfogliceridi sono i principali costituenti lipidici delle
biomembrane. Sono derivati deiracido fosfatidico (e.la cui prendono il nome), che è
formato e.la glicerolo-3-fosfato le cui posi1.ioni Ct e C2 sono esterificate con acidi grassi
(generalmente saturi in C 1 e insaturi in C2 ); in aggiunta il gruppo fosforico è unito
a<l un altro gruppo alcolico polare, che può essere neutro (la Herina nella fosfati<lil-
. serina), carico negativamente (l'inositolo 4,5-bifo8fato nel fosfati<lilinositolo) )> carico
positivamente (la colht.a nella �osfatidilcolina o lecitina; Fig. 12.12). Sono pertanto
molecole anfifiliche o anfipatiche con "code" non polari alifatiche e "te1-:1tc" polari.
Le interazioni idrofobiche tra le catene idrocarburiche e quelle idrofiliche tra parti
polari e acqua dirigono la dispo:-�izionc dei glicerofosfolipidi in foglietti, eletti doppi
strati di membrana. Come nei trigliceridi la fluidità cli una membrana dipende dal
contenuto cli acidi grassi insaturi nel fosfolipide.
Gli steroidi, che sono presenti solo nelle cellule eucariote, sono derivati di un
composto costituito da quattro anelli saturi fusi, cli cui tre sono a sci atomi cli C
e uno a cinque atomi, detto ciclopentanoperiiclrofenantrene, che forma mt nucfoo,
definito steroideo, quasi planare e relativamente rigido (Fig. 12.13),

222
@ Artquiz CHIMICA

Cll3

r!L.cH,
o o I
C1 C:s � / Cil3
C P
o�if "-o-
n
Ao o�o
I
n.
Figura 12.12: La fosfatidilcolina (R, catena alifatica sat1tra o insatura).

Il colesterolo rappresenta Io steroide più abbondante negli animali ed è definito


a.nche come sterolo a. causa del Hno grnppo -OH sul C :1 , che Io rende a.nfipatico.
Infatti il colesterolo è un componente esHenziale delle membrane·plusmatiche animali.
Nei mammiferi il colesterolo è inoltre il precursore 1netabolico degli ormoni steroidei,
preposti alla regoh.w.ione di un'ampia gamma di nm:r.ioni fo-;iologiche, dei sali biliari e
della vitamina D.

I
CI-la Cl·I:1

CI-I -ClhCII2 Cl-hCI-I


I
Clb
I

Figura 12.13: Il cole:,temlo.

o 12.6 Saponificazione e saponi


I saponi sono i sali di sodio e di potassio degli acidi grassi a catena lunga. Essi poHsoIIo
essere preparati dalla idrolisi con NaOH o con KOH dei trigliceridi con forma¼ione
anche di glicerolo.. I saponi sono molecole anfipatiche perché prn;skxlono una testa
polare (Io ione carbossilato, coo-) e una coda lunga apolare. Se queste 8ostan¼e
vengono messe in acqua interagiscono con essa con la parte polare, mentre la parte
apolm·e cerca cli evitarne il contatto. Qnesta doppia tenden:r.a produce degli aggregati
particolari a forma di sfera allungata, chiamati micelle. Nella parte esterna di questi
aggregati sì trovano le teste polari mentre le code idrofobiche interagiscono tra loro
ed escludono l'acqua. Questi aggregati vengono formati anche da molecole diverse
dai saponi, come i detergenti (la testa polare non è il gruppo carbossilato) e i
sali biliari. Le micelle hanno la capacità di solubiliz¼,We molecole apolari perché le
inglobano all'inten10 di CS8e. I sali biliari hanno una grande importanza dal punto di
vista fisiologico perché agiscono come emulsionanti dei grassi nell'intestino tenue con
l'obbiettivo della loro digestione da parte delle lipasi.

223
Capitolo 12 La chimica ciel carbonio @ Artquiz

12. 7 Reazioni di addizione e di sostituzione


Le reazioni di addizione vengono definite come le reazione nelle quali i due reagenti
si mettono insieme per dare un nuovo composto. Nella maggior parte dei casi questa
reazione riguarda l'acldizione cli molecole ad un doppio legame ( come quello presente
in un gruppo carbonilico, negli alcheni, negli alchini).
Le reazioni di addfaione si dividono in re�ioni nucl eofil e ed e l et trofi.le. Le
prime si hanno quando il doppio legame è formato tra clue atomi tra ·cui c'è una
grande differenza cli elettronegatività, come nel caso >C=O o nel caso >C=N, per
cui alla rottura del legarne 1T si forma un carbocatione a cui si aggiunge un gruppo
con una coppia di elettroni non condivisi (nucleofilo). Le seconde si hanno quando
l'attacco è fatto eia un gruppo elettrofilo, rompendo il legame 1T.

12.8 Polimeri
I polimeri sono lunghe catene di atomi ottenute per polimerizzazione di opportuni
monomeri. Essi possono essere ottenuti mediante monomeri con doppio legame ( ti­
pici i monom eri vinilici, CH2=CH-R, con R molto variabile: alifatico, aromatico,
idrofobico, polare, ionico) che Hi adcli¼ionano uno all'altro mediante rottura dei legami
7T e unione elci legami rntti tra due monomeri. Questo porta a catene lineari molto
lunghe con proprietà molto diverse a seconda della natura di R. Quando R = H si ha
il polietilene, usato per fabbricare i comuni sacchetti per la ,')pesa.
Altri polimeri si ottengono per condensazione di monomeri che hanno opportu­
ne fnn�ioni ai due terminali, come fanno gli aminoacidi per formare le proteine. In
tal modo si po88ono ottenere le poliammidi (per unione di un gruppo carbossilico
terminale di un monomero con un gruppo ini¼iale amminico di un altro monomero,
come nel nylon, o i polie steri (con unione di un gruppo terminale carbossilico di un
monomero con un gruppo ini:dale alcolico di un altro monomero). Vecli Figura 12.14.

POLIMERI DI ADDIZIONE
H, . / ---- H" /
H H
n C=C ( C-
- C- )
H/ "-R H/ 'R n
POLIMffil DI CONDENSAZIONE
nH2N-(CH2 )x-COOH - (-HN-(CH2) x -CO-NH-(CH2 )x -CO-)

Figura 12.14: Polimeri.


�·,
,;

224
Capitolo 13

Le biomolecole

13.1 Introduzione
Alla categoria delle biomolecole appa1tengono tutte le molecole che hanno fnrndoni
essen?.iali nella vita delle cellule:
• gli zuccheri e i polisaccaridi, chiamati anche carboidrati o idrati di carbonio
perché hanno formula generale C11 (I-120) 11 ;
• gli aminoacidi e le proteine;
• i m1cleot.idi e gli acidi nucleici;
• i lipidi e i fosfolipicli, di cui si è già trattato (Chimica, § 12.5).
Poiché la fun�ione di una molecola in biologia è strettamente correlata con la forma
che essa assume nello spa:do, le biomolecole hanno una conforma7.ione particolarmen­
te stabile, che corrisponde al minimo di energia libera conformazionale, fmtto della
nmssimi:r.za�ione di tutte le interaiioni attrattive e della minimiiiaiione di tutte le
interazioni repulsive tra gli atomi. In questo gioco un ruolo fondamentale è assunto
anche dalle interazioni degli atomi della biomolecola con il solvente. Esempi di con­
formazioni particolarmente stabili (e quindi corrispondenti ad un minimo profondo
della energia libera conformazionale) sono la struttura a doppia elica del DNA e la
struttura terziaria e quaternaria delle proteine.

13.2 I carboidrati
I carboidrati sono le biomolecole più abbondanti sulla terra in quanto. ogni anno le
piante, le alghe e i batteri fotosintetici convertono più di 100 miliardi di tonnellate
di C02 e di acqua in cellulosa e in altri prodotti pofo:mccaridici, quali le emicellulose,
pectine, lignine, etc. Alcuni carboidrati (iucchero e amido) sono tra i principali
alimenti nell'uomo e la loro ossidazione fornisce una percentuale importante delle
calorie necessarie al fobbi.c.iogno energetico (Chimica,§ 13.4). I carboidrati sono aldeidi
o chetoni poliossidrilici e molti, ma non tutti, hanno la formula empirica (CH20)n,
alcuni contengono anche atomi di azoto, fosforo o 7.olfo (S). Si distinguono in:
• monosaccari�i, costituiti da una singola unità poliossidrilica aldeidica o chetonica,
di cui il più abbondante in natura è il D-glucosio;

225
Capitolo 13 Le biomolecole @ Artquiz
-Q
• oligosaccaridi, costituiti da corte catene cli monosaccaridi (non più di 8) uniti da
legami 0-glicosiclici; i più abbondanti sono i disaccaridi, cli cui l'esempio piìt tipico
è il saccarosio;
• polisaccaridi, o glicani, costituiti anche da lunghe catene di centinaia o migliaia
<li monosaccaridi. A loro volta si distinguono in omopolisaccaridi, che contengono
un unico tipo di monosaccaride, come l'amido contenente D-glucosio, ed eteropo­
lisaccaridi, che sono formati <la due o più tipi cli unità monosaccari<liche, come i
glicosoaminoglicani presenti nella matrice extracellulare.

13.2.1 Monosaccaridi
I monosaccaridi sono solidi cristallini, incolori, solubili in acqua, generalmente cli
sapore dolce. Se il gruppo carbonilico è un'aldeide, il mono.c;accaride vien<' detto aldo­
.'lu (e il nome del composto termina con il sufl'i5so -osio, come glucosio) se invece è un
chetone ìl monosaccaride viene eletto chetoso. La catena linem·e deve contenere alme­
i
no tre atomi di C, che vengono mm1erati part;eudo dall'estremità più vicina all'atomo
di C carbonilico. I gruppi ossidrilici tc-irminali sono gruppi alcolici pri1mU'i, i rimanen­
ti secondari. I monosacctU'icli piit semplici sono il clii<lrossiacetonc e la gliceralcleide.
Quest'ultima contiene un centro chiralico in C2 e quindi ha due enantiomeri.
Nel 1891 Emil Fischer proprn;e che i due cnantiomeri della gliceraldeide fossero
clesignttti D-gliceralclcicle, in ctù il gruppo m;siclrilico in G2 è poHi:dona.to a destra
e l'em.tntiomero ruota il piano della luce polari�:,mta verso destra (destrogiro) e L­
gliceraldeide, in cui lo Htcsso gruppo è posiY-ionato a Hinistra e l'enantiomero è levogiro
(Fig. 13. la).
I monosaccaridi con un numero maggiore cli atomi cli C contengono piì1 centri
chiralici e <li conseb11ien:1.a hanno 211 stereoisomeri, <love n è il rmmero cli C asimmetri­
ci. Gli stereoisomeri dei monosaccaridi, quahmqne Hia la lungltC'.t�a della loro catena,
vengono divisi in due gruppi: la serie D, in cui il centro chiralico più lontano dal
gruppo aldei<lico o cltetouico ha la configura'l.ione della D-gliceraldeide, e la serie L,
in cui lo stesso atomo di C ha la configura�ione della L-gliceraldeide. I monosaccaridi
naturali appartengono alla serie D (Fig. 13.lb).
L'aldoesoso O-glucosio, il più abbondante monosaccaride, ha formula (CH2 0) 6
e contiene 4 C asimmetrici, esso quindi è uno <lei possibili 24 = 16 stereoisomeri. 'lì-a
questi i monosaccaridi che differiscono esclusivamente per la configur�ione di un C
sono detti epimeri: D-glucosio e O�mannosio sono epimeri rispetto a C2, D-glucoHio
e O-galattosio sono epimeri rispetto a C,i . 'Iì·a i chetoi;i a 6 atomi cli carbonio (che­
toesosi), il pìit comune è il O-fruttosio che presenta 3 C asimmetrici e quindi ha
8 stereoi<,omeri. 'lì-a gli aldopentosi svolgono un molo importante il D-1�ibosio e il
D-2-deossiribosio, essendo componenti, rispettivamente > dell'RNA e del DNA.
In solu�ione acquosa, .gli alclotetrnsi e tutti gli altri monosaccaridi �on 5 o più
atomi <li C assumono una forma ciclica, in seguito alla rea�ione intramolecolare tra
il gruppo aldeidico o chetonico e un gruppo ossidrilico lungo la catena che porta alla
formazione di emiacetali o emichetali ciclici, rispettivamente. Gli anelli a 6 ato­
mi sono chiamati piranosi, in quanto ricordano il pirano, glì anelli a 5 atomi sono
detti furanosi, perché ricordano il furano. Le strutture cicliche co,qì formatesi posso­
no adottare conformw.i01ù diverse, ucl e.�empio l'anello piranosico può assumere due
conformazioni a sedia, di cui la più stabile è quella in cui i sostituenti più volumium;i
hanno disposizione equatoriale (parallela all'anello). Le molecole cicliche così prodot-

226
@ Artquiz CHIMICA

te contengono un altro atomo asimmetrico, chiamato C anomerico, che determina


la formaiione cli altre due forme stereoisomeriche, dette anomeri a e {3, caratterizzate
da una diversa rotazione ottica. Gli auomeri a e /3 si interconvertono liberamente in
soluzione acquosa. Così, i due anomeri con anelli a 6 atomi del D-glucosio, definiti a­
é {3-D-glucopiranosi, ragghmgono in soluzione acquosa una miscela di equilibrio, in
cui l'anomero f3 è il 63,6% e l'anomero a il 36,4%, mentre la forma lineare è presente
in quantità minima (Fig. 13.lc). Questo processo si chiama mutarotazione.
Aldosi e chetosi possono andare incontro a reazioni di ossidazione e riduzione.
L'ossid�ione blanda del gruppo aldeidico a carbossilic<;> genera gli acidi aldonici,
come l'acido glucouico dal glucosio. Il gruppo chetoriico nelle stesse condizioni non
si ossida. L'ossidazione specifica del gruppo alcolico primario da origine agli acidi
uronici, come l'acido glncuronico. Altri derivati importanti dei monosaccaridi sono
i dcossizuccheri, in cui un gruppo ossidrilico .OH è sostituito da un H, come nel {3-D-
2-deossìribosio componente del DNA, e gli aminozuccheri, in cui uno o più OH sono
sostituiti da un gruppo amminico, che sovente è acetilato, come nella a-D-glucosamina
(2-amino-2-cleossi-a:-D-glucopiranosio) componente di molti eteropolisaccaridi.

CHO CI-IO

HO-C-H H-C-OH

CI-1201-l CII-iOI-1
L-GI,Y D-Gl,Y
A)
Cl-IO CHO CHO CI-1201-1
I I I

n
H OH HO I-I H OH o
HO 1-1 HO H HO 1-1 HO H
I·I OH I-I OH HO I-I H OH
H OH H OH H OH H OH
CI-1201-1 CII-iOII CH2 0H CH20H
GLU MAN GAL FRU
B)
-:Y o
o
H
I
H OH

{]
� HO H �HO
� H OH � HO
H OH
I
CH20H
a-D-Glu C) fi-D-Gln

Figura 13.1: a) i due stereoisomeri della glicemldeide (GLY}; b} i monosacca­


ridi della serie D più abbondanti in natura glucosio (GLU), mannosio (MAN),
gala ttosio (GAL} e fruttosio (FRU}; c) gli anomeri a e /3 del D-glucosio; c) la

o
reazione tra il 01 e il 05 della strutturo lineare del glucosio che porta alle due
strutture cicliche a- e {3-anomeriche.

227
Capitolo 13 Le biomolecole @ Artqutz �

13.2.2 Disaccaridi
I disaccaridi sono costituiti da due monosaccaridi uniti da un legame 0-glicosidico,
che si forma per reazione di un gruppo emiacetalico di un monosaccaride con un
gruppo ossidrilico dell'altro con liberazione di una molecola di H20. I due atomi di
C uniti dal legame glicosidico sono indicati tra parentesi con una freccia interposta
tra i due numeri. Quando il legame glicosidico è ottenuto per rea:tione tra due gruppi
emiacetalici lo :tucchero risultante non è più riducente, essendo scomparsi i due gruppi
aldeidici originari. I legami glicosidici sono facilmente idrolizzabili dagli acidi, mentre
sono resistenti all'a:tione delle basi. I disaccaridi pitt comuni sono:
• Saccarosio: rappresenta la principale forma di trasporto di carboidrati nelle pian­
te. È formato da gluco.<;io + fruttosio legati attraverso i rispettivi C anomerici (Cr
nel glucosio e C2 nel f ruttosio) e quindi non è riducente. Il suo nome sistematico è
0-o-D-glucopiranosil-(1�2)-{3-D-f ruttofuranoside.
• Lattosio: è presente solo nel latte dove la sua concentrazione varia a seconda della
specie. È formato da galattosio+ glucosio, in cui il C 1 dell'attomero /3 del galattosio
è legato al C4 del glucosio, per cui è uno �ucchero riducente, conservando inalterato
il C 1 anomerico del glucosio. Il suo nome sistcmtttico è 0-,8-D-galattopiranosil­
(1 �4)-/3-D-glucopiranosio. Il lattosio è l'unico carboidrato con legami {3-glicosidici
che è digeribile dall'uomo, gra:tie all'aiione dell'ell?;ima specifico lattasi. Il gene che
codifica per questo em�ima viene in genere spento alla· fine del periodo di latt�ione
(non per tutti gli individui).
• Maltosìo: è il disaccaride generalmente prodotto dalla i;cissione dell'amido ad
opera delle amilasi. fs formato da glucosio + glucosio, in cui il C 1 dcll'anomero a
del gluco8io è legato al C., dell'altro monomero, tramite un legame 0-a-glicosidico.
Il suo nome sistematico è: O-o-D-glucopiranosil-(1�4)-/3-D-glucopiranosio.
• Cellobiosio: <leriva dalla scissione della cellulosa ed è formato· da due 1nonomc­
ri di glucosio, che, a differen.¼a del maltosio, sono uniti tramite un legame 0-{3-
glicosidico. Il suo nome sistematico è 0-t,-D-glucopiranosil-(1�4)-/3-D-glucopira­
nosio.

H OH OH H 'OH OH
li H OH
Saccarosio Lattosio

o
o
H OH II H OH H OH
Maltosio Cellobiosio

Figura 13.2: I disaccaridi più comuni: ltac.ca.r·o1�io, lattosio, maltoBio e cellobio­


sio.

228
© Artquiz CHIMICA

13.2.3 Polisaccaridi
I polisaccaridi o glicani svolgono fumr,ioni molto diversificate e, a differenza delle

Iò., :·
proteine, non hanno una massa molecolare definita. Per la loro sintesi non esiste
infatti uno stampo e il processo è controllato solo dagli enzimi che catalizzano la
polimerizzazione dei monosaccaridi.
\,u,!

· Gli omopolisaccnridi possono servire come riseYva di sostn.n7.e nutrienti. Esempi
sono:
1� • Il glicogeno: è il principale polisaccaride di riserva delle cellule animali ed è par­
ticolarmente abbondante nel fegato e nel muscolo. È un polimero compatto co­
stituito da catene lineari di unità cli glucosio legate da legami {al�4) con punti
di ramificazione ogni 8-14 residui che iniziano con legami {al�6). La presenza
di molte ramificazione favorisce la sua rapida degradazione per Pntilizzo energetico
delle unità di glucosio da, parte delPeuzima glicogeno fosforilasi, che scinde il legami
.
(al�4) e dell 1enzima clernmificaute, che scinde i legami (al->6) (Biologia,§ 4.2.3).

• L'amido: la maggior parte delle cellule vegetali è in grado di formare amido, ma


l'amido è particolarmente abbondante nei tuberi (patata) e nei semi (grano). È
fot'mato da duo tipi di polimeri cli glucosio, Pamilosio e l'amilopectina. L'n.milosio
è costituito cla lunghe catene 11011 ramificate di unità cli glucosio legate <la legami
(a1�4) con ma.<;.<:;c molecolari che possono variare da poche miglia.in. a, oll;re il milione
di Da {10:i kDa). L'amilopectina ha mm massa molecolare molto più elevata (fino
a 105 kDa) cd è ramificato: lungo le catene lineari i legami s�mo {a1�4), con punti
di ramificazione (oJ�6), che sono meno frequenti rispetto al glicogeno.
Altri omopolisaccaridi sono elementi strutturali, come:
• La cellulosa: è la componente strutturale primaria presente nelle pareti cellulari
delle piante. È nn polimero lineare formato da circa 15.000 residui di D-glucosio
uniti da legami .8(1�4) glicosidici, la cui massa molecolare è di circa 2,700 kDa.
Forma fibre costituite da circa 40 catene parallele tenute insieme da legami a H,
caratteriz�atc da una straordinaria resistenza e in�olnbili in acqua. I vertebrati,
compreso l'uomo, non contengono nel tratto digestivo enzimi in grado di degradare
la cellulosa, noti come cellulasi. Gli erbivori sono in grado di utiliz¼are la cellulosa
come nutriente grazie all'azione della ccllulasi prodotta da batteri che vivono in
simbiosi.

• La chitina: è il principale componente strutturnlc clell 1esoi;cheletro degli inverte­


brati, come i crostacei, insetti e ragni, cd è altresì presente nelle pareti di funghi
e alghe. È per abbondanza il secondo biopolimero, dopo la cellulosa, presente in
natura. È simile alla cellulosa, ma formato da monomeri <li N-acetiglucosammina
uniti da legami .8(1�4) glicosidici.
Tra gli eteropolisaccaridi, si distinguono i glicosaminoglicani. Questi sono una
famiglia di polimeri lineari costituiti da una ripetizione di unità disaccaridichc, in cui
i due monosaccaridi sono zuccheri modificati. Formano, assieme a proteine fibrose
come collageno, elastina (ccc.), la matrice extracellulare che tiene unite le cellule di
� un tessuto. Un esempio è l'acido ialuronico, formato da circa 50.000 coppie di acido
D-glucuronico e N-acetilglucosammina.
Oligo- e poli-saccaridi di varia complessità possono cs.<;ere uniti covalcntemente a
proteine di membrana a formare le glicoproteine. Queste sono presenti sulla super-

229
-�

Capitolo 13 Le biomolecole
i::à

@ Artquiz

ficie cellulare, dove forma.no siti di riconoscimento molto specifici per altre proteine,
in alcuni organelli endocellulari, come il Golgi e i granuli cli secreiione, e nel sangue.
Gli oligosaccaridi possono legarsi anche a lipidi di membrana formando i glicolipidi,
che agiscono da siti di riconoscimento per glicoproteine.

13.3 Le proteine: costituzione chimica

Le proteine costituiscono il maggior componente biologico delle cellule. La compo­


si:i.:ione proteica di una cellula (il proteoma) rappresenta in qualche modo anche il
fenotipo della cellula. Le proteine hanno molte funzioni nelle cellule:
• strutturale, es. le proteine del citoscheletro come la tubulina e l'actina, il collagene
che costituh,ce la struttura della matrice extracellulare, ecc.
• enzimatica, tutte le proteine che aumentano la velocità delle rel.'1:1,ioni biologiche,
come la RNA polimerasi nella tra:scrizione, gli eniimi digestivi come la tripsina, la
pepsina, le lipasi, ecc.
• regolatrice, le proteine che attivano la tra8cri�ione dei geni, le proteine che ri-
conoscono il DNA danneggiato, le proteine che modificano altre proteine, come le
chinasi, le acetilasi, ecc. o
• motrice, le proteine che producono i movimenti cellulari, come le chinesine, le
dineine, la miosina, ecc.
• di trasporto, come l'emoglobina che trasporta l'ossigeno, l'albumina che tra.sporta
molti composti idrofobici nel sangue, i trasportatori di ioni sodio e potassio sulle
membrane, i trasportatori cli glucosio i:;1.Ille membrane, ccc.
• di recezione, come i recettori degli ormoni all'interno delle cellule, i recettori del­
l'insulina sulla superficie delle cellule, i recettori delle LDL, i recettori dell'adesione
cellulare, ecc.
• ormonale, gli ormoni, come i fattori di crescita, l'in.mlina e il glucagone, ecc.,
costituiscono i segnali regolatori del metabolismo;
• di accumulo, che costituiscono la riserva cli aminoacidi come l' ovalbumina nelle
uova, le proteine di riserva dei semi, ccc.
• anticorpale, gli anticorpi sono le proteine che riconoscono in maniera specifica
determinati antigeni e che avviano il processo cli distruzione degli stessii
• velenosa e tossica, le proteine che esercitano un effetto tossico nei confronti cli
organismi competitori come la ricina, il botulino, ecc. }
Le proteine sono chimicamente costituite da catene di a-aminoacidi, che sono
molecole che contengono sia il gruppo acido (gruppo carbossilico: -COOH) sia il
gruppo a.rninico (-NH2). I due gruppi sono legati a un atomo di carbonio tetraedrico
(ibridizzato sp3 ), come in Figura 13.3.
Le altre due valenze del carbonio sono saturate da un atomo di idrogeno e da
20 gruppi diversi, per cui si hanno venti aminoacidi naturali diversi. Solo nel caso
della glicina il quarto gruppo è uguale al terzo, è cioè un idrogeno. Negli altri casi il
a

quarto gruppo (chiamato catena laterale degli aminoacidi, R) è diverso dagli altri tre
per cui l'atomo di carbonio centrale può assumere due configurazioni spaziali divel'se

230
@ Artquiz CHIMICA

MONOMERI POLIMERI

7,
H O H O H H O H H O1 H H O1 H H O
1

I Il I Il I I Il ; I I Il : I I Il : I I Il
H2N-c-c- OH + li -N-C-C-OH H-N-c-c�N-C-CTN-C-CTN-C-C-OH
I I I I I I < I
R R R1 : R2 : Ra ! �
legame pcptidtco
A,ntuoacidi Polipeptide

Figura 13.3: La strutt1tra chimica di uno dei 1Jenti aminoacidi naturali, l 1a­
�anina. Gli altri aminoacidi differiscono per la natura chimica della catena
laterale. Il carbonio Q e ibridizzato sp 3 e, poiché i q1wttro gruppi a esso legati
sono tutti diversi (salvo che nella glicina, dove la catena laterale è un idroge­
no) è asimmetrico. Tutti gli aminoacidi naturali 1tsati per fare le proteine sono
nella fo1ma L. Notare che a pH fisiologici i due gruppi, l 1acido e il basioo, sono
ionizzati.

(stereoisomeri). Di queste due configuraiioni solo una (la forma cosiddetta L, in


contrapposizione alPa.ltrn forma D) è m,snnta dagli aminoacidi natnrali. La catena
laterale è costituita da 20 gruppi atomici diversi che vanno dal semplice idrogeno a
gruppi piÌI complessi (Fig. 13.4).

iO
I venti aminoacidi utili¼¼ati in natma sono chianmtì standard o normali, per di­
stinguerli dagli aminoacidi che vengono modificati quando già legati nella proteina
(un esempio è Pidrossiprolina presente nel collagene, che deriva dalla prolina) o da
par ticolari aminoacidi utilizzati da vari organismi (per esempio la seleuocisteina nei
mammiferi o la piri·olisina negli archehatteri).
I gruppi carbossilid e amminici legati al Ca possono ionizzarsi, per cui un ami­

bI
noacido può fungere sia da base che da acido, è cioè un co mposto anfotero. In tutti
gli aminoacidi in condizioi1i fisiologiche {pH 7,4) i gruppi a-carbossilici sono deproto­
nati, cioè nella forma di carbossilato, -Coo-, e quelli c.N1.mminici sono protonati a
-NH3 . +

Si definisce pi di nn composto il valore di pH in cui il composto ha una carica


elettrica netta nulla. Tale valore è di circa 6 per gli aminoacidi monoamminici e
monocarbossilici {Fig. 13.5)
La natura della catena laterale definisce il nome dcll 1 aminoacido. Le catene la­
terali possono essere polrui (contenenti cioè legami chimici polari) e quindi idrofile
(che interagiscono bene con l 1acqna) oppure apolari (contenenti legami chimici con
bassa polru·ità) e quindi idrofobe {che cercano di tenersi lontano dalPacqua). 'lì-a i
gruppi idrofili sono compresi i anche i gruppi acidi e basici, che in soluzione acquosa
fisiologica assumono una carica negativa {gli acidi) o positiva {i ba,c;ici).
Tutti gli aminoacidi derivano da intermedi del metabolismo dei carboidrati. Le vie
di sintesi di alcuni aminoacidi sono relativamente semplici, mentre altre sono piutto­
sto complesse. La maggioranza dei batteri e delle piante può sintetizzare tutti e 20 gli
aminoacidi standard. I mammiferi invece sono in grado di produrre solo la metà degli
aminoacidi, quelli che richiedono le vie piì1 �emplici e che sono definiti aminoacidi
non essenziali, per indicare il fatto che non è necessario siano presenti nella dieta.
Gli altri, gli aminoacidi essenziali, devono essere recuperati dal cibo. NelPuomo
gli aminoacidi essenziali sono 8 nclPadulto (leu, ile, val, ly8, met, phe, thr, trp ) e 10
nel bambino (in aggiunta arg e hh;).

b 231
Capitolo 13 Le biomolecole @ Artquiz

AMINOACIDI IDROFOBICI

coo- coo- coo- coo- coo- coo-


I I I I I I
+
H 3 N-C-H +
H 3 N-C-H +
H 3 N-C-H ·1-1-1:JN-C-H +H 3 N-C-H +
H 3 N-C-H
I I I I I . I

6
CH3 /e� H-C-CH 3 CH2 Clh CH2
I I I
H 3C CH 3 CH2 /e� CH2
I 11:JC CH
I
CH3 3 s
I
CH3
Alm1ina Vnlina lsolencb1n Leuciua Met ionina Fcnilnlauina
(Alno A) (Vnl o V) (Ile o I) (Len o L) (Met o M) (Pite o F)
coo- coo-
+
I I
IhN-C-H +HaN-C-H
I I

B
CH2 Cl-12
I
H

OH

Tirosina. '1\-ipLufonu
(Tyi- o Y) ('lì'p o W)

AMINOACIDI IDROFILICI

Aminoacidi basici Aminoacidi acidi Aminoacidi polari


coo- coo- coo- con gruppi R non carichi
I I I coo- coo- coo-
+I·bN-C-I-I +H:iN-C-I-I +II3 N-C-H I I I
I I I +H:iN-C-H +H:,N-C-H +
HaN-C-H
CI-I:2 CH:2 CI-I, I I I
I I I CI-I, CH, H-C-OH
I I I
Il
CH, CII:z C-NH
I I coo- OH CI-b
CH,
I
Clh
I
;n Aspnrtato Serina Treonino.
C- N+ (Aspo D) (Scr o S) (Thr o T)
CI-I, NH I-I H
I + I coo- coo- coo-
NH :i C=NI-IÌ
I . I I I

q
Nih -1-H:,N-C-H +
tt:i N-C-H +H3 N-C-H
Lisino. Arginino. Istidinn
I I I
CI-1 1 CH1 CI-I,
{Lys o K) (Argo R) (I-Iis o H) I I I
Cl·h CI-12
I I
coo- H2{'
AMINOACIDI SPECIALI /�

I
lhN: O

oo- Gluta1nmato Asparagina Glnt�mminn


/u (Giu o F:) (As n o N) (Gin o Q)
+
I-I3 N-C-II +
I-bN-C-H /c,
I I +u,N CI-I,
CH, H I I
I IhC--CH2
SH
Cisteina Giicinn Prolinn
(Cys o C) (Gly o G) (Pro o P)

Figura 13.4; I venti aminoacidi naturali divisi per le loro proprietà.

232
© Artqniz CHIMICA

pk, pk2
� ---------------NH3+
HOOC---------------N H:i + � -OOC � - oo� NH2
� carica 11eU1t
l/
r;,_;_ +l o -1

,-14 Figura 13.5: Le forme ioniche e zwitterioniche di un aminoacid o m onoamino


·;,!¾
e monocarbossilico.

·--
·!
Gli aminoaoidi si legano tra loro mediante il legame peptidico che si forma per
reazione tra il gruppo carbossìlico di un aminoacido e il gruppo aminico di un altro
aminoacido {Fig. 13.6). Una catena di aminoacidi legati nel modo descritto dà luogo
a un polipeptide.

MONOMEru POLIMERI
HO H O H H Q>H H 0 1 H H" 0 1 H HO
I Il I Il I I Il: I I Il: I I Il : I I Il
HN
2 -C-C- OH + H-N-C-C-OH H-N-c-c�N-C-CTN-C-CTN-C-C-OH
I I Il' I , I < I
R R R, : R2 : R3 : llt
lci;num peptidico
Pollpcpticlc

D
A 111i11oncidi

Figura 13.6: La reazione tra il gruppo ca1·bossilico di un aminoacido e il gruppo

o
aminico di un altro aminoacido prod1tce 1m legame peptidico, che è il legarne
che tiene uniti gli amin oacidi in un polipeptide.

Tutte le proteine (che sono sostan�e naturali presenti negli essere viventi, batteri,
piante, animali, virns) sono fatte da polipeptidi, mentre non è vero il contro.rio, nel
senso che un polipeptide può essere preparato in laboratorio senza essere presente in
nessun organismo vivente. 'I\1tti i polipeptidi cominciano con un gruppo aminoter­
minale carico positivamente (-NI-13 +) e terminano con un gruppo carbossilato carico

o
negativamente ( -coo-). Le catene laterali R ionizzabili determinano il comporta­
mento acido-base del polipeptide o della proteina, che è espresso dal valore del pl
globale.
Proteine con pl inferiore a 7, sono prot.eine acide e sono caricate negativamente
a pH fisiologico. Proteine con pl superiore a 7, sono basiche e sono caricate posi­
tivamente a pH fisiologico (come gli istoni che devono interagire con il DNA nella
cromatina). Grazie alla carica che ogni proteina possiede a valori definiti di pH e che
dipende dalla composizione in aminoacidi, le proteine possono essere separate per via
elettroforetica, sfruttando in tal modo la loro diversa mobilità in un gel sotto campo
elettrico, che dipende sia dalla carica che dalla. dimensione media.
Si definisce oligopeptide una breve catena di aminoacidi, polipeptide una lunga
catena di aminoacidi. Una proteina può essere formata da un 1unica catena polipepti­
dica (nn esempio è la mioglobina), e allora la proteina viene definita monomerica, o
da più catene, che possono essere identiche o diverse tra loro, a formare un complesso
proteico. Se almeno due catene sono identiche, la proteina viene definita oligomerica
{un esempio è Pemoglobina, che nelPadulto è formata da due catene di tipo a e due
catene di tipo /1).
Molte proteine contengono soltanto aminoacidi e vengono definite proteine sempli-

o 233
Capitolo 13 Le biomolecole © Artquiz

ci. AlLre proteine contengono, oltre agli aminoncidi ! altri grnppi chimici o ioni metal­
lici, definiti cofattori, che sono necessari per la funzione biologica di tali proteine. I
gruppi chimici vengono definiti coenzimi, se si associano in via transitoria all'enzima,
come il uicotiuamide adeuin diuncleotide NAD + nelle deidrogenasi o gruppi proste­
tici se associati in modo permanente, mediante legami covalenti, come il gruppo eme
contenuto in mioglobiua ed emoglobina.

13.3.1 I vari livelli di struttura delle proteine


In una proteina si possono individuare vari livelli di struttura (Fig. 13.7).
Si chiama struttura primaria di una proteinn. la sequCit't.a degli aminoacidi che
la costituiscono (Fig. 13.7n.}. Tale sequenza è letta a partire dal gruppo aminotermi­
nale: infatti ogni ca.t<::nn. comincia con un gruppo amiuico e termina con un gruppo
carbossilico. La sequenza ha quindi 1111 verso che corrisponde anche all'ordine con cùi
naturalmente gli amiuoaddi sono monta.ti durante la sintesi proteica.
Poiché il legame peptidico contiene i gruppi >NH e >CO, il primo dei quali costi­
tuisce nn donatore di legame idrogeno e il secondo un accettore di legmne idrogeno, i
gruppi peptidici in una cnteuo. polipeptidica vos.•;orw sistemarsi m�llo spa¼io per for­
mare legami idrogeno tra loro. Le forme piìt comuni di queste strutture presenti nelle
proteine sono la cosiddetta o-elica destra (Fig. 13.7b} in cui il gruppo NH di 1111
aminoacido forma legame idrogeno con U gruppo CO del quarto aminoacido che lo
precede (o viccver�a il gruppo CO di nn aminoacido forma legame idrogeno con il
gruppo NH del quarto amit1oacido' che lo segue). questi legami idrogeno portnuo n.Ila
forma¼ioue di mm struttura elicoidale destra regolare.
Un'altrn. struttura regolare è quella del foglietto beta (Fig. 13.7b} nel quale i
legami idrogeno (sempre fatti tra gruppi NH e gruppi CO) è fatta tra catene pepti­
diche diverse quando le catene corrono in modo parallelo o quando corrono in modo
antiparallelo. La presenza di alfa eliche e di strutture beta in nua proteina costituisce
la struttura seco ndaria. La definizione della struttura secondaria delle proteine fu
in larga misura fatta da Linns Pauliug, per i cui studi ricevette il premio Nobel.
Ogni proteina lm. il suo contenuto tipico di struttura alfa-elicoidale e di struttura
beta. Se presenti, queste strutture sono connesse tra loro da tratti di sequenza non
ordinata: il modo con cui la catena polipeptidica si sistema nello spazio costituisce la
struttura terziaria (Fig. 13.Vc). Tale struttura corrisponde a quella carattcriz-iata
dnl minimo di energia libera (che si ottiene massimiziando le attrazioni e minimizzan­
do le repulsioni tra. i vari gruppi R idrofilici, idrofobici, carichi etc. e massimizznndo
l'interazione con il solvçnte) ed è quella che può ('A,;serc determinata sperimentalmente
sia attraverso la diffrazione dei raggi X del cristallo della proteina, oppure usando la
risonanza magnetica delln proteina in soluzione acquosa. Generalmente, g;ii aminoa­
cidi idrofobici tendono a raggruppé�rsi all'interno delle proteine, lontano -dall'acqua,
formando strutture molto compatte, mentre quelli idrofili tendono a rimanere sulla
superficie, dove formano un gran numero di legami idrogeno con l'acqua. I diversi
segmenti della catena possono essere mantenuti nella loro posizione ter¼iaria anche
da ponti disolfuro, sebbene questi siano abbastanza rari.
Tale struttura è responsabile della funzione della proteina in vivo, cd è denomina.:
ta struttura nativa, alla quale si contrappone la struttura disordinata, detta anche
denaturata. In altri termini struttura e funzione sono interdipendenti e questa è la
ragione per cui Lutte le muta�ioni che cambiano la natura degli aminoacidi e quindi la

234
© Artquiz CHIMICA

struUnra portano alla compromissione della funzione. Nella struttura terziaria posso­
no essere individuati anche domini, porzioni la cui struttura è indipendente da quella
di altri domini, nel senso che se gli altri domini fo�sero tolti il primo conserverebbe la
sua struttura {Fig. 13.7c).
·
Quando una proteina è costituita da due o piì1 catene polipeptidiche la relazione
spaziale tra queste catene costituisce la struttura quaternaria (Fig. 13.7d).

(a) Struttura primaria


-Ala - Glu - Val - Thr -Asp -Pro - Gly ·

(b) Slruttura secondaria


o elica
-.,.,,.,..,...

o
foglietto P. Dominio
J�

"'�&
'

Figura 13.7: I vari lfoelli di strnttura di una proteina.

La conformazione finale che una proteina assume in vivo è funzione solamen­


te della sua struttura primaria. Questa è la ragione per la quale le mutazioni dei

o
suoi amiuoacicli portano in genere a modificare la sua conformazione e quindi la sua
funzione biologica. La conformazione può essere cambiata anche per modificazioni
chimiche post-traduzionali {fosforila�ione, acetilazione, metilazione, ecc.), che av­
vengono cioè dopo la sua ,,;intesi. Queste modifiche avvengono spesso su segnalazione
che la cellula è capace di recepire mediante i suoi recettori esposti sulla membrana
( trasduzione del segnale). Altre modifiche conformazionali avvengono mediante l'in­
terazione con molecole piccole (ormoni, cofattori, ecc.).
Le proteine, come gli acidi nucleici, possono essere denaturate da mezzi fisici (calo­
re) o da mezzi chimici (pH, aggiunta di sostanze come l'urea, l'alcol, ecc.). In tal modo
perdono la struttura secondaria, terziaria ed eventualmente quaternaria e diventano
polipeptidi mobili strutturalmente (come gli spaghetti cotti).

13.4 Valori calorici di carboidrati, proteine e lipidi


Gli organismi, anche i pfo semplici, sono sistemi ordinati di molecole che svolgono fun­
zioni e necessitano di energia sotto forma di ATP. Inoltre le molecole che adempiono
le diverse funzioni (come ad esempio gli enzimi metabolici) vanno incontro a continuo
"turnover", cioè degradazione, in quanto danneggiate, e. biosintesi da precursori me­
tabolici, che a sua volta consuma energia. Per la maggior parte degli organismi esiste
poi. un periodo di "crescita", cioè di acquisizione di nuova massa vivente, che richie­
de biosintesi ed energia .addizionali. Vivere significa quindi assumere dall'ambiente
esterno le molecole che fungono da precursori biosintetici e da sorgenti di energia.
Queste molecole costituiscono i nutrienti e gli alimenti sono i materiali, introdotti
con la dieta, che forniscono i nutrienti. I nutrienti possono quindi ·essere distinti in

[J nutrienti plastici ed energetici, necmisari a sostenere, rispettivamente, i fabbisogni


biosintetici ed energetici.

235
Capitolo 13 Le biomolcçole @ Artquiz

Carboidrati (principalmente D-glucosio, ma nuche D-fruttosio e D-galattosio),


proteine (come fornitori di aminoacidi) e lipidi (come fornitori di acidi grassi e glice­
rolo) sono nutrienti energetici, in quanto ciascuno di questi nutrienti viene nelle cellule
ossidato ad acqua e anidride cn.rbouica fornendo energia immagazzinata sotto forma
di ATP. L'ossidazione intracellulare dei nutrienti energetici è un processo complesso,
che avviene attraverso nùmerose reazioni. È comunque possibile misurare il conte­
nuto energetico di questi nutrienti in chilocn.lorie (kcal) sottoponendoli a ossidazione
completa in una bomba caloriruetrica, cioè in un apparecchio che consente la misura
del calore prodotto dalla loro combustione mediante la determinazione delPaumento
di temperatura di una massa di acqua in cui la camera di combustione è immersa.
Si ricorda che 1 kcal è la quantità. di calore-energia necessaria ad innalzare da 14,5 a
15,5 °C 1 kg di acqua. A livello internazionale è raccomandato impiegare come unità
di misura delPenergia il chilojoule e 1 kcal = 4,186 kJ. I valori ottenuti mediante la
calorimetria diretta, cioè mediante la. bomba calorimetrica, sono:
• carboidrati (glucosio) 4,1 kculfg;
• proteine (aminoacidi) 5,4 kcal/g;

• lipidi (trigliceridi) 9,3 kcal/g.


I trigliceridi sa.turi producono una quantità di energia. leggermente superiore a
quella degli insaturi (a causa di un numero minor� di atomi di idrogeno nella mole­
cola degli insaturi e quindi ad un numero minore cli molecole d'acqua prodotte nella
loro combustione).
Tuttavia, nel ca.c;o delle proteine, la loro ossidazione alPinterno delle cellule por­
ta alla liberazione di NHa, che viene poi organicata uelPurna mediante un proces.<;o
richiedente euergfo.. Inoltre ln digestione degli alimenti nel sistema digerente implica
anch 1esso un dispendio energetico, per cui si considera che la produzione netta di
energia o equivalente energetico dei nutrienti è:
• 4 kcal/g per i carboidrati;
• 4 kcal/g per le proteinei
• 9 kcal/g per i lipidi.
Utilizzando questi valori è possibile calcolare il contenuto energetico di un alimen­
to, che è dato dalla somma elci contenuti energetici dei suoi nutrienti energetici.
È opportuno ricordare che carboidrati, lipidi e proteine, assieme ad altre composti
come le vitamine, l'acqua, i sali minerali etc., sono anche nutrienti plastici ..r
·,'1

236
[ PARTE V
BIOLOGIA

CElLULl -r-. ,e �Vi) _, 9R.6AN, -• APP(tf¼ti

Capitolo 1
Istologia, anatomia e fisiologia

d 1.1 Cellule, tessuti, organi e apparati


Vorganizzazione dì nn organismo può essere paragonata a quella di una società. In
tale parallelismo, i singoli individui che compongono le società sono le cellule; cel­
lule simili per fun7,ione e struttura si organi7,zano a formare dei tessuti (si pensi,
ad esempio, ai medici e agli infermieri cli nna specifica unità operativa); nn insieme
o di tessuti si organiz7,a a formare nn organo deputato ad nna specifica funzione (si
pensi ad uno specifico reparto costituito da più unità operative); un insieme di organi,
infine, coopera a svolgere nna determinata funzione organiz:mndosi in un apparato
{] (quindi diversi reparti costituiBcono Pospedale la cui funzione è quella di curare gli

o
stati morbosi dei pazienti).
Vacqua è il principale cm,titncnte cli nn organismo, nel corpo umano ( e quindi

o
nei suoi tessuti) il contenuto medio di acqua è tra il 60 e il 70%. Tutte le cellule, di
qualsiasi organismo e di qualsiasi tipo, contengono come elementi chimici prevalenti
il carbonio, Pidrogcno e Possigeno.
. In questò capitolo tratteremo dello studio dei tessuti (disciplina che prende il nome
di istologia) e degli apparati, soffermandoci sulla descrizione degli organi che li com­
pongono (disciplina nota come anatomia) per poi trattare del normale funzionamento
delPorganismo (disciplina nota come fisiologia).
I principali tessuti sono di quattro tipi: epiteliale, connettivo, mus colare e
nervoso. Di seg1dto elencheremo brevemente le principali caratteristiche di ciascuno
di questi.

\ 1.1.1 Tessuto epiteliale


Il tessuto epiteliale è composto quasi esclusivamente da cellule. In esso le cellule
aderiscono strettamente le une alle altre e si dispongono a formll.rc foglietti, tubuli o
cordoni solidi. Esso comprende gli epiteli di rivestimento e gli epiteli ghiandola­
ri. I primi rivestono tanto la superficie esterna deIPorganismo, quanto le cavità interne
degli organi. I secondi sono costituiti da cellule dotate della funzione secretoria, tanto

237
;: l·
@ Artquiz
• 'I'

• I
•,,j tl'
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia
;.J i.
rl:i:'�
endocrina .(ovvero secernente sostanze che vengono immesse all'interno del torrente
.. ematico o iu liquidi presenti uell'iutersti�io fra le cellule) quanto esocrina (ovvero se­
l)
cernente sostanze che vengono immesse all'esterno del corpo o in cavità comunicanti
.! con l'esterno, ad esempio nello stomaco). Un aspetto caratteristico delle cellule epi­
.'
'' teliali è di essere polarizzate: la superficie apicale è diversa dalla superficie basale .

,li
I'

Per esempio le cellule dell'epitelio intestinale hanno sulla superficie i microvilli ( che
servono ad aumentare la superficie di sc�mbio con l'esterno). 'Iì'a le cellule epiteliali
li ci sono speciali connessioni come i desrnosorni.

!I
(
I SEMPLICE I
!I '!I
. [
:i
J1

I
i


Squamoso Cubico Cnindrlco Pseudostratificato
cilindrico

Squamoso Cheratlnizzato Cubico Cilindrico


non cheratintzzato
I TRANSIZIONE I
I
1
,;.I
i Transizione
I, (disteso)

Fignra 1.1: I diversi tipi di epiteli di rivestimento.

1.1. 2 Tessuto connettivo


Il tessuto connettivo ha la funzione di connessione funzionale e strutturale dei
tessuti, di riempimento degli �pazi tra un tessuto e l'altro e di sostegno. È composto
li · non solo da cellule, ma anche da abbondante matrice extracellulare (prodotta dalle
·,:l cellule e costituita da proteine come il collagene, glicoproteine e polisaç'caridi come
I
•L
l'acido ialuronico) che svolge diverse funzioni, fra cui quella di supporto meccanico,
donando resistenza alle forze ten8ili e compressive alPorganismo.
I principali tipi di cellule del tessuto connettivo sono i fibroblasti, i coudroblasti,
i' i macrofagi, i mastociti e gli aclipociti. Il tessuto connettivo (Fig. 1.2a) può essere
I
ulteriormente suddiviso in:
Jl • Connettivo propriamente detto (lasso, composto da poche fibre e molte
cellule e denso, composto cla molte fibre e poche cellule);
• Connettivo di so stegno, quali il tessuto cartilagineo e quello osseo;

238
@ Artquiz BIOLOGIA

• Connettivo a funzione trofica, come il sangue e la linfa.

Il collagene (o collageno) è la proteina più abbondante nei mammiferi ed è la


principale proteina del tessuto connettivo. Ha un peso molecolare di circa 300 kDa e
' forma una struttura molto lunga e sottile, di 14 x 3.000 A. La molecola di collagene è
formata da tre catene polipeptidiche avvolte in una struttura superelicoidale d�strorsa
stabilizzata da interazioni idrofobiche. Ogni catena contiene circa 1.000 residui e
presenta una strnttma secondaria unica, formata da un'elica sinistrorsa con tre residui
per giro {F'ig. 1.2b). II collagene è costituito per il 35% di glicina e per il 21 % di
prolina {in parte poi trnsformata in idrossiprolina). Molte molecole di collagene si
associano in modo sfalsato a formare le fibre di collagene, in cui le interazioni vengono
stabilizzate da legami covalenti crociati.

(a)

\�
\:

Nucleo ,l,
_/..f '.!:4'{f.)_�\.
::t�r.�--1:�'. i�, della cellula
•.li 1..- ,, '. ,.,,,, .
.,,

,.,_,· .:.., -,-,)j :,;t;ilì-..� Fibre di


't-�(\�{?){.{i
Tessuto connettivo fibroso
collagene
(forma lendini
e legemenli) Cellula
Fibra di IIWIJ:
collagene
Fibre
elasliche osseo

Figura 1.2: (a) I diversi tipi di tessuto connettivo; (b) il collagene.

239
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia @ Artquiz

1. 1. 3 Tessuto muscolare
ll tessuto muscolare, che condivide la sua origine embriologica con quello connetti­
vo, è costituito da cellule dotate di attività contrattile. Esso può essere distinto in due �
principali tipi in base alle sue proprietà ottiche all'osservazione al microscopio, che
riflettono la diversa organizzazione degli elementi contrattili all'interno delle singole
cellule muscolari:
• Tessuto muscolare striato. È caratterizzato dall'alternanza di bande chiare e scure
che si alternano lungo l'asse maggiore della fibra. Esistono due tipi principali di
tessuto muscolare striato: il muscolo striato scheletrico (responsabile del movimento ·;
volontario) e il muscolo striato cardiaco (responsabile della contrattilità cardiaca).

q
L'unità contrattile del muscolo striato è il _sarcomero, costituito da due tipi di
filamenti, l'act ina e la miosina.
• Tessuto muscolare liscio. Le cellule sono prive. di striature, sono innervate dal
sistema nervoso autonomo (Biologia, § 1.10.1) ed è responsabile della contrazione
involontaria dei visceri.

Figura 1.3: A sinistra, il tessuto muscolare striato,· a destra, queUo liscio.

1. 1.4 Tessuto nervoso


Il tessuto nervoso è costituito da due tipi principali di cellule altamente differen­
ziate: i neuroni e la glia.
I neur oni sono cellule specializzate a generare, condurre e trasmettere l'impulso
net·voso. Quest'ultimo consta di una variazione rapidissima del potenziale di membra­
na (potenziale d'azione) che si genera spontaneamente o a seguito della stimolazione
della cellula nervosa. I neuroni sono costituiti da un corpo centrale o sgma, detto
pirenoforo, contenente il nucleo circondato da citoplasma. Il soma si •espande in
prolungamenti arborescenti, detti dendriti. I più lunghi fra i prolungamenti (di so­
lito unici) di ciascun neurone sono detti neuriti o assoni. La loro lunghezza può
assumere valori macroscopic;i (fino a un metro). I neuroni non prendono stretto con­
tatto gli uni con gli altri, se non in particolari zone specializzate dette sinapsi.
Le cellule della glia, invece, sono in stretto contatto con i neuroni e ne avvolgono
sia il pirenoforo che i prolungamenti.
Le cellule del tessuto nervoso hanno la caratteristica di non proliferare e di non
riprodursi ulteriormente (cellule post-mitotiche).

240
© Artq11iz BIOLOGIA

1.2 Apparato tegumentario

L'apparato tegumentario è costituito dalla cute e dagli annessi cutanei. Le funzio­


ni dell'apparato tegumentario sono quelle di dividere mediante una struttura resistente
l"ambiente interno dall'ambiente esterno, prevenendo danni di natura fisica, chimica
e meccanica, infezioni e disidratazione. Inoltre, l'apparato tegumentario ha un ruolo
importante nella termoregolazione.

1.2.1 Cute e annessi cutanei


La pelle o cute è l'organo del corpo umano di maggiore dimensione. Essa consta di
due componenti, una epiteliale ( epide1mide, è la parte superficiale) e una connettivale
( denna, è la parte più profonda).
L'epidermide è un foglietto epiteliale costituito da diversi strati di cellule appiat­
tite a formare 1111 epitelio pluristratificato. Le cellule che costituiscono questo epitelio
vengono chiamate cheratin ociti. · L'epidermide è soggetta a un continuo ricambio,
per cui si assiste ad un continuo flusso di proliferazione e maturazione cellulare passan­
do dagli strati più profondi a quelli piii superficiali. Lo strato basale, ovvero quello
piil profondo, dell'epidermide è costituit.o da una sottopopolazione cherutinocitaria
dotata di capacità proliferativa e responsqbile della sostituzione delle cellule morte
che desquamano dagli strati più superficiali (negli anfibi la pelle non è fatta a squame
mn. presenta uno strato corneo, che viene perso a brandelli). Lo strato basale pog­
gia su di una matrice extracellulare, detta membrana basale. Mano a mano che
le cellule si avvicinano alla superficie si riempiono di proteine del citoscheletro ( che­
ratine), si appiattiscono, muoiono e sfaldano dallo strato piit superficiale della cute
(strato corneo). In questo processo, perciò, le cellule si tro.sformano in lamelle cornee
desquamanti.
Nell'epidermide troviamo anche i melanociti, incaricati di prodmre melanina, re­
sponsabile della pigmentazione cutanea e dell'assorbimento di radiazioni ultraviolette
nocive, oltre a cellule del sistema immunitario.
Il derma è costituito da connettivo fibroso contenente due componenti della ma­

o
trice { collagene ed elastina) capaci di dare resistenza tensile cd elasticità alla cute.
Nel derma si trovano anche i vasi sanguigni che forniscono le sostanze metaboliche
all'epidermide, non altrimenti vascolarizzata e terminazioni nervose responsabili della

o
sensibilità tattile, dolorifica e termica.
L'ipoderma o connettivo sottocutaneo è lo strato che si trova sotto il derma ed è
costituito da connettivo lasso contenente adipociti (cellule specializ�ate ad accumulare
lipidi di riserva). Il suo spessore è variabile (massimo nel palmo della mano e nella
pianta dei piedi).
Oltre alla cute, l'apparato tegumentario consta di diversi annessi cutanei, in par­

o
ticolare, peli e capelli che sono derivati epidermici corneificati, affondati profonda­
mente in rientranze modificate della superficie cutanea dette follicoli piliferi.
Anche le unghie sono da com;iderarsi un derivato cutaneo. Nell'uomo esse sono
costituite da un tavolato di cellule epiteliali cheratinizzate.

D Oltre a peli e unghie, anche diverse ghiandole costituiscono gli annessi cutanei.
Fra esse ricordiamo le ghiandole sebacee, deputate a produrre sebo, una sootanza
composta di lipidi, cere e frammenti di cellule ghiandolari morte che lubrifica la cute,
i peli e i capelli. Generalmente esse sono localizzate nelle zone di cute ricoperte da
peli e immettono il loro secreto nei follicoli piliferi. Infine, le ghiandole sudoripare

o 241
· G�pitqlo _ 1 Istologia, anatomia e fisiologia
© Artquiz
i Jr�J�>�\::-_ - - -- - .:_:
"if,�U�3-�·:'.:-·,.- ·• -'é:hci s'iolgòno un importante ruolo nella termoregolazione. I-e ghiandole ma11:1mari�
_
costituiscono anch'esse un annesso cutaneo e vengono constderate da ,1lcum a.uton
delle ghiandole sudoripare modificate. L'o:-chera.tina. è il principale costituente dello
strato corneo dell'epidermi.de, delle unghie, capelli e corna nei mammiferi. Ha un
peso molecolare di circa 45 kDa ed è formata da una catena lunga 450 À in o:-elica
che si associa a formare dimeri, i quali a loro volta si associano tra loro e sono stabi.­
lizzati da numerosi ponti disolfuro per formare il protofilamento e successivamente la
protofibrilla.

;it
.,1
J
·t

oe,me

Eplde,mlde

lpode,ma

oe,me
·}
Stiato eplnoso
Cellula di Me,kel
Cellute Lenge1hens
Melenoclla
sI,e10 basale
Memb,ene besele
_,,
Vaeo eangulgno

PELLE SPESSA PELLE SOTTILE

Figura. 1.4: Cute e annessi cutanei. l

1.2.2 Patologie dell'apparato tegumentario


Una. condizkm<' patologica cubitwa. comune è Peritema. un t\.rrosimmento della pelle
generato dàlla dilati\.'l.i.onc dei vasi art.criosi dovuta a cause diver�c, hi piit comune
delle quali è fa. sovraesposizione ai raggi sofa.ri. Un'altra patologia della pelle e delle
mucose, spcci.almcntc delle lahbrn o degli organi genitali, è l'infezione erpetica
dovuta. al virus Herpes simplex.

1.3 Apparato locomotore

L'apparato locomotore è costi.tnito dall'apparato scheletrico, dall' an,arato arti­


colare e dall' an,arato muscolare. L<! sm· fnnzi.oni sono quelle di Hostegno, movi­
mento, prote-.ti.one degli organi interni e, nel caso tlcll'a.pparuto scltclctrico, supporto
dell'em ofosi e deposito cli minerali.
_ f
�{lo�� �l �._ffl�'\O� t)( � �N6(.J\f:N$
1.3.1 Apparato scheletrico
L'apparato scheletrico umano è costituito da ossa fuse e indivi.duali, Tali rn,sa sono
�nite da legamenti �-fÙ-ngoiiO da i;ito di ancoraggio pè{tendini, muscoli ..Ò -cartilagini.

242
© Artquiz BIOLOGIA

Nt>i vertebrnti, Io scheletro è contenuto all'interno del corpo, ricoperto da tessuti molli
e prende pertanto il nome <li endoscheletro.
Le ossa constano di una matrice connettivale (costituita da proteine e glicosami­
noglicani) mineralizzata da cristalli di idrossiapatite: Ca10{P0,1)6 (0H) 2 . Le cellule
'deputate alla deposizione di nuovo osso sono dette osteobla sti, mentre quelle depu­
tate al suo riassorbimento prendono il nome di osteoclasti. Osteoblasti intrappolati
nell'osso in seguito alla produzione di matrice ossea mineralizzata prendono il nome
di osteocitì. Le ossa sono in continuo equilibrio fra attività di deposizione e riassor­
bimento, iu uno stato che viene chiamato rimodellamento osseo.
- Da un punto di vista anatomicò distinguiamo un osso compatto e un osso
trabecolare o spugnoso. Il primo è così chiamato poiché è pressoché privo di spa-
\\
zi e lacune. Dona l'aspetto bianco, solido, liscio alle ossa ·e costituisce 1'80% circa \
della massa ossea totale. Il secondo ha un aspetto spugnoso e costituisce circa tL

__
20%_1.·iman ent� -���l_a., ��s a -��e��:'-��9.?-����?a 10 vol'fe pin-snperncre·-arqùcllo
-
compatw:----- --·----------····-·
.. . . . - · • .

Tessuto osseO'
compatto
Diafisi

Tessuto
connettivo
fibroso
Epifisi [
1tl'l.t�..,,J' Cartilagine sanguigni Figura 1.5: Osso spugnoso
e osso compatto.

Lo scheletro <li un individuo adulto consta di 206 ossa. Anatomicamente si


distinguono:

• Ossa lunghe, che sono costituite da una porzione centrale allungata, <letta dìaflsì,
costituita da osso compatto, cavo al centro a delimitare il canale midollare, e due
estremità più rigonfie, <lette epifisi, costituite da uno strato più sottile di o:,-so
compatto che racchiude l'osso trabecolare.

• Ossa corte, che hanno forma grossolanamente cubica, e sono ricoperte da un sottile
strato di osso compatto che riveste l'osso spugnoso. Esempi sono le ossa del polso
e della mano.

243
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia © Artquiz

• Ossa piatte, che sono ge11en1lmc11tc ricurve, e costituite da due strati di osso
compatto che delimitano l'osso spugnoso. Esempi sono le ossa del cranio e lo sterno.
• Ossa irregolari, che nou possouo essere classificate con i criteri esposti in prece­
denza. Sono costituite da osso compatto che delimita l'osso spugnoso. Esempi sono
le vertebre e l'anca.
Lo scheletro può essere distinto in assile (colonna vertebrale e gabbia toracica),
appendicolare ( arti s1iperiori e inferiori) e cranio.

l 1ero
Oseo piatto
Osso Irregolare
"!

Osso Suture
suturale

Oeeo lungo

Osso
seeamolde
Oeea euturall
(it) / divc1'SÌ tipi di OH.�rJ.
Osso
parle�ale

Costole

1:I
i
Vertebra toracica (12)
i
I costola falsa (3)
I
Grande Prima falange
lroncantere Seconda falange
Terza falange
Còndilo lat�rale
del femore

Calcagno

Vista anteriore Vista posteriore


( b) Lo scheletro umano.

I 244
i
@ Artquiz BIOLOGIA

�/
:/
·/
:,,w,':
'I'Il svolge la funilone di soslegno el oorpo
I proleilone degti orgenl lnlemlI
/
t/

.-7 1Artlcol82ioniI
)
movimonto

dlslinle pe, forme in deposllo sostanie

I produzione cellule del sangue I


lunghe

piatte parte essiole

4( cosliluila da

formali do formall do

!omero I� �I fem� I I 1oe68noeelll


I ulne gombe � I meeceaa I
I radio piede perone j I mendibole I


I melalelso Figura 1.6:
felengel18 I lelengl
oolonne vertebrale
Il sistema
vertebre scheletrico.

Scheletro assile
La colonna vertebrale com;ta di 24 vertebre articolo.te fr a loro e 9 vertebre fuse. In
particolare, distinguiamo 7 vertebre cervicali, 12 vertebre toraciche, 5 vertebre lom­
bari, 5 fuse a formare l'osso sacro e 4 vert.ebre fuse a form11rc il coccige. Le vertebre
articolano fra di loro mediante un disco articolare fibrocartilagineo e delimitano un
cnnnle vertebrale all'interno del quo.le è contenuto'il midollo spinale. I dischi interver­
tebmli hanno anche la funzione di ammortiz�are i colpi che possono essere trasmessi
al crnnio. Fì·a due vertebre <a�itfcM1'ii si vengono a formare dei forami intervertebrnli
attraverso cui passano i nervi e i vasi spinali. L'osso sacro, il coccige e le <lue ossa
delle anche formano la cintma pelvica (vedi infra).
- Le ossa dell'anca derivano dallo. fusione di tre ossa: l'ileo, l'ischio e il pube.
La vertebra è costituita da un corpo vertebrale e da un arco vertebrale (apofisi,
processi spinosi) che delimitano il foro 1Jertebmle entro il quale viene a trovarsi il mi­
dollo spinale.
Le prime vertebre cervicali prendono il nome <li atlante (che articola con la base
cranica) ed epistrofeo.
Le vertebre toraciche articolano con le costole e contribuiscono con esse e con lo
sterno a formare la gabbia toracica. Quest'ultima è delimitata inferiormente dal

245
Capitolo 1 Istologia, anatomia e .fisiologia © Artquiz

diaframma e superiormente dallo stretto toracico superiore e protegge organi vitali,


t quali cuore, polmoui e grandi vasi. L'uomo possiede 12 paia di costole articolate po­
steriormente con le vertebre. Fra queste, distiuguiamo 7 costole vere che articolano
anteriormente con lo sterno, 3 spurie che si fondono anteriormente cou la cartilagine
del 7° paio e 2 fluttuanti che nou raggiungono lo sterno anteriormente e che si artico­
Ì:f,
L· lano con l'undicesima e dodicesima vertebra toracica.
J Il cranio è il complesso osseo presente nella testa dei mammiferi le cui funzioni
,;
'I
,I
sono quelle di proteggere cervello, cervelletto e tronco encefalico e di alloggiare orgaui
lj
sensoriali, quali occhi e orecchie, naso e lingua. Generalmente viene distinto in neu­
rocranio (contenuto nella volta crauica e contenente le strutture nervose della testa)
e splancn ocran io (ricompreso sotto alla fronte e comprendente organi sensoriali).
Esso è costituito da ossa piatte m1ite fra loro da articolazioni fibrose dette suture
.[ che tendono a chiudersi con l'avammre dell'età. Le eccezioni sono rappre"sentate dalle
Jl
>
articolazioni t.empuru-mandibolari.

·i I Il neurocranio è costituito da osso o ccipitale (che si trova nella parte posteriore


del cranio), sfenoide, ossa parietali, osso frontale, etmoide, ossa temporali; lo splanc­
� nocraniq è costituito da: ossa nasali, ossa mascellari, mandibola, osso ioide, ossa

,'� zigomatiche, o.-;sa palatine, ossa lacrimali.
> ·t Infine, il cranio è connesso alla colonna vertebrale t,ramitc l'articolazione oecipito­
ì I
atlantoidca.

•. Osso p arlatale Osso lrontale


7 vonebce Foro sopraorbllele
:::----_,. · Sulura coronale
i cerv1ce11 '-
I
H
12 venebce Fessure orbitarla
docsell lnlerlore

5venebce
'Ornbad Cornello nasale
medio
Lamine perpendicolare
Vomere delrosso etmoldeo
Preluberenze mentoniere
delle mendlbola

l .•.
-,
'f

,,r etecno�

coste�

1_PIOC8SSO
xlloldeo
Figura 1.7: In alto, la colonna vertebrata e il cranio.
A sinistra, la gabbia toracica. Essa è formata da 24
costole, dallo sterno e da 12 vertebre,

246
© Artquiz BIOLOGIA

Scheletro appendicolare
Lo sterno, insieme con le clavicole e le scapole, va a costituire una congiunzione fra
lo scheletro assHe e le ossa degli arti superiori, che prende il nome di cingolo scapo-
· lare (o cintura scapolare). In purticolaxe, l'articolazion e acromio-clavi.colare {fra
scapola e clavicola), l'articolazione sterno-clavicolare e l'articolazione scapolo-omerale
assolvono questo compito. L'osso sacro articola con le ossa dell'anca e contribuisce
con esso a formare il cinto pelvico, che permette di collegare lo scheletro assile alle
ossa dell'arto inferiore.
L'arto superiore è costituito da:
• Omero: è un osso lungo che costituisce lo scheletro del braccio, articola supe1ior­
mente con la scapola e inferiormente cou radio e ulna.
• Radio e ulna: sono due ossa lunghe che costituiscono lo scheletro dell'avambraccio,
articolano superiormente con l'omero e inferiormente con le ossa della mano {carpo).
Il radio è posto esteriormente e l'ulna è più vicina alla linea mr,diana del corpo.
• Mano: è costituita da 27 ossa, suddivise in:
a) Carpo: formato da 8 ossa piccole disposte su due file (quella che nrticola
con l'avambraccio comprende: sqlfoide, semilunare, pirnmi.dale e pisiforme,
mentre la seconda: trapçzio, trapuzoi<le,· co.pitnto e uncinato).
b) Metacarpo: formato da 5 ossa lunghe che si articolan o con il carpo e con le
falangi.
c) Falangì: costituiscono lo scheletro delle dita e si dividono in falangi prossimali,
medie e distali. L'un ica eccezione è costituita dal pollice per il quale esistono
solo una falange prossimale e una distale.

J
Ossa Osso navlcola'8
del carpo � �c;roldel Osso sernllma'8
lub8fcolo � - -� Osso plremlclala
osso 1,epeilo � '' ' • Osso pisiforme Ossa
a suo
lube,colo · �m!JI"'!LiW- ::-- Osso capllelo del carpo
Osso 1J1ciJ1Blo
0sso bapeioldo IR.::
. . 11:!1· · e suo unàno
/.
Ossa -S8S8
S8S8moldl -OIJ)I� Ossa meleca,pall
Tesla
Basa
-Corpt� Fel8fl91 posslmaa
·Tesi
,Base
.Corpi� Felangl medie
tesla
�� Falangi
� dlslell
'Tube1osDà
Tesla

Figura 1.8: L'arto superiore.

L'arto inferiore è costituito da:


• Femore: è un osso lungo che costituisce l'osso della coscia, articola superiormente
con l'anca e inferiormente con la tibia.

247
q
I
j�ll!
'
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia

• Tibi a e pero ne: sono ossa lunghe che costituiscono lo scheletro della gamba. La
· tibia articola superiormeute con il femore, lateralmente con il perone e anterior­
mente con I� patella (o rotula) e inferiormente (insieme al perone) con le ossa del
@ Artquiz

l piede.
• Piede: è costituito da 26 ossa, distinte in:
a) Tarso: costituito da 7 ossa disposte su due file (una posteriore contenente
l'astragalo e il calcaguo e una anteriore coutente tre ossa cuneiformi, lo scafoide
del piede e l'osso cuboide).
b) Metatarso: costituito da 5 ossa lunghe che articolano posteriormente con il
tarso e anteriormente con le falangi.
e) Falangi: distinte in prossimali, medie e distali, in analogia a quelle della mano.
Anche in questo caso l'alluce è provvisto di due sole falangi.
:

I
1,
li
'1
li Artlcolazlone tarsale trasverse
lj Telo (o astragalo)
li
II
.Osso navicolare (o scafoide)
Intermedio
Lalerale
Processo lalerale rtlcolazlone tarso-melalersele
Processo posteriore _�· �
� n�sa metalersell
seno del larso
0 Falangl
C1po f�
Tuberoskà '·
Troclea
peronea
Calcagno
Solco perii
terdlne del / Tuberosità'
muscolo
peroneo lungo
Solco peri·1 ten dtn·e
del muscolo peroneo lungo
ieletereo

Figura 1.9: L'arto inferiore.

1.3.2 Apparato articolare


L'apparato articolare è formato da tessuto cartilagineo e connettivo fibroso or­
ganizzato irt strutture, dette articolazioni, il cui compito è unire le ossa fra loro
permettendo il movimento. I capi articolari sono mantenuti in sede e con11essi da un
J

complesso sistema di fibre connettivali che vanno ad organizzarsi in capsule' artico-


lari e legamenti.
Le articolazioni possono essere distinte, sulla base della loro escursione in tipo
mobile (ad esempio l'articolazione della spalla), semimobile (fra le vertebre) o fis­
so (ossa del cranio).
Le articolazioni possono ancora distinguersi in sinartrosi e diartrosi:
• Le sinartrosi sono giunzioni fra capi articolari continui. Le suture craniche fanno
:,'I parte di questa categoria. Il movimento fra capi articolari in questo caso è molto
.� ridotto.
t
i 248
© Artqni?: BIOLOGIA

• Le diartrosi sono gi11n7.ioni fra capi articolari contigui. Le por7.ioni dì osso che
vengono in contatto fra loro nelParticolazione sono protette esternamente da un
sottile strato cartilagineo le cui funzioni sono quelle dì: favorire lo scorrimento dei
capì articolari, provvedendo una superficie articolare liscia, e di fornire resistenza
· alle forze compressive. Nel caso in cui i capi articolari non siano perfettamente
corrispondenti, le discordanze vengono eliminate dalla presenza di menischi fibro­
cartilaginei. Inoltre le articolazioni sono avvolte in una membrana detta sinoviale
che secerne un liquido lubrificante (liquido sinoviale).

t •.·. . .

· • ..,1,�·"'.;.�
.
Fignra 1.10: Diartrosi:
1. enartrosi;
2. condiloartrosi;
.'-J. a sella (o pedartrosi);
4. ginglimo angolare (o trocleoartrosi);
5. ginglimo laterale (o trocoidi) .

1.3.3 Apparato muscolare


I muscoli si dividono in volontari e involontari. I primi costituiscono la mnsco­
latma scheletrica, mentre i secondi coi;tituiscono la mnscolat.ura liscia e il mm,colo
cardiaco. La muscolatnridiscia riveste e pennette la contrazione degli organi interni,
come l'intestino, l'utero, la vescica e i vasi sanguigni. I muscoli volontari si contrag­
gono attraverso il sistema nervoso periferico somatico, mentre quelli involontari
si contraggono gTa¼ie al sistema periferico autonomo.
Il tessuto muscolare è costituito da cellule specializxate ed eccitabili, chiamate
fibrocellule o fibre muscolari. Al loro interno sono contenute le miofibrille che sono
le componenti contrattili della fibra muscolare. In esse si può osservare un > ulternanza
di bande chiare (bande I) e scure (bande A). Le bande I sono divise in due da una
linea Z. Il tratto compreso tra due linee Z adiacenti si chiama sarcomero ed è l >unità
ripetitiva della mfofibrilla.
L >apparato musc olare scheletrico indica l'insieme dei muscoli di una specie che
ne permette il movimento. Esso è determinato dalla contrazione e dal rilassamento di
coppie cli muscoli, che per questa ragione sono detti antagonisti. Uno viene eccitato
e contratto quando l'altro è rilassato ed esteso. Il movimento muscolare in generale è
controllato dal sistema nervoso. I �nscoli (e altri tessuti come il ghiandolare) sono un
tessuto effettore perché attivato da fibre nei·v(?Se afferenti. I nervi, o neuroni motori,
prendono contatto con i muscoli mediante la terminazione presinaptica e le giunzioni
specialiw.ate che prendono il nome di placche neuro-muscolari o placche motrici.
Quando un poten¼iale di azione giunge alla placca neuromuscolare, il neurotrasmetti­
tore acetilcolina contenuto nelle vescicole, presenti nel citoplasma della terminazione
nervosa, viene rilasciato nello spazio compreso fra la membrana plasmatica del neu­
rone e quella del mm;colo. L'acetilcolina si lega, quindi, ai recettori presenti sulla
membrana plasmatica delle cellule muscolari ( miociti ), induce in essi la liberazione
di ioni calcio dal reticolo sai·coplasmatico che provoca la contrazione. Quest >nltima è
dovuta principalmente all'a1.ione di due proteine: la miosina e l'actina che scivolano

249
Capitolo 1 Istologia, anat,omia e fisiologia @ Artquiz
o
l'una sull'altra a spese di grandi quantità di ATP (la miosina è capace di idrolizzare
ATP per modificare la sua conformazione tridimensionale).
Le fibre muscolari si distinguono in fibre rosse (più ricche di mioglobina nel loro
citoplasma) e fibre bianche, perché povere di mioglobina. Le prime sono anche dette
fibre lente, perché danno luogo a contrazioni lente ma durature, mentre le seconde
fibre veloci, perché danno luogo a contrazioni rapide ma assai dispendiose. Sulla base
del contenuto di mioglobina (che è una proteina di deposito di ossigeno) si può de­
durre che le prime consumano molto più ossigeno.
I muscoli hanno depositi di ATP di scarsa entità e pertanto debbono rapidamente

rigenerare ATP a partire <la ADP; per facilitare tale convcn,ionc essi sono ricchi di
fosfocreatina, molecola capace di favorire la rapida rigenerazione di ATP. A riposo la
i' maggior parte di ATP richiesto viene prodotto ( da glucidi e/o acidi grassi) in maniera
aerobin, a livello mitocondriale. Data la grande quantità di ATP degradata dai mioci­
I
r ti essi souo molto ricchi di mitocondri rispetto ad altri tipi cellulari. Durante attività
fisica la quantità di ATP prodotto mediante mctabolis1i10 aerobio dipeud<:: dal grado
di allenamento dcll'iudividno, dall'intensità e <lalla durata dell'esercizio. Nel cnso in
cui le capacità di produne ATP mediante metabolismo aerobio siano sopravanzate
dalle richieste metaboliche del muscolo, queste ultime Ra.ranno soddisfatte dalla glico­
lisi 'anaerobia, con acidifica¼ioue dell'ambiente mn8colare e pro<lu¼ione di metaboliti,
quali acido latt;ico (vedi fonncutaiionc lattica, nella quale l'acido piruvico è ridotto
ad acido lattico per riosi;idarc il NADH a NAD + ; Biologia, § 4.2.2), che aumentano
l'affaticamento o quindi il dolore mn8colare. Per riclurrc il dolore, il muscolo viene
rilas..•m.to mediante il massaggio: in tal lllodo l'acido lattico p\lÒ essere allontanato clal
torrente circolatorio.
Viste le alte richieste metaboliche dei mu8coli, essi sono riccamente vn:--colariz1,ati
da arterie e drenati da vene che generalmente corrono parallelamente ni nervi, respon­
sabili della regolazione del movimr.nto volontario del muscolo innervato. In aggiunta,
i movimenti che nn determinato muscolo è in grado di imprimere ai capi articolari
dipendono dai sil:i di inHerzione clei muscoli stessi 8\1 lle oi-sa dello i-cheletro.
Al fine di spiegare i movimenti nmi-colari, descriviamo diversi piani immaginari
che attraversano il corpo (Fig. 1.11):
•. Piano sagittale o mediano: attraversa il corpo lungo la linea mediana in senso
antero-posteriore.
• Piano frontale o coronale: è un piano verticale parallelo alla fr onte, che attra­
versa il corpo latero lateralmente, è perpendicolare al precedente e divide il corpo
in metà anteriore e posteriore.
• Piano orizzontale o tr.asversale: è nn piano, perpendicolare ai precedenti, che
divide il corpo in dne metà (superiore e inferiore). .�
In particolare, dic,tinguiamo movime�ti di: /
1. Abduzione (dal latino ab ducere, co1Ìdurre da), indica un movimento di allonta­
namento dal piano mediano e quindi dnl tronco.
2. Adduzione (dal latino ad ducerè, condurre a), indica un movimento di avvicina­
mento al piano mediano e quindi al tronco.
3. Intrarotazione: indica un movimento di rotazione ver:-io il piano mediano.
4. Extrarotazione: indica un movimento di rotazione in allontanamento verso il
piano mediano.

250
© Artquiz. BIOLOGIA

-_ I PillJIO Fronli!le
/

t, � _,I
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'-\,0_.,J::�
7- 4.: '·.. -, .:::.:,_
IPleno
T<esve<sale

l )I
,21;t.\ : ,-

Pieno
Seg'llele
Figura 1.11: Rappresentazione dei piani anatomici.

5. Flessione: indica \ > avvicinamento, mediato da una o più articola:�ioui, delPe­


stremità piì1 lontana di un distretto corporeo a quella più vjcina del segmento
contiguo.
(5. Estensione: indica. l > allouta.uameuto, meclia.t.o da mm o più articolazioni, delPe­
stremità più lontana. di un distrct.to corporeo a quella più vicina del segmento
contiguo.
7. Circonduzione: movimento rotatorio cli un arto attorno alla propria. articola­
zione. Si tratta di un movimento tipico delle enartrosi ( es. spalla o ancaf Le
contrazioni muscolari si dividono in: isometric:he e isotoniche o concentriche.
Le prime non prevedono variw.ioni di lunghez:ta ciel muscolo; le seconde avvengono
con tensione costante.

- G< onde zlgomettco


-
, F<onlele------ -41;,. Ptccolo zlgomellco
O<bllelo dell'occtilo ___.,. �-·.�
. · �O<bllele dolle bocce
. -------- Occlpllele
R1s0<10-------_;
·' T,e pozlo
T<lenpole<e dolle lebb< ,-------T<epezlo
Slo<nocleldomesloldeo Plellsmo Oel\ol de ----
Dellolde .,----- lnf<esp\nelO
G<en peno,ole-- --.. Copo lungo
BlclpUle.e----_,.,. del ldcipUe

Cepo me dlele
del ldclplle

Fless0<e <edlele
del ce<po G<eclle------1
------ lleopsoes
G<eclle ,______ Pel\lne.o

Sectodo

Soleo ____
__

....._____ Pe <0neo b<eve

Figura 1.12: Apparato muscolare.

251
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia. © Artquiz -�

,
1.4 Apparato cardiocircolatorio
L'apparato cardio circolatorio può essere, in realtà, considerato parte del più am­
pio sistema cir<--olatorio, insieme al sistema linfatico. Esso è costituito dal cuore, dai
vasi e dal sangue. Le sue funiioni sono quelle di trasporto di cellule, liquidi, gas, ormo­
ni e nutrienti. È importante a nche per stabili'l,zare il pH del sangue e la temperatura
·: corporea.

:l 1.4.1 Cuore

H
Il cuore si trova al centro del sistema carcliovascolu1·c (Biologia, § 1.4.4). Ed è co­
stituito da miocardio, pericard:io, epicardio c:d endocardio. Il miocardio è il muscolo

I cardiaco. Il pericardio è una membrana che circonda il cuore. L'epicardio è uno strato
di cellule mesoteliali che ricopre la �mperficic esterna del cuore rendendola translucida
e liscia. L'endocardio è una membrana sottile translucida e biancastra che riveste
internamente tutte le cavità cardiache e le superfici delle valvole.
Il cuore è irrorato da due arterie coronarie, la destra e la :,;inistra, che partono
..
dall'aorta. Ed è costituito da quattro camere:
1. Atrio destro, che riceve Hnngne veno:.;o (povero <li ossigeno) dal circolo sistemico
attraverso lg_ vene cave inforiore <' superiore e immette snuguc nel v<.:utricolo destro
attraverso la valvola tricuspide_
2. Ventricolo destro, che riceve sangue venoso dall'atrio destro e lo eietta nell'ar­
teria polmonare attraverso il cono artcrio.-;o.
3. Atrio sinistro, che riceve :muguc mterio.-;o (ricco di oi;sigeno) dal circolo polmo­
nare attraverno le vene polmonari e lo immette: nel ventricolo sinistro attraverso la
valvola mitrale. 0 b\LV?�\,."Ott

I. 4. Ventricolo sinistro, clm riceve sangue arterioso dall'atrio sinistro e lo eietta


nell'aorta.

Arteria
Arteria
car otlde Arteria succlavia
brachiocefalica
\ sinistra
\ _ ..n
/

superiore
Arterie
polmonan
destre

·',
•.,

Valvola
mitrale
Corde
tendinee
Muscoli
papillari Figura 1.13: Le quattro camere cardiache
�--r.;r"'
• Ventricolo sinistro e i rapporti con aorta, arteria polmonare,
:Aorta discendente vene cave e vene polmonari.
'''
I

252
··I
© Artqni7, BIOLOGIA

Il cuore è dotato di attività contrat.t.ile spontanea involontaria e di un ritmo di


contrazione proprio ck•ttato da c:;ellule capaci di ccci tarsi spontaneamente ( dette pa­
cemaker). Lo. frequen7,a di contra7.ione del cuore pnò essere modulata, in base alle
richie5te delPorganismo, anche dnl sistema nervoso autonomo simpatico (accelera) e
'parasimpatico ( decefora). Il ritmo fisiologico è in media di circa 70 battiti al minuto
(minimo 60, massimo 100). Al di sotto di 60 battiti al minuto si ha brachicardia, al dì
sopra di 100 battiti al minuto si ha tachicardia. Lo stimolatore del battito cardiaco è il
nodo seno atriale, che si comporta come un pacemaker cd è situato nelPatrio destro.
È costituito da abbondante tessuto connettivo che circonda alcune miofibrille. Lo
stimolo elettrico da esso prodotto prosegue nel nodo atrioventricolarc, poi nel fascio
di His ( che si divide iu branca destra e branca sinistra) ed infine nella rete delle fibre
di Purkinje a diretto contatto con le fibre della muscolatura ventricolare (Fig. 1.14).
Nodo
Nodo atriovantrlcolare
seno atriale Fascio di His
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Figura 1.14: Schema di conduzione


Fibre d8l Purkinja elettrica del cuore.

La variazione del campo elettrico cardiaco nel tempo pnò essere rc�gistrnto alla
superficie del corpo mediante Pelettrocardiogramma. In es..r.;o �i osserva una pri­
ma deflessione detta onda P dovuta a.Ha dcpolariizazione atriale, nn complesso QRS
dovuto alla depolariz:1..a�ione ventricolo.re e un 1 onda T dovuta alla ripolarizzazione
ventricolare (Fig. 1.15). Le attività elettrica e meccanica del cuore sono perfet­
tamente accoppiate poiché, quando, in condi:,àoni di a.liera.1.ioni dd ritmo (aritm·ie)
importanti: esse vengono disaccoppiate (fibrillaz-ionc ventricolare), il cuore non svolge
piì1 la sua. funzione di pompa in modo adeguato e il soggetto può andare incontro
n. morte. Per ripristinare il normale ritmo cli contra:,r.ione c:n.rdiaco si pnò interveni­
re, applicando al cuore mm corrente clcttrica attraverso la parete toracicn,, mediante
un >apparecchiatura detta defibrillatore. Il metabolismo cardiaco è di tipo aerobico
puro. Per supportarlo, il cuore è molto fittamente vascolari'l,zato mediante rami delle
arterie coronarie (rami clelPaorta deputati a vascolari zzare il cuore).
Il movimento direzionale del sangue è dato dalla prcsun7.a. cli nn sistema valvo­
lare clw si apre e si chiude in maniera coordinata con le fasi del ciclo cardin.eo. In
particolare, due valvole atrio-uentricolari ( tricuspide, che collega l'atrio destro con
il ventricolo destro, e mitrale, che collega Patrio sinistro con il ventricolo sinistro)
impediscono il reflusso del sangue dal ventricolo alPatrio durante la fase di contra­
zione (sistole) ventricolare e due valvole Bernilunari poste alla radice dei grossi vasi
(la valvola aortica per Paorta e la valvola polmonare per rarteria polmonare)
impedi8cono il reflusso del sangue dal circolo sistemico e polmonare clnrfJ,nte la fase

253
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia © Artquiz

di rilascia.mcnt.o veutricolare (diastole). L 'apcrtma e la chiusura delle valvole sono


responsabili dei toni cardiaci che si possono am-;cnltarc mediante il fonendoscopio. Le
valvole possono subire un restringimento, che si chiama stenosi, spesso dovuto ad
infiammazione.
R

Figura 1.15: Schema di tracciato elettoca1·diografico;


T l'onda P é do·vufa alla depolarizzazione at1·iale, il
comvlesso QRS alla depolarizzazione ventricolare e
05 l'ond a T alla ripolarizzazione ventricolare.

r
I 1.4.2 Vasi sanguigni: arterie, vene e capillari
.I

I!
Il cuore eietta il sangue all'interno di clue circoli sanguigni chiusi disposti in serie l'nno
:' con l'altro. Iu particolare, distinguiamo:
II
! • Circolo polmonare o pìccola circolazione, ovvero un circolo che partendo dal
i ventricolo destro porta il sangue dcosi-;igenato a.i polmoni, nei cni alveoli avviene lo

o
scambio con l'ambiente esterno (l'ossigenaY..ione e la cessione dell'anidride carboni­
ca). Il sn.ngnc ritorna al cuore immettendosi nell'atrio sinistro attraverso la vena
polmonare.
• Circolo sistemico o grande circolo, che distribuisce }mnp;nC' ossigenato a tutti gli
organi e gli apparati per portare ossignno e nutrienti e di·cna.rc m1idride carbonica,
H+ e cataboliti dni tessHti periferici. Parte con l'aorta dal ventricolo sinistro e
ritorna con la vena cava. nell'atrio destro.
I vasi principali possono essere dii;tinti in:
1. Arterie: portano sangue ossigenato a pressione c)levata dal cuore. Sono respon­
sabili delle resistenze nl flusso e <lella regoln.�ione del flusso ematico nel distretto
capillare. L'aorta è l'arteria che porta il sangue ossigenato fuori dal cuore. Le altre
arterie sono rami dell'aorta e souo: l'arteria carotide, l'arteria Hucclnvia, il tronco
celiaco, le arterie mesentcr!chc, l'arteria reuale, l'arteria iliaca e l'arteria femorale.
L'arteria carotide destra e Hiuistra portano il :-;angne ossigenato al sistema nervoso
centrale ( encefalo e midollo spinale) e n.llc i-;truttu re facciali. L'arteria succlavia ir­
rora gli arti superiori, gran parte clel torace e del collo. L'arteria celiac�i (o trouco
celiaco), che si divide subito in tre arterie, irrora lo stomaco, il pancreas, la milza,
il fegato e l'intestino. Le arterie meRenteriche irromno le varie parti dell'intesti­
no. L'arteria renale irrora il rene e l'arteria iliaca irrora la zona pelvica. L'arteria
femorale, che deriva dall'arteria iliaca, irrora gli al'ti inferiori. TI:a le arterie è clas­
eCCG-:C\oVb sificata anche l'arteria polmonare che, partendo dal ventricolo destro, porta il
sangue venoso ai polmoni perché venga ossigenato.
Tutte le arterie, in quanto portano il sangue lontano dal cuore, vengono definiti
vasi centri.f1t9hi. Tutte le vene invece, per la ragione contraria, vengono definiti
vasi centripet-i.
2. Vene: sono i vasi sanguigni che portano sangue ricco di CO 2 e povero di ossigeno
a bassa pressione dalla periferia al cuore. Nella circola1.ionc polmonare la vena

254
@ Artquiz BIOLOGIA
ezc;J:a-t o�
polmon'tre > partendo dai polmoni, porta sangue ossigenato al cuore a livello
....,._ ·-' 'o sinistro.
La vena cava raccoglie tutto il sangue deossigena.to e lo convoglia alPatrio destro
del cuore. La vena cava. è divisa in due vasi: la cava superiore, che drena il sangue
dagli arti superiori > collo e testa> e la cava inferiore che drena il sangue dal torace>
addome > pelvi e arti inferiori. Sulla cava superiore confluiscono, direttamente o
indirettamente > la vena succlavia e la vena gingnlare che insieme formano la vena
anonima. Sulla cava inferiore confluiscono > direttamente o indirettamente > la vena
iliaca> la vena femorale > la vena safena.

3. Capillari: tra il versante arterioso e quello venoso esiste una rete di vasi costituiti
da un singolo strato di cellule > detta rete capillare. Questo è il punto in cui
avvengono gli Bcambi di ossigeno e nutrienti (dal sangue alle cellule) e prodotti
del metabolismo cellnlare (C0 2 e cataboliti > dalle cellule al sangne) frn distretto
vru;colare e distretto tissutale. I capillari sono preceduti e seguiti > rispettivamen­
te > dalle arteriole e dalle vennle 1 vosi dallo spes..<,ore molto pic�olo (0 > 2 mm). Nel
punto di origine dei capillari > dalla. parte delle arteriole > è presente nn anello di
fibre muscolari lisce > chiamato sfintere precapillare, che ha la funzione di chiu­
dere il capillare e quindi di impedire il passaggio del sangue attraverso la rete
capillare. In qur$tO caso il passaggio del sangue dal sistema arterioso al sistema

( venoso è garantito dalla metarteriola che è collegata direttamente alla venula


postcapillare.

La pressione esercitn.tn. dalla pompa cnore durante la sistole è intorno n 120-130


1nmHg> corrispondente alla depolarizzazione dei ventricoli (complesso QRS deWelet­
trocardiogramma). Essa varia dnrm1te il tragitto attraverso le arterie e subisce la
caduta più elevata quando il sangue po8Sa per le arteriole e per i capillari. In caso di
ipertensione il valore della pressione sistolica può sa.lire anche fino a 180 mmHg. Il
valore della pressione diastolica è normalmente intorno a 80 mmHg e può salire fino
a 110 mmHg> in caso di ipertensione.
I capillari > che hanno un diametro compreso tra 5 e 30 µm, sono costituiti da
nn solo strato di cellule endoteliali che poggiano su una membrana basale. Questa
struttura permette il continuo passaggio > in entrambe le direzioni > di gas > nutrienti e
cataboliti. Poiché il lnme dei capillari è molto piccolo essi risultano il maggior osta­
colo al flusso sanguigno: nei capillari pit\ sottili i globuli rossi possono passa.re solo
uno alla volta .
Le arterie e le vene sono costrnite con tre strati tissntali: il piì1 esterno è tessuto
connettivo > \ >intermedio è tessuto musc;olare liscio e Pinterno è tessuto endoteliale. Le
arterie hanno una struttura piìt robusta perché debbono sopportare una pressione più
alta. Le vene > inoltre> hanno all'interno delle valvole n. nido cli rondine (Fig. 1.16) per
impedire che il sangue rifluisca per effc�tto della. forza di gravità. Quando queste val­
vole non funzionano si hanno le vene varicose, un rigonfiamento delle vene > presenti
specialmente negli arti inferiori.
Le valvole che si trovano nel cuore e nelle vene sono delle appendici di tessuto
fibroso con forma che può essere a nido di. rondine o a quarto di luna > che si chiudono
e si aprono sulla ba.se della pre8sione generata clal fhrnso sanguigno.
Il dotto di Botallo viene usato clma.nte la vita intrauterina per collegare Pa.rteria
polmonare del feto con l > aorta e dirottarvi tutto il sangue. Questo perché nel feto i
polmoni non hanno nesimna funzione e gli i-;cambi avvengono a livello di placenta.

255
Cap itolo I Istologia, anatomia e fisiologia @ Artquiz

I capillari sono permeabili all'acqua che può quindi uscire da essi per andare verso
il liquido interstiziale o viceversa. Questo flusso dipende dalla differenza della pres­
sione idrostatica tra l'interno e l'esterno del capillare e dalla differen�a di pressione
osmotica tra l'interno e l'esterno del capillare (pressione oncotica). Sul versante ar­
terioso la pressione idrostatica è superiore alla pressione oncotica e l'acqua esce ma
sul versante venoso avviene il contrario (per la forte caduta di pressione attraverso i
capillari) e l'acqua rientra. L'equazione di Starling descrive questo flusso.
La vasodilata'.idone e la vasocostrizione è l'aumento e la diminuizione, rispettiva­
tI mente, del diametro dal vaso sanguigno a causa della contrazione o dilatazione della
tunica muscolare (lo strato intermedio) presente sia nelle arterie che nelle vene. I
1· processi di dilatazione e restrizione (che variano l'entità del flusso sanguigno e del­
la pressione) sono provocati da vari agenti, tra cui anche la temperatura. La bassa
I temperatura è un vasocostritt ore perché così diminuisce il flusso di sangue sulla su­
perficie corporea e quindi riduce la dispersione di calme che tale flusso provoca (non

I dimenticarsi che normalmente la temperatura del saugue è superiore a quella ester­


na). Quando la temperatura del corpo è elevata: la vasodilatazione favorisce il flusso
sanguigno nel derma e quindi la dispersione di calore all'esterno .
Sflnlari ptacaplllatl Matartariola
alallca lnlama

..
'\

Il. m:·
Tunica
lnli/na ln\ema--
medla T .·
· avvanllzla
Tunica Capillari
aslama

Figura 1.16: A sinistro, sezione illustronte la parete di un'arteria. A differenza


delle vene, le arterie hanno una parete più ricca di cellule muscolari lisce e
tessuto connettivo elastico. Al centro, la strutturo di una vena. Le valvole a t
·;

nido di rondine che caratterizzano questi vasi permettono di donare al flusso


ematico una direzionalità centripeta (verso il cuore}. A destra, la rete capillare
che connette il versante arterioso a quello venoso del circolo sanguigno. In
questo distretto avvengono gli scambi gassosi e di nutrienti fra tessuti e sangue.
!
i,
1.4.3 Sistema linfatico
Il sistema linfatico è una parte specializzata del sistema circolatorio. È costituito
dalla linfa che circola in un sistema di vasi linfatici simili alle vene, cou valvole a
nido di rondine. Il contenuto dei vasi linfatici viene alla fine riversato nel sangue
attraverso la vena cava superiore. La comprnfrtione chimica della linfa varia a seconda
dei tessuti che attraversa perché essa raccoglie i composti dal liquido interstiziale che
non viene riassorbito dai capillari venosi. In genere la linfa è ricca di sostanze grasse,
·, specie quella che si forma durante la digestione. Nella linfa sono presenti anche i
[
linfociti.
La funzione della linfa è quella di n,antcncrc l'ambiente idrico e di drenare i liquidi
in eccei:;so nei tesRuti. Ha anche fum:ione di sorveglianza immunologica e di produzione
J
e circolaiione di linfociti.
I


256
.�!t
@ Artqui'l. BIOLOGIA

1.4.4 Il sangue, le cellule del sangue e la circolazione sanguigna


11 sangue è nn tessuto composto da una fase liquida (plasma) e una cellulare.
Il plasma è 1111 liquido ricco cli proteine le cui funzioni sono quelle cli arrestare le
emorragie (proteine della cascata coagulativa), contrastare le infezioni (proteine del
complemento e immunoglobuline o anticorpi), veicolare ormoni e nutrienti (albumina
e lipoproteine).
ln una persona 1\0rmalc il volume di sangue è compreso t.ra 4 e 6 litri. Il sangue
ront.knc la maggior parte dell'anidride carbonica trasportata sotto forma cli ione bi­
cnrbonat.o, il quale contribuisce anche a tamponare il valore del pH sanguigno intorno
al valore 7,4. Anche gli ioni fosfato e le proteine (specialmente Pemoglobina contenuta
negli eritrociti) coutribniscono notevolmente n.lla funzione tampone'. Nel tmngne ven­
gono miche trasportate le scorie del metabolismo proteico, specialmente sotto forma
di nrea. Poiché queste scorie contengono azoto, la loro misura è espressa. sotto forma
cli azotemia.
La circoln:1.ionc sanguigna nei mammiferi è do ppia e co mple�a, nel scuso che il
sangue venoso e quello arterioso non sì incontrano mai. 11 cuore è una pompa aspiran­
te (rid1imna il sangue venoso e lo manda ai polmoni a.tt.raverHo Pnrteria polmonare)
e premente (spinge il im.ngue arterioso in rete attraverso l'norta).
11 ciclo cardiaco ò costituito da due f11-<,i. La. sistole ò la fase prementu, dovuta alla
contra.7.ionr.: che spinge il Hnnguc venoso ai polmoni, attravHrso il ventrkolo destro, e
il sa.ugne arterio�o a.i tessuti, attraverso il ventricolo sinistro.· Dura circa OA secondi.
La diastole è nna fase cli rilassamento, durante la quale si riempiono tutte e quattro
le cn.vità. Anche essa clma. circa. 0.4 secondi.
Si definisce gittata cardiaca la quant.ità cli sangue pompata in nu minuto: es�m.,
in condizioni di riposo è di circa 5 litri/min. Essn. può aumentare fino a quattro volte
in condi1.ioni cli attività pesante.

CIRCOLAZIONE POLMONARE CIRCOLAZIONE SISTEMICA


(Picco In Circolnzioue) (Grnudo Circolazione)
Il imngue (venoso) 1>overo (ii 02 è ricco Il sangue (nrterioi;o) povern di CO2 è ricco
di CO2 vn a scambiare i gns 11ei Polmoni di 02 va n scambiare i gru; nei Tessuti

Funzione: Ossigorinr.ione dol sa11g110 Funzione: Distribm-.io110 or;sigc110/n11tric11ti


Allontauameuto dei Cataboliti
PERCORSO PERCORSO
VENEQAVE VENE POL�ONARI

• A'rJ;UO-DES'r�O ·· .. A';i;'R IQ ,�lN�'J;'RO .. , .

VENTRICOLO VENTRlCOLO ·
DESTRO··. � · �-- · _-:.-, SINISTRO,'. ·,, ..,.. 0
:.

AJ;ITERlE _POLfyl_ÒNARI .. ·AORTA'.': . . ·.,:

POL.JvlONI · ORGANÌ:E·.APPARÀ.TI:

Figura 1.17: A sinistra, il percors o del sangue venoso, a destra quello arterioso.

257
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fo,iologia @ Artquiz

Le cellule del sangue vengono prodotte ( emopoiesi) nel mìdollo osseo rosso
I (contenuto nella spongiosa delle ossa) a partire da cellule staminali, progenitori e
.j precursori emopoietici. Tra di esse ricordiamo:
• Gli eritrociti o emazie o globuli rossi: sono piccoli elementi cellulari, privi di
,.,,u
:t
nucleo (solo net mammiferi), ricchi in emoglobina e deputati al trasporto dell'ossi­
geno. Essi sono gli clementi presenti in numero maggiore nel sangue ( 4-5 milioni
-�,

per 1111113 ). Hanno mm vitn media di 120 giorni e vengono distrutti uel fegato e nelln

J1

milza. Gli eritrociti possono e::;::iere cuu::ii<lcrati sacchetti ripieni di emoglobina, la


,:

proteina trasportatrice ddl'ossigeuo. Sono privi di mitocondri, quindi 11011 possono


dar luogo alla respirazione cellulare e al ciclo di I<rebs. Essi devono esHere conserva­
ti in una soluiionc isotonica: in condh:ioni ipotoniche tendono a dare emolisi (cioè

(1
'
i
t .f�i

u
;# \)
rottura della membrana e fuoriuscita dcll 'emoglobina).
Gli insetti, iu quanto animali di piccole dimensioni e quindi con un rapporto su-
pcrficie/masRa elevato, sono capaci di nssorbire per dHfosione l'ossigeno dall'ari�.
nella qmmlità sufficiente al loro fabbisogno e quindi 11011 possiedono un sistema
circolatorio.
+ • Le piastrine: sono fr mmneuti cdlnln.ri (<! qnincli prive di nucleo) deriviu1U dai
megacariodl,i midollari la cui ftmY-ionc priudpnle è quella. cli n.rrcsta.re le emorragie
perché portano c1.lla coagnlmdone del sangue.
• I leucociti o gl obuli bianchi sono cellule nucleate deputate alla difesa immuni�
tnrin., cioè al riconoscimento e all'elimiml.zione di agenti infettivi o alla rimozione
di cellule alterate ( es. ccllnlc tumorali) o morte. Esse, pertanto, fanno parte del
sistema immunitario. Sono pre.,;cnti ud sangue umano nella misura di 5.000-10.000
per mm:i. 1ì·a cli esse ricordiamo, perché presenti in quantità significativa:
a) i monociti: cellule dotate di notevole capacità cli ingolfare e digerire (proprietà
dette'- fagocitosi) sostanze poteni;iahncnte danno:-ie (es. agenti infettivi);
b) i granulociti: cellule capaci di produrre e liberare 11otevoli quantità di sostanze
antimicrobiche e di enzimi litici. I granulociti Hi dividono iu neutrofili in quanto
non capnci di essere colorati sul vetrino da eosina (un colorante acido) o da
ematosi;ilina (un colorante basico); co,c;inofili se sono colornti da cosina (e quindi
contengono strutture a carnttere basico); basofili se sono colorati da cmatossilina
(e quindi contengono sti-utturc a carattere ncido).
e) i linfociti: cellule capaci <li riconoscere specificamente agenti ritenuti perico­
losi clall'orgnuismo (es. microbi) e di orchestrare unn risposta comprendente il
rilascio di immunoglobuline (proteine capaci <li bloccare l'azione dell'agente in­
fettivo o della cellula danneggiata e di facilitarne la degradazione o la''fagocitosi)
e l'uccisione dd bersaglio <la parte di una sottoclasse di linfociti detd citotossici.
_I linfociti vengono distinti in due gruppi principali: i linfociti B (reHpommbili del­
la produzione· di ll,nticorpi) e i linfociti T (responsabili del coordinamento della
risposta immunitaria e della lisi diretta cli cellule bersaglio).
La centrifnga1.ione a basso numero di giri <li una provetta di sangue permette cli
separare il corpuscolato cellulare dal plasma. La percentuale in volume di questo par­
ticolato è denominata ematocrito e il $;110 valore uommlc è intorno al 45%. Valori
più bassi indicano uno stato di anemia, mentre valori più alti rappresentano per gli
atleti uno stato di doping ematologico. Questo stato, chiamato anche poliglobulia, è

258
© Artquiz BIOLOGIA

generato dalla presenza in circolo <lell'onnone eritropoietina. (EP0) in quantità mag­


giore del dovuto. La poliglobulia porta ad un aumento, pericoloso per la circolazione,
della viscosità del sangue.
Gli eritrociti contengono sulla membrana cellulare delle catene zuccherine, in parte
·comune a tutti i viventi, in par te diverse da un individuo all'altro. Gli individui che
hanno solo la parte in comune appartengono al gruppo O. Gli altri appartengono al
gruppo A, se contengono solo l'antigene A: al gruppo B, se contengono solo l'antigene
B, al gmppo AB, se contengono tutti e due gli antigeni. Poiché questi antigeni in­
ducono una risposta immunitaria se trasfusi in un soggetto che non li producono, gli
appartenenti al gruppo O sono donatori 1miversali perché l'antigene O è comune a tutti
gli esseri viventi e quindi la trasfusione ili sangue non pnò provocare la reazione di
rigetto. I soggetti AB sono riceventi 1miversali in qum1to possono accettare il sangue
di qualsiasi individuo, sia esso O, A, B o AB.

1.4.5 Emoglobina e mioglobina


L'emoglobina (Hb) è la. proteina contenuta ad elevnta concentrazione (34% in peso)
nll'interno <lei globuli rossi e deputata a.I trasporto di ossige111>, di una parte dell'a­
nidride carbonica e <li ioni H -i·. Nella. forma a.clnlt,l. (chiamata HbA) è costituita da
quattro subnnità proteiche, due cli u-globirm (141 nminoncidi) e due di ,B-globina
(146 aminoacidi). Ciaficuna snbunità. di emoglobina è costituita da 11na ca.tena ami­
noacidicn cui è legata mm molecola non polipeptidica (gruppo prostetico) detta eme
localizzato in una tasca costituita dallo o:-elich<! E e F (Fig. 1.18). L'eme è formato
dalla protoporfirina IX a cui è legato uno ione ferroso (numero di ossidazione +2) at­
tnwerso sei legami cli coordinazione. Di questi, quattro sono impegnati con i quattro
. atomi di N dell'anello porfirinico, mentre degli altri due, che sono perp�ndicolari al
piano della porfirina, uno lega un residuo di i�tidina, mentre l'altro lega reversibil­
mente 1'02. La molecola cli emoglobina è quindi capace di legare quattro molecole
di ossigeno. Se lo ione ferroso viene ossidato a ione ferrico (numero di ossidazione
+3), l'emoglobina non è più capace di legare l'ossigeno. Pertanto esistono, nel glo­
bulo rosso dei sistemi antiossidanti che mantengono l'emoglobina allo stato ridotto.
L'emoglobina è responsabile del colore del sangue e il suo stato di saturazione dà il
caratteristico colore rosso vivo al sangue arterioso e rosso-blu nl sangue venoso.
Durante lo sviluppo embrionale, fetale e la crescita postnatale l'organismo produce
diversi tipi di emoglobina che differiscono fra loro nella composizione e nell'assorti­
mento delle cj.iverse subunità. Ciò determina differenze nell'affinità del legame con
l'ossigeno.
La struttura quaternaria dell'Hb è caratterizzata da interazioni non covalenti di
natura idrofobica molto forti tra le quattro subuilità, che sono disposte alternati­
vamente in modo da formare due coppie u/3. Tali interazioni influenzano l'affinità
dell'Hb verso 1'02, cosicché la curva di saturazione clell'Hb in funzione della pressione
parziale dell'ossigeno (p02) non è iperbolica, come nel caso della mioglobina (vedi in­
fra), ma sigmoide. In que.o;to modo l'affinità dcll'Hb è minore a basse p02 ma cresce
all'aumentare di p02, cioè all'aumentare della percentuale di molecole di Hb leganti
02 (Fig. 1.18). Studi cinetici e strutturali hanno dimostrato che la forma della curva
di saturazione è legata alla transizione conformazionale dell 'Hb dallo stato T (più sta­
bile in assenza di ossigeno legato) allo stato R indotta dal legame della prima molecola
di 02. Lo stato R invece ha un alta affinità per 1'02 facilitando quindi il legame delle

259
Capitolo 1 Istologia, anatomia. e fisiologia @ Artquiz

r�::�----"-.-'"

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mioglob1na
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7
2.8
PsoMb Pso Hb pO2 (mmHg)

;1 a) b)
Figura 1. 18: Le globine: a) mioglobina (i dlindri rappresentano i segmenti ad
a- elica),· b) curve di saturazione di mioglobina ed emoglobina (P.c;o = pressione
di o.c;sigeno acni conisponde la metà della saturazione).

successive molecole di 02 ai rimanenti gruppi eme. Per tale ragione l'associazione tra
'
I 02 e Hh è definita cooperativa e l'Hb è clc1finita mm proteina allosterica, cioè che
i
.
modifica le proprietà l'ltruttnrali e quiudi fttn1,iouali in seguito a.I legame di un ligando
: (che, in questo cai,;o, coincide con il substrato). Tale comportamento è alla base della
I

,,
capacità della Hb cli saturarsi al 96% nel sangue arterioso, cioè di "ca.Ticar�i di 02 nei
polmoni dove la pO2 è elevata (100 mm Hg - 13,3 kPa) e di ridurre la sua saturazione.
i
[
al 64% nel sangue venoso, dove la pO2 è di 30 mm Hg (circa 4 kPa), cedendolo ai
tessuti.
Oltre a trasportare 02, l'Hb tra,�portn dai tessuti verso i polmoni due prodot­
ti del metabolismo cellulare, e cioè H + e CO2. Le molecole di CO2 rilasciate nel
sangue venoso (e prodotte dalla rcsph·azione ceU11lare) vengono immediatamente trn­
sformate in bicarbonato dall'anidra.si carbonica pr<:..>seute negli eritt·ociti, con ulteriore
liberazione di H+ , e si legano alle estremità ammino-terminali di ciascuna catena del­
l'Hb. A sua volta la maggior E:oncentrazione di H + influenza negativamente il legame
dell'O2 alPHb favorendone quindi il rilascio ai tessuti. Tali effetti sono evidenziati
dallo spostamento della curva di saturazione della Hb verso destra al diminuire del
pH e vengono definiti, nel loro complesso, effetto Bohr, dal nome dello scienziato
che li ha descritti per primo nel 1904. Va.ffinità delrl-Ib per 02 viene marcatamen­
te diminuita anche da un altro ligando, il 2,3-bifosfoglicerato (BPG), prq:dotto dagli
eritrociti in condi1.ioni di bassa pO2, così da favorire il rilru:icio di 02 verso i tessuti.
Tale regolazione ha una funzione essenziale nello sviluppo fetale. Infatti l'Hb fetale
(HbF), che differisce dan>HbA per contenere catene di ,-globina al posto delle cate­
ne di /j-globina, ha tm 1 affinità particolarmente ba.ssa per il BPG e quiudi mantiene
un 1 affinità molto elevata per 02, che è in grado di sottrarre all'HbA della madre.
In condizioni patologiche, anche il monossido di carbonio (CO) si lega alPemoglo­
bina con un 1affinità tale da soppiantare il legame con PO2 e rende questo gas (prodotto
dall'ossidazione parziale di composti contenenti carbonio, come, per esempio, utiliz-.
i
zando stufe e caminetti in un ambiente povero di ossigeno) un pericoloso veleno.
'I
.)

;", 260
I•

;,
© Arlquiz BIOLOGIA

Sono sta.te identificate quasi 900 forme mutantì di Hb umana, il 90% del­
le quali contiene singole sostituzioni amminoacidiche. Sebbene non tutte le va:rianti
producano sintomi clinici, alcune sono causa di malattie invalidanti. Esempi sono:

·• Panemia emolitica, in cui le mutazioni destabilizzano la struttura terziaria, ridu­


cendo Paffinità per P02 e il grado di cooperatività, e portano a lisi gli eritrociti;
'
• la policitemia, in cui si ha un aumento del numero di globuli rossi per compensare
le mutaz.ioni delPHb, che è più affine per P02 e non è in grado di rilasciarlo ai
tessuti;

• Panemia falciforme, in cui le catene /3 delPHb contengono in posizione 6 una val


al posto di 1111 gin. Tale sostituzione porta PHb priva di 02 (deossiHb), definita S, a
formare lunghi polimeri insolubili alPinterno degli eritrociti che assumono una for­
ma a falce. Il pericolo della fo]ci7,,mzione, che può portare ad ischemia nei tessuti e
ad emolisi, è massimo quando gli eritrociti passano attraverso i capillari, rilasciando
02. Le fibre di <leossiHbS infatti si dissolvono rapidamente in seguito ad ossigena­
zione. La malattia si sviluppa negli individui omo¼igoti per il gene delPHbS; alcuni
pazienti presentano una forma blanda di anemia falciforme in quanto esprimono li­
,,
velli relativamente elevati di molecole di HbF, che "diluh;cono le molecole di 1-IbS.
La malattia è particolarmente frequente tra gli afro-o.merica.ni e i neri cPAfrica, in
quanto gli individui etero7,igoti per HbS, che non presentano segni clinici, mostrano
una maggior probabilità di Hopravvivcmr,a alla malaria rispetto ai soggetti normali.
• la talassemia mediterranea, in cui si hanno gravi difetti nella sintesi delle catene
a o {3 delPI-Ib, dovuti principalmente a. de)e7,io11i- geniche ncWa-talassemia, e a
sintesi deficiente di mRNA nelle /3-talassemie. Mcmtre i pazienti omm�igoti affetti
da talassemia major· difficilmente raggiungono Petà adulta, quelli })orta.tori hanno
un 1 anemia leggera e mostrano una certa prote'lrione contro la malaria.

La mioglobina è la proteina che nei muscoli lega reversibilmentc una molecola


di ossigeno per molecola di Mb. Ha la fum,ione di riserva di 02 da cedere quando il
metabolismo muscolare lo richiede. La Mb umana è formata da un singolo polipeptide
di 154 aminoacidi (Fig. 1.18). Tale struttura è conservata e caratteri7:,m la famiglia
delle proteine dette globine (presenti anche nelle emoglobine). Anche la Mb contiene
il gruppo eme capace di legare Possigeno. È stato verificato sperimentalmente che
la quantità di 02 legato alla Mb, cioè la percentuale di satura,r,ione delle molecole di
Mb, dipende dalla pressione parziale di 02 libero seguendo un andmncnto iperlmlico.
Graficamente la curva di legame delP02 (o curva di satnra,r,ionc) mostra un asintoto
orizzontale quando la saturazione della Mb è al 100% (Fig. 1.18). Dalla Figura si
deduce che la mioglobina lega Possigeno meglio delPemoglobiua a qnalsia�i valore della
pressione parziale dell 1os8igeno.

1.4.6 Milza
La mìlza è un organo che si trova nelPaddomc nella parte intraperitoneale e che 8volge
importanti funzioni sia nel metabolismo dei globuli rossi che nel sistema immunitario.
Nel metabolismo dei globuli rossi, la mil?.a è deputata, gra,r,ie alla presen7,a di una
ricca popola,r,ione di cellule mnnocitarie specializzate alla fagocitosi, alla rimozione e
distruzione dei globuli rossi senescenti. Essa metaboliz7,a l 1emoglobina presente negli

261
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia
.1
@ Artquiz

eritrociti e degrada l'eme a bilirubina che è poi veicolata I\[ fegato dove verrà <-$creta
con [a bile. La milza costituisce inoltre una riserva di sangue che viene introdotto in
circolo in caso di necessità.
Nel sistema immunitario, la milza gioca un ruolo di pdmo piano anche nelPim­
munità acquisita, essendo importante tanto per Pimmunità umorale (produzione di
anticorpi), che per quella cellulo-mediata.
Prima della nascita la milza è anche un sito di emopoiesi. Dopo la nascita [a sua
funzione emopoietica è sostituita da q1tella del midollo (salvo ria.cquisirla in alcune
I condizioni patologiche emopoietiche).

1
1.4. 7 Patologie cardiovascolari
Le malattie cardiovascolari costituiscono, nel loro insieme, la principale causa di morte
Ì,]j

nel mondo occidentale. Diversi fattori di rischio ambientali incidono su una predi-

o
sposizione genetica, dando origine alle principali condizioni patologiche predisponenti
lj!

a futuri accidenti cardiovascolari acuti o cronici che conducono infine il pa¼iente a


lf
1:
morte o a insufficienza d'organo.
•·"'l

1;1:
i, I principali fattori di rischio sono rappresentati da fumo di sigaretta, dieta erra­
ta (in particolare: introito eccessivo di calorie, grassi animali, sa.le, scarso introito
I

di frutta, verdura e fibre alimentari), sedentarietà e sesso maschile (almeno fino alla
t· menopausa).
r· La somma dei fattori di rischio ambientali e dei fattori genetici predisponenti può
j� determinare l'insorgenza di a[cnn� condb�ioni patologiche fortemente associate a futuri
accidenti cardiovascolari debilitanti. Fra queste ricordiamo:
.
I

• Diabete: è caratteri'tzato da una elevata concentra:t,ione di glucosio ne[ sangue


(valori di glicemia elevati, superiori a 110 mg/dl a digiuno). Sebbene circa il 10%
dei pazienti diabetici sia affetta da diabete giovanile (dovuto alla distruzione delle
insule pancreatiche da parte del sistema immunitario), la maggior parte dei pazienti O
affetti da questa patologca del metabolismo (circa il 90%) lo diviene a causa della
resistenza dei tessuti periferici all'a:tione dell'ormone ipoglicemizzante insulina che
si asi=:ocia frequentemente ad obesità. Il diabete si associa ad aterosclerosi e ad
aumento della mortalità secondaria a patologie cardiova.scolari.
• Ipertensione: così si definisce una condizione patologica caratterizzata da un per­
sistente innalzamento della pressione arteriosa (tanto sistolica quanto diastolica)
sopra ai valori di norma (120 -sistolica-/80 -diastolica- mmHg, valori misurabili con
lo sfigmomanometro). Tsle stato patologico si associa li.cl un aumento persistente
del lavoro cardiaco che ne determina una progres�ivo aumento di massa (ipertrofia)
fino alla perdita della sua capacità di compenso e di funzione (scompensq cardiaco).
L'ipertensione si associa anche ad alterazioni patologiche di altri distrct�f (principal­
mente l'encefalo e il rene). L'ipertensione si combatte con i farmaci beta-bloccanti
che riducono sia il battito cardiaco che la pressione all'interno dei va�i.
• Aterosclerosi: è un'alterazione progrcs.'iiva della struttura delle pareti delle artt'­
de caratteriz·;,ato. da deposito di lipidi (in particolare colesterolo), infiltrazione della
parete dell'arteria da parte di cellule infiammatorie, iRpessimento della parete del­
l'arteria con conseguente riduzione del suo calibro e indebolimento della parete del­
l'arteria. L'ipercolesterolemia (ovvero nn livello eccessivamente alto di colesterolo
nel sangue, specie quello contenuto nelle LDL, si associa ad atcros?le(osi).

262

@ Artquiz BIOLOGIA

n·a i principali accidenti cardiovascolari acuti e cronici, ricordiamo:


• Trombosi. Si parla di trombosi quando, in segui1;o alla somma di diverse con­
cause (es. danno all 1endotelio, circola7.fone turbolenta e stati che determinano un
. aumento della coagulabilità del sangue), si attiva la cascata coagulativa e si forma
un coagulo all 1interno di un vaso. Il risultato di questa evenienza è quello di ridurre
drammaticamente il flusso sanguigno attraverso il vaso colpi�o. Nel caso in cui ciò
avvenga in un arteria che porta sangue ai distretti periferici, esso potrà determina re
una gangrena (necrosi massiva di una considerevole quantità di tessuti), nel caso
in cui venga ostruita Punica arteria che porta sangue ad un organo (o a parte di
esso) si avrà un infarto. 1ì·a gli infarti più pericolosi ricordiamo l 1 infarto acuto del
miocardio (cuore) che può determinare morte acuta del paziente o debilitamento
cronico della funzione cardiaca e gli infarti cerebrali (ictus o stroke). Per la sua fon­
zione antiaggregante del sangue le trombosi e le trombo-embolie vengono prevenute
dall 1acido acetilsalicilico (a8pirina).
• Trombo-embolie. Si definisce tromboembolia una condizio1te per ctù parte di
materiale trombotico si distacca da un coagulo e si incunea in un distretto vascolare
periferico. Tipica., ad esempio, è la forma7,ione cli un trombo nelle vene principali
degli arti inferiori (ad esempio in pa7,ienti alletta.ti dopo intervento chirurgico),
il distacco e il successivo incuneamcnto di parte di cHso nelle arterie polmonari
( tromboembolia polmonare, ad esempio la prima volta che tali pazienti si a.Izano in
piedi e vanno in bagnn dopo Ph1t1-Jrvento chirurgico).
• Aneurismi. Uatcrosclerosi può esitare in 1111 progressivo sfiancamento delle pareti
delle arterie colpite e in una loro clilata7,ione patologica. Tale condizione prende il
nome di aneurisma. Le pareti delle ,trtcric colpite da aneurismi sono più deboli e
possono fissurarsi e sanguinare copiosamente. Nel cru;o in cui sia colpita Paorta ciò
può portare a morte il pa'lrientc in pochi minuti.
• Patologia ischemica cronica. Un difetto cronico nella perfusione di un organo
periferico può portare alla progressiva perdita di funzione deWorgano (insufficienza)
a seguito di un apporto inadeguato di sangue rispetto alle richieste metaboliche di
quelPorgano (ischemia). In alcuni pazienti lo scompenso deWorgano può essere
talmente grave da necessitare la sostituzione dello stesso (es. trapianto cardiaco in
pazienti con scompenso cronico intrattabile).

1.5 Apparato respiratorio


Uapparato respiratorio è integTato con Papparato cardiocircolatorio. Esso è co­
stituito dalla gabbia toracica, costituita da 12 paia di coste, 12 vertebre e sterno, dai
muscoli respiratori, dalle vie aeree e dai volmoni. Le vie aeree sono costituite da naso
e cavità orale, faringe, laringe, trac;hea e bronchi.
Le fun7,io11i deWappa.rato respiratorio sono di riscaldare e umidificare Paria, fil­
trare gli elementi particolati presenti nelParia, favorire Piugresso di gas dalPambiente
esterno cd eliminare gas prodotti dalPorganismo neWambiente. Permette inoltre gli
scambi gassosi fra aria alveolare e sangue. Vapparato respiratorio permette inoltre
altre due funzioni: Polfatto (Biologia, § 1.6) e la fonazione (che è il processo di vi­
brazione delle corde vocali a seguito del passaggio di aria spinta dai polmoni e dal
diaframma).

263
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia © Artquiz

1.5,1 Muscoli respiratori e respirazione


La respirazione è costituita da due fasi: inspirazione ed espirazione. La prima av­
viene per la contrazione dei muscoli intercostali e del diaframma, che è un muscolo a ', t

forma di cupola con la convessità rivolta verso Palto che si trova tra il torace e Paddo­

f,t
me. I muscoli intercostali innalzano le coste, aumentando il diametro antero-posteriore
della cassa toracica, mentre il second<;> si abbassa e si appiattisce aumentando Paltezza
!, verticale della stessa. A questa azione corrisponde un aumento del volume polmonare.
Vespirazione, che è nn processo passivo, avviene per il rilassamento di questi muscoli
a cui corrisponde una diminuzione del volume polmonare. Vazione di questi muscoli
ricorda quella di un mantice e in analogia a questo il risultato netto della loro azione

l
I
è quello di favorire Pingresso (durante Pinspirazione) e Puscita (durante Pespirazione)
l't r
del aria nelle vie aeree.
Gli scambi gassosi avvengono a livello delt > alveolo p olmonare, dove il sangue
,
viene a contatto con l aria imipirata. Lo scambio constste nelPingresso di ossigeno
, ,
dall'alveolo al sangue e dcll anidride carbonica dal sangue all alveolo. Il tutto è re­
golato dalla diffusione che avviene per effetto della differenza di concentrazione dei
,
due gas nel sangue e nell alveolo. La diffusione regola anche il passaggio dei due ga.<1
dalle cellule al plasmn e viceversa.
l.L La frequenza respiratoria è il numero di atti respiratori compiuti al minuto. Essa
è legata alla frcquen'l-a cardiaca. In condi'lioni di riposo essa è di 12-18 atti al minuto.
r In condizioni di stress, poiché serve pitt ossigeno, l�t frequenza respiratoria aumenta..
[ Si chiama apnea la condizione di assenza di atti respiratori. La dispnea, invece,
I' è la condizione di avere bi�ogno di aria (mancanza di respiro). La dispnea è spesso
dovuta u<l un enfisema polmonare, patologia che porta alla distruzione degli alveoli
polmonari.
La ventilazione polmonare è la quantità di aria che entra ed esce dai polmoni in un
minuto. Egsa è regolata dai centri respiratori del troncoencefalo e dipende da molti
fattori: la preHsione parziale delPossigeno e dell'anidride carbonica e dal valore del
pH nel sangue arterioso. La respirazione dà infatti un contributo essenziale al man­
tenimento del pH sanguigno nell'intervallo 7,38-7,42. Quando il sangue va in acidosi
(pH più basso di 7,38) vuol dire che c> è troppa anidride carbonica nel sangue che
deve essere espulsa con Panmento della frequenza respiratoria. Quando la pressione
parziale dell'ossigeno nel sangue diminuisce o la pressione par'l-iale dell'anidride car­
bonica aumenta., la frequen'la. respiratoria aumenta. Questo si nota quando si sale in
alta montagna: la pressione parziale delPossigeno dell'aria diminuisce, quindi meno
ossigeno viene preso dal sangue negli alveoli e quindi cala la pressione parziale delPos­
sigeno nel sangue, con conseguente aumento della frequenza respiratoria. Di converso
respira.udo con la testa chiusa in un sacchetto si ha un aumento della fr�quenza re­
spiratoria sia perché diminuisce progressivamente il contenuto di ossigeno dell'aria
inspirata sia perché aumenta progressivamente il contenuto di anidride ca:'�bonica. La
frequenza respit'atoria dipende anche dalla temperatura, dallo stato emotivo e dalla
presenza di particelle irritanti nelle vie respiratorie.

1.5.2 Vie aeree


Le vie aeree sono strutture cave comunicanti con l'esterno che permettono di convo­
gliare Paria verso i polmoni. Questa loro funzione è critica tanto che strutture ossee
e cartilaginee impediscono loro di collassare.

264
© Artquiz BIOLOGIA

Le vie aeree vengono distinte in s11,periori e inferi.ori..


Le vie aeree superiori sono il naso e la cavità orahi } i seui parc1nasali e la nasofa­
ringe (o rinofaringe). Sono par7,ialmente condivise con Papparato digerente e hanno
funzione di umidificare e riscaldare Paria e di arrestare i materiali particolati mediante
·vibrisse e muco.
Le vie aeree inferiori sono la laringe} la trachea e i bronchi. Nella loro parete tro­
viamo una componente cartilaginea che permette di mantenerle aperte } permettendo
il libero flm,so clell }aria inspirata ed espirata.
La successione degli organi incontrata dalParia inspirata. nelle vie aeree è la. seg11e11-
te: faringe } laringe (epiglottide } che è un } appendice cartilaginea che serve a chiudere la
laringe durante la deglutiiione } altrimenti il bolo entrerebbe nelle vie aeree) } trachea
e bronchi. La lru:inge è anche Porgano della fonazione in quanto contiene le conle
vocali } che sono strutture tendinee che vibrano per il passaggio cle!Paria.

1.5.3 Polmoni
La tntchea si divide in due bronchi principali (destrn e Hinistro) } i quali si nunificano}
entrando nei polmoni } in tronchì Hempm più 1>iccoli: bronchi lobari (che vanno ad
aerare i diversi lobi pohno1rn,ri) } segmentàli (che andranno a ventilare i diversi seg­
menti polmonari)} lobulari e infine bronchioli intralobulnri e bronchioli terminali che
si suddividono ulteriormente in bronchioli respiratori. Questi ultimi sono deputati
alla ventilazione <li alveoli e sacchi alveolari. È importantn 1;nl;toli1mare che ogni rami­
ficazione delPalbero bronchiale è accompagnata da conh,pondcnti rami delle iu'terie e
vene polmonari che portano sangue venoso e arterioi;o } rispettivamentI-!.
Gli alveoli sono le n�gioni polmonari depntate agli scambi ga.sso1;i <lata la loro
complessiva superficie di scambio molto ampia e lo spessore minimo della loro parete
(0,1-1} 5 µm) che fo.vorisce la diffusione di ossigeno e C02.
Nella sua integTar..ione con Papparato circolatorio } Papparato respiratorio viene ir­
rorato da rami deWarteria polmonare (che porta sangue _povero <li ossigeno), i quali
si sfioccano in uua rete capillare che va a<l avvolgere i diversi alveoli } pormettendo lo
scambio di gas fra sa11g11e e aria alveolare. Il saugue ricco di ossigeno viene poi dre­
nato da rami delle ve1w polmonari che riversano il loro contenuto nelPatrio sinistro.
Ciascun polmone è circondato <la una doppia membrana sierosa continua chiamata
pleura. Lo spazio tra la membrana viscerale } che: è a contatto con la superficie pol­
monare } e la membrana parietale } che aderisce alla parte interna del torace } si chiama
cavità pleurica. Essa contiene nn liquido lubrificante che agevola lo Hcivola111e11to di
un foglietto sulPaltro. La pleura ha la fnmr,ione di isolamento } di lubrHìca7,ione per
facilitare i moti reciproci degli organi contenuti nella cavità toracica e di unire il pol­
mone alla cavità toracica nmcliante un gioco cli pre.c;sione negativa.
La superficie interna degli alveoli polmonari è rit:operta <la un leggero strato di
materiale surfattante (fosfolipidi } lipidi } cole:-.temlo o proteine) che ha il compito cli
diminuire la tensione superficiale polmonare e quindi impediscci agli alveoli } specie i
più piccoli } di collassare durante la fase di espira'l.ione.
Una malatt.ia tipica degli alveoli polmonari è la tubercolosi polmonare provocata
da infezione da parte di micobatteri (Mycobacterium t?tb,.:rcolosis} bacillo di Koch).
Questi provocano una risposta infiammatoria che evolve verso una calcificazione del
tessuto.

265
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia @ Artquiz

. Superiore
Meah nasali{ Medio Osso fron lale
Inferiore � Ep1leho /. . olfallivo

. " .-�.,,..
.
J
Superio r c onche
. Media J
n asali
-� Inferiore
-

Ugola - ·
"• ..
· ., \•'-'
,_., .· ...•._.-,.,
,· . . . . ,:,'.:�:,<;.:, ..., ···1
\·,.. ' �·
,. .. -h' Cavilà orale
Tonsilla palalina ,"..· ' .-·..::.:h·i :)C:'.,
Osso palalino
Orofaringe
�,:, :, t :- ...�: .
,-,·. · . ;::::,r"·- ! I t':
Eplglollide Palalo molle
_
j:: . .· -�::, -��-- . ,. " .

,, ;i •\:.'. -. ;
,•, ,; t

Laringo faringe ·- Tonsilla linguale


p ',.,. ·, i( "\\\/·
'. ,:. .......,.,_.ii-'•'' 1 ·� .. Osso Ioide
Esofago .
o'
Corda vocale vera
corda vocale falsa
�j:1
· '. � ·-. <,·- .
/ . � . ·
o
v . . , _.. t . : , . 1. ,
Trachea ; ;.:-.......,_--- Laringe
-1
1l ; ·.. ;' v ,: :/.i ""- Cartilagine tiroidea
r �,.,.- ,:-�- ---- Ghiandola llrolde

(a) Vie aeree superiori, in alto e vie aurcu inferiori, in basso.

IF Laringe
RAMIFICAZIONE
DELL'ALBERO o
o
BRONCHIALE
1-i' Trachea.
Pleura: Bronchi frlnclpall
i; pleura parlen[ala-----­
pleura vlscarale Bronchi sacondari

o
,�- t
I'

Cavllà pleurica-----..,,,·-· Bronchi terziari


Bron�hloll
Branchia� Iermlnall
Lobo superiore deslro
1��'}!..... ·...�Bronco prlncipale sinistro
�'F.�.J\\

Lobo suparlore sinistro


-,�Bronco secohdarlo
Bronco lerzlarlo
Bronchiolo
-Bronchlolo lermlnale
Scissura obliqua sinistra
Lobo Inferiore slnlslro
Diaframma ·• , :- Base del polmone

Venula -··- - Il surfac[anle


polmonara :'./\.....;
�r.r.a,.__
. __

Do[[O
'j
·.,..,-alveolare

Capillare X·�
polmonare •: ';-,
Pleura/,:�•
viscera la
�-- "l ..,.

l'
:,
r· Figura. 1.19: Apparato re.c;piratorio.

o
J'

:1

l] 266
© Artquiz BIOLOGIA

1.6 Sistema olfattivo

Con questo sistema si percepiscono la qualità e la concentrazione di alcune molecole


(chiamate odoranti) presenti nell'aria che si respira. Uepitelio olfattivo è costituito
' <la un sottile strato di cellule nervose bipolari collocate sulla volta delle cavità nasali,
insieme a cell1tle bas ali e a cellule di sostegno. La cellula olfattiva è costituita da un
corpo e da due prolungamenti: uno, esterno, fornito di numerose ciglia immerse nel
muco nasale che contengono milioni di recettori capaci di legare in misura diversa i
differenti odoranti (per lo studio di questi e di altri recettori nel 2012 è stato assegnato
il premio Nobel per la Chimica agli americani Lefkowit?r e Kobilka); l'altro, interno,
è collegato con i nervi olfattivi.

1. 7 Apparato digerente
L'apparato digerente è costituito dalla cavità orale, faringe, esofago, stomaco 1 duo­
deno, intestino tenue ( digiuno e ileo), intestino crasso, sigma, refto e ano. Ad esso si
associano una serie di ghiandole esocrine (ovvero ghiandole che riversano il loro con­
tenuto in cavità comunicanti con l'esterno), come le ghiandole salivari, le ghiandole
gm:itriche, il pancreas e il fegato.
Le funzioni dell'apparato digerentH Hòno di introdurre il cibo, digerire e assorbire
i principi nutritivi in esso contenuti e di <�liminare gli elementi indigeriti sotto forma
di feci.

1.7.1 Cavità orale


Nella bocca avviene la prima digestione del cibo, sia per l'azione meccanica di tritura-
7,ione operata dai denti mediante la masticazione che per opera degli enz_imi contenuti
nella saliva (il secreto delle ghiandole salivari sottolinguali, sottomandibolari e pa­
rotidi). Il principale enzima digestivo contenuto nella saliva è la ptialina o amilas i
salivare che iniiia In digestione degli amidi in 'l,Ucchel'i più semplici. La masticazione
produce il bolo.
Per operare la masticazione sono necessari i denti, che possono essere diversi nei
vari animali a seconda dell 'alimentaz.ione. La dentatura dell'uomo è costituita da 32

I
denti, cli cui 12 molari, 8 premolari, 4 canini e 8 incisivi. Nei primi anni di vita la
dentat�ra è quella lattea, costituita da 20 denti. Essi sono denti decidui, cioè destinati
a cadere a circa sei anni di età.
I denti hanno una parte esterna, visibile, chiamata corona. Essa è formata da den­
tina che, a sua volta, è ricoperta di smalto, prodotto da un organo chiamato abbozzo
dentario. Lo smalto è un tessuto altamente mineralizzato. La radice è la parte del
dente inserita nell'osso: è fatta anch'essa di dentina che però è ricoperta di cemento.
La dentina del dente contiene una cavità dove si trova la polpa del dente, che accoglie
cellule, vasi sanguigni e nervi. La dentina è un tes.�uto calcificato composto per la
maggior parte di cristalli di idrossiapatite. La giunzione tra corona e radice viene
chiamata c:olletto.

1. 7.2 Faringe
La faringe è una 7.ona condivisa fra apparato digerente e apparato respiratorio. Essa
riceve il bolo alimentare dalla bocca e lo dirige verso l'esofago con 1st deglutizione.

267
I Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia @ Artquiz

]Il Ghlandole Saliva


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corona l denUna
ntestl no tenue

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Colon trasversa!
I !Colon ascen dent Duodeno
Colon dlscenden Digiuno

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IColon slgmoìdeo collelt , · .• . -� gengwa
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radice
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1:,, w.,,.Aoo

Figura 1.20: Apparato digerente e strutt.ura del dente.

Durante quei:;ta fase, la faringe si innal'l-a, mentre l'epiglottide occlude l'ingresso della
trachea, evitando che il bolo vada ad ostruire le vie aeree.

1.7.3 Esofago
L'esofago è la prosecuzione verso il bru;so della faringe e collega quest'ultima allo sto­
maco, attraversando il diaframma. Esso è un tubo cavo, localizzato posteriormente
alla trachea, che permette di �oi-pingere il bolo alimentare mediante la contrazione e
il rilasciamento coordinato della, sun muscol1J.tura. Quest'onda coordinata,.di contra­
zioni muscolari prende il nome di perù;talc,;i e sospingerà il cibo lungo tut.�o il tratto
gastroenterico.

1.7.4 Stomaco
Lo stomaco è nu organo ca.vo connesso all'esofago (superiormente) e al duodeno
(inferiormente). Si trova nella cavità addominale, nella porzione superiore sinistra
dell'addome. La connessione tra l'esofago e lo stomaco avviene attraverso il cardias,
!
!. mentre la connessione con il duodeno avviene cou una valvola chiamata sfintere pi­
lorico, che si trova nella parte inferiore dello stomaco chiamato piloro. Lo sfintere

268
© Artquiz BIOLOGIA

pilorico è nn anello di muscolatura liscia che, quando è contratto, impedisce al conte­


nuto dello stomaco di passare nel duodeno. Nella parete dello stomaco sono contenute
diverse ghiandole deputate alla secrezione di HCl ed enzimi digestivi (pepsina in pri­
mis) che servono a degradare le proteine in polipeptidi. Attraverso lo stomaco inizia
· anche l'assorbimento di alcune molecole, quali alcol, acqua, ioni, molecole liposolu bili
e caffeina. Lo strato di muco e la ricca vascolarb:zazione dello stomaco impediscono
che il contenuto gastrico danneggi l'epitelio della mucosa che lo riveste. Nel caso in cui
ciò avvenga, si possono sviluppare lesioni la cui gravità varia dall'erosione dell'epitelio
all'ulcera (perdita di sostanza della parete). La peristalsi dello stomaco permette il
rimescolamento del suo contenuto (chimo) e la progressione, attraverso lo sfintere
pilorico rilassato, verso il duodeno.
Il reflusso gastroesofageo, cioè la risalita del contenuto acido dello stomaco nell'e­
sofago, è impedito da un tratto dell'esofago, lungo circa due centimetri, che funziona
come uno sfintere (sfintere esofageo), pur non avendone le caratteristiche tissutali.
Nota bene che in alcuni quiz ministeriali questa fumdone viene assegnata erroneamente
al cardias, che non è una valvola.

1. 7.5 Intestino tenue


L'intestino tenue è il primo tratto cli intestino ed è quello in cui il chimo si tra­
sforma in chilo. L'intestino t,e1me è un organo cavo tubulare che iuh:ia dal piloro e
termina con la valvola ileo-cecalc, collegando lo stomaco con l'intestino crasso. La
sua lunghezza compkssiva è in media cli 6-8 metri. Esi,;o <! costituito da tre porzioni:
duodeno, d-i,giuno e ileo. Questi ultimi dne rostituiscono nel loro insieme l'intest1:no
tenue mesenteriale.
Il duodeno è il primo tratto di intestino tenue. Ha una forma a "C", nna lunghe:1.­
za di circa 20 cm e abbraccia nna por�done del pancreas che prende il nome di testa.
Esso è il tratto più corto e meno mobile dell'intestino tenue. Nel duodeno vengono
riversate la bile (prodotta dal fegato) e i succhi pancreatici (prodotti dal pancreas e
riversati attraverso il dotto pancreatico) che permettono di continuare la digestione
del cibo. In aggiunta, il pancreas neutralizza l'acidità ciel chimo gastrico secernendo
succhi basici (eoutenenti bicarbonato). Questo tratto del tenue è specialmente coiu­
volt,o nel completare la digestione degli alimenti.
L'intestino tenue mesenteriale è completamente avvolto dal peritoneo, mem­
brana sierosa semitrasparente che riveste la cavità addominale, parte di quella pelvica
e gran parte dei visceri, ancorandoli alle pareti addomino-pelviche. L'inteBtino tenue
mesenteriale è ancorato alla parete addominale posteriore da un ripiegamento a ven­
taglio del peritoneo (mesentere).
Il digiuno è la prosecuzione del duodeno. Il suo nome è dovuto al fatto che fre­
quentemente, nel cadavere, esso è vuoto, verosimilmente a camm della sua elevata
attività assorbente e peristaltica.
L'ileo è la seconda parte dell'intestino tenne e comunica col cieco mediante la val­
vola ileocecale. La sua funzione principale è quella di assorbire nutrienti non assorbiti
dal digiuno, vitamine (B12 in primis) e acidi biliari.
Come ogni organo cavo in eomunicrndone con l'esterno', anche la parete dell'inte­
stino tenue è composta, dall'interno verso l'esterno, da una tonaca mucosa, da una
tonaca sottomucosa, da una tonaca muscolare e da una tonaca sierosa.
La tonaca mucosa di tutto il tenne forma pieghe circolari ( valvole conniventi),

269
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia © Artquiz

costituite da ispessimenti della sottomucosa, la cui fun�ione è quella di aumentare la


superficie di nssorbimento. La nmco::;a ha, inoltre, mm superficie vellutata, in quanto

r
si solleva in milioni di propaggini di forma conica o lamellare, dette villi intestinali.
Ogni villo è alto da 0,5 a l mm cd è costituito da un asse centrale connettivale, ri­
vestito in superficie dall'epitelio. Nella parte centrale sono presenti un vaso linfatico
(vaso chilifero), vasi sanguigni e nervi.
I villi, a loro volta, sono costituiti in superficie da un singolo strato di cellule la cui
membrana rivolta verso il lume intestinale contiene nn numero elevato di estroflessio­
fl ni, chiamati microvilli, che aumentano sensibilmente la superficie di assorbimento. "
1
li Le sostamr.e nutritive contenute nel chilo (zuccheri, aminoacidi, grassi emulsionati)

,l�r.
I! I
vengono assorbite dall'epitelio elci villi e innnesse in parte nella rete dei capillari epa­
tici e principalmente nel sistema vascolare linfatico, attraverso i vasi chiliferi. Questi
ultimi tributa.no a vasi linfatici di dimeusi01l via via crescenti che riversano il loro
contenuto, attraverso la C'istcrna del chilo o di Pequet, nel <lotto toracico, per finire
I ·1 nella. circolazione venosa. La tonaca ::;ottomucosa contiene nel suo spes::;ore i vasi san­
j ,I g11igni e i nervi destina.ti a cli::;tribuirsi nella mucosa. La tonaca muscolare è costituita
•1·:,'- ! da cliverni strati di cellule nm::;colari li:::;cc, fonda.menta.li per i movimenti peristaltici
i
intc::;tinali. La tonaca. sierosa corrisponde al poritonco viscerale.
I

1.7.6 Intestino crasso


L'intestino crasso è la seconda parte di intestino, lunga circa 2 metri e composta da:
I''. cieco, appendice, colon ascendente, colon trasvenm, colon cl�scendonte, sigma e retto.
La funzione fondamentale ciel crasso è quella di ru;sorbirc acqua cd elettroliti da
qnollo che rimane del chilo, compitttaudo le feci e mantenendole nel retto fino a che non
' possono O/:iscrc H<.:nr icate dall'ano tramite la defccttnioue. Altra. importante funzione
I del colon è quclht di assorbire vitamine prodotte clalla flora batterica intestinale (es.
r;
1
Vitamina K, Vitamina B12, Vita.mina. Bl e Vitamina B2).
L'appendice vcrmifo1·mc è ricca in tessuto linfoide ecl è coinvolta principalmente
I
I
I •
nella difesa imumnitaria. Per questa sua attività frequentemente può infiammarsi
(appendicite acuta) e può rendersi necessaria. mrn sua a�porta'l.ioue (appendicectomia).

1. 7. 7 Fegato e cistifellea
II fegato è una ghiandola a Hecrczione Hia. endocrina che esocrina. Esso è un organo di
grandi dimensioni (il.secondo clopo la cute) e svolge una serie di importanti funzioni:
• Metabolismo: immagaz�dna glucosio sotto forma di glicogeno e lo mobilizza da
questi depositi in base alle richieste clell'organhnno, l:ivolge un molo irpportaute nella
i:;intesi di a.cicli grassi e colesterolo, siutetiz:t.a amminoacidi non cssenziall'e proteine
plasmatiche (r.s. albumina e fibrinogeno, protrombina, fattori V, VII, fx, X della
·i : coagular.ione), converte l'acido lattico in gh1co1:iio, interviene nel catab'olismo delle
, I proteine, dcamina gli mnminoaci<li in eccesso ( così eia poter riutilizzare lo scheletro
I carbonioso per la i:;intesi cli nuovo glucosio, lipidi o per ottenere energia), incorpora
lo ione tossico NH.1 + nell'urca, mctabolir.za l'alcol etilico.
• Azione detossificante: mctabolir.za molecole toi:;siche (es. farmaci) rendendole
idrosolubili e focilitanclouc l'ei;crcziono.
• Digestione: il fegato sintet;i22a la bile, che viene immagm�zinata nella colecisti
(eletta anche cistifellea) tra i pasti e rilasciata nel duodeno dopo il pru;to. La bile

270
:1
© Artqni�. BIOLOGIA

è un liquido di colore verdastro, basico, prodotto dagli epatociti (le cellule epiteliali
che compongono il fegato), costituito da acqua, colesterolo, lecitina, acidi biliari e
bilirubina (pigmento biliare). QueBt'nltima deriva dal metabolismo del gruppo eme
dell'emoglobina, mentre gli acidi biliari sono derivati del colesterolo che svolgono
funzione emulsionante atta a facilitare la digestione dei grassi e l'assorbimento degli
stessi e delle vitamine liposolubili (A, D, E e K) ad opera. dell'intestino tenue.

• Funzione endocrina: il fegato produce l'ormone Insulin-like Growth Factor-1


(IGF-1) o somatomedina se stimolato dall'ormone della crescita ( Growth Hormone
o GH). Entrambi questi oriuoui sono particolarmente importanti nell'accrescimento
e un loro difetto o eccesso determinerh nnuismo o gigantismo, rispettivamente.

1.7.8 Pancreas
Il pane1·eas è una ghiandola che svolge, anch'essa, Hia una fu117,ioue endocrina che
una funzione esocrina:
• Funzione esocrina. Il pancreas produce il succo pancreatico, un liquido incolore,
basico, costituito per la maggior parte da acqua, cout.enente diversi en�imi digestivi,
quali tripsinogeno, chimotripsinogeuo, da.stasi, lipa8i, n.mila�i, fo:-;folipasi e nucleasi
pancreatiche deputati alla digc.-,tionc cli proteine, lipidi e carboidrati complcsHi.
La secrezione pancreatica viene regolata. <lu stimolaY-ioui sia cli natura ncrvosn, che
endocrina (paucrcoi',imina e i,;ecrethm).

• Funzione endocrina. È C'.scrcitata dalle isole di Langerhans. Queste ultime


sono ammassi cellulari di� 100 JLill cli diametro, forma.te da diversi tipi cellulari cli
natura endocrina:

a) le cellule a, disposte alla perifcrio. dell'isola, costituenti il 15-20% della cellularità


totale e secernenti glucagone;
b) le cellule /3, costitneutil il 65-80% cl('lla cellularità totale, poste centralmente
nelle isole, secernenti insulina;
c) le ro.re cellule o (3-10% della cellularitù totale), distribuite uniformemente nelle
insule, secernenti somatostatina;
d) altri tipi cellulari più rari, quali le cellule F secernenti il polipeptide pancreatico
(PP) e le cellule e secernenti l'ormone grelina.

Di particolare rilievo sono gli ormoni insulina e glucagone che svolgono effetti op­
posti sul metabolismo. In particolare, l'insulina è un ormone anaboli�zaute (aumenta
la sintesi cli biomolecole} il cui effetto è quello di riclnrre la glicemia (concentrazione
di glucosio nel sangue), attivando il metabolismo cellulare: L'insulina ha anche un
ruolo importante nella sintesi proteica e nella sintesi cli acidi grassi. Il glucagone, cli
contro viene rilasciato quando i livelli ematici di glucosio scendono sotto la soglia di 80
mg/100 mL e attiva la degradazione delle riserve di glicogeno (soprattutto epatico),
favorendo l'innalzamento della glicemin. Un difetto nell'ai',ione dell'insulina dovuto
alla distruzione delle insule pancreatiche o conseguente ad una reBisteuza dei tessuti
periferici al suo effetto esita in un inadeguato controllo della glicèmia. Tale patologia
prende il'nome cli diabete.

271
o
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia @ Artquiz
o
o
1.7.9 Digestione
I
l
r, La digestione è il processo meccanico-chimico (quest'ultimo di natura enzimatica)

11-i o
che permette di scindere il cibo in nutrienti assimilabili dall'organismo. Ess;t inizia
nella bocca e prosegue lungo tutto il tratto digerente. Quando la digestione è difficile
il quadro patologico viene chiamato dispepsia.
il Di seguito presenteremo in maniera sintetica le sue principali tappe:
}�· • Bocca. Questa è la prima tappa ciel processo digestivo. In essa si esercita l'azione

:11·' t
o
meccanica di triturazion e ad opera dei denti cui si associa l'attività della lingua, un
muscolo volontario mobile che impasta il cibo durante la masticaiione preparandolo
�J
per la deglutizione. Il cibo ingerito e tritnrato viene pertanto mescolato alla saliva,
portato a temperatura ottimale per la digestione e in parte demolito chimicamente
dalla saliva. Quest'ultima è una solu7.ione contenente: l'amilasi salivare e la ptialina
j.
J
( enzimi prodotti dalla parotide che iniziano la demoli7.ione dei carboidrati complessi,
.,
quali gli amidi, in costituenti più se!Ilplici), la lipa.'>i salivare (enzima che agisce sui
:I trigliccricli, scindendoli in componenti più semplici) e il Usozirnn, (un enzima dotato
D
o
I• di attività battericida). Il cibo, impregnato di saliva e impastato, forma il bolo,
che viene deglutito attraverso la foringe e sospinto dalle contr�ioui perb,;taltichc
I' I ,I dell'esofago per giungere allo :;tomaco.

:f
II • Stomaco. Una volta entrato nello stomaco, il bolo viene mantenuto all'interno cli
quest'organo grazie alla prese1r,m di una valvola, Io :;fì.nterc esofageo, prevenendo
;f
. il refhrnso di contem1to gastrico acido ven;o l'esofago. Le ghiandole compre8e nelle
pareti dello stomaco secernono un ,<,mcco costituito da acido cloridrico, pepsina (en­
zima digestivo ad a:done proteolitica, ovvero capace di rompere i legami peptidici
che legano gli amminoacidi co8tituenti le proteine), chimosina (enzima idrolitico

o
I
I capace di digerire la caseina, una fosfoproteina del latte) e il fattore intrinseco (gli­

l
coproteina che favorisce l'assorbimento di vitamina B12 e ferro). Le cellule della
mucosa gastrica secernono anche del muco che forma una patina protettiva che
impediHce ai �nicchi gastrici di ledere la mucosa dello stomaco. Nel suo insieme,
.i
I
• I
quindi, Io stomaco ha la funzione di dissolvere il cibo e digerirlo, ma in genere non
di assorbirlo. Nondimeno, alcune sostanze (acqua, alcol, caffeina, alcune vitami­ D
D
ne, aspirina e glucosio) possono essere direttamente assorbite nello stomaco senza
arrivare nell'intestino. Ciò avviene perché le loro molecole, di piccole dimensio­
r

o.
i,
ni, passano direttamente nel sangue che scorre nei vasi delle pareti dello stomaco.
�· Quando il cibo esce dallo stomaco (attraverso il piloro), per entrare nell'intestino,
è una poltiglia semi-solida lattiginosa e acida (il pH dello stomaco è 1-2), chiama­

o
ta chimo. II chimo si trasforma in chilo quando passa nell'intestino tenne dove,
grazie alla bile prodotta dal fegato, vengono scomposti i grassi.
r.}rJ
• Intestino. Nell'intestino si completa la digestione chimica e ha luogo l',àssorbimen-

o
,I
11 11 to dei nutrienti contenuti nel cibo. AI fine di massimiz;r,are l'area disponibile per
I queste funzioni, l'intestino tenue è estremamente lungo ed è altamente ripiegato.
·1

·o
• Duodeno. II duodeno è la porzione dell'intero appm·ato digerente in cui avviene la
maggior parte della digestione chimica. Quest'ultima è dovuta all'azione combinata
. del succo enterico, secreto dalle ghiandole presenti nella mucosa del duodeno, del
I

o
J 4

•' succo pancreatico e della bile. II succo enterico e quello pancreatico contengono
I
diversi enzimi, muco e bicarbonato per tamponare il pH acido del chimo. Gli en­
,,ì
zim� piìI importanti sono: trip,'>inogeno (che diventerà tripsina), chimotripsino_q_eno

272
o
© Artquiz BIOLOGIA .

(che diventerh chimot.ripsina) ed elastasi (proteasi deputate alla demolizione delle


proteine), lipasi e Josfolipasi (deputate alla degrada7.ionc di lipidi), amilasi (depu­
tata alla degradazione di zuccheri complessi) e nucleasi (capaci di degradare acidi
nucleici). La digestione dei grn�si è facilitata dalla bìle contenuta nella colecisti e
immessa nel duodeno circa 30 minuti dopo il pasto. I sali biliari in essa contenuti
fungono da detergenti, avendo una struttura dotata cli un'estremità idrosolubile e
una liposolubile ed essendo capaci di disperdere i grassi in goccioline più piccole
che restano separate le une dalle altre in solrndone acquosa (funzione emulsio nante).
Questo processo aumenta la superficie su cui possono agire g·li enzimi. In conclu­
sione, nell'intei-;tino, per l'azione chimica dei succhi digestivi e per quella meccanica
dei movimenti peristaltici, il chimo proveniente clallo stomaco viene trasformato in
un liquido latte.-,cente, detto chilo, che contiene in i;olu¼ione molecole piècole che
possono attraversare la pinete intestinale. In particolare, i glucidi vengono assorbiti
dopo clemoli¼ionc en¼inm.tica. Gli emdmi che intervengono sono:

a) enzimi intraluminali: alfa-amilasi (sia salivare che panrJ.·eatica) che clegracln


amiclo e glicogeno ad c�-destrine, maltrn.;io e maltotrioso.
b) enzimi intracellulari: i clhmccnricli e i t;rhmccaricli vengono scissi cla oligo­
saccarasi localizzate sulla superficie cellulare clegli cntcrociti (cellule epiteliali
intestinali). La maltasi scinde i legò.mi clc:l maltosio e del maltotrioso fommndo
glucosio; la ,.;accarasi idrolizza il sacca.rosi<> in glucosio e fruttosio; l'Ct'.-destrinasi
idroliz¼a le a-destrine in gluern,io e la. lattw;i iclroli%.¼a il lattosio in galattosio e
glucosio.

In maniera i;imilc, anche le proteine vengono dcgraclatc in pepUcli via via sempre
più piccoli nel duodeno e nel digiuno. Di- e t.ri-pcpticli vengono infine degradati nel
citoplasma degli enterociti <la carbo,'isivevtùlasi.
Da ultimo, dopo emulsionamento ad opera dei sali biliari, i lipidi subiscono una
scissione in 2-monoacilglicerolo a. due acidi grassi liberi ad opera della livasi vancrea­
tica. Essi vanno a costituire micelle miste iclro8olubili.
• Digiuno e ileo. Diguno e ileo sono, invece, le porzioni· cli intestino in cui è massi­
mo l'ass�rbimento, ovvero il passaggio dei nutricut;i dal lume intestinale a Han gue
e linfa. Per facilitare ciò esistono delle proteine presenti imlla superficie delle cel­
lule epiteliali intestinali che trasportano attivamente o facilitano la diffusione cli
nutrienti elementari (es. trnsportatori cli :1.uccheri quali glucosio, galattosio e frut­
tosio e trasportatori degli amminoacidi). Gli acidi grm:.;si a catena corta, invece,
diffondono rapidamente dal lume ai villi e da. qui nl :mngue venoso per essere poi
coniugati all'albumina nel fegato e veicolati nel sangue sistemico come acidi grassi
non esterificati.

• Colon. Nel colon, infine, si ha rin.qsorbimcnto di acqua, clettrolit.i, vitamine e acidi


gn1ssi.

1. 7.10 Alimenti
L'alimenta¼ione consiste ncll'introclrndouc, con la· <lieta, di :-;o.-,tm1:r,c (liquide o solid(?)
che assolvono a diverse fumdoni:

273
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia @ Artquiz

• fornire abbastanza energia per il sostentamento deIPindividuo {glicidi, lipidi e pro­


teine) per un totale di circa 2.000. kcalorie (1 kcaloria = 4,18 kjonlc); 1
• fornire materiale plastico per l'accrescimento, il rimodellamento e la riparazione dei
tessuti (proteine); �

• fornire elementi essenziali {ovvero che non p ossono essere sintetizzati dall'organi­
smo) regolatori delle reazioni metaboliche.
-u,1

;iI.
Una corretta alimentazione si basa sull'introduzione degli alimenti secondo la �
cosiddetta piramide alimentare.

J
I grassi o lipidi sono gli alimenti a piì1 elevato contenuto calorico. Gli inccheri o
carboidrati ::;ono quelli a più immediato rilascio del contenuto energetico. Essi sono
contenuti nei cercali e nei loro derivati {pane e pasta). Le fibre alimentari, costituite
_.. .I essem�ialmcntc da cellulosa non digeribile, sono contenute nei vegetali e sono essenziali
, I
t,
per stimolare la perbta.lsi intestinale. p{

'-1:
I! 1.7.11 Vitamine
Le vitamine Hono sostanie organiche m;snntc con la dieta, indispensabili per il cor­
retto funzionamento del nostro organismo, Esse sono considerate micronutrienti che
devono .essere introdotti con la dieta poichc non possono essere sintetiz·.mti dall'or­
ganismo. Possono essere distinte in base alfa. loro ::;olnbilità in liprn,olnbili: A, D, E
e K e idrosolubili C, Bl, B2, B5, B6, PP, 1312, B9, H. Frcqmmtementc fungono eia
coem�imi, indispensabili per facilitare la catali.<;i delle reru-.ioni chimiche.

1 Principali vitamine (o loro sinonimi) e rispettive funzioni:


i

,
; I
: I
• Vitamina A (retinoicli e carotenoidi). È liposolubile.
LI
r Funzione: visione e differenziamento cellulare.

• Vitamina B1 {tiamina).
,, Funzione: è il coenzima ·delle decarbossilasi dei chctoacidi e delle transchetolasi.
i"
i: Infatti, ha 1111 ruolo importante nella decarbossila'i;ione ossidativa del piruvato e
l dell'a:-chetoglutara_to nel ciclo di Krebs (importante per la formazione di energia
metabolica) e nella reazione transchetolasica nel ciclo dei pentosi fosfato (impor­
tante per la proclniione di NADPH e di ribosio 5-fosfato). La sua carenza provoca
una malattia, chiamata bcri-beri, che danneggia. il sistema nervoso.
• Vitamina B2 (o vitamina G o riboflavina).
Funiione: i metaboliti derivati da questa vitamina sono componenti esb'enziali de­
o
o
gli em�imi flavinici, funzionando da gruppi pl'ostetici. Essi intervcngo�o in varie
·11: rea·tioni di ossidoriduzione del metabolismo dei carboidrati, proteine e lipidi.
i j
• • Vitamina B3 (o vitamina PP o niacina o acido nicotinico).

o
''1
Funzione: è una componente fondamentale di due cocn7;imi: la nicotinammide ade­
nina dii-mclcotide (NAD) e la nicotinammide adenina dinuclcoticle fosfato (NADP).
..,:
o
Questi ultimi sono coinvolti in molteplici reazioni di ossidoriduzione di vie sia
cataboliche che anabolichc. La sna earenza provoca la pellagra.
� I! 1 Noi linguaggio co!'reute si pado. di calorie invece di kcalorie.

o
I I

';
I
:�!I 274
;1l
© Artquiz BIOLOGIA

• Vitamina B5 ( o vitamina W o acido pantotenico).


F\mzione: è un componente del Coem:ima A, elemento essenziale per il trasporto
di gruppi acili e acetili.

• Vitamina B6 (o vitamina Y o piridossina o piridossale).


F\mzione: è coinvolta in qualità di coenzima nel metabolismo degli amminoacidi e
di altri composti.

• Vitamina B8 (o vitamina Ho biotina.).


Funzione: la biotina svolge il ruolo di cofattore di diverse carbossilasi ATP-dipen­
denti, favorendo il trasferimento di una molecola <li C02 da un donatore ad un
accettore.

• Vitamina B9 ( o vitamina Be o vitamina M o a.ciclo folico).


Flm¼imie: il tctrnidrofola.to interviene in reazioni di tra:;ferimento di unità mono­
c,u·boniose a. diversi livelli di ossidazione e funge d;i trasportatore intermedio. È
coinvolto nella sintesi di nucleotidi e amminoacidi.

• Vitamina B12 {o cobalamina.).


F\mzione: è coinvolta nel metabolii.;mo'di acidi nucleici, lipidi e amminoacidi.

• Vitamina C (o a.ciclo a.�corbico).


Funzione: ha forte azione antiossidante.

• Vitamina D (gruppo costituito da 5 diverse vitamine: vitamina D1, D2, D3, D4 e


D5). Sono liposolubili. Viene anche sintetiziata dall'organismo a seguito di esposi­
zione alla luce solare.
Funzione: la vitamina D favorisce il riassorbimento di calcio a livello renule, l'ussor­
bimento intestinale di fosforo e calcio e i processi di mineralizzazione dell'osso. È
and1e coinvolta nel differenziamento cellulare e ha aiione immuno-modulante e for­
se antiproliferativa. È contenuta in grande quantità nell'olio di fegato di merluzw
e la sua deficienza provoca il rachitismo.

• Vitamina E (o tocoferoli). È liposolubile.


Funzione: ha un ruolo importante in qualità di antiossidante, specie nella preven­
iione della perossidaiionc degli acidi grassi.

• Vitamina K (o naftochinone). È liposolubile.


Funzione: è importante per l'attivazione di proteine coinvolte nella cascata coagu­
lativa e per proteine della rnatrice dell'osso.

• Vitamina. F {o omega 3). È liposolubile.


Funzione: sono acidi grassi, presenti nelle membrane cd essenziali per la loro
integriti1. Sono importanti per la sintesi di molecole coinvolte nell 1infiammazione.

• Vitamina Q (o nbichinone). È liposolubile.


F\mzione: è presente nelle membrane biologiche, specie nel mitocondrio ed è coin­
volto nelle fasi aerobiche e nella procluiione di energia.

275
Capitolo 1 Istologia, a11atomia e fisiologia. © Artquiz

1.8 Apparato urìnario


L'apparato urinarìo è costituito da reni, ureteri, vescica e uretra.
Le funzioni dell'apparato urinario consiHtono nella filtrazione del plasma ed elimi­
nazione dei rifiuti metabolici, principalmente dei composti azotati, nella regolazione
del volume di acqua nel sangue, della concentrazione di acqua e degli elettroliti nei
tessuti corporei. Contribuisce anche al mantenimento dell'equilibrio acido-base.
Gli animali eliminano i grnppi amminici non riutilhrzati dall'organismo sotto di-,
verse forme chimiche e pertanto vengono classificati in ureotelici, qualora eliminino �
urea, ammoniotelici, se producono ammoniaca, e uricotelici, se eliminano acido urico.
Fonte principalo dell'mmto catabolico sono gli amminoacidi provenienti dalle pro­

teine ingerite che, nei mitocondri, vanno incontro alla deaminazione ossidativa. Lo io­ l
j

ne ammonio viene trasportato al fegato sotto forma di glutammina o a.lanina (due am­
minoacidi). Nello stesso fegato, il ciclo dell'urca (nei mammiferi) provvede a convertire
lo ione ammonio in questo composto.
Arteria
renale
Capsula----....
Milza Vena
i ·r enale
i
I Rene
I sinistro
I
r.
I Rene
destro

I Ureteri

! Aorta

·.:.,g, Calice mnore

F igura 1.21: Apparato urinario umano e sezione del rene.

1.8.1 Rene
I reni sono clnc organi della forma cli un fagiolo localiz�ati nell'addome, subito ai lati
della colonna vertebrale. Essi si estendono verticalmente dalla 120. vertebra toracica
ri
alla 3n lombare. L'unità fim:lionale del rene è il nefrone (Fig. 1. 22) ( da cui nefrologia,
la branca. dellii medicina d1e studia il rene e le sue patologie), costituito da:
• Corpuscoli di Malpighi, compm,ti a loro volta da un glomerulo ren�le, ' ovvero
I' un gomitolo di capillari il cui plasma viene ultrafiltrato e una capsula di Bow-
I man, regione attraverso c:ni Hi forma e 8i raccoglie l'ultrafiltrato glomerulare da cui
si originerà l'urina (6ltru�icmc). L'ultrafiltrato glomerulare contiene acqua, sali e
composti organici a bnsso peso molecolare (come il glucosio e l'urca), Non contiene
cellule e non dovrebbe contenere neanche proteine, anche se alcune a basso peso
molecolare riescono a pas!·m.rc.
r
• Tubuli renali sono la prm1ecuzionc delle vie urinarie originate dalla capsula 'di
Bowman. Essi sono distinti (nell'ordine) in tubulo contorto prossimale, ansa di
,I
II 276
© Artquiz BIOLOGIA

Henle, tubulo contorto dh:;tale e dotti collettori. Nel tubulo contorto prossimale
si ha il riassorbimento da parte dei capillari sanguigni dell'acqua e dei prodotti
utili, come il glucosio, gli aminoacidi, le vitamine, i sali e quelle proteine piu piccole
che erano riuscite a passare nel filtrato. Nell'ansa di Hen le si ha un ulteriore
riassorbimento di acqua e di ioni sodio e cloruro. Nel tubulo cont orto distale
si ha la secrezione da parte dei capillari di sostanze che necessitano di unà rapida
eliminazione e che si aggiungono alle sostanze filtrate come i farmaci, ioni ff+ e
tossine. 'I\1tto ciò avviene in seguito a stimolazione ormonale ad opera di diversi
ormoni, fra cui: l'ormone antidiuretico (ADH), l'aklosterone, e il fattore natriureti.co
atriale (ANF). I dotti collettori immettono l'urina (essa si chiama così a partire
dal dotto collettore, prima si chiama preU1ina) concentrata nella pelvi o bacinetto
renale da cui passa nell'uretere (escrezione).
La corretta successione dei processi che avvengono nel rene è quindi: filtra.7,ione,
riassorbimento, secrezione ed escrezione.
I reni assolvono anche all'importante funzione endocrina di produrre eritropo­
ietina, ovvero l'ormone che regola la prodm�ione cli eritrociti da parte del midollo
osseo.

filtrato tubulare
uttrafìltrato ansa di Henle
Figura 1.22: Il nefrone.

1.8.2 Ureteri, vescica e uretra


Gli ureteri sono due piccoli condotti che collegano la pelvi renale con la vescica, ove
terminano nel meato ureterale. La loro funzione e quella di convogliare l'urina nella
vescica, La vescica è un organo muscolare, ca.vo, impari e mediano la cui funzione
è quella di immagaz7,inare l'urina e di contenerla fra una minzione (espulsione) e la
successiva. Il volume di urina contenuto al suo interno è variabile: generalmente è
compreso fra i 200 e i 300 mL, ma può giungere ai 2 L. L'espulsione dell'urina avviene
attraverso l'uretra (Fig. 1.21).
La continenza vescicale è garantita dalla presenza di un muscolo sfintere esterno
(che regola. l'immissione di urina nell'uretra) sottoposto a controllo volontario. Di
contro, la minzione è pern1essa grazie ad un riflesso midollare autonomo.
L'uretra è un piccolo condotto che unisce il collo della vescica urinaria con l'esterno.
Nella femmina essa ha la sola funzione di permettere il passaggio dell'urina. Al contra­
rio, nel maschio serve anche per il passaggio dello sperma poiché in essa si immettono
i condotti eiaculatori.

277
Capitolo I Istologia, anatomia e fisiologia @ Artqui7.

1.9 Apparato riproduttivo (genitale)


Fanno parte clcll'apparato genitale maschile: i testicoli (gonadi maschili, cliclimo
ed epididimo), i funicoli spermatici, le vescichette S<'!minali, la prostata e il pene.
Fanno parte dell'apparato genitale femminile: le ovaie (gonadi femminili), le
tube di Falloppio, l'utero, la vagina e i genitali esterni.
Le funzioni dell'apparato genitale sono quelle della formazione dei gameti (cellu­
le uovo e spermatozoi, che sono cellule sessuali aploidi, prodotte per meiosi), della
Uttil fecondazione (fusione dei gameti maflchili, spermatozoi, e femminili, oociti) e dello
!\9..ì
li
sviluppo embrio-fetale fino al parto.
Gli ermafroditi sono individui in cui sono coesistenti sia. gli organi sessuali maschili

D
che quelli femminili.

!ti·
•• ,
;,,·

o
1.9.1 Genitali maschili
.,,
'i''.
\.�t1·
,.
. I genitali maschili sono le gonadi nrnschili, ovvero gli organi deputati alla genera-
7,ione dei gameti ma�chili, chiamati spermatozoi. La. produ'l,ione cli queste cellule

o
germina.li avviene per tutta la. durata della vita del maschio. Essi producono am.:he
',• gli ormoni sesstmli maschili, chimnati androgeni, tra cui il testosforone. Sono organi
:i pari a forum ovoiclalc, situati all'esterno dell'addome, nello scroto. Quando i testicoli

�i
,,
non scendono nello i;croto si parla di cripton:hidùmw.
Intermuncnte il testicolo (Fig. 1.23) (! cliviso in diversi scompartimenti, chiama­
ti logge. All'interno di queste trovano alloggiamento dei tubuli a. fondo cieco, detti o
o
i•,
tubuli seminiferi, in cui avviene la forma.:done e nmtnra:done degli spermato;;oi.
Ta.li tubuli sono costituiti da particol'a.ri cellule, ·elette cellule di Sertoli, che hanno
.' fun:donc cli far ma.tura.re gli l-ipermatodti. Vicino ai tulmli :-ieminiferi ci sono numerose

o
,I
cellule, chiamate cellule inters tiziali o cellule di Leydig, che producono il testo­
sterone. I tubuli forma.no una rete da cui originano <lei condotti efferenti che vanno
·I·' 1'
I! a costituire la testn. dell'epididimo (che funge da serbatoio di spermato.wi). I con­
!,I'• dotti efferenti infine convergono a. formare un dotto deferente (uno per testicolo).
Ciascun dotto cleforente risale sino a giungere di ln.to alla. vescica, in prm,simità della
quale riceve i liquidi prodotti dalla ·11escichetta seminalè, che è pm;ta posteriormente e
i:
I·, inferiormente rispetto alla vc."icica, e da.Ila prostata. La mh;cela dei due liquidi con gli
spermn.tozoi cm;tituisce il seme o sperma, che verrà eiaculato durante la copula�ione.

o
La prostata è \m'impmtante ghiandola am1cs:-ia alle vie spermatid1c. Essa è po­
sta al di sotto della vescica e circonda la prima porzione dell'uretra definita uretra
prostatica. Ha la forma, le dimensioni e la consisten'l,a di una castagna. Il parenchima
.
o
prostatico è costituito da un insieme di ghiandole, circondate da un tessuto fibroso
:·i f
contenente cellule muscolari lisce che si contraggono al momento dell'eiacula'l,ione. La
,; l prostata produce e f.ecerne un liquido poco visco�o, alcalino e latte�cent�;1 che serve a
.
rl •'

stimolare la motilità degli spcrmatoY.oi.


1.1jj

;I
Il pene è l'organo maschile deputato alla copula�ione. È formato da tre masse
cilindriche di tessuto cavernoso erettile unite da connettivo e avvolte da cute. Le due

o
;I masse laterali prendono il nome di corpi cavernosi del pene, mentre quella centrale,
.. I detta corpo spongioso dell'urct1·a, ne costituisce la por�ione ventrale e avvolge il tratto
·1 ! penieno dell'uretra. Il termine cavernoso indico. la presenza di sptl.l!li venosi (caverne)
presenti in tali strntture. Tali cavità possono riempirsi di sangue e sono responsabili
·,·.' :.
I

dell'erezione durante l'eccitazione sessuale. La porzione terminale del pene è lieve­


,. .
·t : mente espansa e prende il nome di glande. Quest'ultimo è parte del corpo spongioso
1-;,
li-! 278
i-,,
t..: l
@ Artqui BIOLOGIA
. ____________________________

dell'uretra e ricopre dnll'ulto le estremità distali dei corpi cavernosi del pene. All'apice
del glande si apre il meato uretrale (l'apertura esterna dell'uretra). Il rivestimento
cutaneo del pene è lasso e forma mm piega (prepu7,io) che ricopre, nei soggetti non
circoncisi, il glande.
Con il termine orchite si intende l'infiammazione dei testicoli.

Retto (sistema digerente)

Vescica "-.
seminale �
-'""'7�c Vescica
vaso '• (sistema escretore)
deferente ·B
f,...,,_ Osso·pubico
Dotto -
eiaculatore Tessuto erettile
del pene
Uretra

Vaso deferente ,,\ (sisttlma escretore)
E�ididimo Glande
: �
Testicolo :
Scroto--- �

Rete
teslis

Lobuli
testicolari
. ...Setto
·-..........Testicolo

Figura 1.23: Apparato genitale maschile e sezione longit1.tdinale del testicolo.

1.9.2 Genitali femminili e gestazione


Gli organi genitali femminili sono costituiti dalle gonadi femminili (ovaie), dalle
tube di Falloppio, dall'utero, dalla vagina e dai genitali esterni.
Le ovaie sono due organi a forma e dimensioni di nna mandorla e si localizzano
nella cavità pelvica superiormente e lateralmente all'utero. Esse sono responsabili
della produzione delle cellule uovo (oociti) e ·degli ormoni sessuali femminili (estro­
geni e progesterone). Microscopicamente esse sono rivestite di un epitelio che poggia
6opra uno stroma connettivale denso. All'interno cli quest'ultimo sono presenti i fol­
licoli ovariçi, costituiti da oociti in varie faRi cli maturazione e da cellule follicolari
di supporto. Quando la maturazione dell'oocita è c'l.vvenuta il follicolo si rompe e lo li­
bera. Questo processo si chiama ovulazione. Subito· dopo l'ovulazione il coTpo luteo

·279
•tl
Ì' Capitolo I Istologia, anatomia e fisiologia @ Artquiz

.l produce una grande quantità di progesterone, l'ormone che impedisce una ulteriore
rl ovulazione e crea le condhdoni per dare inizio alla gravidanza, durante la quale con­
tinua ad essere prodotto. Gli oociti maturi discendono lungo strutture tubulari cave,
"I
ml l'ovidotto, chiamate tube di Falloppio. In queste avviene la fecondazione: Se la

w:�
,,ili i.
'111
1., t
cellula uovo non viene fecondata, viene eliminata durante la mestruazione, mentre
se avvie1�e la fecondazione, il prodotto del concepimento (�igote) discende nell'utero,
l�,nr ove si annida per svilupparsi ad embrione, prima, e feto, poi. La mestru�ione è lo
sfaldamento della mucosa uterina ed è un segno di .non avvenuta fecond azione.
t�1: L'utero è un organo cavo, impari e mediano, della forma di una pera rovesciata le
1
, ..11,
l·t
cui spesse pareti sono costituite in maggior parte da muscolatura liscia (miometrio).
ij <1 Esternamente è rivestito dal peritoneo, mentre internamente la cavità è rivestita da
mucosa (endometrio), punto in cui avviene l'annidamento dell'embrione. Anato­
micamente possiamo distinguere l'utero in tre parti: corpo, istmo e collo. Il collo
.. 1
.{'
dell'utero protrude, verso il basso, nella vagina, il can�le che si apre all'esterno e che
.: ·, accoglie il p<'me nel rapporto sessuale. Lo spermatozoo, per fecondare l'oocita, deve
1:.' i percorrere l'utero e risalire lungo le tube.
,.
La vagina ha normalmente un pH acido: a questo fine contribuiscono i lattobacilli
,. con le loro secrc�ioni acide.
li. Il ciclo mestruale femminile dura 28 giorni e l'ovulmdone avviene intorno al 14°
giorno.
La placenta è nn anneHso embrionale che permette gli scambi metabolici tra la
madre e il foto: attraverso essa viene fornito sang11c che contiene ossigeno e sostanze
nutrit,ive.
I
i,

Mediante l'amniocentesi è possibile prelevare con un ago una porzione di liquido


amniotico che circonda l'embrione per fare analisi prenatali di carattere genetico.
j.
Esiste un asse ipotéÙamo-ipofisi che influenza la prodmdone di ormoni da parte �
delle gonadi che influenzano a loro volta l'utero, per cui la catena di stimolazione è:
11-1
:: , ipotalamo-ipofisi-ovaio-utero.
i,I
Promontorio sacro
Legamento �Uretere
sacro-uterino Legamento

rJ.
lnfundlbolo,pelvl co


Tromba ,tertna
·, Ovala

.o
·. ·. Vasi llllaci
- esterni
Legamento ovarico

o
Legamento rotondo
deff'Utero
Fondo dell'utero
t Cavo
vesc190,uterlno
,1 Vescica urinarla

Il Sinfisi pubica
Vagina
Uretra

Diaframma
., Ano u_ro,genltale
�i

Figura 1.24: Apparato genitale.femminile.

l
1,1
i'l
280
ij
,H -
© Artquiz BIOLOGIA

1.10 Sistema nervoso


Il sistema nervoso è un ) unità morfo-fun;,,iouale contenente una rete di cellule spe­
ciali, chiamate neuroni, capaci di elaborare segnali bioelettrici, coordinare le azioni
· clell'organismo e trasmettere segnali fra· le diverse parti dell'organismo. I neuroni
sono costituiti da un corpo cellulare (pirenoforo o soma) e da dei prolungamenti
(dendriti e assoni). I dendriti portano i segnali al corpo cellulare, in senso cen­
tripeto, mentre gli assoni lo trasmettono in senso centrifugo. Le cellule nervoi:ie si
differenziano dalle altre cellule perché incapaci di dividersi.
Nei vertebrati possiamo distinguere: il sistema nervoso centrale (SNC), costi-.
tuito da encefalo, midollo spinale e retina, e il sistema nervoso pe1·iferico (SNP)
costituito da neuroni sensitivi (raccolgono gli stimoli e li trasportano al SNC)., gangli
(corpuscoli contenenti la parte centrale dei neuroni fuori dal sistema nervoso centrale)
e nervi.
I neuroni comunicano tramite onde elettrochimiche (potenziali d,a.zione) che viag­
giano lungo gli assoni e determinano il rilascio cli piccole molec<.>le, dette neurotra­
smettitori, in giun:,,ioni cellulari spccinliz;,,ate dette sinapsi. Tali neurotrasmettitori
agiscono su cellule bc�r.�aglfo dotate cli proteine (recettori) capaci di riconoscere seletti­
vamente specifici ncurometliatori, determinando nn'mnpiu, gannna di rispoi;te cellulari
che varia dalla mo<lifica:done dv.I poten:1.iale di membrana alla contrazione della cellula
bersaglio. I neurotrasmettitori 80110 cli tipo diverso a sc�c.:oncla del tipo di organo ber­
saglio: acetilcolina, dopa.mina, adrenalhu1, istamina, serotonina, endorfine sono trn
queHte. I neuroni pos..<.;ono essere clossificati in brn.;e alla loro fun:--.ione in:
• neuroni sensitivi o afferenti, che sono ltttivati da mm serie di stimoli fisici (es.
calore, pressione, molecole volatili, luce) e convoglic'uIO le informazioni dagli organi
seu�oriali al siHtema nervoso centrale;
• interneuroni, che convogliano le iufonna;,,ioni provenienti da neuroni sensitivi, le
integrano, elaborandole in informaxioni piìt compksHe e, infine, li tra�mettono ai
motoneuroni;
• neuroni. motori (motoneuroni) o efferenti, cllC' inviano impulsi motori alla
periferia. Possono essere distinti in ,.;omatomotori (innervano la mm;coln.tnrn striata
volontaria) e visceroejf('.ttori (innervano la muscolatura involontaria per me;,,zo dei
neuroni autonomi contenuti nei �angli simpatici o parasimpatici).
TI:a la superficie interna ed esterna della membrana cçllulare di un neurone c'è
una differenza di potenziale con la parte interna u(-)gativit rispetto all'esterno (-70
mV). QueHt;a differenza è dovuta a.lle diverse concentra:1.ioui cli ioni sodio e potassio,
creata dalle pompe trasportatrici e dalla diven;a permeabilità della membrnua ai due
ioni. Quando lo 8timolo nervoso è imffidentemente forte da <lepolari;,,zare il poten­
ziale portando il valore da -70 a -50 ( valore soulùi) Hi genera il potenziale d'azione:
si aprono le proteine canale del sodio e ioni sodio entrano nella cellula, e cambiano
la differenr.a di potenziale rendendo positivo l'interno ( +30-35 mV). A questo punto
diminuisce la permeabilità degli ioni sodio mentre aumenta quella degli ioni potassio,
che escono dalla cellula ripristinando, insieme alle pompe Na/K, il potenziale negativo
iniziale (potenziale di riposo). Questo potem�iale, che è sempre della stessa intensità

r
indipendentemente dall'intensità dell'impulso nervmm, purche al di sopra della soglia,
si propaga lungo la fibra nervosa. Un neurone eccitato non· è capace di riproporre
il potenziale di azione per un certo periodo: si chiama refmttarieta l'intervallo tra

281
Capitolo 1 ]stologia, anatomia e fisiologia © Artquiz

un'eccitazione e un'altra e questo stato corrisponde ad una iperpolariz:lazione (po­


tenziale più negativo di -70 mV) che dura. per un certo periodo (1-2 ms) prima di
tornare al potenzia.le di riposo. Que8to garanti8ce che il segnale prosegue sempre in
una certa direzione e non torna indietro. Il valore soglia è molto importante: parecchi
segnali, ma tutti al di sotto del valore soglia, non portano ad alcuna risposta.
Oltre che dai neuroni, il sistema nervoso è composto anche da cellule gliali che
danno supporto strntturale e metabolico ni primi. Inoltre·, cellule glièùi specializza­
te (oligodendrociti nel sistema nervoso centrale e cellule di Schwann nel sistema
nervoso periferico) rivc8tono a.lcuni assoni mediante una guaina specializzata (guaina
f., mielinica}, che isola elettricamente, in parte, l'assone, aumentando la velocità di

i·. .
trasmissione clell'impul8o (fino a 150 m/s). Gra:1.ie a questa peculiarità la depolariz­
i.v-,. zazione della membrana assonica. procede in maniera saltatoria fra i punti dell'assone
non rivestiti dalla guaina (nodi di Ranvier}. L'ingTeS80 e l'uscita degli ioni che
provocano il potenziale cli azione avviene proprio nei nodi di Ra.nvier, dove non c'è la
':
i protezione della guaina mielinico.. Negli asi,;oni amielinici l'impulso nervo:�o è continuo
I e non saltatorio ed ò molto più lento (20 m/s) .
il·.
'i q
' 1.10.1 Sistema nervoso centrale e periferico
'i,; ' Il sistema nervoso centrale (SNC) è costituit.o d,i encefalo, micìollo spinale e retina.

.. iI
I
Esso è rive8tito da tre membrane o meniup;i, clctt;e JJia madre (interna, semitrasparen­
te, molto sottile), aracnoide� (simile acl una ragnatela) e clnra madre (esterna, dura,
I·;... incstem;ibilc, simile al cuoio). Lo spazio compreso trn aracnoide e piti madre è eletto
lf
�mb-aracnoideo cd e bagnal;o dal liquido ccfalo-rachiclim10 o liqnor. Quest,'nltimo, pro­
dotto dai ples,,;i corioidei, bagna, isola iclranlicnmente, drena e nutre ogni parte del
sistema nervoso centrale. Strutturalmente il SNC �i organb:1mto in: sostamm bianca
in cui decorrono fasci di a8soni mielini:t,zat.i e sostamm grigia in cui sono localizzati i
corpi neuronali, gli alberi dendritici e le tcrmina'lioni assonichc. In particolare, nel
SNC, le strutture in cui si organiz%'auo i corpi neuronali prendono il nome·di nuclei
(ricordiamo che in periferia prendono il nome cli gangli).
Il forarne magno occipitale del cranio divide il SNC in encefalo (contenuto nella
scatola cranica) e midollo spinale (localizzato nel canale vertebrale). L'encefolo è a
sua volta distinto anatomicamente in cervello (più craniale, deputato ad esercitare
le funzioni pit1 complesse) e tronco encefalico (in continuità con il midollo :,pinale).
Embriologicamente, invece, l'�ncefalo può essere distinto in:
a) prosencefalo (equivalènte al cerv�llo) che è a sua volta �udclivif;o in diencefalo
(cui appartengono ad esempio ipotalamo, talamo e ipofisi) e telencefalo (cui ap­
partciigono gli emisferi cerebrali e le 8trutture comuni ai due emi8feri, cmp.e il corpo
I
calloso);
1· ,.i

,1 I
i
b) mesencefalo, conispondcnte alla pondone rostrale del tronco cncefalié::o;
e) romboencefalo, corrispondente alla por�ione caudale del tronco, quest'ultimo sud­
diviso, a sua volta, in metencefalo (a cui appartengono il ponte e il cervelletto) e
t in mielencefalo, che costituisce il bulbo.
La corteccia contiene neuroni che lm.nno sia connessioni tra loro (connessioni
:f cortico-corticali) sia connessioni con neuroni appartenenti ad altre aree, come il talar
mo e il cervelletto ( connessioni cortico-sottocorticali), Le stimolazioni provenienti dal
tatto, dalla vista e dall'udito passano attraver8o il talamo. Quelle dell'olfatto arrivano

''.j .�
I
''l'

'
� 282
@ Artquiz BIOLOGIA

direttamente dalla corteccia olfattiva. L'ipotalamo controlla il sistema nervoso au­


tonomo {che si occupa della motilità viscerale, del bilancio idrosalino, dell'appetito,
del mantenimento della temperatura corporea, dei riflessi) e il sistema endocrino, con
. l'asse ipotalamo-ipofisi.
Il talamo ha funzioni di coordinamento di funzioni esercitate da varie aree del
SNC {come tra midollo spinale e cervello).
Jl cervelletto ha come funzione principale quella di coordinare i movimenti degli
arti, degli occhi e di mantenere l'equilibrio del corpo.
Il sistema limbico, che si trova al di sotto degli emisferi cerebrali e di cui fanno
parte l'amigdala e l'ippocampo, controlla le reazioni emotive, è coinvolto nelle risposte
allo stress, alla paura, al panico ed è implicato anche nella formazione della memoria
a lungo termine e quindi dell'apprendimento.
Le cellule endoteliali dei capillari che irrorano il SNC hanno delle giunture partico­
larmente strette che impediscono l'ingresso di varie sostam�e. Inoltre la presenza delle
cellule gliali è a sua volta un ostacolo per le stesse sostan�e. Questo sistema raffigura
la barriera emato-encefalica che fa passare solo acqua, ossigeno, anidride carbonica
alcune sostanze liposolubili e quelle, come il glucosio, che sfr uttano particolari canali
selettivi.

LMesencefalo' Figura 1.25: Schema illustrante il roppor­


Tronco
Pon10 to fra telencefalo, diencefalo, mesencefalo,
encefallco
Bulbo
ponte, bulbo e cervelletto.

Dall'encefalo originano 12 paia cli nervi cranici, che prendono il nome di olfat­
tivo, ottico, oculomotore, trocleare, trigemino, abducente, faciale, statoacustico o
vestibolococleare, glossofaringeo, vago, accessorio e ipoglosso. Essi innervano diverse
strutture del volto, della porzione superiore del tronco, ma forniscono anche innerva­
zione parasimpatica di stomaco e parte dell'intestino.
Il midollo spinale è organizzato, invece in midollo cervicale, toracico e lombare.
Funzionalmente il sistema nervoso centrale è deputato all'integrazione degli stimoli
provenienti dalla periferia e al controllo delle reazioni a tali stimoli.
Il sistema nervoso periferico (SNP), invece, è il nome collettivo con cui si
indicano tutte quelle strutture nervose che non sono contenute nel cranio o nel canale
midollare, anche se i corpi neuronali dn cui derivano risiedono in uno di questi. Il
SNP può essere distinto in: SNP somatico, che è costituito da nervi che innervano
cute, articolazioni e muscoli. I corpi cellulari di tali fibre nervose risiedono nei gangli
delle radici dorsali del midollo spinale; e in SNP viscerale o autonomo, costituito
dai neuroni che innervano i visceri, i vasi e le ghiandole.
Il sistema nervoso autonomo si suddivide ulteriormente in simpatico (la cui fun­
zione è quella di attivare l'organismo durante le reazioni "attacca· o fuggi") e para­
simpatico (che consente di conserval'e energia e promuove funzioni di mantenimento
durante il riposo).

-
283
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia @ Artquiz

l.10.2 Organi dì senso: l'occhìo


L'occhio è un organo che capta la luce e la converte in impulsi nervosi.. Negli orga­
nismi superiori esso è nn complesso sistema ottico che raccoglie la. luce dall'ambiente,
ne regola l'intensità attraverso un diaframma, la focaliz�a attraverso una serie di lenti

o
regolabili per formare un immagine, converte quest'immagine in una serie di impulsi
nervosi e li convoglia, tramite il nervo ottico, alla corteccia visiva occipitale e ad altre
aree cerebrali.

o
Gli occhi dell'uomo hanno forma sferica e sono costituiti da tre t.ouuche: uuù to­
ff naca fibrosa o sclera, una tonaca vascolare o uvea e una tonaca nervosa o retina.
La tonaca fibrosa è costituita d;ùla cornea i\.nt.eriormeute e dalla sclera posterior­
,
"'fi,1
mente. La cornea è trasparente, non vascolarii�ata e la sua funzione è quella di una
�-, lente ç:apace cli far convergere i nl.ggi luminosi verso la fovea (vedi sotto). La sclera (o
.: sclerotica) è una membrmm fibrosa cli rivestimento, che costituisce i 5/6 della tunica
.,,,

o
ti :�·.•
fU esterna dell'occhio. Su cli essa si inseriscono i muscoli estrinseci dell'occhio (che ne
1. -i
f,l
consentono il movimento).
� 1
L'uvea è posta all'interno della sclera e ha fun:.done vascolare di nutrimento del
bulbo oculare. Essa è pigmentata (per evitare fenomeni di riflessione interna della
luce) e divisa anatomicamente in: iride, corpo ciliare e coroide (dall'avanti in dietro).
••
L'iride è un'area drcolmu di fibre muscolari costituenti il diaframma che regola

o
"J
d,.L'
,,
la quantità di luce che entrn nella camera posteriore dell'occhio. La sua porzione
centrale è la pupilla, un foro circolare il cui diametro varia al variare del tono dei
L '.

o
,,,,, muHcoli presenti nl �·uo iutemo.
Il corpo ciliare è un segmento circolare che si estende dall'iride alla coroide. Ne
fa parte il muscolo ciliare, rei;p011.m• bilc dell'accomodamento visivo (ovvero il mecca­

o
' nismo cli contrn�icme m1tonoum cld c,•ristallino, che permette di focali¼zare sulla retina
,l immagini ·capovoltn cli oggetti posti a diversa distanza). Il cristallino, che è una
! I

l j
lente biconves.-ia, è costituito cla cellule permanenti che non si rinnovano e per questo
Il [' p ossono dar luogo ad un fenomeno cli opaci?.'l,a7,ione, chiamato cataratta.
La coroide è la lamina che riveste posteriormente il bulbo oeulare.
La tonaca nervosa (retinu) è lo 8trato fotosensibile che si trova internamente
alla coroide. E:-;sa. può essère considerata nn'estensione periferica dell'encefalo. La
retina contiene i fotorecettori dell'occhio, che tl'ùsducono i segnali luminosi in segnali
nervosi e li convogliano verno il nervo ottico. Es.-ii contengono una proteina, chiamata
rodopsina, che è un pigmento visivo che cambia forma a seguito dell'�ione della lu­
ce. L'energia clel fotone luminoso provoca una transizione dalla forma cis alla forma
trans cli una molecola chiamata 1·etinalc legat.a alla proteina opsina. La trasforma�io­

o
ne del cis-rctinalc provoca una varia:.-lione conformazionale sull'opsina che attiva una
l i
proteiua-G che amplifica il segnale e alla fine genera un impulso nervosd. Il tran.'J­
,r

retinale non è più seni;ibile alla luce e quindi la molecola deve essere rige�'1erata nella
I f
'1' forma cis. Per questo pa8saggio è necessaria la vitamina A. I fotorecettori possono
I
i essere diHtinti in coni e bastoncelli. I coni sono sensibili ai colori, ma ad ·intensità
!
luminose piuttosto elevate. EHsi si dividono in tre categorie, ognuna contenente una
.-.1· op:-,ina capace di avere il massimo di assorbimento di uno dei tre colori primari (rosso,
I

verde e blu. L'opsina clw assorbe il rosso 1->arà verde, perche è il colore complementare
J. r
, t• al rosso. Quella che asHorbe il blu sarà arancio e quella che assorbe il verde sarà rossa),
il: I bastoncelli, invece, sono sensibili a basse intensità luminose, ma non ai colori.

rfi'l..
tl'1., Dell'occhio distinguiamo inoltre 3 camere: l'anteriore, com.presa tra cornea e iri­
I I de, la posteriore, compresa tra iride e cristallino e la vitrea, ripieno. del corpo vitreo,

,., 284
© Artquii: BIOLOGIA

Seno venoso
della sclera
Sacco Congiuntiva
Lacrimale
Fibre della zonula
Corpo ciliare: del cristallino

Processo ciliare/'7: . ·/fili! -�.·


0-••
.,-"' - "'" l �-�·:or��-� ,r"ir W\\à ..P, __.-Retina

•.,,...
Muscolo retto
mediale
Camera vitrea
(contiene corpo
11\t. --��11fl
. .,. . ·.1 -Sclera

: ·.···:::.:]lii ;J.-1�

-
vii reo) Muscolo retto
�� . ,, ,, ,· ,•fi .�).[
laterale

MEDIALE J!ìl -lii � •\ ·. · "·· 'f lllnNJi;'\ LATERALE

Vasi sanguigni .,. h!,i,.• ,;;.ii'·f��-.Jf!�-t�t::.:�:"'..: v· ...._ .:J�.L'. Fovea centrale

Fignra 1.2G: L'occhio.

una mas.�a gelatinosa che dli. la forma all'occhio. La camera anteriore e 1>osterio­
re dell'occhio contengono umore acqueo, nn liquido trasparente prodotto dal corpo
ciliare.

1.10.3 Organi di senso: l'orecchio


L'orecchio è l'organo dell'udito e si divide in tre parti: orecchio esterno, medio e
interno.
L'orecchio esterno è formato dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo
esterno, costituiti da cartilagine ricoperta da cute. La sua funzione è quella di convo­
gliare i i.noni verso l'orecchio medio.
L'orecchio medio è costituito dal timpano (membrana sensibile alle onde sono­
re, posta al termine del condotto uditivo) e dagli ossicini (martello, incudine e staffa,
nell'ordine in cui sono disposti a partire dal timpano) che trasmettono le vibrazioni
della membrana timpanica al labirinto. Gli ossicini sono prn,ti in mta cavità detta
cassa timpanica, che comunica con la faringe tramite la tromba di Eustachio (la cui
funzione è quella di compensare le pressioni ai due lati della membrana timpanica).
L'orecchio interno è la porzione interna dell'apparato stato-acustico, deputato
al senso dell'equilibrio e dell'udito. Esso è costituito da due pondoni che prendono il
nome di labirinto osseo e lnbirinto membranoso, le cui pareti sono ossee e connetti­
vali, rispettivamente. Il labirinto osseo è costituito da nna parte centrale cava (scala
vestibolare) che comunica anteriormente con la coclea o chiocciola (componente del­
l'orecchio interno deputata alla trasduzione dei segnali sonori, mediante l'organo del
Corti) e posteriormente con i tre canali semicircolari (anteriore?, superiore e laterale)
in cni si trovano i recettori dell'equilibrio (recettori stato-cinetici).

285
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia © Attquiz

Orecchio medio

'\.
Canale1semicircolare
I
Incudine
11 {- 1,;
-�
.
o
' ,1 ' ; '
.
·./: - I,
. :·,.-\. . .

· 1·
Fignra 1.27:
Orecchio interno L 'orecchio.
r··
;! '

o
'I

n;' j� r
1.11 Sistema ghiandolare

j;·�I Il sistema ghiandolare ?1 costituito da. 1m insieme di ghiandole e cellule cpiteliuli


capaci di sec�H'nnre sostm1,1,c ntili all'orga.uhm10. Es.c;e !?i dividono in ghiandole endo­
1'.1'j1_ crine che� riversnuo uel torrente: circolatorto onnoui peptidici o lipidici, e iu ghiandole
(� : esocrine che riveri.ano le sosta.n1,c secrete all'esterno del corpo o in cavità che comu­
I
nicano con l'esterno. Iu quest'ultimo caso la sostanza secreta può essere di diversi tipi
''
i' (enzimi, come quelli emessi clal paucrea.c.; ucll'intestino, latte emesso dalle ghiandole
!! mammarie, sebo che lubrifica la pelle, muco, sndore, lacrime, ecc.).
i.
o
Il sistema cuclocriuo èi iu rc�tltà strutturalmente e fmrnionalmentc collegato al si­

1:.
1> ·, '

l-1 stema nervoso a formare il cosiddetto sistema neuro-endocrino, di cui fa parte l'a<;se
ipotalamo-ipofisario. Dall'ipotalamo vengono emessi i fattori di rilascio ipotalamici

o
-,�' che agiscono dircttmncute sull'ipofisi e la inducono ad em(:ttere il relativo ormone.
Ì/-: La funzione del sistema enclocriuo è quella <li concertare l'attività di vari appa­
rati per mantenere bioritmi fisiologici (es. ciclo ovarico e mestruale) o pei· adattare

o
' 1

l'organismo a modificazioni ambientali.


·� 'r

.�·,
-. ,l;
l-•'
111
! ,� 1.11.1 Ghiandole e cellule endocrine
t'r
o11

1.
Il sistema ncnro-endocl'ino è costituito da: ipotalamo, ipofisi, surrene, gonadi, tiroide,
paratiroidi, pancreas, epifisi, cuore, rene, timo, fegato, cute e cellule del sistema neuro­
1,1
j
endocrino diffuso ( ovvero cellule presenti, ad esempio, lungo (;utto il tratto digerente,
:,,1, ove modulano aciclit.à gastrica, motilità intestinale, svuotamento clella colecisti o nel
1' polmone, in cni regolano le secrezioni).
!
'J):a le ghiandole piì1 importanti sono cla annoverare:
,,
t.'I • il pancreas che è nna ghiandola sia endocrina (immette nel sangue l'ormone

o
).
'"
peptidico insulina) che esocrina (secerne molti en1,imi digestivi nell'intestino teni1e);
•;_
II.,,..
286
Li
@ Artquiz BIOLOGIA

• il fegato, che è ln ghiandola sia esocrina che endocrina. piit gra.ncle;

• il surrene che è una ghiandola endocrina che secerne, trn Paltro, il cortisolo e
Padrenalina, sotto lo stimolo dclPormone udrenocorticotropo rilasciato dalPipofi­
si; secerue anche aldosterone che regola Peqnilibrio snliuo a livello renale, insieme
alPADH o vasopressina;
• Pipofisi, una ghiandola endocrina che secerne molti tipi di ormoni, a seconda dei
segnali che riceve dalPipotalmno, e secerne anche, dal sno lobo anteriore, le beta­
endorfine, sostanze ad nttività oppiacea, e la prolattina che promuove la lattazione;
• la tiroide, nna ghiandola endocrina di tipo follicolare che produce, sotto stimolo
ipofisario, gli ormoni tiroidei, che contengono a.tomi di iodio e che controllano il
metabolismo cellulare, e la ca.lcitouina., nn ormone che regola il metabolismo dello
ione calcio agendo da antagonista al paratormone, secreto dalle paratiroidi;
• Pepifisi, una ghiandola endocrina che produce� la mclatouinp., che regoln il ritmo
circadiano veglia-sonno.

1.11.2 Ormoni
Gli ormonì sono molecole capaci di stintolare una rh,posta biologica da parte di tutte
quelle cellule che siano dotate di proteine (recettori) capaci di ricouoi;cerli specifica.­
mente. Gli ormoni sono prodotti clnlle ghia.nclole endocrine e riversati nel sa.ugne che
li trasporta in all;ri distretti. Dal pnuto cli vista molccolaru :,i cliviclouo in: ormoni
peptidici, e quindi idrosolubili; ormoni steroidei, in quanto derivano clal colestero­
lo, e qnincli idrofobici; ormoni derivanti dagli aminoadcli come gli ormoni tiroidei,
Pistamina e la serotonina. I primi 11011 sono capaci di entrare nelle cellule e quindi
esercitano la loro azione sn di esse mediante Piutera¼ione con specifici recc�ttori po8ti
sulla membrana di alcune cellule. Il legame onnone-recettore produce nna modifica
strutturale del recettore che si iro.ducc in nn segna.le interno alla cellula e ne cambia
il metabolismo (trasduzione del l-!egnale). Gli ormoni steroidei, gra�ie alla loro natura
idrofobica, sono invece capaci di penetrare nelle cellule attraverso il doppio strato
lipidico e di interagire in maniera spedfica con proteine recettrici che si trovano nel
citoplasma o nel nucleo, modificandone la struttura e quindi innescando una risposta
metabolica (attivazione o disattivazione di geni specifici). Degli ormoni derivanti da­
gli aminoacidi, i tiroidei sono capaci cli entrare nella cellula, mentre gli altri si legano
a recettori esterni.

Tabella 1.1: Ormoni: chi li produce, il tessuto bersaglio e la funzione fisiologica.

Ghiandola Ormone Tessuti Funzioni flsiologìche principali


endocrina bersaglio
Dotto Favorisce la ritenzione renale di ac-
Anticlimetico collettore qua, aumentando il volume pia-
Ipofisi (ADI-1) elci nefrone smatico e mantenendo lo stato di
prn;teriore rena.le idratazione tisimtale.
( nenroipofisi) Utero e Inclnce le contrazioni uterine du-
Ossitocina. ghianclole raute il parto e In. secrezione clel
mammarie latte.
Continua nella pagina seguente

287
Capitolo 1 Istologia, anatomia e foiologia @ Artquiz

Tabella 1. J - Continnct rlalla pagina precedente


Ghiandola Ormone Tessuti Funzioni fisiologiche principali
endocrina bersagllo
Stimola la riproduzione cellulare e
la crnscita tissutale, mediante: au­
mento del trasporto di aminoaci­
di attraverso le membraue cellulari,
Quasi tutti i at1111c11to della sintesi proteica e di­
Somatotropo

rl
tessuti deW minuzioue del catabolismo proteico,
(GH, STH)
organismo diminniione dell'utilizzo del glico­ :;
ge110 uu1scolnre, n10biliz1.azione cd
ntiliziazione dei grassi, deposizio­
ne di calcio nel! 'osso, aumento della
secrezione di iusulina
Induce la liberazione della triodoti­
Tireotropo
Tiroide tonina (t3) e tiroxiua (t4) da parte
(TSH)
della tiroide.
Ipofisi Induce la produ½iono di glucocor­
Ade11ocorticotropo Cortic.ile
antel'iore ticoidi uclln parte corticale delle
(ACTH) elci surrene
(adenoipofìsi) ghiandole surrenali.
Nolln donna induce lo sviluppo de i
Goundi
Follicolostil11olai1tc follicoli ovadci, la secrezione degli
maschili e
,i (FSH) estrogeni e l'ovnlazioue, nell'uomo
fonuninili

I,
la maturuzioue clcgli spermatozoi.
Nella clounu regola l'ovulazione, la
Goua.di for111cw,ione del corpo luteo e sti-
., Luteotropo (LI-I) ms,schili o 1uoln In produzione di progesteronei
femminili nell'uomo stimola la proclnzione di
testosterone da parte dei testicoli.
Induce lo� sviluppo della gliiandola
mammaria e la produ:tione di lat­
Ghiandole
Prolattiua te dopo il parto. La sua produ­
rnannnarie
zione è 1>timolata dalla snzioue del
capcziolo.
Antagoni1.za la calcitonina poiché
aumenta la concentrazione plasma­
Mucosa
tica di ioni calcio, mediante mobi­
iutestinale,
.,,, li7,za1,ionc dai depositi ossei e dimi­
Paratiroide Paratormone ucfroue,
nuzione dell'escrezione renale; indu­
•! tessuto
ce l 'attiva7,ione della vitamina D fo­
osseo
voreudo l'assorbimento intestinale
,,I di. ioni calcio. 1

Diminuisce la' coricenfraiione pla­


Mucosa smatica di ioni calcio,,·' mediante
Tiroide: intestinale, la riduzione dei processi di mobi­
cellule Calcitonina uefrone, lizzaiionc di calcio osseo, aumen­
parafollicolari tessuto to dell'eliminazione renale di cal­
osseo cio e inibizione dell'attivazione della
1 •
vita.min� D.
Continua nella pagina seguente
f-:
".·,·
"I
Idi
;j

.11 288
·ii
@ Al'tq11iz BIOLOGIA

Tabella 1. 1 - Continua dalla 7,agina precedente


Ghiandola Ormone Tessuti Funzioni fisiologiche principali
endocrìna bersaglio
'Iì-iiodotironina Rilnsciati i11 rispostn. a TSH, au­
(T3) mentano il consumo di ossigeno cel­
e Tutti i lnlnre, senza corrispondente pro­
Tiroide
Tiroxina tessuti duzione energetica e la prodnzio­
(T4) n<i di calore per la regolazione della
wmp,,ffa.tma corporea.
Aumenta. il riassorbimento di so­
dio e acqua. a livello dell'nltinto
Dotto
trn.tto del nefrone, con <.:011scg11en­
Alclosterone collettore
te ,.umt<mto del volmne circolan­
del 11efro11e
te plmmm.tico e della p1·C8sioue
arteriosa.
llilusciati in risposta a ACTH, re­
Ghiandole golano il metaholisn10 glucidico (i11-
surrenali: 11n.l½a.11mnto <lcllél, glicemia), protei­
corticale co (<lcgrn.da.zione delle protei11c nm­
scolari <� 11.Uiva¼io11<: clclln gluco­
Cortisolo e ·.rutti i
m.:ogencsi) e llpiclico (libcr�ionc
cortiwne t<.,-'ssnti
cli acidi grassi) per fornire energia
ili cou<li:tioni di stress. Deprimo­
no le rispoHtc immunit,u·ie (soprat­
l;ut.to il cortisone), prcve11e11clo le
i11fia111111a1,iu11i.
0l'mone dello i:Me8S: stimolano il
sistema carcliovuscolnrc e l'espirato­
rio; aumentano l'eccitabilità e la
for.,.n cli co11tn1.Y.ionc mnscolnre; sti­
Ghiandole uwlano il sh;teum 11ervoso centrale
Aclrermlìna e Tnl;ti i
sun-ennli: cou miglionunento clell'nttenzione;
noradrcnnlina tcssnti
midollare i11cluco110 In sndora'l.ione, focilitan­
do In perdita cli c�lore dalla super­
ficie co1·porea. Aumentano la con­
centrazione ematica di glncos\o e di
acidi grassi.
Azioue ipoglicernizzante: favorisce
l'ingresso di glucosio nei musco­
Fegato, li e nel tessuto a<lipooo, la gli­
muscoli cogeno sintoi,i epatica e rrnn,cola­
Insnlina striati e rc, l'utili¼¼n¼ione di glucosio (gli­
Pa.n_croas tessuto colisi). A¼ione anabolizzante: fa­
endocrino adiposo vorisce la lipogencsi nel fegato e
nell 1aclipc e In �i11te.<;i proteica nei
muscoli.
Tutti l Azione iperglice111izzante, con effet­
Glucagone
tessuti ti oppoHti a quelli dell'insnlina.
Continua nella pagi1ia seguente

289
Capitolo 1 Istologia, anatomia e fisiologia © Artquiz

i
Tabella 1. 1 - Continua rlalla pagina precedente
Ghìandola Ormone Tessuti Funzioni fisiologiche principali
endocrina bersaglio
i·l Stimola lo sviluppo degli organi ses-

'l
Tutti i suali e dei caratteri sessuali secou-
Gonadi tessuti, iu dari maschili; induce la spermato-
Testosterone particolare
maschili genesi e la maturazione degli sper-
le gonadi uw.tozoi; stimola la sintesi proteica

l�li.
in geuerale, anche nei muscoli.

o
Rilasciato in risposta a FSH, pro-
1\ttti i muovono lo sviluppo dei caratteri
tessuti, in sessuali fenuniuili e regolano, as-
Estrogeni
Gonadi particolare sieme al p1·ogcsterone, il ciclo me-
'!, ijll
ii
femminili: le gonadi strnale, favorendo l'ispessimento e
la vascolartzza.zione dell'utero.
)·,f:·,j,i· : Follicoli e
l,r; i corpi lutei
ovarici
Rilasciato in risposta a LII, prepa-
En< !on 1ctrio ra la parete uterina per l'impian-.
EL'
�;1! , �
Progesterone
to dell'uovo fecoudato. Inibisce il
,,,�: �'
r:i-
,H ,
verifìca.rsi di un'altra. ovulazione.
t
�;--
1"''
'i•! 1.11.3 Feedback positìvi e negativi
i!
Ia
I Il sistema neuro-enclocriuo è organii:1.-ato come nua. rete gerarchica, regolato da mec­
:·: canismi di feed-forward (stimola.:doue/1nibi1,ioue in avanti lungo la scala gerarchica)
e feed-back (stimolazione/inibi1,ione indietro lungo la scala. gerarchica). Ad esem­
;.J pio, nell'asse ipotafomo-ipofisi-surrene o ipotalamo-ipofisi-tiroide, l'ipotalamo libera
li ormoni che stimolano l'ipofisi a libera.re ormoui stimolanti l'organo bersaglio (tiroi­
ij de o surrene). Queste ghiandole liberano ormoni che, oltre ad agire sui loro tessuti
l!I bersaglio, regolano negativam<:nte l'asse ipotalamo-ipofisi.

.,
,,,
1! ··Slstemà
:,!
Ipofisi Nervoso· .�
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:@ I"' -I y___ ,.,_ i
afl Allrl :,'
Tessuti

Altre
Cellule

Figura 1.28: Feedback positivi (linee continue:) <: negativi (linee tratteggiate) del
sistema neuroendocrino,

290
Capitolo 2

Biologia cellulare e molecolare

2,1 Introduzione
Lo studio della biologia cellulare è uno dei piì1 importanti ambiti di ricerca legato alle
unove conoscen1.e nel contesto della moderna medicina molecolare e alle discipline di
ambito biomedico e biotecnologico. L'evoht'lrione delle conoscenze in ambito moleco­
lare associate alle tecniche di analisi sn larga scala di genomi (l'insieme dei geni) e
proteomi (l'insieme delle proteine) degli esseri viventi consentono oggi di mettere in
rapporto una serie di eventi molecolari con un fenotipo biologico definito e pongono la
base per la possibilità di sviluppare terapie farmacologiche mirate e individualizzate,
nuova frontiera della. moderna medicina.
Lo scopo di questo capitolo è quello di evidenziare gli elementi distintivi, dal punto
di vista i,truttnrale e morfologico, legati alle proprietà biologiche fondamentali delle
cellule, mettendo in risalto le similitudini e le differenze tra le cellule dei vari organismi
viventi.

2.2 Teoria cellulare


Tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule. La cellula è l'unità fondamentale
degli organismi viventi. Molti organismi consistono di nn 'unica cellula (organismi
unicellularì) mentre altri sono costituiti da una complessa organizzazione di miliardi
di cellule (organismi pluricellulari).
La teoria cellulare, elaborata a metà dell'Ottocento da Schleiden e Schwann,
definisce l'alba della biologia moderna, affermando che:

• tutti gli organismi �iventi sono costituiti da cellule, caratterizzate dalla p�·esenza
di materiale genetico;

• la cellula è l'unità fondamentale della materia vivente;

• tutte le cellule derivano da cellule preesistenti.

È stato ipotizzato che la prima forma cli vita abbia avuto origine circa 3,8 miliardi
di anni fa con la comparsa cli una cellula primordiale che progressivamente si è evo­
luta, prima sottoforma di organismi unicellulari e quindi in organismi pluricellulari
organizzati, sempre più complessi.

291
Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare © Artquiz

2.3 Il microscopio
Pur essendo le dimensioni cellulari molto variabili, la maggior parte delle cellule ha
dimensioni delPordine del millesimo di millimetro (micron, µm) ed è visibile mediante
l'utilizzo di un microscopio ottico. Il microscopio ottico è una tipologia di micro­
l
,I
scopio (Fig. 2.1) che sfrutta la luce con lunghezza d 1 onda dal vicino infrarosso aWul­
travioletto, coprendo tutto lo spettro visibile. I microscopi ottici sono storicamente
qnelli più vecchi e sono nnche tra i piìt semplici.

-.- A
'< Figura 2.1: Microscopio ottico composto mo-
,q,
1·..ijl ·:
" 1wc:1tlarc: clel tipo pi1ì. semplice, rappresentato
sc hematicamente; percor so del fascio lumino­
I; 1 so e elementi ottici strutturali in evidenza.

;r,f;!:
: ti La messa a fuoco, cioè la variazione della di­
stanza pre1>arato/obiettivo, si attua spostando
il tubo ottico.
• I lll1tminazione esterna allo strumento.
A: Oculare.

q
B: Obiettivo.
C: Preparato.
\f
� • ll
D: Condensatore.
I'
I!
E: 'làvolino portaoggetti.
F: Specchio.
,..;'

e,
I'
H: Vite macrometrica.
I: Vite micrometrica.
·i
t Il potere di risoluzione ( d) cli un microscopio è la distanza minima tra due pun­
ti che risultano distinti. Nel caso lo strumento si basi sulPntilizzo di radiazione con
1;
,i una proprfr1. lunghezza d'onda Hssociata, come i tradizionali microscopi ottici, riso­
� lu�ione e lunghcz".a ci >oncla utilizzata sono parametri trn loro strettamente correlati.
1
.� Microscopi che si basino :m diverso tecnologie rispondono a considerazioni differenti.
·I La relaziono cho lega il potere ri:;olutivo, Papertura numerica di un sistema ot­
,,.' tico (AN, che può essere immaginata come le dimensioni del cono di luce che colpisce
J·�· le lenti del microscopio dopo e!iserc pru:;sata. attraverso il campione ed � calcolabile ma­
tematicamente) e la lunghezza d 1 onda (>.) della radia�ione utilizzata (che può variare
.,
-c1

Itl� tl'a 0,4 e O, 7 µm) è:


d =-
À
2AN
Questa reJazione è generalmente nota come principio di AbbE;�
Per un microscopio ot;tico in luce visibile, d raggiunge i 0,2 µm, cioè un potere
risolutivo mille volte più elevnto di quello dclPocchio umano, mentre il microscopio
elettronico ginngc ad uu potere risolutivo di 0,1 nm, cioè mille volte pit1 elevato cli ''
quello del microscopio ottico. Quindi, con il microscopio ottico è possibile osservare 1
le cellule eucariotiche, i batteri (ma non i virns), i cromosomi i11 movimento, gli
_,\
organismi unicellulari (protozoi e funghi), gli organelli cellulari come i mitocondri ..
ma non i ribosomi. Il microscopio ottico consente inoltre Panalisi in vivo (a fresco)
t
f. delle cellule, mentre.con il microscopio elettronico i preparati biologici devono essere
"'
opportunamente fissati e non t� possibile studiarli in vivo.
·,<·!I
lr,. i 292
@ Artquiz BIOLOGIA

2.4 Misure e dimensioni di alcune strutture biologiche

• 1 angstrom (À) corris ponde a 0,1 nanometri o 1 · 10- 10 metri.


• 1 nanometi-o (nm) corrisponde a 1 milionei;imo cli millimetro o 1 millesimo di
micron.
• 1 micron (o micromètro, µm) corrisponde a 1 millesimo di millimetro o 1
milionesimo <li metro.

STRUTTURA DIMENSIONI
Atomo di idrogeno 0,1 A (diametro)
Aminoacido 0,8 nm (diametro)
Doppia elica di DNA 2 nm (diametro)
Proteina globula.re 4 nm (diametro)
Microfilumenti 5-10 nm (diametro}
Filamenti intermedi 7 nm (diametro)
Membrana cellulare 7-10 nm (spessore)
Ribosoma 11 nm (diametro)
Microtnbnli 25 nm (diametro)
Poro nucleare 50 nm (diametro)
Grande virus 100 nm (diametro)
Ccntriolo 200 nm (diametro)
Lisosoma 200-500 nm (diametro)
Perossisoma. 200-500 nm (diametro)
Virus gigante Mimivirns 800 um (diametro)
Mitocondrio 0,1-2 µm (diametro)
Mitocondrio 1-4 µm (hmghe'l.7.n)
Batterio 0,5-5 /Lnt (diametro)
Cellula procariotica 1-10 1m1 (lnnghe:r,za)
Batterio E. Coli 0,5 µm (diametro corto)
Batterio E. Coli 2-5 µm (lunghezza)
Cloroplasto 5 µm (lunghezza)
Nucleo 5-6 /tm (diametro)
Globulo bianco (linfocita) 5 /tm (diametro)
Globulo rosso 7-9 µm (diametro)
Cellula eucariotica animale 10-20 µm (diametro)
Cellule vegetali 10-100 µm (diametro)
Piccola ameba 90 µm (diametro)
Ovocita umano 100 µm (diametro)
Grande ameba 800 µm (diametro)

2.5 La cellula
Tutte le cellule mostrano delle proprietà fondamentali in comune e che sono state
conservate durante l'evoluzione. Ad e,c:;empio, tutte le cellule impiegano DNA come

293
Capitolo 2 Biologia cellnlarn e molecolare @ Artq11iz

materiale genetico, sono circondate da. melllbrane plasmatiche ( clett,t anche plasma­
lemma) e usano nno stesso meccanismo di base per il mt>tabofonno (Pinsierne di t.ntte
le rea.zioni chimiche di un organismo) energetico. 1ì.1tta,•ia 1 mentre organismi unicel­
lulari molto diversi tra loro come lieviti, batteri, amebe, parameci sono autosufficienti
e capaci di autoreplicazione indipendente, gli organismi plnricellulari sono costitniti
I�! da cellule specializzate a svolgere determinate f1m1.ioni in maniera altmnente coordi­
I nata in strutture dette tessuti, i quali a loro volta contribuiscono a formare-gli organi ...
1.� e poi, qne:-;ti, gli apparati. Il corpo umano, ad esempio, è costituito da, circo. 100.000 Q
o
miliardi ( 10 14 ) di cellule distinte in pii1 di 200 diversi tipi cellulari. All 1orgo.nismo

l
umano sono nssociati nn mmwro cli batteri di �pccie diverse fino a 10 volte il numero
di cellule delPorganismo stesso (microbiomu).
':1''
r�·: r
A differei1za degli orgm1ismi nnicellulari che possono riprodursi autonomamente e
�:
dare origine ad altri organismi perfettmncnte ùg11ali con una perpetuazione teorica­
.,,. , mente indefinita. del proprio patrimonio genetico, tali da essere co1isidcrati orgi:u1ismi
-.{i" potenzialmente immortali, gli organismi plnriccllnlmi che presentano mm riprodnzione
:-1f cli tipo sessuato si riproducono grar.ie alPunioue cli cellule germinali aploidi (l3iologia,
I�;!: § 5.3.2). NelPcssere mnano queste cellule scmo lo spermatozoo e Poocita. Le cellule

o
lp
JI di un organilm10 1 étd esclmiione clolle cellule scs:ma.li, si chiamm10 cellule sonintiche e
1t • sono diploidi. Negli organismi plnricdlnlari. le ccllnle somatiche, che Ht differcmdano
f• . ..
!t iu base a fnm�ioni specifiche, invecchiano e mucJiono.
'I' . Lo sviluppo delle cellule (e degli organismi)� stretta.mente regolato e comli:t.iouato
:· f
ch:i.ll 1 mnbiente nel quule vivono. Infatti, sebbene ogni tipo cellulare (o organismo) siét
·1:.
-
. •� � ,i
potenzialmente in gra<lo cli accrescere la propria biomussa esponeuzialmc-:nte e indefi­
11, r
nitamente, tut.tavia. in natnra qnesto non avviene ma.i, perché le rcsistcm�c mnbientu.li
H
1:I
. !,,;
ne limitano raccl'escimeuto. Utiliz:imudo energia., la cni principale sorgente è costituita

o
·,i;,
�I
J da carboidrati (e dal pnnio di viHta chimico 8i ricava dalla rottura. di legmni chimici

}�·'
attraverso le varie reazioni cataboliche), le cellule, e quindi gli organismi, mantcugo­
no costauti i propri parametri chimico-fisici in modo da garantire le comli-L,ioni per
;I,
la loro sopravvivenza, fun1.ione fl moltiplica'l.iouc indipendentemente dalle variazioni
ambientali. Questo import,mte processo, alla base delPevolll'l.ione biologica e della
;:-j sopravvivenza cellulare, è detto omeostasi.

o
j•�

, j' 2.5.1 La cellula proca!iotica ed eucari c:>tica. Differenze


f1
..�
':i
:;'11
La vita è costituita da tre domini: gli Eubatteri, gli Archeobatteri e gli Eucario­
ti. I primi due sono d<::finiti anche Procarioti e sì differenziano clagli Eucarioti pe1·
,il)

;l
Passenza del nucleo.
.. Le cellule procariotiche sono organismi unicellulari, prevalentemente chcmioc­
i terotrofi (usano come fonte di energia Possida1.ioue di sostanze oi-ganiche E}�come fonte
di carbonio i composti organici provenienti da fonti esterne) sprovvisti cli nucleo e di
membrane interne. I batteri, come lo pneumococco o le danoficee (alghe az.1,urre),
costituiscono un esempio cli cellule procariotiche e hanno una dimensione compresa

o
fra 0,5 e 5 µm quindi, come nel caso delle cellnle eucariotiche, 11011 sono visibili ad
occhio nudo nm solo facendo uso di un microscopio. Generalmente il diametro di una
cellula eucariotictt è compreso tra i 10 e i 20 Jtm, tutto.via alcune cellule animali, come
f:� le cellule delPuovo di strn'l.½O, pos::.·ono presentare nn diametro <lclPordine dei 100 mm.
Struttnralmeute, la cellula procariotica comprende, dalrestemo verso Pintemo: la
t
o
parete cellulare (distinta per composizione e struttura da quella delle cellule vegeta-

..I'.
I
I
294
'i
I••
@ Artquiz BIOLOGIA

li), la membrana plasmatica, il citosol, contenente i ribosomi, e il nucleoide (zona


non delimitata dove si trova il cromosoma batterico costituito da un'unica molecola
di DNA circolare a doppio filamento contenente il programma genetico del batte­
rio ossia i geni batterie-i organizzati norumlmente in operoni, cioè in un'unica unità
· trascrittiva contenente l'informazione per piì1 di un polipeptide). I batteri, inoltre,
possono contenere anche altre piccole molecole cli DNA circolare a doppio fil amento, i
plasmidi, in grado di replicarsi autonomamente e che normalmente sono respom�abili
della resistenza. batterica a.gli antibiotici, perché contengono i geni per enzimi che mo­
dificano gli antibiotici, depotenziandoli. I plasmidi ingegnerizzati ( cioè modificati per
l'inserimento di geni e.5trauei) vengono mnpiameute utilizzati in ingegneria genetica
per il clona.ggio cli geni e per l'espres.'iioue di proteine ricombinanti (Biologia, § 3.7).
Gli enzimi necessari per le va.rie fmrnioui biologiche possono es::;erc localizza.ti sulla
membrana plasmatica o nel citosol. Nella struttura della cellula batterica vi po::;sono
inoltre essere, e::;ternamente alla parete, dei flagelli ( db:itinti eia quelli presenti nelle
cellule eucariotiche) e una capsula esterna. La riproclnzione elci batteri avviene
mediante ·divisione cellulare per scissione binaria.

Membrana Membrana
cellulare plasmatica
eome

.. /7} .. "":,\Jr}r>7;'];>
·. il/�. . , . ·,··..
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Figura 2.2: Stmttura di una cellula procariotica (E. coli visto al m·icroscovio
elettr(!nico).

Le cellule eucariotiche, che costitui::;cono l'elemento bnse cli organismi animali


e vegetali, sono caratterizzate da un nucleo ben distinto e clelimita.to eia. un involucro
membranoso a doppio strato (nucleolemma) che contiene il materiale genetico (DNA
organi½zato in cromatina nei diversi cromosomi ) e da una serie di orgmmli citopla�
smatici, come i mitocondri e i cloroplasti (solo nelle cellule vegeta.li), n::;senti nelle
cellule procariotiche, e che contengono anch'essi materiale genetico. All'interno del
nucleo sono pre::;enti delle strutture, non delimitate da membrane, elette nucleoli de­
putati alla sintesi di RNA ribosomiali (rRNA) che andranno a costituire i ribosomf
Il ribosoma della cellula eucariote è compo::1to da una snbnuitit grande e mm snbunità
piccola, presenti anche nei procarioti e neces8ari per la sintesi proteica.
La presenza di 1111 sistema continuo di endomembrane, costituito eia: membra­
na plasmatica, reticolo endoplasmatico liscio e mvido, apparato di Golgi, membrana
nucleare, endosomi, lism;omi, peros.<;isorni e vescicole di trasporto, nonché eia pla­
smodesmi e pla.<;tùli nelle cellule vegetali, è nna. caratteristica specifica delle cellule
eucariotiche.
A differenza dalle cellule procariotiche dw possono cssc�re ::;olo unicellulari, le cel­
lule eucariotiche po::;::;0110 far parte sia di organi::;mi unicellulari (come i protozoi) che
multicellulari (come i mammiferi e le piante). La divisione cellulare avviene mediante
i processi di mitosi e meio si.

295
Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare @ Artquiz

2.5.2 La cellula vegetale e animale. Differenze


Le cellule animali e vegetali sono cellule eucariotiche nelle quali il nucleo è la sede del
materiale genetico.
A differenza delle cellule animali, le cellule vegetali presentano: nna parete
cellulare costituita da cellulosa (polimero di glucosio), i plastidi (organuli limitati
da membrana ove avvengono i processi di fotosintesi. Essi comprendono: cloroplasti,
a01iloplasti, cromoplasti, ecc.) e i vacuoli (sacchetti ripieni di acqua limitati da una
membrana che possono svolgere funzioni di accumulo di sostanze nutritive).
Il leucoplasto è un tipo di plastidio e, come tale, di organulo che si ritrova nelle
cellule delle piante e di alcuni protisti (gruppo eterogeneo e polifìletico di organismi,

��1-,
che comprendono quegli eucarioti che non sono considerati né animali né piante o
funghi, come i proto¼oi e le alghe unicellulari). Il leucoplasto, al contrario di altri
'··· plastidi come i cloroplnsti, non possiede pigmenti. Non e8sendo verde, lo si ritrova
�·, prefcrenr.ialmcnte nelle radici e nei tessuti non fotosintetici delle pia.nte.
�1 Il tonoplasto è una sottile membrana, presente generalmente nelle cellule vege­
tali, posta attorno al vacuolo centrale. Essa è costituita da numerose proteine (che
�ti consentono l'ingresso e l'uscita <li sostanze utili) e da fosfolipidi. AlPinterno del tono­

l �I
·1
.
• I
'Jii°L' I
�!
plasto troviamo il suc<;o vaciwlare, soluzione composta per la maggior parte da acqua
e caratterizzata da nn pH leggermente acido, 4,5. Il tonoplasto svolge 1111 molo n.ttivo
nel trasporto di sostanze e nella loro ritenzione all'interno del vacuolo.
I plasmo desmi sono strutture tipiche delle cellule vegetali, che mettono in co-
r.i:
q•

1mmkazione cellule vicine attraverso le pareti cellulari e costituiscono una via di


•1·H,:
I•

trasporto di determinate sostanze da una cellula all'altra, pertanto attraverso di essi


i�.'� possono passare ioni, zuccheri, molecole segnale e altre piccole molecole. Unite dai
plasmode8mi, le cellule \Cegetali si comportnno come nn'nnicn. unità fnn¼ionale definita
J
'!:,,.,
contimmm simplastico o, più semplicemente, ,,;implasto.
Viceversa, le strutture caratteristiche delle cellule animali, assenti in quelle ve­
getali, sono: i centrioli, i lisosomi e i flagelli. I mitocondri e le altre strutture
1l subcellulari descritte per le cellule eucariotiche sono comuni sia a quelle animali che
1
: ,1

a quelle vegetali.
'�
'.J
'·' Una peculiarità delle cellule animali è la dimensione. Pur prive della parete cellu­
lare, tipica delle cellule vegetali, le cellule animali producono una 80rta di rivestimento
;

':
,,I t
esterno di natura glicopeptidica che va a costituire la matrice extracellulare. Le
principali biomolecole presenti nella matrice sono il collagene e le fibronectine. Queste
I

ultime hanno la capacità di legarsi a recettori proteici presenti sulle membrane pla­
iil
1•!
.. ·,
'' smatiche cellulari in maniera da attivare vie di segnalazione intracellulare �pecifiche
eondi:tionando in tale modo i processi <li differenziamento, motilità e prolifera7,ione

o
J
·;� cellulare. Le <\ellule del tessuto osseo, della cartilagine e del tessuto connettivo pro-
ducono consistenti quantità. di matrice extracellulare, r
I.I' 'Iì·a le cellule degli organismi animali si distinguono tre tipologie:
li;
Jr· 1. Cellule labili: durano poco e vengono oostituite da altre che originano da pre­
cursori staminali comuni attraverso dei processi di differenziamento specifici. A
questo tipo appartungono le eellnle della pelle e del 8angue.

Jr 2. Cellule stabili: cessano il proprio processo di moltiplicazione quando il tessuto


è completo però sono in grado di rimpia7,�are porzioni di tessuto danneggiato in

I·' maniera molto efficiente. Un esempio di questo tipo sono le cellule del tessuto osseo
-l;t:I . e le cellule del fegato (epatociti).
i1,.
·,,

11:
,1
296
©_�rtq11iz BIOLOGIA

3. Cellule permanenti: durano per tutto il periodo <leIIa vita di un organismo senza
più moltiplican;i e, ::;e vcngouo distrutte, 11011 hanno capo.citù di auto-rigenerazione,
come ,id esempio le cellule del te::;suto nervo::;o o le cellule del cristallino dell'occhio.

Le cellule hanno forma e dimensioni vnrinbilissime: tondeggianti, polieclriche, fusi-


formi, �teIIate, piatte, ecc. Le cellule epiteliali proteggono il corpo daWesterno, quelle
nervose trusmettono le sensazioni. Le cellule muscolari permettono il movimento
mentre le ceIInle ossee danno solidità al corpo.
Le cellule di ciascun tipo formano i tessuti, i quali ,i loro volta formano gli or­
gani come il cuore, i polmoni, la radice, la foglia. Vari organi forma.no un apparato
oppure nn sistema. Un sistema è formato da organi i cui tessuti sono molto simili
tra loro per la forma e la funzione; per esempio il sistema scheletrico è formato dalle
ossa. Un apparato è} costituito eia organi molt;o diversi tra loro, ma che servono tutti
a nn unico scopo, come, per esempio, l'apparato digerente. Infine i vari appara.ti e
sistemi formano un organismo.
In qunsi tuUi i tesimti umani sono state trovate delle nicchie �:li cellule rnultipotenti
in grado cli proliferare e differen�iare, a seconda dei vari segnali che ricevono, in nu
determinato tipo cellulare piuttosto che nn altro. Queste ceIInle vengono elette cellule
sta.minali e il loro possibile impiego ncIIa moclenm medicina rigenerativa costituisce
una speranza sempre maggiore per la cnrn cli tmmcrosissime patolop,ie che derivano
da 1111 danno tii-1s11tale irreversibile come le nmlaUie neurologiche e carcliac:lrn. II cor­
dotie ombelicale viene utilizzato per questi scopi, essendo un vero scrbnt;oio cli cellule
staminali pluripotenti. Le cellnlc cloll'mnhrione, vic:ever.'>a, prosentamlo la. po.<;8ibilità
di.dare origine a tutti i tipi cellulari doII'organismo vengono clcli11ite cellule emb_rio­
nali totipotenti (staminali emlwionali). Atttmlmcntc, il loro impiego terapeutico
in ambito mtmno è precluso dai principi bioetici sottoscritti a, livelio mondiale perclté
causa l'elimina'l.ione dell'embrione a. seguito clelia proceclnrn cli c)spianto cleIIe cellule
totipotenti che Io costitniscono e pertanto queste strategie vengono a.pplirate soltanto
nei modelli animali.
Negli ultimi anni sono stati fatti molti tentativi per proclnrre ceIIule Htaminali
a partire da cellule somatiche differenziate. Uno cli qnc�t;i tentaLivi ha ntiliz<tato la
clonazione: Pinserimento in nua cellula novo anuclca.La cli un nncleo cli una cellula cli
un individuo adulto. Questa tecnica ha portato aIIa formnzione di un individuo adul­
to con le caratteristiche genetiche dell'organismo da cni è stato prelevato il nucleo.
L'individuo più famoso ottenuto con questa tecnica è stat;a la pecora Doliy, ma altre
specie animali sono state clonate. È evidente che l'embrione ot;tennto con questa tec­
nica è poten<tialmente una fonte di cellule staminali. Un'altra tecnicn, più recente, è
queIIa di retrocedere l'orologio in una cellula differenziata per farla tornare staminale.
Questo processo è possibile coltivando cellule differenziate nelle quali sono trnsfcttati
e resi attivi una gruppo di geni la cui espressione riportn indietro le cellule. Qnm�tc
cellule sono chiamate iPS ( induced pluripotrmt .<;tem cells). QmJst;n nuova frontiera
della scien'l.a è i:ita.ta recentemente premiata con l'a�segnazione elci premio Nobel per
la medicina 2012 a ,John Gurdon e Shimya Yamanaka.

297
"
Capitolo 2 Biologia. cellulfl.re e molecolare © Artquiz '_[

Mitocondrio
.Vacuolo
.Ribosoma

FW"1Jil � Reticolo
endoplasatioo
liscio

ReUcolo
endopJasmatico
ruvido

Nucleolo

Nucleo

Apparati di Golgi

o
Membrana plasmatica

Figurn 2.3: StruUttm rU ·unn <:cllula eucariotica 1Jegetale.

Reticolo
endo pia stico o
o
ruvido
Reticolo
endoplastico

o
liscio

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Figura 2.4: Strutt1,ra <li 1ma cellitla ew:ar-iotica animale.

298
© Ar�qniz BIOLOGIA

2.5.3 Morte cellulare: apoptosi e necrosi


Le cellule eucariote possono morire attraverso processi distinti di apoptosi e necrosi.
L'apoptosi indica una forma di morte cellulare programmata, termine con il quale
· il processo è altresì chiamato. Si tratta di mt processo ben distinto rispetto alla necrosi
cellulare e, in condizioni normali, contribuisce al mantenimento del numero di cellule
di un sistema garantendo pertanto l'omeostasi tissutale e può avvenire in particolari
condizioni di danno cellulare come quello indotto dalle infezioni virali o dal danno al
DNA. L'apoptosi è un proces.c,o biochimico che può coinvolgere il mitocondrio e che
si sviluppa in modo ordinato e regolato, richiede consumo di energia (ATP). Fn parte
integrante dei processi di sviluppo embrionale e genernlmente porta ad nn vantaggio
dmante il ciclo vitale dell'organismo (è infatti chiamata da alcuni morte altrnista o
morte pulita). Durante il suo sviluppo, ad esempio, l'embrione umano presenta gli
abbozzi cli mani e piedi "palmati": a.ffinclté le clita si differem:ino, è necessario che le
cellule che costituiscono le membrane interdigitali muoiano.
Dagli inizi degli anni '90 la ricerca. sull'apoptosi ha visto una ct·escita spettacolare.
Oltre alla Rlla importanza come fenomeno biologico, ha acquisito nn enorme valore
medico, infatti processi difettosi di apoptosi riguardano numerose malattie. Una
eccessiva attività apoptotica può causare disordini da perdita di cellule (si vedano
ad esempio alcune malattie nenro-deget�erative, come il morbo di Parkinson), mentre
un'apoptosi carente può implicare nm{ crm�cita cellulare incontrollata, meccanismo
alla base delle ncoplm1ie.
Una. cellula in apoptosi mostra evidenti caratteristiche morfologiche in<livichmbili
al microscopio:

• La cellula diventa. sferica e perde contatto con le cellnle adiacenti in seguito alla
dcgraclw.ione delle proteine del citoscheletro che vengono digerite da specifiche pep­
tidusi (chiamate caspasi) attivate all'interno del citoplasma a seguito dell'innesco
del processo di apoptosi stesso.

• La cromntinn. comincia ad essere degradata e condensata (il nucleo al microscopio


risulta eterocromatico).

• La cromatina continua il processo di degradazione (in tipici frammenti lunghi 200


paia di basi circa) e condensazione in corpi addo:;sati al tmcleolemma. A questo
punto il nucleolemma appare ancora integro; tuttavia, cuspasi specializzate sono
già ad uno stadio avanzato di degradazion e delle proteine dei pori nucleari e han­
no iniziato la degradazione delle lamine, le proteine che rivestono l'interno della
membrana nucleare. Va notato che, mentre il primo stadio di condensazione del­
la cromatina è stato osservato in cellule non apoptotiche, questo stadio avanzato
(chiamato picnotico) è considerato preludio dell'apoptosi.

• Il nucleolemma diventa discontinuo e le molecole cli DNA sono frammentate in


un processo definito cariorcssi. Il nucleo si rompe in alcuni "corpi cromatinici" o
"unità 1mcleosomiali 11 •

• Il pla::;malemma si rompe.

• La cellula è fagocitata oppure si divide in più vescicole, chiamate corpi apoptotici,


grazie ad un processo che prende il nome di blebbing, che sono in seguito fagocitati.

299

-
Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare © Artquiz

Con il termine necrosi si indica Pi11sieme dei fenomeni morfologicamente osserva­


bili cui la cellula va incontro in seguil:o a morte per cause non naturali. Le possibili
cause di necrosi sono molte: ipossia, temperature estreme, tossine prodotte da batteri, ,,
,f
virus litici infettanti.
Nella necrosi si osserva la lisi (cioè la disgregazione parziale o totale) della cellula:
il nucleo _si distrugge fino ad uniformare la cromatina con il citoplasma, la membrana

',,,,
cellulare o plasmatica si disgrega velocemente e il citoplasma si riversa all'esterno
danneggiando le pn.reti cli altre cellule e i suoi organuli. Ciò determina una reazione
I I
'I immuuit.nria. imprevista dell'organismo e una probabile risposta infiammatoria. La
, I
necrosi è dunque un fenomeno patologico. Esiste, comunque, un processo detto apop ­
tonecrosi o necroptob"Ì, per il quale una cellula che comincia i processi apoptotici,

if
se giunta ormai ad un punto in cui non può tornare indietro, non ha più disponi­
bilità di ATP (necessaria all'apoptosi), tenninn. la. sua morte programmata con le

li;ilt'.
�)I !
caratteristiche della necrosi.

lii.,
2.6 La comunicazione intercellulare e le giunzioni cellulari
I'· Nei tei;snti degli anima.li, le cellule sono unite tra loro da vari tipi <li giun7,ioui cellulari,

Jl J costituite da complessi nmltiproteici, che si <fo;tiuguouo in:

l o
,,

iii�,.
• giunzi oni o ccludenti (o i;trcUe o BmTate o "tight jtmctio-ns ) che sigillano cellule
hl
•j
adiacenti impmlcm<lo il pm;im.ggio cli fluidi e molecole tra di esse;

ii'. '
11,
,1t1 • giunzioni comunicanti (o 11 .<J<tt> jum:tiow, ) che stabiliscono comunicazioni tra
I
,,
',li
cellule n.diacnnti, lm;cia.mlo passare ioni e piccole molecole tra una cellula e l'altra
attraverso proteine (cou11es.'>i11�) che fommno un canale proteico (connessone);

uri:
l '.,. • giunzioni aderenti (o cli ancoraggio o "anchoring junctions'' ) come i desmosomi
che tengono unite fo;icmnente due cellule adiacenti o tra esse e la matrice extracel­

J1 lulare (mediante gli emùlesmo.som·i) fornendo re�istenza meccauica ai tessuti. Ad

.�
esse sono ancorati i filamenti intermedi permettendo così la trasmissione degli stress
(l l meccauici su tutto il tesimto.
;:
.,.
;Il.
Il contatto intercellulare conclhr,iona. sia i procei,-si di differenziamento che di proli­
ferazione cellulare. Uno degli.eventi chiave nei procel>'SÌ di cancerogenesi è la perdita
p•i( da parte delle cellule tumora.li dell'inibizione da. contatto con la quale viene mantenuta
N l'omeostasi cellulare di un tessuto.
·'i

'
i'
2. 7 Il differenziamento cellulare i,,

o
Negli organii;mi plmiccllula.ri, le cellule si specializzano iu modo da svol�ere ognuna
una determinata fun¼ione. Questa. specializza7,ione conferisce agli organismi pluricel­
lulari un vantaggio <li t.ipo adattativo. Il procosso di rliver,r;ificazione morfologi.ca e
funzionale che porta 11110 1,igote a. diventare un organismo pluricellulare attraverso
la !->-elettiva csprcssioue di uu particolare bagaglio di geni e la repressione di altri, si
definisce differenziamento. Pertanto, la quantità e il tipo cli materiale genetico non
varia. tra cellule difforen¼iat.c e 11011 <liffereuziate ma variano le quantità e i tipi di
mRNA (e quindi di proteino) espressi.
Il processo di differenziamento cellulare è alla base dei. meccanismi di formazione
I
300
o
© Artquiz BIOLOGIA

dei vari tessuti di un organismo e altera:.:ioni in tale processo sono coinvolti nella pato­
genesi dei tumori. Un esempio del rapporLo tra differenziamento difettoso e malignità
è rappresentato dalle leucemie. 1\1tti i <liven;i tipi cellulari del sangue derivano, attra­
verso un regolato e coordinato processo di differenziamento, che avviene a livello di
·
midollo osseo, da una cellula staminale emopoietica che funge da precursore. Alcune
cellule si differenziano per formare eritrociti, altre formano macrofagi, linfociti o gra­
nulociti. Le cellule progenitrici dì ciascuno di questi tipi cellulari compiono Yari cicli
di divisione dnrn.nte il processo di diffcren7.iamento e, alla fine, cessano di dividersi
e sono destinate a morire dopo nn certo periodo di tempo. AI contrario, le cellule
leucemiche non compiono il differem�iamento terminale (Fig. 2.5) rimanendo blocca­
te in fasi diverse dello. maturazione mantenendo le loro capacità di autoriprodmsi e
proliferare in maniero. incontrollata.

o
� Cellula _st�minale
� emopo1ellca

•--
@
1
� Differenziamento
l Bloccato

I \ Figuro. 2.5: Schema del proce.'>so di dif­


-Reticolo

1
- Eritrocita
ferenziamento di un precursorn emopoie­
tico e alterazione di tale processo nelle
leucemie.

2.8 La membrana plasmatica

AI fine cli mantenere un ambiente adatto allo svolgimento di tutte le reazioni chimiche
necessarie per la vita, nonché di assicurare il corretto scambio di materiali tra il corpo
cellulare e l'ambiente, tutte le cellule preHentano un rivestimento esterno denominato
membrana plasmatica.
La membrana plusmatica, che Im uno spessore medio di 7 nm (70 A), presenta
una permeabilità seleLtiva verso determinate sostamm (molecole e ioni) ed è pertan­
to definita membrana semipe1·tneabile. La membrana plasmatica è costituita da un
doppio strato di fo.'>folividi, proteine, colesterolo e glucidi (glicoproteine e glicolipidi).
Secondo il modello del mosaico fluido, che descrive la i;trnttnra della membrana
plasmatica, i fosfolipidi, gra'l.ie alla loro caratteristica fisico-chimica anfifilica (una
testa idrofilica/polare con nn gruppo fosfato carico negativamente e una coda idrofo­
ba/apolare costituita da due catene cli acidi grassi a diverso grado di insatura�ione) si
dispongono in maniera da mantenere In porzione polare rivolta verso la parte acquosa
del mezzo esterno, uientre le code apolari sono rivolte verso l'interno (Fig. 2.6).
Secondo questo modello, le proteine e i fosfolipidi che compongono la membrana
sono in grado di muoversi lateralmente e quindi la membrana costituisce un mezzo

301

-
Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare © Artquii.

]Doppio s1,a10
loslolipldiro

ii ì

�::·,1, �.
J Figura 2.6: Schema di una membrana plasmat·irn 11cc:orulo ·il modello del
mosaico fluido. ò
d
l

1:
·i·,
fluido. Tu.le fluidità è regolata dal contenuto di colesterolo (l'unica membrana priva
di colesterolo è quella mitocondriale) e dal gr,tdo di insaturaY,ione degli acidi gra88i
'.j
"t ·
!"
componenti.
t I Ltt mcmbn.ma plasmatica impedisce la libera diffm,iouc di soluti ionici. L'usim­
metria nella dh;tribn¼ioue di ioni tra l'interno H l'esterno della membrana plasmatica
genera uu potenziale élettrico che, nei ncmroui, <� clcll'ordiuc dei -70 mV (il potenziale
I�
',

o
�,f

'ir-jil elettrico è mi,;ur,tto riHpctto alla. ·snperficin esterna della. membn.um) ma può vnTiarc

,,�,
a seconda <lHl tipo cellulme.
Il trasporto trn.us-membrmm di molecole idrofilichc è U.<,.><;icnrato dalle proteine
infrinseohe di membrana mentre il trasporto di molecole idrofobiche avviene passiva­
mente scn¼a necesi.;ità di meccanismi di trasporto mediati. Altre proteine di membru.­

o
' ua assicura:no il contatto cellula-cellula e cellula-matrice, nonché costituiscono degli
,,
I
specifici recettori di membrana che assicmano, n.ttraverso processi di tmsduzione del
ti
,•f segnale per via biochimica, la risposta cellulare a �timoli e mediatori esterni (es. or­

o
l moni e neurotrasmettitori).
Le glicoproteine, che comprendono molte proteine integrali di membrana, re­
sponsabili della comunicar.ione cellula-cellula, oltre ad innumerevoli proteine secrete

i
come gli o.nticorpi, sono proteiRe alla cui catena peptidica è legata una catena oligosac­
caridica (composta dunque di carboidrati e definita ,qlicano). Spesso un polipeptide di
questo tipo viene definito con il termine di proteina glicosilata. Il glicano è attacca­
to mediante una modifica'l.ione post-traduzionale (in alcuni casi anche co-traduzionale)
della proteina, attraverso 1111 processo genericamente definito glicosilazione d1e avvie­
ne nell'apparato di Golgi. I glicani sono spesso aggiunti a proteine che presentano un
segmento extracollnlare. Le proteine integrali di mombrana sono ad esempio quasi
sempre glicosilate.
I glicolipidi sono delle molecole formate <la oligomeri di carboidrati legati a li­
pidi. Generalmente queste molecole si trovano sulle membra.ne cellulnri (la porzione
lipidica garantisce l'ancoraggio alla. membrana) n si estendono da esse all'ambiente
acquoso che circonda la cellula. La lorn funzione piì1 importante, non molto differente
) .
1f
,. <la quella delle glicoproteine, è di riconoscere sostau�e chimiche specifiche provenienti
"
dall'esterno aiutando a mantenere l'equilibrio all'interno della cellula. Ad esempio,
(!
trovandosi sulle pareti dei globuli rnssi, sono decisive per la distin7,ionc dei vari grup-

o
I
i, ..
!
i', 302
, ..
1;1

�: !
@_Artquiz BIOLOGIA

pi imnguigni. Giocano moli anche 11el formare i tessuti aiutando le cellule a restare
attaccate, e a fomire energia al la cellula.
Vinsieme delle membrane interne delle cellule eucariotiche che costituisce il si­
stema di endomembrane, completamente assente uei procarioti, comprende tutte
· quelle che ricoprono i vari organelli subcellulari come il reticolo endopl asmatico, Pap­
pa.rato cli Golgi, i lisosomi, i mitocondri e Pinvolucro nucleare. La struttura delle
eudomembraue è del tutto simile a quella della membrana plasmatica, fatta eccezione
per quella mitocondriale che è priva cli colesterolo.
Pertanto, le principali funzioni della membrana plmmmtica e delle eudomembrane
sono:
• separazione del materia.le cellulare clulrambieute esterno grazie alla funzione di
barriera semipermeabile;
• organi'l.zazionc e localizza:1.ioue di specifiche fumdoni cellulari grnzie alla comparti­
mentaliz�mzione subcellulare degli organnli;
• consentire il coordinamento elci processi di trmiporto e il mantenimento del poten­
ziale elettrochimico;
• consentire il rilevamento di segnali extrn.cellnlari grazie alla presenza di recettori di
membrana;
• cousenlire la comunicazione intercellulare e tra. cellula e matrice alla. base delPor­
ganizzaziouc sovracellnlare in tessuti.
Alcune cellule, in particoln.re quelle coinvolte in scambi <li so8tam�e alPiuteruo di
tessuti 8pecializ�mti come quelle appartenenti al tessuto epiteliale di rivestimento del­
la parete intestinale, presentano mm asimmetria morfologica con una porzione ( detto
polo) apicale disposta verno il hune clelrorgn.uo con fumdoue secretoria e/o cli assor­
bimento e una porzione ba�ale in contiuuitn. con il tessuto connettivo sottostante.
Le membrane plasmatiche cli queste cellule possono presentare delle estroflessioni del
polo apicale definite microvilli, che sono strnttnre alte 1 Ji:m e larghe 0,08 µm circa.
La particolare struttura dei microvilli è mantenuta dal citoscheletro ( vedi infra),
costituito da una trentina <li microfilmueuti di actina ordinati parallelamente e tenuti
im�ieme da ponti di villina e fimbrina. La zona apicale del fascio di microfilameuti ( ter­
minazione positiva) è stabilizzata da un cappuccio proteico ed è collegata lateralmente
alla membrana attraverso la calmodulina e la miosina I. Alla base del microvillo, i
microfilamenti sono invece ancorati ad una zona corticale, ricca in actina e spectr-ina.
I microvilli hanno la funzione cli aumentare la superficie di scambio, infatti si trovano
su cellule impiegate uelPassorbimeuto di acqua e nutrienti, come gli enterociti (cellule
epiteliali unite cla complessi cli giunzione con funzioi1e cli barriera) uelPiutestino e le
cellule che rivestono il lume del tubulo contorto prossimale nel rene.

2.8.1 Funzioni della membrana plasmatica� osmosi, diffusione,


trasporto, endocitosi ed esocitosi, fagocitosi e pinocitosi
Le membrane sono barriere semipermeabili, cioè pos.<;ono essere attraversate libera­
mente, per diffusione seguendo il proprio gradiente di concentrazivne, 8olo da picco­
le molecole non polari (come ossigeno e anidride carbonica), o neutre, come Pacqua
(sebbene recentemente siano i:1tate caratterizzate proteine di membrana specifiche per

303
Capitolo 2 Biologia. cellulare e molecolme @ Artquiz

trasportare l'acqmt, denominate ,tcquaporine) e l'nrea, mentre non possono essere at­
traversate da grosse molecole polari (come il glucosio) e dagli ioni (come H + e ATP),
la cui concentrazione determina essem,iahnente la pressione osmotica delle soluzioni.
La concentrazione dei soluti in una soluzione è il principale fattore che condi7.iona
il potenziale osmotico. Qualora le cellule si trovino immerse in soluzioni aventi una
pressione osmotica minore (soluzione ipotonica) o superiore (ipertonica) rispetto a
quella interna: nel primo caso l'acqua entrerà nelle cellule, eventualmente fino a farle
scoppiare, nel secondo uscirà facendole raggrin1.ire. Ad esempio, per il mantenimento
dell'integrità dei globuli rossi, essi devono essere mantenuti in un liquido isotonico.
Tale fenomeno di movimento di solvente attraverso nna membrana semipermeabile si
definisce osmosi e obbedisce alle leggi della diffusione.
1I Il passaggio di ioni e molecole polari è mediato dalle proteine di trasporto, che
j sono altamente specifiche. Il trasporto mediato, o diffusione facilitata, può es­
J"'' 11
Itt;
lr.
:fl I,
• sere passivo, doè secondo il gradiente di concentrazione senza necessità di utilizzare
energia, o attivo, cioè avvenire dalla soluzione più diluita a quella più concentrata.
In quest'ultimo caso, il trru;porto necessita di energia, fornita <lall'ATP, direttamente
-�, (trasporto attivo primario) o mediante l'accoppiamento con un altro trasporto attivo
;
1,

primario (tra�porto nttivo s<?conda.rio).


Una grande varietà di molecole 11011 lipidiche pnò attraversare la membnma at­
J

J�,-i I traverso speciali canali o pori che consentono il passaggio di particolari ioni sulla
,( .

o
base del loro diametro, carica o capacità di formare legami deboli tra essi e alcuni
·1,;j1�·.. costituenti del canale in questione. Il trasporto delle molecole di acqua mcvieue quindi

.I
1;. (
rh1 mediante diffusione pus:;iva, quella del glucosio mediante diffusione facilitata (senza

o
consumo di ATP ma dove l'energia necei;saria per il trasporto è assicurata dal gradien­

J!
te di concentrazione) e quella degli ioni sodio tramite tr!lsporto attivo. In una cellula,

li,
mentre In coucentra1,ione di Na + è maggiore all'esterno, quella di K + è maggiore al
:ci
I ,t
suo interno. Questi gradienti ionici sono mantenuti dalle pompe Na + /K + ATPasi
di membrana che utiliizano l'energia derivante dall'idrolisi di ATP per effettuare il
trasporto, contro gradiente, di ioni Na + verso l'esterno e·di ioni 1< + verso l'interno
della cellula.
ì, ! Le macromolecole e le particelle di grosse dimensioni, che non possono attraver­
r:1 sare le membrane p�r mezzo di proteine di trasporto, possono essere introdotte per

o
i'-,:_,
!,

re endocitosi o espulse per esocitosi in seguito alla formazione di vescicole.


!� L'endocitosi è un processo riguardante la periferia cellular e, attraverso il quale la
'r,l: cellula interna.lizza molecole o corpuscoli presenti nello spazio extracellulare in manie­

o
�,,·•--.·1;'··
ra massiva tramite la modificazione della forma della sua membrana plasmatica, che
r•· : si invagina per racchiudere il materiale da introdurre nella cellula in una vescicola,
,...:,Yi· detta vescicola endocitica. Questa vescicola viene quindi convogliata nel citoplasma
tramite microtubuli. _;
:!I'
L'endocitosi può essere costitutiva o regolata. Nell'endocitosi costièutiva, una
volta formatasi la vescicola, quest'ultima viene immediatamente rilasciata' dalla mem­
brana plasmatica per fondersi con altTi organelli intracellulari. Nell'endocitosi 1·ego­
lata, il rilascio definitivo de lle vescicole è controllato da un'ulteriore segnalazione
l; .. (attivazione) di alcune proteine intrinsech<:! della membrana della vescicola.
L'endoeitosi è nn processo che richiede consumo di energia da parte della cellula.
' .

'Iì·a le sue funzioni vi sono quelle di consentire l'introduzione di strutture cellulari


i:·�!

e di molecole ad alto peso molecolare per la loro digestione intracellulare per azio­
icl;'i ,
•f

!�: ne cli enzimi idrolitici presenti nei lisosomi, e di consentire l'internalizzazione della.

l
le..

.

� 304
''ìij.�-
L•
@ Artqui7. BIOLOGIA

membrana cellular e in eccesso e di specifiche molecole esposte sulla sua superficie in


modo da regolare la morfologia, l'area e la funzione di segnalazione della membrana
plasmatica.
Si riconoscono tre tipi di endocitosi: endocitosi mediata da recettori, endocitosi in
Jase fluida e fagocitosi.
L'endocitosi mediata da recettori è regolata e specifica. In questo tipo dì en­
docitosi la cellula riconosce il suo substrato (materiale da ingerire) mediante proteine
di membrana. Queste proteine sono in grado di legare, esternamente, il materiale
da introdurre e, internamente, particolari proteine chiamate clatrine. Viene così or­
ganizzata una rete di clatrine che possiede già una sua curvatura intrinseca e che
contribuisce all'invaginazione del plasmalemma (fossette rivestite). Quando il ligan­
do si lega al suo recettore specifico, il ligando-recettore si accumula nelle cosiddette
fossette rivestite ("coated pits"). È importante notare che l'endocitosi mediata da
recettore è molto più veloce della fagocitosi o della pinocitosi.
L'endocitosi in fase fluida è costitutiva e aspecifica, ossia la cellula introduce
piccole gocce di matrice extracellulare in maniera indifferenziata: Questo è possibi­
le perché il materiale in questione è presente disciolto in soluzione acquosa. Questo
particolare tipo di endocitosi è detto pinocitosi.
La fagocitosi è la capacità posseduta da diverse cellule (come alcuni globuli bian­
chi) di ingerire materiali estranei e di distruggerli. La fagocitosi, per portare materiale
all'interno della eellula, richiede da parte della cellula ste::;sa, l'emissione di espansioni
citoplasmatiche delimitate da membrana, chiamate pseudopodi. Queste estroflessioni
della membrana plasmatica sono costituite da un'impalcatura esterna formata da fila­
menti cli actina che avvolge completamente il materiale da ingerire (batterio, nutrienti
ecc.) portandolo all 'interuo della cellula fagocitaria.
Una variante della fagocitosi è l'autofagocitosi, una modalità con cui la cellula
decide di degradare dei suoi organuli per rinnovarli ( dato che niente è opportuno scar­
tnre e/o buttare): avvolge l'organulo con membrane del suo reticolo endoplasmatico
liscio (REL). Questo processo nella cellula animale solitamente av viene nei lisosomi.
Quello che si forma in seguito sarà una grossa vescicola chiamata autofagosoma che
sarà poi espulsa per esocitosi.
La membrana plasmatica interviene anche nei fenomeni di escrezione, vale a dire
nella liberazione dei prodotti elaborati dalla cellula. L'escrezione cellulare è un
fenomeno discontinuo o continuo. V es crezione continua non controllata è un mecca­
nismo più raro, caratteristico spesso di cellule patologiche. V escrezione dis continua
e controllata avviene per liberazione indotta da uno stimolo. Un esempio può essere
il pancreas endocrino, nel quale i granuli di secrezione contenenti insulina vengono
liberati nel sangue quando la concentrazione ematica dì glucosio aumenta. Numerose
cellule a secrezione interna o esterna liberano i loro prodotti in modo discontinuo: cel­
lule delle ghiandole salivari, degli acini pancreatici, cellule della midollare del surrene
produttrici di noradrenalina.
V esocitosi propriamente detta è preceduta da una fase di migrazione dei granuli di
secrezione o di una vescicola lisosomiale.' La vescicola si sposta per aderire alla faccia
interna della membrana citoplasmatica e la sua migra7,ione avviene grazie a correnti
citoplasmatiche create dalla contra7-ione dei microfilamenti del citoscheletro e la cui
direzione è imposta dai microtubnli. Questo meccanismo è ATP e Ca2 + dipendente.
Le membrane della vescicola e del rivestimento cellulare si fondono provocando così
l'apertura della vescicola e la liberazione del suo contenuto all'esterno.

305
Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare @_ Artquì� r"i

2.9 Nucleo, nucleolo e pori nucleari

Il nucleo è la struttura subcellulare di maggiori dimensioni in una cellula eucariotica


e contiene il materiale genetico organizzato in cromatina nei cromosomi. Il nucleo è
la sede principale della sintesi degli acidi nucleici e contribuisce pertanto indiretta­
mente alla sintesi proteica. È limitato da una serie di due membrane concentriche che
.' I
costituiscono l'involucro nucleare ed è in .comunicazione con il citoplasma cellulare
attraverso strutture proteiche complesse che formato i pori nucleari.
lf. Cellule eucariotiche specializzate e terminalmente differenziate come gli eritrociti
nei mammiferi sono prive di nucleo perché si sono evolute per ottimizzare l'esclm;ivo
,·�, trasporto di ossigeno. Analogamente, le piastrine, che derivano da cellule giganti po­
J,,l.l1, linucleate del midollo osseo (i megacariociti) e che svolgono una funl.ionc principale
'11
nel processo di coa.guh1.,r.io11e del sangue, sono prive di nncleo. Un altro esempio di
.,,L cellule prive di nucleo è rappresentato dalle cellule epiteliali dello strato corneo delln
i pelle.
4 La conseguenza piì1 immediata dclPasscnxa di 1111 nucleo in cellule altamente spe­
cializzate è rappresentato dalla loro impossibilità a dividersi, pertanto in 1111 organismo
il loro numero viene mantenuto costante gra7.ie a continui processi differenl.iativi che

r
t portano le cellule precursori (dotate di nucleo fnnl,ioualc) a diventare cellule terrni­
j
nalmente differenziate prive di nucleo e specinlfa½ate a svolgere principalmente una
precisa funzione biologica.
I
' Il nucleo presenta delle struttnre specialil.zate come il nucleolo e �umerosi com­
plessi multienzimatici, come lo spl-icevsoma (deputato alla rimoiione degli introni dal
trascritto di RNA immaturo e costituito da proteine e piccole molecole di RNA nn­
clearc denomhtato snRNA).
Il nucleolo è una. struttura subnucleare non delimitata da membrane in cui av­
j• vengono i processi di sintesi e maturazione degli RNA ribosomiali (rRNA) e Passem­

o
.I blaggio delle subunità_ pre-ribosomiali necessarie per la sintesi proteica che avviene a
livello citoplasmatico. Questa regione non è 1111 organulo interno al nucleo, bensì una
regione particolarmente densa di materiale genetico e proteico, che risulta quindi mol­

o
:1 to evidente nella microscopia cellulare. Si tratta di una struttura fibrosa e granulata
presente in una o piì1 copie nel nucleo della maggior parte delle cellule eucariotiche
superiori, specialmente quelle che presentano una attiva sintesi proteica. Al micro­

o
I. scopio ottico appare come ùn granulo rotondeggiante, non delimitato da membrana e
I circondato da uno strato di cromatina condensata. È costituito da tratti di DNA che
codificano per l'rRNA, da filamenti di rRNA nascenti e da proteine.

o
Il nucleolo è presente durante le fasi Gl, S e G2 del ciclo cellulare e scompare du­
rante la mitosi, momento in cui la cellula interrompe la sintesi proteica e �on necessita
quindi di ribosomi. Ricompare poi quando la cellula ha completato la,.'.clivisione cel­
lulare e riprende la sua attività di sintesi. Probabilmente il nucleolo interviene anche
in altre importanti attività cellulari: ad esempio sembra avere un ruolo centrale nel
trasferimento dell'RNA messaggero (mRNA) dal nucleo al citoplasma.
Recentemente, studi di proteomica hanno dimostrato che nel nucleolo sono anche
localizzate alcune migliaia di proteine, apparentemente non associate alla funzione
principale del nucleolo, come fattori di trascrizione e enzimi coinvolti nei processi di
riparazione del danno al DNA. Durante un danno dal DNA, la struttura del nucleolo
viene disassemblata e questo processo porterebbe ad un arresto della sintesi pro.teica

o
per favorire il processo di riparazione del danno.

306
© Artquiz BIOLOGIA

La membrana nucleare non è continua, ma presenta dei fori, detti pori nucleari,
il cui scopo è quello di permettere il passaggio delle molecole dal citosol al nucleo­
plasma e vi.ceversa. I pori nucleari presentano un diametro di circa 120 nm e sono
composti da 8 proteine canale disposte ad ottamero e da centinaia di altre proteine
èhe formano le diverse subnnità, per un totale di 120 MDa di massa. Questi canali
vengono anche definiti compl essi del poro nucleare.
Le molecole più piccole (fino a 5 kDa) passano per diffusione come pure molecole
piit grandi (fino a 20-40 kDa) che passano con velocità inversamente proporzionale alla
loro massa. Altre proteine più grandi necessitano di un meccanismo di trasporto atti­
vo che prevede il riconoscimento di nna particolare sequenza di localizzazione nucleare
(NLS) da parte di proteine di trasporto dette recettori per il trasporto nucleare
a cui appartengono le carioferine che funzionano come importine o esportine.

2.10 Il citoplasma
Il citoplasma è un materiale piuttosto viscoso costituito prevaleittemente da acqua
contenuto all'interno delle cellule in cui sono sospesi gli organuli cellulari. In es.�o si
svolgono alcune attività fondamentali per la vita della cellula come la rc8pirazione, il
movimento, la glicolisi, molti processi catabolici e auabolici, Papoptosi, ecc.
Il dtoplusma di due cellule diverse pu'ò essere in continuità mediante dei canali
detti plasmodesmi che attrnvernano le membrane cellulari.
Oltre agli organuli, al nucleo e al citoscheletro, nel citoplasmn di alcune cellule
possiamo trovare dei rec,�ttoTi per specifiche molecole segnale {es. ormoni steroidei)
che vengono attivati dal legame cou il proprio liganclo e regolano l 'esprcssione genica
a livello nucleare.

2.11 I ribosomi
I ribosomi sono particelle, non delimitate da membrane, costituite da RNA riboso­
miale (rRNA) e proteine, pro:.;enti in tutte le cellule conosciute e, nelle cellule encn­
riotiche a livello citoplasmatico. Le cellule dei mammiferi in fase di crescita attiva
contengono da. 5 a 10 milioni di ribosomi che devono essere ripristinati ad ogni divi­
sione cellulare.
I ribosomi sono responsabili della sintesi proteica (traduzione). Vengqno sintetiz­
zati e preassemblati nei nucleoli in due distinte subunità pre-ribosomiali,. attraverso i
pori nucleari fuoriescono nel citoplasma dove le due subunità si assemblano net' ribo­
soma maturo. Gruppi di ribosomi che si associano allo Htcsso RNA messaggero per
effettuare la sintesi proteica si definiscono polisomi.

2.12 Il reticolo endoplasmatico


Il reticolo endoplasmatico (RE) è costituito da una serie continua di membrane
ripiegate e interconnesse tra loro che attraversa il citoplasma delle cellule eucariotiche
ed è interconnesso con la membrana nucleare. Lo spazio interno a queste membrane
si definisce lume. Le membrane del RE possono avere la struttura, di cisterne o tubuli
contenenti all'interno diversi tipi di enzimi. Vi sono due tipologie di RE differenti per
morfologia e funzione, il cui preva.lere delPuno sulPaltro dipende dalla tipologia cellu­
lare: il reticolo endoplasmatico ruvido (in qualche testo e nei quiz viene usato, in

307
Capitolo 2 Bio).ogia cellulare e molecolare © Artquiz -1

maniera non corretta, Paggettivo ccrugo.so» ) (RER) e il reticolo endoplasmatic o


liscio (REL). Lo sviluppo del RE è in diretta correlazione con Pattività di biosintesi

o
proteica cellulare.
Alle membrane del RER aderiscono, sul versante citoplasmatico, i ribosomi, dove
vengono sintetizzate le proteine a destinazione non citoplasmatica (proteine di secre­
zione, protein� di membrana cellulare o di organelli intracellulari) che vengono poi
trasferite, mediante un flusso di vescicole <li trasporto , ali 1apparnto del Golgi.
Nel REL (privo di ribo.somi) vengono sinteti�zati i fosfolipidi e gli steroidi, auch 1essi
trasferiti alPapparato del Golgi, e hanno luogo importanti reazioni di detossificazione.
t· Nelle cellule muscolari il REL immagazzina ioni calcio che poi rilascia nel momento
,... della contrazione muscolare.
if
2.13 L'apparato di Golgi
Uapparato di Golgi è un organulo citoplasmatico, molto sviluppato nelle cellule
con attività secretoria, costituito da una struttnra di sacd1e membranose appiattite
dette cisterne contenute nel citoplasma. La sua principale funzione è di provvedere
alle modificazioni post-tradnziouali (es. glicosil�ioue) e allo smistamento delle pro­
l
I
teine sintetizzate nel RER, in particolare di quelle protHine destinate alla membrana
' plasmatica, le proteine di secrezione o di quelle destinate ad altri organuli come i
!' lisosomi.
,;/ I: L 1 apparato di Golgi presenta un orientamento definito: le cisterne del la.to cis-Gol9i
sono rivolte verso H nucleo mentre il lato opposto verso la membrana citoplasmatica
f! viene definito trans-Golgi.
Le proteine di secrezione immature arrivano dal RER al ci.,;-Gol,qi mediante le

o
vescicole di trasporto; alJ >iuterno del Golgi subiscono Popportuuo processo di matu­
razione che comporta una serie di modificazioni chimiche e lasciano quindi il Golgi
stesso dal suo lato tra ns mediante le vescicole di secrezione.

o
�;-
i

2.14 I lisosomi e i perossisomi


�· I lisosomi sono organuli citoplasmatici, costituiti da sacchetti (aventi alPinterno un
pH acido) circondati da una singola membrana, nei quali avviene la digestione in tra­
cellulare di corpi estranei inglobati dalla cellula mediante un processo di fagocitosi
oppure di degradazione di macromolecole cellulari o di molti complessi org_anici, grazie
o
alla presenza di una serie di enzimi idrolitici (es. idrolasi acide) in essi contenuti.
Il lisosoma si forma per gemmazione dalPapparato del Golgi che provvede anche
al processamento degli enzimi litici prodotti dal reticolo endoplasmatico /uvido. Que­
sti enzimi sono diretti nei lisosomi perché contengono residui di ma.nuòsio-6-fosfato
ottenuti tramite fosforilazione a livello del versante cis del Golgi ad opera di una fosfo­
transferasi. Gli enzimi così marcati vengono diretti specificamente verso i pre-lisosomi
! (così definiti in quanto il pH non è sufficientemente acido) tramite vesdcole cndoso­
mali dotate di pI-I più basso. Quindi, man mano che nuove vescicole apportanti nuovi
enzimi si fondono al pre-lisosoma, il suo pH si abbassa attivando infine gli enzimi litici
I_,

e trasformandosi in· vero e proprio lisosoma.


ti.l I lisosomi sono_particolarmente sviluppati nei granulociti neutrofili, in quanto que­
':
Cl�,i: .. ste cellule del sangue hanno il compito di catturare e distruggere sostanze estranee
�! i mediante il meccanismo della fagocitosi.
:,
ll·
i ,, ·I 308
,i .. •
@ Artquiz BIOLOGIA

I perossisomi sono organuli simili a.i lisosomi, nella forma di vescicole dotate dì
membrane, � contengono enzimi specifici preval�ntemente coinvolti nella deaminazio­
ne ossidativa degli aminoacidi grazie alla loro capacità di produrre acqua ossigenata
(H202) a partire da ossigeno molecolare (02) per me7.zo di specifici enzimi tra cu� la
perossidasi e cli distruggerla mediante la catalasi.

2.15 I mitocondri
I mitocondri sono organuli subcellulari (di forma allungata, il mitocondrio è lungo
mediamente 1-4 µm e ha un diametro medio di 0,2-1 µm) deputati alla respirazio­
ne cellulare con produzione di ATP, e rappresentano pertanto la sede di conversione
delPenergia cellulare iu forma molecolare. Sono le centrali energetiche delle cellule.
In mm cellula comune ci sono un migliaio di mitocondri, che vivono come inquilini,
conservando le proprie informazioni genetiche, dup(icaudosi secondo un loro program­
ma e parlando la propria lingua. Quasi tutto il cibo (e l'ossigeno insieme ad esso)
che immettiamo nell'organismo, dopo essere stato elaborato, è inviato ai mitocondri,
dove viene trasformato con produzione di energia che a sua volta serve per siutctiizare
una particolare molecola (ATP). È l' ATP che ci tiene in vita. Le sue molecole sono
piccole batterie ricarica.bili che si m11ovono,o.ll 1interno della cellula fornendole energia.
In ogni istante nua cellula contiene circa. un miliardo cli queste molecole che in solo
2 minuti sono consumate e rhnpiazzate subito da un altro miliardo. In un giorno si
producono mediamente e si consumano circa 500 kg di ATP.
I mitocondri sono dotati di 1111 doppio strato membranoso: una membrana ester­
na (liscia) e nua membrana interna (couvolnta in strutture dette crù;tae mitocon­
driali) separate da uno spazio intennembrana. La &mzioue di queste strutture della
membrana interna, caratterizzate dalla pre.-;cnza di numerosi avvolgimenti, rientranze
e sporgenze, è di aumentare la superficie di membrana che permette di disporre di
un numero maggiore di complessi dì ATP sìntetasi (l'enzima che trasforma ADP iu
ATP) e di massimizzare la produzione di energia. La membrana interna ha un rap­
porto proteine/lipidi che si aggira intorno a 3: 1 (che significa che per ogni 3 proteine
vi è un fosfolipide) e contiene più di 100 tipi di molecole polipeptidiche. L'elevato
contenuto proteico è ra:ppresentato da tntti i complessi deputati alla fosforilazione os­
sidativa e, in ultimo, alla produzione di ATP attraverso il complesso dell'ATP sintasi
(o sintetasi), che genera ATP sfruttando la differenza di concentrazione di protoni che
si è generata sui due lati della membrana.
Un'altra caratteristica particolare, in quanto propria delle membrane batteriche, è
la presenza di molecole di cardiolipina (difosfatidil-glicerolo) e l'asse nza di colesterolo.
La membrana interna, contrariamente a quella esterna, è priva di porine, ma con
trasportatori transmembmna. altamente selettivi per ogni molecola o ione. A seguito
di ciò le dne facce della membrana interna vengono chiamate, rispettivamente, ver­
sante della matrice e versante citosolico (in quanto viene facilmente raggiunto dalle
piccole molecole del citosol cellulare) oppure versante N e versante P in ragione del
diverso potenziale di membrana (neutro nel versante citosolico e pm;itivo nello spazio
intermembranoso interno).
Il processo di produzione di energia da parte del mitocondrio viene svolto ntiliz­
zaudo i principali prodotti della glicolisi: il piruvato e il NADH. Essi vengono sfruttati
in due processi vitali: il ciclo di I<rebs e la fosforilazione ossidativa (Biologia, § 4.3).
La membrana interna racchiude uno spazio detto matrice mitocondriale al cui

309

-
Capitolo 2 Biologia cellulare e molecolare © Artquiz

interno è contenuto il materiale genetico del mitocondrio nella sua forma di cromoso­
ma mitocondriale (DNA circolare a doppio filamento covalentemeute chiuso, simile a
un plasmide). Quest >ultimo codifica per alcune proteine mitocondriali, per i tRNA e
''
gli rRNA mitocondriali.
Il mitocondrio è inoltre dotato di propri ribosomi ed effettua una autonoma sintesi
delle proteine codificate dai geni mitocondriali. Queste caratteristiche di autonomia
supportano l'ipotesi (formulata da Lyuu Margulis negli anni 180) dell'origine endo­
simbiontica dei mitocondri (e dei cloroplasti vegetali), ossia il fatto che possano essere
il risult;.\.to evolutivo dell'iuglobamento, da parte di cellule eucariotiche primordiali,
di cellule batteriche specializzate attraverso un processo di simbiosi.
tì Oltre alla funzione principale nella produzione di ATP, il mitocondrio interviene
inoltre in una sei'ic di altri processi come: l'apoptosi e la morte neuronale da tossicità
da glutammato, la regolazione del ciclo cellulare, la regolazione dello stato redox della
Idi
!
cellula, la sintesi dell'emP-, la sintesi del colesterolo e la produzione di calore.
,�,i!l
2.16 Citoscheletro e motilità cellulare: microtubuli, microfila-
menti, filamenti intermedi, ciglia e flagelli
Il supporto alla struttura e al movimento cellulare è assicurato dal ci toscheletro, un
sistema di filamenti e tubuli proteici interconnessi che comprende tre diversi tipi di
strutture distinte �mlla base del loro diametro e composizione proteica in: microtubuli
' ({liamctro cli circa 25 nm), microfilamenti (diametro di circa 7 nm) e filamenti inter­

ii'
medi (diametro di circa 10 nm).
I microtubuli sono strutture filamentose formate da eterodimeri della proteina
tubuliua (a-tubulina e fi-tubulina) che si associano a spirale alle estremità del microtu­
bnlo. formando 1111 cilindro cavo (Fig. 2. 7). La facilità. con cui si ha la polimerizzazione
J
L. e depolimeriz�azione di tali filamenti determina la capacita cinetica di tali strutture.
Alcune sostan2e agiscono impedendo la dinamica dei microtubuli, come ad esempio il
paclitaxel, che appartiene alla classe dei farmaci del taxolo usati nella lotta contro il
cancro, e la citocalasina B (vedi infra).
I microtubuli solitamente presentano un 1estremità attaccata ad un unico centro
organiz�atore detto centrosoma, situato vicino al nucleo. Il centrosoma. contiene
generalmente due centrioli (assenti nelle cellule vegetali) formati anch 1 essi da mi­
\;
'• I crotubuli e che hanno la forma di una botte. Essi svolgono una funzione essenziale
t-
durante la mitosi, in quanto sono coinvolti nelPassemblaggio del fuso mitotico. Du­
[ rante la fase S del ciclo cellulare i centrioli si duplicano, ma restano uniti in un unico
:!' ceutrosoma. AIPinizio della profase le due coppie si separano migrando ai poli op­
posti della cellula e dando origine a due centrosomi distinti, a cui sono attaccati i
microtubuli, che costituiscono i due poli del fuso mitotico. Ai microtub�li del fuso si
attaccano, mediante il centromero, i cromatidi (i cromosomi duplicati) che migrano
ai poli opposti della cellula.sia durante la mitosi che nella meiosi. La citocalasina,
impedendo la formazione dei microtubuli, impedisce la mitosi e la meiosi.
I microtubuli costituiscono anche l'impalcatura. interna di flagelli e ciglia e sono
i responsabili del traffico di organuli e vescicole all'interno della cellula. Inoltre, svol­
gono 1111 ruolo importante nella secrezione degli ormoni della tiroide e del pancreas.
I mic rofilamenti sono costituiti da polimeri di una. proteina globulare detta ac­
, tina che assieme alla miosina è responsabile della contrazione muscolare. I filamenti
intermedi sono costituiti da cordoni di proteine fibrose (non globulari), come le che-

310
© Artquii BIOLOGIA

l'atine. che adempiono al compito di conferire stabìlit.h. mer.cankn. alla cellula.. La


lamina nucleare è una struttura di filament.j intermedi che niantiene in posi�ione il

r ,;
nucleo cellulare.

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Figura 2.7: Modello spaziale di un .'ìe_qmento di microtubulo proveniente da mi­
croscopia c1'io-elettronica. I protofilamenti sono visibili .'ìcorrendo lnngo l'asse
del segmento. Le estremità (+) del microtubulo sono rivolte ven,o l'alto.

311
Capitolo 3

Gli acidi nucleici. Il genoma:


replicazione ed espressione

3.1 Storia e scienziati del DNA


Dopo la proposta di Sntton e Boveri, fatta nel 1902, che i cromosomi fossero alla base
dell'ereditarietà, visto il loro comportamento parallelo ai caratteri studiati da Mendel,
fu solo nel 1928 che il microbiologo inglese Fì·ederick Griffith dimostrò l'esistenza di un
"principio trasformante,, ereditabile, contenuto nei batteri che causano la polmonite.
L'esperimento fu fatto con cellule di Streptococcus pneumoniae di tipo S patogene e
con cellule di tipo R non patogene sn topi. Mentre i ceppi non infettivi non erano
contagiosi, lo diventavano se mescolati con i ceppi infettivi uccisi con il calore. Griffith
concluse che il principio trasformante non veniva intaccato dal calore e che veniva

" '
trasferito alle cellule non infettive, che acquistavano le proprietà patogene (Fig. 3.1).

"",T. > I.
Battal'l s ucclst at


� .I.
Batteri R vivi Batteri S ucdsl al calOra catara a batteri
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�l; Figura 3.1: L'esperimento
ntopomuora Topo sano Topo sano lllopomuora di Griffith.
,,
La natura del "principio trasformante fu scoperta nel 1944 da Avery, McLeod
e McCarty, i quali dimostrarono che esso era il DNA, non una proteina, come ge­
neralmente ritenuto. Infatti la trasformazione era inibita dalla presenza di deossiri­
bonucleasi (un enzima che degrada il DNA) ma non dalla presenza di diversi enzimi
proteolitici o da ribonucleasi (che degrada l'RNA).
La patogenicità è dovuta alla presenza di un gene nel genoma del batterio, che co­
difica per la formazione di una capsula sul batterio stesso che gli permette di sfuggire
al sistema immunitario dell'animale e di infettare iI tessuto. Poiché questa capsula è
di aspetto liscio, il gene è stato contrassegnato dalla lettera S ("smooth,,). La presenza
nel batterio della forma mutata del gene (forma R) impedisce al batterio di costruire
la capsula e quindi gli conferisce un aspetto rugoso ( "rough » ) e la mancanza di pato­
genicità. La spiegazione dell'acquisto della patogenicità dei batteri R in presenza di

313
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione © Artquiz
o
batteri S uccisi con il calore sta nel fatto che i frammenti di DNA che provengono dal
genoma del batterio ucciso sono resistenti al calore e possono essere trasfcttati (tra­
sferiti) nel batterio non patogeno e conferire a esso la proprietà trasformante (Fig.
3.2).

©
Cellula S (Uscia) Cellula R (ruvida)
patogena non palogena
� Isolamento del DNA
Pr � . Ricombinazione e
v> Aggiunta del DNA divisione cellulare

o
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I
Figura 3.2: La spiegazione dell 'esperirnento di Griffith.
o
o

� Nel 1949 i coniugi Vcndrely e A. Boiviu dimostrarono che la quantità di DNA nelle
I� cellule di tutti i tessnt.i di uno stesso animale è costante, mentre negli spcrmatoxoi
;11 questa quantità è ridotta alla metà.
'j '
I'
r
;••
3.2 DNA e RNA: coi:;tituzione chimica

o
·-
Dal punto di vista chimico le informa½ioni sugli aci<li nucleici incominciarono ad accu­
/, mularsi fin dal lontano 1869, quando Micscl1er isolò mm so..c.:;tm1za con carattere acido
ricca di fosforo r. presente nel nucleo dei globuli bianchi che fanno parte del pus, che
.,.
I:' chiamò "nucleina". Nel 1929 P. A. Levene trovò che il DNA e l'RNA contenevano le
lr' basi puriniche e pirimidiniche, oltre al fosfato e allo ¼Ucchero ribosio o desossiribosio
(Fig. 3.3).

OASI ZUCCHERI

!l'r
Purlne �H
���
�NH
2 �H
·.·!
H H 2'-Deossiribosio Ribosio
Adenina (A) Guanina (G) (DNA) (RNA)
1:. Plrlml<ln• •• FOSFATO
I� H � H
� R: .
lt�o
1
Ii:• Ho-p...cr Anche rappresertato come P
o
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6 • I --
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·1 , (T
H H A '�

o
Citosina (C) Tlmlna (T) Uraclle lU) J
(DNA) (RNA)

Figura 3.3: I componenti chimici de_qli acidi nucleici. Notare che la numerazio­

D
ne dello zucchero contiene 1m apice, per non confonderla con la nu.merazione
1;�: delle basi.
I:,.

o
:t•Y.·
�n
I

�1.;
Gli acidi nucleici sono polimeri di nucleotidi (polinucleotidi) che, a loro volta, sono
costituiti da un nucleoside (l'unione dello zucchero con la base) e da uno o più gruppi
lii' fosfato (Fig. 3.4).

D
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314
i�:;I
@ Artquiz BIOLOGIA

Base

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NH2

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·'111111r
OH H · Zucchero

G) Nùcleoside

....___
Nucleoside 'monofosfalo ®
} Nucleotidi
Nucleoside difosfato Figura 3.4: La struttura chimica
Nucloside ·1rifosfato di im deossinucleotide trifosfato.

Il nome del nucleoside viene ricavato dal nome della base cootituente: citidina
� è il nome del nucleoside formato dalla citosina e rappresentato nella Figma 3.4).
Adenosina, guanosina 1 timidina e uridina sono i nomi dei uucleosidi contenenti,
rispettivamm;1te 1 la adenina, guanina, timina e nracile. Il nome del nucleotide viene
ricavato dal nome del nnclcoside1 aggiu11gm1do il termine afosfato11 • Il nucleotide della
Figura 3.4) 1 poiché la. base è la citosina, si chiama citidina monofosfato.
Lo zucchero è il ribosio nell 1RNA e il desossiribosio nel DNA (Fig. 3.3). La ba..<.;e
è un derivato della purina (una molecola aromatica eterociclica, perché contiene negli
anelli oltre agli atomi di carbonio anche atomi di azoto, costituita da un anello a sei
atomi condensato a un a.nello a cinque atomi) o della pirimidina (molecola aromatica
eterociclica con sci atomi nell'anello). La differenia tra ribosio e desossiribosio sta nel
fatto che quest'ultimo manca del gruppo ossidrile in posizione 2 11 per cui i derivati
saranno i nucleosidi o i clesossiuucleosidi.
Le basi sono legate agli zuccheri mediante un legame N-glìcosidico in posizione
l 1 (questo legame è simile a quello che si forma nei disaccaridi e nei polisaccaridi, solo
che è fatto con un atomo di azoto della base e non con uno di ossigeno) (Fig. 3.4). Da
notare che l'apice aggiunto alla numerazione degli atomi dello zucchero serve per non
confondere questa numerazione con quella degli atomi delle basi. Quando i gruppi
fosfato nel nucleotide sono più di uno (difosfato e trifosfato) essi sono legati tra loro
mediante un legame anidrico. Inoltre, poiché gli ossidrili del gruppo fosfato a pH
fisiologici sono ionizzati, si forma in questi casi una concentrazione di cariche negative
in uno spa:,1;io limitato. Questa è la ragione per la quale i nucleotidi trifosfati sono
molecole molto ricche di energia. La rottura di un legame anidrico nei trifosfati per
formare difosfati o monofosfati riduce la densità di carica negativa nella molecola e
libera quindi energia (circa 7 kcal/mole). L'ATP (o adenosina trifosfato) è la molecola
che svolge nella cellula la funzione di accumulo di energia. Essa viene sintetizzata a
partire da ADP nel processo di fosforilazione ossidativa (Biologia,.§ 4.3) e degradata
ad ADP in tutti i processi metabolici endoergonici. Nell'uomo vengono sintetizzati e
degradati giornalmente fino a 500 kg di ATP.
Fu solo nel 1950 che E. Chargaff dimostrò che, nel DNA 1 le quantità di Adenina
(A) e cli timina (T) sono uguali, come lo sono le quantità di guanina (G) e di citosina
(C) (regola di Chargaff),
Il DNA si trova nel nucleo delle cellule eucaTiote e negli organelli mitocondrio e
cloroplasto ( quest'ultimo solo nei vegetali).

315
Capitolo 3 Gli acidi m1cleid. Il genoma: replicazione ed espressione © Artqutz
o
L'RNA è costituito da varie specie e si trova dappertutto nelle cellule eucariote.
Le specie pH1 comuni di RNA sono:
1. l'RNA messaggero (mRNA) che ha il compito di portare l'informazione, conte­
o
nuta. nei geni, dal nucleo al citoplasma, dove è usato per la sintesi proteica, e che, ne­
gli eucarioti prima della sua maturazione, viene chiamato hnRNA (heteronudear
Ii,� RNA);
::..

;t· i,
2. l'RNA ribosomale (rRNA) che, insieme ad alcnne proteine, costituisce i riboso­
l��1 : .
mi, le particelle dove avviene la sintesi proteica;
:1 .I 3. l'RNA transfer (tRNA), la molecola. che trasporta i singoli aminoacidi nel ribo­
• 1
·_..I l soma per la sintesi proteica;
·q r
4. vari altri tipi di RNA, presenti negli eucarioti, come gli snRNA (small nuclear
ni RNA, che si trovd.no nello spliccosoma), gli snoRNA (small nucleolar RNA, che
r�i
o
p ' si trovano nel nucleolo e hanno varie funzioni), i mìcroRNA (chiamati anche
�t
siRNA, srnall interfering RNA) che si trovano nel nucleo e nel citoplasma e che
·, hanno la funzione di regolare l'espressione genica, degradando in maniera mirata

lt; o
,,
;;�
alcnni mRNA o impedendone la tradu?.ione e tanti altri RNA non codificanti, di
cui l->1 stanno scoprendo le straordinarie proprietà nella vita di una cellula ..

.',,,
'
3.3 La conformazione degli acidi nucleici

Nel 1953 Ro.<mlind Fì·anklin (ne.1 laboratorio di Manrice Wilkins) pubblicò lo spettro
di diffrazione dei raggi X di una fibra (non di m1 cristallo: in una fibra l'ordine è
o
,. solo nella direzione della fibra, nel cristallo l'ordine è in tntte e tre le direzioni dello

o
�: .� spazio) di DNA, dalla quale si poteva dedurre che la molecola aveva una struttura
regolare ripetitiva. Questo spettro di diffrazione, i dati chimici di Chargaff e quelli
biologici permisero nel 1953 a J. \iVatson e F. Crick cli proporre, in un famoso ar­

o
' ticolo p�1bblicato su Nature, la strnttura a doppìa elica del DNA, che spiegava il
! r.
.

comportamento biologico della molecola, ma la cui conferma sperimentale venne solo


nel 1980, da spettri di diffrazione ai raggi X su cristalli di oligonucleotidi, effettuati
nel laboratorio di R. E. Dickerson.
j'' La doppia elica di Watson e Crick (chiamata. anche conformazione B del DNA, per
; ,! distinguerla da altre possibili forme, che lo stesso DNA può assumere in condizioni

o
�� non fisiologiche e per particoÌari sequenze di basi, e dalla conformazione a doppia elica
•,'
,1,
dell'RNA, che è contrassegnata dalla lettera A) è costituita da due filamenti (chia­
;;
1
mati spesso nei quiz emieliche) polinncleotidici antiparalleli (che corrono in direzione
(:
iii! • opposta dal terminale 5' al terminale 3') avvolti à spirale destra intorno a un asse
comune e legati tra loro mediante l'accoppiamento per legame idrogend tra le basi
...
•.
complementari appartenenti ai due filamenti (Fig. 3.5). Si chiamano,:basi comple­
mentari perché la guanina (G, una purina) si accoppia sempre con una cìtosina
r.
(C, una pirimidina), e l'adenina (A, una purina) si accoppia sempre con la timina
(T, una pirimidina). Questi .accoppiamenti spiegano la regola di Chargaff che può
't
anche essere espressa. con la formula (A + G)/(T + C) = 1, cioè il numero di puri11e
� in una doppia elica è sempre uguale al numero di phimidine.
Il diametro della doppia elica B del DNA è di 20 A (Fig. 3.5).
fi Ci sono tre legami idrogeno nella coppia guanina-citosina e due legami idrogeno
nella coppia adenina-timina (i legami �ratteggiati nella Figura 3.5). La sequenza delle
I,

basi in ciascuno dei due filamenti rapp1·esenta la struttura primaria del DNA (come
:1,,
.I.•
i·, 316
@ Artquiz BIOLOGIA

2,0nm
3'
3
OH '

Un giro
complalo
3,4 nm
10,5 bp
3'

Scanalalura
secondaria
•I ·

5'


Ossalura
di zucchero·

e
foefalo

5'

Figura 3.5: La disposizione d,�i due filam<mti di DNA, die corrono in senso
ovposto, nello spazio forma una dovpia elica antiparallela destrorsa. A d<:8tra
il modo con cui le basi si acco ppiano con la formazione di le_qami idto_qeno
complementari tra le basi, rappresentati dai tratteggi.

la sequenza degli aminoacidi nelle proteine; Chimica, § 13.3.1) mentre la conforma­


zione (A, B, Z ... ) è la struttura secondaria che la doppia elica assume.
Il gruppo fosfato deriva <la!Pacido fosforico, H3 PO 4, un acido triprotico con tre
ossidrili acidi. Due di questi gruppi sono usati per formare un legame fosfoestereo
con i > ossidrile alcolico in 3 1 e con quello in 5 1 del deossiribosio. Per questa ragione si
dice che i deossinucleotidi nel DNA sono legati da legami fosfodiesterei. Il terzo
ossidrile de!Pacido fosforico perde, in condi'l,ioni fisiologiche di pH vicino a 7, il pro­
tone e quindi il gruppo fosfato risultante possiede una carica negativa. A ca.usa della
carica negativa di ogni gruppo fosfato i due filamenti di DNA hanno una rilevante
carica negativa. TI:a i due filamenti c 1è quindi una forte repulsione che tenderebbe
a separarli se non ci fossero nella soluiione acquosa, nella quale il DNA si trova in
vivo, ioni positivi, come ioni sodio, calcio e magnesio (oltre a delle proteine cariche
positivamente, vedi in seguito), che scherma.no questa repulsione.
La struttura a doppia elica ordinata è stabile perché:
1. Le coppie cli basi sono planari cs�cndo tutti i loro .atomi (con i > esclusione di quel­
li dcli > idrogeno) ibridizzati sp2 ( come gli atorrii di carbonio nel benzene e negli
idrocarburi aromatici).
2. Gli elettroni dei rimanenti orbitali p formano legami 1r delocalizza.ti, quindi liberi di
muoversi su tutta la superficie degli anelli purinici e pirimidinici (come nel benzene
e negli idrocarburi aromatici).

317
o
Capitolo 3 Gli aèidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione © Artquiz

3. La mobilità di questi elettroni genera dipoli elettrici H uttuanti sul piano degli anelli.
o
4. L'interazione tra i dipoli elettrici fluttuanti di una coppia di basi con quelli delle O
coppie poste al di sopra e al di sotto di essa genera una forza di attrazione molto
forte (in inglese forza di stacking).
5. Poiché i dipoli che si vengono a generare nelle coppie G-C sono più forti di quelli
che si vengono a generare nelle coppie A-T, i DNA con un contenuto maggiore di
G-C (minore di A-T) sono più stabili di quelli con un contenuto minore di G-C
(maggiore di A-T). La natura ha sfruttato questo fatto arricchendo di coppie A-T
le zone di DNA che debbono aprirsi per prime (come nella replicazione del DNA
;1 per formare la prima bolla di replicazione).
j.
: Contrariamente a quanto riportato in quasi tutti i libri di testo, i due filamenti
i

quindi non sono tenuti insieme dai legami idrogeno che si vengono a formare
I

nelle coppie di basi, per cui si dice erroneamente che un DNA pii1 ricco di G-C è più
'
·j

stabile di un DNA ricco in A-T perché nella prima coppia ci sono tre legami idrogeno
:,:Il
..
e nella seconda due. �nesti legami idrogeno sono invece importanti per accoppiare
nella maniera giusta i due filamenti e permettere loro di assumere la struttura ordi­
,11 nata, quella che permette l'esplicarsi delle forze di stackin_q.
Nella conformazione B del DNA il polimero ha un diametro di 20 A (un Angstrom
è pari n 10· 8 cm o 10-10 m) e la struttura a doppia elica presenta due scanalature
(solchi), una più grande dell'altra. I solchi permettono ad alcune proteine di avvici­
nar:,i alle coppie di basi e di poterne individuare la sequenza per dare inizio a processi
�;:.[' biologici importanti come la replica:tione, la trascrizione, il taglio ecc. La letturn. del­
la sequenza da parte delle proteine avviene mediante gruppi donatori e accettori di
;i legame idrogeno, pre:,-cnti nelle catene laterali delle proteine, che si incastra.no come
,r
un lego con i gruppi accettori e donatori delle coppie di basi che protrudono nei due
solchi del DNA (sono presenti gruppi donatori e accettori di legame idrogeno nelle
basi in aggiunta a quelli che servono per l'accoppiamento delle stesse). Poiché questa
\· i

Hi interazione è un incastro ogni proteina è capace di interagire solo con una determinata
sequenza di DNA.
I•

I I

Il DNA in vivo è principalmente sotto forma di doppia elica (solo alcuni virus e
,;•

t·.,·
I; · batteriofagi hanno un genoma formato da un singolo filamento di DNA), mentre per
l'RNA è in genere il contrario: è presente in vivo generalmente come singolo filamen­
..,
. 1,

to, anche se nei genomi di al�uni virus è sotto forma di doppia elica. Le basi presenti
nell'RNA sono A, G, C e uracile (U, una pirimidina) al posto della timina, dalla
)
guale si differenzia solo per la mancanza di un gruppo metile. L'uracile è complemen­
·'I
,,•:
tare all'adenina e capace di formare con essa due legami idrogeno, esattamente come
!
la timina.
: ,i Le basi possono accoppiarsi mediante legame idrogeno in modi divèrsi da quelli
1

descritti da Watson e Crick (basi complementari) e riportati nella Figura 3.5. Ogni
!1,

base può accoppiarsi con un'altra qualsiasi (compresa sé stessa). La natura ha sele­
,.
ì,

.. zionato questi due accoppiamenti (A-T e C-G) perché presentano una struttura simile

,l

(vicariante): avendo geometria praticamente uguale una qualsiasi delle quattro cop­
pie (A-T, T-A, G-C e C-G) può sostituirne un'altra nella doppia elica regolare senza
.I modificare la struttura B di Crick e Watson (vedi Fig. 3,5, nella quale è evidente che i
quattro accoppiamenti occupano tutti lo stesso spazio), esattamente come si possono
j

scambiare due cassetti qualsiasi in una credenza ben fatta, o i pioli in una scala o i
ii
gradini in una scala a chiocciola. Gli altri accoppiamenti non consentirebbero questo
.,
\t. 318
,.
© Artquìz BIOLOGIA

interscambio e la struttura del DNA risulterebbe altamente irregolare e dipendente


dalla sequenza delle basi. Grazie agli accoppiamenti Watson-Crick il DNA naturale è
invece sempre un cilindro regolare molto lungo e flessibile (come uno spaghetto cotto),
indipendentemente dalla sequenza delle basi. Esso diventa una bacchetta rigida ( spa­
�hetto crudo) solo se la sua lunghezza è inferiore ad alcune decine di coppie di basi.
La struttura a doppia elica del DNA ha una certa stabilità, che dipende dalle
condizioni ambientali nel quale il DNA si trova. Se si riscalda una soluzione acquosa
di DNA, oppure si cambia il suo pH (al di sotto di 4 e al di sopra di 10), oppure si
aggiunge all'acqua una sostanza che cambia la natura del solvente (per esempio urea
o dimetilformammide), esso subisce il processo della denaturazione, cioè la separa­
zione dei due filamenti complementari. Il processo di denaturazione è cooper?,tivo,
cioè avviene in un intervallo ristretto di temperatura, di pH o di concentrazione di
dimetilformammide, invece che avvenire con progressività. La stabilità di un DNA
dipende inoltre, come già detto, dalla composizione in basi (più elevato è il contenuto
delle coppie di G-C più è stabile il DNA), dalla concentrazione di ioni positivi che
schermano le cariche negative dei fosfati e dalla sua stessa concentrnzione.
Due filamenti di DNA, se hanno la sequenza complementare, p0$ono riappaiarsi
per dare luogo a una doppia elica regolare. Questo processo si chiama ibridazione se
i due filamenti sono di origine diversa (per esempio un filamento è di origine naturale
e un filamento sintetico, oppure due filamenti naturali che provengono però da due
organismi diversi), o rinaturazione se i due filamenti provengono dallo stesso DNA
originario (è il processo inverso della denaturazione) (Fig. 3.6).
·�


Nelivo (doppie allea) Calore, OH·, formemmlde

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<-4!:.IP' ���
Denalurelo
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'\:""°"""ij
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Rinaturazionel

-
lbridazJone

.Figura 3.6: La denaturazione e la rinaturazione del DNA (a sinistra) e


l'ibridazione (a destra).

Poiché l'uracile forma con l'adenina gli stessi legami idrogeno che forma la ti.mina,
l'ibridazione può avvenire anche tra un filamento di RNA e uno di [?NA, purché
complementari. Inoltre, poiché le interazioni di stacking sono molto forti, il processo di
appaiamento può avvenire anche tra basi appartenenti allo stesso filamento mediante

filamenti diversi): è quello che avviene normalmente in un RNA, che è fatto da un


ripiegamento dello stesso (intracatena, per distinguerlo da quello intercatena, tra due

singolo filamento, se esso contiene sequenze di basi complementari. La struttura


tridimensionale che ne viene fuori non è una struttura regolare come una doppia

319
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replica7.ione ed espressione @ Artqutz

elica, ma ciononostante è Ql!asi sempre molto importante dal punto di vista biologico
(Fig. 3.7). (Vedi il tRNA in Biologia,§ 3.8).
O

O.
Figura 3. 7: La struttura secondaria di un ipotetico RNA che ripiegan­
dosi su sé stesso f01ma dei tratti di doppia elica con leg ami idmgcno
3' intracatena (cioè fatti dallo stesso filamento).

Poiché il DNA e l'RNA sono polielettroliti carichi negativamente, per la presenza


di una carica negativa sn ogni gruppo fosfato, essi st muovono verso il polo positivo
di un campo elettrico. Questa è la base della separazione degli acidi nucleici per
elettroforesi. Questa separazione avviene all'interno di gel appositamente costrniti
o
in laboratorio. I gel sono reticolati di molecole molto lunghe (poliacrila.mmide, uu
o
; !, polimero idrofilo sintetico, o agarosio, un polisaccaride naturale), che formanò pori cli
dimensioni mediamente prestabilite. La grande��a dei pori influenza la velocità con
' I

'

cui le molecole di acidi nucleici si muovono all'interno del gel: le molecole pii, grandi

Tt hanno piit difficoltà a passare attraverno i pori (Fig. 3.8) e quindi sono piit lente.
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Figura 3.8: L'elettroforesi del DNA. Nella parte superiore un tipo di apparec­
H
t chiatura con cui si effettua {elettroforesi orizzontale). Nella parte: inferiore il
�{ .
1"
gel dopo l'elettroforesi { effettuata con un apparecchio v�rticale) con, le bande
separate e colorate. .?

Con l'elettroforesi su gel è possibile separare sia gli acidi nucleici a doppia elica che
o
.:.
I
!' quelli a singolo filamento. La separazione è fatta in genere sulla base della differen�a.
in numero di coppie di basi (o di basi nel caso di filamenti singoli), ma nella separa­
i'

zione è importante anche la fOl'ma complessiva delle molecole, nel senso che molecole
'
r�• più compatte corrono attraverso le maglie del gel più velocemente di quelle a forma
più aperta, pur avendo lo stesso numero di coppie di basi (cioè, nella separazione elet­
,.,
I

1:'1 troforetica, la forma è altrettanto importante della grandezza delle molecole, come
avviene pe1· la forma delle auto nelle corse di Form ula 1).
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320
:
© Artquiz BIOLOGIA

3.4 Il genoma e la sua organizzazione

Il DNA di una cellula qualsiasi (procariote o eucariote) costituisce la base materia­

t
le dell'eredità, contiene cioè l'informazione geneti ca (il genotipo) caratteristica
..,, della specie a cui la cellula appartiene e ne determina le caratteristiche strutturali e
funzionali (il fenotipo). La diversità tra il DNA di un organismo e quello di un altro
si trova nella sequenza delle basi, che è tanto maggiore quanto maggiore è la distanza
evolutiva tra i due organismi. Il DNA è fondamentale per tutti gli esseri viventi e
costituisce il genoma di quell'organismo. Questa afferma�ione deve essere spiegata.
Se anche i virus sono considerati esseri viventi, allora l'affermazione NON è vera, in
quanto ci sono virus che possiedono come materiale genetico l'RNA e non il DNA (si
chiamano retrovirus). 1\1ttavia oggi si tende a non considerare i virus esseri viventi
per la loro incapacità' ad autoriprodursi (lo possono fare solo infettando altre cellule)
e quindi l'affermazione può r,ssere considerata corretta.
Il genoma è quindi l'insieme dei geni che lo costituiscono e ogni gene codifica per
un prodotto funzionale che è una catena polipeptidica (proteina o-subunità proteica)
o un RNA funzionale (rRNA, titNA ... ). 11 numero di geni misurato nell'organismo
umano è compreso tra 22.000 e 23.000, mentre il numero di coppie di basi che costi­
tuisce il genoma aploide è 3,2 · 10 ° .
Poiché le cellule sono suddivise iu procariotiche ed eucariotiche, in queste ultime il
DNA si trova nel nucleo, sottofonna di cromosomi, complessi molecolari costituiti
da DNA e da proteine. Il DNA nelle cellule eucariote si trova anche in organelli come
il mitocondrio e come il cloroplasto (quest'ultimo presente nelle cellule vegetali). Il
numero dei cromosomi contenuto in una cellula dipende dalla specie. Gli eucarioti
pluricellulari sono tutti diploidi, cioè possiedono due copie del DNA genomico. I
batteri sono normalmente aploidi, cioè possiedono una copia del genoma. Anche
gli eucarioti monocellulari possono essere aploidi come lo sono le cellule germinali o
gameti (Diologia, § 5.3). Negli umani ci sono 23 coppie di cromosomi, di cui 22 si
chiamano autosomì. La coppia numero 23 è la coppia dei cromosomi sessuali, XX per
le femmine e XY per i maschi. I cromosomi autosomici sono, a due a due, omologhi,
hanno cioè la sequenza delle basi del DNA molto simile, anche se non uguale (Fig.
3.9). La metà. del corredo cromosomico umano (ma anche di tutti gli altri animali)
deriva da uno dei due genitori e l'altra metà dall'altro genitore. Il contenuto di DNA
e la sequenza dello stesso è uguale in tutte le cellule di un determinato organismo,
con l'esclusione dei gameti.

2 3 4 5

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I �( !l
u
6 7 6 9 10 11 12

i{ (( ,1 ...d, )(
(( Figura 3.9: Il cariotipo di un maschio
umano. I cromosomi sono raccolt·i in me-
13 14 15 16 17 16
tafase, dopo la replicazione del DNA e pri-
Jl Jl. u h ·i
: u ma della mitosi. Sono ordinati per gran-
dezza; anche se il cromosoma 21 è più pie-

,.
20 21 22 XIY
''
19 colo del cromosoma 22. Il cromosoma Y,
it r� )• è il più piccolo di tutti.

321
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: r<"plicnziouP ed espressione © Artqui7,
o
I cromosomi sono organizwti sotto forma di cromati na. un complesso a or­
ganizzazione ripetitiva ( discreta) dì DNA e proteine (con circa 50% dell'uno e delle

D
altre). Il suo nome deri\·a dal fatto che è� colorabile. Il nucleosoma è alla base di questa
·,,· . organizzazione ed è costituito da un tratto di 146 coppie di basi di DNA avvolto a
1
I ;
spirale sinistrogira intorno a un complesso formato da 8 proteine (chiamati istonì) a
•:.

o
due a due uguali. Gli istoni del nucleosomn sono quindi di quattro tipi, H2A, H2B,
rI H3 e H4. Ciascun nucleosoma è collegato a un altro mediante un tratto di DNA
(chiamato DNA linker) lungo circa 50 coppie dì basi.
I:.1
l '

Nel. cromosoma i nucleosotnì possono presentarsi in forma discreta, a grani di rosa­


!', rio, e allora la cromatina viene chiamata eucromatina, oppure in forma condensata
perché tenuti insieme da nn quinto tipo di istone (Hl), e allora la cromatina viene

I: o
chiamata anche eterocromatina. La differenza funzionale tra le due forme sta nel
fatto che la prima è più facilmente tra8crivibìle mentre la seconda no. L'eterocroma­
tina può essere inoltre costitutiva cioè sempre presente sotto forma condensata, o

o
facoltativa, cioè pnò presentarsi in forma condensata o rilassata. È in genere pos­
I'
l ! !! sibile trasformare una forma nell'altra mecHante complesse ·reazioni biochimiche che
,,
.
;,,1' riguardano sia gli istoni che il DNA e quindi rcgolu.re il processo cli trascrizione. Così
I
come è possibile modificare la forma e la posizione del nucleosoma mediante l'a:1,ione
cli complessi proteici che consmnn�m energia. e che si chiamano complessi di rimo­

o
dellamento.
I tratti di DNA che �ono sempre sotto forma cterocromatinica, e quindi non sono
trascrivibili, sono alla bnse della cosiddetta epigenetica ( 0sopra alla genetica"). Con

o
li�
questo termine si vuole- c8primcrc il concetto che non solo è ereditabile la sequenza di
, DNA corrispondente ma anche l'orga.niz7,a¼ione spa7,ialc, cioè la sua i:itn1ttura compat­
ta. Un esempio sta in tutte le cellule femminili nmaue, dove uno dei due cromosomi
X (qnello cli origine paterna o quello di origine materna, scelto a caso) è sotto forma
compatta irreversibile e va sotto il nome di corpo di Barr. Questo cromosoma X
non è mai espresso nella cellula. Lo. scelta del cromosoma X che viene compattato
•.·!.
nelle singole cellule è fatta allo stato embrionale iniziale, quando le cellule sono po­
che e non sono ancora differenziate (sono tutte uguali). Questa scelta è mantenuta
durante la crescita dell'embrione e dell'intero organismo, e quindi il corpo femminile
è un mosaico, è fatto cioè da raggruppamenti cli cellule che hanno silenziato uno
dei due cromosomi X (tutte quelle che originano da una stessa cellula embrionale),
vicini a raggruppamenti che hanno silen'l,tato l'altro ( che derivn.no cioè da una cellula
embrionale che ha silenziatò quest'ultimo). Una gatta con il pelo a macchie nere e
arancione è la chiara espressione cli quei-;to mosaicismo ( 11 gatta calico") perché il colore
del pc�lo è definito cla un gene che si trova nel cromosoma X. La mutazione di uno dei
due geni porta all'espressione del mosaicil:imo. Il silenziamcnto di un X nelle femmine
è necessario per permettere una uguale e.c;pre.%fone det geni in esso contehuti rispetto
al maschio, che ha un solo X (compensazione del dosaggio). ,:i
Il filamento di DNA nei cromosomi è organizza(;o a<l anse fissate a: uno scaffold
(una specie di nucleo centrale proteico) che si trova al centro del cromosoma (Fig.
3.10a). Le anse, a loro volta, sono organizzate sotto forma di eterocromatina o di
eucromatina (Fig. 3.10b ).

..

322
@ Artq1ti¼ BIOLOGIA

ansa

I
fibra cromalinica
,: di ONA_ , .....
'· \ . ,.,,-r- i!]Iff�

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i�i.� ...llZI -... -
·�:;:.;.j�Q.... :::-:...... ... . ""'-•
. ...... ..

b)

Figura 3.10: a. Il filamento di DNA in un cromosoma è organizzato ad anse.,


la cui base. è fi,r;sata a un micleo centrale. p roteico, chiamato scaffold. Nella
figura le. anse. del <;romosoma sono state ripulite. de.gli i,r;toni p_e.1·
• cui l'an.r;a è
costituita dal solo DNA.
b. L'ansa del cromosoma, p1LÒ essere costituita. <la 1ma organizzazione pi·ù r.om,
patta, eterocromatinica (a sinistra nella figura in basso) 07Jpurn da nna struttura
più aperta, con i 1mcleosomi isolati l'uno <lall'altro (a <le..r;tra nella figura in bas­
,r;o). Q·uest'ultima fibra è tra.r;crivibilc mentre quella compatta no. Il dischetto
cilindrico rappre.r;e.nta l 'ottame.ro istonico che sta nel cuore del nucfoosoma.

3.5 Replìcazione del DNA


Il dogma centrale della biologia molecolare è rappresentato dalla Figura. 3.11.

Trascrizione TreduziOne .
Replicazione DNA----+ RNA ----+Prole1na
del DNA o . .
Re1ro1rascr,z1one
Figura 3 .11: Il doqma ce.ntra-
le. della biolo,qia mole.colare.

Esso ci dice che l'informazione passa dal DNA all'RNA (trascrizione) e da questo
alle proteine (traduzione). Dopo la scoperta che i retrov irus, che hanno il genoma
costituito da RNA e che, per riprodursi, hanno bisogno di trasforma.re l'RNA in DNA
mediante un enzima che si chiama trascrittasì inversa, il dogma è stato parzial­
mente corretto. Nella figura la freccia. circolare che circonda il DNA vuol dire che il
DNA può es8cre replicato (o duplicato).
La struttura a doppia dica del DNA spiega bene come nua cellula, di qualsia­
si tipo, sia capace di trasmettere alla sua discendenza l'informazione genetica che è
contenuta nella sequenza delle basi. Il processo si chiama repl icazione del DNA,
avviene nella fase S del ciclo cellulare, è sem iconservativo nel senso che il DNA ri­
sultante è fatto da un filamento del DNA originario e da un filamento neo sintetiz1,ato
ed è effettuato da enzimi che si chiamano DNA po limerasi. Da nna doppia. elica del
DNA si ottengono (salvo errori fatti durante il processo) così due doppie eliche per­
fettamente uguali tra loro e uguali al DNA originario: a ogni proc�sso di replicazione
corrisponde il raddoppio del DNA. Le due copie sono poi separate durante la mitosi
nelle due cellule figlie. Questo· meccanismo cli replicazione fu dimostrato da Meselson
e Stahl nel 1958 (nei quiz è .r;pe.sso scritto 1957) ed è rappresentato nella Figma 3.12).

323
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione © Artquiz
dùezione di sinlesi del filamenlo conlìnuo
movìmenlo della DNA polimeiasi
filamento guida �

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delle replicazione
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e RNA
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3• ,. ,.. ·\11/' I r'-'\� /\IÌ> . ,,:.:." i,�1i, ...
filamento discontinuo +---
direzione della slnlesl del flamenlo dlsconllnuo
movlmenlo delle DNA polimerasi
DNA repllcelo DNA n-on replic�lo

Figura 3.12: Il meccanismo di -replicazione del DNA. I dne oggetti grigi sono le
due DNA polimerasi, gli enzimi che catalizzano la crescitci della catena usando
come stampo i filamenti più chiari (parentali). Poiché le DNA polimerasi non
I sono in grado di avviare il processo, esse necessitano di un innesco (rappresen­
l
li
tato dal tratto nero e sintetizzato da appositi enzimi chiamati primasi). Es{,e
inoltre polimerizzano sempre nella direzione 5'--t3', per cui la DNA polimerasi
nella parte superiore della figura, ·una volta innescata, è capace di procedere
nella direzione con cui si muove la farcella e quindi alla sintesi fino alla fi­
ne del filamento stamvo (filamento contin-uo). La DNA volimerasi raffigurata
�lii.; nella parte inferiore è costretta invece a muoversi nella direzione opposta a
:!.i
,f
quella con cui si apre la forcella e q,tindi può sintetizzare il DNA solo a pezzi,
ognuno dei quali con il proprio innesco, chiamati frammenti di Okazaki che
;t:,
\�!
I�
poi verranno riuniti (filamento discontinuo). È da tener presente che le due
1f, copi e di DNA polimerasi in realtà sono ferme sulla forcella replicativa e dii si
k· muove è il filamento stampo, in maniera molto complessa e coordinata. Nella

o
I .,.
i�·!.
figura manr-ano tutte le altre proteine ed enzimi necessari per la sintesi, che
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' '

�.,·
sono descritte nel testo.
·; 1

.�
,,,
1Yl 1-�
I due ricercatol'i hanno prima fatto crescere un ceppo di Escherichia coli in un
fl.•ili
''
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mezzo contenente come fonte di a.Zòto solo l'isotopo pesante 15 N, in modo che tutto
.�.l.. il DNA contenesse solo questo isotopo. Passarono poi i batteri in nn terreno conte­
:• � nente come fonte di azoto solo il normale· isotopo 14 N. E8aminarono quindi, mediante

-o
ultracentrifngazione, il DNA estratto nelle varie generazioni.
Nella generazione zero (ceppo cresciuto in 15 N) tutto il DNA era uguale e ccpesan­
te". Nella prima generazione (dopo aver cambiato il terreno) tutto il D�A era uguale
ma misto, con un filamento leggero contenente 1'1N e un filamento pesante contenente
15 N. La seconda generazione forniva due tipi di DNA nel rapporto 1:1, uno di tipo

-�·L
-, ,'
leggero (i due filamenti contenevano solo ltlN) e uno misto (nn filamento pesante e

o
·� uno leggero). Nella terza generazione si avevano due tipi di DNA: uno misto e l'altro
,,
.:;.Il
,1
•!;,
leggero nel rapporto 1:3 (cioè 25% misto e 75% leggero) e così via.
} f..
La replicazione del DNA in una. cellula eucariote avviene nella fase S (che 8ta
per sintesi del DNA) del ciclo cellulare ed è un meccanismo molecolare molto com­
,;1.
plicato, basato sull'aggiunta di un deossinucleotide al terminale 3' di una catena in
i crescita con formazione di un legame fosfoestcreo, catalizzato da.ll'en¼ima DNA poli-
ir
!i
324
,j:;11
@ A•tqniz BIOLOGIA

t..
merasi. Tale legame è altmnente eudoergouico e quindi è necessario trovare una fonte
di energia che provvede alla reazione. Tale fonte di energia è contenuta nel nucleotide
�� che viene aggiunto, che si trova sotto forma di desossinucleotide trifosfato (Fig. 3.4).

I
i,. La reazione prevede la rottura del legame (anidrico) tra il primo e il secondo fosfato
che si trova nella catena dei gruppi fosfato con libera:.::ione di 7 kcal per. mole.
.

i
La replicazione del DNA prevede i seguenti passaggi:
:ll.'
ii; 1. Individuazione di 1111 inizio di replicazione sul DNA da replicare. Nei procarioti c >è
fit solo un inizio di replicazione perché il genoma è corto. Negli eucarioti superiori ci

sono molteplici inizi di replicazione, sia perché il genoma è suddiviso in cromosomi
sia perché i cromosomi coutengouo parecchio DNA e un solo inizio allungherebbe
ft
t.".·.

troppo i tempi clcllo. rcplica½ione.


r,
K:
�,!,
2. In corrispondcmm degli inizi (che sono riconosciuti da appositi complessi proteici)
si formano delle bolle (i due filamenti del DNA si separano per un tratto di qualche
decina di coppie di basi, generalmente ricco in AT perché pii'1 facile da aprire) ai cui
terminali si formano due forcelle (dette forcelle di replicazione o.forche replicative).
3. Sulle forcelle si a,;sembla un complesso di proteine cd en:timi capace di procedere
alla replicazione.
4. La replica.;1,ionc procede :mlle due forcelle della bolla e come conseguenza. 8i ha 1111
allargamento della bolla iniziale fìuo a che non incontra la·fiuc del DNA da replicare
o 11n 1altra bolla adiacente.
5. La replica:done, come dimostrato da Meselsou e Stal1l, avviene mediante la sintesi
di DNA complementare al filamento che fa da stampo.
6. La disponibilità dei due filamenti singoli che fauno da stampo è possibile perché
uno degli enzimi che si trova i:mlla forcella è una elicasi, una proteina che è capace
di separare i due filamenti di DNA, commmando ·energia (degradando ATP).
7. Le DNA polimerasi sono en:dmi molto efficienti e fedeli (fanno cioè pochissimi
errori, intendendo per errore Pinserimento di basi sbagliate, non complementari).
8. Per poter essere così fedeli le DNA polimerasi hanno il difetto di non essere capaci
di cominciare la sintesi ex novo di DNA, pur avendo a disposizione il filamento che
fa da stampo.
9. Per questa ragione la replicazione del DNA comincia semprn con la sintesi di un
pezzo di RNA (Piunesco o primer) effettuata da una RNA polimerasi che viene
chiamata primasi e che si trova nella forcella.
10. A questo innesco si attacca la DNA polimernsi che continua la sintesi senza mai
staccarsi dalla forcella (sintesi processiva).

11. Le DNA polimerasi sintetizzano solo nella direzione 5 1 -t 3 >, ma i due filamenti di
DNA sono antiparalleli (uno in direzione 5 1 -t3 1 e Paltro nella direzione 3 1 -t5'). La
conseguenza è che una DNA polimerru:;i che ::ita sulla forcella (cc ne sono due per
ogni forcella) è capace, una volta innescata la sintesi, di procedere nella direzione
5 1 -t31 fino a quando il filamento stampo fluisce. Valtra DNA polimerasi deve
procedere nella direzione opposta perché il filamento che le fa da stampo corre nella
direzione opposta. È quindi costretta a sintetizzare il DNA in maniera discontinua

325
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione @ Artquiz

(a pezzi). Ognuno di que�tt frat��e�ti (l�nghi drc� 200 bas� ne�li eucarioti, circa
1.000 nei procarioti) contiene all nuzt0 un mnesco d1 RNA e s1 chiama frammento
di Okazakt.
12. Al termine del lavoro della DNA polimerasi è necessario degradare gli inneschi di
RNA e sostituirli con DNA. Il meccanismo è complesso e diverso tra procarioti e
eucarioti. I vari pezzi di DNA sintetizzati sono legati tra loro dall'enzima ligasi.
13. Questo meccanismo porta come conseguenza il fatto che ad ambedue i terminali di
un DNA lineare (non per un ge11oma circolare, come quello dei batteri) un pez·t.0 di
l
DNA non p1iò e.,;sere ricopiato e quindi l'informazione in esso contenu ta verrebbe
persa.
14. Per evitare questa conseguenza la natura ha evoluto un enzima, chiamato telo­
merasi. Esso aggiunge sequell?',e ripetute (telomeri) ai due tetminali 3' di un
cromosoma lineare. Questo meccanismo non -risolve il problema della perdita di
DNA a ogni ciclo di replicazione, ma la perdita riguarda queste sequenze ripetute,
non contenenti informazioni genetiche.
15. Le telomerasi non sono attive in tutte le cellule. Sono attive nelle prime fasi della
vita embrionale e in quei tipi di cellule che sono in continuo ricambio, come le
cellule dell'epitelio, o in continua crescita, come le cellule tumorali. Per le cellule
non in continua replicazione (post-mitotiche) la telomerasi è inattiva e quindi le
poche replica7,ioni cellulari portano alla progressiva perdita di DNA e quindi al
processo della senescenza cellulare (camm, pare, della senescenza vera e propria
11L�·:. dell'organismo e anche dell'impos�ibilità di far crescere in laboratorio una coltura
ji'. di cellule animali oltrn un certo numero di cicli). Quando nna cellula normale
1\ degenera (dà lnogo allo sviluppo di un tumore) si riaccende il gene della telomt!rasi,
Il�
L
j ;' che permette la crescita del tumore sern:a perdere DNA. Questo avviene anche in
Il� •
laboratorio: le cellule tumorali possono crescere all'infinito (sono immortalizzate)
Il_;;',, gro.¼ie all'�ione della telomerasi.
• • I
·
16. Durante il processo di sintesi del DNA la bolla replicativa si allarga in ambedue le
!'·,·
jÌ,!

clire1.ioni a nna velocità piuttosto elevata: nei procarioti il filamento si allunga di


circa 1.000 basi al secondo (negli eucarioti la velocità di sintesi è circa un decimo
'L
1;
,J
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di qnella dei procarioti). Corrie conseguem.a. è necessario che il DNA da replicare
f1
è
t·,; separi i due filamenti còn la stessa velocità. La separazione comporterebbe la
l�i

rotazione lungo l'asse della. doppia elica da aprire e tale rotazione sarebbe così
;l
II rapida da portare per attrito a un forte riscaldamento, oppure al blocco della.
:]!I sintesi. Per evitare questo processo deleterio si sono evoluti degli enzimi, chiamati
�: I topoisomerasi, che sono capa.ci di tagliare i filamenti di DNA da �'eplicare e di
�?,, richiuderli subito dopo aver permesso la rotazione di un filamento risJetto all'altro.
!Jt Questo processo evita la rotazione del DNA da replicare e in pra.tica'evita il blocco
�-; della sintesi del DNA. Senza topoisomerasi non c'è sintesi del DNA: essi sono enzimi

t
ffi: essenziali, nel senso che senza topoisomerasi la cellula muore.
i[
ti{
Il complesso di proteine ed enzimi che si forma nella forca replicativa contiene altri
attori che servono a coordinare il processo e a permettere che, in caso di errore, esso
venga riparato.
\­ Il DNA contenuto nelle cellule di un organismo pluricellulare è uguale in tutte le
j;i'· cellule, indipendentemente dal tessuto a cui le cellule appartengono. Esso è presente
�I
•', 326
11I,
© Artquiz BIOLOGIA

nei nuclei delle cellule eucariote (quindi è assente nelle cellule eucariote sen:;m. nucleo,
come gli eritrociti dei mammiferi) sotto forma di cromosomi, in numero diverso a
seconda della specie, e di ogni cromosoma sono presenti due copie (genoma diploide)
(Fig. 3.9). Fanno eccezione a questa regola le cellule germinali (gameti), che sono
aploidi, cioè possiedono solo una copia di ciascun cromosoma. Le cellule germinali
sono gli oociti femminili e gli spermatozoi maschili.
La fecondazione, che consiste nella fusione di uno spermatozoo con un oocita, por­
ta alla formazione di unn cellula diploide (zigote) capostipite del nuovo organismo, le
cui cellule, quindi, possiederanno il 50% di DNA di origine paterna e il 50% di DNA di
origine materna. Due figli degli stessi genitori, pur possedendo il 50% di DNA paterno
e il 50% di DNA materno, non saranno uguali, perché Passortimento dei cromosomi
materni e paterni nelle cellule germinali è casuale (eterozigoti). Solo i gemelli omo­
iigoti (o mouo-ovulari, derivanti cioè dalla fecondazione dello stesso oocita da parte
di uuo spermatoioo) sono quindi perfettamente uguali (anche nel sesso).
Il DNA è presente anche in alcuni organelli di cellule eucariotiche, come i mi­
tocondri (responsabili della respirazione cellulare o fosforilazimte ossidativa) delle
cellule animali e vegetali e i cloroplasti delle cellule vegetali (responsabili della foto­
sink-si clorofilliana). I genomi dei cloroplasti e dei mitocondri codificauo per alcune
(non tutte) proteine che in questi organelli lavorano.

a·.6 'Iì:ascrizione e maturazione dell'mRNA


Come già detto il genoma di una specie è Pinsieme dei geni di quella specie. I geni
sono tratti di DNA che contengono Pinformazione (codificano) per ottenere un pro­
dotto fm1-;.;ionale (proteine o RNA fim'l,iouali, come PRNA ribosomiale). NelPnomo e
·negli organismi eucarioti multicellulari una. gran parte del genoma non contiene geni
ma sequenie ripetute migliaia di volte sia corte che lunghe. Nei primati, quindi anche
nelPuomo, il contenuto di DNA sotto forma di geni non supera Pl,5% delPintero geno­
ma. Il resto del genoma (da alcuni autori chiamato anche DNA spazzatura) contiene

·1
sequenie inserite nei geni, ma non codificanti, chiamate introni ( vedi infra), sequenze
ripetute lunghe e corte, e trasposoni, sequen'l,e di DNA eapaci sia di replicarsi autono­
mamente, indipendentemente dalla replicaiione del cromosoma a cui appartengono,
che di staccarsi dal sito dove si trovano e riposizionarsi in altri siti, anche in corri­
spondenza di geni e quindi alterandone Pespressioue. In quest > ultimo caso potrebbero
contribuire alPinsorgenza di tumori. La ricercatrice Barbara McClintock (che per
questa ricerca fu premiata con il Nobel) riuscì a scoprirli 8tudiando le ragioui per cui
alcuni chicchi di mais in una spiga sono di colore diverso dal giallo naturale.
Tutte le cellule delPorganismo contengono lo stesso DNA, ma non tutti i geni
contenuti nel DNA sono espressi in ogni singola cellula. Il differenziamento, cioè
il processo che permette alle cellule iuiz;ali di un embrione (che sono tutte uguali)
di specializzarsi, cioè diventare neuroni, cellule muscolari, epatociti ecc. è proprio il
processo che seleiiona i geni da esprimere nei singoli tipi di cellule, anche sotto Pin­
fluenza deIPambiente esterno, oltre che per interaxioni cellula-cellula. Ci sono però
geni che vengono espressi in tutti i tipi cellulari (chiamati in inglese, geni housekeeping
o geni costitutivi), perché govemauo i proces8i metabolici basali (per esempio i geni
della DNA polimerasi), senia i quali una cellula qualsiasi non può vivere, o perché
codificano per alcune proteine strutturali pr<:..'8enti in ogni cellula (per esempio tubu­
lina). L 1espressione di un gene vnol dire che esso è ricopiato, mediante il processo

327
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replkaiionc ed csprci;sioue @ Artquiz

di tràscrizione, in un numero ,•ariabilc di singoli filamenti di RNA. Alcuni tipi di


o
RNA sono i prodotti finali della trascri?:ione e hanno una fnn�ione (sono cioè RNA
funzionali, per esempio i tRNA e gli rRNA). Altri invece sono un prodotto interme­
dio pex costruire le proteine. Questi ultimi si chiàmano mRNA o RNA messaggeri.
Nel processo di trascrizione, che avviene durante l'interfase del ciclo cellulare degli

o
eucarioti, si copia solo uno dei due filamenti di DNA e la rea�ione è catalizzata da un
enzima che si chiama RNA polimerasi. È un processo molto complesso e regolato
gene per gene negli eucarioti, mentre può riguardare più geni contemporaneamente

D
I
nei procarioti (operone). Mentre la replicazione è un processo che coinvolge tutto
,1'.1 �
H DNA e avviene solo una volta pet· ciclo cellulare (per ogni divisione delle cellule),
la trascrizione è ttn processo che riguarda singoli tratti di DNA (i geni) ed è control­

o
lato in maniera stretta, sia nella qualità (quali geni trai;crivere e qnali no), sia nella
quantità (quante copie di RNA fare) poiché da esso dipende la complessa vita della
cellula, compresi i suoi rapporti con l'ambiente (vedi infra).

it
J,'
I geni sono tratti di DNA di lunghez:m variabile (da qualche centinaio di basi ad
alcune centinaia di migliaia di basi). Negli eucarioti i geni sono sempre monocistro­
nici, cioè essi codificano per un solo polipeptide, mentre nei procarioti alcnni geni

o
HÌJ t
• I
sono policistronici, cioè codificano per pii1 proteine. Le proteine codificate da nn
gene policistronico (chiamato anche operone) sono in genere enzimi che intervengono
in un determinato processo metabolico. Due esempi: l'operom� del triptofano, nn
i gene policistronico che codifica per gli enzimi capaci di catali?;r.are la sintesi del trip­
,,, tofano, un aminoacido, e il lac operon, un gene che codifica per gli en�imi capaci di
metabolizzare il lattosio. Il primo è acceso o spe11to a seconda se il batterio vive in un
me7.7,o che contiene triptofano.oppure no. È lo stesso triptofano che funge dn segnale
per spegnere l'operone. Se invece il triptofano è assente l'operone viene trascritto.
L'operone lac (il primo operone ud essere scoperto da .Jacob e Monod) è trascritto
qnando nel mez7.o dove vive il batterio c'è lattosio ma non c'è glucosio. La scoperta
del modo come un gene è regolato da fattori positivi (che inducono la trascrfaione) e

o
da fattori negativi (che la reprimono) ha garantito ai due ricercatori francesi il premio
Nobel. Il processo di trascrizione nel suo meccanismo operativo è molto simile nei
procarioti e negli eucarioti, nel senso che la sintesi dell'mRNA è catalizzata da una

il
molecola di RNA polimerasi. Quello che diversifica i due processi è il modo con cui la
RNA polimerasi è attivata. In ambedue i casi l'attivazione avviene mediante sequenze
di DNA più o meno complesse chiamate promotori.
Nel caso dei procariotr il promotore è costituito da sequenze, in genere molto.
,,,, semplici, situate a monte dei geni e riconosciute più o meno bene dalla stessa RNA

'i polimerasi batterica, che quindi procede alla trascrizione (il riconoscimento in biologia
vuol dire interazione, formazione di complessi stabili tra proteine e DNA in genere
sul solco maggiore, grazie alla formazione di legami idrogeno a incastro).

t

lt� Nel caso degli eucarioti, dove sono prei;enti tre diversi tipi di RNA pòlimerasi, tut­

o
te incapaci (a differenza della RNA polimerasi batterica) di riconosce1:e il promotore,
I!·
�1
quest'ultimo è costituito da sequenze di basi più o meno lunghe e complesse, esterne
i�.
.
i' ·e vicine al gene, ma in molti casi interne al gene o molto distanti da esso (in questo

o
� caso denominate enhancer).
h.,

1,
IT: Il promotore euca_r iotico, per attivare il gene che controlla, deve essere prima rico­
nosciuto da particolari proteine che sono chiamate fattori di trascrizione. I com­

o

plessi tra proteine e promotori richiamano (mediante interazioni proteina-proteina)
�;· e attivano l'RNA polimerasi che è capace di cataliz�are la copiatura di uno dei due

t
Il

�j 328
�·'1
'• '
r © Artquiz BIOLOGIA

i filamenti di DNA sotto forma di RNA. Gli RNA che sono prodotti sia nei procarioti
che negli eucarioti possono essere RNA funzionali (capaci di svolgere direttamente un
ruolo nei processi biologici): tra di essi possono essere ricordati gli RNA ribosiomali
(rRNA), gli RNA transfer (tRNA) e tanti altri tipi di RNA con funzioni speciali.
'Oppure possono essere RNA che sono prodotti intermedi per la sintesi delle proteine.
Questi prodotti si chiamano direttamente RNA messaggeri (mRNA) nel caso dei pro­
carioti, o trascritti primari (o pre-mRNA) nel caso degli eucarioti, trasformabili poi
in RNA messaggeri (vedi infra). Un mRNA è quindi il pezzo di informazione che serve
per fare una determinata proteina (o meglio uua determinata catena polipeptidica,
che a sua volta può essere una proteina completa oppure parte di una proteina, vedi
infra).
Come si è visto, i fattori di trascrizione hanno un ruolo fondamentale nell'attiva­
zione della trascrizione nel caso degli eucarioti (in qualche caso anche uei procarioti).
Essi sono delegati a riconoscere precise-.sequenze di DNA e a formare complessi con
!'RNA polimerasi. Per svolgere compiutamente questi processi essi debbono possedere
la conformazione giusta. Spesso tale conformazione è adottata salo se nella cellula è
presente una molecola segnale che, legandosi alla proteina, le permette di assumere
la forma opportuna per attivare un gene (vedi proteine allosteriche. Biologia, § 4.1).
Esempi di tali molecole segnale sono l'AMP ciclico (che funziona sia nei procarioti
i'
che negli eucarioti) e gli ormoni steroidei, la cui presenza o assenza determina se
un particolare gene eucariotico è attivo o no (il doping degli atleti con ormoni Ressnali
maschili determina una maggiore attivazione dei geni codificanti per le proteine delle
fibre mm,colari). Un meccanismo che utili¼7,c't molecole segnale é presente éUiche nei
batteri per accendere o spegnere la trasclizione degli operoni.
Nei procar ioti, che sono privi di nucleo, la trascrizione dcll'RNA messaggero è
accoppiata al suo ntilizw (traduzione). '!\·ascrizione e traduzione (Biologia, § 3.8)
sono cioè contemporanei. Negli eucarioti, invece, la trascrizione avviene nel nucleo,
dove si trova il DNA. Il prodotto della trascrizione non è ancora un RNA messaggero
e quindi, prima di essere trasportato nel citoplasma, necessita di modifiche o di ma­
turazione. Gli eventi molecoliu-i di questa maturazione sono: la formazione di. un
cappuccio, cioè la sintesi nella testa dell'RNA trascritto di uu cappello molecolare
che protegge !'RNA dalla degradazione e lo rende riconoscibile al macchinario di sin­
tesi proteica (Biologia, § 3.8); l'aggiunta alla coda di una catena polinucleotidica fatta
solo di basi adenine (poliadenilazione) con il compito di regolazione della stabilità.
dello stesso RNA; lo splicing, il meccanismo con il quale si eliminano dal trascritto
primario i tratti non <,'Odificanti, chiamati introni.
A questo punto bisogna chiarire il fatto che, mentre nei procarioti i geni sono
continui, cioè fatti da un'unica sequenza di DNA, nel caso degli eucarioti la stra­
grande maggioranza dei geni è costruita in modo discontinuo: a pezzi che portano
informazioni (cioè codificanti) seguono pezzi (quasi sempre più lunghi dei primi) non
codificanti. I primi sono chiamati esoni mentre i secondi sono chiamati introni. Un
gene comincia sempre e finisce sempre con un esone, mai con un introno. Per rendere
il trascritto primario un mRNA è quindi necessario, negli eucarioti, procedere alla
eliminazione degli introni. Lo splicing è effettuato da grossi complessi (che si chiama­
no spliceosomi) di proteine e piccoli RNA (chiamati small nuclear RNA, snRNA,
che sono RNA funzionali). L'eliminazione degli introni procede sempre mediante il
riconoscimento delle giun7.ioni esoni-introni e di quelle introni-esoni, che sono sempre
uguali. In tal modo il processo di splicing può avvenire in vari modi, ma sempre in

329
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione © Artqui7.

modo controllato, come dimostra la Fignra 3.13 e questo è un gnm vantaggio per le
cellule eucariote , perché da uno stesso gene, con spHcing al ternativi, si possono
ottenere mRNA diversi e quindi proteine diverse. Questo rende conto anche del fatto
che organismi complessi come gli eucarioti superiori (tra cui gli umani) possano avere
un numero di geni ( appena superiore a 22.000) che è comparabile con quello posseduto
da organismi molto meno complessi come piccoli vermi, piante o insetti.

gene per la tropomiosina a


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TRASCRIZIONE E MATURAZIONI ALTERNATIVE,


esoni intron i

l TRAMITE LA SCELTA TRA VARI SPLICING


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E VARI TERMINALI 3' DA POUADENILARE

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� � mRNA del muscolo stirato

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� 3' mRNA dei fibroblasti

5'
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-ìiHMWil:lll 3' mRNA dei fibroblasti
,i.
� � mRNA cerebrale

Figura 3.13: Comr. <la uno stes.,;o ge.ne, co,,;tii;1Lito da esoni (i tratti grigi, spe.<;s1:)
e introni (i tratti sottili a forma di V rovesciata), sia possibile ottenere div<�r.<;i
mRNA e qu,indi diver,'ìr. vroteinc, con il me.cc.anismo <lello splic 1:ng alternativo.
L'esempio illustrato è. qncllo del gene per la tropomio,'ìina alfa, costituito da 14
rosoni e da 13 introni.

3.7 DNA ricombinante. Organismi transgenici. Polymerase


chain reaction (PCR)
Il DNA in vivo o in laboratt>rio ( in vitro) può cs..-sere tagliato da enzimi che prendono
il nome di endonucleasi e di esonucleasi. Tutti tagliano H legame fosfodiestereo
1:1i
i• tra gruppo fosfato e uno dei dnc ossidrili degli zuccheri a cui U fosfato è legato, ma
'ti le esonucleasi lo fanno a partire dai terminali del filamento, mentre le endonucleasi lo
fanno all 'intemo della catena. Le cudonucleasi possono tagliare a caso ·o in maniera
t·'·
Jtl- I
mirata a seconda della i;pedfidtà. 'n·a quelle che tagliano in maniera mii'ata ci sono le
it:1: endonucleasi di restrizione ( e.nzimi di rest.rizionc ), che i;ono purifiéate da batteri
(che le usano come armi cli difesa contro gli v.ttacdti dei batteriofagi di cui tagliano il
DNA) e sono capaci di tagliare il DNA a doppio filamento solo in prei;enza di specifiche
i:;equenze di basi (sequen�e di restrizione). Il taglio normalmente avviene i:;u ,'ìr.quenze
palindromiche (sequcn'l.e ugna.li se lette nella direzione 5'--43' sni due filamenti) con
;, numero pari di coppie di basi e su cui il tuglio avviene in modo netto oppure in modo
1· sfalsato, cioè in punti diversi nei due filamenti, pro<lncendo un terminale a singolo
filamento sui dne pert.zi di DNA ottenuti. Questi terminali, essendo complementari
tra loro, tendono a riassociarsi e ROUo <letti appi ccicosi (Fig. 3.14).
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330
@ Artquiz BIOLOGIA

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Figma 3.14: E.,;empi di tagli specifici del DNA da parte di enzimi di' re.r;trizi one
{il cui nome é posto sopra la freccia). Le sequenze su cui i vari enzimi di re­
strizfone effettuan o il tagl·io sono tutte palindromiche. Nel primo caso il taglio
avviane in maniera netta. Negli alt1·i due avvienr. in maniera sfalsata, produ­
cendo terminali a sing olo filamento che1 per il fatto di essere complementa1"i
tra loro e quindi tendenti a riconnettersi, si chiaman o appiccicosi.

La scoperta di questi en:dmi ha avviato Pera della biotecnologia del DNA 1 perché
ha permesso di tagliare e cucire (mediante enzimi che svolgono il compito biochimico
oppo�to a quello delle eudonucleasi e che si chiamano ligasi) pez:,,,i di DNA 1 anche di
origine diversa 1 dando luogo al cosiddetto DNA ricombinante.
Gli organismi che contengono nel loro genoma pezzi cli DNA che non gli appar­
tengono e che sono stati ricavati da altre specie 1 00110 chiamati anche organismi
transgenici o organismi geneticamente modificati (OGM).
La tecnica del DNA ricombinante è largamente usata per la produzione di farmaci
di natura proteica da parte di organismi semplici 1 come i batteri e i lieviti. Essa con-
8iste ne1Pintrodnrrc 1 mediante gli enzimi di restri:doue e le liga.':li 1 i geni corrispondenti
alle proteine da produrre 1 nel genoma delPorganismo e nel fare crescere Porganismo.
Esso produrrà in grande quantità la proteina codificata 1 che a sua. volta sarà purificata

1iI
dalla massa cellulare. La tecnica è anche usata per produrre vegetali per alimenta­
zione con caratteristiche che ne migliorino la qualità o li. rendano più resistenti o
comunque economicamente più vantaggiosi. È anche usata per ottenere animali con
caratteristiche qiverse: tra di e8si 1 oltre agli animali da allevamento 1 sono da iuserire
anche i topi transgenici 1 animali nei quali sono stati inseriti specifici geni umani e che
sono usati come modelli di patologie umane sia per lo studio della malattia in sé sia
per saggiare i relativi farmaci curanti.
Poiché uu DNA ricombinante è comunque un DNA a tutti gli effetti 1 esso si replica
come un DNA normale 1 per cui se si inserisce un gene umano alfintemo di un DNA
batterico (per e8e�pio in•un plasmide 1 piccolo DNA circolare batterico extracromo­
somico) e si fa moltiplicare il batterio iu coltura1 si possono attenere molte copie del
gene umano. In questo caso si dice che il gene è stato clonato. Uinsieme dei plasmidi
(o dei batteriofagi) contenenti i geni di interesse viene comunemente chiamata libreria

331
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione cd espressione © Artquiz

genomica.. Con essa :-;i possono infettare celhtle batteriche e dalla coltma di queste
cellule isolate il clone contenente il particolare DNA di interesse.
La clonazione non è-altro: quindi, che una amplificazione, utilizzando in questo
caso un processo biologico come la crescita dei batteri. Il processo di clonazione, che
vuol dire amplificazione, può essere anche applicato a interi organismi. La pecora
Dolly si dice clonata, perché non ottenuta mediante fecondazione di nu oocita di pe­
cora; ma con un processo che parte da un oocita di pecora a cui è stato tolto il nucleo
1!

e sostituito dal nucleo di una cellula somatica (cioè del corpo) estratta da un'altra
pecora donatrice. Questo nucleo si comporta come uno zigote, è diploide ma possiede
11ì !f entrambi i tipi di cromosomi che provengono dallo stesso individuo (H donatore del
��

nucleo): i caratteri genetid posseduti sono esattamente qnelU del donatore e il nnovo
lj l
:.
i organi.5mo sarà la copia perfetta del donatore (con qualche difetto di tipo epigenetico,
sembra!).
Una tecnica molto nsata per amplificare sequenze di DNA è la PCR (polymerase
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chain rear.tion, reazione a catena della polimerasi) rappresentata in Figura 3.15.
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Essa si husa sul meccanismo della replicazione di porzioni di DNA ben definite ed
è costituita da tre fasi, come illustrato nella parte (A) della figura.
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(A)
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PER SEPARARE IBRIDARE GLI •dGTP
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DNA a filemento\l F ILAMENTI INNESCHI

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[ •dTTP DAGLI INNESCHI
doppio \
I · -· · · �-'-'=-=-zt
FASE 1 FASE 2 FASE 3
.____________ PRIMO C ICLO ____________,
separazione del filamenti
di DNA e Ibridazione slnlesl

-
separazione del filamenti
degli Inneschi di DNA l'
I! (8) ssperezlone del filamenti
di DNA e Ibridazione
degli Inneschi
sintesi
di DNA tW:· w...,. w
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di DNA e aggiunta sintesi • . ·· 0-4 M . · .,. -..,
degli Inneschi di DNA /
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PRIMO CiCLO 8ECONOO CICLO TI:RZO CICLO
(produce due moi1col1 !produco quett,o molocol1 (produco otto molecole
di ONA • doppia ellc•I di ONAa dopPII IIIOI)

Figura 3.15: Rap presentazione schematica dell'amplificazione di un tratto di


cl1 ONA e dOPflll ollca)

tate le tre fasi di un ciclo, fatte a tre temperature diverse {95 °G, denaturazione;
DNA mediante la tecnica PCR. Nella parte S'lLperiore (A), vengono rappresen­

45 °G, ibridazione degli inneschi; 70 °C, polimerizzazione). Nella parte infe­


riore {B) vengono rappresentati tre di questi cicli, al termine dei quali si hanno
8 copie di DNA ottenute a partire da una sola copia di DNA.

332
@__Artqui7. BIOLOGIA

Nella Fase l la soluzione contenente il DNA da amplificare viene riscèùdato a circa


95 °C. A questa temperatura il DNA si denatura e i due filamenti che lo costituiscono
si separano.
Nella Fase 2 la temperatura viene abbassata a circa 40-'15 °Ce in questa fase dne
primer (frammenti di DNA sintetizzati in laboratorio e complementari a specifiche
sequenze che si trovano nel DNA da amplificare 1 rappresentati nella figura dalle frec­
cette e costituenti gli inneschi per la sintesi successiva) si ibridizzano alle s�quenze
complementari e in questo modo delimitano 1 a destra e a sinistra 1 il tratto di DNA da
amplificare. È importante che questi inneschi siano di lunghezza tale da identificare
in maniera esclusiva le dne sequenze 1 a destra e a sinistra 1 del DNA da amplifica­
re: sequenze troppo corte potrebbero ibridiziare in altre wne del DNA e dare luogo
quindi a risultati spuri.
La Fase 3 è la polimeriziaiione vera e propria da parte di una DNA polimerasi
che sfrutta gli inneschi e utilizza i quattro deossinncleotidi trifosfati 1 che fauno da
precursori per la crescita della catena. A questa fose corrisponde nna temperatura di
circa 70 °C. I costituenti de�la miscela (DNA 1 primel\ DNA polimel'asi e deos8inucleo­
tidi trifosfati) sono presenti fin tla!Pinh:io. La DNA polimerasi 1 che è nna proteina 1
nonostante subi::;ca le variaiioni di temperatura delle tre fasi 1 non viene denaturata
, · perché purificata da batteri termofili 1 batteri capaci di vivere in ambienti che hanno
temperature vicim\ e anche snperiori 1 a 100 °C.
Le tre fasi descritte costituiscono 1111 ciclo. A ogni ciclo la quantità di DNA 1 com­
presa nel tratto delimitato dai prime1\ viene raddoppiata. I cicli vengono ripetuti 1
come mostra la figura 1 e in genere si protraggono per un 1muiero compreso tra 30 e
40. Oltre questo stadio è inutile m1dare perché sia i primer che i precursori sono a
questo punto presenti in piccola qnantità 1 e Pefficiemm della replicaiione crolla. Ma
anche con soli 30 cicli e a partire da una ,r;ola copia di DNA iniziale1 si avrebbe alla
fine 1111 numero di copie del DNA amplificato di circa 1 miliardo.
La tecnica è molto potente ed è utilizzata anche per amplificare DNA presenti in
piccolissime quantità in campioni biologici 1 per obbiettivi foremd (la ricerca del reo 1 la
definizione della paternità ecc.) o per obbiettivi evoh1:tioni:-;ti (DNA di reperti fossili).
Precedentemente è stato detto che i virus non sono considerati organismi viven­
ti1 in quanto incapaci di riprodursi autonomamente. Essi hanno bisogno di infettare
altre r.ellule per moltiplicarsi. Alcuni dei virus hanno- il genoma costituito da RNA
e si chiamano retrovirus. Di essi il più noto è il virus HIV I Pagente responsabile
dell'AIDS. Si chiamano così perché 1 per replicarsi dopo Pinfezione 1 debbono trasfor­
mare in DNA il loro genoma fatto di RNA. Per fare questo debbono usare un enzima
che portano con sé e che si chiama trascrittasi inversa. Questo enzima è capace
di catalizzare la reaiione di sintesi di DNA copiato da RNA. Uuso è:.lella trascrittasi
inversa su RNA messaggeri trasforma questi ultimi .in DNA 1 chiamati comunemente
cDNA 1 che significa DNA complementare.
Per riassumere 1 esistono vari enzimi che sono capaci di catalizzare diversi tipi di
reazioni sugli acidi nucleici:
1. Le DNA polimerasi capaci di catalizzare la sintesi del DNA avendo come stampo
il DNA. Questi enzimi sono usati nella r<=:plicazione del DNA e ogni volta ci sia la
necessità di rifare pezzi di DNA a seguito della riparazione dei snoi errori.

2. Le RNA polimerasi capaci di cataliizare la sintesi di RNA avendo eome stampo


il DNA. Questi eniimi sono usati per il processo di trascrizione.

333
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione © Artquiz

3. Le trascrit tasi f nverse che sono usate in vivo dai retrovirus e in vitro per
trasforma.re gli mRNA in copie di DNA (cDNA).
O
4. Le endonucleasi che catalizzano le reazioni di degradazione del filamento di DNA
a partire dall'interno del filamento.

5. Le endonucleasi di restrizione che cntalizzano lo stesso processo ma a livello di


sequenze di DNA specifiche.
O
6. Le esonucleasi che catali7.za.no le reazioni di degradazione del DNA (e anche
,111!
dell'RNA) a partire dai terminali del filamento.

7. Le ligasi che catalizza.no la reazione inversa della degradazione, cioè la formazione


del legame fosfoestereo.
,l

{ 3.8 Il codice genetico. Traduzione o sintesi proteica

In una cellula encariot<:: <lopo che il trascritto primario è stato trasformato corret­

tamente in mRNA (se la tra.,;forma¼ione per qualche ragione fallisce l'RNA viene in
. !
genere degradato nel nucleo) esso attmver:m i pol'i nucleari e passa nel citoplasma,
\
t

dove avviene la traduzione o sintesi proteica. Nei procarioti la sintesi· proteica


avviene in contemporanea con la trascrizione, perchc l'mRNA è immediatamente di­


sponibile per i ribosomi.
i La sintesi proteica consiste·nella fabbricazione di una catena polipeptidica a par­
,�l..
o
;J
,f
I

l[ tire dall'informazione conte11nta ncll'RNA messaggero. Questa informazione non


occupa. tntto l'mRNA, ma solo la sua parte centrale. In altri termini ci sono al ter­
I
minale 5' e al terminale 3' dell'mRNA scquen7,e non codificanti (chiamate 5'UTR e
3'UTR; UTR, dall'inglese UnTranslated Region, regione non tradotta) che servono
�-
j.'
a regolare ( nel senso di facilitar e o ostacolare) lo stesso processo di traduzione e a
I�:

regolare la vita media dell'mRNA.


[�1� j

,.ll·i Per fare questa operazione biochimica è necessario un codice genetico, un codice
cioè che trasformi un linguaggio in un altro. I due linguaggi sono quello dei nucleo­
jl
J
tidi (i componenti chimici delle catene di acidi nucleici) e quello delle proteine (i cui
o
t

componenti chimici sono gli aminoacidi).


�­


Gli aminoacidi usati in natura sono 20 (poiché in alcuni organismi esistono ami­
noacidi speciali in qualche quiz potete trovare la dizione circa 20) e tutti contengono
1: I

(come dice il nome) nn gruppo acido (il gruppo carbossilico -COOH) e un grup­
po amiuico (-NH2). Grazie alla presenza di questi due gruppi gli aminoacidi pos­
l·,, sono unirsi tra loro facendoli reagire, con la formazione di un legame peptidico
•'
(CO-NH). Questa è la ragione per cui la catena di aminoacidi che si f01fua si chiama
anche catena polipeptidica.
:;.1 .

Il numero di aminoacidi della catena e la loro sequenza è dettata esclusivamente


o
'I

dalla informazione contenuta ncll'RNA messaggero. Ricordando che i tipi di nucleo­


tidi presenti nell'RNA messaggero sono solo 4, si deve passare da un alfabeto fatto
da 4 lettere (la quattro basi del DNA o dell'RNA) a un alfabeto di 20 lettere (i 20
tipi di aminoacidi naturali). Per questo serve un codice genetico. Il codice genetico
minimo è quello che è fatto da tre busi di DNA per aminoacido. Infatti non ci può
o
essere corrispondenza univoca tra base e amino acido (4 contro 20), né ci può essere
corrispondenza tra coppie di basi e aminoacidi (sono 16 le coppie di basi che si possono

334
© Artqniz BIOLOGIA

ottenere contro 20 aminoacidi). Con le triplette di basi si hanno 64 possibili combina­


zioni (4 3 = 64) contro 20 aminoacidi. Questo codice, che è quello usato dalla natura,
si dice ridondante o degenerato, nel senso che a un aminoacido può corrispondere
più di una tripletta di basi (Fig. 3.16).

H _codice genetico è a triplette


u e A G
uuu} Phe ucu UAU } UGU}c s
y
u
Tyr
uuc UCC} Ser UAC UGC
UUA} UCA UAA } UGA STOP
Leu STOP
UUG UCG UAG UGG Trp

cuu ccu CAU}


Hls
CGU

le
.0
CUC Leu
CUA
} ccc}
CCA
Pro
CAC
CAA }
CGC Arg
CGA
}
Gin
Cl) CUG CCG CAG CGG
·e:
AUU ACU AAU} Asn AGU }ser
AUC} Ile ACC AAC AGC
A } Thr
AUA ACA AAA } Lys AGA }Arg Figura 3.16: Codice genetico.
.
AUG Met ACG AAG AGG
Gli aminoacidi sono riportati
GUU GCU GAU} GGU con i nomi abbreuiati . Si ri-
Asp
GUC GCC GAC GGC corda che le triplette sono lette
G GUA }
Val } Aie
GAA }
} Gly
GCA GGA sull 'RNA messaggero e quindi
GUG GCG GAG Glu GGG
la 1' del DNA è sostituita dalla
Seconde base u.
Il codice genetico si dice universale in quanto è! usato da tutti gli organismi.
Anch > es:-10, come la vita, si è evoluto. Codici genetici leggermente diversi da quello
riportato in tabella esistono ancora in alcuni organelli, corno i mitocondri e i cloro­
plasti, che sono residui cli forme cli vita primitive entrate in simbiosi con altre forme
di vita.
Come si vede dalla Figura 3.16, delle 64 combinazioni, tre sono utilizzate come
STOP, nel senso che, quando la macchina siutetiY.zatrice arriva a una di quelle tri­
plette, smette di sintetizzare e blocca la crescita della catena polipeptidica. Tutti i
messaggi genetici, sia nei procarioti che negli eucarioti, cominciano con la tripletta
AUG, che codifica per Paminoacido metionina. Questa triplettn, come detto prima,
non è mai alPinizio delPRNA messaggero, ma interna, così come la tripletta di STOP
non è mai alla fine dello stesso RNA. Il messaggio genetico· è quindi solo una parte
delPmRNA. Ogni tripletta che codifica viene chiamata codone.
Come si fa nella pratica a tradmre operativamente un linguaggio nelPaltro? Per
fare questo ci vuole un vocabolario, una specie di adattatore tra i due linguaggi. Que­
sta funzione è svolta da una série di RNA fmw;ionali che si chiamano RNA transfer
o tRNA. Essi sono fatti tutti allo stesso modo (hanno cioè una stessa forma, non la
stessa sequenza di basi) che è rappresentata in Figura 3.17. Il perché i tRNA hanno
tutti la stessa forma sarà reso chiaro in seguito.
Alla estremità 3' (costituita dall 'OH in 3> dello zucchero) accettrice è legato uno
dei 20 aminoacidi mediante un legame estereo tra il ....:cooH delPaminoacido e l'OH
stesso. La scelta dell'aminoacido legato è funzione solo della natura della tripletta
che prende il nome di anticodone (in basso nella Figura 3.17), ehe è capace di legarsi
al corrispondente codone (con la regola degli accoppiamenti A-U e G-C).

335
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione © Artqntz

stelo T stato a ccenore estremità


3· eccettrice

\
\
54 ;·;,. \/·•:_ ../. \,.,.. -, \\ \\

o
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ansa T" --..
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76
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1/�: ·\-.-. _,·,
69
20\.
� 12

\stato O

Figura 3.17: Rappresentazione


schematica di un tRNA. Ogni
I segmento numerato mpprn.,;en­
� ,r • t.a un mu:footide.

a
,,
I·!
La reazione dt caricamento dell'aminoacido sul corrispondente tRNA è cataliz­
zata da venti enztmi cli versi ( uno per ogni aminoacido) chiamati, in modo generale,
,,
i!I':
'I
aminoacil-tRNA-sinteto.si. Essi riconoscono in maniera specifica, e quindi legano nel­
'. l l'apposito sito, solo nno dei venti aminoacidi, per esempio la glicil-tRNA-sintetasi
riconoscerà solo la glicina, ma riconoscerà, e quindi legherà una qualsiasi dei tRNA

,1·;
. t
• I
che possiedono anticodoni complementari ai codoni della glicina (e cioè ACC, UCC,

ìi_ i
CCC e GCC, vedi codice genetico in Figura 3.16). Questa reazione di' caricamento

o
''
necessita anche di energia: infatti anche ATP verrà. legato dall'enzima e sarà. trasfor­
I mato in ADP.
'
' 1:
� Il tRNA caricato dell'apposito aminoacido dovrà dirigersi ora verso la macchina
.-�'
sintetizzatrice delle proteine, che, sia nei procarioti che negli eucarioti, è costituita
y.
!:i.. dai ribosomi. Essi sono complesi;i di proteine e di rRNA (RNA ribosomiale) con
una forma caratteristica e formati da due subunità, una grande e una piccola (Figura
:'t
3.18).


Le ealramllè emmlnoecl:llche
dal IRNA lntereglacono
con le aubunllè grande
detrtbosonme

\·��'._.:,.-J.'�,w ..
i-
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'• I'' .�;·:.i•j"l
r ···� Figura 3.18: Il ribosoma, la macchina di sintesi
!
l"itl'..• ' '\_�;�Ji· delle proteine, mentre sta svolgendo il suo la­
" .. '.. ,::�� .� , ,.,.....· .
·voro. Essa e costituita da due subunità,
piccola delle quali si lega
·.:,,, ..
·�:
{il nastr·o grigio-bianco). All'interno del riboso­
,�---:-",t--... . �... ,,
: ,'#r..
.. ' '· .. � l'r-
ma sono ricavati due siti che hanno
GII anllcodonl sono legati a lrlplene adiacenti di alloggiare ciascuno un tRNA durante
dell'mRNA nelle subunnà r1bosomlca piccole. di crescita della catena polip

I'
I•

336
@ Artquiz BIOLOGIA

li ribosoma si lega alPmRNA (il meccanismo di legame è diverso nei procarioti e


negli eucarioti, in questi ultimi è usato il cappuccio dell'mRNA) e contiene due siti
per alloggiare i tRNA (poiché i siti sono sempre gli stessi e uguali tra loro, questa è la
ragione per la quale tutti i tRNA che li devono occupare devono avere la stessa forma,
indipendentemente dall'aminoacido che sono in grado di legare). I due siti (chiamati
sito P, a sinistra, e sito A, a destra), all'inizio della sintesi, sono occupati dai tRNA
(caricati del rispettivo aminoacido) che hanno Panticodone complementare al codone
che è presente nel pavimento del sito.
Come detto in precedenza il sito P all'inizio si trova sempre ad avere come pavi­
mento la tripletta AUG (tripletta iniziatrice a cui si lega il tRNA iniziatore), mentre
nel sito A la tripletta può essere un'altra qualsiasi (non STOP, ovviamente).
Dopo che i due tRNA carichi sono entrati nei clne sit.i, i due aminoacidi tra.sportati
si trovano in condizione di potersi legare tra. loro e formare il legame peptidico: il car­
bossile dell'aminoacido a sinistra (cioè quello alloggiato nel sito P) si stacca dal suo
tRNA e forma un legame peptidico con il gruppo aminico dell'aminoacido a destra
(cioè quello alloggiato nel sito A). Questa reazione è catalizzatà cla 1111 componente
clelln. snbunità grande del ribosoma (la parte superiore).
Al termine di questa rea¼ione il tRN A a sinistra si trova senza aminoacido, mentre

ur quello a destra si trova legato a mm catena (nel caso specifico nn dipeptide fatto di
clne aminoacidi) peptidica. Dopo la reazione nessuno clei due tRNA si trova ora bene

fJ
nel sito corrispondente: infatti il sito P si chiama così perché si trova bene c1uando è
occupato da un tRNA che contiene una catena peptidica (cla cui P), mentre il sito A
si trova bene quando è occupato cla nn tRNA che ha legato un aminoacido soltanto
(da cni A). Ne consegue 11110 spostamento (trasloca!lioue) di tutto il ribosoma, che
scorre sull'mRNA, cli tre basi: in tal modo il tR.NA con il peptide sintetizzato fino a
quel momento si trova nel sito P (quindi sta bene) mentre il sito A si svuota. Esso
sarà ora riempito da un tRNA (carico del rispettivo aminoacido) che ha Panticodone
complementare al codone che si trova nel suo pavimento, si ripete la reazione descritta
prima e la sequenza degli eventi continua allo stesso modo fino a quando nel pavimen­
to del sito A non si viene a trovare una delle tre triplette di STOP. A questo punto,
poiché la tripletta di stop non può essere letta da alcun tRNA, la sintesi termina e,
, grazie ad alcune proteine che leggono le triplette cli stop nel sito A, la catena peptidica
sintetizzata viene staccata dall'ultimo tRNA utiliz;.:ato (Figura 3.19).
La catena polipeptidica così sintetizzata assume la conformazione ( cioè la forma
nello spazio a cui corrisponde il minimo di energia libera) che le compete e si dirige al
posto giusto nella cellula per compiere la sua funzione. Il raggiungimento della forma
funzionale finale spesso è assistita da proteine specializzate chiamate chaperonine,
' che sono anche adibite a ripristinare questa forma su quelle proteine che l'avessero
perduta per vari stress (come lo stress termico).
La sintesi proteica è il meccanismo con il quale si attua l'espressione genica: le
proteine sono infatti il prodotto finale che govema la biologia della cellula. Tuttavia,
poiché misurare quantitativamente le proteine prodotte da una cellula (proteoma) è
una operazione molto complicata e al momento fattibile solo per le proteine presenti
in quantità apprezzabili, l'espressione genica cli una cellula in prima approssimazione
viene misurata sulla base dei tipi di mRNA e delle quantità cli essi prodotti ( tmscrit­
toma). Questa misnra, che spesso viene fattn per compnra7,ione con cellule standard,
è più facile perché è basata sull'ibridazione, mentre l'espressione delle proteine può
essere misurata solo con apparecchiature speciali come gli spettrometri cli mass�.

337
Capitolo 3 Gli addi nucleici. II genoma: replicazione ed espressione © Artquiz

!
·La sintesi del legame peptidico comporta il trasferimento del polipeptide all'amminoacil-tRNA
;·;;J
l'ammtnoacil-tRNA La catena polipeptidica viene La traslocazione sposta
entra nel sito A trasferita sull'ammtnoacil-tRNA il poliptidil-tRNA nel sito P

.. ...
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11 .1-1:.... ·_ •,· � .,.- :· •·_ -;
" I

!i; I
Figura 3.19: Le tre fasi ripetitive di unà sintesi proteica. A sinistra il sito
l-1 P è occ1ipato dal tRNA a cui è attaccata la catena sintetizzata fino al punto
descritto, mentre il sito A è ·uuoto e q11.indi occupabile dal tRN A carico che ha

I ·1·
l 1anticodone complementare al codone che si trova sul pavimento del sito A.
In mezzo è descritta la reazione tra il gruppo carbossile dell'ultimo aminoacido
t� •. inse1ito e il gruppo aminico del nuovo aminoacido {pallina nera). A destra
L,"t è descritta la traslocazione, il movimento di I.re basi di tutto il macchinario
rispetto all'mRNA.

Tutte le proteine, come i vari tipi di RNA, hanno una vita media più o me­
no lunga. Il turn-over delle p·rotein_e dipende dalla sequenza dei snoi aminoacidi

re
all'amino-terminale: questa è la ragione per la quale, pur essendo nella sintesi la

metionina il primo aminoacido di ogni proteina, raramente lo si ritrova come ta­
le. Questo dipende dal fatto che praticamente tutte le proteine subiscono modifiche
chimiche post-traduzionali, catalizzate da appositi enzimi. Queste modifiche non
. ii.. influenzano solamente la �tabilità delle proteine ma anche la funzionalità: nna protei­

o
!ji'rl:j na, per esempio, può diventare un fattore di trascrizione, cioè una proteina capace
'ìiI di legarsi al DNA e attivare la trascrizione di nn gene, a seguito di una fosforilazione

I' . '
•!
di un residuo aminoacidico.

1,1_··:;
Le proteine vengono degradate in vivo da una speciale struttura chiamata pro­
..
I
teasoma.
:
i,
,. .i

! . 3.9 Mutazioni del DNA. Riparazione. Ricombinazione omologa.


,,
.
Sequenziamento del DNA
,.' ·,
l�� �
'•
I
La conoscenza della sequenza delle basi del DNA cli un organismo (compreso l'orga­
�.t l
1)·1'. nismo umano) è diventata sempre più importante, sia per confrontareAa sequenza

o
,.:I, j
di una specie con quella di un'altra spede (per studiare l'evoluzione, per esempio:
..

' dal sequenziamento dei genomi di uomo e di scimpanzé si è vis.to che i due DNA si
differenziano per circa 1'1%) ma anche perché all'interno della specie la sequenza del
b• DNA di un individuo può dare informazioni sui rischi (o sulla inevitabHità) di con­
trarre patologie da parte dell'individuo ::,tesso. Il sequenziamento di tratti di DNA
,. (amplificato mediante la tecnica PCR) è ormai nn mezzo comunemente impiegato nei
laboratori di genetica per la ricerca delle mutazioni che causano patologie.
;
Jt
È infattl noto che mutazioni nella sequenza di basi di un gene (una base trasfor­
mata in un'altra, una delezione, una inserzione) porta a proteine mutate o addirittura
,.
li' 338
© Artqni7. BIOLOGIA

alPincapacità di produrre una determinata proteina. Il cambiamento di una b ase in


un'altra sul DNA di un gene (mutazione puntiforme) non comporta necessariamente
la sostituzione di un aminoacido in un altro, perché il codice è degenerato e triplette
diverse codificano per lo stesso aminoacido. Anche se la mutazione dovesse cambiare
un aminoacido in un altro, questa variazione non è detto che sia deleteria per il fun­
zionamento della proteina risultante. Alcuni aminoacidi sono molto simili tra loro e
mettere l'uno o l'altro cambia poco nella funzionalità. Quando invece la mutazione
cambia la natura dell'aminoacido (un aminoacido idrofilo al posto di uno idrofobico,
un aminoacido carico positivamente al posto di uno carico negativamente e così via)
la struttura della proteina può subire variazioni così drammatiche da alterare com­
pletamente la sua. funzione e produrre quindi patologie. Se la muta'tione consiste in
un inserimento di una base o di una sua dcle'tione nella sequenza del gene, questo
porta al cambiamento della cornice di lettura del gene (in inglese, frameBhift).
Si rammenti che la sequenza delle basi nell'mRNA è letto dal ribosoma(� dai tRNA)
a triplette consecutive: se si aggiungono una o due basi (o si tolgono) si cambia il
modo di leggere le triplette e questo porta qirnsi inevitabilmente a produrre triplette
di STOP e quindi a terminare prematuramente la i;intesi proteica, oltre a. cambia.re la
sequenza degli aminoacidi. Questi danni snl DNA producono quindi proteine tron­
che, non funY.ionali. Se le inserzioni o le dclC',àoni riguardano tre basi, la cornice di
lettura non è invece modificata, ma Pinse1;imento o la perdita di aminoacidi potrebbe
essere _lo stesso deleteria per il funzionamento della proteina ri:mltante. Sono infatti
note patologie molto serie (di tipo nemodcgenerativo) dovute alPn.mplificazioue di
triplette.
Alcune patologie sono monofattoriali, dipendono cioè da nua o più mutazioni
che si verificano su un gerie. In questo caso individuare la muta.¼ione significa avere
informazioni sulla possibilità che la patologia si manifesti (Biologia, § 5.1.1) o meno.
Quando una patologia è multifattoriale è difficile che dalle analisi dirette dei geni si
possa risalire alla possibilità di stabilire Pinsorgenza della malattia. In tal caso si fa
ricorso· all'analisi nel DNA dell'individuo di alcuni marcatori. Questa analisi si basa
sul fotto che due tratti di DNA in un cl'omosoma hanno la probabilità di separarsi
tanto piii facilmente in un procei:;so naturale chiamato croBsing-over o ricombina­
zione generale, quanto più sono·distanti tra loro nella catena di DNA.
Il processo di ricombinazione avviene sempre durante la meiosi. Esso serve a rime­
scolare i geni presenti nei singoli cromosomi e quindi allestire combina,,,ioni diverse di
geni nello stesso cromosoma. Il processo di ricombinazione presuppone Pallineamento
di cromosomi omologhi ( che vuol dire simili ma non uguali, nel scuso che la sequenza
di DNA di un gene in un cromosoma non è esatt�mente uguale a quella dello stesso
gene nell'altro cromosoma omologo, si parla in questo caso di alleli diversi dello stesso
gene, che danno luogo a prodotti con funzionalità poco o molto diversa). In una fase
del processo di meiosi si trovano quattro cromosomi omologhi paralleli tra loro: con
Paiuto di gruppi di enzimi dal comportamento molto complicato, i due filamenti di
un cromosoma souo tagliati e resi capaci di infiltrarsi nella doppia elica di nn cromo­
soma vicino, spostare il filamento omologo, che a sua volta si infila nel cromosoma
da cui sono partiti i dne filamenti. Questo porta a una struttura a quattro branche
( riportata in' Fig. 3.20) che viene risolta con due tagli e due congiunzioni. Il risultato
finale è lo scambio della parte destra (o sinistra) tra i due cromosomi: un gene che si
trovava all'estremità di un cromosoma ora si trova all'estremith dell'altro e quindi si
. è separato dal gene che si trovava nell'estremità opposta dello stesso cromosoma. ....

339
J:..'.
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicmdone ed espressione © Artqniz

È chiaro che due tratti di DNA vengono separati in questo modo con maggiore
probabilità quanto più essi si trovano lontani nello stesso cromosontn. Al contnu-io
due tratti molto vicini è estremamente difficile che si separino, perché per separarsi è
necessario che l'invasione iniziale dei filamenti avvenga nel tratto (corto) che separa i
due tratti in questione: evento molto poco probabile. Grazie a questo processo, misu­
rando la probabilità con cui dnc caratteri (due geni) si separano si ottiene in qualche
modo la distanza che separa i due geni nel cromosoma, e i:.i pnò quindi costruire una
mappa genetica.
j',
o
r
..
..
'! cromosoma A
3'• 5'
5' lllll11:1 lllllllilllllllllll1lll'l!lllll l,l:l:lll,lllllllllllllllllllllllllll'.lll1llllllllllllllll 3'

1
1 1

interruzione


di entrambi
1 I filamenti

:m.
il··
lilllilllil'lllllll,lllllll1lllilllll'lllll lIII 1111111111111111111111:1:111!11u11m111111111

I
1

2
I degradazione
;• contenuta
·,

IHIIIOIIIIIIIltllllOIIUOOouu 011!IIOIIOIIIIOWIIIOI
del ter minali 5'
I�, l
I• .

l
' ii
3 111111111111111
,, 111111113, '

o
�- appaiamento di
un ter minale 3'

3
con Il cromosoma B

nnrnunallPUDIIOOHltwuuuuu 3·
omologo
l•f!•

;ldHHAIIHRDUlllUURllnmmnDBUHH�:::::::::::::::�

I ''""''
,1

I"---� 4
Cromosoma B

jj
r
IOIIROOll8llhOll8hllllu0»u«uu�
di DNA

' ..'IIl

·1,., ·.'
,,
'·· r
OOtu11nn11nnoHHiluu1(
11
::::: :: ::�1:::�::::::: o
5
I
appaiamento
,.
� ;.
dell'altro
lermlnal� 3';
·,I:,
Figura 3.20: Meccanismo molecolare della

�t -:::::::-:: ::::>:::::::::::�::: ::::::: ricombinazione omologa. I due: DNA omo­


loghi (mpprcsentati con i colori grigio e ne­
.:, separazione ro), a seguito della rottura dei llue filamen­

6 I
,1•1•l, ' tramite taglio
1 molecola
.'; i seleulvo ti di uno dei due DNA, danna.fluogo a una

liiIIIOIUUmm Iln111111ouniili11111111111111lllllililillHnHIIHHumrnnmmnnUH
;! j
Intrecciata
!r· I
di fllamentl reciproca invasione dei fil,amtmti, con for­

+
'.I
mazione di un chiasma. La risoluzione tra­

1un11mmooo111111OIDUUn11ununmmnununnuaaui:o11onooooonn1111
,,.. I
mite due tagli porta alla formazione di due
" j'•
DNA che si sono scambiati la parte a de­
,<;tra (o a sinistra): i due DNA non sono
I
ricombinazione
più tutti gri_qio o nero, ma grigio e nero
tra cromosomi A e B contempomrteamente.

'il
:t
1i;-

A'I� 340
© Artquiz BIOLOGIA

Ritornando ora alle patologie multifattoriali che sono il ri:mltato del malf1m7,io11a­
mento di molti geni mutati, si può fare un 1aualisi della probabilità che la malattia si
sviluppi anche senza sapere (e questo è lo stato delle conoscenze) quali siano i geni che
influenzano la malattia. È sufficiente analizzare su base statistica 1111 numero elevato
· di pazienti e vedere se nel loro DNA si riscontrino prevalentemente alcune anomalie di
sequenza non presenti nelle persone ::m.nc. In caso positivo queste differenze vengono
definite come marcatori probabili della patologia. In genere questi marcatori sono
variazioni (mutazioni) di una sola bnse che vengono chiamate SNP (polimorfismi a
singolo nucleotide) e vengono determinate mediante seqnerndamento. L 1 insieme di
SNP possono caratterizzare il rischio di una patologia perché queste mutazioni si tro­
vano molto vicine ai geni che definiscono la patologia e quindi la ricombinazione è
difficile che separi il marcatore (SNP) dal gene.
Il sequenziamento del DNA è ormai un processo a.ltameute automatizzato e
condotto in maniera. sempre piì1 rapida. Esistono macchine cap,ict cli effettuare se­
quenze di decine di milioni cli basi al giorno. È vicino il gioruo in cui una. persona
potrà ordinare il sequenziamento del proprio DNA al costo cli >110110 di 1.000 euro.
Quel giorno permettedi ai singoli individui cli conoscere (se lo vuole) il proprio rischio
di contrarre alcune patologie.
Abbiamo visto come le nmta.zioui di basi prc-seuti in sequenze specifiche cli geni
possano es.<;ere cmum di patologie. Come si origimino q�1este umta.i'iioni? Alcune di
esse po�souo provenire da errori effettuati dalla. DNA polimerasi dumnte la replica­
¼ionc clel DNA. Questi errori 80110 perè, molto limitati grazie alla capacità che le DNA
polimerasi hanno cli accorgersi da sole dell'errore ccnmnesso. Si genera infatti un ac­
coppiamento sbagliato delle basi tra. il 1ilameuto stampo e il filamento neo sintetizzato
(in inglese, rnismatch). Questo accoppiamento distorce la regolarità della doppia eli­
ca.: è questo l'evento molecolare che la DNA polimerasi "percepisce 11 e che lèi costringe
a interrompere la sintesi e a tornare indietro, "mangiandosi" la base scorretta e ripri­
stinando la doppia elica regolare. A questo punto può riprendere la 8intcsi.
Tuttavia, nonostante le DNA polimerasi sim10 capaci di autocorreggersi commet­
tono mediamente un errore ogni 10 milioni cli basi. Essendo la lunghezza del genoma
pari a 3 miliardi di coppie di ba.si nell'uomo, la DNA polimerasi commette in media
qualche centinaia di errori nel ricopiare tutto il genoma. Come vengono eliminati
questi errori? In ogni cellula esiste nn sistema complesso di riparazione (formato da
gruppi cli proteine capaci di accorgersi e di riparare i vari tipi di errore) che ripristina
il DNA corretto.
Bisogna tenere presente che la. fonte maggiore di muta:tione non è la DNA po­
limerasi con i imoi enori ma l'ambicmte nel quale il DNA si trova. Esistono cioè
meccanismi mutageni sia chimici che fisici. I meccanismi fisici sono le radiaz.ioui (sia
le radiazioni ultraviolette cl_ie quelle a più alta energia come i raggi X e i raggi gamma,
chiamate anche radiazioni ioni½¼anti). I meccanismi chimici sono quelli dovuti alle
trasformazioni delle basi per reazioni chimiche con sostanze eventualmente presenti
nella cellula. TI:a di c.�se le più diffuse sono quelle che costitui:-;couo i ROS (reactive
02ygen .,;pecie.,;1 specie reattive dell'ossigeno), molecole che contengono atomi di ossi­
geno con elettroni spaiati (i cosiddetti radicali liberi) molto reattivi e che ossidano
diversi tipi cli biomolecolc, tra cui gli acidi nucleici e le proteine, alterandone l'infor­
mm�ione o la funzione. Molto pericolose sono anche le sootanze alchilanti che sono /
capaci di aggiungere gruppi alchilici alle basi del DNA e gli idrocarburi aromatici po­
liciclici (come il ben�opirene e la diossina) che -si legano anch'essi alle basi del DNA.

341

['J
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione @ Artquiz.

,·f1

o
Un altro tipo di lesione molto comune è quello della rottura della doppia elica. Per
tutte queste lesioni esistono speciali meccanismi di riparazione due dei quali sono
i più usati:

o
'\
• Meccanismo BER ( riparazione per escissione delle basi) che riconosce particolari
'! I tipi di base sbagliata e la elimina mediante il taglio del legame che la tiene ancorata
1,1
'I allo zucchero. Il sito senza base viene a sua volta tagliato da ambo i lati e la base
;;
,... giusta ripristinata da una apposita DNA polimerasi, con chiusura finale da parte
i
di una ligasi.
• Meccanismo NER (riparazione per escissione dei nucleotidi ) che riconosce la di­
storsione nella doppia elica del DNA provocata dalla base sbagliata ed effettua due
tagli, nno a monte e uno a valle della base sbagliata, elimina il tratto del filamento
che contiene la base sbagliata, ripristina il filamento corretto mediante una DNA
polimerasi e poi chiude con una ligasi.
Esistono altri tipi di riparazione degli errori più complicati dei precedenti e con
aspetti non ancora completamente chiariti.
. I
Poiché le mutazioni sono possibili cause di inoorgenza di malattie, tutti gli eventi
mutageni (siano essi chimici che fisici) aumentano il rischio d'insorgenza delle malattie
stesse. L'aumento di rischio è legato anche alla inefficienza dei sistemi di riparazione,
essendo essi costituiti da complessi proteici, i cui componenti possono essere difettosi
per effetto delle mutazioni dei geni che li codificano.
Le mutazioni nei geni possono .essere silenti in quanto la modifica della base in un

,, I
codone può lasciare l'aminoacido codificato inalterato per la degenerazione del codice
genetico. Oppure la modifica può portare alla sostituzione di nn aminoacido con un
altro (modificazione mis,�ense) con proprietà simili (per esempio valina in leucina o o
]�. i
,,
!
•'
viceversa) senza che le proprietà della proteina siano alterate sensibilmente. Quando
la mutazione cambia la natura dell'aminoacido (da i<lrofilico a idrofobico o viceversa,
'
da carico negativo a carico positivo o viceversa) spesso la struttura della proteina
subisce cambiamenti che le impediscono di esercitare le sue proprietà normali o di
I :I
j, I:
,.
acquistare proprietà deleterie per la cellula. Alcune modifiche possono portare alla
trasformazione di una tripletta codificante in una delle tre triplette di stop (modifi­
p
I· I'
' . cazione nonsenso). In tal caso la sintesi della proteina porta a una proteina tronca,
'.:
i•i �
· con effetti spesso dominanti. La • proteina può infatti dare luogo ad aggregati tossici
t per la vita della cellula.
<•I, La presenza di mutazioni nel genoma di un individuo che portano alla manife­
stazione di uua patologia possono essere curate, in linea di principio, con la terapia
;,.( genica, Essa consiste nell'inserimento del gene corretto nel genoma di alcune cel­
lule dell'organismo mediante trasfezione. Il procedimento consiste nelql,olamento
ti
·I
di alcuni tipi di cellule dall'organismo, per esempio le cellule del midoll6, e il loro
f trattamento con vettori virali ingegnerizzati. Questa pratica consiste nel modificare
!:, il genoma del virus sia con l'inserzione in esso del gene corretto da trasfettare, sia nel­
I' l'eliminazione di quei geni virali che lo rendono pericoloso. Il procedimento, già usato
I con successo in alcune malattie genetiche, ha come inconveniente il fatto che l'inseri­
mento del gene corretto nel genoma cellulare avviene in maniera casuale e quindi può
provocare degli effetti sull'espressione genica della cellula, con conseguenze pericolose.

I' 342
© Artqui?. BIOLOGIA

3.10 Le modifiche post-traduzionali e la localizzazione delle


proteine nella cellula eucariota

per le diverse funzioni che le proteine debbono compiere esse hanno nella cellula una
precisa collo�azione. Le proteine di nna cellula eucariota sono suddivise in proteine
che svolgono la ioro funzione ucl citoplasma e nel nncleo, e in proteine che svolgono
la loro funzione in alcuni organelli (per es. lisosomi, perossisomi), in associazione con
le varie membra.ne (proteine di membrana) oppure clevono essere secret<:: all 1esterno
della cellula.
Le prime sono sinteti.,,.r,ate da ribosomi �'Ospesi nel liquido citoplasmatico. 'll·a di
esse, le proteine con fnmdoni nucleari contengono nella loro struttura primaria una
sequenza (NLS, nnc,;lear lowlization signal, segnale di localizzazione nucleare) che è
riconosciuta da appositi trasportatori che hanno la capacità cli attraversare la barriera
costituita dal poro nucleare.
Le seconde vengono sinteth�1iate cla ribosomi la cni locali:1:,mzione è sulla superficie
del reticolo endoplasmatico (che gra'l.ie alla loro prcsen'l.a diventa.' ruvido, llER). La
proteina nascente è capace di "bncaren la membrana del reticolo en<loplMmatico e
cli penotrurc int;cramente all 1 interno del lume clel RER o cli formarsi sulla membrana.
Iniziano in c�esto modo anche le prime modifiche post-traduzionali. Le proteine così
formate sono impacchettate all'interno cli Vt!8cicole (o sulla membrana delle stesse)
che gemmano clal REil e che sono tra..<.;;portnte con l'aiuto clcl citoscheletro al com­
plesso del Golgi, clove in genere snhiscono ulteriori modifiche post;-t;rn.dmdonali cou
l'aggiunta cli '/.ncdwri :-;emplici o complessi, che le trnsformano in glicopr9teine.
Le modifiche chimiche subite definiscono il clc8tiuo della proteine in termini cli
locali½z�ione (por esempio nei lisosomi) o di secrezione, con il meccanismo della
gcmmrn.<tione cli vescicole cli tra.':ìporto. Nel caso clella secre:àone le vescicole cli tra­
sporto si fouclono con la mcmbra1m citoplasmatica e il loro contenuto viene riversato
all 1 c.�terno. Quindi il destino delle proteine e il loro traffico intracellulare 6 regolato
dalla loro seqnen½a e da alcune specifiche moclificlm chimiche post-traclnzionali. Spes­
so i gmppi attaccati alle proteine sono co:-;titnHi cla catone piì1 o meno ramificate di
:mcd�ri, tra cni primeggiano il glucosio, il umnnosio e la glncosammina.
Una parte delle proteine sono localiz�mte nelle varie membrane� della cellula: esse
sono divise in tre grnppi imlla base delle interazioni che esse ho.uno con il doppio st;rato
lipidico.
Il primo è quello delle proteine integra.li cli membrana (o prolieine t;ransmembrana)
che attraversm10 il doppio strato lipidico (in qualche caso molte volte) lascianclo nna
pornione esterna e nna pon,;ione citoplasmatica. I recettori cli membrana sono costi­
tuiti da questo tipo cli proteine.
Il secondo gruppo è costituito clalle proteine che si appoggiano alla membrana, o
dal lato interno o da quello esterno, mediante legami non covalenti.
Il ter:w gruppo è costituito clalle proteine che possieclono 1111 gruppo di natura
lipidica che si inserisce nel doppio strato e àncora la proteina alla membrana.
Le proteine, come tutte le biomolecole (con Pcsclusione del DNA), hanno nna vita
meclia definita. che clipencle dalla seqnorn�a aminoaciclica snlPN-terminale. La degra­
14
dazione delle proteine avviene con nn complcs:-;o meccanismo che prevede prima la
ubiquitinazione clella proteimt, Pagginnta in titndem di piccole proteine chiamate
ubiquitine. Quc.<.;;ta modifica rende le proteine ber:·mglio di un complc..<.;;so proteico
chiamato proteasoma che le ingloba e le clegracla. Uu altro modo per degradare le

343
Capitolo 3 Gli acidi nucleici. Il genoma: replicazione ed espressione © Artqutz

proteine è quello di interualizzarle nei lisosomi dove sono presenti proteasi attive a
basso pH.

� Il progetto internazionale ENCODE (acronimo per Enciclopedia degli ele­


menti del DNA), che è lo studio fatto da un Consorzio di oltre 400 ricercatori
in tutto il mondo, sta rivelando che i processi metabolici che utilizzano il
DNA sono molto più complessi di quanto non si sia finora crednto. Una
descrizione dei risnltat.i di questi studi va al di là degli scopi di questo libro.
A solo titolo di esempio vale la pena citare il dato che, nonostante il conte­
nuto approssimativo delle sequenze codificanti del DNA di un mammifero
sia solo l'l,5% della lnnghezza del genoma, il DNA è trascritto per circa H
70%. Molto deU'RNA è quindi non codificante e al momento si pensa che
tale RNA sia il precursore di piccoli RNA (meno di 200 basi) con funzione
regolatrice dell'espressione genica (come i cosiddetti microR.NA).

ALCUNE DEFINIZIONI USATE COMUNEMENTE IN BIOTECNQ;LOGIE

• Genoma: l'insieme dei geni contenuti in un organi8mo.

• Proteoma: l'insieme delle proteine prodotte danna cellula, da un organismo ecc.


La proteomica è l'insieme delle tecniche che permette di caratterizzare le proteine
per la funzione, la struttura e le mutue interazioni.

• Trascrittoma: l'insieme dei trascritti di RNA prodotti da una cellula. La trascrit­


tomica è l'insieme delle tecniche che permette di ricavare il trascrittoma.

• Esoma: l'insieme dei trascritti codificanti prodotti da una c�llula. È l'insieme degli
esoni.

• Metaboloma: l'insieme dei metaboliti prodotti da una cellula, da un tessuto, ecc.


La metabolomica è l'insieme d�lle tecniche che permette di ricavare il metaboloma.

Mentre il genoma è nna proprietà fissa, gli altri sono variabili nel tempo e da cellula
a cellula.

'�

344
o
o
Capitolo 4

o Biochimica metabolica

4.1 Gli enzimi


.
Gli enzimi sono proteine che Hvolgouo la fun¼ioue di catalizzatori biologici. Si posso-

a
no defiuile quindi polimeri biologici con attività catalit.ica. Essi sono essemdali per la
vita, in q�1anto in loro a8seu:m le reazioni avverrebbero con velocità 11011 compatibili
per Pesplctmuento delle normali attivitit cellulari. Gli enzimi infatti i;ouo in grado di
accelerare la velocità delle reazioni chimiclie cli molti ordini di granclc:r,za. Un esempio
è PanidraHi carbonica che nei gl�buli ros::;i accelera <li qum;i 10 7 volte la trasformazione
,
dell auidride carbonica in acido carbonico, clw si dissocia in bicarbonato e come tale
funge da sistema tampone· del sangue.
In quanto catalb�¼atori, gli enzimi non vengono cousuuw.ti durante le reazioni e
aumentano la vclocitit di reazione abba8sandonc l'energia di attivazione (cioè la bar­

o
riera energetica che deve ei,;:-;ere superata dai reagenti per trasformarsi in prodotti).
In questo modo, una percentuale molto maggiore di molecole possiede l'energia suf­
ficieutc a superare l'energia cli attivazione e quindi a trusformanii in prodotti. Gli
enzimi accelerano sia la reazione diretta che inversa (ad esempio, dal composto A al

·O eomposto B e viceversa) senza alterare l'equilibrio della reazione, cioè senz� interve­
nire sui processi che no regolano la spontaneità. In natura esistono altri catalizzatori

o
biologici costituiti da RNA, chiamati ribozimi.
,
Negli anni 40 Beadle e Tatmn (premi Nobel per la medicina nel 1958) formularono
l'ipotesi eletta un gene - un enzima Hecondo cui la fuu�ione di un certo gene è quella

o
di produrre un enzima specifico. I due :-;cienziati anali½zarono le mutazioni indotte
mediante irradiamento con raggi X nella muffa del pane Neurospora crassa e dimo­
strarono che tali mnta½ioni cammvano delle altera:..doni in particolari enzimi, cosicchè
i ceppi n�utanti richiedevano specifici clementi nutrienti ( aminoacidi o vitamine) che
non erano piit in grado cli sintetizzare. Più tardi il concetto un gene - un en�ima

o
venne e.c;teso per includere tutti i tipi di proteine, e cioè un gene - una proteina, e
infine, quando si scopri che molte proteine sono costituite da più catene polipeptidiche
diverse e che ogni polipeptide è codifieato da un proprio gene, l'ipotesi divenne un
gene - un polipeptide.
Dal punto cli vista funzionale gli emdmi agiscono attraverso l'interazione del rea­
gente, definito substrato, con il sito attivo (la piccola parte di enzima in cui av­
vengono le reazioni), formando 1m cornple.c;so enzima - sub.�trato. Nei siti attivi sono
frequentemente presenti residui di m,p, glu, htq, cys, tyr e lys, che posHono fnn�ionare
come catali7.zatori nciclo-basc. Avvenuta la rea�ionc, il prodotto viene allontanato

o 345
Capitolo 4 Biochimica metabolica © Artquiz

dàlPcnzima, che rimane chsponibile per iniziarne una nnova. L'attività degli enzimi è
quindi mediata dalla struttura proteica terziaria e quaternaria (se presente), O\•vcro
dalla conformazione tridimensionale della proteina che determina la struttura spazia­
le del sito attivo. La sostituzione di nn aminoacido con tm altro di natura diversa
nel sito attivo o tale da alterare il sito attivo pnò determinare la perdita parziale
o totale dell'attività enzimatica. La conformazione del sito attivo può essere a sna
volta controllata da molecole regolatrici che si legano ad nn altro sito, definito sito
allosterico. La presenza o assenza delle molecole regolatrici clefìnisconc> qnindi la
proprietà enzimatica. della proteina, che viene definita allosterica in quanto capace
di cambiare forma.
La maggior parte degli enz.imi metabolici sono altamente specifici e sono in gra­
do <li catalizzar e solo mm reazione o pochissime reazioni i-;imHi, poiché il sito attivo
interagisce con i reagenti in modo stereospecifico (è sensibile anche a piccolissime
differenze della struttura triclimensionale). Tale specificità è legata a diversi fattori
che caratteiizzano l'associazione substrato-sito attivo, come la complementarietà <lal
pnnto di vista strutturale, le cariche elettriche, la no.tura idrofìlica o idrofobica, tanto
che inizialmente si paragonava Pintcrar.lionc en7.ima-substrato a quella esistente tra

ò
chiave e serratura. Questo concetto, anche He ancora a volte utilizzato, è stuto molto
criticato, in quanto la complementariet.à strnttunùe tra. substrato ed enzima i-;i forma
durante la loro associazione e non è preesistente, come nel caso di chiave-serrn.tura.
Oltre ad enzimi "specifici» ne esistono altri carattHrizzati da nna specificità relativa­
mente bassa, in grado di agire su un num(�ro ampio di substrati, come ad esempio gli
enzimi di deto...,sificazione. In gener�, gli enzimi present.ano dimensioni decisamente
1naggiori <lei :m�strn.ti su cni agiscono, mn. esii-;tono ccce:r.ioni come la lipoproteinlipasi
che, aclesa alle pareti dei capillari, ckgracln. i trigliceridi contenuti nelle lipoproteine
plaHmatiche.
,
La cinetica enzimatica è quella parte del! enzimologia che studia la velocità �
(cinetica) delle reazioni en'l.imatiche. È stato sperimentalmente dimostrato che, per
un enzima che lega un unico substrato, la velocità ini¼ialc V0, cioè quella misurata
all'inizio della reazione, dipende dalla concentrazione di substrato {SJ. Piii specificiL­
tamente Vo è bassa a basse {Sj, aumenta quasi linearmente con l'incremento di [Sj,
ma a [SJ elevate l'aumento di Vo diventa sempre meno eviclenl;e fino a raggiungere
un valore costante, definito V m ax, in cui tutte le molecole di enzima hanno legato il
substrato, cioè l'nnzima ha raggiunto la saturazione. In questa condizione quindi la
velocità dipende dalla concentrazione cli enzima, cioè raddoppia al raddoppiare della
[Ej e cosi via, per cui si può scrivere che Vmax = k · [Ehot, dove k è la costante
catalitica della reazione. Graficamente, la curva di Vo in fum:ione di [Sj è nu >iperbole
rettangolare de.<;crivibile dall'equazione di Michaelis-Menten:
•'
Vo = Viniix · � ,.:

Risolvendo l'cq�a�ione per [SJ = Km, 8i ottiene Vo = ½ V,onx da cui si deduce che
Km è equivalente alla concentrazione di substrato a cui Vo è uguale a metà Vmux• Mi­
nore è Km, maggiore è l'affinità delPemdma per un substrato. Un approccio cinetico
simile viene utiliz�ato per descrivere l'attività catalitica e.li enzimi a più subi-;trati.
Come tutte le reazioni chimiche, anche quelle enzimatiche 1:1ono influenzate dalla
temperatura. Per la maggior parte degli cn�imi le curve di Vo in ftm¼ionc della tem-

346
o
o
© Artquiz BIOL OGIA

peratura si presentano con una forma. a campana, che, negli enzimi dei mammiferi
mostra un massimo intorno a 40-45 °C; al di sopra di questa temperatura gli enzimi
si denaturano e perdono l'attività catalitica. Al di sotto di 40 °C l'aumento di V0 in
funzione della temperatura è pressoché lineare e generalmente un aumento di 10 °C
ùetermina un aumento del 100% dì Vo ( e conseguentemente un aumento di 20 °C del
300%).

o
I
Alcuni enzimi hchiedono la presenza di gruppi prostetici o coenzimi per poter
funzionare. La parte proteica non attiv:a viene definita apoenzima.
Altri enzimi vengono attivati in modo irreversibile mediante proteolisi parziale,
come gli enzimi proteolitici della digestione, che vengono secreti in forma di protei­
ne inattive (zimogeni) e attivati solo nel lume intestinale per degradare le proteine
alimentari (altrimenti degraderebbero anche le proteine cellulari). Altri esempi sono
gli enzimi della coagulazione del sangue, che vengono attivati per proteolisi solo in
8 seguito a danni tessutali e formano nna ((cascata proteolitican altamente specifica.
L'unione Internazionale di Biochimica e Biologia Molecolare (IUBMB) ha stabilito
un sistema che classifica gli enzimi in sei classi principali:
1. Ossidored uttasi: catalizzano re�ioni di ossidoriduzione.
2. Transferasi: catalizzano il trasferimento di nn gruppo funzionale.
3. Idrolasi: catalizzano l'idrolisi di vari tipi di legami chimici.

4. Liasi: ea.taliz:mno la rottura di legami covalenti attraven;o metodi alternativi

o
all'idrolisi o all'ossidoridm�ionc.
5. lsomerasi: cataliizano reazioni di isomerizzazione, di inven;ione e di trasferimento
intramolecolare di raggmppamenti chimici.
6. Ligasi: catalizzano la formnY..ione di lega.mi covalenti tra molecole e intf:rvengono
nelle vie biosintetiche.

4.2 Il metabolismo del glucosio e del glicogeno

o 4.2.1 Introduzione al metabolismo


Prima di descrivere dettagliatamente le vie cataboliche, è utile richiamare alcuni con­
cetti generali sul metabolismo cellulare. Questo è un'attività altamente coordinata,
in cui cooperano molti sistemi multierndmatici a formare le diverse vie metaboliche.
Ogni via metabolica è costituita da nna successione di reazioni nella quale viene pro­

o
dotta una piccola ma specifica modificazione chimica ai metaboliti, come la rimO'�ione,
il trasferimento o l'aggiunta di un atomo o di un gruppo funzionale. Le vie metabo­

o
liche possono essere lineari, ramificate o ciclieh<-t
Il catabolismo è la fase degradativa del metabolismo, in cui le molecole organiche
dei nutrienti energetici (Chimica, § 12.5, 13.2, 13.2.3) e i costituenti cellulari vengono
convertiti in prodotti intermedi e quindi in composti finali semplici fornendo energia
immagazzinata sotto forma di ATP. I prodotti finali Bono anidride carbonica e acqua
(se il metabolismo è aerobio, eioè procede in presenza di ossigeno).

o
Negli animali superiori, compreso l'uomo, gli zuccheri alimentari, che consistono
essenzialmente in amido, glicogeno, saccarosio e lattosio (Chimica, § 13.2), vengono
degradati a monomeri e come tali assorbiti in circolo e convogliati ai tessuti, dove

347
Capitolo 4 _Biochimica metabolica © Artquiz

vengono ossidati nella glicolisi, che prodnce ATP e NADH (Biologia, § 4.2.2). In.
condizioni di digiuno l'organismo utilizza la riserva del glicogeno epatico, che viene
degradato a D-glucosio-1-fosfato per poter essere ossidato nella glicolisi.
I trigliceridi (Biologia, § 12.6) alimentari vengono trasportati come aggregati !i­
poproteici detti chilomicromi ai tessuti dove vengono degradati ad acidi grassi e
glicerolo per poter essere ossidati (principalmente dai nmscoli) o depositati come tri­
gliceridi (tessuto adiposo). In condizioni di digiuno il tessuto adiposo è in grado di
rilasciare acidi grassi per fornire energia agli altri tessuti (ad esclusione cli cervello e
globuli rossi, che 11011 sono in grado di utilizzarli). Anche le proteine possono essere

o
degradate ad aminoacidi e questi ossidati a scopi energetici. Ciò avviene se le proteine
alimentari sono in eccesso rispetto alle richieste dell'organismo per la sintesi di nuove
proteine, o in condizioni di digiuno, quando i c1u·boidrati sono carenti, oppnre nel
diabete, quando i carboidrati non sono utilizzati in modo appropriato. Le vie c1Ltabo­
liche sono convergenti, in quanto da glucosio, aminoacidi e acidi grassi viene prodotto
l'intermedio comune acetHCoA (Biologia, § 4.3). Eb-se rilascia.no energia libera, parte
della quale viene conservata mediante la formazione di ATP e parte viene rilasciata
sotto forma di calore.· L'ATP è"nna molecola ricca. cli energia perché possiede tre
gruppi fosfato legati tra loro mediante legami anidrici. A Ci.Ut:-m della carica negat.ivn,
contenuta in ogni gruppo fosfato nell'ATP c'è nna elevata concentrazione di ca­
riche negative. L'idrolisi enzimatica (da parte cli ATPasi) di ATP arl ADP riduce
questa concentrazione rli cariche negative e quindi libera energia (circa 7 kcal/molc)
che serve per le reazioni endoergoniche dell'anabolismo.
I primi due atomi di C clelPa.cetilCoA vengono ossidati a CO2 nel ciclo di Krebs,
durante il quale si ha la. contmnporanea riduzione di NAD + e FAD. La riossidaidone
cli NADH a FADH2 ad opera. dHll'ossigeno dnrantc la fosforilmdone ossidativa 8osticne
la sintesi cli elevate qnantitit di ATP e produce acqua. Il ciclo di Krebs e la fosfo­
rilazione ossidativa sono quindi le vie convergenti finali, comuni al catnbofonno di
carboidrati, lipidi e proteine (Fig. 4.1).

GRASSI POLISACCARIDI PROTEINE


� � �
acidi grassi glucosio e amminoacidt
e glicerolo altri zucchert
�- �
acettlCoA


CoA


.·l
:•
� elettroni

H,:')[I] �
ATP

F igura 4.1: Le tne cataboliche convergenti: OXPHOS {sistema della fosforila­


zione ossidativa).

348
il
o
@ Artquiz BIOLOGIA

o
L'anabolismçi è la fase sintetica del metabolismo, in cui i precursori semplici ven­
gouo uniti tra loro per costruire molecole complesse. Le vie mmboliche sono quindi
divergenti e richiedono energia, :,;otto forma di ATP. e potere riducente, principalmen­

D
te sotto forma di NAOH e FAOH2 (Biologia, § 4.:j), prodotti dalle vie cataboliche.
Nel metabolismo cellulare, carboidrati, lipidi e proteine subiscono quindi reazioni
cataboliche, ma costituiscono anche i prodotti finali di reazioni a11aboliche. Per esem­

o
pio, gli acidi grassi vengono ossidati per fornire energia ed equivalenti riducenti, ma
possono anche venire sintetizzati a partire da acetilCoA consumando NAOH, FAOlh
e ATP (la sintesi degli acidi grassi avviene prevalentemente nel fegato). Se sintesi e

o
degradazione avvenissero i;inmltaneamente in nna cellula, si avrebbe un ciclo futile,
co11 spreco di energia. Ciò viene evitato mediante la regolazione separata delle sequen­
ze catabolica e a.nabolica, in modo che quando mm è attiva l'altra venga bloccata.
La regolazione indipernfonte viene consentita, poiché le due vie sono catalhizate da
enzimi regolatori distinti (altrimenti entrambe le vie verrebbero inibite o attivate).
Inoltre, nel cnso degli acidi grassi, la via catabolica ha luogo nei mitocondri, mentre
quella sintetica nel citoplasma.

4.2.2 La glicolisi
Il principale substrato ossidabile per la maggior parte degli organismi è il O-glucosio e
la via. catabolica respomm.bile della sua ossidazione è la glicolisi, che probabilmente è
il processo metabolico piì1 antico per ottenere energia e l'unico presente ad ogni livello
di organi:!:�azionc della vita. Anche in alcuni tipi cli cellule dei mammiferi la glicolisi è

o
la sola (eritrociti) o la principale (neuroni, spennatozoi) fonte di energia metabolica.
La glicolisi com;ii-;te nella scissione ossidativa del O-glucosio in due molecole cli
piruvato (CI-IaCOCOO-), nella quale una parte dell'energia libera rilai;ciat.a dal glu­
cosio viene convertita in ATP e NAOH. Avviene nel cito:ml attraverso 10 tappe e pnò
c�ssere rins:mnta nella reazione:

o
O-glucosio+ 2 ATP + 2 NAD++ 4 AOP + 2 frn;fato--+
2 piruvato+ 2 AOP + 2 NAOH + 2 H+ + 4 ATP + 2 I·hO

o
e cam:cllando i termini comuni:

O-glucosio + 2 NAO + + 2 AOP + 2 fosfato--+

o
2 pimvato + 2 NAOH + 2 ATP + 2 H + -fJ 2 lhO

Poiché le cellule contengono nna quantità limitata di NAO+, la glicolisi si ·blocche­

o
rebbe /-ìe la forma ridotta NAOH non venisse continmunente rios.c.;idata a NAo+. In
condizioni aerobiche (glicolisi aerobia), cioè in presenza cli 0 2, le molecole di NA­
OH sono riossidate nella fosforilazione ossidativa. Inoltre il riruvato può entrare nei

o
mitocondri cd e:,;sere decarboi-;silato ad acetilçoA e quindi entrare nel ciclo di Krebs,
che, assieme alla fosforilazione ossidativa, fornisce elevate quantità cli· ATP (Biologia,
§ 4.3.2).

o
Quando i te::,suti animali 11011 sono riforniti con quantità �mfficicnti di 0 2 a /-ìoste­
nere la fosfqriluzione ossidativa, le molecole di NAOH forniate nella glicofo;i vengono
ossidate nel citosol a :,;pese del piruvato, che viene ridotto a latt.ato ad opera della
lattico deidrogenasi:
piruvato (CH3-CO-Coo-) + NAOH--+ lattato (CI-1:J-HCOH-COO-) + NAO+

o 349
Capitolo 4 Biochimica metabolica © Artquiz

La glicolisi anaerobica quindi sostiene la sintesi di sole due molecole di ATP per
ogni molecola di O-glucosio ossidata a 2 molecole di acido lattico. Inoltre, un intenso
lavoro muscolare in carenza di 02 (ad esempio in uno sprint) può portare ad elevate
concentrazioni di acido lattico e alla conseguente acidificazione del muscolo, che pro­
voca dolore, e del sangue (glicolisi anaerobica lattacida).
Nei lieviti e in altri microrganismi il glucosio viene fermentato ad etanolo e CO2
invece che a lattato mediante la deca.rbossilazione del piruvato ad acetaldeide, poi
ridotta ad etanolo con contemporanea ossidazione di NADH (fermentazione alco­
lica).

4.2.3 Il metabolismo del glicogeno


Nelle cellule animali la forma di deposito del O-glucosio è il glicogeno (Chimica, §
13.2.3), che consente di poter immagazzinare una grande quantità di unità di esoso
mantenendo relativamente bassa l 'osmolarità del citosol. Il glicogeno, che viene conti­
nuamente formato (glicogenosintesi) e demolito (glicogenolisi) da due vie distinte
regolate in modo reciproco (e.lai due ormoni, insulina che attiva la glicogenosiutesi, e
glncagone che attiva la glicogenolisi), è particolarmente abbondante nel fegato e nel
muscolo, dove è sotto stretto controllo ormonale. Nel fegato il glicogeno serve come
riserva di glucosio che viene rapidamente rilruiciato nel sangue per essere distribuito
agli altri tessuti e il suo contenuto varia significativamente in funzione dello stato di
digiuno/alimentazione (0,5-10 g di glicogeno/100 g di tesi:mto); nel muscolo invece
il glicogeno viene demolito per generare l'ATP necessario alla contra?rione muscolare
e la sua concentrazione rimane abbastanza costante (0,5-1 g di glicogeno/100 g di
tc.o:;snto).

4.3 Il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa


4.3.1 I mitocondri
I mi tocondri sono le 0 centrali energetiche" delle cellule eucariotiche, in quanto con­
tengono gli enzimi del metabolismo ossidativo (ciclo di Krebs, ,B-ossidazione degli acidi
grassi e fosforilazione ossidativa). Una cel�ula contiene in media 2.000 mitocondri, che
occupano circa un quinto del volume totale.
I mitocondri sono delimitati da una membrana esterna, liscia e contenente protei­
ne dette porine, che permettono la libera diffusione di molecole fino a circa 10 kDa.
I mitocondri contengono inoltre una membrana interna particolarmente ricca di pro­
teine (che costituiscono il 75% della sua massa) e organizzata a formare invaginazioni
dette creste. La membrana interna, che contiene gli enzimi della fosforilazjone os­
sidativa, divide i mitocondri in due compartimenti, lo spazio intermembr�na e la
matrice interna. Nella matrice è contenuto, oltre agli enzimi del ciclo di· Krebs e
della ,B-ossidazione, il macchinario genetico dei mitoconc.lri, costituito da DNA, RNA
e ribosomi, che tuttavia produce un numero molto limitato di proteine mitocondriali:
Una caratteristica funzionalmente molto rilevante è che la membrana interna mi­
tocondriale è impermeabile alla maggior parte degli ioni e dei metaboliti, come H+,
ATP, ADP, NADH e FADH2, e possiede numerose proteine di trasporto che ne con­
trollano il passaggio. Ciò permette la formazione di gradienti ionici e determina la
compartimentazione delle funzioni metaboliche dei mitocondri rispetto a quelle <lel
citosol.

350
o
@Art9_uiz BIOLOGIA

4.3.2 Il ciclo di Krebs


Il ciclo di Krebs (dal n0111e dello scopritore) o ciclo degli acidi tricnrbossilici o ciclo
delPacido citrico rappresenta il punto di convergenza del catabolismo degli zuccheri,
.degli acidi grassi e di nlcnni amin oacidi, che sono trasformati in acetilCoA nella mn­
trice mitocondriale. Nel ciclo di I<rebs .l'acetil CoA viene ossidato a due molecole di
C0 2 e l'energia redox viene conservata medi ant e la riduzione di NAD + e FAD e la
sintesi G TP. Nel caso degli zuccheri, la via "a monte" del ciclo cli Krebs è la glicolisi
che produce dne molecole di acido piruvico. Queste vengono trasportate attrnver­

o
so la membrana mitocondriale interna da uno specifico trasportatore e nella matrice
vengono trasformate in due molecole di acetilCoA per entrare nd ciclo cli I<rebs.
La decarbossilazione ossidativa del piruvato è accompagnata dalla riduzione di
NAD + aNADH:

piruvato (CH3 -CO-COO-) + CbA +NAD + ---?


acetilCoA (CH 3 -CO-SrvCoA) + C02 + NADH °"t" H +
Gli ,widi grassi vengono ossidati direttamente ad acetilCoA durante la /3-ossidazio­
ne. E.,;si sono trnsportati da nn trasportatore specifico sotto forma di esteri della
caruitinn. all'interno dei mitocondri, dove la ,B-ossiclazione li scinde iu ac<itilCoA, poi
ossidato dal ciclo di I<rebs. Per essere utilizzati a scopo energetico gli aminoacidi
vm1gono hman�itntto privnti del gruppo amminico, principalmcute dalle rea7,ioui di
transaminazione, e poi trasformati in acetilCoA attrn.vm-so serie cli reazioni, che
possono essere molto complesHe .
L'acetilCoA entra qniudi nel ciclo di Krebs dove, con 1111 complesl:>o di reazioui, nel
quale sono coiuvolti l'acido citrico, l'acido succinico e l 'aciclo ossalacetico, avviene la
riduzione d·i tre molecole di NAD+ a NADH e una di FAD a FADH2 e la vroduzione
dì 1ma molecola di GTP ver ogni molecola di acetilCoA degradata.

o· 4. 3. 3 La fosforilazione ossidativa
La fosforilazione ossidativa consiste nella sintesi cli ATP sostcmnta dalla respira­
zione cellulare. Avviene a livello della membrana mitocondriale interna, dove le forme
ridotte di NADH e FADH 2 vengono ossidate dai 4 complessi della catena re:-;pirato­
ria con contemporanea riduzione di 02 ad H 2 0, L'energia della reazione cli ossido­
riduzione viene utilizzata per pompare protoni attnwerno la membrana e creare un
gradiente di concentrazione protonica. Tale potenzia.le chimico viene utili�zato per
sostenere la l-lintcsi di ATP da ADP e fosfato inorganico (Pi) catali�zata dal complesso
enz�matico ATP siutasi (Fig. 4.2).
In sintesi, per ogni molecola di acetilCoA che vien<-i m;sidata nel ciclo di Krebs a 2
molecole di C02 si ha la sintesi di 12 ATP. Per l'intero processo cli m;sidazione aerobia
di 1 molecola di O-glucosio t\ 6 molecole di C02 tramite la glicolisi, la remdone della
piruvato deidrogenasi, il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa la resa globale è
di 38 ATP:

C5H1 2 0o + 38 ADP + :{8 fosfato + 6 02 ---? 6 C02 + 44 H 20 + 38 ATP

o La glicolisi aerobia produc<� quindi 19 volte più ATP ddla glicolisi anaerobia.

351
Capitolo 4 Biochimica metabolica © Artquiz

spazio intermembrane
4 H+ 4H
+
2H +

NAD + 02
succi nato
fumarato
matrice

ADP + Pi 3/4 H + ATP

Figura 4.2: Il .i;;istema <Lella fosforilazione ossidativa: le frecce nere ·indicano il


flusso di elettroni, quelle grigie il fl·11.sso di protoni, le frecce curve la. direzione
delle reazioni chimidie. Il flusso di elettroni genera il flusso di protoni con­
trocorrente. I protoni nell'attraversare inclietro la membrana attivano l'ATP­
sintasi che trasforma ADP in ATP mediante l'aggiun,ta <li fosfato inorganico
{Pi). Gli elettroni rilasciati da NADH (e FAD/f2) vengono presi da 02 che :;i
rid1tce acl acqua.

4.4 La fotosintesi

La fotosintesi è il processo mediante il qnn.Ic viene catturata l'energin. della luce e


convertita nell'energia chimica di composti organici ridotti (principalmente _qlucòsio,
saccarosio e glicogeno) ottenuti dalla riduzione cli C02. Gli organismi che la cata­
lizzano sono le piante e alcuni tipi <li batteri �ianobatteri, solfobatteri, rodobatteri),
che vengono definiti fotosintetici'o autotrofi. &si forniscono l'energia biologica agir
eterotrofi, che la utUizzano mediante le reazioni ossidative del catabolismo.
La fotosintesi avviene a livello della membrana plasmatica nei batteri e alPinterno
dei cloroplasti nelle piante. Nelle piante e nei cianobatteri produce 02 dall'ossidazione
dell'H20 (fotosintesi ossigenica). .� .
I cloroplasti delle piante sono organelli intracellulari del diametro di pochi' micron
circondati da due membrane, di cui la pii1 intema delimita il compartimento interno,
che contiene molte vescicole appiattite dette tilacoidi, org�nizzate in pile chiamate
grani e circondate dallo stroma.
La fotosintesi si compone di due fasi: le reazioni alla luce, che avvengono solo
in presemm di lncc, e le reazioni indipmulniti dalla luce (impropriamente chiamate
reazioni al buio), più propriament.c definite di assimilazione o di fissii.zione del car­
bonio, che utilizzano i proclotti delle reazioni alla luce. Nelle reazioni alla luce la
clorofilla e gli altri pigmenti contenuti nei t.ilncoidi assorbono l'energia luminosa e la
conservano �otto forma di ATP e di NADPH, che si genera dalla riduzione di NADP+

352
o @ Artquiz BIOLOGIA

con la contemporanea fotolisi <li H2 0 a 02 (la reazione decorre nel verso opposto
ris petto alla respirazione cellulare grazie all, energia luminosa); nelle reazioni indipen­

o
denti dalla luce ATP e NADPH vengono utilizzati nello stroma per ridurre C0 2 a
e;liceraldeide-3-fos fato attraverso il ciclo di Calvin-Benson e quindi a glucosio (Fig.
4.3).

NADPH

o NADP+ + H
+

o
o
o stroma

o ADP + Pi ATP

o Fignra 4.3: Le reazioni alla luce dellafotosinte.'3i: le frecce dritte e nere indicano
il flusso di elettroni, quelle ,qrigie il flusso di protoni. PSI (fotm�istema I); PSI!
J);
o
(fotosistema II); ba/ (c.itocromi b6 pc (plastocianina); e (comple sso che libera
02 ), CFoF1 (ATP sintasi).
\

o 4.4.1 Le reazioni alla luce

o
I pigmenti che nei tilacoicli delle piante assorbono la luce sono le clorofille, pigmenti
verdi costituiti da Htruttnre policicliche planari simili nH'eme dell'emoglobina (Chi­
mica, § 13.3). Esse coordinano al centro uno ione Mg2 + e i-;ono in grado di assorbire
,

o
luce visibile nella regione del rosso (maggiore lunghezza d onda) e del blu, dando
luogo alla reaxione di fotoossidazione. Assorbendo fotoni le clorofille passano ad uno
stato eccitato, in cni nn elettrone viene trasferito da un orbitale molecolare legante

o
ad un orbitale ad alta energia. Le molecole di clorofilla cosi eccitate sono forti ridu­
centi e decadono in tempi di picosecondi (10-1 2 s), trasferendo gli elettroni eccitati
ad una catena di accettori molecolari e quindi ossidandosi. Gli elettroni alla fine della

o
catena vengono presi da molecole di NADP + che si riducono a NADPH. Le clorofill e
fotoossi<late, in quanto radicali liberi cationici, sono forti ossidanti e ritornano allo
stato energetico di base riducendosi e ossidando donatori di elettroni, come PH2 0
che si ossida in 0 2 . Nelle membrane tilacoidali accettori e donatori di elettroni sono
i;trettamcnl;c associati a molecole di clorofilla, ·in sistemi comple:.;si definiti centri fo­
to chimici di reazione (fotosistema I e fotosistema II, PSI e PSII).

353
Capitolo 4 Biochimica metabolica @ Artqui1.

Le clorqfillc presenti nelle piante verdi sono di vario tipo e sono caratterb�zate da
spettri di assorbimento della luce complementari, così da nmplinre la regione di asRor­
bimento dei fotoni. La luce assorbita viene inviata ai centri fotochimici di reazione,
dove avviene la fotoossidazione secondo la reazione:
2 H20 + 2 NADP + + 8 fotoni � 02 + 2 NADPH + 2 H +
Uassorbimento di 8 fotoni consente il passaggio di 4 elettroni da 2 molecole di
H20 a 2 molecole di NADP + , producendo una molecola di 02 e due di NADPH. I
protoni prodotti dalla reazione si accumulano alPinterno, generano un gradiente che è
opposto rispetto ai mitocondri e che vione utilizzato per sintetizzare ATP da ADP e
fosfato, nel processo definito fotofosforilazione ossidativa. La sintesi è cataÌizzata
dal complesso della ATP sintasi legato alla membrana interna dei tilacoidi, che è
molto simile a quello presente nei mitocondri (Fig. 4.3).

4.4.2 Le reazioni indipendenti dalla luce ( ciclo di Calvin-Benson)


Le reazioni indipendente dalla lncc formano il ciclo di Calvin-Benson e hanno luogo
nello stroma dei cloroplasti. Esse utilizzano NADPH e ATP prodotte nelle reil7.ioui di
fotoossida:r,ione e C02 per produrre glucosio con mm serie cli reazioni complesse in cui
viene utilfazato un enzima, il ribnlosio 1,5-bifosfato carbossilasi, chiamato rubisco
(l•enzima in assoluto piit abhondrn1 tc nel pio.neta). Ucnr.ima permette-: Pattacco clel­
Panidridc carbonica al rihnlosiol.5-hifosfato, uno zucchero a 5 atomi cli carbonio con
fomm1,ionc cli dm, molecole con 3 atomi cli carbonio. Il prodotto finale della reazione
sono 2 molecole di gliceralcldde-3-fosfato che servono per la sintesi 1H nua molecola
di glucosio. Per questa reazione vengono commmat.c 3 molecole cli ATP (9.1c si tra­
sformano in ADP) e 2 molecole cli NADPH (che Hi t.rasformano in NADP+ ) prodot.tc
dalle reazioni dipendenti dalla luce.
La reazione complessiva della fotosintesi, che viene definita anche di organicazione
del carbonio, è praticamente opposta alla demolizione ossidativa del glncosio:
6 C02 + 6 H20 + energia (686 kcal/mole) --t C6H 1 20a + 6 02
Uenergia necessaria per ottenere una mole di glucosio è ottenuta dalla i<lrolisi di
18 moli cli ATP e dalla ossida�ione <li 12 moli di NADPH.

354

Capitolo 5

Le basi della genetica

o 5.1 Caratteri

Alla base della genetica classica c'è il concetto di gene: fattore èn·cclitario capace
cli condizionare una particolare caratteristica semplice o carattere. Con il termine
carattere s'intende tutto ciò che �i può osservare o misurare in un organismo.
I caro.tteri si possono dividere in caratteri qualitativi e quantitativi. r primi
(colore dei petali di nn ti.ore, colore della pelo cli un animale, ecc.) sono difficilmente
mi.m• rahili, hanno una variabilità clh,continua, non sono inflnemmti dall'ambiente. Per
la maggior parte cli questi caratteri la. manifestazione esteriore (fenotipo) dipende di­
rettamente e unicamente dal patrimonio ereditario (genotipo) e sono regolati da uno
o pochi�imi geni.
I caratteri quantitativi (altez:m, peso, ccc.) esprimono nna quantità e sono per­
ciò facilmente misnrabili, flono a variabilità continua, sono fortemente influenzati
dall'ambiente e dipendono da un gran numero di geni (ereditarietà poligenica).

o 5.1.1 Alleli, genotipo e fenotipo

o
I geni sono tratti di DNA presenti nel genoma in duplice copia (una di origine materna
e una paterna) e sono localizzati in un punto specifico del DNA detto locus. Ogni
gene può presentare due o più forme alternative dette alleli. Per cui, il termine

o
allele si usa quando si vuole mettere in evidenza una delle forme alternative di un
gene. I diversi modi in cui si può manifestare un carattere in un singolo soggetto si
dicono fenotipi. Per esempio, per il carattere colore degli occhi, nella specie umana

o
possiamo distinguere soggetti con fenotipo occhi chiari e soggetti con fenotipo occhi
scuri. Nelle specie a riproduzione sessuata per ogni gene un individuo possiede due
alleli, ognuno di provenienza da un genitore. Le combinazioni alleliche di uno o più
geni in un soggetto si dicono genotipi. Nel modello mendeliano classico, gli alleli
possono avere un effetto dominante o recessivo. Un allele con effetto dominante
è sempre espresso (cioè, si manifc.c.;ta) a livello fenotipico, sia quando è presente in

o
una copia che quando è presente in due copie. L'allele con effetto recessivo, invece,
è espresso, solo se sono presenti due copie dello stesso allele (cioè se il genotipo per
quel gene è omozigote, vedi infra).

355
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artqniz

5. 1.2 Omozigosi ed eterozigosi


Gli organismi (o le cellule) provvìsti cli due copie (alleli) cli ogni gene sono detti
diploidi; i due alleli cli un gene presenti in un organismo diploide possono essere
uguali (condizione detta omozigo si) o diversi (condizione detta eterozigosi).
Perciò un orga11ismo che per un dato gene possiede alleli uguali si dice omozigote
per quel gene. Viceversa, un organismo che per un dato gene possiede alleli diversi si
dice eterozigote per quel gene.

5.1.3 Ttasrnissione dei caratteri: leggi di Mendel


I meccanismi dclJ > ercclitarictà hanno incominciato a farsi strada con il lavoro di Gre­
gorio Mendel (1822-1884), nn monaco ceco che basò le proprie affermazioni sull'os­
servazione della riproduzione iucrociata tra diverse varietà di piselli.
Nella sua ricerca prese in consiclcra.ifone caratteristiche ben definite della specie
Pisum sativum, il pisello da giardino, che presentavano poche variazioni. Un indivi­
duo della pianta di pisello contiene sia i gameti maschHi (granuli cli polline) che quelli
femminili (ovuli). Per cui, con queste pianto è po&;ibile ottenere incroci sia tra sog­
getti cliversi che trn Io stes::io soggetto (autoiucrocio o autoimpollinazione). Mend_el
per i suoi studi sc:Ioi.ioua le cosiddette linee pure, cioè popola.¼ioni cli soggetti che,
se incrocia.ti tra loro molte: volte (o atttoincrocia.ti), mo�travano per un clato carattere·
sempre Io stes.<-:o fenotipo. Egli conclui;se numerosi e.<;pcrimenti tenendo nota elci eia.ti
numerici dei risultati degli incroci. Da queste osserva1.ioni egli formulò tre leggi, note
come leggi cli Menckl, che poi vennero riassunte in due leggi: legge della scgrega¼ionc
e legge dell'assortimento indipendente.

Legge della segregazione indipendente: I due membri di mm coppia cli alleli


si separano e segregano indipendentemente quando si formano le cellule germinali.
Incrociando due individui puri, generazione parentale (P), che differiscano per il feno­
tipo di un dato carattere, si ottengono nella prima genera1.icme (Fl) discendenti con
caratteristiche omogenee rispetto al carattere in questione, cioè nella Fl uno dei ca­
ratteri scompare completamente, senza lasciare traccia. Questo fenotipo e altri aventi
Io stesso comportamento, vengono detti recessivi, mentre quelli che determinano il
fenotipo della pianta clella Fl prenclouo il nome di dominanti.
Gli individui etera1,igoti della Fl sono definiti ibridi, in quanto generati da sog­
getti puri ma con fenotipo diverso tra loro. Per verificare ulteriormente la condir.ione
di dominania, Mendel incrocia per autoimpollinazione individui Fl. Nella genera­
zione così ottenuta. (F2) i fenotipi non sono uniformi, ma si rimanifcstano i fenotipi
parentali secondo questi rapporti: 3/4 dei discendenti presenta il fenotipo donhnante;
1/4 dei discen<lenti presenta il fenotipo recessivo (presente in uno clei progenitbri della
generazione P).
Dunque, i fenotipi recessivi, �comparsi nella Fl, riappaiono nella F2. Per esempio,
se si incrociano due piante di pbmllo pure che per quanto riguarda il colore del seme
differiscono tra loro (avendo l'una fenotipo gi�llo e l'altra verde), nella Fl il 100%
degli individui avrà fenotipo giallo con il fenotipo verde che scompare. Dunque, in
quest'esempio, giallo è dominante rispetto a verde. Le piante gialle della Fl sono indi­
vidui ibridi. Quando quest.e cellule si fanno riprodurre per autoincrocio (si incrociano
fra di loro), nella F2 tre quarti dei soggetti avranno fenotipo giallo mo. in un quarto
dei soggetti ricompare il fenotipo recessivo verde. La compo.rsa di questi fenotipi nello.

356
@ Artquiz BIOLOGIA

Fl e nella F2 viene �piegata con il seguente modello. In un individuo adulto (in una
cellula somatica), UII dato ca rattere (per esempio il colore del seme) è controllato da
un gene presente in clue copie (alleli) (corredo genetico diploide). Quando l'individuo
forma i gameti, i due alleli si separano (segregano) e ogni gamete contiene 1111 solo
allele (corredo genetico aploide).
La nuova generaiione cli individui è creata dall'incontro casuale di un gamete ma­

o schile· con uno femminile, ricostituendo il corredo genetico con due alleli (diploide).
Il fenotipo verrà determinato dalla combin azione di alleli presentì in nn individuo: il

o
fenotipo dominante sa rà dovuto al la presenza dì due alleli domìmu1ti ( soggetto omo­
zigote per l'allele dominante) o di un allele dominante e un allele recessivo (soggetto
eterozigote); il fenotipo recessivo sarà determinato dalla presenza cli due alleli recessivi
(soggetto omo'.tigotc per l'allele recessivo). I concetti di dominanza e recessjvità, dun­
que, dai fenotipi possono essere traslati agli alleli. Un a llele dominante si manifesta a
livello fenotipico sia in omozigo si che in eterozigosi; un allele recessivo si manifesta a
livello fenotipico solo in omozigosi, 1

parentali o
88 bb

gameti
i i ..
8

o I generazione ibrida
F1

o
gameti Figura 5.1: facTociando <lue linee
p1tre mn genoti7>0 BB (pisello gial­
lo) e bb (pisello verde} alla prima

o
generazione F1 si ottengono tut­
ti in<lfoi<lui ibridi Bb con fenotipo
giallo. Quando si autoimpollinano
Il generazione Ibrida tm loro questi ibridi, nella seconda
F2 generazione F2 si ottengono 1/4 di
B = allele dominante Jliselli gialli BB, 1/2 · pi.<;elli gialli
b = allele recessivo Bb e 1/4 <li piselli verdi bb.

Legge dell'assortimento indipendente: I membri di differenti coppie di alleli


vengono assortiti indipendentemente l'uno dall'altro quando r-.;'i formano le cellule ger­
minali. Incrociando due individui differenti per dne o piì1 cm·atteri, si può os.c;ervare
che ciascun carattere compare nei figli indipendentemente dagli altri e variamente
associato.
Mendel incro ciò due ceppi di piselli di linee pure, che differivano per due coppie di
caratteri: ad esempio piante che producevano semi gialli e lisci con piante che produ­
cevano semi verdi e grimmsi. Nella ·prima generazione ottenne tutte ptante che pro-
1 Nel modello mcncleliallo un gene controlla. un carattere. Pcniltrn, esistono tu.ntissimc situM:ioni
in cui un gene controllii o inflnemm più di un carattere. Questu è un fonomeno molto comune e viene
indicato con il termine "plr!iotn,pirt". Dunque, un gene hn un effetto pleiotropico quando influenza
più caratteri.

o 357
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz

ducevano piselli gialli e lisci (cioè con i due caratteri dominanti). Successivamente,
attraverso l'incrocio di questi "diibridi" Mendel ottenne:
• piante con i due caratteri dominanti (piselli gialli e lisci);
• piante con un carattere dominante e uno recessivo (piselH verdi e lisci);
• piante con l'altro carattere dominante e l'altro recessivo (piselli gialli e rugosi);
• piante con entrambi i caratteri recessivi (piselli verdi e rugosi).
La proporzione tra queste quattro categorie era eguale a 9:3:3:1. (Fig. 5.2)

•l
Questa legge è perfettamente valida per geni che si trovano in cromosomi differenti
mentre è solo in parte verificata per i geni dello stesso cromosoma .

Linee pure t,,{f,�'1:-..


\�iJ' X
YYRR yyrr

l
@) 0
f><l
F1 o &,�i\n
-f- f!'f;:'1 X
. YyRr

ij.
@1®1@10
(:r,9 gialli lisci
rJ) 3 gialli rugosi
e 3 verdi llscl
• 1 verde rugoso

Figura 5.2: L incrocio pisello giallo liscio YYRR x verde rugoso yyrr produce
1

in F1 tutti piselli gialli lisci Y yRr; l 'incrocio di questi di ibridi tra loro pro,duce
in F2 una popolazione varia: 9 gialli lisci, S verdi lisci, 3 gialli rugosi e 1 Jerde
rugoso.
I

Il testcross o reincrocio viene usato dai genetisti come prova per stabilire se un
individuo con fenotipo dominante è omozigote o eterozigote, poiché i due organismi,
genotipica.mente diversi, sono indistinguibili fenotipicamente.
Il testcross è l'incrocio tra un individuo con fenotipo dominante, ma di genotipo
incognito, con un fenotipo recessivo (sicuramente omozigote recessivo). Se nella di­
scendenza il 50% ha fenotipo dominante e il 50% recessivo, il genitore è eterozigote.
Se invece tutti i discendenti presentano carattere dominante, il genitore è omozigote.

358
© Ar!_qui7, BIOLOGIA

o
testcross

o
/'' ·,,
X i._,!/"">-
�-.:J
!

Fenotipo dominante Fenotipo recessivo


G�notipo sconosciuto Genotipo noto
PP o Pp? pp
Figura 5.3: Incrociando due pian­
te di 1,isello una a fiore viola di
genoti7,o incognito con una a fiore
Attese bianco, omozigote recessiva pp, si
pp possono ottenere discendenti tutti

., ..
Pp
viola o metà bianchi e metà vio­

o
o
la. Se i piselli sono tutti a fio­
re viola allora ,ti. genotipo incogni­
®6 ®
o
to era omozigote dominante PP;
Pp Pp Pp Pp viccv,�rsa Be i piselli hanno fiori
r.
06 61
metà bi<mchi e metà viola, allora il
Pp Pp ® �':;;- ÀtF
pp pp
genotipo inco,qn·ito era eterozigote
Pp.

5.2 Rapporti mendeliani atipici

o
5.2.1 Dominanza incompleta e codominanza
Le caratteristiche dominanti e recessive non sono sempre così nette come osservato

o
da Mendel r1ella pianta di piHello. Alcune caratteru;tiche sembrano mescolarsi: per
c>sempio, incrociando una pianta di "bella cli notte11 (MirabiliB .ialapa) a. fiori rossi RR
(omo½igote dominante) con un 1 altra a fiori bianchi rr (omm�igote recessivo), in prima

o
generai;ione Fl si producono eterozigoti cli colore roi:m. Rr. Quando le piante ibride
rosa ,.;i antoincrociano tra loro, i colori rosso e bianco ricoufafono nella generazione
F2 nella quale �mno prodotte piante con fiori ro8sÌ, roim e bia.nchi in rapporti dì circa

o
1:2:1. Questo fenomeno, in cui il fenotipo delPeterrndgote è intermedio tra quelli dei
due omrndgoti, è eletto dominanza incompleta. II fenomeno può essere spiegato
dalla dominan¼a incompleta tra Pallele CR per il colore ros.')o del fiore e Pallcle cr

o
per il colore bianco. L 1allele cR codifica nn enzima che produce un pigmento rosso,
ma sono necessarie due copie delPallele c R per produrre una quantità dì e1rnima (in
forma attiva) sufli.cicmte a determinare il colore ros.')o. Nelle piante C1·cr Pen:tima è

o
inattivo completamente e le piante hanno fiori bianchi. Le piante eterozigoti C R cr
hanno un unico allele c R e dunque producono una quantità cli pigmento sufficiente a

o
determinare solo il colore rosa· dei fiorì. Quando sì incrociano due piante eterozigoti
a fiori rosa, i colori rosso e bianco ricompaiono nella F2 insieme al colore rosa.
In altri casi gli alleli possono agire da coclominanti; in questa condizione ambedue

o
gli alleli si esprimono in maniera uguale, per cui Petero¼igote manifesta il fenotipo di
entrambe Io sitna�ioni omozigoti. Questa condizione è dunque detta codominanza
e i due alleli �ono eletti codominanti tra loro.

359
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

X :' ; ,, rr
p /.·..,.t ••,,
rosso -!_.,
- -\ _ _ • bianco
-;.!- - - -
R r

./\
F1
rosa ..
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- - - - - - -1-
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rosa

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V ,., ...,\ /
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r
'- ._,.,. /

'
, rr //
/
Figura 5.4: E.<;ernpio di dominanza in­

I I I
completa tra clu.e piante di Bella di notte
rosso ros� bian�
• I ,,,
. a fiori rosso e bianco: nella F1 tutti i
,a

1 2 i' · 1 .-�...... fiori sono rosa.

1ì·a gli esempi di codomhmnza possiamo citare il gruppo sanguigno del sistema
MN. M e N sono antigeni e.c;pressi sngH eritrociti umani, indipendentemente dagli
antigeni ADO. Il sistema MN è controllato da n11 gene e gli alleli che determinano il
gruppo sanguigno MN sono due, LM e LN . Essi sono codominanti, cioè coesistono.
Individui M hanno solo alleli LM ; individui N hanno solo alleli L N e gli eterozigoti
MN possiedono entrambi i tipi di molecola sulla superficie del globulo rosso. Nella
Tabella 5.1 sono desci'itte le combinazione dei genot�pi e i corrispondenti fenotipi.

Genotipi Fenotipi Tabella 5.1: Esempio di codominanza: il gruppo


sanguigno MN esprime entrambi gH alleli M e N
LMLM M sulla superficie delle emazie.
LM LN MN
LNLN N

5.2.2 Alleli multipli e gruppi sanguigni r,



È stato osservat.o che molti geni sono presenti nelle popolar.ioni in più di clue forme
alleliche: ci possono essere tre o più alleli diversi per unQ stesso locus e questa condi­
zione viene definita allelia multipla o poliallelia. Il concetto di allelia multipla si
evidenzia solo in una popolazione poiché ciascun individuo può avere solo una coppia
di alleli per ogni gene (perché diploide), una su un cromosoma e una sull'altro omo­
logo. Alcuni individui di una certa popolazione possono avere gli alleli B e b, altri gli
alleli b 1 e b2, altri ancora b3 e b5 e così via.
Quindi, anche se un individuo può avere solo due alleli di uno stesso gene, nella
popolazione ce ne possono essere molti cli più. L'origine degli alleli multipli è dovuta

360
© Artquiz BIOLOGIA

alle mutm�ioni. Alcuni loci sono molto stabili e 11011 presentano che un solo allele
(monomorfici), altri, come quelli trattati in precedenza, ne presentano due (dimorfici)
e altri di più (polimorfici). Ciò dipende dal fatto che il segmento di DNA che forma
la base fi�ica del gene è più o meno sensibile alle mutaiioni> che intervengono a modi-
0ficare le caratteristiche di un allele già esistente tramutandolo in una nuova versione,
cli poco differente dalla prima, dello stesso gene.
L'allele più diffuso in una popolazione viene indicato come allele selvatico o
wilde-type, mentre gli alleli alternativi sono eletti alleli mutanti.

o
Si definisce polimorfismo genico, invece, nna variazione genetica con una frequen­
'.la superiore all'l % nella popolazione che non provoca generalmente alcuna evidente
conseguenza biologica.

o
Un esempio molto noto dì allelia multipla e di varianti polimorfiche è quello dei
gruppi sanguigni ciel si.<;tema AB0. II tipo di gruppo sanguigno nell'uomo è determi­
nato eia 3 a.lleli: IA , 1 13 , 1° , con entrambi gli alleli J A e 1 8 coclominanti. Sulla. superficie
dei globuli rossi si trovano delle glicoproteine diverse la cui composiiioue glucidica è
rappresentata. clagli antigeni ciel g1·uppo AB0. · Le persone cli grup110 A presentano sul­
le emn½ie l'antigene A e nel siero anticorpi contro antigene I3, le persone cli gruppo I3
hanno l'antigene B e ant.icorpi auti-A. Gli individui cli gruppo O non hanno antigeni A
e B, ma ha.uno anticorpi auti-A e anti-B. Gli individui di grnppo AB, che presentano
entrambi gli antigeni di superficie A e B, non hanno iU1ticorpi contro gli antigeni cli
superficie. La Tabella 5.2 mostra i quattro gruppi sc.mgnigui con i relativi genotipi
che derivano clalln combiua�ione diverse clegli alidi I A , 1 13, 1 ° .
Oltre a.I SÌ.<.;tema AI30, la maggior parto degli uomini pr<.!senta sui globuli rossi
nn fattore agglutinante, il "fattore Rhes11,.c; (o Rh)"; gli iucliviclni i cui globuli rossi
presentm10 tale fottore (1'8G% circa della popolmdoue di n1.z·1.a bianca) sono detti Rh
positivi (Rh + ), m9ntre gli altri (il restante 15%) sono ck:tti Rh negativi (Rh-). An�
che il fattore Rh viene trm:;messo secondo le leggi di Mendel, ma iudipenclentemeute
dai gruppi del sistema AB0. Per quanto riguarda. il fattore Rh gli alleli sono due:
D (dominante e responsabile dell'Rh+ ) e cl (recessivo: Rh-). Nella Tabella 5.2 sono
descritte le combina¼ioue elci genotipi e i corriBponcleut;i fenotipi.
II sangue scambiato tra le persone deve essere grnppo-compatibìle e cioè: il san­
gue della persona ricevente non deve contenere anticorpi contro le proteine presenti
in quello del donatore. In caso contrario, le cellule clonate vengono riconosciute come
estranee e, quindi, clb;truUe. Un soggetto elci gruppo O R.h- viene definito donatore
universale in quanto i �·uoi globuli rossi non 80110 riconosciuti eia alcun anticorpo e,
quindi, può donare il suo sangue a tutti, ma. pnè> riceverlo solo ed esclusivamente da
persone che appartengono al suo stesso gruppo. AI contrario, il ricevente univer­

o
sale è un soggetto del gruppo AI3 Rh + , poiché non possiede alcun tipo cli anticorpo
e, pertanto, può accettare qnalsiasi tipo di gruppo sangnigno.

Tabella 5.2: Genotipi e fenotipi dei gruppi sanguigni e del Fattore Rh.

Genotipi Fenotipi Gen otipi Fenotipi


JAJA, JAJO A DD Rh +
1n1n , 1 B1o B Del Rh+

o
J A 1n AB cld Rh-
1010 o

..,
361
Capitolo 5 Le basi clella genetica @ Artquiz

5.3 Mitosi, meiosi e cromoso1ni

5.3.1 Cromosomi, ciclo cellulare e mitosi


In tutti gli organismi viventi è presente una sostanza detta. materiale genetico. 'Il-anne
per alcuni virus, questa sostanza è il D�A (acido desossiribonucleico). Nel DNA sono
contenute "informazioni" attraverso cui un organismo si sviluppa e vive e che vengono
trasmesse alla progenie. Le uniti\. funzionali del materiale genetico sono detti geni.
II DNA è organizzato tu grandi strntture dette cromosomi. Per cui i geni sono co­
stituiti da DNA e sono localizzati nei cromosomi. I cromosomi sono trasmessi da una
generazione all'altra e da una cellula madre alle cellule figlie. Dunque, i cromosomi
sono tramnessi attraverso le divisioni cellulari.
Negli eucarioti abbiamo due tipi di divisione cellulare: mitosi e meiosi.
Benché questi due processi siano abbastanza simili, il loro risultato è molto differente.
La mitosi determina la produzione di clne cellule, ogunua con Io stess� numero di
cromosomi della cellula madre. Queste cellule si dicono diploidi perché contengono
due copie di genoma (e dunque due copie per ogni cromoi;oma), 11110 proveniente dal
pa<lre, l'altro dalla madre. I due cromosomi cli una coppia vengono detti omologhi.
La mitm;i è la modalità cli divisione cellulare con cui le cellule somatiche (tutte le
cellule dell'organismo, tranne i gmm:ti) proliferano.
La meiosi, invece, determina la produ7.ione di cellule con un numero di cromosomi
dimert:mto rispetto alla cellula madre. La meioi;i è la modalità di divisione cellulare
con cui da cellule somatiche si producono gameti (spermatozoi o ovociti negli anhuali).
La produzione di gameti è essemdale per la trasmi�ione dell'iufonnazione genetica
alle generazioni succesf:ìive. I gameti possiedono solo una copia di genoma e, dunque,
una sola copia dei due croniosomi omologhi. Dnuqne, avendo spermatozoi e ovociti
una sola copia di genoma, queste cellule vengono dette aploidi.
Prima di descrivere le varie fasi in cui si articolano mitosi e meiosi, bisogna intro­
durre il ciclo cellulare. Con il termine "ciclo cellulare", si indica la serie di eventi
che avvengono in una cellula cucariota tra una divisione cellulare e quella successiva.
La clurata del ciclo cellulare varia col variare della specie, del tipo cli cellula e delle
condizioni di crescita. II ciclo cellulare è descritto nella Figura 5.5.

M _)GÒ

G2 \/
/'\\ G1

s Figura 5.5: Schema delle fasi del ciclo cell�lare.

Esso è anche detto ciclo di duplicazione cellulare (CDC) ed è composto dalla


divisione cellulare vera e propria (M) e dall'intcrfose. Quest'ultima comprende 3 fasi
differenti che si succedono:
• Gl: (Gap 1) è l'intervallo che segue la mitosi e precede la duplicazione del DNA
• S: è la fase in cui il DNA cellulare viene duplicato
• G2: (Gap 2) fa.se di prepara'.tione alla mitosi/meio::ii; è l'intervallo tra la dupli­
cazione del DNA e la nuova mitosi.

362
© Artquiz BIOLOGIA

Durante l'interfase l'attività metabolica è intensa. La cellula può anche uscire


dal ciclo cellulare e andare nella fase GO. In questa fase la cellula è quiescente da l
punto di vista della proliferazione cellulare e non si divide. Var i segnali extracellulari
possono far uscire la cellula dalla fase GO e farla entrare in G 1. Il ciclo cellulare è
·unidirezionale Gl (-+ GO) -+ Gl -+ S -+ G2 -+ M.
I cromosomi mitotici costituiscono il massimo grado di compattazione del DNA e
si riescono ad osservare unicamente durante la divisione cellulare. Infatti, quando una
cellula non si divide, una certa parte del DNA è decompattato e appare nel nucleo
come un network diffuso (cromatina). 2
Schematicamente, nel nucleo di una cellula che non si divide si possono distinguere
l'eucromatina (corrispondente al DNA decompattato; i geni contenuti nel DNA
decompattato sono attivi: viene prodotto RNA) e l'eterocromatina (corrispondente
a DNA fortemente compattato; i geni contenuti in esso sono inattivi). Quando una
cellula si divide, è fondamentale che si producano cellule figlie con la stessa quantità di
materiale genetico (che abbiano cioè gli stessi cromosomi); ciò si ottiene pii1 facilmente
se il materiale genetico è molto compattato come dura.nte la 1n:itosi, in partièolare
durante la metafase (Fig. 5.6).

11il�
o
Dopplaellca
del DNA

2 '�I Cromatina nella forma di


"collana di pe1le"

o 3 I;>
(,.)I
3 �

iI Fibre di nucleosomi
spiralizzate

4 0
::,
3
..
1
,
"r" ·.-

�,��!
I� ò� 1' f\i:J1,a:-i';,"', tJ{.�. -.
l
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. o 11:1 ( \.J ')
�� �i��) 1
1
/"X' .
J -· ' '
.� �
.
Condensazione delle
fibre spiralizzate

I
'

o 1f
Cromosoma metafasico

5 '
Fignra 5.6: Illustrazione della ge-

o
rarchia di compattazione del DNA.

21n effetti la cromatina è costituita sia da DNA che da proteine ad esso adesc. Viene chiamata
cos} perché è colorata intensamente (blu-viola) clall 1 cnmtossilina 1 unn sostnmm molto usata per la
colorazione dì cellule da osimrvarc al microscopio.

363
Capitolo 5 Le basi <lella genetica © Artquiz

La cromatina si condensa.
L fovolucro nucleare scompare.
Profase

I cromosomi duplicati si allineano


a livello della piastra equatoriale.
Metafase

!
I centromeri si dividono e I
cromalidi fratelli si separano.
Anafase

La cromatina si condensa.
Il citoplasma si divide.
Telofase
Fig1trn. 5.7: La mitosi
Le due cellule flg� e le .me fa!ri.

La mitosi è caratterii1m.ta dal susseguirsi cli 4 fasi: profase, metafase, anafase


e telofase (Fig. 5.7).
I centrioli hanno uu molo fondamentale nel meccanismo della mitoi-;i. Durante
l'interfase essi si trnva.no nel citoplasma (vicini all 1 invol11cro nucleare) in una struttu­
ra chiamata centro.wnna e nella profase migrano ai poli della cellula, dove orgar1i7,r.a110
le fibre del fnso mitotico, una serie cli microtnbuli che vanno da. 1111 polo all'altro della
cellula e che sono rc:-1po11sabili della migrazione dei cromrnmmi. Sempre durante la
profase, l'involucro nucleare gradualmente scompnre così come il nucleolo.
Nella profase inizia la compattaiione dei cromosomi i quali sono già duplicati (la
cluplica:tioue è avvc1111tu durante la fo.sc S), tranne in l\na zona detta centromero. I
cromosomi duplicati cominciano ad e&>ere visibili durante il passaggio dalla profase
alla metafase. Questo intervallo è detto prometafase e corrisponde al momento del­
la migrazione dei cromosomi duplicati verso l'equatore della cellula. In prometafa.-,e
i cromosomi 11011 sono ancora completamente compattati e appaiono come strutture
molto allungate.
La metafase corrisponde al momento i cui i cromosomi si trovano allineati all 1 e­
quatorc della cellula, formando la piastra metafasica. In questa strnttura i crpmooomi
si trovano appaiati al1 1 eq1.1atore della cellula e raggiungono il massimo gracld cli com­
pattazione. Il cromosoma mctafasico (Fig. 5.8) ha una l::ltruttura particolaré: csl::lenclo
duplicato in ogni cromosoma si distinguono clne metà, dette cromatidi. A meno cli
errori cimante la duplicaiione del DNA, per ogni cromosoma q11Cl::lte due metà l::lono
I

identiche e, per questo, l::li chiamano ,;romatidi fratelli.


Separati dal centromero, in ogni cromosoma metafusico 8i clistiug,110110 i bracci
corti (indicati con la lettera p) e i bracci lunghi (indicati con la lettera q). A seconda
della pooiiionc del centromero si pool::lono avere cromosomi di diversa forma. I cromo­
somi metacentrici 80110 quelli in cui il centromero è quasi al centro del cromosoma:
bracci corti e bracci lunghi hanno qual::li la stesl::la luugheiia.

364
n:.:;-t-... ''='·...
© Artquiz BIOLOGIA

Nei cromosomi submet acentrici, invece, il centromero è spostato verso l'estre­


mità del cromosoma e in effett i il,br�cdo corto è più piccolo del braccio lungo. I cro­
mosomi acrocentrìci hanno un bracc io co rto estremamente ridotto, appena visibile.

o
Nei cromosomi telocentrici · ù'.'��riW���ro èorrisponde al terminale del cromosoma
(detto telomero). · ::•,..:·..:,,,_é:;'.i-'�·:·, .._. ._.
-
;· ., ;·J: ;� .: f,-,{:H
1

o
. ,-·,. r r· td!;·.i:S<· ...
Cromosoma Cromosoma
,..:-·! -�, ._;J� �-�1·rt:-�.'.��- -� ·t�·-;
non duplicato duplicato • •;: •.-.·,� ••• •.' •. � . • "
• •I • I diversi tipi di cromosoma
\ �--...
. ·i� � :r,·-.:..
--

o
(metafasico) ./,�r�.1}11:ti.t

'·. il!::t \'�:f;:f.;;·� i.,,.


,1l-f.,;.!:,_,
- .j--. •. I·�

XAA
I ;·I,.• .. .. -.

Bracc(o
� corto (p)
!,_� �,.._ � .G·. -
. / ifiI,17:�j �--;,;
+.--- Braccio· U�JJJ.r.f.''·\·
lungo (.q);; :t�.H&f> -nu·.

· -: :;;\i�t;;��t�canfrico
.. ,:•l1 :-:·t �;·_�· ·;; �-\>:..· ,· . �.
Subme/ecentrico -Acroc�nlrico Te/ocen/rico

\l
"· 3-l-i=f.:·�,···(ii-", �_./4,·· 1'
..: -�f)�,!�;'�l.-:_�t-�•• � -�
. ;.;;:,"J*it�,jf):
Cromatidi . ,•. �.-'6::��1.J-r:..;.� �-.-�·�·� .·
- l-,;/(�ih(��,-i;�'tÌ.\iJ;:l ,.,-_:
'�·1�·��._,;•O:'�·'.:�·-�,..,; ; ..

�injitMi&.w���
:: -�:��i��Jt;l;f�/l{i;.;-'I I f

Figura 5.8: I cromosomi. � -di un cromosoma non cl-nplicato.


Questa struttura non è mai OS,$.�WJ${ftl�:t_i1.ç,romosoma diventa, osservabile d·u­
rante la metafase, in cui appanWc�\ìi\lrdttura delineata (1, fianco. A cfo,<;tra
sono indicati i cli11cr.<Ji tipi di cromlJio{tiòA.ì"ti,�:base
= alla vosizionc del centromero.
,,)4-, -·--· ..
È importante nota.re che nel corri
mosomi telocèntrici. · d,·t·- 1

Alla fine della. metafase i centrom iti-allineati all'equatore della cellula

.o
con i bracci rivolti vcrno i poli della�:. tt-eil 1 anafase, i due cromatidi fratelli
di ogni cromosoma si separano grazj�� �q�e .del centromero e i due cromatidi
(ora chiamati cromosomi figli) migr'' --��� poli opposti della cellula. Nellt\
telofase i cromosomi figli hanno ter� ·"·�ione ai poli della cellula e avviene
la citochi nesi, cioc la. vera e propri{ .]fisica delle due cellule figlie,
Tutti i movimenti dei cromosomf s, .1ie fibre del fuso mitotico che inte­
<
ragiscono a livello del centromero in;J{· : aétta cinetocoro.
.tJ,'
II processo del ciclo celi ulare è � �,nservato dal punto di vista evo-
11 \t i

Iutivo ed è praticamente identico pef _ eucariotiche. Sono anche molto


1e,.,
conservati i meccanismi dì controllo d;
cosiddetti checkpoints (punti di contrct
prima di procedere lungo il ciclo. Esii(.
,u
'é, In particolare sono conservati i
nei quali la cellula è monitorata
J'lti chr,ekpoint,<1.
,;;.;!

,iU�
l
iJ

• II primo è il Gl/S chcckpoint: !� ·· �;:le dimensioni della cellula e la


..... ....

,presenza di danni al DNA; se q'


ciclo viene arrc."lta.ta.

'\\�':ordine la progressione lungo il

;.;r
• II secondo dieckpoint è il G2/M�I_..., ���rolla la replicazione del DNA e
la sua riparazione. Anche in quei( Jli!a è a re8tata se i due processi
r
"'
non sono stati ultimati.

365
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz

o
• Il controllo finale avviene durante PM checkpoint, a livello del quale si controlla
la formazione del fuso mitotico e la corretta interazione al livello del cinetocoro.

o
Tutti questi processi sono controllati da proteine dette cicline e enzimi fosforilanti
11· detti cdc chinasi (cdc sta per cell division cycle). Questi enzimi fosforilauo le cicliue
influenzando Pattività di quest 1 ultime a livello dei vari checkpoint. Una cdc chinasi che

o
controlla il ciclo cellulare assieme ad una ciclina viene detta Cdk protein (proteina
chinasi ciclina dipendente). Molte altre proteine sono coinvolte nei checkpoint. Una
proteina molto importante è p53. Essa è coinvolta nel controllo delfintegrità del

o
DNA. Nel caso di DNA danneggiato non riparabile, p53 induce Papoptosi (morte
cellulare programmata) attraverso cui la cellula viene rimossa dalla popola:done.

5.3.2 La riproduzione. Meiosi e gameti. Crossing-over


Con il termine riproduzione s 1 intendono tutti i meccanismi attraverso i quali esseri

o
viventi di una specie generano individui della stessa specie. Esistono cluc tipi cli
riproduzione:
1. Riproduzione asessuata (agamìca): presuppone la mitosi e pnò avvenire sia in
organitnni procarioti che eucarioti. A meno di insorgemm di nmt�ioni spontanee,
le cellule figlie hanno lo stesso patrimonio genetico della cellula madrn. Esistono

o
varie moclalith cli riproduzione asessuata:
• Scissione binaria: dopo la mitosi la cellula si divide in due parti identiche.
• Gemmazione: le due cellule figlie hanno dimensioni diverse, con citoplasma non

o
egualmente ripartito.
• Spomlazione: consiste nella formazione cli spore, cellule riproduttive molto adat­
te a sopravvivere in umbicnti sfavorevoli.
• Schiwgonia: consiste nella scissione multipla della cellula; tipica dei protowi.
• Fì·ammentazione: si ha quando una parte di un organismo pluricellulare si
distacca e da origine ad un intero organismo.
• Partenogenesi: consiste nello sviluppo cli un individuo da un ovocita non fecon­
dato; è attivata da stimoli di natura fisica.
2. Riproduzione sessuata (gamica o anfigonica): i nuovi individui si _formano
da!Punione di due gameti aploidi, prodotti da soggetti diploidi. Con questo tipo di
' riproduzione, la progenie presenta un corredo genico diverso da quello di ognuno dei
:f,: genitori. Nella progenie si avranno combina:doni alleliche diverse da quelle presenti
nei genitori, incrementando la vai:iabilità genetica degli organismi. Un 1elev-d,ta

o
variabilità genetica alPinterno di una specie determina la possibilità di nn migliore
adattamento a cambiamenti ambientali. .�

o
Per gli organismi che generano la progenie attraverso la riproduzione sessuata,
come Puomo, è dunque importante la generazione di gameti contenenti una sola copia
di genoma (corredo aploide), Negli animali i gameti maschili sono chiamati sperma­

o
to:wi, quelli femniinili ovociti. Al momento della fecondazione, nello zigote (la prima
cellula di un organismo ) viene ricreato il corredo diploide (Fig. 5.9).
NelPorganismo adulto, tutte le cellule somatiche hanno un corredo genetico diploi­
de. Ogni cromosoma è presente in due copie, una paterna, Paltra materna. Hanno
un corredo diploide anche i precursori dei gameti. Dai precursori diploidi si forma­
no gameti aploidi attraverso un processo di divisione cellulare particolare, chiamato

366
© Artquiz BIOLOGIA

Adulti (2n)


Bambino (2n) �
.,

/

Mitosi
·,
t.�) Figura 5.9: Ciclo vitale nell'uomo.
Zigote (2n)
Meiosi
Organismi adulti generano gameti
.. � aploidi {n) che con la fecondazio­
I
�( nolo ovele Melo1l
..., ,,. ',' nei1eaocoi

./
Fertilizzazione ne danno origine allo zigote diploi­

de. Attraverso molte mitosi e proces­
{ r:� ·: _--A
si di differenziamento, dallo zigote si
Sperma (nJ
Uovo (n) forma tutto l'individuo.

meiosi. La meiosi consiste in effetti in due divisioni cellulari; per cui dal precursore
.
dei gameti diploide si fornmno quattro cellule aploidi. Le due divh,ioni cellulari sono
chiamate: meiosi prima (I) ( detta anche riduzionale) e meiosi seconda (II) ( detta
anche equazionale). Prima delle due divisioni cellulari, nella fase premeiotica S, av­
viene la duplicazione del DNA.
La meiosi I conducé alla formazione di due cellule aventi uno solo dei due cromo­
somi omologhi duplicati, che dunque passano da 2n a n. Nella meiosi II i cromatidi
di ogni cromosoma omologo duplicato si separano con un meccanismo simile a quello
visto nella mitosi; al termine si formano quattro cellule aploidi, con un genoma costi­
tuito da n cromosomi figli. Nella meiosi I è molto importante la profase (profase I).
Questa si divide i 5 stadi: Leptotene, Zigotene, Pachitene, Diplotene, Diaciuesi (Fig.
5.10).

Meiosi prima: Profase I

Leptotene

Zlgotene
�e--�e
. . �-�e .

Pachitene
'
.
.
Oiplotene

Dlacinesi

Figura 5.10: Le fasi iniziali della meiosi I.

Nello stadio di leptotene i cromosomi duplicati iniziano a compattarsi (in mer


do che non si nota la scissura tra i cromatidi fratelli) e inizia l'appaiamento dei due
omologhi.
Nello stadio di zìgotene continua il compattamento dei cromosomi e i due omolo­
ghi si appaiono l'un l'altro. Alla fine di questo stadio i due omologhi appaiati formano
i bivalenti. Per ogni specie il numero di bivalenti è uguale al numero di cromosomi
aploide.
Nello stadio di pachitene i cromosomi continuano a compattarsi e in ogni biva­
lente i due omologhi sono intimamente appaiati a formare le cosiddette sinapsi. Per

367
Capitolo 5 1:,e basi della genetica @ Artquiz
!�

ogni bivalente si possono osserva1·e i quattro cromatidi, per cui queste strutture sono
chiamate te tradi.
o
o
Nello stadio di diplotene i cromatidi di una tetrade possono incrociarsi dando
luogo ai chiasmi. A livello dei chiasmi si ha lo scambio di segmenti di cromosoma
tra i due omologhi. Lo scambio di segmenti che avviene durante questa fasi si chia­

o
ma crossing-over (Fig. 5.11). Attraverso il crossing-over le combinazioni alleliche
. presenti in un cromosoma della progenie sono diversi da quelle ancestrali.

o
Sinapsi: appaiamento
del cromosomi omologhi

Pa�mo }'J{ Mele�

I
I
JVrch••�

'
xx
j· Crosslng CNer --- i
Figura 5.11: Il crossing-over.

Avvengono fenomeni simili a quelli osservati nella mitosi: le tetradi sono allineate
I
all'equatore. L'allineamento delle tetradi è casuale nel senso che cromosomi paterni
Il
I!
o
e materni si posizionano casualmente in un lato o nell 1altro indipendentemente per
ogni tetrade. Questa casualità dell'allineamento spiega il principio della segregazione

Il
fI
indipendente di Mendel.
Inizia l'anafase I: per ogn� tetrade un cromosoma dupHcato viene attratto verso
un polo della cellula, l'altro verso il polo opposto. Pertanto in questa fase avviene
I
la disgiunzione tra i due omologhi. Se il fenomeno della disgiunzione non avviene
,i (non-disgiunzione) si formano gameti anomali con un cromosoma in più o in meno
(Biologia, § 5.4,3).
A questo punto si ha la telofase I, nella quale la cellula si divide in due. Per cui
alla fine della meiosi I si hanno cellule con un corredo cromosomico aploide ( una copia
per ogni tipo di cromosoma), ma ogni cromosoma è duplicato, con i due cromatidi
tenuti assieme al livello del centromero (Fig. 5.12). Dopo· un intervallo temporale più
I o meno lungo, a seconda della specie, inizia la meiosi II con la profase (profase II).
,,
11
Nel passaggio tra profase II e metafase II i cromosomi si allineano:all 'equatore
della cellula, alla fine della metafase II tutti i cromosomi saranno allineati. Nella
anafase II i centromeri di ogni cromosoma si dividono, i due cromatidi si separano
e migrano ai poli della. cellula. A questo punto ogni cromosoma è costituito da. una
singola struttura, detta monade. Nella telofase II inizia la divisione cellulare che si

o
completa con la formazione dei gameti. Alla fine della meiosi II, ogni gamete presenta
un solo cromosoma (non duplicato, come era invece alla fine della meiosi I) per ogni
coppia di omologhi, possiede dunque un corredo cromosomico aploide.
Maschi e femmine producono gameti diversi (spermatozoi e ovociti, rispettiva.­
mente)\ Dunque, le meiosi maschile e femminile hanno delle differenze. Per quanto

q
l'iguarda la spermatogenesi, essa avviene nel testicolo, dalla maturità sessuale in poi in

368
© Artquiz BIOLOGIA

continuazione. Le cellule staminali diploidi che attraverso mitosi rinnovano continua­


mente il proprio pool si chiamano spermatogoni. Differenziandosi, lo spermatogonio
può diventa.re spermatocita primario, la cellula diploide da cui inizia la meiosi.
La prima divisione meiotica produce due spermatociti secondari, ambedue conte­
nenti un numero aploide dì diadi ( coppie dì cromatidi). In ogni spermatocita primatio
avviene la seconda divisione meiotica, che genera gli spermatidi. Dunque, per ogni
spermatocita primario, dopo la meiosi si ottengono quattro spermatidi. Questi ultimi
subiscono una serie di processi di differenziamento e diventano spermatozoi. I proces­
si di maturazione più importanti sono la compattazione della cromatina a livello del
nucleo e la formazione dell'acrosoma, the consiste in un lisosoma primario di notevoli
dimensioni che incappuccia il nucleo per una parte della sua lungheZ?:a. Nucleo e
acrosoma sono le strutture principali della testa dello spermatozoo. Sì forma anche
una coda che conferisce allo spermatozoo una notevole capacità di movimento.

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�. � --...,,1''
, Gameti <:,-� ?
Figura 5.12: La meios·i dalla metafase I
......::-, v
";,y
•.('?J
'·..:.:,,,4,,· - ,... alla fo,mazione dei gam-eti.

369
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz

Per quanto riguarda l'ovogenesi, essa av viene nell'ovaio. La cellula staminale


diploide indifferenziata iniziale è l'ovogonio. Essa, attraverso mitosi, da origine all'o­ o
o
vocita primario a livello del quale inizia la meiosi. Con la prima divisione meiotica si

:1
formano due cellule contenenti un numero aploide di diadi: l'ovocita secondario e il
·primo globulo polare. Quest'ultimo riceve molto meno citoplasma rispetto all'ovocita

o
secondario. Il primo globulo polare può avere la seconda meiosi o no, ma in ogni caso,
questa cellula non produrrà gameti maturi. Invece, a livello dell'ovocita secondario
.I

Il
avviene sempre la seconda divisione meiotica, con la formazione dell'ovotidio e del

o
secondo globulo polare. Come precedentemente, il secondo globulo polare riceve po­
I (! chissimo citoplasma e non produrrà gameti maturi. L'ovotidio, infine, differenzia in
ovocita. In molte specie animali (tra cui l'uomo) la prima divisione meiotica avviene
I; nell'ovaio embrionale ma si arresta allo stadio della prima profase. La meiosi ripren­
de al momento della maturità sessuale: al momento di ogni ovulazione, un ovocita

o
primario riprende la prima divisione meiotica. La seconda divisione meiotica si com­
pleta solo dopo la fertilizzazione. Le differenze tra spermatogenesi e ovogenesi sono
delineate nella Figura 5.13.

.,
• r
t Spermatogonio Ovogonio -

. .
'
I
!______ Mitosi ______
!
I

Spennatocita Ovocita
••I
primario primario

- - - - - - - - - -r
... .
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o

i
Meiosi I

J l
..' .

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secondario . ·

o
( ··
" .-
. Ovocita ' ·t·

� �---���--n
.• secondario .
. .
I • Primo globulo
po/ere

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,�_ i• ;..,. ' spe,matlda
t� . ,

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-

• · - �I
... OVotldlo ·
···,

i
Secondo globulò

\�- . •
polare /

o
_��/smento_

·-�
o
(� {� t-\� (�
....� \

l� . (,. (_ . ·t_
('-
g
Ovocita
Spermatozoo (.. (.. �-

o
Figura 5.13: Spermatogenesi e ovogenesi.

370
@ Artquiz BIOLOGIA

5,3.3 Associazione genica e mappe di ricombinazione


Nelle divisioni cellular i (sia mitosi che meiosi) l'entità fisica che segrega nelle cellule
figlie è il cromosoma. Per questo motivo, geni localizzati sullo stesso cromosoma
possono non seguire la legge della segregazione indipendente. Il perche di questo
fenomeno è delineato nella Figura 5.14.

A B
Dupl. Dupl.
DNA DNA {;le.o.
A-j a-j - Aj A a1 a Ai a - A A
I
�:
e-1 b-l B B b-l b e-I b B B

f,,.,, I Me/Qg

A A a a A A 8 8
B B b b B b B b

Gameti: 1 2 3 4 Gameti : 1 2 3 4

Figura 5.14: Effetto clel crossing-over. A, meio,'3i in cui non avviene il crossing­
over. B) meiosi in cui am,iene il cro.c;sing-over (C. O.).

Come si vede, per i geni A e B il 8oggetto in esame è un doppio eterozigote


(genotipo AaBb). I due geni sono loca.lizzati sullo stesso cromosoma e sono abbastanza
vicini Puno all'altro.
Consideriamo una singola meiosi. Se tra i due geni non avviene il fenomeno del
crossing-ove.1· (Biologia, § 5.3.2), i 4 gameti che si formeranno conterranno unicamente
le combinazioni alleliche AB e ab (Fig. 5.14 A). Viceversa, se fosse stata seguita la
legge della segregazione indipendente, i 4 gameti avrebbero avuto le combinazioni AB,
Ab, aB, ab. In effetti la legge della segregazione indipendente è seguita se tra i geni
A e B avviene il crossing-over (Fig. 5.14 B). Tutto ciò quando si analizza una sola
meiosi.
Analizziamo ora tante meiosi. In ogni meiosi il crossing-over tra A e B può o non
può accadere. Infatti, il crossing-over è un fenomeno casuale (cioè può avvenire o no
in qualsiasi zona del cromosoma). Dunque, se si analizza,,no più processi meiotici il
crossing-over tra i geni A e B potrà avvenire in alcune meiosi ma non in altre. La
frequenza con cui avviene il crossing-over· (frequenza di ricombinazione) tra i geni A·
e B dipenderà dalla distanza relativa tra i due geni (Fig. 5.15).
Esiste infatti una reiazione tra ·frequenza di ricombinazione (cioè possibilità che
avvenga un crossing-over) e distanza relativa tra questi geni. Pii1 i due geni sono
lontani tra loro, più facilmente potrà avvenire il crossing-over, dunque più alta sara
la frequem1,a di ricombinazione. Data questa relazione, conoscendo una var iabile (fre­
quemm di ricombinazione o distanza relativa tra due geni) possiamo ricavare ·Paltra.
Attraverso questa relazione sono costruitp le crniiddette mappe geniche di ricombi­
nazione. Cioè, valutando la f requemm di ricombinazione tra due o più .geni si può
ottenere la loro posi7.ione relativa lungo il cromosoma.-

371
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz
o
I geni A e B sono molto vicini tra loro
è meno probabile che accada un crossing-over.
La frequenza di ricombinazione tra A e B sarà bassa.
Dunque la frequenza dei gameti non ricombinati (AB e ab)
A a sarà alta rispetto alla frequenza dei gameti ricombinati (Ab e aB)
B b-

- I geni Be C sono molto lontani tra loro :


è più probabile che accada un crossing-over.
La frequenza di ricombinazione tra B e e sara alta.
Dunque la frequenza dei gameti non ricombinati (BC e be}
e sarà simDe alla frequenza del gameti ricombinati (Be e bC)

Figura 5.15: Relazione esistente tra distanza relativa tra geni e frequenza di
ricombinazione.

Geni- ....
��
'l,
, t,,.'1, e/'..,_"> ' '.l,l),,q �� ':t,f' ..._e,..�°' 1o"> Figura 5.16: Mappa di ricom­
()..._'? ()...."7 ()� ?
()..._'? ().... ()....� () ()....'?�

Distanze
t I I I I I I I binazione di un frammento del
braccio lungo del cromosoma
lncM - 1s.o 6.4 9.0 7.7 8.7 10,9 11,7 1 umano.

Vunità di misura delle mappe geniche di ricombinazione è il centiMorgan (cM)


detto anche unità di mappa (u.m.), la distanza per la quale la frequenza di ricombi­
nazione è pari a 1%. Nella Figura 5.16 è indicata una mappa di ricombinazione di un
frammento del braccio lungo del cromosoma 1 umano.

I
I 5.3.4 La fecondazione negli ani_mali3
I Gli spermatozoi possono fec�ndare l 1 ovocita nelJ > ambiente esterno (fecondazione
I
l
esterna) o alPinterno delle vie genitali femminili (fecondazione interna).
Nella fecondazione esterna., ambedue i tipi di gameti vengono emessi nelPambiente.
Per questo motivo, le femmine degli organi8mì che si riproducono per fecondazione
i.
esterna (pesci e anfibi, tra i vertebrati) producono un numero molto elevatJ di ovociti.
Nella fecondazione interna, invece, gli spermatozoi vengono immessi aWinterno del­
le vie genitali della femmina che produce un piccolo numero di ovociti. 'Il pru3saggio
dalla fecondaiione esterna a quella interna ha permesso Pevoluzione di specie comple­
tamente terrestri, che non hanno bisogno di un ambiente acquatico per riprodursi.
3In questo paro.grafo vengono descritte la fosi dello. fecondazione naturale, facendo riferimento
all'uomo. La fecondazione oltre che no.tura.le può eBSorc artificiale. Lo. fecondazione artificiale è utile
in zootecnia, permettendo uno. trasmissione rapida del patrimonio genetico "migliore". Nell'uomo ei
fa ricorso a.Ila fecondazione artificio.le per do.re la possibilità di procreazione o. soggetti che, a causo.
di diversi tipi di patologia, non sono In grado di effettuo.re la fecondazione no.turo.le. Nell'uomo si
po.rio. di fecondazione assistita (FIVET, fecondazione in vitro ed embryo transfer).

372
© Artquiz BIOLOGIA

o
Con il termine di ovulazione � 1intcude il rilascio <lelPovocita chùPovaio e lu s11a im­
missione nella tuba ovarica. 'fi·n i vertebrati la fecondazione interna av,,ieue in rettili 1
uccelli e mammiferi. Al momento dell 1 ovulazione 1 I 1ovulo viene rilascin.t.o dalPovaio e
immesso nelle tuba. In questa fase l 1ovulo è avvolto da una me111brmm glicoproteica
d�tta zona pellucida e dal cumulo o oforo (uno strato di cellule ovariche). Duran­
te il transito lungo Papparato genitale fcunninHe 1 gli spermator.oi subiscono processi
di maturazione e capacitazione (aumento della fluidità della membrana plasmatica).
Nello. tuba nvvieue l 1 iucontro tra spermatozoo e ovocita seguito dalln reazione ncro­

o
somiale attraverso cui vengono rilasciati gli eniimi litici contenuti uell1 acrosoma che
permettono la digestione del cumulo ooforo e della ioua pellncicla. Superate que­
ste bnrriere 1 la membrana dello spermato:mo viene a contatto con quella dclPovocita
attraverso proteine <lette bindine che si legano ai recettori situati snlla membrana
delPuovo. L1 iuterazioue tra bindiue e recettori è specic-specifica 1 cioè! èi l)Ossibile solo
se spermatozoi e gameti npprutengono alla stesso. specie. Qum;ta è una barriera alla
focoudaiione tra specie diverse. Lo. ti.rsione dei gameti permette che il nucleo dello
spermatoioo penetri alPiuterno dclPovocita. Quest1 ultimo è allo sta.dio dcliii mct.nfase
Il. La penetrazione da parte del nncleo dello spermatozoo è associati\ alln. cosiddetta
reazione corticale dcll 1ovocit1t1 a causa della quale vicnH rilasciato ione calcio che
determina la progressione della meiosi II do. parte dclPovocita e tut:tn una serie di
modiHcaiioni della s11perficie dell 1 uovo che evita.no la polispennia 1 cioè l 1cnt-.rn.t.n. di
altri spermutozoi.
A questo �ta<lio 1 i nuclei aploidi dei dne gameti vengono chiamati pronucleo ma­
schile e femminile. Ln fusione dei chrc promrclei da. origine nd una celh1ln diploide 1 lo
zigote\ dm rappresenta la prima cellula del nuovo organismo. Lo �dgote è una cclhda
totipotente: contiene tutte le informazioni per dare origine n. tutti i tipi cclhrla.ri.

5.3.5 Lo sviluppo embrionale4


Circa 25-30 ore dopo la fccoudaiione1 lo zigo te va incontro alla prima divisione
cellulare. Da questo momento in poi viene detto embrione e contimm it dividersi
mentre scende lnngo la tuba di Falloppio. In queste prime flli:li lo Y,igote si divide per
mitosi 1 e forma la cosiddetta morula 1 che consiste in una piccola mas�.;a di ·cellule
senia alcuna cavità. La forma;�ione della morulu. è detta segmentazione 1 e non
comporta nu aumento dimensionale dell 1uovo. La morula migra attraverso le tube di
Falloppio 1 e circa quattro giorni dopo la fecondazione entra nella cavità uterina (Fig.
5.17). Dopo circa cinque giorni Pembrione si trova nelPntero e assume l 1 aspetto di mm
sfera caviti eletta blastula; la cavità formatasi prende il nome di blastocisti. Dopo
altre 24-48 ore 1 la blastula si annida a livello della mucosa uterina (endometrio) 1 che
formu. lo strnto più interno della parete uterina. La mucosa nterina in qnesta fuse
appare ispessita e molto vascolarizzat�1 1 in modo da nutrire Pembrione con le sostnn¼e
tra8portate dal sang,11e materno. L1 ispcssimento e Paumenl;o di va.c.;colarizzw.ioue della

I mucosa uterina avviene grniie all 1azione delPormone progesteroue 1 la cni produzione
aumenta quando avviene il concepimento.
I In moltissimi organismi auimali 1 tra cui Puomo 1 alla fase di blasl�nla segue la ga­
strul�. La gastrulazione ( con cui si arriva o.Ila gastrnln) è una fase in cui Pembrioue
4Co11 il termino ontogene.<Ji s1 il1tc11de Piusicmo dei prncessi ni ediai1te i quali si compi e lo sviluppo
e111brionale. Con il termine filo9cnes1.i invece 1 s 1inteudc il processo di rm11ifica:r.ione delle varie Bpecic
durante J lovolm-·,ione.

373
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz
o
Impianto dell'ovulo fecondato
Tuba di Falloppio

Figura 5.17: Ovulazione, fecondazione e


annidamento.

precoc� è organiziato nei tre foglietti embrionali (ectoderma, mesoderma, endoder­


ma) e, nell'embrione mmmo, inizia al 15° giorno di sviluppo. I foglietti <!mbrionali, o
foglietti germinativi sono costituiti da diversi strati cellulari e indicano la prima diff<;.'­
remdazione dell'embrione. Da ectoderma, mesoderma. e endoderma si svilupper�nno
tutti i te::;suti e tutti gli organi.
Dall'ectoderma originano l'epidermide, alcune ossa (ossa dermiche) e il tessuto
nervoso. Quest'ultimo viene generato attraverso un processo detto di neurulazio­
ne. La 11e1m1Iazione inizia con un ispessimento dell'ectoderma dorsale, detto piastra
neurale. La ncmrula.:donc è dovuta a segnali provcmicnti dal mesoderma sottostante,
in particolare eia una struttma eletta notocorda (o corda dor.cmle), una struttura a
forma di tubo presente in tutti gli embrioni dei cordati, animali che véngono così
chiamati proprio dalla presemm della corda dorsale durante Io stadio embrionale.
Dall'ectoderma si generano anche alcune strutture specializzate quali, ad esempio, la
cornea e il cristallino durante Io sviluppo dell'occhio.
Dal mesoderma, oltre che la notocorda, si formano gran parte delle ossa, la mu­
scolatura (compreso U cuore, che inizia a battere già alla terza settimana dopo la
feconda'tione), l'apparato urogenitale, i precursori delle cellule ematiche, i vasi san­
guigni e le membrane sierose che rivestono le cavità chiuse dell'organismo (tra queste:
la pleura, a livello toracico e il peritoneo, a livello addominale).
Dall'endoderma origina l'intestino primitivo, da cui derivano l'epitelio dell'ap­
parato respiratorio, dell'apparato digerente e delle ghiandole acl esso annesse (fegato,
pancreas, ecc.) e di una parte dell'apparato urinario.
Nei vertebrati teri·estri (rettili, uccelli e mammiferi) durante Io sviluppo embriona­
le vengono anche generate aree extra-embrionali, dette "annessi embrionali". Essi
�ono: amnios, corion, sacco vitellino, allantoide e placenta. Quest'ultim�' annesso è
presente nei soli mammiferi. Gli annessi embrionali sono essenziali per l'adattamento
dei vertebrati alla vita in ambiente terrestre; in particolare servono per la protezione
e l'alimenta'tionc dell'embrione. Attraverso l'amnios e la cavità amniotica viene anche
fornito l'ambiente acquatico indispensabile per lo sviluppo. Alcuni anneHsi embl'ionali
sono raffigurati in Figura 5.18.
L'amnios è costituito da nn sacco che contiene un liquido sieroso (liquido amnio­

o
tico) nel quale si trova immerso l'embrione. Il liquido amniotico facilita i movimenti
e !mpedisce l'essiccamento dell'embrione, proteggendolo da eventuali traumi fisici. Il
sacco vitellino è una piccola "vescica" che fol'nisce ·nutrimenti necessari all'embrione.

374
D
o
@ Artquiz BIOLOGIA

D Allanlolde
Figura 5.18: Annessi embrio­
nali. A sinistra e a destra sono

D
disegnati embrioni umani dopo
3 e 1 settimane la fecondazione.
Per evidenziare le varie strut­

D ture i due disegni non sono in


scala fra loro.

o Nei mammiferi il sacco vitellino è importante solo per un tempo limitato 1 in quanto
la funzione nutritiva viene successivamente svolta dalla placenta. Il corion è costituito
da una membrana che avvolge Pembrione e delimita con la propria parete la cavità
extraembrionaria. Ha nn 1 importante funzione nutritiva; nei mammiferi da esso si
·sviluppa la parte fetale della placenta. Attraverso la placenta il sangue dell 1embrione
e del feto viene messo in contatto con il sangue materno scambiai1do gas1 sostanze
nutritive e di scarto. 5 La placenta è formata da una componente fetale (proveniente
dul corion) e nna componente materna (decidua1 proveniente dalla mucosa uterina).
Anche Pallantoide è un armesso fetale con funzioni respiratorie 1 nutritizie ed escretorie
per Pembrionu. Nei mammiferi Pallantoide è un residuo vestigiale1 essendo stato
sostituito dalla placenta.
Lo 8vilnppo embrionale è un processo molto complesso 1 guidato dalPespressione
selettiva di determinati gcni 1 a sµa volta regolata dalPambiente (interazione cellula­
cellula1 presenza di sostanze chiamate morfogeni ecc.). I geni che contribuiscono
allo sviluppo vengono accesi a cascata. La specificazione delle strutture anatomiche

durante lo sviluppo embrionale di un organismo (compreso Puomo) è definito da una
classe di geni ( comune a molti animali) detti geni omeotici (nelPuomo geni HOX) che
codificano per fattori di trflScrizione e che controllano 1 1 identità dei singoli segmenti
del corpo.

o
5 .4 Corredo cromosomico umano e alterazioni cromosomiche
5.4.1 Il corredo cromosomico umano

o
Il numero di cromosomi è fisso per ogni specie. Individui della stessa specie condi­
vidono lo stesso numero di cromosomi. Il numero di cromosomi di vari organismi è

o
indicato nella Tabella 5.3.
Il numero di cromosomi diploide della specie umana è 46. I gameti umani 1 avendo
un corredo aploide 1 presentano 23 cromosomi. Ogni cellula umana diploide 1 dunque 1
contiene 23 coppie di cromosomi. Per ogni coppia 1 un cromosoma è di provenienza

iD
paterna 1 Paltro di proveniemm materna..
I cromosom i umani si dividono in due tipologie:
• Autosomi. Corrispondono nella cellula diploide a 22 coppie. Il loro assetto è
identico per maschi e femmine. Ogni coppia viene chiamata con un numero 1 per
5Nell a specie umana, si parla di embrione dallo zigote fin o alla fine della 10 ° settimana di gravi­
danza. Successiva.mente 1 fino alla nascita, si parla di feto. Alla fine del periodo embrione.le tutti gli
organi sono sta.ti forma.ti. Dunque nella. vita. feta l e si ha prevalentemente un processo di accrescimento
dell 1orga.nismo.

375
Q
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artqui�
o
lì cui si va dal cromosoma 1 al cromosoma 22. La progressione della nnmerazione
è inversamente proporzionale alla grandezza del cromosoma. Dunque, il cromoso­
o
o
ma 1 è il piì1 grande, seguito dal cromosoma 2 e così via. Questa regola non vale
,!
per i cromosomi 21 e 22, in quanto il cromosoma 21 è più piccolo del cromosoma 22.

• Cromosomi sessuali. Nella specie umana si hanno due cromosomi sessuali, chia­
mati X e Y. Il cromosoma X è grande, contiene geni per svariate funzioni ed
è presente in due copie nelle femmine. Dunque, Passetto corretto dei cromosomi

o
sessuali nelle femmine è XX. Il cromo soma Y, invece, è un piccolo cromosoma
e contiene essenzialmente geni che determinano lo sviluppo dell'embrione in senso
maschile e geni importanti per la fertilità. Il cromosoma Y è presente solo nei ma­
schi, in singola copia. Dunque, Passetto corretto dei cromosomi sessuali nei maschi
è XY. I gameti aploidi (ovociti) delle femmine conterranno sempre un cromosoma X.

Per quanto riguarda l'assetto dei cromosomi sessuali, dunque, la femmina produce
. gameti tutti uguali. Per questo motivo, il sesso femminile della specie umana è detto

1
I.
sesso omogametico. Viceversa, il maschio produce gameti aploidi (spermatozoi)
diversi per quanto riguarda i cromosomi sessuali, contenenti il cromosoma X o il
i cromosoma Y. Perciò, il sesso maschile è detto sesso eterogametico. È dunque
chiaro che il sesso di un soggetto dipende dal cromosoma sessuale presente nello
spermatozoo che lo lm generato, cioè dipende dal padre.
Il corredo cromosomico umano (per soggetti senza anomalie strntturali) viene
,I,
o
espresso con una cifra indicante il numero diploide di cromosomi, seguita dall'assetto
dei cromosomi sessuali. Dunque, per femmine e muschi normali l'assetto cromosomico

i normale è rispettivamente 46XX e 46XY.

1 2 3 4 5

)( ?ì jl �{ Jl'
6

l( li . (<
7 8 9

l)
10

((
11

?\
12

)(
o
o
13

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14 15

Il
16
)i �,
17 18
••
19
H
20
n
21
, ..
22
H
XN
)1 o
o
Figura 5.19: Corredo cromosomico umano. È mostrato il cariogramma di u.n
soggetto di sesso maschile1 ottenuto tramite bandeggio G.

376
o
Il
© Artquiz BIOLOGIA·

Tabella 5.3: Numero di cromosomi presenti in va.rie specie animali e vegetali.

Nome comune Specie N ° Diploide


Uomo Homo sapiens 46
Scimmia Rhesus Macaca mulatta 42

o
Bue Bos taurus 60
Cane Canis familiaris 78
Cavallo Equus caballus 64
Topo Mus musculus 40
Ratto Rattus norvegicus 42
Porcellino d'India Cavia cobaya 64
Gallina Gallus domesticus 78
Alligatore Alligator mississipiensis 32
Rana Rana pipiens 26
Carpa Cyprinus carpio .104
Baco da seta Bombyx mori 56
Moscerino della frutta Drosophila melanogaster 8
Cipolla Allium cepa 16
Grant1rrco Zea mais 20
Pomodoro Lycopersicum esculentum 24
Pisello Pisum sativum 14

5.4.2 Analisi del cariotipo nell'uomo


Con il termine cariotipo s'intende l'assetto cromosomico di un soggetto o di una
specie dal punto di vista morfologico. L'analisi del cariotipo di un soggetto consiste
nello studio morfologico dei suoi cromosomi, effettuato tramite tecniche microscopiche
sia durante la vita prenatale che dopo la nascita. Per effettuare l'analisi del cariotipo

o
nella vita postnatale si utilizzano le cellule nucleate del sangue: i leucociti (globu­
li bianchi). Dopo prelievo di sangue i leucociti vengono separati dai globuli rossi e
messi in coltura. La proliferazione dei leucociti (quella dei linfociti T, in particolare)
viene attivata dall'utilizzo di una sostanza d'origine vegetale detta fitoemoagglutinina
(PHA). Successivamente, i linfociti proliferanti sono bloccati in metafase con l'utilizzo
della colchicina. Questa sostanza agisce inibendo la formazione dei microtubuli del
fuso mitotico e arresta le cellule in divisione nello stadio della metafase. A questo
punto le cellule vengono fatte scoppiare tramite lisi osmotica su un vetrino da mi­
croscopia. I preparati vengono colorati e osservati al microscopio. Vengono isolate le

D
piastre metafasiche (l'insieme dei cromosomi metafasici di una cellula) e fotografate.
I cromosomi vengono contati e ordinati in base alla loro struttura. Oggi, a partire
dall'osservazione al microscopio fino alla fine della procedura, si utilizzano sistemi

o
computerizzati d'analisi d'immagine.
Se l'indagine del cariotipo viene fatta in fase prenatale, le cellule fetali vengono ot­
tenute tramite amniocentesi o prelievo di villi coriali. Sono ambedue tecniche di tipo
invasivo. L'amniocentesi consiste nel prelievo di liquido amniotico da cui vengono
ottenute cellule vitali che sono messe in coltura. Queste cellule sono tutte d'origine
fetale. L'amniocentesi viene normalmente effettuata tra la 14° e la 16° settimana di

377
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz

gravidanza e il rischi.o di danneggiare la gravidanza è non superiore a 1/200.


Il prelievo di villi coriali (detto anche coriocentesi o villocentesi) consiste nel
prelevare un frustolo di placenta. Dopo il prelievo, la parte fetale viene pulita da
eventuale contaminazione di tessuto materno e analizzata direttamente e messa in
coltura. Il prelievo di villi coriali viene effettuato intorno alla 10° settimana di gravi­
danza; il rischio di danni è circa doppio rispetto a quello delPamniocentesi.
La colorazione dei cromosomi può essere fatta tramite tecniche e coloranti diffe­
renti. Per Panalisi. del cariotipo umano, le tecniche più usate sono quelle di bandeg­
giamento. Attraverso queste procedure ogni cromosoma si presenta con un pattern
di bande chiare/scure utilizzando il quale (assieme alla grandezza e alla posizione del
centromero) è possibile identificare i singoli cromosomi. NelPanalisi del cariotipo uma­
no le tecniche di bandeggiamento più comuni sono: il bandeggio G (in campo chiaro,
si utilizza la colorazione di Giemsa) e il bandeggio Q (in fluorescenza, si utilizza come
colorante la quinacrina). Attraverso le tecniche di bandeggiamento metafasico classi­
che, un corredo cromosomico aploide umano presenta dalle 350 alle 400 bande. Dato
che un genoma umano aploide è composto da circa 3.200 milioni di basi, la grandezza
media di una banda cromosomica è intorno a 10 milioni di basi. In accordo con questa
stima, il potere risolutivo di un bandeggio metafasico classico non è superiore a 5-10
milioni di basi.
I
I: 5.4.3 Alterazioni c.romosomiche
Le alt.erazioni cromosomiche possono essere classificate in due grandi gruppi:
• Alterazioni cromosomiche numeriche. Sono caratterizzate da un numero
di cromosomi diverso da quello normale.
• Alterazioni cromosomiche strutturali. Sono caratterizzate dalPalterata
struttura di uno o più cromosomi.

Alterazioni cromosomiche numeriche


Allo scopo di descrivere le alterazioni cromosomiche numeriche, bisogna prima definire
3 condizioni, quelle di euploidia, poliploidia e aneuploidia. Con euploidia s'intende
un numero di cromosomi pari.a due o più set cromosomici aploidi. Con poliploidia
s1 intende un numero di cromosomi in più rispetto al corredo diploide, multiplo del
corredo aploide. Così, si potranno avere le triploidie (soggetti con 3 set ·aploidi com­
pleti di cromosomi), le tetraploidie (soggetti con 4 set aploidi completi di cromosomi),
,,
e così' via. Dal punto di vista biologico, le poliploidie fanno parte delPeuploidie. Con
aneuploidia s 1intende un numero di cromosomi diverso dal normale coµ, aggiunta
o perdita di uno o più cromosomi. Le aneuploidie più comuni sono le ,monosomieI
(un cromosoma in meno rispetto· al corredo diploide) e le trisomie (un cromosoma
in più rispetto al corredo diploide). Tutte queste condh1ioni sono sc:hematizzate nella
Tabella 5.4.
Le poliploidie sono sempre incompatibili con la vita nella specie umana ma possono
esserlo in altre specie animali, in particolare in anfibi e pesci. Le poliploidie sono
invece abbastanza comuni nelle piante. Le triploidie (3n) possono originare da un
ovocita anomalo ( con un numero diploide di cromosomi invece che aploide) fecondato
da uno spermatozoo normale. Più raramente, la triploidia può insorgere perché due
spermatozoi fecondano lo stesso ovocita. La tetraploi.dia (4n) può essere prodotta da

3·1s
© Artquiz BIOLOGIA

Tabella 5.4: Terminologia usata per le alterazioni cromosomiche numeriche.

Terminologia Corredo cromosomico

:O
Euploidia multipli di n
- Diploidia 2n
- Poliploidia 3n, 4n, 5n, ecc.
- TI·iploidia 3n
- Tetraploidia 4n
Aneuploidia 2n ± X cromosomi
- Monosomic 2n - 1
- TI·isomia 2n + 1

o
- Tetrasomia, Pentasomia, ecc. 2n + 2, 2n + 3, ccc.

un difetto durante la mitosi, quando mm cellula duplica i cromosomi ma non riesce n


dividersi in due cellule figlie.
Le aneuploidie ( monosomie o trisomie) immrgouo a causa cli un fenomeno che può
avvenire durante la meiosi: la non-disghrm:iQne. Il fenomeno della non-disgiunzione
è raffigurato nella Figura 5.20.

(ID
Non-disgiunzione
(ID
Olsglunzlons
11om,sla
-- l Prima divisione
<D f
® CD
meiotica

Olsgiunzlons Olsglunzlono Non-dlsglunzlono


normals Seconda divisione normols
r--'

®®00 CDCD®0
meiotica ' -- @
,

o

CD I Dill illIJ DJ DJ I CD I illJ [I] [III] DJ


Gamete
aploide
Trisomlco Ttisomlco Monosomico Mono,omlco Gamele I Nor mala
·
I
aploide
Normale Trisomlco MonosomlcO

Progenie Progenie

, (D Non disgiunzione du,enle i.1 • dM110na maiolica. @ Non dlaglunllone du,anle la 11· divisione melOUca.

Figura 5.20: La non-disgiunzione meiotica.

La non-disgiunzione consiste nella mancata separazione dei due mèmbri di una


coppia di cromosomi omologhi (se avviene durante la prima divisione meiotica) o di
due cromatidi (se avviene durante la seconda divisione meiotica).
Il fenomeno della non-disgium�ione ha una frequenza relativamente elevata; si stima
che al momento del concepimento circa il 10% delle uova fecondate siano trisomiche

379
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

80
70
Ovochl
aneuploldl 60
l�I 50
40
30
34 35 36 37 38 39 40 4 t 42 43 44 45
Età materna

Figura 5.21: Aumento della frequenza della non-disgiunzione con Cetà


materna.

o monosomiche. La. non disgiunzione aumenta di frequenza. con l'età ma.terna. Per
cui una donna. meno giovane ha. una tendenza a. concepire progenie con aneuploidie
più frequentemente rispetto a una donna più giovane.

n
�t Nella specie umana circa 2/3 delle non disgiunzioni avvengono durante la prima.
divisione meiotica. Nel maschio non si ha un incremento della non-disgiunzione con
l'età. L'evento di �on-disgiunzione può avvenire, più raramente, anche durante la
'

D
·I mitosi. La non-disgiunzione mitotica genera organismi mosaico.
r
Un m?sa.ico è un organismo con cellule aventi corredi genetici differenti, provenienti
da un unico zigote. Bisogna distinguere il mosaico dalla chimera; con questo termine
si definisce un organismo con cell11le aventi corredi genetici differenti ·ma provenienti
,·il
r
da zigoti differenti. Per cui si ha una chimera quando si ha la fm:1ione di due embrioni
diversi.
Nella specie umana le uniche alterazioni cromosomiche numeriche compatibili con
la vita sono le:
i' • Aneuploidie dei cromosomi sessuali;
• Trisomie dei cromosomi 13, 18 e 21.
I

1:.
Si possono avere vari tipi di aneuploidie dei cromosomi sessuali. Quelli medical­
mente più rilevanti sono due: la. sindrome di Klinefelter e la sindrome di Turner.

o
,rI· '
La sindrome di Klinefelter è caratterhizata dal cariotipo 47:XXY. Per cui si
tratta di una trisomia dei cromosomi sessuali. Questi soggetti, essendo presente il
·I cromosoma Y, sono di sesso maschile, di solito di alta statura.. Lo sviluppo delle
.ì:
'
I•I masse muscolari, la deposiziòne del tessuto adiposo e la peluria sono simili a quelli
I
;I
presenti nei soggetti di sesso femminile. I testicoli sono atrofici; questi soggetti sono
sterili per assenza di cellule germinali. Possono anche presentare sintomi differenti,
r
•I

o
quali osteoporosi, disturbi comportamentali e altri. Questa sindrome ha. una frequen-
!- za. di circa 1/600 soggetti nati di sesso maschile. �
La sindrome di Turner è caratterizzata dal cariotipo 45X (si può'a.JJ.°t!he definire
con 45X0). Si tratta dunque di una monosomia.· La. sindrome di Turiler è l'Jlnica
1

monosomia umana compatibile con la vita. I soggetti con questa sindrome sono di
sesso femminile (non hanno il cromosoma Y), presenta.no bassa statura e amenorrea
primaria (assenza completa di mestruazioni). La mancanza di un secondo cromosoma
X determina la presenza di un ovaio atrofico, per cui i soggetti con questa sindrome
sono sterili. Possono a.vere tanti altri sintomi quali: anomalia della. forma del torace
e del collo, malformazioni dell'apparato circolatorio, attaccatura bassa dei capelli e
altro. Questa. sindrome ha una frequenza di circa 1/2500 soggetti nati di sesso fem­
minile.

380
© Artquiz BIOLOGIA

Altre aneuploidie d�i cromosomi sessuali (47XYY o 47XXX) possono presentare


lievi disturbi com portamentali e hanno una rilevamm medica Hmitata.
Per quanto riguarda le trisomie degli autosomi1 la più importante è certamente ln
trisomia del cromosoma 21 1 detta anche sindrome di Down. Essendo un 1 alterazione
degli autosomi1 sia maschi che femmine possono presentare questa sindrome. La fre­
quenza è di in un caso ogni 800-1.000 nati vivi. Molti di più sono i concepimenti che
riguardano la trisomia 21 1 dato che 3 casi su 4 si concludono con '1111 aborto o con la
nnscita di un/a bambino/a moito/a. Il rischio di generare un soggetto cou sindrome
di Down è in rela:done all 1età della madre.

Tabella 5.5: Valori di rischio approssimativo della nm�cita di 8oggetti con


sindrome di Down in relazione alPetà della madre.

Fasce d'età della madre (anni) Rischio in percentuale


20-2 4 0 106%
25-29 0 1 08%
30-34 0 1 15%
35-39 0 1 26%
40-44 1/13%
45 in poi �3 1 42%

La sintomatologia di questa sindrome è caratteri��ata da vari sintomi. 1ì·a i più


rilevanti il ritardo mcutalo 1 la fo.cies caratteristica con occhi a mandorl n.1 ln. mncro­
glossia (ingrandimento della lingua) 1 il collo corto1 la las:,ità legn.meutosa 1 Pipotonia
muscolare. Quo�ti soggetti possono presentare freq1tentemcnte n.normùie dello :,viluppo
cardiaco e del canale nlimentare 1 e sono soggetti iùlo sviluppo cli leucemie. Dtùl 1età
di circa 35-40 anni 8i assiste alPinsorgenza di una forma di malnttia di Al i heimer
precoce che determina 1111 ulteriore decadimento cognitivo. Con adeguati interventi
terapeutici 1 l 1 aspettativa di vita di soggetti con sindrome cli Down può arrivare fino
a 50-60 anni.
La trisomia del cromrnmma 18 è detta anche sindrome di Edwards. Ha una
frequenza di circa 1/5.000 soggetti nati. I soggetti nati cou questa sindrome sono più
frequentemente di sesi:;o femminilej per molti dei soggetti cli i:;esso mnschilc la gravi­
h
danza s 1 interrompe spontaneamente. I soggetti con quest.a sindrome presentano una
sintomatologia molto complessa. 'Ira i sintomi principali ricordiamo il ritardo psico­
� motorio 1 l 1 ipotonia mnscolare1 le malformazioni in vari organi 1 le anomalie a livello
dei piedi e delle mani dovute ad abnormi contrazioni muscolari. Circa il 9(1% di questi
soggetti muore entro i primi sei mesi di vita. Rarisi:;imamente possonn raggiungere
l 1età puberale.
La trisomia del cromosoma 13 è detta anche sindrome di Patau. Ha una fre­
quenza di circa 1/12.000 soggetti nati. Anche in questo caso i soggetti nati sono pii1
frequentexnente di sesso femminile. Hanno una sintomatologia complessa 1 i sintomi
più frequenti sono: labbro lcporino 1 schisi del palato 1 malformar.ioni cardiachc 1 ipoto­
nia muscolare1 polidattilia 1 anomalie dello sviluppo degli occhi e del si:.;tema nervoi:;o
centrale. Gran parte dei 8oggetti con sindrome di Patau muore entro i primi cinque
anni di vita (2/3 entro il primo anno). Molto raramente arriva1 10 a 8-10 anni d 1 età.

381
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz

Alterazioni cromosomiche strutturali


Le alterazioni cromosomiche strutturali sono caratterizzate da anomalie strutturali di
uno o piìt cromosomi. Esse sono distinte in due grandi classi: alterazioni cromoso­
miche bilanciate e sbilanciate. Con alterazioni cromosomiche bilanciate s >intendono
le anomalie strutturali caratteriziate da un riarrangiamento della struttura di uno o
più cromosomi ma nelle quali non si ha perdita o guadagno di genoma. Viceversa, si
parla di alterazioni cromosomiche sbilanciate quando Panomalia strutturale consiste
nella perdita o guadagno di frammenti di genoma.
I soggetti con alterazione cromosomica sbilanciata, presentano di solito un feno­
tipo patologico. 11 tipo di patologia dipende dal/dai frammenti di cromosoma/i che
1>ono in eccesso o in difetto riispetto al corredo diploide. Invece, i soggetti portatori
di alterazione cromosomica bilanciata sono generalmente soggetti sani con un unico
problema: hanno un rischio molto elevato di generare prole con alterazioni sbilanciate
e, dunque, con patologia.
La mancanza di un frammento di cromosoma viene chiamata delezione. Le dele­
zioni sono sempre alterazioni sbilanciate e, in dipendenza della posizione e della gran­
dezza della delezione, possono causare patologia. di vario tipo. Sono dovute a rottura
di cromosnmi in uno o pii1 punti. Le delezioni possono essere termina.li o interstiziali.
Nelle prime si perde la parte terminale (più o meno grande) di un cromosoma, la qua­
le, mancante del centromero viene pm·duta dalln cellula. Nelle delezioni interstiziali,
invece, il cromosoma i;i rompe in due pm1ti e si perde un frammento alPinterno del
cromosoma. Quando ::ii luumo nello stesso cromosoma due dele1,ioni terminali (com­
prendenti Puna il tclomero del braccio corto, Paltra il telomero del braccio lungo, i
terminali del cromosoma residuo possono unirsi, generando il cromosoma ad anello.

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I
Cromosoma ad anello
:ilo
Figura 5.22:
Delezione lermlnale Delezione lnlersllzlale
Delezioni cromosomiche.

Un esempio di malattia umana dovuta a delezione cromosomica è la sindrome


del Cri Du Chat (grido del gatto). Ha una frequenza di circa 1/50.000 n'ati vivi ed
è caratterizzata. dalla dele-.lione di parte del braccio corto del cromosoma,�5 (5p-). Il
nome di questa sindrome è dovuto al pianto particolare, simile al miagoli'o del gatto,
caratteristico dei soggetti affetti. Il :;intorno più importante di questa malattia è il ri­
tardo mentale che può essere anche grave. I soggetti presentano anomalie della facies,
microcefalia, ritardo della crescita. Possono anche avere malformazioni cardiache. Le
delezioni cromosomiche interi;tiziall possono essere dovute al fenomeno del crossing­
over ineguale (Fig. 5.23). Questo fenomeno è dovuto ad un appaiamento scorretto
di cromosomi omologhi soggetti a crossing-over e, dunque, ad uno scambio di fram­
menti di diversa lunghezza. Come conseguenza si avranno nei gameti cromosomi con
delezioni e duplicazioni.

382
@ i\_�tquiz BIOLOGIA


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·, e e I�
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l� - ;
1! :
�I C
i -� , Figura 5.23: Il crossing-over ineguale dà origine a
cromosomi· contenenti delezioni o duplicazioni.

D
o
Anche le duplicazioni, determinando uno sbilanciamento (guadagno di genoma),
possono essere causa di patologia.
Alterazione cromosomiche bilanciate sono le inversioni. Consistono nel cambio
di polarità di un segmento all'interno di un cromosoma. Le inversioni possono essere
pericentriche, quando il segmento invertito coinvolge il centromero e, paracentriche
quando, al contrario, il segmento invertito non coinvolge il centromero (Fig. 5.24).

D t
Centromero

<Uffl!IIVM@W()t'(@t,aj)}Q® Cromosoma normale

@ViiMM•:IGNidìlD Inversione pertcentrtca

o
�! H·· ,1.·:_;:c i;·l>':··h.1 ,.)"i.tll•1.,:;i[�·) Inveratone paracentrlca

Figura 5.24: Inversione pericentrica


• Regione invertite e paracentrica.

Un'alterazione cromosomica sbilanciata è quella dovuta alla creazione di un iso­


cromosoma. Quest'alterazione è caratterizzata da un cromosoma che, invece di un
braccio corto e un braccio lungo, presenta due bracci corti o due bracci lunghi. Dun­
que, la presenza di un isocromosoma determina la duplic�ione di un braccio e la
delezione dell'altro.
Cromosoma Cromosomi Cromosoma lsocromosomi
melatastco normali metataslco

D -->
P11inodi �
segregazione � �
anomalo

lso P

Pieno di segregazione tsoq


Figura 5.25: Isocromosomi.

o
no,me/9

383
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

U11 1alterazi011e cromosomica strutturale relativamente frequente è la traslocazio­


ne, che è presente in circa 1/1.000 nati. Esistono due tipi di traslocazione: reciproca
e robertsoniana. Con traslocazione reciproca s'intende uno scambio di materiale
genetico tra cromosomi non omologhi. Può avvenire tra tutti i cromosomi. La tra­
slocazione reciproca può essere sia bilanciata che sbilanciata. In quest'ultimo caso
i soggetti presentano alterazioni anche molto gravi, talvolta incompatibili con la vi­
ta. Nel caso di traslocazioni reciproche bilanciate i soggetti sono in genere normali; 6
tuttavia, hanno una alta possibilità di generare figli con traslocazione reciproca sbilan­
I ciata e dunque affetti da anomalie. L'elevato rischio di un soggetto con traslocazione
i reciproca bilanciata di generare progenie con traslocazione reciproca sbilanciata è
causato dell'errato appaiamento dei loro cromosomi durante la meiosi che può deter­
minare la produzione di gameti con una distribuzione cromosomica anomala. Con
� traslocazione robertsoniana ( detta anche fusione centrica) s'intende la fusione di
due cromosomi acroccntrici (nell'uomo cromosomi acrocentrici sono: 13, 14, 15, 21 e
22) attraverso i bracci corti.
i•

:d ! =
I Traslocazione reciproca Traslocazione robertsoniana

0
der4
der20
ea � 21
=C> i
14
4
� Figura 5.26: Traslocazione
dar (14:21) reciproca e robe rtsoniana.

Anche le traslocazioni robertsoniane possono essere bilanciate o sbilanciate. Nel


primo caso i soggetti sono normali ma hanno un alto rischio di generare prole con
sbilanciamenti, nel secondo caso, i soggetti presentano anomalie. Quando le traslo­
cazioni robertsoniane sbilanciate presentano 3 copie del braccio lungo del cromosoma
21, i soggetti saranno affetti da sindrome di Down (Pig. 5.27). Circa il 3-4% di casi
di sindrome di D0V11 n sono dovuti a traslocazione robertsouiaua sbilanciata.

{( )(;• è( ·1, )((


11 )i;
2 3 4 5

)<I ) r
Figura 5.27: Traslocazione robertso-

#I r!rP.

niana · sbilanciata che da,:'origine a
Il e sindrome di Do�n. Q,te�to soggetto
-
6 9 10 11 12 ha 46 cromosomi ma uno dei due cro-
)II
1
I{,
I
a
I( lfi 18
••
l!f
il
mosomi 14 (indicato con �a freccia!
_
\i - presenta la fusione centrica con il
13 14 15 16 17 18
1
cromosoma 21. Per cui questo sog-
H le' tf �I i getto, benché con 46 cromosomi1 di
19 20 21 22 x y fatto ha 3 copie del cromosoma 21.

6Qunndo la. traslocazione fonde due geni che prtma. si collocava.no 3u cromosomi separa.ti si
potrebbero avere conseguenze patologiche.

384
@ Artquiz BIOLOGIA
,
o 5.5 Ereditarietà legata al sesso

o
5.5.1 I cromosomi sessuali nella specie umana
I ·caratteri controllati da geni localizzati nei cromosomi sessuali sono detti caratteri
legati al sesso. Essendo l'assetto dei cromosomi sessuali diverso tra maschio e
femmina, i caratteri legati al sesso hanno un'ereditarietà diversa rispetto ai caratteri
controlla ti da geni localizzati negli autosomi. Ciò è particolarmente importante per

a
i geni localizzati nel cromosoma X. Infatti, mentre il cromosoma Y è un piccolo
cromosoma che contiene essenzialmente geni importanti per sviluppo in senso maschile
e per [a fertilità del maschio, il cromosoma X è molto grande e contiene una gran
quantità di geni. Molti dei geni contenuti nel cromosoma X non sono in relazione alla
determì"nazione del sesso, ma a funzioni comuni ai due sessi.
Per esempio, il cromosoma X contiene geni importanti per la discriminazione dei
colori, per la funzione muscolare, per il metabolismo intermedio. Dal punto di vista
evolutivo, si ritiene che i due cromosomi sessuali erano prima due.autosomi (capaci
di crossing-ove1' in tutte le loro porzioni) che poi si sono differenziati. Una prova di
ciò consiste nel fatto che ancora oggi nella specie umana i due cromosomi sessuali a
livello delle due estremità si comportano come_ gli autosomi. Infatti alle estremità dei
cromosomi X e Y sono presenti le cosiddette .regioni pseudoautosomiche, omologhe
fra loro. Per c1d, a livello delle regioni psendoautosomiche pnò avvenire cmssing-over
tra i cromosomi X e Y (Fig. 5.28).

r��
11},=i'
l 1.,,,
.l�t;,
1---··k:

1if.t
,)(·.·,·· :,
Figura 5.28: Regioni pseudoautosomiche dei
?:
1 ..•.1.r •�
cromosomi X e Y e posizione del gene SRY.
<\;: J.
:.,....,:

Regione
Pseudoautosomica 2

Per quanto riguarda i geni localizzati nel cromosoma Y, si ha la trasmissione da


padre a figlio maschio. Per cui, tranne che per le regioni pseudoautosomiche, tutti
i soggetti maschi di una famiglia condividono lo stesso cromosoma Y.7 Per quanto
riguarda ogni gene localizzato sul cromosoma X, i soggetti di sesso femminile potranno
essere omozigoti o eterozigoti (a seconda se i due alleli siano tra loro uguali o no).8
I soggetti di sesso maschile, avendo solo una copia di cromosoma X, per ogni gene
localizzato su questo cromosoma sono emizigoti, cioè nel corredo genetico diploide
presentano una sola copia. Nel braccio corto del cromosoma Y è presente il gene
SRY, la cui funzione è necessaria per lo sviluppo dell'embrione in senso maschile.
7Ovvtamente tra i soggetti moschi di una famiglia potranno esserci variazioni a livello della
sequenza del cromosoma Y in seguito a nuove muta:,;ioni (Biologia, § 5. 7).

n
811 concetto di uguaglianza tra due alleli dello stesso gene corrisponde a impossibilità. di distinguere
differenze tra i due alleli.

385
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

5.5.2 Inattivazione del cromosoma X


L'espressione dei geni autosomici è, di solito, biallelica, cioè, entrambi gli alleli sono
trascritti e ambedue contribuiscono ai livelli di RNA messaggero e, successivamente, di
proteina. Alcuni geni autosomici (oggi si stima circa un centinaio) funzionano invece
in maniera monoallelica: in ogni cellula un allele è trascritto e l'altro è silenziato. Ciò
è dovuto ad un fenomeno detto imprinting genomico: funziona solamente l'allele
trasmesso dal padre o dalla madre (a seconda del gene). Esempi di geni umani sotto­
posti ad imprinting sono: l' Insulin-like growth factor 2 (IGF2), di cui viene silenziato
selettivamente l'allele materno e il cui RNA messaggero deriva quindi dall'espressione
del solo allele paterno, o il gene H19, sottoposto viceversa a imprinting paterno, e di
cui viene quindi espresso solo l'allele di origine materna.
Per ciò che riguarda i geni localizzati nel cromosoma X, maschi e femmine han­
no un dosaggio genico diverso. 9 Peraltro, se si osservano i prodotti genici (RNA
messaggero o proteina), in maschi ·e femmine si osservano gli stessi livelli. Dunque,
esiste un fenomeno di compenso: benché maschi e femmine abbiano dosaggi genici
differenti, la quantità di prodotto genico è la stessa. Nella specie umana e, più in
generale, in tutti i mammiferi, questo compenso avviene tramite inattivazione trascri­
zionale di uno dei due cromosomi X. Questo fenomeno di inattivazione è stato per la
prima volta ipotizzato dalla ricercatrice inglese Mary Lyon, viene per questo anche
detto lyonizzazione del cromosoma X.
L'inattivazione trascrizionale (silenziamento) di uno dei due cromosomi X nelle
cellule di organismi femminili avviene tramite eterocromatizzazione del cromosoma
che viene silenziato. Dal punto di vista morfologico, il cromosoma X inattivo appa­
re come un corpo sferoidale intensamente colorabile (corpo di Barr) In ogni cellula
diploide dell'organismo si può mettere in evidenza un numero di corpi di Barr pari
al numero di cromosomi X meno uno. Dunque, un maschio normale non ha corpi di
Barr; una femmina normale ha un corpo di Barr. per cellula; un maschio con sindrome
di Klinefelter ha un corpo di Barr per cellula; ecc.
L'inattivazione di uno dei due cromosomi X avviene secondo le seguenti caratte­
ristiche:
• precoce: avviene d11rante le fasi precoci dello sviluppo embrionale, quando si ha
la blastocisti;
.
• casuale: ogni cellula inattiva l'X paterno o materno a caso, in modo indipendente
da cellula a cellula. Statisticamente, dunque, in un 50% di cellule è inattivato il
cromosoma X di provenienza paterna, nell'àltro 50% quello di provenienza materna;
• permanente e propaga ta in maniera clonale: una volta scelto il cropiosoma X
da inattivare (paterno o materno), l'inattivazione dello stesso cromosom� continua
in tutte le cellule figlie; /

• non completa: alcuni geni localizzati sul cromosoma inattivo continuano ad essere
espressi. Dunque, oltre che i geni localizzati nelle regioni pseudoautosomiche, alcuni
geni localizzati nel cromosoma X sono espressi in maniera biallelica.
Dal punto di vista molecolare, l'inattivazione del cromosoma X viene iniziata da
un notevole aumento dell'espressione del gene XIST a livello del cromosoma che sarà
0con il termine dosaggio genico s'intende il numero di copie dt un gene presente in un genoma.
diploide.

386
@ Artquiz BIOLOGIA

inattivato. II gene XIST produce un RNA non codificante che si stratifica sul cro­
mosoma che lo produce, iniziandone l'inattivazione. L'inattivazione del cromosoma X
procede poi con altri fenomeni molecolari. Modifica·.tioni post-traduzionali degli istoni
e metilazione del DNA a livello di residui di citosina sono tra i più fenomeni più rile­
vanti che determinano il mantenimento del silenzia.mento di uno dei due cromosomi
X in tutte le cellule figlie.
L'inattivazione casuale di uno dei du� cromosomi X e la propagazione in maniera
clonale nella progenie determina che, dal punto di vista dell'espressione dei geni lo­
calizzati nel cromosoma X, l'organismo femminile sia 1111 11mosaico11 : alcuni gruppi di
cellule esprimono i geni localizzati sul cromosoma X paterno, altri gruppi di cellule
esprimono i geni localizzati sul cromosoma X materno (Fig. 5.29).

Prime mitosi

Inattivazione casuale

8
Trasmissione alla progenie

o
L'organismo femminile
è un "mosaico''

Figura 5.29: Inattivazione ,fol cromòsoma X durante l'embriogenesi femminile.


Il cromosoma attivo è indicato con nna linea, quello inattivato con un ovale
{corpo di Barr). P: paterno; M: materno.

387
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

5.5.3 Ereditarietà X-linked

o
Data la notevole quantità di geni conteuuti, è importante conoscere in dettaglio la tra­
smissione ereditaria di geni che stanno nel cromosoma X. Questo tipo di ereditarietà
è detta X-linked. L'ereditarietà X-linked è importante anche in patologia umana:
esistono tante malattie trasmesse attraverso questo tipo di ereditarietà. Come l'ere­
ditarietà autosomica, anche quella X-linked può essere dominante o recessiva.
Per quanto riguarda l'ereditarietà X-linked dominante, una femmina affetta
avrà un genotipo eterozigote. Dunque, dato che la femmina trasmette sempre uno
dei due cromosomi X, ogni figlio che viene generato (indipendentemente dal sesso)
avrà un rischio del 50% di ereditare l'allele responsabile della malattia (e, dunque,
la malattia). Un soggetto maschio affetto trasmetterà sicuramente il suo unico cro­
mosoma X a tutte le figlie femmine. Dunque il 100% delle figlie femmine erediterà
la malattia. Nessuno dei figli maschi, invece, sarà affetto, in quanto il padre ai figli
maschi trasmette il cromosoma Y.
Per quanto riguarda l'ereditarietà X-linked recessiva, un maschio è emizigote
(vedi sopra) per tutti i geni localizzati nel cromosoma X. Dunque, se uno di questi
geni conterrà una. mutazione responsabile di malattia, il soggetto sarà affetto. Invece,
perché un soggetto di sesso femminile sia malato è necessario che sia omozigote per
l'allele responsabile della malattia. Una femmina eterozigote sarà una portatrice sana.
Per queste ragioni, le malattie con ereditarietà X-linked recessiva sono molto più fre­
quenti nei maschi che nelle femmine. A meno di nuove mutazioni, perché sia generata
una femmina omozigote per l'allele respon::;abile della malattia, è necessario che sia il
padre che la madre trasmettano il' cromosoma X con la mutazione responsabile della
malattia. Dunque, il padre deve esserne affetto. In caso di malattia poco grave (il
daltonismo, ad esempio), che non abbassa significativamente la fitness riproduttiva
del maschio, la generazione di figlie omozigoti è possibile. 10 Nel caso invece di malat­
tie gravi che riducono o addirittura azzerano la fitness riproduttiva dei soggetti affetti
(come, ad esempio, l'emofilia o la distrofia muscolare di Duchenne), il maschio affetto
non riesce a generare figli. Dunque, figlie femmine omozigoti per l'allele responsabile
della malattia non potranno essere generate. A meno di nuove mutazioni, un soggetto
affetto maschio è generato da una femmina portatrice sana. Ogni femmina portatrice
sana avrà un rischio del 50% di generare figli affetti (se sono di sesso maschile). Vice­
versa, una portatrice sana, se il suo partner è sano, non genererà mai figlie femmine
malate. Però ogni sua figlia femmina avrà il 50% di possibilità di essere una portatrice
sana (Fig. 5.30).

:,·,

10La fitness riproduttivo. è un paro.metro che misura il successo riproduttivo di un individuo o


di un certo genotipo. Con successo riproduttivo s'intende li mlmero medfo di fìgli genero.ti, o. loro
volta. capa.ci di riprodursi. Lo. fitness riproduttiva viene comunemente indicato. con lo. lettera. w ed
è unn. misura. relativa. o.Ilo. popolazione di riferimento. Il suo valore può varia.re da. 1 (quel soggetto
o quel genotipo ha un successo riproduttivo pari o. quello della. popola.?1ione di riferimento) o. O (quel
soggetto o quel genotipo non riesce o. riprodursi, cioè ho. un successo riproduttivo-pari o. O).

388
@Artquiz BIOLOGIA

X.tlnked dominante, madre malata X-llnked dominante,- padre malato


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Figura 5.30: Ereditarietà X-linked.

5.6 Ereditarietà mitocondriale


I mitocondri sono organeHi citoplasmatici prosenti in numero dì 100 o più per ogni
cellula. Sono la sede dove viene prodotta adenosinatdfosfato (ATP), una. molecola.
che fornisco direttamente enel'gia all'organismo.
La fosforilrur.ione om,ida.tiva è il processo mctaholioo atti·avorso cui viene prodotto
l'ATP ccl è costituito cla una serie di reazioni ossidoriduttìve effettuate dai c,0mplessi
respira.tori I, Il, lll t IV. I mito�ondri sono pertanto gli organelli chiave per la SO·
pravviven�.a. cellularn. Quando si vctifica un dam10 mitocondriale la quantità. dj ATP
all'intorno della c-cHuJa è alterata. Cervello, cuore e muscoli scheletrici sono tessuti Le
cui ce1lule lichk.'Clono molta. energia e quindi sono più vulnerabili. La foi,forilazione
ossidativa è regolata da due sistemi genetici: U genoma nucleare e mitocondl'iale. Ge­
ni contenuti nel DNA nucleare (nDNA) codificano per ln maggior parte delle protolne
mitoc-0ndriali, comprese alcune snbun1tà. proteiche dei complessi respiratori. Le altre
subunità sono codificate dal DNA mìtocondria.lc (mtDNA).

389
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz
11 mtDNA umano è una molecola costituita da una doppia elica circolare di 16.569
paia di basi, presente in copie multiple nei mitocondri. Il mtDNA contiene solo 37
geni, di cui 13 codificano polipeptidi della catena respiratoria. La caratteristica di
questo DNA è di presentare un'alta tasso di mutazione, assenza di istoni e introni,
pochi sistemi di riparo e 1.1.na facilità di esposizione al danno da radicali ossidanti. A
differenza del DNA nucleare per il quale abbiamo un corredo diploide nello zigote e
nelle cellule somatiche, il mtDNA è presente in 2-10 copie per organello e quindi per
centinaia o migliaia di copie per cellula (poliplasmia). Se esiste una mutazione nel
DNA mitocondriale questa può interessare tutte le cellule (omoplasmia), oppure solo
una parte, e dunque si avrà la coesistenza di due popolazioni di mtDNA, dì cui uno
normale e l'altro mutato (eteroplasmia). Il mtDNA viene ereditato esclusivamente
dalla uiadre perché i mitocondri degli spermatozoi sono localizzati nella coda, che
non penetra nella cellula uovo durante la fecondazione. Quindi figli e figlie dì donne
affette sono a rischio di essere affetti, mentre i maschi non trasmettono il carattere.
Virtualmente tutti i tessuti, ad eccer.lione dei globuli rossi e della cute, sono fisio­
logicamente dipendenti dal metabolismo aerobico. Pertanto il quadro clinico di un
disordine mitocondriale è vario. Poiché i mitocondri sono ubiquitari, le mahi.ttie mi­
tocondriali possono colpire qualsiasi organo, ma più spesso interessano il muscolo e il
cervello; per questo motivo sono spesso definite come encefalomiopatie mitocondriali.

9rl dir�'
Divisioni cellulari Maturazione Fecondazione

Basso livello di genomi


-. mitocondriali mutanti:

,;�/
Figli sani

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..
1
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Alto livello di genomi
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• ... . : •\f� •
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Figli malati
., • ,---,., o- •
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'\! o o,'


CeDulap� Livello intermedio di
-. genomi mitocondriali rnulanti:
Figli sani o malati? :'
• Mitocondrio mutante l
n Mitocondrio normate I Ovocita primario Ovocita maturo
• Nucleo

Figura 5.31: La figura in alto raffigura un albero genealogico esemvio di e1·e­


ditarietà mitocondriale. Come si vede, mentre i soggetti di sesso femminile
possono trasmettere la malattia, i soggetti di sesso maschile non trasmettono
mai la malattia. La figura in baBso mostra l'eteroplasmia e la trasmissione del ,.
DNA mitocondriale eteroplasmico tra la cellule.

390
@ Artqufz BIOLOGIA

Padre Madre Padre Madre


sano malata malato sana

Figura 5.32: Ereditarietà mitocondriale: esempio


di trasmissione matrilineare dove sola la madre
malata trasmette il carattere patologico.

"" 5.7 Mutazioni

5.7.1 Generalità

o Con il termine mutazione si può intendere una qualsiasi modifica dell'informazione

o
genetica. Una mutazione è dunque una modifica della sequenza del DNA. 11 Quando
la modifica del DNA coinvolge una frazione talmente grande del genoma da modificare
Passetto cromosomico osservabile attraverso l'analisi del cariotipo, allora si parla di
alterazione cromosomica (Biologia, § 5.4). Per cui il termine mutazione è di solito

D
utilizzato per descrivere modifiche del genoma così piccole da non poter essere rilevate
tramite analisi morfologica dei cromosomi. Con il termine di mutazione puntiforme
s'intende un'alterazione che coinvolge poche basi (anche una sola).
Le mutazioni possono avvenire sia nelle cellule somatiche che nei precursori delle
cellule germinali. Dunque, le mutazioni possono essere raggruppate in due classi:

o
.
• Mutazioni somatiche. Esse sono presenti unicamente in cellule somatiche e
non nei gameti. Dunque, non possono essere trasmesse alla progenie.
• Mutazioni germinali. Esse sono presenti nei gameti. Dunque possono essere

o
l
trasmesse alla progenie. Quando un soggetto è generato da un gamete con­
tenente una mutazione germinale, tutte le sue cellule (somatiche e germinali)
conterranno quest'alterazione.
Le mutazioni possono avvenire in qualsiasi regione del genoma. Quando una mu­
tazione insorge "de novo,, (non è presente nel genoma dei genitori) si parla di nuova
mutazione.
Le nuove mutazioni sono eventi casuali che nei precursori delle cellule germinali
avvengono con una frequenza media di circa 1 mutazione/gene/10 5 -106 gameti. Que­
sto parametro viene chiamato tasso di mutazione e viene indicato con la lettera
grecaµ. In organismi animali il tasso medio di mutazione oscilla tra circa 10-5 e 10-6 ,
11Ovviamente et si riferisce agli organismi nei quali il materiale genetico è il DNA. In al cuni virus
il materiale genetico è costituito da!PRNA.

391
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

a seconda del gene coinvolto. Il tasso di mutazione può aumentare quando l'organi­
.,;. smo è esposto ad agenti mutageni (chimici, radiazioni iouizzanti, ecc.).
Sulla base degli effetti biologici e dal punto di vista dell'evoluz;ionc, le mutazioni
possono essere schematicamente suddivise in 3 gr uppi:
A. Neutre o neutrali. Queste mutazioni non determinano evidenti effetti biologi­
ci e, dunque, non modificano la fitness riproduttiva dell'organismo. Per questo,
lungo le generazioni questo tipo di mutazioni non sono selezionate positivamente
né negati vamente e la loro diffusione in Ulla popola-t;ione è dovuta unicamente alla
deriva genica (Biologia, § 5.10). Nelle specie animali e vegetali la maggioranza di
mutazioni sono di tipo neutrale.
O
B. Svantaggiose. Determinano l'alterazione della. funzione di uno o più geni. L'or­
ganismo in cui sono presenti ha una fitness riproduttiva ridotta. Dunque, lungo
le generazioni questo tipo di mutazioni sono sottoposte ud una selezione negativa
(purifying selection) che tende a ridurne la frequenza. In effetti, la frequenza di
queste mutazioni tende a rimanere costante lungo le generazioni perché l'effetto
della selertione negativa è compensato do.Ha gencra.1.ione di nuovi organismi mutanti
tramite le nuove mutazioni.
C. Vantaggiose. Sono nettamente le più rare. Queste mutazioni determinano un
vantaggio selettivo per l'organismo in cui sono presenti. Du11que, aumentano la fit­
ness riproduttiva dell'organismo e, con il passare delle generazioni, la loro frequenza
tende ad aumentare.
In alcuni casi, i concetti di mutazione neutrale, svantaggiosa e vantaggiosa dipen­
i,I
dono dall'ambiente in cui vive l'organismo e dal suo background genetico. Cioè, una
mutazione può determinare effetti biologici solo in particolari ambienti e/ o solo in
alcuni individui.
'
,I

5. 7.2 Mutazioni puntiformi


Le mutazioni puntiformi possono e.<;sere dovute alla sostituzione di una base o al­
I

i'
l'inserzione o delezione di una o più basi. Per quanto riguarda le sostituzioni, qu<:?Ste
possono essere distinte in due tipi:
,!
,j

- transizioni, qualora si ha lo.scambio di una purina con un'altra purina (A {=:> G)


o di una pirimidina con un'altra pirimidina (T {=:> C)i
- transversioni, qualora una purina viene sostituita da una pirimidina e viceversa
(C/T {=:> A/G).
Quando le sostituzioni avvengono in una sequenza codificante, cioè a Vvello del­
le triplette cli codificazione (codoni) dei vari amminoacidi, rispettq agli qffetti sulla
proteina, le mutazioni per sostituzione si dividono in diverse classi:
1. Mutazioni sinonimo. A causa della degenerazione del codice genetico (Biologia,
§ 3.8), la sostituzione di una base non modifica l'amminoacido codificato. Quest'ef­
fetto si ha prevalentemente quando la mutazione coinvolge la terza base del codone.
Dunque, il prodotto proteico resta immutato. Per questo motivo, le muto:�ioni si­
nonimo sono chiamate anche mutazioni silenti. Queste mutazioni normalmente
non determinano effetti biologici e, dunque, neppure fenomeni patologici.12
12 Molto raramente le mutazioni sinonimo possono determinare degli effetti biologici perché possono
condizionare la stabilità dell'RNA messaggero o ridurne l'efficienza di traduzione.

392
�:
@ Artquiz BIOLOGIA

2. Mutazioni missenso. Sono quelle mutazioni che determinano la modifica del­


l'amminoacido codificato. Dunque possono modificare anche in maniera signifi­
cativa la struttura del prodotto proteico e determinare effetti biologici. Dunque,
possono anche essere causa di malattie nell'uomo. La possibilità che una mutazione
· missenso produca effetti biologici è funzione di due parametri principali:
a) La natura della mutazione. Se il cambio di amminoacido è conservativo, cioè
l'amminoacido sostituente e quello sostituito hanno caratteristiche chimico-fisiche
simili, è probabile che la mutazione non determini una modifica delle funzioni
del prodotto proteico e, dunque, non causi effetti biologici. Se, invece, la sostitu­
zione avviene tra amminoacidi con caratteristiche chimico-fisiche diverse, allora
potrà esserci una modifica significativa delle funzioni del prodotto proteico con
ripercussioni sugli effetti biologici.
b) La posizione dell 'arnminoacido sostituito lungo la sequ enza della proteina. Non
tutti gli amminoacidi di una proteina sono sempre importanti per le sue fum::io­
ni. Per esempio, all'interno di una sequenza proteica ci possono essere serie di
amminoacidi che esercitano unicamente una funzione di linker tra due domini
funzionali di una proteina. Ovviamente, la presenza di una mutazione missenso
in una regione linker non determinerà modifica delle funzioni della proteina.
3. Mutazioni nonsenso. Que::1te mutaziopi si hanno quando un codone codificante

D
viene trasformato in uno dei tre codoni di stop (Biologia, § 3.8). A causa della
presem,;a di una mutazione nonsenso si ha l'interruzione prematura della sintesi
proteica e la produzione di una proteina tronca. Per questa ragione le mutazioni
nonsenso aboliscono le funzioni del prodotto proteico e determinano sempre effetti
biologici.

o
Le mutazioni dovute a deler.,done o aggiunta di basi hanno conseguem::e diverse a
seconda del numero dì basi delete o aggiunte. Infatti, ::1e abbiamo la delezione o
l'aggiunta di un numero di basi pari a 3 o ad un multiplo di 3, a livello del prodotto
proteico avremo 1� delezione di uno o più amminoacidi o l'addiiione di uno o più
amminoacidi.
Se, invece, il numero di basi delete o aggiunte è diverso da 3 o da un multiplo di 3,
si avrà il fenomeno dello scivolamento della cornice di lettura, detto più semplicemente
frameshift. Per e!:lempio, la delezione o l'aggiunta di una base alla sequenza di DNA

b1-
determina un'alterazione dell'ordine di lettura di tutti i codoni a valle della mutazione.
Dunque,, gli amminoacidi inseriti a valle della mutazione saranno tutti alterati fino alla
comparsa, molto probabile, di una tripletta nonsense che porta ad una catena tronca.
Per questa ragione, le mutazioni tipo frameshift determinano sempre abolizione delle
funzioni di una proteina causando, dunque, sempre effetti biologici.
0 Esempi schematici di cosa siano e cosa provocano a livello del prodotto proteico le

o
mutazioni sinonimo, missenso, nonsenso e frameshift sono delineati nelle Figure 5.33
e 5.34.
Le mutazioni puntiformi possono determinare effetti biologici anche quando si
localizzano nelle regioni non codificanti del gene. 'D:a queste mutazioni, si possono
schematicamente distinguere 3 gruppi:
• Mutazioni a livello dei siti di splicing o delle sequenze di controllo dello splicing
(Biologia, § 3.6).
• Mutazioni a livello delle sequenze che regolano la trascrizione del'RNA messag-
gero (promotori, er,,hancers trascrizionali).

o 393
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

• Mutazioni a livello del 3' non tradotto dell'RNA messaggero che possono deter­
minarne una ridotta stabilità.

tipo e TTAGTGA e TA e GGTAAA DNA


selvatico G AAT e A e TGATG e e ATTT
CUUAGUGACUACGGUAAA mMA
Leu • Ser • Asp , Tyr • Gly . Lys proteina

! i
mutazioni e TTAG ,e GA e TA e GGTAAG
_ DNA
sinonimo GAAT e G e TGATG e e ATT e,
CUUA G C GACUACGG UAA G mRNA
Leu , Ser • Asp , Tyr • Gly • Lys proteine

! i
mutazioni CCTAGTGAATACGGTAAA
D NA
missenso GGATCACT TATGCCATTT
CCUAGUGAAUACGGUAAA mRNA
"8 , Ser • � • Tyr · Gly • Lys proteina
i
mutazioni CTTAGTGACTAGGGTAAA
D
nonsenso GAATCACTGATCCCATTT �
CUUAGUGACUAG mRNA
codone di stop

Leu , Ser • Asp proteina

Figura 5.33: Esempio di mutazioni per sostituzione di una base.

ACAAAAAGTCCATCACTTAACGCC
tipo DNA
selvatico TGTTTTTCAGGTAGTGAATTGCGG

A e A AAAAG u e e A u e A e u u AA e G e e mRNA
Thr · Ser · Leu • Asn
- · Lys � Ser · Pro---- · Ala
··----- proteina
I+
aggiunta di ACAAA AA�G A A r cc r c c r r
AA G
�A
c cc

-
una base TGTTTTTTCAGGTAGTGAATTGCGG
r,
ACAAAAAAGUCCAUCACUUAACGCC mR�
.'
Thr · Lys · Lys · Ser · Ile , Thr codone proteina

delezione di
--i-
ACAAAAGTCCATCACTTAACGCC
di atop

una base DNA


TGTTTYCAGGTAGTGAATTGCGG

ACAAAAG,U e CAUCAC u UAACG e e mRNA

Thr , L� Val · His • His · Leu , Thr • Pro proteina

Figura 5.34: Esempio di mutazioni di tipo frameshijt.

394
,.
@ Artqui?. BIOLOGIA

5.7.3 Mutazioni di sequenze ripetute


Sequenze ripetute di pochi nucleotidi tendono a far "scivolare" la DNA polimerasi
durante la duplicazione del DNA, determinando un aumento o diminuzione delle unità
ripetute. Per esempio, se abbiamo una sequenza in cui il dinucleotide 5'-CA-3' è
ripetuto 8 volte (5'-CACACACACACACACA-3'), la mutazione può consistere in un
aumento (9) o diminuzione (7) del numero di dinucleotidi 5'-CA-3'. Sequenze ripetute
di pochi nucleotidi sono chiamate microsatelliti e, a causa della formazioni di nuovi
alleli con numero diverso di ripetizioni, presentano un alto grado polimorfismo nella
popolazione. I microsatelliti sono molto frequenti nel genoma umano: sono presenti
con una frequenza media di 1 ogni 10.000-20.000 basi. Per queste ragioni l'analisi dei
microsatelliti è oggi lo strumento piì1 usato nei test di DNA di genetica forense (test
di paternità, test di riconoscimento, ecc.).

5. 7.4 Mutazioni da amplificazione di triplette


Un particolar0 tipo di mutazione che è causa di alcune malattie umane è quella da
amplificazione di triplette. Per ciò che si è detto ch·ca i microsatelliti, sequenze
ripetute formate da nnità di tre basi (ad esempio 5'-CAG-3'), dnrante la duplicazione
del DNA po�ono modificare il numero di unità. Alcune volte il numero di triplette.

o
aumenta e, quando ciò avviene in particolari geni, si determinano specifiche malattie.
A causa della lesione genetica, queste vengono chiamate malattie da amplificazione di
triplette. Sono di solito malattie del sistema nervow o neuromuscolare. Per e8empio,

o
la malattia di Huntington è determinata dall'amplificazione della tripletta 5'-CAG-3'
all'interno del gene HTT. A livello di questo gene, soggetti normali hanno un numero
di ripetizioni della tripletta 5'-CAG-3' fino ad nn mnssimo di circa 40_ ripetizioni. Un
numero più elevato determina invece l'inwrgen½a della malattia. Un altro esempio
di malattia da amplificazione di triplette è la distrofia miotonica. Questa malattia è
causata dall'amplificazione della tripletta 5'-CTG-3' a livello del gene DMPK. Soggetti
normali hanno un numero di triplette fino a. un massimo di circa 50-100 ripetizioni.
Numeri più elevati determinano l'insorgenza della distrofia miotonica. In tutte queste
malattie il quadro clinico è proporzionale al grado di amplificazione delle triplette.

o 5.8 Interazione tra geni diversi e interazione gene-ambiente

o Spesso un carattere è controllato da più geni. Schematicamente, l'interazione tra geni


diversi può essere di due tipi: additiva ed epistatica.
Si ha interazione di tipo additivo quando l'effetto a livello fenotipico è prodotto

D
dalla somma degli effetti dei singoli geni che agiscono indipendentemente l'uno dal­
l'altro. Facciamo un esempio teorico. S'immagini che in un dato organismo il peso

o
dell'adulto sia controllato da due geni: il gene A che determina un miglior assorbimen­
to intestinale dei nutrienti e il gene B che determina la sintesi di un fattore di crescita
che agisce su tutti i tessuti. Per ognuno dei due geni abbiamo due alleli. Per il gene

o
A, l'allele A determina un miglior assorbimento intestinale e ha un effetto dominante,
mentre l'allele a non è funzionante (dunque non migliora l'assorbimento intestinale)
e ha un effetto recessivo. Per il gene B, l'allele B determina la sintesi di nn fattor� di
crescita fun½ionante e ha tin effetto dominante, mentre l'allele b determina la sintesi
di un fattore di crescita non funzionante e ha un effetto recessivo. Chiaramente, gli
individui che posseggono per ambedue i geni l'allele dominante (A e B) sa.ranno quelli

395
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

che avranno H peso pii1 elevato; gli individui che posseggono l'allele dominante solo
per uno dei due geni (A o B) avranno un peso intermedio; infine i doppi omozigoti per
l'allele recessivo di ambedue i geni (aabb) avranno il peso piit basso. In quest'esempio,
I. i geni A e B hanno due funzioni completamente diverse e la loro interazione avviene
unicamente come somma dei loro singoli effetti a livello fenotipico.
L'interazione epistatica (detta epistasi) si ha invece quando un gene interferisce
con l'espressione o la f�mzione di un altro gene. Un esempio di epistasi è quello della
colorazione della pelliccia del topo, delineato nella Figura 5.35.
Fenotipi Genotipi

Mcc; AaCC; MCc; AaCc


Figura 5.35: Epistasi: il gene C è epistatico su
gene A. Quando è presente il genotipo cc, il geno­
� aaCC; aaCc
tipo del gene A è irrilevante. Il genotipo del gene
o .-
'I!· . ''\ Mcc; Aacc; aacc A diventa rilevante solo in presenza dell'allele C.

In questo caso, il gene C determina la produzione di pigmento e presenta due


alleli ( C, allele funzionante, dominante, determina la produzione di pigmento; e, al­
lele non funzionante, recessivo, determina assenza di pigmento). Il gene A determina
la deposizione del pigmento sul pelo e presenta anch'esso due alleli (A, dominante,
determina una deposizione discontinua del pigmento che conferisce un colore grigia­
stro, detto agouti, alla pelliccia; a, recessivo, determina una deposizione continua del
pigmento che conferisce un colore nero alla pelliccia). Come si vede nella Figura 5.35,
l'omozigote cc, non producendo pigmento, sarà albino e la configurazione del gene A
è irrilevante. Il gene A esercita il suo effetto solo se il gene C presenta Pallele domi­
nante. fo quest'esempio, il gene C controlla gli effetti del gene A, solo se è presente
l'allele dominante C il gene A può avere effetti sul fenotipo. Il gene C è epistatico
rispetto al gene A .
L'effetto dei geni a livello fenotipico può essere condizionato da variazioni ambien­
tali. Con il termine variazione ambientale s'intende una modificazione riguardante
un qualsiasi componente non genetica quali le variazioni fisiche ambientali (luce, tem­
peratura, presenza di sostanze particolari, ecc.) la dieta, i farmaci, il comportamento
di altri soggetti, ecc.
Un esempio tipico di come nna variazione ambientale modifica l'effetto dei geni
sul fenotipo è quello dell'allele 'hymala ian (é) nel coniglio. Questo allele (dominante
rispetto all'allele albino e) è sensibile aila temperatura. Esso funziona solo a basse
temperature, dunque de.termina la presenza di pigmento solo in conigli (dal genotipo
d•ch o cc:11-) allevati a bassa temperatura e unicamente nelle parti del corpo che vengono
"raffreddate" dalla bassa temperatura ambientale (padiglioni auricolari, n1:�so, zam­
pe, coda) (Fig. 5.36). Questo effetto della temperatura ambientale sulla c.Òlorazione

'
della pelliccia si osserva anche in altri animali (gatti, topi, chinchilla, ecc.)'.

(:.

. )� -�
;: 1 ..,
• .i-:., �. ,< . ,� .
..... .. •- ,t,.>-,w,.,..,.

Allevalo elle temperelura Allevalo elle lemperelure


Figura 5.36: La temperatura ambientale
di 20 "C o meno di 30 "C o più controlla l'effetto dell'allele eh .

396
o
© Artquiz BIOLOGIA

5.9 Malattie genetiche e alberi genealogici

5.9.1 Malattie �enetiche umane


I. principi della ereditarietà scoperti da Mendel e dimostrati sulla pianta di pisello
[l possono essere applicati anche alla genetica umana, con ovvie limitazioni; tra queste

a
l'impossibilità di fare incroci preventivi al solo fine di studio e i tempi generazionali
che sono molto lunghi nella specie umana, anni rispetto alle settimane delle piante di
pisello.
Inoltre, la prole esigna dei nuclei familiari umani rispetto a quelli di piante e ani­

D mali rende difficile quantificare la frequenza dei fenotipi e verificare i rapporti attesi
secondo le leggi enunciate da Mendel. Nell'uomo ci sono anche altri fattori che ren­

a
dono complessa la manifestazione dei caratteri come le condizioni di penetranza ed
espressività variabile, il fatto d1e certi geni regolano l'espressione di altri geni o che
sono a loro volta regolati da geni epistatici, o l'influenza. dell'ambiente.
Tenuto conto di tutte queste difficoltà, tuttavia si può 1>roce<lere a<l un'analisi
genetica umana facendo un'osservazione dei caratteri presenti ncl1e famiglie e nella
ricostruzione della loro storia raccogliendo un'anamnesi dettagliata familiare e l)Cr.-;o­
nnle e costruendo un albero genealogico. Dopo aver di:-;egnato nn albero gtmealogico
si analizzano le informa¼ioni per capire come� un dato carattere venga trasmesso da
un individuo ad un altro. Infatti, ogni carattere mendeliano fisiologico o patologico si
. trasmette all'interno di nua famiglia in modo caratteristico e il modello di tra:-;mi:.;sio­
ue può essere spesso riconosciuto in base alle caratteristiche clell'albero gcmealogico.
Ciò può consentire di predire il rischio di insorgenza di una malattia genetica in va­
ri momenti, per esempio durante la gravida.mm o nel corso della vita adulta.; ma è
soprattutto importante per valutare la probabilità che nn fenotipo patologico ,'li ma­

o
nifesti nelle generazioni future.
Raccogliere tutte queste informazioni e trasmetterle alle famiglie è l'atto preli­
minare di una consulenza genetica. In proposito è opportuno sapere che tutte le
malattie genetiche oggi note dell'uomo, ereditarie e mendeliane, sono catalogate e in­
serite in una banca dati disponibile online al sito web Online Mendelian Inheritance
in Men, OMIM. Le caratteristiche ereditarie umane monogcniche possono allora

o
essere classificate in:
• Eredità antosomica (dominante e recessiva);

o
• Eredità associata al ,c;esso (X-linked clomiuaute e recessiva);
• Eredità mitocondriale.

o
5.9.2 Caratteri autosomici
Caratteri autosomici dominanti

o Sono noti oltre 5.000 caratteri autosomici dominanti, molti dei quali correlati a ma­
lattie che spesso sono rare nella. popolru-.ione. Tuttavia ci sono patologie autosomiche

o
dominanti che hanno frequenze maggiori (1:500 - 1:1.000) rispetto ad altre più rare
(1:10.000 o meno) che rendono poco probabile il matrimonio tra due 1)erso11e affette.
Per questo motivo, tranne rarissime eccezioni, i soggetti affetti da malattia a tnlsmiH­

o
sione autosomica dominante sono eterozigoti. Un carattere autosomico dominante
segrega secondo le leggi di Mendel e quindi si manifesterà fenotipica.mente anche ad
opera di un solo allele presente nella coppia di omologhi. I pazienti possono nascere

397
Capitolo 5 Le basi della genet.ica @ Artquiz

dall'unione tra un genitore ammalato eterozigote (Aa) e uno non ammalato omozigo­
te selvatico (aa). 13 Il genitore etero1,igote produce due tipi di gameti 11110 con l'allele
selvatico & � l'altro con l'allel@mutn.to A. Pertanto un eterozigote ha una probabilità
cli 1/2 (50%) di trasmettere la mutazione ai figli. La metà dei figli che non riceve la
mutazione non è ammalato. 'I\1ttavia, per la casualità della segregazione, un picco­
lo numero di concepimenti/figli può non rispettare le attese, anche se la probabilità
teorica di ogni figlio di ricevere nno dei dne alleli è 1/2.
Si possono utilizzare dei criteri per riconoscere piit facilmente questa modalità di
trasmissione:
• la mntazione è presente in proporzioni simili nei maschi e nelle femmine;
• le persone affette possono essere presenti in tntte le generazioni ( trasmissione
verticale) senza salto di generazione;
• sia maschi che femmine trasmettono la mutazione;
• ciascnn individuo portatore di mntazioue pnò trasmetterla al 50% dei figli;
• nel caso di mutazioni patologiche, il fenotipo degli omozigoti (molto rari) è
spesso clinicamente più grave cli quollo degli eterozigoti.

-� -� (/.\f�.��s��1c, '. �����"·tjt�· ·_· ·1


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t' Figura 5.37: E.,;empio di ereditarietà au­


tosomica dominante: soggetti eterozigoti
;� - '.... -� ;··;:.,,.. '>
.. 'I
,'' .. �-;·'. ;.. -: maschi e femmine trasmettono il carattere
! patologie.o al 50% della prole.
I I": • ,.�•,'• 1
...
•• � : • •

Caratteri autosomici recessivi


Sono noti circa. 3.200 caratteri autosomici recessivi conosciuti nell'uomo, con frequen­
ze variabili. I caratteri recessivi sono quelli che si esprimono solo negli omozigoti,
quindi perché si manifestino a livello fenotipico necessitano della doppia do�e allelica.
I soggetti eterozigoti per geni che danno origine a malattie recessive vengono chia­
mati portatori sani. I soggetti affetti (omozigoti) originano dall'unione tra 2 soggetti
eterozigoti asintomntici e si manifestano in media in 1/4 dei figli, indipendentemente
dal sesso.

13Nell'ereditnl·iotà. o.utosomlco. dominante l'allele rc.�pons1\b1le delln mnlu.ttiu., aver1do ur1 effetto
dominante, si sci-ive in 1nal11scolo. Invece, l'allele selvatico, noi-male, avendo un effetto recessivo s1
scdvo 1n minuscolo. Più in generale, nella tern\inologia genotlca un allele dominante è scritto in
maiuscolo menti-e uno 1·eceRS1vo è scl'ltto in minuscolo.

398
@ Artquiz BIOLOGIA

Elenchiamo i criteri per riconoscere più facilmente questa modalità di trasmissione:


• generalmente i genitori di soggetti affetti non manifestano il carattere e quindi
saranno eterozigoti (portatori sani) dell'allele causa di malattia;
• la malattia ricorre tra i fratelli e spesso c'è una salto di generazione ( trasmissione
orizzontale);

• maschi e femmine sono colpiti con stessa freqnen7,a;


• un potenziale fattore di rischio per questa ereditarietà è rappresentato dalla
consang uineità dei genitori, che possono essere portatqri della stessa mutazione
ereditata da un antenato comune;
• da genitori eterozigoti portatori sani di un carattere potranno nascere 25% di
figli affetti, 25% di figli sani e 50% di figli eterozigoti portatori sani.
Se la malattia è sufficientemente rara e il matrimonio avviene trQ. soggetti estranei,
il rischio di ricorrenza della malattia tra i figli dei fratelli non affetti e degli altri
consanguinei dei pazienti è trascurabile.

o
IJ Figura 5.38: Esempio di ereditarietà au­

o tosomica recessiva: da soggetti eterozigo­


ti maschi e femmine portatori sani, 25%
della prole sarà malata, 25% sarà sana e
50% sarà eterozigote portatr ice sana.

o 5.9.3 Alberi genealogici


Ogni carattere mendeliano, fisiologico o patologico, si trasmette in una famiglia spesso
in modo particolare e quindi riconducibile ad una precisa modalità di trasmis!:lione.
Per questo motivo è fondamentale iniziare una consulenza genetica raccogliendo l'a­

o
namnesi della persona (probando/a) che richiede la consulenza a cui poi fa seguito
la raccolta di notizie degli altri soggetti della famiglia (anamnesi familiare).
Le informazioni raccolte vengono schematizzate disegnando un albero genealogico
utilizzando simboli standardizzati (Fig. 5.39). I simboli indicanti persone che appar­
tengono alla stessa generazione si disegnano in successione sulla stessa linea orizzon­
tale, da sinistra a destra in ordine decrescente di età; ogni generazione viene indicata
con i numeri romani, dove il numero I indica la generazione più vecchia e così via.
Per costruire un albero informativo è utile raccogliere informazioni di almeno tre
generazioni. -I numeri arabi definiscono ogni persona di una stessa generazione. È

399
Capitolo 5 Le basi della genetica © Altquiz
utile iniziare a disegnare un albero dal basso, cioè dalla generazione a cui appartiene
il probando, per poi salire fino alle generazioni più remote. La progenie è indicata da
sinistra verso destra in ordine temporale di nascita. È importante identificare ogni
persona anche con nome e cognome e anno di nascita. L'albero deve contenere in­
formazioni anche su aborti, morti perinatali, malformazioni e consanguineità. I dati
contenuti nell'albero sono poi integrati e raccolti in una cartella clinica, nella quale si
registra anche il recapito della famiglia o del probando e tutte le informazioni cliniche
di rilievo.


D D 0 0
o
Maschio Soggetti non affetti

Femmina
o Soggetti effetti

0-0 Incrocio

()={] Incrocio fra perenll


(consanguinei)
/' Il o- Probando, primo �o
ldenllflulo In queUe famiglie

p/'
Genllorl e flall. o () Elerozlgole certo
Le numerezTone romena
I� lndlu le generazioni.

@
Le numamzlone araba eimbollua Portalore di urallere legalo
l'ordine di neecna
lj In une generazione al X, receselvo
�� (maschlo, femmine, maschio).
\ 2 3

00
6b
Indice la dele di morte

Il
Gemelll monozlgoll d. \910 I d. \932

db
-?�?
'i
AMdJ
Incertezza
Gemelll dlzlgoll eul fenollpo

Prole di eeaso lgnolo


[O o (D Aelnlomallco o pre-elnlomallco

I"! I Prole abortila o non ancora naia

i-0 Prole decedule °I° lnfertllllà

'1 Figura 5.39: I simboli usati per l'analisi degli alberi genealogici.

[.
"1
,1
;,
Il

Hl
Figura 5.40: Albero genealogico
che mostra la !ra.�missione di un
IV carattere attraverso numerose
2 3 4 5 o 7 9 \O generazioni di una famiglia.

400
rr,
@ Artquiz BIOLOGIA f

5.10 Genetica di popolazioni, evoluzione e speciazione

5.10.1 Fì·equenze alleliche e genotipiche


Lo. genetica di popolazioni è la disciplina che studia la modifica delle fr equenze al­
leliche e genotipiche all'interno di una popolazione o tra popolazioni differenti. Per
popolazione s'intende un gruppo di individui della stessa specie che vivono nella stes­

·O sa area geografica e che, dunque, possono incrociarsi tra loro e generare progenie.
In questo tipo di popolazione tutti gli individui, essendo interfertili, condividono gli
stessi loci e gli stessi alleli. Cioè hanno lo stffiso pool genico. Il pool genico è costi­
tuito da tutti i gameti (spermatozoi e ovociti) fatti dai soggetti della popolazione ad
una certa generazione. Tutti gli eventi di fecondazione di un ovocita da pa1te di uno
spermatozoo genereranno gli individui della generazione successiva. Per ogni locus
possono esistere pii1 alleli (variabilità genetica), dunque gruppi di individui possono
presentare ussortimento allelici differenti, cioè avere genotipi differenti.
Se si considera un certo locus 1 ogni gamete può avere un certo. tipo di allele. La
proporzione di gameti di un pool genico che contiene un certo tipo d'allele rappre­
senta la freqnen�a di quell'allele nella popolazione. I concetti di frequenza allelica
e frequenza genotipica sono centrali in genetica delle popolazioni. Nella Tabella 5.6
è descritto come determinare le fr equenze alleliche partendo da dati rigum·danti il
genotipo.

Tabella 5.6: Determinazione delle frequenze alleliche di una popolazione.

A. Conteggio dal n ° di alleli

!o
Genotipi AA Aa aa Totali
N° individui 78 20 2 100
N° alleli A 156 20 o 176
N° alleli a o . 20 4 24

:O
N° totale alleli 156 40 4 200
Frequen�a allele A: 176/200 = 0.88 = 88%
Frequenza allel� a: 24/200 = 0.12 = 12%

'O
b
B. Conteggio dalle frequenze genotipiche
Genotipi AA Aa aa Totali
N° individui 78 20 2 100
78/100 20/100 2/100 1.00
Frequenze genotipiche
0.78 0.20 0.02

'O Frequenza allele A: 0.78 + (0.5) 0.20 = 0.88 = 88%


Frequenza allele a: (0.5) 0.20 + 0.02 = 0.12 = 12%

o
5.10.2 La legge di Hardy-Weinberg
La genetica di popolazioni si basa su un modello matematico sviluppato indipen­
denteménte dall'inglese G.H. Hardy e dal tedesco W . Weinberg. Questo modello

401
Capitolo 5 Le bas� della genetica © Artquiz

matematico (detto anche equilibrio di Hardy-Weinberg o H-W) mostra come sono re-
lato tra loro frequenze alleliche e genotipiche in una popolazione "ideale" in una data
Q
generazione e nel susseguirsi di generazioni. Questa popolazione ideale è costituita
da soggetti con genoma diploide nelle cellule somatiche (due alleli per ogni gene) che
danno origine ad una nuova generazione tramite riproduzione sessuata (incontro di
gameti aploidi, un allele per ogni gene). Inoltre, per questa popolazione "ideale" si
fanno le seguenti assunzioni:
1. Individui con i vari genotipi hanno lo stesso tasso di sopravvivenza e lo stesso
snccesso (fitness) riprodnttivo; cioè non ci sono fenomeni di selezione.
2. Non vengono creati nuovi alleli e non c'è la conversione di un allele in un altro;
cioè non ci sono mutazioni.
3. Non ci sono eventi di migrazione da una popolazione all'altra.
4. La popolazione è estremamente numerosa (tendente all'infinito) cosicché i feno­
meni di errori di campionamento e variazioni rispetto alle predizioni sulla base
delle leggi della casualità sono trascurabili.
5. Gli individui s'incrociano in maniera casnalc (random mating).
Come si può notare, la popolazione "ideale" dell'equilibrio H-W è una popola­
zione teorica nella quale non esiste alcuna spinta al cambiamento (forza evolutiva).
Dunque, l'equilibrio H-W è molto utile perché è da considerarsi come ipotesi di base
( null hypothesis): se per un dato gene la popolazione è in equilibrio significa che le
assunzioni elencate nei punti 1-5 (esistenti nelle popolazioni reali) sono rispettate. Se
invece la popolazione si allontana significativamente dall'equilibrio significa che è in
atto qualche fenomeno (o più fenomeni) non previsto dal modello matematico.
L'equilibrio H-W è delineato nella Tabella 5.7. In una data popolazione, per un
dato gene esistono gli alleli A e a. L'allele A ha una frequenza p; l'allele a ha una
frequenza q. Dunque, essendo presenti per questo gene solo gli alleli A e a:
•p+q=l.
A e a avranno rispettivamente le frequenze p e q nei gameti prodotti da maschi e
femmine, dunque in una situazione di random mating i genotipi AA, Aa e aa sru·anno
presenti con le frequenze p2 , tpq e q2 . Dato che per questo gene AA, Aa e aa sono
gli unici genotipi possibili:
•p2 + 2pq + q2 = 1.
Dunque, se una popolazione è in equilibrio H-W, fra frequenz�; allelìche
e frequenze genotipiche esiste una precisa relazione matematica.-' Ciò signl­
fica che conosce11do le frequenze alleliche possiamo calcolare le frequenze 'genotipiche
e viceversa. Ciò è molto utile anche dal punto di vista medico. Per esempio, per
una data malattia ad ereditarietà autosomìca recessìva t conoscendo la frequenza dei
soggetti affetti è possibile calcolare la frequenza dei portatori sani.
Se in una popolazione i genotipi AA, Aa e aa sono presentì alle frequenze p2 , 2pq
e q la frequenza con cui soggetti con i vari genotipi s'incrociano è data dalla Tabella
2

5.8.
Le frequenze globali dei vari tipi d'incrodo e le frequenze dei genotipi nella gene­
razione successiva sono indicati nella Tabella 5.9.

402
© Artqui7, BIOLOGIA

Tabella 5.7: L'equilibrio di Hardy-Weinberg.

Gameti paterni
A(p) _ a(q)
AA Aa
A(p) 2
Gameti (p ) (pq)
materni Aa aa
A(q)
(pq) (p2 )

Se le frequenze (fr.) alleliche sono: fr. A = p e f r . a = q


allora le fr. dei genotipi saranno: fr. AA = p2 ; fr. Aa = 2pq; fr. aa = q2 .

Tabella 5.8: Frequenza di diversi tipi d'incrocio.

Genotipo paterno
AA (p2 ) Aa (2pq ) aa (q2 )
AA AAxAA AAx Aa AAxaa
(p2 ) (p") (2p 3q)
(p 2 q 2 )

Genotipo Aa AaxAA Aa.xAa Aax aa


3
materno 2p
( q) (2p3 q) (2pq )
(4p2 q2 )

aa aaxAA aaxAa aaxaa


(q2 ) p2 q2 2pq3 (q4 )

Tabella 5.9: Frequenza dei diversi genotipi nella generazione successiva p er


o gni tip o d'incrocio.

Discendenti
Tipo di incrocio
-
Frequenza AA Aa aa
AAxAA P" p4
AA xAa 4p q3
2p:i q 2p3 q
AAx aa 2p2 q2 2p2 q 2
Aax Aa 4p2 q2 p 2 q2 2p2q 2 p2 q2
Aax aa 4pq3 ·2pq3 2pq3
aaxaa q" q"

Figli AA = p"+2pa q+p2 q2 = p2 (p2 +2pq+q2 ) = p2 (p+q) = p (l) = p .�


2 2 2 2

Figli Aa = 2p3 q+4p2 q2 +2pq3 = 2pq(p2 +2pq+q2 ) = 2pq(p+q) = 2pq(l) = 2pq.t­


2 2

Figli aa = p q +2pq +q•t = q (p +2pq+q ) = q (p+q) = q (l) = q .t-


2 2 a 2 2 2 2 2 2 2 2

403
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz

Come si vede dai valori delle somme per i diversi genotipi, nella gencra:.tione suc­
cessiva i genotipi AA, Aa e aa sono presenti alle frequenze p2, 2pq e q2. Dunque, se
una popolazione è in equilibrio H-W, le frequenze genotipiche non cam­
biano da una generazione all'altra. Cioè, la popolazione non evolve.
Come si fa a valutare se una popolazione è in equilibrio H-W? Basta osservare (mi­
surare) le frequenze genotipiche e alleliche presenti nella popola1,ione e confrontare le
frequenze genotipiche osservate con quelle attese. Se la popolazione è in equilibrio,
tra frequenze genotipiche osservate e frequenze genotipiche attese non ci sarà. una
differenza significativa. La Tabella 5.10 fornisce un esempio di tale procedimento.

Tabella 5.10: Procedura se una popolazione è in equilibrio H-W.

Genotipi presenti nella popolaz ione


AA. Aa aa Totali
°
N individui 1785 3040 1304 6129
Fì·equenze genotipiche osservate: 0.291 0.496 0.213 1.000
N° alleli A 3570 3040 o 6610
N ° alleli a o 3040 2608 5648
N ° alleli A + a 3570 6080 2608 12258
Fì·equenze alleliche osservate: A = 0.54, a= 0.46
Frequenze genotipiche attese in base delle frequenze alleliche osservate:
AA = 0.292, Aa = 0.497, aa = 0.211

Essendo le frequenze genotipiche attese molto simili (non statisticamente differen­


ti) alle frequenze genotipiche osservate, si può concludere che, per questo gene, la
popolazione della Tabella 5.10 è in equilibrio H-W.
Questo modello si applica ai geni localizzati negli autosomi e nel cromosoma X per
quanto riguarda il sesso femminile (nella specie umana le femmine hanno due copie
del cromosoma X). Per quanto riguarda i soggetti maschi, i geni che sono localizzati
nei cromosomi X e Y sono in singola copia (i soggetti sono emizigoti), dunque la
frequenza allelica corrisponde alla frequenza genotipica.

5.10.3 Fenomeni che all9ntanano le popolazioni dall'equilibrio


Hardy-Weinberg
Ovviamente, le popolazioni reali non sono un ente matematico come la popolazione
"ideale" dell'equilibrio H-W. Dunque, nelle popolazioni reali ci possono essere dei
fenomeni che allontanano significativamente dall'equilibrio H-W. Fenomeni, ç,\oè, che
determinano una situazione di non equilibrio. 'Ira questi fenomeni annoveri�mo:
1. La selezione. La prima assunzione della legge di Hardy-Weinberg è che indivi­
dui con i vari genotipi hanno lo stesso tasso di sopravvivenza e la stessa fitness
riproduttiva. Non sempre questo è vero. Individui con un certo genotipo possono
avere un più elevato successo riproduttivo. Oppure, soggetti con un genotipo che
determina una malattia genetica possono avere un successo riproduttivo ridotto
rispetto al resto della popolazione. Se avvengono fenomeni di questo tipo, con il
susseguirsi delle generazioni sì avrà una variazione dì frequenze alleliche e genoti­
piche.

404
o © Artquiz BIOLOGIA

o
Un esempio di effetti della selezione è fornita dall'alta frequenza di talassemia in
particolari aree del mondo. La talassemia è una malattia ad ereditarietà autoso­

o
mica recessiva. dovuta a difetti nei geni della alfa o beta globina. La talassemia fa
parte, dunque, delle emoglobinopatie. L'omozigote per l'allele difettoso sviluppa
· la
malattia, mentre l'eterozigote è un portatore sano. In alcune aree geografiche
la frequenza degli alleli responsabili di talassemia è molto elevata. Ciò è dovu­
to ad un effetto di selezione, infatti i soggetti eterozigoti sono più resistenti alla
malaria. L'agente della malaria, plasmodium Jalciparum, si sviluppa nei globuli
rossi dell'ospite che infetta e li distrugge. Nel soggetto eteror,igote ) a causa della
quota di emoglobina anomala, i globuli rossi sono meno aggredibili dalla malattia.
Dunque, i soggetti eterozigoti si riproducono di pii'r rispetto ai soggetti omozigoti
normali (hanno una fitness riproduttiva più elevata), elevando le frequenze degli
alleli tesponsabili di talassemia.

2. Le mutazioni. Le mutazioni sono eventi casuali e costituiscono l'unico fenome­


no con cui vengono creo.ti nuovi alleli. Negli organismi pluricellulari, il tasso di
mutazione medio di un gene (µ: 11° mutazione/gene/numero di gameti) è intorno
a 10- 0• Per un dato gene, cioè, viene generata in media una nuova mutazione
ogni 100.000 gameti. Anche se può aumentare in caso di esposizione ad alti livelli
di radioattività o mutageni chimici, questo valore è troppo basso per la modifica
significativa di frequenze alleliche rispetto ad altri fenomeni quali la selezione o la
deriva genica (vedi sotto).

o
3. Le migrazioni. Per migrazione s'intende lo spostamento di individui da una po­
polazione ad un'altra. Se, per un dato gene, le due popolazioni hanno frequenze
alloliche diverse, la migrazione tende a fo.r variare le frequenze alleliche della popo­

o
lazione ricevente. La modifica delle frequen'l.e alleliche della popolazione ricevente
sono proporzionali:

o
• alla frazione di individui provenienti dalla popolazione donatrice rispetto alla
ricevente;
• alla differenza di frequenze alleliche tra le due popolazioni.

o Le migrazioni tendono �d avvicinare le popolazioni in termini di frequenze alleliche.


Quando due popolazioni si avvicinano tra loro per quanto riguarda il pool genetico
si parla di evoluzione convergente. 14

4. La deriva genica. L'equilibrio H-W si applica efficientemente alle popolazio­

o
ni numerose. In questo caso, infatti, essendoci un campionamento molto grande
(n° di gameti che danno origine alla generazione successiva) le deviazioni rispetto
alle equazioni matematiche sono, eventualmente, molto modeste e non significati­
ve. Nelle popolazioni poco numerose, invece, le frequenze alleliche dei gameti che
danno origine alla generazione successiva possono essere diverse rispetto a quelle
della popolazione attuale, unicamente per fenomeni casuali. Dunque, nelle piccole
popolazioni ad ogni generai,ionc si può assistere ad una variazione delle frequenze
14Si ho. una evolu7.ione (o sele�ion�) divergente quando vengono favoriti i fenotipi estremi all'interno
di unn popolmdonc, a. spese delle fol'me intermedie. Questo può avvenire, per esempio, per ca.use
ambientali. In un ambiente con forte esposb-.ione solare ( equatore) si favoriscono gli individui con
pigmentazione scura, mentre una. bassa. esposizione solal'e (poli) fo.vol'Ìsce gli individui con pelle
chiara.

405
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz

alleliche, dovnte unicamente al caso. Questo cambiamento casuale del pool genico
di una popolazione è chiamato deriva genica. Essa è tanto più rilevante quanto è
più piccola la popolazione. In casi estremi, quando si hanno due alleli nella po­
polazione iniziale, uno di essi può scomparire in una delle successive popolazioni.
Cioè, si ha la fissazione dell'allele rimasto: nella popolazione et sarà solo un allele,
i soggetti saranno tutti omozigoti e, a meno di nuove mutazioni, non ci saranno
più mo difiche nelle generazioni successive. Questo meccanismo può portare all'in­
staurarsi dell'effetto del fondatore: un piccolo numero di individui porta. alla
formazione di una nuova popolazione nella qua.le solo un gruppo di alleli della po­
polazione originaria viene salvato in modo da dare luogo ad un differenziamento
sia genotipico che fenotipico. Questo meccanismo può portare anche a nuove specie.

5. Gli incroci non casuali. Un'importante assunzione dell'equilibrio H-W è che gli
incroci siano casuali. Ciò non sempre avviene nelle popolazioni reali. Si parla di
incrocio assortativo positivo quando tendono ad incrodarsi tra loro soggetti con
genotipo simile. Viceversa, si parla di incrocio assortativo negativo quando ten­
.,
r.,
(I dono ad incrociarsi tra loro soggetti con genotipo diverso. L'incrocio assortativo
positivo è molto più frequente rispetto a quello negativo. L'incrocio assortativo
positivo non modifica le frequenze alleliche ma modifica le frequenze genotipiche,
4 aumentando la frazione di individui omozigoti rispetto a quanto predetto dall'e­
I
! quilibrio H-W. Una tipo particolare di incrocio as5ortativo positivo è l'incrocio tra
! consanguinei (inbreeding). Il grado di consanguineità di un incrocio ( o il grado
I
medio di consangnineità tra gli incroci di una popolazione) viene espresso con F
(coefficiente di consanguineità). Questo coefficiente può avere un valore da 1 a O e
esprime la probabilità che i due alleli di un dato gene di un individuo siano identici
perché provenienti da un singolo allele di un antenato. L'incrocio tra consanguin�i
aumenta la frequenza dei genotipi omozigoti e, dunque, nell'uomo aumenta la fre­
quenza di malattie ad ereditarietà autosomica recessiva..
Infine, mentre i fenomeni di selezione, mutazione, migrazione e deriva genica ten­
dono a far variare le frequenze alleliche e, di conseguenza., le frequenze genotipi­
che, l'incrocio non casuale tende a modificare le freqnenze genotipiche lasciando
inalterate le frequenze alleliche.

.
5.10.4 Evoluzione e speciazione
La legge di Hardy-Weinberg è un modello che consente di determinare se in una po­
polazione stia avvenendo (o sia avvenuta) o meno evoluzione. L'equilibrio H-W è da
considerarsi l'ipotesi zero: esso è valido in assenza di evoluzione. Tutti i _fenomeni
che allontan�no le popolazioni reali dall'equilibrio H-W (vedi sopra) contpibuiscono
alPevoluzione. Si parla generalmente di evoluzione quando ci si riferisce a un qualsiasi
cambiamento che avviene nelle specie durante il susseguirsi di generazioni. In maniera.
più specifica, si parla di evoluzione molecolare quando ci si riferisce a cambiamenti a
livello del genoma.
Varie discipline contribuiscono �ll'elaborazione di teorie e modelli evolutivi: pa,­
lcontologia ed esame di fossUi, embriologia e anatomia comparata, biologia molecolare.
Attraverso tutti questi approcci si definisce la filogenesi: le relazioni evolutive degli
organismi viventi. Infatti, secondo la teoria evolutiva, tutte le specie viventi pro­
vengono da un organismo ancestrale comune dal quale si sono diversificate. Questo

406
@ Artquiz BIOLOGIA

concetto è support.ato anche dal fatto che sono molto simili tra loro embrioni di specie
che nello stadio adulto sono morfologicamente molto diverse ( ad esempio un uccello e
un mammifero). Avendo originj comuni, durante lo sviluppo embrionale gli organismi
. si assomigliano di più che non nello stadio adulto.
Una specie è rappresentata da quegli individui che incrociandosi tra loro generano
potenzialmente una prole illimitatamente feconda. Ovviamente, questa definizione
non è valida per tutti gli organismi in cui sia assente la riproduzione sessuale (i batte­
ri, per esempio). Ogni specie, dunque, è formata da tutti gli individui potenzialmente
interfertili capaci di generare prnle feconda .
L'evoluzione delle specie può essere suddivisa in due tipi:
• evoluzione filetica, detta anche anagenesì, nella quale tutti gli individui di una
specie diventano una seconda specie, cioè da una specie si forma un'altra specie;
• cladogenesi, quando da una specie si generano due specie. Quando in una specie
11011 avvengono cambiamenti allora si parla di stasi (Fig. 5.41).

�ladogenesi
� · �speciazione)

Anagene;Y'
Stasi �
Figura 5.41: Fasi
�- � dell'evoluzione.

Come avviene l'evoluzione delle specie? Un meccanismo estremamente importante


è quello della selezione naturale, proposto indipendentemente da Darwin e Wallace.
Questo meccanismo può essere riassunto come segue:

A. 'fra gli individui di una specie esistono delle variazioni di fenotipo (grandezza,
colÒrazione, agilità, capacità. a procurarsi cibo, ecc.).

B. Queste variazioni sono ereditabili. Cioè, possono essere trasmesse alla progenie.

C. Gli organismi tendono a riprodursi ìn maniera esponenziale. Ad un certo momen­


to saranno generati più individui rispetto a quelli che possono sopravvivere (per
limitazioni di cibo, per esempio). Si genera, dunque, una lotta per la sopravvivenza.

D. Nella lotta per la sopravvivenza, individui con fenotipi particolari (più adatti alla
sopravvivenza) avranno più successo di altri e si riprodurranno più degli_ altri.

Come co�seguenza si avrà una modifica della specie nel tempo. I fenotipi che sono
più adatti alla sopravvivenza diventeranno sempre pit1 comuni, mentre quelli meno
adatti tenderanno a scomparire. Questa teoria si oppone a quella dell'ereditarietà dei
caratteri acquisiti, proposta da Lamarck. Ambedue le teorie si basano sul fatto che
le specie possono subire cambiamenti nel tempo. Ma, mentre la teoria di Lamarck

b
propone la trasmissione lungo le generazioni di caratteri acquisiti (la forza muscolare
dovuta ad allenamento, per esempio), quella di Darwin propone la selezione degli
individui più adatti per trasmissione lungo le generazioni di caratterì non acquisiti.

407
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

La selezione può essere anche artificiale, quando è determinata dall'uomo. Nella se­
lezione artificìale, si sceglie un particolare carattere che sì vuole accentuare nella
popolazione. Se, per esempio, si vuole ottenere del mais che produce tanto olio, si
parte da una popolazione di piante eterogenea per quanto riguarda questo carattere
e s'incrociano tra loro le piante a più alta quantità di olio. Se la quantità di olio pro­
dotta dal mais è ereditabile, la progenie produrrà una quantità d'olio media superiore
a quella della prima generazione. Dunque, il procedimento si ripete, incrodando fra
loro gli individui della progenie che producono più olio. Ripetendo il processo per
varie generazioni si seleziona sempre di più del mais con alta produzione di olio.
Benché la teoria di Darwin e Wallace abbia proposto un meccanismo evolutivo,
essa non riusciva a spiegare come le varianti fenotipiche all'interno di una specie (cioè
il materiale su cui agiva la selezione naturale) venissero prodotte né come potessero
essere trasmesse alla progenie.
Solamente nel ventesimo secolo, con l'applicazione della genetica mendeliana al­
le popolazioni, la sorgente delle varianti fenotipiche è stata compresa (le mutazioni)
nonché la loro trasmissione alle genera7,ioni successive (segregazione degli alleli). La
rielaborazione della teoria della selezione naturale a partire dalla genetica mendeliana
e delle popolazioni ha dato origine alla cosiddetta sintesi neodarwiniana (neòdar­
winismo).
Questa corrente di pensiero indica che, in un qualsiasi locus, la sele-1,ione naturale
favorisce la presenza di un unico allele, quello che favorisce di più l'adattamento. Dun­
que, secondo questo modello, ogni popolazione sarebbe dovuta essere molto omogenea
dal punto di vista dell'informazione genetica. In effetti non è così, la sequenza del­
l'intero genoma ha ormai definitivamente dimostrato come all'interno di ogni specie
esiste una enorme variabilità genetica. Una teoria che spiega la notevole variabilità
del genoma all'interno di una specie è quella della teoria neutrale dell'evoluzione
molecolare, proposta. dallo studioso giapponese Moto Kimura. Questa teoria dice che
la gran parte di mutazioni che insorgono nel genoma non hanno effetti significativi
a livello fenotipico; sono cioè neutrali, non determinano né vantaggi né danni all'or­
ganismo. La frequenza di questi alleli neutrali in una popolazione sarà determinata
unicamente dal tasso di mutazione e dalla deriva genica, non dalla selezione naturale.
Probabilmente ambedue i fenomeni, selezione naturale e diffusione di mutazioni neu­
trali tramite deriva genica contribuiscono all'evoluzione molecolare.
Questo tipo di fenomeni tende a differenziare le popolazioni tra loro. Viceversa, le
migrazioni (determinando un flusso genico da una popolazione all'altra) tendono a ri­
durre la divergenza tra popolazioni differenti. Quando il flusso genico è molto ridotto
o assente due popolazioni possono divergere a tal punto che i soggetti di una popola­
zione non riescono pii1 ad incrociarsi (e/o produrre progenie fertile) con i so�getti di
un'altra popolazione. Le due popolazioni sono isolate dal punto di vista riprciduttivo:
le due popolazioni sono diventate due specie differenti. 15 i' I

16Denominnzione delle specie. Secondo Ja nomenclatura binomiale (o binomia) il nome scientifico


di una. specie viene coniato dalla combinazione di due nomi. Il primo nome <lefìnlscc il genere a
cui appartiene la specie. Il genere è una cntcgorh\ che raggruppa. divcrs� specie, in quanto aventi
caratteristiche tra loro comuni. Il secondo nome caratterizza e distingue quella specie dalle nitre
appartenenti al quel genere. Il primo termine (nome del genere) porta sempre l'iniziale maiuscola,
mentre il secondo termine (nome specifico) viene scritto in minuscolo; entrambi i nomi vanno inoltre
scritti in corsivo (ad esempio Homo sapiens). L'uso della nomenclatura binòmio.fo si deve a Carolus
Linna.eus, che l'adottò per il suo sistema di clussifìca.,.ione scientifica, L>o.sa.to sull'osservazione dell�
diverse caratteristiche delle specie viventi. In zoologia, una specie animale può risulta.re ulteriormente
suddivlsa in sottospecie, le quali vengono identifica.te con il sistema di nomenclatura. trinomiale. Il

408
© Artquiz BIOLOGIA

I meccanismi che determinano l'isolamento riproduttivo, dunque > determinano la


creazione di nuove specie (speciazione). I meccanismi d'isolamento riproduttivo si
dividono in pre-zigotici e postzigotici. Di seguito, sono elencate queste due classi di
meccanismi. I meccanismi prezigotici sono quelli che impediscono la fecondazione e
'la formazione dello zigote; i meccanismi postzigotici sono quelli in cui si ha la fecon�
dazione, vengono generati degli zigoti ibridi ma questi producono soggetti non vitali
o sterili. Per esempio, dall'incrocio tra un asino e una cavalla nasce il mulo, che è
sterile. Viceversa, dalPincrocio tra un cavallo e un'asina nasce un bardotto, anch'esso
sterile.

Meccanismi d'isolamento riproduttivo:

1. Prezigotìci (impediscono .la fecondazìone e la formazione dello zigote):

• Geografici o ecologici: vivono in regiouì diverse o nella stessa regione ma


occupano habitat differenti.
(1
o
• Temporali o stagionali: raggiungono la maturità sessuale in tempi o stagioni
differenti.

o
• Comportamentali: ristretto solo agli animali; incompatibilità di comporta­
menti che portano all'incrocio.
• Meccanici: l'incrocio vero e proprio è impedito da differenze dell'apparato
riproduttivo.

• Fisiologici: i gu.meti non sopravvivono all'interno del tratto riproduttivo stra­


niero.

o
2. Postzigotici (si ha la fecondazione, vengono generati degli �igoti ibridi ma questi
producono soggetti non vitali o sterili):

o
o Non vitalità o debolezza degli ibridi.

• Sterilità degli ibridi dovuta a difetto di sviluppo delle gonadi o a meìosi non

o
complete.
• Sterilità degli ibridi dovuta a difetto di segregazione di cromosomi o segmenti
cromosomici.

o • Sterilità della F2. I soggettì ibridi generati sono fertili ma l'infertilità insorge
nella seconda generazione (F2).

Quando la speciazione avviene per cause geografiche, si parla di speciazione al­


lopatrica; viceversa se la speciazione avviene nella stessa area geografica, si pru'la di
speciazione simpatrica.

o
termine "sottospecie" viene utili2zo.to per indicare organismi dello. atesso. specie mo. con delle differen�e
minime, che non sono sufficienti per considerarli una specie completamente diversn. Per esempio,
con Salmo trutta fa1'io e Salmo trutta lacustris si indicano due sottospecie diverse di trote che, però,
fanno parte della stesso. specie.

o 409
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz

5.11 Genetica quantitativa e eredital'ietà poligenica o multifat-


toriale

5.11.1 Il modello poligenico additivo


Nel modello mendeliano le variazioni del fenotipo costituiscono in numero molto pic­
colo di classi, nettamente �parate fra di loro (classi discontinue). Per esempio, il
o
colore dei semi della pianta di pisello possono essere giallo o verde (2 classi) senz 'al­
cuna forma intermedia. Questo tipo di caratteri si dicono qualìtativi.
Peraltro, esistono numerosi caratteri in cui la variazione del fenotipo nella popola­
zione è caratterizzata da un numero grande di classi, ognuna definita da una piccola
variazione del carattere (classi continue). Per esempio, la statura nell'uomo: nella
popolazione esistono tante classi diverse di statura (es. da 150 a 152 cm, da 153 a 155
cm, da 156 a 158 cm e così via), la variazione di fenotipo è continua. Questo tipo di
caratteri si dicono quantitativi. Caratteri quantitativi sono tutti quelli definiti da
una misura (es. statura, peso, glicemia,, pressione arteriosa, ecc.). I caratteri quanti­
tativi sono di solito controllati da piii geni; per questa ragione, l'ereditarietà di questo
tipo di caratteri è detta poligenìca. La variazione dei caratteri quantitativi, inoltre,
può essere dovuta ad eventi non genetici (ambientali). Per esempio, il peso corporeo è
sicuramente controllato da geni, m a anche da qnauto si mangia e quanto ci si muove.
Per questa ragione l'ereditarietà poligenica è spes so eletta anche multifattoriale.
Nell'ereditarietà poligenica la variazione continua del fenotipo in una popolazione
è spes.�o descritta da una distribuzione normale (curva di Gauss). Per esempio, la
var iar,ione di Body Ma;;s Index (BMI: peso in Kg/[altezw. in m)2) in una popolazione
è riepilogata da una distribuzione praticamente normrue (Fig. 5.42).

I
I

Allllllllllllk
·1 f I r I • - I
Figura 5.42: Distribuzione della va_pazione
O 10 20 30 40 50 60 70
e� di BMI in una popolazione di soggetti· maschi.

Ma come effetti di più geni possono spiegare la variazione continua di un carattere


in una popolazione? Attraverso un meccanismo di tipo additivo. Facciamo un esem­
pio: in una specie di pianta, l'altezza è dovuta all'effetto additivo di due geni (A e B).
Ogni gene presenta due alleli: A e a per un gene e B e b per l'altro. Ogni pianta ha
un'altezza di base di 50 cm. Gli alleli A e B aggiungono ognuno 10 cm in più, mentre
gli alleli a e b non incrementano l'altezza della pianta. Ammettendo che gli alleli deì
due geni abbiano la stessa frequenza (0,5), la distribuzione delle classi d'altezza delle
piante e gli effetti di ogni genotipo sono quelli descritti nella Figura 5.43.

410
@ Artquiz BIOLOGIA

0.4-

� 0.3
§

u. 0.2-

0.1

Allezza cm: 50 60 70 80 90
Figura 5.43: Distribuzione della variazione di un carattere <',ontrollato da due
geni in maniera additiva (vedi Tab. 5 .11).

Tabella. 5.11: Esempio di nn carattere controllato da due geni con effetti


nclditìvi.

Genotipo Fenotipo Frequenza nella


altezza (cm) popolazione

aabb 50 0.0625
Aabb,aAbb,aaBb, aabB 60 0.2500
AAhb,AaBb,AabB,aABb,aAbB,aaBB 70 0.3750

o
AaBB,aABB,AABb,AAbB 80 0.2500
AABB 90 0.0625

Dunque il controllo genetico dei caratteri che presentano una variazione continua
può essere riepilogato come segue:
A. Due o piì1 geni ne influenzano il fenotipo in maniera additiva. Per questo motivo

o
si parla di ereditarietà poligenica.
B. Per ognuno <leì g�ni possiamo avere un allele additivo che contribuisce all'incre­
mento del fenotipo e un allele non additivo che non contribuisce quantitativamente
al fenotipo.

C. L'effetto di ogni allele additivo è all'incirca uguale a tutti gli altri alleli additivi dei
geni coinvolti.
D. L'effetto complessivo è dato dalla somma degli effetti di tutti gli alleli additivi
presenti.

o 411
Capitolo 5 Le basi della genetica @ Artquiz

5.11.2 Il calcolo del numero di geni e l'utilizzo del modello


Dato che un carattere continuo è controllato da più geni, è importante calcolare il
numero di geni coinvolti. Una procedura sperimentale basata su incroci è la seguen­
te. Immagìniamo di avere una specie di piante nella quale il peso del seme ha una
variazione continua descrivibile da una gaussiana. Come generazione parentale si in­
crocino piante dal peso del seme più basso con piante dal peso çlel seme più alto. Cioè>
s >incrociano fra loro individui con i fenotipi estremi. Nella Fl avremo individui tutti
con fenotipo intermedio. A questo punto s'incrociano fra loro gli individui della Fl e
nella F2 avremo individui con variazione,del fenotipo descrivibile da una gaussiana. Si
misura quindi il rapporto tra numero di individui aventi uno dei due fenotipi estremi
e numero di individui totali della F2. Indichiamo questo rapporto con K. Il numero
di geni coinvolti sarà dato dall'equazione indicata nella Figura 5.44.

N° geni Frazione di individui


che esprimono un
fenotipo estremo
1 1/4
2 1/16
3 1/64
4 1/256
5 1/1024

Misura la frazione degli individui


della F2 che esprimono un fenotipo �tremo = K
1
K=---
4n n = numero dì geni

Figura 5.44: Metodo per la stima del numero di geni che controllano un
carattere poligenico con effetti additivi.

Il modello poligenico additivo è molto importante perché serve da base per cono­
scere la genetica dei caratteri di animali d'allevamento (altezza> peso> produzione di
carne o di latte nei bovini, produzione di uova negli uccelli, ecc.) e di piante (quantità
di olio e quantità di raccolto del mais, ecc.). Tutti questi parametri risentono anche
di effetti non genetici (ambientali).
Infatti> perché dia risultati attendibili, l'esperimento delineato nella Figura 5.44>
deve essere fatto in un ambìente molto ben controllato in modo da ridurre al mini­
mo gli effettì ambientalt. Il modello poligenico additivo è utilizzatò per comprendere
le basi genetiche di moltissimi caratteri della specie umana quali la staturaSil peso,
il grado di pigmentazione cutanea, ecc. Questo modello viene utiliz1.ato anche per
comprendere la predisposizione genetica di malattie comuni quali obesità, diabete,
malattia aterosclerotica.> demenza senile, ecc.
Per tutti i tratti fisiologici o patologici dell'uomo a cui si applica il modello polig�
nico additivo si deve anche considerare l'eventuale presenza di effetti ambientali (per
esempio la dieta e l'attività fisica per ciò che riguarda il peso corporeo e l'obesità). Per
queste ragioni, molti stati patologici umani hanno una base multifattoriale e vengono
dette malattie complet1se. Il modello poligenico/multìfattoriale è utilizzato per tutte
quelle malattie umane per le quali esiste una co_mponente genetica ma nelle quali il

412
O.
@ Artquiz BIOLOGIA

o
modello monogenico mendeliano non riesce a spiegarne l'ereditarietà. n·a queste si
annoverano anche malattie il cui fenotipo è chiaramente di tipo qualitativo (labbro

a
leporino, cardiopatie congenite, difetti di chiusura del tubo neurale quali la spina bi­
fida, malattie oculistiche quali il glaucoma e lo strabismo). In questo caso, a livello
·di popolazione i geni determinano una variazione della predisposizione descrivibile da

o
una gaussiana; sviluppano la malattia solo i soggetti ad alta predisposizione genetica,
al di là di una ipotetica soglia. Per questo motivo, questo modo di utilizzo del modello
poligenico è detto "modello a soglia11 (Fig. 5.45)

o Soglia

o
o
Sviluppano la malallfa

I
Q)
::, solo I soggalli
al di lè della soglia

m Figura 5.45: Il modello di predisposizione


Predisposizione genetica genetica "a soglia".

5.11.3 L'ereditabilità
Dato che i caratteri per i quali si applica il modello poligenico additivo possono
significativamente risentire di effetti ambientali, è importante quantificare il ruolo
relativo esercitato da geni e da ambiente. Questa stima può essere fatta tramite lo
strumento dell 1 ereditabilità.

o
Con il termine ereditabilità s 1 intende quanto la variazione di un carattere in una
popolazione è attribuibile a fattori genetici. Il valore di ereditabilità può variare da 1 a
O. Per nn dato carattere, ereditabilità uguale a 1 (100%) significa che la variazione di
quel carattere nella popolazione è tutta dovuta a fattori genetici; se invece è uguale a
O la variazione di quel carattere nella popolazione è tutta dovuta a fattori ambientali.
Uereditabilità di un dato carattere può essere stimata in varie maniere. Negli

o
umani il metodo più utilizzato è quello dello studio di coppie di gemelli. I gemelli
monozigoti (MZ) (detti anche monovulal'i) provengono da un unico zigote (dovuto ad
un solo evento di fecondazione) e dunque condividono il 100% del genoma. I gemelli
dizigoti (DZ) (detti anche biovulari) provengono da �igoti differenti (dunque sono
prodotti da eventi di fecondazione indipendenti) e statisticamente condividono il 50%
del genoma. Dunque, se i fattori genetici hanno rilevanza, gemelli MZ avranno una
varianza fenotipica inferiore a quella di gemelli DZ. Valutando la varianza di un certo
carattere tra gemelli MZ e DZ, l'ereditabilità (espressa con il simbolo H2 ) può essere
stimata secondo l'equazione:

H2 = Varian�a in coppie di DZ - Varianza in coppie di MZ


Varianza in coppie di DZ

413
Q
Capitolo 5 Le basi della genetica © Artquiz

Per ogni carattere il valore di ereditabilità non è un fattore assoluto. Può infatti
cambiare da popolazione a popolazione. Inoltre, per la stessa popolazione, il valore
di ereditabilità di un carattere può variare a seconda della variazione ambientale. II
valore di ereditabilità del peso di un animale, per esempio, sarà relativamente alto se la
popolazione che è valutata viene allevata in condizioni ambientali molto controllate e
con bassa variabilità. In questo caso infatti, tutti gli individui avranno Io stesso regime
dietet�co e, dunque, le differenze di peso saranno dovute prevalentemente a fattori
genetici. Viceversa, se gli individui vengono allevati in condizioni di alta variabilità
ambientale, si potranno avere delle grosse differenze di regime dietetico. In questo
caso, dunque, i fattori ambientali saranno relativamente più importanti rispetto ai
fattori genetici.

D


l

414
o
o
Capitolo 6

Il mondo animale e vegetale

6.1 Classificazione
La tassonomia o sistematica ha l'obiettivo di raggruppare gli esseri viventi secondo
le loro affinità e le loro rela7,ioni evolutive e ha due importanti suddivisioni:

• La classificazione, che consiste nella disposizione dei viventi in mm gerarchia

o
di gruppi maggiori e minori.

• La nomenclatura, che è il procedimento con cui vengono a.c,segnati i nomi.

La prima enumerazione ampiamente accettata di tutti gli esseri viventi fu fatta


dal naturalista svedese Carlo Linneo nel 1758, in cui l'unità base era la specie, rappre­
sentata da un gruppo di organismi simili capaci di accoppiarsi tra loro e di generare
prole feconda. Linneo ideò la nomenclatura binomia per le specie e organizzò un si­
stema gerarchico-, ancora in gran parte in uso. Linneo assegnò il nome a 4.236 specie;
successive enumerazioni compresero numeri sempre maggiori di specie e attualmente
è stato assegnato il nome ad oltre un milione di specie animali, sebbene si stima che
nel mondo ne possano esistere almeno due milioni.
Linneo però era un fissista, riteneva cioè che le specie non subissero modificazioni
nel corso del tempo. La moderna classificazione è invece basata sulle teorie evolutive
e utilizza il sistema di Linneo per inquadrare i diversi organismi in gruppi definiti in
base alle relazioni di parentela evolutiva.
Nella tassonomia moderna le categorie superiori al livello di specie sono: genere,
famiglia, ordine, classe, phylum (per gli animali) o divisione (per le 'piante), regno e
dominio (eucal"ioti). Il modo per ricordare l'ordine con cui le categorie sono dispo­
ste è quello di memorizzare la seguente frase: Dobbiamo Ricordare Perennemente
Come Ogni Favola Generi Speranza. La lettera ini�iale di ogni parola corrisponde
alla lettera iniziale delle diverse categorie (Fig. 6.1).
La tassonomia è quindi una forma logica in cui le osservazioni sulla anatomia e
fisiologia dei singoli organismi sono utilizzate per formare gruppi con caratteristiche
simili. Per la classificazione evolutiva è importante individuare le str utture omo�
loghe, cioè q uelle parti corporee che hanno la stessa derivazione embrionale, ma non
necessariamente una funzione comune, come ad esempio, l'ala degli uccelli e il braccio
umano. Le strutture che sono in grado di svolgere in organismi distinti funzioni simili,
pur avendo origini differenti, sono invece definite an1;tloghe 1 come ad esempio le ali

415
Capitolo 6 II mondo animale e vegetale

.<- ·Pissiri�dj9;··
DOMINIO: EUCARIOTI
fungo:po·rcl�o; "Girasole t'-Medusa, ·.Tartaruga;,.orata, Cavallo, Orso •
© Artquiz
q
:j�èi"rifio/-Aqui�.�-$rjll�i):�.l�ori,e�; U<>m(),-: _Mcisca; Ver[ilefr.:�eo"ne,;. Cane, lupo, Coyote,
i:";\//\i)\-7 t_'/.\/ ;;.'-'·: :·. .'\:
\·i:-" . ·:: Volpe, .Llcaonè;-'�èiacallo,:· :·_. · -,,. ·
REGNO: ANIMALI

·... M�dt���)ra·rt��Qa; ùrata: ·cavallo:·.ors·o;. _b:;lflri·o·, Aquila, GrlllO,


:_F:lt?l'.l� ...y_9�p,/��;��9:.�!/X .� PTI.,�,:-b1 ()r.,.,};Y1�1' �-�-,J�eqttç oyote., �VP�ije!
;
• ·
,.; •
·
L Icaone, s c1aca o ... ·, · ·
.. , ..... .1 ·.-.-.- _;, • -···,,--�
1 - '

PHYLUM: CORDATI
Tartarugà, Orata, Cavallo, Orso, Delfino, Aquila, Pitone,
l)omo, Mosca, Leone, Cane, Lupo, Coyote; Volpe/
licaone, Sclacallo

CLASSE: MAMMIFERI
Cavano, Orso, Delfi'no,· Uomo, Leone!·'Can·e·,.
Lupo, Coyote, Volpe, licaone·, Sola�allo

ORDINE: CARNIVORI
P.r�q" _L�on�,-.C�_ne,. �!JP9,. Go,19te
�'.-: ,'!e>lp��J-�19a9n�,;- p,è�ap�d.19·: ;_:_
FAMIGLIA: CANIDI
_.; Ca_ne,_ l:,lJPQì ç:Oyo(e·; ..
�lpe_,.�lça_oQe,_ �eia�
GENERE: CAN/S
iarie ,: U:ipb:
, (, ·çoyb���
SPECIE: CAN/S FAMILIAR/S
_ @an,

Figura 6.1: Classificazione tassonomica. ''

degli uccelli e delle farfalle. Le discipline che hanno la finalità di confrontare l'anato­
mia e la fisiologia di specie diverse sono definite anatomia e fisiologia comparata.
Un altro criterio utilizzato per la classificazione evolutiva si basa sulle differen­
ze tra le sequenze amminoacidiche di proteine omologhe, cioè che svolgono la stessa
funzione, come ad esempio il citocromo c nella respirazione cellul�re. Tali differenze
si sono accumulate nel corso dell'evoluzione in seguito a mutazioni, per cui quanto
maggiori sono le differenze nella sequenza, tanto maggiore è la distanza evolutiva. Si-

416
o © Artquiz BIOLOGIA

milmeute, vengono anali1.zati tratti omologhi di acidi nucleici, in particolare del RNA
ribosomiale. Anche in questo caso, maggiori sono le somiglianze, tanto più stretto è

o
il legame di parentela.
Utili¼zando i diversi criteri, specie simili vengono associate nello stesso ge nere.
· Ad esempio, il lupo e il coyote sono collocati nello stesso genere Ganis. II nome del
genere si affianca a quello della specie per dare ad ogni organismo un 'identificazione
univoca. Così il nome scientifico del lupo è Ganis lupus (il genere è in corsivo maiu­
scolo, la specie in corsivo minuscolo), mentre quello del coyote è Ganis latrans.
Come specie simili appartengono allo stesso genere, generi simili appartengono alla
stessa famiglia. Il genere più simile a Ganis è Vulpes, a cui appartengono le volpi.
Questi due generi, insieme ad altri, formano la famiglia dei Canidi. Famiglie simili
appartengono allo stesso ordine: la famiglia Canidi appartiene all'ordine Carnivori.
Ordini simili appartengono alla stessa classe. L'ordine dei Carnivori fa parte della
classe dei Mammiferi, in cui sono raggruppati animali a sangue caldo, coperti di pelo,
che allattano i loro piccoli.

O. Classi simili appartengono allo stesso phylum. Tutti gli ammali con una corda
dorsale (Urocordati, Cefalocordati, Pesci, Anfibi, Rettili, Uccelli e Mammiferi) appar­

o
tengono al phylum Cordati.
Phyla simili appartengono allo stesso regno. Il regn o è la categoria tassonomica
più controversa, :'3oprattutto per quanto riguarda gli organismi inferiori. Lo schema

o
ancora in uso a livello scolastico, basato sul tipo cellulare e la modalità di nutrizione,
prevede la suddivisione in cinque regni: Mo nere o Pr ocarioti, Protisti, Fu nghi,
Pia nte e Animali.

o
Il modello a cinque regni è attualmente messo in discussione perché i Procarioti
vengono distinti in Archeobatteri, privi della parete di peptidoglicano, e in Eubatteri
o "batteri veri". Secondo questo modello i viventi dovrebbero essere distinti in tre
domini, una categoria superiore al regno:

• il dominio Archaea, comprendente il regno degli Archeobatteri (o Archibatteri);


• il dominio Bacteria, comprendente il regno degli Eubatteri;

o
• il dominio Eukarya, comprendente i quattro regni degli Eucarioti.

Prima di descrivere il regno animale, verranno presen,tati i regni degli organismi


inferiori.

6.1.1 Il regno delle Monere


Le Mo nere sono organismi procarioti unicellulari e, in base alle differenze biochi­
miche, formano due grandi gruppi, gli Archibatteri e gli Eubatteri, che secondo la.

o
classificazione più recente rappresentano due regni o domini distinti.
Gli Archihatteri, che non contengono peptidoglicauo nella parete cellulare, sono
caratterizzati da una grande versatilità metabolica e si sono adattati a vivere in am­
bienti estremi, come sorgenti sulfuree calde (>70 ·ce pH acidi), acque salate (come
quelle del Mar Morto), fosse oceaniche o l'intestino dei i:urhiuanti (dove operano la
demolizione della cellulosa a glucosio).
Gli Eubatteri, che posseggono una parete cellulare costituita di peptidoglica­
no, sono chimicamente più simili alle cellule eucariote e non vivono in ambienti così
estremi. In condizioni sfavorevoli molti ceppi possono però formare spore resistenti

417
Capitolo 6 II mondo animale e vegetale © Art.quiz

che sono in grado di rimanere quiescenti per lungo tempo, finché le condi1.ioni am­
bientali non ritornino favorevoli. Tutti i batteri presentano vie metaboliche molto
diversificate, che spesso non sono presenti negli organismi superiori. In base al tipo
di metabolismo vengono distinti in:

• fotoautotrofi, in quanto utilizzano la luce sola.re come fonte di energia per sinte­
tizzare composti organici a partire da CO 2 . Esempi sono i cianobatteri (o alghe az­
zurre) che possiedono sistemi di membrane interne contenenti clorofille e utilizzano
l'acqua come donatore di elettroni producendo 0 2 ;

• chemioautotrofi, che ossidano sostanze inorganiche diverse dall'acqua p0r ridurre


la CO 2 a glucosio. A seconda dei composti inorganici ossidati vengono distinti in
idrogeno-, solfo-, ferro-batteri o batteri nitrificanti;

• eterotrofi, che assumono dall'ambiente i composti orgamc1. La maggior parte


sono saprofiti, cioè utilizzano materiale organico morto, ma possono essere batteri
parassiti, che si nutrono a spese di altri organismi viventi, o batteri patogeni, che
provocano nell'ospite malattie, come il colera o la tubercolosi.

6.1.2 Il regno dei Protisti


I Protisti sono organismi eucarioti prevalentemente nnicellnlari o coloniali, in cui
tutte le cellule sono simili (cioè non si differenziano in tessuti). La riproduzione può
essere sia sessuata che asessuata.
Vi appartengono le alghe, che vivono in ambiente acquatico e compiono la foto­
sintesi, e i protozoi, che non sono fotosintetici e possono essere saprofiti o parassiti
o simbionti. Alcuni protozoi provocano gravi malattie nell'uomo, quali la malaria
(Plasmodium falcipa.rum) o la malattia del sonno (Tripanosoma brucei).

o
6.1.3 Il regno dei Funghi
I Funghi sono organismi eterotrqfi, sia uni- che pluri-cellulari. Possono essere saprofiti
o parassiti. Generalmente operano la digestione esterna, seguita dall'assorbimento
attraverso la parete cellulare, che contiene chitina (e non cellulosa come le piante).
Hanno il corpo a tallo, cioè non suddiviso in radici, fusto e foglie; nei funghi più evoluti

o
il tallo è rappresentato da un micelio filamentoso. Comprendono anche i lieviti che
operano la fermentazione alcolica utilizzata nella panificazione e nella prod1��ione di
�a

6.1.4 Il regno de�li Animali


Gli Animali sono organismi eterotrofi costituiti da numerose cellule prive di parete,
tipicam�nte disposte in strati o a formare tessuti, e si riproducono prevalentemente
in modo sessuato. Sono classificati in phylum in base al tipo di simmetria del corpo,
al numero di strati cellulari da cui si sviluppa l'organismo e alla presenza o meno di
cavità corporee e di strutture scheletriche. ·

418
© Artqnb� BIOLOGIA

6.2 L'evoluzione dell'uomo

Tutti gli esseri umani attuali appartengono alla specie Homo (genere) sapiens, sotto­
specie sapiens. II genere Homo fa parte della famiglia degli Ominidi, che comprende
. anche i generi dei scimpanzé (Pan), gorilla ( Gorilla) e orangutan (Pongo), molto si­
mili in base al DNA. Gli Ominidi formano, assieme alla famiglia dei Ilobatidi (gibboni)
che sono filogeneticamente più lontani, la snperfamiglia degli Ominoidi, noti anche
come Grandi Scimmie o Scimmie Antropomorfe. Entrambi appartengono all'ordine
dei Primati, classe dei Mammiferi.
In base ai fossili ritrovati si ritiene che la separazione fra la linea evolutiva dell'uo­
mo e dei scimpanzé, le scimmie piì1 simili all'uomo, si sia verificata circa 6-8 milioni
di anni fa. I primi ominidi dotati di postura eretta e locomozione bipede sarebbero
comparsi 4-5 milioni di anni fa e sono stati assegnati al genere Australopithecus (di
cui il fossile piì1 noto è quello appartenente a Lncy ritrovato in Africa), che è carat­
terizzato da una capacità cranica ancora molto ridotta (500 cnr3 ). Da 1111 ceppo di
A 1tstmlopithecus si sarebbe evoluto ìl nuovo genere H01no, caratterizzato da una mag­
giore capacità cranica, acni appartengono le specie Homo habilis, compm·so circa 2,5
milioni di anni fa, Homo erectus, risalente a circa 1,6 milioni di anni fa, che imparò a
ntiliz7,are il fuoco e sviluppò il linguaggio, e Homo sapiens, che comparve circa 200-
400.000 anni fa. I più antichi fossili di Homo sapiens appartengono alla sottospecie
neanderthalensis ( dal nome della valle è-love furono ritrovati in Germania). La sot­
tospecie Homo sapiens sapiens, l'unica attualmente non estinta, si 1:mrebbe evoluta
da un altro ceppo di Ominidi, probabilmente in Africa, e per prima addomesticò gli
animali e sviluppò l'agricoltura.

6.3 Le piante
Le piante sono organismi pluricellulari, eucarioti e (foto) autotrofi che sintetizzano
gli zuccheri attraverso lafotosintesi (Biologia, § 4.4). Le loro cellule contengono clo­
roplasti e sono delimitate da pareti rigide formate da cellulosa.
Tutte le piante sono potenzialmente in grado di riprodursi per via sessuata me­
diante l'alternanza tra una generazione aploide, il gametofito, e una diploide, lo spo­
rofito. Molte piante hanno la capacità di riprodursi per via asessuata o vegetativa,
che permette loro una rapida diffusione in ambienti favorevoli.

419
o Capitolo 7

o Interazione tra i viventi

o
o 7.1 Ecosistema e comunità biologiche

o
Una delle caratteristiche più sorprendenti della natura è la sua tendenza all'equili­
brio: in genere, infatti, il numero di vegetali e ç1.nimali che vivono in un dato ambiente
rimane pressoché costante nel tempo. L'equilibrio viene mantenuto in quanto nessun

o
gruppo <li animali/vegetali si accresce a tal punto da consumare completamente le
risorse disponibili, in quanto la crescita di ciascuna specie è tenuta sotto controllo
dall'intera1,ione con l'ambiente fisico e con le altre specie. Tale equilibrio pnò essere
però alterato da fattori esterni, con risultati inaspettati. Molto spesso nel passa­
to gli interventi umani sull'ambiente hanno dato risultati opposti a quelli sperati.
Ad esempio, la caccia sfrenata di predatori, per proteggere il bestiame, ha provoca­

o
to un'abnorme proliferazione di alcune prede che si alimentavano delle stesse risorse
del bestia.me. Fortunatamente negli ultimi decenni è molto cresciuta l'attenzione al­
l'ambiente e alle couseguen7,e che progetti umani potrebbero causare all'ambiente e
anche Io Stato Italiano, seguendo le direttive CEE, ha varato una normativa a ri­
guardo - valut�ione di impatto ambientale (VIA). La conoscenza delle interazioni

o
tra gli organismi viventi e l'ambiente che Ii circonda e con cui interagiscono è Io scopo
dell'ecologia. II termine fu coniato dal biologo tedesco Ernst Haeckel nel 1866 che
definì l'ecologia come "l'insieme di conoscenze che riguardano l'economia della na­

o
tura".
L'ecosistema è l'entità funzionale fondamentale dell'ecologia, comprendente la
comunità biologica, cioè il comples::io di animali e vegetali coesistenti in una deter­

o
minata area, e il biotopo, cioè Io spazio da essa occupato. La comunità è formata da
popol�ioni diverse, dove per popolazione si intende un gruppo di inclividni appar­
tenenti alla stessa specie che vivono nella stessa area geografica. Ogni popolazione ha

o
il proprio habitat, o ambiente fisico in cni vive, e la propria nicchia ecologica, defi­
nibile come "professione o ruolo" nell'economia dell'ecosistema, in quanto comprende
tutte le sue attività e le sue relazioni con i fattori ambientali biotici, cioè gli altri
organismi viventi, e abiotici, come quelli climatici (temperatura, umidità, ecc.) che
costituiscono le risorse per la sua crescita. Particolannente impòrtante è definire le
risorse_ che possono divenire limitanti per una popola7,ione, se vengono a scarseggiare.

o
II livello di organizzazione superiore all'ecosistema è il b ioma e comprende l'insie­

l
me degli ecosistemi che determina l'aspetto di una determinata regione della Terra.
I principali biomi terrestri sono caratteri7.zati essenzialmente dal tipo di vegetazione,

421
I
Capitolo 7 Interazione tra i viventi @ Artquiz

che è influenzata innanzitutto dai fattori climatici e, di conseguenza, può essere simile
anche in aree geografiche diverse.

• Foresta pluviale tropicale: è caratteristica delle regioni con clima caldo e ab­
bondanti precipitazioni. La vegetazione è formata prevalentemente da alberi molto
' alti, popolati da un gran numero di uccellì, insetti e scimmie e da un sottobosco
ricco di organismi decompositori. Rappresenta una preziosa fonte di biodiversità.

• Foresta temperata decidua: è caratteristica delle zone temperate, situate tra


i tropici e i circoli polari, ed è formata prevalentemente da latifoglie, che perdono
le foglie nella stagione fredda. Abitanti tipici sono scoiattoli, lepri, daini, volpi e
cervi. A causa dello sviluppo dell'agricoltura, molte foreste sono state eliminate.

• Foresta boreale (taiga): è situata nell'emisfero boreale, a nord delle foreste di


latifoglie, dove il clima cont.inentale è molto rigido. È formata da conifere (abeti,
pini e larici) e da un sottobosco ricco di funghi e licheni. Abitanti tipici sono lupi,
linci, scoiattoli, alci e moscerini. È stata abbattuta per larghi tratti.

• Prateria: è situata tra l'equatore e i tropici nelle zone dove le precipitazioni sono
scarse e concentrate in una sola stagione. Prende il nome di pampas in Sud America,
steppa in Asia e savana in Africa. La vegetazione dominante è costituita da piante
erbacee perenni e ospitano grossi erbivori come bufali, giraffe che costituiscono le
prede di leoni, ghepardi, ecc.

• Macchia: è tipica. delle zone temperate caratterizzate da abbondanti precipitazioni


invernali ed estati calde e secche ed è formata da alberi e arbusti con foglie coriacee
e sempreverdi (pini marittimi, mirti, allori, ecc.). Animali caratteristici sono il
coniglio selvatico, il cinghiale e un gran numero di insetti e piccoli uccelii. Oltre
che sulle rive del Mediterraneo, è presente sulla costa occidentale degli Stati Uniti,
in Cile e lungo la costa meridionale dell'Australia.

• Tundra: è situata nelle regioni settentrionali di Canada, Asia ed Europa e in alta


montagna (tundra alpina), dove le precipitazioni sono scarse e nevose, i venti forti
e le temperature molto basse. II clima non consente la presenza di alberi e il suolo è
quasi sempre congelato, limitando quindi la decomposizione della materia organica
che si accumula formando spessi strati di torba. Un animale caratteristico è la
renna.

• Deserto: si sviluppa nelle regioni dove le precipitazioni sono molto scarse e irre­
golari e l'insolazione è massima. La vegetazione è nulla o scarsa, spesso presente
sotto forma di semi che germinano molto rapidamente quando sopraggiungono le
piogge. È popolata prevalentemente da rettili, insetti e aracnidi. l

7.1.1 Catena alimentare


1\1tti gli organismi di un ecosistema vengono classificati in base alla modalità di
nutrizione in:

a) Produttori: sono organismi autotrofi (piante, alghe unicellulari e batteri) in


grado di sintetizzare sostanze organiche semplici, come il glucosio, a partire ·da
composti chimici inorganici.

422
o @ Artquiz BIOLOGIA

o b) Consumatori: 5ono organismi eterotrofi che si nutrono del materiale organi­


co fornito dai produttori. Si distinguono in consumatori primari se mangiano i

o
produttori (erbivori) e secondari, se si nutrono di altri consumatori (carnivori).
'e) Decompositori: sono organismi eterotrofi che si nutrono di organismi morti

o
(animali) o di deiezioni di organismi vivi, degradando le molecole complesse in
composti semplici così riutilizzabili dai produttori. Sono rappresentati da lombrichi,
funghi, batteri, ma anche iene, maiali e avvoltoi.

o La sequenza di organismi attraverso cui avviene il passaggio delle molecole orga­


niche in un ecosistema è detta catena alimentare. La sequenza fondamentale dei

o
livelli nutrizionali o trofici è formata:

produttori � consumatori primari-* consumatori secondari � decompositori

che in un ambiente terrestre diviene:

piante verdi � erbivori � carnivori � decompositori

Acl ogni passaggio di livello trofico, dai produttori ai decompositori, l'energia con­

o
tenuta nelle molecole organiche diminuisce marcatamente, in media di circa il 90%,
in quanto viene dissipata principalmente sotto forma di calore. Parallelamente alla

O.
diminuzione di energia si ha una dimintrbione di biomassa, e quindi del numero di
organismi.
Le catene alimentari cli un ecosistema sono generalmente interconnesse: ad esem­

o
pio un erbivoro può nutrirsi di più piante e un camivoro di più erbivori. L'insieme di
tutte le catene alimentari presenti in un ecosistema è definita. rete alimentare.

o
7.1.2 Simbiosi, competizione, parassitismo e opportunismo
In un ecosistema possono instaurarsi diversi tipi di rapporti tra organismi di specie
diverse, definite interazioni interspecifiche, che si distinguono in:
• Competizione: nella maggior parte dei casi riguarda lo sfruttamento delle risorse

o
ed è alla base della selezione naturale e quindi dell'evoluzione. Secondo il principio
di esclusione competitiva (o principio ·di Gause) in una comunità non possono
coesh;tere due specie aventi la stessa nicchia. Una competizione duratura tra due

o
specie pnò infatti portare o all'esclusione competitiva, cioè all'eliminazione fisica di
una specie, o alla diversificazione della nicchia (molto rara).
• Predazione: è l'interazione in ctù un animale predn.tore uccide e mangia un altro
animale o preda. Esercita un'importante azione di selezione, sia tra i predatori, che
devono essere abili nel trovare, catturare e uccidere le prede, che per le popolazioni
delle prede, che devono sviluppare adattamenti antipredatori, come il mimetismo.

• Parassitismo: è un tipo di intera:done tra due specie in cui una tra.e beneficio
dalla rela7.ione (il parassita) mentre l'altra ne è danneggiata (l'ospite). I parassiti
che vivono sulla superficie dell'ospite sono detti ectoparassiti (funghi sulla corteccia
degli alberi), mentre quelli che vivono all'interno dell'ospite endoparassiti (la tenie
nell'intestino umano).

423 I
Capitolo 7 Interazione tra i viventi @ Artqui7.

• Opportunismo: è la capacità di proliferare in un ambiente non competitivo. I


microrganismi opportunisti sono quelli che si sviluppano in un individuo immuno-­
compromesso (ad esempio un malato di AIDS).
• Simbiosi: è un'associazione stretta e spesso permanente tra organismi di due specie
diverse. Può essere facoltativa o obbligatoria e può assumere due forme. Nel
commensallsmo una specie ne trae vantaggio mentre l'altra non ne ricava alcun
beneficio, ma non ne viene danneggiata (le orchidee crescono sugli alberi che usano
come supporto). Nel mutualismo entrambe le spede ne ricavano un vantaggio
(associazione tra un fungo e nn'alga nei licheni).

7.2 Cicli biologici e degli elementi chimici


Nelle reti alimentari gli atomi degli elementi chimici sono continuamente tro.sferiti
da un organismo all,altro, dall'ambiente fisico agli organismi e viceversa seguendo dei
percorsi definiti cicli biogeochimici, in quanto interessano sia le componente biotica
,
che abiotica. Particolarmente importanti son'O il ciclo del carbonio e il ciclo dcll azoto.

7.2.1 Ciclo del carbonio


Gli atomi di C entrano negli ecosistemi attraverso la fotosintesi, che riduce la C02
atmosferica a glucosio, poi utilizzato per produ�Te altri composti organici. Le sostanze
organiche entrano quindi nei tessuti dei produttori e diventano fonte di energia sia per
i produttori che per i consumatori. La C02 torna all'atmosfera in seguito ai processi di
ossidazione (respir�ione e fermentazione) delle sostanze organiche sostenuti da tutti
gli organismi viventi, ma anche a causa delle reazioni di combustione, come incendi
naturali e utilizzo di combustibili fossili.
Il continuo incremento di emissioni di C02 nell'atmosfera da parte dell'uomo è la
causa dell'effetto serra. e del temuto aumento della temperatura, dovuto all'aumentato
assorbimento da parte della C02 atmosferica delle radiazioni infrarosse emesse dalla
superficie terrestre.

7.2.2 Ciclo dell'azoto


L'azoto entra nelle reti alimentari dall'atmosfera grazie ai batteri azotofissatori che
trasformano N2 gassoso in ammoniaca (che in acqua si protona a ione ammonio) (Fig.
7.1). Questi batteri vivono sia nel suolo (ad esempio in relazione mutualistica con le
I�guminose, che per questo sono in grado di sopravvivere anche in suoli poveri d,i azoto
come le praterie di montagna) che in acqua. Lo ione ammonio viene quindi �;orbito
dalle piante come tale o previa trasformazione in ioni nitrato dai batteri nitrificanti.
Ioni ammonio e nitrato sono poi utilizzati dai produttori per la sintesi di amminoacidi
e altre molecole organiche azotate, che passano ai consumatori nella rete alimenta.re.
L'azoto organico ritorna al suolo o all'acqua in forma inorganica di ione ammonio
grazie all'artione dei batteri decompositori ammonificanti. Il ciclo comprende infine
un'ultima tappa, la denitrificazione, compiuta dai batteri denitrificanti che converto­
no gli ioni nitrato in N2 gassoso e in questo modo impoveriscono il suolo di una forma
di assimilazione molto importante per le piante.
Le attività umane interferiscono anche con il ciclo dell'azoto a causa dell'uso mas­
siccio in agricoltura dfli fertilizzanti artificiali che arricchiscono eccessivamente il suo-

424
© Artquiz BIOLOGIA

lo e conseguentemente fiumi e laghi di ioni ammonio o nitrato. Qu�sti sono tossici


per l'uomo e nei laghi determinano il fenomeno dell'eutrofizzazione, dovuta alla
proliferazione incontrollate di pfoduttori come le alghe.

o
Noru Norg
in orgenlsml morti nel produttori

o I I Norg
nel produttori

o
ammonificazione
assimilazione assimilazione

-
,-...---rr,c1:xr--------. ,
3

o
� nel batteri
nitrificazione nltrlllcanU

fissazione denitrificazione

N2 N2
nel batteri
almosfera � denarllie&nll

Figura 7.1: Il ciclo dell'azoto.

o
o
o
o
o
o
o
o
o 425 . jI
o
o
o Capitolo 8

o Microrganismi e sistema immunitario

o
o
8.1 Virus
I virus sono entità biologiche (non sono organi:m1i cellulari) che� per moltiplicarsi

o
sono obblign,ti ad infettare cellule bersaglio (:,;ono paras,,;iti endocellulari obbligati) e
a sfruttare a loro vantaggio i mn.cchinari che controllnno la prolifcrn.iioue cellula.re.
Le cellule bersaglio apparten{?;ono a tutti i regni biologici, tanto che e�istono virus
che infettano batteri, funghi, piante e animali. I virus che infettano i batteri sono
chiamati batteriofagi.

Filamenll

o
,Identici
di RNA

Figura 8.1: Immagine schematica illustrante


la struttura del virus umano dell 'immunode­
ficienza (HIV).

o
I virus hanno dimensioni comprese tra 10 e 400 nm e quindi 11011 sono visibili al
microscopio. I loro costituenti elementari sono:

o
1. un picc olo genoma a DNA o RNA. Esistono genomi di DNA a singolo e doppio
filamento, così come esistono genomi di RNA a singolo e doppio filamento. Tra i
virus a RNA sono compresi i ret1"ovirus che utiliz:mno intermedi di DNA per ripro­
dursi. A questa categoria appartiene l'HIV (virus dell'immunodeficienza umana)
che provoca l'AIDS (sindrome da immunodeficienza acquisita) infettando un tipo
specifico di leucociti. Essi contengono uno spcciole emdma., cl1iamnto trascrittasi
inversa, capace di cataJiz�mre il processo di sintesi del DNA a partire da RNA.
2. una parete proteica (capside) che rncchiude il genoma e permette l'interaiione
con ln. cellula bersaglio. Il capside Ì·! formato da unità proteiche pii1 piccole dette
capsomeri, codificate clal genoma virale. I diversi capsomeri si assemblano al ge­
noma all'interno della cellula infettata, generando particelle virali di forma diversa

o 427
Capitolo 8 Microrganismi e sistema immunitario @ Artquiz
oI
(elicoidale, icosaedrica e altre). Alcuni virus hanno una parete esterna simile a
quella di una cellula, compost.a da fosfolipidi e glicoproteine (l'HIV è uno di que­
sti). Essa permette di nascondere gli antigeni virali e favorisce la fusione con le
membrane cellulari.
L'infezione virale può avvenire con diverse modalità:
• tramite insetti ematofagi (ad esempio zanzare, pidocchi, zecche);

o per inalazione di aerosol (ad esempio le goccioline di saliva presenti nell'aria a


seguito di uno starnuto);
• mediante contamina�ione di cibo con, materiale fecale;
• mediante inoculazione diretta di sangue o altri liquidi biologici (ad esempio
rapporti sessuali non protetti o trasfusione di sangue infetto).

Il ciclo infettivo di nn virus è un processo a più stadi:


a) Adesione del virus: avviene grazie all'interazione fra proteine virali e recettori
presenti sulla membrana della cellula bersaglio (chiamate anche cellule sensibili).
Questa inter · · è s ecifica e permette la coltivazione in laboratorio del virus
me 1ante l'infezione di colture di cellule sensi 11.
b) Ingresso del virus o del suo materiale genetico nella cellula.
c) Replicazione del virus: ciò implica in genere la sintesi di RNA messaggero virale,
la sintesi di proteine virali e l'auto-assemblaggio dei virioni.
Al termine del processo i virus possono essere rilasciati dalla cellula ospite m<?­
diante lisi, ovvero rottura della membrana plasmatica e fuoriuscita dei virioni (ciò
comporta morte della cellula ospite) o per gemmazione, processo in cui le particelle
virali vengono emesse dalle cellule senza rottura della membrana plasmatica; questo
meccanismo è tipico dei virus con membrana.
Gli effetti dei virus sulle cellule ospiti sono diversi e prendono nel loro complesso
il nome di effetto citopatico. In particolare essi possono determinare morte cellulare
per lisi, per suicidio cellulare programmato (apoptosi) o possono determinare elimina­
zione delle cellule infette da parte·del sistema immunitario. In alcuni casi l'infezione
può rimanere latente per lungo tempo, determinando effetti che perdura.no nel tempo
(infezione cronica). In alcuni casi, l'infezione si associa all'insorgenza di neoplasie
(come ad esempio alcuni tipi di papillomaviros nel carcinoma della cervice uterina).
I virus sono res sa 'li d' n erose patologie, dai semplici influenza e r�red-
--
dor,,e a ma attie molto pericolose come epati 1,
nerfino tumori.
.
1t1, vaio o, r9�0 ia e

I batteriofagi (o fagi) sono i virus che infettano i batteri. Anch'essi, come i vi­
rus degli eucarioti, presentano la specificità nei confronti dei batteri da infettare. I
batteriofagi hanno il genoma costituito da DNA che, dopo l'aggancio alla membrana
batterica, viene iniettato all'interno. A seconda del tipo di fago si possono avere due
comportamenti: quello, più comune, di utilizzare la macchina batterica per produrre
le proteine del fago e replicare il proprio DNA a cui fa seguito la lisi del batterio e la
fuoriuscita di numerose copie del fago (meccanismo litico) e l'altro che invece di pro­
cedere subito alla lisi e alla produzione di nuove particelle fagiche, integra il proprio

428
@ Artquiz BIOLOGIA

genoma i11 un punto preciso del genoma batterico e si mantiene in quello stato, anche
a seguito della replicazione del genoma batterico ( stato lisogenico) fino a quando il
genoma del fago non è espresso e produce le proprie proteine con induzione del ciclo

o
litico. La lisi è dovuta a specifiche proteine fagiche (chiamate lisine, da non confondere
· con l'aminoacido dello stesso nome) che sono capaci di ledere la membrana batterica.
Oggi si pensa all'uso di queste proteine per aggredir� i batteri che hanno sviluppato
la resistenza agli antibiotici.

o
8.2 Batteri
I batteri sono organismi unicellulari procarioti (privi di nucleo e organelli, vedi 2.5.1)

o
le cui dimensioni variano da 0,5 a 5 µm, quindi osservabili al microscopio ottico.
I batteri possono essern divisi in:
1. Aerobi obbligati, che necessitano di o58igeno come accettore finale di elettroni.
.
2. Aerobi e anaerobi facoltativi, che possono utilizzare sia l'ossigeno che altre
molecole come accettore di elettroni e sono capaci di sopravvivere anche in assenza
di ossigeno. Mentre i primi crescono meglio in presenza <li ossigeno, i secondi in
condizioni anaerobic�c.

o 3. Anaerobi obbligati, che non sono in grado cli sopravvivere in presenza di ossigeno
poiché non sono dotati di enzimi (come la perossidasi, la superossido dismutasi o

o
la catalasi) capaci di proteggerli dallo stress ossidativo.

Un importante criterio classificativo dei batteri si basa sulla colorazione di

o
Gram, che identifica delle importanti caratteristiche della parete batterica. In parti­
colare, i batteri Gram positivi (che si colorano di blu-viola alla colorazione di Gram)
sono caratterizzati da una parete cellulare esterna spessa, mentre i batteri Gram ne­

o
gativi ( che rimangono colorati di rosa alla colorazione di Gram) sono caratterizzati
da una parete cellulare molto piÌI sottile.
La struttura del batterio è organizzata (dall'esterno all'interno) in:

• capsula (più propriamente glicocalice), struttma saccaridica che dona al batterio


resistenza all'essiccamento, capacità adesive, riserve energetiche e resistenza alla

o
fagocitosi;

• parete cellulare, struttura rigida che protegge il batterio (ad esempio dalla lisi
osmotica) la cui composizione, come abbiamo visto, differisce fra batteri Gram

o positivi e negativi;

• fimbrie e flagelli che protrudono dalla parete e dalla capsula, facilitando la motilità

o
del batterio e· possono o non possono essere presenti;

• membrana plasm atica interna, che ha composizione simile a quella degli eu­

o
carioti, anche se non contiene steroli (ad eccezione dei micobatteri). Su di essa si
trovano quasi tutti gli enzimi batterici;

o
• nucleoide, costituito da DNA circolare a doppio filamento associato a proteine che
regolano la trascrizione genica; esso, a differenza degli eucarioti, non è racchiuso in
una membrana nucleare a distinguerlo dal citoplasma.

429
Capitolo 8 Microrganismi e sistema immunitario © Artquiz

I batteri possono essere distinti anche sulla base delle loro interazioni con gli
organismi con i quali convivono in:

• Bat teri commensali, che vivono in simbiosi con l'organismo in un rapporto di


reciproca utilità. Gli esempi più importanti sono:

- la flora bat teric a intestinale, comprendente 500-1000 specie di differenti mi­


crorganismi (il più noto nell'uomo è Escherichia Coli), la maggior parte dei quali
anaerobi. Essa è costituita da 10 14 -10 15 batteri (fino a 10 volte il numero di cellu­
le di un organismo adulto), le cui funzioni variano dalla digestione di sostanze che
altrimenti risulterebbero indigeribili da parte del nostro organismo, alla sintesi
di vitamine, come la vitamina K;
- la flora batterica vaginale, la cui carica batterica è una delle più alte del­
l'organismo. È composta principalmente da batteri del genere Lactobacillus e
sono responsabili dell'acidità deli'ambiente vaginale. Ciò serve, ad esempio, a
prevenire le infezioni fungine come le candidosi vaginali.

• Batteri patogeni, ovvero batteri la cui infezione è causa di malattie. Essi si


dividono in patogeni facoltativi, batteri che normalmente non causano patologia,
ma possono divenire patogeni per aumento del loro numero o per colonizzazione di
regioni in cui generalmente non sono presenti, e in patogeni obbligati che causano
sempre una patologia ( come ad esempio il tifo, la psittacosi, il tetano, la tubercolosi,
la polmonite, la salmonellosi, il botulismo, le cistiti, le carie dentali, vaginosi, la
sifilide, la gonorrea, endometrite, ecc.).

La sterilizzazione è il processo con il quale si procede all'eliminazione della ca­


rica batterica in un alimento o in uno strumento di carattere medico. Essa avviene
normalmente portando gli alimenti a temperature elevate, qualche volta superiori a
100 °C, mediante l'uso di autoclavi come per gli strumenti medicali.

8.3 Funghi
Al regno dei Fungi (o miceti) appartengono più di 100.000 specie di organismi eu­
carioti che includono lieviti (unicellulari), muffe e funghi propriamente detti. Esso si
distingue da piante, animali e batteri, sebbene condivida con essi alcune caratteristi-
che. l
I funghi sono organiBmi ete rotrofi: non sono infatti in grado di sintetizzare' il loro
nutrimento a partire da sostanze inorganiche, per cui necessitano di composti organici
sintetizzati da altri organismi.
Alcune specie crescono come lieviti unicellulari che possono riprodursi per gem­
mazione o per fissione binaria.
Molti funghi si comportano da parassiti nei confronti degli animali� possono cau­
sare patologie molto gravi se non curate. In particolare i soggetti immunodeficienti
sono particolarmente suscettibili alle infezioni fungine, quali quelle da ABpergillo, Can­
dida, Oryptococco, Hi8topla8ma e PneumocyBtis. Più frequenti sono, infine, le infezioni
cutanee da parte di funghi, ad esempio da dermatofiti.

430
© Artquiz BIOLOGIA

o 8.4 Protozoi

o
I protozoi sono organismi unicellulari euca1-iotici, appartenenti al regno dei protisti,
. molti dei quali mobili. Essi possono essere autotrofi o, pii1 frequentemente, eterotrofi.
Le loro dimensioni variano da 1 O a 50 1im, ma possono anche raggiungere dimensioni

o
maggiori. La loro motilità è dovuta alla presenza di strutture quali flagelli o ciglia· o
per movimenti citoplasmatici, detti movimenti ameboidi.
L'importanza dei protoioi nella patologia umana è testimoniata dalla gravità delle

o
seguenti infezioni:
• Malaria: è un infezione, trasmessa da una. zamm.ra (del genere A nopheles), causata
da diverse specie di Plasmodi·um ( P. falciparum, P. vivax, P. oval e, P. malariae
e P. knowlesi). L'infezione è conseguente a.Ila replicazione dell'agente infettivo
all'interno dell'organismo. I farmaci antimalarici noti da piìt tempo sono il Chinino

.
e la Clorochina.
• Amebiasi: è un'infezione causata dall' Entamoeba histolytica (un'ameba). La tra-
smissione è conseguente all'ingestione di cibi contaminati (via oro-fecale).
• Toxoplasmosi: è un'infezione causata da Toxoplasma gondii. Questo protozoo
infetta divenii animali a sangue caldo, ma il suo ospite principale è il gatto. L'in­
fezione è dovuta all'ingestione di cibo contaminato da feci <li animali infetti. Circa
un terzo della popolazione mondiale risulta infetta.

o • Leishmaniosi: è un'infezione causata da protozoi appartenenti al genere Leishma­


nia. Tali protozoi possono infettare diversi animali, ma i vettori con cui si trasmette
sono insetti che si nutrono di sangue (ditteri ematofagi, quali mosche). Essa si ma­
nifesta con modalità. molto divenic, quali infezioni cutanee (leishmaniosi cutanea o
del vecchio mondo), infezioni di cute, derma e mucose (leishmaniosi tegumentaria

o
americana) e gravi infezioni di milza, fegato e midollo osseo (leishmaniosi viscerale).

8.5 Sistema immunitario

o Il sistema immunitario è una complessa rete costituita da molecole e cellule la cui

o
funzione è quella di proteggere l'organismo da potenziali cause di danno (quali agenti
infettivi, fisici o chimici).
Le principali caratteristiche e funzioni del sistema immunitario sono: la capacità

o
di distinguere strutture endogene che non costituiscono pericolo e che devono essere
preservate (self o non-infectious sel/) da strutture esogene o endogene che costitui­
scono pericolo e devono essere eliminate (quali microrganismi, cellule infette o cellule
tumorali; non-self o in/ectious self). Le molecole contro cui montare una risposta
immunitaria vengono chiamate antigeni. Invece una molecola con basso peso mole­
colare (inferiore a 10.000) incapace di indurre da sola una risposta immunitaria viene
chiamata aptene.
Il sistema immunitario si suddivide in due branche fra loro embricate:
• Immunità aspecifica o innata, comprendente meccanismi di barriera fisica, me­
diatori chimici (ad esempio peptidi ad azione antimicrobica, istamina che genera
la risposta anafilattica che può portare allo shock anafilattico) e cellule (mastociti,
granulociti, macrofagi e cellule dendritiche, cellule Natural Killer e alcuni sottotipi

431
o

Capitolo 8 Microrganismi e sistema immunitario © Artquiz �

di linfociti) responsabili della prima linea di difesa contro il danno. Riconosce con­
dizioni generali di "pericolo11 e favorisce l'attivazione dell'immunità specifica. La
risposta infiammatoria fa parte di questa linea di difesa.
• Immunità specifica o adattiva, comprendente mediatori chimici e cellulari capaci
di montare una risposta mirata e più potente, ma più lenta. Si suddivide a sua volta
in immunità specifica cellulo-mediata e immunità specifica umorale (mediata da
anticorpi).

8.5.1 Immunità specifica cellulo-mediata


Questo tipo di immunità si basa principalmente sull'azione di cellule della linea lin­
foide (Te B) e da cellule accessorie come i linfociti Thelper, che attivano i macrofagi
e i linfociti B mediante la produzione di particolari proteine, chiamate interleuchine.
I linfociti Tsono principalmente deputati a orchestrare, regolare la risposta cellulo­
mediata e ad esercitare un'attività. di lisi cellulo-mediata. Essi maturano in organi
linfoidi come il timo, dove imparano a riconoscere il self dal non-self I vari tipi di
linfociti T sono caratterizzati da recettori di membrana, costituiti da glicoproteine
della classe CD. I recettori di tipo CD4 sono quelli che permettono al virus HIV di
penetrare nella cellula e quindi a dare luogo all'infezione che termina con la manife­
stazione dell'AIDS (sindrome da deficienza immunitaria acquisita). I linfociti B sono
invece deputati alla produzione di anticorpi (vedi sotto).

8.5.2 Immunità specifica umorale


In questo tipo di immunità un ruolo fondamentale è giocato .dagli anticorpi (detti
anche immunoglobuline). Essi sono proteine prodotte dalle plasmacellule (cel­
lule derivate dalla maturazione dei linfociti B) e dotate della capacità di riconoscere
in maniera specifica molecole (dette antigeni) in grado di esplicitare una risposta
immunitaria. Essi sono strutturalmente tutti uguali, avendo una struttura di base
costituita da due catene leggere e da due catene pesanti, a loro volta ugu�i tra loro,
che danno lugo a una tipica struttura a Y. 'Iì·a un anticorpo e un altro (a parte la
classe, di cui si parla dopo) esiste una differenza di sequenzu di aminoacidi nelle due
parti terminali della molecola. Queste diverse sequenze sono quelle che stabiliscono
una interazione specifica con un particolare antigene. Le sequenze diverse di ami­
noacidi sono prodotte da un riarrangiamento casuale del DNA genomico, chiamato
ricombinazione sito-specifica, che avviene in ogni linfocita B. La casualità del riarran­
giamento produce miliardi di tipi diversi di sequenze aminoacidiche e quindi miliardi
di immunoglobuline diverse. 'Tutte le immunoglobuline prodotte da un linfocita}B ma-
turo sono uguali tra loro. ,1
Esistono 5 classi di anticorpi che differiscono nella loro strnttura moleéolare e
localizzazione. Specificamente:
• lgG: sono le più abbondanti immunoglobuline del siero (circa il 75%), sono mono­
meri della struttura base, capaci di attraversare la placenta, di stimolare il comple­
mento (un gruppo di proteine che può essere attivata a cascata, determinando lisi
cellulare o microbica) e di favorire la fagocitosi dei microbi;
• lgA: costituiscono il 20% delle immunoglobuline sieriche, ma sono presenti nelle
secrezioni (ad esempio saliva, lacrime, secrezioni mucose del tratto gastroenterico

432
o @ Artquiz BIOLOGIA

o e delle vie aeree) e sono quindi un mezzo di difesa nelle infezioni locali. Sono in
forma monomerica o dimerica. Stimolano l'attivazione del complemento.

o
• lgM: costituiscono il 5-10% delle immunoglobuline sieriche. Sono la classe dianti­
corpi sintetizzata dopo la maturazione del linfocita B a plasmacellula.. Sono sotto

o
forma pentamerica e quindi in grado di legarsi in maniera più forte all'antigene
nella risposta primaria. Non passano la barriera placentare.

• IgD: rappresentano lo 0,2% delle immunoglobuline sieriche, ma sono presenti sulla

o
membrana dei linfociti B e ne inducono maturazione a plasmacellula. Sono in forma
monomerica.

• IgE: sono molto poco abbondanti nel siero. Sono responsabili della risposta immu­
nitaria ai parassiti e della loro fagocitosi. Si legano, con la base della Y, a recettori
presenti sui mastociti e inducono liberazione di mediatori della risposta allergica

o
presenti in queste cellule in seguito al legame dell'antigene.

o
8.5.3 Le fasi della risposta immunitaria e la vaccinazione
La prima volta che un antigene viene a contatto con il sistema immunitario viene
stimolata una risposta primaria. Dopo alcuni giorni da questo contatto (5-15 gior­

o
ni) vengono prodotte quantità notevoli di immunoglobuline (prevalentemente di tipo
lgM) specifiche contro l'antigene. La produzione di grandi quantità di anticorpi spe­

o
cifici è dovuta all'espansione clonale (crescita di cellule tutte uguali) di quei linfociti
B che sono stati stimolati dall'antigene grazie all'interazione tra antigene e anticorpo
specifico prodotto da quei linfociti B. La fase primaria produce anche linfociti B me­

o
moria che rimangono in circolazione per tutta la vita e sono capaci di accelerare la
risposta e di potenziarla nel caso in cui l'antigene dovesse ripresentarsi nell'organismo
in una fase successiva (risposta secondaria). In questo caso gli anticorpi prodotti sono

o
di tipo lgG. Su que8ti principi è basata la vaccinazione (una pratica iniziata da Jen­
ner alla fine del '700) che permette di aumentare e migliorare la risposta immunitaria
ad un particolare agente infettivo, sfruttando la memoria del sistema immunitario

o
che è costituita da particolari linfociti. In pratica si attiva una risposta immunitaria
primaria in un organismo mediante il vaccino, in maniera tale che, in caso di infezione
da parte dell'agente patogeno, la presenza di linfociti memoria permettano una più
efficace e pronta risposta immunitaria secondaria con la pratica eliminazione dell'a­
gente infettante prima che esso produca danni. Il vaccino può essere costituito da un
microbo la cui infettività è stata attenuata, da un microbo ucciso o da uno o più pro­

o
dotti (ad esempio tossine o proteine) del microbo stesso (in tal caso si parla di vaccini
subunità). Alcuni vaccini sono prodotti da tecniche ricombinanti che permettono di
togliere i geni della virulenza dall'organismo infettante o di preparare organismi non
patogeni contenenti antigeni del patogeno.
I vaccini possono essere dati a scopo profilattico (per prevenire patologie gravi cau­
sate dall'infezione con il ceppo selvaggio del microorganismo) o a scopo terapeutico

o
c.ontro una patologia già in atto per potenziare la risposta immunitaria dell'organi­
smo.
La vaccinazione ha permesso di ridurre drasticamente mortalità e morbilità per

M
patologie molto gravi, quali: vaiolo, poliomielite, difterite, tetano, pertosse, epatite B,
morbillo, parotite e rosolia congenita. I vaccini antinfluenzali che vengono sommini­
strati, specialmente agli anziani in prossimità dell'inverno, debbono essere preparati

433
Capitolo 8 Microrganismi e Ristema immunitario @ Artqui�
oI
ogni anno perché i virus che causano l'influemm sono capaci di mutare continuamente
gli antigeni che li caratteriz1,ano 1 e quindi non può esserci memoria.

8.5.4 Reazioni di ipersensibilità


Le reazioni di ipers ensibilità sono patologie conseguenti all'attivazione del sistema
immunitario. Esse possono essere classificate sulla base del meccanismo immunologico
in tipi diversi, tra i quali sono da annoverare le risposte di tipo anafilattico agli
allergeni e il rigetto degli organi trapiantati (tra cui il rigetto del sangue trasfuso di
tipo A o B in individui di tipo O).

-
�:

434
o
Capitolo 9

Patologie e farmaci

9.1 Patologie e loro cause

Si definisce patologia Palterazione dello stato di behessere cli un individuo, capa.cc di


ridurre o eliminare le funzioni normali del corpo. La patologia viene diagnosticata d o.I
medico utilizzando la semeiotica medica, la scienza che studia i sintomi della malattia
e i modi per rilevarli. TI·a questi modi, oltre all'uso di tecniche e metodiche strumen­
tali, è compresa anche l'anamnesi che è la raccolta dei dati .fisiologici, patologici ed
ereditari <li un paziente.
Lo stato di rmùattia può essere comieguenza di diverse cause, interne o esterne al­

o
l'organismo. L'agente causale riconosciuto di una malattia prende il nome e.li agente
eziologico, mentre l'insieme di processi che portano allo svilupparsi dell� malattia

o
prendono il nome di patogenesi.
Agenti eziologici di malattia possono essere dovuti a cause esterne o interne all'or­
ganismo:

o
Cause esterne:
• agenti fisici, come radiazioni ionizzanti, elettricità, traumi, variazioni di tempera-

o
tura, variazioni di pressione e gravità;

• agenti chimici, quali acidi o ba.si forti, radicali liberi, veleni o tossine;

o. • agenti microbiologici, quali virus, batteri, muffe o parassiti.


Cause interne:
• TI·a.smissione ereditaria di un patrimonio genetico alterato (malattia genetica ere­
dita.ria), come l'ereditarietà Mendeliana dominante o reces.siva (nel ca.so in cui il
carattere ereditato si manifesti fenotipicamente in tutte le generazioni portatrici
o solo in omozigosi), la predisposizione ereditaria (l'ereditarietà è multifattoriale,
pertanto si tra.smette la propem1ione ad ammalarsi). e le patologie da anomalie
cromosomiche (trasmissione. alla prole di un patrimonio genetico anomalo per la
presenza di cromosomi anomali per forma o numero; l'esempio più conosciuto è
la trisomia del cromosoma 21 o sindrome di Down, dovuta alla presenza di un
cromosoma 21 soprannumerario).

• Alterazioni nell'apporto ematico di nutrienti e ossigeno (ischemi� o ipossia).

435
o
Capitolo 9 Patologie e farmaci © Artqu!z

• Patologie dovute all'aggressione di organi o tessuti appartenenti all'organismo stesso


o
da parte del sistema immunitario (malattie autoimmuni). Esempi sono: il diabe­
te insulin�dipcndeute o di tipo 1, conseguente alla distruzione delle cellule beta
pancreatiche da parte del sistema immunitario o la sclerosi multipla, dovuta alla
q
distruzione delle guaine mieliniche del sistema nervoso centrale.
• Patologia neoplastica (o tumorale), dovuta alla formazione di una massa anormale
di tessuto che cresce in eccesso e in modo scoordinato rispetto ai tessuti normali
(perdita dell'inibizione per contatto, che è il normale meccanismo che impedisce alle
cellule normali di crescere all'infinito in un organismo e di crescere ulteriormente
in coltura dopo aver coperto il fondo del recipiente), persistendo in questo stato
anche dopo la cessazione degli stimoli che ne hanno indotto il processo. La crescita
incontrollata è conseguenza di un complesso processo caratterizzato da: alterazioni
del patrimonio genetico delle cellule tumorali (favorente la loro proliferazione e la
resistenza alla morte cellulare), stimolo alla formazione di nuovi vasi ed evasione
della risposta innnunital'ia. Le neoplasie vengono classificate sulla base del tipo
istologico di cellule da cui originano in: tumori di origine epiteliale, tumori origina­
ti da cellule mesenchimali, tumOl'i originati da cellule del sistema emolinfopoietico
e neoplasie originate dal tessuto nervoso. In aggiunta, sulla base dell'aggressività
e della tendenza a formare foci di disseminazione a distanza (metastasi), si distin:
guouo tumori benigni (generalmente delimitati da capsula fibrosa e non invasivi né
localmente né a distanza), da tumori maligni (dotati di crescita invasiva localmente
e/o a distanza). In linea generale i carcinomi tendono a disseminare inizialmente
per via linfatica ai linfonodi drenanti, mentre i sarcomi per via ematogena. A causa
della loro crescita invasiva, le neoplasie maligne provocano danni locali o a distan­
za che possono portare al decesso il paziente. Per tale ragione si sono sviluppate
terapie farmacologiche aggressive (radioterapia, chemioterapia o farmaci biologi­
ci quali anticorpi monoclonali) capaci di bersagliare più o meno specificamente le
cellule tumorali e portare a remissione o guarigione il paziente. I tumori maligni
più frequenti sono quelli di origine epiteliale (carcinomi), in particolare: polmone,
colon-retto, mammella e prostata.
Il cancro è una malattia genetica nel senso che la sua insorgenza è dovuta a
mutazioni che riguardano alcuni geni (come i protooncogeni, i geni soppressori dei
tumori, i geni del sistema di riparazione del DNA). Poiché la probabilità di una
mutazione è tanto più elevata quanto più lunga è l'esposizione agli agenti mutageni,
è comprensibile che i tumori hanno. una probabilità più alta di insorgenza quanto più
elevata è l'età dell'individuo. Oltre all'età, i fattori di rischio comprendono tutti gli
agenti mutageni, come l'esposizione a radiazioni, comprese quelle solari, a temperature
elevate, a fumi (compreso quello del tabacco), al consumo di alcol, all'infezioni di virus
oncogeni, ecc. Tra i fattori di rischio non c'è lo stretto contatto con un ammalato di
tumore perché il cancro non è infettivo.

9.1.1 Farmaci
I farmaci so110 sostanze organiche o inorganiche dotate di un'attività biologica in
un organismo vivente somministrati allo scopo di diagnosi, cura, trattamento o pre­
venzione di un processo patologico. Essi possono essere classificati sulla base delle
caratteristiche chimiche, modalità di somministrazione, sistema biologico bersaglio ed
effetto terapeutico. Essi contengono il cosiddetto principio attivo che è la molecola

436
© Artquiz BIOLOGIA

o
sulla quale si basa l'efficacia <lei far111nco. Iu geuere il principio attivo di un farmaco
è brevettato, ma il brevetto scade dopo un certo numero di anni. Un farmaco orfano
è un farmaco per il quale non sussiste più il brevetto. Si chiama farmaco generico un

o
farmaco che contiene lo stesso principio attivo di un farmaco di marca. Quando un
· farmaco viene prescritto dal medico quest'ultimo definisce anche la posologia, che è
la quantità di medicinale e i tempi della sua somministrazione per ottenere l'effetto
terapeutico atteso. Nel tempo il dosaggio può essere aumentato a causa della pro­
gressiva riduzione della risposta terapeutica al farmaco, definita come tolleranza.
TI·a i farmaci più usati sono gli antibiotici, molecole che sono in genere prodotte
da batteri, funghi o m uffe (di essi il primo a essere scoperto <la Fleming è la penicillina,
che inibisce la formazione della parete batterica) e piante e che hanno la proprietà di
essere tossici per altri organismi, in genere batteri.. Essi interferiscono con alcuni pro­
cessi vitali del batterio. Un batterio può diventare resistente all'antibiotico perché ha
acquisito l'informazione (in genere mediante un DNA plasmidico) per sintetizzare un
emdma che modifica la natura dell'antibiotico rendendolo inefficace. L'uso eccessivo
degli antibiotici favorisce la selezione di cloni batterici resistenti, per cui la resistenza
agli antibiotici sta diventando una em�rgenza nel campo delle malattie infettive.
Gli m1tibiotici non sono in grado di combatte le infezioni virali, contro le quali
è efficace o la rh,posta immunitaria. o l'uso di farmaci a.utivirali, che sono sostanze
che interferiscono nel meccanismo di riproduzione del virus a �eguito dell'infezione

o
cellulare.

o
o
o
o

437

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