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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

Dipartimento di Psicologia Generale

Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Cognitiva Applicata

Tesi di laurea Magistrale

FALSI RICORDI PER CONTENUTO EMOZIONALE:


IL RUOLO DELL’EMPATIA
False memories for emotional content: the role of empathy

Relatore
Prof.ssa Francesca Pazzaglia

Correlatori
Dott.ssa Chiara Mirandola
Dott. Enrico Toffalini

Laureando
Fabrizio Di Girolamo
Matricola n° 1107510

Anno Accademico
2015/2016
Alla mia famiglia.
INDICE

INTRODUZIONE.....................................................................................................6

CAPITOLO I.............................................................................................................8
RAPPORTO TRA MEMORIA ED EMOZIONI

1.1 Recupero e Recollection 8


1.2 Rapporto tra memoria ed emozioni 9
1.3 L’Empatia 11
1.3.1 Inquadramento storico e teorie di riferimento 11
1.3.2 Rapporto tra memoria ed empatia 13

CAPITOLO II...........................................................................................................14
I FALSI RICORDI

2.1 Inquadramento storico 14


2.2 Teorie di riferimento 17
2.2.1 Source Monitoring Framework 17
2.2.2 Activation-Monitoring Theory 18
2.2.3 Fuzzy-Trace Theory 18
2.3 I falsi ricordi emotivi 19
2.3.1 Gli eventi emotivi sono più suscettibili ai falsi ricordi 19
2.3.2 Le emozioni proteggono dai falsi ricordi 21
CAPITOLO III.........................................................................................................24
LAVORO DI RICERCA

3.1 Obiettivi della ricerca 24


3.2 Partecipanti 24
3.3 Materiale Sperimentale 25
3.3.1 Materiale di natura visiva utilizzato in fase di codifica 25
3.3.2 Materiale di natura visiva in fase di riconoscimento 26
3.4 Questionari 27
3.4.1 Questionario per la valutazione della psicopatologia
in adolescenza (Q-PAD) 27
3.4.2 State-Trait Anxiety Inventory (STAI-Y) 27
3.4.3 Interpersonal Reactivity Index (IRI) 27
3.5 Digit Span 28
3.6 Procedura 29
3.6.1 Fase di Codifica 29
3.6.2 Intervallo di Ritenzione 29
3.6.3 Fase di Riconoscimento 30
3.7 Analisi dei dati 31
3.8 Risultati 33
3.9 Conclusioni 37

BIBLIOGRAFIA.....................................................................................................39

APPENDICE
“Rumori di passi echeggiano nella memoria
Giù nel passaggio che non abbiamo percorso
Verso la porta che non abbiamo mai aperto.”
Thomas Stearns Eliot
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INTRODUZIONE

L’atto del ricordo è uno dei meccanismi più importanti e affascinanti della nostra mente.
Senza il ricordo verrebbe meno il nostro essere umani, la nostra identità, il nostro esistere.
La memoria infatti è multifunzionale, collegata a tutte le nostre attività quotidiane e a tutte
le altre abilità cognitive che possediamo. Il suo ruolo evolutivo è evidente: senza di essa
non saremmo stati in grado di sopravvivere, di riconoscere il cibo velenoso da quello
commestibile, di tramandare conoscenze e tradizioni. Ma cosa significa ricordare? Ognuno
di noi, nell’arco della vita, ha memorizzato eventi o episodi vissuti personalmente, ed
ognuno di noi è in grado di rievocare questi eventi, siano essi recenti o risalenti a molti
anni fa. Ricordare vuol dire quindi “ripescare” e portare alla coscienza dettagli percettivi,
pensieri ed emozioni che caratterizzano un evento passato. Ma la memoria non è un
meccanismo perfetto: nessuno di noi è in grado di ricordare un evento in maniera esatta,
come fosse un video o una fotografia. La nostra memoria è infatti estremamente malleabile
e soggetta a numerose distorsioni: segue infatti un percorso “ricostruttivo” piuttosto che
“riproduttivo”. Lo stesso atto del ricordare può modificare il ricordo stesso (Anderson,
Bjork e Bjork, 1994). Ma quindi cosa ricordiamo? I nostri ricordi sono attendibili? Ebbene,
ciò che ricordiamo può essere accurato, ma non necessariamente esatto; può essere
verosimile, ma completamente falso. In questo caso si parla di “falsi ricordi”.

Per “falso ricordo” si definisce una rievocazione distorta di un ricordo preesistente o


addirittura di un evento mai accaduto realmente. Il falso ricordo così formatisi è vivido e
autentico similmente ai normali ricordi, e sarà vissuto dal soggetto come veritiero. I falsi
ricordi possono essere secondari a cause organiche (es. malattie neurologiche, uso di
droghe) o psicologiche. I falsi ricordi possono anche essere prodotti in contesti
sperimentali attraverso metodologie specifiche.

Recentemente, lo studio sui falsi ricordi ha messo in luce numerosi fattori collegati, relativi
alla memoria di lavoro, caratteristiche individuali e contenuto emotivo degli eventi. Meno
studiato è invece il rapporto tra empatia e memoria, e di come una codifica empatica o una
personalità empatica sia correlata ai falsi ricordi. Importantissimo il ruolo dei falsi ricordi
in contesti particolari, quali quello della testimonianza. I testimoni infatti, specialmente se
bambini, possono essere indotti facilmente alla creazione di falsi ricordi (anche se in
questo caso si tratta di suggestione, più che di falsi ricordi veri e propri). Questo è un

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grande problema in ambito giudiziario dove spesso il ruolo dei testimoni è di primaria
importanza.

Nel presente lavoro saranno analizzati i falsi ricordi emotivi e come differenti istruzioni
date ai soggetti in fase di codifica possano influenzare lo sviluppo di questi falsi ricordi. In
particolare si analizzeranno le differenze tra una codifica empatica e una codifica
distaccata.

Nel primo capitolo descriverò brevemente la memoria episodica e analizzerò il rapporto tra
memoria ed emozioni descrivendo i principali modelli teorici. Parlerò in breve anche
dell’empatia, soffermandomi sul rapporto tra empatia e memoria. Nel secondo capitolo
affronterò il tema dei falsi ricordi, facendo un breve excursus storico e descrivendo le
teorie più importanti e innovative riguardanti i falsi ricordi, con particolare attenzione ai
falsi ricordi emotivi. Nel terzo ed ultimo capitolo presenterò il mio lavoro di ricerca che
tenta di studiare il rapporto tra falsi ricordi e codifica empatica per materiale emozionale.
Verranno descritte le ipotesi sperimentali, il campione, il materiale e gli strumenti
adoperati, nonché la procedura sperimentale ed i risultati ottenuti dalle analisi dei dati.
Verrà infine fornita una discussione dei risultati e la relativa conclusione.

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CAPITOLO I

RAPPORTO TRA MEMORIA ED EMOZIONI

È ormai assodato che la “memoria”, come essa viene intesa nel linguaggio comune, non sia
una funzione unitaria. Esistono infatti vari sistemi di memoria e varie suddivisioni: quella
senza dubbio più nota (e per lungo tempo più accettata) è quella proposta da Tulving nel
1972. Egli suddivide la memoria a lungo termine in 3 grandi tipologie di memoria:
memoria episodica, memoria semantica, memoria procedurale. La memoria episodica si
riferisce a specifici eventi ed esperienze della vita di ognuno (memoria autobiografica) e
contiene informazioni spazio-temporali che definiscono «dove» e «quando» il sistema ha
acquisito la nuova informazione. Nei paragrafi e nei capitoli successivi, prenderò in esame
unicamente la memoria episodica.

1.1. Recupero e Recollection


Perché ci possa essere un ricordo, deve verificarsi una qualche forma di apprendimento;
l’informazione cioè deve essere acquisita.
Una volta che l’informazione è acquisita, essa deve essere mantenuta nella memoria fino a
che non ci serve. Infine, questa informazione viene usata, noi, cioè, ricordiamo.
Per far questo, «ripeschiamo» dalla nostra memoria l’informazione e la riportiamo in uno
stato attivo. Gli studiosi di memoria hanno denominato queste tre fasi del ricordo codifica,
ritenzione e recupero. Queste sono fasi distinte, che si verificano in sequenza, e che
rappresentano bene l’intero processo di memoria.
La fase di codifica si riferisce al modo in cui la nuova informazione viene inserita in un
contesto di informazioni precedenti. Gli individui codificano gli eventi in modi differenti.
Una buona codifica non garantisce però che tutto quello che viene codificato venga poi
ricordato. Nella memoria a breve termine infatti, i processi che intervengono tra la fase di
codifica e la fase di recupero, i cosiddetti processi di ritenzione (es. ripetizione,
reiterazione ecc.) determinano importanti effetti sul ricordo.
L’ultima fase, ma non meno importante, è quella del recupero. Perché il recupero avvenga
è sufficiente che sia presente un appropriato suggerimento che in qualche modo «riattivi»
gli elementi focali dell’evento da ricordare. Nella realtà però non sempre questi
suggerimenti sono disponibili. Non sono le caratteristiche della traccia in quanto tali a

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determinare il ricordo, ma piuttosto la compatibilità tra le proprietà della traccia e le
caratteristiche dell’informazione fornita al recupero.
Questo principio, noto come principio di specificità della codifica (Tulving e Thomson,
1973), pone l’accento sull’interazione tra informazione immagazzinata e informazione
presente al recupero. In breve, la qualità del ricordo dipende da come l’evento è stato
codificato, dalla forza della traccia e dalla presenza contestuale di indizi di recupero
appropriati. Da queste premesse siamo in grado di definire un altro tipo di processo
mnestico, il fenomeno della Recollection (Brewer, 1996). E’ il ricordo di un episodio
specifico del passato di un individuo, e tipicamente contiene informazioni associate al
contesto (caratteristiche percettive quali azioni, persone, oggetti, luoghi), pensieri ed
emozioni. E’ un fenomeno caratterizzato anche dalla presenza di un punto di vista che
coincide spesso con la prospettiva originale o quella di un osservatore. Questa tipologia di
ricordo è fortemente veridica (in particolare se recente) e spesso le persone tendono ad
avere un’eccessiva fiducia nella loro memoria, quando sono coinvolti questi tipi di ricordi.

1.2. Rapporto tra memoria ed emozioni


La memoria e le emozioni sono due aspetti del nostro sistema cognitivo estremamente
interconnessi. Quasi tutti i nostri ricordi autobiografici infatti sono collegati ad una
specifica emozione: ricordando rievochiamo l’emozione associata a quello specifico
ricordo. Inoltre questi particolari ricordi ci appaiono molto vividi e indelebili (Peterson &
Whalen, 2001) Ma qualsiasi evento, immagine o suono che può causare una reazione
emotiva viene trasferito alla cosiddetta “memoria emotiva”. Come sempre, è evidente
l’importanza evolutiva: la memoria emotiva ci permette infatti di ricordare che il fuoco
brucia o che un cibo è velenoso; è quella che ci permette di ricordare una situazione
pericolosa, prefigurandoci la fuga.

Da decenni filosofi e psicologi studiano l’influenza emotiva sulla nostra memoria. Tra i
ricercatori prevalgono due principali linee di pensiero riguardanti il rapporto tra memoria
ed emozioni:

 Ipotesi stato-dipendenza: il ricordo, di qualunque tipo di materiale, sarà migliore se


vi è una somiglianza tra le condizioni in fase di presentazione e le condizioni in fase di
rievocazione;
 Ipotesi di congruenza: il ricordo con una connotazione affettiva verrà influenzato
dall’umore dei soggetti che devono ricordarlo. In poche parole, il ricordo sarà più vivido se

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c’è somiglianza tra il tipo di connotazione emotiva del ricordo e la tonalità dell’umore
(Bower, 1981).
Si è dimostrato che stimoli emotivi sono ricordati meglio rispetto a stimoli neutri, e questo
risultato è stato confermato anche da studi di neuroimaging (Dolcos, Cabesa et al. 2002).
In generale quindi, nonostante la memoria non sia sempre precisa, talvolta essa può
conservare ottimamente un evento e permettere una rievocazione accurata, in particolare se
il ricordo è associato ad una forte emozione (Quas, 1999). I concetti di memoria emotiva e
di ricordo emotivo sono associati a varie teorie e termini che costituiscono le colonne
portanti per gli studiosi di questi argomenti. Ad esempio, si parla di “flashbulb memories”
(Brown e Kulik, 1977) per indicare ricordi veritieri e incredibilmente vividi che persistono
inalterati per lunghi periodi di tempo. Questi sono spesso ricordi di eventi pubblici
drammatici e con ampio risalto mediatico, come l’assassinio di John F. Kennedy o
l’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre (Kvavilashvili et al., 2009; Kvavilashvili et
al., 2010), ma possono riguardare anche ricordi autobiografici. Essi sono generati da uno
specifico meccanismo di codifica che viene attivato per eventi particolarmente
sorprendenti ed emotivi (Cohen et al., 1994). Brown e Kulik (1977) trattano proprio questa
tipologia di ricordi nella loro “Now Print Theory”: secondo questa teoria le persone
sarebbero capaci di produrre una copia esatta di certe esperienze, nello stesso modo in cui
una macchina fotografica immortala un paesaggio. Dai loro studi si giunge quindi alla
conclusione che i ricordi emotivi possono differire da quelli non emotivi in termini di
dettagli e persistenza. Anche in questo caso il mondo accademico non si pronuncia in
maniera univoca. Ci sono infatti due correnti di pensiero principali: la prima sostiene
l’imprecisione dei ricordi e quindi la maggior suscettibilità agli errori per eventi a
contenuto emotivo (Neisser, Harsch, 1992; Burke 1992; Kensinger 2009; Porter et al.,
2003); la seconda invece sostiene il ruolo protettivo delle emozioni sulla memoria, queste
preserverebbero la persona dal compiere falsi ricordi (Kensinger, Corkin, 2003; Doerksen,
Shimamura, 2001; Dougal, Rotello, 2007; Ochsner, 2000). Tutte queste osservazioni, unite
alle recenti scoperte delle neuroscienze, hanno messo in luce l’importanza che assumono le
emozioni nella vita quotidiana: non separate dal pensiero e dal ragionamento, come si è
sempre creduto, ma indispensabili agli stessi processi decisionali della mente razionale. Si
instaura una collaborazione tra processi cognitivi ed emotivi e nel processo della memoria
le emozioni assumono una grande importanza.

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1.3. L’Empatia

Il termine Empatia, dal greco “εμπαθεια" (empateia, a sua volta composta da en-, "dentro",
e pathos) è stato coniato da Robert Vischer, studioso di arti figurative e di problematiche
estetiche, alla fine dell'Ottocento. Essa è inteso come capacità di percepire e sentire
direttamente ed in modo esperienziale le emozioni di un'altra persona così come lei le
sente, indipendentemente dal condividere la sua visione delle cose; uno sforzo di
comprensione dello stato emotivo dell’altro, durante il quale avviene un consapevole
distaccamento della propria identità personale, che si avvicina a quella dell’interlocutore.
Empatia è l’interesse autentico verso l’altro è la capacità di mettersi nei panni dell’altro per
comprendere i suoi stati d’animo. In questo contatto di esperienze si effettua una sorta di
traduzione e imitazione del vissuto estraneo nella propria esperienza, con una sorta di
integrazione dell’esperienza di un altro nella propria, in cui, come nella memoria i ricordi
non sono mai perfettamente identici ai fatti accaduti, così le proprie cognizioni emotive
non sono sovrapponibili totalmente al vissuto altrui.

1.3.1 Inquadramento storico e teorie di riferimento

Già all’inizio dello scorso secolo, vari psicoterapeuti e psicoanalisti hanno iniziato a dare
maggior rilevanza al ruolo dell’empatia nell’istaurarsi dei rapporti interpersonali, per la
promozione di comportamenti cooperativi e pro sociali (Rogers, 1945; Wispè, 1987).
Nonostante vi siano stati dedicati una particolare attenzione e una grande mole di ricerche,
risulta ancora oggi difficile definire la natura dell’empatia. Esistono vari assunti teorici: il
primo considera l’empatia come un fenomeno puramente cognitivo, focalizzandosi sulla
condivisione dei pensieri e delle intenzioni (Borke, 1971); il secondo invece, considera
l’empatia un fenomeno puramente affettivo, focalizzandosi sulla condivisione degli stati
d’animo (Bryant, 1982).

Un’ultima corrente teorica, sviluppatasi dalla seconda metà degli anni ’80, nel tentativo di
superare una visione troppo riduttiva e poco esplicativa di tutti i meccanismi coinvolti nella
generazione della risposta empatica, ha iniziato a considerare l’empatia non più come un
fenomeno unitario ma piuttosto come un processo multidimensionale e multifattoriale, con
componenti cognitive e affettive che coesistono (Hoffman, 1984; Davis, 1994; Mehrabian,
1997).

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Questo nuovo approccio integrato ha permesso di capire meglio il ruolo evolutivo e
ecologico dell’empatia, rilevante fin dai primi mesi di vita: lungo l’arco di vita infatti,
l’empatia gioca un ruolo fondamentale, partendo dall’imitazione motoria del neonato, alla
capacità di riconoscimento delle emozioni nel bambino, fino alla comprensione dei
sentimenti altrui e alle abilità di role taking (Feshbach, 1975). Questa complessa forma di
interazione sociale si evince anche da una delle più importanti scoperte in ambito medico e
psicologico, quella dei neuroni specchio (Rizzolatti et al., 2004). I neuroni specchio sono
una classe di neuroni che si attivano quando un individuo compie un'azione e quando
l'individuo osserva la stessa azione compiuta da un altro soggetto. Attraverso studi di
risonanza magnetica, si è visto che i neuroni attivati dall'esecutore durante l'azione sono
attivati anche nell'osservatore della medesima azione. Inizialmente, le prime ricerche su
questi particolari neuroni riguardavano solamente il movimento. Recentemente però, gli
ultimi esperimenti hanno confermato che di fronte al comportamento dei soggetti, i neuroni
specchio hanno manifestato la loro presenza in aree del cervello più ampie di quelle
intraviste all'inizio, includendo non solo il movimento ma anche le emozioni e, di
conseguenza, sono diventati la base biologica dell’empatia (Schulte-Rüther, 2007). La
capacità di parti del cervello umano di attivarsi alla percezione delle emozioni altrui,
espresse con moti del volto, gesti e suoni, unito alla capacità di codificare istantaneamente
questa percezione in termini "viscero-motori", rende ogni individuo in grado di agire in
base a un meccanismo neurale per ottenere quella che gli scopritori chiamano
"partecipazione empatica" (Rizzolatti, 2005).

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1.3.2 Rapporto tra memoria ed empatia

Ma qual è il rapporto tra memoria ed empatia? Ickes (1997) ha dichiarato che “l’empatia è
un complesso psicologico in cui osservazione, conoscenza e memoria sono combinati”.
Bluck e Baron (2013), hanno studiato il rapporto tra memoria autobiografica ed empatia,
dimostrando che i livelli di empatia aumentano dopo aver condiviso i propri ricordi
autobiografici. Smith (1993) ha dimostrato che l’empatia può essere utilizzata a scopi di
riabilitazione sociale e cognitiva, analizzando gli effetti dell’empatia nella mediazione tra
memoria di lavoro e competenza sociale nella schizofrenia.

In ogni caso, sono ancora poche le ricerche che indagano in maniera più specifica il
rapporto tra l’empatia e la memoria, in particolare la memoria episodica, anche a causa di
un difficile inquadramento teorico. Sarebbe infatti interessante valutare come una codifica
empatica (focalizzare l’attenzione sulle emozioni o sulle azioni) possa modulare
l’immagazzinamento di un ricordo.

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CAPITOLO II

I FALSI RICORDI

2.1 Inquadramento storico

Storicamente, sono esistiti due principali modi di vedere la memoria: uno di questi, quello
più antico, considerava la memoria come un semplice meccanismo riproduttivo. Principale
esponente di questa corrente fu Ebbinghaus; nel 1885 pubblicò “Memory: A contribution
to experimental psychology”, uno dei primi contributi allo studio della memoria umana.
Egli ideò vari compiti di memoria focalizzati sull’apprendimento di una serie di sillabe
senza significato che dovevano successivamente essere ricordate. Successivamente notò la
formazione di alcuni collegamenti tra ciascun elemento della serie e gli altri successivi:
queste connessioni erano più forti per item vicini, mentre erano più deboli per item distanti.
Inoltre la forza delle connessioni decresceva col passare del tempo. Queste evidenze
permisero a Ebbinghaus di formulare un assunto teorico che, come abbiamo detto, vedeva
la memoria come un archivio che permetteva di “riprodurre” gli elementi immagazzinati in
maniera passiva e statica.

Un’altra corrente, opposta a quella postulata da Ebbinghaus, fu elaborata per la prima volta
da Frederic Barlett con la pubblicazione di “Remembering” nel 1932, quasi cinquant’anni
dopo. Con questo lavoro Barlett sostenne l’idea che la memoria fosse un meccanismo
“ricostruttivo”, sottolineando il ruolo attivo della memoria e di come i ricordi non siano
fedeli copie di eventi, ma piuttosto ricostruzioni di tali eventi. Queste ricostruzioni sono
caratterizzate dalla perdita di elementi inutili e superflui e dall’inserimento di nuovi
elementi, dalla creazione di relazioni ed infine dalla formazione di uno “schema”, ovvero
una struttura cognitiva all’interno della quale le conoscenze sono organizzate e influenzano
le successive esperienze. In uno dei principali studi di Barlett, ai soggetti veniva fornito un
breve racconto da ricordare, “The War of the Ghosts”; inizialmente, ai soggetti era chiesto
di rievocare il racconto dopo un intervallo di 15 minuti e, successivamente, dovevano
rievocarla ad intervalli sempre più lunghi. Dai risultati emerse che, col passare del tempo e
dopo un certo numero di ripetizioni, il racconto assumeva forme diverse: veniva in primis
semplificato, eliminando gli elementi irrilevanti, mentre altri elementi venivano
trasformati. Questi risultati confermavano l’ipotesi di Barlett: gli individui archiviano e

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recuperano le informazioni basandosi su determinati “schemi” che ricostruiscono il
contenuto della memoria, adattandosi quindi alla propria conoscenza ed esperienza passata.
Ciò non significa ovviamente che la memoria è inaffidabile, ma piuttosto che può essere
alterata da “schemi” preesistenti. La memoria non è un magazzino statico e passivo, ma un
costrutto dinamico che mette in relazione l’esperienza e la percezione in un processo di
continua trasformazione e ricostruzione delle informazioni. Gli studi di Barlett sono
generalmente riconosciuti come fondamenta per le moderne ricerche nel campo dei falsi
ricordi. Il suo approccio e l’importanza dei suoi lavori venne ancor più riconosciuta dal
1970 in poi, quando diversi ricercatori svilupparono nuove metodologie di indagine per lo
studio dei falsi ricordi (Schacter, 1999). In quegli anni iniziò anche a svilupparsi
l’interesse nel ruolo che i falsi ricordi possono avere nell’ambito della testimonianza
oculare e sul cosiddetto “misinformation effect”, ovvero l’effetto dell’informazione
fuorviante. Nel 1974, Loftus e Palmer misero a punto uno studio suddiviso in due
esperimenti, atto a valutare la presenza di questo particolare effetto. Nel primo esperimento
fu presentato a 45 soggetti un film ritraente un incidente automobilistico della durata di
pochi secondi. Successivamente furono invitate 9 persone a stimare la velocità delle auto al
momento dello “scontro”. I restanti furono divisi in 4 gruppi di egual numero e a ciascun
gruppo fu posta la stessa domanda, sostituendo però la parola “scontro” con parole quali
“schianto”, “collisione, “botta” e “contatto”. Quello che ne risultò è che le persone
appartenenti al gruppo “schianto” stimavano una velocità 10 miglia orarie superiore del
gruppo “contatto”. La forma della domanda quindi (basta anche solo il cambiamento di una
sola parola, come in questo caso) può notevolmente e sistematicamente influenzare la
testimonianza. Gli autori diedero due possibili interpretazioni: in primo luogo, è possibile
che il compiere una stima della velocità può portare di per se un bias della risposta; un
soggetto può infatti essere incerto nello stimarla correttamente. In secondo luogo, è
possibile che la specifica parola contenuta nella domanda possa modificare la
rappresentazione mnestica dell’incidente. La parola “schianto” può far sembrare più grave
l’incidente rispetto a come risulta in realtà, e agisce quindi influenzando la traccia mnestica
e di conseguenza la risposta data.

Nel secondo esperimento di Loftus e Palmer, fu mostrato a 150 soggetti il filmato di uno
scontro automobilistico e in seguito furono creati tre gruppi di 50 persone. Al primo
gruppo venne chiesto di stimare la velocità delle due vetture al momento dello “schianto”,
nel secondo gruppo la parola schianto fu sostituita dalla parola “contatto” ed infine il terzo

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gruppo non venne interrogato sulla velocità dei veicoli. Una settimana dopo, fu chiesto ai
partecipanti se fossero presenti dei vetri rotti nel filmato e le persone appartenenti al
gruppo “schianto” risposero affermando di ricordare la presenza di vetri rotti, nonostante la
totale assenza di questi ultimi nel filmato presentato. I due ricercatori argomentarono
questi risultati affermando che nella memoria di un evento sono coinvolti due tipi di
informazione: quelle acquisite dalla percezione dell’evento originale (assistere
all’incidente) e quelle successive all’evento percepito (domanda contenente le parole
“schianto” o “contatto” che richiede il recupero dell’informazione). Col passare del tempo
le informazioni provenienti da queste due sorgenti andarono ad incorporarsi in maniera tale
che le persone non furono più in grado di risalire ai fatti oggettivi. Proprio questa è la base
del misinformation effect: il ricordo riguardante un evento può essere modificato dopo
l’esposizione a informazioni fuorvianti (Loftus & Hoffman, 1989). L’informazione
fuorviante induce le persone a credere erroneamente di aver visto dettagli che non erano
presenti ma che erano invece stati suggeriti (Braun et al., 2002) fino alla creazione di falsi
ricordi di eventi mai avvenuti (Loftus & Pickrell, 1995). Queste considerazioni fanno
riflettere sul ruolo delle interrogazioni verso testimoni chiave in ambito giudiziario. È
quindi importantissimo comprendere meglio il ruolo del “misinformation effect” e delle
potenziali distorsioni mnestiche (David & Loftus, 2007).

I paradigmi basati sul “misinformation effect” esplorano solo una parte del mondo
riguardante i falsi ricordi. Nel 1995, Roediger e McDermott rivalutarono e approfondirono
uno studio pubblicato da Deese nel 1959 riguardante i falsi ricordi. Nacque così il
paradigma “DRM”, dalle iniziali dei nomi dei tre ricercatori, che divenne un pilastro
portante delle future ricerche sul tema. Nel loro studio, i partecipanti vennero invitati a
leggere una serie di liste di parole e venne chiesto loro, similmente al paradigma utilizzato
da Deese (1959), di rievocare quanti più termini possibili tra quelli presenti nelle liste.
Ogni lista era composta da 12 parole legate semanticamente ad un'unica parola (chiamata
“esca critica”). Quest’ultima però non veniva presentata. Per esempio: l’elenco
corrispondente alla parola “sedia” (critical word) era composto dalle parole tavolo, sedere,
gambe, legno, sgabello, ecc. I ricercatori notarono come la probabilità di rievocare le
parole lette fosse pari al 65%, mentre la probabilità di evocare la critical word era del 40%.
Pertanto, i soggetti tendevano a ricordare erroneamente parole critiche non presentate, con
una percentuale simile a quelle parole realmente lette. Questa falsa rievocazione venne
ulteriormente indagata tramite un’altra versione del paradigma (Roediger & McDermott,

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2001): dopo aver ascoltato tutte le liste di parole, i partecipanti furono impegnati in una
breve conversazione della durata di circa 2-3 minuti prima di procedere con le istruzioni
del test di riconoscimento. Essi dovevano leggere una lista di 42 parole, tra queste solo 12
erano state effettivamente presentate. Tra le rimanenti 30, sei erano parole critiche da cui le
liste erano state generate (es. sedia), dodici erano parole non relazionate in alcun modo alle
liste e altre 12 erano parole debolmente legate alle liste. Infine fu chiesto ai soggetti di
segnare, in una scala da 1 a 4, quanto ciascuna parola fosse: 1) sicuramente nuova; 2)
probabilmente nuova; 3) probabilmente già letta; 4) sicuramente già letta. Il risultato
mostrò come erroneamente le parole critiche furono riconosciute con una probabilità del
58%, di poco inferiore al riconoscimento delle parole effettivamente esperite (75%).

2.2 Teorie di riferimento

Esistono varie teorie riguardanti la formazione dei falsi ricordi, ma solo 3 di queste sono
largamente accettate e dimostrate dalla comunità scientifica: Source Monitoring
Framework, Activation-Monitoring Theory, Fuzzy-Trace Theory.

2.2.1 Source Monitoring Framework

Letteralmente “teoria del monitoraggio della fonte”, si riferisce alla capacità di


discriminare le informazioni generate internamente da quelle provenienti dal mondo
esterno, così da poter distinguere un ricordo di un evento realmente percepito da un ricordo
di un pensiero o un’immagine mentale. Secondo questa teoria, i falsi ricordi sorgono
proprio perché si attribuisce erroneamente la fonte di un ricordo ad un’origine reale
piuttosto che immaginaria. Ciò si verifica quando un evento mentale possiede le
caratteristiche di un evento reale: per esempio un ricordo di un’immagine mentale
particolarmente vivida può essere scambiato per un ricordo di un evento effettivamente
percepito. L’approccio Source Monitoring Framework sostiene inoltre che gli individui
non classificano in maniera automatica la fonte di un ricordo, ma applicano invece
determinati processi decisionali proprio nel momento in cui si ricorda; tali processi a volte
avvengono molto rapidamente e quasi inconsciamente. La source monitoring è una
funzione di fondamentale importanza per la memoria in quanto ci permette di differenziare
un ricordo da una fantasia, le azioni dalle intenzioni e di valutare l’affidabilità e la

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veridicità delle tante informazioni che elaboriamo giorno dopo giorno (Johnson,
Hashtroudi, Lindsay, 1993; Lindsay & Johnson, 2000).

2.2.2 Activation-Monitoring Theory

L’Activation-Monitoring Theory (Roediger & McDermott, 1995) afferma che nella


codifica e nella successiva rievocazione di un ricordo sono coinvolti due processi:
attivazione e monitoraggio. Il processo di codifica inoltre si basa sia sull’elaborazione delle
caratteristiche dei singoli elementi, sia su una relazione semantica che lega i vari elementi
(Roediger, Watson, McDermott, Gallo, 2001). Questo secondo tipo di elaborazione è
particolarmente soggetto ad errori, poiché aumenta la probabilità di incorrere in falsi
ricordi di tipo inferenziale. L’esperienza viene codificata in schemi di conoscenze
semantiche e di conseguenza le nuove informazioni verranno necessariamente influenzate
da questi schemi. Elementi non presenti, ma fortemente associati semanticamente,
potrebbero essere quindi attivati, creando un falso ricordo. L’altro processo associato alla
rievocazione di un ricordo riguarda il “monitoraggio” dei ricordi, ossia la capacità del
soggetto di riuscire a distinguere un ricordo immaginario da uno effettivamente esperito.
Spesso infatti i falsi ricordi sono generati proprio da questa confusione tra ricordi fantasiosi
ma coerenti e ricordi veri e propri.

2.2.3 Fuzzy-Trace Theory

La Fuzzy-Trace Theory (Reyna & Brainerd, 1995) descrive l’esistenza di due distinte
tipologie di tracce mnestiche relative ad un determinato evento esperito. La prima di
queste, detta Verbatim, riguarda l’immagazzinamento delle caratteristiche sensoriali e
percettive che compongono l’esperienza. La seconda, detta Gist, consiste in una
rappresentazione astratta del contenuto dell’esperienza e riguarda in particolare il
contenuto semantico: non è quindi riferita a dettagli specifici ma piuttosto ad una
“conoscenza” generica dell’evento. Queste due tipologie di ricordo sono generate in
parallelo, ma sono assolutamente indipendenti l’uno dall’altra: mentre le tracce Verbatim si
dissolvono rapidamente e sono molto sensibili alle interferenze, le tracce Gist sono
durevoli ma altrettanto facilmente manipolabili. Secondo questa teoria, le distorsioni
mnestiche avverrebbero proprio per un’eccessiva predominanza della traccia Gist, che

18
andrebbe a creare tracce Verbatim errate. La Fuzzy-Trace Theory suggerisce che i falsi
ricordi siano correlati in maniera inversamente proporzionale con l’accesso alla memoria
Verbatim: più tempo trascorre dalla presentazione di uno stimolo, meno le persone si
affideranno alla traccia Verbatim (a favore di un maggior accesso alla traccia Gist). I falsi
ricordi possono anche avvenire quando vi è confusione tra tracce Verbatim di fonti diverse
(Brainerd & Reyna, 2002; Reyna, 2000).

2.3 Falsi ricordi emotivi

Un particolare tipo di falsi ricordi che merita particolare attenzione sono i cosiddetti falsi
ricordi “emotivi”. Come specificato nel capitolo 1 di questo lavoro, memoria ed emozioni
sono ampiamente interconnessi. Esistono due principali teorie sul ruolo che le emozioni
hanno nei confronti della memoria, come già accennato precedentemente.

2.3.1 Gli eventi emotivi sono più suscettibili ai falsi ricordi

Studi a favore di questa corrente di pensiero riguardano la coerenza con la quale le persone
riportano dettagli di un evento, quali luogo in cui si trovano o l’attività svolta nel momento
in cui hanno vissuto l’evento. Spesso le persone non riescono a riportare le informazioni in
maniera corretta e si assiste a dei cambiamenti. Neisser e Harsch pubblicarono nel 1992
uno dei più importanti studi a riguardo: la mattina del 28 gennaio 1986 avvenne
l’esplosione dello Space Shuttle Challenger; la mattina seguente, i due psicologi
approfittarono della sfortunata occorrenza per studiare le “flashbulb memories”. Chiesero a
degli studenti di descrivere tutto ciò che avevano appreso circa il disastro per poi
rispondere ad una serie di domande dettagliate: a che ora e come avevano scoperto la
notizia, dov’erano in quel momento, cosa stavano facendo, se erano soli o con altri ecc.
Poiché l’evento era avvenuto solo 24 ore prima, si ipotizzò che i ricordi fossero molto
accurato e coerenti. Due anni dopo, i due ricercatori diedero agli stessi studenti una copia
del questionario con le medesime domande presentate due anni prima. Fu chiesto anche di
valutare quanto fossero sicuri delle loro affermazioni. I risultati mostrarono che solo 3 dei
44 studenti, ovvero meno del 7%, possedevano un ricordo esatto dell’accaduto, mentre 11
studenti, pari al 25% del campione, possedevano ricordi completamente imprecisi. Infine,
agli studenti fu chiesto di visionare entrambi i questionari in modo da poter confrontare le

19
risposte date. I ricercatori ipotizzavano che gli studenti avrebbero riconosciuto l’errore. In
realtà avvenne che, nonostante la discrepanza tra le due versioni, la maggior parte degli
studenti non riconobbe la versione del primo questionario e si ostinava a credere alla
seconda versione, in quanto quei ricordi risultavano più vividi e precisi (Neisser & Harsch,
1992). Numerosi altri studi si sono soffermati nel valutare anche il ruolo dell’attenzione
per eventi emotivi e della valenza dell’emozione (negativa, positiva, neutra). Esiste però
una scarsa correlazione tra fiducia delle persone per la veridicità dei loro ricordi e la
coerenza con cui ricordano i dettagli (Squire, Schmolck, Buffalo, 2000).

L’importanza delle emozioni nello sviluppo di falsi ricordi è evidente quando si parla di
testimonianza oculare: i testimoni di crimini sono infatti coinvolti emotivamente e spesso,
dopo un delitto o un evento traumatico, sono chiamati a testimoniare e ricordare dettagli,
anche molto specifici, circa l’accaduto. Di particolare rilevanza fu lo studio di Loftus del
1979 riguardante il “Weapon Focus”, ovvero di quelle situazioni in cui la vittima si trova
di fronte un aggressore che brandisce un’arma: l’attenzione delle persone è catturata quasi
completamente dall’arma, tanto da impedire spesso il riconoscimento di altri dettagli
fondamentali quali l’aspetto del malvivente. Quindi l’attivazione emotiva genera un
restringimento del proprio focus attentivo e disattenzione per dettagli periferici ma
altrettanto importanti (Loftus, 1979). Una spiegazione potrebbe essere data dal fatto che
queste specifiche situazioni a forte carico emotivo (unite alla velocità con cui spesso
avvengono gli eventi) non permettono una corretta distribuzione dell’attenzione che si
concentra solo in elementi centrali, tralasciando i dettagli periferici (Burke et al., 1992;
Kensinger, 2009). Questa spiegazione è in linea con il pensiero di Easterbrook (1959) che
sostiene che l’attenzione, in situazioni emotive, abbia un campo più ristretto
(restringimento dell’attenzione). Esistono però altre teorie che invece sostengono
l’aumento dell’attenzione in situazioni di attivazione emotiva: Heuer e Reisberg (1990)
dimostrarono infatti che i soggetti nel gruppo emotivo del loro studio possedessero
maggiori “schemi” (Bartlett, 1932) per materiali emotivi, e che erano quindi in grado di
assimilare e ricordare con maggior facilità eventi di carattere emotivo. Si evince quindi il
ruolo della valenza emotiva nella modulazione del ricordo. Questi schemi sono basati su
una semplificazione dell’episodio che viene codificato: anche in questo caso infatti
prevalgono le informazioni centrali e grossolane piuttosto che quelle periferiche e
specifiche. In più, se da un lato l’attivazione emotiva ha un effetto benefico sul ricordo, è
vero anche il contrario, e questo si evince soprattutto per eventi a valenza negativa: i

20
ricordi di eventi emotivi negativi sono infatti estremamente potenti ma allo stesso tempo
molto suscettibili a distorsioni (Porter, Spencer, Birt, 2003). Nel 2008, Porter e colleghi
introdussero la “Paradoxical Negative Emotion Hypothesis” comunemente nota come
PNE: tale teoria afferma che le emozioni negative facilitino la memoria in generale, ma
allo stesso tempo la rendono più fragile e soggetta a distorsioni. Le informazioni negative
saranno quindi ben ricordate ma facilmente influenzabili. Ciò è probabilmente dovuto al
ruolo che gli eventi emotivi hanno dal punto di vista evoluzionistico: ricordare un evento
negativo o “pericoloso” è più funzionale alla sopravvivenza rispetto al ricordare un evento
emotivamente neutro (Porter & Peace, 2007). La prospettiva evoluzionistica spiega anche
il motivo della maggior suscettibilità dei falsi ricordi: proprio per il loro carattere adattivo
infatti, gli eventi a valenza emotiva negativa vengono integrati maggiormente con una
maggior quantità di informazioni provenienti da varie fonti (ritenute affidabili), al fine di
prevenire ulteriori pericoli (Porter et al, 2010).

2.3.2 Le emozioni proteggono dai falsi ricordi

Brown e Kulik nel 1977 affermarono che alcuni eventi, a causa delle loro caratteristiche
intrinseche quali sequenzialità, importanza soggettiva, attivazione emotiva e sorpresa,
danno vita a ricordi insolitamente dettagliati. Conway, sulla scia di questi studi, mosse
delle critiche sull’esperimento di Neisser e Harsch del 1992: egli sostenne infatti che
l’effetto sorpresa circa il disastro dello Space Shuttle Challenger non fosse stato preso in
considerazione, assieme alle altre variabili soggettive sopracitate. Nel suo studio (1994)
volle studiare la memoria fotografica utilizzando un paradigma analogo ai precedenti studi
sull’argomento. Il suo campione era comporto da 369 soggetti suddivisi in due gruppi, uno
di studenti appartenenti al Regno Unito e uno di studenti non appartenenti al regno unito.
Volle studiare l’impatto emotivo di un evento pubblico avvenuto in Gran Bretagna, ovvero
le dimissioni di Margaret Thatcher. A tutti i soggetti fu chiesto di compilare un
questionario circa il momento in cui avevano appreso l’evento; ciò venne fatto due volte: la
prima 14 giorni dopo l’evento, mentre la seconda 11 mesi dopo. I risultati mostrarono una
differenza importante tra i due gruppi: il gruppo degli appartenenti al regno unito
presentava l’86% dei ricordi accurati; il gruppo dei non appartenenti invece soltanto il
29%. Ciò a dimostrazione dell’esistenza di più variabili da tenere in considerazione nello
studio delle “flashbulb memories”: l’evento è infatti più importante per chi è coinvolto

21
(quindi gli studenti inglesi) e meno per chi non è coinvolto (studenti non inglesi).
Kensinger e Corkin (2003) sostennero non solo il ruolo protettivo delle emozioni, ma
anche una propensione a ricordare meglio gli eventi negativi che quelli neutri. Nel loro
studio vollero indagare la propensione a ricordare i dettagli di una lista di parole negative
rispetto a una di parole neutre. Per quanto riguarda un confronto tra eventi negativi ed
eventi positivi, le informazioni negative sono spesso ricordate con una maggior chiarezza,
mentre per quelle positive si ha un maggior senso di familiarità; ne risulta quindi, in
quest’ultimo caso, un aumento di dettagli non precisi (Dewhurst & Parry, 2000). Questi
risultati suggeriscono che l’emozione negativa facilita la memoria per dettagli visivi,
mentre le emozioni positive si limitano all’estrazione di elementi generali di un elemento
piuttosto che a caratteristiche specifiche (Kensinger, Garoff-Eaton, Schacter, 2007). Questa
differenza qualitativa tra i ricordi emotivi positivi e negativi fu interpretata come un
utilizzo di strategie differenti nell’elaborazione di informazioni a valenza emotiva
differente (Bohn, Berntsen, 2007). Dal punto di vista evolutivo sembra essere un
comportamento adattivo poiché ricordare eventi negativi è fondamentale per la
sopravvivenza, come detto nel precedente paragrafo: d’altro canto, ricordare eventi positivi
è funzionale alla nostra psiche e questi ricordi possono costituire le fondamenta dello
sviluppo di se e del nostro pensiero.

Uno studio di fondamentale importanza fu quello di Hannigan e Reinitz del 2001 che,
nonostante non esplorasse l’effetto della valenza emotiva sui falsi ricordi, introdusse una
svolta per quanto riguarda il paradigma utilizzato: lo scopo del loro studio era infatti quello
di valutare una specifica classe di errori, chiamati “errori inferenziali”, ovvero errori
risultanti da inferenze effettuate al momento della codifica. Tali inferenze possono, in fase
di recupero, essere scambiate per veri e propri ricordi. Questi errori di “gap-filling” (errori
di completamento) si verificano quando le persone compensano il loro mancato recupero di
dettagli specifici riguardo ad un evento “completandolo” con le inferenze esperite al
momento della codifica. Queste inferenze vengono create basandosi su schemi (Barlett,
1932) di pensiero preesistenti e conoscenze già possedute dalla persona. Un altro tipo di
errore inferenziale è il cosiddetto “errore causale” (Waldmann, Holyoak, Fratianne, 1995):
ovvero una tendenza a fare inferenze riguardo le cause di un evento. Essi consistono
nell’integrazione nei ricordi reali di inferenze circa le cause (queste in realtà mai esperite)
degli eventi. L’esistenza di errori di causa e di gap-filling ha lo scopo di dare un senso di
coerenza alle informazioni che esperiamo, cercando di organizzarle in modo più facilmente

22
comprensibile alla nostra mente. Nel loro studio, in una prima fase di codifica, ai
partecipanti furono mostrati degli script in successione, costituiti da diverse immagini
poste in sequenza logica. A seguito di un intervallo di ritenzione, si proseguiva con una
prova di riconoscimento delle immagini visionate nella prima fase; per valutare gli errori di
gap-filling furono utilizzate immagini non viste ma coerenti con lo script, mentre per gli
errori causali, gli autori mostrarono immagini che rappresentavano la causa (non presentata
inizialmente) delle azioni mostrate nella fase di codifica. Le risposte dei soggetti
impiegavano il paradigma “Remember-Know” (Tulving, 1985). I soggetti erano infatti
tenuti a giudicare le foto, rispondendo “remember” se possedevano un chiaro ricordo
episodico della foto, “know” se invece sapevano di aver visionato l’immagine e di avere un
certo senso di familiarità, nonostante non ricordassero in maniera specifica. I risultati
dimostrarono che gli errori gap-filling erano associati alle risposte “know”: ciò implica che
questi errori avvengono perché le persone tendono a memorizzare la sequenza generica e
non a focalizzarsi su dettagli specifici, creando quel senso di familiarità tipico della
risposta “know”. Gli errori causali invece erano associati ad un maggior numero di risposte
“remember”: ciò avviene perché sono errori meno generici e si riferiscono a dettagli
specifici. Il medesimo paradigma è stato applicato (salvo opportune modifiche) nello
studio dei falsi ricordi emotivi (Mirandola, Toffalini, Grassano, Cornoldi, Melinder, 2014).
In questo studio, gli autori hanno voluto verificare se il contenuto degli script, carico
emotivamente, può incidere o meno sulla propensione a compiere falsi ricordi. Dai risultati
è emerso che il materiale a contenuto negativo protegge dai falsi dicordi inferenziali
causali di eventi non visti. Tale risultato è fondamentale per quanto riguarda la
testimonianza oculare, poiché tali soggetti (i testimoni) sono spesso esposti a eventi
altamente negativi. Tuttavia gli autori specificano che questo effetto è preservato solo fino
a quando non viene richiesta ai soggetti una rielaborazione dell’evento: un’ulteriore
elaborazione infatti incrementa la tendenza a compiere falsi ricordi poiché i soggetti
tendono a focalizzarsi maggiormente sulla natura delle informazioni da codificare piuttosto
che su dettagli specifici e distintivi.

23
CAPITOLO III

LAVORO DI RICERCA

4.1 Obiettivi della Ricerca

Il presente studio si pone come obiettivo principale quello di verificare la propensione a


compiere falsi ricordi per materiale emozionale. In particolare, si vuole verificare se una
differente codifica del materiale (empatica o distaccata) produce una differente
predisposizione a compiere falsi ricordi. Si vuole verificare se un maggior livello di
empatia autoriportato (tramite questionario IRI) predice una maggior probabilità di falsi
ricordi. Se è vero infatti che gli empatici riescono ad “immedesimarsi” di più, tale
elaborazione maggiormente focalizzata sugli aspetti emotivi causa una propensione ad
incorrere in falsi ricordi emotivi (Drivdhal et al., 2009).

Altro obiettivo dello studio consiste nello studiare come un differente carico emotivo
(negativo o neutro) possa influire sulla propensione a compiere falsi ricordi. Si ipotizza
infatti che gli stimoli a contenuto emotivo negativo svolgano un ruolo protettivo che si
traduce in una minore propensione a compiere falsi ricordi, rispetto a stimoli a contenuto
neutro (Mirandola et al., 2014). Infine si analizzano anche le differenze individuali,
attraverso la somministrazione di questionari specifici, correlate allo stato emotivo (Q-
PAD, STAI Y). Questi predittori sono però utilizzati semplicemente come variabile di
controllo, per evitare di compromettere l’effetto principale.

4.2. Partecipanti

Sono stati testati 80 partecipanti, 64 femmine (32 per gruppo) e 16 maschi (8 per gruppo).
Tutti i partecipanti sono di nazionalità italiana con un livello di istruzione maggiore
(Laurea Triennale o Specialistica). Il range dell’età è compreso tra i 20 e i 27 anni, con
un’età media di 21,9 anni (DS=1.1).

24
4.3. Materiale sperimentale

La condizione sperimentale prevede la presentazione di materiale visivo al computer,


ovvero di un insieme di fotografie costituite da “episodi-script”, con lo scopo di indagare
due tipi di errori di memoria inferenziali (Hannigan & Reinitz, 2001; Mirandola et al.,
2014):

1) errori “causali”, ovvero il ricordare erroneamente una fotografia mai vista, che ritrae
appunto la causa relativa ad una fotografia realmente vista (secondo una relazione
effetto/conseguenza);

2) errori di “gap-filling”, ossia il ricordare fotografie utilizzate come distrattori, quindi non
viste ma allo stesso tempo coerenti con lo script.

4.3.1 Materiale di natura visiva utilizzato in fase di codifica

Ad ogni partecipante è stata presentata una sequenza di fotografie ritraenti persone mentre
compiono azioni di vita quotidiana. Nella fase di codifica sono state presentate in totale
229 slide, di cui 114 fotografie e 115 slide a sfondo nero (queste ultime presentate in
maniera alternata, con lo scopo di separare temporalmente una foto dalla successiva).

Delle 114 fotografie, 104 sono riconducibili ad 8 script:

1. Routine del mattino


2. Arrampicata in montagna
3. Ritorno da un viaggio
4. Passeggiata in bicicletta
5. Gara di corsa
6. Spesa al supermarket
7. Gioco alla slot machine
8. Appuntamento

25
Ogni script è costituito da 13 fotografie, 8 delle quali utilizzate come target e 3 come
distrattori in fase di riconoscimento (controbilanciata tra i partecipanti). Le restanti 2
fotografie servono a descrivere la relazione “causa-effetto”. Esse mostrano infatti la
conseguenza di un particolare evento, senza mostrarne la causa (le 2 foto riguardano quindi
esclusivamente gli effetti).

La valenza emotiva delle foto (negativa e neutra) è stata bilanciata in modo tale che la
stessa fotografia-causa possa avere finali diversi, uno negativo e l’altro neutro (vedi
Appendice A).

La sequenza di presentazione delle foto segue la procedura di studi precedenti, utilizzando


una versione simile di tale paradigma (Mirandola et al. 2014). Per evitare effetti di primacy
e recency, vengono mostrate 10 foto incoerenti con gli script presentati; 5 di queste
vengono mostrate all’inizio della presentazione, le altre 5 alla fine.

4.3.2. Materiale di natura visiva in fase di riconoscimento

Sono state mostrate 165 foto, di cui 83 a sfondo nero. Ogni script è composto da:

1) Quattro fotografie vecchie (già mostrate precedentemente) coerenti con lo script;

2) Tre fotografie nuove (distrattori non mostrati precedentemente) coerenti con lo script;

3) Una fotografia della causa il cui effetto era stato mostrato durante la fase di codifica.

In questa fase, la presentazione degli script è stata randomizzata, con il vincolo che due
foto rappresentanti le cause non si trovassero in posizioni successive nella sequenza.

Le tre fotografie utilizzate come distrattori sono presenti in ogni episodio, per un totale di 6
fotografie (suddivise in 2 gruppi da tre, gruppo X e gruppo Y), e sono state utilizzate in
modo alternato come target o distrattori, controbilanciando così le condizioni (vedi
Appendice B).

La presentazione del materiale è stata adeguatamente controbilanciata in modo che ogni


combinazione script-valenza sia presentata allo stesso numero di soggetti. Le condizione
così ottenute sono riassunte in Appendice C.

26
4.4. Questionari

4.4.1. Questionario per la valutazione della psicopatologia in adolescenza (Q-PAD)

Il Q-Pad (Questionario per la valutazione della psicopatologia in adolescenza; Sica, Chiri,


Favilli & Marchetti, 2011) è un questionario utilizzato per valutare tratti psicopatologici in
una ampia gamma di dimensioni tipiche del malessere adolescenziale. Il questionario
utilizzato in questa sede tuttavia è stato modificato al fine di adattarsi meglio al quesito
sperimentale; esso è costituito da 30 item e sono prese in considerazione due sotto scale;

a) Ansia

b) Depressione

Le risposte sono date mediante una scala Likert che va da 1 (completamente falso) a 4
(completamente vero). Sono stati fatti 2 subtotali, i quali correlavano fortemente, r=.69
quindi nell’analisi dei dati i due indici sono stati combinati in un’unica variabile (“Tratti
Internalizzanti”).

4.4.2. State-Trait Anxiety Inventory (STAI-Y)

Lo STAI-Y (State-Trait Anxiety Inventory) è uno strumento frequentemente utilizzato per


la misurazione dell’ansia di stato e di tratto (Spielberger, 1964). Esso composto da due
scale (Y1 e Y2) che indagano rispettivamente l’ansia di stato (ovvero riferendosi all’ansia
provata al momento della misurazione) e l’ansia di tratto (ovvero riferendosi a ciò che il
soggetto prova abitualmente). In questa sede è stata proposta unicamente la scala Y2
relativa all’ansia di tratto. Il questionario è composto da 20 domande e le risposte sono date
mediante una scala Likert che va da 1 (quasi mai) a 4 (quasi sempre).

4.4.3. Interpersonal Reactivity Index (IRI)

L’ Interpersonal Reactivity Index (IRI) è un questionario utilizzato per la misurazione


multidimensionale dell’empatia (Davis, 1980). Esso è composto da 4 sottoscale:

- assunzione di prospettiva: capacità delle persone di adottare il punto di vista di un’altra


persona, e quindi esprimono l’aspetto cognitivo dell’Empatia;

27
- preoccupazione empatica: capacità di esperire sentimenti di calore umano, compassione e
preoccupazione per un’altra persona;

-distress: sentimenti di ansia e incapacità di gestione della situazione quando si assiste ad


un’esperienza negativa o dolorosa vissuta da un altro individuo;

- fantasia: tendenza ad identificarsi fortemente con personaggi di invenzione presenti in


film, libri o giochi.

Il questionario è composto da 28 item e le risposte sono date mediante scala Likert che va
da 1 (mai vera per me) a 5 (sempre vera per me).

4.5. Digit Span

Il Digit Span è un test che misura lo span di memoria verbale, ovvero il numero massimo
di item che un individuo è in grado di ricordare in un breve lasso di tempo; si basa sulla
ripetizione da parte del soggetto di una stringa numerica in ordine seriale di presentazione.
Nello studio sono adoperate entrambe le sue forme, ovvero “Digit Span in avanti” e “Digit
Span indietro”.

Nel Digit Span in avanti è stato utilizzato un set di stringhe numeriche che vanno da 3 a 9
item da ricordane nell’ordine esatto pronunciato dallo sperimentatore. Ogni set si compone
di due prove con lo stesso numero di item. L’esaminatore legge la sequenza numerica,
aspettando circa un secondo tra la pronuncia di un numero e il successivo, ed il soggetto è
invitato a ripetere la sequenza dopo uno specifico segnale, rispettando l’ordine di
presentazione. Se la sequenza rievocata dal soggetto è corretta in almeno una delle due
prove di un set, allora si procederà con la sequenza successiva, contenente una cifra in più
rispetto alla precedente. La prova termina quando il soggetto fa due errori successivi in due
prove dello stesso set.

Il Digit Span indietro è un test molto simile al precedente, con la sostanziale differenza che
consiste nella rievocazione delle cifre nell’ordine inverso rispetto a quello di presentazione.
Pertanto, il soggetto inizierà la ripetizione a partire dall’ultima cifra presentata dallo
sperimentatore. Nel Digit Span indietro, le sequenze vanno da 2 a 8 cifre. Anche in questo
caso, la prova termina quando il soggetto compie due errori consecutivi in due prove dello
stesso set.

28
4.6. Procedura

4.6.1 Fase di Codifica

Tutti i partecipanti sono stati testati singolarmente presso il laboratorio di memoria e


apprendimento del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova. Essi
sono stati suddivisi in due gruppi, gruppo testimone (codifica distaccata) e gruppo
immedesimazione (codifica empatica), ognuno dei quali con differenti istruzioni presentate
durante la fase iniziale dell’esperimento, prima della presentazione delle immagini.

Ai soggetti del gruppo testimone veniva chiesto di guardare attentamente le foto come se
fossero osservatori esterni, cercando di focalizzarsi sulle azioni compiute dai soggetti nelle
varie scene.

Ai soggetti del gruppo immedesimazione veniva chiesto di guardare attentamente le foto


cercando di immedesimarsi nelle persone presenti nelle varie scene, focalizzandosi sui loro
stati d’animo.

Successivamente venivano presentate le immagini (tramite PC) come precedentemente


descritto; 5 fotografie incoerenti con gli script, seguiti dagli 8 episodi precedentemente
descritti, ed infine altre 5 fotografie incoerenti. Ogni fotografia era presentata per 2
secondi, intervallata da una slide a fondo nero. Ogni episodio era costruito in maniera tale
da concludersi con 2 possibili esiti: neutri e negativi.

4.6.2. Intervallo di Ritenzione

Alla fine della presentazione segue un intervallo di ritenzione di 15 minuti, durante il quale
i soggetti venivano sottoposti inizialmente alle prove di Digit Span in avanti e indietro e
successivamente erano tenuti a compilare i questionari Q-PAD e STAI-Y. Nel caso il
soggetto avesse terminato tutte le prove prima dei 15 minuti previsti, veniva sollecitato ad
eseguire un test di fluenza verbale (non influente ai fini dell’esperimento).

29
4.6.3. Fase di Riconoscimento

Dopo la fase di ritenzione, i soggetti venivano invitati a prestare nuovamente attenzione ad


un’altra serie di fotografie, alcune delle quali già mostrate precedentemente durante la fase
di codifica, altre invece nuove, quindi mai presentate. I soggetti venivano istruiti a
guardare attentamente ogni singola immagine e a rispondere “SI” se pensavano di aver
visto la foto durante la fase di codifica, “NO” se invece pensavano di non averla vista.
Inoltre, nel caso di risposta “SI”, veniva chiesto di dare un giudizio di ricordo/familiare alla
fotografia, seguendo il paradigma Remember/Know proposto da Rajaram (Rajaram, 1993).
Di conseguenza, i soggetti erano chiamati a scegliere l’opzione “RICORDO” se, oltre a
ricordare che la foto era chiaramente presente tra quelle mostrate all’inizio, ricordavano un
dettaglio, un pensiero o un’emozione che li aveva colpiti al momento della presentazione
dell’immagine, o magari ricordavano la sequenza temporale dello script. In alternativa, i
soggetti potevano rispondere “FAMILIARE” quando avevano semplicemente la
sensazione di aver visto la foto, senza ricordare un dettaglio o un pensiero preciso.
L’esaminatore, dopo aver verificato che il soggetto avesse compreso adeguatamente le
istruzioni, avviava la fase di riconoscimento mediante la presentazione di una nuova
sequenza di immagini, precedentemente descritta. La presentazione in questo caso non era
automatica, ma il partecipante aveva il tempo per riflettere sulle singole foto e dare la
risposta soggettivamente più appropriata. Tutte le risposte venivano annotate su una griglia
costruita in base alle esigenze dell’esperimento. Venivano anche annotati, in caso di
risposte “SI” “RICORDO”, i motivi dati dal soggetto e tutti gli elementi qualitativi riportati
dal partecipante. Conclusa questa fase veniva proposto il questionario sull’empatia IRI.

30
4.7. Analisi dati

Le variabili dipendenti prese in considerazione nelle analisi dei dati sono:

 ERRORI DI CAUSA
Gli errori di causa si verificano quando un soggetto erroneamente riconosce una fotografia
del compito di riconoscimento, ritraente la “causa” non visionata in fase di codifica,
relativa ad una fotografia “effetto/conseguenza” effettivamente visionata nella fase iniziale.
Esempio: nello script gita in bicicletta con valenza negativa, in fase di codifica, viene
mostrata come fotografia effetto/conseguenza una ragazza investita da una macchina; viene
considerata come vista anche la fotografia della causa, ossia la ragazza e la macchina che
sopraggiungono nello stesso istante.

 ERRORI DI GAP-FILLING
Gli errori di gap-filling si riscontrano quando un soggetto erroneamente riconosce una
fotografia del compito di riconoscimento, coerente con il contenuto dello script visionato
in fase di codifica, ma che in realtà non era presente tra le immagini visionate inizialmente.
Si tratta di fotografie simili a quelle osservate in fase di codifica in quanto sono mantenuti
gli stessi personaggi negli stessi ambienti. L’unica differenza consiste nelle azioni di questi
ultimi, che risultano diverse seppur collegate logicamente col resto delle immagini.

 HIT (RICONOSCIMENTI CORRETTI)


Gli Hit si riscontrano quando un soggetto identifica correttamente una fotografia nel
compito di riconoscimento come appartenente a uno dei diversi script visionati in fase di
codifica (non si considerano né le prime cinque né le ultime cinque fotografie poiché
incoerenti rispetto agli script considerati).
In tutti e tre i casi, le variabili di risposta sono di tipo binomiale, ovvero con due possibili
risposte (“si” o “no”).
I predittori sono i seguenti:
-Gruppo (variabile categoriale a due livelli: testimone vs. empatia) che varia tra i
partecipanti;
-Valenza (variabile categoriale a 2 livelli: neutra vs. negativa) che varia entro i
partecipanti. Questo predittore è stato utilizzato solamente per gli errori di causa e di gap-
filling;
- Livello di empatia (variabile continua quantitativa) che varia tra i partecipanti;

31
- Tratti Internalizzanti (variabile continua quantitativa) che varia tra i partecipanti.
Utilizzata solamente come variabile di controllo.

Dato che le variabili risposta consistono in misure ripetute di risposte dicotomiche,


abbiamo utilizzato modelli lineari generalizzati di tipo logistico. I predittori e le interazioni
tra essi sono stati trattati come effetti fissi, mentre i partecipanti sono stati trattati come
effetto random. Per valutare la significatività degli effetti, abbiamo utilizzato dei likelihood
ratio test per modelli annidati basati sulla distribuzione del chi-quadrato.

32
4.8. Risultati

Tabella 2.

Medie e le deviazioni standard delle variabili rispetto ai due gruppi.

Immedesimazione Testimone
Età M=21,7 M=22

Digit Avanti M=6 M=6

Digit Indietro M=5 M=5

IRI M=85,18 SD=11,03 M=84,05 SD=9,55

Q-Pad Ansia M=18,73 SD=5,33 M=20,75 SD=6,27

Q-Pad Depressione M=11,10 SD=3,77 M=11,85 SD=4,23

STAI M=39,85 SD=8,42 M=42,10 SD=9,60

Tabella 3.

Correlazione tra le variabili prese in esame.

Q-Pad
Digit Avanti Digit Indietro IRI Q-Pad Ansia Depressione

Digit Avanti

Digit Indietro .249

IRI .083 .075

Q-Pad Ansia -.010 .015 .173

Q-Pad Depressione -.021 .060 .008 .691

STAI -.181 .042 .099 .795 .738

33
I risultati dell’analisi relative alla fase di riconoscimento sono le seguenti:

 ERRORI DI CAUSA
È emerso che non c‘è un effetto significativo della variabile Gruppo relativa agli errori di
causa χ2 (1) = .24, p = .62. La probabilità complessiva di commettere un errore di causa è
compresa tra .40 e .45. Tuttavia è emerso che c’è un effetto principale significativo, seppur
non forte, della Valenza χ2 (1) = 4.07, p = .04. (fig.1). Quando si vede una conseguenza a
valenza negativa la probabilità di commettere il falso ricordo di causa è leggermente ma
significativamente inferiore rispetto a quando la conseguenza ha una valenza neutra.
Questo è coerente con l’ipotesi di un effetto protettivo della emozionalità del materiale
contro i falsi ricordi inferenziali. Anche in questo caso però, l’effetto è indipendente dal
gruppo. Non c’è, riguardo agli errori di causa, un’interazione significativa tra gruppo e
valenza, χ2 (1) = .32, p = .57.

Figura 1. = Effetto Valenza per falsi ricordi di causa.

34
Per quanto riguarda l’empatia, sembra avere un effetto (seppur non significativo) di
incremento dei falsi ricordi nel gruppo immedesimazione, χ2 (1) = 2.30, p = .13, ma non
nel gruppo testimonianza ed in particolare per stimoli di valenza neutra (fig. 2).

Figura 2 = Relazione tra livello di empatia, gruppo e valenza per i falsi ricordi di causa.

35
 ERRORI DI GAP-FILLING
È emerso che non c’è un effetto significativo della variabile gruppo, χ2 (1) = 1.83, p = .18.
La probabilità di commettere errori è compresa tra 0.8 e 0.15.
Gli errori di gap-filling sono mediamente rari. Meno del 15% delle fotografie non mostrate
negli script vengono poi erroneamente riconosciute come già viste.
Nonostante questo effetto sia indipendente dal gruppo, si osserva una probabilità
leggermente più alta di riconoscimento nel gruppo «immedesimazione». L'interazione tra
Gruppo e Livello di empatia non è comunque significativa, χ2 (1) = 1.38, p = .24.

 HIT
È emerso che non c’è un effetto significativo della variabile gruppo, χ2 (1) = 1.13, p = .29.
L’accuratezza è mediamente molto alta. Circa il 90% delle fotografie effettivamente
mostrate negli script vengono poi riconosciute come già viste al test di memoria. Sebbene
non vi sia un’interazione con la variabile gruppo, i soggetti che appartengono al gruppo
immedesimazione fanno leggermente meglio.

36
4.9 Conclusioni

In generale vengono commessi molti più falsi ricordi riguardanti la causa rispetto a falsi
ricordi per elementi Gap-filling (cioè elementi che sono semplicemente coerenti con lo
script).
I falsi ricordi sono dunque molto frequenti per eventi logicamente legati a qualcosa di
molto specifico ed episodico che si è visto, piuttosto che per il contesto nel suo insieme.
Inoltre, i falsi ricordi di causa sono meno probabili quando la conseguenza è negativa
rispetto a quando è neutra, e questo conferma le evidenze precedenti (si evidenzia il ruolo
protettivo del materiale emotivo). Il materiale emotivo infatti incoraggia una codifica più
attenta e dettagliata, riducendo le distorsioni mnestiche e i falsi ricordi (Kensinger &
Schacter, 2006; Pesta et al.,2001). Questo effetto però non è dipendente dalla condizione di
codifica (testimonianza o immedesimazione).

L’empatia sembra avere un effetto di incremento dei falsi ricordi causali nel gruppo
immedesimazione ma non nel gruppo testimonianza. Non è chiaro perché ciò avvenga, e
ciò potrebbe essere spunto per ulteriori ricerche future.
Un’ipotesi potrebbe essere relativa all’effetto di una maggiore elaborazione laddove vi è
maggiore capacità di farlo (a livello di differenze individuali, e quindi del livello di
empatia) e laddove si è invitati e incoraggiati a svolgere questa «elaborazione emotiva»
(gruppo immedesimazione).
Inoltre, questo effetto dell’immedesimazione, come già accennato precedentemente,
sembra legato alla valenza neutra e non a quella negativa.
Ciò potrebbe essere spiegato se consideriamo la codifica empatica collegata ad un maggior
livello di elaborazione (ne consegue una maggior frequenza di falsi ricordi) specialmente
per quegli stimoli a contenuto emotivo basso o nullo, in cui è difficile immedesimarsi
correttamente. Però, questo effetto si sarebbe dovuto verificare anche per quanto riguarda i
gap-filling (che sono sempre neutri) ma non è così; non c’è infatti correlazione tra livello
di empatia e errori gap-filling.
Oppure, questa discrepanza tra stimoli neutri e negativi nel gruppo immedesimazione
potrebbe essere legata al fatto che l’empatia verso l’emozione negativa porta a un
“evitamento” dell’elaborazione (correlato con una minore frequenza di falsi ricordi).
In ogni caso, l’interazione tra gruppo, valenza ed empatia non è statisticamente
significativa.

37
In conclusione, la codifica empatica, sia in termini di effetto principale, sia in termini di
interazione con gli altri fattori, non sembra avere un ruolo nello sviluppo di falsi ricordi.
Ritengo però che il suddetto studio possa essere approfondito, utilizzando magari
paradigmi più adatti per valutare l’influenza dell’empatia. Partendo dalla fase di codifica
ad esempio, si potrebbe chiedere di immedesimarsi più nelle azioni che nelle emozioni,
modificando quindi le istruzioni date ai soggetti all’inizio dell’esperimento, per indagare se
un’identificazione di tipo motorio più che emotivo possa avere effetti più rilevanti. Un
ulteriore modifica potrebbe essere rivolta agli stimoli presentati: il paradigma utilizzato è
infatti composto soprattutto da immagini neutre che rappresentano scene di vita quotidiana,
con le sole conseguenze che presentano una valenza emotiva. Molti soggetti hanno
espresso difficoltà nell’immedesimarsi correttamente con questa tipologia di immagini. A
mio parere è possibile migliorare gli script per adattarsi meglio allo studio dell’empatia,
agendo prevalentemente sulla facilità di immedesimazione delle singole foto (utilizzando
ad esempio foto a maggior valenza emotiva), aumentando la durata della presentazione
delle singole foto e riducendo la quantità di foto presentate. Ci si potrebbe anche
focalizzare su aspetti “qualitativi” del recupero, chiedendo ad esempio ai soggetti, durante
la fase di riconoscimento, di descrivere non soltanto il ricordo o la familiarità di
un’immagine, ma la strategia che hanno usato per esprimere la loro risposta e il livello di
sicurezza delle loro affermazioni.

38
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45
APPENDICE

APPENDICE A – FASE DI CODIFICA

46
APPENDICE B – FASE DI RICONOSCIMENTO

47
APPENDICE C – BILANCIAMENTO CONDIZIONI

CONDIZIONI
PPT #1 - X PPT #2 - X PPT #3 - X PPT #4 - X

Rout. Mattino - valenza Rout. Mattino - valenza neutra Appuntamento - valenza Appuntamento - valenza
negativa neutra negativa
Arrampicata - valenza neutra Arrampicata - valenza negativa Slot - valenza negativa Slot - valenza neutra

Rit. Viaggio - valenza neutra Rit. Viaggio - valenza negativa Spesa - valenza negativa Spesa - valenza neutra

Passeggiata bici - valenza Passeggiata bici - valenza Gara - valenza neutra Gara - valenza negativa
negativa neutra
Gara - valenza neutra Gara - valenza negativa Passeggiata bici - valenza Passeggiata bici - valenza
negativa neutra
Spesa - valenza negativa Spesa - valenza neutra Rit. Viaggio - valenza neutra Rit. Viaggio - valenza negativa

Slot - valenza negativa Slot - valenza neutra Arrampicata - valenza neutra Arrampicata - valenza negativa

Appuntamento - valenza Appuntamento - valenza Rout. Mattino - valenza Rout. Mattino - valenza neutra
neutra negativa negativa

PPT #5 - Y PPT #6 - Y PPT #7 - Y PPT #8 - Y

Rout. Mattino - valenza Rout. Mattino - valenza neutra Appuntamento - valenza Appuntamento - valenza
negativa neutra negativa
Arrampicata - valenza neutra Arrampicata - valenza negativa Slot - valenza negativa Slot - valenza neutra

Rit. Viaggio - valenza neutra Rit. Viaggio - valenza negativa Spesa - valenza negativa Spesa - valenza neutra

Passeggiata bici - valenza Passeggiata bici - valenza Gara - valenza neutra Gara - valenza negativa
negativa neutra
Gara - valenza neutra Gara - valenza negativa Passeggiata bici - valenza Passeggiata bici - valenza
negativa neutra
Spesa - valenza negativa Spesa - valenza neutra Rit. Viaggio - valenza neutra Rit. Viaggio - valenza negativa

Slot - valenza negativa Slot - valenza neutra Arrampicata - valenza neutra Arrampicata - valenza negativa

Appuntamento - valenza Appuntamento - valenza Rout. Mattino - valenza Rout. Mattino - valenza neutra
neutra negativa negativa

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