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1.

Metodi e Sistemi applicativi nell'allenamento delle specialità di forza

Inizio con questo articolo una serie di disamine di alcuni tra i principali sistemi di applicazione delle varie
metodologie nell'allenamento della forza.
Lo spunto nasce da un'esplicita richiesta formulatami da un utente (Menphisdaemon) e da un mio
conseguente e sostanziale impegno in tal senso che ha subìto - come al solito - nella sua realizzazione
pratica, notevoli e colpevoli ritardi rispetto alla data della promessa
Ovviamente la trattazione sarà pur sempre generale, a campione e, forzatamente, sintetica per evidenti
motivi e.....per non annoiare.
Le metodiche da me sommariamente descritte - e umilmente commentate - non esauriscono, pertanto, i
possibili schemi di approccio all'allenamento della forza ma ne costituiscono una discreta selezione, sulla
base di una serie di motivi e ragionamenti che ho discrezionalmente (e magari erroneamente ) valutato.
I sistemi enunciati sono adattabili al powerlifting ma non creati per esso nè tantomeno ad esso riservati: si
riferiscono, in senso lato, alla preparazione atletica specifica nelle discipline che hanno per qualità
muscolare principale la forza e particolarmente gli sport con i pesi, senza entrare nel merito delle
peculiarità tecniche e connesse esercitazioni delle singole specialità.
Ho, tuttavia, preferito postare in questa sezione perchè il campo di applicazione principale dei sistemi di
allenamento in parola rimane quello dei settori dove si esplica la forza nelle sue accezioni massimali, sub
massimali o miste (sport atipici o forza/resistenza alla forza) e i protagonisti dei relativi programmi e
routine sono stati quasi tutti atleti rientranti nel mondo della pesistica o, più in generale, dell'atletica
pesante.

Comincio trattando la metodologia ad onda, perchè di essa avevo già parlato (in modo molto più succinto)
in un vecchio post di un anno e mezzo fa che, per l'occasione, ho all'interno parzialmente riesumato e
rielaborato.
Spero che il thread venga visto non come un'offerta di segreti, formule e numeri magici per ottenere un
nuovo risultato in pedana ma come spunto di studio, ricerca, riflessione e cultura sportiva, poichè è solo
conoscendo, provando, magari valutando criticamente e sperimentando variazioni (purchè giustificate da
un minimo di esperienza atletica e agonistica) che si creano i presupposti per ulteriori passi avanti.

Mi riservo di aggiungere delucidazioni ed ulteriori commenti in ordine a quanto scrivo come, del resto, di
rispondere ad eventuali domande che dovessero scaturire da un dibattito sull'argomento,......... però
adesso non chiedetemi già quando posto le parti successive ...perchè tanto non lo so e qualsiasi risposta
fornissi e promessa concedessi verrebbero sicuramente dilatate nel tempo.
La forza sia sempre (e sempre di più!) con voi

I) IL SISTEMA A "ONDE"

La metodologia dell’allenamento “a onde” si fonda sul concetto della periodicità ciclica di un dato schema
di lavoro e fonde i principi della progressività del carico con quelli della graduale assuefazione alla
ripetitività dello stimolo allenante.
Nel corso dei decenni il sistema originario ha subito diverse varianti, anche portanti e basilari, creando una
vasta gamma di applicazioni pratiche dell’idea di onda, che spaziano dall’onda dei carichi e delle serie, alle
onde delle sedute di allenamento, fino alle onde intese come successione dei microcicli nel corso di una
fase o di un mesociclo.

Tuttavia, l’applicazione primordiale è quella del "carico a onda", che nasce nel mondo del sollevamento pesi
olimpico e - come è accaduto spesso - viene poi esteso, copiato, mutuato o modificato per altri settori e
specialità di allenamento con i pesi o dove, comunque, i pesi siano alla base della preparazione specifica.
Nel caso ora in esame, di norma, si parte scegliendo un numero prefissato di "serie" da eseguire
(solitamente 3), ciascuna con un altrettanto prestabilito "carico" e conseguente numero di ripetizioni. Ogni
gruppo di serie (set) costituisce l'"onda", da ripetersi appunto più volte (e cioè, a ondate): in genere dalle 2
alle 4 volte per complessive 6/12 serie.
Chiaramente, la scelta è indicativa ed è molto condizionata dal livello dell'atleta, dalla sua anzianità di
allenamento agonistica e, principalmente, dalla specialità oggetto della preparazione (12 serie di panca non
equivalgono a 12 serie di stacco o di strappo, a parità di parametri di carico presi a riferimento).
Un altro punto importante è la scelta del numero di ripetizioni da eseguire in ogni serie e, quindi, da
ripetere per ogni "onda". Anche in questo caso l’opzione è determinata dalle qualità che si intendono
allenare (forza massimale, relativa ecc.), dagli obiettivi (competizione, ipertrofia, allenamento di forza
applicato ad un esercizio in periodo non competitivo, ecc) e, come sempre, dalla disciplina sportiva che si
vuole migliorare.
A titolo esemplificativo, elenco alcuni tra i più diffusi metodi di applicazione del "carico a onda":
a) onda 3 - 2 - 1, normalmente usato per lo sviluppo della forza relativa in atleti di alcuni sport di potenza o
forza massimale o esplosivi balistici;
b) onda 5 - 3 - 2, (anche 6 - 4 - 2), usato per l'allenamento delle qualità di forza in periodi non
estremamente ravvicinati alla competizione;
c) onda 7 - 5 - 3, particolarmente rivolto ad atleti di sport di combattimento (es. lottatori) che intendano
passare ad una categoria di peso superiore con apprezzabili guadagni in ipertrofia, sommati però
all'irrinunciabile allenamento della forza.

E' evidente che si tratta di proposte e semplificazioni che devono poi essere plasmate, sulla singola
fattispecie, dall'occhio attento del tecnico che decida di adottare il sistema di cui parliamo.
Normalmente sono previsti carichi di alta intensità rispetto al numero delle ripetizioni prescelto (es. 5x80%
- 3x85% - 2x90% ed oltre) per cui è molto arduo superare la terza "onda": 3xn -4'rest - 2xn - 4'rest - 1xn -
4'rest - da ripetersi per 2 o 3 onde, per un totale di 6 o 9 serie.
Secondo Poliquin, che cita il sistema del carico a onda tra i suoi 10 metodi preferiti per l'allenamento della
forza massima, detto sistema si basa sul principio allenante che lo scienziato tedesco D. Schmidtbleicher ha
chiamato della "facilitazione neurologica post tetanica", in base al quale gli atleti considereranno la prima
onda l'ostacolo più duro, per poi gradualmente assuefarsi (entro certi limiti, aggiungo io) e recepire le
"onde" successive come più accessibili.
Premesso che - per il citato studioso - l’atleta raggiunge il proprio potenziale di forza più velocemente se in
precedenza ha usato metodi che favoriscano lo sviluppo della massa muscolare e subito dopo attua metodi
che incentivino l’aumento dell’attivazione nervosa delle unità motorie, ne consegue che il sistema a “onde”
viene visto come una sinergia di mezzi per ottenere, nel contempo, prima l’ adattamento del sistema
neuromuscolare tramite serie di accumulo e, a seguire, la stimolazione dello stesso attraverso delle serie di
intensificazione.
Questo medesimo principio ha condotto anche a delle significative varianti della metodologia: una di
queste, in particolare, è quella di pianificare le onde non relativamente alle serie, nell’ambito della sessione
di allenamento, ma contemplandole come “onde di sedute” (sempre essenzialmente 3 ) all’interno di un
microciclo, perlopiù settimanale.
L’onda delle sedute potrebbe essere quindi programmata come segue:
lunedì/ sessione a carico medio – mercol./sess. a carico leggero – ven./sess.ne a carico pesante;
dove le prime due rappresenterebbero le onde di accumulo e l’ultima quella di intensificazione, prima di
ricominciare con il nuovo microciclo.
Si tratta al solito di un esempio, che potrebbe essere dilatato sia nel numero delle onde/sedute, sia nella
durata del microciclo (9 o 10 gg.).
Quello appena descritto è uno dei sistemi di applicazione prediletti dal coach Staley.

Altra possibile variante del sistema ad onde – da definirsi improprio, per comodità - potrebbe essere
rappresentata, su di un piano ancora più esteso, dalle “onde dei microcicli (o settimane)” nell’ambito del
mesociclo.
Il caso forse più conosciuto è quello del “pendulum wave” adottato nel sistema Westside di Simmons, dove
- relativamente al lavoro dinamico – si ha un’alternanza di carichi plasmata nelle settimane, così da avere
mesocicli a bassa intensità ed altri ad intensità più elevata ma con onde di ripetizione trisettimanali.
Esempio classico: 1° sett.na 12x3x 55% - 2° sett. 10x3x60% - 3°sett. 8x3x65% (le percentuali sono, come
sempre, puramente indicative e da rapportare all’esercizio in esame ed al curriculum, anzianità e livello
dell’atleta di cui trattasi).
A questo riguardo, mi fa piacere ricordare e descrivere una versione italiana sul tema delle onde dei
microcicli, che ho avuto l’onore di conoscere – e poi sperimentare personalmente su me stesso e su altri
atleti - dal maestro Enrico Violanti.
Lui era solito applicarla alla specialità di bench press e riservarla ad atleti di valore medio/alto e alto che -
per svariati motivi - dovessero recuperare, in tempi moderatamente solleciti, un pregresso stato di forma
nei carichi. La progressione, con percentuali calcolate sul massimale del momento, era:
1° sett.na 10x4x70-75%; 2° sett. 8x3x80-85%; 3° sett. 6x2x90%; l’onda ricominciava analogamente e
proseguiva nella 4°,5° e 6° settimana con leggeri incrementi delle percentuali, poi prevedeva un test ed uno
scarico nella 7° settimana e nuove onde, con percentuali riviste sulla scorta del nuovo PR nel frattempo
raggiunto.
Il sistema si prestava, con opportuni ritocchi, anche a incrementi prestazionali su atleti di livello intermedio
e garantiva solidi riscontri per circa 3 o 4 mesi senza significative modifiche di approccio.

In ogni caso e riferendoci soprattutto nella sua versione originale di “serie a onde”, il sistema in parola è da
considerarsi un’applicazione di allenamento adatta ad atleti non principianti ed a strutture genetiche ben
predisposte.
Trattasi sempre – è bene ripetersi - di protocolli molto impegnativi e, in quanto tali, li applicherei
principalmente nelle specialità di gara di sollevatori ed alzatori o, se il discorso riguarda altra tipologia di
atleti, comunque su esercizi multiarticolari e che coinvolgano gruppi muscolari rilevanti.
Le alzate olimpiche si prestano favorevolmente all’applicazione di questo sistema che ha, infatti, una
tradizione pluridecennale nel campo della pesistica (proprio Poliquin, tra gli altri, sostiene di averlo
conosciuto sulla base del lavoro svolto da Pierre Roy con la nazionale canadese di sollevamento pesi).
Per fare invece qualche esempio, che non attenga alle solite specialità di PL o WL, ma che tuttavia sia
inerente ad esercitazioni utilizzate anche in quei settori, posso dire che il sistema del carico ad onda è stato
spesso impiegato nell'esercizio del front squat o della distensione lenta (shoulder press) in piedi.
Si consideri anche che questo sistema di allenamento richiede un considerevole lasso di tempo ed un
dispendio non certo irrisorio di energie nervose, per cui sarebbe problematico (oltre che a mio avviso
discutibile nella metodica di applicazione) adoperarlo, ad esempio, per il curl del bicipite.
Rimane poi fondamentale il curriculum ed il background del soggetto allenato, in base al quale stabilire se,
quando e su quali esercitazioni in particolare, sia il caso di applicare tale metodica e non altre.

Seguendo i vari reports su riviste o libri che parlano dell'attuazione di questa specifica tipologia di carico a
onda, si legge di improponibili percentuali tipo: 3x90% - 2x95% - 1x100%.
Viene spontaneo domandarsi come sia possibile ripetere per più onde un carico massimale (100%), per
giunta dopo le altre serie pesanti.
Nella pratica, rendiamoci conto che spesso tali sistemi sono stati adottati - in certe realtà, talvolta di
caratura internazionale - su atleti di elite e, per giunta....non natural: per questi fenomeni, indiscutibilmente
di genetica non comune ed inoltre "adeguatamente supportati", il cosiddetto 100% tre settimane dopo non
era più tale e, pertanto, poteva essere tranquillamente inserito in routine, poichè nel frattempo declassato
a submassimale; salvo poi registrare il rapido, repentino decondizionamento dell'atleta dopo la gara
effettuata.
Ecco perchè ritengo non sia corretto copiare alla lettera i presunti massimi sistemi senza adattarli alle
diverse fattispecie.

A livello di esperienza personale, posso riportare una mia applicazione dell'onda 3-2-1 e cioè: 3x80-85%,
2x85-90%, 1"fermo"x88-96%, dove le serie triple e doppie erano eseguite senza fermo al petto e
rimanevano a carico invariato nel corso delle settimane, le singole "con il fermo" progredivano di un 2% a
settimana per 5 settimane (la sesta scaricava). Questo per seguire il principio della progressività del carico
nelle serie allenanti.
Il numero delle onde dipendeva da molte variabili, tra cui: il momento della preparazione, l'età agonistica
del soggetto, il fatto che preparasse una gara di specialità solo nella disciplina oggetto di questo sistema di
allenamento o se dovesse prepararsi contemporaneamente per altre specialità, eccetera.

Si tratta sempre di indicazioni da cui trarre spunto, le variabili possono essere molte e, spesso, sono
necessari dei correttivi in corso d'opera: fa parte della conoscenza della nostra "macchina" ed è uno dei lati
più belli della ricerca per via empirica e sperimentale.

1. IL SISTEMA A FASI

È uno dei più classici tra i sistemi di allenamento e annovera al suo interno una vasta gamma di
possibili varianti.
Essenzialmente la sua attuazione viene prevista nell’ambito di programmi basati sul volume ma,
talvolta, è usato anche negli schemi di sintesi, soprattutto in sessioni che vogliono essere di
appoggio ad altre allenanti.
La “fase” propriamente detta è costituita da un set cioè da un gruppo di serie, tutte incentrate sulla
stessa quantità prefissata di ripetizioni; le fasi possono essere di numero imprecisato
(generalmente, però, da 2 a 4), ed a loro volta comprendono un numero illimitato di serie, mentre
le ripetizioni cambiano solo da fase a fase.
Facciamo degli esempi pratici:
- 2 fasi: 3x3 e 3x5, oppure 3x3 e 3x2, oppure 5x1 e 3x5;
- 3 fasi: 2x2, 2x4, 2x6, oppure 2x4, 3x1, 2/3x5, oppure 2/3x1, 3x5, 2x7/8.

Affinché l’allenamento possa giungere a buon fine, e’ fondamentale non arrivare mai
all’esaurimento muscolare in ogni fase; pertanto, conviene non adoperare (salvo, forse, all’ultimo
allenamento del mesociclo) il carico limite per quel dato numero di ripetizioni ma, più
proficuamente, quello immediatamente inferiore: ad es., per una fase organizzata in serie di 2
ripetizioni il 3RM, per una da 3 rip. il 4RM e così via.
Chiaramente è anche importante, in ciascuna fase, non esagerare nelle progressioni dei carichi tra
un allenamento e il successivo, per cui sarà consigliabile provvedere a piccoli incrementi e non
necessariamente in tutte le fasi previste dalla seduta.
Il sistema vuole infatti essere un’applicazione del “metodo degli sforzi ripetuti” ad una determinata
intensità, quindi si può procedere all’incremento dei carichi solo se, nella precedente sessione,
tutte le ripetizioni di tutte le serie di quella data fase sono state portate a termine positivamente e
con apprezzabile esecuzione tecnica.

Le pause di recupero dipendono prevalentemente dal numero di fasi e da quello delle serie in esse
comprese che si intendono eseguire; dunque, dalla durata complessiva dell’allenamento oltre che
dall’intensità dei carichi.
Diciamo, con una certa approssimazione, che si possono contemplare 2 diversi tipi di recupero: uno
più breve, che non dovrebbe in alcun caso oltrepassare i 3’, tra le serie di ogni singola fase; l’altro
più ampio, tra fase e fase, che può variare da un minimo di 2’ per gli allenamenti di capillarizzazione
fino a 5’ per sessioni protratte per un lungo numero di fasi e serie, soprattutto in sedute e microcicli
monospecialistici (es. 3 o 4 fasi da 3/4 serie ciascuna, che vertano su un unico esercizio della
disciplina di gara).

La metodologia incentrata sulle fasi era molto in voga nella ex Germania Est, soprattutto tra i
lanciatori (peso, disco, martello) ma era altresì diffusa tra i sollevatori olimpici di notevole valore,
soprattutto negli anni ’70.
Personalmente l’ho attuata e fatto attuare, in ambito di powerlifting, nella preparazione per le
specialità di bench press e di squat, mentre non la consiglio per lo stacco da terra (se non con
opportune modifiche, consistenti in un allenamento a due fasi dedicate, rispettivamente, la prima
alla tecnica esecutiva prescelta per la competizione e la seconda al potenziamento muscolare
riservato a quei distretti da rafforzare con lo stile che non verrà, poi, adottato dall’atleta in sede di
gara).

Una delle caratteristiche principali delle "fasi" è quella di consentire all'atleta che le impiega di
allenare la forza proprio nei ranges di ripetizioni predeterminati, favorendo in tal modo una
preparazione o una specializzazione sui vari parametri presi a riferimento.
Le progressioni dei carichi, nel succedersi dei microcicli, possono seguire diversi coerenti
orientamenti.
a) uno sviluppo percentuale sulla base di waves trisettimanali; esempio (i numeri seguiti da
parentesi tonda indicano le settimane):
1) 3x3x75% - 3x5x65%; 2) 3x3x80% - 3x5x70%; 3) 3x3x85% - 3x5x75%;
4) 3x3x78% - 3x5x68%; 5) 3x3x83% - 3x5x73%; 6) 3x3x88% - 3x5x78%.

b) uno sviluppo percentuale alternando “fasi” diverse nel corso dei microcicli;
esempio (sempre su 6 settimane, come il precedente) :
1°) 3x3x75% - 3x5x65%; 2°) 2x2x80% - 2x4x70% - 2x6x60%;
3°) 3x3x80% - 3x5x70%; 4°) 2x2x85% - 2x4x75% - 2x6x65%;
5°) 3x3x85% - 3x5x75%; 6°) 2x2x90% - 2x4x80% - 2x6x70%.

c) uno sviluppo percentuale dei carichi delle fasi non contemporaneo tra loro;
esempio su 8 settimane:
1°/2°/3°/4°) 2x4x70%-2x2x85%-3x5x65% poi 70% poi 75% poi 80%;
5°/6°/7°/8°) 2x4x75%-3x3x75% poi 80% poi 85% poi 90% - 2x5x75%.

Ovviamente si tratta di esemplificazioni, che devono essere sottoposte al vaglio quali validi spunti e
non come regole da seguire alla lettera ma semmai adattandole caso per caso.
Tra le messe in opera più avvincenti del sistema in parola potrebbe essere menzionato anche il
celebre “Hepburn system”, programma di allenamento ad alta intensità di uno dei più grandi
“panchisti” di ogni tempo, il mitico Doug Hepburn.
Il suo programma consisteva appunto in due fasi di 5 serie l’una, e precisamente: 5x1 e 5x5 nella
stessa seduta di allenamento.
Trattasi di una proibitiva sintesi di allenamento di intensità e volume nella singola unità di sessione
ma - proprio per la sua particolarità – ritengo più pertinente relazionarne separatamente, in un
capitolo “ad hoc” dedicato ai sistemi di intensità sulle singole alzate o singole prove.

Per ciò che concerne la durata complessiva di un programma a fasi, possiamo dire che quando tale
sistema viene impiegato in una sessione settimanale di volume, in coppia con altro programma
basato sull’intensità o la specializzazione tecnica, può essere tranquillamente pianificato per più
mesocicli e per un numero di microcicli varianti tra 4 e 12, a seconda della contestuale scelta dello
schema allenante cui si intende affiancare; allorché sia invece esso stesso programma dominante,
conviene – a parer mio – non eccedere le 6 settimane consecutive, pena lo stallo dei carichi.
Ancora differente è il caso in cui il sistema a fasi venga ad inserirsi quale parte integrante di vasti
macrocicli a periodizzazione lineare, estesi fino a 20/25 serie per sessione: in tal caso può essere
(anzi dovrebbe) essere portato avanti anche per 15-20 settimane. Tuttavia, tale fattispecie esula
dalla trattazione propriamente detta delle “fasi” e invade il terreno delle grandi pianificazioni
annuali, per le quali sarebbe più adatta una discussione a parte.

Il sistema a fasi è uno dei più antichi e consolidati tra quelli in uso per l'allenamento della forza ed anche,
tutto sommato, uno tra quelli di più semplice applicazione, soprattutto in quanto effettuabile - allo stato
iniziale - anche senza l'ausilio di particolari attrezzature e dotazioni moderne.
Come ho ricordato sopra, "la metodologia era molto in voga... soprattutto tra i lanciatori" (ad es. Al
Fuerbach) ma in generale il concetto veniva applicato da illustri tecnici quali Harre e Paler, al quale ultimo si
deve proprio in campo pesistico la doppia codificazione delle fasi 3x3/3x2 e 3x5/3x3, note appunto come
Paler I e Paler II.
Il frequente uso per l'allenamento della forza in campo pesistico è stata ricordato anche dal preparatore
canadese Charles Poliquin e, più specificamente ancora, una delle più mirabili attuazioni del sistema in
parola si è avuta con il summenzionato Doug Hepburn - uno dei massimi panchisti di sempre - il cui
"Hepburn System" consistente in due fasi, rispettivamente da 5x1 e 5x5, ha rappresentato uno tra i più noti
e, nel contempo, tra i più duri esempi di questa attuazione sistemica.
Evidentemente, dunque, tutti questi signori sono riusciti a trovare, nel corso degli anni, almeno un motivo
(e forse più d'uno) per utilizzare proficuamente questa metodologia.

Probabilmente l'errore di fondo nell'impostazione della tua critica sta nel voler considerare basilare solo il
fattore dell'eccitabilità nervosa - importantissimo ma che, effettivamente, può essere uno obiettivo ma non
certo il principale nell'allenamento con questo sistema - oppure nell'esaminarlo senza essere scevri
dall'influenza di altre letture: infatti, perchè mai il "sistema a contrasto" dovrebbe essere utile solo tra
diverse abilità motorie e non pure tra diverse qualità muscolari? e perchè l'allenamento di diverse qualità
muscolari o quello a diversi sistemi energetici non potrebbe essere contemplato nella stessa sessione,
come del resto intendi quello per diverse abilità motorie; e perchè mai non potrebbe essere svolto a "fasi"?
Sappiamo che se, nell'ambito di una stessa seduta di allenamento, vogliamo raggiungere ed allenare più
specificità dovremmo - a grandi linee - seguire l'ordine preferenziale che segue, legato a ovvi fattori e
meccanismi di successione energetica e biochimica:
1) allenamento della tecnica, in piena freschezza del sistema nervoso ed al massimo delle nostre capacità di
attenzione,
2) allenamento della potenza o della forza esplosiva (secondo la specialità), legato ai concetti sopra cennati
ma riferito all'applicazione sul lavoro muscolare (sistema alattacido),
3) allenamento della forza sub massimale (più che propriamente massimale), sempre in ambito di sistema
alattacido ma con minor impiego di energie nervose (es. lavoro di forza sulle 3 ripetizioni),
4) allenamento generale della forza (forza resistente o misto forza) oppure dell'ipertrofia (nel progressivo
passaggio al sistema del lattato) o anaerobico lattacido (sempre a seconda delle specialità di cui si parla),
5) allenamento della resistenza o vascolare o progressivo muscolare solo di volume (sempre a seconda
della specialità);
fin quì come canoni generali, senza scendere nei dettagli della singola attività sportiva dell'atleta.
Bene, l'allenamento a "fasi", applicandosi alla pesistica o, più in generale, all'atletica pesante, cosa si
propone? Esattamente questo:eliminando di volta in volta - tra quelle generiche sopra descritte - quelle fasi
non attinenti alla specialità che si vuol preparare, consentire la preparazione di più fattori o qualità nella
medesima seduta di allenamento, onde permettere all'atleta una pluralità di obiettivi:
a) influire sul fattore volume; non limitandosi ad allenare in una sessione una sola qualità muscolare,
l'atleta esegue più serie che se rivolte ad una sola qualità avrebbero portato ad esaurimento (si pensi ad un
10x3x90%); invece, interrompendo sempre al momento giusto lo stressor di ciascuna fase di allenamento
ma proseguendo allenando parametri ancora relativamente vergini in quel giorno, si mira (oltre al resto) a
far salire il tonnellaggio complessivo che, in una seduta rivolta esclusivamente alla potenza, sarebbe al
contrario rimasto basso.
b) influire sul fattore frequenza e sulla molteplicità di obiettivi; allenando in una sessione soltanto una
qualità muscolare ed alternando l'allenamento delle varie qualità muscolari necessarie alla disciplina in
successive sessioni (ogni specialità è comunque una somma e sinergia di abilità tecniche e qualità
muscolari), l'atleta avrebbe modo di ripetere la stessa sessione solo a distanza: magari con più serie, ma
sempre di là nel tempo. Perseguendo invece, con il sistema delle fasi, l'allenamento di più qualità nella
stessa seduta - beninteso nel rispetto dei meccanismi di succedaneità sopra esplicati - l'atleta aumenterà la
frequenza di ciascun lavoro specifico (esplosività, forza, forza resistente o eventuale ipertrofia) con
conseguenti probabili benefici nell'adattamento agli stimoli.

In altre parole, facciamo ora degli esempi: dopo essermi debitamente riscaldato, io posso eseguire un certo
numero di alzate singole allenanti, cioè stimolanti la mia esplosività ed il gesto tecnico, prima che la forma
esecutiva o la freschezza scadano.
Dopo potrei andarmene a casa , ma, se recupero 5' sono ancora in grado di eseguire 2 o 3 triple con
l'85% del carico e con 3' di intervallo, perchè mi richiedono minor integrità neuronale (compromessa dalle
singole) ma una sufficiente forza sub massimale che le singole alzate non hanno compromesso e mi tornerà
altrettanto utile per la specialità che pratico.
Ora, potrei sempre andarmene a casa perchè, nel frattempo, la pasta è scotta ma, se recupero altri 5/6'
ed abbasso il carico, con il 75% dell'1RM posso ancora fare anche 5 serie da 5 o 6 ripetizioni che sono
comunque utili, nel computo complessivo, a raggiungere un certo tonnellaggio, che - apparentemente
insulso - si farà sentire beneficamente quando lo avrò moltiplicato per il numero delle sessioni in cui l'ho
eseguito, per i microcicli, per i mesocicli ecc.
Nel frattempo, mi hanno sbattuto fuori di casa ma in compenso...mi sono allenato cazzuto e pesante!

Come si evince facilmente da quanto sopra detto, l'applicazione del sistema a fasi non si esaurisce affatto
nella ricerca dello stimolo ipertrofico e, difatti, nessuno tra gli esempi di serie sopra riportati (3x1 - 3x3 -
3x5) può essere ragionevolmente fatto corrispondere ad un allenamento per l'ipertrofia e questo è il
motivo per cui è stato ripetutamente adottato da atleti di valore di varie discipline inerenti alle specialità di
forza.
Allo stesso modo, sarebbe fuorviante pensare all'utilità di una ipotetica "prima fase" come attivazione per
le successive.
Esaminando gli esempi, appare infatti chiaro che sia le percentuali di carico adottate in ogni fase, sia le
caratteristiche delle serie ed il range delle ripetizioni, mettono tutte le fasi sullo stesso piano qualitativo; la
differenza sta nello scegliere delle tipologie allenanti che abbiano ciascuna in obiettivo una diversa qualità o
specificità allenante e che le medesime siano poste in un ordine di successione tra loro compatibile con i
meccanismi energetici e di lavoro dell'atleta e rispettose dei necessari tempi di recupero.
Si vengono quindi a formare dei set (gruppi) che costituiscono tante mini sessioni, quante sono le qualità
allenate, racchiuse però in unica unità di allenamento.
Avrei, cioè, potuto eseguire questo protocollo:
lunedì: risc.to - 5x1 equipped e passo ad altro esercizio o alzata;
mercol.: " - 5x5x80% secondo il metodo Starr e passo ad altro eserc.;
venerdì: " - 8x3 dinamiche e cambio esercizio.
Invece, preferisco fare:
Lunedi: risc. - 3x1 equipp.o raw - 3x3 - 4x5
Mercol. e Ven.: inserisco altro programma che esula dalla presente trattazione.
Chiaramente, affinchè ciò sia possibile, allenante e redditizio occorre;
- primariamente, rispettare i recuperi (più brevi tra le serie di ogni fase e più lunghi tra le fasi);
- partire con carichi più bassi del proprio RM per ogni fase e incrementare periodicamente - anche non
contemporaneamente in tutte le fasi - lasciando buffer, tranne che alla fine del mesociclo;
- contestualizzare il tutto in un ciclo di preparazione agonistica avente come scopo una gara o un test
particolare, poichè altrimenti il raggiungimento di un picco di forma, al termine del programma ed in quella
singola specialità, limitato ad un breve arco temporale, perderebbe molto del suo senso se non tradotto
efficacemente in un evento che cada in quel periodo.

Questo è ciò che hanno svolto, con comprensibili varianti, molti grandi atleti di forza, tra i quali alcuni già
cennati.
Per quanto riguarda la mia più modesta, particolare e semplice esperienza, posso rammentare - oltre agli
esempi di cui al post in argomento - due ulteriori possibili traduzioni pratiche, già sperimentate in occasione
di Campionati nazionali di PL o di specialità e riferite, in questo caso, all'applicazione del sistema a fasi con
l'uso dell'attrezzatura specifica da gara (non mi dilungo sul loro sviluppo):
bench press
3x1 equipped - 3x2/3 con board - 5x5 raw (75-80%)

stacco da terra
2/3x1 in stile gara (conv. o sumo) - 3x3 altro stile 80% - 3x5 di volume a medio/bassa percentuale di carico.

Fermo restando che potrei proseguire all'infinito sull'argomento , spero di essere comunque riuscito
a chiarire alcuni tuoi dubbi e di aver fornito sufficienti esemplificazioni pratiche.

1. I sistemi con serie a ripetizioni costanti.

Si tratta di sistemi di allenamento nei quali la costante sicura è rappresentata dal numero di
ripetizioni da eseguire nell’ambito delle serie; numero che, appunto, rimane invariato sia nel corso
della sessione sia di tutti i microcicli prefissati.
Le variabili possono essere invece rappresentate dal numero crescente delle serie, a costanza di
carichi, durante gli allenamenti di volume (es. 4x6, 5x6, poi 6x6 ecc.) oppure dai carichi stessi, che
sono incrementabili a costanza di serie e ripetizioni (es. 5x5x75%, 5x5x78%, 5x5x80% e così via).
Queste appena dette sono le progressioni più comuni ma, ovviamente, nulla vieta di aumentare
alternativamente, oppure ondulatoriamente, sia carichi che serie o anche di puntare – molto più
raramente - sulla progressiva e ciclica diminuzione dei recuperi, in quelle sessioni di
condizionamento generale che precedano i mesocicli di forza veri e propri (es. 4x6x70% rest 3’,
4x6x70% rest 2’30”, 4x6x70% rest 2’, segue 4x6x75% rest 3’ e si ricomincia).

Normalmente tali metodi, nell’ambito dei programmi di allenamento per la forza, vengono utilizzati
in apposite sessioni di tipo “medio” o “mediumlight”, che definisco di “appoggio” alle vere e
proprie sedute di allenamento della forza specifica o sub massimale.
In uno schema, che preveda 2 sedute settimanali dedicate ad un determinato esercizio (o alzata), è
possibile portare avanti due diverse metodologie, delle quali una, quella dedicata al volume o al
mantenimento della forza generale acquisita e che ci interessa in questo frangente, può ben essere
rappresentata da un sistema di progressione dei carichi o delle serie a numero di ripetizioni
costanti.

Nella letteratura dell’allenamento e preparazione delle specialità di forza vi sono diverse


esemplificazioni pratiche del genere; proverò a ricordarne qualcuna, sicuramente influenzato dalle
mie esperienze agonistiche personali e dai settori nei quali ho operato.
5x5 di Bill Starr

Nello specifico di questo argomento, è uno dei sistemi a numero di ripetizioni fisse tra i più
conosciuti.

Di regola, partendo dal considerare il “5” come un numero quasi magico , stabilisce
l’invariabilità non solo nel numero delle ripetizioni ma anche delle serie, prevedendo un
progressivo ma costante aumento dei carichi come fattore intensità.
Tecnicamente e didatticamente è stato formulato dal noto preparatore atletico di livello
internazionale Bill Starr.
In realtà, è una versione pressoché corretta e rielaborata del vecchio programma di allenamento
seguito negli anni ’50 dal bodybuiler inglese Reg Park.
Siccome Starr è venuto dopo Park e sa vendersi molto bene (oltre ad essere senz'altro molto
bravo), quasi tutti conoscono questo sistema tra i metodi di base per l'incremento della forza a
partire da quando il celebre allenatore lo ha lanciato pubblicando, circa 30 anni fa, il suo "Only the
strongest shall survive", che fece tale fortuna da costituire tuttora il titolo della sua rubrica fissa sul
periodico Ironman.
Il sistema prevede che il carico possa essere aumentato nel corso dei microcicli solo quando nella
seduta precedente tutte le ripetizioni di tutte le serie siano state completate con successo; in caso
contrario, il carico deve essere mantenuto inalterato; qualora si verifichi addirittura un decremento
prestazionale per il quale, con un carico aumentato, non siano state completate perlomeno 14/15
ripetizioni totali nelle 5 serie preventivate, il carico va adeguatamente diminuito (es.1 – 100kg. x
5/5/4/3/3 in 5 serie: il carico resta invariato nella sessione successiva; es.2 – 100kg. x 4/3/3/2/2, il
carico diminuisce).
E’ evidente che per ottenere una progressione sufficientemente duratura del sistema è opportuno
iniziare con una percentuale di carico moderata - nell’ordine del 75% e anche meno - e procedere
con incrementi nell’ordine del 2%.
In alcune varianti apportate al sistema originario, Starr ha previsto – sempre nell’ambito delle 5
serie complessive - 2 serie di avvicinamento all’intensità allenante e 3 successive serie clou, es: 5x5x
risp.te 90/95/100/100/100 kg.
A mio avviso, le progressioni di carico e il sistema in generale così concepito funziona con efficacia
quanto più l’atleta sia in fasi iniziali o intermedie; con l'atleta avanzato e ancor più sull'esercizio
dove è maggiormente avanzato non funzionano più; ecco perchè Starr aveva buon gioco a
prevedere questo sistema su esercitazioni di potenziamento funzionali al gesto di gara, nella
preparazione di atleti sui quali dovesse esser rivolto un transfert successivo nella loro specialità, ma
non sul gesto stesso; chi le ha utilizzate sull'esercizio di gara, dopo 1 o 2 esperienze, generalmente,
non ha raccolto risultati apprezzabili.

Il “Sollevatore paziente”

E’ il sistema elaborato e diffuso da Charles Poliquin e fondato sulla metodologia degli “sforzi
ripetuti”.
Non differisce granchè dal precedente sistema di Starr poiché, come quello, si basa sulla ripetitività
dello stesso numero di ripetizioni a costanza di serie, prevedendo un graduale incremento dei
carichi.
Le sole differenze sono date dal numero di ripetizioni che scendono da 5 a 4 e dal numero
complessivo delle serie che sale a 6, quasi come si intendesse in tal modo lasciar inalterato il
volume complessivo delle alzate.
Il celebre preparatore canadese prevede un carico base oscillante tra l’80 e l’87% (a seconda del
periodo temporale per il quale si intenda protrarre lo schema), con un incremento sui carichi solo
allorché vengano completate tutte le previste 4 ripetizioni delle 6 serie, pena una ripetitività
estenuante della routine da parte del lifter che, proprio per questo, deve essere necessariamente…
molto paziente §#f .
In un programma a medio/lungo termine, che preveda una sessione fissa basata sulle serie a
numero di ripetizioni costanti, i sistemi di Starr e Poliquin potrebbero completarsi
vicendevolmente, con i dovuti accorgimenti, e succedersi nei mesocicli:
es.) 5 o 6 settimane con 5x5 e successivo mesociclo di analoga durata con 6x4.

La variabile della serie


A differenza dei precedenti casi menzionati, in questa applicazione si da per costante non solo il
numero delle ripetizioni (generalmente 5) ma anche un carico prestabilito; la variabile è invece
rappresentata dal numero delle serie che aumenta in ogni microciclo, per totalizzare, al termine del
mesociclo, un cospicuo volume di lavoro di forza alla data intensità di carico predeterminata.
Es.) 6 microcicli con il seguente sviluppo: 5/6/7/8/9/10 x 5 x 80%.
La scelta delle 5 ripetizioni non è casuale ma dettata da alcune considerazioni, pur sempre
approssimate e convenzionali, ma che tuttavia scaturiscono da basi di fisiologia muscolare.
Si parte dal presupposto che il tempo necessario ad effettuare non oltre 6 ripetizioni, con un carico
ad esse proporzionali, possa incidere considerevolmente sulla qualità di forza muscolare e che, nel
contempo, tenersi sopra il range delle 2-3 ripetizioni consenta di non sovraccaricare l’SNC in
maniera apprezzabile.
Ecco perché le sessioni che tendono a migliorare o mantenere i livelli di allenamento della forza
generale – e quindi i volumi di lavoro su detto parametro – senza sfociare nella forza sub massimale
o in quella specifica per le prove di gara, si incentrano prevalentemente tra le 4 e le 6 ripetizioni.
In questo intervallo è possibile allenare la forza nella sua accezione più classica dell’espressione
muscolare; con un’intensità maggiore, che implichi un ridotto numero di ripetizioni, la qualità di
forza si mescola alle qualità di potenza ed esplosività – peraltro non meno importanti – ed entra
anche massicciamente in gioco il ruolo del sistema nervoso; con un’intensità minore (e più
ripetizioni) la forza permane ma trasforma le proprie caratteristiche in forza resistente e resistenza
alla forza.
Come sempre, tutto dipende dagli obiettivi contingenti ed a medio termine, dalle specialità
praticate e dai parametri che si intendono allenare, migliorare o, semplicemente, a cui dedicarsi in
quel frangente temporale.

Lo schema a fasi del volume di forza


Nel corso degli anni si è tentato di periodizzare il lavoro sulla forza generale non limitandosi a
dedicarvi un unico mesociclo o una sessione stabile di mantenimento e richiamo ma ciclizzando i
microcicli fondati su sistemi a numero di ripetizione costante nell’ambito di più mesocicli.
Tra i tentativi del genere, si può segnalare quello del Dott. Mauro Di Pasquale, campione di
powerlifting italo canadese e medico ricercatore di chiara fama.
In alcuni scritti su riviste specializzate, egli ha sostenuto di aver preparato la partecipazione ai
Campionati del Mondo con programmi di allenamento articolati in 18 settimane e suddivisi in 3
mesocicli ciascuno.
Nei primi 2 mesocicli attuava un lavoro incentrato esclusivamente sulla forza generale e consistente
in media di 5 micocrocicli + 1 di scarico in ogni mesociclo: in ciascuno di essi, lavorava l’alzata in
2xweek con, rispettivamente, 5 serie da 6 ripetizioni nel primo mesociclo e 5 da 4 nel secondo.
Dopo 12 settimane si procedeva al mesociclo di intensità fondato su 5 microcicli, nei quali la
sessione di forza generale si riduceva ad una sola e veniva inserita la sessione di forza specifica e
massimale (che esula dall’odierno articolo); in un’altra seduta settimanale erano trattati i
complementari agli esercizi di gara.

Stephan Korte, campione di PL degli anni ’90, ha anch’egli dedicato un intero mesociclo – da lui
definito 1^ fase – al lavoro di volume con serie a numero di ripetizioni costanti. Tale fase durava 4
settimane, in un ciclo di 8 settimane complessive da 2 fasi. Korte eseguiva dai 2 ai 3 cicli così
pianificati in previsione di una competizione mondiale, per un totale di 17-25 settimane compreso
lo scarico pre-gara.
Pur essendomi ripromesso, nel prologo del thread, di non trattare programmi specifici di PL già
ampiamente descritti o commentati da altri autori nel forum, farò prossimamente un’ eccezione
per il Korte 3x3.

In materia di ciclizzazione del lavoro di volume sulla forza, vorrei esporre un programma che mi fu
proposto diversi anni or sono e che attuai con discreti risultati.
Consiste in un macrociclo di 14-15 microcicli settimanali, raggruppati in 3 mesocicli, rispettivamente
di 4 - 4 - 5/6 microcicli (più quello finale di scarico), con tre sessioni settimanali di allenamento.
In esso e per tutta la durata del programma, è previsto stabilmente il lavoro di forza generale con
serie a numero di ripetizioni costanti, nella misura di 1 seduta settimanale.
Attuai il programma ovviamente…..per la specialità di bench press… (e come potevasi
dubitarne), inserendovi ed applicandovi gli accorgimenti che tale fattispecie richiedeva;
analogamente, negli anni successivi, l’ho propinato a molti ragazzi perché lo considero un buon
approccio per creare le giuste basi della forza, inserendo contestualmente delle esercitazioni
tecniche “ad hoc” (l’assimilazione del “fermo”, nel caso della panca).
Rappresenta, a mio avviso, un mezzo utile e di facile assimilazione per un graduale ma consistente
passaggio dall’allenamento con i pesi generico e della forza più in particolare a quello con velleità
agonistiche e peculiarità di specializzazione, che tuttavia non trascuri appunto le solide basi di forza
generale, importanti per tutti ma ancor più per i giovani e gli atleti in fase di sviluppo e maturazione
a livelli intermedi.
Il programma consisteva in 3 sessioni nell’ambito del microciclo settimanale, con due sedute
dedicate all’alzata/alzate clou.
Tralascio di descrivere l’intero programma, in quanto non pertinente, ed espongo lo schema di
lavoro sull’esercizio prioritario nelle due sessioni, l’una di volume sulla forza generale e l’altra più
specifica su quella sub massimale, prendendo sempre ad esempio la bench press.
I mesociclo (4 microcicli):
sessione A) 4/5/6/4 x 5 x 75%,
sessione B) 3x3 (1” fermo)x 75-80-85-87% e 2x3 (3”)x 70-75-80-82%);
II mesociclo (4 microcicli):
sess. A) 4/5/6/4 x 5 x 78-80%,
sess. B) 3x3 (1”) x 77-82-85-90% e 2x3 (3”) x 72-77-82-85%;
III mesociclo (6 microcicli):
sess. A) 4/5/6/5/5/4 x 5 x 80-85%,
sess. B)
1x1f. x 88-90-92-94-90-90%,
2x2 f. x 85-88%,
3x3 no f. x 85%.

Se si prescinde dall’esecuzione del “fermo”, uno schema analogo può essere utilizzato in 2xweek
anche per lo squat o la distensione lenta; idem per lo stacco da terra, qualora si applichino degli
esercizi specifici nella sessione B (rialzi e pin pull) con le serie da 2/3 rip. e venga magari eseguito lo
stacco in stile non conforme alla gara in alcune sessioni A.
Come si può vedere le possibilità di spaziare sono molteplici.
ecco che arrivano le domande
Tony, quando parli del Bill Starr indichi che questo metodo e' utilizzato spesso nelle sedute di
volume, con percentuali tra il 75% e l'85% se non sbaglio. questo e' quello che riguarda una seduta.
rimanendo sulle 4-6 RM non si stressa il SNC con i conseguenti problemi che ne seguono. ok, fin qui
ci siamo. una domandina, dopo un volume di circa 25-30 rep, reputi necessario inserire
complementari in questa sessione? e se si quanto/i? io sono uno di quelli che odia i manubri,
preferisco lavorare con il bilanciere in mano (mi ricorda della mia tanto amata fava e sono contento
quando posso fare panca stretta con un volume decente (tipo 5x5).

poi indichi che l'altra seduta dovrebbe essere piu' diretta verso la forza submassimale.
ecco, qui mi sorge un dubbio.
allenando la forza submassimale prevede anche un certo tipo di % almeno un giorno per settimana
giusto?
non e' nocivo per il SNC?
hai altri approcci che siano diversi dal korte?

scusa, quante domande che ti ho fatto

allora, provo a risponderti così vediamo se ho capito le domande.

1) per quanto riguarda i complementari: per mie convinzioni e impostazioni ricevute da chi in passato mi ha
guidato, non inserisco mai i complementari sinergici - ossia riguardanti la stessa catena cinetica
dell'esercizio base - nella medesima sessione in cui ho allenato l'alzata principale; a meno che chiaramente
non sia stata una sessione squisitamente tecnica e blanda come intensità.
Non prediligo routine nelle quali alla bench press (ad esempio ) discretamente pesante segua il lento
avanti, la french press, i dip o la panca stretta, poichè parto da quest'ordine di considerazioni: nel fare la
bench press, i deltoidi e i tricipiti si stancano prima del pettorale per minor estensione volumetrica delle
fasce muscolari e ridotta capacità di carico; in altre parole, quando non completo l'ultima serie prevista di
bench, è presumibilmente perchè va in stallo il tricipite e non il gran pettorale.
Dunque, se dopo una buona seduta di panca riesco ad allenare isolatamente il tricipite o il deltoide
anteriore, vuol dire che ho sotto allenato l'alzata clou; se invece ho rispettato il programma allenante sulla
bench press, i lavori di isolamento sui muscoli più piccoli ne risentiranno e mi condurranno il muscolo in
overtraining lattacido per la prossima seduta o, quanto meno, non sarò in grado di allenarli in sufficiente
condizione di integrità di ATP.
Il discorso sarebbe al contrario valido se fossi interessato ad una routine di bodybuilding: in tal caso il
muscolo prestancato lavorerebbe a bassa intensità ma in alta acidosi e mi condurrebbe (si spera) ad un
buon pompaggio o grado di resistenza al volume di lavoro per le serie a cedimento; già....ma poichè non
alleno bodybuilders , questa condizione non mi interessa e cerco di mantenere le migliori condizioni di
integrità alattacida dell'atleta affinchè esprima il proprio potenziale di forza e potenza ed evito di abbinare
esercizi che lo costringerebbero ad affontare, ad esempio, 8 serie allenanti sul gruppo muscolare maggiore
(nel caso della bench press, sul pettorale) e 12 sul minore (ad esempio 4 di lento avanti + 8 di bench per il
deltoide anteriore), che per me rappresenterebbe un controsenso.
Quindi, in un eventuale programma 2xweek sull'alzata "X", mi regolo così:
sessione A) bench/squat,
sessione B) complementari di bench o di squat o entrambi
sessione C) bench/ squat
E' un esempio tra i più classici ma vi sono anche altre possibili combinazioni.
In un programma 3xweek sull'alzata, il discorso cambia (non a caso Korte non prevede complementari) ma
esula dalla trattazione degli schemi sopra descritti.
Alla luce di ciò, se ti piace la panca stretta (grande esercizio pure per me) e la vuoi inserire in un contesto
che preveda il sistema di volume con ripetizioni costanti (per restare in tema), io non la farei seguire ad una
routine di bench nella medesima seduta, bensì prevederei:
1^ sed.) bench press di volume con una delle tipologie descritte,
2^ sed.) bench press close grip o altro complementare (anche 1 compl. tricip. e 1 deltoide da 4+4 serie
contro ev.li 8 di panca nelle altre sessioni,
3^ sed) bench press (2° sess.) di foza sub mass.le o special.ne tecnica o ecc.
Invece, nelle sessioni dedicate alle alzate principali, inserirei gli esercizi o i complementari per gli
antagonisti (es. trazioni, curl bicipiti) che non sono stati già stressati e possono quindi lavorare anch'essi sul
parametro forza con serie da 5/6 rip (multiarticolari) o stile BB (in isolamento: es, bicipiti e polpacci).
Per quanto riguarda i manubri, non li utilizzo molto ma...li uso: distensioni per le spalle, su panca inclin.,
rematore, bicipiti, sempre nel rispetto delle osservazioni sopra cennate.
E' chiaro che poi, in chiave agonistica, questi esempi non sono applicabili per tutta la durata della stagione
ma opportunamente ciclizzati, soprattutto se deve essere inserito il lavoro equipaggiato.

2) non stressare l'SNC, non vuol dire non coinvolgerlo mai....altrimenti dobbiamo rinunciare al PL, a tutti gli
sport di potenza che su esso si basano ed in generale all'allenamento di qualità atletiche importanti
(potenza, esplosività, destrezza, ecc.).
Il discorso era un altro: poichè coinvolgiamo appunto in maniera preponderante il Sistema Nervoso
nell'allenamento delle potenza, della forza max e sub mass., nell'allenamento delle specialità di gara e così
via - dalle quali l'agonista non può prescindere - se vogliamo pure dedicare una sessione o un microciclo o
anche un intero mesociclo all'allenamento della qualità fisica della forza, generalmente intesa nel suo
approccio più squisitamente muscolare e senza che siano percentualmente altrettanto coinvolte altre
qualità come la potenza, la reattività ecc., in questo caso possiamo mantenerci su quel range di 4-6
ripetizioni che - approssimativamente - è stato dimostrato allenare la forza senza ricorrere a parametri
diversi di esplosività, specializzazione tecnica dell'esercizio, risposta neuronale come nel range 1-3 e,
contemporaneamente, senza rischiare di transitare eccessivamente sul piano del lavoro lattacido e della
forza resistente, come nel caso di serie superiori alle 6 ripetizioni.
E' ovvio che poi, se ci interessa la potenza e l'attività agonistica nelle specialità di forza, dovremo ben
dedicare delle sessioni all'allenamento di queste qualità, coinvolgendo l'SNC senza timore (in quel caso) di
stressarlo; intanto perchè recupera celermente, secondo perchè deve essere allenato a sua volta per farci
eccellere dove desideriamo.
L'importante è scegliere il giusto mezzo allenante per ciascuna qualità che si voglia allenare, nella seduta
prescelta e nel periodo in cui è pianificato che venga allenata.

3) riguardo al 3° punto, forse, non ho capito la domanda.


Che significa "hai altri approcci diversi dal Korte"? Non mi pare di aver indicato solo il Korte, anzi, in
questo 3D l'ho appena citato.
Ogni approccio è valido se parte da premesse fondate ed è adatto a chi lo mette in opera e nel momento in
cui lo fa.
Quasi tutte le metodiche descritte hanno ben poco a che vedere con il Korte: "onde", "fasi", "Starr", ecc.; la
stessa ciclizzazione del lavoro di volume su serie a ripetizioni costanti può essere attuata con il Korte (1^
fase) ma altrettanto bene senza (ho citato Di Pasquale, Starr e Poliquin).
L'ultimo esempio del mio post - quello basato su una seduta A) di volume della forza generale e B)
sull'allenamento sub massimale e tecnico della specialità - è uno schema di allenamento sulla forza (sia
generale sia submax.), che ho applicato più volte in passato e fatto fare, praticamente, a tutti i ragazzi che
ho allenato: ma non è il Korte.
Ho attuato il Korte - è vero - e ne ho una ottima considerazione ma lo ritengo un programma comunque
specialistico su "the three lifts" per atleti che abbiano già maturato diverse esperienze di sistemi, non lo
utilizzerei come primo metodo di allenamento per un atleta, almeno integralmente; perchè prima di fare
panca, squat e stacco 3xweek, credo che si possa transitare per altre strade di maturazione.
Non a caso, i miei Tony's ancora non l'hanno affrontato; per me è diverso.....sono un vecio

I SISTEMI BASATI SUL VOLUME

I) Applicazioni e varianti del sistema di Korte

Inizialmente ero convinto di escludere dalla presente trattazione la descrizione approfondita di alcuni
noti sistemi di allenamento in uso nel PL e già ampiamente illustrati nel web da valenti studiosi e cultori
della materia, limitandomi ai cenni già pubblicati nel post precedente.
Tuttavia, ritengo ora di dover fare qualche eccezione a questo impegno, tenendo presente che talune
applicazioni organizzate di metodi di lavoro sono spesso state utilizzate, in toto o parzialmente, anche a fini
diversi da quelli precipui per i quali erano precedentemente state previste, ossia a scopi sostanzialmente di
potenziamento o propedeutici per discipline similari ma sempre attinenti ovviamente alle qualità di forza.
Tra esse, ci sono senz’altro il sistema “Korte 3x3” dell’omonimo powerlifter tedesco ed il cosiddetto “ciclo
russo”, nelle molte varianti diffuse da noi in Occidente, fra cui quella pubblicata su “Brawn”, molti anni fa,
da Stuart Mc Robert e quella commentata molto più recentemente su diversi fora dall’inimitabile
IronPaolo.
Si può notare come entrambi i sistemi (Korte e Ciclo russo) fondino la loro filosofia portante su di una
consistente fase di volume che ne condiziona e determina tutto il successivo sviluppo.
Tralasciando per il momento la metodologia russa, mi vorrei invece soffermare proprio sul Korte, che pure
ha avuto tante esplicazioni e varianti sul tema e, tra tutte, una delle più famose in Italia ad opera di Carlo
Buzzichelli.
Del resto, ho potuto appurare che tra gli appassionati del settore suscita sempre molte curiosità e
domande, in apparente contraddizione peraltro con la sua austera stringatezza.
La versione originale del Korte la trovate proprio in questa sezione del forum nel topic dei links consigliati e
posti in rilievo: fra le altre cose è scritta in un inglese veramente semplice ed accessibile praticamente a
chiunque, con assenza quasi totale di tecnicismi sportivi, per cui non credo, nei tempi d’oggi, sia necessaria
alcuna traduzione.
Com’è noto, il “Korte 3x3” si dedicava all’allenamento delle “three lifts” (squat, bench press, deadlift) da
effettuarsi in 3xweek: da qui appunto l’acronimo di 3x3 coniato dall’autore….che non intendeva
raccomandare 3 serie da 3 ripetizioni!
Esiste comunque e altrettanto originale una versione di Korte per la sola specialità di bench press, che non
è altro che l’applicazione del sistema, “sic et simpliciter” e senza operare varianti, ad una sola specialità e
che pertanto, con un po’ di fantasia, potrebbe applicarsi al solo squat e, con molto più masochismo (dato il
numero di rep.), anche allo stacco.
Il sistema consta di un ciclo di 8 settimane distribuito in 2 fasi da 4, delle quali, la prima dedicata
sostanzialmente al volume (cosiddetta fase di accumulo) e la seconda ad un trasfert specialistico sul
periodo competitivo.
Korte era solito ripetere il ciclo 2 o 3 volte, alternando così fasi di volume generale ad altre più rivolte
all’intensità del carico, in modo da non disperdere, nel corso dell’intero programma, la memoria muscolare
su nessuna delle caratteristiche allenate.
Ne consegue che, denominando macrociclo tutto il programma nella sua globalità, potremmo parlare di
mesociclo per ciascun ciclo base così distribuito in due fasi, fermo restando il classico microciclo
settimanale da 3 sessioni, che prevede lo sviluppo dei carichi con il trascorrere delle settimane stesse.
Il tutto ovviamente da modulare, per gli agonisti, in sintonia con le date e gli appuntamenti principali della
propria stagione di gare.
La fase di accumulo – incentrata proprio sul lavoro di quantità – è quella che ha sempre riscosso i maggiori
favori nei cultori del Korte, per la sua essenzialità ed efficacia, rispetto alla seconda fase che ha subito
modifiche e rettifiche negli anni dagli addetti ai lavori.
Prova ne sia che anche molti atleti e tecnici non interessati al PL si sono ispirati alla prima fase del Korte per
pianificare allenamenti sulle specialità di forza, laddove occorresse svolgere lavori iniziali di
condizionamento generale e di capillarizzazione, prima di addentrarsi nello specifico delle discipline ed
attività agonistiche di ciascuno.
Ora, evitando di aggiungere nuove superflue varianti al piano tout court, ho preferito incentrare la mia
analisi su alcuni punti focali in ordine al programma – rilevati nel corso degli anni e degli allenamenti svolti
sia personalmente che da atleti da me seguiti – per esaminare alcuni aspetti e proporre dei motivi di
approfondimento, con relative e semplici proposte attuative, che non alterino uno schema elaborato da un
grande campione e studioso ma si limitino a fornire un piccolo contributo per cercare soluzioni a casistiche
più vicine alla nostra realtà (soprattutto nazionale) e ad un’ utenza cui, talvolta, interessa qualche piccolo
accorgimento per un agonismo diversamente orientato (allenamenti sulla forza ma non sempre a scopo di
PL puro e completo) o variamente attrezzato (equipped, raw o saltuariamente e parzialmente equipped).
I contributi che apporto e le conclusioni che traggo si riferiscono esplicitamente alla specialità di bench
press, in quanto è quella da me più vissuta all’atto pratico. In tal senso nei commenti, ferma restando la
portata il più possibile vasta dell’argomento, mi rivolgo soprattutto e in particolare a coloro che intendano
sperimentare il “sistema Korte” in relativa o esclusiva preparazione della distensione su panca.
Tuttavia, nulla vieta di prendere spunto da questa disamina per far scaturire analoghe riflessioni su altre
discipline, sempre beninteso basate sulla forza, ove si volesse applicare il suddetto programma per
derivarne diversi adattamenti che fondino cionondimeno il loro sviluppo sui capisaldi del sistema originale.
Premetto, per i frequentatori di altri siti, che riscontreranno come gran parte del mio discorso replichi
discussioni già sviscerate altrove ma l’intento è proprio quello di raccogliere in un unico saggio le mie
riflessioni sull’argomento per farne parte integrante del presente scritto sui metodi ed i sistemi di
allenamento della forza, come tra l’altro sperimentati proprio dal sottoscritto.
Prescindo quindi da un prologo dettagliato per i meno addentro nella questione, che avranno modo di
conoscere il Korte studiandolo nei 3D in rilievo a cui rimando, e passo ad affrontare i diversi punti del
sistema che mi preme sottolineare.
1) TONNELLAGGIO -
la prima fase del Korte si fonda sul volume e parte dal presupposto che proprio questo e la multifrequenza
(che porta altro volume) dovrebbero garantire un'automazione ottimale nell'esecuzione dell'esercizio: in
sintesi, più cammini e più sai camminare, più corri e più impari a correre; per questo prevede 3 sessioni
settimanali (ora, nel nostro esempio, di bench press) da 6/8 serie x 6 ripetizioni.
Si può discutere per la legge dei grandi numeri se sia 6 il “numero magico” propugnato da Korte piuttosto
che il 5 di Bill starr, se occorrano delle serie in più o meno, su quanto recuperare e quali siano le percentuali
adatte, ma è altresì evidente che in questa prima fase la distinzione di lavori tra giorno pesante e giorno
leggero presente in altri autori non c'è; dunque, se operiamo dei cambiamenti in riscontro alle osservazioni
iniziali (numero delle serie, recuperi e percentuali), abbiamo degli adattamenti soggettivi ad un metodo
(diverse applicazioni o variabili del sistema), se al contrario, ci impelaghiamo a forzarne lo spirito originario

con introduzioni di sedute light o heawy, di sessioni ME o DE – come accaduto in qualche caso - lo
stravolgiamo e tanto varrebbe quindi seguire direttamente altri metodi.
Credo che se c'è un'alzata alla quale il Korte ben si adatti questa sia proprio la bench press: io, francamente,
8x6 di stacco da terra, ad un mio ragazzo, non gliele propinerei per così tante sessioni e settimane.
Solitamente, seguendo il concetto base che ispira la prima fase del Korte - che lui definisce appunto " High
Volume Phase" - preferisco in essa concentrarmi precisamente sul volume, cioè sulle serie (perchè
l'aumento delle ripetizioni muterebbe il fine dell'allenamento, per motivi fisiologici e cambierebbe il
parametro di riferimento), piuttosto che sui carichi ed in questo differisco da opinioni di altri colleghi, che
stimo in ogni caso altrettanto valide; piuttosto, rimando alla seconda fase lo sviluppo dell'intensità.
Per cui mantenendo invariate le percentuali (come prescrive Korte), gioco e creo varietà con l'aumento
ondulatorio delle serie, modificando in piccola parte l'applicazione originale ma rispettando la media del
range prestabilito di ripetizioni (6-8).
Mi spiego: a) cerco di creare una progressione tra le sedute che dia, nel corso del microciclo, una
sensazione di crescita all'atleta, che viceversa vede a lungo costanti e monotone le percentuali (programmo
3 sessioni, tutte in aumento di serie);
b) faccio poi coincidere il piccolo incremento di carico di ognuno dei microcicli (2%) con uno scarico di
volume (per cui le serie tornano ad essere 6 ogni inizio di microciclo, in coincidenza con l'aumento del
carico);
c) pianifico un innalzamento del volume complessivo interno al mesociclo per cui - avendo davanti l'intera
schermata della fase sotto raffigurata - si può notare che ad ogni sessione di una settimana corrisponde un
numero uguale o superiore di serie rispetto non solo alla seduta precedente ma anche alla corrispettiva
sessione dei microcicli già conclusi, pure qualora vi fosse decremento rispetto all'ultima sessione del
microciclo immediatamente precedente (per motivi di scarico).
Complessivamente perciò ed a parità di ripetizioni, ogni microciclo sviluppa più serie di quelli pregressi ma
le serie totali al termine della fase differiscono pochissimo, nel numero, da quelle previste da Korte entro il
limite massimo: ossia, nell'originale stesura, 8 serie x 3 sessioni x 4 microcicli = 96 serie da 6 ripetizioni.
In sintesi, normalmente, ho previsto:
1° microciclo: 6x6 - 7x6 - 8x6 = 21 serie,
2° microciclo: 6x6 - 8x6 - 9x6 = 23 serie,
3° microciclo: 6x6 - 8/9x6 - 10/11x6 = 24/26 serie,
4° microciclo: 6x6 - 9x6 - 11/12x6 = 26/27 serie,
tot. 94/ 97 serie, <2 >1 rispetto al tot. sul max (attenzione!) di Korte che è = 96.

Sembra complicato a scriverlo mentre a pensarlo, più che la matematica,.... mi soccorre la logica
aristotelica.

2) PERCENTUALI -
per 4 settimane sarebbero previste 6/8 serie da 6 ripetizioni per 3 volte/sett.li e io questo inizialmente farei.

Il problema sono le percentuali, perchè Korte era un agonista che mirava alla competizione e le percentuali
le calcolava su di un obiettivo realistico da perseguire geared; se si gareggia raw o non si gareggia proprio i
conti non tornano, perchè i carichi potrebbero essere troppo modesti (anche se occorre tener conto che
rispetto ai tempi di Korte l'attrezzatura paga molto di più): correggerei verso l'alto le originarie 58-60-62-
64% di progressione nei 4 microcicli in 68-70-72-74% rispetto ad un realistico obiettivo di PR raw.
Poi, visto che il sistema originario mi lascia un margine di alternative (6-8 serie), apporterei un'altra variante
di progressione tra le sessioni settimanali, che non inficia minimamente il sistema; e potrei prevedere:
1°) 6x6x68% - 7x6x68% - 8x6x68%, poi nel 2° microciclo con l'aumento del carico (70%) tornerei indietro e
ricomincerei la progressione, e così per tutti e 4 i microcicli della prima fase.
In una nuova prima fase di un secondo ciclo da 8 settimane, quando sono ormai sufficientemente rodato,
svilupperei: 6x6xn - 8x6xn - 10x6xn per ogni microciclo.

Non è esatto neanche parlare di una versione "for bench press raw"; in realtà, l'adattamento delle
percentuali dipende essenzialmente dall'atleta che si ha di fronte. Nel caso di un atleta raw e di non
navigata esperienza su panca, si potrebbe formulare una proposta che avrebbe però potuto essere
diversamente congegnata qualora l'atleta fosse stato un altro ed avesse avuto intenzione di gareggiare
equipped.

3) EQUILIBRI e RAPPORTI -
è chiaro che le percentuali che Korte riporta (58 - 64% nella prima fase) e che lui riferisce ad un geared,
hanno poco senso dirette ad un raw; per questo le vedrei lievitate di un 10%, fermo restando che - in
questo caso - occorre partire dall' 1RM unequipped, perchè altrimenti allenarsi raw, in volume e con un
8x6x70% del proprio RM geared non ha molto senso e diventa improponibile.
Faccio un esempio pratico: ho un ragazzo che vale 180 kg. di max geared; Korte mi dice di crearmi un
obiettivo realistico di progresso (del 5%) e di calcolare, su quel max presunto, il 60% medio per farlo
allenare raw in 8x6 con quel carico.
Se applico alla lettera il concetto e considero 190kg. di possibile obiettivo, mi viene 60%di 190 = 114kg, che
è comunque per lui un peso difficile per eseguire correttamente 6-8x6 in 3xweek da raw. E' chiaro però che
se il ragazzo gareggiasse raw ed io dovessi calcolare un 60% dal suo ipotetico massimale unequipped, che
scende a quota 150kg., mi verrebbe: 60% di 150= 90kg, che potrebbe effettivamente risultare troppo
blando; in tale ultimo caso devo innalzare le percentuali di calcolo sul massimale raw.
Questo introduce anche un altro discorso: lo sviluppo dell'attrezzatura, in questi ultimi anni e rispetto ai
tempi di Korte, ha dilatato le differenze tra il raw ed il geared, costringendo anche a cambiare l'approccio
con i carichi equipped.
Di conseguenza, le percentuali Korte della seconda fase, nella sessione clou da eseguire equipped (e cioè 80
- 85 - 90 - 95%), non sono più realistiche: perchè chi potrebbe mai scendere con le attuali nuove e
performanti maglie con l'80% del proprio 1RM full geared?
E' ben vero che Korte consiglia una maglia larga e non da gara per i primi 2 microcicli; ma sarebbero poi
sufficienti gli altri 2 microcicli per rifinire una preparazione specialistica in assetto? E, nel caso lo fossero, lo
sarebbero comunque se rapportati ad un atleta non avanzatissimo?
Ecco perchè la risposta a queste domande rimane - a mio avviso - nella necessità di adeguare le percentuali
della seconda fase ai mutati tempi, rispettando tuttavia la filosofia di quel programma inizialmente
prescelto e che - ormai - si suppone sia in questa seconda fase già più che inoltrato nell'attuazione.
Nell’eventualità della panca raw, invece, occorrerà analogamente adeguare alcune percentuali - che ad
onor del vero Korte prevedeva solo per l'equipped - perchè le alzate singole effettuate con l'80 o 85% del
max. raw potrebbero risultare in realtà qualitativamente poco consistenti.

1. 4) COMPLEMENTARI -
riferendomi sempre alla prima fase e per tutto ciò che non riguarda la catena cinetica direttamente
interessata dalla panca, mi regolerei con quello che mi pare e quando mi pare: dorsali, bicipiti,
cosce, gambe, addominali e lombari.
Per quanto attiene a spalle e tricipiti, già ampiamente stressati, farei 1 solo complementare a
seduta da 4 serie da 6-8 rip., e nello specifico:
per i tricipiti - escludendo la panca stretta (già troppa panca) e le parallele (troppo sovraccarico per
petto e spalle), opterei per la french press in 1xweek o per l'esercizio di abduzione posteriore del
bilanciere (slanci dietro), che incide molto anche sulla zona posteriore delle spalle;
per le spalle e il trapezio - escludendo shoulder press e push press (troppo invasive dopo 6/8 serie
di bench), farei shrug 1xweek e una qualche overhead lockout sempre 1xweek oltre (e sempre)
extrarotatori a caso nella settimana.
Recuperi: in questa fase dovrebbero stare tra i 2 e i 3' (no 4' o 5'!), perchè il lavoro è di grossa mole
ma i carichi sono modesti.

5) SECONDA FASE -
Korte prevede una seduta a percentuali alte ed equipped da 1/2x1 con 80-85-90-95%; con alzate
raw io la trasformerei in 2x1 da:
1°) 88/90% - 2°) 90/92% - 3°) 92/94% - 4°) 94/96%.
Così facendo, però, corriamo il rischio di approssimare un po' genericamente, mentre sarebbe
importante vedere le esecuzioni dell'atleta e come reagisce agli stimoli, altrimenti stiamo solo
dando i numeri.
Pragmaticamente, suggerirei di arrotondare tutte le percentuali con progressioni di 2,5kg ogni volta
(sperando che l'attrezzatura della palestra consenta tali progressioni) e tale arrotondamento
andrebbe messo in conto anche per le percentuali dei carichi di volume della prima fase.
Per le altre due sessioni, Korte prevede un 5x4x60%, che dovremmo alzare a 70% del raw e che
attuerei - unica modifica sostanziale - per una sola sessione settimanale di semi-scarico ed eseguirei
con il "fermo", lasciando poi la terza seduta ad un'altra tipologia che, però, tanto varrà esaminare
più avanti, senza mettere ulteriore carne al fuoco.
Di fatto, la seconda fase è l'unica in cui apporto qualche modifica di sostanza anzichè semplici
adeguamenti. In pratica:
a) per quanto concerne la sessione d'intensità, si è praticamente già detto che occorre operare in
relazione alle esigenze agonistiche dell'atleta (curriculum e obiettivo agonistico, sia esso equipped o
non);
b) al lavoro incentrato sulla singola alzata o doppia singola - così come previsto da Korte -
aggiungerei un complementare sinergico come la board press (nel caso di atleta geared) o la floor
press (per gli unequipped), da svolgere sulla traccia di 3 - 6 serie da 2 ripetizioni (max. 3) ciascuna;
c) lascerei invariata una delle due sedute in cui è contemplato il lavoro raw da 5x4x60% (o 70% del
calcolo sull'1RM raw), perchè può essere un'utile sessione soft rispetto a quella hard d'intensità, e
approfitterei del carico medio leggero per svolgere tutte le ripetizioni con il "fermo" al petto (come
suggerisce lo stesso Korte), favorendo in tal modo un lavoro tecnico: credo sia l'unica sessione
settimanale dove possa essere, a buona ragione, inserito un esercizio di assistenza aspecifico per
spalle o tricipiti (non più di 3 o 4 serie a media intensità);
d) cambierei invece la terza seduta, assegnandole i connotati di una sessione "media" incentrata
sulla forza (laddove le altre due sedute sono precipuamente dedicate al lavoro tecnico, specialistico
e/o di potenza).
Vedo favorevolmente un lavoro a fasi del tipo 3x3 - 3x5, scegliendo non a caso questa coppia di
ripetizioni, che è stata esclusa dalle altre due sedute (5x4 oppure 1/2x1 oppure lavoro di board o di
floor da 2 rip.), per incidere così facendo su dei diversi tempi esecutivi nel lavoro di forza costante.
In alternativa, nel corso dei 4 microcicli, si potrebbe sviluppare la predetta sessione nel seguente
modo:
1°) 4x5x 60/70% (indico le due percentuali raw o geared),
2°) 5x4x 65/75%,
3°) 6x3x 70/80%,
4°) 5x2x 75/85%.
Ovviamente il discorso è rapportabile anche su percentuali e numero di serie diverso, a secondo dei
casi.

Nuovi complementari nella II fase: fermo restando il discorso sui complementari asinergici, per gli
esercizi di assistenza propriamente detti effettuerei:
nella sessione del 5x4, un lavoro di 3 serie di push press o lento con manubri o floor press; nella
sessione delle singole, un lavoro di boards (se equipped) o di parziali dal rack in altro caso; nella
terza sessione, come detto, ne parlerei in seguito.

6) VOLUME COMPLESSIVO -
Si consideri sempre che questa interpretazione del Korte è nata per la bench press.
Il 70% (ma anche il 74% finale) del proprio 1RM raw è una percentuale con la quale 6 ripetizioni,
nella specialità di panca, dovrebbero risultare sufficientemente agevoli.
Che so io: se un atleta ha 125kg. di massimale (con fermo) su panca raw, dovrebbe riuscire ad
eseguire alcune serie da 6rip. con 90kg. (senza fermo) e direi persino senza stare al massimo.
Per quanto poi concerne il numero complessivo delle serie, è fondamentalmente un problema di
anzianità anagrafica e curriculare.
Per intenderci: un atleta molto giovane è sicuramente più potente, esplosivo ed integro di uno
anziano ma, presumibilmente, al momento meno resistente. Magari può eseguire alcune serie con
notevoli performance ma si stanca prima per via magari delle sue fibre bianche (che tra l'altro è
opportuno preservare il più a lungo possibile) e della minor assuefazione a lavori protratti nel
tempo.
L’atleta navigato è per storia pregressa, caratteristiche fisiologiche e anzianità atletica, ormai come
un motore diesel: se si impone 10 serie di lavoro con i giusti carichi, superato un momento
centrale di difficoltà, arriva tranquillamente oltre, persino al doppio.
Ecco perchè, come ho più volte spiegato in diversi threads, i programmi dei grandi atleti e tecnici
famosi, presenti in internet e nella letteratura sportiva, andrebbero adattati su misura a chi li
esegue e non scaricati e copiati alla lettera; si tenga presente che già io ed uno qualsiasi dei miei
ragazzi siamo ben differenti per una bella serie di motivi (buona parte dei quali, uno
essenzialmente, a svantaggio mio).
Korte, nella stesura originale, prevedeva un range di 6/8 serie a sessione che nel mio piccolo ho
inteso sviluppare, dando enfasi alla crescita esponenziale del volume nella fase di accumulo, in 6 -
7/8 - 8/10 - 10/12 serie nel corso, rispettivamente, delle 4 settimane del mesociclo; principalmente
partendo dai seguenti presupposti:
A) da un lato, buona parte degli atleti agonisti da me conosciuti e che si accingevano a seguire il
programma lo intendevano svolgere raw e su una sola specialità (ad esempio, bench press), a
differenza di quanto prescritto nel Korte 3x3, e dunque erano meno stressati e vincolati dal
contemporaneo e successivo sviluppo del sistema;
B) d'altro canto, però, accedevano al Korte dopo alcuni anni di allenamenti agonistici ed esperienze
di programmi nel corso dei quali avevano già sperimentato le 8/10 serie nelle fasi anche prolungate
di volume, per cui 4 settimane di accumulo da 6x6 rischiavano di rivelarsi infruttuose.
Diversamente, qualora un atleta che non si rispecchi nelle condizioni anzidette lo ritenga
opportuno, avendo in ogni caso le giuste basi e venendo attentamente seguito da chi ha solidi
background di cultura professionale sportiva, può tranquillamente limitarsi a replicare il numero di
serie suggerito nella stesura originale del Korte.
Se si intende svolgere il programma raw, meglio ridurre i set della mia proposta di variante e
seguire quelle del sistema ortodosso, piuttosto che ridurre le percentuali per seguire quelle che
Korte suggeriva nella misura del 58/64%, che risulterebbero senz'altro insufficienti; questo perchè –
come già ricordato - Korte raccomandava il 60% del proprio 1RM geared, da eseguire tuttavia raw;
ovvio che se il riferimento resta invece il max. raw, il 60% risulterebbe troppo modesto.
Se, al contrario, si vuol effettuare il successivo mesociclo da geared, allora è preferibile attenersi
alle percentuali originarie (da calcolare però sul max. equipped) e, tuttalpiù, non incrementare
troppo le serie, qualora i precedenti programmi seguiti finora non obblighino a superare le 6 serie a
seduta per raggiungere un volume allenante adeguato.

Ulteriore considerazione da fare è che Korte non prevedeva complementari ma lavorava


esclusivamente sulle 3 alzate; ragionando in quest'ottica anche il livello delle serie può essere
incrementato soprattutto se ci si dovesse dedicare esclusivamente ad una specialità: 10 o 12 serie
di panca o di altro esercizio, potrebbero infatti essere 12 serie di lavoro complessivo su tutta quella
catena cinetica o, addirittura, 10/12 serie e oltre per l'intera sessione di allenamento (fatta salva
qualche trazione alla sbarra, curl bicipiti e addominali).
Adottando viceversa un programma distribuito omogeneamente sul PL "completo", dove sia
peraltro previsto un robusto numero di complementari per la crescita generale ed armonica della
struttura atletica (come nel caso dei ragazzi che alleno), chiaramente questo lavoro deve ben
essere calcolato nella programmazione delle serie allenanti del "Korte", al fine di pianificare a
dovere il computo globale di tutto il volume della singola unità di allenamento, del microciclo e del
mesociclo, senza incorrere nell'overtraining.

7) DURATA -
Korte raccomanda di eseguire 2 o 3 cicli da 2 fasi l'una + un' unica settimana di scarico, quella pre
gara, per un totale di 17/25 settimane.
Sono però del parere che sia opportuno, ad un medio livello, inserire una settimana di scarico dopo
ogni ciclo, qualora effettuato ripetutivamente nell'anno; in realtà più che di settimana, in senso
generico, sarebbe appropriato parlare di microciclo, intendendo lo scarico non come un riposo
completo ma come appunto un microciclo da 1xweek (unico allenamento settimanale).
Al termine delle 8 settimane ripartirei per raccogliere i frutti del lavoro del primo mesociclo,
ovviamente con alcune modifiche di carichi e di procedure.

Altre varianti possibili: nel caso di macrociclo consistente in 3 "cicli Korte", è possibile sbizzarrirsi
dilatando la durata di ogni ciclo, man mano che ci si perfeziona ed inoltra nella metodica e senza
falsare la sostanza del sistema.
Questo è ad esempio fattibile lasciando inalterato il primo mesociclo (del "macro") con gli 8
microcicli canonici, previsti in due fasi da 4 ciascuno, e modificando gradualmente in aumento i due
mesocicli successivi;
oppure prolungando la prima fase di volume del 2° mesociclo in 5 settimane, con carichi
leggermente incrementati rispetto alla precedente speculare e lasciando invariata la seconda fase
per complessive 9 settimane + scarico;
o ancora, aumentando a 10 il numero dei microcicli nel terzo "meso" ed allungando di una
settimana anche la seconda fase, sempre scarico pre gara escluso.

_________________ §7

Sono chiaramente possibili molti altri adeguamenti applicativi di assestamento, che non
stravolgono i principi guida della metodologia Korte basati su volume, frequenza, cicli ondulatori e
forza applicata alla specialità ma che traducono l'essenza del metodo, così sistematicamente
pianificato, ai diversi valori atletici nonchè alle diverse epoche, alle nuove attrezzature ed alle
caratteristiche soggettive dell'atleta che si accinge ad intraprenderlo.

2. I SISTEMI BASATI SUL VOLUME

II) Il Ciclo di Medvedev


Tra i sistemi che prevedono al loro interno una prima consistente fase di volume cui far seguire
quella di intensità, nel caso in esame progressiva e senza soluzione di continuità, vi è senz’altro il
ciclo di Medvedev - codificato appunto dall’omonimo allenatore russo di sollevamento pesi olimpico,
Alexei Medvedev - che è stato uno dei primi metodi di successo provenienti da oltre cortina ad
essere divulgato e tradotto nel nostro paese anche al di fuori della ristretta cerchia degli addetti ai
lavori ed in seguito divenuto famoso con l’appellativo di “ciclo russo”.
Quando la ciclizzazione in Italia era ancora praticata ad un livello approssimato e neppure era molto
conosciuta la periodizzazione di Tudor Bompa all’interno del BB, questo sistema rappresentò un
esempio particolare di ciclo - oggi fin troppo scontato – consistente, tra l’altro, nella successione in
consecuzione diretta di una sessione leggera ad una pesante.
Ogni seduta “heavy” è pianificata come più dura della corrispondente che l’ha preceduta, mentre
l'allenamento leggero resta costante per tutta la durata del ciclo e sarà, in tal modo, percepito
dall’atleta come fosse via via più leggero con il progredire del ciclo stesso.
Così facendo, oltre al necessario recupero, si garantisce varietà al processo di allenamento.
Complessivamente il ciclo consta di 18 sedute, con l’obiettivo generico di incrementare il massimale
del 5 per cento.
In realtà il protocollo è molto elastico e tiene conto delle varie necessità, delle diverse individualità,
dei curricula, delle realtà territoriali e delle pianificazioni agonistiche che sulla carta è possibile
vagliare e perseguire: a seconda infatti dell’opzione prevista, allenandosi 3xweek il programma dura
6 settimane, in 2xweek ne dura 9 e se ci si allena 1 volta ogni 5 gg. il ciclo dura 12 settimane.
Inoltre, si da per scontato che per atleti avanzati un aumento del 5 per cento sia eccessivo e quindi
preferibile, in tal caso, ridurre le sedute nn. 16 e 18, rispettivamente, al 97,5 e 102,5 per cento, da
intendersi comunque come valori approssimati.
Come sempre nella realizzazione pratica di uno schema, la rispondenza dei risultati dipende da chi lo
esegue.
Quel che può apparire poco realizzabile nel concreto ad un agonista anziano in carriera o a un atleta
d’elite soprattutto natural, che abbia giocoforza un margine di miglioramento limitato, diventa
viceversa più che fattibile se ci prova un ragazzo - cioè un individuo atleticamente se non pure
strutturalmente in crescita - a condizione di essere dotato di ottima genetica e buona tecnica di base
ma che, tuttavia, si alleni seriamente per la forza soltanto relativamente di recente.
Il ciclo prevede di prendere a riferimento l’80% del proprio massimale – più o meno reale, presunto,
sottostimato o approssimato, secondo le valutazioni tecniche e generali del trainer riferite al
destinatario del programma – e con esso eseguire 6 serie da 2 ripetizioni.
Lasciando inalterata la percentuale di carico ed il numero delle serie, il sistema si sviluppa andando
ad eseguire man mano una ripetizione in più nel corso della seduta “pesante”, fino a raggiungere il
6x6x80% ed alternando detta sessione con una più leggera incentrata su di un 6x2x80% da lasciare
inalterato.
Tali numeri rimangono indicativi e sono ovviamente da rapportarsi alle serie che sono solito definire
"lavorative" e quindi al netto del preventivo riscaldamento o, in seguito e con intensità maggiori, di
possibili serie d’attivazione.
Terminata questa prima fase e senza ravvisare alcuna linea netta di demarcazione, il sistema
procede ulteriormente aumentando in progressione di un 5% l’intensità del carico nella sessione
pesante - come precisato in precedenza – diminuendo contemporaneamente ed a scalare il numero
di serie e ripetizioni, fino a pervenire al nuovo max. finale o ad un test di verifica incentrato su di
una doppia singola.
La sessione light resta invariabilmente fissata sul 6x2x80%.
Lo sviluppo completo del ciclo, come stabilito in linea puramente teorica, dovrebbe pertanto
consistere in:
1) sed. A - 6X2X80%; sed. B – 6x2x80% (costante nel ciclo)
- segue esplicazione della sola sed. A)
2) 6x3X80%
3) 6x4X80%
4) 6x5X80%
5) 6x6X80%
6) 5x5x85%
7) 4X4X90%
8) 3x3x95%
9) 2x2x100%
10) 2x1.

Resta all’autonomia valutativa del tecnico analizzare la struttura di ogni workout e individuare le più
opportune varianti, le applicazioni ideali, gli aggiustamenti e le rettifiche in corso d’opera in merito
all’intero decorso del sistema.
Scendendo nei dettagli di queste osservazioni e con riferimento alla sessione leggera, per rendere la
stessa più performante in relazione alla specialità dell’atleta, si potrebbe prevedere un lavoro tecnico
che qualifichi e giustifichi la ridotta intensità a fini particolari che esulino dal puro e semplice bisogno
di recupero ed adattamento, condizioni che permangono pur sempre valide e basilari da soddisfare.
Ad esempio, parlando di discipline di potenza o che richiedano un lavoro esplosivo, la seduta in
discorso potrebbe svolgersi eseguendo le sei serie da due ripetizioni in "dinamic effort", ossia
prevedendo un lavoro dinamico.
In alternativa, nelle specialità del PL, si potrebbe dedicare quella sessione alla possibilità di iniziare,
proseguire o mantenere un lavoro geared che attivi, affini o perfezioni l’atleta nell’uso
dell’attrezzatura da gara, in attesa di un successivo programma più ravvicinato alla competizione;
predisponendo dunque set variamente equipped, a rom parziali, a stance ed impugnature diverse e
variate, con l’aggiunta di mezzi accessori specifici o speciali (come, tra i tanti, le boards nella bench
press).
Spesso, nell’attuare un’applicazione del ciclo di Medvedev sull’esercizio di squat, ho alternato le
sessioni pesanti a sedute leggere incentrate sul box squat, nelle quali facevo eseguire 6-8 serie da 2
rip. con un carico prestabilito e costante, avvicendando box di diverse altezze.
Per quanto invece concerne la parte del ciclo dedicata all’intensità, cioè al progredire dei carichi, ho
sempre pensato che la congiunta eliminazione di serie e ripetizioni nella medesima seduta seguisse
una logica valida per le alzate olimpiche - per le quali il sistema era stato all'origine concepito - che
però, in altri contesti, rischiasse di decurtare eccessivamente e troppo precocemente il volume di
lavoro.
In conseguenza di ciò, a partire dalla sessione del 5x5, integravo le citate serie lavorative già
preordinate con altre serie a carichi più modesti e ripetizioni aumentate, così da totalizzare un
analogo numero di serie ed un tonnellaggio perfino superiore - seguendo l’esempio dei programmi
“a fasi” – senza alterare il livello d’intensità, con ampi recuperi tra le due fasi e, quindi, non
compromettendo l’equilibrio d’impegno neurale dell’atleta ne arrischiando, di converso, un possibile
scadimento tecnico per overtraining fisico o nervoso.
Passando al pratico, riporto una tipologia dell’applicazione appena descritta:
5x5x85% - 2x8x60%;
4X4X90% - 3X6X70%;
3X3X95% - 3X5X75%;
2x2x100 – 2x4x80% e 2x6x70% oppure 4x4x75%.
Il recupero, che oscillava tra i 2’ e 3’ nell’ambito di ogni fase, poteva tranquillamente raggiungere i 5’
tra fase e fase.

A cavallo dei primissimi anni ’90, il ciclo di Medvedev conobbe una prima discreta notorietà in Italia
grazie alla diffusione ad opera di Stuart McRobert, che lo menzionò ed inserì succintamente nel suo
“Brawn”, testo all’epoca molto in voga tra gli amanti del ferro.
Proprio Mc Robert ricordava come una una variante della metodologia in questione fosse quella di
progredire per alcune settimane con sedute di intensità sempre maggiore per poi prevederne una o
due con riduzione dei carichi; in seguito, riprendere nuovamente con alcune settimane
progressivamente più intense, poi una leggera e da ultimo partire per la tirata finale.
Si tratta di un’ulteriore, efficace applicazione per prolungare il periodo dei guadagni acquisiti.

3. Il metodo bulgaro del “contrasto”

Il metodo originario consiste nell’alternare, nella medesima sessione, le serie con carichi elevati, non
oltre il 6RM, a quelle di intensità più modesta, fin'anche nell’ordine del 40-50% o 60%-65% del
proprio 1RM.
Dal momento che tutte le serie devono essere eseguite alla massima velocità possibile, questa sarà
forzatamente ridotta nelle serie ad alta intensità, così da ottenere un duplice contrasto sia tra i
carichi che nella velocità di esecuzione.
La ratio del metodo in questione persegue quindi, rispetto ad altre filosofie di allenamento, due
concetti e principi ben definiti: uno è quello dell’alternanza tra i carichi, che si ripropone di
raggiungere diversi ranges di preparazione muscolare oltre a consentire una attivazione nervosa ed
una capacità di attenzione maggiore; l’altro, quello della varietà che si prefigge di prevenire o
ritardare una stanchezza, peraltro più psicologica che fisica.
Nella pratica e nelle stesure più convenzionali, il numero delle serie oscillava da 3+3 a 5+5, il
numero delle ripetizioni da 1-3 nei set pesanti a 5-8 in quelli leggeri ma poteva tranquillamente
prevedere lo stesso numero di rip., tipo 5 e 5, qualora lo scopo fosse stato solo quello di variare la
velocità esecutiva; le intensità dei carichi, infine, erano da rapportare alla consistenza delle serie, per
cui potevano essere nell’ordine dell’80-95% nelle serie pesanti e, come si è visto, dal 40-50% fino al
60-65-70% in quelle leggere, secondo la specialità e l’obiettivo prestabilito.
Riguardo appunto alla disciplina, possiamo ricordare che il metodo bulgaro – così detto perché
utilizzato per la prima volta, appunto, in Bulgaria – deriva dalla pesistica olimpica e,
successivamente, ha subito come sempre adattamenti per altre discipline.
Passiamo adesso ad approfondire altri aspetti.
Introducendo degli esercizi a carico naturale, da effettuare di conseguenza in serie eseguite alla
massima velocità, il metodo risulta applicabile a diverse specialità sportive a componente di forza
esplosiva.
La raccomandazione in questo caso è di scegliere esercizi di semplice realizzazione, che non
pongano problemi tecnici tali da snaturare, con l’incedere della stanchezza, l’esecuzione tecnica
ottimale.
Un esempio potrebbe essere costituito dall’esercizio di squat seguito dai balzi dalla o sulla panca,
utile ad esempio per i saltatori ed in particolare per quelli a più alto interesse di coinvolgimento
pliometrico, come i triplisti.
Se ne deduce che pur se il metodo, nel suo insieme, non pare adattabile sic et simpliciter
all'allenamento del PL, ha tuttavia ottime referenze e precedenti nel campo della preparazione di
discipline e specialità in cui le qualità di forza rivestano un ruolo determinante - soprattutto
nell'abbinamento di più aspetti della stessa qualità, come l'esplosività e la forza di base - e può
essere produttivamente inserito per colmare alcuni deficit funzionali o completare certi standard
preparativi anche in un atleta agonista delle three lfts, sempre rapportando il tutto a chi, perchè e
quando.

Poiché è ragionevole considerare l’attuazione del metodo del contrasto come una successione ed
alternanza di sforzi ripetuti e sforzi dinamici, a livello di pianificazione può ben essere codificato
all’interno dell’organizzazione sistemica elaborata da Zatsiorski e, pertanto, prevedere alcune varianti
di applicazione così riassumibili:
1) serie pesante – leggera – pesante – leggera – pesante – leggera,
2) fase di 2 serie pesanti – fase di 2 serie leggere,
3) fasi non omogenee, tipo 2 set pesanti – 3 leggeri oppure 3+2,
4) fasi alternate di serie pesanti intervallate da una leggera,
5) fasi classiche dove ad un gruppo di serie pesanti o leggere segue, per contrasto, il gruppo
opposto, composto o meno dallo stesso numero di serie.

Considerando, inoltre, che la peculiarità della disciplina allenata potrebbe richiedere una preferenza
o una precedenza esecutiva di sforzi esplosivi rispetto ad altri ripetuti, di sforzi massimali rispetto ad
altri dinamici, di sforzi dinamico-reattivo-balistici rispetto a sforzi sub massimali, di sforzi sub
massimali rispetto ad altri ripetuti ecc…, la gamma delle varianti e possibili applicazioni si diversifica
ulteriormente, finendo per contemplare altre sottocategorie.

Dando come legenda: M=mass.li e SM=sub mass., R=ripetuti, D=dinamici e S=sforzi - come in
glossario di dottrina - oppure set,
potremmo dunque avere, tra le molte altre, le seguenti combinazioni:
SM o SBM – SR, es. 2x90% e 6x70% in successione; oppure 1x95%, 1x90% e 2x6x70% ecc.;
SM o SBM – SD, es. 1x95%, 6x50% ecc. oppure 3x2x90%, 8x3x65%;
SD – SBM, es. 3X2X70%, 3X3X85% e ripetere;
SM o SBM – SD – SR, es. 2x2x90%, 5x2x70%, 4x5x80%.
Gli esempi riportati sono da intendersi esclusivamente esplicativi delle connesse sigle e di una
tipologia di programmazione per forza di cose astratta.

I tempi di recupero variano ovviamente in base alle diverse esigenze del lavoro dinamico o esplosivo
o ripetuto o sub massimale che si persegua e in considerazione di quale voglia essere la
caratteristica da privilegiare, in coerenza con la disciplina praticata e con il periodo della stagione
agonistica nel quale il lavoro secondo metodologia a contrasto venga a giusta ragione inserito.

Gilles Cometti rammenta come, oltre che tra serie e serie, il concetto di contrasto possa essere
applicato anche nell’ambito della stessa serie tra ripetizione e ripetizione.
Es. su 6 ripetizioni: 2 pesanti, 2 leggere, 2 pesanti.
Chiaramente il discorso non è estrinsecabile per qualunque disciplina e presuppone una consolidato
aspetto organizzativo di partner e spotter per ottimizzare il sistema di carico e scarico.
Calcolando come quest’ultima applicazione sia più dispendiosa delle precedenti descritte a livello
lattacido ed anche aerobico, il numero delle serie dovrà giocoforza essere inferiore a quello dei
sistemi a contrasto più tradizionali.

Infine si può annoverare tra le possibili applicazioni della metodologia del contrasto anche quella che
preveda sussistere il medesimo nella consecutività ed alternanza di esercizi diversi.
Il concetto può assomigliare a quello delle super serie o delle serie giganti in uso in ambito BB. In
realtà si tratta di un accostamento solo apparente, poiché mentre in quel caso non si verifica
soluzione di continuità tra due serie di esercizio coinvolgenti muscoli antagonisti (superserie) o tra
due esercizi diversi riguardanti la stessa catena cinetica (serie giganti), nel caso nostro di specie
avremo si alternanza ma pur sempre comprensiva di tempi di recupero, tra una serie di tirata ed una
di push press – ad esempio - o tra una serie di bench press classica ed una a presa stretta e così
via.
Un utilizzo di quest’ultima tipologia di metodo a contrasto è confrontabile con quella in uso per
l’allenamento di lanciatori, pallanuotisti ed altri giocatori e traducibile - ad esempio -
nell’abbinamento di una serie di pull over ed una di lancio del pallone medicinale, per la
consecuzione delle due particolari gestualità.

1. .................................................. .........................

Talvolta mi è capitato di veder rivolte alcune domande nei vari siti dove ho postato gli articoli del
topic di cui trattiamo. Alcune di queste sono ben poste ed indubbiamente interessanti, per cui
cerco di racchiuderle in poche righe, raggruppandole per argomenti e riporto anche quì delle
risposte sintetiche che ho provato a formulare.

Relativamente, ad esempio, alla distribuzione in fasi di una routine di allenamento e quindi con
riferimento al cosiddetto Sistema a fasi, mi sono state posti alcuni quesiti che ho cercato di
riassumere come segue.

- dato che le sessioni previste nel sistema a fasi sono monosettimanali, con wo di volume, si può
incentrare un programma su un wo a fasi e un wo ad onde? (il primo dunque a volume, il secondo
più intenso/submassimale + complementari)?

- che caratteristica deve avere una fase? Nel passare delle settimane deve esserci uno sviluppo su
tutte le fasi ... ma quali caratteristiche deve avere? Può esserci una fase intensa e una di volume? O
devono entrambe essere di volume?
Provo a chiarire.
Direi che alla prima domanda la risposta è affermativa. Lo schema a fasi viene normalmente attuato
in 1xweek, per cui nulla impedisce di ricorrere, in una seconda sessione, ad altro sistema che sia
utile per varie necessità e programmazioni e, quindi, portarlo avanti contemporaneamente.
Del resto questo è possibile in tutte quelle applicazioni che privilegiano o consentano una singola
sessione allenante nel microciclo o, comunque, più sessioni ma nell'ambito di una pianificazione
generale più ampia dove le sedute complessivamente possibili, relativamente all'alzata prescelta,
siano previste in numero ancora maggiore.
Per cui potremmo trovare, in un microciclo, 1 o 2 sedute organizzate a fasi e altrettante ad onda
oppure 1 a fasi, 1 a onda ed 1 con sistema a numero di serie e ripetizioni costanti a carico variabile,
come pure al contrario a carico invariato e serie crescenti.

Passiamo al secondo quesito, dove la risposta è leggermente più lunga.


Il sistema a fasi è, appunto, un...sistema, cioè un'applicazione pratica di un metodo ma non è
l'unica bensì una possibile, una delle tante. Insomma un contenitore congegnato in una certa
maniera, un modo di procedere nell'attuazione di un qualcosa. Ma cosa è dunque questo qualcosa?
Nient'altro che la metodologia prescelta, nella fattispecie, per lavorare e che si ritenga possa, in
quel determinato periodo e su quell'atleta, regalare i suoi frutti migliori, grazie all'applicazione
pratica a fasi anzichè a onde o così via.
Allora, stando così le cose, alla domanda su quali caratteristiche deve avere una fase, segue la
controdomanda su quale sia il metodo di lavoro a cui ci si vuol dedicare e che si pensa possa essere
estrinsecato al meglio mediante appunto una suddivisione del lavoro nelle menzionate fasi.
Se si è off season e si ricerca il volume, si darà dunque alle fasi un connotato precipuo in tal senso,
se invece si è geared e si sta puntando sulla massima esplosività, potenza e qualità tecnica, allora si
riempirà quello scatolone-contenitore delle fasi con altri elementi che più interessano, al momento,
e si presume facciano alla bisogna .

Allo stesso modo, rispondo per la domanda conseguente. Certo che può esserci una fase intensa ed
una di volume, perchè come al solito dipende da quello che serve all'interessato e che, ovviamente,
io in questa sede non conosco.
Posso riportare - come mi accade spesso in questi casi - un piccolo esempio pratico.
Stiamo preparando una competizione importante e, nella bench press, uno dei miei ragazzi segue
una distribuzione del lavoro in fasi.
Ho previsto 2 fasi, una in 3x3 e l'altra che va dalle 3 alle 5x5. Bene, la prima fase è incentrata sul
fermo e mira ad un' intensità piuttosto elevata, poichè deve abituare l'atleta ai carichi ed alle
modalità esecutive che troverà in gara. La seconda fase è basata su un volume di mantenimento a
ripetizioni più alte e percentuali di carichi inferiori.
Coerentemente cambiano anche gli sviluppi e le progressioni nei microcicli tra le due fasi, che
percorreranno un cammino parallelo nel corso delle settimane. La fase da 3x3 - basata sull'intensità
e la tecnica - prevederà sempre 3 serie da 3 col fermo ma all'interno cresceranno i carichi
settimanalmente e, comunque ciclicamente. La seconda fase, incentrata sul volume, avrà invece
come costante un carico prefissato ma varierà nel numero delle serie da svolgere, che saranno 5
quando i carchi del 3x3 sono più bassi, poi 4 e poi 3 man mano che cresce l'intensità del 3x3, poi
nuovamente 5 quando il carico del 3x3 - dopo 3 settimane - scende per non raggiungere un precoce
stallo, fino a tornare a 3 sole serie di volume con l'avvicinarsi della competizione.
In questo modo, l'applicazione del sistema a fasi si incrocia con le onde intese, però, non nello
sviluppo seriale all'interno della sessione - tipo 3/2/1 - ma come pendulum dei microcicli all'interno
del mesociclo.
E' forse in contrasto tutto ciò? No, perchè sono state semplicemente scelte diverse applicazioni o
sistemi per contenere tutte le variabili e le tipologie di esercitazione che si intendevano effettuare
per quell'alzata e su quell'atleta, in linea - beninteso - con il metodo di lavoro precedentemente
stabilito.
Chiaro che questo discorso non si ripete pedissequamente con tutti gli atleti, neppure per la stessa
alzata, nè per lo stesso atleta in relazione a tutte le 3 alzate. Quanto sopra, in conseguenza di
diversi fattori e peculiarità che distinguono atleta ed atleta ed altrettanto differenti attitudini per il
medesimo tra specialità e specialità.

Volendo, è possibile anche variare il contenuto tra le fasi non soltanto nei riguardi di carichi,
ripetizioni, esecuzioni o modalità di sviluppo ma persino nella tipologia di esercitazioni prescelte.
Se si vuole, ecco un altro esempio nel merito.
Qualche volta ho sistematizzato in fasi il lavoro per lo stacco da terra, in questo modo: 3X2 - 3X3 -
3X5, tot. 3 fasi di 3 serie l'una per complessive 9 serie.
La caratteristica però era che il 3x2 si svolgeva sui rialzi, allenando le partenze, il 3x3 sul movimento
completo e il 3x5 al pin pull per le chiusure, quindi tre esercitazioni distinte tra loro dallo stacco in
se per se.
Inutile soggiungere che ciascuna fase aveva uno sviluppo diverso nel corso dei microcicli, pur
restando collegate nell'ambito della sessione singola, con recuperi variabili all'interno di ciascuna
fase e tra fase e fase.

Non per niente, all'inizio del 3D, accenno infatti alla differenza tra il metodo di lavoro e
l'applicazione pratica dello stesso che se ne fa, privilegiando un sistema attuativo rispetto ad un
altro, magari solamente in quel periodo della stagione ed in quella fase della carriera dell'atleta e
non necessariamente replicabile tout court in futuro.
Spero di essere stato utile e mi auguro, soprattutto, di aver reso in termini sufficientemente chiari
alcune idee che potevano costituire un logico sviluppo ad argomenti in precedenza trattati.

1. I SISTEMI PIRAMIDALI

Chi di noi, soprattutto al principio della propria attività atletica, non ha mai effettuato per prova,
curiosità o premura di acquisire un nuovo record personale una sessione d’allenamento basata
sull’intensità progressivamente crescente e la proporzionale diminuzione delle ripetizioni?
Sin dall’inizio della frequentazione di una sala pesi, la strada tendente a far salire i carichi mediante
il cosiddetto sviluppo “a piramide” viene spesso proposta ai frequentatori giovani e meno giovani e
stuzzica pure atleti già esperti.
C’è una reale giustificazione alla base di questo? Vi sono solide e motivate ragioni, magari parziali e
da contestualizzare che diano fondamento a tale metodologia? O trattasi viceversa di un modo di
procedere approssimato e privo di condotta razionale, una scorciatoia legata a sensazioni e
intuizioni per tentare di raggiungere una meta senza disperdere tempo e fatica in elaborati piani di
lavoro?
Di fatto, nell’esperienza quotidiana cui si è accennato sopra, risulta trattarsi spesso di un
espediente empirico rivolto più che altro ad appagare il proprio ego, lasciando atleticamente poche
tracce di un illusorio raggiungimento di uno stato di forma che attesta, nel breve periodo, ciò che
già si possiede ma non costruisce prodromi per il futuro.
Tuttavia è errato credere che il concetto di “carico a piramide”, da cui possono farsi scaturire tutti i
sistemi attuativi di questa metodologia, abbia come unica realizzazione pratica l’ascesa lineare
verso una vetta d’intensità che, forse, ne costituisce l’applicazione più conosciuta nel bene o nel
male.
Poiché sono del parere che, nella maggioranza dei casi, il raziocinio e le illusioni come la verità e
l’errore si mischiano, dando vita nel tempo ad una creatura diversa da quello che, in origine, si
proponeva il suo seminatore o ideatore e che - d’altronde - la storia ci insegna come i progressi
negli studi scientifici siano in grado di porre in discussione oggi quanto sembrava valido ieri,
proviamo allora con umiltà e pazienza ad esaminare, scevri da condizionamenti esterni, quanto è
stato scritto e posto in essere sull’argomento da coloro che ci hanno preceduto, fossero anche in
contrasto di vedute e di responsi.

Sin dagli studi più remoti sull’allenamento della forza era chiaro che, per nostre connaturate qualità
ed attitudini fisiologiche, una tensione muscolare fosse caratterizzata da impegno contemporaneo
del maggior numero di unità motorie, frequenza massimale degli impulsi che le sollecitavano e
ritmo sincronizzato della loro attività.
Tutto ciò senza scendere nei particolari delle differenti discipline sportive complesse.
Il sollevamento massimale o sub massimale di un carico risponde a questi requisiti, perché la
velocità raggiunge rapidamente il valore ottimale per poi proseguire a velocità costante (Hebestreit,
1934); al contrario, il prolungarsi del lavoro ed il rallentamento della curva di velocità – con
l’intervento di diversi meccanismi energetici - induce i muscoli antagonisti a partecipare nel tempo
al lavoro stesso, con opera di stabilizzazione, dunque a rinforzarsi a scapito di quelli deputati
all’azione concentrica e favorendo in tal modo la fase di resistenza (Vacholder, 1928).
Se però questi assiomi parevano dimostrare che l’allenamento della forza non avrebbe avuto
successo senza l’impiego di carichi massimali, altri studi sottolineavano come sul piano energetico
fosse da evitare un lavoro fino all’esaurimento, nel mentre – in apparente contraddizione – si
rendeva necessario ripetere sforzi massimali in numero maggiore nel piano di allenamento.
Le attenzioni furono pertanto indirizzate verso lo studio di metodiche che permettessero un
progressivo e costante avvicinamento ai carichi alti, senza che tuttavia ciò conducesse ad un
superlavoro coinvolgente per un tempo prolungato il sistema nervoso, stressandolo oltre misura e
creando i presupposti di un inevitabile quanto repentino stallo delle prestazioni massimali.

Il tentativo più vecchio del quale si abbia traccia nel programma di un’applicazione a base
piramidale è quello effettuato dal capitano Thomas De Lorme, a cui si attribuisce infatti la paternità
del primo sistema piramidale moderno documentato, pubblicato e riferito all’allenamento della
forza resistente.
De Lorme, nell’ormai lontanissimo 1945 appena dopo la conclusione del secondo conflitto
mondiale, progettò un ciclo di allenamento lungo 8 settimane, che intendeva proporre come parte
dell'esercitazione militare. Esso comprendeva un prologo preparatorio di 2 settimane ed una
successiva fase specifica di 6.

Le sessioni, ripartite in 3xweek, avevano il seguente schema generale:


1° fase)
- I settimana
a) 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 3sets,
b) 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 4sets,
c) 50% 10RM x5reps + 75% 10RM x5reps x 5sets;
- II settimana
a) 5x50%10RM + 5x75%10RM + 5x100%RM x 2sets,
b) 5x50%10RM + 5x75%10RM x 7sets,
c) 5x50%10RM + 5x75%10RM x 5sets;

2° fase)
a) n serie x 5x50%10RM + 5x75%10RM + 5x100%10RM,
b) n serie x 5x50%10RM,
c) n serie x 5x50%10RM + 5x75%10RM.

L’autore in seguito aggiunse varianti precipue per obiettivi diversi e, tra queste, quelle riferibili al
parametro forza che più ci interessa ma il primo schema stilato resta agli atti come antesignano
della metodica del piramidale.
E' chiaro che oggi uno schema così asciutto ed elementare può apparirci perfino semplicistico e
cionondimeno, rapportato all'epoca, avvalorava studi fino ad allora soltanto teorici e creava le
premesse per successive e più articolate razionalizzazioni del metodo in esame.

Alcuni anni dopo, nel 1951, Zinovieff tentò di rendere più strutturato lo schema in parola e ancor di
più fece Wilmore con un primo esempio di progressione inversa (di cui parleremo dopo),
inserendola nell’”Oxford technique”, metodo tutto sommato piuttosto complesso.
Nel tempo si sono quindi succedute varie sperimentazioni di piramidali semplici, a sostanziale
modifica di quelli che ne erano stati i precursori, poiché il concetto di crescita del carico all’interno
della seduta di allenamento, accompagnato da una diminuzione del numero delle ripetizioni, ben si
confaceva ad un allenamento concreto, stimolante e di facile realizzazione anche in situazioni e
logistiche sfavorevoli.
Così Steve Holmann ricorda uno schema di piramidale di 7 serie per atleti in mesociclo di forza
(1x12 – 1x10 – 1x8 – 1x6 – 1x4 – 1x2 – 1x1/2), mentre il Dott. Di Pasquale - powerlifter, campione
del mondo di bench press ed esperto di medicina sportiva - era solito applicare una formula più
concentrata: partiva dal proprio 5 rm stabile x 5 reps e progrediva di un 2/3% in ogni serie, scalando
nel contempo una ripetizione; in tal modo la sequenza 5/4/3/2/1 lo vedeva concludere il wo con un
carico in aumento ma inferiore al proprio massimale assoluto. Nella seduta successiva e speculare
(ossia quella analoga del microciclo successivo) aumentava leggermente i carichi di ogni serie.

In effetti l’obiettivo della metodologia alla base del piramidale è quello di portare l’intensità a livello
massimale, sia nell’ambito della singola unità di allenamento che nel microciclo, in un volgere di
tempo sufficientemente breve per raggiungere lo stato di forma ottimale.
Il lavoro si sviluppa pertanto in senso verticale, con ridotto numero di serie (perlomeno
percentualmente a quello complessivo previsto dal wo). I principi fondamentali sono: scarsa
quantità, alta intensità, recuperi via via più ampi tra le serie man mano che si raggiungono i carichi
più elevati.
Un sistema di questo tipo, dunque, trova impiego per riacquistare velocemente uno stato di forma
perduto, per inattività o infortunio; per raggiungere un picco nella performance durante un periodo
agonistico tra competizioni ravvicinate, che abbiano in ragione di ciò indotto ad un precedente
scarico; come mantenimento e consolidamento di un livello già acquisito di forza, purchè in
precedenza sia stato svolto un adeguato lavoro di base con il metodo degli sforzi ripetuti (repetition
effort), volto a costruire la massa e la struttura fondamento del successivo sviluppo apicale.
Può, inoltre, essere utilizzato con successo da atleti giovani, già in possesso di buona tecnica e che
abbiano conseguito confortanti risultati ma che tuttavia per curriculum, anagrafe ed esperienza
possano aspirare ad un progresso e ad incrementi cospicui e stabili nell’immediato.

Quello che conosciamo come fulcro del piramidale moderno è sostanzialmente dovuto allo schema
ad "albero di Natale" dei rapporti intensità/ripetizioni elaborato da Zaciorskij - con fini di studio
peraltro del tutto diversi dalla progettazione di un sistema di preparazione con procedura
piramidale - e poi riprodotto con ampie modifiche e in fattispecie mirate da Dietrich Harre,
Direttore Tecnico e guru della preparazione atletica nelle nazionali della ex DDR.
La scaletta, arcinota in tutti i settori della scienza dell’allenamento, è la seguente (con i dovuti
aggiustamenti per singole discipline, esercitazioni e individualità):
100% = 1 alzata = carico massimale
90% = 2/3 rep. = carico sub massimale
85% = 4/5 rep. = carico molto elevato
80% = 6/7 rep. = carico elevato
75% = 8/9 rep. = carico medio elevato
70% = 10/12 rep. = carico medio
65% = 13/16 rep e oltre = carico medio debole
55/60% = 16/20 rep e oltre = carico debole
50% ca. e inf. = 25 rep e oltre = carico molto debole.
Chiaramente la rispondenza delle ripetizioni alle intensità stabilite risulta tanto più veritiera con i
carichi alti, quanto più approssimata e legata a vari fattori di morfologia, specialità e curriculum con
i carichi medi e ancor più con quelli ridotti tipici del lavoro di endurance.

Peraltro lo stesso Zaciorskij, nel ’66, ebbe modo di esprimere valutazioni critiche del metodo
piramidale, sottolineando come la base della piramide è rappresentata dal tipo di intensità
raggiungibile con maggior efficacia tramite il metodo degli sforzi ripetuti, siano essi rivolti alla forza
resistente o alla resistenza in senso propriamente detto; all’opposto, il vertice della piramide è
comunque allenabile con sistematiche proprie dell’esclusivo lavoro massimale (il maximal effort
eseguibile o meno su gli esercizi di gara), senza quindi che appaia necessario ricorrere ad una
sintesi allenante, quale quella che si vorrebbe offerta dal metodo di preparazione piramidale puro.
In quest’ultima ipotesi potrebbe infatti verificarsi che l’atleta, sapendo di dover compiere sforzi
massimali e giustamente allettato da questi, risparmi l’impegno nella prima fase di lavoro a
percentuali basse e maggior numero di ripetizioni, rendendo di fatto inutile e poco economico il
lavoro; oppure, concentrandosi generosamente nel rispetto di quanto previsto in tabella sulla
prima parte dell’allenamento, paghi dazio ed arrivi agli sforzi massimali in condizione di scarsa
freschezza atletica.
Dunque – conclude Zaciorskij – sembrerebbe più proficuo invertire la piramide, rovesciando un
lavoro piramidale classico nel suo esatto opposto: 1x100% - 1x3x90/85% - 1x5x80% (così, a titolo
esemplificativo).
Dopo di lui, altri arrivarono alle medesime conclusioni in circostanze e pianificazioni diverse:
Leighton nel ’67, il menzionato Wilmore, Mc Donagh nell’84, Fleck e Kramer nell’87.
Proprio il già citato Harre propose uno schema da 1x95/100% - 2x2x90% - 3x3x85%.
Con dette varianti lo scopo sarebbe quello di affrontare i carichi massimali o sub massimali all’inizio,
in condizione di freschezza dopo il necessario warm up e proseguire con il metodo degli sforzi
ripetuti ad intensità inferiori per aumentare la quantità ed incidere, in tal modo, sul volume
complessivo.

Volendo pertanto riepilogare le più note applicazioni pratiche del metodo piramidale –
catalogandole in gruppi per modalità esecutive – e senza la pretesa di stendere periodizzazioni per
questi sistemi, potremmo delineare il quadro che segue con esempi annessi.

piramidale classico:
progressione lineare semplice,
5x75% - 4x80% - 3x85% - 2x90% - 1x95%;

piramide tronca:
rivolta a sport di forza resistente,
8x60% - 7x65% - 6x70% - 5x75% - 4x80%;

piramide irregolare:
dove non c'è progressione completa e fissa nel range delle reps e nei relativi intervalli tra esse,
12x55% - 10x60% - 8x70% - 6x75% (o 5x80%) – 3 o 4x85/90% - 1x95%
(con le varianti alternabili nelle sessioni);

piramide inversa:
varie applicazioni tra piramidi rovesciate semplici e irregolari,
1x95% - 3x85% - 4x80% - 6x75% - 8x70% con recuperi maggiori all’inizio e ridotti al termine;

piramide rafforzata:
variante molto faticosa che consiste nell’aumentare talune serie, sporadicamente, sulla medesima
intensità al fine di incrementare il tonnellaggio,
es. 1x95% - 2x2x90% - 2x3x85% - 2x4x80% - 3x6x75% - 2x8x80%;

piramide a ripetizioni costanti :


ottima per atleti razionali e metodici in discipline di grande concentrazione,
2x2x95% - 2x2x90% - 2x2x87% - 2x2x85% - 2x2x83%;

doppia piramide:
buon compromesso tra forza massimale e lavoro ripetuto,
4x80% - 3x85% - 2x90% - 2x1x95% - 2x90% - 3x85% - 4x80%;

piramide inversa ad espansione di serie:


(la mia preferita)
2x1x95% e oltre – 3x2x85/90% - 4x3x80/85% - facolt. 5x4/5x70-75%

piramide a base larga :


consigliabile per lavori lattacidi e di endurance,
16x50% - 14x55% - 12x60% - 10x65% - 8x70% - 6x75%;
piramide a base stretta:
come la piramide irregolare ma con l'inizio inoltrato alla serie da 7 o 8 reps.

Esistono poi sistemi che prevedono l’impiego del piramidale all’interno della stessa serie

piramide a carico discendente nella serie:


metodo che somiglia a quello degli “scarichi”, tipico del BB, prevede di scaricare il peso dopo ogni
rep. proseguendo senza recupero ed effettuando comunque una singola alzata, per complessive 5-6
ripetizioni.
Il numero delle serie utilizzato varia, secondo il livello dell’atleta, da 4 a 8 e i recuperi possono
arrivare a 7/8’ ed oltre tra le serie.
Es. 1 set x5 ripet. con 1x95% - 1x90% - 1x85% - 1x80% - 1x75%;

piramide a carico ascendente nella serie:


molto diffuso ma forse di scarsa praticità, può essere utile per atleti poco abituati allo sviluppo dei
carichi e per alcune tipologie di lavori ipertrofici.
Es. 1 set x 10/12 ripet. con 3x50% - 2x60% - 1x70% - 2x60% - 2/4x50%;
un’altra variante sul tema:
1x5 con 2x75/80% - 1x90% - 2x70%

1. IL METODO DEGLI SFORZI MASSIMALI

Premesse, descrizioni e considerazioni

Si era già precedentemente accennato e si può, ad ogni buon fine, ulteriormente riassumere di
come una tensione muscolare fosse essenzialmente caratterizzata da:
- impegno contemporaneo del maggior numero di unità motorie,
- frequenza massimale degli impulsi efferenti,
- ritmo sincronizzato dell’attività delle unità motorie.
Se, ad esempio, attuiamo uno sforzo muscolare non massimale la frequenza dell’impulso non
raggiunge il culmine e il ritmo di attività delle unità motorie coinvolte è asincrono. Di conseguenza,
con l’aumentare della fatica, tali unità smettono di lavorare - per usare termini di facile
comprensione - e sono sostituite da altre; per cui, perdurando l’allenamento, migliora questo
meccanismo di alternanza tra le unità motorie coinvolte ma ciò agevola la durata e la prosecuzione
del lavoro e cioè favorisce il miglioramento della resistenza ma non della forza pura.

Considerando le qualità di velocità e accelerazione che determinano le caratteristiche spaziali e


temporali dei diversi movimenti e relative tensioni muscolari, sin dal 1934 Hebstreit aveva
osservato che:
a) nel sollevamento di un carico massimale o sub massimale, la velocità raggiunge celermente un
certo valore e in seguito si mantiene costante; l’accelerazione oscilla di poco; la forza occorrente
per vincere la resistenza opposta è all’incirca corrispondente al peso dell’oggetto da sollevare;
b) nel sollevamento di carichi medi o deboli, se gli sforzi applicati sono massimi, l’accelerazione ha
un picco iniziale, per poi scendere e infine divenire negativa nella seconda parte del movimento; la
forza necessaria da applicare è dapprima superiore al peso dell’attrezzo, poi inferiore e il
sollevamento si conclude per inerzia; il tempo di tensione è spesso così ridotto da non consentire
influenze pratiche sullo sviluppo della forza;
c) se gli sforzi applicati non sono massimi nel sollevamento di carichi inferiori, le curve di velocità e
accelerazione saranno, invece, analoghe a quelle dello sforzo massimale ma il successivo
rallentamento artificiale del movimento porterà all’impiego di muscoli antagonisti e quindi un
mutato rapporto di forza (con decremento di quella massima) nei confronti della catena cinetica
deputata all’esercizio.

Inoltre, già dalle ricerche dei bulgari Mateev e Akrabov, si dimostrò che le resistenze esterne
determinano diversi valori di stimoli fisiologici ai quali si contrappongono reazioni proporzionate. Di
modo che, a stimoli (stressor) elevati corrisponde un’alta inibizione mentre, al contrario, stimoli
deboli causano risposte deboli: da cui la deduzione che la forza massimale è allenabile e
migliorabile con impieghi massimali della stessa e tensioni muscolari massime.

Ecco perché, al fianco del metodo per gli sforzi ripetuti (di cui si è ampiamente trattato) ed a quello
degli sforzi dinamici, ha sempre avuto largo impiego il cosiddetto metodo degli sforzi massimali,
con opportuni distinguo.
In buona sostanza:
- il metodo degli sforzi dinamici: è principalmente rivolto agli atleti degli sport di velocità e potenza
ove è fondamentale, con resistenze modeste, imprimere la massima velocità di esecuzione (forza
nell’unità di tempo). Si possono considerare quali esempi il pugilato, tutti i tipi di lanci nell’atletica,
molte arti marziali, l’attività del battitore nel baseball ecc : in essi la resistenza cui opporsi è
costituita da massa non elevata (attrezzi di peso ridotto o addirittura dalla resistenza dell’aria) e,
tuttavia, la velocità da imprimervi contro è basilare.
Per tali specialità, il lavoro principale nell’allenamento della forza prevede programmi con alto
impiego del metodo di sforzi dinamici e lavoro assistenziale in parte svolto con metodo di sforzi
massimali e ripetuti;

- il metodo degli sforzi ripetuti: può essere considerato ideale per attività dove sia preponderante
l’impiego della forza non massimale: forza resistente o resistenza di forza, forza generale di base;
possono annoverarsi gli esempi delle varie forme di lotta (libera, greco-romana, pancrazio), degli
strongman, degli atleti di sport di squadra come il rugby e il football americano ed australiano;
costoro pur lavorando ampiamente con detto metodo, utilizzeranno saltuariamente anche quello
degli sforzi massimali e dinamici;

- il metodo degli sforzi massimali : è da ritenersi il più adatto per atleti che debbano appunto
opporsi a resistenze massimali e che, pertanto, compiano il loro sforzo in un’unica alzata o
movimento (in quanto l’1RM non consentirebbe repliche) e, con altrettanta evidenza, non possano
imprimere una velocità apprezzabile al gesto stesso.
E’ chiaro che si tratterà pur sempre della massima velocità occorrente e sostenibile nella fattispecie
ma non avrà, tuttavia, caratteristiche preminenti rispetto alla componente della qualità muscolare
di forza massimale. Rappresentanti tipici di questa peculiarità sono praticamente tutti i sollevatori
olimpici e i powerlifters, che riserveranno al peak della loro preparazione l’esercizio della forza
massimale (da allenare peraltro anche off season, in svariate forme) ed avranno come
imprescindibile complemento ed assistenza l’allenamento con metodi di sforzi dinamici e quello su
gli sforzi ripetuti.

Occorre però fare un’importante distinguo. Quando si parla di allenamento con il metodo degli
sforzi dinamici non dobbiamo confondere questi ultimi con la velocità in senso stretto; il metodo
prevede l’allenamento esplosivo di un gesto che lo richiede in proporzione alle proprie
caratteristiche specifiche; ne consegue che ogni esercizio agonistico improntato alle qualità di forza
può richiedere esplosività e necessita pertanto di una preparazione adeguata ma l’importanza che
essa avrà all’intermo di un’attività sportiva sarà differente da applicazione motoria ad applicazione
e, quindi, occuperà un ruolo diverso caso per caso ed a seconda del momento topico della stagione.
Similmente, il metodo di allenamento degli sforzi massimali indica un obiettivo da perseguire e non
una sequenza di esercitazioni; non si tratta di prevedere e tentare più volte l’1RM ma di allenarsi
con protocolli che mirino allo sviluppo di quella componente basilare, piuttosto che al
raggiungimento di una performance ottimale di esclusiva esecuzione dinamica oppure rispetto
all’attitudine a svolgere sforzi ripetuti sempre maggiori e protratti nel tempo.

Storia sommaria ed esemplificazioni pratiche

Il metodo degli sforzi massimali è diventato preponderante a partire dagli anni ’50. In precedenza i
pesisti dedicavano la maggior parte della loro preparazione a sforzi ripetuti, ricalcando in questo
l’allenamento dei primi bodybuilders.
Successivamente, le periodizzazioni delle stagioni agonistiche ed i contenuti delle sessioni allenanti
si sono sempre più diversificate e oggi gli atleti di qualificazione olimpica utilizzano in gran parte
lavori di tipo sub massimale e tendente al massimale.
Il sommo Zaciorskij riporta il contenuto di una seduta di allenamento del campione olimpico di
Roma ’60, Kurinov, categ. medi, che già 50 anni fa utilizzava pionieristicamente tale metodologia.
Strappo in piedi: 2x60 - 2x1x80kg.
distensione: 1x2x100 – 1x1x100 – 1x120 – 2x1x130 – 1x120 – 1x130kg.
girate: 2x1x130kg.
tirate: 2x90kg.
strappo in piedi: 1x90kg.
strappo completo: 1x105 – 2x1x110 – 1x120 – 2x1x125kg.
tirata con strappo: 2x130 – 2x2x140 – 2x150kg.
distensione: 2x1x100 – 1x120 – 2x1x130kg.

Da rilevare che le serie non superavano mai le 2 reps e, cionondimeno, non trattavasi di carichi al
100% bensì di carichi sub massimali, in grado di esser sollevati da 1 a 3 volte senza eccitazioni
eccessive e totali del sistema nervoso.
La differenza percentuale tra il carico valutabile come massimale per l’allenamento e l’effettiva
miglior prestazione raggiungibile in assoluto è soggettiva e perciò varia da atleta ad atleta, con
escursioni più ampie man mano che si prendono in considerazione le categorie ponderali maggiori.

Alcuni protocolli di lavoro con il metodo degli sforzi massimali sono riscontrabili in varie
sistematiche di allenamento nel powerlifting o in altre specialità di forza.
Vi rientrano parzialmente alcuni lavori di tipo piramidale, altri con le “fasi” ed implicanti almeno un
gruppo di alzate singole, il carico a onda di tipo 3/2/1; inoltre qualche applicazione particolare e
specifica – che mi auguro di poter esaminare in seguito nel dettaglio – come l’Hepburn System, per
la parte in cui si svolgono le 3-5 serie singole, che può essere ricompreso sia in detto metodo, sia
parzialmente in quello degli sforzi ripetuti a carico costante (con il gruppo da 5x5), sia infine e
complessivamente nel lavoro ripetuto a distribuzione di serie.
Un classico mesociclo che viene programmato con il metodo degli sforzi massimali è quello di
“peak” che trovasi spesso al termine di un macrociclo o che talvolta è previsto dopo consistenti
lavori di accumulo (ad es. dopo lo Smolov) o ancora, più in generale, si effettua prima di
un’importante competizione della stagione agonistica.
Si potrebbe citare una miriade di esempi in proposito ma ripropongo una progressione
trisettimanale tipica utilizzata tanto nel WL come nel PL con le opportune discrezionali varianti:

1^ sett. –
sess. a) 7x2/3x80%
sess. b) 6x2x82,5%
2^ sett. –
sess. a) 5x1x85% e oltre
sess. b) 4x1x87/90%
3^ sett. –
sess. a) 3x1x90% e oltre
sess. b) 2x1x92/95%
4^ sett. –
sess. unica) scarico
gara

N.B.) alle alzate singole possono essere accompagnate alcune serie a modesta intensità per il
mantenimento del volume raggiunto.
Valutazioni e differenze

Fondamentalmente, come nella maggioranza dei casi, “virtus in medio stat” e infatti il risultato più
soddisfacente si ottiene con la sapiente mistura di più ingredienti tutti utili a diversi fini e sovente
capaci, in sinergia, di produrre un risultato migliore rispetto alla stessa somma aritmetica degli
addendi.
Cosicché la combinazione omogenea dei metodi di allenamento di sforzi ripetuti, massimali e
dinamici trova largo impiego nelle pianificazioni più moderne e conduce alla performance più
elevata.
E’ proprio il concetto che dapprima lo stesso Zaciorskij fino poi a Verchosanskij hanno sostenuto
concependo il “metodo coniugato” - che pure mi riprometto di trattare - che già dal nome
sottintende l’amalgama di tanti principi e che ha trovato proprio nel settore del Pl diverse
applicazioni pratiche, tra cui il celebre “Westside”.
Tornando però al tema odierno, restano molti punti pro e contro il metodo degli sforzi massimali,
che lo inducono talvolta ad essere preferito, tal’altra scartato a vantaggio del più sicuro (ancorché
monotono) metodo degli sforzi ripetuti; questo aspetto andrebbe vagliato anche in rapporto a chi
siano i soggetti verso i quali entrambi i metodi siano eventualmente diretti e dedicati.

Come già detto, il metodo degli sforzi massimali è stato negli ultimi decenni quello preferito da gli
atleti di più elevato livello e qualificazione.
Sul piano puramente energetico, nel campo delle discipline prestazionali di forza pura e potenza, è
da evitare un lavoro volto al cedimento che intacchi la freschezza e l’integrità atletica e conduca
all’esaurimento delle forze fisiche.
L’attività riflesso condizionata si sviluppa meglio con sforzi brevi ed intensi, qualora questi non
eccedano toccando i massimali reali nell’eccitazione del sistema nervoso.
Inoltre per un atleta agonista è importante sollevare carichi alti senza dispersione di forze in un
ambito di tempo ristretto (considerando pure i necessari ampi recuperi occorrenti) e l’elevato
impegno delle odierne stagioni agonistiche nonché le esigenze sociali della vita esterna
porterebbero l’atleta di picco, che può permetterselo per caratteristiche personali, curriculum,
spessore tecnico ed esperienza a preferire una preparazione incentrata su serie ad alzate singole o
comunque a ripetizioni limitate, per evitare che un volume di lavoro, che abbia già valicato livelli
limite negli anni pregressi, rischi di divenire insostenibile nel tentativo di determinare ulteriori
miglioramenti.

D’altro canto, il metodo degli sforzi ripetuti presenta altrettanti numerosi e indubitabili vantaggi da
non sottovalutare e, semmai, da integrare opportunamente.
Il lavoro di volume produce e mantiene effetti positivi sul metabolismo, quindi sui processi trofici e
sugli incrementi plastici; diventa allora importante per un lavoro ipertrofico basale su cui operare i
successivi transfert di forza; con esso si riduce la tetanizzazione e dunque l’assuefazione a certi
stimoli massimali localizzati, che possono indurre ad una stagnazione dei risultati.
In poche parole, l’atleta di livello è, in tale frangente, come un cane che si morde la coda: necessita
di ripetere sempre più uno schema motorio ed una certa intensità per abituarsi ad essi e a non
perdere il feeling con il gesto di gara ma, paradossalmente, ripetendolo soltanto e
pedissequamente si stalla nel livello già conseguito.
Si può aggiungere che gli esercizi di tipo massimale non agevolano il controllo dell’attrezzo e la
padronanza tecnica dell’esecuzione e neppure la coordinazione dei movimenti.
Il rischio di infortuni con carichi ingenti e prossimi al proprio limite è naturalmente più alto.
Infine, in atleti di livello non apicale la percezione dell’eccellenza prestativa non risulta evidente
come in quelli di maggior qualificazione, mentre l’allenamento con sforzi ripetuti ha un approccio
più semplice per tutti e anche in condizioni logistiche eventualmente disagiate.

L’importanza di tutti questi rilievi, la necessità di una linea programmatica che tenga conto, in
chiave agonistica, di tutte le componenti in proporzione alle percentuali di rischio e agli elementi
negativi insiti in esse nonché alle risultanti effettive delle componenti stesse, ha indotto la
maggioranza dei tecnici a pianificare protocolli di lavoro che pongano sulla bilancia tutte le analisi
sopra espresse e prevedano, in successione e in simultanea, l’effettuazione di lavori incentrati su
più di una metodologia – sia pur in misura e frequenza diversa a seconda delle scuole di pensiero –
per avvalersi dei relativi vantaggi pratici, stemperando o limitando le inevitabili controindicazioni
comunque contenute.

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