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occidentale è giunto:
LA CARTOLINA POSTALE
LA DIFFERANCE
DECOSTRUIRE
Il compito del filosofo sarà allora quello di decostruire i testi , cioè smontarli,
metterli in crisi, contraddirli. Chi compie quest'opera permette al lettore di
capire che in esso non c'è l'essere, ma l'essere è oltre il testo, che nel testo ci
sono solo le sue tracce. In questo modo il filosofo giunge, attraverso il suo
lavoro di decostruzione, anche a forme di potere che stanno sotto a certi discorsi
fatti passare per veri. Decostruire un discorso, glossarlo, scrivere nei suoi
margini un commento che lo demolisce, farne la "parodia" è mettere in crisi la sua
pretesa di essere luogo della verità e nello stesso tempo smascherare chi usa
questo testo per il suo potere: questo è per Derrida fare filosofia. In questo modo
si capisce che il vero modo in cui si aderisce alla verità è quello del colpo di
dadi ; quello in cui a caso scegli la tua opinione, decidi che in quel testo c'è
l'essere (la verità): ma così facendo conferisci a quel testo un valore di verità
che esso non ha. Il colpo di dadi, la decisione senza motivo, avviene perché non si
è perfettamente coscienti che la verità è nello "spazio vuoto" che è in mezzo a
"indecidibili opposti". E' così o cosà? Dentro o fuori? Prima o dopo? La risposta è
né l'uno né l'altro, ma lo spazio che è tra l'uno e l'altro, la "sbarra" che divide
l'opposizione (quando scrivo dentro/fuori metto tra la parola "dentro" e la parola
"fuori" una "sbarra" trasversale: la risposta è in "quella sbarra"), l'interlinea,
l'indecidibile, il qualcosa che non sopporta la decisione. Derrida cerca una via
media tra nichilismo e ontologia, fra strutturalismo e metafisica della presenza e
lo fa nella direzione della decostruzione del discorso basato sul testo scritto. E'
in fondo una forma di apofatismo , posizione per cui la verità non può essere
detta. Forse la verità si coglie ma non si può dire (già Gorgia ipotizzava che se
anche l'essere potesse essere colto, non sarebbe comunicabile). E' una forma di
scetticismo, seppure molto raffinato. In sintesi, dunque, per Derrida, questa
strada è percorribile non costruendo nuove teorie, incentrate sulla violenza del
logos che pretende di essere cogente e definitivo, ma adottando una diversa
strategia di lettura dei testi, che egli chiama decostruzione e che ha avuto
notevole influenza anche sulla critica letteraria, soprattutto nordamericana.
Derida non definisce né analizza articolatamente che cosa significhi decostruzione,
ma lo mostra in atto nelle letture a cui sottopone testi della tradizione
filosofica o letteraria. In generale, si può dire che la decostruzione è l'atto di
compiere il processo inverso rispetto a quello che ha condotto alla costruzione del
testo, smontandolo e rovesciandone le gerarchie di significato, che la metafisica
della presenza tende a privilegiare, trattando le opere di filosofia come opere di
letteratura e viceversa, giocando sulle opposizioni, sui rimandi, sulle somiglianze
casuali, su ciò che sta ai margini nel testo, in modo da sottrarsi al desiderio
della definitezza. La decostruzione, più che una pratica teorizzabile e ripetibile,
è qualcosa di simile all'esecuzione artistica. Attraverso la decostruzione è
possibile, secondo Derrida, che si aprano varchi attraverso i quali intravedere ciò
che viene dopo il compimento della nostra epoca, ossia al di là dell'epoca della
metafisica. Conosciamo la realtà ma ciò che è possibile lo conosciamo appena;
l'ambito del possibile è quasi illimitato, quello del reale è molto limitato perché
di tutte le possibilità è sempre una soltanto quella che si può trasformare in
realtà.
POLITICHE DELL'AMICIZIA
XENOS
Durante un seminario svoltosi nel 1996, Derrida affronta il tema dello Straniero e
dell'Ospitalità, e lo fa mostrandoci come nei dialoghi di Platone proprio la
"figura dello straniero" (Xenos) sia quella che porta con sé e pone le domande
fondamentali. In primo luogo, nel Sofista è proprio lo Straniero di Elea a porre la
questione parricida che contesta la tesi ontologica di Parmenide, il logos del
padre Parmenide: l'essere è, il non-essere non è. In secondo luogo, nell'Apologia
di Socrate il ruolo dello straniero è rappresentato dallo stesso Socrate che, di
fronte all'assemblea destinata a giudicarlo, dichiara di essere privo, estraneo,
alla logica e al linguaggio retorici, e di essere come uno straniero. Ora, spiega
Derrida, il primo problema è quello della lingua: "l'impossibilità di comunicare e
di poter interagire con norme imposte dallo Stato, dal potere". E qui comincia la
reale questione dell'ospitalità: davvero è sufficiente che lo straniero parli la
nostra lingua e si muova nelle nostre categorie per comprenderlo, accoglierlo e
dargli ospitalità? Il secondo punto riguarda l'effettiva difesa di Socrate, che, di
fronte alla prospettiva di essere condannato a morte, prega gli Ateniesi di
considerarlo come se fosse davvero uno straniero, sia per l'età, sia per l'unica
lingua che egli conosce: quella della filosofia e quella del popolo. "Socrate:
dunque è semplice, mi sento spaesato nel linguaggio in uso qui. Come se, nella
realtà, fossi uomo di un altro paese: penso che avreste indulgenza se mi esprimessi
con l'accento e nel dialetto, nei giri di frase del mio ambiente nativo". Oggi
sappiamo grazie a numerosi studi che allo straniero giunto ad Atene si attribuivano
precisi diritti e doveri che venivano automaticamente estesi anche alla sua stirpe.
Ma, allora, come intendere autenticamente lo Straniero? L'accoglienza di qualcuno
che dapprima appare come assolutamente Altro e Sconosciuto in realtà implica un
obbligo di uniformazione: il diritto all'ospitalità impegna un gruppo etnico che
accoglie un altro gruppo etnico "chiamandolo per nome e riconoscendone l'identità,
accogliendolo in famiglia". Si tratta di ospitalità di diritto. Ciò che d'impatto
può apparire ospitalità senza limiti (chiunque giunga ad Atene viene accolto), in
realtà impedisce l'autentica ospitalità: senza riconoscimento e identità nominale,
essa infatti non è possibile. L'ospitalità assoluta esige apertura e offerta a
chiunque, e più precisamente, come afferma Derrida, "all'altro assoluto,
sconosciuto, anonimo, e che gli dia luogo, che lo lasci venire, che lo lasci
arrivare e aver luogo nel luogo che gli offro, senza chiedergli né reciprocità
(assumere doveri per avere diritti) né il nome". Tornando a Socrate, lo Straniero
che il filosofo auspica di essere è qualcuno da cui si pretende identità per essere
riconosciuto: gli si chiede quindi il nome. Ma, allora, l'ospitalità consiste
nell'interrogare chi arriva? La domanda può apparire molto umana, esprimere un
autentico interesse: chi sei? come ti chiami? Oppure la vera ospitalità accoglie
senza domande, viene offerta ad un soggetto non identificabile, si dona? È
soprattutto nella cultura che questo dilemma appare nella sua complessità, quando
cioè un singolo uomo sfugge momentaneamente alla propria identità nominale per
diventare testimone di un popolo proveniente da tradizioni contemporanee e al tempo
stesso ataviche. Fino a che punto è lecito forzare la comprensione di una cultur