Sei sulla pagina 1di 57

MANUALE DI GLOTTODIDATTICA

La didattica delle lingue moderne è lo studio dell’insegnamento/apprendimento di L2.

L’oggetto di studio è il linguaggio e la lingua; in inglese a differenza dell’italiano non c’è distinzione tra i
due.

Il linguaggio è un insieme di codici e non è proprio del genere umano, mentre la lingua è il codice verbale
utilizzato dall’uomo.

L’apprendimento di una seconda lingua oggi è parte integrante della formazione degli individui ed è di
importanza sociale ed educativa, soprattutto come risposta delle istituzioni al fenomeno dell’immigrazione.

Da circa dieci anni la scuola ha dovuto riformulare l’offerta formativa per far fronte ad una società
multiculturale e plurilingue, dando la possibilità di apprendere lingue straniere a coloro che parlano
l’italiano e, viceversa, la possibilità di apprendere l’italiano a coloro che nel nostro paese parlano lingue
straniere.

Una politica culturale e educativa adeguata deve rispondere alle esigenze di una società plurilingue,
promuovendo nei parlanti una migliore competenza nella lingua straniera.

CAP.I

Pagina
1
L’APPRENDIMENTO DI UNA PRIMA LINGUA E DI UNA SECONDA LINGUA

Apprendimento e insegnamento

Fino a dieci anni fa si pensava che l’insegnamento condizionasse l’apprendimento e quindi fosse prioritario
ad esso. Ma negli ultimi venti anni ci si è resi conto che l’iniziativa spetta a chi apprende e quindi
l’insegnamento si deve adattare alle sue esigenze e ai suoi ritmi di apprendimento. La data simbolica per
l’Italia è il 1975, quando De Mauro ed altri formularono le 10 Tesi sull’educazione linguistica democratica,
manifesto fondativo dei Gruppi di intervento e di studio nel campo dell’educazione linguistica ( GISCEL );
quindi l’apprendimento e l’insegnamento non sono più visti come fenomeni distinti, ma come due
fenomeni interagenti e calibranti sui discenti. L’insegnamento di conseguenza prenderà in considerazione i
livelli di apprendimento e in base a questi formulerà gli obiettivi e i metodi di sviluppi ulteriori. Si capisce
come il lavoro dell’insegnante diventa più complesso in questo nuovo quadro.

L’apprendimento di una lingua materna

Il linguaggio è un tratto caratteristico della specie umana per cui il bambino acquisisce la lingua materna in
modo naturale, secondo un percorso di sviluppo che gli consentirà poi di comprendere e produrre la lingua
e cui è esposto. Tuttavia lo sviluppo del linguaggio avviene nel periodo in cui persiste la plasticità
neuronale e ancora non si è concluso lo sviluppo della lateralizzazione, evento che si presenta intorno alla
pubertà.

I bambini sono partecipanti attivi e creativi nel processo di acquisizione della lingua materna e l’abilità di
generare un numero illimitato di frasi dotato di significato non deriva da semplice addestramento. Inoltre i
genitori non sono l’unico modello di apprendimento del linguaggio, difatti anche il gruppo dei pari produce
tale apprendimento. Ci sono diverse teorie che ci spiegano come avviene l’acquisizione del linguaggio.

L’ipotesi comportamentista

Questa ipotesi parte dall’assunto che l’apprendimento del linguaggio sia una questione di imitazione e
formazione di abitudini. Tale assunto risale a Skinner secondo il quale il bambino impara mettendo in atti
certi comportamenti, le abitudini, attraverso l’imitazione e il rinforzo. Questa spiegazione però non ci dà
un quadro della complessità linguistica dell’adulto perché il focus è incentrato sulla pronuncia e sull’uso
iniziale delle parole e non sull’acquisizione della grammatica.

Skinner per spiegare l’acquisizione della sintassi elabora e sviluppa la nozione di stimolo-risposta-rinforzo e
di associazione; in questo modo la struttura della frase consiste di associazioni tra le parole della frase.

Per i comportamentisti i bambini hanno un ruolo passivo nel processo di apprendimento. Nelle primissime
fasi dell’acquisizione linguistica l’imitazione e la pratica sono principi primari dello sviluppo del linguaggio.

Pagina
2
L’imitazione è l’espressione più vicina a quella dell’adulto (ad esempio madre: Simone va a dormire;
Simone: dommie va). Le imitazioni non sono casuali e non durano a lungo. Quando determinate strutture
diventano stabili, il bambino cessa di imitarle e si concentra su altre; sembrerebbe che il bambino selezioni
gli elementi da imitare e ciò che imita si basa su ciò che già conosce piuttosto che su quello disponibile
nell’ambiente.

La pratica invece è una sorta di manipolazione della forma sulla base di primissime generalizzazioni di
regole (ad esempio Simone: vengo io? Venghi tu? Matti venghi? ).

Interessante è anche il ruolo delle routine che contraddistinguono l’interazione con il bambino, difatti
nell’acquisizione di una prima e di una seconda lingua, tale termine è riferito alle interazioni che
avvengono tra il bambino e la madre. Con le routine il bambino partecipa attivamente all’ interazione e
acquisisce la parola richiesta; inoltre esse fanno da sostegno allo sviluppo comunicativo.

L’ipotesi comportamentista però non è sufficiente a spiegare gli aspetti più complessi della struttura del
linguaggio, infatti il limite di Skinner è stato quello di dare un peso quasi esclusivo alle influenze ambientali
sul bambino rispetto alla componente cognitiva.

L’apprendimento comportamentista non considera l’aspetto creativo del linguaggio e spiega solo come i
bambini imparano alcuni aspetti regolari e routinari del linguaggio. Inoltre l’assunto comportamentista
parte dalla considerazione che apprendere una L 2 significa superare le abitudini legate alla lingua materna;
ma non si apprende per abitudini altrimenti non si spiegherebbe la creatività linguistica.

L’ipotesi innatista

Questa ipotesi si contrappone a quella comportamentista. Il suo maggiore esponente è Chomsky il quale
ritiene che l’apprendimento del linguaggio non può essere ridotto alla semplice acquisizione di abitudini
linguistiche in quanto da sole non spiegano la creatività del linguaggio umano.

Secondo Chomsky l’apprendimento linguistico è determinato da un patrimonio innato; in pratica gli esseri
umani sono programmati biologicamente al linguaggio in quanto esso è una facoltà innata dell’uomo. Egli
sostiene che esiste un set di principi innati comuni a tutti gli individui e a tutte le lingue, presenti in una
Grammatica Universale; questa è parte della mente umana e permette al bambino di costruire la propria
grammatica. La GU è formata da una serie di principi comuni a tutte le lingue e il bambino non deve fare
altro che apprendere il modo in cui la propria lingua utilizza questi principi.

Nell’area della sintassi un esempio di principio acquisizionale oltre che strutturale del linguaggio è il
principio della dipendenza della struttura, secondo cui è necessario operare un’analisi strutturale della
frase per applicarlo e per Chomsky il bambino possiede tale principio. Però l’idea che tutto sia innato

Pagina
3
dall’inizio, non rende conto di ciò che avviene nel percorso di sviluppo e delle ipotesi intermedie che il
bambino formula sulla lingua che sta apprendendo. Ciò conduce all’ipotesi costruttivista.

L’ipotesi costruttivista

Questa ipotesi si focalizza sul ruolo dell’ambiente linguistico e sulla interazione con le predisposizioni
innate del bambino nel determinare lo sviluppo delle capacità linguistiche. Le strutture del linguaggio
infantile non provengono né dal patrimonio genetico, né dalle strutture della lingua adulta, ma dipendono
dalla struttura delle abilità cognitive e socio-cognitive del bambino.

Attraverso alcuni studi si sono acquisiti nuovi dati relativi agli effetti che l’input ha sul processo di
apprendimento; l’input è l’esperienza che il bambino fa della lingua. I meri dati linguistici, a differenza di
come sosteneva Chomsky, non sono poveri e sgrammaticati, infatti i genitori quando ripetono le frasi
pronunciate dai bambini, lo fanno in modo grammaticalmente corretto. Nell’interazione tra madre e
bambino il linguaggio viene adattato al livello di comprensione del bambino e tale adattamento varia in
funzione dell’età, del comportamento e della interazione.

Nel linguaggio rivolto al bambino gli enunciati vengono continuamente ripetuti e l’intonazione, la velocità,
l’ordine delle parole, vengono modificate senza che il linguaggio subisca variazione. L’intonazione è
accentuata ed esagerata, la fonologia è semplice e la combinazione di vocali e consonanti è ben distinta.

Alcuni studi stabiliscono che c’è una relazione tra il primo vocabolario del bambino e l’uso del lessico da
parte della madre, quindi le prime fasi dello sviluppo lessicale si originano poiché il bambino utilizza
particolari parole adoperate negli stessi contesti. Questi studi confermano l’ipotesi secondo cui lo sviluppo
del linguaggio è influenzato dall’esperienza sociale e linguistica del bambino.

L’ipotesi costruttivista indaga sulle differenze che i bambini dimostrano nell’acquisire il linguaggio; i
bambini non apprendono tutti allo stesso modo e seguono percorsi diversi proprio perché hanno
caratteristiche diverse riguardanti la personalità, le strategie educative e la lingua che viene appresa.

Slobin, confrontando lingue diverse, ha formulato dei principi su come il bambino organizza
cognitivamente il linguaggio: un primo principio riguarda il modo in cui i bambini prestano attenzione alla
fine delle parole. Questo principio prevede che i suffissi vengano acquisiti prima dei prefissi, e quindi che le
terminazioni delle parole vengano pronunciate per prime. L’idea portante è che la lingua viene utilizzata
per esprimere le cognizioni del bambino dell’ambiente fisico e sociale, per cui un bambino non può
utilizzare una forma in modo significativo fino a che non è capace di riconoscere cosa significa.

Secondo questo approccio, dunque, l’acquisizione del linguaggio è dovuta ad una interazione continua tra
un’informazione geneticamente specificata e un apprendimento successivo.

Pagina
4
Come si vedrà, alcune teorie danno importanza alle caratteristiche innate dell’apprendente, altre al ruolo
dell’ambiente e altre ancora cercano di integrare i due fattori per tentare di rendere conto di come viene
appresa una seconda lingua. Comunque è chiaro che un bambino o un adulto che apprendono una seconda
lingua sono in una condizione diversa rispetto a un bambino che acquisisce una prima lingua e le differenze
sono legate sia alle caratteristiche personali di chi apprende e sia alle differenti condizioni di
apprendimento.

L’apprendimento di due lingue: L1 e L2

Anche se esistono diverse definizioni del termine bilinguismo in quanto può riguardare sia il bilinguismo
individuale, sia la divisione di una regione in due diversi gruppi linguistici e Harmes e Blanc chiamano
bilingualità il possesso di due lingue nell’individuo e bilinguismo compresenza in una data comunità di due
o più lingue diverse, qui il bilinguismo viene adoperato sia come fenomeno individuale che collettivo.

Secondo Bloomfield una persona è bilingue se possiede una conoscenza nativa delle due lingue; per
Macnamara si è bilingue se si possiede una minima competenza in una delle quattro abilità linguistiche -
capire, parlare, leggere, scrivere -.

Ci sono diversi tipi di bilinguismo:

Bilinguismo precoce, detto anche apprendimento simultaneo di due lingue, anche se


l’apprendimento della seconda lingua avviene con un ritardo di uno o due anni;
Bilinguismo successivo, quando una seconda lingua viene acquisita dopo i tre anni di età;
Bilinguismo coordinato, quando le due lingue vengono acquisite in contesti ben distinti, ciascuna in
un determinato luogo con una o più persone;
Bilinguismo composito, quando c’è una combinazione tra i significati delle parole corrispondenti
alle due lingue. Questo tipo di bilinguismo si può avere, ad esempio, in situazioni in cui entrambi i
genitori parlano con il bambino in ognuna delle due lingue.

Il bilinguismo coordinato e composito non si escludono.

Una distinzione può essere fatta anche per quello che riguarda lo sviluppo cognitivo, pertanto abbiamo:

Bilinguismo additivo, in cui si valorizzano in modo uguale le due lingue, permettendo sviluppi sul
piano cognitivo;
Bilinguismo sottrattivo, si riferisce alla perdita di valore della prima lingua in favore dell’affermarsi
dell’altra.

È raro che una persona bilingue padroneggi le due lingue allo stesso modo; essere bilingue in modo
equilibrato significa essere una persona che sa capire, parlare, leggere e scrivere nelle due lingue con la

Pagina
5
stessa padronanza, indipendentemente dagli argomenti trattati e dalle situazioni e molte volte una delle
due lingue è dominante almeno in un campo.

Il bilinguismo non è statico, poiché può accadere che chi ha appreso bene una seconda lingua, può
dimenticarla parzialmente o del tutto, ecco perché la condizione di bilinguismo va curata per non rischiarne
la perdita.

Comunque la definizione generale di bilinguismo, inteso in modo individuale e non collettivo, è la seguente:

il bilinguismo si ottiene quando una persona è in grado di usare due codici linguistici diversi,
indipendentemente dal grado di conoscenza e della padronanza delle due lingue.

Beardsmore afferma che il bilinguismo è un doppio mezzo di comunicazione efficace tra due o più mondi
che utilizzano due sistemi linguistici e quindi implica la conoscenza di due culture.

Tipi di apprendimento: spontaneo, guidato e misto

I profili dell’apprendente di una seconda lingua sono diversi e gli apprendenti possono trovarsi in
condizioni di apprendimento differenti gli uni rispetto agli altri. Ci sono tre tipi di apprendimento:

1) Apprendimento spontaneo. L’apprendimento di una seconda lingua avviene in un contesto


naturale, grazie a situazioni comunicative autentiche. Ad esempio, un bambino che si trasferisce in
un’altra regione, impara la lingua locale stando in contatto con i bambini del posto. In tale
apprendimento l’input linguistico deriva in gran parte dalla vita quotidiana ed è sempre costante.
Nell’apprendimento di una seconda lingua invece l’input non sempre si presenta in modo netto e
chiaro in quanto può essere disturbato da rumori esterni; esso coinvolge una nuova dimensione
culturale proprio perché l’apprendente si trova di fronte ad un mondo culturale diverso.
Nell’acquisizione spontanea, l’apprendimento di una seconda lingua si basa su processi cognitivi e
creativi, su dati lessicali, fonologici e morfosintattici, e come per la lingua materna, vengono
applicati i principi della sequenzialità e della decomposizione. Inoltre, nelle prime fasi di
acquisizione, l’apprendimento è più rapido rispetto alla lingua materna. La riuscita dell’acquisizione
è fortemente condizionata dalla motivazione esistenziale.
2) Apprendimento guidato. Tale apprendimento di solito avviene in tempi (ore di lezioni ) e in luoghi (
aula ) e la lingua straniera viene insegnata da poche persone. L’input prevede una scelta limitata di
situazioni comunicative all’interno di un insegnamento che mira alla correttezza degli enunciati,
quindi è un insegnamento esplicito, con lo scopo di trasmettere regole e frasi modello che
consentono all’apprendente di formare i suoi discorsi. L’apprendimento guidato avviene mediante
un processo deduttivo; qui le fasi dell’apprendimento spontaneo si presentano in forma ridotta in
quanto la lingua viene presentata didatticamente. L’apprendimento guidato, inoltre, permette

Pagina
6
un’acquisizione relativamente veloce delle strutture superficiali; la motivazione è strumentale e
spesso la valutazione condiziona il processo, soprattutto a scuola. Nelle scuole private di lingua la
motivazione è personale.
3) Apprendimento misto. Tale apprendimento coinvolge sia l’acquisizione spontanea che guidata. Ad
esempio, una ragazza inglese che lavora presso una famiglia italiana, normalmente parla l’italiano
con la famiglia in questione e frequenta due volte a settimana corsi di lingua italiana. L’input
potenzia e facilita lo sviluppo della scrittura, della lettura, cosa che non avviene nell’apprendimento
spontaneo. La combinazione dei processi imitativi e deduttivi migliora l’efficacia delle strategie
dell’apprendimento esplicito. L’apprendimento misto promuove una competenza comunicativa
migliore rispetto all’apprendimento guidato perché non si tratta più di imparare una lingua
astratta fuori contesto come avviene nell’insegnamento scolastico, ma perché dalla buona
conoscenza della lingua straniera dipendono anche condizioni di vita migliori.

I codici utilizzati dai parlanti di una L1 sono detti codici semplici o semplificati e sono:
Il motherese è il codice semplificato utilizzato da una madre che si rivolge al suo bambino.
Il foreigner talk è la lingua parlata dallo straniero e per lo straniero.

Ciò che accomuna questi due codici è la semplificazione, che consiste nel modulare il proprio codice per far
si che l’apprendente possa capire.

CAP.II

INTERLINGUA: MODELLI E PROCESSI DI APPRENDIMENTO

Pagina
7
La ricerca sull’apprendimento di lingue diverse è iniziato circa trenta anni fa, quando si formulò il concetto
di interlingua, e recentemente si è estesa in seguito alle migrazioni sempre più massicce dal mondo
anglosassone a tutta l’Europa, compresa anche l’Italia.

Il concetto di interlingua: prime ricerche ed ipotesi sull’apprendimento di una L2

Negli anni 50, quando sul piano culturale era preminente la psicologia comportamentistica di Skinner e la
linguistica tassonomica di Bloomfield, si riteneva che la lingua, intesa come un insieme di abitudini, venisse
appresa mediante meccanismi di stimolo-risposta-rinforzo e imitazione.

Chi si occupava di insegnamento-apprendimento di L 2 praticava il filone dell’Analisi contrastiva di Lado. I


sistemi linguistici presi in esame, quello materno e della lingua seconda, venivano confrontati nelle loro
strutture fonologiche, morfosintattiche e lessicali, per determinare eventuali errori nell’apprendente,
ritenendo che gli errori fossero determinati dalle differenze tra le due lingue. Queste tesi però furono
smentite sul campo negli anni’60 dal filone dell’Analisi degli errori, in quanto trovò errori non previsti
dall’analisi contrastiva.

L’Analisi degli errori riscontrò che oltre alla diversità tra L 1 e L2, ci sono altri fattori che incidono sul
processo e sull’esito dell’apprendimento. Da qui prese le mosse la linguistica dell’acquisizione, grazie
anche alla formulazione del concetto di interlingua.

Decisivo fu il saggio di Pit Corder, The significante of learners’ errors che propose di interpretare gli errori
non in un’ottica comportamentistica come frutto di imitazione e di abitudini legate a L 1, ma come indizio di
un sistema linguistico in formazione, in pratica come si faceva per le forme devianti presenti nel linguaggio
infantile.

Dopo la confutazione chomskiana della tesi comportamentistica di Skinner, si era da tempo evidenziata la
natura creativa e regolare dell’apprendimento della lingua materna e il bambino veniva considerato un
creatore di regole. Questa caratteristica venne riconosciuta anche nell’apprendimento di L 2 sfociante in una
competenza linguistica interiorizzata che Corder definì grammatica dell’interlingua o competenza
transitoria. Egli distinse errori legati alla competenza – interessanti per lo studioso in quanto utili e
sistematici per ricostruire la grammatica ed evidenziare le strategie di acquisizione – ed errori o sbagli a
livello di performance, fra cui i lapsus. Inoltre per Corder esiste un dispositivo di acquisizione interno
responsabile dello sviluppo della competenza in L 2, indipendente da L1 e da quello seguito dall’insegnante.

Oltre a Corder importanti furono:

William Nemser, che descrisse la competenza in L2 come una successione di sistemi in evoluzione
approssimativi, in movimento verso la lingua di arrivo o target.

Pagina
8
Larry Selinker, a cui dobbiamo il termine di interlingua, che designa la lingua imperfettamente
posseduta dall’apprendente, sistema linguistico a sé stante che risulta dal tentativo da parte
dell’apprendente di produzione di una norma della lingua obiettivo o target. Dunque non un
sistema a metà tra L1 e L2.

Lo sviluppo dell’interlingua si distinguerebbe da quello di L 1 per il fenomeno della fossilizzazione, intesa


come il permanere di strutture errate, e per cinque processi:

1) Il transfert linguistico, cioè l’influsso della lingua materna sull’interlingua;


2) Il transfert di insegnamento, cioè errori dovuti all’applicazione indebita di regole e strutture di L 2 su
cui l’insegnante insiste;
3) Le strategie di acquisizione di L2, risultato del modo in cui l’apprendente affronta il materiale da
apprendere, per esempio omettendo o semplificando i morfemi grammaticali;
4) Le strategie di comunicazione in L2, risultato di un modo identificabile in cui l’apprendente affronta
la comunicazione con i parlanti nativi;
5) L’ipergeneralizzazione del materiale linguistico in L2, per esempio la doppia marca di verbi al
passato.

Nella prima fase della ricerca va collocato anche il filone dei Morpheme Studies che diede risalto all’aspetto
creativo e formulò l’ipotesi dell’identità fra acquisizione di L1 e L2; in pratica i due processi sarebbero
ascrivibili agli stessi dispositivi mentali innati. Il paradigma teorico di riferimento era quello innatista di
matrice chomskiana.

Modelli teorici sull’apprendimento linguistico

Alcune teorie che si sono delineate sono di tipo deduttivo ( approccio TOP DOWN ), cioè dalla teoria ai dati;
altre invece sono induttive ( approccio BOTTOM-UP ), cioè dai dati alla teoria.

Le teorie talora tengono conto di tutti i fenomeni implicati nell’apprendimento linguistico ( macroteorie,
ad esempio il modello del monitor ), talaltra si concentrano solo su alcuni aspetti ( microteorie, aspetto
socio-ambientale, cognitivo, funzionale ).

Teorie innatiste

Il modello del Monitor

È forse il modello innatista su L 2 più ambizioso. Fu elaborato nella seconda metà degli anni 70 da Krashen e
altri. Secondo Krashen l’apprendimento linguistico risente sia dei fattori ambientali esterni, sia dei fattori
interni all’apprendente, in particolare di tre meccanismi fondamentali: i primi due sono subconsci (il filtro
e l’ organizzatore); il terzo cosciente (il monitor).

Pagina
9
-Ambiente linguistico (INPUT) ----> Filtro ----> Organizzatore ----> Monitor ----> Esecuzione dell’apprendente
(OUTPUT).

Il filtro socio-affettivo, in base a vari fattori ( motivazioni, attitudini, stati emozionali ), filtra l’input
linguistico e solo su quanto passa attraverso il filtro e arriva all’organizzatore, il cosiddetto intake, si
costruirebbe la competenza in L 2. Di conseguenza forti motivazioni, stati emotivi rilassati, favoriscono
l’acquisizione.

Dopo il filtro, l’organizzatore elabora i dati e li organizza in un sistema. Il monitor invece è responsabile
dell’elaborazione linguistica consapevole, derivante dallo studio della grammatica e visibile nelle
autocorrezioni.

Da questo modello Krashen ha formulato la Teoria del monitor, di tipo deduttivo; essa si basa su cinque
ipotesi:

1) Ipotesi dell’acquisizione/apprendimento. Sono due sistemi conoscitivi diversi in quanto il primo è


inconscio, attivo anche per L 1 e porterebbe alla formazione della competenza in L 2. Il secondo
invece è conscio e superficiale, tipico dei contesti scolastici e comporta la conoscenza formale di
una lingua osservando le sue regole.
2) Ipotesi dell’ordine naturale. Le strutture della L2 verrebbero acquisite in un ordine fisso, naturale e
indipendente da quello seguito dall’insegnamento.
3) Ipotesi del monitor o editor. Questo sarebbe attivo nell’apprendimento linguistico consapevole e
non contribuirebbe all’acquisizione, ma solo alla revisione conscia dell’output.
4) Ipotesi dell’input comprensibile. Per Krashen tale ipotesi è centrale in quanto visto che il vero
responsabile dell’acquisizione è un dispositivo innato, basta fornirgli una sufficiente quantità e
qualità di input comprensibili perché questo operi.
5) Ipotesi del filtro affettivo. Il filtro affettivo non deve essere bloccato altrimenti l’input non può
essere rielaborato e interiorizzato, quindi non deve esserci ansia, ma motivazione ed autostima. Il
filtro avrebbe un ruolo di facilitazione/inibizione e non di causa dell’acquisizione.

La teoria del monitor è stata criticata perché è risultata poco chiara, per la scarsa documentabilità tra
acquisition e learning e perché trascura gli stadi intermedi dell’acquisizione.

La Grammatica Universale e l’acquisizione come parameter setting

Il filone innatista si richiama alla Teoria della Grammatica Universale di Noam Chomsky, secondo cui se
non si avesse una conoscenza innata di principi linguistici universali, non si potrebbe imparare una lingua,
in quanto lo stimolo linguistico esterno sarebbe insufficiente qualitativamente e quantitativamente.
L’acquisizione sarebbe dovuta allo sviluppo del LAD, Dispositivo di acquisizione della lingua (organo

Pagina
10
mentale del linguaggio) e la Grammatica Universale guiderebbe tale sviluppo. Entrerebbero in azione gli
universali linguistici, distinti in universali sostanziali (tratti fonologici distintivi, categorie sintattiche nelle
lingue umane) e universali formali che comprendono i principi e i parametri.

I principi valgono per tutte le lingue umane (esempio di principi: principio della dipendenza dalla
struttura).

I parametri rendono conto delle variazioni sintattiche tra le lingue ( esempio di parametri: parametro del
sintagma nominale ----> struttura minima, articolo + nome; parametro del pro-drop ----> caduta pronome.
L’italiano è una lingua pro-drop: è possibile esprimere una frase senza soggetto. L’inglese è una lingua non
pro-drop: il soggetto deve essere sempre espresso ).

Secondo questo modello si impara la lingua fissando il valore dei parametri della Grammatica Universale,
parameter setting, in base alle caratteristiche della lingua dell’input ambientale.

Inizialmente ci si rifaceva alla GU per l’acquisizione della lingua materna, ma poi molti generativisti l’hanno
proposta anche per le lingue seconde. Tuttavia sul ruolo della GU in L 2 il parere degli studiosi non è
concorde. Per alcuni vi sarebbe accesso diretto alla GU in L 2; altri invece assumono la posizione intermedia
di un accesso indiretto tramite L1, o di un accesso parziale.

Anche se alcune nozioni cognitive sono innate, molti studiosi preferiscono ricorrere a spiegazioni in chiave
cognitiva e non a principi innati.

Teorie ambientaliste

Le teorie ambientaliste si pongono in modo opposto a quelle innatiste e pongono l’accento sui fattori
ambientali esterni dell’acquisizione, da quelli socio-culturale, alle caratteristiche dell’input linguistico.

Noto è il modello dell’acculturazione di Schumann di impronta socio psicologica che interpreta


l’apprendimento in L2 come un processo di acculturazione, di graduale appropriazione di L 2 e della cultura
associata. Determinanti sono due ordini di fattori, la distanza sociale e la distanza psicologica
dell’apprendente nei confronti della lingua e dei suoi parlanti; maggiore è la distanza sociale o psicologica,
più limitata sarà l’acquisizione.

Casi di acquisizione di L2 ridotta per forte distanza sociale e psicologica sono i pidgin, lingue semplificate
formatesi in contesto coloniale, ma anche le interlingue elementari di immigrati ghettizzati o poco inseriti.
In seguito, se l’integrazione nell’ambiente ospite aumenta e la distanza psico-sociale si riduce, queste
varietà diventano complesse e si ha il processo di creolizzazione.

Pagina
11
Tale modello tuttavia è stato criticato in quanto si rivela poco affidabile all’apprendimento istituzionale di
una lingua straniera.

Teorie cognitive e interazioniste

Le teorie cognitive si focalizzano sui processi e sui meccanismi mentali implicati nell’acquisizione
linguistica.

Le teorie interazioniste invece si focalizzano sull’interazione tra meccanismi cognitivi, fattori ambientali e
fattori innati.

Sono approcci eterogenei tra di loro e si oppongono ai modelli innatisti in quanto l’apprendimento
linguistico verrebbe conseguito mediante operazioni e strategie cognitive non specificatamente linguistiche
e senza ricorrere a conoscenze astratte.

Un primo modello cognitivo deriva dalla stessa teoria dell’interlingua, che vede l’acquisizione di L 2 come un
processo mentale di costruzione di regole sistematiche, ma provvisorie, mediante la formulazione e la
verifica delle ipotesi.

Un altro gruppo di teorie fa riferimento alla conoscenza esplicita, verbalizzabile, che affiora nelle
rappresentazioni consapevoli dell’apprendente; e conoscenza implicita, non verbalizzabile, intuitiva e
latente, detta anche fra conoscenza dichiarativa e procedurale.

Gli approcci funzionalisti puntano sui fattori cognitivi e correlano l’acquisizione della lingua con la sua
funzionalità comunicativa.

Nel filone funzionalista rientrano anche:

Il Competition Model, per il quale l’apprendimento si basa su indizi formali e semantici univoci e
affidabili, spesso in competizione tra loro. Spesso l’apprendente si lascia guidare da criteri di
frequenza e salienza.
Il frame Tipologico-funzionale di Givòn, secondo il quale l’acquisizione muoverebbe da fasi
comunicative pragmatiche a fasi più grammaticalizzate. Questo passaggio sarebbe guidato da
pressioni esterne.
Il Modello della processabilità di Pieneman, secondo cui l’apprendimento avviene mediante una
precisa sequenzialità spiegata con l’interazione fra principi cognitivi generali e fattori psico-sociali.

Processi di apprendimento e sequenze acquisizionali

Il processo acquisizionale prevede le seguenti tappe:

Pagina
12
Una fase iniziale, detta pre-basica, in cui l’apprendente analizza l’input; in questa fase dispone di
scarse risorse linguistiche e comunica con le poche parole di L 2 a lui note, aiutandosi spesso con i
gesti. Le sue frasi, prive di verbo, preposizioni e articoli, hanno una struttura nominale.
Una seconda fase, detta varietà di base, in cui le frasi si organizzano intorno ad un verbo prodotto
in una forma di base ( infinito o presente ). La grammatica è ancora assente.
Una terza fase, detta varietà post-basiche, in cui si producono frasi con verbo flesso e compare la
morfologia più regolare; sono presenti articoli, copule, ausiliari, forme di accordo sintattico e
compaiono le prime subordinate.

Durante le fasi acquisizionali, vengono adoperate strategie di acquisizione che contribuiscono allo sviluppo
della L2 e sono:

L’estensione analogica, per cui appresa una regola viene sovra estesa a contesti in cui non va
applicata;
Strategie di evitamento, per cui se la regola di L2 pone problemi, l’apprendente evita di ricorrervi;
Strategie analitiche, cioè può produrre forme alternative come perifrastiche.

Fattori linguistici che incidono sull’apprendimento

La lingua d’arrivo ( L2)

Gli studi sulle sequenze acquisizionali hanno affermato la preminenza della lingua seconda sulla lingua
materna. Dopo le prime fasi tendenzialmente universali, l’apprendente ben presto si indirizza verso le
strutture ricorrenti e salienti della lingua obiettivo; in questo percorso si lascia guidare dai principi di
trasparenza e naturalezza, imparando prima i lessemi più utili e frequenti e poi le strutture più chiare.

Universali linguistici e marcatezza

Gli studi condotti su più L2 hanno messo in evidenza analoghe sequenze acquisizionali in riferimento
all’azione di tendenze universali di elaborazione dell’input linguistico; si è fatto appello agli universali
linguistici ( GU ) e alla Teoria della marcatezza. Questa teoria, applicata alle interlingue, prevede che si
apprende prima ciò che è meno marcato.

La lingua materna ( L1 )

Il concetto di transfert, presente anche in psicologia, indica l’influsso che la L 1 esercita sul sistema di L 2 in
formazione.

Negli ultimi quindici anni l’interesse per il transfert si è rinnovato in chiave cognitiva ed è stato proposto
come influsso interlinguistico.

Pagina
13
Nel transfert si riconosce un meccanismo cognitivo basilare, in pratica si tratta di un importante strategia di
acquisizione che guiderebbe nella scoperta ed organizzazione di nuove conoscenze.

Normalmente il transfert non sconvolge le sequenze acquisizionali ed è più o meno probabile a seconda
dell’età del soggetto ( di più negli adulti ), della sua personalità, dal livello di competenza, dal contesto e da
questioni di marcatezza o naturalezza.

CAP. III

LE CARATTERISTICHE DELL’APPRENDENTE

Pagina
14
Due sono gli elementi che entrano in gioco nel processo di apprendimento di una L 2:

La lingua che si vuole apprendere;


Il soggetto che intraprende il cammino dell’acquisizione.

Ci sono poi due gruppi di fattori che condizionano il successo o l’insuccesso dell’apprendimento di una L 2:

I fattori interni che si riferiscono alle caratteristiche relative all’età, al carattere e alla personalità;
I fattori esterni, cioè l’ambiente entro cui avviene il processo di apprendimento e le caratteristiche
del rapporto tra apprendente ed input linguistico.

Fattori interni

L’età dell’apprendente

Uno dei fattori interni più importanti che interagisce con lo sviluppo della competenza è l’ età. E’ condiviso
che i bambini apprendono più facilmente degli adulti una L 2 e raggiungono risultati migliori nei livelli di
acquisizione delle regole fonetiche. Invece gli adolescenti/adulti apprendono con più facilità le regole
sintattiche e pragmatiche di una L2.

Una spiegazione che chiarisce il rapporto tra l’età e l’esito del processo di apprendimento si fonda su basi
neurologiche, cioè sull’esistenza di uno o più periodi critici; gli studi hanno mostrato che una parte del
cervello si specializza nell’assolvere determinate funzioni secondo il processo di lateralizzazione che
rispetta i tempi della maturazione psico-fisica dell’individuo, cioè necessita di un certo lasso di tempo per
compiersi nella sua interezza.

La lateralizzazione è un prerequisito indispensabile per il pieno controllo della funzione linguistica, infatti
una volta terminato tale processo è quasi impossibile acquisire la lingua. Tutto ciò richiama il concetto di
età critica, ( o soglia critica, o soglia prossimale ) che indica il periodo in cui si compie il processo di
lateralizzazione.

Secondo alcuni studiosi, come Lenneberg, esiste un solo periodo critico e fino a 10-12 anni
l’apprendimento di L1 e L2 avviene in modo spontaneo e senza sforzo; in seguito l’individuo perderebbe la
sua plasticità cerebrale e la facilità di apprendimento.

Altri ritengono che esistono più età critiche e che quindi ogni abilità linguistica ha la sua soglia critica; la
prima che si afferma è quella fonetica, poi quella sintattica e infine quella semantica e pragmatica.

L’attitudine

Pagina
15
Altro fattore che incide sull’apprendimento di una lingua è l’attitudine personale che l’individuo ha per lo
studio delle lingue; in pratica esiste un’inclinazione individuale alle particolari abilità che l’apprendimento
linguistico mette in gioco. Tale inclinazione o predisposizione è legata sia al carattere, sia ad abilità
linguistiche come la facilità a discriminare i suoni, la sensibilità grammaticale.

Gli studi di Skehan hanno messo in evidenza che la velocità di apprendimento di una L 2 è frutto della
correlazione tra il profilo attitudinale dell’apprendente e fattori di tipo sociale, quali la classe di
appartenenza e il livello di istruzione dei genitori. Inoltre è stato messo in evidenza che l’attitudine allo
studio delle lingue è qualcosa di innato e di acquisito nello stesso tempo.

La motivazione

Altro fattore che incide sul processo di apprendimento di una L 2 è la motivazione. Le tipologie legate alla
motivazione si raggruppano in due categorie, quelle di tipo culturale e quelle di tipo strumentale.

Le motivazioni culturali spingono l’apprendente verso la L2 sulla base di interessi culturali; in


quest’ambito la motivazione può essere integrativa quando l’apprendente si spinge verso un
rapido e completo inserimento nella società ospite. Questo tipo di motivazione è importante
soprattutto nell’apprendimento spontaneo, quando un apprendente immigrato si vuole integrare
velocemente nella società ospite per trovare un impiego, una casa, nuovi affetti, oppure per
migliorare le proprie conoscenze, viaggiare, ecc. Può essere anche intrinseca quando l’apprendente
vuole apprendere una lingua perché giudica positivamente le sue caratteristiche fonetiche,
sintattiche, ecc. ( ad esempio persone che decidono di apprendere il francese perché la giudicano
una bella lingua, oppure persone che decidono di studiare lo spagnolo e non il tedesco perché più
semplice da un punto di vista sintattico ).
Le motivazioni strumentali sono legate al desiderio dell’apprendente di raggiungere specifici
obiettivi o di rimuovere particolari ostacoli che incontra nel percorso di apprendimento di una L 2. Si
ha una motivazione strumentale generale quando l’apprendente è motivato all’apprendimento di
una L2 per la necessità di trovare lavoro, per conseguire un titolo di studio, per migliorare la propria
condizione sociale, cioè per raggiungere un obiettivo. Si ha invece una motivazione strumentale
particolare quando l’apprendente vuole migliorare la propria competenza in L 2 per superare un
ostacolo, come superare un test o per rispondere correttamente a un’interrogazione. Questo tipo
di motivazione spinge l’apprendente a chiarirsi sulla lingua.

Però nessuno dei diversi tipi di motivazione è in grado di garantire il successo nell’apprendimento,
pertanto l’insegnante deve promuovere diversi tipi di motivazione a seconda dell’apprendente che ha di
fronte.

Pagina
16
Stili cognitivi

Attraverso interviste, questionari, è possibile individuare le strategie e le operazioni mentali che il discente
utilizza per apprendere una nuova lingua, in pratica il suo stile cognitivo.

Larsen-Freeman, Long, definiscono lo stile cognitivo come il modo preferito da un individuo di elaborare
l’informazione o affrontare un compito.

Possiamo distinguere, nell’ambito dell’apprendimento di una L 2:

stile cognitivo dipendente dal campo, in cui l’apprendente elabora le informazioni tenendo conto
dei fattori contestuali, isolando con difficoltà i fenomeni dal loro contesto;
stile cognitivo indipendente dal campo, in cui l’apprendente elabora le informazioni in modo
analitico isolandole dal contesto.

Lo stile cognitivo si rileva mediante un test centrato su una figura geometrica presente in un disegno in cui
sono rappresentate, sovrapposte, altre figure.

Vari studi hanno dimostrato una correlazione positiva tra il successo dell’apprendimento di una L 2 e lo stile
cognitivo indipendente dal campo; tale correlazione decade quando si considerano le differenze a livello
intellettivo generale.

Alcuni autori, come Chapelle e Green hanno infatti correlato questo tipo di stile non al successo
dell’apprendimento, quanto piuttosto all’indicatore di una intelligenza fluida, cioè la capacità
dell’individuo di rispondere correttamente e in breve tempo alle sollecitazioni impreviste che provengono
dalla realtà.

Conoscere uno stile permette all’insegnante di assegnare compiti specifici rispettando la personalità
dell’alunno.

Fattori affettivi

I fattori affettivi sono un filtro che si attiva o si disattiva lasciando passare quantità maggiori o minori di
informazioni per farle diventare regole. Tra questi fattori è presente il livello di ansietà che un individuo
attiva quando s’immerge nel processo di apprendimento e utilizzo di una L 2.

Si parla di ansia linguistica quando l’individuo è nervoso nelle situazioni in cui deve utilizzare una L 2. Tale
ansia deriverebbe, secondo MacIntyre e Gardner da esperienze negative precedenti nell’eseguire compiti
in L2.

Pagina
17
L’ansia è un fattore che incide negativamente sull’apprendente inibendolo nelle interazioni comunicative e
provocando scarsa partecipazione all’attività di classe.

Alpert e Harber fanno una distinzione tra:

ansia facilitante, quando essa rimane sotto una certa soglia, infatti l’apprendente vive in uno stadio
di attenzione vigile che agevola l’apprendimento;
ansia debilitante, quando essa supera una certa soglia e diventa debilitante, cioè paralizza
l’apprendente, limitandogli di progredire nella competenza.

Tra i fattori affettivi abbiamo anche tratti della personalità come autostima, introversione, estroversione,
anche se non esistono dati empirici in grado di fornire indicazioni sugli effetti che ha la personalità
sull’apprendimento.

Fattori esterni

Fattori sociali: l’ambiente in classe e fuori dalla classe

Per fattori sociali si intendono tutte le caratteristiche dell’ambiente in cui vive l’ apprendente e il suo stile di
vita.

Nel valutare l’ambiente in cui avviene l’apprendimento bisogna soffermarsi su ciò che avviene in aula e su
ciò che avviene nell’ambiente sociale fuori dall’aula.

Per quanto riguarda l’ambiente in classe, l’apprendimento è migliore se il clima-classe è accogliente e


disteso, se sono chiari gli obiettivi dell’insegnamento e se sono presi in considerazione i bisogni dei
discenti, quindi nessuno deve sentirsi ai margini del processo di apprendimento e tutti devono avere le
stesse opportunità di usufruire dell’input.

Ovviamente l’insegnante può gestire l’ambiente in classe, ma non quello fuori. Nel caso in cui
l’apprendente impari la lingua nel paese nativo occorre considerare anche il tempo che l’apprendente
trascorre fuori dalla classe; questo ambiente è fortemente correlato con i successi e gli insuccessi che si
ottengono in classe.

La condizione socioculturale in cui avviene l’apprendimento rappresenta l’unica fonte da cui l’apprendente
attinge input per migliorare la propria competenza. Ad esempio, un apprendente che vive in una condizione
sociale soddisfacente economicamente, è in contatto frequente con i parlanti del paese di madre lingua,
non avrà difficoltà ad apprendere la lingua straniera, anche se non è detto che sia sempre così. Si può però
ipotizzare che molte delle difficoltà nell’apprendimento siano dovute a un disagio sociale ( perdita di
lavoro, sfratto, ecc. ).

Pagina
18
Uno dei modelli più convincenti per spiegare i rapporti che intercorrono tra le variabili sociali/ambiente e il
livello d’interlingua, è il modello multidimensionale del Progetto ZISA, formulato da ricercatori tedeschi
alla fine degli anni ‘70 per analizzare l’acquisizione del tedesco da parte di immigrati italiani e spagnoli.
Questo modello si basa su una dimensione evolutiva, determinata da fattori cognitivi universali, e su una
dimensione variabile, determinata da fattori socio psicologici legati al rapporto che l’apprendente ha con la
comunità ospite.

Sulla base di questo modello, nello studio delle tappe di acquisizione si hanno delle regole immutabili,
legate a fattori cognitivi universali e apprese da tutti, e delle regole che variano da individuo a individuo in
base alla dimensione psicosociale dell’apprendimento.

Dalla loro indagine è emerso che gli apprendenti con risultati migliori erano coloro che volevano rimanere
più a lungo in Germania, che utilizzavano il tedesco anche in famiglia e che mostravano di volersi integrare
con la comunità ospite; invece coloro che non volevano integrarsi, tendevano ad isolarsi nella loro
comunità di appartenenza e utilizzavano al minimo il tedesco, avevano risultati inferiori.

L’input linguistico

L’input linguistico è tutto il materiale che l’apprendente ha a disposizione; test orali e scritti, pronunciati in
sua presenza o che sono rivolti direttamente a lui. Ovviamente per progredire nella competenza in una
lingua straniera bisogna essere esposti a una certa quantità di input. Però non tutto l’input diventa intake,
cioè non tutto l’input si trasforma in regole della nuova L 2 apprese ed utilizzate correttamente. E non ci
troviamo neanche di fronte ad un rapporto di semplice causa-effetto, cioè molto input è uguale a molto
apprendimento.

L’input linguistico nelle situazioni di apprendimento spontaneo

Nelle fasi di apprendimento spontaneo, avere a disposizione un input ricco consente all’apprendente di
progredire più velocemente nella sua competenza linguistica. Al contrario un input povero di forme e
contenuti rende più difficile lo sviluppo della competenza.

La centralità del ruolo dell’input nasce dall’interazione di due aspetti diversi: da un lato ci sono le
caratteristiche strutturali dell’input, quali la qualità e la salienza dei tratti fonetici, il tipo e la quantità di
lessico, le regole sintattiche; dall’altre l’attività metalinguistica che l’apprendente compie per segmentare,
analizzare e selezionare i tratti linguistici in entrata, quello che Klein ha definito il compito di analisi. In
questo compito l’apprendente deve trasformare una massa indistinta di suoni in unità aventi un significato;
per fare ciò egli si serve della competenza linguistica, cioè L 2 appresa fino a quel momento e conoscenze
acquisite nella sua L 1, sia della competenza non linguistica, comprendente le conoscenze enciclopediche

Pagina
19
derivate da usi e costumi della società ospite. È proprio sulla base dei dati ricavati dall’input a disposizione
che l’apprendente costruisce le regole della sua interlingua.

Il foreigner Talk

Quando un apprendente mostra difficoltà di fronte ad un input linguistico troppo complesso, molti parlanti
madre lingua, per rivolgersi ad esso, utilizzano un input semplificato nella forma e nei contenuti, il
cosiddetto foreigner Talk.

Si parla di foreigner Talk quando l’input è semplificato, rallentato, con vocaboli brevi, sintassi non
articolata, concetti basilari. Esso è considerato un registro universale e le sue caratteristiche non variano al
variare della lingua, nel senso che le caratteristiche del foreigner Talk dell’italiano sono le stesse di quelle
francese.

Long individua che il parlante nativo utilizza molto questo codice nelle conversazioni spontanee e nel caso
in cui il parlante non nativo ha una competenza molto bassa.

Rivolgersi esclusivamente a un apprendente utilizzando il foreigner Talk può causare, a lungo andare, un
arresto nella competenza linguistica.

L’input linguistico nelle situazioni di apprendimento guidato

Nell’apprendimento guidato, non basta sottoporre gli allievi a un input linguistico molto ampio per
garantire il successo dell’apprendimento, infatti sappiamo che la frequenza nell’input è solo uno dei fattori
che contribuiscono alla sua decodifica. Quindi da un punto di vista quantitativo l’input deve essere ricco,
ma in modo controllato e adatto a livello di lingua degli apprendenti a cui è rivolto ( in pratica quello che
Vygotskij definisce livello di soglia prossimale ).

Oltre alla quantità, l’insegnante deve considerare l’input anche dal punto di vista qualitativo; la qualità è
riferita alle caratteristiche interne dei testi da proporre agli allievi, quindi l’insegnante deve valutare l’input
in termini di qualità e complessità e vedere se è adatto al proprio gruppo di classe; l’input non deve essere
né troppo povero, né troppo ricco rispetto alle capacità linguistiche degli allievi a cui è rivolto.

Krashen ha affrontato il problema dell’adeguatezza dell’input; egli ha definito input comprensibile il


linguaggio che è a un livello di difficoltà i + I, dove i sta per livello di competenza raggiunto in quel momento
dall’apprendente. L’input comprensibile quindi è formato da quei discorsi che riusciamo a comprendere
nella parte dei contenuti in generale, nelle strutture sintattiche principali, ma che contengono parte del
lessico e delle strutture che sono ad un livello leggermente superiore a quello in cui ci troviamo.

Pagina
20
La teoria di Krashen è molto forte sul piano intuitivo, ma vaga quando si deve stabilire con certezza a cosa
corrisponde quel “+ I “. Rimane quindi all’insegnante l’abilità di riuscire a tarare il livello di difficoltà
dell’input da proporre ai suoi apprendenti. È bene comunque preferire, ai fini del processo di
apprendimento un input più controllato.

CAP. IV

BISOGNI, METE, OBIETTIVI

Pagina
21
I bisogni comunicativi degli apprendenti

Le componenti fondamentali dell’atto glottodidattica sono tre:

1) il soggetto, cioè l’apprendente;


2) l’agente, cioè il docente, i processi, i mezzi;
3) l’oggetto, cioè la lingua e la cultura obiettivo.

Intorno ad esse ruotano i bisogni dell’apprendente, le mete e gli obiettivi della formazione, i metodi, la
valutazione e la gestione dell’apprendimento.

L’apprendente di una lingua straniera è colui che, in base ad una forza interiore o a motivazioni esterne,
mette in atto le componenti dell’atto didattico, diventando soggetto attivo del proprio apprendimento.

Nell’insegnamento, quando si parla di apprendenti o destinatari, di solito ci si riferisce alla classe, ovvero
un gruppo ristretto di allievi con un livello omogeneo di competenza in L 2. Il destinatario non è colui che
apprende spontaneamente una lingua straniera; per essere considerato destinatario deve essere
considerato nella sua dimensione di apprendente. Solo analizzando i suoi bisogni comunicativi, le sue
motivazioni di apprendimento, le sue aspettative riguardo ai metodi e ai contenuti, si possono individuare
le mete e gli obiettivi glottodidattica che sono alla base della progettazione del curricolo più adatto alle sue
esigenze, ai suoi bisogni.

Identificazione dei bisogni

A partire dagli anni ’70 il concetto di bisogni comunicativi diventa un aspetto importante della ricerca
glottodidattica. Secondo Richterich l’insegnamento-apprendimento funzionale di una lingua si basa sui
bisogni linguistici degli individui, delle istituzioni e della società. Questi bisogni non vanno intesi in modo
statico, come necessità prefabbricate, ma in modo dinamico che si modificano nel tempo in base al livello di
apprendimento, agli usi della lingua nei vari contesti e all’evoluzione personale degli apprendenti. Inoltre
sono il risultato di una serie di costrizioni o motivazioni interne ed esterne che il soggetto deve
armonizzare per apprendere in funzione di ciò che si svolgerà fuori dalla classe in ambienti diversi ( privati,
educativi, professionali ). Infine forniscono al docente i dati su cui elaborare, adattare o modificare il
progetto di insegnamento-apprendimento della lingua obiettivo. È chiaro quindi che la prima cosa da fare
per determinare gli obiettivi glottodidattica è quella di identificare i bisogni comunicativi dell’apprendente
a livello globale e grammaticale-retorico.

Il livello di analisi globale si basa sulle situazioni comunicative, sulle motivazioni allo studio della L 2, i tipi di
testo da produrre e da codificare, i contenuti su cui confrontarsi, gli stili di apprendimento e motivazioni. Il

Pagina
22
livello di analisi grammaticale-retorica si basa sulle caratteristiche linguistiche e retoriche dei testi da
produrre e sulle forme linguistiche più frequenti in cui gli apprendenti interagiscono.

Le informazioni sui bisogni comunicativi a livello globale si possono raccogliere somministrando un


questionario o intervistando gli apprendenti, oppure osservandoli direttamente mentre usano la L 2. Le
informazioni a livello grammaticale-retorico si ottengono indagando sulle caratteristiche della lingua
utilizzata nei testi e nei discorsi dell’apprendente.

Secondo Ciliberti l’analisi dei bisogni ha sottolineato la varietà dei modi che caratterizza il processo di
apprendimento e quindi si è posta una nuova attenzione al discente che ha proprie esigenze, necessità
capacità e motivazioni. Pedagogicamente ci si è orientati verso l’individualizzazione dell’insegnamento e
verso il tentativo di sviluppare nel discente la capacità di rendersi autonomo.

Diversificazione dei contenuti: il caso del livello di soglia

Quando gli apprendenti non sono spinti da motivazioni a lungo termine, ma da esigenze strumentali di
apprendimento della lingua, cioè in tempi brevi e in vista di specifici ambiti d’uso, sarà opportuno
graduare contenuti secondo altri parametri: non più dal più facile al meno facile, ma dal più funzionale al
meno funzionale, dal più frequente al meno frequente.

Partendo proprio dai bisogni comunicativi, gli esperti che dalla fine degli anni ’70 lavorano al Progetto delle
lingue moderne del Consiglio d’Europa hanno elaborato i concetti di livello di soglia e di unità di
apprendimento. Per livello di soglia si intende un livello minimo di competenza linguistica, con il quale il
discente sarà in grado di sopravvivere, dal punto di vista linguistico, in un paese straniero e di stabilire e
mantenere contatti sociali con i parlanti nativi. Invece le unità capitalizzabili di apprendimento sono la
possibilità di analizzare in parti o unità l’insieme dei dati e delle capacità acquisite in L 2 e poi svilupparle
gradualmente nell’apprendente, riformando l’insieme della conoscenza.

Il Progetto Europeo propone anche un corpus formato da liste degli atti comunicativi, delle nozioni generali
e specifiche su cui i docenti e gli autori possono graduare i propri contenuti o fare adeguamenti necessari
nel caso di destinatari diversi.

A distanza di vent’anni dalle prime riflessioni sul tema dei bisogni comunicativi, il docente di lingua come
prassi indaga sulle variabili individuali degli apprendenti prima di definire i contenuti e gli obiettivi
glottodidattica di un corso. Tenere conto di tutti questi fattori apre la strada ad una didattica collaborativa,
basata sulla negoziazione. Il docente deve negoziare il progetto di insegnamento/apprendimento con il
discente.

Mete educative

Pagina
23
Chiunque apprende una lingua diversa dalla propria, lo fa per ragioni diverse, e in certi casi,
inconsapevolmente attiva dei processi che lo faranno raggiungere una serie di stadi successivi,
trasformando la propria personalità. Il docente che ha il compito di guidare il percorso di apprendimento e
potenziare le capacità individuali dei propri studenti, lo farà con finalità, con mete a lungo termine, che
permetteranno l’autorealizzazione del soggetto nella sfera cognitiva, affettiva e socio-culturale.
L’educazione quindi persegue mete generali finalizzate alla formazione dell’individuo nei suoi rapporti:

con gli altri ( socializzazione );


con se stesso ( autopromozione );
con il mondo ( culturizzazione );
con le lingue e le culture altre ( relativismo culturale ).

Socializzazione. Essa rappresenta la prima finalità educativa fin dall’infanzia, per cui il bambino impara a
esprimersi sotto la spinta del bisogno di farsi comprendere dai propri familiari o compagni, imparando le
regole sociali che lo aiutano a vivere meglio con gli altri. In glottodidattica la socializzazione si traduce in
obiettivi operativi che mirano allo sviluppo della competenza comunicativa, con attenzione particolare agli
aspetti pragmatici e sociolinguistici, attraverso tecniche didattiche come il role-play, l’ascolto, la lettura di
testi autentici, ecc.

Autopromozione. L’esperienza di apprendere e di per sé gratificante in qualunque ambito di sapere.


L’apprendimento di una lingua straniera può essere associato a bisogni diversi che corrispondono al
progetto di crescita personale: promozione ad una classe successiva, maggiore competitività sul lavoro,
possibilità di parlare con l’amico straniero, ecc.

In glottodidattica la meta dell’autopromozione si traduce in obiettivi operativi che mirano allo sviluppo della
competenza comunicativa, con tecniche motivanti e umanistico-affettive e allo sviluppo della competenza
metalinguistica per favorire l’autoapprendimento.

Culturalizzazione. Apprendere significa anche entrare in un nuovo mondo culturale, come quello della
musica, delle lingue classiche; l’apprendimento come culturalizzazione ha dunque come meta il possesso di
conoscenze culturali che permettono l’ampliamento della propria visione del mondo. Quando questo
processo riguarda la cultura di appartenenza dell’apprendente si parla di inculturazione ed è quello che fa
l’istruzione scolastica quando offre l’opportunità di approfondire la lingua materna; quando invece con
l’educazione si aprono gli orizzonti di una cultura straniera si parla di acculturazione, che significa
conoscere un sistema linguistico diverso dal proprio, avvicinarsi al popolo che parla la lingua straniera per
approfondire la storia, le arti, i costumi e gli usi.

Pagina
24
Relativismo culturale. Si può parlare di acculturazione anche in assenza di educazione linguistica; quando
però l’educazione linguistica riguarda le lingue straniere moderne in una prospettiva anche interculturale,
le cose cambiano in quanto conoscere nei suoi vari aspetti, non solo la lingua e la cultura, ma anche il modo
di vivere e di pensare di un popolo diverso dal proprio, può avere effetti profondi sulla propria personalità;
in pratica si sviluppa il relativismo culturale che permette di valutare ogni cultura come ugualmente degna,
senza pregiudizi o stereotipi. Si svilupperà quindi un profondo e positivo interesse per la diversità.

Mete glottodidattiche

Sono mete specifiche dell’educazione linguistica, anch’esse intese come processi a lungo termine e che
corrispondono alle quattro valenze fondamentali della competenza linguistica ( comunicativa, pragmatica,
matetica, espressiva ).

Valenze

Secondo Freddi la lingua ha quattro proprietà ( valenze ) specifiche che si traducono in altrettante quattro
mete glottodidattiche generali e a lungo termine:

1) la valenza comunicativa: essa corrisponde alla proprietà originaria della lingua, che consente
all’uomo di entrare in contatto con gli altri e interpretare i messaggi verbali;
2) la valenza pragmatica: essa rimanda al concetto di lingua come azione sociale; parlare è fare, cioè
agire sulla realtà mediante la lingua;
3) la valenza matetica: essa caratterizza il linguaggio come veicolo di cultura, capace di trasmettere
nozioni e informazioni;
4) la valenza espressiva: essa consente di esprimere le proprie idee, il proprio mondo interiore e il
proprio modo di essere.

Insegnare quindi una lingua straniera significa insegnare a:

comunicare con gli altri in lingua straniera ( valenza comunicativa );


interagire in lingua straniera in base alle proprie intenzioni e in sintonia con le convenzioni socio
pragmatiche del contesto ( valenza pragmatica );
apprendere nozioni e contenuti, imparare ad imparare una lingua straniera ( valenza
glottodidattica );
esprimere in lingua straniera il proprio mondo interiore senza generare equivoci negli interlocutori
di cultura diversa ( valenza espressiva ).

Funzioni

Pagina
25
Le valenze della lingua però, non sono isolabili, ma si combinano tra di loro. Possono essere riconosciute in
quelle che sono le funzioni comunicative, cioè gli scopi di azione sociale e espressione personale che si
possono realizzare anche con la lingua.

Il concetto di funzione nasce nell’ambito della filosofia del linguaggio, ma si rileva fruttuoso anche in
glottodidattica. Nascono gli elenchi di funzioni linguistiche elaborati in prospettiva glottodidattica da Freddi,
Porcelli, Balboni, sulla base degli elenchi di Jakobson e Holliday.

Balboni, integrando i modelli di Jakobson e Holliday, parla di sei funzioni intese come macro-scopi che si
perseguono quando si usa la lingua per agire in un contesto:

1) funzione personale: lo scopo è parlare a se stessi.


2) funzione interpersonale: lo scopo è interagire con gli altri;
3) funzione regolativo-strumentale: lo scopo è agire sul comportamento degli altri;
4) funzione referenziale: lo scopo è di descrivere o spiegare la realtà;
5) funzione poetico-immaginativa: lo scopo è di agire sulla forma del messaggio;
6) funzione metalinguistica: lo scopo è riflettere sulla lingua.

Questo modello è adatto per essere tradotto in obiettivi glottodidattici in quanto ogni funzione può essere
ricondotta ad una valenza principale:

funzione personale ( io, eccomi, mi chiamo…) e interpersonale ( tu ed io, come stai? ), alla valenza
comunicativa e secondariamente a quella comunicativa ed espressiva;
funzione regolativo-strumentale ( fai questo, andiamo ) e referenziale ( è fatto così, è successo
che…), alla valenza pragmatica e secondariamente a quella comunicativa ed espressiva;
funzione metalinguistica ( come si dice? Perché…?) alla valenza matetica;
funzione poetico-immaginativa ( facciamo finta che…, c’era una volta…) alla valenza espressiva e
secondariamente a quella comunicativa.

Obiettivi glottodidattici

Dopo aver definito le mete educative e glottodidattiche, occorre individuare gli strumenti ( i metodi ) con
cui raggiungere tali finalità. Quindi dal concetto di educazione, occorre spostarsi a quello di istruzione che si
occupa di definire gli obiettivi attraverso cui si realizza il processo educativo.

Se le mete sono le finalità a lungo termine non verificabili direttamente con prove oggettive, legate
all’attivazione di processi e strategie mentali ( competence ), gli obiettivi oltre ad essere specifici
dell’istruzione linguistica, sono più circoscritti e direttamente verificabili, costituendo lo scopo di un preciso
atto di istruzione ( una lezione, un’unità didattica ). Ogni obiettivo didattico è finalizzato allo sviluppo della

Pagina
26
capacità di esecuzione di abilità ( performance ), cioè quei comportamenti linguistici che in termini visibili e
misurabili, l’apprendente esibisce nelle sue prestazioni.

Abilità

Primo obiettivo didattico è quello di mettere lo studente nella condizione di fare lingua attraverso lo
sviluppo delle sue abilità linguistiche.

Il nucleo dell’istruzione in L 2 sono quattro abilità di base: comprensione e produzione orale,


comprensione e produzione scritta.

Quando gli studenti chiedono di imparare a parlare, a scrivere, leggere o capire la lingua straniera, fanno
riferimento ai due canali comunicativi dell’oralità e della scrittura e alle due dimensioni della
comunicazione, quella ricettiva e quella comunicativa.

Abilità orali, scritte, scritte-orali

In base ai diversi canali di trasmissione del messaggio distinguiamo:

le abilità orali. Sono quelle che riguardano il canale uditivo e fonatorio ( parlare in pubblico o al
telefono, capire la lezione del professore, ascoltare la radio, ecc…);
le abilità scritte. Sono abilità legate alla lettura e alla scrittura, in cui c’è il dominio della dimensione
scritta sulla lingua;
le abilità scritte-orali. Sono abilità miste che implicano contemporaneamente abilità relative alla
scrittura e all’oralità ( interpretare il dettato, presa di appunti in una conferenza, ecc…).

Abilità ricettive, produttive e ricettivo-produttive

Secondo il diverso coinvolgimento di emittente e ricevente nell’elaborazione di un messaggio, si


distinguono le abilità in cui domina la comprensione ( abilità ricettiva ), la produzione ( abilità produttive )
e quelle in cui si integrano abilità ricettive e produttive ( abilità integrate ).

Come comprensione scritta possiamo indicare la lettura di un testo, mentre come comprensione orale
l’ascolto di un programma radiofonico, di una conferenza, di un programma televisivo.

In classe è frequente far esercitare gli studenti in abilità isolate, ma nella realtà comunicativa tale
separazione è piuttosto rara. Il dialogare con un interlocutore faccia a faccia integra queste due abilità in
un’abilità superiore e complessa, in una partecipazione simultanea di tipo sia ricettivo che produttivo.
Oltre al dialogare, sono abilità ricettivo-produttive anche il riassunto, prendere appunti, parafrasare,
scrivere sotto dettatura. Però, come rileva Ciliberti, oltre a queste, bisogna tener conto anche di abilità

Pagina
27
astratte, di processi psicologici sottostanti che si associano alle abilità orali e scritte, ricettive, produttive o
integrate, quali la capacità di negoziazione e la capacità d’interpretazione del significato.

Abilità manipolative e interattive

Un’altra distinzione può essere fatta se lo studente ha come controparte solo un testo (abilità manipolative
) oppure altri parlanti (abilità interattive ).

Le abilità manipolative permettono all’apprendente di agire sulle strutture superficiali di un testo di lingua
straniera e sono: trasformare i verbi al passato, volgere i nomi al plurale, riassumere, tradurre. Queste
abilità spesso vengono utilizzate per rinforzare il processo di apprendimento linguistico.

Le abilità interattive coinvolgono invece due o più interlocutori simultaneamente ( il dialogo in presenza o
al telefono, la web chat ).

Abilità intralinguistiche e interlinguistiche

Considerando i sistemi linguistici coinvolti a livello di processi mentali, possiamo distinguere le abilità
intralinguistiche che riguardano solo la lingua ( la L1 o la L2 ) e quelle interlinguistiche, in cui interagiscono
più lingue.

Nella L2 ci sono precise metodologie didattiche, come il metodo diretto che prevede di parlare solo la
lingua straniera in classe, o la didattica comunicativa basata sul role-play e sull’uso di materiali autentici.
Lo sviluppo di abilità intralinguistiche in L2 e l’esclusione di L1 possono essere favorite anche da particolari
condizioni di apprendimento ( in classi plurilingue, nel paese in cui si parla la lingua obiettivo ).

Altre metodologie didattiche, come il metodo grammaticale-traduttivo, privilegiano invece le abilità


interlinguistiche, che riguardano la capacità di mettere in relazione due o più sistemi linguistici.

La traduzione può presentarsi come abilità integrata per eccellenza in base all’impiego della L 1 e/o della L2:
traduzione scritta; traduzione orale; presa di appunti da un testo scritto o da un testo orale; riassunto o
parafrasi di un testo scritto o orale.

Il dialogare, che è un’abilità integrata, interattiva, ricettivo/ produttiva, non è possibile se non si riescono a
capire gli enunciati orali dell’interlocutore (comprensione orale) e a produrne altri comprensibili (
produzione orale ). Dunque le abilità di base dovranno essere propedeutiche a quelle integrate.

Altro obiettivo glottodidattica è saper fare con la lingua e tale obiettivo ci rimanda al concetto di funzioni
linguistiche. In questo caso, passare da un livello virtuale a quello operativo significa tradurre le funzioni in
atti educativi, utilizzando le conoscenze strutturali, lessicali e socioculturali della lingua di apprendimento
in contesti comunicativi reali.

Pagina
28
Competenze

Il più ampio obiettivo glottodidattica riguarda la competenza d’uso e la competenza sull’uso. Se poi
l’apprendente deve apprendere la lingua per scopi speciali, allora si mira a competenze più specialistiche,
come quella microlinguistica e traduttiva. Inoltre insegnare la lingua in una prospettiva sincronica
comporta il tener conto anche della competenza cross-culturale.

Competenza d’uso

La competenza d’uso o comunicativa consiste nel sapere la lingua e saperla integrare con altri codici
disponibili per la comunicazione:

codici specifici della lingua -------> competenza linguistica;


codici non verbali -------> competenza para ed extra linguistica;
codici socioculturali -------> competenza socio pragmatica.

In sintesi è la capacità di relazionarsi verbalmente e non verbalmente in modo efficace con individui che
appartengono ad una cultura diversa dalla propria.

Competenza sull’uso

La competenza sull’uso, detta anche meta competenza, è la conoscenza sugli usi della lingua; nelle prime
fasi dell’apprendimento questa competenza avrà solo carattere implicito (saper coniugare un verbo,
riassumere, tradurre ), ma poi evolvendosi diventa una competenza esplicita a livello formale e descrittivo.

Competenza microlinguistica

Questa competenza riguarda la competenza comunicativa specialistica nei vari campi della scienza, della
tecnologia, del lavoro; è la capacità operativa di riconoscere e usare il sottocodice specifico di un certo
ambito professionale o scientifico, di apprendere e produrre testi relativi all’argomento in questione nei
settori dell’informatica, della medicina, dell’architettura, della fisica, della critica letteraria.

Competenza traduttiva

Essa si riferisce al possesso bilanciato di due lingue tale da permettere di trasportare dei significati da una
lingua all’altra, non solo a livello di frase, ma di testo, nel canale scritto, orale o in entrambi.

Competenza cross-culturale

Abbiamo visto che nell’educazione linguistica in L 2, una delle mete a lungo termine riguarda lo sviluppo di
un atteggiamento di relativismo culturale. A livello di obiettivi didattici il docente, facendo riflettere gli
apprendenti sui fenomeni linguistici di una lingua e cultura straniera, si pone un obiettivo a breve termine

Pagina
29
in questa direzione, cioè una competenza cross-culturale che consiste non solo nel possesso di una cultura
diversa, ma anche in una maggiore consapevolezza della propria. Bisogna imparare a riflettere sulla propria
cultura, proiettarsi in culture diverse ed avere empatia verso gli altri.

Il docente deve decidere quali abilità, quali competenze focalizzare nel proprio insegnamento, individuare
gli strumenti per verificare periodicamente il successo ( attraverso test di abilità e test di competenza ).
Dopo aver definito a chi insegna e a quali scopi, dovrà definire cosa insegnare e come e ciò richiama il
sillabo, cioè il corpus delle nozioni e delle funzioni da utilizzare nelle lezioni.

Le nozioni sono i contenuti linguistici e grammaticali a qualsiasi livello di analisi di una lingua, da quello
fonologico a quello morfosintattico.

Le funzioni sono lo scopo di qualsiasi atto comunicativo.

CAP. V

PROGRAMMAZIONE E SELEZIONE DEI CONTENUTI

Pagina
30
La programmazione

Principi generali

La programmazione didattica può essere definita come la costruzione di un itinerario che, in vista del
conseguimento di determinati obiettivi, individua un metodo, delle tecniche e dei materiali didattici
adeguati per raggiungerli. Essa può prevedere anche la durata delle varie tappe e delle relative attività. In
questo percorso ogni tappa mira alla realizzazione dei sotto-obiettivi nei quali possono essere suddivisi gli
obiettivi finali e generali.

Per poter programmare in modo ragionevole occorre per prima cosa conoscere il livello medio di partenza
degli allievi per i quali si programma, ovvero bisogna tener conto delle loro abilità o conoscenze pregresse
relative all’oggetto di insegnamento. Inoltre bisogna tener conto:

dell’età degli allievi;


del tempo a disposizione;
delle risorse utilizzabili ( tra le risorse va incluso l’insegnante ).

La programmazione non può trascurare nessuna di queste variabili le quali sono interdipendenti. Inoltre
deve prevedere le tecniche da adottare per verificare/valutare il conseguimento degli obiettivi e dei sotto-
obiettivi e i momenti in cui valutare.

Programmare corsi di lingua

La programmazione di un corso di lingua è complessa in quanto ci sono difficoltà nello stabilire una
scansione lineare dei contenuti, cioè l’apprendimento linguistico e lo sviluppo delle abilità linguistiche.
Quindi lo sviluppo di abilità e cognizioni su una lingua può attuarsi solo entro un percorso a spirale che, con
approfondimenti successivi, torni più volte su contenuti e attività affini, riprendendoli poi a livelli di
complessità sempre maggiori. Si capisce che gli obiettivi di insegnamento di una lingua devono rivolgersi al
saper fare con la lingua, cioè saper capire e saper produrre testi parlanti e scritti in quella lingua, senza
dimenticare il sapere metalinguistico, soprattutto quando il corso di lingua è rivolto agli adulti.

Scelte metodologiche e approcci

Per l’insegnamento di una lingua straniera l’approccio da considerare è quello di tipo comunicativo,
finalizzato all’acquisizione di competenze comunicative e linguistiche, partendo da strutture elementari a
quelle più complesse.

Gli approcci comunicativi si rifanno a criteri contenutistici e vedono nella lingua lo strumento di
comunicazione.

Pagina
31
Gli approcci umanistici invece si rifanno a criteri psicopedagogici e tengono conto delle variabili che
influenzano l’apprendimento, anche quelle affettive ed emotive.

Nella Comunità Europea si sostiene l’opportunità di insegnare e capire molte lingue senza fornire per forza
una competenza comunicativa completa, ma ad ampio spettro fino a consentire a tutti di parlare nella
lingua materna con la sicurezza di essere capiti da interlocutori che usano la propria. I metodi relativi al
come insegnare, in un certo senso si rivelano una funzione degli obiettivi e dei contenuti:

gli obiettivi sono legati agli scopi per i quali si studia una lingua;
i contenuti si identificano con il cosa insegnare della lingua in questione.

Non esiste un metodo migliore, ma l’insegnante deve scegliere di volta in volta quello che meglio si addice
alla situazione concreta del proprio insegnamento, tenendo conto delle variabili presenti.

La scelta del sillabo

È difficile scegliere in astratto quali siano le scelte da fare e i contenuti da selezionare, cioè il sillabo, per un
corso di lingua, poiché le variabili da tenere conto sono molte. Si devono considerare:

le condizioni di partenza degli allievi, la loro età e il livello di corso ( corso iniziale per i principianti,
corso intermedio e avanzato per affinare le competenze );
gli obiettivi del corso, che possono essere generali o specifici;
il tempo a disposizione per la realizzazione del corso.

Tipi di sillabo

Molto varia è la definizione dei tipi di sillabo possibili.

L’insegnamento linguistico tradizionale dava spazio quasi esclusivamente ai sillabi centrati sulle
strutture linguistiche, cioè i sillabi formali, aventi come obiettivo l’acquisizione di regole per una
produzione linguistica corretta (sillabi grammaticali).
Poi, inseguito, la consapevolezza che nell’insegnamento della lingua occorreva fornire anche una
competenza comunicativa, ha portato alla nascita di sillabi funzionali, i quali sono organizzati
tenendo conto delle principali funzioni pragmatiche svolte dai messaggi in ricorrenti situazioni ( ad
esempio fare un biglietto ferroviario o al ristorante per ordinare il menù ). I sillabi funzionali spesso
vengono definiti sillabi nozionali-funzionali in quanto, in ogni lingua ci sono delle costanti
funzionali, cioè i mezzi adatti per esprimere nozioni di universalità, come i modi di esprimere il
tempo o la durata delle azioni; ci sono anche funzioni universali assolte dall’uso stesso della lingua (
ad esempio si usa la lingua per informare, domandare ).

Pagina
32
Inoltre sono stati proposti i sillabi processuali centrati su attività e compiti, come ad esempio saper
leggere e utilizzare una mappa, costruire itinerari. Le linee di demarcazione tra i vari sillabi sono
meno nette di quanto una loro elencazione teorica possa fare apparire.

Sillabi e gradazione dei contenuti

È un principio di buon senso pedagogico quello di procedere, nell’insegnamento, da ciò che è più semplice
a ciò che è più complesso in modo che le nuove conoscenze vadano ad innestarsi armonicamente con
quelle già possedute dall’allievo. Ma, vista la complessità delle lingue, è difficile stabilire cosa sia più facile
imparare e quindi cosa deve essere insegnato prima e dopo. Quindi i sillabi lineari sono difficilmente
praticabili e poco funzionali a un buon insegnamento linguistico. Appare dunque appropriato un sillabo
dalla struttura ciclica a spirale che costringono lo studente a tornare più volte a un certo aspetto della
struttura della lingua.

Le competenze iniziali degli allievi

Nell’insegnamento di una lingua straniera non bisogna mai partire da zero, anche quando si tratta di corsi
per principianti, in quanto la mente degli allievi non è una tabula rasa in cui immettere contenuti
completamente nuovi. Questo è un principio pedagogico generale e, per l’insegnamento linguistico, è
avvalorato per il fatto che:

l’apprendimento di qualunque lingua diversa da quella materna si innesta su quel dispositivo innato
( LAD ) che consente di acquisire la lingua materna e l’acquisizione di altri codici, dalle lingue
straniere a quelle artificiali;
le lingue sono sempre meno straniere in quanto sono strutturate secondo principi largamente
affini;
ogni parlante può avere un’idea della lingua che si appresta a studiare.

I primi due punti sono molto importanti poiché l’insegnante facendo leva su di essi può programmare il
proprio itinerario didattico puntando a recuperarle al massimo in modo produttivo ed economico.

Selezione di contenuti: criteri linguistici

Si capisce come un insegnamento latamente nozionale finisca per imporsi, ma comunque deve essere
integrato; in pratica bisogna presentare inizialmente le forme e le strutture corrispondenti alle nozioni che
ogni lingua esprime ed evidenziare le differenze rispetto alla forma usata nella L 1. Contemporaneamente
occorre insegnare le strutture di frasi, da quelle più semplici e frequenti, prestando attenzione all’ordine
delle parole nella frase, inoltre una certa cura va prestata al lessico.

Pagina
33
Gli studi sull’apprendimento spontaneo di una lingua rivelano che le prime parole a essere apprese sono
proprio singole parole, quelle più frequenti nella comunicazione dove è immersa la persona; solo
successivamente vengono appresi i mezzi morfosintattici per collegare le une alle altre. Nella fase iniziale
dei corsi di lingua per i principianti, per selezionare i contenuti è opportuno basarsi sulle varietà standard e
sulle forme più frequenti e disponibili.

Il vocabolario ad alta disponibilità è quello conosciuto da ogni parlante nativo in quanto serve a designare
oggetti ed esperienze comuni della vita quotidiana. Per l’italiano, organizzato secondo i criteri della
frequenza e disponibilità, è stato costituito il Lessico di frequenza dell’italiano parlato (LIP), mentre da
molto tempo è disponibile il vocabolario di base dell’italiano che include parole più frequenti e più ad alta
disponibilità. Occorre poi ricordare che il lessico di una lingua è organizzato gerarchicamente: ci sono
parole di maggiore estensione, dal significato più generale e inclusivo di quello di parole subordinate nella
gerarchia ( ad esempio animale è iperonimo o sovraordinato rispetto agli iponimi cane, gatto, cavallo );
così come bisogna ricordare che gli antonimi, cioè parole dal significato opposto come brutto/bello,
caldo/freddo, ecc…, sono facilmente memorizzabili. Nell’insegnamento di una lingua straniera si può dare
la precedenza a iperinomi e a coppie di antonimi, presi tra quelli più frequenti. Inoltre si potrebbe sfruttare
in modo positivo la presenza nella L 2 di parole simili a quelle della L 1, i cosiddetti cognates , dando nel
contempo consapevolezza ai falsi amici più frequenti, cioè quelle parole che sono molto simili
formalmente, ma che danno significato diverso.

Le varietà linguistiche

Il sistema linguistico è differenziato in sottosistemi, ognuno dei quali caratterizzato da strutture e regole
ricorrenti in una determinata varietà di lingua.

Le varietà di una stessa lingua sono correlate alla variazione. Possiamo avere:

variazione diamesica: dipende dal mezzo o dal canale usato come supporto del messaggio e della
sua trasmissione; permette di distinguere tra lingua parlata, trasmessa, scritta;
variazione diastrica: è legata alle caratteristiche sociali dei parlanti, cioè del loro livello culturale, di
scolarizzazione, età, sesso, ecc…; questa variazione permette di distinguere varietà colte e varietà
popolari, gerghi, linguaggi legate alle fasce d’età;
variazione diafasica: è legata alle situazioni comunicative e al tipo di interazione formale che
realizza; in essa rientrano sia i registri ( gli stili nel parlare che vanno dall’informalità alla formalità
), sia i sottocodici designati sempre di più come lingue speciali;
variazione diatopica: è riferita alle zone geografiche; la stessa lingua è parlata con accenti e
intonazioni differenti da una zona all’altra, da una città all’altra. Ad esempio, è una variazione

Pagina
34
diatopica quella che permette di distinguere l’inglese parlato in Gran Bretagna da quello usato negli
Stati Uniti.

Le varietà geografiche di una lingua spesso vengono chiamate dialetti, ma comunque il termine è ambiguo.
Inoltre quelli che in Italia vengono chiamati dialetti, ad esempio il romanesco, il siciliano, il napoletano,
sono sistemi linguistici altri, sviluppatisi parallelamente e indipendentemente dallo stesso italiano. I veri
dialetti italiani, intesi come sue varietà geografiche, sono gli italiani regionali.

Questo quadro di varietà comunque appartiene sempre a uno stato di lingua che, nel suo insieme, è una
varietà diacronica della medesima lingua. Inoltre tutte le lingue cambiano anche nel tempo, sono soggette
alla variazione detta diacronica.

Nel momento in cui si insegna una lingua straniera occorre scegliere quale varietà di lingua privilegiare
nell’insegnamento. In genere è opportuno privilegiare una varietà standard o comune mediamente colta.
Però c’è una dimensione della variazione linguistica da tenere conto da subito, soprattutto se si vuole che
gli studenti lavorino il prima possibile con e su testi autentici e se si vogliono sviluppare armonicamente le
quattro abilità linguistiche di base, cioè la dimensione diamesica che oppone in tutte le lingue che
conoscono la scrittura, il parlato allo scritto.

Il parlato

Il parlato, rispetto allo scritto, è caratterizzato da molte differenze. In tutte le regioni il parlato:

è più immediatamente collegato al contesto extralinguistico in cui viene prodotto; la persona con
la propria soggettività entra in modo più manifesto nel discorso prodotto, mentre la scrittura è più
staccata dal contesto;
è più frammentario e ripetitivo; nella scrittura ciò che è evidente è il prodotto, il testo, mentre non
si percepisce la fatica del suo farsi nel processo enunciativo; tutte le incertezze sono palesi nel
parlato;
è meno preciso anche per quello che riguarda i vocaboli usati; si usano quelli dal significato più
generico, più immediatamente a disposizione in quanto è più frequente;
rileva l’origine del parlante.

Conoscere le differenze fondamentali tra il parlato e lo scritto è utile per trasferire competenze e
consapevolezze già acquisite nell’ambito della lingua materna nello studio della lingua straniera.
Nell’apprendimento di una lingua straniera il possesso del parlato si pone come obiettivo più difficile da
conseguire.

Pagina
35
L’insegnamento linguistico deve essere centrato sui testi di genere differente, prodotti in situazioni
diversificate con scopi diversi. In questo modo si può far scaturire la grammatica dai testi. Nello stesso
tempo si dovrebbero insegnare le strutture delle frasi, partendo dalle più semplici e frequenti; una certa
cura andrebbe prestata al lessico.

Selezionare e graduare il materiale e le attività per raggiungere gli obiettivi significa tener conto che il
parlato di qualsiasi lingua è differenziato a seconda che sia narrativo, descrittivo e argomentativo. Nel
parlato in L2 sarà più facile per gli allievi comprendere i testi fonologici piuttosto che quelli conversazionali,
come la fruizione di testi descrittivi o narrativi sarà più facile dei testi argomentativi. Per la riflessione
sull’attività di produzione è utile usare un registratore.

CAP. VI

TECNICHE DIDATTICHE E GLOTTODIDATTICHE

Pagina
36
Tecniche didattiche e principi generali di organizzazione cognitiva

In una prospettiva didattica in cui il docente è facilitatore dell’apprendimento e partecipa col discente alle
dinamiche pedagogiche, il ruolo delle tecniche didattiche è quello di essere strumenti agili a cui ricorrere
nella progressione didattica, sia in fase di costruzione dell’apprendimento stesso, sia nella fase di reimpiego
e fissazione delle abilità acquisite. Esse quindi saranno proposte in funzione delle dinamiche di
apprendimento in modo da stimolare il pensiero creativo dello studente mettendo in relazione idee e
informazioni. La loro scelta sarà correlata al modello dell’apprendimento e orientata verso gli aspetti
cognitivo e meta cognitivo. Le due linee didattiche ( fase di costruzione e fase di reimpiego del sapere
acquisito ) portano a considerare in direzioni diverse il ruolo delle tecniche didattiche. La scelta della
tecnica viene fatta in funzione di attività di rinforzo e di recupero, ma anche ai fini di una possibilità
valutativa delle abilità esercitate, piuttosto che come opzione per uno sviluppo di tipo cognitivo da parte
dell’apprendente.

L’uso di tecniche e di glottotecnologie varia a seconda della realtà in cui opera il docente, pertanto
distinguiamo l’impiego in:

ambito istituzionale, dove la tecnica didattica sarà attivata in funzione del proprio obiettivo
psicopedagogico facendo riferimento ai bisogni e limitazioni di un curriculum prefissato;
ambito non-istituzionale, dove il ricorso ad una tecnica non ha necessariamente l’obbligo di
controlli o di valutazioni conclusive e quindi l’applicazione delle tecniche risulta più ampliato; si
favoriranno gli aspetti di ricerca autonoma e libera organizzazione rispetto alle attività linguistiche
consigliate.

Danesi sottolinea tre componenti dell’insegnamento integrato a cui ascrivere un diverso uso delle
tecniche:

1) la componente attiva, in cui l’insegnante, quale facilitatore dell’apprendimento e conoscitore delle


diverse tecniche, renderà la presentazione della materia e l’esercitazione più efficaci;
2) la componente passiva, in cui l’insegnante si limita ad osservare e a correggere i comportamenti
linguistici errati del discente. In questa fase è il discente che agisce attivamente nell’esercitazione
autonoma;
3) la componente di verifica, in cui sia il docente che il discente controlleranno l’efficacia della tecnica
a livello applicativo e teorico.

Pagina
37
CAP.VII

LA VERIFICA E LA VALUTAZIONE

Pagina
38
Il language testing comprende tutte le tematiche relative alla verifica e alla valutazione della competenza
in L2.

Gli elementi coinvolti nelle operazioni di verifica e valutazione

La verifica e la valutazione sono operazioni complesse perché complessi sono i fenomeni che
direttamente ne sono coinvolti, cioè i modelli teorici di lingua, di competenze e di misurazione, che
costituiscono i punti di partenza. Davies infatti sostiene che un test di lingua è una misura dell’abilità
linguistica.

La lingua è variabile, indeterminata perché è un sistema dinamico e aperto; la variabilità del linguaggio ci
ricorda la natura fuggevole della lingua, di conseguenza anche la misurazione è inesatta perché, se è
applicata a qualcosa di indeterminato come il linguaggio, non può essere fatta con precisione assoluta, ma
sarà sempre imprecisa. Anche riguardo all’abilità linguistica vi è una indeterminatezza, sia dal punto di
vista del suo significato generale in quanto può essere intesa come conoscenza o capacità d’uso della
lingua, sia dal punto di vista della definizione del criterio rispetto al quale viene misurata.

Inoltre i test rendono difficile il compito di evidenziare e descrivere completamente la capacità di uso della
lingua in situazioni reali. Un test è comunque un’occasione particolare e parziale di verifica, mentre la
competenza che si esplica in contesti reali è di tipo globale. Pertanto l’obiettivo del language testing è
quello di trovare un punto di equilibrio tra l’indeterminatezza e l’esplicitezza, tenendo presente sempre
che non si potrà mai ottenere una misurazione precisa in assoluto, ma solo una misurazione più precisa
rispetto alle altre.

Il language testing e il processo di insegnamento/apprendimento in L 2

Il language testing è un aspetto centrale del processo di insegnamento/apprendimento ed è fondamentale


per:

l’insegnante, in quanto i test costituiscono il modo di capire se i risultati che i suoi allievi hanno
raggiunto corrispondono ai suoi obiettivi e per dargli informazioni su eventuali aspetti da
correggere o integrare;
lo studente, perché attraverso il risultato conseguito nei test riesce a capire quanto ha appreso,
ma anche una garanzia nell’essere giudicato.

Uno dei problemi del language testing è la scarsa attenzione che viene prestata nella costruzione delle
prove, spesso, infatti, come osserva Davies, l’attenzione si focalizza più sull’attribuzione del punteggio
piuttosto che sulla preparazione della prova. È diffusa l’idea che le reali abilità degli studenti non vengono

Pagina
39
evidenziati dai test linguistici e perciò non si utilizzano i test perché non sono ritenuti validi e in grado di
verificare la competenza raggiunta dagli studenti.

Altro fattore di diffidenza verso l’uso dei test è il fatto che i testing e la valutazione sono spesso confusi o
fatti coincidere con l’idea di esame. Inoltre il language testing viene spesso rifiutato dagli insegnanti perché
genera ansia tanto a loro stessi quanto ai loro studenti in quanto vengono giudicati sia i loro studenti, sia il
loro apprendimento.

Il ruolo del testing e della valutazione nel processo di insegnamento/apprendimento di una lingua
straniera

Del testing non vanno considerati solo gli aspetti negativi. Il testing e la valutazione non devono
rappresentare solo un momento utilizzato una tantum per accertare le competenze raggiunte durante il
processo di apprendimento, ma devono diventare operazioni fondamentali da fare nei vari momenti del
processo di insegnamento. La valutazione infatti offre all’insegnante un continuo feedback sul processo di
apprendimento/insegnamento, contribuendo così a migliorarlo e a renderlo più efficace.

Come sostiene Hughes, tra insegnamento e testing ci dovrebbe essere un rapporto di partnership. È
necessario sostituire a una valutazione dell’insegnante spesso soggettiva e di difficile verifica e confronto
con quella di altri insegnanti, una valutazione il più possibile oggettiva, utilizzando strumenti di verifica
costruiti con criteri scientifici, sperimentali, verificati e tarati.

La valutazione nei documenti europei sulle lingue moderne: Framework e Portfolio

Il Consiglio d’Europa ha tra i propri obiettivi, la diffusione di tutte le lingue europee e quindi il loro
insegnamento e apprendimento. Proprio per questo ha promosso un quadro di riferimento globale,
trasparente e coerente per descrivere l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue europee a tutti i
livelli.

Questo quadro di riferimento ( Modern Languages: Learning, Teaching, Assessment. A Common European
Framework of Reference ) vuole fornire strumenti per un approccio coerente e trasparente non solo
all’apprendimento e all’insegnamento, ma anche alla valutazione di ciò che è stato appreso. Quindi è uno
strumento rivolto a tutte le persone che sono coinvolte nel processo di insegnamento o apprendimento.
Inoltre il Consiglio d’Europa, proprio per favorire la mobilità ai fini di studio o di lavoro, ha stabilito che ogni
cittadino europeo deve avere una specie di passaporto linguistico detto Portfolio, nel quale dovranno
essere specificate in modo trasparente e comparabile, le competenze linguistiche che il suo possessore ha
nelle lingue straniere imparate.

L’oggetto della valutazione: la competenza in L2

Pagina
40
Quando si parla di valutazione, la prima operazione da compiere è quella di definire l’oggetto della
valutazione stessa, quindi nel caso dell’apprendimento della L 2, il concetto di competenza in L2, infatti da
una descrizione della competenza deriva anche un diverso modo di accettarla e verificarla.

Se passiamo in rassegna le teorie linguistiche che si sono avute negli ultimi ‘50 anni e che hanno influito
sulla ricerca del language testing, notiamo che il modo di descrivere la competenza è cambiato. Si è passati
dal testing di matrice strutturalista di Lado, formato da prove basate su frasi mirate ciascuna a verificare
un aspetto particolare della lingua, al testing pragmatico di Oller, il quale, sulla scia degli studi di linguistica
testuale, per verificare le abilità linguistiche singole o integrate, utilizza prove basate non su singole frasi,
ma sul testo globale considerato l’unità minima di comunicazione.

Negli anni ’80, grazie agli apporti delle teorie sociolinguistiche della glottodidattica e il conseguente
sviluppo del concetto di competenza comunicativa, si è sviluppato il testing comunicativo proposto da
Bachman che si basa sul modello della competenza comunicativa, suddivisa in quattro componenti:
competenza linguistica, competenza sociolinguistica, competenza discorsiva, competenza strategica.

I requisiti di un test

Un qualsiasi strumento di valutazione deve possedere delle caratteristiche; esso può essere definito buono
se risponde a due criteri fondamentali:

1) la validità che corrisponde al bisogno di esplicitatezza, chiarezza e precisione;


2) l’affidabilità che riguarda il controllo della indeterminatezza.

Un test è valido solo se misura accuratamente quello che si vuole misurare. Test e item inadeguati alla
competenza che vogliamo misurare non sono validi in quanto non ci danno informazioni attendibili sulle
reali capacità degli studenti.

Un test è affidabile o attendibile ( questo criterio è riferito alla bontà di un test ) se fornisce risultati il più
possibile uguali se viene somministrato in momenti diversi, ovvero se il punteggio attenuto da un individuo
in un’occasione è quello che avrebbe potuto ottenere se avesse sostenuto il test in un momento diverso, e
anche se viene valutato da due valutatori diversi. Nel primo caso l’affidabilità dipenderà soprattutto dalla
forma del test, dal suo aspetto grafico o dalle condizioni di somministrazione del test ( un’aula troppo
rumorosa, un impianto audio non adeguato per le prove di ascolto, ecc… ). Nel secondo caso l’affidabilità
dipende dal valutare; è ovvio che un item che ammette una sola risposta sarà valutato in modo uguale
anche da valutatori diversi. I problemi ci sono quando si devono valutare item o prove che ammettono più
di una risposta o la cui risposta è libera. Il compito quindi di chi costruisce test linguistici sarà quello di
realizzare prove il più possibile valide e affidabili. Entrambe le caratteristiche sono fondamentali e non

Pagina
41
vanno considerate l’una indipendente e distinta dall’altra, ma i due aspetti vanno considerati
complementari nel compito della misurazione.

Gli scopi della valutazione

I test devono fornire informazioni sulla competenza linguistica di chi si sottopone a essi. In base agli scopi
delle valutazioni si possono distinguere varie tipologie di test che sono riconducibili a tre fondamentali:

1) test di livello ( placement tests );


2) test di profitto ( achievement tests );
3) test di competenza ( proficiency tests ).

Test di livello

Questi test, detti anche pre-achievement, hanno lo scopo di rilevare il livello di competenza posseduto
dagli studenti prima di iniziare un determinato corso di lingua. Essi sono utili soprattutto alle istituzioni (
scuole, università, ecc… ) per inserire nei vari livelli gli studenti all’inizio dei corsi. Per quanto riguarda il
formato, devono essere brevi, facili e veloci da somministrare e da valutare, in quanto potrebbe essere
necessario sottoporre ad essi un gran numero di studenti nell’arco di un breve periodo di tempo.

Test di profitto

Questi test sono strettamente legati agli obiettivi o ai contenuti di un corso di insegnamento; vengono
costruiti per verificare se ciò che è stato imparato corrisponde a ciò che è stato insegnato o a ciò che era
contenuto nel programma. Se sono somministrati in un determinato momento del corso, si parla di verifica
processuale o in itinere; se invece sono somministrati alla fine del corso, si parla di verifica finale.

Questi test, preparati in genere dagli insegnanti o dalle istituzioni, devono avere come oggetto i contenuti o
gli obiettivi globali del corso e misurare il grado di competenza finale raggiunto.

I test di profitto possono essere utilizzati dagli insegnanti anche a scopo diagnostico, cioè per individuare i
punti di forza o di crisi durante il processo di apprendimento, evidenziare cosa sanno e cosa non sanno gli
studenti, e, di conseguenza, cosa va rinforzato con attività di recupero.

Test di competenza

Questi test misurano la competenza linguistica indipendentemente dal corso di apprendimento che gli
studenti potrebbero aver seguito. Di conseguenza il loro contenuto non può avere come riferimento un
particolare contenuto o particolari obiettivi di un corso che lo studente potrebbe non aver seguito.

Pagina
42
Scopo di questi test è verificare se il soggetto sa usare la lingua straniera in una determinata situazione
comunicativa. Di questo tipo sono i test di certificazione; chi li supera riceve un certificato in cui è descritto
il suo grado di competenza rispetto a determinate situazioni comunicative, cioè in quali contesti
socioculturali è in grado di utilizzare la lingua straniera. Il certificato ottenuto può essere utilizzato per vari
scopi, come ottenere un lavoro, proseguire negli studi, ecc… Di solito non c’è un solo test di certificazione,
ma esiste una batteria di test per ogni livello in cui è stata suddivisa la competenza.

Chi prepara questi test non conosce niente dei candidati che si sottoporranno al test poiché le istituzioni
che gestiscono le certificazioni non sono legate a centri di insegnamento. Inoltre attraverso questi test
dovrebbe essere possibile individuare se un candidato ha raggiunto un determinato standard, un livello di
accettabilità rispetto a certi compiti e conoscenze previsti al livello di esame a cui si deve sottoporre.
Servono ad esempio a capire se la quantità di italiano che conosce è sufficiente per uno studente straniero
a seguire un corso di studi in un’università italiana per lavorare presso un’azienda utilizzando l’italiano.

Tipi di prove

Si è detto che l’oggetto del testing linguistico è la competenza in lingua straniera e che il concetto di
competenza è strettamente legato alle teorie linguistiche che la sottendono e che quindi può essere intesa
in modo diverso. Di conseguenza variano anche gli aspetti della competenza da verificare; un insegnante
può voler verificare se i suoi allievi hanno capito le sue spiegazioni riguardo agli articoli determinativi e se li
sanno utilizzare; oppure verificare se sanno comprare un biglietto da Roma a Milano; o ancora se sanno
assistere con profitto ad una lezione universitaria. In ognuno di questi casi l’aspetto sottoposto a verifica
cambia e in base a questo possiamo distinguere fra prove fattoriali e prove integrali.

Le prove fattoriali o a punti discreti servono per verificare un solo fattore o elemento alla volta,
anche item per item. Un esempio di prova fattoriale è quella che verifica la conoscenza su un
particolare aspetto delle strutture della lingua, come una prova sull’uso degli articoli determinativi.
Le prove integrate richiedono al candidato di usare molti elementi o fattori per svolgere un
compito, ad esempio prendere appunti mentre si svolge una lezione o una conferenza.

Tali prove sono dette anche pragmatiche quando si vuole verificare la capacità d’uso di una lingua in
situazione comunicativa, ad esempio è pragmatica una prova di produzione orale in cui il candidato deve
assumere un ruolo in una particolare situazione comunicativa, attivando l’abilità di saper interagire con il
suo interlocutore ( ad esempio una prova di role-play ).

In base alla loro costruzione le prove si possono dividere in dirette o indirette.

Pagina
43
Dirette è quando è possibile verificare direttamente l’abilità del candidato nell’eseguirla, ad
esempio una prova di produzione orale in cui si chiede a due studenti di fare una conversazione
sull’argomento; chi valuta ascolta e può valutare direttamente le produzioni dei suoi allievi.
Indirette sono quelle prove che valutano le abilità ricettive, cioè la lettura e l’ascolto, che non si
possono osservare direttamente; ad esempio per verificare se uno studente ha capito un testo
bisogna ricorrere ad una prova indiretta, composta da una serie di domande che riguardano quel
testo.

Le prove si possono classificare anche in base al modo di assegnazione dei punteggi, pertanto avremo
prove oggettive e prove soggettive.

Una prova è oggettiva quando l’assegnazione del punteggio non richiede nessun tipo di giudizio da
parte del valutatore; il suo compito sarà solo quello di utilizzare il foglio con le chiavi di risposte già
preparato da chi ha realizzato la prova. Anche il punteggio da assegnare a ogni item è stabilito da
chi ha preparato e fornito la prova al valutatore insieme al foglio delle chiavi di risposte. Il
valutatore dovrà solo sommare i punteggi riportati nei singoli item per ottenere il risultato totale.
Un test a scelta multipla, ad esempio, è una prova oggettiva. Le prove oggettive sono realizzate con
varie tecniche; quelle più utilizzate sono i quesiti o i completamenti a scelta multipla, i clone o i
completamenti, gli abbinamenti o i riordini.
Le prove soggettive sono quelle in cui al momento dell’assegnazione del punteggio si richiede un
giudizio da parte del valutatore, il quale decide in modo soggettivo quale punteggio assegnare
ricorrendo alla propria esperienza o servendosi di criteri particolari, come scale o griglie, preparate
da lui stesso o da altri. Le prove soggettive vengono usate per verificare le abilità produttive come
la scrittura di un testo su un determinato argomento, oppure la capacità di prendere parte ad una
interazione faccia a faccia.

Ci sono poi le prove semistrutturate in cui si chiede allo studente di realizzare un compito preciso e ben
strutturato con la possibilità di eseguirlo in modo libero. Esempi di prove semistrutturate sono le
trasformazioni di frasi o di testi partendo da elementi dati; la costruzione di frasi partendo da parole date,
i riassunti, le risposte brevi. La valutazione di tali prove è meno soggettiva perché è comunque vincolata
dalle richieste fatte.

Oggettività e soggettività

Bisogna sottolineare che nelle prove oggettive l’oggettività riguarda solo il momento dell’assegnazione dei
punteggi, infatti la preparazione della prova è un’operazione soggettiva in quanto chi l’ha preparata ha
deciso di scegliere quel tipo di prova, di costruirla sulla base di un determinato testo, tutte operazioni
soggettive.

Pagina
44
Nel momento in cui si costruisce un test di verifica, la scelta del tipo di prove da utilizzare dovrà essere
dettata dal tipo di abilità o conoscenza che si vuole verificare. È necessario comunque che ogni tipo di
verifica sia realizzato nel modo più oggettivo, valido, affidabile possibile anche perché spesso dai risultati di
un test dipendono importanti decisioni prese da altri, che possono riguardare il futuro delle persone che
sono state giudicate. Inoltre, nel momento della valutazione, andranno utilizzati criteri precisi, che
descrivono in modo chiaro e dettagliato tutti gli aspetti della competenza, le attività comunicative e le
strategie che desideriamo valutare. In tal modo si potrà controllare l’indeterminatezza e la soggettività e
così la valutazione risulterà più affidabile.

La verifica e la valutazione nel Framework

Il Framework europeo è utile per ricapitolare le operazioni da compiere sia al momento della costruzione
delle prove, sia al momento della valutazione per ridurre la soggettività e l’affidabilità delle prove. Il
Framework europeo propone una lista delle operazioni che dovrebbero sempre essere seguite da chi vuole
realizzare un qualsiasi tipo di test. Le operazioni sono:

sviluppare una specificazione dei contenuti della valutazione, cioè specificare in modo dettagliato
gli aspetti della competenza che devono essere oggetto di verifica. Il Framework in appendice
fornisce i descrittori della competenza comunicativa; essi sono organizzati in modo scolare e di
conseguenza sono suddivisi in livelli;
bisogna collaborare con gli altri nel momento in cui si selezionano i contenuti oggetto di verifica e
della scelta delle performances richieste ai candidati e non prendere mai da soli le decisioni. Quindi
è opportuno che al momento di costruzione di un test si instauri una discussione comune fra più
persone;
adottare delle procedure standard nel somministrare le prove, nel senso che i candidati devono
essere messi tutti nelle stesse condizioni di svolgimento del test, senza che ci siano diversità di
trattamento dovute ad esempio alla luminosità o all’acustica dell’ambiente in cui si svolge il test, a
una cattiva qualità di stampa delle prove, ecc…;
preparare delle griglie ( chiavi ) di correzione precise per le prove indirette, cioè per le prove
oggettive, e basare la valutazione delle prove dirette, cioè delle prove soggettive, su dei criteri di
valutazione chiaramente definiti;
non accontentarsi del giudizio di un solo valutatore, ma fare valutare la stessa prova a più
valutatori e utilizzare, per le prove oggettive, una correzione automatica fatta da un computer, sia
per evitare errori da parte del valutatore, sia per velocizzare i tempi di correzione;
fornire ai valutatori una formazione adeguata sulla base di linee guida relative alla valutazione;
quindi il valutare deve essere stato formato a svolgere il suo compito e possedere una conoscenza
condivisa anche da altri valutatori sul modo in cui valutare;

Pagina
45
verificare la qualità, la bontà della valutazione, servendosi dell’analisi dei dati ottenuti.

Procedure statistiche nell’analisi dei dati

Attraverso i dati si possono ottenere le statistiche sui risultati che ci aiutano a evidenziare l’andamento del
profitto di una classe, ad esempio, attraverso il calcolo della media dei punteggi ottenuti, della mediana,
della moda, della deviazione standard dalla media. Le procedure statistiche sono calcoli che ci aiutano a
capire se una prova o il singolo item hanno funzionato oppure no. Una prova in cui tutti hanno fallito o una
prova che tutti hanno superato, evidentemente non erano prove valide.

Quelli della media o della mediana sono calcoli semplici e possono essere realizzati manualmente; invece i
calcoli attraverso cui si possono ricavare informazioni sulla validità o affidabilità di una prova, sono più
complessi, come ad esempio il coefficiente di affidabilità e altri coefficienti che misurano la validità di
contenuto, la validità concorrente, ecc…

Le analisi statistiche dei dati utilizzano procedure complesse tecnicamente la cui gestione è facilitata da
supporti informatici.

Una delle funzioni principali degli approcci statistici è di tenere costantemente sotto controllo l’affidabilità
e la validità del test. Il matematico danese Rash ha formulato un altro tipo di analisi su cui si basa la Item
Response Theory; questa teoria si fonda sul teorema che la performance di un individuo in un item
dipende sia dal livello di difficoltà dell’item stesso, sia dal livello di abilità dell’individuo.

Le procedure statistiche mirano a individuare, nella fase di prova pilota dei prototipi dei test, le ambiguità, i
problemi di contenuto, di forma e di struttura che inficerebbero i risultati dell’applicazione generalizzata
della versione definitiva dei test.

( La media aritmetica è il valore che risulta dalla somma di un insieme di punteggi o valori divisa per il
numero di punteggi o valori. È una misura dell’andamento dei punteggi o valori. La mediana è il valore
centrale in una serie di valori disposti in ordine di grandezza: divide la serie in due parti uguali ).

CAP.VIII

METODI IN GLOTTODIDATTICA

Pagina
46
Che cosa si intende per metodo

Imparare una seconda lingua equivale ad avviare un processo che riguarda l’individuo nella sua totalità, al
termine del quale la persona sarà bilingue. Il bilinguismo è l’obiettivo ottimale, misura al tempo stesso del
successo dell’apprendente e dell’efficacia dell’intervento didattico. E visto che l’insegnamento deve essere
concepito come un processo di facilitatore dell’apprendimento, esso sarà tanto più efficace quanto più chi
insegna è consapevole che la complessità del proprio compito deriva dalla interazione di diverse variabili.

Il concetto di metodo è nato proprio dall’esigenza di rispondere a tale complessità. I metodi si possono
considerare delle teorie dell’insegnamento della lingua, che tendono a presentarsi come unitarie, coerenti
e rigorose. Ciascun metodo è caratterizzato da un approccio teorico, che pone diversamente l’accento sulle
variabili del processo di insegnamento/apprendimento. Per chi insegna una lingua il metodo è prima
empirico e poi teorico e continua ad essere avvertito come una sorta di ricetta valida in tutti i contesti.

Evoluzione e tipologia dei metodi

Si possono individuare varie fasi nello sviluppo cronologico dei metodi.

La prima fase, che si estende dal secolo scorso ai primi del 900, riguarda l’innovazione didattica
dell’insegnamento delle lingue straniere nei curricula scolastica e il metodo inizialmente coincide con la
struttura dei manuali, di tipo normativo. Il che cosa è la lingua straniera da insegnare/apprendere.
L’evoluzione di questa prima fase dipende sia da una maggiore efficacia didattica, sia dalla individuazione
della linguistica descrittiva, cioè da un graduale mutamento di prospettiva relativo al che cosa insegnare;

La seconda fase, che va dagli anni ’40 agli anni ’60 del novecento, è caratterizzata da una grande
espansione dell’insegnamento delle lingue straniere, presente in molti percorsi formativi anche non
convenzionali. Inizialmente il riferimento teorico è costituito dalla linguistica strutturale di Leonard
Bloomfield, permeato di comportamentismo; il successo dell’apprendimento viene fatto dipendere dalla
qualità dell’insegnamento, determinata dall’adozione di un metodo scientificamente adeguato. Verso la
fine degli anni ’60 si verificano importanti cambiamenti di prospettive nella didattica linguistica.

Nel delineare i metodi, vanno presi in considerazione alcuni fattori:

il contesto storico, in cui si è affermato un certo metodo;


l’approccio, cioè la relazione più o meno diretta con assunti di ordine teorico ( in particolare con i
paradigmi della ricerca linguistica e glottodidattica );
la produzione di tecniche, che mantengono una vitalità al di là del metodo cui sono state associate.

Pagina
47
La nascita del concetto di metodo

Il metodo grammaticale-traduttivo

Contesto storico. Inizialmente tale metodo si è sviluppato per l’insegnamento delle lingue classiche, ma poi
diventa un metodo per quelle straniere. Innanzitutto ci sono ragioni di prestigio culturale che portano ad
estendere il metodo dalle lingue classiche a quelle moderne, ma anche ragioni pratiche in quanto esso è
facilmente adottabile dall’insegnante, la cui competenza linguistica nella L 2 è scarsamente in gioco perché
l’insegnamento è costantemente affiancato dall’uso del manuale.

Assunti teorici. In questo metodo non vi sono assunti teorici espliciti e quindi esso è pre-teorico;
conoscere una lingua equivale ad apprendere le regole grammaticali e il lessico. L’attenzione si focalizza sul
lessico.

Tecniche. L1 è la lingua attraverso la quale avviene l’insegnamento di L 2; si fa infatti uso di un


metalinguaggio grammaticale espresso in L 1.

Le regole grammaticali vengono memorizzate secondo una progressione che va dal semplice al complesso.

La traduzione viene utilizzata come esercizio sistematico, condotta sia su batterie di frasi composte ad hoc,
sia su classici della letteratura di L 2.

La valutazione è condotta sulla correttezza formale delle traduzioni, cioè devono essere conformi ai modelli
proposti.

Reading method

Contesto storico. Il metodo di sola lettura viene elaborato negli anni ’20 per opera di alcuni educatori
inglesi e statunitensi ed è tra le due guerre che si diffonde maggiormente nelle istituzioni educative
superiori statunitensi.

Assunti teorici. Rispetto al metodo grammaticale-traduttivo, non cambia l’idea che la conoscenza linguistica
consiste nell’implementazione di conoscenze lessicali e conoscenze grammaticali. Inoltre la lingua scritta
rimane il riferimento principale. La novità è che gli obiettivi dell’insegnamento-apprendimento si possono
restringere ad una sola abilità, quella di lettura e comprensione dei testi in lingua straniera, senza
mediazioni traduttive.

Tecniche. Uso della L1 come lingua di insegnamento; esercizi di lettura orale in L 2; focalizzazione
sull’apprendimento lessicale e su esercizi di controllo del vocabolario, ripetizione regolare di parole nuove.
Distinzione tra lettura rapida (estensiva ) e lettura intensiva. Inoltre la lettura si esercita su testi costruiti ad
hoc, secondo una visione graduata dell’apprendimento.

Pagina
48
Modello diretto

Contesto storico. Col nome di metodo diretto ci riferiamo a una serie di metodi, naturale, fonetico,
psicologico, che rientrano tutti, con le loro caratteristiche, nella riforma dell’insegnamento delle lingue
straniere avviatosi in Europa a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Essi danno importanza
prioritaria al parlato rispetto allo scritto. Il metodo tradizionale viene criticato per la sua inadeguatezza sia
didattica che scientifica.

Assunti teorici. Tutti i metodi diretti si basano sull’assunto che l’apprendimento della lingua straniera è
tanto più efficace se avviene in modo naturale, cioè simile all’apprendimento della lingua materna; la
naturalezza dell’apprendimento si fonda sul contatto diretto con la lingua da apprendere, che può avvenire
o nel contesto in cui la lingua straniera viene realmente usata o attraverso la simulazione del contesto
naturale della classe in cui l’uso della L 1 viene abolito. In pratica l’apprendimento di LS avviene per
immersione dell’apprendente nel contesto d’uso della lingua da apprendere.

I metodi diretti affermano la priorità didattica dell’oralità rispetto alla scrittura in quanto grande cura viene
dedicata agli aspetti fonetico-articolatori-uditivi; inoltre si sottolinea la funzionalità della lingua rispetto
agli scopi pratici della comunicazione. Vengono abbandonate le pratiche traduttive, l’insegnamento
grammaticale poiché si ritiene che la correttezza grammaticale si apprenda inizialmente per imitazione e
poi in modo induttivo.

Tecniche. Tra le tecniche di questo metodo abbiamo la presentazione orale di L2 attraverso la lettura, da
parte del docente, di testi prodotti ad hoc sui quali si effettuano una serie di attività, come lettura ad alta
voce per curare la corretta pronuncia, ricostruzione del significato dei singoli elementi lessicali ricorrendo al
contesto e all’associazione parole/immagini, oppure attraverso l’uso di parafrasi e sinonimi.

La comprensione del testo viene ricostruita e rafforzata attraverso esercizi di domanda-risposta.


L’approccio alla scrittura avviene successivamente a tutte le fasi dell’oralità.

L’apparato normativo della grammatica tradizionale viene abbandonato per far posto agli aggiornamenti
della linguistica descrittiva.

Il metodo come mito della glottodidattica

Metodo meccanicistico audio-orale

Contesto storico. Questo metodo trae le sue origini dall’Army Specialized Training Program (ASTP), la cui
elaborazione è legata a uno dei più autorevoli esponenti dello strutturalismo americano, Bloomfield.

Pagina
49
La base di questo metodo è che bisogna fondare l’insegnamento linguistico su basi scientifiche che ne
garantiscono l’efficacia.

Negli anni ’50-60 il metodo audio-orale diventa il metodo ufficiale per l’insegnamento delle lingue; la
diffusione di esso avviene per vari fattori, come l’aggiornamento tecnologico, la diffusione del laboratorio e
l’autorevolezza scientifica del metodo stesso.

Assunti teorici. Gli assunti teorici, che sono alla base del metodo, determinano sia le tecniche che il
language testing, ossia la verifica dell’apprendimento che diventa parte integrante della didattica. Essi
ruotano intorno alla Teoria dell’apprendimento linguistico formulata nell’ambito dello strutturalismo
comportamentistico prima da Bloofield e poi da Skinner e da Lado.

In questo quadro teorico, la lingua viene vista come un comportamento e l’apprendimento linguistico
come l’acquisizione di abitudini comportamentali: il comportamento verbale si integra con i
comportamenti non verbali in un circuito di stimoli e risposte. L’apprendimento linguistico avviene grazie
all’interazione linguistica con l’ambiente ed è determinato da due fattori, cioè l’imitazione e la
memorizzazione. In tal senso il processo di apprendimento in L 2 è considerato analogo a quello di L1, per
quanto riguarda i meccanismi fondamentali; però chi apprende una seconda lingua deve sovrapporre alle
abitudini linguistiche già acquisite (i patterns di L1) nuove abitudini ( i patterns di L2); tale sovrapposizione
può produrre interferenza a tutti i livelli della struttura linguistica. La previsione dell’errore di lingua e la sua
eliminazione attraverso esercizi opportuni, calibrati su una conoscenza preventiva delle possibili
interferenze tra L1 e L2, è centrale nel metodo audio-orale e per questo il suo supporto teoretico più
significativo è l’analisi contrastiva.

Un altro assunto teorico importante del metodo audio-orale è la distinzione di 4 abilità (skills) linguistiche:
speaking e listening sull’asse produttivo-ricettivo dell’oralità, considerato prioritario e writing e reading
sull’asse produttivo-ricettivo della scrittura. Lo sviluppo delle quattro abilità corrisponde a momenti
differenziati dell’attività didattica, rimanda a tecniche differenti e richiede procedure di verifica specifiche.

Tecniche. Per quanto riguarda le tecniche, l’insegnamento avviene a partire dall’enunciato, considerato
l’unità strutturale di base, in cui si integrano le strutture fonetico-fonologiche, morfologiche, sintattiche e le
conoscenze lessicali. Non c’è mediazione della L 1 con il materiale linguistico e gli esercizi vengono introdotti
attraverso il laboratorio linguistico, con esercizi strutturali, attraverso i quali vengono interiorizzati i
patterns della lingua da apprendere. Ci sono esercizi tesi alla discriminazione fonetico-fonologica, alla
memorizzazione, all’implementazione del lessico. La memorizzazione degli enunciati e delle sequenze
dialogiche avviene attraverso frequenti esercizi di ripetizione imitativa.

Pagina
50
L’insegnante non è dotato di una particolare autonomia didattica, ma è oggetto di una specifica formazione
per utilizzare adeguatamente tale metodo ed è spesso affiancato da una persona madre-lingua. La sua
funzione è quella di guidare l’apprendente lungo un cammino segnato da mappe precise e di effettuare
verifiche sull’apprendimento; l’uso di L 1 è evitato, ma non proprio escluso.

Metodo strutturo-globale audiovisivo

Contesto storico. Questo metodo è stato elaborato presso il CREDIF nel 1961, in Francia, associato a
programmi audiovisivi per l’insegnamento del francese L 2.

La principale novità del metodo CREDIF è quello della presentazione dei materiali linguistici attraverso lo
strumento audiovisivo ( televisivo ). Il sonoro, in francese, è comprensibile sul piano semantico, grazie
all’associazione con la sequenza visiva, nella quale personaggi fissi agiscono in situazioni tipo.

Questo metodo è molto rigido sia nella progressione delle unità didattiche, sia nell’organizzazione di ogni
singola unità didattica; ciò è vincolante per l’insegnante, il quale deve seguire specifici corsi di formazione.

Assunti teorici. Il metodo ha forti affinità con il metodo audio-orale, in quanto si propone come
applicazione didattica dei principi teorici derivanti dalla linguistica strutturale. Questo metodo è strutturale
nella progressione del materiale linguistico; si parte dalla frase e poi si cura la pronuncia, la morfologia e
l’implementazione lessicale. Presenta anche elementi di novità sintetizzati dalla denominazione globale che
qualifica il metodo.

Il primo assunto è che la lingua non può essere presentata al di fuori di un concreto contesto comunicativo
che viene ricreato con l’ausilio di strumenti audiovisivi; il secondo assunto è che la simulazione costituisce
anche l’occasione per la presentazione della cultura e della civiltà.

Inoltre il metodo è innovativo sul piano teorico perché individua 3 stadi di apprendimento linguistico:

1) il primo stadio corrisponde al Francais fondamental in cui avviene una iniziale familiarità con la
lingua;
2) il secondo stadio prevede la capacità di parlare con disinvoltura di argomenti generali;
3) il terzo stadio prevede la capacità orale e scritta di produrre e intendere discorsi più formali e
specialistici.

Tecniche. Sul piano delle tecniche è innovativa l’identificazione della tecnologia audiovisiva come la tecnica
di presentazione, cioè come contenitore di materiali linguistici da cui è possibile articolare unità didattiche
in cui la sequenza audiovisiva fa da filo conduttore situazionale.

Pagina
51
Nel CREDIF i programmi si presentano come un pacchetto attentamente articolato in unità didattiche,
organizzate attraverso la decostruzione del filmato in sottosequenze, significative ai fini
dell’apprendimento.

Approccio nozionale-funzionale (ANF) e Communicative Language Teaching (CLT)

Negli anni ’80 l’approccio nozionale-funzionale e il Communicative language Teaching sono importanti
perché si adottano strumenti di programmazione come il sillabo e l’unità didattica e concepiscono la
didattica come una forma di sapere comunicativo. Questo approccio dà un contributo importante alla
glottodidattica, in quanto dà peso al concetto di sillabo e ai problemi di syllabus design. I sillabi più
comunemente usati sono di tipo nozionale-funzionale per la produzione manualistica specifica per la
didattica linguistica.

Il Communicative Language Teaching, invece, con le sue numerose riflessioni teorico-pratiche, ha


contribuito ad aggiornamenti continui sulla definizione di competenza comunicativa.

L’importanza del sillabo dipende dall’esigenza di coniugare una programmazione didattica rigorosa con la
libertà operativa stimolata dal paradigma comunicativo. Ciò comporta scelte sul piano teorico: il che cosa
insegnare (quale lingua a quali fini culturali? ) può essere fatto dipendere da dove lo si insegna (quale
lingua in quale comunità?) e condizionare la riflessione sul come lo si insegna ( qual è il medium
dell’insegnamento? ).

Annotazioni sul concetto di funzione linguistica

Il concetto di funzione linguistica, definito inizialmente da Jakobson, venne ripreso dagli esponenti più
importanti dello strutturalismo linguistico britannico, in particolare gli studi di Halliday, orientati alla
problematica dell’acquisizione/apprendimento linguistico.

Il punto di vista di Halliday è rinforzato anche dalle ricerche sociolinguistiche di Bernstein sui contesti della
trasmissione culturale nella prima infanzia; per Halliday, quindi, le interazioni linguistiche sono il veicolo
essenziale di questa trasmissione. Così le funzioni linguistiche si possono definire come degli insiemi di
adeguatezza semantica tra l’enunciato e la situazione in cui l’enunciato viene prodotto. Inizialmente si
sviluppano sei funzioni, quella regolativa, internazionale, immaginativa, euristica, personale,
strumentale, durante tre fasi di sviluppo che vanno dall’infanzia all’età adulta. Nella transizione
dall’infanzia all’età adulta si sviluppano le due funzioni che Halliday chiama generalized, cioè la funzione
pragmatica relativa al fare e la funzione matetica relativa all’apprendere. Nella terza fase relativa al
sistema linguistico adulto, si sviluppano tre meta funzioni, quella interpersonale, testuale e ideativa.

Approccio nozionale-funzionale

Pagina
52
La prospettiva di Holliday è l’assunto teorico di riferimento per l’ANF, elaborato da Wilkins che traduce in
termini glottodidattica il concetto di funzione; in pratica egli definisce quale caratteristiche deve avere un
sillabo e distingue tra sillabo nozionale e sillabo funzionale. Con il termine sillabo ci si riferisce all’insieme
di contenuti grammaticali.

Nel sillabo nozionale la selezione e la sequenza dei materiali linguistici proposti all’apprendente è
determinata da criteri semantici e deve corrispondere all’esigenza di comunicare correttamente certi
contenuti, indipendentemente dalla complessità delle forme linguistiche richieste.

Il sillabo funzionale invece si concentra sulle funzioni comunicative ed è maggiormente adatto ad


apprendenti che avendo già un primo livello di conoscenza di L 2 possono aspirare a conseguire
rapidamente un certo livello di proficiency.

La competenza funzionale come lo concepisce Halliday è centrale per la trasmissione di significato, cioè ai
fini comunicativi, ecco perché non c’è divisione tra l’approccio nozionale-funzionale e quello comunicativo.

Annotazioni sul concetto di competenza comunicativa

L’espressione competenza comunicativa è nata in ambito socio-linguistico in seguito alla critica fatta al
concetto chomskiano di competence, considerato molto ristretto in quanto si limita alle conoscenze di tipo
formale-strutturale.

Douglas Brown sintetizza tale critica sostenendo che la competenza comunicativa non è un costrutto
intrapersonale come si legge nei lavori di Chomsky, ma è un costrutto interpersonale che può essere
analizzato solo grazie alle esecuzioni linguistiche (performance) di due o più persone nel corso di un
processo di negoziazione del significato.

Oltre alla sociolinguistica, ci sono state altre correnti di pensiero nell’ambito della linguistica degli anni ’60
che hanno messo in luce come il significato degli atti linguistici sia il prodotto di una negoziazione tra gli
interlocutori.

Gli studi di linguistica testuale e di pragmalinguistica mostrano il carattere sistematico delle conoscenze
che presiedono a tale cooperazione tra gli interlocutori nel corso della comunicazione linguistica e come
dipendono dal codice linguistico adottato. Il processo della competenza comunicativa deve rispondere
all’esigenza primaria dell’effettiva capacità d’uso della lingua in questione a scopi comunicativi, cioè di
socializzazione.

Comunque la letteratura glottodidattica che si richiama al concetto di competenza comunicativa afferma


che nel processo di acquisizione apprendimento di una lingua (L1 o L2) le competenze sociolinguistiche,
testuali, pragmatiche, si integrano precocemente nelle conoscenze più formali. A tal fine il CLT studia come

Pagina
53
proporre input diversificati tenendo conto delle esigenze degli apprendenti, definibili a partire da variabili
come l’età e le motivazioni.

CLT Communicative Language Teaching

Sandra Savignon offre un contributo significativo al paradigma comunicativo. Ella definisce il curriculum
comunicativo; in pratica secondo la Savignon il curriculum è composto da 5 componenti che si integrano e
si alternano (5 aree):

1) un’area di attività ( Language arts ), focalizzata sugli aspetti formali della lingua;
2) l’area di lingua per uno scopo prevede l’uso di L2 come lingua franca di comunicazione nella classe;
3) l’area di uso personale di L2 mira agli aspetti affettivo-emotivi dell’uso linguistico;
4) l’area della drammatizzazione si focalizza sull’importanza dei ruoli nell’interazione linguistica;
5) un’area oltre la classe che prevede il contatto diretto fra gli apprendenti e L 2, che eventualmente
può avvenire attraverso i media.

Una glottodidattica finalizzata a contribuire alla competenza comunicativa dell’apprendente deve tener
conto di alcuni fattori, e cioè:

sul piano dell’apprendente le motivazioni sono molto importanti;


sul piano dell’approccio didattico è importante usare il sillabo come tecnica di programmazione, ma
le fasi della selezione e gradazione dipendono da una prospettiva comunicativa dove sono
importanti i fattori quali l’età degli apprendenti, il tempo a loro disposizione, il contesto linguistico
e le finalità del corso;
sul piano delle tecniche del Taylor made, cioè i materiali vengono selezionati dall’insegnante grazie
all’uso di nuove tecnologie;
la classe non ha una posizione frontale, ma circolare;
nella contrapposizione oralità/scrittura, l’oralità è molto curata, difatti viene dato ampio spazio al
listening.

Suggestopedia

La suggestopedia è un metodo elaborato dallo psicologo bulgaro Gregori Lozanov con l’obiettivo di creare
intorno all’apprendimento le condizioni ambientali più favorevoli all’apprendimento. Questa tecnica lavora
sull’associazione uditiva tra la musica barocca e il flusso del parlato in L 2. Le lezioni non sono innovative sul
piano delle tecniche di presentazione della lingua, infatti i materiali sono classici, ma per il fatto che le
pause di silenzio e di concentrazione si alternano con l’ascolto sia della musica che del parlato prodotto
dall’insegnante. Nella prima fase della lezione l’ascolto si accompagna alla lettura silenziosa, da parte di
ogni apprendente, della traduzione delle parole del docente; nella seconda fase il docente ripete il suo

Pagina
54
testo e gli apprendenti ascoltano; l’apprendente poi dovrà ripetere una lettura silenziosa del testo la sera
prima di coricarsi e la mattina prima di alzarsi.

In pratica la suggestopedia applica all’’insegnamento linguistico tecniche di memorizzazione, dando ai


fattori mnemonici un peso considerato eccessivo.

Total Physical Response (TPR) e Natural Approach (NA)

Tra i due approcci c’è un collegamento tecnico, infatti entrambi sviluppano la problematica che riguarda
l’apprendente dell’interazione tra conoscenza acquisite e conoscenze apprese nel definire i processi
cognitivi. Inoltre entrambi concordano sul fatto che la comprensione della lingua è un momento
preliminare, mentre l’attività di produzione degli enunciati avviene successivamente e con un ritardo
iniziale. Il TPR però trova la sua fonte nella psicologia, mentre l’Approccio naturale nasce come
conseguenza didattica delle ricerche condotte da Krashen.

Total Phisical Response (TPR)

Total Phisical Response elaborato da Asher, è stato discusso per circa un decennio prima di essere adottato
in via sperimentale e questo lungo percorso di elaborazione e di discussione ne ha fatto un metodo
affidabile.

Gli assunti teorici su cui si fonda il metodo sono molteplici e vanno dalle scienze psicologiche alle
neuroscienze, alla letteratura sulla Language Acquistion. Inoltre il metodo non trascura il versante affettivo-
motivazionale dell’apprendimento ed elabora tecniche che mirano a ridurre i fattori ansiogeni o di stress
nell’ambiente-classe. È l’insegnante che in questo metodo coordina e dirige il gioco. Però questa sua
posizione è solo apparentemente direttiva, infatti i suoi enunciati (comandi e richieste) hanno un risvolto
operativo nell’esecuzione delle attività richieste: l’attività motoria è costante nella classe e spesso ludica
per rispondere a richieste buffe e paradossali.

L’apprendente non riceve sollecitazioni a produrre enunciati nella lingua target, ma lo farà quando si
sentirà in grado di farlo. La prima tappa si considera raggiunta quando l’apprendente accompagnerà
all’attività motoria anche quella verbale in LT (Lingua Target, l’unica utilizzata in classe). Questo metodo è
efficace almeno ai livelli di un’ iniziale proficiency.

Natural Approach (NA)

Il Natural Approach è legato al nome di Stephen Krashen, maggiore studioso in ambito SLA. Il modello di
Krashen è influenzato dalla posizione di Chomsky, secondo cui esiste nel modello linguistico un
sottomodulo dedicato all’apprendimento linguistico (LAD, Language Acquisition Device). Krashen,
interrogandosi su quali caratteristiche interne potrebbe avere tale modulo, mette a confronto il processo di

Pagina
55
acquisizione/ apprendimento di L 2 con quello di L1e formula un’importante ipotesi naturale secondo cui
anche l’apprendimento di una L 2 procede secondo una progressione naturale. Krashen ritiene che esiste
una dicotomia tra le conoscenze acquisite e quelle apprese; l’acquisizione sarebbe il risultato della
processazione spontanea dell’input da parte dell’apprendente e questo processo sarebbe condizionato, in
modo positivo o negativo, dai valori del filtro affettivo (motivazioni, stili cognitivi, ecc…). L’apprendimento
interverrebbe unicamente sull’output per garantire la conformità ai modelli dati, attraverso la funzione del
monitor. L’automonitoraggio esercitato sugli enunciati nel corso della produzione linguistica dipende da
caratteristiche particolari della situazione comunicativa, come il tempo a disposizione, la richiesta di un
registro formale, l’asimmetria di ruolo tra gli interlocutori.

Il modello di Krashen è stato criticato da Tarone, la quale sostiene che la L2 prodotta dall’apprendente
risente della variabilità sociolinguistica fin dai primi stadi del suo sviluppo, cioè i fattori ambientali
avrebbero un peso sia in entrata che in uscita. All’immagine del monitor, la Tarone contrappone la
metafora del camaleonte, difatti camaleontica è l’approssimazione dell’apprendente alla LT (lingua del
paese di accoglienza). In tal modo appare come strategia di apprendimento la tendenza mimetica che
permette all’apprendente di simulare gradi via via crescenti di assimilazione nell’ambiente di L 2.

Nella loro proposta metodologica (NA), Krashen e Terell condividono il punto di vista di Asher sulla
necessità che la produzione linguistica dell’apprendente sia dilazionata fino al momento in cui emerge
spontaneamente la necessità di parlare in L 2. Affinché questo avvenga è necessario che l’atmosfera di classe
sia rilassata e priva di tensioni e lo scambio linguistico deve essere finalizzato a scopi comunicativi, e non
ad analisi della forma linguistica.

Il NA si pone come proseguimento ideale del TPR, passando da un livello in cui gli scopi comunicativi sono
relativi ad attività motorie, ad un livello caratterizzato dalle esigenze di una comunicazione quotidiana.
Anche nel NA l’insegnante gioca un ruolo centrale nell’organizzare le attività, egli infatti fornisce l’input
all’apprendente, proponendo attività stimolanti; la sua lingua deve essere commisurata al livello di
conoscenza dell’apprendente, ossia comprensibile a quel livello. Krashen e Terell ipotizzano tre stadi del
percorso di apprendimento:

1) stadio di preproduzione, in cui si sviluppano le capacità di ascolto e comprensione;


2) stadio di produzione iniziale, caratterizzato dalla presenza di numerosi errori negli enunciati
prodotti che dipendono dallo sforzo di usare la LT; in questo stadio l’insegnante focalizza
l’attenzione sulla trasmissione del significato, evitando di intervenire con le correzioni;
3) estensione della produzione a frammenti di discorsi più ampi. In questo stadio l’insegnante può
intervenire occasionalmente a correggere gli errori.

Pagina
56
Le critiche rivolte al NA riguardano il periodo di silenzio, il trattamento dell’errore, e in particolare non è
chiaro quale debba essere il comportamento nei confronti dell’apprendente quando questo tarda a uscire
dal periodo di silenzio. Ma forse la critica maggiore riguarda la difficoltà di definire il concetto di input
comprensibile da cui dipende la gradualità nell’introduzione di nuove difficoltà. Nonostante la formula di
Krashen, sembra che il metodo si affidi eccessivamente all’intuizione e all’abilità dell’’insegnante.

Pagina
57

Potrebbero piacerti anche