Sei sulla pagina 1di 255

Mauro Nemesio Rossi

Fascismo casertano
Fatti, misfatti e personaggi
di una città in camicia nera

Centro Studi ed Alta Formazione


Maestri del Lavoro d’Italia
2
Presentazione

Il volume affronta un tema assai delicato per le implicazioni che


comporta, ma, soprattutto, per le facili speculazioni cui può
prestarsi, ad opera di chi pretende di aver letto un libro,
essendosi soffermato, al più, al titolo, o estrapolandone parti dal
contesto generale, alterandone, con ciò, completamente il senso.
L'Autore analizza, invero, uno dei periodi più difficili e
controversi della Storia Contemporanea, in generale, ed in
particolare nella provincia di Caserta: il Fascismo.
Fin dal titolo, tuttavia, si evidenzia la sua posizione
sull'argomento, che si limita a svolgere un'analisi storico-
documentale, lontana da intenti, o anche da mere "tentazioni"
agiografiche.
E' un libro "tecnico", ricco di trascrizioni di atti, scritti e
testimonianze d'epoca, che non si lascia andare a manierismi o a
voli di stile -per accattivare l'interesse del lettore, agevolandone
il compito. E' un'opera che dimostra come, in un'epoca in cui i
mecenati, ma anche i meri sponsor, rappresentano una razza in
via di estinzione, la scarsità delle risorse e di mezzi, necessari per
affrontare un simile lavoro, può essere abbondantemente
compensata da tanta, tanta buona volontà, propria del vero
ricercatore, che investiga "a prescindere", senza porsi alcun
obiettivo in termini di ritorno.
Il testo ribadisce, ancora una volta, come, con buona pace di
taluni Storici dell'Accademia, la Storia talora altro non è che un
insieme di storie, magari in apparenza meschine, che prese
singolarmente sembrerebbero insignificanti, e, perciò, meritevoli
di dover rimanere confinate nella cronaca, non potendo
"assurgere al rango superiore", mentre, lette in un contesto più
ampio, forniscono quegli "anelli mancanti" senza i quali
risulterebbe impossibile comprendere - o, quantomeno,
correttamente interpretare - fenomeni, passaggi complessi,
dimostrandosi, così indispensabili, vitali, anche ai fini della
valutazione storiografica.
La narrazione parte dall'anno 1918 e dai festeggiamenti che
anche la cittadinanza del Capoluogo dell'allora Provincia di
Terra di Lavoro, sollecitata a tanto dalla Prefettura, volle

3
tributare alla ricorrenza, tutta statunitense, del 4 Luglio, con lo
scopo di manifestare una forma di gratitudine nei confronti degli
Americani per il loro intervento nelle ultime fasi della Guerra
1914-l8' che vide, per la prima volta nella storia, l'intervento di
forze militari provenienti da un Paese dell'oltreoceano, in un
conflitto che, inizialmente, appariva tutto interno all'Europa, ciò
che contribuì a meritargli l'epiteto di "mondiale".
L'autore procede, quindi, con la disamina dell'immediato
dopoguerra: nonostante gli orrori appena vissuti, che fecero della
"Grande Guerra" il più sanguinoso conflitto della storia
dell'umanità, con decine di milioni di morti, mutilati, feriti, sia
militari che civili, la gravissima crisi economica che ne scaturì ed
il disorientamento sociale ad essa conseguente rappresentarono
le basi dalle quali prenderanno le mosse quelle ideologie
populiste che, costruendosi una base ideologica sulle teorie
filosofiche più perniciose, che maggiormente prestavano il
fianco ad interpretazioni distorte, una per tutte l'Idealismo
tedesco, con le sue "dialettiche di scivolamento" che minavano
financo l'assolutezza di concetti come quello di "bene" e "male",
sarebbero tornate, di lì a pochi anni, ad insanguinare il mondo,
come se il genere umano avesse perso la capacità, che pur lo
contraddistingue, di imparare dai propri errori.

Mauro Nemesio Rossi, dottore in Scienze Politiche, cavaliere


ufficiale all'Ordine al Merito della Repubblica e Maestro del
Lavoro, dopo una vita spesa nell'industria elettromeccanica-
informatica, lavorando per uno dei colossi mondiali del settore,
tutto italiano, in un'epoca in cui il nostro Paese deteneva uno
degli apparati manifatturieri più consistente, diversificato ed
avanzato, che ne faceva la quinta potenza economica sullo
scacchiere internazionale, oramai da diversi anni ha fatto della
ricerca storica e della formazione integrativa degli studenti della
Scuola Secondaria Superiore, in collaborazione con i Dirigenti
dei principali Istituti della provincia di Caserta e prima con La
Seconda Università degli Studi di Napoli poi con l’Università
della Campania Luigi Vanvitelli, attraverso l'organizzazione di
corsi, seminari, conferenze, orientamento universitario, stage in

4
aziende, anche nel campo dei programmi di `"alternanza scuola -
lavoro", una ragione di vita.
Nell'ambito di dette attività, intrattiene pregevolissimi rapporti
istituzionali con ambedue le Camere del Parlamento, con la
Presidenza della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato, con i
vertici delle Forze Armate e delle principali Istituzioni ed Enti
Locali.
Giornalista e fotografo, nel 1983 fu "inviato", al seguito del
Contingente Italiano nella Missione di Pace in Libano.
Ha creato ex nihilo - dopo un lungo ed accurato lavoro di
raccolta e di catalogazione di reperti - e concesso in comodato
alla Provincia di Caserta il Museo Dinamico della Tecnologia
"Adriano Olivetti", il secondo in ordine cronologico e
d'importanza in Italia (dopo il Laboratorio-Museo
Tecnologic@mente, di Ivrea) sempre dedicato soprattutto agli
studenti di ogni ordine e grado.
Autore di numerosi articoli su temi culturali per varie testate
locali, non è nuovo a pubblicazioni di saggi a carattere storico,
una per tutte La Caserta di Memma - Il piano regolatore generale
dimenticato, incentrato sulla figura dell'ing. Vincenzo MEMMA,
redattore del piano regolatore della città di Caserta risalente agli
anni venti del Novecento, Progettista dell'edificio della Posta
Centrale, in piazza Duomo: Direttore dei Lavori della sede del
Banco di Napoli, in via Cesare Battisti e nel riassetto
novecentesco della piazzetta dei Commestibili progettista delle
palazzine dei ferrovieri, in via Roma e del palazzo che tutt'oggi è
sede della Camera di Commercio, la cui costruzione fu diretta
dall'ing. Fabricat, al quale Memma successe in qualità di
Presidente dell'Istituto Case Popolari. A questi vanno aggiunti il
libro edito dalla pro loco di Alvignano, “L’Arciprete e la sua
Alvignano” e per le edizioni Rubbettino, “Maestri del lavoro in
camicia Nera”.

Luigi Cobianchi

5
6
Stavamo dicendo…
Il lavoro di ricerca svolto tra Archivio di Stato della provincia di
Caserta, Società di Storia Patria ed emeroteca provinciale di
Capua è stato finalizzato per meglio comprendere il periodo
storico della soppressione della provincia di Terra di Lavoro. Un
lasso di tempo lungo quasi quattro lustri dove Caserta,
nonostante tutto, ha avuto una radicale trasformazione territoriale
e in parte sociale, dibattendosi tra il provincialismo e la voglia di
cambiamento, cosa che l’ha caratterizzata nei secoli.
Questo libro non ha alcuna pretesa di essere un documento
storico, piuttosto quello di soddisfare curiosità su fatti e
personaggi di una comunità che nel tempo sembra essere sempre
uguale.
L’industrializzazione degli anni sessanta e settanta del secolo
scorso ha portato ad un tale incremento della popolazione
proveniente dalla vicina provincia di Napoli ed a volte anche dal
nord che ha determinato una trasformazione antropologica mai
registrata prima, Uno stravolgimento da far si che i casertani per
discendenza sono quasi del tutto scomparsi.
Purtroppo quando il processo inverso ha desertificato il settore
industriale nulla è rimasto dell’esperienza e poco o niente ha
insegnato.
Quell’assessore alla cultura, per ironia della sorte, è sempre lo
stesso e veste sempre uguale.
“Il fatto è che Caserta è piena di ex – scriveva Antonio Pascale
nel suo libro la Città distratta nel 1999 – gli ex casertani sono
soliti cambiare le facce e non i vestiti. L’assessore alla cultura
veste ancora come quando era di estrema sinistra, si presenta

7
sciatta e trasandata, mantiene inalterata gli stessi gesti e la
stessa dialettica di un tempo, solo che adesso collabora con una
giunta di destra. Generalmente la condizione di ex è
accompagnata dal non pentimento per le cose fatte in passato.
Così si da sfoggio di coerenza e serietà e si continua a
governare pubblicizzando queste virtù. Orbene si guarda bene
dal dichiararsi pentiti, per evitare spiacevoli riflessioni che oltre
tutto sono delle inutili perdite di tempo.”
Le maggiori informazioni utilizzate, che sono state verificate
raffrontando i documenti della prefettura di Caserta presenti
nell’archivio di Stato, provengono dai giornali locali spesso
diretti da personaggi di non spiccata condotta e coerenza.
Nonostante tutto e la bassa tiratura delle pubblicazioni erano
quelli che facevano opinione e considerati punti di riferimento da
magistratura, questura, prefettura e forze dell’ordine per le loro
indagini.
“Questi tre giornali: Terra di Lavoro, L’Unione, La Vita sono
palestre di turpiloquio vendute al maggiore offerente ed aperte
ai più accesi conflitti di basse passioni locali, agitate con l’arma
della menzogna, della più lorda contumelia e della diffamazione.
Ignora ogni decoro e senso di responsabilità questa stampa che
tutto specula, turba l’ordine delle famiglie, inquina la vita
cittadina e falsa le correnti della pubblica opinione. Questi
pennaioli sono i masnadieri del giornalismo”
E’ il severo giudizio della prefettura di Caserta verso i giornali
locali in risposta ad una precisa richiesta del capo dell’ufficio
stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri Cesare Rossi,
del 5 ottobre del 1923.
Ufficio che non esisteva prima ma che produce gli ‘ordini alla
stampa' (che diverranno noti con il nome popolare di “veline”)
ed avviano la progressiva fascistizzazione dell'informazione.
Le maglie della censura sugli organi di informazioni si fecero
più strette ed i prefetti erano chiamati a rispondere alle
informative che arrivano puntualmente dal governo centrale. Si
andò avanti fino al 1925 anno sulla legge per l’editoria che
portò alla chiusura di molte testate.
A giugno c’era stata una prima circolare ai prefetti chiedendo di
avere “notizie su stampa locale nei confronti dell’atteggiamento

8
verso Governo”.
Il Consiglio dei Ministri l’11 luglio, su proposta del ministro
Giovanni Antonio Di Cesarò, affidò al guardasigilli Aldo Oviglio
l’incarico di presentare uno schema di provvedimenti necessari
a “prevenire e reprimere energicamente e immediatamente gli
abusi e i delitti di talune pubblicazioni”.
Cesare Rossi chiedeva al prefetto di Terra di Lavoro
Bonaventura Graziani1 “un prospetto organico e completissimo
riflettente tutta l’attività giornalistica del Paese’ secondo quanto
gli aveva richiesto il presidente del Consiglio. Occorreva fornire
notizie su:
1) Nome del direttore, in sua vece, del redattore capo, sue
qualità morali, tendenze politiche, atteggiamenti particolari nei
riguardi della politica generale del Governo Nazionale e di
quello locali.
2) Interessi industriali e politici che ogni giornale difende e
rappresenta, indicando i nomi dei sovventori e la misura del loro
concorso finanziario;
3) Importanza del giornale e influenza sui ceti politici locali,
tiratura ecc.;
4) Precedenti morali e politici dei redattori più noti;
5) Contegno tenuto dai giornalisti locali in occasione della
recente elezioni della Presidenza dell’Associazione della Stampa
Periodica Italiana;
1
dr. Bonaventura GRAZIANI Nato a Calopezzati (Cosenza) il 15 luglio 1867.
Laureato in Giurisprudenza. Immesso in carriera per pubblico concorso il 25
febbraio 1893. Ha prestato servizio presso le sedi di Rossano Calabro,
Potenza, L’Aquila, Roma, Ministero. Vice Direttore Generale
dell’Amministrazione Civile e con incarico presso il Commissariato Generale
per l’approvvigionamento e i consumi alimentari. Nominato prefetto di 2ª
classe il 1° febbraio 1918 e prefetto di 1ª classe il 5 marzo 1926.
Grand’Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Grand’Ufficiale
dell’Ordine Mauriziano. Prefetto di Trapani (al provvedimento non viene dato
corso). A disposizione permanendo nell’incarico (febbraio 1918 - luglio
1919). Prefetto di Macerata (luglio 1919 - gennaio 1923). A disposizione
(gennaio - luglio 1923). Prefetto di Caserta (luglio 1923 - dicembre 1926),
Messina (dicembre 1926 - settembre 1927). A disposizione con l’incarico di
Direttore Generale dell’Opera Nazionale per la Protezione della Maternità e
dell’Infanzia (settembre 1927 - luglio 1929). Collocato a riposo per ragioni di
servizio nel luglio 1929.

9
6) Eventuali altri elementi di indagine ed informazioni.
Il giudizio complessivo fu pesante non solo verso l’ambiente
giornalistico casertano, ma specialmente verso i singoli direttori
di testate.
Sul conto di Emilio Musone de L’Unione si trasmetteva che:
“processato per diffamazione rende pubbliche contumelie e vive
di ricatti clandestini. Simula la politica Nazionale e difende i
fascisti indisciplinati e i simpatizzanti repubblicani. L’opinione
pubblica gli assegna il posto che merita”.
Aristide Beato, direttore de La vita, invece, “è un turpe. Non ha
meno di undici addebiti penali. Iniziò 1′iter criminis con un
procedimento per incesto, lo seguì con corruzione di minorenni,
procurati aborti e truffe e diffamazioni: il certificato penale per
ora si chiude col reato di diserzione. E’ al servizio di chi meglio
lo paga. Ora è con gli espulsi del fascismo, conduce una
campagna pro Padovani” e “conclude ogni articolo con «Viva
Mussolini»”.
Del direttore di Terra di Lavoro, Eduardo de Leonardis, il
rapporto sosteneva: ”è di Corfù è greco in tutto. Condannato più
volte per ingiurie, diffamazioni e duello. segue la politica dei
maggiori compensi. Ora è col Governo Nazionale [...] Combatte
1′Amministrazione di Caserta e più aspramente il sindaco
Picazio”.
Il definitiva questo libro si porta dietro tutti i limiti delle fonti
derivate prevalentemente da organi di informazioni locali.
L’unico conforto è quello di averle verificate con documenti
trovati negli archivi della prefettura, del senato e della camera
dei deputati.
Manero

10
Festa dell’indipendenza americana
Correva l’anno 1918 e anche il capoluogo di Terra di Lavoro
si trovava immerso nei problemi della guerra. Anzi a Caserta la
guerra era molto più sentita che altrove in considerazione dei
circa quattromilacinquecento militari che vivevano nelle caserme
dislocate in ogni quartiere.
Gli ultimi mesi del conflitto mondiale videro scendere gli
Stati Uniti al fianco delle forze alleate e questo non poteva far
che piacere all’esercito italiano che aveva subito l’amara
sconfitta di Caporetto e che era a rischio davanti alla strategia
militare degli austriaci.
I casertani sollecitati da segnalazioni che provenivano dalla
prefettura si promettevano di rendere omaggio agli americani.
Volevano lanciare un ponte ideale con i numerosi emigrati che si
trovavano al di la dell’oceano.
Gli austroungarici con le loro azioni si facevano sempre più
odiare e si accingevano a bombardare le città principali Italiane.
Era toccato a Genova, città di mare e molti si aspettavano che
primo o poi gli aerei degli austriaci sarebbero arrivati su Napoli.
La cerimonia del 4 luglio del 1918 fu concordata con il
prefetto Diodato Sansone, il sindaco Vincenzo Cappiello, il
presidente della deputazione provinciale ed i responsabili del
circolo Nazionale: il prof. cav. Michele Tarantini, l’avv. Alfonso
Musone ed il generale comm. Alfonso Maurana.
Il circolo Sociale dirimpettaio dell’Unione in piazza
Margherita non volle essere da meno. Il suo presidente, prof.
dott. Pasquale Santoro, si prodigò per dare la tessera di socio
onorario al generale Ciro De Angelis che, essendo stato molti
anni nel capoluogo di Terra di Lavoro come comandante della
Brigata Caserta, era al fronte con i suoi uomini.
L'entusiasmo, con cui la città di Caserta partecipò alla
celebrazione dell'Indipendenza Americana, fu considerata la
prova più alta e più bella della simpatia che univa la comunità
locale agli Stati Uniti.
“Della valutazione che esso dà giustamente all'alleanza e
agli sforzi che gli Usa hanno compiuto e compiono, perché la
fede e i sacrifici degli Alleati siano coronati dalla vittoria;-

11
scriveva il periodico Terra di Lavoro - è la prova che,
accumunati dal medesimo spirito di generosità e d'idealità, il
popolo americano e il popolo italiano si comprendono e s'amano
al di più e al di sopra degli accordi e degli artifizi dei Governi,
per la virtù suscitatrice di affetti e di energie ch'esercita l'ideale
della giustizia schiettamente inteso e spontaneamente
professato.”
Il sindaco, aveva fatto affiggere un manifesto in cui invitava
la cittadinanza ad onorare la grande Nazione Alleata ed a
celebrare la festa come un rito propiziatore della vittoria.
L’appuntamento era per le ore 20 al teatro Politeama-
Vanvitelli, dove avrebbe parlato sull'Indipendenza Americana il
prof. Gualtiero Gnerghi, benemerito presidente del locale
Comitato della Dante Alighieri..
I casertani quel giorno fin dalle prime ore del mattino
scoprirono la città tutta imbandierata, mentre la banda civica
girava per le principali strade suonando l'inno americano e quelli
nazionali degli Alleati. Nel pomeriggio in Piazza Margherita ci
fu un concerto con un larga partecipazione di cittadini.
La cronaca riporta che alle ore 20 il Politeama Vanvitelli,
adorno delle bandiere degli Stati Alleati e di piante, presentava
una vista stupenda. Una folla enorme di signore, di signorine, di
notabilità, di ufficiali e di soldati confluivano nella sala. C'erano
il prefetto Diodato Sansone; tutte le Autorità Militari, i
Comandanti dei Reggimenti e i Capi degli Uffici, coi generali
Vercellana, Ferrari e Giuliani; tutti i Capi degli istituti, delle
Scuole e dei convitti, col provveditore agli studi cav. Amorosa;
le rappresentanze della Scuola per gli Allievi Ufficiali di
Complemento, della Scuola per gli Allievi Ufficiali della Regia
Guardia di Finanza, degli Istituti e delle Scuole Civili e dei
Convitti; i Direttori degl'Istituti di Credito; il Consiglio
Comunale ed il Consiglio della Dante Alighieri, entrambi al
completo; le Associazioni e la Sezione del Corpo Nazionale dei
Giovani Esploratori ed altri.
Sul palcoscenico era presente una rappresentanza del
Distaccamento di Fanteria Francese di guarnigione a Caserta, col
proprio comandante, aiutante Saveren.
La celebrazione iniziò col suono di tutti gl'inni degli Alleati

12
eseguiti «magistralmente» dalla banda presidiaria diretta dal
maestro Lizzi, applauditissimo fu quello americano tra il calore
di un pubblico ed in un continuo «crescendo di entusiasmo».
Il sindaco cav. Vincenzo Cappiello nel prendere la parola,
mise in primo piano l’importanza di una celebrazione che le
nazioni alleate avevano fatto propria. “Segno evidente – disse -
che tutti i combattenti per la causa della libertà e del diritto
hanno visto consacrato il carattere ideale della loro lotta
dall'intervento americano ed hanno in questo veduto l'elemento
decisivo della vittoria. La rivoluzione americana, che ha per suoi
eroi Washington e Franklin, pose gli Stati Uniti sulla stessa via
ideale, su cui fu posta l'Italia dalla rivoluzione impersonata da
Garibaldi e da Mazzini; è la base dell’alleanza di oggi e condurrà
fatalmente i due popoli alla conquista del loro ideale di libertà e
di giustizia, e al mantenimento di un'amicizia perenne.”
Continuando il suo intervento il primo cittadino tracciò un
profilo dell’oratore ufficiale della celebrazione, il prof. Gualtiero
Gnerghi, che “per altezza di intelletto, di dottrina e di eloquenza,
e per l'ardente e infaticabile spirito d'italianità, che lo guida nella
sua operosità patriottica, è degno di illustrare il valore ed il
significato della proclamazione dell'Indipendenza Americana”
Cappiello esaltò l’eroismo della Brigata Caserta, che faceva
parte della valorosa Divisione, comandata dal illustre generale
Ciro De Angelis. Al termine del suo intervento, rivolse il
pensiero al Generale ed alla Brigata, considerata «nostra» e che
sul Piave si coprì di gloria.
Gnerghi in città era uno personaggio molto stimato, parlò un
po’ leggendo ed un po’ improvvisando.
Venne fuori un discorso lungo più di un’ora, nonostante ciò
la gente lo ascoltò nell’assoluto silenzio. Dalle strade non
arrivavano rumori, perché i carri e le carrozze non circolavano.
Il presidente della Dante Alighieri disse: “Ho avuto grande
perplessità nell’accettare l’incarico affidatomi dal comitato
organizzatore della manifestazione prima perché l’invito mi è
arrivato appena due giorni addietro, secondo parlare di un
argomento così complesso ed importante richiede una lunga
meditazione. Prendo, comunque, spunto da quanto ha detto il
Sindaco, sull'epica condotta dell'insigne generale De Angelis e

13
della invitta Brigata Caserta, per ricordare come oggi tutti
debbono essere al proprio posto di lavoro e di combattimento,
senza dubbiezze e senza repulse egoistiche. Una parola di verità
può sollevare la fede e aumentare l’energie per la resistenza e per
la vittoria.”
Poi con solennità tirò dalla tasca alcuni fogli, li appoggiò sul
leggio. Era visibilmente emozionato, si schiarì la voce e
continuò:
“Il 4 luglio che è giorno sacro all'Indipendenza
Americana e ai diritti dell'umanità, sacro, non per parole o
per ricordi o per fortuna, ma per sentimento operoso, per
azione immediata, per sacrificio volontariamente e
liberamente incontrato sul fronte della battaglia italiana, son
giunti a celebrare, combattendo, la loro festa, le prime
schiere dell'Esercito Americano.
“La celebrazione diventa così una vera lezione di storia
Americana. Con il 4 luglio 1776 comincia nel mondo una
nuova storia, nell'economia, nella politica e nella morale. La
rivoluzione preparata e in gran parte compiuta nell'opera dei
pensatori, aveva bisogno di un popolo nuovo, senza
tradizioni secolari, per dare una attuazione propria ai
problemi già affacciatisi nella speculazione dei filosofi. Un
sistema nuovo che è servito a scuotere la vecchia costruzione
statale e sociale dell'Europa facendola cadere e al suo posto
potesse sorgere la modernità.
“Sta nella vita spirituale e nelle istituzioni altrettanto
democratiche quanto semplici della nuova Inghilterra la
ragione della vittoria americana, insieme alle intime radici
del diritto dell'umanità, proclamato da Wilson contro la
barbarie della Germania, nella guerra attuale.”
Ricorda, il professore, la condotta dell'America nel periodo della
neutralità, raffronta la proclamazione dei diritti sostenuti da
Wilson, illustra il disegno della pace vagheggiata dall'America,
ragione per cui è scesa a combattere, rievoca l'ideale di Giuseppe
Mazzini, dell'umanità costituita nell'associazione di tutte le patrie
col rispetto di tutte le nazionalità, e mostra come per il venir
meno di questi fondamentali ideali l'Austria non poteva trovare
posto nella società delle Nazioni.

14
In una pausa il professore si rivolse a Luigi Battisti2, figlio di
quel Cesare Battisti che fu impiccato a Trento dagli austriaci,
presente in sala e che frequentava Caserta per i corsi di allievo
ufficiale.
Al ricordo dell’eroe tutti «balzano in piedi, applaudendo
delirantemente al giovine orfano»
A conclusione, il prof. Gnerghi manifestò al giovinetto, e
alla sua eroica madre lontana, la commozione e la gratitudine
dell'animo di Caserta, salutò gli Americani che vennero a
combattere per il diritto della Patria Italiana e per la distruzione
dell'Impero d'Austria.
Ultimo a prendere la parola fu il comandante del
Distaccamento Francese, aiutante Saveron. Ringraziò il generale
Giovanni Vercellana3 dell'invito fatto a lui e ai suoi soldati a
partecipare alla cerimonia e per la cordialità di cui il
Distaccamento Francese era fatto segno a Caserta. Esaltò la
fraterna solidarietà dimostrata alla Francia ed alle altre Nazioni
Alleate; magnificando il valore e la vittoria dell'Esercito Italiano;
rievocò la giornata di Solferino; inviando un saluto reverente ai
Sovrani d'Italia e terminò il suo “incisivo ed elegante discorso”
col grido di Viva l'Italia! Fu applauditissimo dal pubblico e tutte
le notabilità si felicitarono con lui e lo festeggiarono.
La cerimonia si concluse ancora con gli inni delle Nazioni
Alleate, ed al grido di “Viva Wilson! Viva gli Stati Uniti!”.

2
Luigi BATTISTI, socialista, scriveva su alcuni giornali studenteschi
napoletani e per motivi ideologici si scontrò con il caiatino console Stefano de
Simone, mentre nasceva il partito fascista. Battisti in effetti accusò in un suo
articolo de Simone ed i fascisti di essere pagati dalla grande industria e da qui
il duello che si svolse a Venezia. Il Battista fu sconfitto per ferita.
3
Magg. Gen. Giovanni Vercellana comandante scuola di Cavalleria esercito.

15
Venezia duello Battisti – de Simone
il console della MVSN Stefano de Simone al centro con i suoi
testimoni a sinistra avv. Clino Ricci a destra conte Roberto Filangieri

16
La svolta del primo dopoguerra
Con la fine della Prima Guerra Mondiale si apriva un
periodo difficile per l’Italia; il collante del fronte aveva fatto
assopire le lotte ideologiche e i grandi cambiamenti avvenuti in
Europa; il ribaltamento della monarchia in Russia, che aveva
portato al potere il proletariato, faceva sentire la sua influenza
anche nell’Italia uscita dalla guerra; a questo si aggiungevano le
insofferenze dei combattenti che, col passare del tempo,
vedevano svanire a poco a poco le prospettive di una vita
migliore ricevute dal governo. Anche il metodo scelto ed alcune
mancate assegnazioni delle terre promesse ai contadini
combattenti erano causa di forti malcontenti.
Nel 1919 si era in pieno biennio rosso e le lotte operaie che
si diffondevano al nord del Paese avevano grande eco anche in
Terra di Lavoro.
Veniva fuori, a poco a poco, un nuova classe politica che
sostituiva il vecchio notabilato locale ed in Terra di Lavoro si
affiancava alla varie famiglie latifondiste, come gli Scorciarini-
Coppola, i Leonetti e i Visocchi, nuovi personaggi sorretti dalla
massoneria. Avanzavano per capacità intellettuale e politica, ma
anche per affarismo: Alberto Beneduce, Giovanni Tescione,
Giuseppe Buonocore, Antonio Casertano, Ludovico Ricciardelli,
Catemario e dall’alto casertano Pietro Fedele, Fulco Tosti di
Valminuta, ed altri.

I fasci di combattimento in Terra di lavoro

Secondo Marco Bernabei4 il fascismo casertano nacque in


ritardo rispetto ad altre province italiane e non furono
determinanti i proprietari terrieri che volevano proteggersi dagli
espropri delle lotte agrarie.
Il primo tentativo di formare il partito fascista in Terra di
Lavoro risale al giugno del '20 ad opera di un ex combattente
ventiduenne, Vincenzo Palmieri, che scrive al Comitato Centrale
4
Marco BERNABEI - Fascismo e nazionalismo in Campania (1919-1925) -
ed. Storia e letteratura

17
dei fasci, dichiarando di avere l'intenzione di fondare una sezione
a Caserta, ripromettendosi di “trovare i soci fra la classe dei
contadini, apertamente contrari alle idee del socialismo ufficiale
che tentano di affermarsi in provincia, non trovando altri partiti
di opposizione che le fermino e le ostacolino”.
Dallo scambio epistolare con il comitato centrale si
comprende quale fosse in realtà il vero obiettivo del Palmieri:
ottenere finanziamenti e tessere da distribuire, in numero molto
superiore ai soci effettivi, gonfiando a questo scopo le richieste
di adesione e facendo “abboccare” varie volte la direzione
nazionale, la quale, in questa fase, pur di affermare la presenza
del partito in zone importanti come Terra di Lavoro, é disposta
ad affidare somme considerevoli al primo avventuriero che si
presenti.5
In effetti altri tentativi di fondare un partito fascista c’erano
stati qualche anno prima. Risalgono a subito dopo l’incontro di
Milano del 23 Marzo del 1919 quando Benito Mussolini convocò
in un circolo di via San Sepolcro i suoi fedelissimi e costituì il
movimento dei «fasci italiani» rivolto agli ex combattenti,
interventisti, rivoluzionari ed alle associazioni combattentistiche.

La moda del fascio

L’utilizzo del termine «fascio» non era troppo originale per


l’epoca anzi era usato da molte associazioni ed anche
trasversalmente dai politici della camera e del senato.
«Il fascio parlamentare» era durato molti mesi nelle stanze
del potere e raggruppava diversi deputati e senatori che avevano
sentito la necessità nella prima guerra mondiale di mantenere
unita l’Italia in un momento difficile.
Uno dei fautori di questa iniziativa fu l’ex Presidente del
Consiglio Antonio Salandra, il quale affermò il 20 novembre
1918 la necessità che il Fascio parlamentare sopravvivesse alla
guerra: “Nessuno pensi – disse – che, passata la tempesta, sia
5
Una prassi radicata nella partitocrazia e che ha avuto il suo massimo
“splendore” negli anni ottanta del secolo scorso quando già era evidente la
questione morale ed il declino della Democrazia Cristiana.

18
possibile un pacifico ritorno all’antico. La guerra ha un
significato profondo di rinnovazione del mondo.”
L’interventismo, anima della guerra, doveva animare e guidare
anche il dopoguerra. Un appello che trovò moltissimi e decisi
sostenitori. “Sì, dicevamo – continuava Salandra - i fasci devono
sopravvivere. Essi rappresentarono sinora la tregua dei partiti;
da ora devono rappresentare la fine dei vecchi partiti nei loro
antagonismi di angusti interessi e di programmi retorici”.
Il 22 novembre del 1918 il Fascio parlamentare deliberò
pubblicamente di continuare la sua opera e approvò un ordine del
giorno in cui si chiedeva che, in occasione delle trattative di
pace, l’Italia realizzasse le sue «legittime aspirazioni» in armonia
con «la piena indipendenza politica di tutti i popoli» e attraverso
«la costituzione della Società delle Nazioni in un ambiente
internazionale di lealtà e di giustizia che evitasse nel futuro gli
orrori di conflitti armati».
“In realtà - sosteneva lo storico Renzo De Felice -
nonostante questi propositi e queste belle, anche se generiche,
affermazioni il Fascio parlamentare si può dire fosse già morto
o almeno era in agonia, roso da contrasti ogni giorno più
insanabili. Un lungo rapporto dell’Ufficio d’investigazione a
Orlando, sosteneva che il Fascio Parlamentare era in completa
disgregazione... Nella riunione avvenuta nella sera del 21
novembre alla Camera durata fino a tarda ora, dei deputati
aderenti al Fascio la prima questione pregiudiziale che fu posta
era stata appunto quella della necessità o meno della
continuazione della vita del Fascio Parlamentare. A grande
maggioranza, specialmente per opera dei senatori presenti, fu
deliberato di non scompaginare l’organizzazione del Fascio. Ma
essa ormai non era destinata a durare più a lungo. Le crepe si
mostrano da tutti i lati e non tarderà a presentarsi l’occasione
per una scissione dei diversi partiti che concorsero alla
formazione del Fascio”.
La parola Fascio voleva essere, nell’intenzione di Mussolini,
anche un tentativo di rinverdire quell’unità degli italiani che
aveva fatto ben sperare durante il conflitto.

19
Nascita del fascio casertano

L’eco di questa iniziativa dovette arrivare nel Casertano


tanto che ad opera di alcuni ex combattenti furono messe le basi
a Gaeta del primo Fascio dei Combattenti. Era il giorno di
Pasqua del 1919. Una data molto vicina a quello storico 23
marzo 1919.
Il prof. dott. Michele Craveri, presidente della Sezione
Collegiale di Cassino dell'Associazione Nazionale tra i
Funzionari degli Enti locali, delegato al Congresso Nazionale e
console del Fascio dei Combattenti di Terra di Lavoro costituì un
Comitato Promotore insieme al prof. Gesualdo Manzella e al
prof. Gigi Valente, ed invitarono i reduci dal fronte a partecipare
alla riunione preliminare che si tenne nel giorno di Pasqua,
nell’aula magna del Liceo pareggiato.
Furono convocati gli ex combattenti per formare
un’assemblea costituente che avrebbe dovuto approvare uno
statuto-programma scritto dallo stesso Craveri.
Pochi furono coloro che non aderirono e quasi all’unanimità
il programma stesso fu “calorosamente applaudito nei punti più
salienti” e approvato, nelle sue linee generali, dai professionisti,
dagli operai, dai contadini, e tutti i militari in congedo, reduci
dalla guerra.
“Il mio Fascio dei Combattenti - scriveva Craveri- si
propone oltre agli scopi «economici» e «sociali» uno scopo
politico. Sono nemici del Fascio tutti gli imboscati, tutti i
disfattisti di ieri, tutti i senza patria, tutti i disonesti nella vita
pubblica e privata, poiché sono leggi supreme del Fascio dei
Combattenti l'onore e la disciplina di partito. Insisto sul partito
politico che io chiamo «il partito degli Italiani» e che ha finalità
più vaste e più sincere di quelle socialiste, più patriottiche di
quelle liberali, più democratiche e più moderne di quelle
clericali (anche se camuffate da partito popolare italiano).”
Politicamente il Fascio si proponeva di stabilire una linea di
condotta e di azione diretta al conseguimento delle più alte
finalità democratiche, perché i poteri, legislativi ed esecutivi,
fossero in mano dei lavoratori e, dei reduci di tutte le classi
sociali, per via di radicali riforme e salvando l'Italia dagli orrori

20
di una rivoluzione fratricida come i componenti del Fascio
l'avevano salvata dal nemico esterno, finché non fosse stato
possibile addivenire dalla Società delle Nazioni agli Stati Uniti
d'Europa. Lo spirito informatore dell’unione sacra a tutti i
cittadini che avevano compiuto il loro dovere, auspicata fin da
quando non si poteva pensare se non a difendere le sponde del
Piave, si rilevava anche più chiaramente dalla formula del
giuramento che i membri del Comitato d'Azione eletti
dall’assemblea costituente prestavano solennemente davanti ai
fratelli d'armi. “Sul mio onore e sulla mia coscienza, in cospetto
dei fratelli d’armi che con me hanno diviso pericoli e disagi per
la grandezza d’Italia, solennemente giuro di amare i compagni
del Fascio, di aiutarli e di soccorrerli, secondo le mie forze in
qualunque circostanza e dì dare tutta l'opera mia perché sia
mantenuta salda la disciplina e la solidarietà fra di essi. Giuro
di ispirarmi sempre in ogni mia azione a quei sentimenti di amor
di Patria, di libertà, di uguaglianza e di fratellanza per cui
abbiamo combattuto”. Così concludeva
Un programma di massima che rispecchiava quanto stabilito
nel circolo milanese di via San Sepolcro e che aggiungeva a
quello molto di più: arrivare ad una costituzione di un’Europa
Unita.
Un fascio anche diverso da quello che si prefiggerà più tardi
Vincenzo Palmieri che era allineato alla politica clientelare ed
affarista utilizzata in Terra di Lavoro fin dai tempi dei Borbone e
successivamente dopo l’unità d’Italia.
Un sistema politico con cui si scontrò fortemente il perito
industriale di Portici Aurelio Padovani che seguì l’utopistica
illusione di spezzare quel perverso meccanismo che aveva
condizionato ed inquinato fino alla Marcia su Roma, ma che di li
a poco doveva risorgere non appena Mussolini, raggiunto il
potere, fu costretto a molti compromessi.
L'uomo Palmieri, rappresenta anche la prima tappa dei troppi
scandali che si verificarono nel casertano da parte delle
organizzazioni fasciste e che certamente contribuirono nel 1926
a far sopprimere la provincia.
Palmieri dopo aver sfruttato al massimo la «buona fede»
della direzione dei fasci, a distanza di un anno passò le sue

21
funzioni all’avv. Lamberti. Ufficiale in congedo. Lamberti non
era molto più affidabile del primo. In una lettera del 29 marzo
1921, informa che sono in vita nella provincia numerosi fasci tra
i quali quelli di S. Maria Capua Vetere, Capua, Nola, Piedimonte
d'Alife e Sora.
La conta è in contraddizione con il primo censimento
prefettizio, del 17 marzo 1921, dei fasci di Terra di Lavoro.
Secondo questo censimento mentre a Caserta funzionava una
sola sezione con 300 iscritti e solo 50 attivi, in gran parte
studenti e studentesse minorenni, non c’erano fasci nella
provincia; a Sora, Roccasecca, Cassino e Aquino esistevano
piuttosto nuclei di ex combattenti che - secondo il prefetto del
tempo- «tendono a trasformarsi in fasci». Un mese dopo è lo
stesso prefetto, ad annunciare che gli aderenti alla sezione di
Caserta sono saliti a 600, riferisce che il Lamberti ha dato le
dimissioni per essere libero di appoggiare la lista di Alberto
Beneduce, contro le direttive del fascio di cui era fiduciario.
“Dopo un intermezzo di alcuni mesi in cui si succedono, con
scarsa fortuna, altri due fiduciari, si deve aspettare la fine del
'21 perché il segretario regionale Padovani riunisca gli elementi
sbandati dei vecchi fasci per riorganizzare ex-novo la sezione. -
Scrive Marco Bernabei - II fascio di Caserta, riconosciuto dal
Comitato Centrale, viene così fondato ufficialmente soltanto il 7
marzo 1922, i suoi iscritti, questa volta autentici, sono 35”

Fascisti Casertani - al centro Iolanda Formati

22
La marcia su Roma
Per i fascisti campani che si recavano nella capitale per
occuparla, l’adunata della “Marcia su Roma” dell’ottobre del
1922 suonò a Caserta. E’quanto si deduce da un articolo apparso
su “Il Popolo sannita” del 27 ottobre 1932 in occasione del
decennale dell’avvenimento.
A raccontare l’evento è il console Stefano De Simone che da
qualche mese aveva ricevuto l’incarico da Achille Starace di
“reggere le sorti del fascismo beneventano.” Caserta, nel
frattempo era scomparsa dalle province del regno, in seguito ad
un regio decreto.
La decisione di prendere il potere con la forza si concretizzò
per i fascisti, nella grande adunata di Napoli del 24 ottobre del
1922. Una data che doveva coincidere con il passaggio dei poteri
del partito ad un quadrunvirato composto da Italo Balbo, Emilio
De Bono, Cesare Maria de Vecchi e Michele Bianchi.
Il tutto fu concordato con Mussolini all’hotel Vesuvio in una
riunione a cui il de Simone partecipò personalmente, su invito di
Aurelio Padovani, il ras napoletano che sarà inviso dal regime al
potere.
L’articolo inedito, da poco ritrovato, è accompagnato anche
da un messaggio cifrato di Clinio Riccio, promotore del fascismo
beneventano, documenta come il concentramento degli squadristi
napoletani, avellinesi sanniti e casertani doveva avvenire in
Castelmorrone per poi confluire il giorno dopo nel piazzale della
stazione di Caserta.
Con questo documento si pone la parola fine alle fantasiose
versioni date nel secondo dopoguerra che sostenevano che
proprio a Caserta, in occasione della Marcia su Roma,6 ci fu
l’unico attentato alle squadre mussoliniane per opera dei
socialisti che si opponevano alla scalata al potere del futuro
dittatore.
La bomba che scoppio nella stazione ferroviaria non fu frutto
di un’imboscata, quindi, ma di un tragico incidente che portò alla
6
Leggi commemorazione di Alberto Beneduce intervento dell’avv. Antonio
Vignola

23
morte Marcello D’Ambrosa un giovane matesino che ebbe
“l’onore di portare nel suo tascapane alcune bombe a mano”.
Stefano de Simone era un legionario fiumano che aveva
meditato a lungo prima di iscriversi al partito fascista. Nutriva
idee socialiste e per lui “in fondo il movimento mussoliniano che
era nato tra la fine del ‘18 e i primi del ‘19, era frutto
dell’interventismo di sinistra non «rinunciatario».
Sino al trattato di Rapallo7 tra fascisti e legionari vi era stato
una sorta di «idillio» che, dopo Rapallo, si era rotto per una serie
di divergenze di valutazione e per certi suoi «contatti impuri»
con l’«autorità». I fascisti erano degli «amici tiepidi» con i quali
i legionari non avevano nulla in comune. Ma a fare cambiare
idea al de Simone fu proprio Aurelio Padovani che gli affidò il
compito di costituire a Napoli il fronte universitario.
“Eravamo discesi da Castelmorrone. Il nostro compito era
assolto e la Legione Opicia, schierata nel piazzale estero della
Stazione di Caserta, era pronta a partire per Roma. – così scrive
il legionario de Simone descrivendo l’organizzazione della
marcia su Roma dei casertani - Il nostro armamento consisteva
nei più disparati mezzi offensivi e difensivi e fra 1'altro in una
discreta dotazione di bombe a mano espressamente preparate da
squadristi esperti. Per evitare incidenti avevo ordinato ai Senior
comandanti le Coorti di ritirarle e riunirle in appositi sacchetti
da affidarsi a squadristi vecchi combattenti perché fossero
custodite con i dovuti riguardi, in attesa di essere distribuite in
caso di bisogno. Il morale era altissimo.”
Ma fu proprio l’idea di affidare in mani sicure le armi di
offesa che procurò la disgrazia.
“Il Seniore Vetere, comandante la Coorte dei Lupi del
Matese, aveva consegnato un sacchetto di bombe ad un vecchio
e provato combattente e ciò feriva 1'orgoglio dello squadrista
Marcello D'Ambrosa, giovane audace ed entusiasta che
chiedeva in premio della sua ardente fede di essere il custode di
questo suggestivo mezzo di offesa.”
Il ragazzo fu accontentato ma l’inesperienza e stanchezza gli
furono fatali.
7
Accordo stipulato tra i governi di Italia e Iugoslavia il 12 novembre 1920,
che definiva i confini tra i due paesi

24
Continua de Simone: “Era già notte. Nel piazzale interno
della stazione erano Padovani e Carafa con la Legione di Napoli
alle prese di chi doveva per prima occupare i vagoni del treno
speciale. Si aspettavano le Coorti di Benevento e di Avellino, gli
animi erano eccitati per le difficoltà che si incontravano a
formare lo speciale, difficoltà che gli squadristi attribuivano a
malvolere all’ostruzionismo dei ferrovieri rossi.
Un’esplosione tremenda si produceva nell’interno della sala
d'aspetto della stazione mandando in frantumi la pensilina
esterna. Si temette un attentato, si iniziò il fuoco da parte degli
squadristi delle due Legioni. Un fumo acre ci toglieva la vista,
entrai nell’atrio dove ancora sibilavano delle pallottole scorsi a
terra bello ed ardito nella morte il legionario D'Ambrosa. Gli
squadristi si dettero alla caccia dei ferrovieri, ne presero alcuni,
già s’apprestavano a passarli per le armi provocando
1'intervento deciso e severo di Aurelio Padovani, e col ritorno
ad una calma relativa, fu chiarito 1'incidente.
Era scoppiato un sacchetto con sessantaquattro bombe: Un
mutilato rimasto cieco, tredici feriti che dopo una sommaria
medicazione tornarono con noi, uno fra essi, il Centurione Sotis
sulla benda che gli copriva la fronte aveva scritto “me ne
frego”.
Era la sera del 30 ottobre. Sarà Marcello D’Ambrosa
1'ultimo morto della Rivoluzione.”
I funerali del D’Ambrosa si svolsero il primo novembre del
1922, il municipio di Caserta a firma del sindaco Tommaso
Picazio e del segretario capo Caruso fece affiggere un manifesto
in cui si invitavano i cittadini a partecipare alla cerimonia
funebre esaltando le doti di coraggio del giovane. Il testo
affermava: “Una magnifica energia della redentrice giovinezza
italica, ospite della nostra città durante la tappa gloriosa della
riscossa, è stata troncata da una fatalità funesta. Intervenendo
tutti ai funerali della vittima generosa, che muoveranno dalla
sede del fascio in piazza Amedeo alle ore 15 di oggi, esprimerete
il sentimento unanime del vostro compianto, della vostra
riconoscenza e solidarietà”.

25
Stefano de Simone federale della provincia di Benevento

I preparativi

La marcia su Roma dava anche l’opportunità al movimento


fascista di raccogliere più ampi consensi in Terra di Lavoro,
visto la scarsa penetrazione avuta nelle classi sociali. Il 1920 fu
l’anno che determinò lo scoraggiamento ed una voglia di pace

26
sociale nell’animo degli Italiani. Questo in generale, ma il sud
fino a quel momento era stato poco coinvolto nei movimenti che
avevano turbato la nazione.
Del resto la mancanza di un partito socialista forte ed un
notabilitato che basava le sue fortune sui favoritismi e
clientelismi faceva sì che la coscienza politica delle masse fosse
molto assopita. Di conseguenza anche i cambiamenti e le
tempeste del nord si facevano sentire poco o nulla al sud. Tranne
che in alcuni ambienti.
“Il 1920 fu l'anno dal quale ebbe inizio la riscossa dei Fasci
e lo spiegamento attivo delle energie ch'essi avevano
accumulato. - scrive Roberto Farinacci8 nella sua Storia del
Fascismo, Cremona 1940 - Grande meraviglia in tutti, negli
avversari e più anche nei simpatizzanti, per la veemente
esplosione di un moto che, nella sua pratica efficienza, pareva
condannato e quasi consunto dalle elezioni politiche del 1919.
Nel 1920 e soprattutto nella prima metà di quell'anno, per le
assemblee locali e provinciali, per qualche urto sanguinoso e
qualche reazione sporadica, la vita dei Fasci appare molto
fiacca, ma se l'azione rivolta alle classi sociali è scarsa, forte è
la vita interna, intenso il processo di sviluppo, sempre crescente
la formazione dei Fasci nuovi nelle regioni più tormentate
d'Italia, in Lombardia, nell'Emilia, nella Venezia Giulia, nella
Venezia Euganea, in Toscana, nel Piemonte, con qualche
diramazione nell'Italia meridionale, massime in Sicilia e nelle
Puglie.”.
L’assetto economico di Terra di Lavoro, agli inizi degli anni
venti, era prevalentemente agricolo e l’industrializzazione, molto
diffusa al settentrione, non l’aveva nemmeno sfiorata.
8
Roberto FARINACCI,. - Giornalista e gerarca fascista (Isernia 1892 -
Vimercate 1945). Interventista nel 1914 e fondatore del fascio di
combattimento di Cremona (1919), fu tra i più violenti dirigenti dello
squadrismo. Sostenitore dell'ala "rivoluzionaria" del movimento, fondò (1922)
e diresse il quotidiano Cremona nuova, poi Il Regime fascista e, deputato dal
1924, fu segretario del partito fascista dal febbraio 1925 al marzo 1926.
Membro del Gran Consiglio del fascismo dal 1935, il 25 luglio 1943 si
schierò contro l'ordine del giorno Grandi e ne patrocinò uno di fedeltà
all'alleato tedesco; riparò poi in Germania e militò nella RSI. Fu giustiziato
dai partigiani.

27
Poche le fabbriche esistenti per lo più dislocate in alcuni
centri della provincia con processi tecnologici antiquati di oltre
cinquant’anni. Le tensioni che si manifestavano non potevano
dirsi di carattere sindacale, ma erano la conseguenza della
necessità di sopravvivenza per la forte crescita dei prezzi dei
prodotti agricoli dovuti alla guerra mondiale che mise in
contrapposizione coltivatori ricchi e proprietari.
Una situazione che se portò i massari, «i contadini ricchi»,
ad acquistare terreno soprattutto nelle vicinanze dei centri più
popolati, dall'altra spinse i proprietari ad opporre un'accanita
resistenza al momento della scadenza dei contratti dei fitti per i
fondi rustici, che non desideravano rinnovare proprio per
ottenere il rincaro, e quindi un aumento della rendita fondiaria,
anche in riferimento ad un incremento della domanda per il
ritorno dei reduci dalla guerra.
Uno stato di tensione che provocò sommosse nelle campagne
di S. Apollinare e successivamente a S. Ambrogio del
Garigliano, S. Andrea, Vallefredda, Roccadevandro e a Cassino,
S. Donato, Villa S. Lucia, S. Giorgio a Liri, Marcianise e
Capodrise. A queste seguirono i movimenti per le assegnazioni
delle terre incolte agli ex combattenti ed alle cooperative. Le
prime occupazioni si verificarono a Cellole seguirono poi quelle
di Roccasecca, Fondi, Minturno, Capua e Calvi.
Se in Italia i fasci nacquero per ostacolare scioperi,
agitazioni guidate dal partito socialista, nel casertano il
fenomeno era molto ridotto.
Alcuni centri facevano eccezione e la lotta politica assumeva
toni più aspri. Alla fine dell’estate del 1920 si verifica l’assalto al
municipio «rosso» di Roccasecca ed azioni di squadrismo
avvengono a Capua con l’occupazione del Comune e con la
distruzione della Camera del Lavoro. Correva l’anno 1921.
Ed è proprio dagli agitatori di questi focolai più accesi che
provengono molti futuri dirigenti del fascio casertano.
Un fascismo, provinciale, fatto di «inciuci» e continui
compromessi, di rancori personali e lettere anonime che spesso
arrivano ai vertici romani insospettendo non poco Mussolini.
Con queste premesse l’organizzazione della marcia su Roma

28
non fu quindi cosa facile, del resto Aurelio Padovani9 aveva
confidato giorni prima al console Stefano de Simone che avrebbe
mandato un ispettore ad esaminare la questione della federazione
casertana che si era insediata da poco e che aveva come primo
segretario Raffaele Di Lauro.
Il piano per la raccolta delle armi fu concordato in Capua
presso il circolo Salomone, erano presenti oltre al de Simone,
Leonetti, Polito, il caposquadra Attilio Rauchi, Ferdinando
Farina, e l’ufficiale aviatore Mario De Stefano. Da Santa Maria
Capua Vetere sarebbero arrivati moschetti e pistole promesse
dagli ufficiali di artiglieria mentre gli operai del Pirotecnico di
Capua avrebbero provveduto per le munizioni.
Tutte le armi pervennero di notte a Caserta, inventariate e
ben custodite nel negozio di fiori di Iolanda Formati.
“Ci lasciammo con l’intesa di rivederci nelle prime ore del
giorno – scriveva nel suo memoriale Stefano de Simone oltre
settant’anni dopo – di notte non chiusi occhio … Pensavo a tante
cose che stavano avvenendo nella mia vita, ed anche al fatto che
non avevo potuto salutare mia madre che ora dormiva serena,
9
Aurelio PADOVANI – Nacque a Portici (Napoli) il 28 febbraio 1889, da
Vincenzo e da Maria Annunziata Braccioli. In un documento della Pretura di
Napoli del 1921 (Picardo, 2003, Appendice documentaria, p. n. n.) è indicato
come in possesso della licenza elementare, anche se successivamente sembra
sia riuscito a ottenere il diploma di perito industriale. Nel 1910 sposò Ida
Archinard, maestra, dalla quale ebbe sei figli.
Tra il 1920 e il 1922 Padovani fu in prima linea nel guidare le spedizioni
squadriste nella provincia di Napoli: lo squadrismo, nella sua visione politica,
era uno strumento per distruggere la rete sindacalista avversaria e conquistare
il consenso delle masse operaie alla causa nazionale-patriottica. Nel frattempo
si impegnò infatti nell’organizzazione dei lavoratori all’interno dei sindacati
fascisti, soprattutto nel settore degli operai portuali e dei trasporti,
scontrandosi in questa azione non solo con i sindacati di sinistra ma anche con
quelli legati ai legionari fiumani e provocando qualche malumore pure nella
parte padronale.
Fu il principale organizzatore del congresso nazionale del Partito nazionale
fascista (PNF) che si tenne a Napoli dal 24 al 26 ottobre 1922 e che precedette
la marcia su Roma (28 ottobre). Nel corso dell’assise, si rammaricò per le
dichiarazioni a favore della monarchia fatte da Mussolini, anche se non prese
una posizione di critica esplicita. La nomina a comandante delle squadre della
Campania per la marcia su Roma sembrò sancire la sua vittoria politica. (Enc.
Treccani).

29
mentre io giocavo la carta più grave delle mia giovinezza. Però
ero tranquillo, perché mi ritenevo fortunato. Anche se non
dormii, il caldo letto mi rimise in sesto la mattina ero fresco e
riposto. Dovevo far visita al prefetto che mi guardava con
simpatia e più di una volta aveva mostrato sentimenti favorevoli
al nostro partito. Sarei andato in federazione e dopo verso il mio
destino.”
L’incontro di de Simone con il prefetto di Caserta e la
collaborazione dei militari dimostra come gran parte delle
istituzioni erano favorevoli ad una rivoluzione che mettesse
ordine nella società italiana in pieno stato di anarchia.
Il prefetto accolse con simpatia coloro che stavano
organizzando la marcia ed informò gli squadristi della
situazione: il governo Facta si era dimesso, mentre il Re era a
caccia lontano dalla capitale; correvano voci di un cambio di
guardia alla guida del partito fascista e si faceva il nome del
napoletano Nicola Sansanelli; Mussolini era in attesa degli eventi
nel milanese; il quadrunvirato era stanziato a Perugia ad
eccezione di Cesare Maria De Vecchi; a Napoli era presente
Giacomo Acerbo con l’ordine di tenere allertato il Consiglio
Nazionale.
Queste le informazioni che il prefetto (vedi nota 13) diede
agli squadristi e poi rivolto a de Simone aggiunse:
- che farete?
- Il mio dovere, Commendatore, e mi aspetto da voi l’aiuto
morale che sempre mi avete dato.
- Un aiuto che non vi mancherà … Voi lo sapete da che parte
è il mio cuore, e come invidio la vostra giovinezza.

Si raggiunge con la prefettura l’intesa che gli squadristi non


avrebbero assaltato gli edifici pubblici ne offeso le autorità
costituite, di contro il prefetto sarebbe stato in attesa degli eventi
senza interferire su quanto preparavano i fascisti.
Dopo l’incontro con il prefetto iniziò la mobilitazione. Messi
al sicuro i documenti segreti della federazione casertana e
l’elenco dei partecipanti all’azione, si partiva per Castelmorrone.
Al sindaco di Caserta, avvocato Tommaso Picazio, furono chiesti
aiuti per il vettovagliamento.

30
Per raggiunge Castelmorrone fu usata l’auto di Giustino
Santangelo. Era una giornata uggiosa e particolarmente umida e
fredda. A ricevere i capi c’erano i fratelli de Simone: Angelo e
Carlo, il segretario del comune Nicola Pannone e suo cugino, il
sindaco Pannone.
C’era tanto entusiasmo e qualcuno paragonò l’evento alle
battaglie garibaldine che si erano svolte su quei luoghi ed il
ricordo a Pilande Bronzetti ritornava frequente.
Pannone mise a disposizione dei “rivoluzionari”, le scuole
mentre i capi furono accolti nella sua casa.
Come quartiere generale fu scelta la «casina rossa»; il de
Simone annota: “intanto si erano avvicinati il Capo manipolo
Vittorio Orlando, il capo Squadra Antonio Gravina e gli
squadristi Cesare Cinicola, Bernardo Antonio, Mario Monaco, i
fratelli Michele e Giovanni Matarazzo di Cesarano, Angelo Rolli
un sarto di Caiazzo, ed ancora il segretario del fascio politico di
Limatola, Cornelli insieme ad un signore di campagna che il
padre orgogliosamente aveva chiamato Senofonte e che i suoi
amici valvassori chiamavano più semplicemente «Don se ne
fotte».”.
Don Senofonte fu messo a guardia della strada di accesso al
comando. La sorveglianza della sponda caiatina fu affidata ai
fratelli Matarazzo, mentre il capomanipolo Orlando faceva da
spola tra i due versanti del monte per assicurare che la strada non
fosse caduta in mano a forze antifasciste in un momento difficile
del transito tra Castelmorrone, Caiazzo e Piedimonte Matese.
Con i «Lupi del Matese» c’erano: il dott. Giuseppe della
Villa, segretario politico di Piedimonte; l’avvocato Carlo Grillo
del direttorio; il centurione Eduardo Vetere; Francesco Zito; il
dottore Achille Falivene commissario delle poste di Piedimonte;
Angelo Boggia, comandante squadrista, Salvatore De Lollis,
Mariano Costantino, il conte Roberto Filangeri di Candida, il
dottore Augusto Franco, segretario del fascio di Gioia Sannita.
Confluirono a Castelmorrone anche gli squadristi di
Benevento, guidati da Clinio Ricci, quelli di Avellino e Napoli.
Intanto Aurelio Padovani si era insediato nella federazione
fascista Casertana, e comunicava col comando di Castelmorrone
attraverso una staffetta di uomini appositamente dislocati sulla

31
strada che dal Capoluogo portava alla “casina rossa”.
Erano frequenti le visite alla prefettura per ricevere
informazioni fresche da Roma e conoscere i dispacci governativi.

La cena è pronta, venite

Il periodico “Terra di lavoro” in occasione del decennale


della rivoluzione pubblica una lunga pagina in cui la Marcia su
Roma così fu riportata:
Sera del 27 ottobre 1922. Piove a dirotto e il freddo
umido, che penetra nelle ossa ha cacciato via dalla strada,
anche il raro passante.
Nelle sale del Circolo Nazionale si indugia ancora il
segretario politico del fascio locale, avv. Antonio Lamberti
con il componete del direttorio Arnaldo Mastellone ed
entrambi non accennano ad andar via. La notizia della
imminente mobilitazione, che in gran segreto è stata
annunziata dal componente della Federazione Provinciale
delegato per la zona capitano Vittorio Ricciardi, tiene
sospesi gli animi che anelano al momento di rompere i
ritardi con i negatori della vittoria e del sacrificio, e tien
nervosi gli uomini.
Tutto è pronto a Caserta, perché al giungere dell’ordine
convenuto, la mobilitazione si effettui e lo squadrista de Niso
fa da spola tra il circolo Nazionale e il negozio della
giovanissima Jolanda Formati trasformato in deposito
d’armi e bombe per vedere se nessuno arrivi.
Mimi Peccerillo comandante delle locali squadre di
azione è con Alfonso Gallo, Nicola Grauso, Plinio Piccone,
Bruno Enrico Formati, Palazzo, Magliano ed altri
squadristi, alla sede del fascio in attesa di ordini.
Finalmente alle ore 21, un porta ordine del console
Stefano de Simone reca la comunicazione convenzionale che
la mobilitazione si effettua con un biglietto su cui è scritto:
“La cena è pronta. Venite”.
Lamberti e Mastellone escono immediatamente diritti
all’uscio, e ad essi si unisce il componente del direttorio,
colonnello Roberto Lubrano, che avvicinato si ritira a casa
con la sua signora, non esita a lasciarla appena appreso

32
della mobilitazione, per andare al fascio.
Con Mimi Peccerillo gli accordi, secondo il piano
predisposto, sono presto presi: quanti più uomini è possibile
debbono raggiungere immediatamente Castelmorrone e
occuparla; bisogna far presto per impedire che la truppa
giunga eventualmente prima.
Gallo, Bruno, Di Nisio, Palazzi si sguinzagliano per
svegliare gli squadristi; Jolanda Formati, alla quale c’è
ordine di far capo per qualsiasi cosa, è infaticabile e…
sorride, molleggia, distribuisce armi e anche vino. Lamberti,
Mastelloni, Lubrano si recano alla sede del fascio dopo aver
esposta la fiamma di combattimento e mettono a guardia il
custode Enrico Uragani armato di un vecchio pistolone e di
un fucile; era inflessibile nella consegna.
Alle ore una e mezza del 28 ottobre Mimi Peccerillo e i
suoi armati pieni di baldanza partono sotto la pioggia
insistente per raggiungere Castelmorrone, meravigliando
lungo la strada i contadini che scendevano per venire al
mercato.
Intanto si spianano le mosse dell’autorità di pubblica
sicurezza locale, per quanto si sia certi delle rassicurazioni
del prefetto Coffari. Vengono avviati verso Castelmorrone i
Fascisti che intendevano giungere dalle sottosezioni di San
Clemente, di Sala, di Centurano e dei fasci viciniori di
Acerra, di Santa Maria Capua Vetere, di Maddaloni, di
Capua, di Marcianise, di Casapulla.
All’alba si ha l’assicurazione che Peccerillo è giunto nel
punto senza nessun incidente, e si continua il servizio di
inquadramento degli Uomini verso la linea prestabilita della
requisizione degli automezzi, che incominciano a circolate
per la città prendendosi nota del nome dei proprietari.
La Cittadinanza, che incomincia a scendere in strada
essendo giorno di mercato, guarda con curiosità ma anche
con simpatia il movimento, mentre la Guardia regia e gli
Agenti di Pubblica Sicurezza occupano le adiacenze del
fascio e le sedi degli uffici pubblici. Principiano a giungere
gli uomini di Padovani e arriva al fascio pure Vittorio
Ricciardi reduce da un giro in automobile, compiuto la notte

33
nella zona della mobilitazione.
Con lui, Lamberti e Mastelloni, mentre Lubrano aiutato
da Luigi Giglio resta al fascio. Con un camion guidato da
Diana e da Bruno si va Castelmorrone per rendersi conto
della linea occupata. Durante il percorso con uno
stratagemma Vittorio Ricciardi si impossessa di pochi fucili
che si trovano al Mulino Militare e fa una punta a Sala ed a
San Leucio per valutare qual è l’atteggiamento dei serici.
A Castelmorrone, la località designata è già raggiante
di camice nere entusiaste: l’occupazione è militarmente
perfetta, le vedette funzionano meravigliosamente e senza
intransigenza.
Di fronte alle squadre di azione, a mezza costa, sono gli
allievi ufficiali della scuola di Finanza, ma al passaggio
applaudono. Il ritorno a Caserta si effettua quasi alle ore
nove.
Lamberti viene incaricato dei servizi di
vettovagliamento; Lubrano e Origlio funzionano da
Comando di Tappa, Mastellone è in servizio di requisizione;
Giustino Santangelo, Claudio Galeno, Fedele Vaccaro
accompagnano i complementi, i ritardatari e volontari.
I Nazionalisti vengono ad offrire la loro cooperazione,
ma sono cortesemente ringraziati per ritenerci sufficienti
alla bisogna le sole forze fasciste.
Continua intanto la requisizione degli automezzi, dei
viveri, dei medicinali che cosi si ottengono dai molini Pepe
ed Amato, dai panifici dai negozianti dalla farmacie locali.
Anche il panificio militare, passato il primo momento di
incertezza, da ordine del comandante del Presidio generale
Carlo Nascinbene fornisce delle pagnotte per le squadre
concentratisi in sede.
Alle ore nove e mezza il segretario politico avvocato
Lamberti si reca sul Comune dal sindaco comm. Tommaso
Picazio, ed ottiene, senza resistenza in verità, tremila
pagnotte.
Intanto giunge la notizia della proclamazione dello stato
d’assedio.
Un certo nervosismo si impadronisce delle forze di

34
polizia e della Guardia Regia.
Ricciardi, Lombardi e Mastelloni si recano al fascio,
prendono i documenti più importanti e compromettenti e,
rastrellati i fascisti incontrati per la città con macchine
requisite si portano a Castelmorrone, dove il
concentramento fascista è al massimo dell’efficienza e
dell’entusiasmo essendosi i primi nuclei ingrossati dalla
squadre del Matese con Ciccio Zito, Fra diavolo con
Bernardo de Spagnolis e Nino Sotis. Riccardo Mesolella,
Comella, e Salvatore Renga sono tra i presenti.
Stefano de Simone console dell’Opicia imprecando,
minacciando, disponendo è instancabile. Si ha la notizia che
le squadre napoletane, agli ordini di Padovani vengono ad
unirsi a quelle di Terra di Lavoro a completare il
concentramento. Raffaele Di Lauro segretario Federale,
viene con loro.
Alle ore quattordici del 28 ottobre l’edizione
straordinaria del Corriere di Napoli annunzia il rifiuto del
Re a firmare il decreto di stato di assedio. Le armi già
caricate in difesa di un ideale e per una morte certa
esplodono in segno di gioia al grido di Viva Mussolini! Viva
le camice nere ! e da Castelmorrone la giovinezza di Terra
di Lavoro eleva purissimo il cantico della sua fede.
A Puccianiello con Padovani, si insedia il comando
generale della zona e sono a lato del glorioso Bersagliere i
più bei nomi del fascismo e dello Squadrismo napoletano e
provinciale.
Funzionano magnificamente i servizi al centro grazie a
Lateano e Giglio, funzionano benissimo il vettovagliamento
con Lamberti, che a Castelmorrone riceve da Padovani
l’elogio della sua aspra fatica e nonostante una figlioletta
fosse appena nata, funziona egregiamente e con ogni garbo
le requisizione degli automezzi autocarri, carburante,
benzina, con Mastellone, funzionano i servizi di
incolonnamento attraverso la linea prestabilita con Gaetano
Vaccaro.
Vittorio Ricciardi che gira, ispeziona, interviene, grida
minaccia, aggiusta. Mimi Peccerillo è presente sempre e

35
ovunque vigilando, ammonendo. Raffaele di Lauro del
comando di zona, tiene gli ordini che si eseguono
militarmente e con disciplina ed entusiasmo.
L’ambiente contadino guarda con simpatia al
movimento: tra i borghesi del luogo, Umberto Padovani
fratello del comandante, i fratelli Amato, Alfredo Bellocchio,
fascista del 1920 tengono alto lo spirito di simpatia della
cittadinanza, meravigliata che, a scarsezza di mezzi, si possa
supplire con una dose così forte di entusiasmo.
E l’entusiasmo inchioda sui posti a dovere e di
responsabilità, dirigenti gregari, anziani, giovani durante la
notte del 28 e la giornata del 29 ottobre traspare in un
crescendo di passione e di fede per le notizie susseguitesi sul
movimento rivoluzionario.
Ormai anche le Autorità locali sanno perfettamente che
è scritta la parola fine alla politica rinnegatrice e
rinunciataria, e la sera del 29 ottobre vede passare per
Caserta i camion carichi di squadristi anelanti di accorrere
a Roma, fra gli applausi ininterrotti della popolazione.
Alle ore ventitré del 29 ottobre tutto il movimento di
concentramento delle squadre fasciste, alla stazione
ferroviaria di Caserta, é compiuto, e l 'attesa di prendere
posto nei treni diretti a Roma passa fra i canti e gli inni
della Patria, che innalzano forti cuori e già provati
entusiasmi.
Il fato, però, vuole che l 'ordinato movimento,
concentratosi a Caserta, non manchi della vittima, e lo
squadrista Marcello D 'Ambrosa, mentre siede, tenendo in
consegna un carico di bombe, provoca casualmente lo
scoppio di esse martoriato nelle membra, cade riverso e
colpito a morte nel sangue suo generoso.
Nel movimento inconsulto, per quanto naturale, di
eccitazione susseguitosi, si appalesa ancora una volta lo
spirito eroico del capitano Padovani, perché, sfidando i
proiettili delle mille e mille armi da fuoco, esplodenti
incompostamente in tutte le direzioni, nella falsa credenza di
un attentato comunista, riesce a stabilire la calma e a far
montare gli squadristi tutti nel treno ansante verso la mèta, la

36
Città Eterna: Roma.
Questi, i giorni della rivoluzione in Caserta, fascista
provata dal 1919, e, particolare degno di nota, per dimostrare
come tutto si svolse ad opera dei gerarchi locali in
perfettissimo ordine, dal 29 al 31 ottobre, ai singoli
proprietari, in perfetta efficienza, venivano restituite tutte le
macchine requisite.
Il Quartier Generale Campano della rivoluzione fascista si
manteneva così, a distanza di ben 60 anni, all'altezza del suo
compito e delle tradizioni, e come le camicie rosse nella stessa
zona, quasi sulla stessa linea, rendevano certezza l'unità della
Patria, così le camicie nere, agli ordini del Duce, nel nome del
Re, concorrevano, anche nella zona, a riscattare col valore e
con la fede la Patria oltraggiata dai trafficanti della politica,
dai barattieri della vittoria e del sangue purissimo di due
milioni di Italiani combattenti, morti, mutilati, feriti.

Aurelio Padovani con i quadrumviri del fascismo


Napoli 22 ottobre 1922

37
Visita del segretario del P.N.F Achille Starace a Caserta

38
“Il sindaco lestofante”
Leggere a ritroso le pagine della cronaca locale significa
rivivere fatti ed avvenimenti che risultano ripetersi con
cronologica precisione in momenti di cambiamento del quadro
politico e nella vita quotidiana. Amministrazioni inadeguate e
opportuniste la città le ha sempre avute, così come uomini che
non onorano “quella tale cambiale” e che assumono cariche di
sindaci, presidenti di enti per trarre dalla vita pubblica linfa per il
loro tornaconto, ci sono oggi come c’erano stati ieri.
Scrivere di Tommaso Picazio e delle sue vicissitudini
diventa estremamente difficile e complicato, perché sono
convinto che, in parallelo a quanto sbandierato dai giornali
dell’epoca e dalla cronaca quotidiana, convive un uomo, il
Picazio, che con la sua azione si è reso protagonista della vita
pubblica casertana e che ha dovuto fare i conti con i suoi
concittadini e la storia, persone che quantunque erte a censori del
suo operato, avevano permesso, per clientelismo o per buona
fede, la sua ascesa.
L’aver esaminato un periodo difficile della reggenza Picazio
non significa, quindi, voler esprimere dei giudizi storici o
sottolineare delle condanne, essendo la ricerca troppo limitata e
molti fatti sconosciuti. Del resto la pagina non esaltante scritta
dai casertani in quegli anni richiede ben altre indagini ed è
ancora tutta da focalizzare nei suoi aspetti essenziali.
Un lavoro di ricerca reso difficile non solo dalla mancanza di
obiettive risorse economiche ed umane, ma anche
dall’abbandono in cui versa l’archivio comunale di Caserta e non
solo quello, che non permette di visualizzare atti e documenti in
cui è nascosto, forse, il corretto profilo ed il lavoro
amministrativo svolto da coloro che hanno retto le sorti della
città.
L’analisi fatta nel periodo in cui l’amministrazione retta da
Luigi Falco si vantava di aver «illuminato» di cultura Caserta, è
stata una limitazione insopportabile, anche perché da molti lustri
tutte le sollecitazioni di sistemare l’archivio, rivolte ai vari
sindaci dagli studiosi, sono rimaste inascoltate.
La città ha voluto intitolare a Tommaso Picazio una strada ed

39
è un riconoscimento da accettare: se lo ha fatto è perché ne ha
sentito il bisogno; quello che conta, al di la della cronaca, è il
messaggio antifascista (forse menzognero e tutto da verificare)
che si è voluto tramandare nel tempo: “Si dimise con un
manifesto violento contro il fascismo. In seguito fu nominato
Commissario Prefettizio ad Aversa. Si allontanò dalla vita
politica per dedicarsi all'attività forense.10”

Elezione a sindaco di Tommaso Picazio

Nella seduta del consiglio comunale del 1920 che si tenne


nella sala rossa del palazzo del Comune in via Municipio11 erano
presenti le massime autorità cittadine. Non c’erano dubbi
sull’elezione a sindaco di Tommaso Picazio anche perché la
presenza dell’on. Giuseppe Buonocore12 venuto appositamente
10
Caserta e le sue strade – Quaderni dei servizi demografici – Testi a cura di
Alberto Zaza d’Aulisio
11
Oggi via Mazzini.
12
Giuseppe BUONOCORE nacque a Formia il 6 giugno 1876 e morì a Napoli
nel 1949. Conseguita la laurea in Lettere nel marzo del 1903, insegnò per un
anno nel Liceo "Genovesi" di Napoli. Assunto nel Ministero della Pubblica
Istruzione come vice segretario di seconda classe, il suo zelo e le sue capacità
lo portarono a Messina, sconvolta nel 1908 dal terremoto, come
rappresentante dello Stato. Qui si distinse in un fruttuoso e prezioso recupero
di materiale bibliografico. Passato alla Direzione Generale dell'Istruzione
Universitaria, ebbe un mandato ispettivo ed un altro commissariale alle
università di Catania e di Perugia. Nel 1911 Nitti, Ministro dell'Agricoltura, lo
chiamò alla sua segreteria particolare, e nel 1915 fu capo gabinetto dell'on.
Rotta, sottosegretario della Pubblica Istruzione.
Nel 1919 aderì al Partito Popolare di Don Sturzo e, presentatosi alle elezioni,
fu eletto deputato. Nel quadro dell'interesse per i problemi scolastici, presentò
in Parlamento un disegno di legge per l'istituzione di un ente per la protezione
della maternità e dell'infanzia. Intervenne, successivamente, sulla riforma del
monte pensione per i maestri elementari.
Nel 1923 aderì alla sezione napoletana degli Uomini Cattolici. In campo
politico, non condividendo il nuovo indirizzo autoritario imposto dal
fascismo, prendeva commiato dai suoi elettori di Terra di Lavoro con una
lettera sobria e misurata: "I profondi mutamenti, che da un anno in qua si
sono venuti determinando nel seno di tutti i partiti politici e la recente
pubblicazione della legge elettorale, radicalmente innovatrice, fanno
prevedere prossimo e necessario l'appello al Paese, essendosi ormai da
considerare esaurita la vitalità dell'attuale legislatura [...]. Anziché subire

40
da Napoli, garantiva l’assenso del gota locale.
Come sempre accade in queste occasioni, si erano spartite le
cariche degli assessori ed anche Alberto Beneduce, dopo qualche
correzione, non aveva posto il veto. I contrasti con l’on.
Giovanni Tescione, che si era dichiarato in un primo momento
non favorevole ad avere come primo cittadino un uomo che era
stato lontano da Caserta per molti anni e conosceva poco la realtà
locale, furono superati.
Del resto, già da prima delle elezioni, si erano preparati i
piani di intervento e soprattutto erano stati assicurati tutti coloro
che avevano interessi e trattenevano affari con
l’amministrazione. Ma non tutto andò per il verso giusto tanto
che sei consiglieri non si presentarono alla riunione.
Il consiglio elesse Picazio sindaco con una larghissima
maggioranza si astenne solo uno dei presenti.
Il neo sindaco fece un intervento rassicurante per tutti. Come
impiegato presso la corte dei conti di Roma aveva imparato bene

nell'ora del cimento elettorale una inevitabile situazione di disagio in


contrasto con i miei principi e con il mio programma preferisco
anticipatamente trarmi in disparte [...].
Nel prendere da Voi commiato, io vi esorto a conservare sempre saldi i
sentimenti del dovere, dell'ordine e della disciplina: a non dare ascolto a chi
osasse scuotere la vostra fede nelle liberali istituzioni che ci reggono ed a
contribuire, nella prossima lotta, con unità di intenti, in compagnia delle altre
quattro Province sorelle, ad affrettare l'unità spirituale della Patria, auspicio
certo delle sue fulgide glorie e delle sue rinnovate fortune"'.
Laureatosi nel frattempo anche in Giurisprudenza preferì esercitare la libera
professione di avvocato, interessandosi in particolare degli studi di Diritto
Canonico. In tale disciplina vinse nel 1933 il concorso per la libera docenza,
ma non riuscì mai a conseguire l'ordinariato, perché privo della tessera del
partito fascista. Ma la competenza specifica acquisita gli aprì le porte del
Tribunale della Sacra Rota.
Finita la guerra e ricostituita la vita democratica, ribadì la sua fede
monarchica, anche se non in linea con gli orientamenti del Congresso di Bari,
e pian piano fu allontanato dalla Democrazia Cristiana. Salvi restando i suoi
principi cattolici e la sua coerenza morale, aderì al Blocco Nazionale della
Libertà, risultando eletto deputato alla Costituente.
"Iniziò da allora un'altra fase della sua attività politica, perché diventò il
personaggio più autorevole del Partito Nazionale Monarchico a Napoli.
Partecipò ai lavori della Commissione per l'Igiene e Sanità e a quella
dell'Istruzione e Belle Arti.

41
l’arte dell’oratoria. Fece valere i suoi passati di tenente di
artiglieria nell’ultima guerra mondiale e per sottolineare la sua
cultura ogni tanto diceva qualche frase in latino.
In sala però qualcuno mugugnava specie chi sapeva della sua
vita romana. Sottovoce si parlava dei debiti contratti e di quel
vizietto di firmare cambiali che poi non venivano onorate. Si
parlava anche delle scarse risorse finanziarie della sua famiglia e
si dubitava sulla futura gestione del Comune, che non aveva le
«casse in ordine».
La guerra aveva creato molta miseria nelle famiglie per
l’allontanamento dei giovani dai campi e dai posti di lavoro. Ed
era tutta la città a sentire questo stato di povertà.
Alla seduta consiliare erano presenti: Iodice Nicola, Picazio
Tommaso, Fusco Gabriele, Iannelli Andrea, Marconi Antonio,
Rendola Vincenzo, Maffei Pasquale, Durante Nicola, Ambrogi
Silvio, Marotta Giuseppe, Cutillo Camillo, Baffone Michele,
Rossi Ferdinando, Arcamone Federico, Ferrajolo Giovanni,
Petriccione Luigi, Quarto Luigi, Santacroce Giuseppe, Flandin
Antonio, Santacroce Michele, Marrucelli Salvatore, Sparano
Ernesto, Pascariello Antonio, Fiano Vincenzo, De Rubertis
Roberto, Guarriello Alberto, Fiorini Torquato, De Caprio
Vincenzo, Ricciuti Carlo, Giaquinto Sebastiano, De Franciscis
Pietrantonio, Pacifico Giosuè, Tecchia Agostino, De Michele
Antonio, Valentino Domenico, Pagliuca Giovan Battista.
Ebbero in un primo momento la carica di assessore i sigg.ri:
Fusco Gabriele, Maffei Pasquale, Marotta Giuseppe, Cutillo
Camillo, Quarto Luigi, Fiorini Torquato, Ricciuti Carlo e De
Franciscis Pietrantonio. Il segretario capo del Comune Antonio
Lauro stilò il documento finale.
Quando si trattò di fare il giuramento qualche giorno dopo in
prefettura, Tommaso Picazio si presentò in perfetto orario, ma
prima di salire a Palazzo Castropignano dovette aspettare l’arrivo
di Giuseppe Buonocore. Si trattenne presso la tipografia dei
Russo che stava a pochi passi dal palazzo anche perché aveva
promesso al suo proprietario che in futuro sarebbe stato lui a
fornire gli stampati al Municipio.

42
Il sindaco licenziato

C’è a Caserta una strada intitolata a Tommaso Picazio nato


nel capoluogo di Terra di lavoro nell’aprile 1884.
Nella pubblicazione sulla toponomastica casertana, voluta
dall’amministrazione comunale, a fronte del suo nome si legge:
“Sindaco di Caserta dal 23/10/1920 al 10/3/1924. Laureato in
Giurisprudenza fu funzionario presso la Corte dei Conti. Nel
1915 partì per la guerra con il grado di tenente di artiglieria
combattendo valorosamente sui fronti italiano e francese.
Reduce, dopo circa 4 anni, iniziò la libera professione in Roma.
Provvide al riassetto dei servizi comunali ed in particolare del
Corpo di Polizia Municipale; all'adduzione dell'acqua corrente
(Caserta aveva solo acqua di pozzo); alla costruzione delle case
popolari; al programma di sostituzione della vecchia
illuminazione cittadina con quella ad energia elettrica. Si dimise
con un manifesto violento contro il fascismo. In seguito fu
nominato Commissario Prefettizio ad Aversa. Si allontanò dalla
vita politica per dedicarsi all'attività forense. Nel 1927 moriva
per setticemia, lasciando compianto unanime.”
Agli occhi del contemporaneo e per chi pone attenzione alla
storia di questo territorio, Picazio, così come descritto, potrebbe
passare per un antifascista, uno di quelli che si è opposto al
regime mussoliniano fin dagli albori, ma di fatto non è così. Egli
è piuttosto è l’antesignano di una politica clientelare che
caratterizzò la città di Caserta dal 1919 al 1927, anno in cui il
regime fascista che mostrava sempre più i suoi connotati
dittatoriali, abolì le elezioni comunali per dar luogo al periodo
podestarile. Picazio in effetti fu costretto a dimettersi e lo fece un
giorno prima di un provvedimento prefettizio conseguenza una
ispezione governativa che analizzò il suo operato.
Su un settimanale del 1924 si legge: “Il reale decreto per lo
scioglimento del Consiglio Comunale di Caserta, porta la data
del 29 febbraio. L'ex sindaco, Picazio, col suo manifesto scritto il
2 marzo e affisso il 3 marzo e diffuso in fogli volanti il 4 e il 5
marzo, ha annunziato le sue dimissioni e ha smentito l'esistenza
del decreto reale. Sicché, egli si è dimesso quando era già stato
licenziato dal Municipio il 29 febbraio; sicché, egli, smentendo

43
l'esistenza del reale decreto dello scioglimento del Consiglio, col
manifesto scritto il 2 marzo e affisso il 3 marzo e divulgato in
fogli volanti il 4 e il 5 marzo, ha turlupinato se stesso e la
cittadinanza. Ed è finito, dunque, come dovea finire, oltre che
coll'onta, anche colle beffe, miserevolmente!”

Il potere al di sopra degli ideali

Malgrado la lotta intestina che avveniva tra casertani, tutti


aderenti al partito fascista, che si andava affermando in
provincia, Picazio affiancò il nuovo regime fino alla sua morte
altrimenti non si spiegherebbe neanche la sua nomina, all’epoca
dei commissari, a reggere le sorti del comune di Aversa.
Nel libro «Fascismo e modernizzazione: la scomparsa della
provincia di Caserta nel 1927», pubblicato nel 1991 dal centro
studi «Corrado Graziadei» lo storico casertano Giuseppe
Capobianco parlando della soppressione della provincia di Terra
di Lavoro riportava: “Colui che era stato l'ultimo Sindaco della
città, Tommaso Picazio, così scriveva su L'Unione dell'8-9
gennaio 1927, pochi mesi prima di morire: “Ebbene la
chiaroveggente sapienza del Capo del Governo (Benito
Mussolini) rilevò la necessità e provvide al rimedio
adeguatamente, destinando la città di Caserta a diventare da
oggi uno sbocco, un braccio, una propaggine di Napoli, in modo
che questa popolosissima città incantevole si avvii verso
quell'equilibrio di movimenti e raggiunga quel riordinamento e
quella sistemazione che per lo passato sono stati sempre un
desiderio ed un'aspirazione degli uomini politici napoletani,
senza mai un accenno, senza mai un barlume di volontà di
conseguimento.”
E poi rincarava la dose: “Una classe dirigente siffatta non
poteva che ricevere quel trattamento: (La soppressione della
provincia). Santarelli, nella sua relazione, ipotizza, tra le cause
dello smembramento della provincia, «un certo vuoto di potere
nel casertano» Nel passo riportato c'è qualcosa in più: c'è
l'annullamento dell'identità, della dignità della città ex
capoluogo da parte di colui che è stato primo cittadino.”
In un primo momento ed in occasione della Marcia su Roma

44
del 28 ottobre del 1922, quando gli squadristi si preparavano alla
lotta armata tra Castelmorrone e Puccianiello, la posizione di
attesa del sindaco Tommaso Picazio e il suo tentativo di
neutralità, risultò poco gradita ai casertani. La dove il prefetto
stesso Iginio Coffari13 si era mostrato talmente vicino ai
rivoluzionari tanto da invitare Aurelio Padovani, il ras Campano,
in prefettura a leggere i dispacci che provenivano da Roma via
telegrafo, l’opportunismo innato di Picazio si palesò nel fornire
ai rivoltosi solo pagnotte per tremila persone.
Con il cambio della guardia al vertice della Federazione
fascista tra l’avvocato Raffaele Di Lauro di Santa Maria Capua
Vetere ed il medico Riccardo Mesolella, la sorte di Tommaso
Picazio, sembrava segnata. La ribellione di quelli che l’avevano
subito mortificazioni e tracotanza durante il suo mandato, porto
ad una serie di accuse al suo operato.

La cittadinanza onoraria al Capo del governo

Il prefetto di Caserta Gennaro Bladier14, a cui mancavano


13
dr. Iginio COFFARI Nato a Cammarata (Agrigento) il 25 gennaio 1874.
Laureato in Giurisprudenza. Immesso in carriera per pubblico concorso il 1°
maggio 1897. Ha prestato servizio presso le sedi di Catania, Palermo, Roma,
Ministero, Presidenza del Consiglio, Ministero delle Colonie, Ministero. Capo
Divisione Direttore dell’Ufficio Affari Generali (Sanità). Nominato prefetto di
2ª classe il 1° febbraio 1918 e prefetto di 1ª classe il 1° luglio 1925.
Grand’Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia. Grand’Ufficiale
dell’Ordine Mauriziano. Ordine dell’Aquila Rossa di 4° classe. Prefetto di
Trapani (febbraio 1918 - agosto 1919), Reggio Calabria (agosto 1919 - marzo
1920). A disposizione (marzo - aprile 1920). Prefetto di Reggio Calabria
(aprile 1920 - giugno 1921), Mantova (giugno 1921 - agosto 1922),Caserta
(agosto - novembre 1922); Napoli (novembre 1922 - ottobre 1923). A
disposizione (ottobre 1923 - gennaio 1925). Prefetto di Venezia (gennaio
1925 - luglio 1929), Firenze (luglio 1929 - agosto 1931). Nominato
Consigliere di Stato nell’agosto 1931.
14
dr. Gennaro BLADIER Nato a Napoli il 19 settembre 1859. Laureato in
Giurisprudenza. Immesso in carriera per pubblico concorso il 7 agosto 1885.
Ha prestato servizio presso le sedi di Castellammare, Cerreto del Sannio,
Caserta, Roma, Cerreto del Sannio (Sottoprefetto), Frosinone (Sottoprefetto),
Palermo, Viterbo (Sottoprefetto), Mondovì (Sottoprefetto), Saluzzo
(Sottoprefetto), Ministero, Palermo (con l’incarico di Regio Commissario per
il Comune dall’agosto 1909), Ministero. Ispettore Generale. Nominato

45
pochi anni per guadagnarsi la pensione, si era trovato nel pieno
di una crisi nel massimo partito di Terra di Lavoro che non aveva
uguali in Italia: l’aspra lotta tra nazionalisti di Paolo Greco, che
confluiranno nel fascismo, e i fascisti della prima ora che
facevano capo a Aurelio Padovani. Forse tra i tanti torti del
sindaco Picazio fu anche quello di non essersi schierato. Un
articolo intitolato «Il Sindaco di Caserta e il fascismo»
pubblicato sul settimanale Terra di Lavoro del 29 maggio del
1923 i mesolelliani attaccano il primo cittadino affermando: “Il
comm. Picazio, che ha l'esclusiva professione di sindaco di
Caserta - poiché non lavora e non ha proprietà, mentre spende e
spande, è ricorso ora a un gran colpo di scena, sognando di
giovarsene per mantenere la carica e rafforzarsi, pei suoi non
ignoti fini personali. Nientemeno ha preso l'iniziativa di far
conferire a S. E. Mussolini la cittadinanza onoraria di ciascuno
dei Comuni di Terra di Lavoro!15

prefetto di 2ª classe il 1° settembre 1911. Gran Cordone dell’Ordine della


Corona d’Italia. Grand’Ufficiale dell’Ordine Mauriziano. Prefetto di Salerno
(settembre 1911 - agosto 1914), Cagliari (agosto 1914 - settembre 1917),
Pavia (ottobre 1917 - giugno 1919), Bologna (luglio - dicembre 1919),
Ancona (dicembre 1919 - agosto 1920). A disposizione (agosto - novembre
1920). Prefetto di Benevento (novembre 1920 - agosto 1921), Ferrara
(settembre 1921 - giugno 1922). A disposizione (giugno - ottobre 1922).
Prefetto di Reggio Calabria (al provvedimento non viene dato corso). A
disposizione (ottobre - novembre 1922). Prefetto di Caserta (novembre 1922 -
luglio 1923). A disposizione (16 - 31 luglio 1923). Collocato a riposo
d’ufficio per aver compiuto oltre trentacinque anni di servizio nell’agosto
1923.
15
Ad accogliere la proposta del sindaco Picazio fu il comune di Santa Maria
Capua Vetere quando il sindaco avv. Eugenio Liguori, convocò il consesso
municipale nel giorno 11 giugno 1923, con la presenza dei consiglieri
Giuseppe Cappabianca, Pasquale Carcaiso, Antonio De Lucia, Emilio
Santillo, Pasquale Fratta, Giuseppe Fusco, Salvatore Gravino, Matteo
Maffuccini, Gaetano Matarazzi, Tommaso Messore, Pasquale Palmieri,
Antonio Papale, Francesco Sagnelli, Pasquale Troiano. Mise in discussione e
votazione l’ordine del giorno “Conferimento della cittadinanza onoraria S.E.
l’on. Benito Mussolini
Queste furono le motivazioni: “Questa città antesignana di ogni azione
patriottica, che ebbe i suoi eroi dal 1848 a finire nell’ultima guerra 1915-18,
che ha nella storia le epiche giornate del settembre e dell’ottobre 1860, che è
orgogliosa di avere un popolo buono, industre e laboriosa, che fu estimatrice
devota di uomini eletti, non può né deve rimanere inerte di fronte al fenomeno

46
Dopo di che, il comm. Picazio, secondo le sue amene
illusioni, conseguirebbe, con la complicità del fascismo,
l'agognato risultato di far passare in Prefettura la sua merce di
contrabbando, che tanto danneggia il decoro e le finanze di
Caserta!
Ma i fascisti - i quali, ad onta delle clamorose
manifestazioni tributate in loro gloria dal comm. Picazio, già
respinsero, per indegnità politica e morale, la sua domanda
d'iscrizione al Partito Nazionale Fascista - non si lasciano
adescare.
I Fascisti, appunto perché conoscono vita e miracoli del
comm. Picazio, non si prestano - checché egli escogiti e
comunque si arrovelli - a favorire le sue sbalorditive
speculazioni e, per dovere di probità, restano suoi inflessibili
avversari, come reclama irresistibilmente questo popolo nostro
patriottico e paziente, per il buon nome e per la salvezza di
Caserta!”.
A mettere in difficoltà il sindaco ed i suoi collaboratori era
anche il grave stato finanziario del Municipio che si trovava a
corto di risorse tanto che era costretto a non pagare gli stipendi.
Il che fu sufficiente a scatenare un’altra dura battaglia contro “un

straordinario che l’alta figura di B. Mussolini rappresenta nella vita politica e


morale della Patria nostra. Eleggere a cittadino sammaritano B. Mussolini è
un dovere che a compierlo rende anche orgoglioso, superbo, ogni
rappresentante di questa civica amministrazione. Si è visto avanzare sulla
grande scena della politica l’uomo che è veramente degno dell’Italia; è
un’energia intatta, aperta, geniale, volitiva. Egli in breve tempo ha rinsaldata
la monarchia, cui tende con entusiasmo la devota nostra anima, ha ridate la
dignità e la forza allo stato. Ristabilire dalle fondamenta l’autorità dello stato
ed il prestigio nazionale all’estero, fermare il paese sull’orlo del baratro
finanziario, riordinare i pubblici servizi, sono compiti che soltanto una volontà
inflessibile ed audace poteva affrontare. Il nostro esercito, che aveva scritto
col sangue nella storia pagine indelebili, che sentiva vibrare nei cuori i ricordi
delle aspre battaglie vinte, languiva nell’attesa: in breve tempo Mussolini ha
valorizzato il sacrificio compiuto dai nostri soldati caduti sui campi dell’onore
ed ha ridato al glorioso esercito il prestigio perduto per colpa di politicanti, ha
restaurato le forze economiche della Nazione: a questo uomo vanno
l’omaggio e la gratitudine di questa città patriottica e vanno tributati nella
proposta di iscrivere il suo nome fra i suoi cittadini. È sicuro che vi sarà il
generale consenso del Consiglio, interprete fedele dei sentimenti della
cittadinanza intera.”

47
sindaco, che nonostante gli sia stata rifiutata la tessera di
iscrizione al fascio e non gode la stima dei nuovi politici, si
ostina a non dimettersi”. Nuove accuse gli vengono rivolte
quando assunse come consulente, un ex dipendente comunale
andato in pensione.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. I giornali lanciarono
una vera e propria campagna «diffamatoria» a largo raggio
dedicando intere pagine all’attività passata e presente
dell’avvocato Picazio che negli articoli viene chiamato
semplicemente commendatore. Nella rubrica del 23 giugno del
1923 dal titolo «Vita di Caserta», Terra di Lavoro scrive: “Il
Municipio di Caserta non ha pagato lo stipendio di giugno ai
suoi impiegati, ai quali non avea già pagato il caro-viveri di
maggio. Non vi era stata mai simile vergogna per il Comune, la
quale vi è, invece, ora, col sindacato del comm. Picazio!
Intanto, ad onta delle gravissime condizioni finanziarie del
Municipio, il comm. Picazio, pur con tanti impiegati, riassunse
in servizio, mesi or sono, il suo parente avv. Di Guida, che era in
pensione e che è ricco! Vero è che, se dell'avv. Di Guida non
v'era alcun bisogno al Municipio, ne avea bisogno, al contrario,
il comm. Picazio, per farsi difendere dal suo parente al
Tribunale di S. Maria C. V. nella causa in cui è trascinato per
non avere pagato quella tale cambiale di trentamila lire !”

Moralizzare l’amministrazione

E’ solo intuibile, ma non spiegabile come la stampa locale e


molti esponenti politici, in quel travagliato anno 1923, nel giro di
poche settimane intrapresero una battaglia cruenta contro i propri
amministratori. Un dato sicuro è che dopo il 28 ottobre del 1922
anche il fascismo di Terra di Lavoro andava rafforzandosi e
richieste di tessere la segreteria provinciale ne esaminava a
centinaia ogni giorno, ma non tutti passavano la prova; tra gli
esclusi eccellenti c’era il sindaco del Comune capoluogo.
In provincia molte amministrazioni comunali, considerato il
nuovo quadro politico nazionale, si dimettevano o venivano
costrette a dimettersi, lasciando il posto ai commissari nominati
dalla prefettura. A favorire questo stato di cose si metteva anche

48
il vecchio prefetto Gennaro Bladier, che, forte del potenziamento
del suo nuovo ruolo, scioglieva amministrazioni che venivano
ritenute non in linea con i tempi.
A Caserta c’erano, inoltre, altri fattori e precedenti che
fecero sì che Tommaso Picazio diventasse il capro espiatorio di
clientelismi e intrallazzi che venivano alimentati fin dal tempo
del governo Giolitti.
Picazio era la longa manus dell’on. Giuseppe Buonocore, un
laureato in lettere eletto per la prima volta alla XXV legislatura
nel 1919 dopo aver intrapreso una lunga lotta per la sua
candidatura con gli altri due aspiranti Cappiello e Santamaria, e
fu riconfermato alle successive elezioni del 1921. Aveva
amicizia anche con Alberto Beneduce che si presentò alle
elezioni con il partito “Unione per la democrazia e per i
combattenti.”.
Proprio Buonocore, nel 1920, volle che Tommaso Picazio
trasferisse la sua dimora da Roma a Caserta per curare i suoi
interessi politici ed avere come sindaco un suo uomo di fiducia.
Una strategia vincente, ma che dovette fare i conti
successivamente con il fascismo di Aurelio Padovani e la sua
voglia di spazzar via il passato per dare una corretta moralità alla
vita pubblica. Un’utopia per i casertani che già vivevano i giochi
politici del nazionalista Paolo Greco proveniente dal nolano e
che non esitava a compromessi con faccendieri e camorristi della
sua terra per gestire il potere.
Nella seduta del consiglio comunale del 22 marzo del 1923
si ebbero una serie di nuove nomine, tutti personaggi allineati
con il nascente partito. Furono designati: all’Amministrazione
della Congrega di Carità, presidente dott. cav. Ferdinando Cutrì;
componenti, barone Alfredo De Riso-Carpinone, dott. Luigi
Fusco, ing. Pietro Gleyses, dott. cav. Nicola lodice, cav. Roberto
Labrano, sig. Giuseppe Marotta, ing. Giustino Santangelo, cav.
Antonio Schiavo; per la Commissione Mandamentale di
Ricchezza Mobile: dott. Arturo De Lillo, cav. Alfonso
Funiciello, cav. Umberto Fuso, insegnante Giuseppe Maffei, sig.
Raffaele Nasta, dott. Vittorio Ricciardi, cav. Ferdinando
Ricevuti, ing. Agostino Tarantini, sig. Gustavo Toscani.
Quasi tutti avevano in tasca la tessera del partito di

49
Mussolini o erano simpatizzanti, perchè “nell'Amministrazione
della Congrega di Carità e nella Commissione Mandamentale di
Ricchezza Mobile dovrà prevalere esclusivamente l'impero della
giustizia e della moralità.”- affermarono i dirigenti fascisti.

Le ripercussioni sull’amministrazione provinciale

Nello stesso periodo, nell’amministrazione provinciale si


dimettevano l’avvocato De Donato, l’avv. Iannaccone ed il
comm. Irace.
Un atto che suonava alle orecchie dei nuovi vertici politici
come un affronto; infatti, in un comunicato inviato alla stampa si
sosteneva: “Per quei tre deputati provinciali, come per i loro
colleghi del Consesso Provinciale, esponenti dei vecchi partiti
liquidati vi sono più gravi e insanabili divergenze, che si devono
eliminare: quelle con la prevalente nuova pubblica opinione di
Terra di Lavoro, conquistata saldamente dal Fascismo; vi sono
più corrette e ineluttabili dimissioni, alle quali non è possibile
sottrarsi: quelle di consiglieri provinciali.
In nome della fiera intransigenza campana (proclamata dal
comandante Padovani e sostenuta dal segretario politico
federale Di Lauro e dalle loro formidabili falangi), in nome del
limpido programma di restaurazione (da cui il Fascismo
assolutamente non decampa nella sua rettilinea condotta e nella
sua vindice battaglia), per il Fascismo il Consiglio Provinciale è
ormai condannato.”
Comune capoluogo, quindi, e amministrazione provinciale
sotto tiro.
Fino a quel momento il settimanale “Terra di Lavoro” aveva
sostenuto sia Buonocore che il suo protetto Picazio, tanto che
solo qualche mese prima aveva dato ampio spazio ad una
riunione delle associazioni dei sindaci indetta con:
“L'intento nobilissimo di far divenire la nostra
Provincia più forte, - così scriveva Picazio ai suoi colleghi -
più consapevole, più sincera e soprattutto amministrata con
criteri più semplici, induce in piena armonia a quanto
esplica il Governo, la necessità di un'azione conclusiva a
vantaggio di queste popolazioni, che hanno in ogni tempo

50
così luminosamente provato il loro patriottismo e la loro
concordia.
Convinti, pertanto, che possa divenire ed essere
riconosciuto oramai indispensabile quel rinnovamento negli
organismi e nelle funzioni dei Comuni, che fu già nei voti di
tutti, ma non sin qui nelle opere coerenti al pensiero od alle
parole, con unione d'intenti, vibranti di fede, con legittimo
orgoglio, comunichiamo di aver costituito l'Associazione dei
Comuni dì Terra di Lavoro.
Essa si propone, mediante lo sforzo consociato di quanti
amano la nostra Provincia meravigliosa e ne auspicano un
avvenire radioso, di svolgere azione continuata ed assidua,
con lo scopo precipuo di farla assurgere a quello sviluppo
cui ha diritto per le sue bellezze naturali, per la civiltà
millenaria e per le sue nobili tradizioni.”
Un incontro molto apprezzato anche dal prefetto che fece
pervenire al sindaco ed ai convenuti la seguente lettera:
“Ringrazio la Signoria Vostra, nonché i Sindaci tutti, intervenuti
oggi alla riunione, tenutasi in codesta Casa Comunale per la
risoluzione dei più vitali problemi cittadini, dell'omaggio cortese
e, nel ricambiare ai singoli partecipanti il mio saluto, mi fo un
dovere di assicurar loro che nella risoluzione di tutti i problemi,
interessanti la vita amministrativa degli Enti, non mancherà la
mia benevole assistenza, al fine di cooperare al risveglio ed al
progresso delle sane energie della Provincia. Ossequio.”.
Dell’iniziativa Picazio aveva informato anche il governo
centrale inoltrando per conoscenza lo stesso invito dei sindaci,
con una con una lettera di accompagnamento, al capo del
governo. Immediato fu il riscontro alla missiva del segretario
particolare di S. E. Benito Mussolini, comm. Ciavolino: "S. E. il
Presidente ha molto gradito i sentimenti da Lei espressigli a
nome di codesta Amministrazione, e, per mio mezzo, vivamente
ringrazia. Distinti saluti.”.
Cosa significava tanta operosità? Le ipotesi sono facilmente
immaginabili: Picazio aveva i giorni contati e quindi cercava di
mantenere il suo posto. Stava tramontando la stella Buonocore
ed in più si erano diffuse le voci su alcuni presunti scandali sulla
gestione comunale ed in particolare su trattative private che

51
conduceva personalmente.
Lo stesso Buonocore faceva stampare un volumetto dal titolo
“Tre anni di vita parlamentare” in cui era riportata la sua attività
e non certamente per il suo elettorato, ma per sottolineare il suo
impegno di politico ed in particolare “l’espressione del suo
pensiero sugli avvenimenti e sulle vicende più importanti che
durante il triennio si sono andate determinate e si stanno
svolgendo e dovranno concludersi a lieto fine per le migliori
fortune della Patria nostra.”.
Con una classe politica poco attenta agli interessi della
collettività e più attaccata ai personalismi, la provincia di Terra
di Lavoro si avviava anche a perdere alcune delle fonti di reddito
importati che erano rappresentati dalla presenza di alcune
istituzioni come la Guardia Regia da Aversa, Caserta e
Maddaloni, e l’ufficio di elettrificazione con il suo spostamento
da Caserta a Benevento.

L’affondo di “Terra di Lavoro”

A sferrare l’ultimo attacco contro Picazio fu proprio il


settimanale “Terra di Lavoro”, di Eduardo de Leonardis, oramai
allineato alle posizioni politiche dominanti in città, con un
articolo che ha tutto il sapore di una sfida dal titolo:“I fascisti ed
il sindaco di Caserta - prefetto Bladier a Noi!”
Un attacco inaudito e premeditato, frutto di un’accurata
analisi e di indagini svolte su Tommaso Picazio e sul suo
passato.

Riportiamo il testo:
“Dichiariamo lealmente che il merito di questa battaglia
non è nostro e dei Fascisti, i quali l'hanno voluta.
Appunto per esimerci da questa battaglia, noi, tre o
quattro settimane orsono - presenti gli assessori cav Maffei è
dott. Durante - rivolgemmo al comm. Picazio la calorosa
esortazione di rassegnare le dimissioni a tutela del suo nome
e della sua famiglia, per evitare discussioni e rivelazioni che
gli sarebbero stati esiziali. L'assessore Maffei - che, più
degli altri, ha dato tangibili prove attaccamento e di

52
sacrificio al comm. Picazio - assentì, nella saggezza la sua
esperienza, alla nostra esortazione, alla quale, però, si
oppose, a ingenuità della sua primavera, l'assessore
Durante.
Subito dopo ci incontrammo con assessori sig. Vincenzo
Rendola, lannelli e cav. Marconi: tutti tre, a loro prudenza e
nel loro acume, riconobbero con noi la ineluttabile necessità
delle dimissioni del comm. Picazio. Le pressioni affinché il
sindaco Picazio si dimettesse arrivarono da più parti, ed
inutile furono i segnali della prefettura che invitavano il
sindaco a fare il passo che si riteneva giusto per i tempi che
si andavano prospettando.”.
Sembrava ad un certo punto che le cose si stessero
mettendo secondo quando prospettato dai fascisti che, oltre
ad avere il problema delle amministrazioni locali, se la
dovevano vedere anche con i nazionalisti.
Nella lunga filippica del periodico “Terra di Lavoro” si
sottolineavano dei punti importati della questione:
“Della nostra esortazione pietosa il comm. Picazio si
commosse, si scosse, ringraziò, dichiarò che avrebbe
meditato sui suoi casi. Invece, egli inesauribile nelle sue
risorse e nei suoi espedienti - ricorse al gran colpo di far
conferire a S. E. Mussolini la cittadinanza onoraria di tutti
comuni di Terra di Lavoro.
Così il comm. Picazio s'illude di avere salvato pure alle
sorti del prefetto gr. uff. Bladier il quale, mercé sua, ha
acquistato 1'inclita benemerenza di dimostrare che Terra di
Lavoro è prona ai piedi di S. E. Mussolini. Il comm. Picazio,
dopo avere regalato a S. E. Mussolini la rara soddisfazione
di diventare suo concittadino onorario, s'illude altresì di
essere ormai sacro ed inviolabile e avere in pugno il prefetto
gr. uff. Bladier, che, secondo le sue chimere, ha legato a sè
da perenne gratitudine e cieca solidarietà.
A questa battaglia, dunque, ci hanno chiamato i fascisti,
i quali sentono il dovere di testimoniare solennemente la
loro fraternità al popolo di Caserta, liberandolo dal Sindaco
nefasto.
D'altronde, i Fascisti già respinsero dalle loro file il

53
comm. Picazio che avea richiesto insistentemente a farne
parte, per indegnità politica e morale, e lo respinsero
malgrado le gloriose manifestazioni tributate da lui in loro
gloria.
L'on. Buonocore non ignorava la vita di avventuriero
che menava a Roma il comm. Picazio... Ad onta di tutto ciò,
1'on. Buonocore, nelle elezioni comunali dell'ottobre 1920,
quando era incontrastato padrone di Caserta, impose quale
sindaco il comm. Picazio, che era assente da Caserta da
lunghi anni, che era sconosciuto ai nostri concittadini, che
non disponeva né di un voto, né di una lira.
L'on. Buonocore dice che fu ispirato ad infliggere simile
sindaco a questa povera Caserta - che non si sa mai quale
crimine avea perpetrato per essere funestata da tanta
calamità - nientemeno dall'irrealizzabile sogno di redimere
il comm. Picazio con l'onesto esercizio professionale,
inducendolo a dedicare al bene il forte intelletto, che egli,
invece, preferisce applicare al male.
Della carica e del prestigio di sindaco il comm. Picazio
non si è avvalso mai per conseguire la propria redenzione
col lavoro, ma ne ha fatto il peggiore sfruttamento per dare
estensione ed incremento alle sue oblique imprese.
Dai documenti giudiziari ufficiali risulta che vi sono a
carico del comm. Picazio, in Roma ed altrove, protesti e
precetti cambiari per somme ingentissime, addirittura
sbalorditive. Quale qualifica spetta a chi si pone in tali
condizioni, specialmente quando è sindaco e quando il
denaro, così ottenuto, lo ha sperperato in bische con donne?
Ad onta di tutto ciò, l'on. Buonocore, nelle elezioni
politiche del maggio 1921, persuase i suoi Compagni di lista
a nominare il comm. Picazio cassiere del Comitato... di
quella cuccagna si parla ancora. e dire che si tratta non di
un privato ma di un sindaco.
Ad onta di tutto ciò, quando, nell'agosto scorso, il
comm. Picazio fu costretto a rassegnare le dimissioni
dall'ufficio di sindaco, l’on. Buonocore corse qui per
salvarlo: l'on. Buonocore convocò la maggioranza al
Municipio, nell'aula del Consiglio Comunale; egli stesso la

54
presiedette, seduto al seggio sindacale; dominò la tempesta;
fece rimanere sindaco il comm. Picazio.

Le cambiali non pagate

Ma l'on. Buonocore, mesi addietro, salvò anche la pelle


- proprio così al comm. Picazio, che minacciava - sul serio -
di suicidarsi, se non gli si fossero trovate trentamila lire.
L'on. Buonocore gliele trovò con una cambiale, firmata,
oltre che dal comm. Picazio, pure dai fornitori militari, sig.
Carlo Gindre, sig. Luigi Palladino e comm. Luigi Piscitelli.
S'intende che tale cambiale ebbe la stessa sorte delle altre
del comm. Picazio, che non l'ha pagata, opponendosi al
protesto intimato col motivo di averla rilasciata senza la
data e per insufficienza di bollo.
Il comm. Picazio si era veementemente innamorato della
presidenza dell'Ente Autonomo per la bonifica del Volturno,
la quale presidenza era competente a provvedere, senza
l'intervento di altri organi, a opere pubbliche per cospicue
somme.
L'on. Buonocore fece il diavolo a quattro per contentare
il com. Picazio: riunì financo in Roma, nell'agosto scorso,
tutti i deputati delle due liste ministeriali del maggio 1921,
affinché perorassero presso I'on. Riccio la nomina del
comm. Picazio.
I deputati, però, si dichiararono assolutamente contrari
al comm. Picazio, poiché quella presidenza reclamava un
amministratore incensurabile.

Gli amici degli amici

Nel settembre 1921 il prof. cav. Luigi Rendola si dimise


da segretario politico della Sezione di Caserta della
Democrazia Liberale. Egli volle infrangere ogni vincolo col
comm. Picazio, perché questi, pure essendo fuori Caserta,
giunse improvvisamente qui, per aumentare i prezzi della
carne, mentre la Giunta Comunale avea resistito
energicamente alle pretese dei beccai. Di più, un

55
commerciante di vino ebbe certi privilegi daziari, assai
strani.
Un negoziante di animali bovini, che è fra i maggiori,
non favorì il comm. Picazio con una cambiale per varie
migliaia di lire, che come le altre del comm. Picazio - fu
protestata ?
E il commerciante di vino non fa o non faceva parte di
una Società di Roma, dalla quale il comm. Picazio percepì
evidentemente per prestazioni di consulente o di arbitro -
molte migliaia di lire?
II sig. Carlo Gindre, uno dei firmatari della cambiale di
trentamila lire, voleva una concessione per derivazione di
forza motrice dal Volturno, per irrigazioni, con cui avrebbe
risparmiato il versamento di somme per sopraprofitti di
guerra. E il comm. Picazio non fece deliberare dal Consiglio
Comunale la domanda per la concessione in pro del
Municipio di Caserta, secondo un progetto dell'ing. Ruffolo?
E al finanziamento relativo non dovea far fronte la Banca
Commerciale di Terra di Lavoro (non con la presente rigida
Amministrazione)? E la Banca Commerciale di Terra di
Lavoro non scontò, senza avallo, al comm. Picazio,
notoriamente insolvibile, una cambiale per diverse migliaia
di lire, protestata, come tutte le altre?
Vero è che presso le Autorità quell'affare di forza
motrice naufragò! Diamine!
Ed il comm. Luigi Piscitelli, quando firmò la cambiale delle
trentamila lire, non avea interessi a Caserta, per l'appalto
del casermaggio alla Legione degli Allievi della Regia
Guardia? Le Case Popolari? L'Annona? L'Ente Autonomo
per i Consumi? La manutenzione stradale? I lavori
pubblici? O misteri profondi!

Il giolittismo picaziano

Politicamente, con chi è il comm. Picazio? E al


banchetto dal 13 ottobre 1921, non inneggiò all'on. Alberto
Beneduce? E non fece egli votare il contributo del Municipio
di Caserta alle borse di studio, istituite in omaggio all'on.

56
Giolitti, in occasione del suo ottantesimo anno?
Il comm. Picazio non è che l'eletto, che l'esponente
dell'on. Buonocore. Sono i seguaci fedelissimi dell'on.
Buonocore al quale sono indissolubilmente stretti, perché
egli ha procurato a loro immensi vantaggi che sorreggono in
Giunta Comunale e al Consiglio Comunale il comm.
Picazio, a costo di tutto e contro tutti. Parecchi degli
assessori e dei consiglieri comunali, che non si peritano di
ostinarsi ad unire le proprie responsabilità a quelle del
comm. Picazio, sono funzionari governativi!
Secondo mutano le situazioni politiche, il comm. Picazio
fa lo scaltro giocoliere, per mantenere la professione di
sindaco, che gli è a cuore, mentre le altre professioni non gli
piacciono. I gonzi si lasciano canzonare. Ma se ne guardino
quelli che lo conoscono.”.
Sembrava, quindi, dalle accuse rivolte che il sindaco era
abituato a fare giochi di prestigio per mantenere la sua poltrona
che per una serie di eventi e per come la storia ha dimostrato
difficilmente era difendibile.
Anche l’onorevole Buonocore, un monarchico indipendente
convinto, in questo difficile momento di transizione era più
impegnato a mantenersi a galla in vista degli accordi tra fascisti e
nazionalisti che a garantire fino in fondo il suo prescelto.
Il prof. Giuseppe Buonocore lo ritroveremo sulla scena
politica partenopea nel 1946: ai tempi della Costituente fu eletto
deputato e ricoprì anche la carica di Sindaco di Napoli.
Anche Alberto Beneduce incominciava a rivedere le sue
posizioni e meditava di lasciare gli incarichi politici per dedicarsi
completamente all’attività che gli era più congeniale: quella
dell’economista. Diventerà rapidamente il braccio destro di
Benito Mussolini che si avvalse del suo operato per risistemare
le finanze dello stato.

La trattativa privata con I'ing. Petot

A Tommaso Picazio si attribuisce, ancora oggi, il merito di


aver portato nelle case dei casertani l’acqua, in realtà
l’acquedotto precedentemente c’era, ma a gestirlo era il Comune

57
con scarsi risultati. Poche ed inefficienti erano le fontane
pubbliche, come pure mancavano le bocche di incendio di
emergenza.
In questo contesto Picazio pensò di privatizzare il servizio
riprendendo una trattativa avviata dal commissario prefettizio
che lo aveva preceduto, con una società francese che aveva come
rappresentante l’ing. Henry Petot. Sottoscrisse una convenzione
in cui il Comune si assorbiva tutti gli oneri e la società privata
tutti i vantaggi, così come i denigratori del sindaco sostenevano.
In realtà qualcosa di vero c’era anche perché la commissione di
controllo provinciale apportò alla convenzione una serie di
modiche sostanziali che servirono proprio a correggere quelle
irregolarità riscontrate.
Per questo nella sua lunga filippica contro il sindaco “Terra
di Lavoro” continuava:
“La convenzione a trattativa privata con I'ing. Petot? E
col comm. Picazio sindaco ? Oibò!
Un comizio per la convenzione a trattativa privata con
1'ing. Petot? Oh!
Ricordate, o cittadini; il comizio del maggio scorso,
quando il comm. Picazio s'impegnò di non farvi pagare la
tassa di esercizio e rivendita? Invece, vi è toccato pagarla, e
come. Col comizio, il comm. Picazio mira a far pressioni
sulla Prefettura, per l'approvazione della convenzione a
trattativa privata con l'ing. Petot.
Ma i1 prefetto Bladier - che ha un'esistenza nobilissima
di limpida probità e di assidua fatica - e i Componenti della
Giunta Provinciale Amministrativa - che sono tutti, prefettizi
ed elettivi, come il loro presidente insigne, prefetto gr. uff.
Bladier, esempio di rettitudine e di abnegazione, e fra i quali
vi sono taluni che hanno diritto all'ammirazione generale
per la loro decorosa povertà - non hanno avuto, vivaddio,
colloquio con l'ing. Petot e non si renderanno giammai i
complici del comm. Picazio.
L'acquedotto, sì, ma con un sindaco galantuomo! Col
comm. Picazio sindaco tenuto conto della sua vita e dei suoi
miracoli - la convenzione a trattativa privata con l'ing. Petot
non è, non può essere che rovinosa per Caserta.

58
I Fascisti hanno ingaggiato la battaglia, nella quale
vibra con l'anima loro tutta l'anima fidente di Caserta sana,
senza distinzione di partiti e di classi, poiché Caserta sana
reclama imperiosamente l'epurazione e la restaurazione
della pubblica cosa.

“Salvate questo sventurato popolo casertano”

Prefetto Bladier, a voi, integerrimo fascista della


prim'ora, i Fascisti, i vostri Fascisti, rivolgono l'appello, che
entusiasma, che elettrizza, che travolge, che trascina al
trionfo A noi!
Prefetto Bladier, in nome di Benito Mussolini, salvate
questo sventurato popolo casertano, mistificato, vilipeso,
dissanguato; questo popolo nostro, che alla guerra, per la
vittoria d'Italia, offrì il fiore più bello della sua giovinezza
eroica; questo popolo nostro, che, nella guerra, seppe
eccellere incomparabilmente per il più ardente, per il più
strenuo patriottismo; questo popolo nostro, che sostenne
fieramente, con magnifica disciplina, tutte le privazioni e
tutte le sofferenze, per la vittoria d'Italia !
A noi, prefetto Bladier, vi ripetono irresistibilmente i
Fascisti, i vostri Fascisti! E spazzate via l'onta e il danno del
Sindaco lestofante di Caserta, per Benito Mussolini e per il
Fascismo! Alalà !”
Avevano ragione i fascisti ad accusare il sindaco Picazio?
una risposta difficile da darsi, ma nel caso della trattativa privata
con l’ing. Henry Pitot in realtà molte irregolarità erano
riscontrabili.

La convezione della discordia

A lanciare l’allarme della trattativa che il sindaco Tommaso


Picazio stava conducendo con il sig. Petot fu un funzionario
governativo e capo-stazione a Maddaloni Superiore il sig.
Giuseppe Marotta che copriva la carica di consigliere comunale a
Caserta, in buona fede o sollecitato, non risulta da nessun
incartamento, evidenziò in tre successivi consigli comunali, le

59
gravi carenze, infatti, molte clausole erano a sfavore
dell’amministrazione. Sta di fatto che di li a poco Giuseppe
Marotta fu costretto alle dimissioni.
Dopo le polemiche e con la convenzione passata in
consiglio, la pratica fu sottoposta al vaglio della Giunta
Provinciale Amministrativa, che in seguito al parere dell'Ufficio
del Genio Civile di Caserta e al parere tecnico del prof. Conti e
dell'ing. Sanchini apportò una serie di modifiche sostanziali che
davano ragione a quanti affermavano che il Comune stava
facendo un pessimo affare. Nel preambolo della relazione è
scritto:
"Tenuto conto dell'utile che indubbiamente verrà alla
Società concessionaria durante il periodo contrattuale, sia per la
vendita dell'acqua, sia per la costruzione delle condutture
private e pel nolo dei contatori; tenuto conto altresì della
rilevante spesa sopportata dal Comune per la costruzione
dell'acquedotto e della fornitura gratuita dell' acqua alla Società
concessionaria, si ravvisa equa la corresponsione da parte della
stessa al Comune di una quota di compartecipazione negli utili,
dall'inizio del settimo anno della gestione, noti essendo, a parere
della Giunta, sufficiente corrispettivo la semplice organizzazione
del servizio che dovrà compiere la Società. Tale corrispettivo
potrà essere, a scelta dell'Amministrazione Comunale,
determinato o in canone fisso annuale o in una quota di utili
proporzionata al numero delle utenze a pagamento (ordinario e
ridotto), ovvero proporzionata alla quantità dell'acqua
collocata.”.
In effetti con la convenzione, così come era stata approvata,
la Società concessionaria non pagava neppure un centesimo al
Municipio. La Giunta Provinciale Amministrativa, con rilievi
significativi, dispose, invece, che il Municipio avrebbe ricevuto
una quota di compartecipazione degli utili della Società.

La querela non data

Nonostante i pro ed i contro, la campagna di opposizione al


Sindaco Tommaso Picazio continuava.
Era evidente che la stampa, vicino a quel gruppo di fascisti

60
che si andava infoltendo sempre più, voleva lo scontro frontale e
provocava il primo cittadino per costringerlo a querelare i suoi
accusatori, e da qui l’aumentare delle calunnie e delle
contumelie.
Un mese dopo, sempre “Terra di Lavoro” riprende le
invettive ed in un articolo intitolato “Il sindaco” ripercorrendo i
temi precedenti ed è una sfida aperta.
“Apprendiamo con gran piacere che il comm. Picazio ha
comunicato al Consiglio Comunale di avere ora superato gli
esami di procuratore - scriveva l’anonimo articolista, che in
definitiva era facilmente individuabile nel direttore del giornale
De Leonardis - In conseguenza, più fortunati dell'on Buonocore -
che tentò indarno riabitarlo col lavoro - noi, domandiamo al
comm. Picazio come vive e rimproverandogli l'unica sua
professione di sindaco, lo abbiamo finalmente trascinato a
mettersi e risolvere il problema di regolare sua posizione
sociale.
Alle accuse concrete e precise consacrate nel numero scorso
di Terra di Lavoro, una sola risposta ci dovea dare il comm.
Picazio, ce la aspettavamo immediata: una querela per citazione
direttissima, con illimitata facoltà di prova, con illimitato diritto
d'indagine su tutta la sua vita privata, su tutta la sua vita
pubblica, poiché il Sindaco che è a Caserta dev'essere
pienamente, assolutamente, insperabilmente illibato anche nella
vita privata, che è il patrimonio più geloso e il più nobile
orgoglio dei galantuomini.
Tale querela egli non ci ha dato e valgono a sostituirla le
sue buffonate e quelle dei suoi complici del Consiglio
Comunale?
Comunque, se non intende querelarci, il comm. Picazio
rassegni le dimissioni, con i suoi complici del Consiglio
Comunale, per provocare con le immediate elezioni, il responso
del popolo sulla sua persona sulla sua azione, sulla persona
sull'azione dei suoi complici del Consiglio Comunale.
Avanti! E vedremo quale sarà responso del popolo di
Caserta.”.
Una querela che non arrivò, almeno secondo i documenti
trovati finora. Pochi mesi dopo fu avviata, invece, un’inchiesta

61
ministeriale voluta dal prefetto Bonaventura Graziani che nel
frattempo aveva sostituito Gennaro Bladier. A condurla fu il cav.
rag. Vittorio Martelli16 Ispettore del Ministero dell’interno.
16
Il Rapporto Martelli
A seguito delle gravi denunzie fatte nei confronti della giunta presieduta
dal sindaco Tommaso Picazio il ministero dell’interno su richiesta del prefetto
predispose un'inchiesta e la verifica di molti atti messi in essere
dall’amministrazione.
Fu nominato in funzionario della prefettura il cav. Vittorio Martelli a
svolgere le indagini.
A termine del lavoro la sua dettagliata e pesante relazione arrivava alla
conclusione: “Per mettere il Comune nella via della salvezza occorre
provocare lo scioglimento dell’attuale amministrazione.”
Tutti gli esposti a carico del sindaco Comm. Picazio e degli altri
componenti la giunta municipale, erano stati fatti con lettere anonime,
indirizzate in parte al prefetto e in parte pervenute direttamente all’ispettore.
Altre denunzie si accumulavano sotto forme informazioni confidenziali e
riservate riposte direttamente al Martelli.
Nella sua analisi il funzionario governativo tralasciò di occuparsi di tutte
le dicerie e anche del privato del sindaco e che non avevano nulla a che fare
con l'azienda municipale e con le funzioni di primo cittadino e di assessore
municipale.
“Per questo - scriveva nel rapporto Martelli - ho creduto mio dovere di
verificare, con i mezzi di cui ho potuto disporre, quale fondamento avessero
gli addebiti medesimi.”
In generale risultò che alcune accuse erano infondate altre vere e, proprio
da questo si evidenza l’obiettività e l’equilibrio del Martelli che doveva in
seguito prendere la guida della città come commissario prefettizio.
Per ogni capo di accusa fu aperto un fascicolo con la relativa
documentazione che si andava ad aggiungere man mano che l’indagine
andava avanti.
Al primo punto c’era un’accusa di nepotismo: “Il medico condotto
Raffaele Ricciardi è parente del Sindaco Comm. Picazio e durante le sue
assenze si fa sostituire dal figlio Dott. Luigi il quale percepiva un altro
stipendio a carico del comune”
Il Martelli sull’argomento accertò che il Dott. Luigi Ricciardi era il figlio
del Dott. Raffaele, medico condotto. Da un certificato rilasciato dal Capo
dell'ufficio dello Stato Civile risultava che il dott. Ricciardi Raffaele era il
fratello uterino di Marsili Elvira, moglie del Maggiore medico Picazio
Antonio il quale era fratello del sindaco Comm. Picazio Tommaso.
Riguardo alla supplenza, risultava, dalla pratica consultata, che il dott.
Raffaele Ricciardi, durante il mese di ordinaria licenza usufruì con decorrenza
dal 1° settembre 1923, fu sostituito dal figlio dott. Luigi a carico del comune.
“Deve però farsi rilevare che il capitolato in vigore per i medici hanno

62
diritto di godere ogni anno di un mese di licenza e che la supplenza è a carico
del comune. - specificava il funzionario - Non credo superfluo di aggiungere
che la Prefettura, in fatto di supplenze mediche, con lettera 8 novembre 1922
n.36673 manifestò al sindaco non essere opportuno che, a sostituire un
medico condotto, sia dato incarico ad altro medico condotto, ma deve invece
ricorrersi ad un medico libero professionista. Il Dott. Luigi Ricciardi è un
medico libero professionista”.
Altri punti erano:
2° - “Tra le guardie municipali nominate sotto l'attuale amministrazione
figura Giuseppe Picazio, parente del sindaco”.
- Dal certificato rilasciato dal capo dell'Ufficio dello Stato Civile,
anagrafe e popolazione, risulta che non esiste alcuna parentela fra Picazio
Giuseppe Guardia Municipale e il Comm. Tommaso Picazio sindaco di
Caserta .
3° - “L'Avv. Di Guida Angelo, pensionato comunale, che fu riammesso
in servizio straordinario al Municipio durante l'attuale amministrazione, è
parente del sindaco Comm. Picazio, il quale volle con ciò favorirlo.
- Come dichiara il Capo dell'Ufficio dello Stato civile, il sig. Di Guida
Angelo fu Lorenzo e fu Picazio Rosa e il Comm. Picazio Tommaso fu
Giuseppe Graeffer e Maria Immacolata, sono cugini perché figli di Giuseppe e
Rosa Picazio germani. Intorno all'assunzione in servizio provvisorio dell'Avv.
Di Guida.
4° - “Il signor Giuseppe Abba, che ebbe a rilevare dal Municipio il
Magazzino e l'esercizio dell'Ente Autonomo dei consumi, è parente
dell'Assessore Municipale sig. Pasquale Maffei il quale ha, come
amministratore, concorso a far concludere un buon affare all'Abba che non
sarebbe fra l'altro, che un suo prestanome”.
- Intorno alla cessione al sig. Abba dell'esercizio, locali, merci e valori
dell'Ente Autonomo dei Consumi, mi riporto ad altro apposito capitolo. Dal
certificato rilasciato dall'Ufficio dello Stato Civile risulta che la moglie di
Abba Filippo è figlia di Coppola Elvira la quale è sorella a Coppola Carlotta
moglie di Giuseppe Maffei fratello germano dell'assessore Pasquale Maffei.
5° - “La guardia Municipale Iannelli Leucio è nipote dell'assessore
municipale Iannelli Andrea, il quale l'ha fatto nominare a quel posto”.
- Sta in fatto che la guardia municipale predetta è figlio di Marco Iannelli
fratello germano del dott. Andrea Iannelli Assessore Delegato che da pochi
giorni si è dimesso dalla carica di Assessore. La nomina a guardia municipale
effettiva di Leucio Iannelli è avvenuta dopo lo scioglimento del Corpo delle
Guardie, di cui si parla in uno speciale capitolo. Precedentemente alla nomina
a guardia effettiva, prestò servizio quale guardia provvisoria al quale ufficio
fu assunto insieme ad altri, però durante l'attuale amministrazione.
6° - “I denari raccolti dal Comitato pro monumento ai Casertani caduti in
guerra, furono consegnati al Municipio, e solo dopo cominciata l'inchiesta, ne
fu versata una parte minima al Tesoriere Comunale”.
- Da quanto ho potuto appurare da una deposizione scritta dall'ex

63
economo comunale Sig. Grimaldi, il denaro era sempre rimasto nelle mani di
questo, e il versamento avvenne dietro invito del municipio. Il fatto che il
Sindaco tramite gli atti e i documenti delle gestioni dei fondi raccolti dal
disciolto comitato, al Procuratore del Re, deve escludere a me sembra, il
sospetto che quel denaro sia invece rimasto lungamente nelle mani del
Sindaco.
7° - “La maestra Elvira Iannelli è figlia dell'Assessore Dott. Andrea
Iannelli e per il fatto della parentela con un amministratore del Comune, ha
trascurato di fare regolare servizio”.
- La predetta maestra è effettivamente figlia dell'Assessore. La sua
nomina a maestra risale a precedenti amministrazioni, cioè al 23 gennaio
1909, ma anche in detto anno, suo padre, il Dott. Andrea Iannelli era
Assessore, come ho rilevato dagli atti consiliari di quell'epoca. Riferibilmente
al modo come ha disimpegnato il servizio di maestra, mi riporto a quanto ho
già esposto in altra sede riferendo sull'andamento delle scuole elementari.
8° - “L'Assessore Municipale Sig. Dott. Andrea Iannelli ha collocato il
proprio figlio nell'istituto delle Case Popolari”.
- Il sig. Iannelli delle Case popolari è effettivamente figlio dell'assessore
predetto e fu assunto in servizio nell'Istituto delle Case Popolari nel giugno
1921 con l'assegno mensile di L. 300 ove rimase fino a qualche mese fa, sino
a quando emigrò per l'America (Riscosse lo stipendio sino al Settembre
1923).
9° - “L'Assessore Sig. Pasquale Maffei è anche Segretario in una borgata
e percepisce L. 100 al mese”.
- Questo addebito non ha alcun fondamento. I segretari delle borgate
sono pagati con mandati diretti in seguito a certificati di prestato servizio
rilasciati dai Delegati Municipali.
10° - “Il Delegato Municipale della frazione Casolla, Dott. Andrea
Iannelli percepisce l'assegno mensile di L. 100, mentre il mandato lo firma il
Segretario Tescione Gioacchino al nome del quale viene emesso”.
- Effettivamente il Delegato Municipale della frazione Casolla è il sig.
Dott. Andrea Iannelli e il Segretario è il sig. Tescione Gioacchino.
11° - “Alla famiglia del defunto Prof. Zuppardi il Comune liquida una
pensione non dovuta o in modo irregolare, perché genero dell'Assessore
Rendola Vincenzo”.
- Sta in fatto che il Consigliere Comunale Rendola Vincenzo è il suocero
del predetto professore. Il professore Enrico Zuppardi, ora professore di Storia
Naturale nel liceo Ginnasio Comunale pareggiato, fu regificato a decorrere dal
1° ottobre 1914. Il Prof. Zuppardi fu nominato professore nella scuola media
municipale in seguito a concorso con deliberazione consiliare 13 settembre
1919, debitamente approvata, e in seguito alla regificazione del Liceo
Ginnasio passò alla dipendenza dello Stato. All'epoca della nomina del Prof.
Zuppardi, il Rendola era consigliere comunale. Per la liquidazione della
pensione a carico dello Stato, il Municipio deve attestare il periodo di tempo
in cui il Zuppardi prestò servizio utile per la pensione stessa, alla dipendenza

64
del Comune. A ciò ha provveduto il Consiglio Comunale con la deliberazione
29 maggio 1923 n.71 approvata dalla G.P.A. nella tornata del 10 luglio 1923
al n.20417. Dall'atto consiliare risulta che il defunto prof. Zuppardi prestò
servizio alla dipendenza del Municipio per mesi otto e giorni 12. Cioè dal 20
novembre 1908 al 31 luglio 1909, ivi compreso il servizio prestato in qualità
di supplente.
12° - "L'ing. De Martino, praticante dello studio dell'ing. Fabbricat fu
pagato dal Comune".
- L'ingegnere Luigi Fabricat è il Direttore della costruzione delle Case
Popolari. L'Ing. Mario De Martino fu assunto, quale straordinario, presso
l'ufficio tecnico municipale, con lo stipendio mensile di L. 500 con
deliberazione 4 febbraio 1923 n.110 adottata coi poteri del Consiglio, per
corrispondere a conforme richiesta dell'ing. Capo dell'Ufficio medesimo. Dai
registri contabili si rileva che, con mandato n.920 del 14 settembre fu
liquidato e pagato ogni suo avere nella somma di L. 2450 per il periodo dal 4
febbraio al 30 giugno 1923.
13° - "Il Municipio tiene tuttora in servizio l'usciere Della Valle sebbene
la prefettura ne abbia imposto il licenziamento".
- Francesco Della Valle, in origine era alla dipendenza dell'Amm.
daziaria quale addetto al Macello e veniva pagato direttamente dal Direttore
del Dazio, per delegazione e per conto del Comune. Successivamente fu
nominato, insieme ad altri, Guardia Municipale provvisoria. Non essendo
stato compreso, nel novero di coloro che ottennero la nomina a Guardia
effettiva, fu nominato usciere straordinario a decorrere dal 9 ottobre 1922, con
l'assegno di L. 433,30 mensili compreso il caroviveri per coprire il posto
lasciato vacante dall'usciere effettivo Vitalone Giuseppe deceduto il 17
maggio 1922.

 Cimitero
14° il sindaco ha mercanteggiato a suo favore delle nicchie nel cimitero
per la sua famiglia.
- I loculi in questione rappresentavano un giusto scambio tra quelli di
sua proprietà abbattute e le nuove che si andavano a costruire per
l'ampliamento del cimitero.

 Mercato dei commestibili


15°- "Nell'aggiudicazione del lavoro di sopraelevazione del Mercato dei
commestibili per conto dell'istituto delle Case Popolari, si ricorse ad un trucco
per favorire il concorrente alle aste, sig. Vitrone il quale avrebbe saputo gli
estremi della scheda segreta (massimo e minimo dei ribassi) prima della gara
indetta per il conferimento dei lavori medesimi a licitazione privata".
- Ho esaminato l'incartamento che trovasi nell'ufficio dell'istituto delle
Case Popolari e ho avuto modo di constatare quanto segue:
1° per la licitazione privata furono diramati inviti a parecchie Ditte.
2° La scheda segreta redatta dall'amministrazione dell'Istituto, porta la

65
sola firma del Presidente Comm. Picazio; ha la data del 14 febbraio 1922;
stabilisce il ribasso minimo in L. 0,90% e il ribasso massimo in L. 1,90%.
3° La gara, a schede segrete, avvenne il giorno 14 dicembre 1922 cioè
dieci mesi dopo redatta la scheda dell'Amministrazione.
4° I concorrenti presentatisi alla licitazione e le offerte fatte sono i
seguenti:
a) Tuccillo Raffaele - ribasso L.2,25%
b) Catapane Ciro - ribasso L. 3,75%
c) Vitrone Giuseppe - ribasso L. 1,85%
5° - L'aggiudicazione rimase al sig. Vitrone il quale fece un’offerta di
ribasso contenuta nel limite massimo stabilito dall’amministrazione, e
differente da questa di soli 5 centesimi. La misura bassissima del limite
massimo ammesso per conseguire l’aggiudicazione dei lavori, che fu segnata
nella scheda segreta dell'Amministrazione, la differenza che corre tra questo
limite e le offerte fatte dai concorrenti Tuccillo e Catapane e la quasi
coincidenza con l’offerta fatta dal Vitrone sono elementi che hanno
determinato i sospetti e le denunzie a me pervenute. In ordine alla formazione
della scheda segreta da parte dell’Amministrazione ho creduto di interpellare
il sig. Ing. Fabricat che, a parer mio, avrebbe potuto meglio di ogni altro,
spiegare in base a quali criteri furono stabiliti gli estremi massimo e minimo
in cui doveva essere contenuta l'offerta del ribasso.
Come si desume dalla sua dichiarazione “la scheda segreta
dell'Amministrazione fu stabilita sulla media di tre numeri scritti in segreto
dal Presidente del Consiglio di Amministrazione Comm. Picazio e dal
Direttore dei lavori ing. Fabricat) e compilata lo stesso giorno in cui fu tenuta
la licitazione privata”.
Dunque i limiti entro cui doveva svolgersi la gara non furono stabiliti con
un criterio tecnico, ma dalla sorte. In quanto all’affermazione fatta dal sig.
Ing. Fabricat che cioè la scheda fu redatta lo stesso giorno in cui fu tenuta la
gara, si osserva che ciò non risponde a verità perché la scheda segreta che si
conserva in atti, porta la data, come si è detto, del 14 febbraio, cioè che vuol
dire che fu redatta 10 mesi prima. I prezzi unitari dell’opera da compiersi
furono stabiliti dallo stesso Ing. Fabricat il quale non fece approvare e
neppure esaminare da un ufficio superiore, la perizia da lui compilata, mentre
quelle d’altre opere appaltate dall'istituto delle Case Popolari portano una
sanzione superiore.
16° - “Il Sindaco Comm. Picazio, si è ingerito personalmente
dell'acquisto del carbone per la distillazione e produzione del gas occorrente
all'officina gestita dal Municipio. Il carbone è di pessima qualità e fu pagato
ad un prezzo superiore al normale”.
- Da una dichiarazione scritta dal Direttore del Gasometro sig. Tamagnini,
risulterebbe che il carbone fu acquistato sentiti il sig. Ing. Amendola, addetto
all’officina del Gas e il Direttore dell’officina suddetto .
La dichiarazione è incompleta perché risponde solo ad una parte di
quanto fu da me richiesto, e messa in relazione con precedenti affermazioni

66
verbali, risulta anche poco attendibile. Per verificare se il prezzo del carbone
fatto al comune era normale, fu chiesto il bollettino dei prezzi del mercato alla
Camera di Commercio di Napoli riflettente il periodo in cui il Comune si
impegnò nell'acquisto, ma non è stato possibile fare un riscontro esatto perché
la denominazione del carbone specificante la qualità contenuta nella denuncia,
non trova riscontro con le denominazioni del detto bollettino.
La denuncia lascia intravedere dei fatti che a me manca il mezzo di
appurare. Una più esauriente indagine potrebbe essere affidata ad un esperto
che sia in grado di identificare la qualità del carbone, e riferendosi all’epoca
dell'acquisto, stabilirne il prezzo.

 La bolletta del gas non pagata


17° - “l sindaco Comm. Picazio, consuma il gas, ma non lo paga”.
- Per accertare quanto potesse esservi di vero in questa denuncia ho
esaminato il registro dei conti correnti degli utenti gas, dal quale è risultato
che il 13 ottobre il Comm. Picazio era in debito verso l'officina per L. 121,28
per gas consumato nelle sue abitazioni in via Corso, 192 e nella Villa
Marzano nei mesi dal giugno all’agosto. Per il mese di settembre non era stata
fatta la ricognizione del gas consumato e denunciata all'ufficio la somma da
inscriversi nella contabilità.

 La delibera non ratificata


18° - “L'amministrazione municipale per favorire persona amica, nominò
Ingegnere tecnico presso l'officina del Gas il sig. Ing. Amendola per
procurargli un altro posto, avendo dovuto lasciare quello che la stessa
Amministrazione gli aveva prima procurato nell'istituto delle Case Popolari.”
- Gli avversari politici degli attuali amministratori insinuano che all'Ing.
Amendola fu conferito un posto nell'Istituto delle Case Popolari, ove è
l'ingegnere Direttore sig. Fabricat ma che, per ragioni di indole oltremodo
delicato, tra i due Ingegneri, che prima erano uniti da vincoli di verace
amicizia e di reciproca stima, sorse poi improvvisamente un insanabile
dissidio in conseguenza del quale era necessario che l’Amendola lasciasse
l’Istituto delle Case Popolari. Ma poiché si voleva evitare che egli perdesse
l'assegno mensile dal detto istituto, l'Amm. comunale, pensò di trasferirlo al
Gasometro con l'incarico di fare accertamenti sulla gestione di quell'azienda.
Dall'esame degli atti e da interrogatori è risultato: nella tornata consiliare del 6
marzo 1921 n.125 il Sindaco riferisce testualmente quanto segue: «La vita
amministrativa del Comune si esplica attraverso molteplici organi integrativi i
quali rivestono carattere di vere e proprie aziende speciali, aziende che, per un
sicuro e normale funzionamento, debbono essere controllate e ispezionate
tanto in rapporto alla gestione di fatto, quanto in rapporto alla gestione di
diritto. D'altra parte, l'esame dei consuntivi degli esercizi scorsi non può
essere espletato soltanto e interamente dai revisori dei conti per l'enorme e
paziente lavoro di revisione, epperò, indubbiamente, per assolvere questo
importantissimo obbligo di legge, sarà necessario far coadiuvare i revisori da

67
un professionista d'indiscussa onorabilità e di provata competenza per il
rapido disimpegno di tali funzioni. Ravviso altrettanto per l'azienda complessa
del Dazio, e non mi dilungo in altri dettagli, per quanto concerne l'azienda del
gasometro». Dopo lunga e dettagliata discussione sugli argomenti accennati
dal Presidente, alla quale prendono parte diversi Consigliori, il Presidente
formula il seguente ordine del giorno: «Il consiglio, udite le dichiarazioni del
sindaco, conferisce alla Giunta ampio mandato perché, d'accordo coi revisori
dei conti, provveda con assunzione di personale provvisorio alla funzione
ispettiva, sulle aziende e contabilità municipali.»
La deliberazione fu approvata e trasmessa alla Prefettura che l'approvò
incondizionatamente alla designazione delle persone da nominarsi e alla
durata dell’incarico che non doveva oltrepassare l’anno in corso. Con
deliberazione d'urgenza, la Giunta Municipale il 25 luglio 1923 dà incarico
all'Ing. Enrico Amendola, assegnando il termine di due mesi, di studiare i
progetti per uno sfruttamento più redditizio dell'officina del gas, di accertare
la consistenza dell'impianto e riferirne poi all'Amministrazione. Come
compenso si stabiliscono L. 1000 mensili, con decorrenza dal 1° agosto 1923.
Sennonché la Prefettura, con lettera 6 agosto 1923 n. 25007 ravvisando la
necessità imprescindibile che l'officina del gas sia ceduta all'industria privata
e che perciò non possa riuscire di nessuna utilità lo studio preventivo di un
programma di espansione e di miglioramento, ritiene opportuno che l’opera
dell’Ing. Amendola sia limitata soltanto alla consistenza e alla valutazione
dell’officina e all’esame delle offerte già presentate da Società, per
l’alienazione o la gestione dell’azienda stessa.
La deliberazione della giunta municipale adottata in via d'urgenza il 25
luglio 1923, fu restituita al Comune col seguente provvedimento: "N. 25007
Div. 2/1-6 agosto 1923. Preso atto, salvo ratifica consiliare, con riferimento
alla lettera di pari data e numero".
La deliberazione non fu ratificata dal Consiglio. Anzi a questo riguardo
si fa rilevare che indetta una convocazione del Consiglio per il giorno 3
ottobre p.p. per trattare, tra altri oggetti portati nell'ordine del giorno, anche
della ratifica di 87 deliberazioni adottate in via d'urgenza dalla giunta
municipale nel periodo di tempo che va dal 21 dicembre 1922 all'11 giugno
1923, non figura tra le deliberazioni da ratificarsi, quella anzidetta del 25
luglio 1923.
L'Ing. Amendola, come è detto in altro capitolo riferibile all'officina del
Gas in quasi nove mesi, non ha compiuto quel lavoro che doveva espletare in
soli due mesi.
Dall'esame della pratica in corso ho rilevato che in una riunione della
Giunta Municipale, avvenuta il 27 novembre 1923, sempre coi poteri del
consiglio, si deliberò di prorogare l'incarico conferito all'Ing. Amendola a
tutto il 31 dicembre 1923.

68
Si mise subito all’opera interrogando persone informate sui
fatti, dipendenti comunali e chi spontaneamente si presentava da
lui per denunciare presunte irregolarità commesse dal sindaco.
Durate la sua permanenza a Caserta ricevette numerosissime
lettere anonime che lo informavano, almeno così era scritto nelle
missive, delle malefatte del primo cittadino.
Il sindaco aveva visto tramontare la sua stella, erano lontano
i tempi della sua elezione nell’autunno del 1920 quando un
consiglio Comunale quasi al completo, 37 consiglieri su 40, lo
votò all’unanimità. Una maggioranza bulgara si sarebbe detto
oggi 36 a favore un solo astenuto.
Quando prestò giuramento nelle mani del prefetto ad
accompagnarlo c’era l’on. Buonocore che ora sembrava assente
da tutta la faccenda e rimaneva sulla sua posizione di neutralità.

Un sindaco saltimbanco della politica

Il 1923 fu l’anno in cui si scatenò una battaglia per la


moralizzazione dell’amministrazione del municipio di Caserta.
Si trattò della logica conseguenza di quei nuovi principi che
facevano parte del bagaglio culturale di coloro che avevano
creduto nella rivoluzione del 28 ottobre e cioè: spezzare quel
clientelismo imperante e quel malgoverno che si era diffuso nel
paese in modo così radicale da arrivare fin nei piccoli comuni.
Lo scontro quindi tra i fascisti che si ispiravano a Padovani e
il sindaco Tommaso Picazio non fu contrapposizione di ideali,
perché si trattò di un regolamento di conti avvenuto all’intermo
del fascismo stesso, (in più occasioni Tommaso Picazio elogiava
e si appellava a Mussolini ed insisteva per avere l’iscrizione al
Partito Nazionale Fascista), fu guerra di potere che vedeva da un
lato i seguaci del Buonocore e dall’altro quelli che volevano
eliminare il malcostume imperante e i nepotismi di un sindaco
che per mantenere la sua poltrona aveva elargito favori e piaceri
a tutti i consiglieri comunali ed agli assessori che di fatto si
rendevano complici del degrado morale in cui versava il palazzo.
I ripetuti manifesti e gli articoli, contro i dirigenti locali del
partito fascista fatti affiggere e pubblicare dal Picazio, (fino ad
oggi non abbiamo ancora trovata traccia negli archivi) li

69
possiamo dedurre da quanto scrive Eduardo de Leonardis su
Terra di lavoro del 30 Giugno 1923 n. 25 in un corsivo intitolato
“Antifascismo”:
“Il sindaco di Caserta, comm. Picazio, dopo che fu respinta,
per indegnità politica e morale, la sua domanda di ammissione
al Partito Nazionale Fascista, iniziò una subdola lotta contro i
Fascisti di Terra di Lavoro e specialmente contro i loro
Dirigenti, pur ricorrendo alla manovra di dichiararsi varie volte
al giorno fascista ardente, fascista nell'anima, ammiratore di S.
E. Mussolini, devoto a S. E. Mussolini. Egli, che non più tardi
del 4 ottobre 1922, in un documento ufficiale, cioè nella sua
relazione per l'acquedotto (sottoscritta anche dai suoi colleghi
della Giunta), rilevava le benemerenze dell'on. Giuseppe
Buonocore, egli non è avvinto nè al Fascismo, nè ad altri partiti,
ma è soltanto un autentico saltimbanco, che si affanna
scaltramente a sfruttare le vicende ministeriali, per non perdere
il dominio municipale e per non abbandonare le sue speculazioni
particolari.”.
Il giornalista definisce Picazio “un saltimbanco che non
vuole perdere il dominio municipale”. Del resto il sindaco, come
più volte gli fu contestato, non aveva né un mestiere né una
proprietà, una grave mancanza per il tempo in cui gli
amministratori dovevano dare e non prendere dalle casse delle
pubbliche amministrazioni.17

La falsa fede monarchica

“Del resto, non si sa che la dimostrazione monarchica,


preparata dal sindaco Picazio (col conscio od inconscio
concorso di quella tale Associazione dei Comuni), per il 14
maggio, in occasione del passaggio per Caserta di S. M. il Re,
17
Per chi in parallelo ha seguito le vicende del più fortunato Giuseppe
Buonocore che messosi in disparte con l’avvento del fascismo, riprese la sua
vita politica nel 1943 nelle fila della Democrazia Cristiana, non può che
vedere delle analogie del saltibanchismo di Picazio con il suo padrino degli
anni venti.
Infatti il Buonocore, rieletto deputato e successivamente sindaco di Napoli,
ben presto entrò in contrasto con la Democrazia Cristiana degasperiana e si
affiliò nel più comodo laurismo pur di mantenere un suo potere.

70
fu, nei disegni del sindaco Picazio, una dimostrazione
antifascista? - ribadiva il giornale - E non compresero ciò a
Roma, d'onde al Popolo d'Italia l'autorevole corrispondente
Gaetano Polverelli telefonava precisamente così: Anche in
Campania, specialmente con la mobilitazione dei Sindaci in
Terra di Lavoro, il giuoco antifascista si è svolto allo scoperto
?18. E il 3 giugno, festa dello Statuto, prima che il Consiglio
Comunale deliberasse di conferire la cittadinanza onoraria a S.
E. Mussolini, proprio il sindaco Picazio, al Municipio, non invitò
a parlare il Presidente della Federazione Provinciale dei
Combattenti il quale, nel suo discorso involuto, non si rivelò
entusiasta per il Fascismo e per il Governo Fascista?
E a proposito: 1'iniziativa della cittadinanza onoraria a S.
E. Mussolini, presa dal comm. Picazio, fu un atto di sincerità, o
non fu un altro suo industre espediente, pei suoi noti fini?”.
Ma ci fu qualcuno che si opponeva fermamente al picazismo
tanto che faceva sentire la sua voce e denunciava gli stratagemmi
del primo cittadino casertano. Era un ex ufficiale pluridecorato di
Santa Maria Capua Vetere: Tommaso Messore. Infatti sempre
dell’articolo antifascismo di Terra di lavoro si legge: “Al
Consiglio Comunale di S. Maria C. V., l’avv. cav. Messore - che
votò la - cittadinanza onoraria a S. E. Mussolini, di cui esaltò le
insigni e cospicue benemerenze - disse che: "la proposta del
sindaco Picazio era stata determinata da ragioni personali ed
elettorali, specialmente perché non veniva da aderenti al Fascio,
ma da chi, non essendo potuto entrare nel Fascismo per
indegnità, credeva con tale proposta di rifarsi la verginità
politica per far sì che si perpetuassero nella nostra Provincia i
vecchi e deplorevoli metodi di lotta, mentre sarebbe l'ora di
bandire ogni forma di servilismo e di clientela ".
L’ambiguità del Picazio la si può anche vedere dalle sedute
del consiglio comunale il 14 giugno 1923: fece un lungo elogio a
Benito Mussolini, ma nel contempo ebbe a sottolineare come
“Caserta, col Governo Fascista, avea perduto la Regia Guardia,
l'Ufficio di Elettrificazione delle Ferrovie dello Stato, il
Provveditorato agli Studi, la R. Scuola Normale Maschile”,
18
(Popolo d'Italia del 17 maggio, n. 117)

71
aggiungendo che altri danni si minacciavano.
Il vizietto di dare una botta al cerchio ed una alla botte gli
rimaneva il più congeniale, affermavano i suoi oppositori.
“Ed ora il sindaco Picazio scrive e diffonde giornali contro i
Fascisti di Terra di Lavoro, pur non rinunziando all'abituale
manovra di osannare a S. E. Mussolini.”.

La tessera fascista negata

Vista l’impossibilità di avere la tessera del PNF, il sindaco


sparlava dei suoi mancati camerati a destra e manca.
“Nessuno si sorprende della propaganda antifascista,
dell'attività antifascista del sindaco Picazio; nè se ne affliggono
e offendono i Fascisti di Terra di Lavoro, i quali, invece, si
affliggerebbero e offenderebbero, se ad essi toccasse l'onta della
simpatia e dell'appoggio del sindaco Picazio, del quale ormai
sono a cognizione di tutti la vita, i miracoli, i livori e gli scopi. -
scriveva De Leonardis- E' strano e doloroso, però, che si presti a
diventare alleato del sindaco Picazio qualcuno, che si vanta
ancora di essere fascista, come 1'avv. Lamberti. Ed è strano e
doloroso appunto per l'avv. Lamberti, e non per gli altri.
E quale giudizio si dovrebbe pronunziare per quella
epistola, pubblicata il 23 giugno dall'avv. Lamberti? E da quale
ideale egli fu mosso, quando non celò nemmeno la cura di voler
rispondere al manifesto del 19 giugno, con cui la Federazione
Provinciale del Partito Nazionale Fascista s'impegnava coi
cittadini di Caserta di conseguire la redenzione municipale?
Egli non previde che il pubblico avrebbe pensato che mirava a
guadagnarsi le grazie del sindaco Picazio per il concorso al
posto di segretario capo al Municipio?
E, dopo la grave crisi, ormai superata, che nel maggio
scorso travagliò il Fascismo della Campania grave crisi non
suscitata, no, da infedeltà e disobbedienza a S. E. Mussolini e al
Fascismo, ma da sentimentalità e solidarietà sorte senza dubbio
in piena buona fede - è seria, è patriottica, è onesta simile
epistola, che avrebbe potuto rinnovare e alimentare dissensioni e
competizioni, quando vi è tanta irrefrenabile necessità di ferrea
disciplina, di salda compattezza e soprattutto di spontaneo e

72
fervido affetto?
Per fortuna, con la sua epistola malvagia e balorda, della
quale tutti gli intelligenti hanno capito i veri motivi, l'avv.
Lamberti non è riuscito a scuotere per nulla la formidabile e
invincibile compagine del Fascismo di Terra di Lavoro, come
egli non é riuscito ad offuscare minimamente la illibata
reputazione dei presenti Dirigenti Provinciali del Fascismo, i
quali sono circondati, come a Roma, così in Terra di Lavoro, da
meritata fiducia.”
E poi concludeva: “Dopo di che, lasciamo pure che il
sindaco Picazio continui nel suo antifascismo, che è onore e
gagliardia per il Fascismo, e lasciamo anche che lo segua 1'avv.
Lamberti, con stoltezza inqualificabile.
Ma serrino le file le pure Camicie Nere, i puri Nazionalisti
coi quali è imminente l'auspicata fusione leale e fraterna - per
l'attaccamento a S. E. Benito Mussolini, per il trionfo del
Fascismo, per le maggiori fortune della Patria!”.

Il sindaco che spadroneggia

Tra le accuse mosse al sindaco Tommaso Picazio ci fu quella


che riguardava la convenzione stipulata per la concessione della
fornitura dell’acqua ad un’azienda straniera la “Compagnie
d'Entreprises des Conduites d'Eau”19 di cui era responsabile il
19
Quanto pagavano i casertani per l’acqua nel 1923?
L’art. 10 della convenzione Picazio così stabiliva: E' data facoltà ai
proprietari degli stabili di prendere a nolo e manutenzione i contatori, giusta la
tabella che segue:
Tabelle contatori
Contatori Doat a quadrante asciutto:
Da 7 mm. - L. 226,50 - nolo e man. 20%,, L. 11,30 trimestre.
Da 10 mm. - L. 264,70 - nolo e man. 20% L. 13,25 trim.
Da 13 mm. - L. 293,05 - nolo e man. 20% L. 14,65 trim.
Da 20 mm. L. 381,05 - nolo e man. 20%,, L. 19,05 trim.
Contatori Doat a quadrante bagnato
Da 10 mm. - L. 255,50 - nolo e man. 2001,, L. 12,75 a trim.
Da 15 mm. - L. 283,85 - nolo e man. 2001,, L. 14,20 a trim.
Da 20 mm. - L. 371,80 - nolo e man. 20°lo L. 18,60 a trim.
il quadrante bagnato potrà essere impiegato sulle condutture a bassa
pressione.

73
sig. Henry Petot. Davanti ad un bene sociale di questa levatura
non tutti i casertani potevano stipulare contratti per avere in casa
l’acqua. Troppa esosa era la spesa una volta che l’acquedotto
comunale sarebbe passato in mani private.
Le accuse rivolte al primo cittadino erano dure perché il
contratto stipulato tra Comune e società francese prevedeva che
tutti gli oneri fossero a carico dell’amministrazione e tutti i
vantaggi per il privato.
Fu chiesto l’intervento della giunta provinciale
amministrativa che si espresse con un ordinanza datata 16 giugno
1923 tramite il parere dello genio civile e del tecnico prof.
Luciano Conti ordinario della facoltà di costruzioni idrauliche
all’università di Roma e dell’ing. Sanchini in cui si affermava:
“Tenuto conto dell'utile che indubbiamente verrà alla

E' ammessa una tolleranza non oltre il 5 % in più o in meno nell'esattezza


dei contatori.
La rottura e rimessa dei sigilli saranno oggetto di un verbale sottoscritto
dalle parti.
Anche per quest’articolo come per il resto fu fatto per tutti i 34 previsti
dalla convenzione, la Giunta Provinciale Amministrativa apportò delle
sostanziali modifiche a correttivo di quanto fu sottoscritto tra sindaco e la
“Compagnie d'Entreprises des Conduites d'Eau” aggiungendo i seguenti punti:
“a) Sia chiaramente specificato che il Comune non intende dare alcuna
garanzia nello sviluppo dei consumi, ma, solo per rendere più agevole il
compito alla Concessionaria, compirà gli atti di cui all'art. 5 del regolamento
per la distribuzione dell'acqua, e che non assume alcun obbligo circa la
costruzione del serbatoio, la cui mancanza non potrà mai dar diritto alla
Società di sollevare pretese contro il Comune per qualsiasi ragione di sorta”.
“b) La Giunta ritiene oltremodo gravoso per gli utenti l'onere di un
duplice contatore (quello principale e quello divisionario). Se per ragioni
tecniche la Concessionaria non crederà di dover prescindere dall'impianto dei
contatori principali, detto onere dovrebbe cadere esclusivamente a carico di
essa con un contributo del Comune allo scadere della concessione, qualora
intenda rilevarli”.
“c) I contatori divisionari dovranno essere forniti ai privati
esclusivamente a nolo e divenire tutti, allo scadere della convenzione, senza
alcun compenso, proprietà del Comune”.
d) I prezzi di nolo dei contatori debbono essere almeno ridotti alla metà,
ed il canone annuo, commisurato al 20 % sopra i nuovi prezzi, dovrà essere
pagato dagli utenti per nolo, manutenzione e ammortamento dei contatori
stessi”.

74
Società concessionaria durante il periodo contrattuale, sia per la
vendita dell'acqua, sia per la costruzione delle condutture
private e pel nolo dei contatori; tenuto conto altresì della
rilevante spesa sopportata dal Comune per la costruzione
dell'acquedotto e della fornitura gratuita dell'acqua alla Società
concessionaria, si ravvisa equa la corresponsione da parte della
stessa al Comune di una quota di compartecipazione negli utili,
dall'inizio del settimo anno della gestione, noti essendo, a parere
della Giunta, sufficiente corrispettivo la semplice organizzazione
del servizio che dovrà compiere la Società. Tale corrispettivo
potrà essere, a scelta dell'Amministrazione Comunale,
determinato o in canone fisso annuale o in una quota di utili
proporzionata al numero delle utenze a pagamento (ordinario e
ridotto), ovvero proporzionata alla quantità dell'acqua
collocata.”.
A seguito della decisione dell’organo ispettivo provinciale, i
detrattori del sindaco ebbero a dichiarare alla popolazione che:
“Con la convenzione del comm. Picazio, la Società
concessionaria non pagava neppure un centesimo al Municipio.
La Giunta Provinciale Amministrativa, con rilievi considerevoli,
dispone, invece, che il Municipio riceva una quota di
compartecipazione degli utili della Società.
Sicchè, il comm. Picazio, con la sua convenzione, sacrificava
gl'interessi di Caserta, li ha, invece, tutelati la Giunta
Provinciale Amministrativa.”.
Tra le correzioni più importati che la Giunta Provinciale
pretese, fu quella all’art. 2, comma 2, in cui si prevedeva solo
l’esonero del Comune da responsabilità ed oneri di qualsiasi di
natura derivanti dall'esistenza, dalla gestione e dalla
manutenzione dell'acquedotto stesso.
La Giunta Provinciale Amministrativa, oltre a stabilire la
suddetta modifica, dispose di includere l'obbligo per la
Concessionaria di portare l'acqua, con opportune diramazioni ed
entro un mese dall'inizio della gestione, alle n. 52 fontanelle
pubbliche, che avrebbero dovute tutte essere trasformate
rapidamente a getto intermittente, in ogni caso non oltre un anno
dall'inizio della gestione, con diramazioni e trasformazioni che la
Società concessionaria avrebbe dovuto compiere a totale sue

75
spese, nessuna esclusa, assumendosi la relativa e regolare
manutenzione delle stesse per tutta la durata della concessione.
Si voleva venire incontro ad un problema sociale altamente
sentito nella popolazione, quello di assicurare a tutti i cittadini la
fornitura d’acqua considerata un bene primario su cui nessuno
doveva speculare.
Anche il successivo articolo 3 della Convezione Picazio fu
notevolmente cambiato garantendo che la società che gestiva
l'acquedotto non avrebbe in futuro potuto aumentare i prezzi al
metro cubo, che già di per sé erano gravosi. Infatti la Giunta
Provinciale decise di integrare l’articolo 3 che prevedeva: “La
Compagnia è autorizzata a riscuotere il prezzo di abbonamento
dell'acqua dai diversi utenti, in ragione di L. 0,60 a metro cubo
per il minino di consumo, e di L. 0,90 per ogni metro cubo di
eccedenza, come risulterà dalla polizza di abbonamento”, con: “i
prezzi indicati non potranno mai essere superati da qualsiasi
ragione di sorta, e specificatamente per maggiori oneri che
eventualmente potessero gravare sulla Società concessionaria,
anche se dipendenti da forza maggiore”.

La reazione delle opposizioni

Il responso della Giunta Provinciale Amministrativa diede


un duro colpo all’immagine dell’Amministrazione Comunale. I
cittadini nella sentenza individuavano un complotto tacito a loro
danno ed a favore di un’azienda per di più straniera.
Una convenzione, quella corretta dalla Giunta Provinciale,
completamente ribaltata che dava l’occasione a coloro che
combattevano l’operato del sindaco di formulare nuove accuse:
“Della convenzione del comm. Picazio, non resta, dunque, dopo
l'ordinanza della Giunta Provinciale Amministrativa, che la
documentazione solenne dei profitti, che si attribuivano alla
Società, e dei danni, che s'infliggevano a Caserta e ai suoi
cittadini. - affermavano gli oppositori - Resta a lui l'atroce ironia,
la rovente beffa, la feroce presa in giro, di cui hanno voluto
colpirlo il prefetto gr. uff. Gennaro Bladier e il consigliere cav.
uff. Gagliardi, i quali, dopo avergli crudelmente portato via
l'arrosto, si sono compiaciuti largirgli il fumo. Comunque, in

76
mancanza dell'arrosto, da esperto prestigiatore, il comm. Picazio
si conforta col fumo, almeno, se non per altro, per accecare i
gonzi, dei quali Caserta non difetta, e per legare viepiù alle
proprie responsabilità i suoi complici del Consiglio Comunale. E
se ne conforta, per diffondere e far diffondere menzogne e
menzogne e menzogne, nelle quali la sua impudenza non ha
confini.
Tutte le più industrie manovre avea adoperate il comm.
Picazio, per fare approvare la sua convenzione, ma ogni suo
scaltro espediente è stato vano, poiché è bastato che gli onesti
leggessero appena la sua convenzione - pur non conoscendo la
vita e i miracoli di lui - per convincersi che, mentre essa
sacrificava senza pietà gl' interessi di Caserta e dei suoi cittadini,
ponea largamente in condizioni di privilegio, invece, la Società
concessionaria!
Non ripetiamo oggi che il comm. Picazio non ha che la
professione di sindaco, pure spendendo e spandendo; non
ripetiamo oggi le sue prodezze pubbliche e private, che lo
caratterizzano perfettamente.
Rileviamo che oggi ci è dato alfine di giudicarlo alla stregua
del suo più importante atto di sindaco, quello, cioè, riguardante
nientemeno la salute pubblica: ebbene, si può negare che egli sia
un sindaco nefasto?
Ed egli spadroneggia al Municipio, senza fastidio, senza
controllo, senza opposizione, come meglio gli è comodo e
proficuo!
Ah, se fosse lecito esaminare sulle carte e sulle cifre la vasta
ma equivoca attività municipale del comm. Picazio, quale altra
schiacciante documentazione della rovina di Caserta, che egli
compie pervicacemente, e pour cause!
Ma l'ora del rendiconto dovrà suonare”.

Le conclusioni del rapporto Martelli

Con il rapporto Martelli la giunta di Tommaso Picazio volge


definitivamente al termine. La forte spallata data dai fascisti
specie da parte di quel gruppo che faceva capo ad Aurelio
Padovani aveva fatto nascere nei casertani, in modo velato, quel

77
desiderio di normalità amministrativa. La politica doveva basarsi
non più sul clientelismo, di cui Giuseppe Buonocore, attraverso
il sindaco, si era reso artefice ed era diventato il maggior
esponente in città. Buonocore non era casertano, ma conosceva
la vita locale per avere frequentato il liceo classico Giannone e si
era fatto tanti amici.
Tommaso Picazio pagava un conto amaro anche se la storia
successiva dimostrerà che la sua fu un’amministrazione difficile
e turbolenta. Era in effetti, l’ultima eletta democraticamente
prima di un periodo di commissariamento del comune. Con
l’abolizione delle elezioni amministrative, si dava ai podestà, per
decreto, l’incarico di amministrare le città.
Complessivamente, però, Tommaso Picazio nel burrascoso
mare della politica dell’immediato dopo rivoluzione non si
dimostrò un ingenuo. Sapeva far valere la sua esperienza anche
se il suo modo di governare era ritenuto dai nuovi arrivati non
adeguato ai tempi. Si ispirava più a Giolitti che a Salandra e
questo era dovuto ad un sistema radicato da secoli nella
mentalità locale che pagava i clientelismi e penalizzava le nuove
idee di uguaglianza che voleva la società, con uguali diritti e
doveri. Fare sinergia per mirare alla crescita della collettività.
Postulati questi abbracciati in toto dal fascismo di Padovani,
propagandati da Raffaele Di Lauro suo portavoce.
La relazione di Vittorio Martelli, comunque prescindeva dai
fatti politici e si limitava ai presupposti ed agli atti realizzati
durante il mandato del primo cittadino.

I progetti mancati

Scriveva Martelli: L'attuale amministrazione, appena salita al


potere, nello scorcio dell'anno 1920, si propose lo svolgimento di
un vasto programma che, considerato a sé, doveva lusingare
chiunque avesse a cuore il miglioramento edilizio della città e
l'incremento dei più importanti pubblici servizi. Per affrontare la
sua attuazione, il Comune avrebbe dovuto seguire due vie dirette
a fornire i mezzi necessari per fronteggiare le spese nuove che
avrebbero inevitabilmente gravato il bilancio comunale e cioè:
l'aumento delle entrate da conseguirsi con l'imposizione di nuove

78
tasse e con l'incrudimento di quelle già attuate; la diminuzione
delle spese, da ottenersi con la soppressione di quelle non
necessarie e la riduzione in più stretti limiti di quelle che
avrebbero offerto la possibilità di sicure economie. Il bilancio
rafforzato nelle sue entrate e alleggerito nelle sue spese, avrebbe
offerto quel margine, quell'avanzo di gestione di competenza da
destinarsi all'estinzione dei mutui da contrarsi per quasi quattro
milioni per l'attuazione del programma predetto. Ma né l'una né
l'altra via seguì la nuova amministrazione, la quale invece spiegò
un'azione diametralmente opposta, un'azione quindi negativa per
il conseguimento dei fini propositi, distruggendo in parte, quanto
di buono era stato fatto durante le precedenti gestioni
straordinarie dei due Commissari Regi per l'assestamento del
Bilancio. Infatti, come è stato detto, per conseguire una non
sincera popolarità, per rafforzare il proprio partito alla vigilia
delle elezioni generali politiche, l'amministrazione comunale
rinunziò per l'anno 1920, con grave danno del Bilancio, a quella
tassa di esercizio che poi fu ripristinata in misura di molto
inferiore alla somma che si sarebbe potuta realizzare; credette
buona politica piegarsi alle pressioni che venivano da coloro che
offrivano tutto il loro appoggio all'Amministrazione conferendo
impieghi a questo e a quello, quando negli uffici municipali non
si era manifestato un reale bisogno di aumento di personale.

I favoritismi

La nuova amministrazione, sempre per tema di crearsi


nemici, non curò affatto di sanare l'ambiente municipale,
allontanando da esso il personale che aveva commesso
gravissime e scandalose irregolarità. Il trattamento fatto
all'Economo Grimaldi e la mancanza di ogni sanzione
disciplinare verso Agenti al soldo del Comune, quando i capi
servizio denunciarono gravi abusi, è stata una politica disastrosa
che ha intaccato il decoro della civica azienda e ha costituito un
cattivo esempio tra il personale municipale ove ormai, si è certi,
che si può mancare impunemente, senza correre il rischio di
essere puniti. Una tale politica diretta a circondarsi d'amici, a
mantenere salda una maggioranza, fece chiudere gli occhi nella

79
liquidazione di spese che talvolta si appalesano assai superiori al
valore delle cose fornite, dei servizi resi. Le dotazioni passive dei
bilanci furono eccedute, anche in ordine a quelle spese che al
contrario avrebbero potuto essere contenute in più modesti limiti
e poiché, a sanare tali eccedenze si ricorse a storni di fondi,
deliberati nel modo già esposto, furono assorbite non solo quelle
economie che ogni amministrazione deve cercare di mantenere
integre per diminuire i disavanzi di amministrazione
precedentemente formatisi, ma furono stornate e distrutte anche
le rimanenze contabili che dovevano invece essere conservate,
perché le cause della costituzione dei fondi in bilancio non erano
cessate, per modo che ciò facendo l'Amministrazione ha dovuto
poi ripeterle, come cosa nuova nei successivi bilanci, spostando
così la competenza passiva dei vari esercizi. L'amministrazione
non si preoccupò gran cosa delle frequenti deficienze di cassa nel
senso di cercare la via decorosa per eliminarle, né delle difficoltà
finanziarie che incepparono il funzionamento dei vari servizi,
con l'intento di sanare il male che andava sempre più
aggravandosi, e invece di chiudersi in un raccoglimento
doveroso e prudente, preferì ricorrere ad ogni espediente per far
danaro, alla chetichella, senza deliberazioni lasciando all'oscuro
di tutto ciò gli amministrati, parte degli amministratori e
l'autorità Tutoria. E così furono impegnate le cauzioni e così
furono stornati i fondi assegnati a determinati servizi tra cui, ad
esempio, quello relativo alla sistemazione delle strade, e come
l'incauto agricoltore che mangia il grano in erba,
l'Amministrazione Comunale chiese in anticipazione all'Esattore
Comunale le rate d'Imposte e tasse non ancora scadute, sino
all'ultima per poter pagare spese indilazionabili, quali quelle del
personale municipale, esaurendo così ogni ulteriore risorsa per
l'avvenire. L'Amministrazione Comunale ha dovuto ricorrere
spesso e per somme non indifferenti, a mutui cambiari i quali,
sebbene creati per un breve periodo, sono in buona parte ancora
da estinguere e sui quali si pagano sempre gli interessi.

80
La triste situazione finanziaria

La situazione finanziaria è triste e preoccupabile e deve


quindi cercarsi il modo di migliorarla. Con una politica di
raccoglimento, informata alla visione serena di ciò che è
doveroso e possibile di fare, per assicurare a tutti i servizi un
normale funzionamento, cercando di conseguire ovunque il
massimo rendimento con il minore sacrificio possibile, con la
rinuncia ad imprese che, fra l'altro, non sono reclamate da
bisogni impellenti e che in ogni modo non dovrebbero mai essere
affrontate se non dopo assicurati al Bilancio i mezzi necessari,
contenuti, si intende, nella potenzialità del Bilancio stesso; con
una razionale riduzione delle spese di personale da effettuarsi
con criteri di giustizia e di convenienza e soprattutto con
coraggio e al di sopra di ogni interesse di partito politico o
municipale o di clientele; con la valorizzazione dell'officina del
gas, dell'acquedotto e delle case popolari, con qualsiasi forma di
gestione, purché al comune sia assicurato un beneficio
finanziario da conseguirsi o con la riduzione delle attuali spese, o
con la compartecipazione degli utili delle aziende, rinunziando a
chimerici arricchimenti di là da venire, il comune potrà riuscire,
in breve tempo, a dimettere ogni passività e poter vivere senza
rattoppi, ripieghi, miserevoli espedienti che debbono esulare dai
metodi di amministrazione di un'azienda municipale di una
grande città. Ma potrà questo compito essere affidato all'attuale
amministrazione? Dopo quanto ho esposto, esorbiterebbe
dall'incarico che mi è stato affidato, suggerire provvedimenti da
adottare al riguardo i quali, ritengo, non potranno essere disgiunti
da considerazioni di ordine politico, alle quali io debbo rimanere
completamente estraneo. Ma per quanto riguarda la salvezza del
comune, economicamente e finanziariamente considerata, io
vedo prospettarsi inesorabile un dilemma: o l'amministrazione
attuale riconoscendo i suoi errori, vorrà dare spettacolo di
ravvedimento e disporsi senz'altro a battere un'altra via, quella
sopra tracciata o, se ciò non è sperabile né possibile, sarà bene
che lasci, volente o nolente, ad altri il governo della cosa
pubblica. Ma per cambiare i programmi, l'esperienza insegna,

81
occorre cambiare gli uomini e io penso che per mettere il
Comune nella via della salvezza occorra provocare lo
scioglimento dell'attuale Amministrazione Comunale.

Il rapporto Martelli finì nelle mani del prefetto Gennaro


Bladier che dopo attente consultazioni e sotto la pressione
politica dei partiti decise per lo scioglimento
dell’amministrazione.
Si avviava così sul viale del tramonto l’epoca di Giuseppe
Bonocore e della sua corte. Tommaso Picazio per evitare l’onta
della decisione prefettizia si dimise due giorni prima che fosse
reso noto il provvedimento. Era il marzo del 1924.
Fu proprio Martelli a guidare, come commissario Regio, le
sorti del Comune dal 10 marzo del 1923 al 9 gennaio del 1925.
Tentò invano di sistemare le disastrate casse comunali e una
moralizzazione della vita amministrativa, ma tutto fu inutile.
Riuscì in parte a sanare i conti, il commissario prefettizio
Gaetano De Blasio20.
20
Il commissario che illuminò Caserta
Il profilo del funzionario della prefettura che fu messo a reggere le sorti
dell’amministrazione comunale di Caserta nel 1925 lo abbiamo trovato in una
testata concorrente al “Mattino” Un elogio che spesso serviva poco ai
funzionari dello stato se non per far carriera, un ossequio che avrebbe però
maggiormente apprezzato un politico in cerca di pubblicità.
“Allorché, tra la fine del 1924 e il principio del 1925, - scriveva l’anonimo
cronista - il prefetto gr. uff. Graziani dovette provvedere a una nuova
Amministrazione Straordinaria per Caserta, egli, che alla sistemazione del
Municipio di Caserta è legato per prestigio personale e per pubblico
vantaggio, prescelse, con illuminata e illimitata consapevolezza, il suo vice-
prefetto cav. uff. dott. Gaetano De Blasio.
Se per l'aspra missione al Municipio di Caserta il gr. uff. Graziani volle il cav.
uff. De Blasio, segno è che questi ha indiscutibili requisiti di rettitudine e di
competenza. Del resto, chi è che non apprezza quale integerrimo e valoroso
funzionario il cav. uff. De Blasio, la cui vita - tutta lavoro, tutta parsimonia,
tutta sacrifizio - è un ininterrotto apostolato per l'adempimento scrupoloso del
proprio dovere, nell'alto rispetto di sè stesso e del suo ufficio? E sarebbe stato
testè trasferito a Napoli questo Vice-Prefetto, se non ne fosse assolutamente
degnissimo appunto per gli indiscutibili e insuperabili requisiti di rettitudine e
di competenza, pei quali il gr. uff. Graziani lo preferì per il Municipio di
Caserta. Ora, se tale Commissario Prefettizio ha proceduto alla soluzione del
problema dell'illuminazione per Caserta Centro e Borgate, è lecito, è onesto

82
Caserta sull’orlo del dissesto
Come sempre accade, quando un commissario si insedia per
nomina prefettizia a guidare una città che per motivi vari non si
da una propria amministrazione, il nuovo arrivato deve fare il
punto su quello che trova specie sui conti pubblici, per cui dopo
un’attenta disamina con il segretario comunale Lamberti, De
Blasio, nel vedere che i conti non quadravano dovette
rammaricarsi e non poco con chi lo aveva preceduto che non era
riuscito la dove stava per arrivare lui. Del resto a vederci chiaro
in quei conti era difficile, ma era necessario conoscere le cause
che avevano portato l’amministrazione a non avere un attivo di
gestione. Un’abitudine per quei tempi, una assurdità per i giorni
d’oggi perché la realtà ci porta di fronte, un Comune sull’orlo del
dissesto finanziario con capitoli di spese a volta ignorati e che
escono fuori non appena qualcuno tenta di estrinsecarsi nella
complicata contabilità fatta di ipotesi di incasso e consulenze
elargite con fin troppa facilità.
Il bilancio presentato al Commissario nel lontano 1925
apparentemente portava un avanzo di amministrazione di quasi
173.000 lire ma in realtà non era così.
Si trattava per la stampa locale di un grave documento, che
gli elettori avrebbero dovuto esaminare “con austera cura”,
perché, nel giorno del voto per ricostituire il Consiglio

dubitare che egli non si sia ispirato alla più rigida tutela del nostro Comune?
Ed una sua deliberazione può minimamente difettare della più specchiata
saggezza?
E i censori della soluzione, data dal cav. uff. De Blasio al problema
dell'illuminazione, non sono, notoriamente, speculatori e loro paladini ?
Fra il Commissario Prefettizio -fiduciario del gr. uff. Graziani per la probità e
la perizia - e i suoi censori, che sono speculatori e loro paladini e che hanno,
notoriamente, brame di lucri a danno del Municipio, quale, dunque, il
giudizio?
Semplicissimo il giudizio di chi conosce uomini e cose: il cav. uff. De Blasio
ha avuto a cuore, anche in questa occasione, come sempre, il pubblico
interesse limpidissimo, mentre i suoi censori, che sono gli speculatori e i loro
paladini, sbraitano, anche in questa occasione, come sempre, per il proprio
interesse di inconfessabile. E questo è quanto, almeno per ora.

83
Comunale, avessero scelto uomini, con capacità morale ed
amministrativa tali da salvare Caserta dalla ineluttabile, completa
rovina.
“Uomini, - scriveva De Leonardis - che abbiano la capacità
morale ed amministrativa, rafforzata dalla preminenza sociale
ed economica a Caserta non mancano, ma s'impone che essi,
anziché preferire il comodo quietismo, assumano, con alto
spirito di devozione e di abnegazione, le ardue responsabilità,
fidenti che il loro civismo nobilissimo avrà il più sincero e valido
appoggio, del prefetto gr. uff. Graziani e delle Gerarchie
Fasciste, che hanno già, per la meritoria opera compiuta, un
inderogabile impegno di onore a vantaggio del Municipio di
Caserta.”.
Cosi come era necessario, De Blasio faceva precedere il
bilancio contabile da una serie di riflessioni che da sole erano
l’esatta fotocopia di una città di provincia, dai tanti problemi
irrisolti, che per la maggior parte si concretizzavano in gravi
disagi per i cittadini. Una città che aveva una sua dignità e di
conseguenza un bilancio che risultava attivo, ma che, a conti
fatti, era un falso perché c’erano delle passività, e questo era un
pessimo esempio per i comuni vicini.
Così si esprimeva al riguardo, il Commissario Regio:
“Considerato che la situazione finanziaria del Comune,
nel momento in cui l'attuale Amministrazione Straordinaria
assunse la gestione del Comune, si rivelò oltremodo
dolorosa ed impressionante; - Considerato che il grave
disagio finanziario risaliva agli esercizi passati e
propriamente a quello del 1922, 21perché in detto esercizio
fu formato un bilancio non rispondente alla realtà, nel quale
figurava un avanzo di amministrazione di lire 172.743,05,
nonostante i rimaneggiamenti delle cifre dimostrassero
anche, con analisi sommarie, la esistenza invece di un
effettivo disavanzo;
Considerato che il Comune, capoluogo di una delle più
fiorenti Province del Mezzogiorno, e che doveva essere di
esempio ai Comuni viciniori, ebbe aggravata la sua
21
amministrazione Tommaso Picazio, n.d.r.

84
condizione, poiché quell'avanzo, che non era affatto reale e
che avrebbe dovuto costituire il consolidamento della civica
finanza, produsse la sua logica conseguenza, la discesa cioè
fatale, che, per legge contabile, doveva ripercuotersi sugli
esercizi successivi;
Considerato che, se non possa ritenersi assolutamente
impossibile il risanamento della finanza del Comune, purché
sia seguita rigorosamente ed ininterrottamente una politica
di forte economia, non può disconoscersi e negarsi che
motivi d'indole generale, costituiti dalla gran mole di spese
fatte e d'impegni, assunti durante le passate gestioni,
rendono oggi indispensabile richiamare tutta l'attenzione dei
cittadini e delle Autorità su questo stato di fatto, per
invocare da queste ultime provvedimenti eccezionali in aiuto
della finanza locale, resa sempre più esausta dallo sforzo
quotidiano di diversi anni.”.
Per porre rimedio, prima di far uscire allo scoperto il caso, il
commissario straordinario si era impegnato a realizzare una serie
di provvedimenti tali da cercare di pianificare la situazione.
Infatti seguì la più rigida economia nella erogazione di fondi per
le spese più urgenti ed obbligatorie e trascurò quelle facoltative,
“non richieste dalla necessità del presente”. Tutti provvedimenti
di limitata efficacia perché quello che mancava erano soprattutto
nuove e più entrate per fronteggiare le maggiori spese,
regolarizzare la vita amministrativa del Comune stesso ed
eliminare il grave inconveniente che la paralizzava, e cioè il
costante disavanzo di cassa. “Un disavanzo - precisava De
Blasio - che produce il discredito costante dell'Ente per la
impossibilità, quasi quotidiana, di soddisfare i numerosi e
sempre crescenti creditori”
Una situazione insostenibile, perché, per una infinità di fatti
amministrativi, ogni iniziativa era rimasta una buona intenzione
senza trovare riscontro nella pratica reale. Problemi che avevano
portato anche ad un notevole ritardo nella compilazione del
esercizio preventivo dell’anno 1925.
La scrupolosità dell’amministrazione commissariale doveva
essere puntigliosa e precisa perché comportavano l’analisi
dettagliata degli stanziamenti e sopratutto l’accertamento per

85
contenerli nei limiti dello strettissimo necessario. Anche perché
il Comune era alla prese con possibili transazioni e rateizzazioni
di debiti con i vari creditori, promettendo loro di soddisfarli
appena l’amministrazione avesse avuto delle disponibilità
effettive.
Amaramente De Blasio dovette ammettere che “ogni sforzo
però in questo senso è riuscito in gran parte vano, perché i
giudizi pendenti sono continuati e continuano ed i creditori,
gravemente impressionati delle condizioni troppo note, nelle
quali il Comune si dibatte, non hanno nella gran maggioranza
voluto aderire all'invito, dichiarando invece di pretendere il
pagamento integrale dei loro crediti e minacciando di non
desistere dai diversi giudizi, dei quali ben si prevedono i risultati
sfavorevoli al Comune.”.
In realtà De Blasio individua nel bilancio di previsione
presentato dal precedente commissario regio Vittorio Martelli (il
sindaco Tommaso Picazio aveva lasciato il Comune nel marzo
del 1924) e reso esecutivo dalla prefettura dopo aver apportato
una serie di correttivi per fronteggiare il disavanzo economico e
di amministrazione, parecchie anomalie tali da non potersi
realizzare alcun assestamento della difficile condizione
finanziaria, perché con esso si cercò conseguire il pareggio
mediante tre rilevanti stanziamenti attivi, due per un complessivo
ammontare di lire 500.075,39 per supposti utili della gestione del
gazometro per gli esercizi 1923-1924, ed uno di lire 1.545.000
per un mutuo a dimissione di passività e pareggio del forte
disavanzo di lire 1.067.000;
Di detti stanziamenti si realizzò soltanto, e nemmeno per
intero, il mutuo di lire 1.000.000, contratto con l'appaltatore del
dazio, mutuo che, in quel momento difficile del Comune, fu di
aiuto precario, costituendo un rilevante aggravio per l'esercizio
corrente e per i successivi, stante 1'obbligo dell'ammortamento
nel breve termine di soli dieci anni.
In effetti del milione furono riscosse solo lire 705.000,
mentre le rimanenti 295.000 furono sequestrate da creditori del
Comune e malgrado tutti i tentativi bonari e giudiziari per
svincolare la somma e procedere a pagamenti di qualche
creditore più minaccioso, non si riuscì nell’intento.

86
A questi pesanti problemi si aggiungevano altre questioni
che dimostravano come le precedenti gestioni del palazzo di Via
Jolanda Margherita (attuale via Mazzini dove aveva sede il
palazzo municipale) non erano state delle più oculate.
Il gazometro che certo non godeva di buona salute era stato
ceduto al Comune in base a transazione con la Ditta Annebique,
ma funzionava per proprio conto, pur non essendosi costituito in
azienda autonoma, e senza intervento alcuno
dell'Amministrazione del Comune, tanto che tutte le sue
operazioni contrattuali e contabili non risultavano nell'Ufficio
Comunale. Un inconveniente che solo con la gestione
commissariale si stava provvedendo a sanare, affidando la
conduzione dell’impianto al Comune ed escludendo quindi ogni
ingerenza del Direttore. Il gasometro aveva, al 31 dicembre
1924, debiti (per saldo acquisto di carboni da gas nell’anno in
corso ) in lire 220.247,70, oltre diversi pagamenti in corso sia per
precedenti giudizi sostenuti dal Comune, che per
1'ammortamento del debito di riscatto dell'azienda stessa, quota
d'interessi, tasse ed altro.
Ma come sempre a pagare erano i cittadini ed i mezzi
escogitati significarono più tasse. Tra queste fu applicata
l’imposta sui pianoforti, il rimaneggiamento della tassa sulle
insegne straniere, l'applicazione di imposte sulle insegne in
lingua italiana, una più rigorosa applicazione di quella di
esercizio e rivendita autorizzata per l'anno corrente, non esclusa
la formazione dei ruoli suppletivi, il rimaneggiamento,
coll'applicazione del quarto, della tassa di famiglia, delle tariffe
daziarie, l'applicazione dell'addizionale comunale sulle bevande
vinose ed alcooliche e l'aumento della tassa di occupazione di
spazi pubblici.

L’aumento delle imposte

Nonostante l’aumento delle tasse, il commissario era riuscito


a fare poco per migliorare la situazione finanziaria del comune;
infatti Gaetano De Blasio, nella sua relazione precisava come
ogni buona volontà di colmare il disavanzo era rimasta frustrata
davanti alle ingenti somme liquidate ed approvate fin dagli

87
esercizi precedenti, per il pagamento delle quali nessun mutuo,
anche eventualmente contratto a condizioni vantaggiose, sarebbe
stato sufficiente, in considerazione del fatto importantissimo che
il Comune non aveva un patrimonio tale da potere ricavare
rendite onde concorrere con i tributi al rafforzamento del
bilancio.
Complessivamente i tributi ammontavano a lire 131.573,70,
dalle quali, occorreva togliere le entrate occasionali ed il ricavato
dalle concessioni di acqua del nuovo condotto del Carolino pari a
lire 89.576,75.
I realtà fatte le dovute sottrazioni il reddito reale consisteva:
1° - Fitti reali fondi rustici, lire 483,40.
2° - Fitti reali di fabbricati, lire 27.926,00.
3° - Censi e canoni attivi, lire 3.637,55.
4° - Interessi, lire 3.130,35.
Le passività, in definitiva, erano tali che l’amministrazione
di Caserta non godeva più la fiducia delle banche che non
avrebbero concesso alcun prestito.
“Quest'Amministrazione è certa che qualsiasi mutuo a
condizioni eque non sarà concesso da alcun Istituto Bancario,
nonostante le attuali condizioni, dalla Cassa Depositi e Prestiti,
per estinzione di passività”.
De Blasio, che storicamente, a detta di chi lo conosceva, fu
uno dei migliori amministratori di questa città, non riteneva
opportuno comunque utilizzare “l'abusato sistema di far fronte
ad esigenze ordinarie con entrate straordinarie, e aggravare la
futura condizione finanziaria del Comune con l'onere
dell'ammortamento di un unico mutuo per dimissione di
passività”
E come capita nelle amministrazioni che debbono risanare
gravi dissesti l’unica via di uscita era quella di superare i
coefficiente delle aliquote sull’imposta sui terreni e fabbricati
oltre il limite bloccato, confidando negli Uffici competenti della
consistenza del bilancio del Ministero delle Finanze, che in
applicazione dell'art. 12 del regio decreto 16 ottobre 1924, n.
1613, l’avrebbero potuto elevare per l'esercizio in corso da lire
591.081,40 a lire 1.615.102,74. In definitiva più che raddoppiato
le entrate.

88
Una strada che era necessaria seguire perché la sovrimposta
applicata era molto bassa, ed appena sufficiente al pagamento
delle delegazioni già rilasciate a garanzia dei diversi mutui
contratti e dei contributi a favore dello Stato per le Scuole
Medie. Una richiesta di aumento che già negli anni precedenti fu
avanzata. Infatti, fin dal 1922 furono iniziate pratiche per elevare
tale ammontare, ma queste poi non ebbero seguito perché
erroneamente si ritenne che l'avanzo di amministrazione,
risultante di lire 172.743,05), fosse un avanzo reale, e di
conseguenza non vi fosse motivo per procedere a tale aumento.
L’amministrazione in effetti aveva escogitato, per far fronte
al bisogno assoluto di procurare nuove entrate per provvedere
alle nuove e rilevanti spese e a soddisfare i creditori del Comune,
tutti i mezzi possibili ed in particolare aveva individuato i
seguenti punti:
1°) - Applicazione del contributo per manutenzione stradale,
istituito col regio decreto 18 novembre 1923, n. 2538, e in
esecuzione di determinazione già adottata nell’anno precedente
dall’Amministrazione Straordinaria;
2°) - Appalto del servizio delle pubbliche affissioni a
condizioni vantaggiose per il Comune, stabilendo una quota
minima certa di versamento in lire 18.000 annue, pari a lire 1500
mensili, al netto da qualsiasi spesa o gravame, oltre una
percentuale alla fine di ciascun anno sulle maggiori riscossioni;
3°) - Stanziamenti in bilancio di lire 30.000 all'art. 17, e lire
30.000 all'art. 34; il primo per ricavato dalla vendita della
spazzatura delle vie e piazze pubbliche e vuotatura di pozzi neri;
il secondo per ricavato dalla vendita di sottoprodotti dell'azienda
del gas.
In questa grande criticità anche il personale del comune
aveva fatto dei sacrifici per fare delle economie, infatti, oltre a
non godere della seconda indennità caroviveri, non gli era stato
assicurato a fine mese lo stipendio. Il municipio per onorare i
suoi impegni verso le maestranze ricorreva ad espedienti di
cassa, operazioni che “intralciano il normale andamento
amministrativo e contabile.”
Il comune per questi indebitamenti aveva dovuto rinunziare,
in realtà ad una serie di spese necessarie e trascurare indiscutibili

89
necessità, di urgenza e di pubblica utilità e anche i pubblici
servizi “con grande disdoro della Città, che nella sua qualità di
importante capoluogo di Provincia ha pure dei doveri e delle
esigenze dalla quale non può assolutamente prescindere”

La soppressione di scuole ed enti

Il dissesto oltre ad una cattiva amministrazione in effetti era


conseguenza di mancati introiti dovuti ad una serie di
provvedimenti che nel 1922, avevano soppresso dal Capoluogo
importanti uffici ed istituzioni e che erano fonte di “non
indifferenti incassi”:
- la riduzione di un Reggimento di Cavalleria;
- la riduzione di una Compagnia del Treno;
- la soppressione della Scuola della Regia Guardia per la
Pubblica Sicurezza con 2500 Allievi;
- la soppressione dell' Opificio Militare Equipaggiamento e
Calzature di S. Benedetto;
- la soppressione di una Compagnia di Sussistenza;
- la soppressione di una Compagnia di Sanità;
- il trasferimento della Scuola Allievi Ufficiali di
Complemento nel finitimo Comune di Casagiove;
- il trasferimento a Roma della Scuola Allievi Ufficiali della
Regia Guardia di Finanza;
- la soppressione del Deposito del personale viaggiante delle
Ferrovie;
- la soppressione del Deposito del personale di macchine
delle Ferrovie;
- il trasferimento a Benevento degli Uffici di Elettrificazione
delle Ferrovie, che prendono la forza idroelettrica dalla Provincia
di Terra di Lavoro;
- la soppressione della Scuola Normale Maschile;
- l'abolizione del Regio Provveditorato agli Studi.
Tutti provvedimenti che si erano maturati in un periodo di
grande instabilità per l’Italia e sotto i governi di Giovanni
Giolitti, Ivanoe Bonomi e Luigi Facta e che addirittura
culmineranno alla fine del 1926 con la soppressione della
Provincia di Caserta da parte del Governo di Benito Mussolini.

90
A Caserta sembrava stare in aperta campagna

Le pessime condizioni finanziare in definitiva comportavano


anche la mancata realizzazione di opere che erano necessarie per
la città come: il serbatoio dell'acquedotto, indispensabile per
assicurare il costante rifornimento di acqua alla cittadinanza,
anche perché l'acqua del Carolino affluiva in misura limitata
dovuta ad un carente canalizzazione dell'acquedotto tanto che
alcune arterie principali del centro ed frazioni come San
Clemente, Tredici e Centurano, erano prive di acqua corrente ed
altre, come Casertavecchia, Sommana, Casola e Pozzovetere,
erano addirittura senza acqua; mancava un edificio scolastico nel
Capoluogo e le Scuole erano adattate in ambienti “non
rispondenti ai più elementari precetti d'igiene”; mancava una
fognatura stradale con evidente grave danno della sanità
pubblica; non esisteva un mercato decoroso; la manutenzione
delle strade lastricate era stata, per mancanza di mezzi,
trascurata, portando, come conseguenza, un peggioramento del
patrimonio stradale; la manutenzione delle strade inghiaiate era
fatta molto sommariamente e con mezzi di fortuna.
De Blasio, inoltre, annotava come alcune importanti arterie
del Centro (Via Napoli, Via Roma, Viale Ellittico ecc..) erano
senza pavimentazione di modo che proprio nel cuore della città
si aveva la sensazione di essere in aperta campagna e a questo si
aggiungeva la mancanza di fondi che aveva impedito
l'allargamento e l'apertura di nuove strade tra le quali, Via
Redentore, dove era stato ultimato un nuovo palazzo.
Mancava il Palazzo delle Poste ed era urgente provvedere
alla costruzione di orinatoi e qualche pubblica latrina.
Anche per la sicurezza e per il settore ospedaliero le cose
non stavano certo bene: mancava completamente il materiale
pompieristico, l'Ospedale Civile era in condizioni assolutamente
disastrose per la impossibilità forzata del Comune al pagamento
di un adeguato sussidio, “I malati preferiscono essere ricoverati
negli Ospedali di Napoli, presso i quali il debito spedalità cresce
di anno in anno, e che non era [è] stato possibile al Comune
istituire una guardia medica, indispensabile, data l'estensione

91
del territorio; che si è dovuto ridurre al massimo di 25 il numero
dei mendaci ricoverati nell'Ospizio di Santa Lucia, che prima
conteneva oltre 50 derelitti.”.
In definitiva una città non all’altezza del ruolo di capoluogo
di provincia. Il Comune non poteva provvedere ad un confacente
servizio d'innaffiamento, non avendo i mezzi per far costruire i
carri occorrenti, per la stessa ragione il pubblico servizio dello
spazzamento lasciava a desiderare, essendo in uso ancora i
carrettini che furono acquistati nel 1913; nelle fiorenti grandi
borgate, che Caserta aveva, anche i più elementari servizi
pubblici non venivano curati, se non in forma “rudimentale”; i
mutui, in via di con cessione, non erano richiesti nella misura
adeguata, appunto per la indisponibilità della sovrimposta; la
manutenzione degli edifici municipali era abbandonata, di tal che
il pubblico macello era cadente.

Le evidenti inadempienze

Le inadempienze contenute nel bilancio comunale erano, per


il commissario prefettizio Gaetano De Blasio, evidenti e molte
uscite non erano state riportate nei rendiconti precedenti, anzi il
nascondere la realtà del bilancio era diventata una prassi. Nel
nuovo bilancio, quindi, il commissario metteva in evidenza che il
deficit non teneva conto delle somme dovute agli appaltatori
delle opere stradali, perché il pagamento attraverso espedienti
legali e procedurali era stato frazionato in più rate.
Il comune del resto aveva contratto dei mutui ritenuti
indispensabili:
1° - Mutuo per lavori di - restauro a Palazzo Vecchio,
1.290.000,00. lire
2° - Mutuo pel completamento delle Case Popolari,
1.000.000,00. lire
3° - Mutuo suppletivo per l'acquedotto comunale,
776.786,15. lire
4°-Mutuo pel completamento dell'acquedotto comunale, lire
146.000. lire
5° - Mutuo per edifici scolastici nelle Borgate, 902.700,00.
6° - Mutuo per la ricostruzione delle strade inghiaiate,

92
285.993,90. lire
In definitiva, per fare una sintesi di come stavano le finanze
dell’amministrazione il documento contabile registrava:
“Le spese di competenza nella parte organica (titoli 1° e 2°)
ammontano nella rilevante somma di lire 6.248.412,35.
Le variazioni, in aumento, ammontanti a lire 3.375.200,12
dipendono:
L'art. 1° (interessi passivi) è aumentato di lire 67.238,45 per
il carico relativo al mutuo dì un milione di lire concesso
dall'appaltatore del dazio e quello relativo al saldo debito di lire
400.000 alla Ditta Annebique per transazione relativa al
gazometro;
Per le risultanze dell'esercizio 1924 è aumentato l'art. 3 per
imposte, sovrimposte e tasse di lire 500;
L'art. 12 è stato aumentato di lire 700 per manutenzione di
locali addetti ad altri servizi pubblici;
Le spese - di cui agli articoli 7. 8, 9, 22, 38, 43, 44, 47, 59 e
94 - tutte relative a stipendi, salari, contributi al Monte Pensioni,
vestiario e Cassa di Previdenza, sono state aumentate,
estendendo 1'applicazione del regio decreto 31 marzo 1925, n.
363, che ha reso obbligatorio l'aumento del supplemento del
servizio attivo ai maestri elementari;
Per le ragioni su esposte sono stati aumentati gli
stanziamenti degli articoli 14, 18, 27, 37, 55, 60, 70, 90, 92, 99,
102, 103, 108 e 109, onde mettere il Comune in condizioni di far
fronte al pagamento di spese già liquidate ed approvate, ivi
compresi il pagamento di debiti dipendenti da giudizi già
espletati ed in corso con appaltatori e fornitori del Comune,
nonché con varie categorie d'impiegati per mancato pagamento
della seconda indennità caroviveri;
E' stato aumentato il fondo per le feste nazionali (art. 31) di
lire 3500, portandolo a lire 6000, per far fronte a pagamenti di
spese già fatte e provenienti da esercizi precedenti.”.
Le entrate, comunque, dovevano essere aumentate anche per
far fronte alle spese relative alla scuola ed al personale del
Comune che un po’ per clientelismo ed un po’ per necessità, era
stato aumentato dalle amministrazioni precedenti e in alcuni casi
non se ne vedeva l’utilità immediata.

93
Infatti, il commissario De Blasio, successivamente darà
corso ad una ristrutturazione delle funzioni che porterà ad una
diminuzione degli impiegati. Un’operazione non condivisa dai
politici che sarà l’occasione per mettere sotto cattiva luce il
solerte amministratore.
Alla categoria "Spese per 1'istruzione pubblica" furono
congruamente aumentati per il pagamento della indennità
suppletiva di servizio attivo al personale insegnante delle Scuole
Elementari, stipendi, Monte Pensioni, canone allo Stato ed altre
spese obbligatorie nella somma di lire 42.974,48 e per lire
30.000 per contributo allo Stato per la regificazione della Scuola
Commerciale e spese diverse in applicazione del regio decreto 4
maggio 1925, n. 706.
Furono aumentati “lievemente” il compenso di lavori
straordinari agli impiegati per un totale di lire 2000, così pure
furono destinate per il fondo di riserva lire 16.796,51 e per il
fondo per le spese impreviste di lire 10.000. Non marcarono i
fondi per il funzionamento del Dispensario Celtico di lire
1749,95 e per pagamento d'indennità di buona uscita a due
medici condotti e una levatrice, collocati a riposo per
soppressione di posti.
Per le opere sociali De Blasio scrisse: “E' stato aumentato
l'art. 106 di lire 300 e l'art. 113 di lire 15.000 il primo per
trasporto di mentecatti al Manicomio, il secondo per l'aumentata
quota a favore del Mendicicomio di Caserta e Capua per il
ricovero di mendici a carico del comune”.
Si volle poi assecondare le esigenze del personale daziario
stanziando un fondo di 34.000 lire per saldo degli arretrati di
seconda indennità caroviveri, in esecuzione di sentenza della
Corte di Appello di Napoli, passata in giudicato.
Problemi l’ufficio del dazio ne dava, tanto che, a distanza di
due anni, nel 1927, con l’avvento del podestà Giovanni
Tescione, fu aperta una lunga inchiesta.
Il capitolo acquisti di beni, migliorie e affrancazioni,
rappresentava la trasformazione del patrimonio del Comune e
poteva essere riscontrato nella parte attiva del bilancio, ad
eccezione del pagamento della seconda rata alla Ditta
Annebique, di lire 200.000, per transazione relativa al il

94
gazometro; per acquisto di n. 10 azioni dell'Istituto Nazionale di
Credito per il Lavoro Italiano all'Estero in lire 510 e saldo
all'Impresa Gabriele per costruzione di aule al Liceo in lire
11.171,90.
Una delle ultime note dolenti era rappresentata
dall’estinzione di debiti, la cui voce affermava il commissario:
“è aumenta di lire 93.875,08 per rata di ammortamento del
mutuo di lire 1.000.000 coll'appaltatore del dazio mentre all'art.
145 è stata impostata la quarta rata in lire 10.000 a favore
dell'erario dello Stato per ammortamento del debito per le Classi
aggiunte all' ex Regia Scuola Tecnica; senza dilungarci a
parlare di qualche stanziamento esagerato che per ragioni facili
ad intuirsi ha dovuto essere ridotto, come: il dazio consumo, per
il quale, pure essendosi applicato il massimo delle tariffe vigenti,
si è dovuto diminuire lo stanziamento di lire 200.000 in
confronto a quello dell'esercizio scorso, per essersi dimostrata
esagerata tale previsione, e di qualcuno aumentato, come quello
sul gas luce e sulla energia elettrica, consumata dai privati, di
lire 30.000; con la sicurezza che tale previsione si realizzerà,
avendo tenuto presenti i risultati del primo quadrimestre
corrente anno”.
Un bilancio Comunale ritenuto assolutamente insufficiente
per i gravi bisogni della città di Caserta; infatti, tra le entrate e le
spese attive, vi era un disavanzo di lire 1.515.438,78, che,
maggiorato della parte di altre voci tutte documentate, residuava
un disavanzo di lire 567.074,04, che, aumentato della parte
amministrativa risultante a dicembre 1924, pari a lire
456.947,30, determinava uno sbilancio di lire 1.024.021,00, a
cui occorreva provvedere.
In definitiva, si legge nella relazione: “In conseguenza di tali
variazioni la parte attiva del bilancio, in confronto ai risultati
dell'esercizio in corso, resta così modificata: Maggiori entrate,
lire 2.034.966,69 e minori entrate, lire 793.776,24. Le contabilità
speciali si riproducono nel complessivo ammontare di lire
1.293.109, con due variazioni, in diminuzione per lire 6.528,20,
sopprimendo parte in entrata che nella spesa la voce: "Quote
dovute agli agenti sull'ammontare delle contravvenzioni ai
regolamenti municipali portata erroneamente in questo titolo

95
invece che nella parte effettiva ordinaria del bilancio, e
diminuendo art. 161 di lire 4.528,20, e due in aumento per
impostazione di due nuove voci agli articoli 159 e 160 per lire
2.000;
visto l'art. 140 della legge comunale e provinciale e 106 del
regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2839;
con i poteri del Consiglio formulo il seguente bilancio”.
Così concludeva il suo lavoro il commissario Gaetano De
Blasio. Seguiva in sintesi tutto il rendiconto.
Come è facile immaginare, una volta tolto il coperchio, i
politici della città ed i vecchi amministratori ebbero molto da
ridere anche sull’operato del commissario, tra questi lo stesso
Tommaso Picazio, che era stato testimone della Marcia su Roma
e che aveva dimostrato di non aver ben compreso il
cambiamento che c’era stato negli ultimi anni.

Anno 1925 Vigili urbani di Caserta con la giunta Picazio

Tommaso Picazio, cappellano, vice sindaco

96
I casertani del regime

ANTONIO
CASERTANO
Se oggi si chiede ad un
capuano chi è Antonio
Casertano difficilmente si ha
una risposta, l’uomo politico
che fu uno dei “grandi” della
Provincia di Terra di Lavoro -
e non è mai più successo nella
storia di questa difficile terra –
quando aveva la terza carica
istituzionale ai vertici dello
Stato italiano. Eppure
rimaneva in quell’occasione la
cenerentola d’Italia sia per la difficile vita sociale che per una
economia che, nonostante la modernità e i tempi nuovi, era
legata all’agricoltura e alla vecchia eredità feudale.
Antonio Casertano sulla sua politica e sul modo di fare
politica pur essendo uomo di regime, non aveva dalla parte sua i
cari e puri della rivoluzione fascista. Era versatile, pronto a
sfruttare le occasioni per vedere dove si orientava il potere e, per
di più, lo si accusava di avere rapporti con la malavita locale
specie quella dell’agro aversano da cui riceveva consensi che
ricambiava con il clientelarismo.

Antonio Casertano, nato a Capua il 20 dicembre 1863,


compì i primi studi nella sua città natale e poi a Maddaloni
presso il convitto che ha sfornato tanti uomini illustri: il
Giordano Bruno. Si scrive alla facoltà di giurisprudenza a Napoli
e si laurea nel 1884. Intraprende la professione forense, ma
continua a dedicarsi allo studio del diritto amministrativo e della
legislazione elettorale e pubblica diverse opere sull'argomento. E'
più volte sindaco e consigliere provinciale, caratterizzando la
propria attività politica in senso liberal-democratico. Deciso
interventista in occasione del primo conflitto mondiale, si

97
presenta candidato nelle liste della democrazia sociale nel 1919.
Eletto deputato, si iscrive alla Camera al gruppo radicale. La sua
specifica preparazione professionale fa sì che nel 1920 è relatore
della legge di riforma delle elezioni amministrative.
Riconfermato deputato nella XXI legislatura, presenta nel
febbraio 1922 un progetto di legge tendente a trasformare il
Senato vitalizio in un'assemblea elettiva di 300 membri (250
eletti a base regionale e 50 di nomina parlamentare) ma il
progetto decade. E' nominato sottosegretario agli Interni nel
primo ministero Facta, dal 26 febbraio 1922 al 1 agosto 1922,
sarà escluso dal secondo ministero Facta a causa della sua
manifesta simpatia nei confronti di Mussolini e del conseguente
veto popolare e socialista. Fiancheggiatone del fascismo,
sostiene in commissione, e fa approvare in aula, il progetto di
legge Acerbo, che introduce il sistema maggioritario nelle
elezioni politiche. Nel 1924 è eletto alla Camera nel "listone"
nazionale ed assume la presidenza della Giunta delle elezioni e
convalida la quasi totalità dei risultati, nonostante che in aula
Matteotti denunci i brogli e le intimidazioni dei fascisti. Dal 13
gennaio 1925 al 21 gennaio 1929 è presidente della Camera, che
lascia quando viene nominato senatore.
"Casertano a Capua, dove viveva un suo fratello che
soprintendeva a procurargli i clienti nei vicini Mazzoni, aveva la
grande miniera dei lauti guadagni che gli permettevano di avere
una casa a Napoli per la famiglia, ed una a Roma per le sue
esigenze politiche. - scriveva il console della Milizia e federale
della Provincia di Benevento Stefano de Simone nelle sue
memorie - Aveva un figlio spendereccio, che gli prosciugava la
borsa e che a volte, l'obbligava a ricorrere alle Banche per
sostenere il suo trend di vita. La sua "longa manus" nel feudo
elettorale era 1'avvocato Ludovico Pastore, il quale al Comune
pontificava a suo nome e che ora, nell'ombra amica, era
l'avversario quartarellista del Fascio di cui era Segretario
Politico 1'avvocato Francesco Polito. A Capua conservava,
auspice Pastore, una base politica antifascista, ed a Roma
invece nella sua veste di Presidente della Camera, offriva a
Mussolini l'occasione per dominare.”

98
L’elogio del Giornale d’Italia al sottosegretario all’interno

“Un uomo di Governo” - è il titolo dell’articolo che scrisse


l’autorevole redattore del Giornale d’Italia allorché S. E. Antonio
Casertano, nel 1922, fu nominato sottosegretario di Stato
all'Interno. Un intervento, che fu ripreso da quasi tutti i giornali
locali “per il giudizio, il vaticinio circa il nostro Conprovinciale,
che è stato pienamente coronato dalla realtà trionfante”.
Un primo tentativo di approccio al fascismo Casertano lo
fece in occasione di un discorso tenuto a Capua con la crisi del
ministero Facta, il 23 luglio 1922. Proclamò, e la cosa non andò
a genio agli squadristi della prima ora, perché vedevano
nell’aggiustamento politico del parlamentare un perpetrasi dei
voltafaccia che avevano caratterizzato la politica del tempo e che
male si conciliavano con il nuovo vento che spirava e di cui
Mussolini si era fatto portavoce.
Sottolineò, nel suo intervento, che nella ricostituzione del
Ministero Facta, per le sue simpatie per il Fascismo, restò fuori
del Governo, in seguito all'imposizione dei partiti antinazionali,
ma questo non lo aveva rammaricato più di tanto, anche perché
aveva ricevuto il 1 agosto 1922 da S. E. Facta, una lettera nella
quale il capo del governo gli esprimeva il suo intenso rammarico
per essere stato costretto, da esigenze politiche, a rinunziare alla
sua intelligente e fervida cooperazione.
Matteo Incagliati, giornalista parlamentare, che aveva un
lunga esperienza del Transatlantico (il lungo corridoio dove si
intrattengono i deputati prima di entrare in aula) e dell’aula di
Montecitorio stessa, utilizzava i deputati per avere notizie e
pettegolezzi nella corsia dei “passi perduti”. Era abituato a
vedere l’aula piena e deputati attenti e rispettosi degli interventi
dei loro colleghi; di Casertano scriveva:
“Dalle ore 15 alle 16 di ogni giorno di seduta parlamentare,
un rappresentante del Governo tiene su di sé attratta l'attenzione
di tutta l'assemblea. Un'alta figura, dal gesto ampio ma
misurato, la mente spaziosa e la parola agile e vibrante, si
profila dal banco del Ministero - e discute o ribatte le obiezioni
degli avversari, o confuta le maldestre versioni di determinati

99
episodi della lotta delle fazioni, di cui è teatro, un giorno sì e un
giorno no, la Toscana o l'Emilia o il Polesine, od esalta qualche
opera buona, o a qualche discussione, che la loquacità talvolta
irrefrenabile devia dal suo corso normale, imprime la sua
autorità, ch'è sempre quella della migliore interpretazione della
legge. Perché Antonio Casertano è il primo Sottosegretario di
Stato, il quale, prescelto a collaborare con il Presidente del
Consiglio e Ministro per l'Interno, abbia mostrato una fibra, una
tempra, una volontà, un prestigio di vero uomo di Stato. Tal’egli
è un forte contro cui i marosi di Montecitorio, divenuti in queste
ultime vicende parlamentari così spesso procellosi e paurosi e
pieni d'insidia, nulla possono né distoglierlo dalla concezione
dello Stato ch'egli si è formata con gli studi e con la sua
genialità, né distrarlo per seguire questo o quell'andazzo di
bassa manovra politica. E perché è un forte, la sua azione si
esplica nell'ambito della Camera e fuori di essa con
quell'equilibrio, con quella serenità, con quell'oculata arte di
"saper governare", con quella perfetta percezione ch'è propria
di chi ha la consuetudine di esaminare i fenomeni sociali non
superficialmente, ma profondamente, austeramente, con quella
consapevolezza, insomma, che significa responsabilità e
rettitudine.”
Una “marchetta” si direbbe oggi nel gergo giornalistico che
non era gratuita, ma sicuramente concordata. L’articolo serviva a
tracciare un profilo dell’uomo che poi avrebbe guidato e
condizionato le scelte, non solo di chi governava in quel
momento, ma anche per mettere in mostra un personaggio che
ambiva a posti di potere più alti.
Lo stesso esaltare i meriti di combattenti della sua famiglia -
Casertano perse un figlio durante la prima guerra mondiale -
doveva dare il senso di un uomo fedele ai principi della patria ed
agli ideali ottocenteschi che erano così radicati nella gente.
“Io ebbi la ventura di conoscere Antonio Casertano durante
la guerra di redenzione, della quale egli fu propugnatore
ardente e nobile. - continua l’articolista - E lo conobbi in un
viaggio da Roma a Napoli. Quell'uomo aveva però negli occhi
come una nube, un velo che attenuava lo splendore vivo delle
pupille e il suo linguaggio aveva in se come qualcosa di

100
accorato, una malinconia dolente ma non stanca. Uno dei suoi
due figliuoli, Massimo, era caduto sull'aspro e conteso Monte
Santo da eroe, tenente dei bersaglieri alla testa del plotone
ciclisti.
Del suo indimenticabile Massimo, Antonio Casertano - mi
parlò, lungo quasi tutto il viaggio, e pareva che come ne
ridestasse i ricordi e ne evocasse la giovinezza spirituale, tutta
l'anima di lui fremesse di orgoglio e i suoi occhi riprendessero e
diffondessero tutta la luce, come se dal fondo del cuore una voce
salisse a donargli pace. E di fronte al figliuolo scomparso, o
meglio trasvolato nell'aureola della gloria che Orazio disegnò in
versi immortali e la gioventù italiana irradiò di fulgori,
riversando su di essa tutta la gioia di vivere, tutti gli entusiasmi,
tutti gli amori come ad olocausto del pro Patria mori - e di
fronte al suo Massimo, Antonio Casertano volle che in quel
colloquio tra lui e me prendesse forma e a me fosse noto un altro
amore - l'amore per l'altro figlio superstite”.
Il figlio dell’on. Antonio Casertano, Renato, quello che la
prima guerra mondiale aveva risparmiato, agli occhi del cronista
era un avvocato valoroso e, allora, lontano dalla casa,
combattente da capitano tra i suoi prodi in un reggimento di
fanteria.
Un elogio che a distanza di moltissimi anni non resse, visto
che chi lo aveva conosciuto in vita, quel giovane, aveva ben
altra opinione.
Ma in quegli anni difficili, dove a prevalere era più la
commozione che la ragione, eroi erano un po’ tutti e chi andava
al fronte, prima o poi, veniva insignito di una medaglia.
A pretenderla erano molto spesso i futuri gerarchi fascisti
tanto che era in voga negli alpini una canzonetta che denigrava
il più famoso segretario del Partito, Achille Starace che recitava:
“Quando la pugna diventa pugnetta/ ogni gerarca a partire
s’affretta/ A ogni minimo stormir di vento/ chiedono e ottongono
la medaglia d’argento/ Solo Starace, di tutti il più stronzo/ ha
ottenuto quella di bronzo.”.
Non era un eroe al fronte neanche Italo Balbo, anche se le
sue gesta successive servirono a riscattarlo.
Nel dossier che Arturo Bocchini capo dell’Ovra passò al

101
Duce sui trascorsi eroici del trasvolatore dell’Atlantico e del
quadrunviro del regime c’era scritto:
“Per prima cosa bisognerebbe rivedere il processo
celebrato contro S. E. Balbo al Tribunale Militare di Firenze.
Come è noto, egli fu accusato di diserzione per essere fuggito
dalla caserma di Moncalieri [dove seguiva un corso per pilota
aviatore] subito dopo la ritirata di Caporetto. E altresì noto che
S.E. Balbo fu assolto con formula piena in quando dimostrò che
non aveva abbandonato la caserma per disertare, bensì per
correre al fronte onde contribuire ad arrestare l'avanzata del
nemico. Tutto questo è falso: S.E. Balbo, in effetti, fuggì da
Moncalieri e raggiunse la sua casa a Ferrara dove rimase
nascosto alcuni giorni. Solo per le rampogne del padre si
ripresentò alle armi nella zona di Padova”.
Ma tra eroi veri e non veri certamente l’articolo di Matteo
Incagliati aveva lo scopo, forse non troppo gratuito, di esaltare
un personaggio che si accingeva a cambiar casacca per mettersi
sotto la protezione del fascismo che, giorno dopo giorno,
raccoglieva sempre più consensi. In effetti, era una presentazione
di un personaggio conosciuto nella sua terra e altrettanto nel
mondo politico, ma poco noto agli italiani.
L’elogio continua: “E sembrò allora a rime che questo uomo
di un gran fervore d’idealità si nutrisse e tentasse vincere le
pene delle sue ansie e dei suoi amori con uno sforzo su sè stesso.
Se così non fosse stato consigliato e indotto dalla sua natura,
non certo egli avrebbe potuto esercitare quella mirabile
propaganda a cui egli si votò, dopo la infausta giornata di
Caporetto, e alla quale diede tutta la sua foga di oratore, tutto il
suo spirito di italiano, tutta la commossa espressione della sua
sensibilità, umanista qual egli si manifesta in ogni occasione,
così nella vita intima come nella vita pubblica. Terra di Lavoro
ne può far fede.
Ma come il treno si approssimava a Napoli, io volli che il
discorso deviasse, volgesse verso altri aspetti, tanto egli era
occupato da questo suo grande amore e da un' ansia per il suo
Renato, che la morte insidiava, esposto com'era l'ufficiale a tutte
le prove più ardue e più ardite, e tanto gli era pervaso dalla
esaltazione di questa Italia a cui non si sapeva ancora quale

102
sorte toccasse...
E Antonio Casertano parlò allora di politica estera, di
legislazione sociale, di partiti e di fazioni, di grandi e piccoli
uomini parlamentari, e inoltre di arte e di letteratura. Talora
l'intuizione felice, talora la critica arguta di una speculazione
politica, talora l’acuto giudizio su qualche statista, e talaltra una
larga dissertazione sulla legislazione elettorale in rapporto alle
altre Nazioni - e sempre la sua frase assumeva un tono così
vivace, così eloquente che dissi a me stesso: “Ecco un uomo sul
quale l'Italia può fare affidamento nell’ora dei supremi cimenti”.
Qualche anno dopo la rivelazione che io ebbi di questo
eminente giurista, assurto a fama degna, di questo studioso della
vita politica italiana, di questo psicologo della folla, interprete
fedele di quella che è l'anima di un grande popolo - egli, nei
comizi del 1919, fu eletto per la prima volta deputato.
Entrava così alla Camera non uno di quei tanti pezzenti del
voto elettorale, non chi ha per abitudine di piegare sé stesso con
la schiena docile all’urto e agli schiamazzi della piazza, ma un
legislatore dagli omeri saldi, il quale la sagace preparazione
aveva compiuta su sè stesso, e di cui sono testimonianza i volumi
insigni per dottrina, un legislatore che aveva spiegato la sua
attività fuori dell'ambiente di Montecitorio. E vi conquistava
subito, come suol dirsi, “posizione”, senza tirocinio, senza
procedere a salti mortali da un gruppo all'altro, senza il goffo
atteggiamento di uno di quei tanti di cui alla Camera si
disegnano più che i corpi le ombre. Quando Antonio Casertano
interloquì per la prima volta alla Camera, il suo non parve un
debutto, tanto egli si mosse in quella bolgia pettegola e
brontolona e infernale, ch’è l’aula di Montecitorio, con
competenza e padronanza. Dopo quel debutto, che fu un
successo, la Camera aveva un’autorità di più. E i discorsi che si
avvicendarono confermarono sempre come nel temperamento di
Antonio Casertano non fosse insensibile la politica, ch’egli avea
studiato non sui volumi, né tanto meno calcato sulla falsariga di
qualche Mosè o di qualche Licurgo, ma aveva tradotto come
scienza della vita sociale alla stregua di una sensibilità capace
di intendere e di fare intendere la filosofia della politica
razionalmente, non arbitrariamente, non insufficientemente.”

103
L’articolo venne scritto nell’agosto del 1922, in piena crisi
politica, quando le cose non si sapeva come si sarebbero evolute.
Era, quindi, importate presentare un biglietto da vista tale da non
pregiudicarsi nessuna strada che di li a poco si sarebbe aperta ed
infatti così fu. L’onorevole Casertano era riuscito a salire nella
scala politica ed era presidente della commissione interno della
Camera dei Deputati, quando Mussolini era da poco diventato il
nuovo capo del governo. Nelle sue intenzioni c’era il rifare le
elezioni con un nuovo sistema elettorale e per questo si rivolse
appunto ad Antonio Casertano per vedere le possibilità di
introdurre una riforma e come congegnarla per assicurare al
governo una maggiore stabilità, visto che quelle che si erano
formate dal dopoguerra in poi avevano mostrato una grande
fragilità.
“Dunque, un posto d’onore in un’assemblea politica se non
per assumere su di sè il destino che spesso ha di mira le cime del
Campidoglio ideale. - aveva anticipato Matteo Incagliati - Onde
una così intensa vita parlamentare - una serie di discorsi, di
relazioni e proposte legislative - non poteva non segnalare la
personalità politica di Antonio Casertano e non indurre, al
tempo opportuno, chi avesse avuto l’onore di risolvere una crisi
ministeriale di ripetere il “Vieni meco”. E il “Vieni meco”
rivoltogli da Luigi Facta fu così affettuoso che Antonio
Casertano non poté dir di no.”.
Dell’incontro, quindi, non troppo segreto tra il parlamentare
di Terra di Lavoro ed il futuro Duce alcune indiscrezioni
trapelarono dai media del tempo.
Si trattava in definitiva del primo approccio che doveva dar
vita successivamente alla legge che modificava il sistema
elettorale e che fu chiamata con il nome del suo primo relatore
“Acerbo”, ma che nello stendere il provvedimento Casertano
diede una valida e fattiva collaborazione, anzi si dice che seppe
interpretare al massimo le direttive del capo del governo che non
avrebbe potuto regalarsi un provvedimento migliore.
Ad opporsi alla legge erano i Popolari che capivano le
conseguenze a cui si andava incontro.
Il 18 maggio del 1923 Mussolini trattò della cosa con l’on.
Casertano; il giorno successivo “Il Popolo d’Italia”, dando

104
notizia dell’incontro, lasciava trapelare che il presidente del
Consiglio era favorevole al collegio unico nazionale con sistema
maggioritario e rappresentanza proporzionale per le minoranze,
che preparò il terreno successivo al duce per un incontro con
Alcide De Gasperi.
Impostato, l’iter parlamentare della legge fu rapido.
Accettando la richiesta di Mussolini, De Nicola nominò una
commissione composta da Giolitti (presidente), Orlando e
Salandra (vicepresidenti) e da Falcioni (democratico), Fera e
Casertano (democratici sociali), Grassi (demoliberale), De
Gasperi e Micheli (popolari), Bonomi (riformista), Paolucci e
Terzaghi (fascisti), Orano (misto), Chiesa (repubblicano), Turati
(socialista unitario), Lazzarí (socialista massimalista), Graziadei
(comunista), Lanza di Scalea (agrario).
“La commissione cominciò i lavori il 14 giugno, - scrisse
Renzo De Felice nella sua opera sul fascismo - mentre il dibattito
pro e contro la nuova legge si faceva in tutto il paese
vivacissimo e già si delineava la manovra fascista volta a
mettere in crisi i popolari e ad assicurarsi così, se non proprio il
loro voto, almeno la loro astensione e possibilmente l’appoggio
della destra e dei clericomoderati: è sintomatico a questo
proposito che già il 15 giugno “Il popolo d’Italia” cominciasse
a parlare di una possibile scissione dei popolari. Superata una
pregiudiziale di Turati, che avrebbe voluto che la Camera fosse
invitata a non discutere tout court il disegno di legge, la
commissione dei diciotto il 16 approvò, dopo vivace discussione,
il concetto informatore della riforma. Votarono contro Bonomi,
Chiesa, De Gasperi, Falcioni, Graziadei, Lazzari, Micheli e
Turati, a favore gli altri commissari. Dopo questo voto i lavori
della commissione persero gran parte del loro interesse, e le
trattative, i maneggi più importanti si svolsero al di fuori di
essa.”.

Riprende Incagliati: “Certo all’uomo eminente non sfuggì la


gravità del mandato cui si accingeva a sobbarcarsi e del modo
onde avrebbe dovuto espletarlo. Ma se i forti si sottraessero, a
che servirebbero la vigoria dell' ingegno e la genialità di un
temperamento politico, nell’ora del pericolo ?

105
Antonio Casertano, assurto al Governo, fu sin dal primo
giorno nella sua trincea di combattimento, esposto a tutti i
fuochi, perché la politica interna par fatta apposta per porre a
duro esperimento l'energia di un uomo politico. Ma il neofita al
banco del Governo non si piega e resiste agli assalti e muove
spesso ai contrattacchi. La sua dialettica politica non somiglia a
quella del giurista, giurista qual egli è fra i più ammirati del foro
italiano, ma è una forma d'oratoria che l'uomo di Stato si è
foggiata perché la politica è realizzazione, non aspirazione
astratta di formule viete e inconsulte. Antonio Casertano
predilige la forma incisiva che è quella più adatta per
conseguire la benefica influenza della persuasione. Ma di fronte
ai ponderosi problemi il suo eloquio ha maggiore e più ampio
respiro e la voce dello statista è pari alla solennità degli eventi e
alla statura morale di quegli uomini che ne sono gli elementi
rappresentativi.
Non conta rievocare questo o quel dibattito. A che pro? E'
storia che ognuno di noi vive. Non passa giorno che alla Camera
o al Senato Antonio Casertano non debba sostenere il peso di
qualche imponente discussione. E mai come adesso la carica di
coadiutore del Presidente del Consiglio e Ministro per l'interno
è apparsa degna di chi l'ha assunta, di colui, cioè, che ne esplica
le funzioni con imparzialità prima, con intelligenza poi,
imparzialità e intelligenza che fecero spesso a quell'ufficio
bancarotta.
E così rispetto ad una come all'altra ogni sua teoria, ogni
sua argomentazione, ogni sua affermazione portano la stigmate
della probità. Perché l'uomo di Stato nulla ha perduto,
trasmigrando dal posto di deputato a quello del Governo, di tutte
quelle che sono le prerogative del felice e aristocratico
temperamento e soprattutto non ha rinunziato alla buona fede,
alla lealtà, alla sincerità, il trinomio d'una merce considerata
zavorra a bordo del naviglio ministeriale. Si potrà anche
dissentire da lui, a seconda delle tendenze e delle competizioni
parlamentari; non mai accapigliarsi per faziosa partigianeria.
Pur essendo uomo di parte e pur avendo natura di
appassionato polemista, Antonio Casertano sa sempre in
un'assemblea spezzettata con la proporzionale, dominare o

106
placare i rari cori e gli odi. Gli è che in quest'uomo più che le
passioni hanno presi i legittimi interessi della Nazione le
luminose idealità della Patria. E perciò il suo è un Governo di
equità e di saggezza, non di tirannia, noi di soffocazione dei
valori morali, noi di avvilimento della ricchezza ideale più che
nell'ambito delle persone. La sua azione si svolge nel campo
aperte dei proficui dibattiti per 1'ascensione di tutte le forze
operanti del Paesi verso la vetta d'ogni più nobile aspirazione e
d'ogni più giusta provvidenza.
Vi fu, infatti, durante la Conferenza di Genova, un periodo, e
periodo non breve, in cui Antonio Casertano fece a Palazzo
Viminale le veci del Ministro per l'Interno. E reggere la politica
interna da solo mentre trentaquattro Stati erano ospiti dell'Italia,
fu fatica non lieve, con una responsabilità da far tremare le vene
e i polsi a più d'un Ministro dell'interno. Ma Antonio Casertano
poté assolvere la nobile e ardua fatica con decoro. E con tanta
maggiore fortuna in quanto, mai come in quel periodo, facili
potevano essere gli eccessi e più facili le intemperanze. Ma,
all'ordine del giorno della politica nazionale, non una nota in
chiave di stonazione. II patrimonio morale di questa nostra tanto
discussa e vilipesa Italia, dai nemici di dentro e di fuori, fu
dunque salvo. E ne siano rese grazie pure ad Antonio Casertano,
a quest'uomo che illustra il Mezzogiorno d'Italia e che non è
degenere di quella stirpe dei provetti statisti meridionali.
Ma, orgoglio del Mezzogiorno, Antonio Casertano, di questa
Terra di Lavoro è veramente il tipo rappresentativo di quanto
valgano le virtù dell'intelletto e le doti del cuore. Un umanista
che intende la politica con la facoltà intellettiva, non disgiunta
dalle più squisite sensibilità. E onorandolo, gli vogliamo bene.
L'Italia ha bisogno di uomini che sappiano parlare con la
voce che trae ispirazione e forza dal tumulto della vita, da quella
vita che risuona nelle vie e sui monti e sulle spiagge - la inclita
ricchezza spirituale di questo grande popolo, che quando trovò i
suoi governanti, non fallì alla tradizione, non seppe dimenticare
la storia della millenaria civiltà...
Matteo Incagliati

107
Casertano e la mediocrità della classe politica

Che l’intervento di Incagliati sul Giornale d’Italia fosse una


presentazione del Deputato capuano al mondo politico che si
preparava ad un cambiamento epocale è oramai assodato, lo sono
altrettanto i suggerimenti che lo stesso Casertano dava ai pochi
giornalisti parlamentari per fare trapelare una sua versatilità
politica sempre disposta a seguire i principi e le ideologie che
meglio prevalevano e che erano condivisi dalla gente che
contava.
Non era un bel periodo quello in cui si trovò di fronte
Antonio Casertano, ma era quello più favorevole alla sua ascesa
visto il suo profilo. Era abituato ai compromessi e si mostrava,
da una parte vicino alla gente e dall’altra pronto ad abbracciare
le tesi del più forte.
Nulla cambia sotto il sole.
“Certo all'uomo eminente non sfuggì la gravità del mandato
cui si accingeva a sobbarcarsi e del modo onde avrebbe dovuto
espletarlo. Ma se i forti si sottraessero, a che servirebbero la
vigoria dell' ingegno e la genialità di un temperamento politico,
nell'ora del pericolo?”.
Era questo l’interrogativo che si poneva Incagliati.
“Antonio Casertano, assurto al Governo, fu sin dal primo
giorno nella sua trincea di combattimento, esposto a tutti i
fuochi, perchè la politica interna par fatta apposta per porre a
duro esperimento l'energia di un uomo politico. Ma il neofita al
banco del Governo non si piega e resiste agli assalti e muove
spesso ai contrattacchi.”
La Camera dei deputati in quel periodo non doveva
certamente spirare molta fiducia agli occhi degli italiani e i
giochi ed i giochetti dei centristi, pronti a buttarsi a destra o a
sinistra, erano all’ordine del giorno.
Un spaccato della mediocrità e della criticità della vita
politica del tempo arriva proprio da Benito Mussolini in un
articolo apparso sul “Popolo d’Italia” del 2 luglio 1922.
“Ognuno dei nostri lettori ha indubbiamente risposto
nell'unica maniera in cui sia logico e legittimo rispondere alla
domanda che abbiamo disteso ieri, in epigrafe, sulle nostre

108
colonne. Quando si chiede che cosa fa la Camera italiana, una
sola risposta balza irrefrenabile alle labbra: la Camera italiana
fa schifo, ma tanto schifo. Alla sera, quando da Roma giungono
le prime cartelle della Stefani, mal dattilografate, su quella
indefinibile carta - che sta fra il W. C. e quella per le delicate
salumerie 22- e leggete degli incidenti e vi sforzate invano di
interessarvi al gioco oramai strabanale dell'incrocio di ingiurie,
la nausea e il disgusto vi prendono alla gola. Il panorama
parlamentare è oramai noto. Il gioco anche. Ma bisogna
aggiungere subito che in questo mediocre gioco, la parte più
antipatica, più ambigua e procacciante, è sostenuta dai
“fazenderos” del Gruppo parlamentare popolare. Fior fiore di
profittatori, i deputati del Partito Popolare! Sono i topi che
rosicchiano con denti sempre più aguzzi nel formaggio
ministeriale; ma poi, non mancano mai un'occasione che sia
propizia per fare la forca agli elementi di destra, che pure sono
parte della stessa maggioranza. La tattica del prete siciliano
[don Sturzo, ndr.] è questa: star nel ministero perché ciò giova
agli interessi del Partito e pendere verso i socialisti per le
possibili combinazioni di domani.”.
In questo contesto, quindi, un uomo che aveva frequentato le
aule dei tribunali, pronto a cogliere i momenti e le sensazioni di
un giudice, capace di capovolgere situazioni pur di dare una
mano ai suoi clienti, non poteva che trarre vantaggio. Secondo il
giornalista romano la dialettica politica di Antonio Casertano
non somigliava a quella del giurista, giurista qual egli era fra i
più ammirati del foro italiano, ma una diversa che aveva saputo
bene adattare al nuovo ambiente. Era una forma d'oratoria di un
uomo di Stato foggiato. “perché la politica è realizzazione, non
aspirazione astratta di formule viete e inconsulte.”.
In effetti, Casertano prediligeva la forma incisiva ch’era
quella più adatta per conseguire “la benefica influenza della
persuasione. Ma di fronte ai ponderosi problemi il suo eloquio
ha maggiore e più ampio respiro e la voce dello statista è pari
alla solennità degli eventi e alla statura morale di quegli uomini
che ne sono gli elementi rappresentativi.”.
22
In gergo giornalistico vengono chiamate “veline”

109
Il Governo di allora era retto, in considerazione del grande
frazionamento, soprattutto dai Popolari.
“Sostenuto.... come la corda l'impiccato. - ribatteva Benito
Mussolini - I socialisti continuano a valersi della tribuna
parlamentare per la loro criminale opera di diffamazione
antifascista e poiché in questo bieco mestiere eccellono gli
uomini di parte destra o collaborazionista, la deduzione che per
noi ne segue è chiara. Nel complesso la Camera attuale merita
di essere aspramente giudicata; ma quando si pensi ch'essa è
tuttavia migliore di quella precedente, si ha la misura del
baratro d'obbiezione politica in cui Nitti aveva tentato di
precipitare la nazione.”.
In questa gran confusione e nella logica del “nego domani
quello che dico oggi”, Antonio Casertano si trovava a suo agio e
sopratutto non si creava molti nemici anche se i più astuti come
Filippo Turati non lo stimavano, anzi si mantenevano ad una
debita distanza, idealmente parlando.
Si muoveva in una realtà assurda dove la nazione e la gente
sembrava stordita da una politica irreale fatta di veti incrociati di
opposizione maligne e gratuite, una gente che agli occhi dei più
attenti doveva subire, pur essendo uomo di parte e pur avendo
natura di appassionato polemista, una rappresentanza che non
sapeva dove arrivare e da cosa partire. Lo stesso Mussolini
ribadiva:
“E il paese? Il cosiddetto paese è migliore della "sua"
Camera? Non è tempo di approfondire un poco questo famoso
contrasto fra il paese e la Camera, fra il paese che sarebbe
virtuoso e la Camera scandalosa? E questo esame non potrebbe
condurre alla conclusione amara che il paese è degno della
Camera e la Camera degna del paese? I
cinquecentotrentacinque deputati che siedono a Montecitorio
non sono degli autoeletti; non sono stati scelti dal Padreterno o
da Sua Maestà; è il paese che li ha scelti ed eletti, e il corpo
elettorale che li ha investiti del potere legislativo; sono sei o
sette milioni di cittadini che hanno - coi loro voti - creato la
Camera, questa Camera, come le precedenti. Delle due l'una: o
questi cittadini che votano non sanno quel che si fanno e allora
aboliamo quella finzione grottesca che ha nome "suffragio

110
universale" o questi cittadini sono coscienti e allora perdono il
diritto di lagnarsi - come paese - di una Camera che essi creano
a loro perfetta immagine e somiglianza. Oppure, terzo caso: il
paese sano e virtuoso, quello che fa da contrasto alla Camera,
sarebbe forse rappresentato da quei sei milioni di elettori che si
strafottono allegramente di recarsi alle urne nei fatidici giorni in
cui si tratta di scegliere i rappresentanti della nazione? Ognuno
vede che questa terza ipotesi non è sostenibile. Ne consegue, a
logico corollario, che il contrasto tra il paese e la Camera è
l'artificio polemico, mentre la realtà è che paese e Camera si
condizionano a vicenda. Anzi si sarebbe tentati di aggiungere
che il paese, il quale manda Misiano alla Camera, fa più schifo -
è tutto dire! -, della stessa Camera, che trova un residuo di
dignità per defenestrarlo. Ora, dato che ci sia ancora bisogno di
un Parlamento che non sia una banda di idioti o di postulanti,
bisogna cominciare dal migliorare - con opportune razionali
selezioni - il bestiame elettorale. Poi bisognerà sopprimere il
criterio di eguaglianza fra i componenti di codesto bestiame.
Mettere in causa, insomma, il suffragio universale, altrimenti
definibile come la suprema mascherata della democrazia. Poi
riesaminare i sistemi elettorali perché se è conseguenza logica e
necessaria della proporzionale un perpetuo ballo di San Vito dei
Governi, è chiaro che la proporzionale non dovrà più essere
considerata come un principio acquisito, sacro e intangibile.
Periscano pure i "principe immortali " ma si salvi la vita!
Questa catena di attuali e melanconiche considerazioni
potrebbe continuare, ma può anche essere rinviata senza
inconvenienti a domani.”

111
Il pranzo romano dei potenti

Il 10 Aprile del 1922 si apre a Genova la conferenza


internazionale, che aveva lo scopo di esaminare i problemi della
ricostruzione dell’economia russa e tedesca. Un avvenimento di
grande rilevanza internazionale che vide di fronte in un vertice,
per la prima volta dopo la fine della prima guerra mondiale, vinti
e vincitori, in condizione di parità. Sedevano intorno ad un unico
tavolo Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania,
Austria ed Unione Sovietica. Una conferenza che durò oltre un
mese ed in cui Antonio Casertano sostituì in tutto e per tutto il
Ministro per l’Interno. Un compito, non di poco conto visto che
si doveva reggere la politica interna del paese quando erano
ospiti del nostro territorio trentaquattro Stati. Fu fatica non lieve,
ma l’avvocato capuano portò avanti il suo compito con molta
dignità, ma non senza critiche da parte delle opposizioni. Era un
periodo particolarmente pericoloso, in cui si potevano
manifestare eccessi e facili intemperanze.
Grazie al suo apporto: “II patrimonio morale di questa
nostra tanto discussa e vilipesa Italia, dai nemici di dentro e di
fuori, fu dunque salvo. E ne siano rese grazie pure ad Antonio
Casertano - a quest'uomo che illustra il Mezzogiorno d'Italia e
che non è degenere di quella stirpe dei provetti statisti
meridionali” – scriveva la stampa nazionale - Ma, orgoglio del
Mezzogiorno, Antonio Casertano, di questa Terra di Lavoro è
veramente il tipo rappresentativo di quanto valgano le virtù
dell'intelletto e le doti del cuore. Un umanista che intende la
politica con la facoltà intellettiva, non disgiunta dalle più
squisite sensibilità. E onorandolo, gli vogliamo bene.
L'Italia ha bisogno di uomini che sappiano parlare con la
voce che trae ispirazione e forza dal tumulto della vita, da quella
vita che risuona nelle vie e sui monti e sulle spiagge - la inclita
ricchezza spirituale di questo grande popolo, che quando trovò i
suoi governanti, non fallì alla tradizione, non seppe dimenticare
la storia della millenaria civiltà...”.
Con la prospettiva di nuovi ed importanti incarichi a livello
nazionale e con un occhio alla situazione difficile internazionale
Antonio Casertano era generoso con amici e potenti ed non

112
elemosinava di organizzare grandi eventi specie nell’ambiente
romano dove c’erano più opportunità di fare politica, quella
politica con la “P maiuscola” che serviva non solo a far diventare
grande un uomo, ma, a volte, a fare la fortuna di personaggi e di
intere aree del Paese. Peccato che fino ad allora i luoghi di
origine e la base elettorale che aveva contribuito all’ascesa del
nostro si avvantaggiarono poco o nulla. E tutto si risolveva in
piccoli favoritismi e raccomandazioni.
Roma era la sede di circoli culturali che erano espressioni
regionali o delle province dei loro fondatori. Così al circolo della
Campania, che sarà seguito anche da un circolo dei casertani,
facevano capo i personaggi dell’epoca: Paolo Greco, la famiglia
Visocchi, Pietro Fedele, il conte Tosti di Valminuta, Giovanni
Tescione, Giuseppe Buonocore ed altri, che frequentemente,
ricevevano i giornalisti accreditati di Terra di Lavoro da De
Leonardis a Musone.

Onore ai grandi

Fu proprio ad opera dell’associazione dei cittadini della


Campania che, Giovedì 22 Aprile 1925, fu organizzato un grande
pranzo presso il prestigioso Hotel des Princes di Roma.
“Ebbe luogo, improntato a schietta signorilità e a solenne
austerità”, in onore dei parlamentari, 1’avv. Antonio Casertano,
presidente della Camera dei deputati, il prof. Pietro Fedele,
ministro per la Pubblica Istruzione, e 1’avv. prof. Alfredo
Rocco23, ministro per la Giustizia e gli Affari di Culto.
23
Alfredo Rocco, napoletano, docente universitario di diritto commerciale a
Padova, militò nelle file del Partito Radicale. Nel 1913 aderì al movimento
Nazionalista. L’Associazione Nazionalista Italiana sorse con il congresso di
Firenze nel 1910, voluto dal letterato e pubblicista Enrico Corradini, che
sosteneva la necessità di una politica estera aggressiva e di un’espansione
coloniale, contrapponendo l'Italia, nazione proletaria, alle cosiddette nazioni
capitalistico-plutocratiche.
Nel congresso dell’Ani (Associazione Nazionale Industriali) di Bologna
dell'aprile 1914, Rocco presenta una piattaforma in cui delinea la sua
concezione statuale protezionistico-corporativa, all'interno di un quadro
giuridico autoritario. Nello stesso anno fondò a Padova “Il Dovere nazionale”,
organo di battaglia nazionalista e interventista. Ispiratore nel dopoguerra, con

113
La grande abbuffata

Al banchetto prese parte anche la “graziosa e intellettuale”


Fausta Casertano, figliuola del Presidente della Camera.
Dell’evento vi fu una vasta eco a Caserta visto che partecipò
anche Eduardo De Leonardis Direttore di Terra di Lavoro, che
pubblicò l’avvenimento sul suo settimanale.
“Intervennero le più cospicue personalità del mondo politico
ed egregi rappresentanti di Terra di Lavoro: oltre
duecentocinquanta coperti, che davano all'ampio salone -
addobbato di trofei con bandiere tricolori, sfolgorante di luce ed
olezzante di fiori e di piante - un aspetto veramente imponente.

Francesco Coppola, dell'organo teorico del nazionalismo “Politica”, fu prima


amministratore delegato, poi direttore del quotidiano “L'Idea nazionale” e nel
1923 era tra i sostenitori della fusione tra nazionalisti e fascisti. Entrò nel
governo Mussolini come sottosegretario al Tesoro e poi alle Pensioni (1922-
24). Diventò deputato dal 1924 e presidente della Camera fino al gennaio
1925, quando fu nominato ministro della Giustizia, lasciando il posto proprio
ad Antonio Casertano.
Alfredo Rocco si rese protagonista della trasformazione del Paese ed il suo
Codice di Diritto Penale è oggi ancora in vigore.
Le misure legislative da lui varate furono severe, servivano a colpire le società
segrete, imbavagliare la stampa, rivedere l'ordinamento di pubblica sicurezza
e riformare i codici. Le “leggi eccezionali” avviarono in concreto la
costruzione dello stato totalitario (1925-26).
A questo vanno aggiunte le misure di attuazione della legge sui rapporti
collettivi di lavoro, che diventarono la Carta del Lavoro (21 aprile 1927) poi
culminata nella legge istitutiva delle corporazioni (1 febbraio 1934). Alfredo
Rocco partecipò anche alle trattative per il Concordato, all’elaborazione
formale della riforma dell'istituto parlamentare (1928) e della legge sul Gran
Consiglio (1928), mentre prosegui l'opera di stesura del codice penale, che da
lui prenderà il nome, e del codice di procedura penale, entrati in vigore nel
1931. Nel 1932 lasciò il ministero e ritornò all'insegnamento nell’università di
Roma, dove era stato trasferito dal 1925 e della quale fu rettore. Nel 1934 fu
nominato senatore. Morì nel 1935. Giusto in tempo per non vedere gli errori
che di li a poco Benito Mussolini incominciava a fare sulla scena politica
internazionale e che determinarono il declino e la scomparsa di un’epoca.
Pietro Fedele fu uno dei pochi che cercò di prodigarsi per la sua terra, era
assiduo frequentatore di Caserta e durante le sue visite alloggiava all’hotel
Vittoria e spesso si recava ospite presso la casa di Giovanni Tescione. Fu
presente all’inaugurazione del monumento ai Caduti nel Comune di San
Leucio.

114
Allo champagne, 1’on. avv. Alberto Geremicca, regio
commissario di Napoli, presidente del Comitato Onorario, porse
il saluto della Campania, della terra tanto fertile di sentimento,
della plaga che fu l'incanto e la letizia dei maggiori poeti, che
ebbe il dono dalla natura delle migliori bellezze.
L'on. avv. prof. Alfredo De Marsico, della forte Irpinia, con
mirabile slancio oratorio, portò il saluto dei deputati presenti e
disse degli illustri rappresentanti, che oggi la Campania ha il
vanto di avere alla Presidenza della Camera e al Governo.
L'on. avv. Vico Pellizzari, in nome del regio commissario di
Roma, senatore Filippo Cremonesi, impedito ad intervenire,
rivolse il saluto del regio commissario medesimo e di Roma.
Per l'Associazione Cittadini della Campania, il suo
presidente, prof. Pasquale Grossi pronunziò un assai fervido
discorso. Egli esaltò le virtù preclare di S. E. Casertano, di S. E.
Fedele e di S. E. Rocco, che sono tra i migliori e più degni figli
della Campania; esaltò la Campania stessa e il patriottismo dei
suoi cittadini; conchiuse, invitando a levare i calici alla
prosperità della regione alla grandezza d'Italia, alla salute dei
tre Festeggiati, alla salute della leggiadra ed elettissima
signorina Fausta Casertano, la quale aveva gradito di dare al
banchetto il fascino della sua presenza.
Indi, a ciascuno dei tre insigni Parlamentari fu offerta
un'artistica pergamena con le firme d'innumerevoli conterranei.
L'indimenticabile festa si chiuse fra continue ed
entusiastiche ovazioni ai tre Parlamentari, le quali non
cessarono se non quando essi presero posto nelle loro
automobili in Piazza di Spagna.
Del pieno successo della manifestazione meravigliosa spetta
il merito al comm. Pasquale Mollica, proprietario dell'Hotel des
Princes, che fece gli onori di casa da gran signore qual è, e al
segretario del Comitato Onorario cav. Enrico Preparata, che
provvide all'organizzazione perfetta con sagace alacrità; ma il
merito precipuo spetta ai cittadini della Campania, che hanno
confermato il verace affetto che li avvince saldamente fra loro,
specialmente quando si tratta di tributare la loro devozione
profonda a Corregionali, che, al cospetto d'Italia, con le proprie
luminose ascensioni - dovute al loro formidabile intelletto e

115
all'incommensurabile loro valore - sanno illustrare e fare
ammirare la direttissima terra natia, che efficacemente ne
tutelarono le sorti, ne promossero il benessere e le conferirono
decoro.”.
E’ lungo l’elenco dei partecipanti che intervennero all’Hotel
des Princes: c’era chi per partecipare aveva dovuto farsi
raccomandare ed aveva speso non pochi soldi per la trasferta
nella capitale, compresa la permanenza.
Quelli di maggior riguardo erano: S. E. Tittoni, presidente
del Senato; S. E. Federzoni, ministro per l’Interno; S. E. Nava,
ministro per 1’Economia Nazionale; S. E. Suardo,
sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio; S. E.
Grandi, sottosegretario di Stato all'Interno; S. E. Larussa,
sottosegretario di Stato all'Economia Nazionale; S. E. Petrillo;
sottosegretario di Stato ai Lavori Pubblici; S. E. Cantalupo,
sottosegretario di Stato alle Colonie; S. E. Romano,
sottosegretario di Stato alla Pubblica Istruzione.
L'on. Paolucci, vice-presidente della Camera dei Deputati,
coi segretari della Presidenza stessa onorevoli Bottai, Tosti di
Valminuta, Greco, Madia; Miari de Cumani e Manaresi, con i
questori della Camera, onorevoli Renda e Guglielmi.
I deputati Geremicca, Andrea Torre, Pezzullo, De Martino,
De Marsico; Achille Visocchi; Perna, Pavoncella; Scialoja,
Salvi, Mesolella, Rossi, Mammalella, Bifani, Baistrocchi, Gatti,
Beneduce Giuseppe, D'Ambrosio, Viale, Brescia, Pennavaria,
Pellizzari, De Cristofaro, Di Mirafiori-Guerrieri, Messedaglia,
Preda, Solmi, Polverelli; Salerno, Joele, Padulli, Aldi-Mai,
Adinolfi, Benassi, Maraviglia, Maury, Alberti Jung; Orsolini-
Cencelli, Barattólo, Ciarlantini, Borriello, Spinelli, Farina,
Gabbi, Sipari; Caprice, Barbieri; Zugni-Tauro, Antonelli e
Majorana.
Gli onorevoli Morisani, Buonocore, Tescione, Berardelli,
Romano e Carapelle. I senatori Angiulli, De Blasio; Garofalo e
Spirito; S. E. Perla, presidente del Consiglio di Stato; S. E. D'
Amelio Bruno presidente della Corte di Cassazione; S. E.
Appiani, procuratore generale presso la Corte di Cassazione; S.
E. Crisafulli, procuratore generale presso la Corte di Appello di
Roma; S. E. Cuminelli.

116
I capi delle organizzazioni fasciste di Terra di Lavoro: il cav.
De Spagnolis, segretario politico provinciale; il cav. Giuseppe
Comella, presidente della Federazione Provinciale dei Comuni
Fascisti; il cav. uff. Senise, segretario generale delle Federazione
Provinciale delle Corporazioni Sindacali Fasciste, coi vice-
segretari rag. Giugliano e avv. Miraglia e col segretario
circondariale di Formia sig. Bianchi; i componenti del Direttorio
Provinciale Fascista cav. Domenico Mesolella, sig. Pellegrini,
cav. Perrotta e cav. Schiappa; il cav. Mignone; 1’avv. Nicola
Allocca, sindaco di Saviano; il segretario politico della Sezione
Fascista di Alife sig. De Lellis; l’insegnante Tuccinardi, delegato
delle Avanguardie Fasciste; il rag. Del Prete, segretario politico
della Sezione Fascista di Teano. L’avv. Edilio Borgia,
commissario del Governo per la Federazione Provinciale dei
Combattenti. S. E. Noseda, il generale Della Valle; il gr. uff.
Mazzoccolo, presidente di Sezione della Corte dei Conti; S. E.
Pagliano, S. E. Giannattasio, S. E. Nucci, il gr. uff. Xarra, il gr.
uff. Silvio Petroni, il gr. uff. Sasso, il comm. Ronga, S. E. Palini,
il comm. Milia; il comm. Giaquinto, il comm. Morabito, il
comm. Colamonica, il cav. Rossi, il comm. Tempesta, il gr. uff.
Tempestini, il comm. Goffredo, il comm. Berardelli, il gr. uff.
Pironti; il gr. uff. Michele Petroni, il gr. uff. Sanna;. il comm.
Mollica, il gr. uff. Pellegrino Ascarelli, il sig. Emilio Ascarelli, il
gr. uff. Barone, il comm. Pietro Fossataro, il comm. Bellini, il
comm. Celano, il barone Francesco Lo lacono, il comm.
Crispino, il cav. Enrico Preparata, il comm. Colalucci, il comm.
Grossi, il cav. De Risi, il gr. uff. Di Donato, il cav. D'Emilia, il
comm. Del Prete, il comm. De Santis, il cav. Fago, il cav. Fumo,
il cav. Giuliano, il sig. Giani, il comm. Grasselli, l’avv. Grazioso,
l’avv. lamelli, il comm. Sandalo, il comm. Lazzari, il comm.
Lancia, il comm. Mancini, l’ing. Meloccaro, il gr. uff. Monaco, il
gr. uff. Marruccari, il sig. Majello, 1’ing. Tronconi, l’avv.
Gennaro e il comm. Luigi Piscitelli, il cav. Marotta, il cav.
Manciacapra, il cav. Miraglia, l'avv. Giulio Zincone, l’avv.
Augusto Zincone, l'avv. Montoro, il cav. Natili, il comm.
Pellegrino, e l’elenco continua.

117
I discorsi di Casertano

Al termine dell’intervento del presidente dell’associazione


dei Campani, Pasquale Grossi, prese la parola l’on. Casertano
per ringraziare tutti i presenti, che l’ascoltarono in “un religioso
silenzio”.
“Signori, - disse il presidente della Camera dei deputati -
porgo un cordiale ringraziamento ai Componenti
dell'Associazione Campana, che promossero questo banchetto, e
qui, nella città sacra, tengono accesa la fiaccola della stirpe
campana. Ringrazio il Regio Commissario dì Napoli, che si rese
interprete dei sentimenti dell’Associazione, e parimenti ringrazio
il Rappresentante del Regio Commissario di Roma, il cui saluto
augurale è premio e speranza.
Porgo un fervido ringraziamento ai Parlamentari qui
convenuti, del Senato, della Camera, del Governo, che trovarono
interprete così eloquente nella parola immaginosa ed elegante
dell’on. De Marsico.
Ma sopratutto mi sia consentito di rivolgere un rispettoso
ringraziamento a S. E. Tittoni, presidente del Senato, che
rappresenta la suprema dignità dello Stato, e che spende tutta la
sua vegeta vecchiezza a servizio del Paese con autorità, con
senno, con dottrina insuperati ed insuperabili”.
“Questo banchetto rappresenta per noi il maggior premio
della nostra vita. - continuò il capuano, dopo una leggera pausa -
Anche noi lavoriamo umilmente, tenacemente, diuturnamente a
servizio del Paese, ed il plauso dei cittadini d'ogni parte e
colore, sopratutto il consenso dei Comprovinciali, in mezzo a cui
siamo vissuti, rappresenta per la nostra opera la meta ambiti e
conseguita.
Per me l'ufficio che ricopro è l'ultima Thule. Posso ripetere
senza rammarico: "Non bramo altra esca". Pervenuto in
condizioni di giudicare, e non di essere giudicabile, moderatore
della massima assemblea elettiva, dopo aver dato alla Patria
anche il sangue dei miei figli, posso sinceramente affermare di
desiderare soltanto di finire i miei giorni nello stato in cui sono;
continuando a servire il Paese con lealtà e fede.
Sì, fede, sopratutto, che spesso manca. Non sono molti anni

118
passati, da che la Patria appariva sull'orlo di un abisso.
Sembrava la donna descritta da Leopardi, accasciata e dolente.
Un giovane romagnolo, sul cui volto ossuto e pensoso sono i
segni della vecchia stirpe romana, che dominò il mondo, (A
questo punto tutti scattano in piedi e gridano: Viva Mussolini !,)
che anche oggi dava al Senato la prova della sua potente
genialità e dell'immenso amore alla Patria, la trasse per i capelli
e le impose di riprendere il cammino ascensionale. Ed ecco la
donna, derisa ed irrisa, riprendere la via dei mondo, che i fati le
assegnano. - riprese Casertano - Senza illusioni, amici, siamo
sul cammino ascensionale. Abbiamo quasi risanate le piaghe
dell’economia nazionale, lavoriamo tenacemente e produciamo
abbondantemente. Persistono le animosità di uomini e di partiti
(vecchia piaga italiana, che rimonta ai tempi dì Dante Alighieri),
ma anch'esse son destinate a finire per naturale stanchezza e per
un più giusto apprezzamento di cose e di partiti. Sopratutto
abbiamo riacquistato la fede che, sotto la guida del Re, saggio e
sapiente, (dalla sala ripetute grida " Viva il Re! "), prenderemo
il posto che ci spetta nel mondo tra i popoli ricchi e felici. In alto
i calici: Beviamo ad un’Italia più grande e prospera, che i nostri
padri sognarono, che l'attuale eroica generazione ha innaffiata
col suo sangue, che i nostri figli sono destinati a godere.”.

119
120
121
122
123
124
PIETRO FEDELE
Pietro Fedele era nato a
Minturno nel 1873, svolse i suoi
studi nel prestigioso convitto
Giordano Bruno di Maddaloni.
Laureatosi con lode in Lettere e
Filosofia nel 1894, a soli ventuno
anni, dopo alcuni anni
d'insegnamento nelle Scuole
Secondarie, e a seguito di concorso,
nei Licei di Napoli, copre la cattedra
di storia moderna nella Reale
Università di Torino fino al 1915, anno in cui, con voto unanime
della Facoltà di Lettere e Filosofia, è chiamato nella Reale
Università di Roma. Ma l'insegnamento, cui peraltro si dedica
come un in apostolato, non si esaurisce e da vita ad una serie di
pubblicazioni che sono la prova della sua “straordinaria
fecondità, l'esuberante preparazione scientifica”.
Tra le moltissime monografie storico-critiche, ci sono: il
Duchesne, il Sabatier, l'Hartman, il Keher P. Villari, il Tangl O.
Tommasini ed altri. Ed ancora L'amore di Giovanna di Durazzo
per Aimone III di Ginevra; Di un preteso dominio di Giovanni
VIII sul Ducato di Gaeta; Il Ducato di Gaeta all'inizio della
conquista normanna; La battaglia del Garigliano dell'anno 915 ed
i monumenti che la ricordano; Indugi del Duca di Guisa e
preparativi di guerra del Duca d'Albe nel 1557; Un consolato nel
protoevo; Una lettera di Cola di Rienzo al Comune di Padova;
Per la biografia di Pietro Cavallini; L'opera di Ernesto Monaci
per gli studi , storici; Il fratello di Gregorio Magno, Per la storia
dell'attentato di Anagni; Aspetti di Roma nel trecento; Sulla
persistenza del Senato Romano nel medio evo; Fra i monaci di
Fossanova che videro morir S. Tommaso.
Di li a poco, Fedele diventa un punto di riferimento per i
fascisti casertani ed amico inseparabile e principale referente di
colui che nel giro di qualche anno sarà il primo podestà di
Caserta: Giovanni Tescione.
Insieme ad Antonio Casertano, Alberto Beneduce, Achille

125
Visocchi rappresentano il vertice di un gruppo, che Filippo
Turati, il capo indiscusso del socialismo italiano, chiamerà “Il
Gruppo dei Casertani”.
I meriti sul campo Pietro Fedele se li era conquistati durante
la prima guerra mondiale. Sconosciuto ai Casertani del
capoluogo, era molto amato nel basso Lazio; in un elogio
apparso su un periodico locale si legge: “Chi non ricorda, infatti,
l'opera instancabile e provvida dal Fedele svolta durante il
periodo bellico? Chi non ricorda quanto Egli si prodigasse in
pro dell'assistenza civile e della propaganda nazionale?
Presidente del Comitato Laziale di Propaganda, organizzatore
del Segretariato del Popolo e dei Prestiti Nazionali