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Marcello Mustè

Lo storicismo
nel secondo dopoguerra

Nella filosofia italiana del secondo dopoguerra, la pea (quella crisi che già aveva generato il fascismo e
riflessione sullo storicismo ha rappresentato un pas- che, di lì a poco, avrebbe dato luogo alla catastrofe del
saggio essenziale nel più ampio confronto con l’ere- nazionalsocialismo e della guerra) nella «decadenza del
dità dell’idealismo. Era stato Benedetto Croce, infatti, sentimento storico» e nell’emergere di «uno spiccato
a elaborare la teoria dello «storicismo assoluto», in un atteggiamento antistorico» (B. Croce, Ultimi saggi
difficile rapporto con le premesse idealistiche della [1935], 1948, p. 246). Più in generale, l’accento por-
«filosofia dello spirito». Gli autori che si possono ricon- tato sull’orizzonte storicista del proprio pensiero signi-
durre alla linea dello storicismo, partendo da compe- ficava, da un lato, il netto rifiuto della tendenza sog-
tenze e prospettive diverse, hanno cercato di liberare gettivistica dell’idealismo, come si era manifestata nella
la dimensione storica dai vincoli che il discorso filo- filosofia di Giovanni Gentile, e, d’altro lato, l’ostilità
sofico le aveva imposto. Con riferimento a correnti verso l’immagine metafisica del puro filosofo – «di colui
vitali della cultura europea, come lo Historismus tede- che, incurioso delle cose piccole, sta intento a risol-
sco, questi autori hanno perciò ridiscusso il nesso tra vere il gran problema, il problema dell’Essere» (B.
filosofia storia e politica, con profonde ripercussioni Croce, Ultimi saggi, cit., p. 386) –, del filosofo costrut-
anche sul piano etico-civile. tore di «sistemi», a cui opponeva le fluide «sistema-
zioni» (p. 327), capaci di rispondere alle domande che,
di volta in volta, vengono poste dal tempo storico.
L’ultimo Croce e lo «storicismo assoluto» Lo «storicismo assoluto» di Croce, tuttavia, non
solo intendeva distinguersi dalla grande tradizione
Nell’ultima fase del proprio itinerario speculativo, dello storicismo europeo – quella tradizione che, in
all’incirca dal 1939, quando la «filosofia dello spirito» Germania, si era svolta da Wilhelm Dilthey a Max
era stata ormai compiuta in ogni aspetto, Croce avvertì Weber, Friedrich Meinecke e Ernst Troeltsch –, ma
che l’antica denominazione di «idealismo», che fin dal- assumeva anzi, nei confronti di questa linea di pen-
l’inizio aveva assegnata al suo pensiero, doveva essere siero, un atteggiamento di sostanziale ostilità: «La dot-
«abbandonata» e sostituita con quella, più adeguata e trina alla quale si fa allusione – scrisse – è diversa, e
precisa, di «storicismo assoluto» (B. Croce, Discorsi di quasi del tutto opposta alle altre, che vanno sotto que-
varia filosofia [1945], 2° vol., 1959, pp. 15-17). In sto nome» (B. Croce, Terze pagine sparse, 1° vol., 1955,
diversi scritti successivi ribadì la medesima persua- p. 251). Nel libro del 1938 su La storia come pensiero
sione, sottolineando che il concetto, «diventato vago e come azione, nel quale la posizione storicista era
ed equivoco, d’“idealismo”» (B. Croce, Filosofia e sto- ampiamente argomentata, l’opera di Leopold von
riografia [1949], a cura di S. Maschietti, 2005, p. 65), Ranke veniva rubricata sotto il capitolo dedicato alla
meritava di essere eliminato; e precisò di avere adot- «storiografia senza problema storico»; e pagine altret-
tato il «titolo» di «storicismo» «solo tardi, quasi sfor- tanto polemiche erano riservate a Meinecke. Lo stesso
zato dalle cose stesse, per designare l’indirizzo secondo Dilthey, che pure Croce aveva letto e meditato sin
cui avevo spontaneamente lavorato ed ero andato dalla preparazione dei suoi scritti giovanili, era bensì
innanzi per oltre cinquanta anni» (B. Croce, Filosofia apprezzato per le «squisite indagini di storia», ma
e storiografia, cit., p. 321). Il significato profondo del sostanzialmente svalutato per lo «scarso vigore» delle
suo storicismo, d’altronde, era maturato lentamente dottrine filosofiche (B. Croce, Nuove pagine sparse
e con sempre maggiore precisione, almeno da quando, [1949], 1° vol., 1966, p. 187).
in una conferenza tenuta a Oxford nel 1930, intitolata Il contrasto con il pensiero tedesco mostra come
Antistoricismo, aveva indicato l’origine della crisi euro- la denominazione di idealismo fosse stata eliminata da

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Croce per scansare gli equivoci che, ormai, essa com- arricchiscono e progrediscono, perché l’uomo con-
portava, e anche come, in realtà, l’idealismo genui- verte e trascina le forme categoriali fin dentro il ritmo
no, quello che si era espresso nella filosofia dello spi- del divenire.
rito, continuasse ad agire alla radice dello «storicismo Per quanto instabile sul piano speculativo, la sin-
assoluto». In effetti, il tardo storicismo crociano si tesi, che Croce aveva tentata, tra le ragioni della sto-
fondava su due tesi essenziali, che proprio nei quat- ria e quelle dell’idealismo, assumeva un significato
tro volumi della filosofia dello spirito, in modo par- importante, destinato a condizionare la vicenda suc-
ticolare nella Logica come scienza del concetto puro cessiva dello storicismo italiano. Da un lato, quella
(1909) e in Teoria e storia della storiografia (1917), sintesi intendeva ribadire il nesso inestricabile di filo-
avevano ricevuto una giustificazione filosofica. In sofia e storiografia, al punto da configurare la loro
primo luogo, lo storicismo indicava l’identità di filo- perfetta identità. D’altro lato, essa acquistava un
sofia e storia, che nella Logica era stata raggiunta vibrante senso etico e civile, persino politico o «meta-
attraverso la teoria del «giudizio individuale»: teoria politico», perché si coniugava con la teoria del libe-
che affermava, sulle orme di Georg Wilhelm Frie- ralismo, tanto che, negli ultimi scritti, «libertà» e «sto-
drich Hegel, l’universalità e la concretezza del con- ria» vennero ad assumere un significato analogo, se
cetto, nonché la sua funzione individuante rispetto non coincidente. Di più, l’accezione di libertà, che
alle rappresentazioni estetiche. In secondo luogo, lo lo storicismo prendeva in questa dottrina, tendeva
storicismo manifestava la tesi, in apparenza parados- altresì ad allargare le prerogative della forma etica,
sale, della «contemporaneità» di ogni storia, cioè della della dimensione morale, che Croce arrivò a deter-
storia come tale: tesi che, largamente ripresa negli minare come «potenza unificatrice dello spirito» (B.
ultimi scritti, significava che l’identità di filosofia e Croce, Filosofia e storiografia, cit., p. 65), «modera-
storia, in quanto culmine del sapere teoretico, sem- trice e governatrice» dell’intero circolo delle catego-
pre trae origine da un interesse della vita presente, rie. Insomma, all’apice dello «storicismo assoluto»,
da un’oscurità che il pensiero è chiamato a illumi- al di là delle sue difficoltà o incongruenze specula-
nare. Per questo, in una pagina del libro del 1938 su tive, si stagliava l’ideale di una cultura fondata sulla
La storia, seguendo un’espressione di Johann Wolf- connessione tra le ragioni della filosofia, della storia,
gang von Goethe, aveva affermato che la storiogra- della politica.
fia è «liberazione» dalla storia e dal passato, perché
«sovr’esso s’innalza idealmente e lo converte in cono-
scenza» (B. Croce, La storia come pensiero e come Revisioni e sviluppi
azione, a cura di M. Conforti, 2002, p. 38).
Non ostanti le novità speculative che accompagna- Il tentativo dell’ultimo Croce – volto a elaborare
rono gli ultimi anni di Croce, a cominciare dal ripen- una teoria dello «storicismo assoluto» che conservasse
samento della categoria dell’utile e della vitalità, lo un forte legame con le premesse idealistiche della filo-
«storicismo assoluto» derivava dalla filosofia che – a sofia dello spirito, e dunque consentisse di salvaguar-
partire dal confronto con Hegel, avviato tra il 1905 e dare la relazione intrinseca di storia, filosofia e poli-
il 1906 – egli aveva via via elaborato. Per questo, nel tica – incontrò resistenze e critiche, proprio fra coloro
suo pensiero, tra idealismo e storicismo il rapporto che, in un modo o nell’altro, si erano formati sui suoi
non fu mai pacifico; e la netta affermazione per cui «la libri e nel suo insegnamento. Certo non mancarono
vita e la realtà è storia e nient’altro che storia» (La sto- studiosi che cercarono di svolgere i motivi di quella
ria come pensiero e come azione, cit., p. 59) generò, sino concezione, difendendone tuttavia il nucleo essen-
alla fine, una tensione irrisolta, forse irresolubile, con ziale, come Raffaello Franchini (1920-1990), il quale,
l’altro principio secondo cui la realtà è costituita da a partire dai saggi di Esperienza dello storicismo (1953)
categorie eterne, le quali, per essere tali, non possono e di Metafisica e storia (1958), dapprima meditando
partecipare del ritmo del tempo e del divenire, in- le categorie crociane della vitalità e dell’esistenza,
somma della storia. È vero che negli ultimi scritti avrebbe in seguito proposto, nella Teoria della previ-
Croce accentuò il lato storicista del suo pensiero, sino sione (1964), la nuova figura del «giudizio prospettico»,
a parlare di una «risoluzione della filosofia nella sto- cioè una revisione della teoria crociana del giudizio
riografia» (B. Croce, Il carattere della filosofia moderna individuale. Ma in generale, prima che altre correnti
[1941], a cura di M. Mastrogregori, 1991, p. 9) e a ri- di pensiero (il marxismo, l’esistenzialismo, la feno-
prendere, perciò, l’antico motivo della filosofia come menologia) intervenissero a sancirne la crisi, la critica
«metodologia» della storia. Tuttavia la soluzione del dello «storicismo assoluto» fu dichiarata nell’ambito
problema, e dunque la sintesi, assai instabile, tra i due della scuola crociana, e formulata sulla base di ele-
momenti che lo costituivano – lo storicismo e l’idea- menti e principi che riposavano al fondo dello stesso
lismo –, restava consegnata alla distinzione tra il piano idealismo di Croce.
delle categorie, eterne e «operatrici dei cangiamenti», In una serie di scritti pubblicati tra il 1945 e il
e «i nostri concetti delle categorie» (La storia come pen- 1946, che successivamente confluirono nel libro Il
siero e come azione, cit., p. 31), che invece variano e si ritorno alla ragione (1946), Guido De Ruggiero (1888-

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1948) obiettò a Croce che il suo storicismo, a causa del diritto di natura (1959), arrivava a riconoscere il
della premessa hegeliana che lo condizionava, si risol- retaggio hegeliano dello stesso Croce, auspicando
veva in un esito contemplativo e quietistico, incapace ormai, attraverso la dottrina delle categorie, una ripresa
di generare la «storia che si fa». Tra la comprensione dei motivi profondi del giusnaturalismo, ossia la solu-
teoretica e la volontà pratica mancava, secondo De zione della secolare disputa tra storicismo e diritto di
Ruggiero, una molla ideale in grado di giustificare natura, tra le ragioni del kratos e quelle dell’ethos. Più
l’aspirazione umana all’azione. Rivalutando le osser- in generale, nella prospettiva che Antoni delineò, lo
vazioni che Friedrich Nietzsche aveva svolto nella storicismo recuperava, non solo oltre Hegel, ma anche
seconda considerazione inattuale (ma confermando oltre Croce, il valore dell’individualità, di quell’indi-
tuttavia la sua ostilità allo storicismo tedesco), De viduo che Croce, con Hegel, aveva considerato alla
Ruggiero diede voce a quella «nota d’insoddisfazione» stregua di uno pseudoconcetto.
per la soluzione crociana, cercando di recuperare il Le riflessioni di De Ruggiero e Antoni, per quanto
valore della «norma ideale», del dover essere, positivo diverse tra loro, giungevano a porre un problema ana-
retaggio del «razionalismo illuministico», che sola logo, poiché entrambe indicavano l’insufficienza dello
avrebbe consentito la «spezzatura», come la definì, tra «storicismo assoluto», la necessità di una riapertura
conoscenza e azione, cioè «il vitale squilibrio tra il verso le tematiche del giusnaturalismo e del diritto di
reale e l’ideale, l’impulso a proporsi nuovi compiti, natura. Diversa, ma altrettanto radicale, fu la que-
a preparare una nuova azione» (G. De Ruggiero, Il stione che, nel libro Il mondo magico (1948), venne
ritorno alla ragione, 1946, p. 19). sollevata da Ernesto De Martino (1908-1965), cioè
Se la critica di De Ruggiero cercava di svincolare dall’autore che, allievo di Adolfo Omodeo (1889-1946)
l’idealismo di Croce dallo hegelismo aprendolo a temi e vicino alla filosofia di Croce, aveva fondato o rifon-
giusnaturalistici, di ben altro spessore si presentò, tra dato su basi storiciste, con Naturalismo e storicismo
il 1946 e il 1959, la riflessione di Carlo Antoni (1896- nell’etnologia (1941) e con altri scritti, la scienza etno-
1959), che per altro risentiva, sul piano speculativo, logica italiana. In quel libro del 1948, infatti, si leg-
della inquieta indagine teoretica che, con la Critica gevano una decina di pagine di forte impegno teore-
del capire (1942), era stata condotta da Luigi Scara- tico, nelle quali De Martino affermava che l’unità
velli (1894-1957) intorno al problema del giudizio e trascendentale dell’autocoscienza, il «supremo prin-
delle categorie. In effetti, l’intera opera che Antoni cipio» della soggettività, non può essere considerato
aveva elaborata, dal libro del 1940 Dallo storicismo eterno, ma è piuttosto il risultato di un processo sto-
alla sociologia al volume del 1942 La lotta contro la rico, dello «sforzo di fondare l’individualità, l’esserci
ragione, consisteva in una vasta ricognizione della nel mondo, la presenza» (E. De Martino, Il mondo
vicenda dello storicismo, in particolare dello storici- magico. Prolegomeni a una storia del magismo, 1997, p.
smo tedesco, che, da un lato, vedeva emergere il fondo 161). Ciò significava – come Croce stesso rilevò in una
più oscuro e barbarico derivato dalla lunga lotta con- discussione del libro – che, al pari della «presenza», le
tro l’Aufklärung, e, d’altro lato, indicava proprio nella forme categoriali non potevano essere intese come la
teoria crociana del giudizio storico, ripensata a par- struttura eterna della realtà, sottratte al divenire e alla
tire dalla terza critica di Immanuel Kant, la possibi- storia, ma come risultati di una «crisi», sempre a rischio
lità di una soluzione della «rivolta romantica». Ma di ripresentarsi nel cammino della civiltà. De Martino
quando, negli ultimi anni della sua vita, cominciò a (che pure rifiutò tale conseguenza) aveva, come si
fare i conti con l’eredità di Croce, quei temi, che già disse, «storicizzato» le categorie: ossia aveva distac-
aveva enucleato, assunsero una fisionomia critica più cato il suo storicismo da quella premessa idealista (il
rilevata, sino a mettere in discussione aspetti essen- circolo eterno delle categorie) che Croce, con pazienza
ziali della filosofia dello spirito. In generale, era pro- e difficoltà, sempre aveva cercato di garantire al pro-
prio il rapporto con la filosofia di Hegel che, ormai, prio discorso filosofico.
si configurava nella riflessione di Antoni in una diversa I segni di inquietudine che percorsero gli studiosi
prospettiva. Fin dalle Considerazioni su Hegel e Marx di formazione crociana nell’immediato dopoguerra
(1946), formulava una critica perentoria della conce- tendevano dunque a distaccare lo «storicismo asso-
zione storica di Hegel, nella quale, spiegava, la scis- luto» dalla sua base filosofica, in particolare dai legami
sione tra ciò che è essenziale e ciò che, invece, viene che lo univano alla tradizione hegeliana, e quindi a
abbandonato all’accidentalità, configura una svalu- guardare con occhi diversi il rapporto (l’identità,
tazione dell’individuo e dell’individualità, ormai ridotti come Croce aveva sostenuto) tra filosofia e storio-
a mero strumento dei piani di una ragione trascen- grafia. Non può sorprendere, allora, che gli esiti forse
dente. Nel successivo Commento a Croce (1955), più nitidi di questo processo cominciarono ad avver-
Antoni opponeva la crociana teoria del giudizio, restau- tirsi tra gli storici, nell’intento di emancipare il metodo
ratrice di un’identità dinamica, alla fallace logica hege- storiografico dal vincolo che la filosofia sembrava
liana della contraddizione, insomma alla dialettica, imporgli. In effetti, una storiografia impregnata di
mostrando in questa la confusione tra concetti e astra- motivi concettuali, come era stata quella, per es., di
zioni. Infine, nella sua ultima opera, La restaurazione Omodeo, o quella di cui lo stesso Croce aveva dato

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prova nella Storia d’Europa (1932), sembrava, dopo mazione sostanzialmente estranea alla filosofia, rivol-
il 1945, ormai lontana. Il nuovo «storicismo degli sto- ta piuttosto alla grande storiografia politica, e dun-
rici» (come è stato definito) trovò espressione in due que aperta (ben più di quanto non fosse accaduto in
esponenti di spicco della storiografia italiana: Delio Croce) alla lezione metodologica di Leopold von Ranke
Cantimori (1904-1966) e Federico Chabod (1901- e allo storicismo tedesco, come mostrano i due pro-
1960). Il primo di essi, Cantimori, aveva ricevuto fili che scrisse di Meinecke. Nel saggio del 1952,
una solida formazione filosofica alla Scuola Normale Chabod riconduceva il Croce migliore all’«‘istinto’
Superiore di Pisa, dove era stato allievo di Giuseppe dello storico», che «parlò in lui prima di quello filoso-
Saitta e aveva discusso la tesi di laurea su Ulrich von fico» (Lezioni di metodo storico. Con saggi su Egidi,
Hutten con Gentile. Ma nel periodo di elaborazione Croce, Meinecke [1969], a cura di L. Firpo, 1973, p.
del suo capolavoro, gli Eretici italiani del Cinquecento 182), al «senso vivo del particolare concreto» (p. 186),
(1939), era giunto a consumare del tutto la fiducia destinato a emergere nel modo più perfetto negli scritti
nel nesso tra filosofia e storia, sino a prospettare una dedicati a figure e aspetti particolari. Ma di contro
specie di «conversione» al puro metodo storico, o alle opere dell’«istinto» storico, restava in Croce
almeno, come scrisse, l’«eredità hegeliana», il «provvidenzialismo storici-
stico»: e dunque si apriva, nella sua opera, uno «iato»,
un passaggio dalla ‘filosofia’ alla ‘storia’, che coin-
cise con una critica della filosofia e un allontana- una frattura non composta, tra il particolare e l’uni-
mento della professione di essa e anche con un appro- versale, tra i fatti e le idee, tra la storia e la filosofia
fondimento della concezione della storia e della sua (p. 210). L’analisi di Chabod era condotta con rigore
funzione e dei suoi elementi (Eretici italiani del Cin- implacabile, fino alla considerazione della Storia d’Eu-
quecento e altri scritti, a cura di A. Prosperi, 1992, ropa – per lo più ritenuta il capolavoro dello storici-
p. 13). smo crociano – come opera non riuscita e, anzi, riu-
scita male: «Il was eigentlich gewesen del Ranke –
Certo, i diversi autori che via via entrarono nel suo concludeva Chabod –, accolto ancora nel 1929, è ora
caratteristico laboratorio – Karl Marx, Johann Gustav criticato» (p. 228). Per il prestigio dell’autore, per la
Droysen, Jacob Burckhardt, Max Weber – non offu- data in cui venne scritto, per la nettezza delle tesi soste-
scarono mai del tutto la sensibilità per il discorso filo- nute, il saggio di Chabod segnò un punto di passag-
sofico (che fu tanto respinto quanto silenziosamente gio nella vicenda dello storicismo italiano, dichia-
coltivato), ma lo condussero a delineare un ideale di rando, di fatto, l’abbandono dello «storicismo assoluto»
storiografia che rifiutava le connessioni «orizzontali» crociano, nel suo tentativo di tenere insieme, in un
tra le idee e le commistioni speculative, per cercare solo nodo, il discorso filosofico e quello storico, l’idea-
invece una penetrazione in quella che definì la «con- lismo e lo storicismo.
creta, rugosa e rilevata realtà storica» (Storici e storia,
1971, p. 507). Così, negli Appunti sullo ‘storicismo’
(1945) metteva a fuoco la polemica, già da tempo La filosofia come sapere storico
avviata, contro il modello idealistico della «pura sto-
ria della storiografia», attribuito in modo particolare Se nell’ambito della cultura crociana si erano pro-
ad Antoni. In uno degli ultimi scritti, Storia e storio- dotti importanti tentativi di revisione, se le riflessioni
grafia in Benedetto Croce (1966), Cantimori enucleò di Chabod e Cantimori avevano cominciato a ricol-
con precisione la parte vitale dell’insegnamento di locare il rapporto tra storiografia e filosofia, fu la vasta
Croce (verso cui mantenne sempre un atteggiamento opera di Eugenio Garin (1909-2004) che offrì, a que-
di rispetto e ammirazione), riconoscendola nella distin- sto processo, un grado più elevato di consapevolezza.
zione tra res gestae e historia rerum e, d’altro lato, nella Garin si era formato all’Università di Firenze, con
corretta pratica della storia della storiografia, intesa a maestri come Ludovico Limentani e Francesco De
individuare le «soluzioni» storiografiche piuttosto che Sarlo, in un ambiente dove sopravviveva l’eredità
le «interpretazioni» filosofiche. dell’alta erudizione e del migliore positivismo ita-
Lo scritto di Cantimori su Croce, che di fatto sepa- liano; in tale temperie aveva condotto i primi studi
rava un «Croce storico» da un «Croce filosofo» – quale su Joseph Butler e l’Illuminismo inglese, per poi vol-
riflesso della disgregazione, che si era operata in lui, gersi, fin dal 1931, a quelle ricerche sull’Umanesimo
tra le ragioni della storiografia e quelle della filosofia e sul Rinascimento che lo avrebbero consacrato tra i
– risentiva delle conclusioni a cui era pervenuto maggiori studiosi a livello internazionale. Il suo incon-
Chabod nel saggio, scritto subito dopo la morte del tro con l’idealismo, che fu serio e profondo (come
filosofo, su Croce storico (1952). La grande autorità di volle sottolineare in un tardo scritto del 1985 su Ago-
Chabod nella storiografia italiana, il fatto stesso che nia e morte dell’idealismo italiano), avvenne nel segno
dal 1946, morto Omodeo, Croce lo avesse chiamato a di una estrema complessità, perché alla lezione di
dirigere l’Istituto di studi storici da lui fondato, con- Gentile e di Croce presto s’intrecciarono altre sug-
ferì a quello scritto un’importanza esemplare. A dif- gestioni, quali gli provennero, per es., dai Quaderni
ferenza di Cantimori, Chabod aveva ricevuto una for- del carcere di Antonio Gramsci e dai classici dello

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Historismus, a partire da Dilthey. Però il suo giudi- sorgono nell’urto delle ‘cose’, per reagire su di esse
zio – che si articolò, specie dopo il 1945, in una lunga modificandole lungo linee molto più sinuose e com-
serie di studi sulla filosofia italiana contemporanea – plesse di quelle disegnate dal filosofo-storico nel casto
divenne ben presto nitido: se, a proposito di Gentile, regno delle essenze ucroniche (La filosofia come sapere
rifiutò la posizione «teologale» che tendeva a risolvere storico, cit., p. 61).
la storia nella dialettica dell’atto puro, nella filosofia
di Croce seppe distinguere con cura il retaggio hege- Sulla base di questa priorità delle «cose» sulle idee,
liano, che culminava nella dottrina delle categorie il compito stesso dello storico della filosofia comin-
eterne, dal più autentico motivo storicistico, che rav- ciava a delineare un diverso volto: allo storico si chie-
visò nel principio per cui «la realtà è storia e nient’al- deva, infatti, di ripercorrere all’inverso il processo di
tro che storia» (mentre le idee sono fatti particolari formazione delle idee, considerando i concetti come
«malamente innalzati a universali») e, d’altra parte, «risposte» alle «domande» poste dal tempo e dalla realtà.
nella tesi della «contemporaneità», capace di indicare Si trattava, insomma, di cogliere il «perché dei sistemi»,
l’origine pratica dell’indagine storica e il suo orien- di scoprirne e ricostruirne la «genesi», individuandone
tarsi all’azione futura. le radici, i moventi, le zone opache. E dunque di «valu-
La posizione di Garin si precisò, sul piano teorico, tare» i concetti non più sulla base di una premessa
in una serie di scritti che, composti tra il 1956 e il metafisica, ma con il metro dell’«appropriatezza o
1958, confluirono nel libro del 1959 su La filosofia meno delle risposte», svelando ciò che era oscuro allo
come sapere storico. Come spiegò nell’Avvertenza, quei stesso artefice del «sistema».
saggi erano sorti «dall’esigenza di chiarire il compito In tale prospettiva, quello di Garin (che nei luo-
e i metodi della storia della filosofia», e, dunque, dalla ghi cruciali del discorso citava Gramsci e Cantimori)
consapevolezza che, nella «concreta ricerca storica», appariva come uno storicismo integrale, del tutto
condotta «per decenni in campi precisi», gli «strumenti emancipato dall’ipoteca metafisica in cui le filosofie
di lavoro» si erano via via «consumati» (La filosofia dell’idealismo lo avevano conservato. Nelle Osserva-
come sapere storico, 1990, pp. VII-VIII). Gli «stru- zioni preliminari a una storia della filosofia, pubblicate
menti di lavoro», a cui alludeva, erano gli stessi prin- nel 1959 sul «Giornale critico della filosofia italiana»,
cipi teorici che, ereditati dal positivismo e dall’idea- per sottolineare che il discorso filosofico non può mai
lismo, si mostravano ormai del tutto inadeguati. In manifestarsi «puro» e precedere la storia, scrisse, in
quei saggi, Garin metteva in discussione, anzi tutto, una forma molto netta: «Non la storia della filosofia
il dogma dell’«unità» della storia della filosofia: quella dopo la filosofia, ma la filosofia dopo la storia della
tesi che, rintracciata nel § 13 dell’Enzyklopädie der filosofia» (in E. Garin, La filosofia come sapere storico,
philosophischen Wissenschaften im Grundrisse (1817, cit., p. 37). Questo aforisma, che in certo modo rias-
Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio) di sume il nucleo del suo storicismo, non va però inteso
Hegel, dove si affermava il concetto dell’unità della nel senso che Garin semplificasse, o addirittura annul-
filosofia nella molteplice e «accidentale» apparenza lasse, il difficile nodo speculativo del rapporto tra filo-
delle sue manifestazioni storiche, restava alla base sofia e storia. Al contrario, come spiegò nell’articolo
della visione gentiliana dell’identità di filosofia e sto- del 1956 su L’unità nella storiografia filosofica, «rigida
ria della filosofia, per prolungarsi nello stesso pen- nel rifiuto di ogni presupposizione a priori», tuttavia
siero di Croce, dove, nella Logica, la storia della filo- la storia riconosce «una ragione che non cerchi garan-
sofia veniva concepita nei termini dell’astrazione e zie fuori di sé», una «ragione storica o, se si vuole, sem-
dello pseudoconcetto. Superare quel dogma dell’«unità» plicemente ragione» (La filosofia come sapere storico,
significava dunque, nella prospettiva di Garin, riscat- cit., p. 16). Ma questa razionalità, che pure veniva
tare l’«accidentale», restituire al concreto storico un presupposta al concreto manifestarsi delle cose stori-
significato di verità, e quindi rendere possibile la sto- che, non poteva mai assumere il carattere di un sistema,
ria della filosofia, emancipandola dalla premessa «teo- non poteva essere definita in sé, nell’articolazione dei
logale» che l’aveva degradata a mera erudizione. suoi contenuti concettuali, ma osservata soltanto nel-
Così, il discorso sulla storia della filosofia si am- l’esercizio della ricerca, nel contatto con le individua-
pliava a una complessiva riaffermazione del senso sto- lità presenti nel tempo e nello spazio. La «ragione sto-
rico, attraverso una netta distinzione dalla struttura rica» incarnava l’ideale stesso della comprensione
metafisica che, nel segno dell’idealismo, lo aveva per storiografica, che per Garin non poteva, d’altronde,
secoli compresso. Il rovesciamento della tesi dell’«uni- realizzarsi nell’ideale rankiano di un’aderenza passiva
tà», il diverso rapporto che occorreva garantire tra filo- alle cose, ma richiedeva l’iniziativa attiva dello sto-
sofia e storia della filosofia, portava Garin a insistere rico, che stabilisce «rapporti fra idee, teorie, visioni
sulla «storicità del filosofare»: si trattava di superare, d’insieme, e situazioni reali»; e che dunque, lungi dal-
insomma, l’antico modello di una storia della filoso- l’atteggiarsi a spettatore, «sceglie e collega: intesse la
fia che concresce su se stessa, lungo un progresso oriz- storia là dove ha trovato serie e complessi di eventi e
zontale da idea a idea, de claritate in claritatem. Le dati» (La filosofia come sapere storico, cit., p. 77). In
idee, spiegava Garin, non nascono dalle idee, ma questo ideale della comprensione, lo storicismo di

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Garin incontrava, oltre l’idealismo, la tesi crociana tica della cultura borghese italiana, e, al tempo stesso,
della «contemporaneità», il principio di una storia che comportava il superamento del suo «carattere specu-
trascende il semplice accadere nella prospettiva di un lativo» e astratto. Per questo, Gramsci arrivò a defi-
tempo vissuto e umano, preparando l’azione futura nire il proprio marxismo non solo come una «filoso-
attraverso l’illuminazione del passato. fia della praxis», ma anche, alla maniera di Croce, come
uno «storicismo assoluto», finalmente liberato da ogni
residuo teologico-speculativo, da ogni idealismo, e
Marxismo e storicismo ricondotto all’autentica dialettica della realtà:
la filosofia della prassi – concludeva – è la concezione
Abbiamo visto come alcuni protagonisti del dibat- storicistica della realtà, che si è liberata da ogni resi-
tito sullo storicismo, quali Cantimori e Garin, aves- duo di trascendenza e di teologia anche nella loro ultima
sero trovato nel pensiero di Antonio Gramsci (1891- incarnazione speculativa; lo storicismo crociano rimane
1937) un importante riferimento teorico. Dopo la ancora nella fase teologico-speculativa (p. 191).
pubblicazione, nel 1947, delle Lettere dal carcere, erano
infatti apparsi per l’editore Einaudi, tra il 1948 e il Il programma gramsciano, sostenuto e promosso
1951, i sei volumi dei Quaderni del carcere, raccolti e da un grande partito politico e dai suoi istituti cultu-
sistemati in ordine tematico (un ordine controverso, rali (come accadde, per es., nei due convegni nazio-
che sarà superato solo nel 1975, con la nuova edizione nali di studi gramsciani del 1958 e del 1967), ebbe un
curata da Valentino Gerratana), sotto la «sapiente impatto considerevole nel dibattito sul marxismo. Lo
regia» (come la definì Garin) di Palmiro Togliatti. Nel storicismo delineato da Gramsci condizionò e ispirò
momento in cui il dibattito sul marxismo teorico era gli studi storici – con figure come Emilio Sereni (1907-
attraversato da inquietudini e da domande di rinno- 1977) ed Ernesto Ragionieri (1926-1975) –, e quelli
vamento – dai saggi di Antonio Banfi su «Studi filo- di letteratura e archeologia, suscitando discussioni su
sofici» all’esperienza del «Politecnico», dal razionali- riviste come «Società» e «Studi storici». Tuttavia, sul
smo di Ludovico Geymonat alle riflessioni di Galvano piano più strettamente teorico, dove ci si sarebbe aspet-
della Volpe su La libertà comunista (1946) –, la pub- tati una ripresa e un approfondimento dei temi pro-
blicazione dei Quaderni gramsciani, gestita diretta- posti da Gramsci, l’indicazione di un rinnovato «sto-
mente dalla dirigenza comunista, e accompagnata, a ricismo assoluto» non ebbe particolari sviluppi, o
partire dal 1947, da alcuni discorsi dello stesso To- comunque non trovò svolgimenti speculativi all’al-
gliatti, sembrò rispondere a un preciso disegno di ege- tezza delle questioni emerse. Anche un filosofo di
monia culturale, volto a ricondurre la ricerca marxi- punta come Cesare Luporini (1909-1993) – che era
sta nello specifico terreno della tradizione italiana, e stato tra i fondatori di «Società», e aveva approfondito
dunque a «costruire» quella linea di continuità capace lo studio dell’esistenzialismo tedesco e pubblicato un
di unire grandi classici come Francesco De Sanctis al libro come Situazione e libertà nell’esistenza umana
marxismo eterodosso di Antonio Labriola e, quindi, (1942) –, pure negli anni di maggiore successo della
all’esperienza umana e intellettuale di Gramsci. Una linea gramsciana rimase sostanzialmente ai margini
linea – quella centrata sui nomi di De Sanctis, Labriola, di quel progetto teorico, realizzando una diversa impo-
Gramsci – che tendeva a riproporre la concezione del stazione nel libro Filosofi vecchi e nuovi. Scheler, Hegel,
marxismo come storicismo, allontanando o restrin- Kant, Fichte, Leopardi (1947), dove si leggeva l’inno-
gendo quei tentativi di contaminazione con altre cor- vativo saggio su Leopardi progressivo, e formulando,
renti filosofiche (dall’esistenzialismo al razionalismo) dopo il 1958, una critica sempre più decisa dello sto-
che sembravano affermarsi nel dibattito culturale. ricismo, fino a dichiarare di essere «diventato un
Nel primo volume dei Quaderni, dove vennero rac- nemico dello storicismo, almeno nel significato o nei
colte le note su Il materialismo storico e la filosofia di significati culturalmente correnti e suggestionanti
Benedetto Croce (1948), Gramsci delineava il rapporto della parola» (La filosofia dal ’45 ad oggi, a cura di V.
tra la filosofia della prassi e l’idealismo crociano Verra, 1976, p. 460).
secondo un’analogia con il rapporto tra Marx e Hegel, Il dibattito tornò di attualità nel 1962, con diversi
auspicando sia una ripresa che un rovesciamento dello interventi su «Rinascita», dopo la pubblicazione del
«storicismo assoluto»: libro di Nicola Badaloni (1924-2005) Marxismo come
storicismo (1962). Autorevole storico della filosofia,
Occorre fare – scriveva – per la concezione filosofica
del Croce la stessa riduzione che i primi teorici della interprete di Giordano Bruno, Tommaso Campanella,
filosofia della prassi hanno fatto per la concezione Giambattista Vico, con il suo studio Badaloni ripor-
hegeliana (A. Gramsci, Il materialismo storico e la filo- tava al centro dell’attenzione la questione teorica dello
sofia di Benedetto Croce, 1948, p. 199). storicismo, che avrebbe poi ulteriormente sviluppato,
con riferimento a Gramsci, nei capitoli centrali (il
Il programma dell’«Anti-Croce», come lo definì, dodicesimo e il tredicesimo) del libro Il marxismo di
implicava un’attenzione particolare per la filosofia Gramsci. Dal mito alla ricomposizione politica (1975),
dello spirito, considerata come l’espressione più auten- e, in relazione alla storia della cultura italiana, nel

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MARCELLO MUSTÈ

volume, scritto con Carlo Muscetta, su Labriola, Croce, La ricerca dell’individualità


Gentile (1977). Nel libro del 1962, Badaloni ripren-
deva integralmente il programma gramsciano, non Negli autori che abbiamo fin qui considerato, la
solo sviscerando la critica dell’idealismo (l’indicazione teoria dello storicismo tendeva a costituirsi, in primo
dell’«Anti-Croce»), ma anche sottolineando il carat- luogo, attraverso la critica dell’illustre precedente cro-
tere antimetafisico dello storicismo di Gramsci, il ciano, al quale si imputava, in un modo o nell’altro,
quale – spiegava –, anche nei confronti del marxismo un’incoerenza di fondo, ossia l’incapacità (o l’impos-
dottrinale, «ha levato la sua critica severa contro lo sibilità) di comporre il discorso filosofico di matrice
scheletrimento della metodologia in una metafisica» hegeliana (l’idealismo) con la più tarda affermazione
(Marxismo come storicismo, 1962, p. 198). Lo «stori- dell’istanza storicista. Ne erano derivati, da un lato,
cismo assoluto» si presentava, così, come «il nuovo un recupero dell’assolutezza dei valori, d’altro lato una
illuminismo del secolo XX» (p. 77), o, più precisa- più netta distinzione tra storiografia e filosofia, infine
mente, come uno «storicismo senza miti», capace di rico- la ripresa del marxismo, nella sua nuova versione gram-
noscere il «relativamente permanente» della struttura sciana. Ma altri autori, pur conservando un’attenzione
economica e, soprattutto, di «attaccarla» e «modifi- critica alla vicenda dell’idealismo italiano, comincia-
carla» con «la prassi cosciente umana» (p. 179). rono a sviluppare la linea dello storicismo assumendo
Per conseguire tale risultato, Badaloni metteva in diversi riferimenti, ricominciando a guardare, per es.,
discussione quei caratteri di «necessità» e «totalità» che alla tradizione dello Historismus tedesco, oppure inne-
ancora segnavano lo storicismo di Croce, cercando di stando lo storicismo su suggestioni provenienti dal-
inserirvi, attraverso la lezione del marxismo, l’aper- l’esistenzialismo e dalla fenomenologia.
tura alla «possibilità», cioè il momento della prassi con- Il libro che Pietro Rossi (n. 1930) pubblicò, nel
sapevole e rivoluzionaria. Lo stesso concetto di «con- 1956, su Lo storicismo tedesco contemporaneo, seguito,
temporaneità», spiegava, solo così riesce a vincere quel nel 1960, dai saggi di Storia e storicismo nella filosofia
«residuo di passività», quell’«atteggiamento ricettivo» contemporanea (dove si leggeva, tra l’altro, un impor-
(p. 145), che ancora conservava nell’idealismo. Alla tante scritto su Benedetto Croce e lo storicismo asso-
luce delle teorie di Gramsci, insomma, lo storicismo luto), acquista, in tale prospettiva, un’importanza
poteva realizzarsi davvero, oltre ogni premessa meta- peculiare. Allievo di Nicola Abbagnano all’Univer-
fisica, eliminando la finzione delle categorie eterne, sità di Torino (ma anche di Chabod, almeno nel pe-
perché, aggiungeva, riodo di perfezionamento all’Istituto italiano per gli
studi storici), Rossi proponeva una ricostruzione com-
per il marxismo nessuna categoria è eterna; ogni con-
cetto logico deve essere decifrato non solo in un rap- pleta, destinata a diventare classica, della parabola
porto interno con altri concetti ma nel rinvio alla dello storicismo tedesco, da Dilthey a Meinecke, che
realtà a cui esso nella sua astrattezza rimanda» (p. (richiamandosi soprattutto a Raymond Aron, ma risen-
210). tendo altresì delle interpretazioni di Karl Löwith, che
aveva seguito a Heidelberg) intendeva letteralmente
Un esempio capitale di questo metodo riguardava rovesciare il giudizio sullo Historismus formulato da
la volontà economica, quella forma che Croce aveva Croce e da Carlo Antoni. In modo particolare, la
considerato come una sua scoperta e che, negli ultimi vicenda dello storicismo veniva separata dalla «visione
anni, aveva declinato nella dialettica della vitalità: romantica della storia», sia dalla linea che da Johann
Badaloni (non diversamente da quanto accadeva nelle Gottfried von Herder portava a Ranke, sia da quella
ultime meditazioni di De Martino) tornava invece a che, da Kant, giungeva a Hegel: tra Hegel e Dilthey,
distinguere i due termini – il vitale e l’economico –, spiegava Rossi, nel decennio 1840-50 si era già con-
sottolineando, da un lato, che la vitalità non può sfug- sumata la crisi della cultura romantica, attraverso
gire al divenire storico, e, d’altro lato, che «l’econo- l’opera della sinistra hegeliana, di Ludwig Feuerbach,
mico storicizza il vitale», individuando in esso «il rela- Marx, Sören Kierkegaard. Dunque, lo storicismo
tivo e il costante», come valore di scambio e valore tedesco appariva come «uno storicismo alternativo nei
d’uso (p. 154). Solo a questa condizione, cioè reinclu- confronti dello storicismo romantico» (P. Rossi, Lo
dendo nel divenire storico le forme categoriali, si storicismo tedesco contemporaneo, 19712, p. XIX), sorto
sarebbe potuto concepire il momento della «possibi- sul terreno del positivismo e di un richiamo a Kant
lità» e della «libertà», l’apertura della prassi umana che, programmaticamente, rifiutava il contenuto spe-
oltre il dominio della necessità. Perciò, lo storicismo culativo dell’idealismo. Il percorso che Antoni aveva
indicato da Gramsci costituiva l’unica delle due strade definito, in termini negativi, «dallo storicismo alla
percorribili dopo la filosofia crociana: «l’una – chia- sociologia», assumeva così un significato positivo, per-
riva Badaloni – era quella della filosofia del valore», sino esemplare, capace di superare l’antitesi tra sto-
perseguita da De Ruggiero e da Antoni, l’altra quella ricismo e illuminismo.
gramsciana, «capace di porre in modo antidetermini- Per quanto Rossi, negli anni successivi, sarebbe
stico e antimetafisico il problema dell’intendimento arrivato a correggere queste posizioni iniziali, fino a
del divenire storico» (p. 158). dichiarare, in un convegno del 2000, il suo «congedo

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LO STORICISMO NEL SECONDO DOPOGUERRA

dallo storicismo» (Martirano, Massimilla 2002, pp. 6- La riflessione di Piovani trovò uno svolgimento
20), non vi è però alcun dubbio che quel libro, oltre ulteriore, e di grande rilievo, nel libro (pubblicato
che per il rilievo dell’importante ricostruzione storio- postumo, grazie alle cure di Fulvio Tessitore) su Ogget-
grafica, esercitò una funzione essenziale nella vicenda tivazione etica e assenzialismo, che in certo modo rap-
dello storicismo italiano. presenta il suo approdo speculativo. Qui Piovani tor-
Fu però nell’opera di Pietro Piovani (1922-1980) nava a meditare le radici ultime dell’individualità
che, specie a partire dagli anni Sessanta, si realizzò il storicista, rintracciandole nello squilibrio della sog-
tentativo più organico, sotto il profilo speculativo, di gettività, nella differenza tra il cogito e il sum, tra la
elaborare le basi teoriche di un nuovo storicismo. razionalità del pensiero e la sua esistenza. A partire
Riprendendo alcune intuizioni di Giuseppe Capograssi da questa asimmetria originaria, l’individuo – spie-
(1889-1956), di cui era stato allievo all’Università di gava – è sempre chiamato a dirimere il «primario
Napoli, dopo avere offerto un contributo rilevante dilemma esistenziale» (P. Piovani, Oggettivazione etica
nell’ambito dell’etica e della filosofia del diritto, Piovani e assenzialismo, 1981, p. 50), a decidersi tra l’esistenza
pubblicò due libri – Filosofia e storia delle idee (1965) e l’inesistenza: ma la scelta per l’esistenza non può che
e Conoscenza storica e coscienza morale (1966) – nei essere una scelta espansiva, di autolimitazione della
quali intraprendeva la ricerca di uno storicismo cri- propria libertà e, al tempo stesso, di continuo supe-
tico, problematico, aperto a diversi influssi del pen- ramento della singolarità in forme di oggettivazione,
siero contemporaneo, che guardava da un lato a in un ethos concreto, attraverso la dinamica del rico-
Gottfried Wilhelm von Leibniz e Vico, d’altro lato a noscimento e dell’interazione con l’alterità. Tale con-
Karl Wilhelm von Humboldt e Meinecke. Soprat- cetto di «valorazione», come lo definì, stringeva in un
tutto, Piovani pose al centro di tutta la sua medita- solo nodo il discorso storico e quello etico, ponendosi
zione il problema dell’«individualità»: se la filosofia alla base della struttura dell’individuo.
moderna gli si configurò come «una faticosa maieu- La scelta originaria tra l’esistenza e l’inesistenza,
tica dell’individuale» (P. Piovani, Conoscenza storica in cui sembrava costituirsi la storicità dell’individuo,
e coscienza morale, 1966, p. 65), la storia gli appariva, rivelava, tuttavia, un volto più oscuro e inquieto, per-
con forte accento vichiano, come una «logica del con- ché la soggettività storica, capace di espandersi nelle
creto», una «logica degli individuali» (p. 96), cioè come forme oggettive della civiltà, conservava pure, alla sua
l’unica scienza capace di esplorare i recessi di una per- radice, il segno della difettività, della finitezza, o –
sonalità mobile, in perenne divenire, di penetrare – come Piovani scrisse – dell’«assenza»:
come scrisse, richiamandosi a Karl Jaspers e a Carl
Il fondamento dell’esistenza – spiegava – è la difetti-
Gustav Jung – l’«anima» dell’uomo. Se questo era il vità. […] L’essenza di ogni realtà fenomenica è l’as-
principio dello storicismo, le filosofie dell’idealismo senza. Il reale non riesce mai ad esistere, integralmente;
– da Johann Gottlieb Fichte a Hegel, a Croce – si erano non si realizza mai compiutamente (Oggettivazione
adoperate a negarlo, assolutizzando, e quindi cancel- etica e assenzialismo, cit., p. 129).
lando, la figura dell’individuo in un «totalismo» uni-
versale e monista. Il passaggio cruciale dall’«universo» all’«univer-
Riconosciuta nell’individualità la questione capi- salizzazione», che rendeva ogni individuo umano «un
tale dello storicismo, Piovani cercava di chiarirne la universo da penetrare», spalancava anche questa con-
struttura con un discorso di particolare impegno etico, sapevolezza tragica, negatrice del «totalismo» ideali-
cioè distinguendola nettamente dalla «singolarità», sta, per cui (con riferimento a Rudolf Otto) la stessa
dalla chiusura dell’individuo in se stesso («persona», vita umana appariva legata al «mysterium tremen-
ma non ancora «personalità»): l’individuo, spiegava, è dum», e la cultura storica (con Otto, ma anche con
«espansione», e quindi incontro con l’alterità, dialogo Vico) manifestava la fisionomia di una «inventio mor-
e contaminazione; e il «metodo filologico», lungi da tis», come «un sistema di trasformazione del terrore
essere qualcosa di accidentale o di pseudoconcettuale, originario» (p. 81).
è la garanzia di quel processo di «simpatia» per l’al-
tro, di quel «transfert speculativo», che caratterizza la
comprensione storica. Il rischio stesso del relativismo Contemporaneità e teoria del giudizio
dei valori, che sempre era stato imputato allo storici-
smo, poteva essere superato, oltre l’errore del «tota- Anche il contributo degli storici di professione alla
lismo», guardando alla struttura profonda dell’indi- discussione teorica sullo storicismo è stato ampio e
vidualità, che non si fonda su una tavola di valori variegato. Per limitare il discorso ai casi più notevoli,
assoluti, ma sulla perenne e inestinguibile «esigenza si possono ricordare i numerosi scritti critici di Arnaldo
di valori». Perciò, l’individuo si delineava come un Momigliano (1908-1987), il grande studioso di sto-
continuo «individuarsi», come la ricerca e la conqui- ria e storiografia antica; quelli dello storico di Roma
sta di se stesso, capace di trovare l’universale dentro antica Santo Mazzarino (1916-1987), a cominciare
di sé, nella mediazione costitutiva con la propria ori- dall’articolo del 1964 Qu’est-ce-que l’histoire? e dalla
ginaria immediatezza. celebre nota 555 al libro Il pensiero storico classico (3

713
MARCELLO MUSTÈ

voll., 1966), dove veniva riconsiderata e corretta la individuava la radice dello storicismo nella forma del
consueta antitesi tra tempo ciclico degli antichi e tempo giudizio (inteso sempre come giudizio storico), in
lineare dei moderni; infine, nell’ambito della ricerca quanto «cellula-madre del pensiero», e nei predicati
moderna, quelli di Rosario Romeo (1924-1987), l’au- che lo costituiscono: in primo luogo il «mutamento»,
tore della monumentale opera su Cavour e il suo tempo ossia il divenire intrascendibile della realtà; in secondo
(4 voll., 1969-1984), il quale, educato alla scuola di luogo l’«accadimento o successo», cioè «il prevalere
Gioacchino Volpe e di Chabod, sempre rivendicò il di determinati elementi materiali o morali su altri nel
«fondamento storicistico» dell’«umanesimo crociano», costituire la situazione così com’è» (p. 174). Se, da
come «persuasione che all’universale svolgimento della un lato, questa impostazione consentiva di correg-
storia ciascuno concorre con la propria particolarità gere la teoria crociana delle «finzioni concettuali» o
e individualità» (R. Romeo, Scritti storici. 1951-1987, «pseudoconcetti», riportando anche i concetti delle
1990, pp. 302-03). scienze nell’ambito veritativo del giudizio logico, dal-
In anni più recenti, una ripresa e un tentativo di l’altro riaffermava con vigore il principio della «con-
revisione della tradizione dello storicismo crociano è temporaneità», e quindi la «circolarità» costitutiva del-
stato compiuto da Giuseppe Galasso (n. 1929). Accanto l’orizzonte storiografico, che è relazione di passato e
a una vasta opera nell’ambito della storiografia moderna presente o, anche, compresenza «simultanea», cioè
e contemporanea, Galasso ha proposto un’interpreta- sintesi, di induzione e deduzione, di rispetto dell’al-
zione dell’opera di Croce che, fin dal saggio del 1967 terità del documento e di interesse attuale, volto
su Croce storico, pubblicato in volume nel 1969, ha all’azione futura. Riprendendo, in forma aperta, il
non solo rifiutato, ma in certo modo ribaltato, la let- significato della dialettica (il principio «per cui la vita
tura di Chabod: una posizione ribadita e rafforzata si sviluppa drammaticamente nel contrasto») e il
nella monografia del 1990 su Croce e lo spirito del suo postulato del progresso, Galasso riteneva così, attra-
tempo, in cui si legge, appunto, che la predilezione cha- verso la teoria del giudizio storico, di scansare i due
bodiana per i saggi minori «non è sostenibile», poiché, rischi supremi dello storicismo, quelli del «relativi-
anzi, è «attraverso le sue opere ‘maggiori’ che Croce smo» e dell’«assolutezza storiografica».
ha agito e resta vivo nella cultura storica» (p. 383).
Procedendo in una direzione inversa rispetto a quella
che, sulle orme di Chabod, aveva a lungo segnato il Lo storicismo come filosofia dell’evento
giudizio interpretativo, Galasso rimetteva al centro
della considerazione l’intreccio tra filosofia e storici- Proseguendo la linea di pensiero inaugurata da
smo, individuando tuttavia, nel percorso crociano, un Piovani (ma, come vedremo, con importanti sviluppi
«punto di rottura» nel quarto volume della «filosofia e correzioni), del quale fu assistente e stretto colla-
dello spirito», cioè in Teoria e storia della storiografia, boratore, Fulvio Tessitore (n. 1937) ha elaborato, in
dove il principio della «contemporaneità della storia» oltre cinquant’anni di lavoro critico, una più artico-
avrebbe determinato una «pratica dissoluzione» e un lata teoria dello storicismo «problematico». Almeno
«capovolgimento» del sistema, così come si era deli- a partire dal libro del 1965 su I fondamenti della filo-
neato soprattutto nella Logica: in questo modo – con- sofia politica di Humboldt, Tessitore ha via via pro-
cludeva Galasso – Croce sfuggiva «a una conclusione posto una ricognizione completa e imponente dell’in-
monistica, attualizzante, assolutizzante, che sarebbe tera tradizione filosofica dello storicismo, da un lato
stata la più lontana dal suo pensiero» (p. 193). soffermandosi con particolare cura sullo Historismus
La peculiare interpretazione di Croce costituisce – da Humboldt e Friedrich Daniel Ernst Schleier-
una premessa necessaria per intendere come, negli macher a Weber, fino ai più recenti dibattiti nella
scritti successivi, Galasso abbia tentato di elaborare cultura storica tedesca –, d’altro lato rileggendo il
una più complessa teoria dello storicismo. Soprattutto pensiero italiano, a cominciare da Vincenzo Cuoco
nei saggi su Storia e storicismo e Filosofia e storiogra- (argomento della tesi di laurea e del primo libro del
fia, raccolti nel 2000 in un volume caratterizzato da 1961), per poi interpretare autori come De Sanctis,
una forte tensione speculativa, Galasso ha riaffermato, Alessandro Manzoni, Croce e diversi altri. L’analisi
se non proprio l’identità crociana, una «special part- meticolosa delle molteplici Dimensioni dello storici-
nership» tra filosofia e storiografia, fondata sul supe- smo (come recita il titolo «programmatico» di un libro
ramento della dualità tra storia e natura, e quindi sul del 1971), lo ha quindi condotto ad approfondire ulte-
principio della storicità di ogni oggetto di considera- riormente la divisione tra due linee teoriche: da un
zione umana, incluso quello delle scienze fisiche e lato la via dello «storicismo idealistico», che inizia con
matematiche: la stessa natura, dunque, cessa di essere Hegel e giunge fino alla filosofia dello spirito di Croce,
osservata come una res, «sostanza o materia più o meno che si dichiara «storicista» ma che in realtà, con il suo
inerte e passiva» (Nient’altro che storia. Saggi di teo- «totalismo» dialettico, nega le radici stesse di questa
ria e metodologia della storia, 2000, p. 170), per pre- filosofia; d’altro lato, la linea genuina e critica, la
sentarsi come temporalità e divenire. Riprendendo, quale, sulla base di una ripresa «eterodossa» del cri-
anche qui, un tema della filosofia crociana, Galasso ticismo di Kant, riesce a dissolvere la pretesa onto-

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LO STORICISMO NEL SECONDO DOPOGUERRA

logica e metafisica della Weltgeschichte hegeliana, sulla nozione di «evento» – autentico punto di conver-
attraverso un percorso tortuoso ma uniforme, che genza, e quasi di sintesi, dei concetti di Augenblick
include le diverse riflessioni di autori come Humboldt («istante»), inteso come l’inesauribile incontro di pas-
e Schleiermacher, di storici come Barthold Georg sato presente e futuro, di Ereignis («evento», «eve-
Niebuhr e Ranke, e quindi con Dilthey, Meinecke, nienza»), di Entstehung («origine», «evenienza», «emer-
Troeltsch e Weber. genza») –, Tessitore poneva infatti al centro del suo
A partire da questo sfondo interpretativo, tenuto storicismo l’idea weberiana della storia come Sinnge-
sempre fermo nelle numerose indagini, Tessitore ha bung, «dazione di senso» o «conferimento di senso».
elaborato una teoria critica dello storicismo, al cui Sottolineando «la centralità dell’attimo che è l’evento,
centro vi è il principio secondo cui lo storicismo non in quanto questo è la funzione fondante dell’opera-
costituisce soltanto una posizione metodologica, uno zione conoscitiva», chiarendo che «l’oggetto della sto-
«spazio problematico» o una Weltanschauung, ma «una ria è il caos, ossia un non-oggetto», Tessitore poteva
filosofia, un tipo filosofico preciso e storiografica- concludere che la storia
mente definibile tra quelli maggiori del Novecento»:
non è qualcosa di effettivamente esistente, una specie
lo storicismo – ha spiegato –, questo storicismo è la di luogo da cui si proviene e con cui necessariamente
filosofia che, al culmine del pensiero moderno, intro- ci si relaziona; è realtà in quanto nostra costruzione,
duce la ricerca di una razionalità diversa da quella ossia prodotta dagli individui agenti e conoscenti.
poggiante sulla identificazione di pensiero ed essere, Essa è […] il risultato della storiografia quale scienza
in quanto interessata a ripensare, in chiave anti-meta- etica (pp. 52-53).
fisica e anti-ontologica, il nesso vita-temporalità-sto-
ria (F. Tessitore, Nuovi contributi alla storia e alla Al termine di questa forte ripresa della nozione
teoria dello storicismo, 2002, pp. 426-27). weberiana di Sinngebung, Tessitore poteva annun-
ciare, oltre la stessa lezione di Piovani, «il congedo
La discussione con Rossi (l’altro grande interprete definitivo dell’ontologia», della stessa «ontologia della
italiano della tradizione tedesca), diventata partico- storia», nello storicismo reinterpretato come «filoso-
larmente nitida dopo il «congedo» dichiarato da que- fia dell’evento».
st’ultimo, ha dunque consentito di chiarire fino in
fondo questa posizione: se Rossi ha avuto il merito di
ribaltare la lettura di Antoni e di mostrare la pars Opere
destruens operata dallo Historismus nei confronti della
cultura romantica, ha poi avuto il torto di confinare C. Antoni, Considerazioni su Hegel e Marx, Napoli 1946.
G. De Ruggiero, Il ritorno alla ragione, Bari 1946.
lo storicismo nei limiti di una considerazione meto-
E. De Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del
dologica, negandovi la peculiarità filosofica, e discio- magismo, Torino 1948.
gliendolo, perciò, nel processo di costruzione di una A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto
filosofia neoilluministica. Il «congedo» di Rossi, con- Croce, Torino 1948.
cludeva Tessitore, era iscritto nella stessa imposta- B. Croce, Filosofia e storiografia, Bari 1949.
zione del libro del 1956, nella sua negazione dello sto- F. Chabod, Croce storico, «Rivista storica italiana», 1952, 64,
ricismo come filosofia. pp. 473-530.
Se queste osservazioni riconducevano Tessitore B. Croce, Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Bari 1952.
R. Franchini, Esperienza dello storicismo, Napoli 1953.
nel percorso intrapreso da Piovani, ben presto egli C. Antoni, Commento a Croce, Venezia 1955.
ha anche avvertito, nei numerosi scritti dedicati al F. Diaz, Storicismi e storicità, Firenze 1956.
«maestro», il «limite» e il difetto che ancora ne condi- P. Rossi, Lo storicismo tedesco contemporaneo, Torino 1956.
zionavano il pensiero, e dunque la necessità di un R. Franchini, Metafisica e storia, Napoli 1958.
ulteriore sviluppo nella direzione di una compiuta C. Antoni, La restaurazione del diritto di natura, Venezia 1959.
teoria dello storicismo. Attraverso analisi speculative D. Cantimori, Studi di storia, Torino 1959.
sul rapporto tra storicismo ed esistenzialismo, in par- E. Garin, La filosofia come sapere storico, Bari 1959.
P. Rossi, Storia e storicismo nella filosofia contemporanea,
ticolare su Martin Heidegger, ha dunque indicato «i Milano 1960.
residui ontologistici e metafisici che permangono pur A. Momigliano, P. Rossi, Lo storicismo nel pensiero contem-
nella drastica rivisitazione piovaniana» (F. Tessitore, poraneo. Discussione, «Rivista storica italiana», 1961, 1,
Lo storicismo come filosofia dell’evento, 2001, p. 40), pp. 104-132.
riconoscendone il segno nel mancato confronto di N. Badaloni, Marxismo come storicismo, Milano 1962.
Piovani con Weber, cioè con «il pensatore del Nove- C. Antoni, Storicismo e antistoricismo, a cura di M. Biscione,
cento che con maggiore drasticità aveva contestato le Napoli 1964.
S. Mazzarino, Qu’est-ce-que l’histoire?, «De Homine», 1964,
forme dell’ontologia» (p. 29). Il riferimento centrale
9-10, pp. 61-88.
alla teoria della storia di Weber (che Rossi, nel suo P. Piovani, Filosofia e storia delle idee, Bari 1965.
«congedo», era arrivato a definire «al di là» dello sto- P. Piovani, Conoscenza storica e coscienza morale, Napoli 1966.
ricismo), assumeva così, nella riflessione di Tessitore, D. Cantimori, Conversando di storia, Bari 1967.
un’importanza strategica e costruttiva. Lavorando R. Cantoni, Storicismo e scienze dell’uomo, Milano 1967.

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MARCELLO MUSTÈ

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