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LETTERATURA ITALIANA (prof.

ssa Fedi)

25/02/2019
Il corso è impostato sul percorso testuale che attraversa testi in cui la mitologia greca e latina classica sono materia
letteraria, o in senso parodico-burlesco o per presentarli come figure simbolico-allegoriche, o come figure che esprimono
delle costanti antropologiche e anche un progetto politico.
Di ogni mito si possono fare tanti usi diversi e il discorso mitologico è presente in ogni cultura.
Quando parliamo di letteratura italiana fino alle fine del 700-inizio dell’800 parliamo di una riproduzione che recepisce
immagini e temi che derivano quasi sempre direttamente dalla tradizione classica greca e latina.
Cosa si intende quando si parla di mito? Innanzitutto ci sono un ventaglio di definizioni possibili:
 “Il mito è una grande narrazione appartenente al patrimonio culturale delle società arcaiche, proiezione dei
desideri e delle angosce dell’uomo, memoria di una realtà molto antica sopravvissuta alla scomparsa delle religioni
primitive che ha fornito immagini e storie a tutta la tradizione letteraria e ha dimostrato una forte capacità di
ritrasformarsi e rivivere a volte nostalgicamente nelle letterature moderne.” (Guida allo studio della letteratura,
Remo Ceserani, 1999)
Questa definizione è abbastanza soddisfacente perché è sintetica e abbastanza concreta.
Dice soprattutto che il mito è una narrazione che prima di essere fissata è stato lungamente tramandato in forma
orale e che resiste nel tempo.
Questo lascia un margine di incertezza perché la domanda che può sorgere è: ma allora tutti i racconti che resistono sono dei
miti? Ovviamente No.
Quindi come funziona il mito, come si distingue dai racconti tradizionali?
 “Il carattere specifico del mito non sembra risiedere né nella struttura né nel contenuto di un racconto, ma nell’uso
al quale è destinato [...]: il mito è un racconto tradizionale con un riferimento secondario, parziale, a qualcosa che
ha importanza collettiva. Il mito è un racconto tradizionale applicato; e la sua importanza e serietà derivano
chiaramente da questa applicazione.” (Mito e rituale in Grecia: struttura e storia, Burkert, 1979)
Il mito è un racconto che viene dal passato e che dura, funziona, resiste perché serve a qualcosa. A cosa? Il mito
fornisce dei programmi di azioni, dei paradigmi, di fronte a fenomeni di importanza collettiva, che riguardano tutti
gli uomini (nascita, perdita, morte, scontro con un nemico, ecc.).
Quali sono i fenomeni di importanza collettiva che vengono verbalizzati: speranze e paure, passaggi cruciali della
vita di gruppo e domande sull’organizzazione della natura e dell’universo.
Quindi il mito ha la funzione di verbalizzare un blocco di esperienze condivise creando un paradigma conoscitivo
Secondo Burkert inoltre i racconti mitici (in quanto ‘programmi d’azione’) servono a tramandare alcune
fondamentali «sequenze di esperienza psichica» e quindi integrare il singolo nella comunità.
 Interessante è la visione dello psicoanalista, allievo di Jung, Hillman propone di adoperare il discorso mitico da un
punto di vista terapeutico perché il mito rappresenta un preciso archivio di immagini archetipiche, esplorarlo può
servire a curare i disturbi che vengono dalla supremazia soggettivistica, dalla moderna fissazione sulla soggettività.
Un’altra caratteristica da sottolineare è la matrice arcaica del mito: il racconto mitico conserva particolarmente evidenti i
segni della sua origine arcaica e dei modi originari della sua trasmissione, che era decisamente orale -> questo porta il mito
ad essere fluido nei contenuti, ammette spostamenti e sovrapposizioni, come pure la persistenza ‘in parallelo’ di versioni
alternative. Capita dunque che esistano versioni diverse dello stesso mito. Il racconto mitico si fissa quando si ‘coagula’ in
racconto letterario.
Vediamo l’esempio di Orfeo a cui sono legati tanti racconti (Orfeo: variazioni sul mito, Rodighiero, 2004).
Orfeo è un personaggio mitico che ha il ruolo di poeta, quindi di elaboratore di racconti mitici. Il mito che parla del mito.
Il mito di Orfeo è legato a vari programmi di azione:
-il potere suasorio e civilizzatore del canto: ha la facoltà straordinaria di cantare, fare poesia con la lira in modo
talmente affascinante da far muovere gli alberi, calmare le belve, dare vita alle pietre;
-la catastasi (il superamento del confine vita-morte): la moglie di Orfeo muore per un morso di un serpente, Orfeo è
talmente disperato che la piange con una voce e dei versi talmente toccanti e persuasivi che il re dell’Ade gli permette
di scendere per riprendersi Euridice. Riesce a ricongiungersi con l’amata e può portarla con sé se non si volterà mai a
guardarle, se si fiderà della parole degli dei che Euridice lo segue;
-l’amore e la perdita: Orfeo cede alla tentazione umanissima istanza di vedere Euridice e la perde per sempre
-il sacrificio: Orfeo non vorrà innamorarsi mai più, né conoscere nessuna donna, né pensare all’amore. Per questo sarà
punito perché le sacerdotesse di Bacco si avventano su di lui e lo uccidono facendolo a pezzi.
26/02/2019
Nella nostra tradizione culturale siamo automaticamente spinti a identificare il mito come l’insieme di racconti mitici che
hanno come protagonisti gli eroi e gli dei del sistema mitologico greco-latino, su questi personaggi e sui racconti stessi la
cultura classica ha cominciato a riflettere abbastanza precocemente rispetto a noi, su che cosa si intendeva per mito.
A questo proposito analizziamo La contrapposizione classica che risale a Gorgia di Patone che pone il mito in
contrapposizione al ‘logos’. In questo dialogo con il retore Callicle, Platone ci propone una specie di definizione. Dobbiamo
tenere conto che il filosofo è immerso in un sistema in cui i racconti mitici sono un patrimonio in uso e le divinità, gli dei
sono entità considerate vere (a differenza nostra che siamo consapevoli che gli dei non esistono).
Più precisamente in questo dialogo Socrate si sofferma sull’efficacia della retorica (cosa è, a cosa serve ecc..?), a un certo
punto usa il mito per avvalorare la sua tesi, una tesi secondo la quale il passaggio vita-morte non è un passaggio
necessariamente spaventoso o minaccioso ma lo diventa solo per coloro che sanno di avviarsi nell’Ade portando con se dei
gravi peccati.
Comincia a raccontare partendo da Omero, poi con Zeus, Poseidone e Plutone, cosa succedeva alle anime dei morti agli inizi
dei tempi e cosa accadeva al loro arrivo nell’Ade quando si dividevano tra tartaro e campi elisi.
Cosa è interessante di questo dialogo?→la contrapposizione mitos-logos.
Nel vocabolario di Platone un mito anche se potrebbe sembrarci realtà, è un racconto fantastico, un’invenzione che quindi si
basa sua una verità non dimostrabile razionalmente ma che in realtà è più un logos, cioè un ragionamento fondato sulla
verità.
I racconti mitici esercitano un grande potere seduttivo perché sono racconti che non sono storia ma pur nel loro carattere
fantastico ci aiutano ad affrontare la realtà concreta.
In quali testi si sono fiddti i racconti mitici della tradizione greco latina?
Il più famoso sono le Metamorfosi di Ovidio, un poema in esametri latini di 15 libri composto da questo autore latino fra il
5-8 d.C.
Ovidio racconta del tema della metamorfosi, della trasformazione riscrivendo, amalgamando e collegano le versioni che
sono all’epoca le più diffuse di singoli miti e che sono quelle che sono arrivate fino a lui, seguendo il filo conduttore del tema
metamorfosi?
Cosa c’entra la metamorfosi con le divinità? Gli dei possono usare la trasformazione in due modi: o per rendere immortale
almeno parzialmente un essere mortale che sia per loro particolarmente caro oppure possono trasformazione l’umano in
qualcos’altro. È uno strumento di trasformazione in positivo per conservare qualcosa oppure uno strumento di
degradazione.
Esempi:
-trasformazione del cuore di Adone in un fiore → la dea Venere si innamora di un bellissimo giovane uomo, Afdone, che
muore ucciso da un cinghiale in una battuta di caccia nella riserva di Diana, dove non doveva assolutamente andare in
quanto venere glielo aveva proibito in quanto sarebbe stata per lui motivo di distrazione dall’amore (Adone macchina del
sesso). Venere non può salvarlo perché è umano ma trasforma il cuore di Adone in un fiore che è una fiore che esiste e
continuerà esistere, una nuova specie di fiore, che porta con se l’essenza della fragile bellezza di questo giovane umano
morto troppo presto.
-la Danae di Petrarca è una ninfa semidivina figlia di un fiume, inseguita da Apollo per scopi unicamente sessuali. Quando
Apollo sta per stuprarla Dame chiede l’aiuto di suo padre e sulle sponde del fiume ottiene di sfuggire ad Apollo
trasformandosi in alloro.
-metamorfosi punitiva di Ateone in un cervo. Ateone è un cacciatore che viola lo spazio, l’intimità di Diana , dea
eternamente vergine, e la vede involontariamente bagnarsi in uno specchio d’acqua in un bosco. Diana, che se ne accorge,
non può tollerarlo e lo punisce trasformandolo in cervo (degradazione dall’umano al felino). In qualità di cervo non viene
riconosciuto dai suoi cani che lo cacciano e lo uccidono.
Che rapporto ha Ovidio con gli dei? Non crede che essi esistono, è ateo anche se non lo dice esplicitamente. Crede piuttosto
nella legittimità e nel fascino dell’invenzione per cui lui fissa questi straordinari racconti e soprattutto è ammaliato dalla
metamorfosi, perché questo è un concetto, una possibilità che apre alla comunicazione fra i regni della natura e mette a
fuoco l’instabilità dei confini dell’Io.
Le metamorfosi sono state ampiamente riconosciute come ispirazione della Divina Commedia ma in realtà sono importanti
per tutto il medioevo cristiano che ha sottoposto anche le metamorfosi in una lettura in chiave cristiana.
Perché è cosi importante l’uso che viene fatto del repertorio mitologico classico nel medioevo cristiano?
Perché nel medioevo cristiano nasce la nostra tradizione letteraria in volgare italiano.
27/02/2019
La letteratura del Medioevo ha bisogno di Virgilio, Ovidio, di tutti i grandi letterati di età pagana, che però hanno un sistema
mitologico non compatibile con il Medioevo, sotto questo sistema sono però cardinate le opere mitologiche più importanti
di cui la cultura cristiana si nutre.
E quindi cosa ha fatto il Medioevo? Si è appoggiato ad alcune interpretazioni pagane e dice che il racconto mitico è falso ma
si può salvare perché i racconti mitici che hanno come protagonisti gli dei falsi e bugiardi significano lo stesso qualcosa che la
cultura cristiana può recuperare. Questi falsi dei che vengono criticati non possono essere soppressi, sopravvivono nell’arte
e nella letteratura che si nutre della cultura pagana classica.
(La sopravvivenza degli antichi dei, Seznec, 1940) → Gli dei del sistema politeistico pagano sopravvivono in età cristiana
attraverso tre grandi tradizioni interpretative che spesso si sviluppano incrociandosi:
 Interpretazione allegorica: quella che anche Dante applica invocando le Muse ed Apollo per riprodurre i marcatori
del genere epico. Apollo è il dio della poesia che Dante invoca in quanto allegoria dell’ispirazione poetica.
(Allegoria=sistema semantico condiviso da un gruppo , discorso figurale attraverso il quale si parla di qualcos’altro,
si usa un immagine per richiamare un discorso diverso. L’allegoria, rispetto al simbolo e la metafora che non sono
autonomamente recepibili, è autonoma).
 Interpretazione fisica: è l’interpretazione che permette il recupero del sistema mitologico pagano interpretando le
divinità mitologiche come elaborazioni fantastiche di un ragionamento fisico e soprattutto astronomico.
I racconti e le figure mitologiche vengono associate a fenomeni che scientificamente adesso si possono spiegare ma
che in età classica venivano spiegati con i racconti.
 Interpretazione storica: chi dubitava delle verità delle favole antiche c’era, uno dei più interessanti interpreti in
chiave razionalistica del sistema mitologico classico è Evemero (evemerismo).
Evemero fu uno scrittore di lingua greca nato a Messene attivo tra il IV e il III secolo a.C.
Cosa fa costui? Nella sua opera tradotta da Ennio in latino col titolo Sacra Scriptio, e conservata solo in parte
attraverso Lattanzio, raccontò un viaggio immaginario nell’Oceano Indiano, fino all’isola Pancaia: una specie di
stato ideale, un’utopia ante-literam, retto da tre classi: sacerdoti-artigiani, coltivatori e soldati. Qui il narratore-
protagonista trova anche una stele dove Zeus ha lasciato scritte le sue imprese; e dalla stele apprende che gli dei
pagani non sono altro che creature umane, che si sono attribuite una natura divina e si sono conquistate un culto
grazie alla eccezionalità del loro potere o delle loro imprese. Infatti Zeus sembra essere stato un re molto potente
che da uomo signore ottiene grazie alla sua autorevolezza la deificazione.
La teoria di Evemero fu contestata dalla maggior parte degli autori pagani contemporanei e invece, fatto propria,
strumentalmente dagli apologeti della religione ebraica e cristiana, che se ne servirono prima per dimostrare la
falsità del politeismo pagano, poi però come strumento per un tentativo di ricostruzione storica.
04/03/2019

LEON BATTISTA ALBERTI (1404-1472)


È noto soprattutto come grande architetto e come autore di trattati sulla pittura e sull’architettura, ha infatti progettato la
faccia della Santa Maria Novella.
È un autore che scrive moltissimo e soprattutto in latino fra cui la Monus Sives de Principe, ma anche dei testi italiani, è uno
di coloro che nella Firenze quattrocentesca cercano di promuovere la dignità del volgare.
Alberti proviene da una ricca famiglia mercantile fiorentina, ma nasce sradicato a Genova in quanto la famiglia in quel
momento è esiliata lì per motivi politici. Un altro aspetto lo segnerà poi anche nel futuro ovvero il fatto di nascere figlio
illegittimo. Questo tema della sua appartenenza alla famiglia Alberti è molto interessante perché ha un rapporto complicato
con la famiglia e con i concetti di famiglia e appartenenza.
Segue le peregrinazioni di suo padre. Forse frequentò la scuola di Padova del umanista Gasparino Barzizza dove comincia a
studiare il greco.
Nel 1421 muore il padre e in quanto figlio illegittimo sarà escluso dai fratelli dall’eredità paterna.
Nel 1428 si laurea in diritto a Bologna, ma fa anche studi di matematica e fisica.
Per circa tre decenni (1432-1464) svolge l’attività di abbreviatore apostolico cioè di autore materiale dei brevi papali, i
documenti ufficiali della Chiesa. Vive di questo fino a quando bolla papale a un certo punto gli sblocca la carriera
ecclesiastica per cui può prendere i voti e godere del beneficio ecclesiastico (gli veniva assegnata una parrocchia, una chiesa)
e risolvere i problemi di sussistenza che avevano caratterizzato la sua vita.
Durante l’attività di abbreviatore c’è un periodo interessante di frequentazione degli ambienti fiorentini, durante gli anni del
Concilio, un concilio cominciato a Basilea e poi a Ferrara e che era stato convocato dal papa Eugenio IV per risolvere la crisi
ecclesiastica aperta da vari decenni su vari fronti e aveva avuto il suo culmine nella elezione di un anti papa.
Questo concilio permette a una serie di dotti di venire per la prima volta fisicamente in Italia, di allacciare una serie di
contatti che dopo la caduta di Costantinopoli avrebbe portato il trasferimento di alcuni letterati di cultura greca e dei loro
scritti in Italia.
Questo periodo è importante per il contatto con l’ambiente degli umanisti e artisti fiorentini, si lega a questi e scrive tre
trattati De Pictura, dedicato a Brunelleschi, De Statua e De Re Edificatoria.
Nel 1447 sale al soglio pontificio Nicolo V, un papa che concepisce un piano molto coraggioso, il ‘Rennovatio Urbis’, di
rinnovamento della città di roba e Alberti lo affianca in questo tentativo di ripensare Roma.
Le opere architettoniche più famose di Alberti non stanno a Roma ma a Firenze (palazzo Rucellai, la facciata di Santa Maria
Novella).
È uno dei massimi promotori della ripresa del volgare, come lingua di comunicazione letteraria alta.
È scritto in volgare il trattato della famiglia che è considerato il primo importante trattato in forma di dialogo della tradizione
italiana. Alberti è anche promotore di uno dei concorsi di poesia volgare italiana, il Certamen Coronario, dove veniva messa
in palio una corona d’argento, vi partecipano diversi poeti sul tema dell’amicizia. Alberti vi partecipa con il primo esempio di
poesia barbara, cioè una poesia volgare ma con un metro che mima la metrica latina.
È stato considerata fino a 30 anni fa circa, un esempio paradigmatico particolarmente illustre, l’opera più rappresentativa
della cultura umanistica in italiano, intitolata Libri de Famiglia (trattato della famiglia).
Il trattato della famiglia è un opera interessante per spiegare il carattere bipolaristico argomentativo di Alberti.
Il trattato è composto da 4 libri, in forma di dialogo di cui i primi tre sono composti subito prima del lungo soggiorno a
Firenze (1433-34), il quarto nel 1940 e è quello dedicato al tema dell’amicizia.
Gli interlocutori sono i membri della famiglia Alberti : il dialogo si immagina che abbia avuto luogo a Padova nel 1420 subito
prima della morte del padre Lorenzo , molto malato, il quale convoca i familiari e propone un tema che sta molto a cuore a
lui quello della possibilità delle grandi famiglie di resistere ai rovesci della fortuna.
Nello specifico il primo è dedicato all’educazione dei figli, il secondo alla scelta di una buona moglie, il terzo alla buona
amministrazione del patrimonio e il quarto all’amicizia.
La famiglia è il luogo in cui si possono tradurre in atto gli ideali di armonia e benessere, è il rifugio dei singoli nei momenti di
cristi e di incertezza.
Perché insistiamo sul trattato? Gli studi più recenti hanno messo in evidenza una venatura ironica e dissacrante: il fatto che il
trattato della famiglia è scritto da uno scapolo, figlio illegittimo di una famiglia, frodato dai parenti stessi che non è mai stato
dedito all’accumulazione dei beni. Alberti parla di moralismo, pedagogismo, elogio all’armonia, valore dell’operosità ma in
realtà c’è un registro dissimilato che ci porta in tutta altra direzione. Possiamo capire quello che pensa realmente dei valori
familiari attraverso alcune intercenales, brevi dialoghi da recitare a tavolo fra una portata e l’altra in tono satirico dove
alcuni personaggi prendono la parola e parlano di crudeltà, ipocrisia, orrori della famiglia (in particolare in Il fato e il padre
infelice, Marito e Il morto).
Adesso ci sono ben 3 gruppi di ricerca internazionali attivi che lavorano su Alberti.
Il testo rappresentativo di questa vena parodica è Monus, un testo difficile da capire e interpretare che si ispira allo spirito
greco di Luciano.
Costui è un’autore che è noto nche come fonte delle Operette Morali di Leopardi che nasce nel 125 d.C. in Siria. Studia forse
a Antiochia e poi vive della su attività di retore e errante. Intorno ai 40 anni si fanno più èsiccati i suoi interessi filosofici
rivolti soprattutto alla tradizione scettica e cinica. Negli ultimi anni della sua vita Luciano fu soprattutto in Egitto in qualità di
sovrintendente del governo romano degli affari giudiziari. Morirà intorno al 180 d.C.

Momo nella tradizione mitologica


Momo non è un personaggio inventato da Luciano, non nasce come figura mitologica della sua fantasia. È il figlio della notte
secondo Esiodo, la personificazione dell’invidia per Callimaco mentre per Alberti era e resta filo di nessuno.
In generale la figura di Momo è quella di critico malevolo e irreverente mosso prevalentemente dall’invidia e quindi
costretto, come lei, a stare al di fuori del coro degli dei.
È una figura disvelatrice delle verità nascoste e scomode quindi vista in un certo senso come una figura positiva.
Nei Dialoghi di Luciano, Momo compare in due dialoghi e viene citato in un altro, ed è un personaggio ambivalente,
maldicente, ma anche coraggioso e capace di criticare perfino gli dei.
Mono è una divinità secondaria, non è figlio dei pezzi grossi dell’Olimpo, ha un origine oscura che rischia di essere cacciata
dall’Olimpo in quanto dio scomodo, perché parla di quello che gli uomini pensano degli dei.

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