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Conoscere meglio il

Pastore dell’Asia centrale

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1 – Il mio Pastore dell’Asia centrale
Chiunque si avvicini per la prima volta a questa razza può sen-
tirsi disorientato dalle numerose tipologie esistenti: vi sono va-
rie taglie, differenti strutture fisiche, svariati colori e diverse
lunghezze di pelo, quando normalmente siamo abituati a di-
stinguere una razza per la sua tipica morfologia diversa da tutte
le altre.

Ma il cane da pastore dell’Asia centrale non fu selezionato nei


secoli in base alla morfologia e non ha bisogno di queste frivo-
lezze per identificarsi: Lui è il cane!

Gli esperti di zoologia concordano sul fatto che molte delle no-
stre razze moderne derivino da questa e siano state modellate
successivamente ad opera dell’uomo. L’Asia centrale è il luogo
dove sono state ritrovate alcune tra le più antiche testimonianze
del cane che lavorò al fianco dell’uomo per proteggere gli ani-
mali da allevamento contro i predatori selvatici.

Poiché ne esistono varie tipologie, si potrebbe pensare che un


cane da Pastore dell’Asia centrale valga l’altro e che basti ac-
quistarne uno, metterlo in giardino, affidarsi al fascino della
storia per ottenere presto un impeccabile servizio di guardia,
ma purtroppo non è così.

Ammesso si tratti di un soggetto originale dei paesi medio asia-


tici e non “miscelato” recentemente ad altri molossi per alzarne
l’altezza e irrobustirne la struttura, anche lui, come tutti i cani
da pastore, è famoso principalmente come cane per la protezio-
ne di animali da altri animali, ma ha sempre considerato l'uomo
un suo prezioso compagno di vita.

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Solo qualche esemplare seppe dimostrare ostilità nei confronti
di qualsiasi essere vivente che si avvicinava alla proprietà,
compreso l’uomo che non faceva parte della sua famiglia.

Bene, è proprio da questa linea genetica che dovrà discendere il


vostro cane da pastore dell’Asia centrale se vorrete affidargli
con successo la custodia della casa e della famiglia.
Diversamente possederete un cane che saprà aggredire qualsia-
si animale che vorrà entrare nella proprietà senza però nutrire
la diffidenza necessaria per non farsi corrompere da chi potreb-
be costituire un reale pericolo per voi ed i vostri familiari.

In questo manuale non troverete i soliti cenni storici sulla raz-


za, lo standard ideale per vincere in esposizione etc….

Io vi parlerò esclusivamente del MIO cane da pastore


dell’Asia centrale, quello che allevo da anni con la MIA sele-
zione finalizzata a produrre soggetti idonei per il lavoro di
guardia e protezione della famiglia contro chi abbia intenzione
di entrare nella vostra proprietà (e, in certi casi, il bestiame da-
gli attacchi dei predatori).

Il resto non è di mio interesse!


L’evoluzione morfologica e caratteriale che sta avendo la razza
in questi ultimi anni è, a mio parere, totalmente scadente rispet-
to a ciò' che era un tempo questo fantastico animale e al lavoro
che sapeva svolgere.

Molti dei cani da pastore dell’Asia centrale che si vedono at-


tualmente in circolazione non hanno nulla a che vedere con
quelli che lavorano al fianco dell’uomo nel continente medio
asiatico. I più diffusi provengono da allevamenti sovietici che
hanno prediletto una selezione di soggetti indicati ad un pub-
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blico moderno, spesso poco informato, che predilige l’aspetto
morfologico del cane alla sua funzionalità.

Un secolo fa i Russi trasformarono in Unione Sovietica quella


che per millenni era stata l’Asia centrale, un territorio aspro nel
quale sopravvivere alle avversità della vita era l’unico scopo
degli abitanti. In quelle terre vissero molti pastori che con i loro
cani cercarono di avere faticosamente la meglio contro i preda-
tori che attaccavano le greggi.

Prima di allora non esistevano il Turkmenistan, l’Uzbekistan, il


Kirghizistan, il Tagikistan, etc., quei nomi furono dati dagli
invasori per motivi di suddivisione politica dell’autentica Asia
centrale: un solo territorio con cani unici per le loro qualità.

Ad oggi nessuno di questi Paesi ha avuto accesso alla Federa-


zione Internazionale che regola lo sviluppo della cinofilia nel
mondo e solo la Russia ed altri stati confinanti più evoluti han-
no ottenuto il riconoscimento dei loro soggetti come apparte-
nenti alla razza.

Quindi, per assurdo, sono ormai molti anni che la F.C.I. (Fede-
razione Cinofila Internazionale) riconosce come originali tutti i
cani da Pastore dell’Asia Centrale del mondo tranne quelli che
esistono ancora nei territori d’origine.

I veri cani aborigeni dei pastori continuano quindi ad essere i-


gnorati, pur conservando integre le caratteristiche originali, ov-
vero le più interessanti sotto il profilo caratteriale, per non par-
lare della loro salute e rusticità. Sopravvivono infatti a fianco
dell’uomo in condizioni molto simili a quelle di un tempo; non
possono avere lo stesso aspetto morfologico di quelli presentati
nelle esposizioni di bellezza e reclamizzati sulle riviste, ma è
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proprio in loro che sono presenti le migliori caratteristiche del-
la razza.

Tra questi soggetti, solitamente di taglia più contenuta, è anco-


ra possibile rintracciare cani ostili nei confronti di tutto ciò che
non conoscono, in quanto provengono da luoghi sperduti e sel-
vaggi dove chiunque si avvicini costituisce un pericolo per la
comunità. Purtroppo la comune tendenza è quella di attribuire
ai moderni soggetti “migliorati” (si fa per dire), allevati e cre-
sciuti in gabbie, le qualità dei loro lontani parenti che lavorano
liberi al fianco dei pastori e questo spesso squalifica la razza
originale.

I viaggi in Asia centrale mi sono serviti infatti a scoprire le re-


ali doti di questo magnifico cane ed a capire cosa c’è di vero e
di falso circa la razza. Le migliori linee di sangue russe, ad e-
sempio, fanno riferimento a cani di provenienza turkmena di-
ventati famosi solamente perché campioni di combattimento
negli ultimi 30 o 40 anni ma, in questi soggetti, è rimasto ve-
ramente poco dell’autentico cane aborigeno dei pastori di un
tempo. Questi cani sono tenuti nella capitale Ashgabat in pic-
coli recinti ed allenati solo per quello scopo.

Gli autentici “Alabai”, di dimensione molto più contenuta, che


lavorano ogni giorno con i pastori, vivono invece liberi nel de-
serto del Karakum dal momento della nascita e si riproducono
secondo principi di selezione naturale.

In quei luoghi sopravvive solo chi riesce a sfuggire alle aggres-


sioni di diversi predatori, dal lupo alle iene, dal leopardo al co-
bra ad altri serpenti che invadono i pascoli nei periodi della na-
scita dei cuccioli. E' necessario poi riuscire a sopportare la fa-
me e la sete, non è semplice come vincere combattimenti fra
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cani arbitrati dall’uomo ed organizzati per il divertimento della
moltitudine di appassionati.

In Tagikistan, dove gli abitanti rivendicano con tesi molto con-


vincenti la paternità della razza, i cani aborigeni sono di di-
mensioni ancora più contenute che in Turkmenistan, stato che
li ha proclamati patrimonio nazionale.

Tutto ciò è comprensibile immediatamente per chi fa della ci-


nofilia la propria professione in quanto il cane, provenendo da
antenati selvatici quali lupo e sciacallo, non potrebbe mai ave-
re dimensioni naturali molti differenti. Risulta invece meno e-
vidente per i semplici appassionati i quali, innamoratisi di una
particolare tipologia di animali sovradimensionata rispetto
all’originale, preferiscono credere in fantasiose teorie magari
trovate sul web, piuttosto che affrontare la realtà: qualcuno è
ancora convinto che più il cane è grande e massiccio più sia
forte ed imbattibile.

Io non intendo assolutamente asserire di aver inventato una


nuova tipologia di cane da pastore dell’Asia centrale o di averla
voluta migliorare. Ho infatti ben presente ciò che più volte mi
fu riferito da alcuni pastori nomadi medio asiatici, tradotto poi
in inglese dalle mie guide: “This dog came from nature!”

Ho selezionato in base alla mia esperienza, negli anni, soggetti


di questa razza avendo come obbiettivo un cane utile ed affida-
bile da inserire in tutte le famiglie che vivono in una casa indi-
pendente con giardino e desiderano un autentico cane da guar-
dia al loro fianco: sano, rustico ed efficace, gestibile senza
troppi grattacapi.

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In questi anni ho cercato di scegliere i migliori fra i molti sog-
getti posseduti, di accoppiarli fra di loro per ottenerne una sele-
zione che mantenga un elevato standard per la guardia pur con-
servando l’affidabilità necessaria per vivere in una qualsiasi
famiglia moderna.

Poi, con autentica passione ed “antica” esperienza pratica cerco


in ogni cucciolata di individuare i soggetti che possano soddi-
sfare le esigenze dei loro futuri proprietari.

Questo é il MIO cane da pastore del’Asia centrale!

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Le prime esperienze con la razza
La prima volta che incontrai un cane da pastore dell’Asia cen-
trale mi parve un animale molto strano; a prima vista pensai di
trovarmi di fronte ad un grosso meticcio proveniente da diverse
razze di grossa taglia.

La coda e le orecchie tagliate lo rendevano ancora più misterio-


so, il suo modo di muoversi alla catena ed il totale rifiuto della
mia presenza in quel cortile mi incantarono.

Sentivo che qualcosa mi stava capitando ma non avrei mai im-


maginato che quell’animale avrebbe catturato il mio cuore e
che la razza sarebbe stata l'unica della quale mi sarei occupato
negli anni a venire.

Era una femmina color beige chiaro dell’altezza di un buon


maschio di Pastore Tedesco, la testa era quella di tipo lupoide
(ma più robusta) ed il fisico quello di un molosso leggero. Ri-
cordo ancora oggi il mio stupore di fronte a quell’animale e la
mia meraviglia quando il suo padrone, un mio amico addestra-
tore, mi citò il nome della razza: Pastore dell’Asia centrale.

La prima domanda che gli rivolsi fu: “sono tutti così?”. E alla
sua risposta: “no, possono essere di molti colori, con pelo di
diverse lunghezze, la taglia può variare sensibilmente…” con-
tinuò con molti altri particolari ma non lo ascoltavo più', ero
ormai catturato dallo sguardo ostile ed agguerrito di quella
femmina che non esitava a mostrarmi tutta la sua avversione e
che se avesse potuto strappare la catena mi avrebbe sicuramen-
te conciato per le feste!

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Il suo proprietario, vedendomi assorto, l’avvicinò ed immedia-
tamente vidi lo sguardo di quell’animale trasformarsi in quello
di un agnellino: abbassò la testa, si piegò a “ciambella” e gli
porse il posteriore muovendo la coda in segno di affetto e sot-
tomissione. A quel punto lui disse: “sono cani un po’ partico-
lari, dal padrone si lascerebbero fare di tutto ma bisogna stare
attenti perché con gli estranei non scherzano”.

Forse fu proprio quest’ultima frase che mi fece decidere


all’istante che avrei voluto possederne uno al più' presto; quella
razza mi interessava veramente, considerato anche il mio re-
cente trasferimento in un abitazione isolata ai margini di un bo-
sco.

Avevo posseduto fin da bambino diverse tipologie di cani, fre-


quentato campi d’addestramento, letto libri e visto con passio-
ne tutti i film che vedevano cani impegnati a difendere il loro
padrone dai malfattori, ma erano ormai anni che non avevo più
avuto l’occasione di ritrovare quegli autentici esemplari da
guardia che vivevano nelle campagne della mia regione, legati
dai contadini in fondo al cortile durante il giorno e liberati solo
all’imbrunire.

Dopo alcuni soggetti di tipo lupoide che avevano abitato la mia


casa, da diversi anni ormai possedevo le migliori tipologie di
molossi raccomandati come cani da difesa, ma in nessuno di
loro avevo riscontrato quell’amore incondizionato nei confronti
del padrone abbinato a così tanta determinazione nel contrasta-
re gli estranei.

Alcuni soggetti reagivano solo se provocati in addestramento


ma non dimostravano grande interesse nel difendere il loro ter-
ritorio, altri invece avevano un sistema nervoso esasperato e
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poco stabile e quindi li avevo scartati perché scarsamente affi-
dabili nei confronti della mia famiglia.

Ero ormai rassegnato al fatto che il cane da guardia per anto-


nomasia appartenesse al passato e fosse ormai estinto come
molte cose d’altri tempi.

Invece mi sbagliavo: ero di fronte ad un soggetto che si era ap-


pena sottomesso completamente al suo padrone, gli aveva fatto
gli "occhi dolci", sventolato la coda e leccato le mani ma che
ora mi stava nuovamente abbaiando e ringhiando, dimostrando
tutta la sua disapprovazione per la mia intrusione nel suo terri-
torio.

Non conoscevo ancora tutti gli altri aspetti positivi di quel cane
da pastore ma mi ero già innamorato follemente.

Chiesi, come un bambino desideroso di un balocco, dove avrei


potuto trovare un cucciolo e a questo punto iniziò la mia av-
ventura con il mio primo cane da pastore dell’Asia centrale.

Il mio amico disse che non era facile trovare soggetti di quella
razza, che il suo proveniva da un paese dell’Est europeo e che
se avessi aspettato qualche mese avrei potuto acquistarne uno
anch’io, appena fossero arrivate notizie su qualche nuova cuc-
ciolata.

Allora non c’era ancora Internet, dove è sufficiente scrivere


una parola e si apre il mondo intero. Io non avevo la più pallida
idea di come avrei potuto trovare un esemplare ed inoltre non
conoscevo assolutamente nulla di quella razza.

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Passai parecchie volte davanti a quel cancello: la femmina era
legata ad una lunga catena e faceva la guardia, ogni volta era
pronta ad intervenire in difesa del suo territorio. Provai anche a
parcheggiare la mia automobile lontano ed a recarmi silenzio-
samente a piedi nei paraggi della casa per vedere quale sarebbe
stata la sua reazione.

Ebbene, non capitò mai una sola volta che lei non fosse già lì
ad aspettarmi con la coda ben dritta abbaiandomi prepotente-
mente ancor prima che mi potesse vedere.

In quel periodo possedevo anch’io una femmina, era un molos-


so piuttosto robusto, spesso veniva scambiata per un maschio
tanto era ben piazzata. Se veniva provocata da sconosciuti ave-
vo difficoltà nel trattenerla al guinzaglio, sprigionava infatti
una forza incredibile; però più di una volta trovai estranei nel
cortile che, non essendo impressionati dalla sua mole e dal suo
sguardo cupo, erano entrati senza che lei si fosse minimamente
opposta.

La ricordo con affetto, era veramente buona anche con mia fi-
glia maggiore, allora ancora molto piccolina; qualche volta la
fece cadere, ma sempre involontariamente; era grossolana e
goffa nei suoi movimenti. Mangiava come un bue ed a volte la
sorprendemmo mentre faceva man bassa del nostro cibo lascia-
to sul tavolo in cortile.

Quella femmina di pastore che avevo invece appena conosciuto


e che tenevo sott’occhio da ormai qualche settimana era molto
più esile, ma non avrebbe esitato un istante ad attaccarmi se
solo avesse potuto spezzare la catena che la tratteneva. Avevo
anche provato a convincerla con le buone maniere ma non
c’era stato niente da fare, mi considerava un nemico.
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Ritornai alcune volte da quell’addestratore facendo altre do-
mande sulla razza, fin quando un giorno mi disse: “se ti inte-
ressa, dovrei ritirare la prossima settimana da un cliente un
fratello della mia femmina. I loro proprietari si devono trasfe-
rire e non possono più tenerlo”.

Probabilmente era la bugia di chi sta cercando di rivendere un


cane ormai adulto, ma io ci volli credere tanta era la voglia di
possedere un soggetto di quella razza.

Da vecchio e sornione commerciante di cani, mi fece aspettare


non poco il giorno che avrei potuto vedere quel maschio, do-
podiché non volle vendermelo subito e quindi fui costretto a
recarmi più volte presso di lui per avere chiarimenti sulle sue
reali intenzioni.

Si trattava di un cane di costituzione robusta, veramente bello,


anche se un po’ basso rispetto alla media della razza. Lo stan-
dard imponeva già allora un’altezza minima di 65 cm e lui la
superava, rimanendo comunque al di sotto dei 70 cm al garrese.

Aveva un mantello bianco con alcune chiazze beige scuro, una


maschera simmetrica dello stresso colore ed un solo anello ne-
ro sulla parte di coda che gli era rimasta. Una testa possente ma
non pesante con una dentatura corretta e ben dotata.

La prima volta che lo vidi mi sorprese la sua morfologia, non


assimilabile a nessun altro cane che avevo sino ad allora posse-
duto; era completamente diverso dalla sorella e se non fosse
stato citato nel pedigree non avrei creduto minimamente che ne
fosse parente.

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Anche il suo comportamento era differente, difatti mi ignorava
senza dimostrare la minima avversione. Quando il mio amico
addestratore lo liberò dal recinto, si diresse verso di me ed io
ebbi davvero paura; si avvicinò però senza aria minacciosa,
annusò per un attimo i miei pantaloni allontanandosi poi cor-
rendo entusiasta per essere stato liberato dalla gabbia.

Lo sfogo durò poco, circoscrisse rapidamente la recinzione che


delimitava il giardino, segnò alcune volte il territorio e andò
nuovamente vicino al suo padrone, completamente indifferente
alla mia presenza.

Il mio amico mi disse:” Non preoccuparti, lui non è aggressivo


come la sorella, poi ha solo due anni e mezzo ed i maschi di
questa razza maturano tardi, quindi se vuoi posso vendertelo”.

Non avevo mai acquistato cani da guardia già adulti, anzi alcu-
ne volte me li avevano proposti in regalo e non li avevo accet-
tati.

Era una consolidata regola di famiglia, mio padre era cacciato-


re e non aveva mai voluto soggetti maturi, nemmeno quando la
morte improvvisa di qualche nostro esemplare aveva compro-
messo l’intera annata venatoria. Papà voleva prenderli a 40
giorni e poi allevarli secondo i suoi principi. Alcune volte ave-
vo recuperato in paese randagi adulti portandoli nel mio cortile
con l’intenzione di tenerli ma puntualmente al mattino erano
già spariti.

Quando ero bambino il randagismo era cosa comune nei paesi


di campagna, non si sentiva ancora parlare di adozioni e non
esistevano particolari identificazioni per gli animali domestici,
quindi ogni volta che trovavo un cane per strada cercavo di im-
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possessarmene; succedeva anche che avesse già un padrone e
che i miei genitori si dovessero poi scusare quando dovevamo
restituirlo.

Mio padre aveva allora adottato il sistema più pacifico, in gra-


do di evitavate qualsiasi discussione in famiglia: non si oppo-
neva più alle mie continue adozioni ma, non appena andavo a
letto, scendeva in cortile ed apriva il cancello. Il giorno dopo
rimaneva solo la mia delusione, anche se adesso capisco che
non avrebbe potuto comportarsi altrimenti.

Questa perciò sarebbe stata la prima eccezione contro la tradi-


zione di famiglia, volevo assolutamente diventare proprietario
di un cane da pastore dell’Asia centrale e non intendevo aspet-
tare mesi in attesa di qualche cucciolo disponibile.

Finalmente ci accordammo sul prezzo (sicuramente superiore


al valore di quel soggetto) e stabilimmo quando me lo avrebbe
portato a casa.

Arrivò il momento molto atteso, il cagnone scese dal cassone


dell’automobile, l'amico mi consigliò di tenerlo chiuso sino al
giorno seguente per evitare qualsiasi inconveniente, sempre
possibile quando un cane di carattere entra in contatto con un
ambiente sconosciuto.

Quella notte non dormii e scesi molte volte a guardarlo: ripo-


sava fuori della cuccia a casetta che gli avevo preparato, ogni
volta che accendevo la luce del cortile alzava la testa e guarda-
va nella mia direzione senza scomporsi.

Si capiva che era triste ma non dava segni di particolare agita-


zione né di particolare aggressività; l’avevo sentito abbaiare
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una volta ma probabilmente solo a causa di qualche animale di
passaggio nel bosco adiacente la mia proprietà.

L' indomani mi avvicinai al luogo dove l’aveva rinchiuso il suo


padrone precedente, lui mi accolse con benevolenza e io lo ac-
carezzai, lo slegai e quella fu l’ultima volta che gli fu impedito
di girare libero nella mia proprietà.

Quel maschio non era e non diventò mai un “VERO” cane da


pastore dell’Asia centrale da guardia. E' vero che successiva-
mente dimostrò grande spirito di sorveglianza grazie a fiuto ed
udito sopraffini ma, come molti soggetti provenienti da linee di
sangue selezionate in Asia per i combattimenti, non manifestò
mai quella diffidenza ed avversità nei confronti dell’estraneo
tipica di altri esemplari che incontrai in seguito e dai quali par-
tii per selezionare il mio attuale cane da guardia e protezione
familiare.

Abbaiava spesso ma senza troppa ostilità ed ai primi inviti si


dimostrava subito disposto ad fare nuove amicizie. Per lui
l’uomo rappresentava un amico e non un potenziale grave peri-
colo dal quale difendere il territorio e la famiglia.

Devo ammettere però che questo “difetto” (che molti invece


considerano un pregio per altre tipologie di cani), nonostante
mi disturbò molto in quanto lo avrei preferito di temperamento
equivalente alla sorella, mi servì ad evidenziare meglio altre
qualità tipiche della razza, contribuendo a farmene innamorare
pazzamente.

La prima caratteristica che notai in questo esemplare (che


chiamai Kiai) fu la sua rusticità. Ero abituato ai cani precedenti
che sceglievano sempre qualcosa di morbido su cui accucciarsi,
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la notte dormivano nella cuccia e quindi ogni mattina avevano
un odore forte (che comunque non ho mai detestato), ad ogni
temporale cercavano un riparo, trascorrevano i pomeriggi
d’estate all’ombra e quelli d’inverno al sole del pomeriggio o
nel vano caldaia.

Kiai al contrario si coricava ovunque: molte notti in pieno in-


verno lo vidi dormire sulla neve e d’estate sdraiato sotto il sole
cocente. Mi incuriosì subito la sua caratteristica di sdraiarsi
spesso al sole con la pancia all’aria e con le gambe levate, ma-
gari a ridosso di un muro per mantenere meglio la posizione.
Ogni pioggia era una buona occasione per darsi una lavata e il
suo mantello bianco era sempre candido come fosse appena u-
scito dalla toelettatura, nonostante non mi fossi mai preoccupa-
to di fargli uno shampoo

Alcuni cani che avevo posseduto in precedenza spesso mi sal-


tavano addosso entusiasti del mio arrivo (con le conseguenze
che potete immaginare), lui invece dimostrò fin da subito la sua
grande discrezione.

Ad ogni arrivo mi veniva incontro, poi si fermava per prendersi


una carezza e se ne andava. Se invece uscivo in giardino per
sedermi, si alzava per venirsi a sdraiare vicino ai miei piedi e
ad ogni spostamento mi seguiva quasi volesse assicurarsi della
mia incolumità.

Alcuni molossi di cui ero stato proprietario negli ultimi anni si


dimostravano affamati in ogni istante della giornata e quando
uscivo di casa con il loro cibo cercavano di saltarmi addosso
per impossessarsene prima del tempo con l'intenzione di tran-
gugiarne il più possibile.

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Quel cane da pastore era invece incredibilmente educato, si av-
vicinava al luogo dove gli avrei dato da mangiare e aspettava a
lungo senza lamentarsi.

Un giorno volli attendere per vedere cosa avrebbe fatto se non


gli avessi versato il suo cibo nella ciotola: incredibile ma vero,
dopo alcuni minuti di pacata attesa si allontanò andandosi a co-
ricare da dov’era venuto.

Solo quando gli misi il cibo nella ciotola si rialzò nuovamente,


con moderato interesse, e si avvicinò iniziando il suo pasto.

Avevo frequentato alcuni campi di addestramento per insegna-


re ai miei cani precedenti la condotta al guinzaglio, al fine di
evitare che fossero loro a portare me a spasso piuttosto del con-
trario; Kiai, che non aveva mai ricevuto una sola lezione, si la-
sciava condurre per strada senza tirare minimamente: dove lo
posizionavo lui rimaneva.

Un’altra caratteristica dei miei cani precedenti era sempre stata


la gran voglia di entrare in casa almeno per qualche ora; basta-
va infatti lasciare una porta aperta e ci si trovava l’”amico”
sdraiato sul tappeto.

Venne la prima estate, ovviamente lasciammo tutte le porte a-


perte ma mai Kiai accennò di voler entrare in casa. Apparec-
chiammo molto spesso la tavola in giardino, senza che osasse
mettere una sola volta il suo muso sulla tovaglia.

Con le mie figlie diventò immediatamente un vero amico, le


seguiva ovunque si spostassero come fosse cresciuto con loro e
spesso si sdraiava a pancia in su per prendersi le coccole.

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Ci furono anche molti altri episodi che mi fecero capire che il
cane da pastore dell’Asia centrale non è un cane comune e non
mancarono le occasioni per intendere chiaramente quale fosse
la sua forza e la sua determinazione.

Ricordo che un pomeriggio d’autunno stavo raccogliendo le


foglie secche nel giardino; allora avevamo un meticcio di nome
Fiuto, il quale dimostrava molta prepotenza con tutti i cani an-
che se (da scaltro che era) aveva scelto di accogliere benevol-
mente il nuovo arrivato.

Fiuto riusciva ad infilarsi in ogni anfratto della recinzione, sot-


to il cancello, fra le sbarre del portoncino ed essendo pratica-
mente incontenibile viveva un po’ in cortile ed un po’ nella
strada secondaria antistante casa nostra. Passò un cane da pa-
store tedesco di taglia molto grande, probabilmente fuggito da
una cascina vicina, il meticcio iniziò ad abbaiargli correndogli
incontro ed il lupo gli piombò addosso con tutta l'aggressività
possibile.

Fu un attimo, Fiuto guaiva disperato mentre cercavo di avvici-


narmi ma il pastore tedesco si allontanava continuando a mor-
dere il piccolo cagnetto nero con la ferma intenzione di finirlo.

Mi voltai e vidi Kiai che si agitava dietro il cancello, pensai


allora che liberarlo affinché potesse intervenire fosse l’unica
soluzione possibile. Ne fui subito pentito.

Fu sul posto in un battibaleno e prima che potessi rendermene


conto aveva azzannato il collo dell'altro cane. L'animale che
stavo odiando perché stava uccidendo il mio meticcio adesso
mi faceva compassione tanto era terrorizzato da quell’uragano
che gli era piombato addosso.
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Corsi ad afferrare il mio pastore per il collare che insolitamente
gli avevo lasciato, ma non ci fu verso di fargli mollare la pre-
sa, cercavo con tutte le forze di trascinarlo via ma Kiai non da-
va segno di volersi staccare.

Preso dalla disperazione, nel caos totale, dimenticai che quel


cane era mio da soli pochi mesi ed iniziai a colpirlo con calci
sulla bocca nell’intento di indurlo a desistere. Fu una lotta te-
nace che durò per lunghi momenti fin quando il mio cane fi-
nalmente mollò la presa.

Il “lupo” scomparve in un battibaleno gemendo, mentre Kiai,


nonostante lo avessi appena colpito ripetutamente e fossi il suo
padrone solamente da soli pochi mesi, non si dimostrava mini-
mamente turbato.

Fui distratto da Fiuto che come un pazzo stava ancora trovando


il coraggio di rincorrere il pastore tedesco quando sentii Kiai
strofinarsi sulla mia gamba in segno d’amicizia.

Ricordai in quell’istante l’episodio di un mio amico che era da


poco stato aggredito dal suo cane addestrato per la difesa per-
sonale solo perché lavandosi le mani alla fontana le aveva
scrollate vigorosamente, mentre Kiai aveva appena ricevuto dei
calci ma eravamo già amici come prima.

Venne il tempo che diventò padre per la prima volta, di ben 15


cuccioli, 13 nati vivi ed allevati dalla loro straordinaria madre.

Avevo ancora una piccola scuderia e lasciavo i cani liberi di


coricarsi dove desideravano, anche nei box dei cavalli, dove a
volte scavavano comode buche fra i trucioli della lettiera.
I cuccioli avevano ormai 60 giorni ed a volte passavano nei re-
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cinti dei cavalli; spesso gli “animaloni” li rincorrevano per gio-
care senza che nulla fosse mai successo ai piccoli.

Una mattina stavo pulendo la scuderia e Kiai era coricato a po-


chi metri dai miei piedi. Un cavallo si avvicinò ad un cucciolo
che stava dormendo in un angolo del box.

Il cucciolo si spaventò e si mise ad abbaiare mentre il cavallo,


forse altrettanto spaventato, diede una zampata al cagnolino,
fortunatamente senza causargli alcun danno.

Il piccolo iniziò a guaire disperato, più per lo spavento che per


il dolore visto che non aveva riportato né ferite ne' contusioni.

Kiai non esitò un istante ed attaccò il cavallo, il quale per dife-


sa si voltò ed iniziò a scalciare infuriato. Il pastore non si spa-
ventò minimamente, riuscì incredibilmente a salire sulla groppa
del grosso animale con un salto poderoso, lo afferrò più volte
in prossimità della criniera fin quando il cavallo infuriato iniziò
a dimenarsi nel recinto e scappò nitrendo mentre Kiai ritornò
nuovamente nella mia direzione con fare rassegnato, quasi
mortificato per quella sua reazione.

Capitò anche che in strada alcuni cani di taglia grande provaro-


no ad aggredirlo, forse a causa del suo atteggiamento nel traffi-
co, molto guardingo e quasi timoroso tanto da sembrare talvol-
ta un animale sottomesso.

Il suo modo di difendersi fu sempre incredibilmente efficace ed


immediato, passava in meno di un secondo dal suo inconfondi-
bile aspetto preoccupato dai rumori sconosciuti, con coda in
mezzo alle gambe, alla fierezza del guerriero implacabile, con

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una coda tanto diritta che pareva in procinto di spezzarsi, di-
sposto ad affrontare qualsiasi avversario.

Nessuno tra i cani che abbaiavano alla recinzione della loro ca-
sa osarono mai ringhiare al suo passaggio, bastava uno sguardo
e tutto finiva lì.

Era un cane molto forte, ma tendenzialmente amava l’uomo


(anche se sconosciuto) e ciò non era ottimale per la mia sele-
zione finalizzata ad ottenere un animale che si sarebbe dovuto
occupare della guardia e della protezione familiare. Apprezza-
vo invece moltissimo il carattere di sua sorella, diffidente come
una “bestia” selvatica.

Ormai avevo capito che non sarebbe mai stato il cane che cer-
cavo, quindi pensai di provare un accoppiamento con una buo-
na femmina sperando in qualcosa di meglio tra i suoi discen-
denti, convinto che prima o poi sarebbe nato un cucciolo come
quello che avevo in mente.

Dopo alcune settimane ricevetti una telefonata dallo stesso ad-


destratore che mi aveva ceduto Kiai, il quale mi disse che, for-
se, ci sarebbe stata disponibile una femmina di 3 anni che ave-
va già partorito una volta con successo e che sarebbe stata
all'altezza delle mie aspettative.

Chiesi se era simile alla sua, mi rispose che era dello stesso co-
lore ma che fisicamente si presentava meglio in quanto molto
più alta, che era ancora più diffidente ma molto meno aggressi-
va.

Passarono alcune settimane, una mattina chiamò dicendomi che


se fossi stato interessato sarebbe passato nel pomeriggio a con-
21
segnarmela. Pattuimmo il prezzo e decidemmo l’ora, quindi
mia moglie ed io ci preparammo al grande evento.

Ricordo ancora che al suo arrivo uscii in strada ad accoglierlo


mentre mia moglie rimase a sbirciare dalla finestra della came-
ra da letto, curiosa di vedere il nostro ultimo acquisto.

Quando aprì il cofano della macchina vidi un’animale pelle ed


ossa rannicchiato in un trasportino; fece uscire quella femmina,
la prese in braccio e la posò nel cortile che avevo preparato.
Era magra all’inverosimile, spaesata, lo sguardo triste e la coda
che pareva sparita tanto era schiacciata sul fondoschiena.
Camminava lentamente, quasi ricurva, con la testa bassa, annu-
sando il terreno del cortile senza alcun segno di vitalità.

Chi me la consegnò mi disse che era una buona fattrice, aveva


partorito da poco tempo; le condizioni in cui era stata tenuta si-
no ad ora non erano mai state ottimali ma avrei potuto ottenere
buoni cuccioli.

Sinceramente, vedendola in quello stato di totale disagio, non


pensai più al prezzo pattuito, che ancora oggi considero molto
elevato, né diedi importanza al fatto che stavo cercando un ca-
ne di forte carattere; decisi invece che in ogni caso avrei voluto
che quell’animale conoscesse giorni migliori e quindi andai in
casa, presi il denaro e lo consegnai al venditore.

Vedendomi un po’ perplesso, egli aggiunse che era molto spa-


ventata in quanto reduce da una brutta esperienza, era stata an-
che picchiata, ma senza dubbio si sarebbe ripresa presto (io pe-
rò non crebbi a quella storia).

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Ritirai i documenti ed entrai nel cortile, subito dopo arrivò mia
moglie ma io non riuscii a guardarla negli occhi. Sapevo benis-
simo cosa pensava: avevo appena sborsato una cifra considere-
vole per un cane che nemmeno al canile municipale avrebbero
voluto ritirare!

Il colore di questa femmina era molto simile a quella che avevo


visto la prima volta, mentre il fisico e la testa risultavano diffe-
renti. Sul carattere non si potevano fare confronti: la prima mi
aveva impressionato per il modo in cui si scagliava contro
l’estraneo, questa pareva un soggetto che necessitava di mesi di
tempo per un parziale recupero caratteriale.

Inoltre provenivo da una recente esperienza con i rottweiler,


cani che indipendentemente dalle loro prestazioni si dimostra-
vano spesso molto fieri, così come altri molossi. Camminavano
e trottavano con il petto in fuori, testa alta, senza mai dare evi-
denti segni di sottomissione. Prima ancora avevo posseduto al-
cuni pastori tedeschi che percorrevano chilometri ogni giorno
nel cortile, ma anche loro avevano sempre dimostrato un altro
atteggiamento.

Lei appena messa nel cortile aveva camminato giusto quei po-
chi metri per raggiungere il muretto della recinzione, si era ac-
cucciata e da lì non si era più mossa. Lo sguardo era quello di
un cane che aveva sofferto molto, forse tradita da coloro che
aveva “amato” e creduto compagni di vita, qualcosa non aveva
funzionato.

Mia moglie ed io cercammo di avvicinarla ma non fu possibile,


ad ogni tentativo si alzava e con una tipica andatura da cane
bastonato si spostava di qualche metro, guardandoci fissi negli
occhi ma senza lasciarsi toccare.
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Provammo ad attirarne l'attenzione con il cibo ma il risultato fu
sconsolante: le lanciammo alcuni pezzi di carne e pane vicino
ma non mangiò, allontanandosi intimorita. Era ormai giunta la
sera e credendo che sarebbe andata a dormire nella cuccia (non
conoscevamo ancora molto del cane da pastore dell’Asia cen-
trale) le posammo vicino una ciotola di cibo ed un secchio di
acqua fresca e poi tornammo in casa.

L’indomani mattina mi svegliai presto, andai nel cortile della


scuderia, lei mi vide e fece cenno di volersi avvicinare ma su-
bito cambiò idea, scostandosi nuovamente con la solita andatu-
ra. Il cibo era ancora intatto laddove l’avevamo posato la sera
prima ma immaginai avesse bevuto un po’ d’acqua.

Provai a comunicare ma pareva completamente indifferente a


qualsiasi mio sforzo, decisi di non insistere e mi preoccupai di
accudire i cavalli.

Trascorse ancora un’intera giornata senza considerarmi, fin


quando alla sera, non appena mi vide entrare nel cortile,
s’incamminò verso di me fermandosi a metà strada, si sedette e
mi aspettò senza più scappare. Io mi avvicinai, mi fece un cen-
no di assenso abbassando la testa e si lasciò sfiorare con una
mano. Appena cercai di avvicinarmi ulteriormente si rialzò di-
rigendosi nel solito angolo del cortile. Io non insistetti, diedi da
mangiare ai miei cavalli e prima di recami in casa riposi nuo-
vamente del cibo vicino al luogo dove era accucciata.

La mattina seguente lei ripeté il rito di venirmi in contro, si la-


sciò accarezzare con minor diffidenza ma subito dopo si rialzò
per andarsene nuovamente.

24
Ero già molto sollevato perché stavo vedendo alcuni migliora-
menti, ma poi controllai la sua ciotola del cibo: non aveva an-
cora toccato nulla.

Non conoscevo ancora i cani da pastore dell’Asia centrale, non


immaginavo che potessero stare anche una settimana a digiuno
senza il minimo problema e quindi iniziai a preoccuparmi; ebbi
il dubbio che, per varie ragioni, non sarei più riuscito a recupe-
rarla anche se nonostante la sua magrezza non dava
l’impressione di essere ammalata.

Possedevo ancora l’ultima delle mie Rottweiler, neanche a far-


lo apposta l’avevo chiamava Asia (forse era il destino o sem-
plicemente la mia grande passione giovanile per l’oriente e le
sue arti marziali).

Era grande quanto un maschio, quelli di vecchia taglia, perciò


più alti di quelli previsti dallo standard moderno. Lei non aveva
problemi di inappetenza, mangiava per dieci, ovunque e co-
munque. Era molto aggressiva coi cani, ma io avevo ormai ca-
pito come se la cavavano i pastori dell’Asia centrale con i loro
simili, quindi provai, forse incoscientemente, a giocare
l’ultima carta: avrei provato ad introdurla nel cortile dove si
trovava la nuova arrivata, ovviamente pronto ad intervenire
qualora ci fosse stata baruffa.

Qui accadde un altro fatto che mi segnò per sempre, scolpendo


nel mio cuore l’infinita passione che nutro tutt’oggi per questa
razza.

La Rottweiler partì spedita verso la femmina sconosciuta con


tutta l’irruenza che la caratterizzava; la femmina di pastore non
si scompose minimamente, non si alzò nemmeno, lasciò che
25
Asia si avvicinasse per poi emettere un forte ringhio mostrando
tutti i suoi denti, seguito poi da una stana ed inquietante aspira-
zione vocale.

La “padrona di casa" frenò in modo buffo, abbassò la testa e si


mise in un angolo opposto del cortile a circa 15 metri di distan-
za.

Pensai: “questione di qualche ora e poi diventeranno amiche,


tutto ciò non farà altro che giovare alla nuova arrivata che
abbrevierà il suo periodo di socializzazione nel suo nuovo am-
biente".

Tornai in cortile la sera e trovai ancora le due femmine nella


stessa posizione nella quale le avevo lasciate alcune ore prima;
la rottweiler mi scodinzolò, io l’accarezzai ma non prestai at-
tenzione al fatto che, insolitamente, non si agitava come una
pazza in attesa del cibo. Entrai nel locale dove tenevo le prov-
viste per i cani, ne feci due porzioni e ne diedi una alla femmi-
na di pastore (con poche speranze che l’avrebbe mangiata) e
poi mi avvicinai alla rottweiler, che stava stranamente immobi-
le e seduta.

Quest’ultima non solo non si mosse dalla sua posizione ma non


mi considerò minimamente, manteneva il suo sguardo fisso
verso la nuova arrivata. Posai un pezzo di carne davanti alle
sue zampe ma non fece alcun cenno di voler mangiare, come
avveniva di solito. Si limitò ad annusare il cibo e subito rivolse
la sua attenzione alla femmina di pastore la quale iniziò nuo-
vamente a ringhiare.

Fu in quel momento che decisi di chiamarla “Ara” in quanto


emetteva uno strano suono che pareva uscirle dal ventre e come
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un mistico guru indiano sembrava emanare un’energia miste-
riosa capace di immobilizzare l’altro cane a distanza. Pur man-
tenendosi coricata ad una quindicina di metri dalla rottweiler
era riuscita a dominarla solo con lo sguardo e con quel ringhio
baritonale.

Anche se la cosa mi sorprese molto, non diedi grande impor-


tanza all’accaduto e ritornai in casa per la cena pensando che
prima o poi si sarebbero messe d’accordo.

L’indomani mattina trovai ancora una volta le due femmine


nella stessa posizione: la femmina di rottweiler non aveva toc-
cato nulla del suo pasto durante tutta la notte mentre Ara aveva
finalmente mangiato parte del suo cibo. La cosa mi rallegrò
enormemente e solo dopo mi accorsi che la rottweiler, oltre a
non aver mangiato nulla, non si era allontanata dalla sua posta-
zione nemmeno per i suoi bisogni. E lì rimase ancora per due
giorni senza mangiare mai nulla, fin quando capii che un even-
tuale socializzazione non sarebbe avvenuta in tempi brevi e
quindi decisi di separare nuovamente le due femmine.

A quel punto Ara iniziò a diventarmi sempre più amica e quan-


do capii che si trattava di un cane molto equilibrato, lasciai che
le mie figlie l’avvicinassero.

Compresi allora un’altra lezione circa le caratteristiche di que-


sto cane misterioso: Ara non impiegò un solo istante a prendere
grande confidenza con le mie bambine ancora piccolissime e fu
proprio dalle loro mani che iniziò a mangiare ogni tipo di cibo
che le venisse proposto.

Finito il pasto si sdraiava a terra con la pancia all’insù e per-


metteva alle bimbe di salirle addosso, come fossero state cuc-
27
cioli ai primi mesi di vita.

Venne il momento di presentarle il maschio; avevo aspettato


qualche settimana in quanto volevo che prendesse un po’ di
confidenza con il nuovo territorio ed iniziasse a rifocillarsi di-
menticando i brutti periodi che aveva trascorso nella preceden-
te dimora.

Kiai, oltre a convivere con il meticcio di nome Fiuto, incon-


trava spesso la rottweiler Asia che con Kenya, una femmina di
pastore tedesco, gli si erano sottomesse, lui “sentiva” che erano
femmine e tutto procedeva normalmente.

Quando liberai Kiai si diresse immediatamente, con la coda


dritta, in direzione di Ara senza sapere che lei non amava gli
incontri immediati: era una femmina che manteneva le distanze
da qualsiasi altro cane anche se di sesso diverso.

Come le si avvicinò di qualche metro, lei emesse il solito rin-


ghio e Kiai, che non gradiva chi provasse ad intimidirlo, le
piombò sopra e fu subito lotta.

Quando lei, (certo non in gran forma) fu sotto, Kiai si accorse


che aveva commesso un grave errore in quanto stava aggre-
dendo una femmina, si fermò solo un attimo e fu allora che Ara
lo afferrò ad un orecchio (per fortuna tagliato alla nascita) e
non ci fu più verso di staccarla. Intervenni immediatamente ma
con scarsi risultati e Kiai venne ferito, per fortuna in maniera
non grave.

Come nulla fosse successo, dopo alcuni giorni diventarono a-


mici ed iniziarono a giocare. A volte litigavano furiosamente e
devo dire che non fu mai Ara ad avere la peggio, anche se Kiai
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era un maschio molto agguerrito. Poi fra di loro iniziò una vera
“storia d’amore” e anche se vi potrà sembrare incredibile, Ara
non volle mai più altri compagni, tranne un giovane maschio
che aveva cresciuto come un figlio.

Lei iniziò anche a fare una discreta guardia, ma solo a livello di


segnalazione. Se era con il suo maschio si sapeva far valere ma
quando era da sola si faceva convincere da chiunque
l’avvicinasse.

In quel periodo non avevo altre femmine che lei.


Le sue movenze erano molto particolari: correva con
un’andatura che non avevo mai visto prima ad una velocità in-
credibile al punto che pareva avesse degli ammortizzatori sotto
le zampe. Come un giaguaro, anche lei era solita partire a gat-
toni lentamente per poi aumentare l’andatura con una linearità
sorprendente, non si scorgevano molti movimenti nel tronco
bensì solo un roteare di zampe che guadagnavano terreno verso
l’obbiettivo.

Arrivò giugno ed Ara andò in calore e dopo alcune “scaramuc-


ce” Kiai riuscì a coprirla; lei scavò una grande buca nella quale
partorì la bellezza di 15 cuccioletti di cui 13 vivi, tutti intenzio-
nati a farsi largo in cerca di un capezzolo. Nonostante lei fosse
tinta beige chiaro e Kiai bianco con chiazze marroni ed un pic-
colo anello nero alla base della coda, i cuccioli nacquero di
svariati colori: bianco/neri, completamente neri, tricolori con
focature, beige scuro, etc.

In quello stesso periodo Asia, la rottweiler, aveva appena par-


torito 4 cuccioli e li stava allattando da un mese. Noi pensam-
mo bene di prendere i 3 completamente neri e metterli con lei
per alleviare un po’ l’impegno di Ara. Accettò immediatamente
29
di buon grado la nostra iniziativa, anche se erano molto piccoli:
li attaccammo alle sue mammelle e lei li lasciò poppare senza
opporsi.

Un’ora dopo però cambiai idea e pensai che forse avevo sba-
gliato a non lasciare che la Natura provvedesse ad una selezio-
ne naturale di quella cucciolata così numerosa. Avrei dovuto
limitarmi ad alimentare sufficientemente la madre e lasciare
che ci pensasse lei al destino della prole, ovvero decidesse di
sua iniziativa chi allevare e chi no.

Quindi cercammo di riportarle i tre soggetti neri; conoscendo la


sua astuzia, li passammo nel borotalco profumato per confon-
dere l’odore, ne prelevammo altri due dalla cucciolata, li sfre-
gammo fra di loro e poi cercammo di confonderla riponendoli
tutti insieme.

La prima volta lei si limitò con un colpo di naso a scartare


quelli che erano stati allattati per un’ora dall’altra femmina,
mentre ad un nostro ulteriore tentativo ne puntò uno ed iniziò a
ringhiare in modo terrificante convincendoci a levarglieli im-
mediatamente e a rimetterli nuovamente con la rottweiler, che
li riprese con lo stesso entusiasmo di prima e li allattò fino allo
svezzamento.

Quello fu un episodio che mi confermò nuovamente che i cani


da pastore dell’Asia centrale non erano cani qualunque.

Dalla cucciolata nacquero ottimi maschi che ancora oggi dimo-


strano grande coraggio nel loro lavoro di guardia ed alcune
femmine buone segnalatrici ma generalmente un po’ troppo
selvatiche e paurose dell’uomo.

30
Vista la dominanza assoluta che svilupparono su qualsiasi altro
cane, credo sarebbero state più indicate come cani da pastore
che per un buon lavoro di guardia alla proprietà.

Provai quindi ad utilizzare altri maschi per correggere questo


difetto che forse portava Kiai e anche in quel tentativo mi con-
vinsi della grande differenza che esisteva fra un pastore
dell’Asia centrale e molti altri soggetti che avevo posseduto
precedentemente.

Nessuno dei maschi che misi insieme ad Ara si permise mai di


iniziare l’atto sessuale, bastava uno dei suoi ringhi per dissua-
derli a riprovarci. Ricordo ancora un fortissimo maschio di se-
lezione ucraina, che contro l’uomo faceva letteralmente im-
pressione, che dopo essere stato aggredito da questa femmina
cercava disperatamente di voler uscire dal cortile nonostante lei
fosse nel periodo più intenso del calore.

Lo attaccava violentemente ad ogni suo movimento e fu per lui


una liberazione quando riuscì ad andarsene da quel luogo.
Ara ebbe anche un casuale scontro con una femmina di sele-
zione russa, molto aggressiva con i cani, ma prima che riuscissi
ad intervenire l’aveva già neutralizzata.

Fosse stata così anche contro gli estranei sarebbe stata la fem-
mina più forte mai esistita al mondo. Purtroppo lo era solo con-
tro i cani. Ma un passo nella giusta direzione l’avevo fatto, ero
riuscito ad avere suoi figli maschi che crescevano con presta-
zioni incredibili in entrambe i sensi: erano molto dominanti su-
gli altri cani e pareva stessero diventando buoni guardiani.

Nonostante avessi provato sensazioni strabilianti con questi


miei primi cani da pastore dell’Asia centrale, non avevo ancora
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ottenuto ciò' che stavo cercando da tempo, ovvero un cane mol-
to affettuoso e rustico, ma allo stesso tempo aggressivo ed in-
corruttibile con gli estranei.

Nessuno di questi due esemplari, che mi avevano conquistato


per alcune delle loro caratteristiche, assomigliavano a quella
femmina piccolina, coloro beige chiaro, che avevo incontrato la
prima volta che scoprii la razza.

Essi non avevano quella riluttanza nei confronti degli estranei


che avrei desiderato; è vero che abbaiavano, avvisavano di tut-
to ciò che accadeva nei paraggi della mia abitazione, ma se ve-
nivano avvicinati con dolcezza iniziavano ad avere dubbi che
l’interlocutore fosse un vero pericolo e quindi si lasciavano
gradatamente conquistare.

Iniziai allora a “tormentare” il mio amico addestratore che me


li aveva venduti: lui corse ai ripari venendo qualche volta a ca-
sa mia per cercare di stimolarne la diffidenza, ma tutto ciò non
era ancora quello che volevo io e quindi non ero completamen-
te soddisfatto. Gli dissi allora che mi sarei tenuto quei soggetti
così com’erano, ma avrei continuato la mia ricerca fino a che
non avessi avuto un cane come il suo.

Un pomeriggio ricevetti una telefonata: era lui che mi annun-


ciava la possibilità di acquistare un soggetto della stessa razza
ma con pelo molto più lungo e di statura più elevata. Il cane
aveva già cambiato alcuni padroni in quanto nessuno aveva ac-
cettato di doverlo rinchiudere ogni qualvolta arrivasse un estra-
neo. In molte zone della campagna cuneese amano cani che si
limitino ad abbaiare senza troppa personalità e che accettino
anche qualche calcio senza ribellarsi, nel caso in cui il contadi-
no sia arrabbiato.
32
Kimè non era quel tipo di cane e poiché nessuno dei suoi nu-
merosi padroni volle cambiare le proprie pessime abitudini
scelsero allora di disfarsi di lui.

Mi recai all’appuntamento per vedere il mio terzo cane da pa-


store dell’Asia centrale, seguendo l'auto del mio amico fino
all'ingresso di un cortile di un’officina di carpenteria meccani-
ca; uno dei titolari aveva pensato di adottarlo affinché facesse
la guardia, ma lui la faceva anche troppo, mordeva chiunque
entrasse dal portone ed alcuni clienti ne avevano già subito le
conseguenze e quindi anche questa volta era stato rinchiuso in
una gabbia in attesa della prossima partenza.

Appena entrammo sul piazzale, un grande cane nero a pelo


lungo iniziò ad abbaiare ed agitarsi all'interno di una recinzio-
ne, in compagnia di altri numerosi cagnolini meticci.
Io non avevo mai visto un cane da pastore dell’Asia centrale a
pelo lungo e quindi non credevo potesse essere lui.
Un uomo con abiti da lavoro sentendoci arrivare uscì dal ca-
pannone e ci venne incontro, ci fece segno di andare al fondo
del cortile dove si trovava il recinto e disse sogghignando: “Il
leone è laggiù!”

Il mio amico si fermò ad una decina di metri dalla rete, scese


dalla macchina e si diresse verso il cane con fare minaccioso,
questi allora si alzò sulle zampe posteriori come un orso e fece
una strabiliante difesa del suo territorio.

Kimè era stato sistemato momentaneamente con alcuni cagno-


lini di piccola taglia ed io trovavo strano che non li avesse fatto
del male, ma il suo attuale proprietario mi disse che a “quelli
piccoli” non diceva nulla, bastava che si rifugiassero
nell’angolo quando mangiava.
33
Il mio amico ritornò dove ci eravamo fermati con la macchina
e mi disse: “Prova ad andargli vicino, fa paura solo a guar-
darlo!”.

Mi incamminai e lo fissai un attimo negli occhi, lui assunse il


suo caratteristico sguardo fiero di sfida, accompagnato da un
tonante ringhio di petto ed io che avevo intenzione di portarme-
lo a casa non proseguii oltre; si tranquillizzò e tenendo sempre
sotto controllo tutta la situazione si accucciò.

Ci fermammo a lungo a parlare vicino alle nostre auto mentre


Kimè ci scrutava senza mai perderci di vista: era ancora un ca-
ne molto giovane ma già allora sapeva mettere chiunque in
soggezione.

Avevo sempre desiderato un vero cane da guardia ma mi resi


conto che quel soggetto era ben altra cosa rispetto alla femmina
del mio amico. Con lui non avrei dovuto commettere errori per
un po’ di tempo, altrimenti sarebbero stati veri guai.

Decisi che avrei adottato quel cane e quindi dissi al mio amico
di portarmelo il giorno dopo, ma egli rispose che non lo cono-
sceva e che quindi non si sarebbe fidato di trasportarlo.
Volevo portarmelo via ad ogni costo, nonostante non sapessi
dove sistemarlo. Avevo problemi sia nel muoverlo che nel tro-
vargli poi una collocazione una volta giunti a casa.

Come avrei potuto condurre quel cagnone aggressivo in uno


dei miei recinti?

Ci pensai per un po’e poi trovai questa soluzione: memore di


ciò che applicai molte volte con alcuni cavalli imbizzarriti, feci
legare dal suo proprietario tre corde lunghe circa 10 metri al
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suo collare; una la teneva lui molto corta affinché il cane non
potesse avere spazio e le altre due le lanciò lontano. Ne presi
una e mi allontanai ed il mio amico raccolse la terza e fece la
stessa cosa.

Quindi Kimè non avrebbe potuto mordere nessuno di noi poi-


ché era tenuto sotto controllo dalle corde tese. Facendo atten-
zione a tenere entrambi le corde in trazione, lo conducemmo
vicino al baule della mia auto mentre il proprietario, che aveva
il terzo cappio, lo fece passare attraverso al baule salendo sui
sedili posteriori dell’autovettura.

Kimè non voleva salire nella mia auto, forse perché aveva già
cambiato alcune volte “residenza” ed era sempre andata male,
perciò non voleva affrontare nuove esperienze; tirammo la cor-
da finché lo costringemmo a salire.

Non appena Kimè spiccò il balzo per entrare, l'uomo uscì


dall’abitacolo mentre il mio amico che lo tratteneva, chiuse
immediatamente il portellone dell’auto. Il primo passo era stato
fatto, Kimè era nel baule della mia automobile trattenuto da
due corde e quindi senza il rischio che mi aggredisse durante il
viaggio. Il problema sarebbe stato come farlo scendere nel mio
cortile e farmelo amico!

Ma a quello ci avrei pensato in un secondo tempo.

Durante il viaggio non si dimostrò mai particolarmente interes-


sato a me, si accucciò e aspettò la sua nuova destinazione.

Arrivati a casa entrai con l’auto nel cortile e chiusi il portone.


Mi avvicinai al vetro posteriore, lui senza scomporsi troppo
mise in evidenza i suoi denti ed io capii subito che sarebbero
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iniziati i primi problemi.

Dissi a mia moglie di chiudere tutte le porte che davano sul


cortile della nostra casa: per qualche giorno il cane sarebbe sta-
to libero in cortile e noi saremmo usciti dal retro. La mia auto
non sarebbe stata utilizzabile per un po’di tempo e quindi quel-
la di mia moglie avrebbe dovuto rimanere fuori in strada per
poter essere disponibile.

Mi tolsi le scarpe e salii sul tettuccio dell’automobile; quando


fui al sicuro cercai di raggiungere la maniglia del portellone e
la tirai con forza fino ad aprirlo completamente. Kimè fece un
balzo, scese dal bagagliaio e si diresse immediatamente verso
un lato della recinzione trascinandosi le tre corde legate al col-
lare.

Non si occupò minimamente di me e non appena si allontanò


ad una distanza che ritenevo di sicurezza, mi rimisi le scarpe,
scivolai giù dal tettuccio, chiusi il portellone ed entrai di corsa
in casa.

Dovevamo essere ottimisti e iniziammo a fare alcune conside-


razioni: “Sicuramente non sarà cattivo come sembra, laggiù
nella gabbia era allo stretto, magari nel cortile non ci dirà nul-
la, capirà subito che è venuto a stare bene, etc... ”.

Lo lasciammo gironzolare tutta la sera in giardino, con le tre


corde legate al collare, poi andammo a dormire.

La mattina seguente di buon ora lo vidi coricato vicino ad una


finestra, provai ad aprirla e a chiamarlo con voce gentile. Lui
senza scomporsi troppo, mi guardò per un attimo e poi emise
un profondo ringhio che era significativo della sua poca dispo-
36
nibilità a fare nuove amicizie. Io capii quindi che per un qual-
che giorno saremmo entrati ed usciti dalla porta del retro ed il
giardino sarebbe stato tutto a sua disposizione.

Per circa una settimana ci limitammo unicamente a salutarlo


dalle finestre oltre che a lanciargli del cibo due volte al giorno.

Fu mia moglie la prima ad accarezzarlo dalla finestra, poi le


mie figlie e successivamente io, che non riuscii ad avere ottimi
rapporti per alcuni mesi.

Dopo pochi giorni iniziò a fare un eccellente servizio di guar-


dia ed i primi problemi arrivarono quando qualcuno di noi vol-
le prenderlo al guinzaglio per portarlo lontano dal portone. A-
vevamo avuto molti cosiddetti “cani da guardia” ma questo era
un vero samurai!

Passò un po’ di tempo ma alla fine trovammo un’ottima intesa,


l’introduzione della rottweiler nel nostro cortile fu accolta da
Kimè con grande entusiasmo e notammo subito come lui fosse
molto più riluttante nei confronti degli estranei rispetto all’altro
maschio e molto meno dominante sulla femmina.

Certamente insegnò subito alla rottweiler che il suo cibo non


andava toccato. Lei approfittava qualche volta quando lui si
assentava per la guardia, facendo man bassa della sua carne.

Un giorno lui ne ebbe abbastanza in quanto la sorprese quando


si stava ancora leccando i baffi, la avvicinò col suo caratteristi-
co fare flemmatico e poi la punì duramente. Capimmo dalle fe-
rite che dovemmo medicare che quando Kimè decideva di
mordere lo faceva sul serio.

37
Era stato tollerante per molte volte ma adesso aveva deciso di
agire e lo aveva fatto con incredibile determinazione.

Dopo meno di un mese giocava già con le mie figlie con molta
delicatezza ed una volta che io uscii di casa con la più piccola
in braccio, intento a portarla fuori nel bosco per vedere un cin-
ghiale che si era avvicinato al recinto dei cavalli, lui mi bloccò
ringhiandomi con autorità; posai allora mia figlia sul tavolo del
giardino, lui andò subito a leccarle la mano per poi avvicinarsi
a me con la testa abbassata in segno di mortificazione perché
mi aveva scambiato per un altro.

Ricordo che in occasione di una lite verbale con un vicino di


casa ubriaco, lui non mi permise di intervenire perché voleva
vedersela da solo: andava alla recinzione ringhiando, poi tor-
nava da me e si metteva di traverso spingendomi via; quando io
intesi il suo volere indietreggiai di qualche passo ed allora lui
rimase alla recinzione abbaiando e ringhiando fino a quando il
tipo decise di andarsene.

Kimè dormì fin dai primi giorni davanti al nostro ingresso di


casa sul pavimento di pietra, sia d’estate che in inverno, nono-
stante avesse una calda cuccia in legno che lo aspettava sotto
un pergolato poco distante. Ci consentì' subito di ritrovare la
sicurezza fra le mura domestiche che avevamo ormai perso,
specialmente durante la notte, da quando ci eravamo trasferiti
nella nostra casa in campagna abbastanza isolata dal resto delle
abitazioni.

Dopo tutte queste vicissitudini come avrei potuto non innamo-


rarmi follemente del cane da pastore dell’Asia centrale?

38
Avevo posseduto molti altri cani sin da bambino, ma mai nes-
suno era stato così speciale.

In tutti e tre i soggetti che possedevo avevo scoperto doti mai


viste prime di rusticità, salute, predisposizione alla vigilanza
del territorio, determinazione, incredibile capacità di socializ-
zazione con i bambini, frugalità nel mangiare, discrezione e an-
cora molte altre ottime qualità per il cane da guardia ideale.

Oggi posseggo parecchi VERI guardiani e non credo potrei più


adattarmi a nessun surrogato; questo lo pensano anche mia
moglie e le mie due figlie che parlando di cani si riferiscono
ormai solamente al cane da pastore dell’Asia centrale.

Il solo fatto che i nostri cuccioli possano nascere di colori di-


versi, a pelo lungo o corto, qualcuno più piccolo ed altri molto
più alti, e' fonte di nostra grande curiosità ogni volta che è
imminente un parto delle nostre femmine. Ormai non ci po-
tremmo più abituare a cuccioli con il mantello costantemente
uguale, così come ha voluto l’artificiale selezione genetica
dell’uomo.

Il cane da pastore dell’Asia centrale, ovviamente quello auten-


tico, è la massima espressione di ciò che creò la natura migliaia
di anni fa per aiutare l’uomo nelle mille difficoltà della sua vi-
ta. E questo è ciò che più mi affascina di questa razza indipen-
dentemente dalla sua predisposizione alla guardia.

Chiunque in Occidente può permettersi di mantenere un anima-


le d’affezione per il solo piacere di possederlo ma il pastore
dell’Asia centrale rappresenta ancora oggi, in certe zone del
continente medio asiatico, tutto quello che posseggono le fami-
glie per sopravvivere alle difficoltà quotidiane.
39
Lui non pretende nulla se non una carezza ed un po’ di avanzi
(molto pochi, visto che a tutt’oggi deve ancora cacciare per
mantenersi) in cambio della sua completa disponibilità al sacri-
ficio per proteggere il suo padrone ed i suoi averi dai predatori.

Ebbe sempre, nei secoli, un cuore GRANDE ed è questo il mo-


tivo per cui lo amo profondamente!

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La ricerca dei riproduttori
Dopo l'esperienza iniziale maturata con Kiai, Ara, Kimè e la
prima cucciolata, la passione per questi animali mi travolse e
decisi di voler approfondire l’argomento e conoscere il più
possibile sulla razza.

Nel frattempo iniziavano a diffondersi le prime connessioni


internet (anche se per vedere una fotografia sul video ci vole-
vano almeno cinque minuti), quindi mi attrezzai con un modem
analogico e nonostante le lamentele di mia moglie per le so-
stanziose bollette telefoniche che arrivavano ogni due mesi,
iniziai anch’io a navigare sul web.

Venni a conoscenza dei primi allevamenti in Italia che, più


all’avanguardia di me, avevano già costruito il loro bel sito
internet con raffigurati tutti i loro pupilli.

La prima cosa che notai furono le dimensioni che caratterizza-


vano quei soggetti: praticamente erano tutti più grandi dei miei,
i maschi erano più alti del mio Kiai e più “spessi” del mio Ki-
mè, il quale, sotto il suo pelo lungo, aveva mantenuto anche in
maturità un fisico molto longilineo ed una testa poco massiccia.

Le femmine erano ancora più grandi, quasi tutte con un fisico


più consistente dei miei maschi.

Iniziai a leggere ed a conoscere un po’ di storia su questo ma-


gnifico cane: la sua esotica provenienza, il temperamento, la
rusticità, la sua forza contro il lupo, le esposizioni, i campioni
di bellezza, etc...

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Visitai alcuni di questi allevamenti e notai che quasi tutti van-
tavano l’originalità dei loro soggetti, sostenendo che era facile
trovare in commercio esemplari completamente “fasulli”; spes-
so i proprietari mi mostravano alcune caratteristiche fisiche ed
affermavano: “Questo è un vero Asia centrale, perché ha la te-
sta fatta in questo modo, lo stop deve essere poco pronunciato,
l’angolo della spalla deve…”

Quasi tutti sostenevano di aver vinto numerosi titoli alle espo-


sizioni in presenza di competenti giudici dell’Est e che i loro
soggetti provenivano da allevamenti russi, ucraini, lituani, po-
lacchi e così via.

A qualcuno feci vedere le fotografie dei miei cani ma nessuno


ne fu entusiasta.

Nel caso poi dicessi che provenivano dalla vicina Ungheria, e-


rano tutti concordi che non si trattasse di buoni cani, sostene-
vano che Kiai era troppo piccolo, Ara troppo lupoide e Kimè
con pelo troppo lungo, quindi con genitori d’incerta provenien-
za.

Devo ammettere che fisicamente alcuni di quei soggetti risulta-


vano più belli di quelli che avevo acquistato dal mio amico ad-
destratore: possedevano dimensioni tali da incutere timore solo
a guardarli, camminavano impettiti con coda alta, zampe pos-
senti ed altre caratteristiche che mi affascinarono subito.

Senza pensarci troppo iniziai a “mettere mano al portafoglio” e


feci i miei primi acquisti, orgoglioso di poter finalmente posse-
dere anch’io qualche autentico cane da pastore dell’Asia cen-
trale, …non come i miei che nessuno apprezzava!

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La mia cultura su questa razza era ancora molto superficiale:
avevo fatto una cucciolata ma ero completamente a digiuno di
ciò che fossero davvero questi cani, credevo a tutto ciò che mi
venisse detto pensando: “Se sono già così affascinanti i miei,
che non piacciono a nessuno, chissà questi che provengono da
linee di sangue di autentici cani da pastore dell’Asia centra-
le!”.

I tre che avevo a casa correvano tutto il giorno nei miei due
cortili facendo entrambi una buona guardia, con la differenza
che Kimè era completamente incorruttibile da chiunque mentre
gli altri due partivano con grande determinazione ogni volta
che arrivava un estraneo ma poi non sapevano dimostrare quel-
la grande avversità che io desideravo.

I cani che avevo visto negli allevamenti visitati, erano normal-


mente rinchiusi in gabbie o piccolissimi recinti, qualcuno mi
aveva abbaiato, altri invece non mi avevano considerato più di
tanto ma i loro proprietari mi avevano garantito che alla sera si
dimostravano completamente inavvicinabili perché quella era
la caratteristica della razza; io annuivo interessato ed incuriosi-
to dalle novità.

Ovunque mi recai non chiesi mai cani adatti alle esposizioni,


bensì solo al lavoro di guardia. Ricordo che ripetevo a tutti co-
me un ossesso: “Datemi pure il più brutto della cucciolata
purché diventi un buon guardiano!” e tutti mi rassicuravano
dicendomi che qualsiasi cucciolo sarebbe diventato molto co-
raggioso ed infallibile nella custodia del territorio, in quanto
questa era una caratteristica specifica della razza.

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Non vorrei ora dilungarmi sull’argomento perché dovrei entra-
re in particolari che preferisco tralasciare ma, visti i risultati,
dopo un annetto decisi di lasciar perdere con i cuccioli, con le
previsioni ottimistiche dei loro allevatori e con le favole sulla
lontana Asia centrale.

Iniziai piuttosto a cercare qualche soggetto adulto che fosse di


forte carattere ma che assomigliasse maggiormente a quello
che mi dicevano tutti fosse l’autentico cane da pastore
dell’Asia centrale, ovvero un grande molosso. Pensavo: “Ma
perché devo averli proprio io i cani più piccoli e più magri?”

L'allevatore che possiede un cane forte, anche se non idoneo


alle esposizioni, non è sicuramente disposto a disfarsene, per-
ché quello rappresenterà la risposta vincente a tutti coloro che
faranno domande sul futuro carattere dei cuccioli. Alla doman-
da di un profano basterà rispondere: “Guardi come è venuto
quello!” e sicuramente qualsiasi cliente sceglierà uno dei cuc-
cioli più simpatici convinti di portare a casa il loro futuro guar-
diano infallibile.

Dopo approfondite ricerche trovai finalmente un allevatore che


mi vendette un cane non molto alto ma veramente robusto, te-
sta possente da molosso, scattante, con carattere molto forte.

Suo padre proveniva dall’Ucraina, era molto più esile di lui ed


ancora più forte; forse la stazza del figlio proveniva dalla ma-
dre che, per sentito dire, era una femmina molto massiccia. Mi
fu ceduto perché era abbondantemente prognato e non avrebbe
avuto alcuna possibilità di piazzamenti in alcuna esposizione di
bellezza.

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Ma di carattere ne aveva da vendere e quindi a me piaceva
moltissimo!

Acquistai anche una femmina di 2 anni proveniente da linee di


sangue sovietiche, anche lei di struttura robusta, sicura di sé e
molto determinata alla difesa del territorio. I primi tempi la
portavo spesso in macchina, bastava che qualcuno la guardasse
e lei reagiva prepotentemente.

Avevo quindi cinque cani adulti, alcuni cuccioloni invenduti


della mia prima cucciolata nata fra Ara e Kiai e qualche altro
cucciolo appena acquistato in altri allevamenti, tutti di linee di
sangue prestigiose, figli o nipoti di campioni.

Iniziò in questo modo la mia prima esperienza reale di allevato-


re per passione. La razza mi aveva ormai conquistato e non po-
tevo più sottrarmi alla tentazione di studiarne tutte le caratteri-
stiche.

Non ebbi mai l’ambizione di portare i miei cani in esposizione,


anzi ricordo di esserci capitato una sola volta quando un alleva-
tore mi doveva consegnare una femmina e mi diede appunta-
mento all’interno del padiglione dove era in corso la gara.
Fui inorridito da quell’ammasso di cani e di persone; molti
soggetti erano chiusi in piccole gabbie ed aspettavano da ore il
loro turno, altri venivano pettinati ed agghindati “per la festa”,
capii subito che non era il mio ambiente e non vidi l’ora di u-
scire per ritornare dai miei animali che avevo imparato ad ama-
re per ben altre virtù.

A me interessava solo il loro grande carattere!

La prima differenza che notai fra i due soggetti di provenienza


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sovietica e gli altri tre che provenivano dall’Ungheria, era la
volontà di lavorare come guardiani.

Il maschio appena acquistato era molto aggressivo solo se mi-


nacciato nella gabbia e per molto tempo non si curò mai di chi
passasse in strada. Aveva scarsa territorialità, diventava un “ve-
ro leone” solo se si sentiva minacciato e così si comportò per
sempre. Preferiva abbaiare da accucciato ed alzarsi solo quando
la persona toccava il cancello.

Kiai e Kimè invece iniziavano ad assumere un atteggiamento


molto guardingo già quando le persone si trovavano ad una di-
stanza notevole. Perlustravano molto spesso il perimetro della
nostra proprietà ed ogni volta che passava qualcuno in strada
loro erano già pronti da tempo ad affrontare l’estraneo.

Quando li portavo a spasso con me, il maschio più massiccio


dopo poco tempo iniziava a rallentare, aveva una respirazione
affannosa, la lingua a penzoloni e perdeva parecchie bave, gli
altri invece trottavano per tutto il tempo senza mai dare alcun
segnale di stanchezza.

Nel modo di mangiare erano molto diversi: uno sbranava tutto


in un solo boccone con una voracità impressionante, gli altri
lasciavano cadere la carne a terra e poi iniziavano a masticarla
pian piano, triturandola minuziosamente con i molari, altre vol-
te la lasciavano vantando dominanza sulle femmine oppure la
sotterravano per riprenderla in altri momenti.

Anche il modo di abbaiare era differente, il maschio ucraino


abbaiava con vocalizzi a bassa frequenza mentre gli altri due
ripetevano il loro verso con maggiore rapidità.

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Anche il rapporto con le femmine era diverso, l’ultimo arrivato
giocava pochissimo pur essendo più giovane mentre gli altri
ogni mattina si rincorrevano per alcuni minuti imitando reali
combattimenti fra loro.

Grande differenza la notai anche durante l’estro delle femmine;


non ci furono mai confronti per quanto riguarda il numero di
accoppiamenti: mentre l'esemplare più grande si limitava a due
o tre al giorno senza mai privarsi della sua razione di cibo, con
gli altri era un dramma ad ogni calore, sia Kiai che Kimè smet-
tevano di alimentarsi per numerosi giorni e coprivano la fem-
mina ininterrottamente ad ogni nuova ripresa di energie.

Questo mi costrinse spesso a doverne limitare la convivenza,


provando stupidamente pena per la malcapitata femmina che li
doveva "sopportare"...

Il cane più grosso aveva sempre un’espressione del muso molto


statica e non sempre semplice da interpretare, anche se non eb-
bi mai problemi riguardo alla sua affidabilità; gli altri due era-
no molto più espansivi, ad ogni mio arrivo di fronte al cancello
pareva organizzassero una sorta di danza rituale per esprimere
meglio il loro bentornato.

Anche il modo di avvicinare altri simili era dissimile; quando li


portavo a spasso il maschio ucraino iniziava immediatamente a
ringhiare quando vedeva un altro cane e sembrava volesse
mangiarlo, gli altri due desideravano avvicinarsi per fare cono-
scenza e solo dopo decidevano il da farsi.

Mi ricordo una delle prime volte (ed anche l’ultima) che liberai
Kiai in un prato dove stavo tagliando un po’ di erba per i miei
cavalli. Improvvisamente sentii a distanza alcuni cani che ab-
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baiavano; si alzò e partì al trotto molto lentamente, io lo chia-
mai più volte e vista la sua intenzione di continuare, lo seguii a
passo svelto sperando che si fermasse.

Lui continuò sino ad arrivare nel luogo in cui si trovavano due


cani di grossa taglia, accompagnati dal loro padrone, i quali
stavano litigando con altri, dall’altra parte di un cancello. Lui
arrivò con fare molto flemmatico, si avvicinò con espressione
apparentemente ingenua (tanto da farmi pensare che volesse
giocare) e quando capì' che erano due maschi, fece uno dei suoi
disastri.

Sarebbe inutile entrare nei dettagli dell’accaduto e riportare gli


insulti che la padrona rivolse nei miei confronti. Non ci furono
danni letali solo perché, incoscientemente, rischiai la mia inco-
lumità per separarli. Oggi non credo che ripeterei quell’impresa
"eroica". Da quel giorno esclusi categoricamente la possibilità
di lasciare libero un mio cane fuori della proprietà e lo sconsi-
glio caldamente a tutti coloro che ne adottano uno.

Nei tentativi di far socializzare i soggetti che possedevo da


tempo con altri acquistati già adulti dovetti assistere ad alcune
spiacevoli baruffe. Anche se si tratta di un maschio e di una
femmina, nel momento in cui vengono a contatto per la prima
volta in un territorio di parte, possono avvenire imprevedibili
scontri non pericolosi per la loro incolumità ma comunque
molto cruenti.

Quando portai a casa la femmina sovietica la chiusi qualche


giorno in una recinzione confinante con quella di Kimè, in
quanto volevo che socializzassero gradatamente prima di la-
sciarli insieme nel cortile. L’avevo infatti acquistata con lo
scopo di farla vivere ed accoppiare con lui.
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Kimè appena la vide entrare capì immediatamente che era una
femmina ed assunse atteggiamenti baldanzosi esibendosi in una
sorta di corteggiamento.

Lei invece iniziò a ringhiare e non smise per alcuni giorni, fin
quando decisi di liberarli insieme per vedere se la mancanza
della rete le avesse fatto cambiare quell’atteggiamento strafot-
tente. Aprii la porta e Kimè si diresse subito nella sua direzione
ma non appena si avvicinò per annusarla, la femmina lo morse
con decisione in pieno muso, tanto da ferirlo profondamente
molto vicino ad un occhio.

Pensai subito al peggio e mi spaventai, non avevo mai visto


nulla di simile; solitamente durante i primi approcci le femmi-
ne si piazzano e prima di lasciarsi annusare sono un po’ scor-
butiche, questa invece lo aveva morsicato con tutta la sua forza.

Kimè ebbe un attimo di smarrimento poi replicò con una tecni-


ca che mi lasciò a bocca aperta: le afferrò la zampa anteriore,
alzò di scatto la testa spiccando un balzo in alto in modo di to-
glierle ogni appoggio; lei cadde a terra con la schiena, lui
l’afferrò al collo e la trattenne ringhiando fino a quando lei non
si arrese. Allora la lasciò e poi successe ciò che non avevo mai
visto in molti anni di cinofilia: le urinò sul corpo e se ne andò.

Dopo quell’episodio lei non ebbe più scelta, visse sottomessa


nel nostro cortile sino a quando decisi di spostarla nell’altro di
fronte, dove tenevo i cavalli.

Completamente diverso era stato il comportamento quando era


arrivata Ara; lei avrebbe anche voluto socializzare ma purtrop-
po non aveva fatto in tempo in quanto Kiai aveva pensato subi-
to di sottometterla ed era nata una lite.
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Lei, pur avendo scelto Kiai come unico suo maschio, non solo
non si volle mai “piegare” troppo ma a volte dimostrava il de-
siderio fisico di scontrarsi con lui quasi per misurare la forza
del suo maschio. Dopo un primo tentativo che non ebbe buon
esito, decisi di non intervenire più quando litigavano ed uscivo
dal cancello lascando che la rissa si sedasse.

Spesso era Kiai che riportava le ferite più importanti, lei non
aveva quasi mai nulla, mi venne spesso il dubbio che lui non
volesse infierire più di tanto su quella che era la sua unica
femmina per l'accoppiamento.

Feci sempre molta attenzione affinché Kiai e Kimè non potes-


sero incontrarsi perché sarebbero stati guai per tutti. Non so se
me la sarei sentita di intervenire e credo che uno dei due sareb-
be morto.

Una notte Kiai trovò una falla nella recinzione della scuderia,
non ancora appropriata per questa tipologia di cani e andò a
sfidare Kimè che fortunatamente si trovava all’interno della
nostra recinzione (molto più robusta); fui svegliato dai loro
ringhi.

Ebbi occasione di notare che mentre Kimè si limitava a rin-


ghiare in segno di difesa del territorio in cui si trovava, Kiai
afferrava con i denti la recinzione per cercare di aprirla e di en-
trare, aveva deciso di scontrarsi con l’altro maschio che ormai
considerava un suo rivale.

Presi allora un guinzaglio, glielo avvolsi al collo e pur oppo-


nendo resistenza si fece trascinare nel cortile dove viveva abi-
tualmente. Il meraviglioso pregio di quel cane fu sempre la sua
completa affidabilità, anche all’apice dell’aggressività non ri-
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velò mai la minima intenzione di volermi intimidire, accettava
ogni mia decisione senza ribellarsi.

Anche Ara e la femmina sovietica ebbero un giorno


l’occasione di un incontro ravvicinato ma non ci fu alcun scon-
tro in quanto la seconda non oppose la minima resistenza e si
sottomise al solo forte ringhio di Ara.

Il maschio ucraino che era arrivato per ultimo non dimostrò


mai molta aggressività nei confronti degli altri due: li ignorava
semplicemente, forse anche perché era più giovane di un anno
e li accettava come capo branco.

Nel frattempo stavano anche crescendo i 13 cuccioli di Ara x


Kiai.

Quasi tutti facevano già la guardia, con la differenza che i ma-


schi andavano al cancello senza alcun timore, mentre le fem-
mine si stavano dimostrando più timorose.

Quando entravo nel cortile della scuderia, i figli di Ara e Kiai


già a 40 giorni mi correvano dietro e iniziavano a mordermi i
polpacci, tanto che dovevo ripararmi con una scopa per non
farmi bucare dai loro piccoli denti appuntiti.

In altri cuccioli acquistati, ad un anno ancora non vedevo alcun


interesse alla custodia del territorio; voglio precisare che avevo
sempre richiesto soggetti da destinare unicamente alla guardia
e non alle esposizioni.

Molti mi dicevano che dovevo aspettare altro tempo ma, con-


frontandoli con i figli di Ara che erano già molto responsabili
del territorio, decisi di regalarli o svenderli e ripartii nuova-
51
mente da capo. (Ad oggi non sono pentito della mia scelta in
quanto nonostante alcuni di quelli si siano poi “svegliati” verso
i 3/4 anni, il loro abbaiare flemmatico non era quello che cer-
cavo ne ciò che mi aveva fatto innamorare della razza).

Devo però precisare che i cuccioli di origine russa avevano una


caratteristica che mi interessava molto e che consideravo un
grande pregio, rispetto ai miei: erano molto più sicuri delle loro
azioni, la maggior parte di loro non temeva nulla e teneva sem-
pre la coda diritta in ogni occasione.

Invece quelli di Ara x Kiai, specialmente le femmine, ad ogni


rumore improvviso abbassavano la coda e scappavano momen-
taneamente per poi riprendersi ed iniziare ad abbaiare con
grande diffidenza.

Pensai quindi di accoppiare i due soggetti adulti che avevo ap-


pena acquistato (il maschio ucraino e la femmina sovietica),
molto sicuri di sé anche se non troppo diffidenti, con i miei più
selvatici, sperando di ottenere qualche cucciolo ideale, ovvero
diffidente ma anche molto coraggioso all’occorrenza.

Mentre attendevo i nuovi calori, valutai altri soggetti; partii


addirittura un giorno in automobile con amici per recarmi sino
a Napoli dove era arrivato dalla Russia un cane di grande pre-
gio, pagato cifre da capogiro. Dicevano fosse fortissimo, quindi
viaggiai un giorno intero con il solo scopo di poterlo vedere.

Arrivato sul posto lo liberarono, lui venne alla rete e mi ringhiò


un paio di volte, poi se ne andò senza guardarci più. La mole di
quel cane era gigantesca, a causa della quale riportava alcune
evidenti ecchimosi sulle zampe, localizzate dove si appoggiava
quando era coricato.
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Non era la tipologia di cane che cercavo e non c’era confronto
con Kimè, che al minimo cenno di una presenza estranea vici-
no alla proprietà non si dava pace fin quando lo sconosciuto
non si allontanava. Oltre ad essere molto più agile, non aveva
un minimo segno di piaga in tutto il corpo, nonostante fosse
anche lui oltre gli 80cm al garrese e dormisse tutto il tempo su
un pavimento di pietra.

Nel frattempo nacque una nuova cucciolata da un figlio di Kiai


e una buona femmina di 2 anni, più robusta di lui ma non esa-
geratamente molossoide. Nacquero numerosi figli tra i quali
una femmina mingherlina ma “speciale”.

Venne acquistata da un signore che la tenne solo per 7/8 mesi e


poi dovette cederla per motivi familiari. Avevo saputo che già
a quella giovane età se la cavava eccellentemente nella guardia
ma non era andata a ruba fra gli appassionati in quanto meno
“massiccia” delle sorelle.

Solo il cielo sapeva quanto desideravo avere una femmina for-


te; un giorno partii per acquistarla e ritornai con quella che a-
vrebbe segnato l’inizio della mia nuova selezione del cane da
pastore dell’Asia centrale: si trattava niente meno che di Burka,
una femmina che non solo aveva gli atteggiamenti di quella che
avevo visto anni prima legata alla catena ma che sarebbe stata
unica per le sue caratteristiche sia di riluttanza nei confronti
degli estranei che di amore per la mia famiglia.

A questo punto non mi restava altro che aspettare la maturità di


Burka per iniziare a fare gli accoppiamenti che mi avrebbero
permesso di raggiungere l’obiettivo, ovvero quello di selezio-
nare cani non molto più alti di 70cm al garrese, veramente ru-
stici e sani, agili e scattanti, molto diffidenti con gli estranei ma
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capaci di amore incondizionato per la loro famiglia.

Sapevo benissimo che lo standard della razza stava mirando ad


altri obiettivi, il mio invece era ottenere una linea di sangue da
destinare al lavoro di guardia nelle proprietà. Il resto, per me,
non era importante!

Accoppiai anche una figlia di Ara x Kiai con un cane russo di


statura molto modesta ma di carattere discretamente forte, nes-
suno l’aveva saputo valorizzare perché non aveva un pedigree
ufficiale ed i suoi 70cm al garrese non sarebbero stati sufficien-
ti per ottenere buoni risultati in esposizione.

Nacquero buoni cuccioli di statura mediamente superiore ai


70cm al garrese, alcuni li utilizzai ancora in seguito per altri
accoppiamenti.

Fu questa la prima volta che notai la superiorità caratteriale dei


soggetti che presentavano lineamenti più tendenti al lupoide ri-
spetto ad altri più massicci.

Man mano che crescevano notavo in loro un’evidente predi-


sposizione alla custodia del territorio.

Avrei desiderato anch’io avere dei soggetti simili a quelli che


vedevo in altri allevamenti ma allo stesso tempo, prediligendo
il carattere, mi rendevo conto che non riuscivo a trovare nessun
soggetto fra quelli di taglia grande che potesse soddisfarmi.

Finalmente giunse il giorno in cui Burka poteva essere accop-


piata, la qualità del suo carattere era ormai salita alle stelle e
quindi avrei dovuto scegliere uno dei miei tre maschi per fare
l’accoppiamento migliore.
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Ci pensai al lungo e poi scelsi il maschio ucraino, non essendo
ancora libero dai condizionamenti che provenivano dalla do-
cumentazione reperibile in Europa. Lui era il più gradito esteti-
camente da tutti coloro che visitavano il mio allevamento, ave-
va un bel “testone”, era sufficientemente aggressivo con gli e-
stranei e quindi piaceva, forse perché assomigliava maggior-
mente a quelli ammirati in esposizione.

In cuor mio avrei voluto subito scegliere Kimè, ed oggi sono


enormemente pentito di non averlo fatto e di aver perso tempo
inutilmente, ma qualcuno degli“esperti” di razza sosteneva che
egli potesse avere remoti incroci di sangue con un pastore del
Caucaso; io non avevo le conoscenze sufficienti per farmi le
risate che mi faccio oggi quando sento tali stupidaggini e quin-
di optai per quello ucraino.

Kiai lo avevo scartato a priori in quanto non ero stato molto


soddisfatto delle cucciole femmine che aveva prodotto e crede-
vo ancora che il carattere fosse trasmesso prevalentemente dal-
lo stallone, visto che nell’ambiente tutti sostenevano quella te-
si.

Feci due cucciolate prima di capire tutti i segreti


dell’accoppiamento; una a distanza di soli 6 mesi dall’altra e
non per mio volere. Partimmo per le ferie, la ragazza che dava
da mangiare ai nostri cani, l’unica che loro accettavano, ci giu-
rò che al sopraggiungere del successivo calore di Burka, li a-
vrebbe separati ma la realtà fu che dopo due mesi nacquero al-
tri cuccioli.

Per quanto riguarda il carattere ebbi molte soddisfazioni: otten-


ni alcune femmine che a soli 4 mesi, legate ad un albero in pie-
na campagna completamente sole, difendevano il loro territorio
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con incredibile coraggio data la loro tenera età e nonostante io
non fossi al loro fianco. Credevo che non avrei mai potuto ot-
tenere qualcosa di meglio da questa razza, visto il raffronto che
potevo fare con i giovani soggetti che avevo precedentemente
acquistato dal mondo delle esposizioni.

I difetti furono altrettanto evidenti, a livello di salute: alcuni


nacquero totalmente sordi e quindi ebbi molti problemi per la
loro successiva sistemazione. Ricordo l'imbarazzo quando un
avvocato molto appassionato partì' con la nave dalla Sicilia e
venne a prendersi un cucciolo che poi dovetti sostituirgli in
quanto non udiva nulla. A causa dell' inesperienza, non ero riu-
scito ad individuare in anticipo la patologia. Da quel giorno, il
test sull’udito non mancò più in nessuna mia selezione.

Ebbi il timore che tale difetto provenisse da Burka ma fortuna-


tamente dopo alcuni riscontri constatai che invece lo portava lo
stallone, smisi così di farlo riprodurre anche se i risultati sul ca-
rattere erano stati molto soddisfacenti.

Volli molto bene a quel cane, godevo nel vederlo correre libero
nel mio cortile dopo più di 2 anni passati prevalentemente in
una gabbia di pochi metri quadri con pavimento in cemento.
Faceva paura a tutti coloro che lo vedevano per la prima volta,
si scagliava contro la recinzione come la volesse sfondare ma
aveva il cuore buono e con chi ci sapeva fare si scioglieva dopo
pochi minuti.

Purtroppo morì di carcinoma a soli 4 anni e solo io so quanto


piansi il giorno che dovetti ritornare da Torino senza di lui. Ero
partito da casa con un cane gravemente debilitato dalla malattia
ma con una tale grinta che mi costringeva a mettergli la muse-
ruola per la visita veterinaria ed ero tornato solo con il guinza-
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glio e la museruola appoggiati al sedile. Era rimasto là, sulla
brandina della clinica veterinaria in attesa di essere portato
all’inceneritore. Mi sentivo avvilito, quasi un traditore, ma non
avevo avuto altra scelta, i carcinomi erano ormai arrivati ad un
numero di 9 e lui non avrebbe che continuato la sua sofferenza
fino all’ultimo giorno. All’andata mi ero fermato ad un distri-
butore per fare benzina e lui pur non avendo più forze per
grandi reazioni, aveva ancora comunque ringhiato tutto il tem-
po fino a che il gestore non si era allontanato dalla mia auto-
mobile.

Pur sapendo che non l’avrei più fatto riprodurre l’avrei voluto
ancora nel mio allevamento per tutti gli anni della sua vita in
quanto aveva un buon carattere, specialmente con le mie bam-
bine. Quando gli portavo io da mangiare, lui cercava sempre di
anticipare il pasto con un balzo per prendersi dal secchio la sua
razione di carne, quando andavano loro aveva invece la delica-
tezza di sedersi di fronte ed aspettare il suo momento. Era un
mangione e sicuramente poco “aborigeno” ma noi lo amammo
profondamente innanzitutto per il suo buon cuore.

Dopo alcuni anni di studi, passati ad analizzare molta docu-


mentazione che avevo reperito ed a visitare allevamenti, oltre a
visionare e testare numerosi soggetti adulti di varie provenien-
ze, feci la mia scelta definitiva anche in funzione di ciò che ero
riuscito a riprodurre nelle mie prime tre cucciolate.

I cuccioli di Ara x Kiai, due soggetti guardiani di mediocre co-


raggio, avevano prodotto comunque maschi molto determinati
e migliori dei genitori. La salute e la rusticità era stata una co-
stante per tutti i 13 cuccioli e la loro dinamicità era incredibile.

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Le femmine stavano comunque diventando tutte buone guar-
diane, molto attive, anche se qualcuna non si dimostrava troppo
coraggiosa nel concludere alla recinzione. Mentre i cuccioli na-
ti già in seconda generazione (quindi nipoti di Ara e Kiai) si
dimostravano più predisposti alla guardia, specialmente quelli
con morfologia più simile ai genitori ungheresi piuttosto che a
quelli russi o ucraini.

Decisi quindi di partire per l’Ungheria alla ricerca degli antena-


ti dei miei soggetti, con la speranza di trovarne alcuni simili al-
la mia Burka per cominciare una selezione basata su quelle li-
nee di sangue.

Cercai una traduttrice ungherese che parlasse bene l’italiano e


partii in automobile con un mio cliente della prima ora, poi di-
ventato un caro amico. Il mio obiettivo era quello di trovare gli
antenati di Ara, Kiai e Kimè visto che la sorella del secondo
(ovvero il primo cane da pastore dell’Asia centrale che avevo
incontrato nella mia vita) possedeva un gran carattere e Kimè
era il massimo che si potesse avere da un cane nel lavoro di
guardia.

Il primo contatto con gli allevamenti dell’Ungheria non fu mol-


to entusiasmante.

Chiunque vedesse il pedigree dei miei cani diceva di conoscer-


ne la loro provenienza e di averne posseduto svariati soggetti in
passato ma che le linee di sangue oggi più richieste erano altre,
ovvero quelle russe ed ucraine, in quanto fisicamente migliora-
te e quindi con più possibilità di ottenere buoni risultati in e-
sposizione. Di altri nomi citati nei miei documenti nessuno sa-
peva dirmi nulla. Mi fu detto che diversi allevatori avevano
smesso l'attività in quanto il cane da pastore dell’Asia centrale
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non aveva avuto il riscontro sperato presso gli acquirenti euro-
pei ( i più facoltosi) e quindi avevano addirittura cambiato raz-
za (gli ungheresi sono antichi commercianti di cani e cavalli e
quindi allevano solitamente quello che è più richiesto senza
troppi condizionamenti di passione per una razza in particola-
re).

Alcuni incontri si dimostrarono molto deludenti, sul sito mi e-


rano sembrati dei professionisti ma in effetti alcuni possedeva-
no solo due o tre femmine ed un maschio, altri non accettarono
la nostra visita in quanto sprovvisti di cuccioli.

Ricordo una signora che ci aspettava da tempo per farci vedere


molti dei suoi soggetti, parenti di alcuni che aveva esportato in
tutta Europa, che si arrabbiò molto con me in quanto non appe-
na entrai nel suo allevamento e vidi i suoi cani dormire, me ne
andai immediatamente. L’interprete ci mise un po’ a spiegarle
che non era quella la tipologia che stavo cercando.

Stavo quasi pensando che sarei ritornato a mani vuote quando


la mia guida mi condusse da un allevatore ai confini con
l’Ucraina che era conosciuto come un allevatore specializzato
in cani di carattere.

Arrivammo nell'allevamento e incontrammo un tipo un po’ par-


ticolare, che disponeva di molti soggetti e che conosceva bene
alcuni appassionati veterani della razza in Italia in quanto gli
aveva venduto in passato svariati pastori dell’Asia centrale.

Quando gli dissi che cercavo cani di carattere fece un po’ il


gradasso (sosteneva che chiunque oggi in Europa, volesse un
cane forte era obbligato a passare da lui poiché ormai si sele-
zionava solo più per bellezza), poi mi confermò che aveva dei
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buoni cuccioli disponibili al che io esclamai: “Bene, li compro
tutti!”.

Ripartii per Budapest, dove avrei dovuto dormire ancora una


notte, con tre maschi e due femmine di circa 3 mesi stipati nel
baule.
Avevo speso un bel po' di soldi ma sarebbe iniziata una mia
nuova avventura con altre linee di sangue. In effetti i due padri
dei cuccioli erano molto sicuri di sé ed aggressivi con
l’estraneo, le madri si occupavano prevalentemente dei cuccioli
e non riuscii a giudicare bene il loro carattere.

Prima di recarmi in Ungheria, avevo svolto numerose ricerche


su tutti coloro che allevavano questo cane, compreso chi che ne
possedeva anche solo uno, per passione.

L’operazione non mi era costata poco, dovendomi avvalere di


svariati contatti e traduttori, ma ne avevo ricavato un fornito
elenco di nominativi.

Nel viaggio di ritorno la ragazza ungherese mi disse che uno


della mia lista non apparteneva né ad un allevamento conven-
zionale né ad un privato, ma ad una giovane coppia di contadi-
ni che allevavano prevalentemente bestiame e per passione an-
che una razza di cavalli che provenivano dal Turkmenistan.

Possedevano anche parecchi soggetti di cane da pastore


dell’Asia centrale, che facevano riprodurre per vendere i cuc-
cioli a chi intendeva difendersi dai furti degli zingari locali e ad
alcuni pastori della lontana Transilvania per proteggere le pe-
core dai lupi.

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Nonostante avessi già la macchina completamente piena di ca-
ni, decisi di voler passare comunque a conoscere questi due
personaggi ed i loro animali.

Non appena entrai nel loro cortile, sentii un abbaiare esagerato


che proveniva da un bosco localizzato dietro la casa. Passam-
mo in mezzo a pecore, capre, cavalli, mucche ed altri animali
ed arrivammo dove c’erano i loro Pastori dell’Asia centrale.
Ne rimasi sbalordito. Ad ogni albero era fissata una catena e ad
ogni estremità di essa un cane che ci abbaiava. Alcuni si agita-
vano particolarmente e nessuno era di grandi dimensioni ma
tutti agili e diffidenti.

Pensai di essere finalmente arrivato in paradiso!


Quelli erano i cani che cercavo da tempo.

Non ebbi neanche il tempo di vederli tutti che vollero già farci
accomodare in casa per bere qualcosa, io non volevo fermarmi
molto in quanto avevo il baule del mio fuoristrada pieno di
cuccioli coi quali avrei dovuto fare un lungo viaggio di ritorno.

Gli mostrai i pedigree dei miei cani e notai dai loro sguardi che
erano entusiasti dei genitori di Kimè, ma sinceramente non eb-
bi la possibilità di capirne il perché. Anche molti nomi che era-
no presenti su quelli di Ara e Kiai suscitarono commenti posi-
tivi ma era ormai tardi ed io volli rientrare.

Finimmo di bere e quando accennai ad alzarmi la moglie mi


fece cenno di aspettare e sorridendo parlò per un po’ con la no-
stra guida ungherese.

La ragazza tradusse che io possedevo un soggetto molto impor-


tante nell’ambito dei cani da lavoro e che, se fossi stato
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d’accordo, avrebbero desiderato fare un accoppiamento con
una loro femmina di una simile linea di sangue; avrei dovuto
portare il maschio in Ungheria non appena fosse andata in calo-
re.

Dissi che ci avrei pensato su, ma che era tardi e desideravo ri-
entrare in città con i cuccioli e riposarmi prima del rientro.

Uscimmo dalla casa e loro s’incamminarono verso il boschetto,


passammo fra alcuni soggetti così aggressivi che se avessero
mai potuto liberarsi dalle catene non credo avrei fatto ritorno a
casa. Raggiungemmo un maschio dello stesso colore della pri-
ma femmina che avevo incontrato in vita mia ed in quel mo-
mento decisi quali sarebbero stati, per sempre, i MIEI pastori
dell’Asia centrale.

Si trattava del padre di Annibal!

Voleva davvero sbranare noi sconosciuti, ma era dolcissimo


con la sua padrona; a volte smetteva di ringhiare ed abbaiare e
si avvicinava a lei strofinandosi sulle gambe con la coda abbas-
sata in segno di sottomissione.

Loro mi dissero che quel cane aveva un antenato, fratello della


madre di Kimè, e che quella linea di sangue trasmetteva grande
carattere, spirito di protezione e amore unico per il proprietario.

Mi dissero che in quel momento avevano ancora due cuccioli


maschi, figli di quel cane. Io non chiesi neanche chi fosse la
madre e risposi: “Bene, li compro tutti e due!”

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Il mio amico mi ricordò che avevamo già un bagagliaio pieno
di cani, allora io mi convinsi a prenderne solo uno e lo aggiun-
si a tutti gli altri che avrebbero fatto rientro con me in Italia.

Nel tratto di strada che avevo appena percorso dai confini con
l’Ucraina fino ad arrivare a casa di quei pastori, i tre cuccioli
maschi che avevo sistemato liberi nella parte posteriore del mio
fuoristrada avevano “discusso” parecchio tempo prima di tro-
vare un accordo su dove posizionarsi. Un continuo ringhiare
faceva infatti presagire un loro forte temperamento.

Quando introdussi l'ultimo cucciolo acquistato con gli altri che


si erano ormai impadroniti del loro spazio, il capo branco fece
un accenno di ringhio accompagnato da quello dei fratelli.

Il cucciolo appena arrivato, nonostante fosse solo ed avesse ap-


pena lasciato il suo branco, si alzò in piedi ed emise un ringhio
che spaventò anche noi, tanto era determinato. I suoi peli erano
dritti sulla schiena, dalla testa alla coda, le gambe si erano al-
lungate tanto da farlo apparire più alto.

Tutti gli altri smisero allora di ringhiare, si avvicinarono uno


all’altro e gli lasciarono quasi metà baule tanto che lui, poco
dopo, si distese e dormì fino a Budapest, dove li liberai nel cor-
tile di un piccolo albergo locale.

Quella sera tutti i cuccioli che avevo acquistato nel primo alle-
vamento mangiarono e bevvero un po’ d’acqua mentre quello
bianco non volle saperne, se ne stava accovacciato su una giac-
ca che i pastori mi avevano dato affinché potesse sentire ancora
il loro odore durante il viaggio e patire meno il distacco (devo
dire che mai nessuno degli allevatori incontrati avevano dimo-
strato tanta sensibilità).
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Viaggiai tutto il giorno seguente fin quando alla sera arrivai a
casa. Gli altri cuccioli dimostrarono comunque un forte caratte-
re, ringhiando mentre li scaricavo dalla vettura.

La mattina seguente diedi a tutta la cucciolata un po’ di pollo e


capii subito di che “pasta” era fatto il cucciolo vendutomi dai
pastori. Passò a raccogliere tutte le razioni di cibo che erano
destinate agli altri e se le portò in un angolo come per dire: “ie-
ri sera voi avete mangiato ed io no, adesso tocca a me!”.

Entro un giorno capii subito che non potevano convivere; lui li


sottometteva tutti senza problemi.

Nessuno di loro osava più uscire dalla tettoia dove si erano ri-
parati, quindi lo misi da solo in un altro recinto e gli altri cin-
que tornarono a vivere.

Per varie ragioni decisi di non utilizzare nessuno dei cuccioli


acquistati sui confini dell’Ucraina come miei riproduttori, ma
devo dire che due dei tre maschi sono attualmente validi guar-
diani anche se un po’ pesanti nei loro movimenti.

Quello acquistato dai pastori lo tenni per un po’ di mesi nel


mio allevamento e poi decisi di spostarlo, per esubero di sog-
getti, da un amico che abitava molto vicino a casa mia e che te-
neva già da tempo alcuni dei miei cani, semplicemente per pas-
sione della razza, compresa la mia prima femmina Ara.

Lei era ormai diventata vecchiotta ed aveva bisogno di molte


coccole, oltre a non sopportare più gli altri cani. Fu sempre
molto dominante e difficile da abbinare nel recinto.

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Bene, con il cucciolone appena arrivato ci fu subito un’intesa
perfetta, tanto che al primo calore, ormai inaspettato, si lasciò
ancora coprire dall’adolescente che aveva poco più di un anno.

Non nacque alcuna cucciolata ma lei continuò a rispettarlo


molto per tutto il tempo in cui stettero insieme.

Oggi quel cucciolone è un cane adulto diventato ormai


un’impeccabile guardiano a casa di un vecchio addestratore, ed
è già stato padre di una cucciolata che ha prodotto ottimi sog-
getti con caratteristiche di autentici custodi del territorio.

Dopo quell’esperienza avevo quasi deciso la direzione nella


quale avrei dovuto orientarmi per le future cucciolate ma rite-
nevo indispensabile passare ancora alcuni giorni a casa della
coppia di pastori ungheresi che avevo conosciuto frettolosa-
mente e dalla quale avevo acquistato il cucciolo pochi mesi
prima.

Partii nuovamente per l’Ungheria e trascorsi alcuni giorni a


parlare con loro di cani, mi condussero a vedere molti soggetti
che avevano selezionato e di carattere ce n’era in abbondanza.

Quasi tutti i maschi di oltre due anni erano praticamente inav-


vicinabili, sia in presenza che in assenza dei padroni; come il
proprietario li chiamava loro abbassavano la coda e pur non
perdendo mai di vista l’estraneo, si avvicinavano sottometten-
dosi completamente. Nelle femmine, per la verità, riscontrai
molto spirito di vigilanza ma non esagerato coraggio.

Fu proprio da questi pastori (diventati ormai amici oltre che


miei stretti collaboratori) che scoprii diversi retroscena sulle
moderne linee di sangue sovietiche.
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Risero clamorosamente, ad esempio, quando gli parlai della po-
tenza di questi cani contro i lupi, tanto da essere chiamati in
Russia addirittura “cacciatori di lupi”. Loro che inviavano or-
mai da anni numerosi cani in Transilvania, mi spiegarono subi-
to che contro un branco di lupi nessun cane poteva avere la
meglio, anzi spesso diventano loro stessi cibo per i selvatici.

Un giorno mi condussero da una femmina che era libera nel


cortile, appena la vidi notai la grande somiglianza con il mio
Kimè; mi dissero: “Questa è la femmina più coraggiosa e
mordace che esista qui in Ungheria , abbiamo già fatto molte
prove per testarne la sua efficacia e fra le femmine non ha ri-
vali! Esistono alcuni filmati e stasera potrai vederli”.

Io ascoltavo affascinato, quando la moglie tornò a sorridere e


mi chiese: “Ma tu sai chi è questa femmina?” Ero incuriosito
e feci di no con il capo: “Questa femmina è la sorella del tuo
Habbib (Kimè)! Sia il padre che la madre furono due grandi ed
impareggiabili cani da lavoro. La nostra selezione è ormai
tutta impostata su queste linee di sangue. Abbiamo anche molti
altri soggetti ma i risultati ottenuti da questi cani è unico. Il
padre del cucciolo che ti abbiamo venduto la scorsa volta pro-
viene da un fratello della madre del tuo Kimè e adesso vorre-
mo accoppiarlo con una femmina che proviene dalla linea di
sangue del padre. Verranno cani molto forti sia nel lavoro di
guardia alle pecore che alla proprietà".

Alcuni mesi dopo ne acquistai diversi esemplari, fra i quali il


mio attuale Annibal, anche lui della stessa linea di sangue di
Kimè.

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Anche il mio Kiai era parente con una delle loro femmine, pic-
cola ma di una potenza incredibile, sicuramente la più forte che
loro mi abbiano mostrato fino ad oggi.

Quella era la nonna materna del cucciolo che mi avevano ven-


duto e sarebbe poi anche diventata quella paterna del mio gran-
de “Zar” che sarebbe nato in seguito.

Imparai molte cose dalla loro semplicità: vivono come pastori


ed è per questo che sono persone molto concrete. Quando non
sono sicuri del carattere di un cane da guardia provano ad en-
trare nella recinzione e ne osservano il comportamento. Dopo-
diché selezionano i loro riproduttori sulla base del coraggio
dimostrato. Su questi principi hanno basato la loro selezione
mirata a produrre ottimi cani da lavoro sia per i pastori che per
le famiglie.

Spesso organizzano raduni, aperti a tutti, per verificare se i lo-


ro cani mantengono davvero ciò che promettono. Si eseguono
molti test e prove di lavoro, poi alla sera si mangia tutti insieme
scambiando le proprie impressioni.

Purtroppo partecipano pochissimi allevatori tra quelli che po-


polano le più famose riviste di cinofilia. Anche in Ungheria, in-
fatti, in questo ambiente ci sono molte persone che preferisco-
no vivere di fantasia piuttosto che approfondire realmente la
loro cultura cinofila.

Volli verificare se ciò che mi avevano raccontato gli amici un-


gheresi era vero, se cioè i lupi sbranassero davvero i cani du-
rante i loro attacchi, ed ero pure interessato a conoscere le ca-
ratteristiche dei soggetti in un altro territorio, perciò non appe-
na possibile partii per la Transilvania.
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Imparai molte cose anche laggiù: parlai con uomini veri che in
ogni notte d’estate sono nei pascoli a lottare contro i lupi, bran-
chi di 15/20 soggetti che quando attaccano sembrano un uraga-
no. Pecore terrorizzate che scappano ovunque, cani che vengo-
no aggrediti ed uccisi, pastori che con fuochi accesi cercano di
limitare i danni. Il lupo della Transilvania è uno dei più grandi
al mondo ed in quella foresta, protetti dal governo, ne esiste il
maggior numero di tutta l’Europa.

Solo laggiù ho visto le “cucce per uomini” dove i pastori dor-


mono durante il periodo estivo, uno ad ogni angolo dei recinti.

In quei luoghi qualcuno mi disse di possedere i cani più forti


della zona, animali capaci di sopravvivere in montagna per
lunghi periodi fra le pecore, difendendole da lupi ed orsi.
Anche in quel caso prenotai alcuni soggetti che mi consegna-
rono poi in Slovenia, tra cui alcune femmine che presto speri-
menterò per una mia nuova selezione.
Credo che accoppiate con i miei maschi daranno buoni sogget-
ti, ma dovrò fare comunque un’approfondita selezione, in
quanto non tutti i buoni cani da pastore sono eccezionali per la
guardia alla proprietà; spesso si dimostrano molto audaci e
dominanti in montagna, ma a disagio nei confronti dei rumori
sconosciuti della città.
Conobbi un cane fantastico in Transilvania, enorme, tutto nero:
sicuramente il miglior guardiano che incontrai in quel viaggio;
scoprii che anche lui era un figlio dei miei amici pastori unghe-
resi, era il fratello della madre di Annibal ed anche lui parente
di Kimè. Lo volli a tutti i costi per la sua audacia
nell’affrontare l’estraneo e riuscii ad acquistarlo.

Lo chiamai Kayman per il suo modo insolito di sbattere i denti


quando mi avvicinavo al luogo nel quale era legato alla catena.
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Oggi è libero nel mio cortile, incute paura a chiunque ma non
alle mie figlie che lui adora nonostante le veda pochissimo; con
loro è sempre come un cucciolo, non appena le incontra si la-
scia cadere a terra ed aspetta le solite grattatine alla pancia.

Finalmente avevo le idee chiare e la scelta degli stalloni e fat-


trici era ormai compiuta. Non riuscivo ancora a credere che,
come per volere del destino, proprio i primi cani da pastore
dell’Asia centrale che avevo incontrato nella mia vita, ai quali
avevo attribuito nessuna importanza, sarebbero poi stati alcuni
protagonisti della mia selezione.

Nei primi tempi anch'io ero stato affascinato da svariati sogget-


ti provenienti da importanti allevamenti che si vedevano in e-
sposizione, su internet e sulle riviste specializzate. Credevo
fermamente di poter trovare quello che cercavo fra quei nomi
prestigiosi, dal fisico possente e dallo sguardo cupo. (Nel mio
racconto, per non dilungarmi ulteriormente, ho tralasciato sva-
riate altre “avventure” affrontate nella ricerca dei miei riprodut-
tori: acquistai alcuni soggetti da chiunque dicesse di avere il
meglio della razza per valutare meglio le loro caratteristiche).

Quale potrebbe essere quindi un altro motivo per cui non ho


mai utilizzato per la mia selezione molte linee di sangue oggi
famose in tutto il mondo delle esposizioni?

Ho speso molto denaro per questa mia passione, ho sempre


viaggiato ovunque potessi incontrare cani di carattere idonei al
lavoro di guardia, ho incontrato e conosciuto i migliori alleva-
tori del mondo. (Rimango comunque sempre in attesa di po-
termi ricredere per migliorare e diversificare la mia selezione!).

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Non ho mai partecipato alle competizioni agonistiche, né senti-
to l’esigenza di vincere campionati (avessi voluto questo mi sa-
rei organizzato in tal senso e credo sarei stato un buon avversa-
rio per chiunque), il mio unico scopo è sempre stato quello di
trovare cani che potessero riprodurne altri con le qualità che
cercavo: salute, rusticità, attitudine alla guardia e affidabilità in
famiglia.

Ho messo volutamente per prima la salute perché senza questa


fondamentale qualità, nessun essere vivente può lavorare a
lungo.

Oggi la tendenza è quella di rincorrere la monta di chi è appena


stato campione del mondo, senza sapere come si è arrivati a se-
lezionare quel soggetto. E’ ovvio che affermare: “Il mio cane è
figlio o nipote di un campione” riempie la bocca ma, da un
punto di vista pratico, cioè dell'attitudine al lavoro dell'animale,
non è affatto detto che con questo metodo si ottengano buoni
risultati.

In ogni caso la scelta dei miei riproduttori era ormai conclusa,


decisi comunque di recarmi dai “Guru” della razza che viveva-
no in Asia centrale per confrontarmi con loro ed imparare altre
cose su un mondo così antico e misterioso.

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I miei viaggi-studio in Asia centrale
Visitare l’Asia centrale non è semplicissimo. Nessuno di quegli
Stati è preparato alla ricezione turistica tranne l’Uzbekistan,
che non avendo altre risorse si sta organizzando per valorizzare
alcune città come Samarcanda e Bukara. Ma anche lì, se si de-
sidera uscire dai centri abitati con una guida che parli inglese,
iniziano le difficoltà.

Le vie di comunicazione di tutta l’Asia centrale sono spesso di-


sastrate. Fatta eccezione per qualche rara arteria nelle vicinanze
delle capitali, ci si deve avventurate su vecchie strade della ex-
Unione Sovietica, spesso ancora sterrate. In molti percorsi non
è possibile superare la media dei 30/40 km orari vista la costan-
te presenza di buche profonde, cunette ed altri ostacoli da supe-
rare; in certi luoghi risulta spesso conveniente viaggiare ai
margini dei pascoli erbosi.

A tutto questo vanno aggiunti i frequenti posti di blocco della


polizia istituiti per controllare la validità dei permessi di entrata
e uscita dalle città. Specialmente in Turkmenistan ed in buona
parte del Tagikistan, questo rappresenta una seria difficoltà per
uno straniero che voglia spostarsi per il paese, anche se esisto-
no agenzie locali che cercano di aiutare, ovviamente previo
lauto compenso, limitando parte del disagio. Non sono gene-
ralmente consentite improvvise variazioni di programma.

Se l’obbiettivo è poi reperire informazioni attendibili su qualsi-


asi argomento, è veramente facile smarrirsi, in quanto tutto può
essere il contrario di tutto: chi, ad esempio, ha sostenuto con
forza una tesi, può improvvisamente cambiare idea, special-

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mente se la Vodka ha già iniziato a fare effetto.

Forse un’antica storia fatta di invasioni e di sottomissione dei


popoli, l’ultimo secolo passato sotto l’Unione Sovietica, un
mescolarsi di religioni ed altro ancora, hanno forgiato individui
molto particolari, molto diversi da ogni altra parte del mondo
che ho avuto modo di visitare durante i viaggi precedenti.

Ogni volta si ponga una domanda, si otterrà per risposta ciò che
in quel momento l’interlocutore ritiene più conveniente per se
stesso, oppure meno compromettente per il suo futuro; se la
stessa domanda verrà posta il giorno dopo, sarà facilissimo a-
vere una risposta completamente differente.

A tutto ciò si aggiunge la legittima fame di denaro che caratte-


rizza queste popolazioni, abituata a vivere in povertà in un ter-
ritorio nel quale i soldi sono l'unico strumento per ottenere il
legittimo rispetto dei diritti più elementari.

La corruzione la fa da padrona a tutti i livelli, anche


nell’acquisto di un biglietto aereo. Il volo ha un prezzo ma
l’impiegata che deve eseguire la prenotazione lo farà solo in
cambio di una piccola somma di denaro extra, probabilmente
indispensabile ad arrotondare il suo stipendio insufficiente ad
una decente sopravvivenza. E così via per tutto il resto.

E' ovvio che la faccenda si complica in modo impressionante:


spesso la guida che parla inglese non intende condurre l’auto
per motivi di sicurezza, mentre l’autista, non possedendo
l’auto, dovrà noleggiarla; probabilmente nessuno di loro cono-
scerà nulla sui cani, ma entrambi pretenderanno già un com-
penso iniziale considerevole in relazione al costo della vita del
paese che si sta visitando.
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Un salario mensile di un medio-asiatico stenta a raggiungere i
100 dollari, mentre la guida e l’autista pretendono ognuno al-
meno 50 dollari al giorno oltre ai pasti quotidiani. Poi improv-
visamente spunterà un tipo che, anche lui previo compenso, po-
trebbe fare da tramite con un allevatore che risiede poco lonta-
no dalla città. A quest'ultimo interesserà innanzitutto vendere i
suoi soggetti ma potrebbe anche, sempre per denaro, guidare
tutta la “squadra” da un suo amico che vive ai piedi di monta-
gne dove “sarebbe” possibile individuare pastori nomadi con
le loro pecore ed i cani.

Il suo amico, capita l’opportunità di guadagno, si attiverà per


trovare qualcuno con un fuoristrada che porterà gli interessati
più l’interprete e l’allevatore alla ricerca dell’obiettivo.

I pastori con i loro cani aborigeni, seppur introversi a causa del


loro sistema di vita, sono gli individui più genuini ma il pro-
blema è la lingua. Spesso parlano dialetti che neanche l'alleva-
tore capisce e quindi ogni conversazione dovrà passare attra-
verso svariate persone che, secondo la loro convenienza, la
modificheranno a piacere.

Per esempio, se la guida vorrà rientrare presto alla sera per im-
pegni personali, il pastore “avrà detto” che non ci sono altri ca-
ni in zona da vedere, mentre se si vorrà incontrare una specifica
tipologia di soggetti, saranno sicuramente molto lontani; servi-
rà quindi anche il giorno seguente per poterli raggiungere, in
modo tale che la spesa complessiva raddoppi, così come gli in-
cassi dell’intero equipaggio. Se l’allevatore avrà da vendere
cuccioli di una determinata tipologia, cercherà di indirizzare
l’equipaggio verso un pastore che utilizzi nel suo gregge esem-
plari molto simili, in modo tale da alimentare le probabilità di
concludere l’affare. E così via.
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Nel mio viaggio in Tagikistan un allevatore volle farci vedere a
tutti i costi, presso alcuni pastori nomadi, un cane che era stato
fotografato dai Russi in una recente escursione e pubblicato su
una loro rivista cinofila.

(Allo stesso modo in cui io vado laggiù per cercare cani rustici,
più lupoidi possibile, agili e con forte carattere, alcuni di loro
cercano di fotografare soggetti aborigeni con la testa il più
massiccia possibile tanto da convincere l’utenza mondiale che i
loro “molossoni” si trovano anche allo stato naturale. Addirit-
tura qualcuno li porta direttamente dalle città per liberarli in
luoghi più selvaggi dove poterli fotografare con un piccolo
gregge di pecore).

Ma i cani aborigeni sono ben altra cosa e si distinguerebbero


per le loro caratteristiche fra milioni di altri.

Dopo una lunga escursione a bordo di una Lada Niva indistrut-


tibile, arrivammo finalmente sul posto; in alcuni passaggi il
fuoristrada si era inclinato così tanto che eravamo ormai prepa-
rati e rassegnati a cappottare, invece andò tutto a buon fine in
quanto l’autista riuscì sempre a trovare una soluzione
all’ultimo istante.

Nell’accampamento non c’erano uomini e pecore ma solo al-


cuni cani che difendevano il territorio. Come ci videro arrivare
iniziarono ad abbaiare e ci corsero incontro ringhiando; la no-
stra guida ci disse di tirare su il finestrino in quanto era possibi-
le che ci azzannassero.

Alcune donne uscirono da una tenda e vennero verso di noi, e-


rano le mogli dei pastori che attualmente si trovavano in altura
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e che sarebbero tornati la sera. Una delle ragazze non apparte-
neva a quella famiglia ma era semplicemente ospite per qual-
che giorno (…pensate che vacanza!). I cani spesso cercavano
di morderla in quanto non la conoscevano ancora e quindi lei si
muoveva guardinga al fianco della sorella che impugnava un
grande e lungo bastone per difenderla.

La nostra guida parlò con loro e disse che volevamo vedere il


cane “grande”, lei ci disse di aspettare uno degli uomini che sa-
rebbe tornato a minuti. Dopo un po’ di attesa vedemmo un pa-
store spuntare in groppa ad un cavallo e raggiunte le donne,
parlò con loro e comprese il motivo della nostra visita.
Il cane era più grande degli altri ma molto pauroso e si era infi-
lato in una buca vicino ad una tenda; l’uomo gli avvolse con
cautela una lunga corda al collo dotata di un cappio
all’estremità e poi iniziò a tirare.

La guida ci disse che spesso quel cane mordeva anche i padroni


e quindi nessuno voleva avvicinarsi. In effetti il povero anima-
le, forse per paura, non voleva uscire per nessun motivo dalla
sua tana quando arrivavano estranei, ringhiava e opponeva re-
sistenza; allora si impegnarono in due, la donna cercava di ti-
rarlo con la corda e l’uomo lo picchiava con il bastone. Il cane
emise ancora qualche ringhio di protesta e poi s’incamminò fa-
cendosi trascinare verso di noi.

Non era molto alto ma sicuramente il più robusto fra tutti quelli
che avevo visto, nato come la natura l’aveva concepito (anche
nelle famiglie umane, ogni tanto, nasce il più robusto).

Aveva molti difetti: non era affidabile con i loro padroni, era
pauroso, introverso e non si degnò mai di abbaiarci come ave-
vano fatto tutti gli altri. Un tempo l’avrebbero soppresso im-
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mediatamente, oggi invece lo tenevano perché era diventato
famoso in quanto fotografato altre volte e pubblicato su una ri-
vista famosa.

Dissi subito che non mi interessava e che avrei preferito mille


volte un esemplare nero che si era momentaneamente accuccia-
to senza mai perderci d’occhio, pronto ad attaccarci nuovamen-
te non appena ci fossimo mossi. L’autista della Lada Niva dis-
sentì indispettito ( eppure quel cane aveva sempre entusiasmato
tutti per la sua stazza!) e ripartimmo immediatamente.

Viaggiammo per oltre mezz’ora finché arrivammo di fronte ad


un portone che chiudeva un muro costituito da semplice fango
essiccato. L’autista entrò e subito dopo tornò con un paio di
cuccioli neri, simili al cane che avevo appena elogiato; chiese
se volessi acquistarne uno, dato che erano simili a quello che
mi era piaciuto maggiormente.

Questo mi fece tornare coi piedi per terra: noi eravamo lì per
un semplice viaggio di studio e piacere, mentre questo cercava
in tutti i modi di ricavare qualcosa da destinare alla sopravvi-
venza della sua famiglia. A lui non importava nulla della mor-
fologia dei cani locali (l’importante che avessero saputo custo-
dire il gregge); se piacevano di più quelli grandi lui si sarebbe
gestito in tal senso ma visto che a me piacevano di altra tipolo-
gia lui si era adattato immediatamente per trarne qualche profit-
to!

Per loro i cani da pastore fanno parte dell’ambiente naturale né


più né meno delle molte tartarughe che laggiù sono presenti
come le nostre lumache in campagna; noi occidentali le acqui-
stiamo per tenerle in casa, chiamarle per nome e piangere poi
per la loro scomparsa. (Ad ogni escursione ne schiacciavamo
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diverse con le ruote del fuoristrada, nonostante io ammonissi
continuamente di fare attenzione mentre loro ridevano creden-
domi pazzo).

Non va inoltre dimenticato che per i molti che aderiscono ai


principi dell’Islam, il cane è un “qualcosa” che serve ma che
nello stesso tempo rappresenta “l’essere immondo”, dal quale è
bene stare a distanza; non è obbligatorio nutrirlo né curarlo.

Questo per spiegarvi come sia difficile parlare con questa gente
dei loro cani e trarre una sola verità, loro hanno altri problemi,
molto più grandi dell’aspetto morfologico del cane!
In cambio di un bagliore di speranza ed una promessa di un fu-
turo migliore, sarebbero disposti ad avvallare qualsiasi tesi im-
portata dal nostro mondo.

Laggiù i ricchi, per sentirsi emancipati, iniziano a tenere nei lo-


ro giardini alcuni esemplari di razze europee, convinti che deb-
bano essere cibati esclusivamente con le nostre moderne croc-
chette in quanto si ammalerebbero se mangiassero la carne ed il
pane come i loro cani da pastore.

Questo è ciò che caratterizza il modo di vivere e pensare di


molti abitanti dell’Asia centrale: una via di mezzo fra l’antico,
che non sanno più apprezzare, ed il moderno che desiderano
ma non conoscono ancora.

La situazione cambia leggermente se si ha la possibilità di co-


municare con i giovani che hanno frequentato le università lo-
cali studiando inglese, che utilizzano abitualmente internet ed
hanno visitato altri paesi del mondo. L’aspetto più triste è che
questi ragazzi farebbero di tutto per andarsene dal loro paese,
non credendo nella possibilità di un miglioramento delle pro-
77
spettive di vita.

Il Turkmenistan
La cinofilia storica indica il cane da pastore dell’Asia centrale
originario del Turkmenistan, anche se gli altri Stati del conti-
nente medio asiatico hanno ovviamente un'opinione diversa.
Il territorio di questo paese è costituito per oltre il 90% dal Ka-
rakum Desert, un tempo brulicante di pastori aborigeni che so-
pravvivevano allevando le loro pecore.

Oggi la politica del paese è radicalmente cambiata e la maggior


ricchezza del Turkmenistan è costituita dal gas di cui il sotto-
suolo è molto ricco; la pastorizia non ha più nessuna importan-
za se non per ricavare lana pregiata per confezionare i preziosi
tappeti. Pare che proprio le difficoltà che incontra la pecora del
deserto nel sopravvivere, cibandosi per mesi di sola erba secca,
siano la causa di tanta lucentezza della loro lana, tanto da ren-
der pregiatissimi i tappeti originali. La presenza dei pochi pa-
stori rimasti sembrerebbe quindi maggiormente giustificata dal
commercio di questa lana che dagli altri prodotti del
l’allevamento, utilizzati per il sostentamento dei proprietari.

Il sistema politico è completamente chiuso nei confronti del re-


sto del mondo: non è possibile per nessun cittadino straniero
ottenere un visto d’entrata se non tramite una lettera di invito
emanata da un’istituzione locale.

Ecco perché molti discernono sui cani da pastore del Turkme-


nistan (Alabai) solo per sentito dire, oppure traducendo libri
specializzati russi (redatti secondo i loro punti di vista) sulle
caratteristiche della razza originale.

78
Nel mio viaggio ho avuto l’occasione di vedere centinaia di
soggetti, sia randagi che allevati in cattività, parlato con pastori
che oggi vivono nei villaggi ai margini della capitale, con figli
e nipoti di altri che vivono ancora nel Karakum Desert occu-
pandosi esclusivamente di pastorizia e ho incontrato molti per-
sonaggi famosi del calibro di Kakish Kyarizov e Farida Bolku-
nova.

Kakish Kyarizov, considerato il più importante allevatore nel


mondo di questa razza, è un personaggio simpatico e molto
umile, specializzato nell’allevare cani destinati ai combattimen-
ti che si svolgono ogni domenica mattina nella periferia della
capitale Ashgabat.
Possiede una raffinata esperienza pratica inerente questa razza
e dedica la sua vita all’allevamento che si trova adiacente alla
sua abitazione.

I suoi soggetti provengono da un’accurata selezione morfologi-


ca e caratteriale mirata a produrre dei veri gladiatori, ed è pro-
prio presso di lui che mi sono convinto che i cani da pastori
dell’Asia centrale che provengono dal cuore del Turkmenistan
non hanno mai avuto le dimensioni di quelli attualmente esibiti
nei concorsi di bellezza e pubblicizzati su molti siti. E' stato
molto ospitale mi ha mostrato ogni soggetto che aveva in alle-
vamento in quel momento, spiegandomi nei dettagli le loro ca-
ratteristiche morfologiche e la provenienza. Non credo di aver
visto cani più alti di 72/73 cm al garrese.

I suoi esemplari erano tenuti sul cemento in piccole gabbie in


attesa (a sua detta) del training giornaliero e nessuno ha mai
emesso un solo abbaio quando mi ha visto nel cortile; proba-
bilmente avessero visto un cane sconosciuto sarebbero andati

79
in escandescenza, ma l’uomo non rappresenta un nemico per
loro.

Il cane da guardia non è ancora molto considerato in quanto la


custodia del territorio non è un’esigenza primaria degli abitanti
del Turkmenistan. Buon per loro, la gente locale non sa cosa
sono le rapine, i furti, gli scippi, gli stupri; l’attuale governo
che controlla il paese non permette nulla di tutto ciò.

(Penso sia molto significativo un episodio accadutomi a Tur-


kmenabad, al confine dell’Uzbekistan. Una sera andammo a
cenare in un locale simile ad un nostro night-club, completa-
mente buio e con musica ad alto volume. Io persi il mio porta-
foglio con dentro parecchi soldi ma me ne accorsi solo la sera
in camera; lo dissi alla guida, la quale mi rispose di dormire
tranquillo perché l’avrei trovato sicuramente. La mattina dopo
mi recai in quel locale e appena mi presentai alla porta, una ra-
gazza sorridente ed orgogliosa me lo restituì: lo aprii e c’erano
tutti i soldi, credo l’equivalente di almeno sei mesi del suo sti-
pendio).

Devo dire che i cani di Mr. Kyarizov mi hanno comunque mol-


to affascinato per la loro morfologia compatta e proporzionata
che raramente ho incontrato altrove: cani robusti senza essere
pesanti, petto largo con arti proporzionati. Anche se il loro ca-
rattere non è quello che prediligo, vorrei sottolineare che le lo-
ro forme aggraziate me li hanno fatti davvero apprezzare. Non
so se fu solo suggestione ma mi sembrò di vedere, tra gli
sguardi di quegli animali, i tanti secoli di storia del cane da pa-
store turkmeno.

Uscendo dal suo allevamento mi domandai: “Ma se Kakhish


Kyarizov è considerato da tutti il Guru mondiale del cane da

80
Pastore dell’Asia centrale, perché continuano spesso ad essere
diffusi in tutto il mondo soggetti così diversi dai suoi? Perché
in Europa chi alleva solo per le esposizioni non cerca di atte-
nersi a questa morfologia piuttosto che continuare a sfornare
giganti senza sostanza? Quale sarà il motivo per il quale si
continua a chiamare cane da pastore dell’Asia centrale un a-
nimale che non ha più nulla a che vedere con quello originario
dei paesi medio asiatici?”

Farida Bolkunova è una simpatica signora che abita nella pe-


riferia di Ashgabat, in un appartamento situato al piano terreno
di un complesso ex Unione Sovietica dotato di un piccolo cor-
tile. Non è di origine turkmena, ma è una grande appassionata
della razza e studiosa delle sue origini, ed è molto conosciuta in
Turkmenistan in quanto organizzatrice di manifestazioni locali.

Probabilmente è il personaggio più famoso in tutto il mondo fra


gli appassionati della razza, essendo anche giudice di gara
spesso invitata, come esperta, nei paesi dell’Est a tenere confe-
renze sulla morfologia di questi cani.
Ha passato parecchio tempo a parlarmi delle sue teorie, su co-
me dovrebbe essere l’Alabai autentico, ovvero il cane da pasto-
re turkmeno e si è dimostrata molto disponibile a rispondere ad
ogni domanda che mi ero preparato. Mi ha anche gentilmente
omaggiato di alcune fotografie storiche che custodisco gelosa-
mente e consentito di visionare svariati filmati inerenti a cani
aborigeni locali al lavoro con i pastori del Karakum Desert.
Quando le feci visita aveva una femmina ormai anziana di Ala-
bai, un po’ in sovrappeso e molto buona, si fece avvicinare da
ognuno di noi senza alcun problema.

Sostenne che molti soggetti provenienti oggi dai paesi dell’Est


sono frutto di incroci con moderni molossi e non conservano
81
più nulla dell’autentico cane da pastore dell’Asia centrale. Al-
cuni aspetti morfologici significativi, come ad esempio gli oc-
chi rotondi, voluti attualmente dallo standard internazionale
della F.C.I. , non sarebbero potuti esistere in cani che dovevano
lavorare fra il vento sabbioso del deserto. Per non parlare poi di
quegli esemplari che oggi manifestano addirittura evidenti ri-
lassamenti delle palpebre inferiori, tipico di molti molossi no-
strani, che non avrebbero potuto sopravvivere alle raffiche di
vento misto a sabbia. Così come non esistettero mai in quei
luoghi Alabai con labbra molto penzolanti o dalle zampe gi-
gantesche.

Anche questo incontro ha influito decisamente su alcune mie


convinzioni che ho poi cercato di trasferire nella selezione dei
mie soggetti.
Ricordo ancora quando Mrs. Bolkunova mi accompagnò alla
porta e prima di salutarmi mi disse: “Mi raccomando, porta in
Europa questa grande passione che hai per la razza!”. In quel
momento la guardai negli occhi ed in lei vidi la vera dedizione:
forse per questa donna gli Alabai costituivano la cosa più im-
portante della vita”.

Incontrare alcuni trainer di Alabai selezionati per il combatti-


mento è stato interessante per la mia cultura sulla razza, nono-
stante io abbia sempre detestato questa disciplina crudele e as-
solutamente non indispensabile per la selezione, come invece
altri sostengono.

Fu proprio da loro che imparai che il cane selezionato per i


combattimenti perde alcune caratteristiche di quello dei pastori
e che un autentico soggetto aborigeno non è indicato per i
combattimenti che si svolgono per il divertimento delle folle.

82
Quest'ultimo usa la sua aggressività solo per un profondo istin-
to di protezione nei confronti degli animali che custodisce con-
tro gli attacchi dei predatori, o motivato dall’esigenza di forma-
re una gerarchia di branco nella spartizione del cibo o nel peri-
odo dell’accoppiamento. In natura nulla avviene per caso ed
inutilmente.

In questi ambienti è facile sentir dire che la mole del cane ha


poche relazioni con la sua capacità di combattere, mentre tutto
dipende dal carattere che proviene dal “cuore” (interpretato
come sentimento) dell’animale in relazione all’ambizione di
imporsi su un altro simile.

Furono proprio loro a spiegarmi come si sono costituite le at-


tuali linee di sangue da esposizione, provenienti da storici cani
da combattimento. (Ecco perché a volte alcuni cani non fanno
la guardia che i proprietari si aspettano!)

Raggiungere i pochi pastori nomadi che vivono nelle parti più


isolate del Karakum Desert non è sicuramente facile nemmeno
per gli stessi Turkmeni che vivono nella capitale. Nella parte
più continentale del deserto esistono riserve governative
dall’accesso proibito, importanti gasdotti, probabili basi milita-
ri; solo poche persone possono recarsi dagli abitanti di quei
luoghi, i quali vivono ancora di antiche tradizioni, con autentici
cani che si sono riprodotti per millenni senza alcuna selezione
da parte dell'uomo.

In alcuni villaggi accessibili, tipo Tejen, ho incontrato parenti


di questi pastori nomadi e visionato svariati soggetti aborigeni.

Da loro ho appreso quanto sia importante un fisico asciutto e


leggero per il cane da lavoro: nessuna femmina troppo molos-
83
soide e quindi lenta nei movimenti potrebbe proteggere i suoi
cuccioli dai frequenti attacchi dei numerosissimi cobra presenti
durante la primavera, la stessa stagione delle cucciolate. Invece
le femmine locali, dotate di grande agilità, riescono ad uccide-
re il cobra afferrandolo alla testa con la loro bocca e quindi a
salvare i cuccioli nei primi giorni dalla nascita. Anche la caccia
del cibo quotidiano richiede grande agilità. Il lupo stesso non
ha mai badato troppo alla dimensione delle sue prede, infatti
una vittima frequente in Asia centrale è l’asino, ben più grande
di una pecora e dotato di ben altra capacità di difesa.

Visitare il Turkmenistan è stato per me molto interessante ed


istruttivo, utile specialmente per poter valutare appieno tutto
ciò che oggi ci è propinato sulla razza dai paesi dell’Est, che
spacciano per autentico quello che non lo è affatto.

Anche là, in accordo coi i Russi, qualcuno si sta ormai organiz-


zando per allevare esemplari di taglia gigante in quanto sul
mercato internazionale delle esposizioni c'è richiesta: il merca-
to del “bestione” che appaga l’occhio è in espansione in tutto il
mondo, per la felicità delle cliniche veterinarie che acquisiran-
no altri ottimi clienti.

In Turkmenistan è ormai vietata da anni l’esportazione


dell’Alabai, così come del loro cavallo tipico Akhal Teké, ma
in effetti non è poi così difficile, per chi ha i contatti giusti, tro-
vare qualcuno disposto a dichiarare che un soggetto non è au-
tentico bensì incrociato con altre razze, quindi di nullo valore
nazionale.

I molti turkmeni che selezionano seriamente il loro cane da la-


voro, sia da pastore che per i combattimenti, sanno distinguere
cos’è un vero Alabai da un “pallone gonfiato” di 90 cm. al gar-
84
rese che laggiù nessuno vorrebbe nemmeno in regalo, anche se
è ormai possibile anche laggiù reperire chi sforna cani da oltre
100Kg.

Trovare un Turkmeno disposto a cedere un suo campione da


combattimento, anche per importanti cifre di denaro, non è così
facile in quanto esserne proprietari costituisce anche motivo di
notorietà e di apprezzamento da parte di tutti gli abitanti locali.

Di soggetti giganti da destinare alle esposizioni invece, se fosse


consentito dal governo, sarebbero tutti felici di spedirne a mi-
gliaia in tutto il mondo.

In Turkmenistan ebbi modo di constatare che alcuni dei miei


cani avevano una morfologia molto simile a quelli aborigeni
locali.

Quando Kakish Kyarizov vide la fotografia della mia Orsa me


ne volle regalare una di un cane molto simile che proveniva dai
pastori del Karakum Desert.

A Turkmenabad, nel Turkmenistan orientale, incontrai un fa-


coltoso personaggio che aveva un soggetto a pelo lungo molto
simile al mio Kabul (figlio di Burka x Kimè).

Ad Ashgabat, capitale del Turkmenistan, una domenica mattina


sul luogo dove si disputavano alcune eliminatorie del campio-
nato nazionale da combattimento, vidi un cane di fortissimo ca-
rattere con una struttura molto simile al mio Annibal.

L’Uzbekistan.
E’sicuramente uno degli stati più facili da visitare dell’Asia
centrale, anche per lo spirito libero dei suoi abitanti; nessuno
85
ha timore di dire cosa pensa del governo, chiunque può spo-
starsi per il paese, da una città all’altra, senza richiedere alcun
permesso. Le strade che collegano le varie città storiche sono
in discreto stato, anche per consentire ai numerosi turisti di
spostarsi con facilità e visitare alcuni importanti siti, oltre alla
capitale concepita secondo un moderno concetto di metropoli
sovietica.

La fortuna di avere trovato una guida che parlava benissimo


l’italiano mi ha consentito di poter capire a fondo molti aspetti
politici dell’attuale Asia centrale, oltre a conoscere meglio la
storia dei luoghi dove Timur e Gengis Khan regnarono a lungo.

In Uzbekistan il cane da pastore dell’Asia centrale non è consi-


derato patrimonio nazionale e quindi può essere esportato sen-
za problemi. E’ facile trovare lungo le strade principali che por-
tano alla capitale Tashkent gruppi di ragazzi che propongono
cuccioli dei loro cani da pastore (Buribosar) a prezzi modici.

Spesso non è possibile visionare i genitori dei cuccioli e quindi


bisogna fidarsi delle loro affermazioni, ma l’aspetto generale
dei soggetti è quasi sempre incoraggiante. Si tratta di soggetti
vispi e ben nutriti che, a loro detta, provengono da cucciolate di
cani da pastore che risiedono in altura con le greggi.

E' facile trovare altri esemplari al mercato domenicale, nel qua-


le si radunano i proprietari di cani di tutte le razze esistenti nel
paese per vendere sia i cuccioli che gli adulti.

Il problema della difesa del territorio è più sentito che in Tur-


kmenistan, infatti qui esistono alcune proprietà private protette
da recinzioni ed è quindi più facile trovare cani che sappiano
fare una buona guardia.
86
E’ un fatto comune incontrare lungo le strade molti pastori a
bordo di asini, montati senza cavezza e briglie, che custodisco-
no piccoli greggi di pecore senza però l’ausilio di cani.

Questo perché, esclusa la parte occidentale del paese ai confini


con il Turkmenistan che comprende una piccola parte residua
del Karakum Desert, la natura è qui molto più rigogliosa e con-
sente quindi agli allevatori di bestiame di praticare una pastori-
zia meno nomade, ricoverando per la notte le pecore in barac-
che sicure contro i predatori.

Il lupo esiste ed in molte parti del paese è così feroce da sbra-


nare interi gruppi di asini lasciati all’aperto. E’ così temuto da-
gli abitanti di alcuni villaggi che la tradizione popolare gli at-
tribuisce addirittura poteri magici.

Molti nomadi ne vendono i denti come portafortuna, altri so-


pravvivono allevandone ed addomesticandone uno, catturato da
cucciolo, per poi condurlo all’interno di attività lavorative a ti-
tolo di buon auspicio, ovviamente richiedendo in cambio un
compenso.

Qui la tipologia dei cani è meno omogenea del vicino Turkme-


nistan, in compenso è più facile incontrare soggetti diffidenti
sia nei confronti degli animali che dell’uomo. Una domenica a
Tashkent ho visto un cane che, fra una competizione e l’altra,
non permetteva a nessuno di avvicinarsi al luogo dove stava ri-
posando, aggredendo chiunque ci volesse provare.

La mia esperienza in Uzbekistan mi ha insegnato molte cose


sul cane da pastore dell’Asia centrale, perché le persone espri-
mono le proprie impressioni senza pensare troppo ad eventuali
conseguenze.
87
Gli Uzbeki sono dei guerrieri nati e perciò amano tutte le forme
esistenti di combattimento, sia fra esseri umani che fra animali.
Le scuole di pugilato giovanile hanno molti iscritti, e persino i
galli, le pernici ed altri animali vengono fatti combattere. La
tradizione del cane da pastore originale non è così sentita come
in altri stati, l’importante è vincere la scommessa in palio ad
ogni combattimento; non è raro vedere cani locali incrociati
con soggetti di altre razze nel tentativo di riuscire ad ottenere
più aggressività e tenacia negli scontri.

L’apertura del governo al turismo ha reso le persone molto o-


spitali e con la voglia di darsi da fare per emergere dalla me-
diocrità, quindi ogni opportunità viene colta, anche
l’interscambio di cultura cinofila.

Ho incontrato molte persone che hanno speso gratuitamente il


loro tempo per parlare con me di cani, insegnandomi molte no-
zioni di autentica cinofilia applicata. Ho conosciuto abitudini e
credenze di anziani pastori che hanno trascorso una vita al
fianco dei loro cani con il comune obiettivo di sopravvivere al-
le avversità della vita e di contrastare gli agguati degli affamati
predatori.

Anche in questo Stato è possibile trovare soggetti da esposizio-


ne, addirittura qualcuno propone dei CAO russi vendendoli a
prezzi maggiori di quelli nazionali in quanto riconosciuti dalla
FCI ed in possesso di regolare pedigree.

Per assurdo avviene che in uno Stato dell’Asia centrale come


l’Uzbekistan, ti propongano un cane che in effetti è stato "co-
struito" fuori del continente ma, poiché la federazione interna-
zionale lo riconosce come appartenente alla razza, valga molto
di più dei loro soggetti locali il cui unico difetto sembra essere
88
quello di non avere un documento di appartenenza alla razza.
Purtroppo questi sono i disastri che la politica riesce a causare
quando si occupa di cinofilia!

Il Tagikistan
E’ proprio in questo stato che ho avuto la fortuna di incontrare
alcuni cani dei miei sogni, ovvero soggetti molto frugali che
amano e proteggono con grande coraggio tutto ciò che appar-
tiene al loro padrone; questa tipologia di cane da pastore
dell’Asia centrale viene chiamata in lingua locale Sage – Chu-
poni (sage: cane – chuponi: pastore, in sintesi il cane da pasto-
re). Qualcuno indica anche i pastori tagiki con il nome di Da-
hmarda e quindi il cane diventa il Sage – Dahgmarda ma è più
facile sentirlo chiamare da tutti SAGE-CHUPONI.

Sono stati giorni di studio molto intenso sul cane da pastore


aborigeno, a contatto con molti anziani personaggi locali di in-
finita esperienza; la superficie del Tajikistan è costituita per ol-
tre il 90% da catene montuose ed ogni famiglia ha almeno un
cane da pastore, ovvero un “CHUPONI”.

E' un paese molto povero, forse il più povero di tutta l’Asia


centrale e per sopravvivere bisogna essere dei duri. La natura di
quei posti è tanto meravigliosa sotto il profilo paesaggistico
quanto spietata con chi deve viverci tutto l’anno; la maggior
parte della gente non ha nulla tranne una “casa” di fango essic-
cato, qualche animale ed uno o più cani da pastore.

I cani del Tagikistan sono molto rustici e, tranne qualche caso


sporadico presente in città, sono più longilinei che in Turkme-
nistan. Hanno però un carattere fantastico, lo stesso che mi fece
innamorare di questa razza: amano alla follia il loro padrone
ma sono molto diffidenti con chi non conoscono.
89
Gli abitanti locali giurano che un tempo tutti i cani da pastore
dell’Asia centrale erano così, contrastavano l’estraneo. Poi
qualcuno decise di impadronirsi delle loro terre e molte cose
dovettero cambiare. Se un cane avesse morsicato un militare
sovietico si poteva perdere, oltre all’animale, anche la vita
dell’intera famiglia proprietaria, quindi la selezione tagika do-
vette obbligatoriamente modificarsi e il cane diventò uno stru-
mento di sola protezione delle mandrie dai predatori selvatici,
nonché protagonista dei combattimenti della domenica. I sovie-
tici sterminarono migliaia di cani diffidenti ed aggressivi favo-
rendo quelli di taglia più grande poco reattivi contro l'uomo,
perciò anche in Tagikistan, come in altri stati dell'Asia centrale,
si possono oggi trovare cani molto socievoli con l’estraneo,
meno adatti alla guardia del territorio.

Fortunatamente quel massacro non fu così radicale fra i pastori


nomadi che, come i Koochee dell’Afganistan, vivono ancora
oggi ai margini della società.
E’ proprio da quei soggetti dei Chuponi nomadi che oggi il Ta-
gikistan sta ricostruendo il vero cane da pastore dell’Asia Cen-
trale: determinato e protettivo contro tutto ciò che è sconosciu-
to.

I locali, proprio come me, detestano i cani di selezione russa;


affermano che sono stati incrociati in passato con molossi di
grossa taglia con la presunzione di poter ottenere artificialmen-
te risultati migliori di ciò che fece nei secoli la Natura e che an-
che molte delle moderne linee di sangue turkmene hanno man-
tenuto poco di quello che era l’antico cane aborigeno dell’Asia
centrale.

90
I Tagiki apprezzano una tipologia di cane molto dinamico e di
forte carattere. Amano il cane robusto, anche alto, ma non mas-
siccio e pesante.

Un importante allevatore che mi accompagnò durante gli spo-


stamenti sottolineò spesso che prima dell'invasione dei Russi
nessuno ebbe mai occasione di vedere soggetti con l'ormai dif-
fuso rilassamento delle palpebre inferiori e che tutto ciò deriva
dall'incrocio dell'antico cane da pastore asiatico con molossi di
moderna selezione.

I Tagiki appartengono alla stessa etnia degli Afgani e degli Ira-


niani, parlano la stessa lingua ed hanno simili tradizioni. Sono
nati pastori, sono quindi spiriti liberi e non provano alcuna
simpatia per i loro precedenti “padroni”. Qualcuno provò ad u-
tilizzare i cani di importazione russa per il lavoro di protezione
delle pecore… altro che Volkodav (cacciatori di lupi)! Se an-
drete di persona in Tagikistan potrete sentire dettagliati reso-
conti sul coraggio di questi soggetti!

E’ stato un viaggio molto duro, specialmente se si è vegetariani


come me si fa fatica a tirare avanti. Diversi pasti erano costitui-
ti solo da pane accompagnato da una tazza di tè. Verdure crude,
yogurt locale, panna e carne non sarebbero mancate presso i
pastori locali ma davvero non ci potevamo permettere di per-
dere alcuni giorni su una toelette tagika (spesso un semplice
buco nella terra) con dolori allucinanti al nostro povero stoma-
co "europeo".

Nonostante tutto è stato un viaggio indimenticabile, è valsa la


pena affrontare qualche difficoltà.
Esclusa l’area dove si trova la capitale Dushanbe, tutto il terri-
torio del Tagikistan è caratterizzato da montagne di diversa ti-
91
pologia ed altitudine. Su gran parte di queste, specialmente a
bassa quota, si trovano immense distese di foraggio dove i pa-
stori nomadi di ogni parte dell’Asia centrale si recano ogni
primavera, fin dai tempi più remoti, per far pascolare le loro
pecore.

Gli abitanti locali raccontano che specialmente nella parte me-


ridionale del Tagikistan (nella zona di Dangara vicino al confi-
ne con l’Afganistan) si è scritta la parte più importante della
millenaria storia dei cani da pastore dell’Asia centrale; infatti i
pastori nomadi avevano ed hanno tutt'oggi la necessità di rag-
giungere questi pascoli, i più abbondanti in assoluto, capaci di
ingrassare il bestiame dopo la carenza del lungo inverno e pri-
ma della penuria di vegetazione provocata dal caldo torrido
dell’estate.

Qui sono sorti nei secoli alcuni villaggi che ancora oggi vivono
su un'economia basata sull’allevamento del bestiame: princi-
palmente pecore, capre, alcuni bovini ed asini. Ed è fra questi
villaggi e fra le greggi dei pastori nomadi che si possono trova-
re ancora molti cani da pastore dell’Asia centrale aborigeni.

Questi pastori arrivano a percorrere sino a 800 km all'anno;


durante i loro spostamenti montano tende provvisorie dove ri-
parano la famiglia di giorno, dormono la notte e conservano le
loro provviste di cibo. Ai cani nessuno bada, sono animali e
quindi devono arrangiarsi da soli. Fortunatamente la mentalità
è ancora quella antica, un esemplare viziato e debole non può
competere contro i predatori selvatici.

In questa zona è ancora possibile trovare i tipici cane da pasto-


re con occhi di differente colore, uno marrone e l'altro celeste;
alcuni sostengono che siano proprio questi i più adatti al lavoro
92
derivando dalle linee di sangue più antiche (In alcune mie cuc-
ciolate succede ancora che nascano alcuni soggetti con questa
particolarità e in generale tutti con gran carattere).
Senza dubbio sono questi i soggetti più interessanti di tutto il
paese anche se è facile incontrarne molti più moderni e morfo-
logicamente migliorati (?!) nella capitale Dushanbe, nella quale
svolgono prevalentemente il compito di guardiani e di lottatori
nei combattimenti della domenica.

I cani aborigeni sono invece di taglia più contenuta, general-


mente molto protettivi e non tollerano né l’uomo né gli animali
che invadano la loro proprietà, anche se solo pochi soggetti
maschi (ed io ho avuto la fortuna di incontrarli) attaccano sfac-
ciatamente l’estraneo senza il minimo timore.

Rispetto ai due stati dell’Asia centrale che visitai nel mio pre-
cedente viaggio, ovvero il Turkmenistan e l’Uzbekistan, devo
dire di aver incontrato proprio in Tajikistan molti più soggetti
simili (morfologicamente, caratterialmente e con doti di grande
avversione per l'estraneo) a quelli che allevo da tempo.
Escludendo alcune eccezioni la maggior parte dei cani non si è
mai dimostrata troppo favorevole ad un nostro incontro ravvi-
cinato.

L’altezza media è compresa fra i 65 ed i 75 cm con alcune ec-


cezioni che raggiungono anche gli 80 cm. (mai incontrati fra i
cani aborigeni dei pastori). La testa e gli arti mai particolar-
mente pesanti.

Per quanto riguarda i vari colori tipici della razza, c'è una pre-
valenza del nero, con focature marroni e tigrato.

93
La lunghezza del pelo si presenta solitamente di media lun-
ghezza, è comunque possibile incontrare soggetti che rappre-
sentano eccezioni.

Specialmente in Tagikistan, i pastori, gli allevatori e tutti gli in-


tenditori del cane da pastore dell’Asia centrale hanno più volte
ribadito che non esiste eresia più grande della moderna distin-
zione fra cani turkmeni, cani tagiki, kazaki, etc… Questa è una
semplice invenzione dei Russi esportata in seguito in tutto il
mondo!

Fino a poco più di 100 anni fa non esisteva l’attuale divisione


dell’Asia centrale che era un unico continente senza frontiere.

Quindi non è assolutamente vero che i cani attualmente presen-


ti in uno stato siano diversi da quelli presenti in un altro.

Ho tradotto loro alcune recensioni occidentali che parlano di


tali distinzioni, ho mostrato alcune fotografie specifiche che i-
dentificherebbero le varie differenze di cane da pastore
dell’Asia centrale in base allo stato di provenienza (credenza
diffusa fra molti appassionati); ho chiesto se fosse possibile che
alcune tipologie di cani più grandi e pesanti fossero presenti
nelle montagne mentre altri più leggeri vivessero un tempo nel-
le pianure. Non vi dico le risate!

La gente in Tajikistan è ancora più concreta e semplice che in


altre parti dell’Asia centrale.

Molti di loro appartengono ad autentiche famiglie di pastori


nomadi, i Chuponi, e tutti sono nati e cresciuti con i loro cani:
Sage. Il loro Sage-Chuponi, ovvero cane da pastore, poteva es-
sere grande o piccolo, a pelo corto o lungo, bianco, nero o di
94
qualsiasi altro colore: l’importante che fosse utile alla guardia
del bestiame.

Tutto il resto li fa sorridere da un lato e li rattrista dall’altro:


constatano infatti che coloro che per molti anni li hanno domi-
nati, diviso la loro terra in più stati e posizionato confini mai
esistiti prima, oggi vantano la paternità del loro cane propo-
nendone al mondo un surrogato che spesso non ha più nulla a
che vedere con l’originale, né per aspetto fisico né tanto meno
per quello caratteriale.

Come in tutti gli altri stati dell’Asia centrale, il loro cane non è
riconosciuto dalla F.C.I e nel Tagikistan non esiste ancora il
microchip, quindi i loro soggetti non possono essere inseriti uf-
ficialmente nelle linee di sangue dei nostri cani moderni a me-
no che non si usino complicati stratagemmi legati alle esposi-
zioni di bellezza.

Ma in compenso il loro è ancora l'autentico cane da pastore


dell'Asia centrale, quello sano, rustico, robusto, coraggioso, af-
fettuoso con il padrone ed ostile a tutto ciò che non conosce.

95
Cani aborigeni e da combattimento
Durante i miei viaggi studio nel continente medio-asiatico ho
avuto modo di approfondire una tematica molto importante ine-
rente a questa razza, della quale molti appassionati sono com-
pletamente all’oscuro: ovvero la differenza che esiste fra i cani
aborigeni che lavorano al fianco dei pastori e quelli allevati per
essere impiegati nei combattimenti.

La razza è sempre la stessa ma la selezione e le attitudini carat-


teriali sono molto differenti.

Sulle origini precise del cane da pastore dell’Asia centrale non


si hanno ancora certezze, in quanto gli studi di ricerca non si
possono considerare terminati.

Aver ritrovato dei reperti archeologi in Turkmenistan risalenti


ad alcune migliaia di anni fa non è sufficiente per accertare l'o-
rigine di questo cane, in quanto non è improbabile che più anti-
chi e significativi reperti vengano alla luce negli Stati confinan-
ti.

Non dimentichiamo che fino ad un secolo fa l' Asia centrale era


un territorio senza suddivisioni.

I Tagiki sostengono fermamente che, viste le caratteristiche del


loro territorio dotato di una vegetazione a tratti rigogliosa, la
concentrazione dei pastori fu sempre, fin dai tempi più remoti,
molto più elevata che altrove.

A loro parere, in antichità non ci sarebbero stati motivi per un


massiccio utilizzo di cani in luoghi desertici evitati da uomini e

96
animali per evidenti motivi. I primi pastori della storia si sa-
rebbero naturalmente insediati laddove il foraggio era più ab-
bondante, non sicuramente in zone desertiche dove si viveva a
stento.

E’possibile invece che alcuni resti ritrovati in territori più aridi


appartenessero a cani da pastore periti durante gli spostamenti
dei loro padroni, ma tutto ciò viene sostenuto unicamente dagli
abitanti locali.

Io incontrai solo alcuni anni fa questo magnifico animale e me


ne innamorai immediatamente per il suo carattere, senza
nemmeno conoscere il nome della razza né la sua storia.

Diverse sono invece le considerazioni che si possono fare sulla


storia del cane da pastore aborigeno e di quello selezionato per
i combattimenti.

Qualcuno ha cercato di confondere le idee scrivendo che tutti i


pastori facevano combattere i loro cani per scegliere gli stalloni
più idonei alla riproduzione e che il combattimento fa parte
della tradizione, tanto da far pensare che un tempo tutti i cani si
occupassero sia di proteggere le pecore che di affrontarsi nei
combattimenti organizzati per il divertimento delle folle.

Ma la realtà fu ben diversa.

Innanzitutto i pastori nomadi dell’Asia centrale non si sono mai


occupati degli accoppiamenti dei loro cani; tutto avvenne se-
condo principi stabiliti dalla Natura e non dall’uomo.
Solitamente i maschi più forti si accoppiano con le femmine
più forti del branco, spesso anche fra fratelli e sorelle o fra ge-
nitori e figlie; comunque poi il tutto si equilibra attraverso una
97
selezione a favore dei cuccioli più sani e più forti che riusci-
ranno a sopravvivere cacciandosi il cibo, al contrario dei fratel-
li più deboli che invece moriranno.

Un altro motivo di diversificazione delle linee di sangue è dato


dalla presenza massiccia di cani randagi che migrano da un
branco all’altro senza controllo. Se ad esempio una giovane
femmina precedentemente scacciata da un branco va in calore,
dopo un periodo di vita randagia tra villaggi e pascoli, è possi-
bile che sia coperta da un capo branco che vive in un gregge
vicino, dopodiché potrebbe aggregarsi ad un altro gruppo anco-
ra dopo la fase dell’allattamento dei cuccioli.

E’ difficile per noi capire queste dinamiche perché abbiamo un


concetto occidentale del cane, il quale viene considerato uno di
famiglia, rappresenta una nostra proprietà della quale rispon-
diamo sia civilmente che penalmente.

In Asia centrale non è così: il pastore ha dei cani che in buon


numero invecchieranno con lui, ma il rapporto fra animale e
uomo è del tutto diverso. Questi animali non hanno un padrone
ufficiale, non esistono microchip, il più generoso dei pastori of-
fre qualche pezzo di pane duro o della crusca e per il resto ci si
deve arrangiare cacciando.

Di conseguenza il pastore non ha mai scelto lo stallone per le


proprie femmine come facciamo noi di solito; non aveva la
possibilità di separarli e inoltre non aveva alcuna garanzia che
un soggetto sarebbe stato accettato come capo branco dagli al-
tri esemplari. Semmai poteva tentare di inserire un cucciolo
(con serie difficoltà) fra gli adulti e poi aspettare la maturità e
solo se il soggetto fosse divenuto un dominante avrebbe avuto
la possibilità di riprodursi.
98
Anch'io pensavo che il pastore provasse a far combattere il suo
maschio con altri per stabilire chi fosse il più forte e poi deci-
desse se farlo riprodurre o meno, ma ragionavo con una logica
non rapportata a quella specifica realtà. Dopo essermi recato in
Asia centrale ed aver conosciuto il loro ambiente e la loro filo-
sofia di vita, sorrido pensando a quanto siamo diversi e a tutte
le favole che si raccontano sui cani.

Un'altra leggenda famosa è quella del cane da pastore che rie-


sce ad avere la meglio sul lupo.

In realtà contro un branco di lupi non ci sono cani che possa-


no avere la meglio. Questi ultimi non perdono mai se non con-
tro le armi da fuoco, quindi il pastore conta innanzitutto sulla
generosità del proprio cane, disposto a sacrificarsi pur di rallen-
tare l’azione predatoria dei selvatici consentendo di organizzare
la difesa.

Certamente più resistenza verrà opposta più il suo padrone avrà


tempo a disposizione, aumentando le probabilità di sopravvi-
venza del gregge, ma purtroppo nello scontro diretto sarà sem-
pre il lupo ad avere la meglio; anche il cane, in mancanza di al-
tro cibo, può rappresentare una buona preda.

Per quanto riguarda i cani “cacciatori di lupi”, dovremmo en-


trare nel mondo fantastico di molti cinofili della domenica che
amano sognare epiche imprese dei loro beniamini, magari leg-
gendo racconti russi che narrano l’efficacia di un soggetto con-
tro un lupo solitario in non buone condizioni o peggio ancora
allevato da cucciolo in cattività. Se poi si aggiunge qualche
bicchiere di vino, in una serata fra amici, tutto diventa possibile
ma realtà è un'altra.

99
Anche da questa teoria si può dedurre che il pastore non ebbe
mai l’esigenza di causare il combattimento fra cani per scopri-
re chi era il più forte, cercava invece di fidelizzare i propri a-
nimali intorno al proprio gregge, tanto da renderli più protettivi
possibile.

In ogni caso non mancarono mai i combattimenti fra i soggetti


che lavoravano nei loro greggi, sia i maschi che le femmine in
crescita cercavano ogni anno di conquistare dominanza cau-
sando continui squilibri alle gerarchie del branco. Il pastore
non fece mai nulla per evitare ciò, fu sempre consapevole che
non sarebbe stato possibile. Era infatti necessaria un solida ge-
rarchia che come in tutte le comunità si sarebbe stabilita solo
attraverso la legge del più forte.

Anche la suddivisione del cibo segue ancora oggi regole ben


precise, causando a volte scontri tra i componenti del branco.
Molti furono anche i combattimenti che avvennero fra capo
branco appartenenti a greggi vicini durante il calore delle fem-
mine, ed in quelle occasioni i pastori dovettero spesso assistere
a lotte molto cruente. Anche durante gli spostamenti avviene
che due greggi si incrocino casualmente ed i maschi possano
combattere fra di loro.

Ma come sarebbe stato possibile che un pastore, consapevole di


avere un cane forte per la difesa del proprio gregge lasciasse le
pecore incustodite (l’unico suo patrimonio) per raggiungere
una piazza facendolo combattere, rischiando di perderlo o che
fosse ferito gravemente? Un cane con quelle caratteristiche era
fondamentale, bisognava averne cura e farlo riprodurre gene-
rando altri cuccioli con caratteristiche simili che avrebbero
continuato a lavorare al meglio!

100
E' difficile immaginare quanto aspre siano quelle terre. Pensate
a quanta strada avrebbe dovuto percorrere fra montagne e de-
serti per raggiungere il luogo dove si svolgevano i combatti-
menti! Questa è pura fantasia, favole a beneficio di noi occi-
dentali.

Per burberi che fossero, i pastori hanno sempre avuto molto ri-
spetto dei propri animali pronti a dare la vita per la causa.
Tutt'altra faccenda fu quella che vide l'uomo organizzare scon-
tri fra esseri viventi di ogni specie semplicemente per un sadico
piacere e la curiosità di vedere chi sarebbe stato il vincitore.
Questo avvenne non solo con i cani, ma anche con altri animali
come i leoni, le tigri, i tori, gli orsi, i caproni, galli, etc. Addirit-
tura fra uomini e fra animali contro uomini. Del resto gli anti-
chi Romani furono maestri in questo.
Ma nulla di tutto ciò avvenne secondo la legge della Natura,
bensì a causa della perversione della mente umana.

Alla folla non piace la ritualizzazione, caratteristica fondamen-


tale di un cane equilibrato. Non vuole vedere cani che si annu-
sano e che provano a stabilire la dominanza senza il conflitto.
Chi si reca in un’arena vuole vedere animali rabbiosi che si
scontrano con l’odio negli occhi, anche se non esistono valide
motivazioni. Esulta quando due cani avversari partono di corsa
e si scontrano violentemente tanto da atterrarsi a vicenda per
l'impatto.

Vuole vincere la scommessa con il suo vicino di posto ed è di-


sposto a tutto, anche a tollerare il versamento di sangue e la vi-
olenza ai danni di creature innocenti.
Così è sempre stato e sempre sarà. Da quando la legge li ha
vietati, sono nati combattimenti ancora più "affascinanti" in
quanto clandestini, nei quali l’essere umano prova doppio ap-
101
pagamento nel soddisfare la propria perversione.

Il cane da pastore aborigeno, quello che è cresciuto fra le peco-


re, è però un pessimo combattente da ring in quanto vive e si
comporta secondo saldi principi naturali; combatte solo per
motivazioni legate alla sua sopravvivenza o continuazione del-
la specie. Il resto non è affare suo.

Quindi l’uomo dovette selezionare e preparare artificialmente


dei veri e propri gladiatori che vivessero con il solo scopo di
scontrarsi con i loro simili. Questo anche in Asia centrale.
Il cane selezionato per i combattimenti non è un cane da pasto-
re comune bensì un animale atipico, anche se tutti gli abitanti
delle capitali nelle quali questi animali vengono allevati cerca-
no di nascondere questa scomoda verità. Il cucciolo viene cre-
sciuto e tenuto tutta la vita in piccole gabbie, in solitudine, fatto
uscire solo per gli allenamenti mirati a farlo diventare un gla-
diatore. (Ma questa non è una novità, lo fanno anche molti eu-
ropei con i loro cani utilizzati in alcune competizioni sportive).

Per un trainer, il cane da combattimento deve raggiungere la


massima aggressività e capire che l’unico momento di sfogo
sarà il combattimento contro un suo simile, il quale rappresenta
il “vero nemico”. Durante l’allenamento il cane sarà sottoposto
a grandi fatiche ed il suo allenatore lo motiverà con le stesse
parole che userà quando starà combattendo contro l’avversario.
Nelle arene organizzate per gli scontri, specialmente in Afgani-
stan dove gli spettatori desiderano vedere veri guerrieri, il pa-
drone cerca di impedire al proprio cane di vedere l’avversario,
per evitare di essere aggredito a causa dell'eccitazione e della
foga dell'animale.

102
Quindi nessuna libertà in cortile, nessun rapporto con altre per-
sone (viene gestito unicamente dal suo trainer) o altri momenti
piacevoli e rilassanti. Solo cibo per le prestazioni sportive, al-
lenamento quotidiano, vita segregata in gabbie di piccole di-
mensioni e spesso con poca luce.
Da queste esperienze vengono spesso fuori animali completa-
mente apatici ed indifferenti alla presenza dell’uomo, (io ne ho
incontrati molti, durante i miei viaggi in Asia centrale) con
sguardi assenti e senza spirito di territorialità.

Ma cosa dovrebbero difendere se non hanno un territorio di


pertinenza, una femmina da coprire o qualcuno che gli dimostri
affetto?

Hanno ormai perso ogni caratteristica del vero cane, l’uomo li


ha vigliaccamente trasformati in miserabili “macchine da guer-
ra”. I più fortunati saranno quelli che perderanno i primi in-
contri o che non dimostreranno la tenacia voluta dai loro alle-
natori perché saranno regalati o svenduti a qualche privato che
forse li terrà in un cortile legati ad una catena.

Se invece il soggetto si dimostrerà promettente, avrà una car-


riera fatta di grandi fatiche e sofferenze: gli allenamenti si in-
tensificheranno, passerà alcuni anni in gabbia, combatterà ve-
nendo spesso ferito, poi un mese di convalescenza ed altri
combattimenti, altre ferite e così via. Se diventerà un campione
allora il suo padrone ed il suo allenatore diventeranno famosi in
tutta l’Asia centrale. Colui che si era occupato di allenarlo ot-
terrà un nuovo ingaggio da qualche benestante locale mentre il
suo proprietario diventerà famoso. I Russi pagheranno bei
quattrini per fargli montare alcune delle loro femmine di grossa
taglia e nascerà una nuova linea di sangue che sarà commercia-
lizzata in tutto il mondo. I figli caratterialmente più promettenti
103
diventeranno anche loro dei “lenti combattenti di grossa taglia”
mentre gli altri prenderanno la redditizia strada delle esposizio-
ni internazionali, con molti appassionati disposti a sborsare
molto denaro per vantarne il pedigree.

Per quel che riguarda il cane, ovvero il campione che procurerà


buoni incassi al proprietario anche dopo la sua morte, è proba-
bile che sarà rivenduto più volte a persone che lo utilizzeranno
per quanto possibile, magari per altri incontri di minore impor-
tanza o altre monte. Quando sarà vecchio, sempre che lo diven-
terà ( solitamente non superano mai i 7/8 anni in quanto il loro
fisico non regge), morirà legato ad una catena o in un box a ca-
sa di un contadino in periferia.

Questa è la triste storia di molti cani che si vedono raffigurati


in splendida forma su calendari, cartoline, libri, specialmente
provenienti dal Turkmenistan dove questa “passione” è molto
sentita dal popolo (molto meno dagli animali!) e dove perciò'
vengono allevati la maggior parte dei campioni, anche se credo
che il primato dei combattimenti più cruenti appartenga ancora
oggi all’Afganistan.

Ma tutto questo cosa c'entra con l’antico cane aborigeno che


nasceva nel Karakum Desert e cresceva libero senza conoscere
guinzaglio, viveva con i bambini del pastore, amava il suo pa-
drone, rispettava gli agnelli tanto da non ucciderli anche se sof-
friva la fame e si sacrificava pur di proteggerli dagli attacchi
dei lupi?

Questo è ciò che ha fatto grande il cane da pastore dell’Asia


centrale; queste sono le doti che risultano ideali per un cane
che dovrà crescere in un giardino custodendo le case e le fami-
glie di tutto il mondo, al contrario dell’altra tipologia, dal si-
104
stema nervoso alterato per aver passato tutta una vita rinchiusi
in una piccola gabbia, fatti uscire solo per gli allenamenti ed
abituati ad avventarsi contro i loro simili senza motivazioni, re-
si aggressivi dall’uomo, costretti ad una esistenza innaturale.

Perché continuano ad essere chiamati cani da pastore anche


questi soggetti? Quando hanno mai visto una pecora o lavorato
una sola ora con il gregge?

Queste sono alcune delle contraddizioni della moderna cinofi-


lia internazionale, gestita da chi è interessato innanzitutto al po-
tere piuttosto che alla passione per gli animali.

Il vero ed autentico cane da pastore dell’Asia centrale è unica-


mente quello ABORIGENO che lavora da migliaia di anni con
il pastore. Il resto è frutto di manipolazioni dell’uomo che ne
ha modificato il carattere la struttura morfologica a suo piaci-
mento.

E’ il cane aborigeno che affinò nei secoli l’arte di combattere


contro il lupo, al quale la natura donò una giogaia robusta e
consistente tanto da permettergli di sfuggire alle prese mortali
del selvatico, imparando a sue spese e trasmettendo ai discen-
denti come combattere riuscendo a salvarsi dagli agguati.

E’ il cane aborigeno che dovette sempre sfamarsi cacciandosi


le prede, rispettando gli agnelli di proprietà del padrone, neces-
sitando di un fisico atletico che glielo permettesse.

E’ il cane aborigeno che imparò a sopportare la fame e la sete


nel deserto, diventando rustico così' da resistere alle intempe-
rie, abituandosi alle morsicature degli insetti e imparando ad
uccidere i cobra che pullulavano nel deserto durante la prima-
105
vera.
E’ il cane aborigeno che vegliò sulle proprietà del padrone tutte
le notti della sua vita.

E’ il cane aborigeno che visse per migliaia di anni con i bambi-


ni sopportando la loro esuberanza, trattandoli come fossero dei
suoi cuccioli.

Ma il cane aborigeno non riuscì mai a soddisfare le masse per-


ché non fu mai inutilmente aggressivo, non ebbe mai un man-
tello curato e forme aggraziate come piacciono all’uomo mo-
derno; non diventò mai famoso e oggi sta per essere dimentica-
to, come tanti altri aspetti dell’autentica cinofilia.

Nei miei viaggi in Asia centrale faccio sempre molta fatica a


far capire a chi mi accompagna che io non sto cercando il cane
grosso di statura e famoso per i titoli che ha conquistato, bensì
il cane VERO. Quello che Dio mise al fianco dell’uomo per
aiutarlo.

Dopo alcuni giorni di spiegazioni, normalmente riesco sempre


a trovare qualche amico che condivide la mia filosofia ed allora
si aprono le porte del mondo che sto cercando.

Alcuni pastori mi raccontarono che alcuni abitanti delle città


provarono ad allenare dei cani aborigeni, famosi per essere so-
pravvissuti a svariati attacchi dei lupi, al fine di portarli ai
combattimenti della domenica. Ne ricavarono pessimi risultati
in quanto questi ultimi non volevano combattere. Scappavano o
si limitavano a sottomettere i cani più deboli. Inoltre la vita in
gabbia li rendeva depressi e senza alcuna vitalità.

106
Per contro provarono a riportare gli stessi cani nell’ambiente in
cui erano nati e inserirono nello stesso branco anche un esem-
plare che nel combattimento era risultato vincitore. Bene, dopo
pochi giorni il cane da combattimento era diventato lo “zerbi-
no” del cane aborigeno. Una notte arrivarono i lupi ed il cane
da combattimento, appena ne sentì l’odore, scappò per chilo-
metri nel deserto!

Provarono allora a prendere altri maschi, che nel gregge si di-


mostravano veri guerrieri contro il lupo, portando ai combatti-
menti anche un agnello per aumentarne la motivazione negli
scontri ed andarono in città: nessuno degli scontri durò a lungo
perché i cani aborigeni spesso voltavano le spalle e si rifiutaro-
no di combattere oppure reagivano fulmineamente spezzando
una zampa all’avversario.

Nei combattimenti sportivi è invece facile notare che i cani


scelgono di afferrarsi a vicenda alla collottola, trattenendosi per
lunghi periodi senza concludere nulla, sfiancandosi dalla fatica.
Questa è la conseguenza di aver snaturato l’animale privandolo
di tutti i suoi istinti primari.

In natura quando il lupo attacca una preda, sferra un morso mi-


cidiale ad un punto vitale e la trattiene quel tanto che basta af-
finché muoia. Non avviene mai che la afferri in un punto qual-
siasi e la trattenga a lungo senza motivo, piuttosto cambia subi-
to presa e riprova nuovamente ad uccidere per cibarsi. Lo spiri-
to di conservazione donatogli dalla Natura fa si che non voglia
mai sprecare inutilmente le sue energie, gli saranno indispen-
sabili immediatamente dopo l'attacco per consumare il pasto e
difendere il cibo dal resto del branco.

107
Invece il cane da combattimento medio-asiatico, come anche
altri nostrani cani da presa, afferra la presa e non molla, dimo-
strando così una profonda ignoranza animale, frutto purtroppo
di una selezione artificiale dell’uomo.

Ma questo è ciò che piace alle folle perché i combattimenti du-


rano molto, consentono di rilanciare le scommesse, intratten-
gono i fan che tifano per uno o per l’altro degli avversari e così
via!

Tutti passano una bella mattinata (tranne i cani) incontrando


vecchi amici, rosicchiando semi di girasole, bevendo e diver-
tendosi alle spalle dei poveri animali innocenti. I cani più get-
tonati ed attesi sono i più grandi perché impressionano mag-
giormente.

Se qualcuno chiede loro se non hanno pena per quegli animali


insanguinati, la risposta è sempre: “Pena? E perché? Ai cani
piace combattere, dopo stanno meglio, sono più tranquilli e ri-
lassati! Inoltre esiste l’arbitro che ferma sempre (o quasi) il
combattimento se si accorge che uno dei due combattenti è in
pericolo di vita”.

In realtà l’arbitro è molto reticente a fermare un combattimento


perché vede un cane in difficoltà, in quanto i suoi padroni po-
trebbero non essere d’accordo sulla sconfitta e da queste parti
le risse col coltello sono frequenti.

Talvolta i combattimenti sono osteggiati dalla legge, ma sino a


quando tra il popolo esisterà questa passione, unita alla man-
canza di altri generi di svago, questo problema non avrà solu-
zione.

108
E' una storia triste che non finirà mai o perlomeno durerà anco-
ra molto, qualcuno minimizza chiamandola “tradizione”.

Per contro la difficoltà di chi seleziona cani da combattimento


è quella di riprodurre nel tempo le caratteristiche desiderate,
perché gradatamente l’animale allevato in questo modo perde
molte delle sue qualità quali la tenacia, la rusticità e lo stesso
spirito combattivo. Spesso succede quindi che si tentino nuovi
incroci con cani aborigeni per ripristinare alcune doti naturali
dell’animale.

“Vorrei lanciare un appello ai governatori delle nazioni che


continuano a tollerare i massacri degli animali senza prendere
dovuti provvedimenti. Non solo costruendo eleganti palazzi
nelle capitali, guidando prestigiose automobili, possedendo
cellulari e connessione internet si dimostra l’emancipazione di
un popolo, bensì anche insegnandogli a rispettare i diritti di
ogni essere vivente che non ha gli strumenti per potersi difen-
dere”.

109
Le linee di sangue moderne
I cani dell’Asia centrale più famosi nel mondo sono quelli che
diventano ogni anno campioni di combattimento nel Turkmeni-
stan. Anche gli abitanti degli altri Stati del continente hanno
molto rispetto per questi soggetti, riconoscendoli come veri
guerrieri.

Durante il mio primo viaggio, in cui visitai il Turkmenistan e


l’Uzbekistan, partecipai come spettatore alle competizioni per-
ché fra quella gente era possibile trovare i più famosi allevatori
di cani da pastore dell’Asia centrale; fu con sdegno e fatica che
affrontai questa esperienza che preferisco non raccontare.
Come detto, alcuni esemplari sono entrati a far parte della sto-
ria recente della razza come delle vere e proprie "star".

I più famosi cani da combattimento del Turkmenistan, da


quando si è iniziato a conservare la documentazione fotografi-
ca, sono stati: Ak Yekemen nato nel 1972 e diventato Cam-
pione nel 1976 e 1977, Gara Yekemen Campione nel 1978 e
1979, Gara Kelle nato nel 1977 e Campione 1980, 1981,1982
(da non confondere con alcuni cani ed allevamenti russi di no-
me Kara-Kelle, presenti in alcuni pedigree!). Sary Yolbars
Campione nel 1983, Ak Yekemen II Campione nel 1984,
Yolbars Campione nel 1985 e 1986, Ak Ayi Campione nel
1987, Gozi Gara Campione nel 1988, Akgus nato nel 1985 e
Campione nel 1989, 1990, 1991 e Tohmet Campione nel 1992
e 1993, Kor Gaplan nato nel 1991 e Campione nel 1994 e
1995, Gonurja Campione nel 1996, Alaman Campione nel
1999 e 2000, Gonurhan Campione nel 2002, Arwana Cam-
pione nel 2004, Gara Goz Campione nel 2005, Albert Cam-

110
pione nel 2007, Yyldyz Campione nel 2008, Sirhan Campione
lel 2009, quindi il mito continua e l’inutile massacro… anche!

Ed è proprio da questi antenati che derivano molte delle mo-


derne linee di sangue russe e di altri paesi dell’Est (spesso an-
che miscelate con altri molossi di mole elevata), proposte nel
mondo delle esposizioni di bellezza come appartenenti ad ori-
ginali dell’Asia centrale.

Giusto per fare un po' di chiarezza a riguardo, sappiate che chi-


unque abbia acquistato un cucciolo proveniente da queste linee
di sangue avrà un soggetto discendente dai cani da "combatti-
mento di città'", che hanno poco a che vedere con quelli che la-
vorano ancora oggi al fianco dei pastori.

So che questa è una verità scomoda, taciuta pressoché da tutti.


Il termine “cane da lavoro” riferito a molti soggetti significa
solo che non furono concepiti come semplici cani da esposi-
zione, bensì per essere indirizzati ai campionati di combatti-
mento.

Qualcuno si giustifica dicendo che anche questi soggetti ebbero


i loro antenati fra gli autentici Alabai che provenivano dai pa-
stori del Karakum Desert e questo è assolutamente vero, in
quanto, sino a non molti anni prima, la stessa capitale Ashgabat
non era altro che un grande villaggio di pastori, mentre adesso
è stata ricostruita dopo un grave terremoto diventando una lus-
suosa città moderna con molti edifici governativi in marmo
bianco, monumenti in oro luccicante e con diversi parchi (spes-
so deserti).

Il fatto è che negli anni successivi questi animali furono gestiti


in modo da essere trasformati in killer dei propri simili.
111
E’ solo per questo che diventarono famosi, ricordati con no-
stalgia da tutti i fanatici locali; persero però gran parte delle ca-
ratteristiche degli autentici cani da pastore, i quali sono dotati,
tra l'altro, di una peculiarità che considero di fondamentale im-
portanza: l'equilibrio.

L’arena destinata ai combattimenti fu sempre territorio neutra-


le, ecco perché molti cani aborigeni scelsero di non scontrarsi
con loro simili pur sapendo di avere molte chance di vittoria.
Poi un giorno si ebbe la necessità di trasformare questo antico
cane comune in una razza pregiata da commercializzare in tutto
il mondo ed i Russi non ebbero altra possibilità di affidarsi a
quel che di più famoso esisteva in quei territori, ovvero i cani
che erano stati campioni.

I cani aborigeni appartennero sempre a gente umile che faceva


una vita isolata parlando il dialetto locale, emarginata dalla
comunità, alla quale venne sempre corrisposto pochissimo de-
naro per la lana prodotta dalle loro pecore; la stessa lana che
costituisce da sempre la materia prima per i meravigliosi tappe-
ti famosi in tutto il mondo.

I Russi pensarono che per valorizzare la razza a livello interna-


zionale (facendo così business) il modo migliore fosse quello
di promuovere l'immagine del cane famoso in Turkmenistan in
quanto campione di combattimento, del quale loro avevano di-
versi esemplari importati ai tempi dell'Unione Sovietica; altro
aspetto non trascurabile fu che le autorità di quel Paese proibi-
rono tassativamente l’esportazione di Alabai (come anche dei
loro splendidi cavalli Akhal Tekke).

Qualsiasi altro cane da pastore sarebbe stato facilmente reperi-


bile da chiunque si fosse recato in altri stati dell’ Asia centrale
112
ed acquistabile a prezzi irrisori. Ma in quel caso il business sa-
rebbe svanito!

Creando uno standard morfologico personalizzato in linea con


la cinofilia moderna (ovvero dimensioni elefantiache), vantan-
do la presenza in esclusiva nei loro pedigree regolarmente ri-
conosciuti dalla F.C.I. di qualche cane famoso in Turkmenistan
e promuovendo lo stesso Stato come l’unico storicamente ori-
ginario della razza, le cose hanno sempre funzionato perfetta-
mente!

Tranne, naturalmente, per chi cerca veri ed efficienti cani da


lavoro.

Gli appassionati delle esposizioni vanno in estasi al solo nomi-


nare alcuni antenati dei loro soggetti. Se però parliamo
dell’autentico cane da pastore dell’Asia centrale, quello pos-
siamo trovarlo nei cortili di molti villaggi, nei deserti e sulle
montagne più aspre di tutto il continente, con le caratteristiche
uniche che ha sempre posseduto, le stesse che hanno reso fa-
mosa la razza dalla quale derivano molte altre in ogni parte del
mondo.

Questa tipologia ha inoltre il grande vantaggio di aver sempre


vissuto libera in grandi spazi senza mai essere manipolata
dall’uomo.

Ecco perché questi soggetti sono generalmente più snelli, più


rustici e più predisposti alla guardia della proprietà, semplice-
mente perché il VERO cane da pastore dell’Asia centrale di cui
si raccontano le incredibili imprese in tutto il mondo non ha
nulla a che vedere con il suo parente più sfortunato che vive

113
rinchiuso in gabbia e costretto a combattere la domenica per il
divertimento dell’uomo.

Credetemi, in Asia centrale ho visto centinaia e centinaia di


soggetti, mai uno simile all’altro, bassi, alti, a pelo corto ed a
pelo lungo, di ogni colore, caratterizzati dallo stesso compor-
tamento.

Il cane da pastore dell’Asia centrale VERO proviene da zone


isolate e cresciuto da persone tipo i nostri montanari, leali ma
estremamente introversi e diffidenti. Nessuno dei cani adulti
visti nel loro habitat naturale si è dimostrato socievole con
l’estraneo, la diffidenza è caratteristica naturale di questa razza.
Il soggetto più coraggioso la esprime attaccando l’intruso senza
mezzi termini, quello più pauroso o selvatico abbaia, ma scap-
pa.

Non ho mai potuto accarezzare senza problemi i cani adulti che


lavoravano con i pastori senza il loro intervento. Anzi, alcuni ci
pregarono di non scendere dall’auto perché nemmeno loro a-
vrebbero potuto tenere sotto controllo il grande spirito di terri-
torialità di alcuni soggetti.

Mi capitò di visitare nello stesso giorno e con il medesimo al-


levatore dei cani che lavoravano in altura con i pastori ed altri
che sopravvivevano in alcuni allevamenti locali.
I primi erano più piccoli, agili, diffidenti ed intoccabili, i se-
condi molto più robusti, alti e pacifici.

Chiesi il perché di questa differenza ma non ottenni mai una


risposta sincera. Solitamente non sapevano cosa dire, qualcuno
affermò che i cani dei pastori ricevono poche cure, cibo scarso,
che erano trattati come un tempo, senza alcuna attenzione. Al
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contrario quelli negli allevamenti erano curati regolarmente,
mangiavano ogni giorno diventando più robusti e belli (...con
qualche cucciolo sempre disponibile per la vendita!).

Ma la realtà era evidente a chiunque: i primi correvano felici


nei prati ed erano estremamente gelosi del loro territorio tanto
da difenderlo senza mezze misure; i secondi erano forse morfo-
logicamente più gradevoli ma rinchiusi in quei pochi metri
quadrati dov’erano nati e dove forse sarebbero invecchiati
sfornando cuccioli, erano animali depressi ed indifferenti a
qualsiasi estraneo.

In Asia centrale la gente ha imparato a non farsi troppe doman-


de; gli allevatori non hanno il problema di custodire le loro pe-
core ma di vendere i cuccioli dei loro cani e forse un giorno
qualcuno spiegò loro che quelli più grandi erano più pregiati in
quanto maggiormente richiesti dai compratori occidentali …e
questo bastò.

Noi che invece siamo stati abituati a porci molte domande,


possiamo chiederci: “Quale dei due tipi di cane appena de-
scritti, potrebbe essere il VERO cane da pastore dell’Asia cen-
trale, ideale per fare la guardia nei nostri giardini? Quello a-
borigeno o quello da combattimento?”

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Chi è Ezio Maria Romano?
Sono nato nel 1961 ed ho sempre avuto una particolare antipa-
tia per il malfattore che cerca di sopraffare la persona più debo-
le, impreparata a difendersi. Fin dai primi anni della mia adole-
scenza ho praticato arti marziali finalizzate alla difesa persona-
le, diventandone in seguito Istruttore, cintura nera 3° Dan, atti-
vità che ho svolto per tutto il mio periodo degli studi universi-
tari e durante il servizio militare presso l’Arma dei Carabinieri
a Torino. Ho operato per anni con la SIKURT – Sicurezza Abi-
tativa Anticrimine, una mia azienda impegnata a restituire la
legittima serenità alle famiglie italiane all’interno delle loro
mura domestiche, coordinando l’installazione di porte e persia-
ne blindate, inferriate e grate di sicurezza, antifurti, impianti di
videosorveglianza ed altri sistemi di sicurezza.

Dopo un lunga esperienza nel settore della sicurezza abitativa


anticrimine, sono giunto alla conclusione che una coppia di
VERI cani da guardia rappresentano il MIGLIOR DETER-
RENTE IN ASSOLUTO CONTRO L’INTRUSIONE, spe-
cialmente in una casa singola con giardino. Ecco perché oggi
mi dedico alla meticolosa selezione di cani assolutamente affi-
dabili coi proprietari, ma altrettanto efficaci nell’aiutare la fa-
miglia a sentirsi più sicura nella propria abitazione.

Possiedo cani da oltre 50anni e ho girato il mondo per studiare


il loro carattere e la loro psicologia. Ho svolto approfondite ri-
cerche sui “cani da villaggio” (randagi) presenti sull’Isola di
Pemba (Tanzania – Africa), la stessa in cui hanno concentrato i
loro studi i biologi americani Lorna e Raymond Coppynger. Ho
all’attivo numerosi viaggi in America, India, Africa, Asia cen-
trale (Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan e

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Kazakistan), Nepal, in Tibet, Anatolia (Turchia), Caucaso (Ge-
orgia), Mongolia, Iran, Macedonia, Est europeo e Transilvania,
dove ho studiato il carattere dei cani locali.

Ho svolto ricerche sul carattere dei lupi negli Stati Uniti: Colo-
rado, Minnesota e Indiana. Sono stato più volte in Inghilterra
da Shaun Ellis – “The Wolf-Man”, dove ho avuto
un’interazione diretta con i suoi soggetti, in Germania dal fa-
moso zoologo Werner Freund, in Georgia (Caucaso) dallo zoo-
logo Prof. Zurab Gurielidze di Tiblisi e in Austria dallo scien-
ziato Prof. Dr. Kurt Kotrschal di Vienna, dove ho avuto intera-
zioni dirette con i suoi soggetti. Oltre ad aver incontrato vari
cacciatori di lupi nel Kirghizistan, nel Kazakistan, in Mongolia
e nel Sud Uzbekistan ai confini dell’Afghanistan.
Sono il presidente in carica della FICG – Federazione Italiana
Cani da Guardia, il fondatore del CISCAL – Centro Italiano
Selezione Cani Anti Lupo e dell’ICN – Istituto di Cinofilia Na-
turale.

Autore dei libri:


Guardiani si nasce – Conoscere meglio il cane da guardia,
Un guardiano in famiglia – Domande, risposte e testimonianze
dirette
Il pastore dell’Asia Centrale – La mia selezione per la guardia
I cani aborigeni dell’Asia Centrale – Il meglio dei miei viaggi:
il Turkmenistan, il Tagikistan, l’Uzbekistan
I cani aborigeni dell’Asia Centrale – Il meglio dei miei viaggi:
il Kirghizistan
I cani aborigeni dell’Asia Centrale – Il meglio dei miei viaggi:
il Kazakistan
I cani aborigeni dell’Asia Centrale – Il meglio dei miei viaggi:
la Mongolia

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I cani aborigeni dell’Asia Centrale – Il meglio dei miei viaggi:
la Repubblica islamica dell’Iran.
Lupi, cani e pastori – Conoscere meglio il cane da guardia.
Ama il tuo cane ed ottieni il suo vero benessere – Manuale di
cinofilia naturale
Titolare dell’allevamento professionale “Il Turkmeno”
(www.pastoredellasiacentrale.it) dove allevo da anni particolari
soggetti di pastore dell’Asia centrale, alcuni selezionati per es-
sere introdotti nelle famiglie come efficienti guardiani di fidu-
cia e altri selezionati per lavorare con il bestiame come cani da
guardiania anti-lupo.

Collaboro da oltre 10 anni con i pastori di tutt’Italia che soffro-


no il problema delle predazioni, inserendo i miei cani da guar-
diania anti-lupo in Piemonte, Liguria, Trentino Alto Adige, To-
scana, Abruzzo, Basilicata e Calabria.

Scrivo come esperto cinofilo per molti giornali e riviste italiane


e sono docente nei regolari corsi e convegni organizzati dalla
FICG sul cane da guardia e protezione familiare, dal CISCAL
sui cani Anti Lupo e dall’ICN sulla Cinofilia Naturale.

Ho una lunga esperienza sul recupero dei cani aggressivi ed il


loro reinserimento nelle famiglie.

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