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MUSSOLINI, LA QUESTIONE ADRIATICA


E IL FALLIMENTO DELL'INTERVENTISMO DEMOCRATICO

1. Alla sinistra dell’interventismo democratico

Nel corso della prima guerra mondiale e negli anni immediatamente suc-
cessivi, la questione adriatica (vale a dire il complesso problema politico e ter-
ritoriale che divise profondamente le classi dirigenti e le opinione pubbliche
italiane e jugoslave) fu motivo di polemiche e incomprensioni così accese e
violente, da paralizzare in parte l’azione dell’Italia in campo internazionale e
da dominare a lungo il dibattito politico interno. Polemiche internazionali e
lotte politiche nazionali, a cui partecipò attivamente anche il fondatore e lea-
der del movimento fascista, Benito Mussolini, che fece della propaganda anti-
jugoslava uno degli strumenti più efficaci per la ricerca del consenso e per la
conquista del potere. Tuttavia, l’approdo di Mussolini a posizioni vicine a quelle
del nazionalismo antislavo non rappresentò l’esito naturale e inevitabile di un
percorso politico lineare, quanto il progressivo aggiustamento e il graduale adat-
tamento delle proprie convinzioni a quelli che sembravano essere i principali
orientamenti dell’opinione pubblica italiana. Di fronte al successo sempre
maggiore che, in termini di seguito politico, le tesi più oltranziste ed estre-
miste riuscivano a ottenere, Mussolini non esitò a modificare le proprie idee
favorevoli al compromesso adriatico e alla collaborazione politica ed econo-
mica con i vicini jugoslavi, in nome di un massimalismo politico e territoriale,
agitato strumentalmente nel tentativo di accreditarsi come strenuo difensore
degli interessi nazionali.
In realtà, fin dalle prime fasi della guerra e per molto tempo dopo lo scop-
pio del conflitto, Mussolini sostenne l’importanza e la necessità dell’intesa con
gli Slavi del sud (in particolare con i Serbi, con i quali non esistevano con-
trasti confinari diretti). All’inizio del 1915, dopo il travagliato e polemico pas-
2 Massimo Bucarelli

saggio dal neutralismo assoluto all’interventismo(1), egli, prendendo le distanze


dal «nazionalismo imperialista» che reclamava «il dominio di tutta la costa dal-
mata»(2), si pronunciò più volte in favore di un compromesso tra l’irredenti-
smo italiano e quello slavo, presupposto fondamentale per garantire all’Italia
la sicurezza al confine orientale e per farle avere, allo stesso tempo, un ruolo
egemone nell’area balcanica:
Fin dove arriva il nostro irredentismo? – scriveva alcune settimane prima
dell’ingresso dell’Italia nel conflitto mondiale sulle pagine de «Il Popolo
d’Italia», il quotidiano da lui fondato nel novembre 1914, dopo l’abbandono
della direzione dell’«Avanti!» e l’espulsione dal partito socialista(3) - [...] Se
non vogliamo confonderci coi nazionalisti, se non vogliamo assumerci respon-
sabilità positive o negative, occorre prospettare il nostro punto di vista. [...]
Negare il mare alla Serbia sarebbe un atto di prepotenza, un atto assoluta-
mente impolitico che avrebbe conseguenze dannosissime per l’Italia. Liquidato
un nemico, l’Austria-Ungheria, ce ne creeremmo immediatamente un altro.
[...] Le ragioni che i nazionalisti adducono per bandire la Serbia dall’Adriatico
dalmata non ci convincono. Le ragioni d’indole militare sono fantastiche.
Passerà molto tempo prima che la Serbia – stremata da tre guerre – possa
permettersi il lusso di una marina militare di qualche efficienza. D’altra parte,
in un eventuale trattato d’intesa italo-serbo potrebbe essere sancito l’obbligo
per la Serbia di non crearsi una marina militare. Naturalmente, una imposi-
zione del genere che convertirebbe l’Adriatico in un «lago militare» esclusi-
vamente italiano dovrebbe venir compensata in modo adeguato.

(1) Sul passaggio di Mussolini dalle posizioni neutraliste a quelle interventiste e sulle con-
seguenti polemiche interne al partito socialista, che ne provocarono le dimissioni da direttore
dell’«Avanti!» e l’espulsione dal partito, si vedano: Opera omnia di Benito Mussolini, a cura di
E. e D. Susmel, Firenze, la Fenice, 1951 -, vol. VI, pp. 376-432; G. VOLPE, Il popolo italiano
tra la pace e la guerra (1914-1915), Roma, Bonacci, 1992 (1a ed. Milano, Ispi, 1940), pp. 103
ss.; R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario (1883-1920), Torino, Einaudi, 1995, (1a ed. 1965),
pp. 253 ss.; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo. L’Italia dalla grande guerra alla mar-
cia su Roma, Vol. I, Bologna, il Mulino, 1991, pp. 264-265.
(2) Sulle posizioni dei nazionalisti italiani nel 1915 in merito alle rivendicazioni adriatiche,
si vedano: A. TAMARO, Italiani e Slavi nell’Adriatico, Roma, Athenaeum, 1915; ID., L’Adriatico
golfo d’Italia, Milano, F.lli Treves, 1915. Inoltre: R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo,
cit., pp. 175 ss.; L. MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, Firenze, le Lettere, 2007, pp. 11
ss.
(3) B. MUSSOLINI, Italia, Serbia e Dalmazia, in «Il Popolo d’Italia», 6 aprile 1915, poi ripub-
blicato in Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. VII, pp. 308-310. Nello stesso senso anche
il precedente articolo, L’adunata, del 24 gennaio 1915, ora in Opera omnia di Benito Mussolini,
cit., vol. VII, pp. 139-140. Si vedano: R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 310-
311; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 279-278.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 3

Escluse le motivazioni di ordine strategico, rimaneva aperta, secondo


Mussolini, la questione dell’italianità, un «tasto delicato e controverso», su cui
era necessario «procedere con discrezione e misura»:

Che gli italiani in Dalmazia rappresentino qualche cosa in più del tre
per cento delle adulteratissime statistiche austriache è positivo, ma – preci-
sava(4) – la maggiore percentuale d’italiani non è, per se stessa, titolo suffi-
ciente onde rivendicare il possesso esclusivo di “tutta” la Dalmazia. [...] E
perché – se vale il principio che deve essere «politicamente» italiano tutto
ciò che appartiene «geograficamente» all’Italia – non scendiamo in lotta
anche contro l’Inghilterra e la Francia per Malta e la Corsica?

Il principio di nazionalità non doveva essere «inteso e praticato in senso


assoluto, ma in senso relativo». Mussolini non riteneva necessaria la conqui-
sta militare e politica della Dalmazia per tutelare l’italianità della regione; non
si poteva pretendere di annettere all’Italia l’intera costa dalmata, solo per la
presenza di comunità italofone lungo il litorale, «specie se quest’annessione
[avesse dovuto creare] uno stato d’inimicizia fra l’Italia e la Serbia e quindi
col mondo slavo»:

Noi pensiamo – concludeva così il lungo articolo(5) - che l’italianità lin-


guistica e culturale della Dalmazia possa e debba essere garantita e tutelata
da una pacifica e leale intesa tra l’Italia e la Serbia. Se questa intesa con-
durrà, anche per esigenze d’ordine strategico, a un possesso più o meno vasto
del litorale e dell’arcipelago dalmata da parte dell’Italia, nulla da obiettare,
specie per l’arcipelago; ma se, per questo possesso, dovessimo creare un irre-
dentismo croato-serbo e suscitarci contro l’ostilità degli slavi del retroterra
dalmata e – da notare! – del retroterra istriano, vale la pena di rinunciarvi
e di limitarci a esigere dalla Serbia la tutela dell’italianità dalmata dagli
assalti di una slavizzazione governativa e croata. Il nostro punto di vista è
questo: il possesso della Dalmazia (arcipelago e litorale) deve essere oggetto
di trattative e di un’intesa italo-serba. [...] Le città italiane del litorale dal-
mata devono costituire i punti di appoggio per la nostra futura penetrazione
ed espansione economica e culturale nella grande Serbia e nella Balcania.
Ma per raggiungere questi obiettivi, per fare della Balcania uno sbocco e un
mercato dell’Italia industriale, è necessario seguire una politica ferma e leale,
lontana dalle debolezze e lontana anche dalle sopraffazioni.

(4) B. MUSSOLINI, Italia, Serbia e Dalmazia, cit.


(5) Ibidem
4 Massimo Bucarelli

Il compromesso adriatico, auspicato da Mussolini nella primavera del


1915 e riecheggiante il pensiero mazziniano(6), era pienamente in linea con
quanto avevano già indicato sia Gaetano Salvemini, che Leonida Bissolati, i
due principali esponenti dell’interventismo democratico(7). Lo storico pugliese
e il leader dei socialisti riformisti, nel novembre del 1914, mentre iniziava a
montare la polemica interna all’interventismo tra nazionalisti e democratici in
relazione alla Dalmazia(8), avevano precisato il loro punto di vista sulle pagine
de «Il Secolo». Bissolati aveva posto la rinuncia italiana alla costa dalmata con-
tinentale popolata in enorme maggioranza da elementi slavi e al Dodecanneso,
come la necessaria premessa per «la nuova politica balcanica», che avrebbe
fatto dell’Italia «la Potenza tutelatrice, liberamente egemonica, di quel fortis-
simo gruppo di genti»:

(6)Come ha sottolineato Volpe, tra le file dell’interventismo italiano il pensiero di Mazzini


trovò «ospitalità» anche laddove (socialisti e liberali-moderati) in precedenza aveva incon-
trato scarso favore, se non «avversione»; si vedano: G. VOLPE, Il popolo italiano, cit., p. 77;
E. GENTILE, La Grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo,
Milano, Mondadori, 1997, pp. 143-145. Lo stesso Mussolini, in un articolo a commento del
primo congresso dei fasci d’azione rivoluzionaria, gruppo della sinistra interventista, tenutosi
a Milano il 24 e il 25 gennaio 1915, indicò chiaramente in Mazzini uno dei punti di riferi-
mento del programma «teorico rivoluzionario» del nuovo raggruppamento politico: «[…]
libertà di tornare a Mazzini – scrisse – se Mazzini dice alle nostre anime aspettanti la parola
che ci esalta in un senso superiore dell’umanità nostra». In: B. MUSSOLINI, Dopo l’adunata,
in «Il Popolo d’Italia», 28 gennaio 1915, poi ripubblicato in Opera omnia di Benito Mussolini,
cit., vol. VII, pp. 150-152. Sulla fondazione dei fasci e sul loro ruolo nell’interventismo di
sinistra, cfr.: G. VOLPE, Il popolo italiano, cit., pp. 148-149; R. DE FELICE, Mussolini il rivo-
luzionario, cit., pp. 305-306; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 265-267.
Sul pensiero di Mazzini in merito al compromesso italo-slavo per l’assetto adriatico, si vedano:
G. MAZZINI, Lettere Slave, Bari, Laterza, 1939, pp. 87 ss.; ID., Scritti politici, a cura di T. GRANDI
e A. COMBA, Torino, Unione tipografica-editrice torinese, 1972, p. 986; W. GIUSTI, Mazzini e
gli slavi, Milano, Ispi, 1940, pp. 64-65.
(7) Come è noto, Salvemini accolse con favore il passaggio di Mussolini nelle file dell’in-
terventismo e Bissolati partecipò accanto al politico romagnolo ad alcune iniziative politiche in
favore dell’intervento italiano; si vedano: Salvemini a Mussolini, Faenza, 18 ottobre 1914, in G.
SALVEMINI, Carteggio 1914-1920, a cura di E. Tagliacozzo, Bari, Laterza, 1984, D. 57 (la lettera
era già stata pubblicata dallo stesso Mussolini sull’«Avanti!» del 21 ottobre 1914 al momento
del congedo dalla direzione del quotidiano socialista); E. TAGLIACOZZO, Gaetano Salvemini nel
cinquantennio liberale, Firenze, «La Nuova Italia» Editrice, 1959, pp. 163-164; R. COLAPIETRA,
Leonida Bissolati, Milano, Feltrinelli Editore, 1958, p. 219; R. DE FELICE, Mussolini il rivolu-
zionario, cit., pp. 288-289.
(8) G. VOLPE, Il popolo italiano, cit., pp. 78-80; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fasci-
smo, cit., pp. 124-153, e pp. 178-180.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 5

La Dalmazia e le isole del Dodecanneso, - scriveva il politico di


Cremona(9) - che possono essere strumenti meravigliosi per l’attuazione di
una feconda politica italiana nei Balcani, diventerebbero ostacoli insupera-
bili ad una tale politica se l’Italia si comportasse, di fronte ai due problemi,
in guisa di creare un irredentismo slavo e un irredentismo greco contro
l’Italia. Queste, secondo noi, le condizioni – intervento nel conflitto inter-
nazionale e rinuncia ai disegni di espansione italiana in Dalmazia e nell’Egeo
– entro le quali si potrà iniziare e svolgere seriamente la nuova funzione
dell’Italia nella penisola balcanica.

Anche secondo Salvemini, fare della Dalmazia una terra italiana sarebbe
stata una «assurda pretesa», perché, pur correggendo «con la massima larghezza
possibile» le «ingiustizie» commesse nei censimenti austriaci, la costa dalma-
tica era abitata da una grandissima maggioranza serbo-croata:

E se 50 mila italiani su 650 mila abitanti – chiedeva lo storico pugliese(10)


– dovessero fare della Dalmazia una terra italiana, dove se ne andrebbe l’i-
talianità dell’Istria, dove quasi metà della popolazione è slava? Dove la ita-
lianità di Trieste, in cui un quarto della popolazione vota per i candidati slo-
veni nelle elezioni?

Il possesso della Dalmazia avrebbe provocato l’ostilità non solo della


comunità serbo-croata, che si sarebbe venuta a trovare all’interno dei confini
italiani, ma anche quella di tutte le popolazioni slave confinanti. Alla inimici-
zia tedesca si sarebbe aggiunta l’inimicizia degli Slavi del sud e l’Italia si
sarebbe trovata a dover «sostenere la pressione di due nemici insieme». Per
questo, si rendeva necessaria un’intesa tra Roma e Belgrado, in cui alla rinun-
cia italiana della Dalmazia corrispondesse la rinuncia serba all’Istria(11):

(9) L. BISSOLATI, L’Italia e gli Stati balcanici, in «Il Secolo», 14 novembre 1914, ristampato
in La politica estera italiana dal 1897 al 1920. Scritti e discorsi di Leonida Bissolati, Milano, Treves,
1923, pp. 332 ss. Si veda anche: R. COLAPIETRA, Leonida Bissolati, cit., pp. 215 ss.
(10) G. SALVEMINI, La Dalmazia, in «Il Secolo», 9 novembre 1914, ripubblicato in Opere di
Gaetano Salvemini, III, Scritti di politica estera, vol. I, Come siamo andati in Libia e altri scritti
dal 1900 al 1915, a cura di A. TOrre, Milano, Feltrinelli, 1963, pp. 370-373. Su Salvemini e la
complessa questione dei rapporti tra l’Italia e le popolazioni slave confinanti, si vedano: E.
TAGLIACOZZO, Gaetano Salvemini, cit., pp. 156 ss.; E. APIH, L’Unità e il problema adriatico, in
Scritti in onore di C. de Franceschi, Trieste, 1951, pp. 253 ss.; ID., Gaetano Salvemini e il pro-
blema adriatico, in L’imperialismo italiano e la Jugoslavia, a cura di M. Pacetti, Urbino, Argalìa
Editore, 1981, pp. 85 ss.; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, Milano, Il Saggiatore,
1966, pp. 166 ss. e pp. 393 ss.; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 175 ss.
(11) G. SALVEMINI, La Dalmazia, cit.
6 Massimo Bucarelli

Il problema dell’Adriatico non si può risolvere utilmente e sicuramente


per l’Italia che mediante un compromesso territoriale italo-slavo: l’Italia
rinunzi senza sottintesi e di buona grazia ad ogni pretesa nella Dalmazia; la
Grande Serbia abbandoni all’Italia, nell’Istria, quel tanto di sloveni e di
croati che bisognerà includere nel nuovo nostro confine militare.

Alcuni mesi dopo, nel marzo 1915, lo storico pugliese precisò ulterior-
mente i termini dell’auspicato accordo territoriale italo-serbo(12):
a) un regno serbo-dalmata-croato-sloveno, che arrivi a Lubiana, com-
prendendo tutte le popolazioni jugoslave dell’Austria e dell’Ungheria, meno
quelle delle zone di confine aggregate all’Italia; b) annessione all’Italia della
Venezia Giulia, delle isole del Quarnaro e della penisoletta di Zara; c) Fiume
ristabilita nella sua autonomia tradizionale sotto la garanzia solidale dell’Italia
e della Serbia, oppure aggregata all’Italia, secondo che la maggioranza dei
cittadini stabilisca con plebiscito; d) garanzia di libertà scolastiche assicurate
nel trattato di pace, dall’Italia agli sloveni e croati delle nuove regioni ita-
liane, e dalla Serbia ai nuclei italiani di Dalmazia; e) impegno da parte della
Serbia, di non costruire nell’Adriatico arsenali e di non tenervi flotte mili-
tari; da parte dell’Italia, di non oltrepassare con la sua flotta il canale di
Otranto [...]

Alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, quindi, Salvemini chiedeva l’an-


nessione della «penisoletta» di Zara ed eventualmente, in caso di plebiscito
favorevole, anche di Fiume, oltre alla smilitarizzazione dell’Adriatico orientale;
Bissolati limitava la rinuncia italiana alla costa dalmata, lasciando in sospeso
il destino delle isole(13); mentre Mussolini, a cui fu rimproverato di non essersi
pronunciato da subito in favore dell’annessione di Fiume(14), sembrava dis-

(12) ID., Finis Austriae?, in «L’Unità», 12 marzo 1915, ripubblicato in Opere di Gaetano
Salvemini, cit., pp. 491-494.
(13) All’epoca, SalveminI e Bissolati non furono i soli rappresentanti di quella corrente del-
l’interventismo, che poi sarebbe stata definita democratica, a essere più intransigenti di Mussolini
riguardo alle future sistemazioni territoriali adriatiche. Anche Andrea Torre, un’altra figura di
rilievo dell’interventismo democratico, deputato e corrispondente politico del «Corriere della
Sera», futuro protagonista dei tentativi di accordo tra italiani e jugoslavi, si disse contrario all’e-
ventuale abbandono di Fiume alla Croazia e di Spalato alla Serbia, in caso di partecipazione
italiana alla guerra. Si veda: Andrea Torre a Luigi Albertini, [Roma], 30 aprile 1915, in L. ALBERTINI,
Epistolario 1911-1926, a cura di O. Barié, Milano, Mondadori, 1968, vol. I, D. 302. Su Andrea
Torre: G. D’ANIELLO, Andrea Torre. La vita e le opere, Casalvelino Scalo, Galzerano Editore,
1997, 2 voll.
(14) B. MUSSOLINI, Il problema di Fiume, in «Il Popolo d’Italia», 29 gennaio 1915, poi in
Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. VII, p. 156, in cui rispondeva ad una lettera, pub-
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 7

posto ad accettare il sacrificio di tutta la Dalmazia, in cambio della tutela della


minoranza italiana e di garanzie militari, pur di rafforzare l’amicizia italo-
serba, di rendere sicuro il possesso dell’Istria e di garantire all’Italia la possi-
bilità di una futura penetrazione economica e culturale nei Balcani.

2. «Fra gli imperialisti e i rinunciatari»: alla ricerca di una terza via


Nei successivi anni di guerra, il direttore di «Il Popolo d’Italia», che, come
molti altri esponenti dell’interventismo, prese parte attiva alle vicende belli-
che(15), continuò a sottolineare l’importanza dell’intesa con la Serbia e la
necessità del compromesso territoriale con le popolazioni slave confinanti.
Tuttavia, gli interventi di Mussolini furono caratterizzati da un graduale irri-
gidimento nei confronti delle aspirazioni serbe e da un progressivo amplia-
mento delle rivendicazioni italiane. Egli tornò a parlare e a scrivere del «pro-
blema jugo-serbo-italo-dalmatico» nell’autunno del 1916(16). Dopo aver
riaffermato che il principio di nazionalità doveva rappresentare la «bussola orien-
tatrice» per l’assetto territoriale postbellico(17) e dopo aver condannato tanto
le «grottesche esagerazioni dei panserbisti» e la «chilometrite jugoslava»,
quanto le «eccessività» dei nazionalisti italiani, ribadì la ferma convinzione in
una soluzione conciliatrice, che potesse rappresentare «un massimo di garan-
zie di pace e un minimo di pericoli di guerra fra noi e i popoli slavi»:
[...] noi non crediamo – scriveva il direttore de «Il Popolo d’Italia»(18)
- che il dissidio italo-jugoslavo – a cagione della Dalmazia – non consenta
che una soluzione di «violenza»; noi pensiamo che tale dissidio, in quanto
non è fondamentale, ammette una soluzione di «ragione» e di giustizia, tanto
più facile in quanto è preparata dall’attuale fraternità delle armi.

blicata insieme all’articolo, inviatagli da Giuseppe Prezzolini dopo il primo congresso dei fasci
d’azione rivoluzionaria, affinché anche Fiume fosse compresa tra le rivendicazioni italiane in
Adriatico, sia per motivi economico-commerciali, sia per ragioni etniche e nazionali.
(15) R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., p. 321 ss. Anche: P. MELOGRANI, Storia
politica della grande guerra 1915-1918, Milano, Mondatori, 1998 (1a ed. 1969), pp. 21 ss., e pp.
149-151.
(16) B. MUSSOLINI, Italia, Serbia e Dalmazia; Il terreno dell’intesa italo-serba, e Le condizioni
per la pace, (colloquio con Giuseppe De Falco svoltosi a metà novembre), in «Il Popolo
d’Italia», 25 e 26 novembre, e 20 dicembre 1916, poi in Opera omnia di Benito Mussolini, cit.,
vol. VIII, pp. 248-251 e pp. 260-279. Si vedano anche: R. DE FELICE, Mussolini il rivoluziona-
rio, cit., pp. 343-345; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 279 ss.
(17) B. MUSSOLINI, Le condizioni per la pace, cit.
(18) ID., Italia, Serbia e Dalmazia, cit.
8 Massimo Bucarelli

Allo stesso tempo, però, Mussolini iniziò a criticare anche quanti propu-
gnavano una rinuncia totale, «francescana», della Dalmazia da parte dell’Italia,
e assunse una posizione che stava fra gli imperialisti e i «rinunciatari»: «Fra
quelli che dicono:”Niente Dalmazia!” - affermava l’ex leader socialista - e
quelli che gridano: “Tutta la Dalmazia!” c’è il posto per un terza corrente».
I «rinunciatari» non tenevano nel giusto conto l’importanza del contributo mili-
tare italiano per la restaurazione dello Stato serbo e per il suo eventuale
ingrandimento; contributo che avrebbe dovuto indurre i serbi a considerare
con maggiore attenzione e disponibilità le aspirazioni dell’Italia sulla sponda
orientale dell’Adriatico:

Sappiamo bene che il sentimento della gratitudine – proseguiva(19) –


non ha influenze decisive nella politica delle nazioni, ma il sangue italiano
[...] versato [...] per la resurrezione della Serbia di ieri e per la creazione di
una più grande Serbia di domani, dice ai serbi ch’essi devono ispirarsi a una
politica di moderazione e di saggezza nei riguardi dell’Italia e non insistere
nel loro programma massimo d’imperialismo jugoslavo. [...] Noi ci rifiu-
tiamo di credere [...] che i serbi della più grande Serbia di domani saranno,
oltre che ingrati, così impolitici da opporre un «veto» assoluto alla realiz-
zazione di tutte le nostre aspirazioni sull’altra sponda.

La Serbia, in caso di vittoria dell’Intesa e, in particolare, in caso di vit-


toria dell’Italia contro il comune nemico austro-ungarico, avrebbe triplicato i
suoi territori e la sua popolazione grazie all’annessione della Bosnia-Erzegovina,
della Croazia e del Montenegro. Mussolini vedeva con favore l’unione tra gli
Slavi del sud, non avendo nulla in contrario all’eventuale desiderio dei Croati
di «confondere» il loro destino con quello dei Serbi, ad onta delle loro riva-
lità religiose; così come la fusione del Regno montenegrino con quello serbo
lo lasciava indifferente. Al contrario dei circoli nazionalisti italiani che avreb-
bero preferito una Croazia e un Montenegro indipendenti, egli non andava
«a caccia di larve». Tuttavia, in cambio del decisivo appoggio italiano a un
accrescimento territoriale e demografico così ingente, la Serbia non avrebbe
dovuto «far questione» per alcuni territori periferici richiesti dall’Italia(20):

La Dalmazia non deve costituire il pomo della futura discordia italo-


serba, e non lo sarà, se l’Italia e la Serbia sapranno rinunciare alla propria

(19) Ibidem
(20) Ibidem
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 9

quota parte di eccessivi appetiti territoriali. Il dissidio italo-serbo sarebbe


«distruttivo», l’intesa leale italo-serba sarà eminentemente creatrice.

Tra i territori periferici, a cui Belgrado avrebbe dovuto rinunciare per il


bene dell’amicizia italo-serba, era compresa innanzitutto Fiume. Secondo
Mussolini, l’autonomia proposta dai «rinunciatari», lungi dall’assicurare un
assetto stabile e duraturo, avrebbe senz’altro rinnovato la conflittualità tra il
gruppo italiano e quello slavo per il governo della città. Anticipando la solu-
zione data poi al problema fiumano nel 1924, prospettava poi un diverso
destino per la città, abitata da una maggioranza italiana, e per i sobborghi,
etnicamente croati:

Che il retroterra immediato di Fiume sia croato – precisava(21) - non


è argomento sufficiente per consigliarci la rinuncia di questa città. Che il
nuovo confine debba passare sul ponte, tra Fiume italiana e Susak croata,
poco importa.

La sovranità italiana sulla città non avrebbe impedito a Fiume di costi-


tuire lo sbocco commerciale e marittimo della Croazia, grazie a opportune
misure ferroviarie ed economiche, «rese più facili dall’intesa o meglio dall’al-
leanza jugoslavo-italiana»(22).
Quanto alla Dalmazia, Mussolini, contrariamente a quello che aveva scritto
nel 1915, rivendicava all’Italia il possesso di tutto l’arcipelago e del litorale
settentrionale fino alla Narenta con un retroterra limitato, che, senza arrivare
alla linea delle alpi Dinariche, permettesse di includere il maggior numero di
elementi italiani e il minor numero di slavi. In questo modo, si sarebbero assi-
curati la salvaguardia dell’italianità in Dalmazia e «un ottimo “piede a terra”
per la penetrazione economica e culturale nella Jugoslavia e nei Balcani». Alla
Serbia sarebbe andato il tratto meridionale della costa dalmata, dalla Narenta
fino a Cattaro/Kotor, con la città di Ragusa/Dubrovnik che sarebbe diventata
il grande porto commerciale della futura Jugoslavia(23). I termini del com-
promesso adriatico auspicato da Mussolini, che continuava ad affermare la
volontà di tenersi lontano tanto dagli estremismi dei nazionalisti, quanto da
quelli dei «rinunciatari», erano sensibilmente modificati rispetto alla prima-

(21) B. MUSSOLINI, Il terreno dell’intesa italo-serba, cit.


(22 Ibidem
(23) Ibidem
10 Massimo Bucarelli

vera del 1915: non più la rinuncia italiana alla Dalmazia in cambio di quella
serba all’Istria, ma la spartizione tra Roma e Belgrado della costa dalmata.
L’atteggiamento di minore apertura e di minore disponibilità nei con-
fronti delle aspirazioni slave, assunto da Mussolini a partire dalla seconda metà
del 1916, lo portò a polemizzare in più di un’occasione con gli esuli jugoslavi
dell’Austria-Ungheria, impegnati in una vivace e attiva opera di propaganda
presso i governi e le opinioni pubbliche dei paesi dell’Intesa(24). Il suo irrigi-
dimento in relazione al problema adriatico fu una diretta conseguenza non solo
dell’offensiva politica e propagandistica dei fuoriusciti jugoslavi, ma soprattutto
del sostegno che la causa jugoslava sembrava avere presso alcuni circoli intel-
lettuali e dirigenti britannici, determinati a rimettere in discussione le riven-
dicazioni italiane in Adriatico(25).
È noto che allo scoppio della prima guerra mondiale alcuni rappresen-
tanti degli slavi meridionali dell’Impero asburgico, originari soprattutto della
Dalmazia, come i croati Frano Supilo(26), giornalista di Cavtat ed editore del
«Novi List» di Rijeka/Fiume, e Ante Trumbic(27), avvocato, ex sindaco di
Split/Spalato e presidente del partito nazionale croato, ripararono all’estero,

(24) Si vedano: B. MUSSOLINI, Megalomania jugoslava; Chilometria jugoslava, e Un manife-


sto, in «Il Popolo d’Italia», 10 e 31 luglio 1917, e 7 ottobre 1917, poi in Opera omnia di Benito
Mussolini, cit., vol. IX, pp. 39-41, pp. 87-90, e pp. 240-242. Nello stesso senso: Les Yougoslaves
et l’Italie. Una lettre de M. Mussolini, in «Le Démocrate», Berna, 12 settembre 1917, n. 212,
ripubblicato in Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. IX, pp. 178-180.
(25) In una lettera scritta dal fronte ad Arturo Rossato, redattore di «Il Popolo d’Italia»,
nell’estate del 1916, Mussolini criticò apertamente l’azione di Henry Wickham Steed, redattore
capo della sezione esteri del «Times», a sostegno degli esuli jugoslavi. Si veda: B. MUSSOLINI,
Una granata in pieno, in «Il Popolo d’Italia», 6 agosto 1916, poi in Opera omnia di Benito
Mussolini, cit., vol. VIII, p. 307. L’appoggio di alcuni circoli britannici alla causa jugoslava attirò
l’attenzione e destò le preoccupazioni anche del governo di Roma e della diplomazia italiana,
sin dall’inizio della guerra; si vedano: Imperiali a Di Sangiuliano, Londra, 1° settembre 1914;
Di Sangiuliano a Imperiali, Roma, 30 settembre 1914; Imperiali a Di Sangiuliano, Londra, 2 e
3 ottobre 1914, Di Sangiuliano a Imperiali, Roma, 8 ottobre 1914; Imperiali a Salandra, Londra,
22 ottobre 1914; Imperiali a Sonnino, Londra, 23 gennaio 1915; Sonnino a Imperiali, Roma, 24
gennaio 1915, in I Documenti Diplomatici Italiani, Roma, Libreria dello Stato, 1952 – (abbrev.
DDI), Serie V, vol. I, DD. 537, 855, 868, 874, e 919, e vol. II, DD. 23, 688 e 696.
(26) Su Frano Supilo, si vedano: D. ŠEPIc, Supilo diplomat. Rad Frana Supila u emigraciji
1914-1917. godine, Zagabria, Naprijed, 1961; ID., Politicke koncepcije Frana Supila, in F. SUPILO,
Politicki spisi. Clanci, govori, pisma, memorandumi, Zagabria, Znanje, 1970; I. PETRINOVIC,
Politicka misao Frana Supila, Spalato, Knjizevni Krug, 1988.
(27) Su Ante Trumbic: A. SMITH PAVELIC, Dr. Ante Trumbic. Problemi hrvatsko-srpskih
odnosa, Monaco di Baviera, Knjiznica Hrvatske revije, 1959; A. Trumbic, Izbrani spisi, Spalato,
Knjizevni Krug, 1986; I. PETRINOVIC, Ante Trumbic. Politicka shvacanja i djelovanje, Spalato,
Knjizevni Krug, 1991 (2a ed.).
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 11

prima in Italia, poi in Francia e infine in Gran Bretagna, nel tentativo di porre
all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale la questione della libera-
zione degli Jugoslavi dal dominio di Vienna e Budapest, e della loro eventuale
unione politica con la Serbia(28). L’azione degli esuli si fece particolarmente
intensa tra la fine del 1914 e i primi mesi del 1915, in corrispondenza dei
contatti e dei negoziati tra l’Italia e i governi dell’Intesa. Negoziati che por-
tarono alla firma del patto di Londra del 26 aprile 1915 e all’intervento ita-
liano in guerra, in cambio di alcune richieste territoriali, tra cui la Venezia
Giulia fino al Monte Nevoso e alla Volosca, il tratto centrale della Dalmazia
(da Zara a Capo Planka), gran parte delle isole a nord e a ovest di essa, e la
città albanese di Valona con il suo entroterra; richieste che avrebbero con-
sentito non solo il completamento dell’unità nazionale, ma anche il raggiun-
gimento di confini strategicamente sicuri(29). Trumbic e Supilo, i quali all’ini-
zio del secolo si erano battuti per l’unificazione delle «terre croate» (Croazia,
Dalmazia e Bosnia Erzegovina) sotto un governo autonomo all’interno
dell’Impero austroungarico(30), fecero notevoli pressioni presso i governi di

(28) H. W. STEED, Through Thirty Years, 1892-1922, Londra, Heinemann, 1924, vol. II, pp.
53 ss. e pp. 129 ss.; D. ŠEPIc, Supilo diplomat, cit., pp. 11 ss.; ID., Politicke koncepcije, cit., pp.
55 ss.; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 139 ss. e pp. 194 ss.; G. STOKES,
The Role of the Jugoslav Committee in the Formation of Yugoslavia, in The Creation of Yugoslavia
1914-1918, a cura di D. Djordjevic, Santa Barbara e Oxford, Clio Books, 1980, pp. 51-55; H.
e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe. R. W. Seton-Watson and the Last Years of
Austria-Hungary, Londra, Methuen, 1981, pp. 108-109 e pp. 121 ss.; I. BANAC, The National
Question in Yugoslavia, Ithaca e London, Cornell University Press, 1984, pp. 118 ss.; J. ADLER,
L’union forcée: la Croatie et la création de l’Etat yougoslave (1918), Chêne-Bourg, Georg, 1997,
pp. 90 ss.; M. KOVAC, La France, la création du royaume «yougoslave» et la question croate, 1914-
1929, Berna, Peter Lang, 2001, pp. 107 ss.
(29) Il testo dell’accordo di Londra del 26 aprile 1915 si trova in DDI, Serie V, vol. III, D;
470. Sul patto di Londra, si vedano: M. TOSCANO, Il Patto di Londra. Storia diplomatica dell’in-
tervento italiano (1914 e 1915), Bologna, Zanichelli, 1934; e tutti gli aggiornamenti documentari
che lo stesso Toscano ha pubblicato tra il 1965 e il 1968: Rivelazioni e nuovi documenti sul nego-
ziato di Londra per l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, in «Nuova Antologia», ago-
sto-settembre 1965; Il negoziato di Londra del 1915, ivi, novembre 1967; Imperiali e il negoziato
per il Patto di Londra, in «Storia e Politica», 1968, n. 3. Inoltre: P. PASTORELLI, Le relazioni tra
l’Italia e la Serbia dal luglio 1914 all’ottobre 1915, in Miscellanea in onore di Ruggero Moscati,
Napoli, E.S.I., 1985; ID., Fiume e il Patto di Londra, in «Clio», 1996, n.1, rifusi poi in ID., Dalla
prima alla seconda guerra mondiale. Momenti e problemi della politica estera italiana 1914-1943,
Milano, LED, 1997, pp. 13-53. Sulla partecipazione italiana alla guerra, si vedano: P. MELOGRANI,
Storia politica della grande guerra, cit.; L. RICCARDI, Alleati non Amici. Le relazioni politiche tra
l’Italia e l’Intesa durante la prima guerra mondiale, Brescia, Morcelliana, 1992.
(30) D. ŠEPIc, Politicke koncepcije, cit., pp. 26 ss.; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-
Ungheria, cit., pp. 27 ss.; I. BANAC, The National Question, cit., p. 96 ss.; J. ADLER, L’union for-
cée, cit., pp. 46 ss.
12 Massimo Bucarelli

Londra, di Parigi e, in particolare, di Pietrogrado(31), affinché le richieste


adriatiche dell’Italia, contrastanti con le aspirazioni unitarie non solo dei croati,
ma – a loro dire - di tutti gli slavi meridionali, non fossero accolte(32). Dopo
la firma del patto di Londra, in virtù del quale gli Jugoslavi ritenevano erro-
neamente che all’Italia fossero state attribuite anche Fiume e la maggior parte
della sponda orientale dell’Adriatico(33), l’attività degli esuli si concentrò nel
tentativo di impedirne l’applicazione e di ottenerne la revisione. Supilo e gli
altri fuoriusciti non solo continuarono ad agire all’interno degli ambienti di
governo inglese, francese e russo, per scongiurare pericolo di una cessione ter-
ritoriale della Dalmazia(34), ma cercarono anche di guadagnare il consenso del-
l’opinione pubblica internazionale nei confronti della causa jugoslava. A tale
scopo, il 30 aprile 1915 venne creato a Parigi un Comitato jugoslavo, presie-
duto da Trumbic e formato in larga parte da esuli croati, per lo più dalmati,
da due rappresentanti sloveni e da alcuni serbi della Bosnia Erzegovina(35).

(31) Carlotti a Sonnino, Pietrogrado, 16 marzo, 2, 3 e 16 aprile 1915, in DDI, Serie V, vol.
III, DD. 117, 245, 263 e 355. Anche: Memorandum di Supilo per Izwolski, [Bordeaux], 12 novem-
bre 1914, in F. SUPILO, Clanci, govori, pisma, memorandumi, cit., pp. 471-478.
(32) Supilo a Pašic, Londra, 21 ottobre 1914; Promemoria di Supilo per Grey, Londra, 7
gennaio 1915, in F. SUPILO, Clanci, govori, pisma, memorandumi, cit., pp. 463-470, e pp. 482-
487. Anche: Trumbic a Seton-Watson, Roma, 7 aprile 1915, in R. W. Seton-Watson and the
Yugoslavs: Correspondence 1906-1941, Londra –Zagabria, Britsh Academy e Università di
Zagabria, 1976, vol. I, D. 127. Inoltre: D. ŠEPIc, Supilo diplomat, cit., pp. 75 ss.; ID., Politicke
koncepcije, cit., pp. 64 ss.; ID., Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, 1914-1918, Zagabria, Škol-
ska knjiga, 1970, pp. 19 ss.; A. TAMBORRA, L’idea di nazionalità e la guerra 1914-1918, in «Atti
del XLI Congresso di Storia del Risorgimento Italiano (Trento, 9-13 ottobre 1963)», Roma, Istituto
per la Storia del Risorgimento Italiano, 1965, pp. 246 ss.; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-
Ungheria, cit., pp. 152 ss.; M. KOVAC, La France, cit., pp. 108 ss.
(33) Seton-Watson a Runciman, Londra, 26 aprile 1915; Hinko Hinkovcc a R. W. Seton-
Watson, Parigi, 28 aprile 1915, in R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., DD. 131 e 132.
Inoltre: L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 159-161; D. ŠEPIc, Italija, savez-
nici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 52-57.
(34) Sonnino a Imperiali, Tittoni e Carlotti, Roma, 3 maggio, 1915; Tittoni a Sonnino, Parigi,
4 maggio 1915; Imperiali a Sonnino, Londra, 5 maggio 1915; Carlotti a Sonnino, Pietrogrado,
6 maggio 1915, in DDI, Serie V, vol. III, DD. 550, 565, 583 e 589. Anche: Seton-Watson a
Grey, Londra, 2 maggio 1915, in R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., D. 135, con cui
lo storico e pubblicista scozzese inoltrava al ministro degli Esteri britannico un telegramma di
proteste contro le concessioni adriatiche fatte all’Italia, scritto da Supilo e firmato anche dal
presidente del Consiglio dei ministri serbo, Nikola Pašic. Inoltre: D. ŠEPIc, Supilo diplomat,
cit., pp. 75 ss.; ID., Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 52 ss.
(35) Oltre a Trumbic e a Supilo, il Comitato jugoslavo era formato dai croati, originari
della Dalmazia, Ante Biankini, presidente del Comitato jugoslavo negli Stati Uniti, Ivo de Giulli
e Mica Micic, entrambi avvocati e consiglieri municipali di Dubrovnik/Ragusa, Julije Gazzari,
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 13

L’obiettivo del Comitato, che pochi giorni dopo la sua fondazione stabilì la
propria sede a Londra, era quello di rendere note le condizioni degli slavi meri-
dionali all’interno dell’Impero asburgico e le loro «giuste aspirazioni» all’in-
dipendenza e all’unione con i «fratelli liberi» della Serbia e del Montenegro(36).
Nonostante le differenze religiose e le varianti linguistiche(37), i Serbi, i Croati
e gli Sloveni formavano «un solo popolo» e «un’unica nazione», che posse-
deva tutte le condizioni necessarie per la formazione di uno stato nazionale
indipendente(38). Per quanto concerneva l’assetto adriatico, il programma ter-
ritoriale del Comitato era la somma delle massime aspirazioni croate e slovene,
dal momento che venivano rivendicate come parte integrante del territorio

avvocato e consigliere comunale di Šibenik/Sebenico, e Ivan Mestrovic, noto scultore; dagli


zagrebini Hinko Hinkovic e Franko Potocnjak, deputati alla dieta croata; dal giornalista istriano
Milan Marjanovic; dagli sloveni, Josip Jedlovski, segretario della società slovena “Edinost” di
Trieste, e Bogumil Vošnjak, docente e giornalista di Gorizia; e, infine, dai serbi Mihailo Pupin,
originario di Pancevo e professore alla Columbia University, Nikola Stojanovic, avvocato e depu-
tato alla dieta bosniaca, e Dušan Vasiljevic, vicepresidente dell’Unione Nazionale Serba della
Bosnia. Sulla nascita del Comitato Jugoslavo e sulla sua attività, si vedano i contributi memo-
rialistici di alcuni dei membri: F. POTOCNJAK, Iz emigracije, Zagabria, U komisiji knjizare Mirka
Breyera, 1919-1926, 4 voll.; H. HINKOVIC, Iz velikog doba, Zagabria, Komisionalna naklada
Cirilsko-metodske nakladne knjizare, 1927; P. D. OSTOVIC, The Truth about Yougoslavia, New
York, Roy Publishers, 1952; I. MESTROVIC, Uspomene na politicke ljude i dogadjaje, Zagabria,
Matica Hrvastska, 1969. Inoltre: M. PAULOVA, Jugoslovenski odbor: Povijest jugoslavenske emi-
gracije za svjetskog rata od 1914-1918, Zagabria, Prosvjetna nakladna zadruga, 1925; D. ŠEPIc,
Supilo diplomat, cit., pp. 123 ss.; ID., Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 85 ss.;
I. J. LEDERER, Yugoslavia at the Paris Peace Conference, cit., pp. 15 ss.; L. VALIANI, La disso-
luzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 194 ss.; H. e C. SETON-WATSON, The Making of a New
Europe, cit., pp. 131 ss.; J. ADLER, L’union forcée, cit., pp. 90 ss.; M. KOVAC, La France, cit.,
pp. 116 ss.
(36) Si veda il promemoria presentato dal Comitato ai governi francese e russo il 6 mag-
gio e a quello britannico il 15 maggio: Memoar Jugoslovenskog Odbora predan francuskoj vladi,
Parigi, 6 maggio 1915, in Dokumenti o postanku Kraljevine Srba, Hrvata i Slovenaca 1914.-
1919., a cura di F. ŠIŠIC, Zagabria, Matica Hrvatska, 1920 (abbrev.DPK-SHS), D. 20; suc-
cessivamente pubblicato in inglese: The Southern Slav Programme, a cura del COMITATO
JUGOSLAVO, Londra, Nisbet, 1915. Inoltre: A. TAMBORRA, L’idea di nazionalità, cit., pp. 253-
261; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 200-202; D. ŠEPIc, Italija,
saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 89-92; G. STOKES, The Role of the Jugoslav Committee,
cit., p. 55;
(37) Nel promemoria del 12 novembre 1914 per l’ambasciatore russo in Francia, Izwolski,
Supilo aveva definito le differenze tra il serbo, il croato e lo sloveno, come «differenze dialet-
tali» di portata minore rispetto alle «diversità tra i dialetti di Venezia e Firenze, o di Milano,
per non parlare di Genova e della Sicilia, dove la gente della strada non si intende»; si veda:
Memorandum di Supilo per Izwolski, cit., p. 473.
(38) Memoar Jugoslovenskog Odbora predan francuskoj vladi, Parigi, 6 maggio 1915, cit.
14 Massimo Bucarelli

nazionale jugoslavo, oltre alla Dalmazia con le sue isole, anche Gorizia, Trieste,
l’Istria e Fiume:
In tutti questi territori – si affermava nel programma del Comitato
jugoslavo(39) - gli Jugoslavi costituiscono una popolazione compatta di razza
estremamente pura. Le presenza di popolazioni miste nelle zone di confine
è, in parte, dovuta al contatto naturale con le razze vicine e, in parte, costi-
tuisce il risultato artificiale di una politica ostile, e non può seriamente alte-
rare il carattere nazionale del paese. [...] L’Italia non ha mai assicurato, né
potrebbe mai assicurare, la vitalità economica sia a Trieste, che a Fiume. [...]
In mano italiana questi due porti sarebbero sfruttati solo per garantire gli
interessi dell’Italia a detrimento di quelli di tutto il retroterra. Ad eccezione
di Gradisca e Monfalcone, che segnano la fine della continuità etnica ita-
liana, a Trieste, in Istria e a Gorizia, nel complesso sono presenti solo 284.325
italiani contro 431.023 jugoslavi. [...] Se consideriamo tali statistiche, è evi-
dente che la cessione di questi territori all’Italia non potrebbe mai essere
giustificata sulla base del principio di nazionalità. Né dal punto di vista eco-
nomico queste regioni hanno valore per lei.

L’azione dei rappresentanti jugoslavi riscosse le simpatie di alcuni circoli


intellettuali inglesi, che divennero presto i più strenui fautori della causa jugos-
lava e i più convinti assertori della revisione delle clausole adriatiche del patto
di Londra(40). In particolare, tra i più attivi nel sostenere le aspirazioni del

(39) Oltre all’Istria e alla Dalmazia, con Trieste, Gorizia e Fiume, il programma territoriale
del Comitato jugoslavo comprendeva la Serbia, il Montenegro, la Bosnia Erzegovina, la Croazia
Slavonia, la Vojvodina serba (Backa e Banato), la Carniola, la Carinzia e la Stiria meridionali.
Si veda: Memoar Jugoslovenskog Odbora predan francuskoj vladi, Parigi, 6 maggio 1915, cit. Per
quanto riguarda l’assetto adriatico proposto dal Comitato jugoslavo, si veda anche un memo-
randum di Supilo del novembre 1914, in cui l’esule dalmata, asserendo che l’elemento italiano
presente a Trieste, a Gorizia, in tutta l’Istria e la Dalmazia, era in realtà costituito da slavi «assi-
milati» e italianizzati, rivendicava l’annessione di tali territori al futuro stato jugoslavo, ad ecce-
zione di Trieste, da erigere in città libera; in: Talijani u jugoslanvskim krajevima Austro-ugar-
ske, [Promemoria di Supilo per Izwolski, novembre 1914], in F. SUPILO, Clanci, govori, pisma,
memorandumi, cit., pp. 479-481. Secondo Vivarelli, il programma, soprattutto in relazione ai
confini con l’Italia, era «evidentemente il frutto di una esaltazione nazionalistica che veniva innan-
zitutto a violare il principio di autodecisione dei popoli, e che si accompagnava ad un preciso
sentimento antiitaliano, più forte in molti casi del sentimento antiaustriaco»; in R. VIVARELLI,
Storia delle origini del fascismo, cit., p. 218.
(40) Tittoni a Sonnino, Parigi, 12 marzo 1916, in DDI, Serie V, vol. IV, D. 586. Inoltre: H.
W. STEED, Through Thirty Years, cit., pp. 64 ss.; A. TAMBORRA, L’idea di nazionalità, cit., pp.
253-261; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 162 ss.; D. ŠEPIc, Italija, savez-
nici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 69-71, e pp. 95-100; H. e C. SETON-WATSON, The Making
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 15

Comitato e nel fiancheggiarne l’attività furono Henry Wickham Steed, redat-


tore capo della sezione esteri del «Times», e Robert William Seton-Watson,
pubblicista e studioso di storia dell’Europa centro-orientale. Entrambi profondi
conoscitori del mondo danubiano-balcanico, erano convinti che uno dei prin-
cipali scopi di guerra delle potenze dell’Intesa dovesse essere la dissoluzione
dell’Impero austro-ungarico, per dare libertà e indipendenza alle nazionalità
oppresse dai governi di Vienna e Budapest(41). Ritenevano, inoltre, che l’u-
nione politica degli Slavi del sud, dando luogo a uno stato di circa 12 milioni
di abitanti, a cui assegnare la sovranità sull’intera costa orientale dell’Adriatico
a eccezione di Trieste e del litorale istriano fino a Pola, rappresentasse la
migliore barriera contro l’avanzata del germanesimo nei Balcani e verso il
Mediterraneo orientale(42). In ogni caso – questo era il pensiero di Seton-Watson
– «la Dalmazia nelle mani dell’Italia [avrebbe rappresentato] un pericolo per
le posizioni navali [britanniche] nel Mediterraneo»(43):

Una volta assicuratasi la Dalmazia e avendo nell’Adriatico una base


impenetrabile di operazioni, il prossimo passo dell’Italia sarà quello di sfi-
dare la Francia in Tunisia e di concorrere per la supremazia navale nel
Mediterraneo.

I due intellettuali britannici, oltre a introdurre Supilo e Trumbic negli


ambienti di governo inglesi e ad aiutarli nel tentativo di contenere e ridi-
mensionare le aspirazioni adriatiche dell’Italia(44), tra l’estate e l’autunno del
1916 lavorarono alla creazione dell’associazione filojugoslava «The Serbian
Society of Great Britain»(45), alla cui presidenza fu posto Lord Cromer, diplo-

of a New Europe, cit., pp. 108-109 e pp. 121 ss.; J. ADLER, L’union forcée, cit., pp. 93 ss.; M.
KOVAC, La France, cit., pp. 104 ss.
(41) H. W. STEED, Through Thirty Years, cit., (p. 386).
(42) Seton-Watson al Foreign Office, Londra, 1° ottobre 1914; Seton-Watson a Runciman,
Londra, 26 aprile 1915, in R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., DD. 109 e 131.
(43) Seton-Watson a Runciman, Londra, 26 aprile 1915, cit.; Memorandum di Seton-Watson,
Londra, inizi di maggio 1915, ivi, D. 134.
(44) Imperiali a Sonnino, Londra, 20 gennaio e 5 luglio 1915, in DDI, Serie V, vol. II, D.
666, e vol. IV, D. 352. Anche: Seton-Watson a Trumbic, Atene, 24 dicembre 1914; Seton-Watson
a Hinkovic, Londra, 28 aprile 1915; Seton-Watson a Grey, Londra, 2 maggio 1915, in R. W.
Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., DD. 115, 133 e 135.
(45) H. W. STEED, Through Thirty Years, cit., pp. 124 ss.; D. ŠEPIc, Supilo diplomat, cit.,
pp. 204 ss.; ID., Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., p. 174; H. e C. SETON-WATSON,
The Making of a New Europe, cit., pp. 108 ss., pp. 121 ss., e pp. 174 ss.
16 Massimo Bucarelli

matico e uomo politico inglese, ex governatore dell’Egitto(46). L’intento era


quello di promuovere l’unificazione degli Slavi del sud e di preparare il ter-
reno per un accordo italo-jugoslavo, «che potesse riparare ai dannosi effetti
del trattato di Londra» (47). Sempre su iniziativa di Steed e Seton-Watson, il
19 ottobre 1916 apparve il primo numero della rivista «The New Europe»,
che aveva lo scopo di «educare e informare» l’opinione pubblica dei paesi
dell’Intesa su tutti i problemi relativi al futuro assetto politico e territoriale,
tra cui, primo fra tutti, figurava «l’emancipazione dal controllo tedesco e
magiaro delle nazioni sottomesse dell’Europa centrale e sud-orientale»(48).

3. Mussolini, il movimento jugoslavo e la crisi dell’interventismo democratico

Di fronte alle numerose iniziative politiche ed editoriali degli esuli jugos-


lavi(49), ma soprattutto di fronte al sostegno su cui gli Slavi del sud potevano
contare in Gran Bretagna(50), Mussolini reagì mostrandosi sempre meno con-
ciliante nei confronti delle posizioni jugoslave e criticando aspramente alcuni
articoli apparsi nell’estate del 1917 sull’organo del Comitato jugoslavo, il
«Bulletin Yougoslave». Secondo tali pubblicazioni, Trieste, Gorizia e la valle

(46) La presenza di una «alta personalità», come Lord Cromer, alla presidenza della «Serbian
Society of Great Britain», dando maggiore visibilità e autorevolezza all’iniziativa di Steed e Seton-
Watson, spinse l’ambasciatore italiano a Londra, Imperiali, a far presente al Foreign Office che
«l’impressione sull’opinione pubblica [italiana] non sarebbe stata certo gradita» e che sarebbe
stato più opportuno che «il nobile lord si fosse tenuto estraneo a queste agitazioni dei jugo-
slavi». «I quali – chiarì Imperiali - , malgrado la purità apparente delle intenzioni manifestate
da lord Cromer, mirano in realtà a raggiungere scopi in contraddizione stridente con interessi
italiani, già regolati e virtualmente acquisiti in base ai noti accordi». Si veda: Imperiali a Sonnino,
Londra, 5 settembre 1916, in DDI, Serie V, vol. VI, D. 380. Sull’episodio, anche: H. W. STEED,
Through Thirty Years, cit., p. 127.; L. ALBERTINI, Venti anni di vita politica, Bologna, Zanichelli,
1952, Parte II, vol. II, p. 530; H. e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., pp.
181-183. Sull’atteggiamento critico di Lord Cromer nei confronti dell’Italia e dei «suoi sogni
di conquista», si veda: Cromer a Seton-Watson, Ardgowan, Greenock, 19 settembre 1915, in R.
W. Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., D. 149.
(47) Seton-Watson a Vesnic, Londra, 17 luglio 1915, in R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs,
cit., D. 177. Anche: H. W. STEED, Through Thirty Years, cit., pp. 124-125; H. e C. SETON-WATSON,
The Making of a New Europe, cit., pp. 175-176.
(48) Seton-Watson a Cvijic, Londra, 4 ottobre 1915, in R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs,
cit., D. 181.
(49) D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., p. 152.
(50) Sforza a Sonnino, Corfù, 24 ottobre 1916, in DDI, Serie V, vol. VI, D. 606.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 17

del Natisone (quest’ultima già all’interno dei confini del Regno d’Italia) sareb-
bero dovute appartenere al futuro Stato slavo meridionale, perché abitate da
una popolazione in larga maggioranza slovena. Il direttore di «Il Popolo
d’Italia», pur ribadendo di non avere alcun «preconcetto antipatico» contro
il movimento jugoslavo, dichiarava di non potere rimanere indifferente di
fronte alla «megalomania imperialistica» del Comitato, da cui non veniva fatto
nemmeno un accenno alle basi di una possibile intesa fra Italiani e Sloveni;
intesa che Mussolini, come tutti gli interventisti democratici, riteneva invece
necessaria e ancora realizzabile. Sollecitava inoltre il governo italiano a con-
trastare la propaganda filojugoslava, la cui indubbia efficacia aveva indotto il
«Times», «il primo giornale del mondo», ad affermare che a Trieste e a Gorizia
gli Sloveni formavano la massa della popolazione(51).
In un successivo articolo, in cui attaccava un’altra pubblicazione a favore
di Trieste jugoslava, edita a Parigi da un massone serbo, Vasa Jovanovic, con
il patrocinio del «Grande Oriente» di Francia, Mussolini sottolineò nuovamente
l’importanza di dimostrare, con un’adeguata campagna propagandistica, la
fondatezza delle pretese territoriali italiane dal punto di vista storico, geogra-
fico ed etnico:

Non si deve dar tregua a questo imperialismo jugoslavo – ribadiva il


direttore de «Il Popolo d’Italia»(52) - [...] Non è un po’ sconfortante che
sia proprio il grande oriente di Francia quello che dà il viatico solenne della
sua protezione a una tesi fondamentalmente antitaliana? Ecco l’utilità, la neces-
sità che organi indipendenti non nazionalisti e tanto meno, poi, imperialisti,
come il nostro giornale, insorgano contro le deformazioni jugoslave delle più
palesi verità storiche, geografiche, etniche.

Mussolini espresse dubbi e critiche anche nei confronti dell’accordo rag-


giunto a Corfù, il 20 luglio 1917, tra il Comitato jugoslavo di Londra e il governo
serbo in esilio, per la nascita del futuro Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. È

(51) B. MUSSOLINI, Megalomania jugoslava, in «Il Popolo d’Italia», 10 luglio 1917, cit.
Naturalmente, il direttore de «Il Popolo d’Italia» non fu il solo ad avvertire l’esigenza che la
propaganda italiana all’estero dovesse essere potenziata e organizzata in maniera più razionale
ed efficiente. Sulle vicende che portarono alla costituzione del Sottosegretariato per la propa-
ganda all’estero e per la stampa, si veda: L. TOSI, La propaganda italiana all’estero nella prima
guerra mondiale: rivendicazioni territoriali e politica delle nazionalità, Udine, Del Bianco, 1977.
(52) B. MUSSOLINI, Chilometria jugoslava, in «Il Popolo d’Italia», 31 luglio 1917, cit.
Sull’azione della massoneria francese a sostegno della causa jugoslava, si veda anche: Ruspoli a
Sonnino, Parigi, 2 agosto 1917, in DDI, Serie V, vol. VIII, D. 771.
18 Massimo Bucarelli

noto che il governo serbo, guidato dal leader del partito radicale, Nikola
Pašic, aveva inizialmente appoggiato le iniziative del Comitato jugoslavo, finan-
ziandone l’attività e favorendone i contatti con gli ambienti politici e diplo-
matici dei paesi dell’Intesa(53). Il primo ministro serbo considerava il Comitato
di Londra come un organo di propaganda al servizio della causa serba, utile
a contrastare le aspirazioni italiane sulla costa dalmata, a sensibilizzare l’opi-
nione pubblica internazionale in merito al problema delle popolazioni jugos-
lave oppresse dai governi di Vienna e Budapest e a sottolineare la prevalenza
tra i croati e gli sloveni di sentimenti filoserbi(54). L’obiettivo politico e terri-
toriale della classe dirigente serba era per buona parte identico e speculare a
quello del governo italiano, poiché Belgrado mirava al completamento dell’u-
nità nazionale, al conseguimento di confini strategicamente sicuri e al rag-
giungimento di uno sbocco al mare sulla costa adriatica(55). La realizzazione
di tale obiettivo, però, rendeva necessaria l’annessione non solo di territori al
cui interno l’elemento nazionale serbo era di poco maggioritario, come in
Bosnia, ma anche di quelli in cui la popolazione serba era minoritaria, come
in Dalmazia, Croazia-Slavonia e Vojvodina(56). Era evidente, quindi, l’interesse
del governo serbo a collaborare con quei rappresentanti croati e sloveni
dell’Austria-Ungheria disposti a far confluire i propri gruppi nazionali in un

(53) Sui contatti iniziali tra il governo serbo e il Comitato jugoslavo di Londra, si vedano:
Supilo a Pašic, Londra, 21 ottobre 1914, cit.; Supilo a De Giulli, Parigi, 29 giugno 1916, in F.
SUPILO, Clanci, govori, pisma, memorandumi, cit., pp. 497-509. Inoltre: D. ŠEPIc, Supilo diplo-
mat, cit., pp. 45 ss.; ID., Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 27-23, e pp. 57-69; A.
N. DRAGNICH, Serbia, Nikola Pašic and Yugoslavia, New Brunswick, New Jersey, Rutgers
University Press, 1974, pp. 113-115; D. STANKOVIC, Nikola Pašic i jugoslovensko pitanje, Belgrado,
BIGZ, 1985, vol. II, pp. 11 ss., e pp. 38 ss.
(54) D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 85 e 158; A. N. DRAGNICH,
The Serbian Government, the Army, and the Unification of Yugoslavs, in The Creation of
Yugoslavia 1914-1918, cit., pp. 41-42; G. STOKES, The Role of the Jugoslav Committee, cit., pp.
53-54; D. STANKOVIC, Nikola Pašic, cit., vol. II, pp. 38 ss.
(55) Sulla specularità degli obiettivi politici e territoriali dell’Italia e della Serbia, si vedano
le considerazioni di: S. ROMANO, I rapporti italo-sloveni e italo-croati: una prospettiva storica, in
Il confine riscoperto, a cura di T. Favaretto e E. Greco, Roma, Franco Angeli, 1997, p. 11.
(56) Sugli obiettivi di guerra serbi, si vedano: D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje,
cit., pp. 9-13, e pp. 100-105; M. EKMECIC, Ratni ciljevi Srbije 1914, Belgrado, Srpska knizevna
zadruga, 1973, pp. 84-89; ID., Serbian War Aims, in The Creation of Yugoslavia, cit., pp. 19-32;
A. N. DRAGNICH, The Serbian Government, cit., pp. 37-42; I. BANAC, The National Question,
cit., pp. 117-118; D. ZIVOJNOVIC, Ratni ciljevi Srbije i Italije, in «Istorija XX veka», 1983, n. 1,
pp. 9-23; D. STANKOVIC, Nikola Pašic, cit., vol. I, pp. 148 ss., e pp. 189 ss.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 19

grande Stato jugoslavo, pur di rendersi indipendenti da Vienna e da


Budapest(57).
Tuttavia, l’intento del Comitato jugoslavo non era certo quello di liberare
le popolazioni jugoslave dal giogo austro-ungarico per sottoporle poi al pre-
dominio serbo, ma di dare vita a uno stato federale o, in alternativa, a un’en-
tità statale capace di garantire l’autonomia dei vari gruppi nazionali. In buona
sostanza, l’unione con la Serbia non doveva significare la sottomissione dei
Croati e degli Sloveni all’autorità centrale serba, come invece si intendeva a
Belgrado, ma la realizzazione di un quid novi, di un assetto politico e istitu-
zionale né serbo, né croato, né sloveno, ma jugoslavo, in cui i tre gruppi nazio-
nali potessero convivere(58). Divenne, quindi, inevitabile che i rapporti tra gli
esuli jugoslavi e il governo serbo si guastassero, allorché i rappresentanti del
Comitato di Londra, rivendicando un ruolo autonomo e non strettamente
subordinato alle manovre di Pašic e della classe dirigente serba(59), tentarono
di influenzare gli orientamenti e le decisioni dei governi dell’Intesa sul futuro
assetto dei Balcani. La crisi si verificò in occasione dei negoziati con la Bulgaria,
nella tarda primavera e nell’estate del 1915, per la partecipazione del governo
di Sofia alla guerra contro l’Impero ottomano. Le potenze dell’Intesa cerca-
rono di stabilire un collegamento tra le promesse territoriali al governo bul-
garo (Macedonia serba) e i compensi per il governo serbo (Bosnia-Erzegovina,

(57) Questo era il senso della dichiarazione fatta da Pašic di fronte all’assemblea nazionale
(Skupština) riunita a Nis il 7 dicembre del 1914, con cui il governo serbo si impegnava a com-
battere per la liberazione e l’unione di «tutti i nostri fratelli oppressi Serbi, Croati e Sloveni».
Si veda il testo: Izjava srpske vlade u Narodnoj Skupštini, Niš, 7 dicembre 1914, in DPK-SHS,
D. 8. Sulla «dichiarazione di Niš»: D. JANKOVIC, Niška Deklaracija (Nastanje programa jugos-
lovenskog ujedinjenja u Srbiji 1914. godine) in «Istorija XX veka: Zbornik radova», n. X, 1969,
pp. 105 ss.; M. EKMECIC, Ratni ciljevi Srbije, cit., pp. 201-213; A. N. DRAGNICH, Serbia, cit., pp.
112-113; D. STANKOVIC, Nikola Pašic, cit., vol. I, pp. 153-159.
(58) Supilo a Grey, Londra, 30 novembre 1915, in F. SUPILO, Clanci, govori, pisma, memo-
randumi, cit., pp. 490-491; Supilo a Sonnino, Roma, 19 aprile 1916, in S. SONNINO, Carteggio
1914-1916, a cura di P. PASTORELLI, Bari, Laterza, 1974, D. 523 (poi in DDI, Serie V, vol. V,
D. 719), in cui l’esule dalmata inviava al responsabile della Consulta il promemoria consegnato
al ministro degli esteri britannico a fine novembre. Inoltre: D. ŠEPIc,, Supilo diplomat, cit., pp.
66-67, pp. 84-85, e pp. 158-159; ID., Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 153-152;
H. e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., p. 138; I. BANAC, The National
Question, cit., pp. 118-119; W. BRACEWELL, The Yugoslav Idea: Origins and Development, 1830-
1992, in Nationality and Nationalism in East Central Europe since 18th Century, «Foreign and
Commonwealth Office Historians Occasional Papers», n. 12, febbraio 1996, pp. 41-43.
(59) A. N. DRAGNICH, Serbia, cit., p. 115; ID., The Serbian Government cit., p. 42; I. BANAC,
The National Question, cit., pp. 118-119.
20 Massimo Bucarelli

Dalmazia meridionale, Slavonia e Vojvodina, ma non la Croazia con Fiume,


le cui sorti, secondo la condizione posta dal governo italiano, sarebbero state
decise al momento della pace)(60). Supilo, a conoscenza delle trattative in
corso (grazie ai contatti che Steed e Seton-Watson gli avevano procurato al
Foreign Office) e assolutamente contrario alla frammentazione dei territori
jugoslavi dell’Austria-Ungheria, riuscì ad ottenere dall’allora ministro degli
Esteri britannico, Edward Grey, il riconoscimento del diritto all’autodetermi-
nazione per tutti gli Slavi del sud della Bosnia-Erzegovina, della Croazia-
Slavonia, della Vojvodina e della Dalmazia meridionale(61). Pašic, evidentemente
incerto della reale volontà della popolazione croata di unirsi alla Serbia, lasciò
cadere la formula proposta dal ministro britannico, poiché temeva che l’an-
nessione di territori già promessi al governo serbo (Bosnia, Dalmazia e Slavonia)
potesse essere rimessa in discussione dall’esito referendario(62). Il primo mini-
stro serbo, inoltre, ebbe una reazione talmente dura nei confronti degli esuli
jugoslavi da provocare una spaccatura all’interno del Comitato di Londra tra
Supilo, disposto anche a rompere con il governo serbo e a trovare un’intesa
con l’Italia, che consentisse la creazione di uno Stato croato indipendente(63),
e gli altri membri, i quali, nettamente contrari a qualsiasi rinuncia in Istria e
Dalmazia a favore degli interessi italiani, ritenevano di fondamentale impor-
tanza continuare ad avere l’appoggio serbo, sia per la liberazione degli Slavi

(60) Cucchi Boasso a Sonnino, Sofia 30 maggio 1915, Imperiali a Sonnino, Londra, 1 luglio
1915, Sonnino a Imperiali, Tittoni e Carlotti, Roma 8 luglio e 1, 3, 8 e 13 e 17 agosto 1915;
Squitti a Sonnino, Nish, 15 agosto 1915; Sonnino a Imperiali, Tittoni e Carlotti, Roma, 3 set-
tembre 1915, in DDI, Serie V, vol. IV, DD. 54, 322, 372, 510, 517, 551, 583, 598 e 610. Si
vedano: M. TOSCANO, La Serbia e l’intervento in guerra dell’Italia, Milano, Giuffrè, 1939, pp.
44-49; I. J. LEDERER, Yugoslavia at the Paris Peace Conference, cit., pp. 23-27; L. VALIANI, La
dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 194-213; D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko
pitanje, cit., pp. 122 ss.; D. VISVIZI DONTAS, Troubled Friendship: Greco-Serbian Relations, 1914-
1918, in The Creation of Yugoslavia, cit., pp. 107-111; P. PASTORELLI, Le relazioni dell’Italia con
la Serbia, cit., pp. 35-41.
(61) D. ŠEPIc, Supilo diplomat, cit., pp. 138-146; ID., Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje,
cit., pp. 129-142; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 231-235; H. e C.
SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., pp. 138-139; J. ADLER, L’union forcée, cit.,
pp. 93-95.
(62) L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 235-236.
(63) D. ŠEPIc, Supilo diplomat, cit., pp. 175-182; ID., Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje,
cit., pp. 161-167; A. TAMBORRA, L’idea di nazionalità, cit., pp. 256-257; L. VALIANI, La dissolu-
zione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 258-264. Sui tentativi di Supilo di trovare un accordo con
il governo italiano, si vedano anche: Tittoni a Sonnino, Parigi 12 marzo 1916; Supilo a Sonnino,
Roma, 19 aprile 1916; Imperiali a Sonnino, Londra, 24 maggio 1917; Sonnino a Sforza, Roma,
23 giugno 1917, in DDI, Serie V, vol. V, DD. 586 e 719; vol. VIII, DD. 77 e 435.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 21

del sud dal dominio austro-ungarico, sia per contrastare le aspirazioni italiane
in Adriatico(64).
La crisi, risoltasi in parte nel corso del 1916 con la fuoriuscita di Supilo
dal Comitato jugoslavo(65), venne superata l’anno successivo con l’accordo rag-
giunto il 20 luglio a Corfù tra Trumbic, ormai unico leader degli esuli jugos-
lavi, e Pašic. La decisione di avviare dei negoziati con i rappresentanti del
Comitato di Londra fu presa dai dirigenti serbi dopo il crollo, nel marzo 1917,
del regime zarista, principale sostenitore della causa serba(66); crollo che
indusse il governo serbo, già in grande difficoltà per la disfatta subita nell’inverno
‘15-’16 ad opera degli eserciti tedesco, austro-ungarico e bulgaro(67), ad andare
incontro alle richieste degli esuli croati e sloveni di avere un peso paritario
nelle decisioni relative al futuro assetto dei territori slavi del sud. Il timore
serbo, alimentato dalle voci di contatti tra il governo di Vienna e quelli di
Londra e Parigi per una pace separata(68), era quello di una improvvisa ces-

(64) Supilo al Comitato jugoslavo, Parigi, 5 giugno 1916; Supilo a De Giulli, Parigi, 29 giu-
gno 1916, in F. SUPILO, Clanci, govori, pisma, memorandumi, cit., pp. 492-509. Anche: Seton
Watson a May Seton Watson, Parigi, 12 marzo 1916; Appunti di Seton Watson sui colloqui tra
Trumbic e Supilo, Parigi, 14-15 marzo 1916, in R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., DD.
169 e 170. Inoltre: D. ŠEPIc, Supilo diplomat, cit., pp. 147-155, e pp. 159-164; ID., Italija, savez-
nici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 154-157; I. BANAC, The National Question, cit., pp. 120-
121; H. e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., pp. 139-140, e pp. 155-157;
J. ADLER, L’union forcée, cit., pp. 95-97.
(65) D. ŠEPIc, Supilo diplomat, cit., pp. 183-192; ID., Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje,
cit., pp. 169-171; I. BANAC, The National Question, cit., p. 120;
(66) D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 189-191; M. B. PETROVICH,
Russia’s Role in the Creation of the Yugoslav State, 1914-1918, in The Creation of Yugoslavia,
cit., pp. 79-84.
(67) Squitti a Sonnino, Kraljevo, 30 ottobre e 2 novembre 1915; Scutari, 7 novembre e 16
dicembre 1915, in DDI, Serie V, vol. V, DD. 32, 43, 73 e 203. Sul lungo esodo che portò il
governo e l’esercito serbi da Niš sull’isola greca di Corfù attraverso le montagne del Kosovo,
del Montenegro e dell’Albania, si vedano le memorie del ministro plenipotenziario francese presso
il governo serbo: A. BOPPE, A la suite du gouvernement serbe. De Nich a Corfou (20 Octobre
1915 – 19 Janvier 1916), Parigi, Éditions Bossard, 1917, pp. 9 ss. Inoltre: D. ŠEPIc, Italija, savez-
nici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 147-151; A. MITROVIC, Srbija u prvom svetskom ratu,
Belgrado, Srpska knjizevna zadruga, 1984, pp. 200 ss.
(68) S. DE BOURBON, L’offre de paix séparée de l’Autriche (5 Décembre 1916 – 12 Octobre
1917), Parigi, Librairie Plon, 1920, pp. 35-68; R. POINCARÉ, Au service de la France, vol. IX,
L’année trouble 1917, Parigi, Librairie Plon, 1932, pp. 91-124; S. SONNINO, Diario 1916-1922,
a cura di P. PASTORELLI, Bari, Laterza, 1972, pp. 160-162; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-
Ungheria, cit., pp. 269-291, e pp. 451-457; D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje,
cit., pp. 191-193;
22 Massimo Bucarelli

sazione delle ostilità contro l’Austria-Ungheria, che avrebbe colto la classe diri-
gente serba del tutto impreparata, senza essere riuscita a effettuare alcuna con-
quista territoriale e senza poter più contare sull’appoggio della Russia per la
realizzazione delle proprie aspirazioni. Era necessario, quindi, anche in virtù
delle pressioni esercitate dai sostenitori britannici degli esuli jugoslavi(69), rag-
giungere un compromesso con il Comitato di Londra, per potersi presentare
di fronte all’opinione pubblica internazionale, ma soprattutto di fronte ai
governi dell’Intesa, con un accordo che sottolineasse la maturazione e la radi-
calità della questione jugoslava, e che consentisse al governo serbo di parlare
e agire in nome non solo delle popolazioni serbe, ma anche di quelle croate
e slovene dell’Austria-Ungheria, sia nel caso di possibili negoziati di pace, sia
nel caso di una prosecuzione del conflitto. Nell’estate del 1917, senza vittorie
sul campo e senza il sostegno della Russia zarista, l’unione di tutti i Serbi poteva
essere realizzata solo all’interno di uno Stato jugoslavo e non grande serbo,
con il consenso dei Croati e degli Sloveni e con l’appoggio dei loro sosteni-
tori inglesi(70).
Per i membri del Comitato di Londra, l’intesa con il governo serbo era
altrettanto importante e necessaria. Importante per la rilevanza internazionale
che, grazie all’accordo, veniva ad assumere la questione jugoslava e per il
chiaro riconoscimento da parte serba che il ruolo del Comitato era ben diverso
da quello marginale di mero strumento della propaganda serba, a cui Pašic
aveva tentato di relegarlo(71). Ma soprattutto necessaria per contrastare gli effetti
e il clamore suscitati dalla posizione filoasburgica assunta dai rappresentanti
dei partiti jugoslavi al Reichsrat di Vienna, che con la dichiarazione del 30 mag-
gio 1917, letta dal capo del partito popolare sloveno, monsignor Antun
Korošec, a nome della «Unione parlamentare jugoslava» (Jugoslovenski Klub),
avevano chiesto l’unione di tutti gli Sloveni, i Croati e i Serbi della Monarchia
in uno «Stato indipendente e democratico [...] sotto lo scettro della dinastia

(69) Seton Watson al principe reggente Alessandro, Londra, 15 settembre 1915; «British Friends
of Serbia» al principe reggente Alessandro, Londra, 30 marzo 1916, in R. W. Seton-Watson and
the Yugoslavs, cit., DD. 151 e 173. Anche: J. ADLER, L’union forcée, cit., p. 106.
(70) Sui motivi che spinsero Pašic e il governo serbo ad avviare dei negoziati con i mem-
bri del Comitato jugoslavo, si vedano: L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit.,
pp. 310-311; D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 196-197; A. N. DRAGNICH,
Serbia, cit., p. 116; D. STANKOVIC, Nikola Pašic, cit., vol. I, pp. 181-185; J. ADLER, L’union for-
cée, cit., pp. 104-106;
(71) D. STANKOVIC, Nikola Pašic, cit., vol. II, p. 181; J. ADLER, L’union forcée, cit., pp. 103-
107.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 23

degli Asburgo-Lorena»(72). Per Trumbic e gli altri esuli jugoslavi, la liberazione


delle popolazioni slave del sud dal dominio austro-ungarico e la difesa delle
terre istriane e dalmate dall’espansione italiana potevano essere ottenute solo
con l’aiuto del governo serbo, che, in virtù dell’accordo di Corfù, si impe-
gnava a combattere non solo per gli scopi di guerra serbi, ma anche per difen-
dere gli interessi croati e sloveni(73).
Spinti dalle diverse necessità politiche, il Comitato di Londra e il governo
serbo raggiunsero un accordo di massima, contenuto in una dichiarazione fir-
mata da Pašic e da Trumbic il 20 luglio. Nel documento, si stabiliva che il
futuro Stato degli Slavi del sud, esteso su tutto il territorio in cui la nazione
jugoslava viveva «in masse compatte e senza discontinuità», sarebbe stato una
monarchia costituzionale, parlamentare e democratica, sotto la dinastia serba
dei Karadordevic e con il nome di Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Al suo
interno si sarebbero garantite la libertà di religione e l’uguaglianza di diritti
nell’impiego dell’alfabeto latino e di quello cirillico. La forma di governo
sarebbe stata decisa, dopo la conclusione della guerra, da una assemblea costi-
tuente eletta a suffragio universale, diretto e segreto, e incaricata di elaborare
e approvare, con una «maggioranza numericamente definita», un testo costi-
tuzionale in grado di assicurare «al popolo la possibilità di esercitare le sue
energie particolari nelle autonomie locali, definite dalle condizioni naturali, sociali
ed economiche»(74). Si trattava di un compromesso, volutamente ambiguo, con
cui non veniva risolto il nodo politico e istituzionale fondamentale, quello rela-
tivo all’assetto centralizzato o federalista dello Stato. Pur di raggiungere un’in-
tesa e stabilire un’unità di azione(75), la soluzione del problema veniva riman-

(72) Deklaracija jugoslovenskoga kluba, Vienna, 30 maggio 1917, in DPK-SHS, D. 54.


Inoltre: L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 290-295; D. ŠEPIc, Italija, savez-
nici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 197-205; I. BANAC, The National Question, cit., pp. 125-
126; J. ADLER, L’union forcée, cit., pp. 80-89.
(73) L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 311-312; D. ŠEPIc, Italija,
saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., p. 207; J. ADLER, L’union forcée, cit., pp. 97-99.
(74) Krfska deklaracija od 20. jula 1917, Corfù, 20 luglio 1917, in DPK-SHS, D. 56. Sui
negoziati svoltisi a Corfù nell’estate del 1917 tra il governo serbo e i rappresentanti del Comitato
jugoslavo di Londra, si vedano: D. ŠEPIc, Supilo diplomat, cit., pp. 235-241; D. JANKOVIC,
Jugoslovensko pitanje i Krfska deklaracija 1917. godine, Belgrado, Savremena Administracija, 1967,
pp. 195-206; D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 209-213; D. STANKOVIC,
Nikola Pašic, cit., vol. II, pp. 151 ss.
(75) Si veda il commento, fondamentalmente scettico, di Carlo Sforza, all’epoca rappre-
sentante italiano presso il governo serbo in esilio a Corfù: Sforza a Sonnino, Corfù, 25 luglio
1917, Rapporto 419/75, in ARCHIVIO STORICO-DIPLOMATICO DEL MINISTERO DEGLLI AFFARI ESTERI
24 Massimo Bucarelli

data ai lavori dell’assemblea costituente, senza indicare, però, in anticipo e con


chiarezza né i principi politici, a cui il costituente si sarebbe dovuto attenere,
né la maggioranza necessaria per l’approvazione del testo finale. In un paese
plurinazionale con partiti a base etnica e religiosa, come si avviava a essere la
Jugoslavia, il mancato ricorso a un’ampia maggioranza qualificata avrebbe
finito per favorire la componente numericamente più importante, quella serba,
consentendole di imporre al futuro Regno jugoslavo l’assetto politico e istitu-
zionale fortemente accentrato del vecchio Stato serbo, senza tenere conto delle
istanze autonomiste degli altri gruppi costitutivi, i Croati e gli Sloveni(76).
Secondo Mussolini, il documento di Corfù era «antiaustriaco nella lettera»,
ma «antitaliano nello spirito», poiché l’Italia era stata volutamente esclusa
dalle nazioni (Francia, Gran Bretagna, Russia e Stati Uniti), a cui gli Jugoslavi
facevano appello per «il trionfo della Libertà e della Democrazia» e per la
realizzazione di un nuovo ordine internazionale basato sul principio dell’au-
todeterminazione dei popoli. «Omissione voluta, evidentemente, e niente affatto
occasionale» – faceva notare il direttore del quotidiano milanese – e «altamente
significativa», perché diretta a differenziare il ruolo del governo di Roma
all’interno dell’Intesa e a diminuire l’importanza del contributo italiano alla
guerra; contributo che invece, in più di un’occasione, si era rivelato fonda-
mentale proprio per le sorti della Serbia:

[...] i signori Pasic e Trumbic – scriveva Mussolini(77) - hanno dunque


dimenticato che esiste l’Italia? L’Italia che nel 1913 sventò col suo contegno
un primo piano d’aggressione austriaca contro la Serbia; che nel 1914, dichia-
randosi neutrale, cooperò formidabilmente a impedire la fulminea vittoria
degli imperiali, il che avrebbe significato la totale distruzione della Serbia;

ITALIANO (abbrev. ASMAE), Carte Sforza, busta 1, fascicolo 7. Nello stesso senso, anche: Sforza
a Sonnino, Corfù, 16 e 25 agosto, 1917, in DDI, Serie V, vol. VIII, DD. 869 e 964.
(76) I. J. LEDERER, Yugoslavia at the Paris Peace Conference, cit., pp. 33-35; L. VALIANI, La
dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 311; D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje,
cit., pp. 212-213; A. N. DRAGNICH, The Serbian Government, cit., pp. 42-43; I. BANAC, The National
Question, cit., pp. 123-125; D. STANKOVIC, Nikola Pašic, cit., vol. II, pp. 181-183; J. ADLER,
L’union forcée, cit., pp. 103-104.
(77) B. MUSSOLINI, Il patto di Corfù, in «Il Popolo d’Italia», 7 agosto 1917, poi in Opera
omnia di Benito Mussolini, cit., vol. IX, pp. 104-109. La «voluta esclusione» dell’Italia tra i Paesi
«campioni della democrazia e della libertà dei popoli» venne sottolineata anche da Sforza in
un colloquio con Momcilo Nincic, ministro degli Affari Esteri ad interim del governo serbo in
esilio: Sforza a Sonnino, Corfù, 24 luglio 1914, in DDI, Serie V, vol. VIII, D. 720. Sulle rea-
zioni dell’opinione pubblica italiana al patto di Corfù, si veda: R. VIVARELLI, Storia delle origini
del fascismo, cit., pp. 190-195.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 25

che nel 1915, intervenendo, capovolse la situazione in quanto determinò la


non-vittoria degli imperi centrali e quindi la possibilità della resurrezione della
Serbia di ieri?

Per Mussolini, quanto era accaduto a Corfù aveva una grande importanza,
perché non si era di fronte soltanto a una tendenza o a una volontà, ma si
trattava ormai di un dato concreto:

[...] il governo responsabile di Pasic – sottolineava(78) - non aveva mai


dato un’adesione formale e aperta alla propaganda per la costituzione del
nuovo stato. [...] Ma il 20 luglio [ Pašic] ha apposto la sua firma in calce
al documento di Corfù e precisamente nella sua qualità di presidente del
consiglio dei ministri di Serbia, per la qual cosa il documento stesso acqui-
sta il valore di una decisione «ufficiale» del governo serbo.

Ancora una volta, l’ex leader socialista precisò di non essere preoccupato
per l’eventuale creazione di una «nuova potenza politica slava», alla cui affer-
mazione anzi guardava «con simpatia». Tuttavia, erano le rivendicazioni terri-
toriali del futuro Regno e l’adesione ufficiale al programma imperialistico degli
esuli jugoslavi da parte del governo serbo a provocare la sua «inquietudine»,
perché rendevano assai difficile «una cordiale e profonda amicizia fra Italiani
e Jugoslavi»:

Col patto di Corfù – concludeva Mussolini(79) - la Serbia ha perduto


un’occasione solenne per stendere la mano all’Italia. Era nell’interesse soprat-
tutto della Serbia di consegnare in un documento ufficiale destinato al grande
pubblico la sua volontà di conciliazione verso l’Italia.

L’irrigidimento nei confronti del movimento jugoslavo non fu un dato carat-


teristico soltanto del politico romagnolo, ma rappresentò un atteggiamento
comune a molti esponenti dell’interventismo democratico. Alla fine di maggio
del 1916, anche Andrea Torre dalle pagine del «Corriere della Sera» lamen-
tava che la propaganda del Comitato jugoslavo aveva oltrepassato «i limiti di
un programma che avrebbe dovuto tener conto di ragioni storiche, geografi-

(78) B. MUSSOLINI, Il patto di Corfù, cit.


(79) Ibidem. La totale assenza, nel testo siglato a Corfù, di riferimenti a eventuali intese
politiche e territoriali con l’Italia fu oggetto di discussione tra Sonnino e Pašic il 10 settembre
1917; si veda: S. SONNINO, Diario 1916-1922, cit., pp. 190-193.
26 Massimo Bucarelli

che, politiche, militari e economiche del regime adriatico fondato su duraturi


pacifici rapporti fra italiani e slavi»:

La propaganda dei patrioti serbi e croati - scriveva il deputato di


Torchiara(80) - ha, nei paesi alleati, a Pietrogrado, a Londra, a Parigi, pre-
sentato la questione adriatica in una forma che urta contro i sentimenti e
gli interessi italiani, che non è fatta certo per coltivare nel momento attuale
nuove simpatie per la causa jugo-slava nel nostro paese.

Pur ammirando «l’attività, l’ardore, l’energia e le fede» degli esuli jugos-


lavi, non poteva approvarne le aspirazioni territoriali:

[...] le aspirazioni che essi non tacciono – proseguiva(81) - e le conse-


guenze che derivano dai loro principi, finiscono per la parte che ci riguarda
a contrastare e offendere il programma italiano, il programma riguardante
l’Adriatico che è stato la causa più impellente del nostro intervento nella guerra
europea. L’unità jugoslava [...] non solo esclude l’Italia da ogni parte della
Dalmazia, anche da quella più italiana per tradizioni, per civiltà e per anima,
ma la esclude da quasi tutta l’Istria e da Trieste, dalle isole del Quarnaro,
da tutte le isole della Dalmazia ed estende le proprie pretese fino alle porte
di Udine.

Anche Torre era preoccupato soprattutto per il grande aiuto, che il movi-
mento jugoslavo riceveva «da eminenti pubblicisti professori e studiosi
d’Inghilterra e di Francia»; per questo auspicava una reazione da parte dell’Italia
nei confronti della propaganda jugoslavofila condotta in quegli ambienti(82):

Una giusta reazione è necessaria da parte nostra contro le stravaganze


della tesi jugo-slava, contro l’imperialismo etnografico e storico oltre che poli-
tico con cui questi pubblicisti inglesi e francesi giudicano dell’assetto
dell’Adriatico.

(80) ANDREA TORRE, L’Italia e il programma jugoslavo, in «Corriere della Sera», 27 maggio
1916. L’articolo di Torre diede luogo a una polemica, pur amichevole e «cortese», con Wickham
Steed; si vedano: A. TAMBORRA, L’idea di nazionalità, cit., pp. 258-259; G. D’ANIELLO, Andrea
Torre, protagonista del patto di Roma dell’aprile 1918, in Relazioni internazionali. Scritti in onore
di Giuseppe Vedovato, Firenze-Roma, Biblioteca della «Rivista di Studi Politici Internazionali»,
1997, estratto, pp. 2-9.
(81) A. TORRE, L’Italia e il programma jugoslavo, cit.
(82) Ibidem
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 27

Lo stesso Salvemini non rimase indifferente né di fronte alle pubblicazioni


antitaliane degli esuli jugoslavi, né di fronte all’atteggiamento di quanti, come
Steed e Seton-Watson, ne fiancheggiavano l’azione condannando apertamente
il nazionalismo italiano, senza però essere pronti a fare lo stesso nei riguardi
degli eccessi della propaganda jugoslava. Il 9 settembre 1916 lo storico pugliese
scrisse a Lazar Markovic, direttore de «La Serbie», una rivista edita a Ginevra
da alcuni esuli serbi e finanziata dal governo di Belgrado, per segnalargli
alcune inesattezze pubblicate sulle sue pagine. Nel numero di luglio erano stati
criticati alcuni scritti in favore dell’italianità della Dalmazia apparsi su «L’Azione
socialista», l’organo dei socialisti riformisti, il cui leader Bissolati – così lasciava
intendere l’articolista di «La Serbie» - si era avvicinato alle posizioni dei nazio-
nalisti dopo l’ingresso nel governo Boselli nel giugno 1916 in qualità di mini-
stro senza portafoglio. Salvemini faceva presente che sul periodico dei socia-
listi riformisti erano stati pubblicati anche altri interventi del tutto contrari al
possesso italiano della costa dalmata. La redazione di «L’Azione socialista» si
era poi schierata con queste ultime tesi, chiarendo che le opinioni contrarie,
esposte sullo stesso giornale, all’interno di articoli personali e firmati, non rispec-
chiavano le posizioni della grande maggioranza del partito. Né a Bissolati
poteva essere rivolta «gratuitamente» l’accusa di aver mutato parere sull’at-
tribuzione alla Serbia della Dalmazia, perché il politico di Cremona era rima-
sto fermo alle posizioni dell’autunno 1914:

La verità è – precisava Salvemini(83) - che in Italia esiste un gruppo di


imperialisti, che aspirano alla Dalmazia, come tra gli jugoslavi i nazionalisti
estremisti pretendono Trieste, Gorizia, Pola, e persino Udine. Iliacos intra
muros peccatur et extra.

(83) Salvemini al direttore de «La Serbie», Marina di Massa, 9 settembre 1916, in G.


SALVEMINI, Carteggio 1914-1920, cit., D. 280. La lettera venne pubblicata il 24 settembre 1916
sulla «Serbie» e successivamente dallo stesso Salvemini in G. SALVEMINI, Dal patto di Londra
alla pace di Roma, Torino, Piero Gobetti Editore, 1925, pp. 29-32 (poi anche in Opere di Gaetano
Salvemini, III, Scritti di politica estera, vol. II, Dalla guerra mondiale alla dittatura 1916-1925,
a cura di C. Pischedda, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 15-17). Critico nei confronti delle pub-
blicazioni della «Serbie», anche un articolo di Salvemini su «L’Unità» del 25 giugno 1917 inti-
tolato Serbia e Albania (poi in G. SALVEMINI, Dal patto di Londra alla pace di Roma, cit., pp.
46-50; successivamente in Opere di Gaetano Salvemini, III, Scritti di politica estera, vol. II, Dalla
guerra mondiale alla dittatura 1916-1925, cit., pp. 83-85). Sulla polemica tra lo storico pugliese
e la rivista ginevrina, si vedano: E. TAGLIACOZZO, Gaetano Salvemini, cit., pp. 198-199; A.
TAMBORRA, L’idea di nazionalità, cit., p. 262; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria,
cit., p. 283.
28 Massimo Bucarelli

Tuttavia, in Italia gli estremisti incontravano una opposizione sicuramente


«più energica», mentre i rappresentanti del movimento jugoslavo sembravano
non volere o non essere in grado di prendere le distanze dagli eccessi dei loro
nazionalisti:
[...] bisognerebbe – concludeva la lettera(84) - che il partito moderato
serbo e il partito moderato italiano raggiungessero un’intesa per un’azione
comune. Le informazioni inesatte come quelle pubblicate dalla «La Serbie»
del 9 luglio non possono servire che a un solo scopo: rendere tale azione
comune impossibile, facendo credere ai Serbi che tutti gli italiani hanno per-
duto la testa, paralizzando l’azione del partito moderato serbo e causando
come contraccolpo un indebolimento della corrente moderata italiana a van-
taggio dei maneggi imperialisti.

Pochi mesi dopo, nel febbraio 1917, Salvemini declinò l’invito a collabo-
rare alla rivista «The New Europe», rivoltogli da Seton-Watson(85). Lo sto-
rico di Molfetta sottolineò nuovamente la completa assenza all’interno del
movimento jugoslavo, sia di voci critiche nei confronti dei nazionalisti slavi,
sia di chiare e nette prese di posizione a favore di un compromesso adriatico,
in cui alla rinuncia italiana alla Dalmazia corrispondesse quella slava a Gorizia,
a Trieste e all’Istria occidentale. «Questa assenza di coraggio civile da parte
dei pubblicisti slavi e in generale di tutta la stampa slavofila» rendeva infini-
tamente difficile l’azione di quanti in Italia combattevano apertamente ogni
estremismo, dichiaravano inique e pericolose le pretese italiane su Spalato, su
Sebenico e su tutte le isole dalmatiche, e insistevano sulla necessità di un’in-
tesa italo-slava(86).
Salvemini si lamentò anche per l’atteggiamento assunto dai pubblicisti fran-
cesi e inglesi, il cui modo di affrontare il problema dei rapporti italo-slavi deno-
tava uno spirito partigiano del tutto favorevole alla causa jugoslava:
Combattono – e con ragione - sottolineava lo storico italiano(87) – le
pretese degli imperialisti italiani, ma mai muovono obiezioni nette contro le

(84) Salvemini al direttore de «La Serbie», cit.


(85) Seton-Watson a Salvemini, Londra, 20 gennaio 1917, in R. W. Seton-Watson and the
Yugoslavs, cit., D. 192.
(86) Salvemini a Seton-Watson, Firenze, 10 febbraio 1917, in G. SALVEMINI, Carteggio 1914-
1920, cit., D. 302. Sull’episodio, si vedano: L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria,
cit., p. 329, nota n. 111; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 217-220.
(87) Salvemini a Seton-Watson, Firenze, 10 febbraio 1917, cit. Salvemini espresse anche pub-
blicamente il suo disappunto nei confronti della propaganda jugoslava, auspicando una con-
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 29

pretese slave, anche su Trieste o l’Istria; è una specie di tacito consenso alle
follie dell’imperialismo slavo, che sminuisce particolarmente l’autorità e la
moralità dei rimproveri rivolti all’imperialismo italiano.

Anche la rivista diretta da Seton-Watson, pur riconoscendo la necessità


di un compromesso tra le aspirazioni italiane e quelle slave, non era esente
da tale mancanza di equanimità nel giudicare gli eccessi della propaganda jugos-
lava e di quella italiana. A detta di Salvemini, le pubblicazioni della «New
Europe» sembravano ignorare l’esistenza delle pretese imperialistiche slave e,
soprattutto, sembravano non accorgersi dell’opposizione incontrata all’interno
del movimento jugoslavo anche dal programma moderato italiano. Era per que-
sto, per non dare l’impressione di intransigenza con gli estremisti italiani e di
debolezza con quelli slavi, che lo storico pugliese decise di non accettare di
entrare a far parte dei collaboratori della rivista britannica(88).

Gli interventisti democratici, tra la fine del 1915 e la prima metà del 1917,
si trovarono in una posizione di grande difficoltà, una sorta di «cul di sacco»,
come osservò lo stesso Salvemini(89). Mentre in Italia cercavano con scarso
successo di orientare l’opinione pubblica in senso favorevole al compromesso
con gli Slavi del sud, impegnandosi a fondo nel controbattere le tesi della «pro-
paganda slavofoba e dalmatone» dei nazionalisti(90), all’estero non riuscivano
a trovare referenti autorevoli e rappresentativi con cui poter dialogare e col-
laborare, né all’interno del movimento jugoslavo(91), né in quegli ambienti intel-
lettuali francesi e inglesi, che, amici degli Jugoslavi, ma soprattutto alleati degli
Italiani, avrebbero potuto sicuramente contribuire al chiarimento e all’avvici-
namento tra i moderati dei due schieramenti.«Se per fare la guerra è suffi-

tropropaganda da parte italiana; si veda: Salviamo l’Istria, in «L’Unita», 19 luglio 1917, poi in
G. SALVEMINI, Dal patto di Londra alla pace di Roma, cit., pp. 51-61 (successivamente in Opere
di Gaetano Salvemini, III, Scritti di politica estera, vol. II, cit., pp. 85-91).
(88) Salvemini a Seton-Watson, Firenze, 10 febbraio 1917, cit.
(89) Salvemini a Zanotti-Bianco, Firenze, 7 aprile 1916, in G. SALVEMINI, Carteggio 1914-
1920, cit., D. 259. Sulla crisi dell’interventismo democratico, si vedano: G. SALVEMINI, La diplo-
mazia italiana nella grande guerra, in ID., Dal patto di Londra alla pace di Roma, cit., pp.
LXVIII-LXIX (poi in Opere di Gaetano Salvemini, III, Scritti di politica estera, vol. II, cit., pp.
726-760); R. COLAPIETRA, Leonida Bissolati, cit., pp. 240-249; R. DE FELICE, Mussolini il rivo-
luzionario, cit., pp. 331 ss.; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 147-153.
(90) G. SALVEMINI, La diplomazia italiana nella grande guerra, cit., p. LXIX.
(91) Salvemini ad Arcangelo Ghisleri, Firenze, 13 dicembre 1917, in G. SALVEMINI, Carteggio
1914-1920, cit., D. 344.
30 Massimo Bucarelli

ciente la volontà di una sola parte» - faceva notare Salvemini a Seton-Watson(92)


– la pace esige il consenso reciproco». Consenso reciproco che non era pos-
sibile ottenere in assenza di una controparte disposta a criticare gli eccessi degli
imperialisti jugoslavi e a farsi carico di alcune rinunce territoriali.
L’impossibilità di presentarsi di fronte al pubblico italiano con un’intesa
di massima sul futuro assetto adriatico rendeva la posizione dell’ala democra-
tica dell’interventismo, già minoritaria all’interno del mondo politico italiano,
ancora più debole. La maggioranza dell’opinione pubblica era disorientata e
sconcertata dalle rivendicazioni degli Jugoslavi su Gorizia, Trieste e tutta
l’Istria; difficilmente, quindi, poteva accettare l’idea stessa della conciliazione
adriatica propugnata dai democratici, perché sembrava comportare delle rinunce
solo da parte italiana a tutto vantaggio di vicini ostili e intransigenti. Lo stesso
«Corriere della Sera», il quotidiano più diffuso e più influente nella vita poli-
tica italiana, espressione soprattutto degli ambienti liberali e moderati, che pure
aveva partecipato attivamente al movimento interventista, nei primi due anni
di guerra non prese posizione in merito a un eventuale compromesso con gli
Jugoslavi, a riprova dell’estrema difficoltà nell’introdurre certi temi all’interno
del dibattito politico italiano(93).
Impegnati in Italia nelle polemiche quotidiane contro i nazionalisti(94), poco
influenti sull’attività parlamentare e di governo, con scarso seguito tra l’opi-
nione pubblica sensibile più al problema della sicurezza dei confini e del
pieno controllo dell’Adriatico, che a quello della conciliazione italo-slava(95),
senza sponde esterne né tra i liberal britannici, né tra i leader jugoslavi, gli
esponenti dell’interventismo democratico cercarono di uscire dalla posizione
di isolamento e di parziale marginalità in cui si erano venuti a trovare. Bissolati
irrigidì la propria posizione all’interno della compagine ministeriale nella spe-

(92) Salvemini a Seton-Watson, Firenze, 10 febbraio 1917, cit.


(93) L. ALBERTINI, Venti anni, cit., Parte II, vol. II, p. 531. Anche: O. BARIÉ, L. Albertini,
Torino, UTET, 1972, pp. 544-545. Del silenzio iniziale del «Corriere della Sera», si lamentò
Salvemini: Salvemini a Luigi Albertini, Roma, 6 agosto 1917, in G. SALVEMINI, Carteggio 1914-
1920, cit., D. 322 (la lettera era stata precedentemente pubblicata in L. ALBERTINI, Epistolario,
cit., vol. II, D. 671).
(94) G. SALVEMINI, Interventismo nazionalista e interventismo democratico, in «L’Unita», 2
marzo 1917, poi in Opere di Gaetano Salvemini, III, Scritti di politica estera, vol. II, cit., pp.
51-54.
(95) Sonnino a Imperiali, Tittoni e Carlotti, Roma, 11 luglio e 3 agosto 1915, in DDI, Serie
V, vol. IV, DD. 400 e 517. Anche: L. ALBERTINI, Venti anni, cit., Parte II, vol. III, p. 369.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 31

ranza di avere maggior peso nelle decisioni di governo, arrivando a scontrarsi


in più di un’occasione con il responsabile della Consulta, Sonnino(96). Salvemini
si impegnò ancora più a fondo nella polemica adriatica, intervenendo quasi
quotidianamente sull’argomento e dando vita a nuove iniziative editoriali come
la ripresa delle pubblicazioni di «L’Unità» nel dicembre 1916 e il completa-
mento del volume La questione dell’Adriatico realizzato in collaborazione con
il geografo Carlo Maranelli(97). Tuttavia, né il politico di Cremona, né lo sto-
rico pugliese, pur rendendosi conto della necessità di allargare il consenso del-
l’opinione pubblica nei confronti della loro politica, decamparono dalla ferma
convinzione che il compromesso italo-slavo, basato sulla rinuncia italiana alla
Dalmazia e su quella slava all’Istria, fosse necessario.
Diversa fu la reazione di Mussolini, che – come abbiamo visto – fece sue
alcune rivendicazioni dei nazionalisti, mostrandosi meno disponibile con gli
Jugoslavi. La diversità di atteggiamento del politico romagnolo rispecchiava la
diversità dei suoi obiettivi di fondo. Lo scopo di Salvemini e Bissolati era l’af-
fermazione e la diffusione all’interno della società italiana dei principi alla base
dell’interventismo democratico: convincere l’opinione pubblica che la guerra
combattuta dall’Italia insieme all’Intesa non doveva essere una guerra di con-
quista, ma una guerra di liberazione delle nazionalità oppresse; una grande
battaglia contro gli imperi autocratici e contro il militarismo prussiano, per la
realizzazione di un assetto europeo stabile e duraturo, fondato sul principio
di nazionalità e sulla giustizia internazionale(98). Come scrisse poi Salvemini,
ciò che gli importava non era ottenere risultati concreti, ma «creare in Italia
qualche migliaio di uomini politici intelligenti»(99).
Gli obiettivi di Mussolini erano molto più circoscritti e limitati: l’affer-
mazione politica personale e la ricerca del consenso più ampio possibile.
Questa era l’interpretazione che alcuni interventisti democratici vicini a Salvemini
(come Ugo Guido Mondolfo, Giustino Fortunato e Giovanni Malvezzi, che

(96) R. COLAPIETRA, Leonida Bissolati, cit., pp. 236 ss.; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-
Ungheria, cit., pp. 265 ss.; R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 332-335; R.
VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 146-147.
(97) E. TAGLIACOZZO, Gaetano Salvemini, cit., pp. 182 ss.
(98) L. BISSOLATI, Commemorazione di Cesare Battisti, Cremona, 29 ottobre 1916, in La poli-
tica estera italiana dal 1897 al 1920, cit., pp. 358-372; G. SALVEMINI, La diplomazia italiana nella
grande guerra, cit., pp. XIX-XXXI.
(99) Salvemini a Rota, Parigi, 5 settembre 1921, in G. SALVEMINI, Carteggio 1921-1926, a
cura di E. Tagliacozzo, Bari, Laterza, 1985, D. 22.
32 Massimo Bucarelli

definì Mussolini «uno degli infiniti arrivisti della nostra democrazia100), ave-
vano dato del suo repentino passaggio dalla formula della neutralità assoluta,
che avrebbe finito per metterlo in un vicolo cieco, all’interventismo(101). Fu
del resto lo stesso Mussolini a indicare nella mobilità delle idee, delle con-
vinzioni e delle opinioni, la sua «metodologia politica»(102). Spinto dal pro-
posito di non essere mai superato dagli avvenimenti, ben attento a non rima-
nere legato alla fazione perdente e intento soltanto a restare sulla cresta
dell’onda, Mussolini – come è stato osservato(103) – mirava solo a servirsi del
proprio fiuto politico «per secondare gli umori del pubblico» e «stabilire con
esso un rapporto di simpatia», fomentandone gli animi o esasperandone i
risentimenti, sino a raggiungere la popolarità, «grazie alla quale aprirsi in un
secondo tempo la strada per il potere».
È in questo contesto che maturarono le concessioni fatte negli scritti del
1916-1917 ad alcune tesi dei nazionalisti in merito alla questione adriatica. Non
per convinzioni politiche e ideologiche, ma per opportunismo alla luce della
sensibilità mostrata dall’opinione pubblica italiana sui temi adriatici e balca-
nici e, soprattutto, alla luce delle difficoltà incontrate dall’interventismo demo-
cratico. Il politico romagnolo era evidentemente timoroso di essere scavalcato
dalla campagna nazionalista e di apparire, come si incominciava a dire, «un
rinunciatario»(104). Mussolini, pur continuando a presentarsi come «mediatore»
tra gli estremisti slavi e quelli italiani(105) e pur ribadendo la propria simpa-
tia nei confronti della causa jugoslava, nel rivendicare buona parte della
Dalmazia si era nei fatti avvicinato alle posizioni dei nazionalisti, perché,
rispetto ai democratici, sembravano avere maggiore presa tra l’opinione pub-
blica italiana(106).

(100) Giovanni Malvezzi a Salvemini, s. l., 23 e 26 ottobre 1914; Ugo Guido Mondolfo a
Salvemini, Milano, 10 novembre 1914; Giustino Fortunato a Salvemini, Rionero, 13 novembre
1914, in G. SALVEMINI, Carteggio 1914-1920, cit., DD. 62, 65, 77 e 84.
(101) Su questo, si vedano le considerazioni in R. VIVARELLI, Storia delle origini del fasci-
smo, cit., pp. 264-265.
(102) B. MUSSOLINI, Divagazione, in «Il popolo d’Italia», 11 agosto 1918, poi in Opera omnia
di Benito Mussolini, cit., vol. XI, pp. 270-272.
(103) R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 299-301.
(104) R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 344-345.
(105) Ib.
(106) Si vedano in proposito le considerazioni di Luigi Albertini in: L. ALBERTINI, Venti anni,
cit., Parte II, vol. III, pp. 369-370.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 33

4. «Generosi, si, ma minchioni, no»: per la politica delle nazionalità


e per la difesa del patto di Londra

Nonostante le molte contraddizioni presenti negli interventi di Mussolini


sulla questione adriatica, durante l’ultimo anno di guerra il politico romagnolo
partecipò attivamente a tutte le maggiori iniziative dell’interventismo liberale
e democratico. Il direttore de «Il Popolo d’Italia» si impegnò a fondo nella
campagna lanciata dal gruppo del «Corriere della Sera» per la dissoluzione
dell’Impero austro-ungarico e per l’affermazione del principio di nazionalità;
affermazione che, secondo i promotori dell’iniziativa, rendendo liberi e indi-
pendenti i popoli oppressi dai governi di Vienna e Budapest, avrebbe elimi-
nato il maggiore alleato della Germania e avrebbe contribuito in maniera
determinante alla vittoria dell’Intesa(107).
Il programma della «delenda Austria» e della politica delle nazionalità era
già stato avanzato pubblicamente da Bissolati nell’autunno 1916 ed era stato
successivamente ripreso da Salvemini(108). Tuttavia, furono gli avvenimenti del
1917 (il crollo del regime zarista e il progressivo venir meno della partecipa-
zione russa alla guerra; l’ingresso nel conflitto degli Stati Uniti d’America
come associato e non come alleato dell’Intesa, non vincolato, quindi, alle con-
dizioni stabilite nel patto di Londra; l’accordo di Corfù e le difficoltà militari
italiane culminate nella disfatta di Caporetto) a indurre il direttore del «Corriere
della Sera», Luigi Albertini, e i suoi più stretti collaboratori a farsi strenui soste-
nitori dell’indipendenza delle nazioni soggette all’Impero asburgico. Iniziatrice
e principale esecutrice della politica delle nazionalità doveva essere l’Italia, che
avrebbe dovuto mettersi alla guida di un grande movimento per la liberazione
non solo degli Italiani, ma anche dei Cechi, degli Slovacchi, dei Polacchi, degli
Jugoslavi e dei Rumeni(109). Naturalmente, per poter assumere la leadership
tra i popoli dell’Europa danubiana e balcanica, si rendeva necessario il com-

(107) Sull’azione del gruppo del «Corriere della Sera» per lo smembramento dell’Impero
asburgico e per l’attuazione della politica delle nazionalità, si vedano: L. ALBERTINI, Venti anni,
cit., Parte II, vol. II, pp. 526 ss.; vol. III, pp. 233 ss.; A. TAMBORRA, L’idea di nazionalità, cit.,
pp. 227 ss.; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 372 ss.; O. BARIÉ, L.
Albertini, cit., pp. 340 ss.; L. MONZALI, Albertini, la guerra mondiale e la crisi del dopoguerra,
in L. ALBERTINI, I giorni di un liberale. Diari 1917-1925, Bologna, Il Mulino, 2000, pp. 155 ss.
(108) L. BISSOLATI, Commemorazione di Cesare Battisti, cit., pp. 370-371; R. COLAPIETRA,
Leonida Bissolati, cit., pp. 234-236; E. TAGLIACOZZO, Gaetano Salvemini, cit., pp. 180-182.
(109) L. ALBERTINI, Venti anni, cit., Parte II, vol. II, pp. 533-534.
34 Massimo Bucarelli

promesso tra le aspirazioni italiani e quelle jugoslave nell’Adriatico. A tal fine,


Albertini incoraggiò l’avvio di contatti ufficiosi tra esponenti italiani e jugos-
lavi, che portarono alla conclusione di un’intesa di massima firmata a Londra
il 7 marzo 1918 da Trumbic e da Andrea Torre (in rappresentanza, quest’ul-
timo, di un comitato esecutivo istituito su proposta del direttore del «Corriere
della sera» e composto da parlamentari, intellettuali e pubblicisti di tutte le
forze interventiste, sia democratiche, che nazionaliste). Nell’accordo venivano
indicati alcuni principi generali per l’affermazione dell’idea di nazionalità e,
soprattutto, per la risoluzione delle controversie politiche e territoriali tra
Italiani e Jugoslavi(110). È noto che l’azione politica e propagandistica di
Albertini e del «Corriere della sera» culminò nell’organizzazione di un grande
convegno, a cui parteciparono i rappresentanti dei popoli sottoposti al domi-
nio dell’Impero asburgico. Il «Congresso delle nazionalità oppresse dall’Austria-
Ungheria» si tenne a Roma tra l’8 e il 10 aprile del 1918 ed ebbe come risul-
tato l’adozione di una risoluzione che ricalcava sostanzialmente l’accordo
Torre- Trumbic. Tutte le delegazioni presenti riconoscevano il diritto impre-
scrittibile di ciascun popolo alla piena indipendenza politica ed economica e
si impegnavano, per conto dei propri gruppi nazionali, «ad aiutarsi a vicenda
nella lotta contro il comune oppressore» austro-ungarico» fino alla loro com-
pleta liberazione e al raggiungimento dell’unità nazionale. Inoltre, i rappre-
sentanti italiani e quelli jugoslavi convenivano che l’unità e l’indipendenza
della nazione jugoslava era interesse «vitale» dell’Italia, così come il comple-
tamento dell’unità nazionale dell’Italia era un interesse altrettanto «vitale»
della nazione jugoslava; e si impegnavano a risolvere amichevolmente le sin-

(110) I primi contatti ufficiosi avvennero a Londra nel dicembre 1917, tra l’addetto mili-
tare italiano, il colonnello Mola, e Trumbic, alla presenza di Steed, Seton-Watson e Guglielmo
Emanuel, inviato del «Corriere della Sera»; seguì, poi, un incontro del presidente del Consiglio
italiano, Vittorio Emanuele Orlando, in visita a Londra nel gennaio 1918, con il presidente del
Comitato jugoslavo; infine, nel marzo dello stesso anno si svolsero le conversazioni Torre-
Trumbic, che portarono all’intesa di massima tra il parlamentare italiano e il leader del movi-
mento jugoslavo. Su tutto questo, si vedano: Emanuel a Luigi Albertini, Londra, 21 e 27 gen-
naio, e 7 marzo 1918, in L. ALBERTINI, Epistolario, cit., vol. II, DD. 790, 794 e 811; H. W.
STEED, Through Thirty Years, cit., pp.478-491; S. CRESPI, Alla difesa dell’Italia in guerra e a
Versailles, Milano, Mondadori, 1937, pp. 40-41; L. ALBERTINI, Venti anni, cit., Parte II, vol. III,
pp. 253-269; O. MALAGODI, Conversazioni della guerra (1914-1918), a cura di B. Vigezzi, Milano
– Napoli, Ricciardi, 1960, vol. II, pp. 274-275; A. TAMBORRA, L’idea di nazionalità, cit., pp. 267-
276; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., pp. 380-393; H. e C. SETON-WATSON,
The Making of a New Europe, cit., pp. 239-251; G. D’ANIELLO, Andrea Torre, protagonista del
patto di Roma, cit., pp. 10-15.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 35

gole controversie territoriali sulla base dei principi di nazionalità, dell’auto-


determinazione dei popoli e del rispetto delle minoranze nazionali(111).

Mussolini appoggiò la campagna del «Corriere della sera» con numerosi


interventi sul proprio quotidiano e partecipò ai lavori del Congresso di Roma
come membro della delegazione italiana(112). Anche il direttore di «Il Popolo
d’Italia» riteneva lo smembramento dell’Austria-Ungheria fondamentale per la
vittoria finale dell’Intesa e individuava nella politica delle nazionalità, attuata
sotto la guida dell’Italia, lo strumento capace non solo di determinare tale dis-
soluzione, ma di realizzare un assetto postbellico stabile e duraturo:

L’Austria-Ungheria non si può far “saltare” dall’esterno - scriveva il 22


gennaio 1918(113) – battendo sulla sua corazza militare che è oramai ger-
manica [...] Per ottenere questo scopo – essenziale perché provocherebbe
immediatamente il crollo della potenza militare di Mitteleuropa – è neces-
sario “far leva” sulle nazionalità oppresse dell’interno [...] Il braccio di que-
sta leva deve essere l’Italia. L’Italia deve mettersi alla guida di tutti “gli irre-
denti” dell’Austria-Ungheria. L’Italia deve affratellare questi irredenti per
l’azione comune di oggi, che sarà una preparazione necessaria ed eccellente
alla pacifica convivenza di domani.

La fine dell’Impero asburgico costituiva la condizione fondamentale per


l’espansione economica e culturale nel Sud-est europeo. Secondo Mussolini,
che riprendeva la concezione di Bissolati dell’Italia come «potenza tutelatrice,

(111) Sul Congresso delle nazionalità oppresse dall’Austria-Ungheria, si vedano: G. AMENDOLA,


Il patto di Roma e la “Polemica”, in Il Patto di Roma, Roma, 1919, pp. 7-44; H. W. STEED,
Through Thirty Years, cit. (pp.506-507); L. ALBERTINI, Venti anni, cit., Parte II, vol. III, pp. 271-
278; A. TAMBORRA, L’idea di nazionalità, cit., pp. 227-232; L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-
Ungheria, cit., pp. 393-396; H. e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., pp.
259-271; G. D’ANIELLO, Andrea Torre, protagonista del patto di Roma, cit., pp. 16-21.
(112) B. MUSSOLINI, I popoli contro l’Austria-Ungheria; Discussioni; Problemi; Problemi del-
l’ora. L’intesa dei popoli contro l’Austria-Ungheria; Austria delenda; La tirannia asburgica. «I germi
da soffocare»; Dopo il discorso. Interpretate signori!; La politica di Lang, no!; L’adunata di Roma;
Durante il convegno. Battuta polemica; Dopo il convegno; in «Il popolo d’Italia», 17, 22, 24 e
30 gennaio; 3, 14 e 18 febbraio; 7, 11 e 12 aprile 1918; ripubblicati poi in Opera omnia di
Benito Mussolini, cit., vol. X, pp. 243-245, pp. 261-265, pp. 267-269, pp. 276-279, pp. 283-
285, pp. 293-295, pp. 323-325, pp. 332-335, e pp. 432-444. Si vedano, inoltre: L. ALBERTINI,
Venti anni, cit., Parte II, vol. III, pp. 243-244, e pp. 273-274; R. DE FELICE, Mussolini il rivo-
luzionario, cit., pp. 400-402.
(113) B. MUSSOLINI, Discussioni, cit.
36 Massimo Bucarelli

liberamente egemonica» dei popoli dell’Europa orientale(114), era nei Balcani


che Roma aveva le capacità e il dovere di «inorientarsi»(115):

L’Italia che si mette alla testa delle nazionalità anti-austriache, è impe-


riale – scriveva alla vigilia del Congresso di Roma(116) - L’impero non si attua
soltanto colla dilatazione territoriale delle frontiere, ma si attua, e vorremmo
dire quasi soprattutto, colla estensione del prestigio morale e politico della
Nazione. [...] Rendere oggi popolare il nome e la guerra dell’Italia fra i trenta
milioni di slavi che vengono a noi, cioè all’unica nazione armata che spo-
sando la loro causa sia in grado di spezzare le loro catene [...] significa garan-
tirci meglio per il futuro da possibili nuove aggressioni del pangermanesimo;
significa creare vaste sfere d’influenza politica e morale, per cui l’Italia terrà
degnamente il suo posto, fra le poche nazioni “direttrici” della civiltà euro-
pea e mondiale di domani. Né ci sembra necessario aggiungere che queste
sfere d’influenza morale e politica, questo che si potrebbe chiamare espan-
sionismo spirituale, preparerà, faciliterà, l’espansionismo economico, per il
quale è pronta a sostituire i tedeschi in tutti i mercati balcanici, la giovane,
ma già gagliarda e potente industria italiana.

Anche Mussolini si rendeva perfettamente conto della necessità di com-


porre preliminarmente il dissidio italo-jugoslavo per rendere possibile e cre-
dibile la leadership italiana presso i popoli dell’Europa danubiano-balcanica.
Il politico romagnolo tornò a sostenere, con maggiore forza rispetto al pas-
sato, il raggiungimento di un accordo totale e di una «intimità fraterna» con
gli Slavi del sud, condizioni indispensabili per la vittoria contro l’Impero
asburgico e per il compimento tanto dell’unità jugoslava, quanto delle riven-
dicazioni italiane(117): “[...] è politica saggia e lungimirante – affermava nel-
l’aprile del 1918(118) - tentare le vie della conciliazione, poiché, oggi, i valori
morali hanno una quotazione più alta dei valori materiali”.
Tuttavia, Mussolini, a differenza di Salvemini e in parte di Albertini, con-
tinuava a reclamare per l’Italia un tratto della Dalmazia: non più tutta la costa
fino alla Narenta, come aveva scritto nell’autunno del 1916, ma il litorale da
Zara a Traù/Trogir, vale a dire quella parte che il patto di Londra assegnava

(114) L. BISSOLATI, L’Italia e gli Stati balcanici, cit., p. 332 Si veda anche: R. COLAPIETRA,
Leonida Bissolati, cit., pp. 215-216.
(115) B. MUSSOLINI, Durante il convegno. Battuta polemica, cit.
(116) ID., L’adunata di Roma, cit.
(117) ID., I popoli contro l’Austria-Ungheria, cit.
(118) ID., L’adunata di Roma, cit.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 37

all’Italia(119), con l’aggiunta, ormai diventata imprescindibile, di Fiume. Solo


così l’Adriatico sarebbe diventato «un mare italo-jugoslavo», dal punto di
vista commerciale, e italiano da quello militare. Per il direttore di «Il Popolo
d’Italia», l’assetto previsto dal patto di Londra costituiva un’equa transazione
tra le aspirazioni italiane e quelle jugoslave, perché lasciava una «finestra
marittima» ai Croati lungo il litorale della Morlacca e ai Serbi nel tratto di
costa da Trogir in giù, sino all’Albania. Ai sacrifici slavi a Zara e a Sebenico,
sarebbero corrisposti quelli italiani a Spalato e a Dubrovnik(120). Contrariamente
a quanto aveva sostenuto nella primavera del 1915, allorché scrisse che non
era necessaria la conquista politica e militare della Dalmazia per salvaguardare
l’italianità della regione, ora, nel 1918, dopo tre anni di guerra e dopo le tante
polemiche adriatiche, secondo Mussolini, abbandonare al proprio destino la
«valorosa popolazione del litorale dalmata» sarebbe stato un grave errore:
Ciò ch’è serbo sia dei serbi, - precisava sempre nell’intervento del 22
gennaio(121) - ciò ch’è sloveno sia degli sloveni, ciò ch’è croato sia dei croati;
e se questi tre popoli riunendosi insieme vogliono poi associarsi coi serbi e
coi montenegrini, noi non abbiamo nulla in contrario; ma Gorizia, ma Trieste,
ma Fiume, ma Zara, che sono italiane, italiane devono diventare se si vuole
rispettare il «principio di nazionalità» per tutti i popoli

Fu lui stesso a spiegare pubblicamente la sua posizione, rispondendo alle


critiche di Salvemini che gli rimproverava di non potere essere al tempo stesso
mazziniano e nazionalista, austrofobo e dalmatomane(122):

[...] ma dove l’amico Salvemini ha pescato che noi vogliamo la Dalmazia?


Noi non abbiamo mai sostenuto la tesi che il Salvemini chiama “imperiali-
sta”. Mai. Sia detto per la verità. In un primo tempo, e precisamente nel
novembre-dicembre 1916, abbiamo sostenuto questa tesi: Dalmazia, o meglio

(119) In realtà, come è noto, il patto di Londra assegnava all’Italia un tratto di costa che
andava da Zara a Capo Planka, poco più a nord di Trogir, esclusa dalle rivendicazioni italiane.
Si tratta, quindi, di un’approssimazione per eccesso da parte di Mussolini.
(120) ID., I popoli contro l’Austria-Ungheria, cit.; nello stesso senso anche: ID., Al cittadino Moutet,
e, Postille ai discorsi. Dov’è l’imperialismo, in «Il popolo d’Italia», 30 dicembre 1917 e 15 febbraio
1918, poi in Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. X, pp. 179-181, e pp. 327-329.
(121) ID., Discussioni, cit.
(122) Salvemini a Prezzolini, s.l. febbraio 1918, in G. SALVEMINI, Carteggio 1914-1920, cit.,
D. 354; G. SALVEMINI, Austria e Dalmazia, e, Il fronte unico morale, in «L’Unita», 17 gennaio
e 9 febbraio 1918, poi in ID., Dal patto di Londra alla pace di Roma, cit., pp. 109-114, e pp.
131-139 (successivamente anche in Opere di Gaetano Salvemini, III, Scritti di politica estera, vol.
II, cit., pp. 147-150, e pp. 166-168).
38 Massimo Bucarelli

litorale dalmata da Zara al Narenta. In seguito al patto di Londra(123), noi


ci siamo ralliés a questa tesi: litorale dalmata da Zara a Traù. Come si fa a
dire onestamente – e parliamo a un galantuomo – che questo significa pre-
tendere la Dalmazia, quando si rivendica il diritto dell’Italia su di una sola
città che è Zara, e su un tratto di costa che arriva, forse, ai 90 chilometri?(124)

Mussolini e il suo giornale affiancarono il gruppo del «Corriere della


sera» anche nelle violenta polemica antisonniniana dell’estate del 1918. Polemica
diretta a provocare la caduta del responsabile della Consulta, restio ad adot-
tare la politica delle nazionalità sancita dal Congresso di Roma e a fare della
dissoluzione dell’Austria-Ungheria uno degli scopi di guerra dell’Intesa; ma
soprattutto contrario a prendere impegni con gli Jugoslavi e con il governo
serbo, che potessero essere interpretati come un superamento o una revisione
del patto di Londra(125). Mussolini criticava Sonnino non per la «gelosa fedeltà
al patto di Londra», ma per il fatto di non agire conseguentemente ad esso e
di non adeguare i mezzi (la politica delle nazionalità e lo smembramento
dell’Impero asburgico) al fine (la realizzazione delle conquiste territoriali sta-
bilite nel patto)(126):

(123) Come è noto, in Russia alla fine del novembre 1917 i bolscevichi pubblicarono i testi
degli accordi segreti conclusi tra i paesi dell’Intesa, tra cui anche quello del patto di Londra.
La stampa inglese (per prima, nel gennaio 1918, la rivista di Steed e Seton-Watson) e quella
statunitense ripresero e diffusero immediatamente le rivelazioni dei bolscevichi, rendendole
note all’opinione pubblica occidentale. In Italia, fu l’on. Giuseppe Bevione, nella seduta par-
lamentare del 12 febbraio 1918, a far conoscere il contenuto del patto di Londra anche a chi
non l’aveva appreso dalla stampa straniera. Si vedano: Catalani a Sonnino, Pietrogrado, 28 novem-
bre 1917, in DDI, Serie, V, vol. IX, D. 577; M. TOSCANO, Storia dei trattati e politica interna-
zionale, Torino, Giappichelli, 1963 (2a ed. interamente rifatta), pp. 135 ss.; L. VALIANI, La dis-
soluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 436; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit.,
p. 198.
(124) B. MUSSOLINI, Discussioni, cit.
(125) Sulla polemica contro la politica di Sonnino condotta nell’estate del 1918 dal «Corriere
della Sera» e da «Il popolo d’Italia», insieme ad altri organi dell’interventismo liberale e demo-
cratico, si vedano: Amendola a Luigi Albertini, Roma, 24 e 27 agosto 1918, in L. ALBERTINI,
Epistolario, cit., vol. II, DD. 868 e 869; Bergamini a Sonnino, Roma, 19 agosto 1918; Sonnino
a Bergamini, Roma, 26 agosto, 1918, in S. SONNINO, Carteggio 1916-1922, a cura di P. PASTORELLI,
Bari, Laterza, 1975, DD. 326 e 330. Inoltre: L. ALBERTINI, Venti anni, cit., Parte II, vol. III, pp.
355 ss.; R. COLAPIETRA, Leonida Bissolati, cit., pp. 259-261; O. MALAGODI, Conversazioni della
guerra, cit., vol. II, pp. 374-380; O. BARIÉ, L. Albertini, cit., pp. 361-365; R. VIVARELLI, Storia
delle origini del fascismo, cit., pp. 224-232.
(126) B. MUSSOLINI, Nella pausa fra le battaglie. Discussioni attorno alla nostra politica estera.
Dati e fatti, e, La contraddizione, in «Il popolo d’Italia», in «Il popolo d’Italia», 21 e 23 ago-
sto 1918; nello stesso senso anche i precedenti articoli: Un documento, e, Politica estera. O con
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 39

Anche in questa occasione, il politico romagnolo si sforzò di non appa-


rire agli occhi dell’opinione pubblica come un «rinunciatario», tentando di rima-
nere in una posizione mediana tra i nazionalisti e gli interventisti democratici.
Da una parte, Mussolini si diceva convinto che la piena realizzazione del patto
di Londra, più Fiume, e la formazione di un grande Stato slavo del sud diret-
tamente confinante con l’Italia non fossero in antitesi e non impedissero la
conclusione di intese politiche, come quelle raggiunte dal Congresso di
Roma(127): non solo auspicava la stipulazione di un accordo territoriale con
gli Jugoslavi, ma invitava il governo italiano a patrocinare anche gli interessi
materiali e morali della Jugoslavia”(128). Dall’altra parte, egli continuava ad accu-
sare le forze jugoslave di essere non solo antiasburgiche, ma soprattutto anti-
taliane; chiedeva chiarimenti ai principali rappresentanti del movimento jugos-
lavo, in particolare ad Ante Trumbic, per le pubblicazioni e le dichiarazioni,
sempre più numerose, in cui si rivendicavano l’Istria e la Dalmazia(129); e rim-
proverava, infine, i «rinunciatari dalmatici, tipo Salvemini», per l’impostazione
data ai rapporti con gli Jugoslavi, perché le rinunce preventive spingevano i
dirigenti slavi ad aumentare le richieste, invece di indurli ad accettare un’e-
qua transazione(130):
Generosi, si, e lo siamo stati sempre e anche troppo, ma minchioni, no.
– rispondeva dalla pagine del suo quotidiano ad un articolo della rivista bri-
tannica, «Spectator», che chiedeva agli italiani di guardare al problema adria-
tico «con mente aperta e animo generoso» e di rinunciare all’annessione della
parte principale della Dalmazia e delle isole(131) – La nostra “cavalleria” non
può spingersi oltre un certo limite. Noi combattiamo per la libertà nostra e

Metternich o con Mazzini; ivi, 13 e 17 agosto 1918; successivamente tutti ripubblicati in Opera
omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XI, pp. 273-276, pp. 279-282, pp. 291-296 e pp. 298-302.
Sulla partecipazione di Mussolini alla campagna contro il responsabile della Consulta, si veda:
R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 401-402.
(127) Ibidem
(128) ID., In margine alla polemica; in «Il popolo d’Italia», 28 agosto, poi in Opera omnia
di Benito Mussolini, cit., vol. XI, pp. 312-315.
(129) Sulle rivendicazioni dei fuoriusciti jugoslavi e sulla posizione personale di Trumbic,
che tra le altre cose propose di fare di Trieste una città libera, si veda il colloquio del settem-
bre 1918 tra il presidente del Comitato jugoslavo e il ministro plenipotenziario italiano a Berna,
Paulucci de’ Calboli: Paulucci a Sonnino, Berna, 21 settembre 1918, in DDI, Serie VII, vol. XI,
D. 556.
(130) B. MUSSOLINI, In margine alla polemica, cit.
(131) ID., Politica estera. Opinioni inglesi, in «Il popolo d’Italia», 2 settembre 1918, poi in
Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XI, pp. 325-327.
40 Massimo Bucarelli

per quella di tutti i popoli, che sono come noi minacciati, e combattiamo quindi
anche per la libertà del popolo jugoslavo, ma sarebbe enorme fantastico
assurdo criminoso, che quattro anni di guerra, centinaia di migliaia di morti
e di stroncati, dovessero condurre al risultato di vedere i dodicimila croati –
importati – di Fiume, fare altrettanto coi ventiseimila italiani indigeni; e con
questo sistema vedere annientata per sempre l’italianità del mare dalmatico.

La polemica antisonniniana e la campagna del «Corriere della sera», di


«Il popolo d’Italia» e degli altri fogli interventisti, per la politica delle nazio-
nalità e per lo smembramento dell’Austria, dando maggior vigore all’azione
di Bissolati all’interno della compagine ministeriale(132), contribuirono alla
decisione del governo italiano di rilasciare una dichiarazione a sostegno della
causa jugoslava. Nel documento approvato dal Consiglio dei ministri dell’8 set-
tembre 1918, pubblicato dal «Times» il successivo 21 settembre e dall’agen-
zia «Stefani» quattro giorni dopo, il governo italiano dichiarava: «Nell’intento
di assecondare, per la maggiore disgregazione della potenza austro-ungarica,
l’agitazione dei popoli jugoslavi verso la libertà e l’indipendenza, e pur tenendo
assolutamente ferme, nei riguardi degli Alleati, tutte quante le stipulazioni della
Convenzione di Londra dell’aprile 1915, [si considera] il movimento dei popoli
jugoslavi per la conquista dell’indipendenza e per la loro costituzione in libero
Stato come rispondente ai principi per cui gli alleati combattono, nonché ai
fini di una pace giusta e duratura»(133).
Mussolini accolse con estremo favore la comunicazione del governo ita-
liano, rivendicando «una piccola quota parte di merito» per il grande successo
che gli interventisti liberali e democratici ritenevano di aver conseguito, avendo
indotto l’esecutivo a prendere posizione contro la sopravvivenza dell’Impero
asburgico e a favore della formazione di uno Stato jugoslavo:
Non è stata, dunque, inutile la polemica – scriveva su «Il popolo d’Italia»
il 26 settembre 1918(134) - se ha giovato a decidere il governo e a fargli pren-

(132) Amendola ad Albertini, Roma, 24 agosto 1918, cit.


(133) Sonnino a Bonin, a Macchi di Cellere e a Borgese, Roma, 13 settembre 1918, in DDI,
Serie V, vol. XI, D. 507. Si vedano anche: Amendola a Luigi Albertini, Roma, 6 settembre 1918;
Bissolati a Ojetti, Roma, 10 settembre 1918; Ojetti a Luigi Albertini, Firenze, 12 settembre 1918,
in L. ALBERTINI, Epistolario, cit., vol. II, DD. 873 e 874, e nota n. 440; S. SONNINO, Diario 1916-
1922, cit., pp. 294-298; L. ALBERTINI, Venti anni, cit., Parte II, vol. III, pp. 370-377; R.
COLAPIETRA, Leonida Bissolati, cit., pp. 261-264; O. MALAGODI, Conversazioni della guerra, cit.,
vol. II, pp. 384-390; R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 232-234.
(134) B. MUSSOLINI, Un documento storico. L’Italia riconosce la Jugoslavia, in «Il popolo
d’Italia», 26 settembre 1918, poi in Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XI, pp. 375-377.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 41

dere la buona strada. Nella nota [...] è consacrata la politica delle naziona-
lità oppresse dallo stato austro-magiaro. [...] Noi non possiamo che pren-
dere atto, con plauso vivissimo. La nota è chiara, inequivocabile. Vi si parla
di popoli jugoslavi, il che significa serbi, croati, sloveni; vi si accetta e pro-
clama il principio della loro indipendenza, il che significa il riconoscimento
virtuale della Jugoslavia che quegli stessi popoli deve comprendere in un unico
stato indipendente; è insomma l’adesione al programma massimo che noi e
con noi tutti gli interventisti sinceri e conseguenti hanno propugnato da quat-
tro anni: il programma della dissoluzione dell’impero danubiano.

Al di là dell’atteggiamento molto spesso polemico di Mussolini nei con-


fronti dei rappresentanti jugoslavi, la dichiarazione del governo italiano dava
concreta attuazione a una convinzione, che – come abbiamo visto –egli, insieme
agli altri interventisti democratici, aveva maturato fin dall’inizio della guerra:
l’importanza e la necessità dell’amicizia con le vicine popolazioni jugoslave,
per la realizzazione delle aspirazioni politiche e territoriali dell’Italia nell’Europa
danubiano-balcanica. La decisione del governo di Roma di appoggiare la causa
jugoslava costituiva un primo passo fondamentale per avviare una politica di
intesa e collaborazione tra i popoli delle due sponde dell’Adriatico; un primo
passo, a cui però - come precisava il direttore di «Il popolo d’Italia» - occor-
reva far seguire «in coerenza i fatti»(135).

5. La fine della guerra e la nascita del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni:
lo scoppio definitivo della polemica italo-jugoslava

È noto che né l’Italia, né il governo serbo, né il Comitato jugoslavo fecero


seguire alla dichiarazione dell’8 settembre i fatti necessari per rendere con-
creta, tangibile e fruttifera l’amicizia italo-jugoslava. Tutt’altro. Finita la guerra
e crollata l’Austria-Ungheria, Roma, Belgrado e Zagabria diedero luogo a uno
scontro politico assai duro, caratterizzato da violente polemiche e da nume-
rosi incidenti, per la definizione del nuovo assetto nel mar Adriatico e nella
regione balcanica(136).

(135) B. MUSSOLINI, Un documento storico. L’Italia riconosce la Jugoslavia, cit.


(136) Sui contrasti italo-jugoslavi alla fine della prima guerra mondiale per la definizione
dell’assetto politico e territoriale nel mar Adriatico e nei Balcani, si vedano: R. ALBRECHT-
CARRIÉ, Italy at the Paris Peace Conference, New York, Columbia University Press, 1938; P. ALATRI,
Nitti, D’Annunzio e la questione adriatica (1919-1920), Milano, Feltrinelli, 1959; R. MOSCA,
42 Massimo Bucarelli

Alla fine della guerra, le truppe italiane, in virtù delle clausole dell’armi-
stizio con l’Impero asburgico firmato il 3 novembre 1918, occuparono i ter-
ritori adriatici assegnati all’Italia dal patto di Londra(137). I militari italiani entra-
rono anche nella città di Fiume - non compresa nell’accordo del 1915 - insieme
a un ridotto contingente americano, seguiti poi da un battaglione inglese e da
uno francese(138). L’operazione doveva avere il carattere di un’iniziativa inte-
ralleata, attuata sotto l’egida italiana e giustificata dalla possibilità, prevista dal-
l’armistizio stesso, di occupare quei punti strategici ritenuti necessari per il man-
tenimento dell’ordine pubblico; esigenza che il governo italiano avvertì di
fronte all’acuirsi delle frizioni tra l’elemento italiano e quello croato per il con-
trollo di Fiume(139). Pochi giorni prima dell’armistizio di Villa Giusti, il 29
ottobre 1918, il Sabor (la Dieta croata) aveva dichiarato l’indipendenza di
Fiume dall’Ungheria e la sua unione al resto della Croazia, ponendo la città

Dopoguerra e sistemazione europea. La conferenza della pace – La questione adriatica, in La poli-


tica estera italiana dal 1914 al 1943, Torino, ERI, 1963; I. J. LEDERER, Yugoslavia at the Paris
Peace Conference, cit.; P. PASTORELLI, l’Albania nella politica estera italiana 1914-1920, Napoli,
Jovene, 1970; D. ZIVOJINOVIC, America, Italy and the Birth of Yugoslavia (1917-1919), Boulder,
East European Quarterly, 1972; ID., Italija i Crna Gora 1914-1925, Belgrado, Sluzbeni List, 1998;
D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 379 ss.; M. G. MELCHIONNI, La vit-
toria mutilata. Problemi ed incertezze della politica estera italiana sul finire della grande guerra
(ottobre 1918-gennaio 1919), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1981; F. CACCAMO, L’Italia
e la «Nuova Europa». Il confronto sull’Europa orientale alla conferenza della pace di Parigi (1919-
1920), Milano, Luni, 2000; L. RICCARDI, Francesco Salata tra storia, politica e diplomazia, Udine,
Del Bianco, 2001. L. MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit., pp. 89 ss.
(137) Il testo dell’armistizio con l’Austria-Ungheria si trova in: Trattati e Convenzioni fra il
Regno d’Italia e gli altri Stati, a cura del Ministero degli Affari Esteri, Roma., 1865-1952, vol.
XXIII, pp. 597-610, pp. 597-610). Si vedano anche: Verbale del Consiglio supremo di guerra,
ottava sessione – prima seduta, Versailles, 31 ottobre 1918, in DDI, Serie V, vol. XI, D. 791; L.
ALDROVANDI MARESCOTTI, Guerra diplomatica. Ricordi e frammenti di diario (1914-1919), Milano,
Mondadori, 1937, pp. 188-210. Sulle vicende relative all’occupazione italiana della costa e delle
isole dell’Istria e della Dalmazia, si consulti la raccolta documentaria dell’Ufficio Storico dello
Stato Maggiore della Marina: Le occupazione adriatiche, a cura del Ministero della Marina, Ufficio
del Capo di Stato Maggiore, Ufficio Storico, Roma, 1932. Inoltre: I. J. LEDERER, Yugoslavia at
the Paris Peace Conference, cit., pp. 71 ss.; V. GALLINARI, L’esercito italiano nel primo dopoguerra
1918-1920, Roma, Ufficio Storico SME, 1980, pp. 26 ss.; M. G. MELCHIONNI, La vittoria muti-
lata, cit., pp. 11 ss. L. MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit., pp. 50 ss.
(138) V. GALLINARI, L’esercito italiano, cit., pp. 33-36; M. G. MELCHIONNI, La vittoria muti-
lata, cit., pp. 95 ss.; L. E. LONGO, L’esercito italiano e la questione fiumana (1918-1921), Roma,
Ufficio Storico SME, 1996, Tomo I, pp. 38-45;
(139) Verbale del Consiglio supremo di guerra, ottava sessione – prima seduta, Versailles, 31
ottobre 1918, cit. Sui timori di disordini pubblici tra la popolazione italiana e quella croata, si
vedano: Revel a Orlando, Venezia, 2 novembre 1918; Rainer a Marzolo, Fiume, 5 novembre
1918, in Le occupazione adriatiche, cit., p. 87 e pp. 90-92.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 43

sotto la «autorità statuale» del Narodno Vijece (Consiglio nazionale) degli


Sloveni, dei Croati e dei Serbi, un organo politico costituitosi a Zagabria il 5
e il 6 ottobre e formato dai rappresentanti di tutti i partiti jugoslavi dell’Impero
asburgico (a eccezione del «puro partito del diritto» croato guidato da Ivo
Frank, nettamente contrario a qualsiasi tipo di collaborazione e unione con i
Serbi(140), con l’obiettivo di creare uno «Stato nazionale, libero e indipen-
dente»(141). Il giorno seguente, dopo che il Comitato croato di Fiume-Susak,
emanazione locale del Narodno Vijece di Zagabria, aveva alzato sul Palazzo
del governatore la bandiera croata(142), il Consiglio nazionale italiano aveva
proclamato a sua volta l’indipendenza della città e la sua annessione all’Italia,
invocando l’applicazione del principio di autodecisione dei popoli, perché
Fiume fino ad allora era stata un corpus separatum costituente un comune nazio-
nale italiano(143). Furono dunque la tensione montante tra il gruppo italiano
e quello croato, acuita da alcuni scontri locali e dall’ingresso in città di due

(140) Il «puro partito dei diritto» (Cista stranka prava) era sorto nel 1895 in seguito a una
scissione operata da Josip Frank (padre di Ivo Frank, leader del partito nella prima metà del
XX secolo) all’interno del partito del diritto (Stranka prava), fondato da Ante Starcevic in difesa
dei «diritti storici della nazione croata» e in opposizione alla politica ungherese, che, con il
«compromesso» (Nagodba) ungaro-croato del 1868, aveva sottratto alla Croazia gran parte delle
prerogative autonomiste, trasferendo all’Ungheria la direzione dei suoi affari finanziari, com-
merciali, agricoli, industriali, delle sue comunicazioni ferroviarie e marittime, e la nomina del
capo dell’esecutivo croato. La divisione all’interno del partito fu causata dalle differenti posi-
zioni in merito alla eventuale collaborazione con i partiti serbi; collaborazione fortemente osteg-
giata da Frank e dai suoi sostenitori (frankovci), animati da un profondo sentimento antiserbo.
Su tutto questo, si vedano: L. VALIANI, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, cit., p. 58 e pp.
82-83; M. GROSS, Povijest pravaske ideologije, Zagabria, Institut za hrvatsku povijest, 1973, pp.
45 ss., e pp. 138-161; I. BANAC, The National Question in Yugoslavia, cit., pp. 85-96; B. KRIZMAN,
Hrvatska u prvom svjetskom ratu. Hrvatsko-srpski odnosi, Zagabria, Globus, 1989, pp. 19-24 e
pp. 71-82; J. ADLER, L’union forcée, cit., p. 61, pp. 73-74 e pp. 236-256.
(141) Osnutak «Narodnog Vijeca», Zagabria, 6 ottobre 1918; Sastav i pravilnik Narodnoga
Vijeca Slovenaca, Hrvata i Srba, Zagabria, 6-8 ottobre 1918, in DPK-SHS, DD. 102 e 104. Inoltre:
B. KRIZMAN, Hrvatska u prvom svjetskom ratu, cit., pp. 221-231; J. ADLER, L’union forcée, cit.,
pp. 236-242.
(142) Si veda il verbale della riunione del Comitato croato di Fiume-Susak del 30 ottobre
1918: Rijeka u vlasti Narodnoga Vijeca, in DPK-SHS, D. 126. Inoltre: B. KRIZMAN, Hravatska
u prvom svjetskom ratu, cit., pp. 231-237; M. G. MELCHIONNI, La vittoria mutilata, cit., pp. 95-
106; L. E. LONGO, L’esercito italiano e la questione fiumana cit., pp. 22-27.
(143) Il testo del proclama è in F. GERRA, L’impresa di Fiume, Milano, Longanesi, 1974, vol.
I, p. 20. Si vedano anche i successivi appelli e richieste di intervento della comunità italiana di
Fiume: Revel a Orlando, Venezia, 2 novembre 1918; Gino Antoni, delegato della città di Fiume
presso il governo italiano, a Rainer, Fiume, 9 novembre 1918, in Le occupazioni adriatiche, cit.,
p. 87 e p. 93. Inoltre: A. ERCOLANI, Da Fiume a Rijeka. Profilo storico-politico dal 1918 al 1947,
Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009, pp. 78-81.
44 Massimo Bucarelli

battaglioni serbi, e soprattutto il timore di essere messi di fronte al fatto com-


piuto da parte del costituendo Stato jugoslavo a spingere il governo di Roma
ad inviare a metà novembre le proprie truppe a Fiume(144).
In quelle stesse settimane, alla disputa territoriale si aggiunse un altro motivo
di polemica e di frizione, la questione della flotta austro-ungarica, affidata il
31 ottobre dall’imperatore Carlo I al Comitato jugoslavo di Pola in rappre-
sentanza del Narodno Vijece di Zagabria(145). Dopo le richieste di armistizio
e di pace, fatte pervenire il 6 e il 7 ottobre del 1918 dai governi tedesco e
austro-ungarico al presidente statunitense Woodrow Wilson(146), il Narodno
Vijece aveva sollecitato la consegna della flotta da parte di Vienna per impe-
dire che cadesse nella mani dell’Italia(147). Dopo esserne entrato in pos-
sesso(148), il 1° novembre il Narodno Vijece si rivolse al presidente Wilson per
protestare contro la prosecuzione delle «ostilità marittime» da parte italiana e
per proporre l’affidamento dell’intera flotta ad una delle potenze dell’Intesa,
che non avesse interessi nel mar Adriatico, nella evidente speranza di poterla
riavere una volta conclusa la pace(149).

(144) Rainer a Marzolo, nave E. Filiberto, 5 novembre 1918; Rainer a Revel, nave E. Filiberto,
14 novembre 1918; Grossi a Revel, Roma, 15 novembre 1918, con cui si ritrasmetteva un dis-
paccio di Orlando a Diaz; Diaz a Revel, Roma, 15 novembre 1918; Sechi a Revel, Roma, 15 novem-
bre 1918; Cagni a Revel, Pola 16 novembre 1916; Revel a Rainer, Venezia, 16 novembre 1916;
Sechi a Revel, Roma, 16 novembre 1916, in Le occupazioni adriatiche, pp. 90-92 e pp. 95-98; Orlando
a Bonin Longare, Roma, 13 novembre 1918; Orlando a Sonnino, Roma, 13 novembre 1918;
Sonnino a Orlando, Parigi, 16 novembre 1918, in DDI, Serie VI, vol. I, DD. 134, 170 e 183. Si
vedano anche: I. J. LEDERER, Yugoslavia at the Paris Peace Conference, cit., pp. 74-75; D. ŠEPIc,
Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 393-398; M. G. MELCHIONNI, La vittoria mutilata,
cit., pp. 95-106; L. E. LONGO, L’esercito italiano e la questione fiumana, cit., pp. 18-46.
(145) Vojni izvjestaj Narodnog Vijeca, Zagabria 31 ottobre 1918; Nota drzave Slovenaca, Hrvata
e Srba Ententi, Zagabria, 31 ottobre 1918, in DPK-SHS, DD. 128-129; Verbale della Conferenza
interalleata, Parigi, 1° novembre 1918, in DDI, Serie V, vol. XI, D. 795.; Revel a Sonnino e a
Del Bono, Venezia, 1° novembre 1918, in Le occupazioni adriatiche, cit., pp. 142-143.
(146) L’incaricato d’affari svizzero, Oederlin, a Wilson, Washington, 6 ottobre 1918; Il mini-
stro plenipotenziario svedese, Ekengrem, a Lansing, Washington, 7 ottobre 1918, in Papers
Relating to the Foreign Relations of The Unites States, 1918, US Government Printing Office,
Washington, 1933. Supplement I, vol. I, pp. 337-341. La nota tedesca venne inviata in Svizzera
il 4 ottobre e presentata dal governo svizzero al presidente degli Stati Uniti il 6 ottobre; men-
tre quella austro-ungarica, inviata in Svezia anch’essa il 4 ottobre, fu inoltrata il 7 ottobre; si
veda: A History of the Peace Conference of Paris, a cura di H. W. V. TEMPERLEY, Londra, Henry
Prowde e Hodder & Stoughton, 1920-1921, vol. I, pp. 448-449, e vol. IV, p. 95.
(147) B. KRIZMAN, Hrvatska u prvom svjetskom ratu, cit., p. 311.
(148) Predaja bivše c. i kr. mornarice Narodnom Vijecu SHS, Zagabria, 2 novembre 1918,
in DPK-SHS, D. 134.
(149) Revel a Orlando, Venezia, 1° novembre 1918, in Le occupazioni adriatiche, cit., p. 392;
L. ALDROVANDI MARESCOTTI, Guerra diplomatica, cit., p. 201;
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 45

Il governo di Roma ne fu doppiamente contrariato, non solo perché vide


nella decisione delle autorità austriache di consegnare la flotta al Narodno Vijece
il tentativo di aggirare le disposizioni dell’armistizio, che di lì a pochi giorni
sarebbe stato firmato, ma anche perché considerò la manovra dei dirigenti di
Zagabria come l’ennesimo gesto di ostilità nei confronti dell’Italia e come il
«primo atto di imperialismo jugoslavo»(150). Nelle riunioni del Comando
supremo di guerra del 1° novembre 1918, dedicate alla preparazione degli armi-
stizi con gli Imperi centrali, il delegato serbo, Milenko Vesnic, tentò di «far
apparire» gli jugoslavi del Narodno Vijece come degli alleati che avevano reso
un eminente servizio all’Intesa e fece pressioni, anche con il sostegno del
primo ministro britannico, David Lloyd George, affinché fosse accettata l’of-
ferta dei suoi «fratelli di razza» di affidare le navi austriache a una potenza
dell’Intesa(151). La possibilità di entrare in possesso dell’intera flotta asburgica,
in attesa della firma dell’armistizio, era un’opportunità che andava essere sen-
z’altro sfruttata. Fu per questo che l’Italia, pur infastidita dalle manovre serbe,
acconsentì a una soluzione di compromesso, secondo cui tutta la flotta ex austro-
ungarica nelle mani degli Jugoslavi avrebbe dovuto recarsi nell’isola di Corfù,
battendo bandiera bianca, per mettersi a disposizione del Comandante in capo
delle forze navali alleate(152). Tuttavia, una volta firmato ed entrato in vigore
l’atto di resa austriaca, il governo italiano diede immediatamente luogo all’ap-
plicazione delle clausole navali dell’armistizio di Villa Giusti, che prevedevano
la consegna alle potenze dell’Intesa di una parte delle flotta e l’internamento
del resto delle imbarcazioni(153). A tale scopo, il 5 novembre una divisione
italiana al comando dell’ammiraglio Umberto Cagni entrò a Pola e prese in
consegna, a nome dell’Intesa, le navi ancora presenti nel porto istriano(154).

(150) Verbale del Consiglio supremo di guerra, ottava sessione – seconda seduta, Versailles, 1°
novembre 1918, in DDI, Serie V, vol. XI, D. 797; Sonnino a Orlando, Roma, 8 novembre 1918,
in DDI, Serie VI, vol. I, D. 51; L. ALDROVANDI MARESCOTTI, Guerra diplomatica, cit., pp. 201-207;
(151) Verbale del Consiglio supremo di guerra, ottava sessione – seconda seduta, Versailles,
1° novembre 1918, cit.; Sonnino a Bonin Longare, Imperiali e Macchi di Cellere, Roma, 9 novem-
bre 1918, ivi, Serie VI, vol. I, D. 69; O. MALAGODI, Conversazioni della guerra, cit., vol. II, pp.
427-428;
(152) Verbale della Conferenza interalleata, Parigi, 2 novembre 1918, in DDI, Serie V, vol.
XI, D. 802; Revel a Ciano, Venezia, 2 novembre 1918; Revel a Cusani, Venezia, 4 novembre
1918, in Le occupazioni adriatiche, cit., pp. 145-146 e p. 399; L. ALDROVANDI MARESCOTTI,
Guerra diplomatica, cit., pp. 207-208;
(153) Sonnino a Orlando, Roma, 8 novembre 1918, cit.; Orlano a Sonnino, Villa Italia, 8
novembre 1918, ivi, D. 56;
(154) Verbale delle trattative fra il capitano di vascello Alessandro Ciano, delegato del coman-
dante in capo della flotta italiana, e i delegati del comando della flotta jugoslava, Pola, 3 novem-
46 Massimo Bucarelli

L’arrivo delle truppe italiane in Istria, a Fiume e in Dalmazia, e la cattura


della flotta ex austro-ungarica suscitarono le vibranti proteste degli Jugoslavi,
i cui animi, già particolarmente agitati per la caotica situazione venutasi a creare
nell’autunno del 1918 all’interno dell’Impero asburgico, furono ulteriormente
eccitati dalle iniziative italiane(155). Secondo il Narodno Vijece di Zagabria, le
clausole armistiziali relative all’occupazione delle regioni slovene e croate
dell’Impero austro-ungarico e alla consegna della flotta di stanza a Pola non
avevano alcun valore, né potevano essere dettate da necessità di tipo strate-
gico o dal bisogno di mantenere l’ordine pubblico. La firma dell’armistizio tra
l’Intesa e l’Austria-Ungheria era successiva alla proclamazione d’indipendenza
dello «Stato nazionale comune degli sloveni, dei croati e dei serbi», costitui-
tosi il 29 ottobre in seguito all’unione delle province slavo meridionali
dell’Impero asburgico(156). Vienna, quindi, non poteva disporre dei territori
passati sotto il controllo degli Jugoslavi, perché non vi esercitava più alcun
potere sovrano. L’armistizio di Villa Giusti era res inter alios acta, le cui clau-
sole erano state negoziate senza la presenza dei rappresentati jugoslavi e non
potevano essere considerate in nessun modo impegnative per il nuovo Stato
jugoslavo(157). Né si comprendevano la necessità e le finalità delle occupazioni
territoriali e della cattura della flotta, dal momento che il Narodno Vijece di
Zagabria aveva esteso la sua autorità su tutte le province jugoslave dell’Impero
austro-ungarico e si era immediatamente schierato con l’Intesa, di cui si con-
siderava a pieno titolo un membro effettivo e un alleato(158). Le presenza delle

bre 1918; Cagni a Revel e Del Bono, Pola, 5 novembre 1918, in Le occupazioni adriatiche, cit.,
pp. 165-167 e pp. 146-147; Sonnino a Bonin Longare, Imperiali e Macchi di Cellere, Roma, 9
novembre 1918, cit.
(155) Protest Narodnoga Vijeca predsjedniku Wilsonu protiv talijanske okupacije, Zagabria,
4 novembre 1918; Protest dalmatinske vlade protiv talijanske okupacije Zadra, Zara, 4 novem-
bre 1918; Protest bosanske vlade protiv talijanske okupacije, Sarajevo, 5 novembre 1918; Protestna
nota Narodnoga Vijeca talijanskoj vladi, Zagabria, 8 novembre 1918, in DPK-SHS, DD. 139,
140, 142 e 146. Anche: Rapporto di Cagni sul colloquio con l’ammiraglio Metod Koch, Pola, 5
novembre 1918; Rapporto di Cagni sul colloquio con l’ammiraglio Metod Koch e il ministro Dragutin
Prica, Pola 6 novembre 1918, in Le occupazioni adriatiche, cit., pp. 167-172; Barone Russo a
Sonnino, Berna, 8 novembre 1918; Pignatti a Sonnino, Berna, 13 novembre 1918; Bonin Longare
a Sonnino, Parigi, 19 novembre 1918, in DDI, Serie VI, vol. I, DD. 64, 140 e 220
(156) Protestna nota Narodnoga Vijeca talijanskoj vladi, Zagabria, 8 novembre 1918, cit. Anche:
D. ZIVOJINOVIC, America, Italy and the Birth of Yugoslavia, cit., pp. 184 ss.
(157) Rapporto di Cagni sul colloquio con l’ammiraglio Metod Koch, Pola, 5 novembre 1918,
cit.
(158) Protestna nota Narodnoga Vijeca talijanskoj vladi, Zagabria, 8 novembre 1918, cit.;
Prosvjed Narodnoga Vijeca SHS protiv okupacije Rijeke, Zagabria, 18 novembre 1918, in DPK-
SHS, D. 162.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 47

truppe italiane in Istria e Dalmazia era del tutto superflua e «atta a provocare
nella popolazione sensi di disgusto e di diffidenza»(159); le conseguenze sareb-
bero state solamente negative, perché «l’occupazione di una nazione e di un
paese amici» costituiva «un’azione diametralmente opposta all’idea di amici-
zia»(160). Gli Jugoslavi vedevano lesa la sovranità del loro Stato e «strozzata
nel suo nascere la libertà» del loro popolo(161):
Le forze italiane di terra e di mare - si affermava in una delle nume-
rose note di protesta del Narodno Vijece (162) – sembrano non tener conto
del nostro impegno [a fianco dell’Intesa]. Le loro iniziative, che travalicano
i grandi obiettivi per i quali ci siamo messi a disposizione, sembrano avere
in realtà ben altre finalità. Pensano di avere il diritto di occupare i nostri
porti e le nostre coste soltanto nel loro interesse, di prendere possesso delle
nostre navi da guerra, di allontanare i nostri ufficiali e i nostri marinai, di
sostituirli con gli ufficiali e con gli equipaggi italiani, di impossessarsi del
materiale preso in consegna e custodito nei nostri depositati militari. Le
zone occupate sono tenute sotto il più stretto controllo militare, amministrativo
e politico da parte delle truppe italiane, e le popolazioni dei nostri villaggi
si rivolgono continuamente al Consiglio nazionale di Zagabria per lamentarsi
delle persecuzioni inflitte dagli italiani.

Oltre che provocare le reazioni jugoslave e inasprire le polemiche tra le


due sponde dell’Adriatico, le iniziative politiche e militari italiane dell’autunno
1918 diedero un impulso determinante alla conclusione dei difficili negoziati
tra i dirigenti serbi, croati e sloveni per la creazione di uno Stato unitario,
capace di opporsi all’espansione politica e territoriale dell’Italia nei Balcani(163).
Il 19 ottobre 1918, tre giorni dopo la pubblicazione del manifesto dell’impe-
ratore Carlo I indirizzato ai popoli della Cisleitania per la trasformazione in
senso federale dell’Impero austriaco(164), il Narodno Vijece dichiarò di avere

(159) Nota di protesta del Comitato locale del Consiglio nazionale jugoslavo, Sebenico, 7 novem-
bre 1918, in Le occupazioni adriatiche, cit., pp.215-216,
(160) Protestna nota Narodnoga Vijeca talijanskoj vladi, Zagabria, 8 novembre 1918, in
DPK-SHS, D. 146
(161) Nota di protesta del Comitato locale del Consiglio nazionale jugoslavo, Sebenico, 7 novem-
bre 1918, cit.
(162) Prosvjed Narodnoga Vijeca SHS protiv okupacije Rijeke, Zagabria, 18 novembre 1918,
cit.
(163) H. e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., p. 319.
(164) Manifest cara i kralja Carla, Vienna, 16 ottobre 1918, in DPK-SHS, D. 105. Inoltre:
A History of the Peace Conference of Paris, a cura di H. W. V. TEMPERLEY, cit., vol IV, pp. 101-
48 Massimo Bucarelli

assunto «la direzione della politica nazionale» delle regioni slave del sud, sia
austriache, che ungheresi, per realizzare l’unificazione nazionale degli Sloveni,
dei Croati e dei Serbi, su tutto il loro territorio «etnografico» in uno stato
pienamente sovrano(165). Contemporaneamente annunciò l’invio di una dele-
gazione in Svizzera per entrare in contatto con i rappresentanti del governo
serbo e del Comitato di Londra. Fu incaricato della missione il presidente del
Narodno Vijece, lo sloveno Antun Korošec, che, per assicurare l’equilibrio tra
i vari gruppi etnici, era stato affiancato nella direzione del Consiglio nazionale
da due vicepresidenti, uno serbo, Svetozar Pribicevic, leader dei democratici
indipendenti, il maggior partito della minoranza serba in Croazia, e uno croato,
Ante Pavelic, capo del partito croato del diritto(166).
Il 29 ottobre 1918, dopo l’adesione del governo di Vienna alla nota di
Wilson del 18 ottobre, con cui il presidente statunitense, in risposta alla richie-
sta austriaca di armistizio sulla base dei quattordici punti, aveva dichiarato di
non poter più accettare una «semplice autonomia» per le popolazioni cecos-
lovacche e jugoslave, uniche deputate a stabilire le forme e i modi per dare
soddisfazione alle loro aspirazioni(167), il Narodno Vijece di Zagabria, per
opera dei suoi due vicepresidenti, fece proclamare dall’Assemblea nazionale
croata la costituzione di uno Stato indipendente composto dalla Croazia, dalla
Slavonia, dalla Dalmazia e da Fiume. Il nuovo Stato – stabiliva la Dieta croata
sempre su proposta dei membri del Narodno Vijece – era parte integrante
insieme alla Slovenia e alla Bosnia del più ampio Stato «nazionale comune»
degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi, una sorta di unione federale di tutti i
territori slavo meridionali dell’Impero austro-ungarico. L’obiettivo finale del
Narodno Vijece, riconosciuto tanto dalla Dieta croata, quanto dalle Assemblee
nazionali della Slovenia e della Bosnia, come «organo supremo» del potere
esecutivo del costituendo Stato sloveno-croato-serbo, era quello di dare vita
con la Serbia e il Montenegro a una grande federazione o confederazione jugos-
lava, in cui le differenze storiche, religiose e culturali fossero tutelate con lar-

102; A. J. MAY, The Passing of the Hapsburg Monarchy 1914-1918, Philadephia, University of
Pennsylvania Press, 1968, vol. II, pp. 764 ss.
(165) Deklaracija Narodnoga Vijeca Slovenaca, Hrvata i Srba, Zagabria, 19 ottobre 1918, in
DPK-SHS, D. 109. Anche. J. ADLER, L’union forcée, cit., pp. 244 ss.
(166) Saopcenje Narodnoga Vijeca SHS, Zagabria, 19 ottobre 1918, in DPK-SHS, D. 110.
(167) Si veda il testo della nota del presidente Wilson del 18 ottobre 1918 e della risposta
del governo di Vienna del successivo 27 ottobre in: A History of the Peace Conference of Paris,
a cura di H. W. V. TEMPERLEY, cit., vol. I, pp. 452-457.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 49

ghe misure di autonomia(168). Nelle intenzioni dei dirigenti di Zagabria, l’u-


nione di tutte le popolazioni jugoslave si doveva realizzare attraverso un
accordo fra Stati, quello serbo di Belgrado e quello sloveno-croato-serbo di
Zagabria, in cui le due parti avrebbero definito la forma di Stato, le materie
comuni di governo e quelle di competenza degli organi locali. A tale scopo,
il 31 ottobre il Narodno Vijece comunicò ai governi dell’Intesa l’avvenuta
costituzione dello Stato sloveno-croato-serbo, l’intenzione di unirsi alla Serbia
e al Montenegro e la decisione di schierarsi al fianco dell’Intesa nella guerra
ancora in corso, chiedendo loro il pieno appoggio nella futura conferenza della
pace «per garantire la sovranità dello stato unitario di tutti gli sloveni, i croati
e i serbi»(169).
Era evidente che la formazione del Narodno Vijece rendeva necessaria la
stipulazione di un nuovo accordo per la creazione di un grande Stato jugos-
lavo, dal momento che il patto di Corfù, che non era stato firmato dai diri-
genti di Zagabria, doveva essere considerato ormai superato. Nello scontro,
solo parzialmente attutito con l’intesa del 1917, tra il Comitato jugoslavo di
Londra e il governo serbo, per la leadership all’interno del movimento jugos-
lavo e per la soluzione politica e istituzionale da dare alla questione jugoslava,
si era inserito un nuovo soggetto, il Narodno Vijece di Zagabria, di cui biso-
gnava tener conto, perché nelle concitate settimane dell’autunno 1918, pur tra
molte difficoltà, deteneva il controllo di gran parte delle regioni slave meri-
dionali dell’Impero asburgico. Fu per questo, oltre che per le solite pressioni
inglesi, sollecitate da Steed e Seton-Watson(170), che Pašic, pur restio a inta-
volare nuove trattative dirette a limitare il ruolo e il peso della Serbia all’in-
terno del futuro Stato, accettò di incontrare Korošec e Trumbic. Durante i
colloqui, tenutisi a Ginevra dal 6 al 9 novembre, 1918, si scontrarono nuo-
vamente l’idea di una Jugoslavia dalle molte autonomie, federale e decentrata,
sostenuta dal Comitato di Londra e soprattutto dalla componente slovena e

(168) Proglašenje samostalne drzave Slovenaca, Hrvata i Srba, Zagabria, 29 ottobre 1918;
Obrazovanje vlade za Sloveniju, Lubiana, 31 ottobre 1918; Bosna i Hercegovina pod upravom
Narodnoga Vijeca; Zagabria, 2 novembre 1918, in DPK-SHS, DD. 118, 130 e 132. Anche: J.
ADLER, L’union forcée, cit., pp. 253-260.
(169) Nota drzave Slovenaca, Hrvata i Srba Ententi, Zagabria, 31 ottobre 1918, in DPK-
SHS, D. 129.
(170) Bonin Longare a Sonnino, Parigi, 6 e 7 novembre 1918; Imperiali a Sonnino, Londra,
6 novembre 1918, in DDI, Serie VI, vol. I, DD. 23, 24 e 42. Anche: D. JANKOVIC, Zenevska
konferencija o stvaranju jugoslovenske zajednice 1918. godine, in «Istoria XX Veka. Zbornik
Radova», 1966, vol. V, pp. 233-234; A. N. DRAGNICH, Serbia, cit., pp. 121-122; H. e C. SETON-
WATSON, The Making of a New Europe, cit., pp. 319-320.
50 Massimo Bucarelli

croata all’interno del Narodno Vijece, e quella panserba del governo di Belgrado
e della popolazione serba della Croazia e della Bosnia, secondo cui il nuovo
stato si sarebbe dovuto realizzare sic et simpliciter attraverso le annessioni
delle province jugoslave dell’Impero asburgico alla Serbia, sorta di Piemonte
dei Balcani. L’intesa raggiunta alla fine dei colloqui fu per forza di cose un
nuovo compromesso, che prevedeva la formazione di un governo comune, com-
posto da dodici dicasteri (di cui sei nominati dal governo di Belgrado e sei
dal Narodno Vijece di Zagabria) responsabile solo per la politica estera e
quella militare. Il gabinetto serbo e il Narodno Vijece avrebbero continuato
a occuparsi degli affari interni dei rispettivi territori, fino all’adozione di una
nuova costituzione, elaborata e approvata da un’assemblea costituente, eletta
direttamente dal popolo. L’accordo, infine, prevedeva la presentazione presso
i governi alleati e associati dell’Intesa di una nota di protesta, a nome del nuovo
Stato jugoslavo, contro l’occupazione italiana dei territori istriani e dalmati(171).
Si trattava di una soluzione temporanea, che ricalcava l’assetto politico e isti-
tuzionale dualistico dell’Impero asburgico e che era aperta a qualsiasi tipo di
evoluzione futura, dal momento che le decisioni definitive sulla forma di Stato
e di governo venivano rimandate ai lavori dell’assemblea costituente. Era una
soluzione utile agli Sloveni e ai Croati per tentare di opporre un ostacolo giu-
ridico e politico all’avanzata dell’esercito italiano, accusato di violare la sovra-
nità jugoslava sulle province istriane e dalmate; e utile anche ai Serbi, da una
parte, per guadagnare tempo, assecondando le pressioni inglesi e francesi
affinché il processo di unificazione di tutti gli Slavi del sud si completasse prima
dell’inizio della Conferenza della pace, e, dall’altra parte, per iniziare ad abbat-
tere le barriere politiche e doganali tra la regioni serbe e quelle ex austro-
ungariche, compiendo così il primo passo per l’unione di tutta la nazione serba,
che in definitiva era il vero obiettivo della politica serba(172).
Gli accordi raggiunti a Ginevra, però, non ebbero mai concreta attuazione.
Il governo serbo, fermo nel suo progetto di realizzare uno Stato unitario e

(171) Zenevska deklaracija od 9. nov. 1918, Ginevra, 9 novembre 1918; Zapisnik konferen-
cije drzane od 6. do 9. nov. 1918 u Zenevi, Ginevra, 9 novembre 1918, in DPK-SHS, DD. 151-
152. Sui lavori e sui risultati dei colloqui di Ginevra: H. Rumbold to Balfour, Berna, 20 novem-
bre 1918, in British Documents on Foreign Affairs. Reports and Papers from the Foreign Office
Confidential Print, University Publications of America, 1992, Series F, vol. 4, D. 3; Russo a Sonnino,
Berna, 8 novembre 1918; in DDI, Serie VI, vol. I, D. 64.
(172) Per alcune considerazioni sulla Conferenza di Ginevra: JANKOVIC, Zenevska konferencija
, cit., pp. 252 ss.; D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 387-394; A. N.
DRAGNICH, Serbia, cit., pp.121-123; J. ADLER, L’union forcée, cit., pp. 301-302.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 51

centralizzato, si dimise pochi giorni dopo la firma, declinando ogni responsa-


bilità per la loro esecuzione e segnandone di fatto il fallimento. Lo stesso
Narodno Vijece, diviso al suo interno tra la componente slovena e croata, da
una parte, e quella serba, dall’altra, contribuì al superamento delle intese
negoziate a Ginevra, criticando l’operato di Korošec e degli altri delegati
jugoslavi, per essersi spinti oltre i limiti del mandato esplorativo affidato loro
dal Consiglio nazionale di Zagabria e per aver deciso autonomamente di sot-
toscrivere gli accordi per l’unione delle province jugoslave dell’ex Austria-
Ungheria con la Serbia(173). La mancata applicazione delle intese di Ginevra
indebolì ulteriormente la posizione e le capacità politiche del Narodno Vijece,
Oltre a ritrovarsi isolato e privo di riconoscimenti internazionali, il Consiglio
nazionale di Zagabria si dimostrò incapace di controllare effettivamente e di
difendere efficacemente tutto il territorio su cui aveva proclamato la propria
autorità, a causa non solo dell’avanzata delle truppe italiane lungo la linea del
patto di Londra, ma anche della presenza di forze armate serbe, penetrate nelle
province austriache e ungheresi abitate da popolazioni serbe e promesse a
Belgrado dalle potenze dell’Intesa nell’estate del 1915(174). Nel giro di poco
tempo, poi, il Narodno Vijece venne messo in difficoltà anche sul piano interno,
non tanto per i crescenti disordini causati dal collasso economico e dall’in-
stabilità sociale, che fecero seguito al crollo dell’amministrazione asburgica,
quanto per una vera e propria secessione operata dalle province, a maggio-
ranza serba, della Vojvodina e della Bosnia, che iniziarono a chiedere unila-
teralmente l’unione al Regno di Serbia(175).
In buona sostanza, a novembre del 1918, tra minacce esterne, instabilità
interna e spinte centrifughe, la situazione delle province jugoslave dell’ex
Impero asburgico, proclamatesi indipendenti poche settimane prima, era
alquanto caotica e il loro futuro incerto. Le componenti slovena e croata del
Narodno Vijece si trovarono a dover scegliere tra due opzioni considerate
altrettanto negative per il futuro dei loro gruppi nazionali: affrontare i lavori
della Conferenza della pace senza alcun riconoscimento internazionale e seguire,

(173) I. J. LEDERER, Yugoslavia at the Paris Peace Conference, cit., pp. 64-65; D. ŠEPIc, Italija,
saveznici i jugoslavensko pitanje, cit., pp. 400 ss.; A. N. DRAGNICH, Serbia, cit., pp. 123-124; H.
e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., p. 322; J. ADLER, L’union forcée, cit.,
pp. 302-303.
(174) B. KRIZMAN, Hrvatska u prvom svjetskom ratu, cit., pp. 323 ss.; J. ADLER, L’union for-
cée, cit., pp. 291 ss.
(175) A. N. DRAGNICH, Serbia, cit., p. 124; B. KRIZMAN, Hrvatska u prvom svjetskom ratu,
cit., pp. 332 ss.; J. ADLER, L’union forcée, cit., pp. 303 ss.
52 Massimo Bucarelli

quindi, la sorte di Austria e Ungheria, passando sostanzialmente da sconfitti,


con gran parte del proprio territorio occupato dall’esercito italiano e serbo, o
non opporsi alle pressioni dei dirigenti serbi (sia di quelli che agivano a
Zagabria, all’interno del Consiglio nazionale, che di quelli operanti a Belgrado
tra le fila del governo) e accettare l’unione al Regno di Serbia, senza porre
condizioni, nella speranza che i Serbi si facessero carico anche della difesa degli
interessi nazionali dei «fratelli» sloveni e croati. A Zagabria e Lubiana, si
decise per quello che all’epoca appariva come il male minore: l’unione con
Serbia (e Montenegro) all’interno di uno Stato centralizzato guidato da una
dinastia serba. Fu così che, alla fine di novembre, il Narodno Vijece inviò una
propria delegazione a Belgrado per consegnare al principe reggente, Alessandro
Karadordevic, la sovranità sulle province jugoslave dell’ex Austria-Ungheria e
dar vita al Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, la cui creazione venne procla-
mata il 1° dicembre del 1918(176). Ancora una volta fu il fattore italiano a destare
le maggiori preoccupazioni dei rappresentanti del Consiglio nazionale di
Zagabria, spingendoli a decidere per quella che sostanzialmente fu una vera
e propria annessione alla Serbia. Che la salvaguardia degli interessi nazionali
sloveni e croati dalle mire italiane fosse all’origine delle azioni dei politici di
Lubiana e Zagabria, lo si evince chiaramente dal testo del messaggio letto al
principe reggente dai delegati del Narodno Vijece:

In quest’ora storica – veniva affermato nella parte conclusiva del mes-


saggio(177) – mentre siamo al cospetto di Vostra Altezza Reale, come rap-
presentanti del popolo dell’intero territorio jugoslavo dell’ex Impero austro-
ungarico, siamo profondamente rattristati, perché dobbiamo constatare che
una parte importante, per valore ed estensione, del nostro territorio nazio-
nale è occupata dalle truppe del Regno d’Italia, [...] con cui certamente desi-
deriamo vivere in rapporti di sincera amicizia; ma non siamo disposti a rico-
noscere la legittimità di un qualsivoglia accordo, come quello di Londra, che,
in violazione del principio di nazionalità e di autodeterminazione, ci costrin-

(176) Si vedano i resoconti delle sedute del Narodno Vijece di fine novembre 1918 e della
missione inviata a Belgrado in DPK-SHS, D. 172. Sulle fasi finali dei negoziati che portarono
alla nascita del Regno dei serbi, Croati e Sloveni: D. ŠEPIc, Italija, saveznici i jugoslavensko pitanje,
cit., pp. 400-413.; A. N. DRAGNICH, Serbia, cit., pp.124-126; B. KRIZMAN, Hrvatska u prvom svjet-
skom ratu, cit., pp. 341-347, H. e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., pp.
H. e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., pp. 325-327; J. ADLER, L’union for-
cée, cit., pp. 313-324.
(177) Delegati Narodnoga Vijeca pred Regentom Aleksandrom, Belgrado, 1° dicembre 1918,
in DPK-SHS, D. 172, allegato III.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 53

gesse a cedere una parte del nostro popolo alla sovranità di un altro Stato.
In particolare, richiamiamo l’attenzione di Vostra Altezza Reale sul fatto che
l’occupazione italiana travalica i limiti e il mandato stabiliti dalle condizioni
dell’armistizio firmato con il comando generale dell’esercito austro-ungarico,
dopo che quei territori si erano già proclamati indipendenti e appartenenti
allo Stato SHS [...] Tuttavia, esprimiamo, pienamente convinti, la nostra
speranza che Vostra Altezza Reale, insieme a tutto il nostro popolo, si impe-
gnerà affinché le frontiere definitive del nostro Stato siano delimitate in
maniera tale da coincidere con i nostri confini etnici, in applicazione del prin-
cipio di autodeterminazione dei popoli, proclamato dal presidente Wilson e
da tutte le potenze dell’Intesa.

Il principe Alessandro, nel prendere atto della volontà delle province


jugoslave di unirsi alla Serbia per costituire il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni,
assicurò i delegati del Narodno Vijece che le frontiere del nuovo Stato avreb-
bero seguito la linea etnica di tutto il popolo jugoslavo. Secondo il reggente,
la speranza che i paesi amici e alleati avrebbero appoggiato il punto di vista
jugoslavo era fondata, perché si basava su principi che loro stessi avevano pro-
clamato e difeso con sacrifici immani.

Allo stesso modo – proseguiva il principe Alessandro(178) – spero che


questo punto di vista venga recepito anche nelle decisioni del governo del
Regno d’Italia, perché si ispira agli stessi principi cui deve la propria indi-
pendenza e di cui, nel secolo passato, i suoi grandi figli si sono fatti inter-
preti con scritti e azioni. Possiamo affermare in piena libertà che sarà nel
rispetto di tali principi e tradizioni, nel segno dell’amicizia e del buon vici-
nato, che il popolo italiano troverà maggiore forza per affermare i propri
diritti e per garantire la propria sicurezza, e non nell’applicazione dell’ac-
coro di Londra, firmato senza di noi e da noi mai riconosciuto [...]

Dai testi dei due proclami emergeva un vero e proprio patto politico tra
i rappresentanti delle popolazioni jugoslave delle ex province asburgiche e i
dirigenti del Regno di Serbia, in cui la creazione della Jugoslavia, in quei tempi
e in quei modi(179), sembrava essere accettata al solo scopo di contenere in
tutti i modi le mire espansionistiche dell’Italia.

(178) Ib.
(179) Guglielmo Emanuela a Luigi Albertini, Parigi 10 dicembre 1918, in L. ALBERTINI,
Epistolario, cit., vol. III, D. 937.
54 Massimo Bucarelli

Le proteste degli Jugoslavi di Zagabria e dei Serbi di Belgrado, le loro


insistenti richieste ai governi di Londra, Parigi e Washington di intervenire
per contenere le aspirazioni e le iniziative italiane(180), e, infine, la profonda
ostilità, di cui era permeato lo stesso atto istitutivo del nuovo Regno slavo meri-
dionale, provocarono un irrigidimento dei responsabili politici italiani, spin-
gendoli ad assumere un atteggiamento di netta chiusura nei confronti della
causa jugoslava. Il presidente del consiglio, Vittorio Emanuele Orlando, in rispo-
sta alla richiesta del Narodno Vijece di Zagabria di essere riconosciuto come
legittimo governo delle province jugoslave ex austro-ungariche(181), chiarì che
in quel momento non era proprio possibile avere un’attitudine amichevole verso
chi ogni giorno dimostrava di voler tenere in tutto e per tutto «un’attitudine
disamichevole»:

Ciò è dimostrato - scriveva all’ambasciatore a Parigi, Bonin Longare(182)


- non solo dai numerosi incidenti e difficoltà di cui hanno seminato la nostra
occupazione, ma dalle loro dichiarazioni ufficiali circa pretese territoriali a
cui l’Italia non può assolutamente consentire. [...] Se i jugoslavi sono ani-
mati da sincere intenzioni di accordarsi con noi, dovrebbero incominciare
dal far ciò, mentre i tentativi di forzarci la mano non possono avere altro
effetto che di determinare la nostra legittima reazione.

Secondo Orlando e secondo buona parte della classe dirigente e dell’o-


pinione pubblica italiana, era bene iniziare a sgombrare il campo delle rela-
zioni italo-jugoslave da ogni equivoco e ambiguità; era bene iniziare a rendere
concreta e tangibile la volontà, più volte proclamata dagli Jugoslavi, di tro-
vare un’intesa e di collaborare con l’Italia; era bene iniziare a capire se si aveva
a che fare «con amici o con nemici»(183).
L’atteggiamento italiano non cambiò neanche dopo la costituzione del
Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Anzi, la chiusura continuò ad essere totale,
anche perché vivaci e scomposte continuavano ad essere le reazioni degli
Jugoslavi a ogni iniziativa italiana nel mar Adriatico e nei Balcani. La disputa

(180) Sforza a Sonnino, Corfù, 6 novembre 1918; Imperiali a Sonnino, Londra, 8 novembre
1918; Bonin Longare a Sonnino, Parigi, 11 e 19 novembre 1918, in DDI, Serie VI, vol. I, DD.
30; 50, 110 e 220. Anche: G. IMPERIALI, Diario (1915-1919), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006,
p. 593
(181) Bonin Longare a Orlando, Parigi, 17 novembre 1918, in DDI, Serie VI, vol. I, D. 193.
(182) Orlando a Bonin Longare, Roma, 18 novembre 1918, ivi, D. 198.
(183) Ib.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 55

adriatica rese i rapporti con Belgrado e con Zagabria talmente tesi e difficili,
che il governo di Roma si rifiutò di procedere al riconoscimento del nuovo
Stato jugoslavo, proseguendo a intestare al re di Serbia – e «Serbia solamente»
- le lettere credenziali dei propri rappresentanti a Belgrado(184). Le posizioni
delle classi dirigenti dei due paesi erano ormai così lontane, da rendere – almeno
nel breve periodo - improponibile e inattuabile qualsiasi tentativo di conci-
liazione politica e di compromesso territoriale.

6. La sconfitta dell’interventismo democratico e le oscillazioni della politica


adriatica di Mussolini

Gli esponenti dell’interventismo liberale e democratico furono letteralmente


travolti dalla violenza delle polemiche italo-jugoslave scoppiate nell’autunno
del 1918, amplificate dal ripetersi di incidenti in Dalmazia tra la popolazione
jugoslava, le truppe italiane di stanza nella regione e la locale minoranza ita-
lofona. Le intese raggiunte a Roma nell’aprile del 1918, durante il «Congresso
delle nazionalità », rimasero lettera morta a causa dell’indisponibilità al con-
fronto e al compromesso dimostrata dai rappresentanti del movimento jugos-
lavo alla fine della guerra (185), e a causa anche della posizione del tutto favo-
revole alle rivendicazioni jugoslave assunta da influenti ambienti politici e
intellettuali, inglesi e francesi, pronti a definire imperialistica ed espansioni-
stica ogni mira italiana nel mar Adriatico e a difendere i diritti delle popola-
zioni jugoslave(186). Come sottolineò più volte Albertini, i «nervi di molti ita-
liani», anche di quelli che erano disposti a raggiungere un’intesa comune per

(184) Sul mancato riconoscimento del Regno dei Serbi, Croati e .Sloveni, si veda: Orlando
a Bonin, Roma, 18 novembre 1918; Borsarelli a Imperiali, Bonin e Galanti, Roma, 29 gennaio
1919; Sonnino a Orlando, Parigi, 21 febbraio 1919; Orlando a Sonnino, Roma, 22 febbraio 1919;
Sonnino a Borghese e Borsarelli, Parigi, 3 e 5 marzo 1919, in DDI, Serie VI, Vol. I, D. 198 e
Vol. II, DD. 146, 421, 438, 617 e 656. Inoltre: F. CACCAMO, L’Italia e la «Nuova Europa», cit.,
pp. 30-32.
(185) O. MALAGODI, Conversazioni della guerra, cit., vol. II, pp. 451 e 461; Guglielmo
Emanuela a Luigi Albertini, Parigi 16 novembre 1918, in L. ALBERTINI, Epistolario, cit., vol. III,
D. 925.
(186) Si veda, ad esempio: R. W. SETON WATSON, Italy, Yugoslavia and the Secret Treaty, in
«New Europe», vol. IX, n. 3, 28 novembre 1918, pp. 151-156. Anche: Imperiali a Sonnino,
Londra, 16 e 18 novembre 1918, in DDI, Serie VI, vol. I, D. 190 e 208; G. IMPERIALI, Diario,
cit, pp. 596-599; J. BARIÉTY, La France et la naissance du Royaume des serbes, Croates et Slovènes,
1914-1920, in «Relations Internationales», n. 103, autunno 2000, pp. 319-324.
56 Massimo Bucarelli

la soluzione della questione adriatica, iniziavano ormai a urtarsi per «l’ecces-


sivo accalorarsi» degli alleati di Roma a favore degli Jugoslavi(187); per il diret-
tore del «Corriere della Sera», ciò che a Londra e Parigi si stava facendo a
vantaggio della causa jugoslava stava passando il segno:

Parrebbe – scriveva Alberini(188) – che fossero stati i jugoslavi e non


gli italiani a rendere all’Intesa i più segnalati servigi. Ne viene uno stato d’a-
nimo di rivolta contro tanta ingratitudine e di grave apprensione per l’ap-
prezzamento che si fa di un popolo che si ha l’aria di voler aizzare contro
l’Italia e che verso l’Italia non ha dimostrato la più piccola benevolenza e il
più moderato spirito di transigenza.

L’impressione che si stava diffondendo all’interno dell’opinione pubblica


italiana, anche tra gli stessi sostenitori e simpatizzanti dell’interventismo demo-
cratico, era quella di un’applicazione intransigente e rigorosa del principio di
nazionalità esclusivamente nei confronti delle richieste italiane, andando a cer-
care con il «lanternino» la nazionalità italiana in Istria, senza accorgersi delle
numerose eccezioni che si stavano per accettare in tante altre regioni
d’Europa(189).
Pur non decampando dai propri principi ispiratori e pur continuando a
lottare sul fronte interno contro i nazionalisti e i massimalisti, numerosi rap-
presentanti dell’interventismo liberale e democratico entrarono in aperta pole-
mica non solo con gli Jugoslavi, ma anche con chi ne appoggiava aprioristi-
camente e acriticamente le posizioni. Nonostante la comune battaglia politica
a favore del principio di nazionalità e di autodeterminazione, culminata nel-
l’organizzazione del Congresso di Roma dell’aprile 1918, la presa di distanza
dei democratici italiani dal gruppo riunito attorno alla rivista «The New
Europe» fu netta190. Seton-Watson fu letteralmente tempestato di lettere da
parte dei collaboratori italiani della rivista, sorpresi dalla durezza dei termini
utilizzati per criticare le rivendicazioni italiane, ma soprattutto delusi per la
mancanza di obiettività ed equidistanza dimostrata dalla «New Europe» e da
altri autorevoli organi di stampa britannici, come il «The Times» e il

(187) Luigi Albertini a Guglielmo Emanuel, Milano 14 novembre 1918, in L. ALBERTINI,


Epistolario, cit., vol. III, D. 921.
(188) Luigi Albertini a Guglielmo Emanuel, Milano 4 dicembre 1918, ivi, D. 929.
(189) Luigi Albertini a Guglielmo Emanuel, Milano 4 dicembre 1918, cit.
(190) H. e C. SETON-WATSON, The Making of a New Europe, cit., pp. 335-338.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 57

«Manchester Guardian»(191). Dalle lettere inviate a Seton-Watson, emergono


chiaramente l’amarezza di intellettuali e politici italiani (come Salvemini, Pietro
Silva, Antonio de Viti de Marco, Giuseppe Antonio Borgese, Guglielmo
Emanuel,) per essere stati in qualche modo abbandonati da persone conside-
rate vicine, l’incredulità per l’assoluta mancanza di imparzialità dimostrata
dalla rivista e la frustrazione per non essere riusciti a cambiarne in alcun
modo la linea editoriale. Ciò che più di ogni cosa veniva rimproverato a Seton-
Watson erano il grande imbarazzo che stava procurando all’azione degli inter-
ventisti democratici e il sostegno indiretto che stava dando al trionfo della pro-
paganda nazionalista in Italia. Mentre il fronte moderato dell’interventismo
italiano provava con grande difficoltà a convincere l’opinione pubblica della
necessità e della convenienza di rivedere in parte il patto di Londra, per rag-
giungere un compromesso con gli Jugoslavi in grado di assicurare all’Italia l’Istria
e Fiume, in cambio della rinuncia alla Dalmazia, Seton-Watson era impegnato
in una campagna per l’annullamento in toto delle clausole territoriali del patto
di Londra, mettendo in discussione anche l’annessione della parte interna
dell’Istria. La rinuncia all’entroterra istriano avrebbe in parte vanificato la par-
tecipazione italiana alla guerra e gli sforzi compiuti dal paese durante il con-
flitto. Probabilmente, anche se fondata sulla base della principio di naziona-
lità, si trattava di una rinuncia eccessiva anche per gli interventisti democratici,
che avrebbero avuto enormi difficoltà a spiegare al pubblico italiano i motivi
e gli obiettivi dell’intervento fortemente voluto e sostenuto nella primavera del
1915.
Il sostegno dato da Seton-Watson e da alcuni ambienti politici e intellet-
tuali britannici alla spartizione dell’Istria fece emergere il punctum dolens dei
rapporti tra l’interventismo democratico e il movimento jugoslavo: senza una
vera mediazione che non si limitasse ad appoggiare in pieno le rivendicazioni
degli uni a danno degli altri, ma che convincesse entrambe le parti ad accet-

(191) Mario Borsa a R. W. Seton-Watson, Milano, 5 dicembre 1918; Giuseppe Bruccoleri a


R. W. Seton-Watson, Roma, 11 dicembre 1918; Antonio de Viti de Marco a R. W. Seton-Watson,
Roma, 12 dicembre 1918; Edoardo Giretti a R. W. Seton-Watson, Bricherasio, 1° gennaio 1919;
Guglielmo Emanuel a R. W. Seton-Watson, Parigi, 3 gennaio 1919; Aldo Cassuto a R. W. Seton-
Watson, Londra, 6 gennaio 1919; Gaetano Salvemini a R. W. Seton-Watson, Firenze, 7 gennaio
1919; Pietro Silva a R. W. Seton-Watson, Livorno, 11 gennaio 1919; Giuseppe Antonio Borgese
a R. W. Seton-Watson, 20 gennaio 1919, in R. W. Seton-Watson and the Yugoslavs, cit., vol. II,
DD. 1, 2, 3, 6, 8, 10, 11, 12 e 15.
58 Massimo Bucarelli

tare sacrifici in cambio di vantaggi ben maggiori di quelli puramente territo-


riali (come la collaborazione politica, lo sviluppo delle relazioni economiche
e commerciali, e la cooperazione nell’ambito della sicurezza militare), sarebbe
stato impossibile trovare un punto d’incontro anche tra i moderati dei due
schieramenti. Finché i rappresentanti jugoslavi potevano contare sulla simpa-
tia e l’appoggio di alcuni influenti circoli politici dell’Intesa, avrebbero conti-
nuato a reclamare anche l’Istria, spostando la linea di un eventuale compro-
messo in avanti verso Trieste e Gorizia, e non al di sotto di Fiume(192).
Era evidente che la benevola difesa delle posizioni più estremiste soste-
nute dagli Jugoslavi, accompagnata dalla più rigida intransigenza nei confronti
delle aspirazioni italiane, toglieva ogni credibilità alle tesi dei democratici e a
ogni tentativo di dare seguito agli accordi di Roma dell’aprile 1918. Tra l’o-
pinione pubblica italiana, infatti, si iniziò a diffondere il dubbio che l’atteg-
giamento della stampa britannica, lungi dall’esser motivato dalla volontà di favo-
rire un’intesa per un pace giusta e duratura, fosse dettato da «considerazioni
prettamente imperialistiche», il cui obiettivo era la creazione di un «surrogato»
dell’Austria-Ungheria in grado di assicurare il mantenimento nel mar
Mediterraneo di un equilibrio di potere favorevole agli interessi britannici.
Sospetti del genere non facevano che aumentare le difficoltà degli interventi-
sti democratici, i quali, oltre a essere quotidianamente accusati di essere rinun-
ciatari, erano anche costretti a fronteggiare le conseguenze, tanto impreviste,
quanto sgradite, derivanti dall’ambiguità delle posizioni assunte da gruppi
politici ed editoriali esteri considerati loro amici(193).
Tuttavia, al di là dei difficili rapporti con le controparti jugoslave e della
partigianeria di certi ambienti politici dell’Intesa, la sconfitta dell’interventi-
smo democratico fu determinata soprattutto dalla scarso consenso di cui
godeva il movimento all’interno dell’opinione pubblica italiana, in preda a una
vera e propria ebbrezza nazionalista per la vittoria contro l’Austria-Ungheria(194).

(192) Giovanni Malvezzi a Luigi Albertini, 23 gennaio 1919, in L. ALBERTINI, Epistolario,


cit., vol. III, D. 970.
(193) Giuseppe Antonio Borgese a R. W. Seton-Watson, 20 gennaio 1919, cit.
(194) O. MALAGODI, Conversazioni della guerra, cit., vol. II, pp. 450 e 460; A. ALBERTINI,
Vita di Luigi Albertini, Roma, Mondatori, 1945, pp. 170-171; G. ANTONIO BORGESE, Golia. Marcia
del fascismo, Milano, A. Mondadori Editore, 1946, pp. 164-165. Anche: E. DECLEVA, «Il Giornale
d’Italia» (1918-1926), in 1919-1925. Dopoguerra e fascismo. Politica e stampa in Italia, a cura di
B. Vigezzi, Bari. Laterza, 1965, pp. 5-11; M. LEGNANI, «La Tribuna» (1919-1925, ivi, pp. 72-
78; A. J. MAYER, Politics and Diplomacy of Peacemaking. Containment and Counterrevolution at
Versailles 1918-1919, New York, A. A. Knopf, 1967, pp. 203 ss.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 59

Le speranze eccessive di ingrandimenti e annessioni derivanti dalla caduta


dell’Impero asburgico e dalla avanzata delle truppe italiane lungo le coste adria-
tiche e nei Balcani crearono uno stato d’animo tale, per cui qualsiasi propo-
sta politica e territoriale non in linea con la formula «patto di Londra più
Fiume» sarebbe stato considerata un tradimento degli interessi nazionali e dei
sacrifici fatti dal paese durante la guerra. L’opinione pubblica italiana scoprì
improvvisamente che la Dalmazia era una terra «italianissima» e che il destino
dell’Italia sarebbe dipeso in tutto e per tutto dal controllo pieno e totale della
costa orientale dell’Adriatico. Per programmi basati sull’idea di collaborazione
e cooperazione, sembrava non esserci più alcuno spazio. Netta era la sensa-
zione che nel paese, delle due anime del movimento interventista, era solo quella
nazionalista ad avere seguito e approvazioni(195).
A nulla valse lo scarto in avanti compiuto da Bissolati tra la fine di dicem-
bre del 1918 e la metà di gennaio del 1919, quando tentò di spingere il
governo, prima, e l’opinione pubblica, poi, a scegliere tra la sua impostazione
della questione adriatica e quella di Sonnino, contrario a rinunce preventive
e a revisioni unilaterali del patto di Londra, prima ancora che la Conferenza
della pace iniziasse i propri lavori. Ritrovandosi isolato all’interno della com-
pagine governativa, Bissolati uscì dall’esecutivo senza rinunciare, però, alla
battaglia politica nel paese(196). Convinto che la forza e la bontà delle proprie
idee avrebbero portato l’opinione pubblica dalla propria parte, il leader dei
socialisti riformisti decise di esporre direttamente al paese il proprio pro-
gramma di politica estera in un discorso tenuto alla «Scala» di Milano la sera
dell’11 gennaio 1919, nel corso del quale ripropose tutti i punti qualificanti
delle sua piattaforma politica: democratizzazione della politica internazionale,
accettazione di una pace giusta in grado di impedire la formazione di nuovi
irredentismi e revanscismi, necessità di una politica d’intesa e di amicizia fra
i popoli, che per l’Italia, all’atto pratico, avrebbe comportato la rinuncia al
confine del Brennero, la rinuncia alla Dalmazia, a eccezione di Fiume, e la
rinuncia al Dodecanneso. Come è noto, l’esito della prova di forza tentata da
Bissolati fu disastroso; il leader dei socialisti riformisti non riuscì a concludere
il discorso, interrotto in continuazione dai fischi e dalle grida di disapprova-

(195) G. ANTONIO BORGESE, Golia, cit., pp. 162-163; A. ALBERTINI, Vita di Luigi Alberini,
cit., p. 171; O. BARIÉ, L. Albertini, cit., pp. 366-370; R. VIVARELLI, , Storia delle origini del fasci-
smo, cit., pp. 242-246.
(196) Sull’episodio delle dimissioni di Bissolati, si veda: P. PASTORELLI, Le carte Colosimo,
in «Storia e Politica», 1976, n. 2, pp. 373-378.
60 Massimo Bucarelli

zione da parte del pubblico in sala, tra cui gruppi di nazionalisti, irredenti,
aditi e futuristi, guidati nella loro protesta da Marinetti e sostenuti anche da
Mussolini(197).
Al di là dell’episodio in sé, furono le reazioni degli schieramenti politici
e della stampa a decretare la sconfitta definitiva dell’interventismo democra-
tico. A essere criticate - anche da politici e intellettuali della stessa corrente
democratica e liberale dell’interventismo - non furono tanto l’intolleranza e la
prepotenza di Marinetti e di Mussolini, quanto le tesi rinunciatarie di Bissolati.
Il tentativo del tutto fallimentare di stabilire un contatto diretto con l’opinione
pubblica rese chiara ed evidente la marginalità delle tesi sostenute dall’inter-
ventismo democratico. Era il segno evidente e definitivo della distanza del paese
dalle posizioni dell’interventismo democratico e dello scollamento tra i suoi
leader e la società italiana, che pur non sposando nella sua interezza gli eccessi
dei nazionalisti, tuttavia si sentiva maggiormente in sintonia con chi le indi-
cava scopi e obiettivi da grande potenza, quale si riteneva fosse l’Italia uscita
vittoriosa dalla Grande Guerra(198).
Di fronte alle crescenti difficoltà interne e internazionali di quelle setti-
mane, il fronte democratico del movimento interventista, già di per sé poco
compatto e omogeneo, a causa delle differenti posizioni presenti al suo interno
sul piano politico generale, si sgretolò definitivamente. In quei momenti di crisi,
emerse l’incapacità dei vari gruppi e delle varie anime della corrente mode-
rata e democratica dell’interventismo di fare fronte comune, elaborando un
programma condiviso da sostenere di fronte al paese. Mentre i nazionalisti appa-
rivano più forti e determinati, gli interventisti democratici non riuscirono a
presentarsi come una forza dalla fisionomia politica ben definita e a dare l’i-
dea di essere qualcosa di più di un atteggiamento di élite politiche(199).

(197) Su tutto questo, si rimanda a: L. BISSOLATI, La politica estera italiana dal 1897 al 1920,
cit., pp. 394 ss.; I. BONOMI, La politica italiana dopo Vittorio Veneto, Torino, Giulio Einaudi
Editore, 1953, pp. 16-26; R. COLAPIETRA, Leonida Bissolati, cit., pp. 264-279; A. RIOSA,
L’interventismo democratico e la questione adriatica tra l’armistizio e la marcia su Fiume, in «Storia
e Politica», 1965, n. 4, pp. 514-520; A. J. MAYER, Politics and Diplomacy of Peacemaking, cit.,
pp. 213-222, R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 485-491; R. VIVARELLI, , Storia
delle origini del fascismo, cit., pp. 250-257.
(198) E. TAGLIACOZZO, Gaetano Salvemini, cit., pp.207-214; A. RIOSA, L’interventismo demo-
cratico e la questione adriatica, cit., p. 518; R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp.
431 ss.
(199) A. RIOSA, L’interventismo democratico e la questione adriatica, cit., pp. 522-534; R. DE
FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 442 ss. L’isolamento degli interventisti democratici
all’interno dell’opinione pubblica italiana è stato ricordato recentemente anche dalle pagine del
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 61

L’interventismo democratico – secondo le parole dello stesso Bissolati(200)


- avrebbe dovuto «fare da ponte» tra la politica italiana e il movimento jugos-
lavo. Ma la scossa tellurica seguita alla fine della guerra, con il divampare delle
contrapposizioni e dei contrasti per la soluzione della questione adriatica,
allontanò «i due piloni» su cui avrebbe dovuto poggiare il ponte, facendolo
crollare insieme ai programmi, all’impegno e alle speranza degli interventisti
democratici.
Mentre l’interventismo democratico entrava definitivamente in crisi e le
polemiche per la soluzione della questione adriatica montavano implacabilmente,
Mussolini decise di rompere, una volta per tutte, con gli interventisti demo-
cratici e di avvicinarsi al campo nazionalista. La partecipazione alla gazzarra
del teatro alla Scala, in occasione del discorso di Bissolati, rappresentò sim-
bolicamente il passaggio di Mussolini da uno schieramento all’altro del fronte
interventista, anche se - come è stato già sottolineato - era ormai da tempo
che l’ex leader socialista non era più perfettamente in linea con le tesi dei demo-
cratici. Per la realizzazione del proprio disegno politico volto alla ricerca del
consenso popolare e alla conquista del potere, Mussolini, non volendo con-
fondere il proprio avvenire politico con quello dei rinunciatari e non volendo
lasciarsi scavalcare dai nazionalisti nella retorica della difesa degli interessi nazio-
nali e nella valorizzazione dei sacrifici fatti dal paese durante la guerra, non
aveva altra alternativa che la rottura. Rottura che – come è ben noto – non
solo portò il direttore del «Popolo d’Italia» a criticare duramente e a boicot-
tare le iniziative di Bissolati per il compromesso adriatico, ma lo spinse a fon-
dare il Fascio dei combattenti, che avrebbe dovuto riunire e rianimare gli inter-
ventisti non rinunciatari, a chiedere con forza l’applicazione integrale del patto
di Londra (Venezia Giulia e Dalmazia) più l’annessione di Fiume e, infine, ad
appoggiare apertamente l’occupazione fiumana di D’Annunzio, di cui Mussolini
provò a presentarsi come il principale referente all’interno della politica ita-
liana nel tentativo di sfruttarne le eventuali ricadute positive(201). Negli scritti
di quelle settimane, netta fu la presa di distanza dal programma e dall’azione
dei democratici, così come dure e violente furono le accuse e le recrimina-

«Corriere della Sera»: P. RASTELLI, Nel ’19 la scelta di essere “wilsoniani”, in «Corriere della
Sera», 17 luglio 2010, p. 11.
(200) O. MALAGODI, Conversazioni della guerra, cit., vol. II, p. 465.
(201) Su tutto questo, si rimanda a: R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 461
ss. e pp. 544 ss.; G. RUMI, L’imperialismo fascista 1918-1923, Milano, Mursia, 1974, pp. 11-19;
R. VIVARELLI, , Storia delle origini del fascismo, cit., pp. 299 ss.; A. APOLLONIO, Dagli Asburgo
a Mussolini. Venezia Giulia 1918-1922, Gorizia, LEG, 2001, pp. 178-179, e pp. 280 ss.
62 Massimo Bucarelli

zioni contro gli obiettivi e i metodi dei rappresentanti del movimento jugos-
lavo. Per Mussolini, la vera battaglia democratica era diventata la difesa del-
l’italianità della Dalmazia, perché abbandonare la costa orientale dell’Adriatico
al dominio degli Jugoslavi avrebbe significato lasciare la minoranza italiana in
mano a una maggioranza slava «primitiva e selvaggia». La violenza delle pro-
teste, l’estremismo delle rivendicazioni e la brutalità degli incidenti accaduti
in Dalmazia avevano svelato il vero volto degli Jugoslavi: un popolo barbaro
unito dall’odio contro l’Italia e gli Italiani. I veri democratici, quindi, erano
coloro che difendevano la parte della popolazione dalmata «civile» - quella
italiana - dall’oppressione della parte arretrata - quella jugoslava; di certo non
erano democratici, ma soprattutto non erano «italiani degni di questo nome»,
quanti prospettavano la rinuncia alle città e alle coste della Dalmazia abitate
da secoli dall’elemento italiano, che non si rassegnava a diventare croato.
Bissolati venne personalmente accusato dal direttore di «Il popolo d’Italia» di
essere succube del massimalismo e dell’espansionismo degli Jugoslavi, cui il
leader dei socialisti riformisti avrebbe voluto cedere, senza negoziare, senza avere
garanzie e senza porre riserve, migliaia di italiani. La soluzione della questione
adriatica proposta da Bissolati, non discostandosi di molto dal «parecchio» dei
neutralisti di giolittiana memoria, avrebbe messo in pericolo la realizzazione
degli obiettivi di guerra italiani, rendendo pressoché inutile la «vittoria pro-
digiosa» ottenuta contro l’Austria(202).
Mussolini, tuttavia, anche nei momenti più aspri e intensi della polemica
adriatica e nonostante la rottura insanabile con l’interventismo democratico,
continuò a sottolineare la convenienza e l’opportunità dell’accordo non con
tutti gli Jugoslavi, ma con i Serbi, tradizionalmente amici dell’Italia, meno inte-
ressati all’Istria e a Fiume e più attenti alle sorti della Bosnia e del basso
Adriatico. Con la Serbia - affermava il direttore del «Popolo d’Italia» - non
poteva esistere alcun dissidio fondamentale, ma solo qualche questione di det-
taglio, facilmente risolvibile «con un po’ di buona fede reciproca e di buona
volontà»; troppi erano i legami politici, militari, economici e spirituali, che si
erano stabiliti tra i due paesi e i due popoli nei quattro anni di guerra(203).
Allo stesso tempo, però, Mussolini evidenziò a più riprese la necessità di con-

(202) B MUSSOLINI, Noi reprobi …; Il nuovo «parecchio» di Bissolati, in «Il popolo d’Italia»,
8 e 10 gennaio 1919, poi in Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XII, pp. 118-120, e pp.
125-130.
(203) B MUSSOLINI, I nostri amici sull’altra sponda; Parole da chiarire; Italia e Serbia, in «Il
popolo d’Italia», 20 novembre e 6 dicembre 1918, e 8 gennaio 1920 poi in Opera omnia di
Benito Mussolini, cit., vol. XII, pp. 17-19 e 47-49, e vol. XIV, pp. 237-239..
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 63

trastare la «megalomania imperialista» dei Croati e degli Sloveni, già strumento


dell’oppressione austriaca nei confronti degli Italiani d’Istria e Dalmazia, prin-
cipali promotori del movimento jugoslavo e responsabili del suo estremismo
politico e territoriale. Una Jugoslavia dominata da Lubiana e Zagabria e non
da Belgrado era «il bastone croato messo dall’Asburgo all’ultimo momento fra
le ruote del carro della vittoria italiana», perché i Croati e gli Sloveni, che inse-
guivano il sogno di una grande paese slavo meridionale, volevano l’espulsione
dell’elemento italiano dall’Adriatico(204).
Proprio in virtù della sua posizione sostanzialmente favorevole a un accordo
con la componente serba (e nonostante l’appoggio dato a D’Annunzio e le ripe-
tute dichiarazioni in favore dell’annessione di Fiume e delle città italiane della
Dalmazia), Mussolini fu tra quanti condivisero la soluzione della questione
adriatica raggiunta con la conclusione del trattato italo-jugoslavo firmato a
Rapallo nel novembre 1920. È noto, infatti, che, dopo gli esiti del tutto falli-
mentari dei tentativi di chiudere il contenzioso territoriale durante i lavori della
Conferenza della pace di Parigi, nell’autunno del 1920, su impulso del governo
guidato da Antonio Giolitti con Carlo Sforza agli Esteri, Roma e Belgrado giun-
sero finalmente a un compromesso. L’accordo, che assegnava la Venezia Giulia
all’Italia e la Dalmazia (a eccezione di Zara e alcune isole) alla Jugoslavia,
facendo di Fiume uno Stato indipendente, fu voluto e sostenuto da quanti, all’in-
terno della classe dirigente italiana, si erano ormai convinti che, per tutelare
gli interessi italiani nel mar Adriatico e nei Balcani, fosse necessario puntare
sull’amicizia con Belgrado e non sulla strenua opposizione ad esso. In parti-
colare, si riteneva importante rilanciare la tradizionale intesa con l’elemento serbo,
la cui egemonia all’interno del giovane Regno balcanico sarebbe uscita raffor-
zata dall’intesa, dal momento che con il trattato si stabiliva il definitivo rico-
noscimento da parte italiana dello Stato jugoslavo retto dalla dinastia serba dei
Karadordevic, in cambio della realizzazione della maggior parte degli obiettivi
italiani a scapito soltanto degli interessi sloveni e croati. Con i Serbi non esi-
steva alcun contenzioso territoriale diretto e la creazione della Jugoslavia sem-
brava averne soddisfatto l’aspirazione al completamento dell’unità nazionale,
riunendo all’interno degli stessi confini la popolazione serba della Bosnia, della
Croazia-Slavonia, della Dalmazia, del Montenegro e della Serbia(205).

(204) ID., Italiani e jugoslavi; Il «clamore»; L’atteggiamento degli jugoslavi, in «Il popolo
d’Italia», 22 e 25 novembre, e 23 dicembre 1918, poi in Opera omnia di Benito Mussolini, cit.,
vol. XII, pp. 22-24, pp. 33-34 e pp. 82-84.
(205) M. BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia (1922-1939), Bari, Edizioni B. A. Graphis,
2006, pp. 12-14; L. MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924, cit., pp. 212-214.
64 Massimo Bucarelli

L’intesa raggiunta a Rapallo si basava, quindi, su presupposti condivisi e soste-


nuti anche da Mussolini, che, essendo sostanzialmente favorevole all’accordo, di
fatto appoggiò la linea del governo Giolitti-Sforza,. Nell’autunno del 1920, nel-
l’imminenza della ripresa dei negoziati italo-jugoslavi, il direttore del «Popolo
d’Italia» venne contattato più volte da Sforza attraverso il prefetto di Milano,
Alfredo Lusignoli. Alla fine di ottobre, tra Sforza e Mussolini ebbe luogo anche
un incontro personale, durante il quale egli espresse la sua approvazione di mas-
sima al disegno di Giolitti e di Sforza di rinunciare alla Dalmazia, a eccezione
di Zara (per cui Mussolini inizialmente si limitò a chiedere una formula che ne
tutelasse l’italianità), in cambio dell’annessione di tutta la Venezia Giulia fino al
Monte Nevoso, della continuità territoriale con il costituendo Stato libero di Fiume
e di «serie garanzie» per i nuclei italiani che sarebbero rimasti all’interno dei
confini jugoslavi, come l’istituzione di scuole e la concessione di agevolazioni
economiche (206). Il direttore del «Popolo d’Italia» si spese anche pubblicamente
a sostegno del compromesso politico e territoriale con Belgrado. Una volta fir-
mato l’accordo italo-jugoslavo, Mussolini si dichiarò «francamente» soddisfatto
per la sistemazione data al confine orientale dell’Italia, che, coincidendo con la
linea delle Alpi Giulie, rappresentava ormai una barriera insormontabile. L’assetto
previsto per la città di Fiume, pur non essendo quello «ideale», era sicuramente
migliore di tutti quelli precedentemente progettati, grazie soprattutto alla con-
tiguità territoriale con l’Italia. Gli unici rilievi critici, anche se formulati in
maniera non perentoria, riguardavano la Dalmazia, per il cui destino Mussolini
si chiedeva se non fosse stato assolutamente possibile fare altrimenti(207).
Nei piani di Giolitti e di Sforza, il direttore del «Popolo d’Italia» avrebbe
dovuto garantire la neutralità, se non l’assenso, degli ambienti fascisti e nazio-
nalisti(208). Cosa che in effetti Mussolini, almeno inizialmente, provò a fare,
ma con risultati limitati, viste le reazioni dei nazionalisti e dello stesso movi-
mento fascista, alla firma del trattato di Rapallo. Proprio la pessima accoglienza

(206) Lusignoli a Sforza, Milano, 19 ottobre e 3 novembre 1920, telegrammi n. 13224 e n.


13822, in ASMAE, Carte Sforza, Busta 6; Lusignoli a Sforza, Milano, 16 e 24 ottobre 1920, tele-
grammi. n. 13194 «personale» e n. 13485 «precedenza assoluta»; Sforza a Lusignoli, Roma, 30
ottobre e 1° novembre 1920, telegrammi. n. 4330 e n. 4348 «Gabinetto segreto», ivi, Busta 7.
Anche: C. SFORZA, L’Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Roma, Mondadori, 1944, pp. 111-
119; R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 636 ss.; E. APIH, Italia, fascismo e anti-
fascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), Bari, 1966, pp. 146-147.
(207) B. MUSSOLINI, L’accordo di Rapallo, in «Il popolo d’Italia», 12 novembre 1920, poi in
Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XV, pp. 306-308.
(208) Lusignoli a Sforza, Milano, 16 e 24 ottobre, e 3 novembre 1920, cit.; Sforza a Mussolini,
Roma, 7 aprile 1921, Lettera personale, ivi, Busta 12.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 65

fatta dai fascisti triestini e giuliani all’accordo italo-jugoslavo spinse Mussolini


a correggere nuovamente, ma non a rinnegare, la propria posizione in merito
alla questione adriatica(209). Tra la fine del 1920 e il 1921, in una fase parti-
colare nella storia del fascismo, che da movimento rivoluzionario si stava tra-
sformando in partito d’ordine, strumento della reazione agraria e piccolo bor-
ghese, e in un momento delicato per la leadership di Mussolini, tutto preso
dal tentativo di inserire i fasci nella politica nazionale e nel gioco governativo,
il direttore del «Popolo d’Italia» tornò ad agitare la polemica adriatica e a ser-
virsi della retorica dalmatica: accentuò le critiche alla sistemazione politica e
territoriale della Dalmazia, la cui italianità doveva essere difesa a tutti i costi;
sottolineò in più di un’occasione la provvisorietà della soluzione raggiunta a
Rapallo, che non era certo inviolabile o eterna; e protestò per la decisione del
governo di Roma di ricorrere prima al blocco di Fiume e poi all’uso della forza,
per porre fine all’esperienza dannunziana e procedere all’applicazione delle clau-
sole dell’accordo italo-jugoslavo relative alla città del Quarnero(210).
Come è stato notato, era tattica, «solo tattica», per mantenere il controllo
del movimento fascista e non essere etichettato come un rinunciatario(211). In
realtà, Mussolini continuava a ritenere importante l’amicizia di Belgrado e
necessaria la sua collaborazione. Prova ne fu la conferma della sua adesione
al trattato di Rapallo fatta giungere nel settembre del 1922 all’allora ministro
degli Esteri italiano, Carlo Schanzer, poche settimane prima della firma delle
convenzioni italo-jugoslave di Santa Margherita Ligure per l’esecuzione del trat-
tato di Rapallo e, soprattutto, poche settimane prima della marcia su Roma.
Di fronte alle ripetute e continue agitazioni dei fascisti fiumani e giuliani(212),
il responsabile della Consulta fece contattare, sempre tramite il prefetto di
Milano, Lusignoli, il capo del fascismo per spiegargli le «ragioni complesse»
che rendevano necessaria l’applicazione dell’accordo italo-jugoslavo, e per invi-
tarlo a fare opera di moderazione presso gli ambienti fascisti fiumani e giu-
liani. Mussolini fece sapere a Schanzer di condividere completamente le diret-

(209) R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario, cit., pp. 646 ss.; A. APOLLONIO, Dagli Asburgo
a Mussolini,. cit., pp. 327 ss.
(210) B. MUSSOLINI, Dalmazia; Valutazione del trattato di Rapallo; La colpa, Il trattato di Rapallo
non è eterno; Pace e guerra, Titoli d’infamia, in «Il popolo d’Italia», 14 novembre 1920, 3, 17,
20, 23 e 29 dicembre 1920, poi in Opera omnia di Benito Mussolini, cit., vol. XVI, pp. 9 ss.
(211) R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario,. cit., p. 654; F. LEFEBVRE D’OVIDIO, Il pro-
gramma di politica estera del governo Mussolini, in «Clio», 2008, n. 4, pp. 20-21
(212) E. APIH, Italia, fascismo e antifascismo, cit., pp. 154 ss.; A. APOLLONIO, Dagli Asburgo
a Mussolini,. cit., pp. 505 ss.
66 Massimo Bucarelli

tive del governo di Roma, di essere «irritatissimo» per l’atteggiamento assunto


dai fascisti locali e di essersi già attivato per imprimere un «cambiamento di
rotta», chiarendo ai leader del fascismo fiumano che non si potevano preten-
dere aiuti dall’Italia senza tenere fede all’accordo di Rapallo (213).
Una volta giunto al potere, nell’autunno del 1922, Mussolini – contraria-
mente a quanto si poteva attendere, alla luce della propaganda fascista basata
sul mito della vittoria mutilata e sulla necessità di cambiare i trattati ritenuti
lesivi degli interessi nazionali – riprese la politica di collaborazione e di ami-
cizia con Belgrado, giungendo alla conclusione di una nuova intesa politica e
territoriale con la firma del patto di Roma del gennaio 1924, ultima e defini-
tiva sistemazione della questione adriatica. Il nuovo accordo non solo stabi-
liva la spartizione dello Stato libero di Fiume (previsto a Rapallo, ma mai sorto),
in virtù della quale la città e il porto di Fiume venivano definitivamente
annessi all’Italia, ma conteneva anche l’impegno italiano alla difesa dell’indi-
pendenza e dell’integrità della Jugoslavia, sconfessando così la propaganda anti-
jugoslava perseguita per anni dai nazionalisti italiani e dal fascismo(214). La
politica attuata da Mussolini con il patto di Roma fu sostanzialmente la con-
seguenza e lo sviluppo della politica iniziata da Giolitti e Sforza a Rapallo. Il
capo del fascismo non solo non innovò rispetto all’accordo del 1920, ma –
come notò Sforza(215) - prese impegni forse ancora più stringenti ed estesi,
andando al di là della semplice affermazione antirevisionista contenuta nella
Convenziona antiasburgica firmata a Rapallo, per assumersi l’obbligo di soste-
nere e difendere l’esistenza stessa dello Stato jugoslavo, e portare inaspettata-
mente – e un po’ paradossalmente - a compimento il programma dell’inter-
ventismo democratico, senza però gli interventisti democratici(216).

(213) Schanzer a Tosti di Valminuta e a Contarini, Ala, 21 agosto 1922, telegramma. n. 4/4
«Gabinetto», in ASMAE, Archivio di Gabinetto, parte I 1923-1929, serie IV, Ufficio Adriatico
– Fiume, Busta 24; Schanzer a Lusignoli, Roma, 13 settembre 1922, telegramma. n. 3103
«Gabinetto»; Lusignoli a Schanzer, Milano, 14 settembre 1922, telegramma. n. 7686, pubblicati
in appendice a: D. MASSAGRANDE, Italia e Fiume 1921-1924. Dal Natale di sangue» all’annes-
sione, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1982, dd. 21 e 22.
(214) Salvemini a Girolamo Vitelli, Parigi, 9 novembre 1922; Giuseppe Prezzolini a Salvemini,
Roma 17 novembre 1922, in G. SALVEMINI, Carteggio 1921-1926, cit., D. 91 e 103. Inoltre: M.
BUCARELLI, Mussolini e la Jugoslavia, cit., pp. 27-29; L. MONZALI, Italiani di Dalmazia 1914-1924,
cit., pp. 400-411.
(215) Sforza a Giolitti, Torino, 4 febbraio 1924, in Quarant’anni di politica italiana dalla carte
di Giovanni Giolitti, a cura di CLAUDIO PAVONE, Vol. III, Dai prodromi della grande guerra al fasci-
smo, 1910-1928, Milano, Feltrinelli, 1962, D. 387. Sul programma di poltica estera del governo
Mussolini, si veda: F. LEFEBVRE D’OVIDIO, Il programma di politica estera, cit., pp. 11 ss.
(216) A. ALBERTINI, Vita di Luigi Albertini, cit., p. 172.
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 67

7. Alcune considerazioni finali

Seguendo l’evoluzione della questione adriatica e delle varie posizioni


politiche in gioco, non si può fare a meno di osservare come l’incapacità (o,
alla luce dell’inconciliabilità delle tesi di molte delle parti in causa, l’impossi-
bilità) di raggiungere un’intesa tra le forze politiche moderate italiane e jugos-
lave abbia avuto delle conseguenze quanto mai negative nello sviluppo non
solo dei rapporti tra i due paesi adriatici, ma anche delle rispettive dinami-
che politiche interne; conseguenze che di fatto si rivelarono sproporzionate
rispetto alla effettiva portata della posta in palio, rappresentata dal possesso
di porzioni più o meno estese della costa orientale del mar Adriatico.
È del tutto evidente, infatti, che i tempi e i modi della formazione del
nuovo Stato jugoslavo furono notevolmente influenzati dal clamore suscitato
dalle rivendicazioni italiane su territori giuliani e dalmati, abitati per lo più da
popolazioni slovene e croate, e soprattutto dall’arrivo in Istria e Dalmazia delle
truppe italiane in applicazione dell’armistizio con l’Impero asburgico. Nelle
concitate settimane dell’autunno 1918, i membri del Narodno Vijece di Zagabria,
isolati internazionalmente, privi - anche per responsabilità proprie - di sponde
amiche all’interno dello schieramento politico italiano e presi dall’eccitazione
del momento (con i militari italiani schierati lungo la linea del patto di Londra
e con le truppe serbe presenti su gran parte del loro territorio), consegnarono
la sovranità sulle province ex austro-ungariche alla Serbia, senza negoziare la
concessione di autonomie locali e senza chiedere al governo di Belgrado di
rispettare le intese di Corfù e di Ginevra, che avevano gettato le basi per la
costruzione di un assetto istituzionale decentrato in grado di tutelare le diverse
componenti nazionali. Alla fine, la creazione del Regno jugoslavo si rivelò un’o-
perazione di vertice; un accordo di carattere negativo tra i circoli dirigenti della
Serbia e quelli jugoslavi dei territori austro-ungarici, determinato dal timore
che l’Italia si annettesse terre e coste slovene e croate; un’unione ‘contro’
qualcosa, piuttosto che ‘per’ qualcosa. Naturalmente, la Jugoslavia nasceva già
debole di suo a causa delle profonde differenze di tipo religioso, culturale ed
economico, tra le varie popolazioni che ne entrarono a far parte. Tuttavia, la
debolezza originaria fu acuita e aggravata da un processo istitutivo viziato e
stravolto dalla minacciosa presenza militare italiana e dal massimalismo di
numerosi ambienti politici italiani. Pur di non vedere parte della propria popo-
lazione cadere sotto la sovranità italiana, le classi dirigenti slovena e croata
accettarono la creazione di uno Stato unitario, il cui compito avrebbe dovuto
essere la difesa degli interessi nazionali in Istria e Dalmazia. In cambio,
68 Massimo Bucarelli

Belgrado fu libera di estendere al resto del paese lo stesso assetto istituzio-


nale e amministrativo, fortemente accentrato e sordo a qualsiasi istanza auto-
nomista, del Regno di Serbia. Naturalmente, dopo gli accordi di Rapallo del
1920 e di Roma del 1924, non appena fu chiaro che la componente serba non
era stata in grado di (o non aveva voluto) fare la sua parte, lasciando all’in-
terno dei confini italiani diverse centinaia di migliaia di Sloveni e Croati della
Venezia Giulia, il matrimonio d’interessi tra i tre popoli costitutivi del Regno
jugoslavo finì, il malcontento (soprattutto croato) per l’unione con Belgrado
riemerse con forza e il paese entrò progressivamente in crisi.
Allo stesso modo, è altrettanto evidente che in Italia il fallimento dell’in-
terventismo democratico favorì l’affermazione di posizioni estremiste e radi-
cali, pronte a sfruttare il tema della vittoria mutilata lungo i confini orientali
e adriatici. Di fronte all’insuccesso dei vari esponenti dell’interventismo demo-
cratico e liberale nell’elaborare una piattaforma politica comune con i leader
jugoslavi, fu facile per i nazionalisti e per il nascente movimento fascista pre-
sentare l’unione degli Slavi del sud come un avversario in grado di vanificare
gli sforzi compiuti dall’Italia nel corso della prima guerra mondiale e pronto
a ostacolarne le aspirazioni territoriali e i disegni egemonici nel mar Adriatico
e nei Balcani. Nel clima politicamente e socialmente instabile dell’Italia del
primo dopoguerra, il movimento fascista si propose e affermò non solo come
strumento della reazione agraria e piccolo borghese contro il sovversivismo socia-
lista, ma anche come difensore degli interessi nazionali nell’Adriatico setten-
trionale e orientale, intercettando il malcontento dell’opinione pubblica italiana
per le difficoltà incontrate dalla classe dirigente liberale nei rapporti con il nuovo
vicino jugoslavo.
A ben vedere, però, furono gli uomini e i metodi dell’interventismo demo-
cratico a fallire, ma non le tesi, ché a Rapallo e a Roma fu l’idea del com-
promesso adriatico (Istria e Fiume all’Italia, in cambio della Dalmazia alla
Jugoslavia) a prevalere. Tuttavia, si trattò di un’affermazione tardiva, arrivata
quando il clima politico generale in Italia era ormai talmente intossicato e avve-
lenato, che non fu possibile attribuire alcun merito a chi fin dai primi anni
di guerra aveva indicato come quel tipo di soluzione fosse l’unico rimedio in
grado di evitare lunghe ed estenuanti contrapposizioni, da una parte, e di porre
le basi per una collaborazione proficua e amichevole, dall’altra. L’unico a
riscuotere il successo della sistemazione adriatica, alla fine, fu Mussolini. Egli,
infatti, riuscì a passare indenne attraverso la dura contestazione all’accordo di
Rapallo (da lui sostanzialmente accettato) mossa dai nazionalisti e da nume-
rosi gruppi fascisti, facendo ricadere interamente sugli ultimi governi liberali
la responsabilità della controversa applicazione del trattato; per, poi, presen-
Mussolini, la questione adriatica e il fallimento dell'interventismo democratico 69

tarsi all’opinione pubblica come il massimo difensore degli interessi nazionali


e il vero realizzatore del programma dannunziano in difesa dell’italianità di
Fiume, annettendo definitivamente la città all’Italia. Per quanto paradossale
possa sembrare, Mussolini, partendo da posizioni che, relativamente all’assetto
territoriale nel mar Adriatico e nei Balcani, lo ponevano alla sinistra dell’in-
terventismo democratico, rinnegò tali posizioni per la conquista del potere,
ma, una volta conquistatolo, portò tali posizioni alla loro definitiva afferma-
zione, sia pur in un contesto politico del tutto estraneo, se non addirittura
refrattario, ai principi ispiratori e agli obiettivi di fondo dell’interventismo
democratico.

MASSIMO BUCARELLI

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