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Studi
Studi
LA SHOAH
TRA STORIOGRAFIA
E FILOSOFIA
a cura di Massimo Giuliani

La Shoah, ossia lo sterminio di circa sei milioni


di ebrei europei per mano dei nazisti e dei loro
collaboratori, è da alcuni decenni al centro della
riflessione pubblica dell’Occidente. A cavallo tra
memoria e storia, tragedia privata e coscienza pubblica,
la Shoah resta l’emblema della barbarie avvenuta nel
cuore della civilissima Europa cristiana, e il nome di
Auschwitz continua e a lungo continuerà a risuonare
come ammonimento contro le ideologie razziste, le
leggi antisemite e l’odio anti-ebraico.
In questo dossier abbiamo cercato di esporre le
principali linee interpretative di tale evento,
privilegiando la riflessione storica e la riflessione
filosofico-teologica, senza con ciò voler sottovalutare
l’utilità e l’importanza di altri approcci. Studio delle
testimonianze e ricerca storica, riflessione filosofica e
pensiero religioso possono far convergere gli sforzi per
meglio comprendere l’evento Shoah e stimolare
la coscienza etica delle giovani generazioni
nel prevenire in parte o in toto il ripetersi
degli orrori e degli errori del xx secolo (MG)

ABSTRACT

The Shoah, namely the extermination of about six million European Jews by the Nazis or their collaborators, has been at the
core of the public debate in the Western world for the last few decades. Straddling the boundary between memory and
history, private tragedy and public conscience, the Shoah stands for the symbol of the barbarism occurred in the highly
civilised Christian Europe. The name Auschwitz will always evoke a warning against racist ideologies, anti-Semitic laws or
anti-Jewish hatred.
This supplement aims to set out the major interpretations of this event, the first two contributions favouring the historic
perspective and the last two favouring the philosophical and theological approach. It is not our intention, though, to
underestimate the importance and utility of other approaches. Case studies and historical investigation, philosophical
reflection and religious thought can help us better understand the Shoah as well as urge the ethical conscience of the young
generation to avert, partially or in toto, the recurrence of the horrors and errors of the twentieth century.

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studi
LINEE INTERPRETATIVE
NELLA STORIA DELLA SHOAH
Gadi Luzzatto Voghera comprensibile passaggio socio-politico, che tuttavia stride
fortemente con l’idea dell’esercizio di una storiografia

L
a storiografia è stata considerata, assieme alla critica, ponendo lo storico nello scomodo ruolo di
memorialistica, lo strumento più appropriato sacerdote laico.
per trasmettere la conoscenza delle dinamiche È importante poter riconoscere e segnare i passaggi che
che hanno condotto allo sterminio degli ebrei hanno condotto a questa situazione, e lo si può fare
nel corso del secondo conflitto mondiale. Con il tempo ci ipotizzando un possibile percorso, scegliendo tuttavia di
si è tuttavia resi conto che l’evento – cui si è voluto dare il sacrificare (a malincuore) numerosi altri lavori e aspetti
nome di Olocausto (predominante nel mondo anche significativi del dibattito storiografico. In
anglosassone) o di Shoah (preferito in Europa particolare non potremo qui affrontare il ruolo della
continentale a partire dall’ultimo decennio) – si prestava Shoah nella storia dello stato d’Israele, le scelte della
a divenire terreno di indagine multidisciplinare: Chiesa di Pio XII nella condanna dello sterminio e
sociologi, antropologi, psicologi, giuristi accanto a filosofi, nell’opera di assistenza alle vittime, nonché l’importante
narratori, artisti e registi cinematografici e teatrali si sono e per certi versi inconcluso dibattito tedesco noto come
misurati cogliendo nel profondo la triste ma innegabile l’Historikerstreit.
potenzialità di un evento “indicibile” come quello
accaduto nel cuore dell’Europa settant’anni fa. IL 1961 È LA DATA DELLA SVOLTA
Il mestiere dello storico si è quindi dovuto confrontare
Se in precedenza le conoscenze e la riflessione sullo
nel tempo con questa straordinaria diffusione di studi
sterminio si limitavano ad alcune opere ampiamente
che hanno spinto all’estremo la necessità di un
retoriche e a rari sprazzi memorialistici generalmente
approccio comparativo. A questo si deve aggiungere il
poco noti al grande pubblico (si pensi alla scarsa fortuna
continuo svelarsi di nuove inedite fonti che anche a
letteraria di Se questo è un uomo di Primo Levi fino alla
distanza di decenni cambiano a volte in
maniera significativa le nozioni
fondamentali relative alla storia della
Shoah. In particolare, dopo la caduta del
muro di Berlino sono emerse
straordinarie documentazioni e fonti
primarie che hanno notevolmente
ampliato la possibilità di comprensione
dei meccanismi dello sterminio (con
buona pace della pseudo-storiografia
negazionista o riduzionista, per la cui
discussione si rimanda a Pierre Vidal
Naquet, Gli assassini della memoria, Viella,
Roma 2008). Rimane intatta la domanda
fondamentale: perché? Ma è questione
che esula dal dominio prettamente
storiografico.
A queste dinamiche si aggiunge la
centralità che lo sterminio degli ebrei ha
assunto nel tentativo di costruire una
memoria europea condivisa. Auschwitz è
divenuta, dopo l’istituzione della
Giornata della memoria il 27 gennaio
(anniversario della liberazione di quel
lager), luogo della costruzione di una Il banco degli imputati durante il processo di Norimberga, tenutosi dal 20 novembre 1945 al
nuova “religione civile”: un ulteriore 1° ottobre 1946 contro i gerarchi del nazismo.

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metà degli anni Sessanta), nel 1961 si registrano due – unico caso in cui la civiltà
eventi significativi: la cattura di Adolf Eichmann e il suo europea tenta di eliminare in
processo in Israele, e la pubblicazione negli Stati Uniti modo largamente
del libro di Raul Hilberg, The Destruction of the European volontario una
Jews (prima traduzione italiana Einaudi, Torino 1995). Il parte
processo Eichmann provocò profondi mutamenti fondamentale
sull’immagine pubblica del “male assoluto”. La filosofa del proprio
Hanna Arendt seguì il dibattimento pubblicando una patrimonio umano e
riflessione fondamentale (Eichmann in Jerusalem: A Report culturale;
on the Banality of Evil [1963], tr it. La banalità del male, – unico caso in cui
Feltrinelli, Milano 1964) che poneva l’accento sulla l'intera macchina
normalità degli esecutori del più immane massacro militare e
prodotto nella storia. Un tema che proiettava la Shoah burocratica di uno
sulla coscienza collettiva, anche grazie alla trasmissione stato assume come fine
televisiva del processo: immagini di un uomo normale programmatico lo sterminio di
che descriveva nei minimi dettagli le modalità di un popolo;
trasferimento di esseri umani ai campi della morte – unico caso in cui la furia persecutoria di un uomo
asserendo di aver solo adempiuto a ordini superiori. Un (Hitler) si trasforma in azione messa in pratica da chi
percorso che rovescia le priorità della dinamica civile, riconosce in questo uomo il proprio leader;
assegnando una posizione di assoluto rilievo al coraggio – unico caso in cui un'intera generazione di un popolo,
della disobbedienza (Rony Brauman - Eyal Sivan, Adolf quello tedesco, partecipò in vari gradi e con minime
Eichmann, Einaudi, Torino 2003). Il lavoro di Raul eccezioni a un genocidio (sull’unicità della Shoah si veda
Hilberg amplia le prospettive di ricerca presentando una l’esaustiva discussione in Michele Sarfatti, La Shoah in
corposa documentazione elaborata nelle oltre 1200 Italia, Einaudi, Torino 2005).
pagine dell’opera. Da queste prendono corpo le linee
del dibattito che per diversi decenni ha appassionato gli IL TEMA DELLA RESPONSABILITÀ PERSONALE
storici contemporanei fra un’interpretazione La riflessione parte da lontano: si pensi alle numerose
“intenzionalista” e una “funzionalista”: la prima vede lo dichiarazioni di non responsabilità espresse dai gerarchi
sterminio degli ebrei come un evento premeditato e nazisti al processo di Norimberga e dallo stesso
compreso in origine nei programmi di Hitler. Già Eichmann. Tuttavia la questione si è progressivamente
ampiamente prospettato nel Mein Kampf, si concretizzò ampliata; gli esperimenti di psicologia sociale prodotti da
una volta che le condizioni lo permisero, e fu il frutto di Stanley Milgram nel 1961 (Obedience to Authority: An
una precisa volontà del Führer. I funzionalisti (fra i quali Experimental View, New York 1974) costituivano la base per
va ascritto lo stesso Hilberg, assieme al suo maggior aprire nuovi percorsi di ricerca che comprendevano le
epigono Christopher Browning) interpretano la riflessioni del sociologo Zygmunt Bauman, i lavori di
cosiddetta “soluzione finale” come un’azione intervenuta Christopher Browning sulla partecipazione di non
solo alla fine di un lungo processo lontano da ogni forma militari alla macchina dello sterminio e infine il grande e
di determinismo e sostanzialmente ideato dai ranghi inconcluso lavoro dedicato ai “Giusti delle nazioni”. Il
intermedi della gerarchia nazista. museo Yad Vashem di Gerusalemme, destinato a divenire
luogo della memoria nazionale dello stato d’Israele,
Dagli anni ’60 in avanti la storiografia ha continuamente apriva nel 1962 questo capitolo incaricando una
arricchito lo spettro di temi in discussione legati allo commissione di identificare coloro che –
sterminio degli ebrei. La riflessione andò volontariamente e a rischio della propria vita – erano
progressivamente toccando alcuni ambiti che – sebbene riusciti applicando la regola della disobbedienza a salvare
non circoscrivibili – ci aiutano a disegnare un percorso di anche solo una vita durante gli anni delle persecuzioni
ricerca. Innanzitutto la questione della cosiddetta (la letteratura sui Giusti è ampia e articolata, si veda il
“unicità” dello sterminio del popolo ebraico. Questo sito http://www.gariwo.net/). Bauman (Modernità e
paradigma venne sostenuto in vari e diversi modi. In Olocausto, il Mulino, Bologna 1992) da parte sua coglieva
breve possiamo così schematizzarli: il significato più profondo sul senso dei problemi relativi
– unico caso nella storia in cui una ideologia secolare, alla responsabilità individuale nel partecipare a un atto
l'antisemitismo, porta a progettare lo sterminio di un ingiusto come l’uccisione di civili a fronte di un ordine
intero popolo, azione che da allora viene chiamata superiore cui si può decidere di obiettare: «La novità più
"genocidio" (termine che in seguito ha assunto definite terribile rivelata dall’Olocausto e da ciò che si era
caratteristiche giuridiche, ma di cui spesso la retorica appreso sui suoi esecutori – egli scrive – non era
politica abusa); costituita dalla probabilità che qualcosa di simile potesse

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essere fatto a noi, ma dall'idea che fossimo noi a poterlo fare». piuttosto ben documentata degli anni del
E. Browning (Uomini comuni, Einaudi, Torino 1995) dava concretezza fascismo che vedeva il suo epilogo nei
documentale a queste affermazioni studiando il comportamento dei tragici anni della persecuzione e della
membri del Polizei-Bataillon 101, perpetratori di stragi efferate deportazione.
durante l’estate 1942. Uomini che non appartenevano ad un reparto Era il 1961, e quindi si trattava in senso
ideologizzato o addestrato; uomini comuni, proiettati dalla realtà stretto di storia “contemporanea”.
cittadina alle operazioni degli Einsatzgruppen in Polonia e Lituania, a Tuttavia nelle ristampe successive De
uccidere inermi civili, donne, bambini ed anziani. Felice manteneva fermo l’impianto
cronologico dell’opera, compiendo
LA TESTIMONIANZA solamente alcuni aggiustamenti di
COME DOCUMENTO STORICO carattere bibliografico e sottolineando
La storiografia ha proseguito nel proporre nuove e interessanti
articolazioni. Negli ultimi decenni si è sempre più sviluppato un
importante e innovativo filone di ricerca legato alla grande ondata di L’antisemitismo di Stato in Italia (da La difesa della
testimonianze orali e scritte prodotte dai testimoni e superstiti dello razza, 1938).
sterminio dopo decenni di silenzio. A partire dagli anni ’70, infatti, la
società occidentale ha dimostrato sempre maggior disponibilità
all’ascolto, provocando l’apertura di un nuovo imponente fronte
documentale. Dopo la realizzazione del lungo documentario Shoah
realizzato dal regista Claude Lanzmann (1985) e fondato su
testimonianze dirette di popolazione civile residente nei luoghi dello
sterminio all’epoca del massacro, il valore della testimonianza come
documento storico ha progressivamente attivato importanti riflessioni
che riguardano sia la storia della Shoah, sia più in generale la
disciplina storica e il suo rapporto con le fonti orali e il loro possibile
utilizzo. Annette Wieviorka con il suo L’era del Testimone (Raffaello
Cortina, Milano, 1999) e David Bidussa con il recente Dopo l’ultimo
testimone (Einaudi, Torino, 2009) mettono sotto esame le difficoltà
del nesso necessario ma problematico fra Storia e Memoria,
soprattutto in relazione all’istituzionalizzazione di una memoria
“pubblica” carica di retorica e di momenti celebrativi che
apparentemente sminuiscono il ruolo stesso del testimone e della sua
parola. Una riflessione aperta, che invita la storiografia a confrontarsi
con l’imponente mole di documentazione raccolta negli ultimi anni
dai nuovi, numerosi musei dedicati allo sterminio del popolo ebraico
e soprattutto al progetto voluto dal regista Steven Spielberg con
l’istituzione della Shoah Foundation, che raccoglie nel mondo decine
di migliaia di testimonianze filmate.

IL DIBATTITO STORIOGRAFICO IN ITALIA


È necessario premettere che lo sterminio degli ebrei nella penisola
ebbe una dimensione che potremmo definire “limitata” rispetto
all'enormità complessiva. Le deportazioni iniziarono solo dopo il
settembre 1943, con l'occupazione tedesca e la creazione della
Repubblica di Salò. Oltre ottomila dei quarantamila ebrei italiani
vennero deportati, e pochissimi sopravvissero ai campi di sterminio. Il
resto degli ebrei italiani seguì diverse vie di scampo, dall'emigrazione
alla fuga nelle centinaia di conventi e case private che diedero loro
ospitalità generosa in tutta la penisola. Il pionieristico e assai discusso
lavoro di Renzo De Felice, Gli ebrei italiani sotto il fascismo (Einaudi,
Torino 1961), aveva contribuito a fornire ai successivi studi l’impianto
cronologico e documentale di base. Una breve introduzione
collocava gli ebrei nella società italiana post-unitaria, e alcune note
delineavano una presenza sì, ma superficiale e non “di massa”
dell'antisemitismo e del razzismo nella Penisola. Seguiva un’analisi

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Negli ultimi due decenni si sono moltiplicati gli studi storici e


documentari sulla questione fascismo-ebrei-antisemitismo-Shoah:
queste ricerche hanno contribuito ad arricchire le conoscenze di
passaggi e momenti della storia del paese nel ventennio. Si può
tuttavia affermare che sul piano della percezione comune – anche
nel mondo accorto e critico degli storici – l’interpretazione di De
Felice conosce ancora una certa fortuna e raramente viene messa in
discussione. Sia in Israele, sia oltreoceano dove il volume è stato
anche tradotto, l’antisemitismo fascista italiano viene considerato
secondario, minore e quasi “benevolo” rispetto a quello dei nazisti e
di altri fascismi europei. Al contrario in Italia il dibattito è
decisamente più aperto, sia perché l’intera interpretazione del
fascismo condotta da De Felice (soprattutto quello degli ultimi anni)
è stata sottoposta a dura e a tratti ingenerosa critica, sia perché ai più
è sembrata non essere sostenibile la tesi degli italiani “brava gente”, i
quali di fronte agli eccessi fascisti del razzismo (in Africa) e
dell’antisemitismo (in Italia) avrebbero mantenuto un livello di
adesione basso per non dire ostile.

Gadi Luzzatto Voghera


Boston University, Padova

con maggior forza la sua ipotesi originaria secondo cui


la legislazione antisemitica italiana del 1938 sarebbe
stata più il frutto delle strategie di alleanza con il Terzo Bibliografia
Reich che non un prodotto originale della società Oltre ai testi citati, si possono indicare alcuni strumenti
italiana, fascista e non. «Non vi è dubbio – scrive De importanti e di facile reperibilità utili per approfondire singoli
Felice – che la decisione di Mussolini di introdurre ambiti del dibattito storiografico.
anche in Italia l’antisemitismo di Stato fu determinata M. Cattaruzza, M. Flores, S. Levis Sullam, E. Traverso (A cura di),
essenzialmente dalla convinzione che per rendere Storia della Shoah. La crisi dell'Europa, lo sterminio degli ebrei e la
granitica l’alleanza italo-tedesca fosse necessario memoria del XX secolo, UTET, Torino 2005 (5 volumi, 3 DVD, oltre
eliminare ogni stridente contrasto nella politica dei 2.800 pagine). Si tratta della più completa opera di ricostruzione
e dibattito sulla Shoah attualmente in commercio in italiano.
due regimi».
M. Pezzetti, Il libro della Shoah italiana, Einaudi, Torino 2009.
Attorno a questa interpretazione si è aperto un ampio
Raccolta di testimonianze di italiani nella Shoah.
dibattito fra chi vedeva nelle parole di De Felice una
AA.VV., Dizionario dell’Olocausto (a cura di Walter Laqueur
assoluzione della società italiana nel suo complesso dalla
[edizione italiana a cura di Alberto Cavaglion]), Einaudi, Torino
diretta responsabilità di ideazione e applicazione delle
2004: adattamento italiano di un’importante opera collettanea di
leggi razziali e di collaborazione allo sterminio, e chi
discussione e documentazione.
questa assoluzione intendeva criticare avanzando ipotesi
L. Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-
più problematiche. È il caso di Michele Sarfatti, che nel
1945), Mursia, Milano 2002. Si tratta della ricostruzione della
suo Gli ebrei nell’Italia fascista (Einaudi, Torino, 2000) ha composizione dei convogli in cui viaggiarono gli ebrei deportati
parole molto nette. Per Sarfatti le leggi razziali furono il dall’Italia.
prodotto di una originale e autonoma politica razzista già L. Picciotto (a cura di), I Giusti d'Italia. I non ebrei che salvarono gli
esplicita nell’espansionismo coloniale in Africa e ebrei 1943-1945, Mondadori-Yad Vashem, Milano 2006
comunque presente come ostilità antiebraica diffusa G.E. Rusconi (a cura di), Il passato che non passa, Einaudi, Torino
nella società italiana e nei ranghi del regime: «[...] tra la 1988: traduzione italiana dei più importanti interventi del
fine del 1935 e l’estate del 1936 la “questione dibattito storiografico tedesco noto come Historikerstreit.
antiebraica” assunse per il regime la qualità di questione G. Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Rizzoli, Milano 2000: uno
politica interna non rinviabile e Mussolini decise – in dei più autorevoli lavori che affrontano la questione della Chiesa
piena autonomia rispetto alla realtà continentale e di Pio XII nella Shoah.
agendo allo stesso tempo da stimolo e da mediatore I. Zertal, Israele e la Shoah. La nazione e il culto della tragedia,
all’interno del gruppo dirigente fascista – di risolverla Einaudi, Torino 2007. Si tratta di una spassionata discussione sul
dotando il regime e il paese di una “moderna” politica ruolo che la memoria della Shoah ha assunto nella costruzione di
antiebraica». una “religione civile” in Israele.

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studi
LE POLITICHE DELLA MEMORIA:
GIORNATA, MONUMENTI E MUSEI
DELLA SHOAH

Anna Foa Nel complesso percorso della memoria della Shoah, ciò
che si collega alle politiche delle memorie: gli
anniversari, i musei, i memoriali di ogni genere, ha

C
he la memoria della Shoah abbia avuto un
percorso stentato e fin tortuoso, prima di scansioni non sempre corrispondenti a quelle
diventare cardinale nella nostra storia e nella determinate dall’altro filone importante di costruzione
nostra cultura, è cosa ormai nota, dopo la gran della memoria di cui non ci occuperemo qui, e cioè gli
scritti di memorialistica vera e propria. Questo perchè,
mole di scritti e saggi che proprio da questo percorso
nonostante le strette connessioni, gli obiettivi e gli effetti
hanno preso lo spunto per riflettere sul carattere artificiale
della memorialistica, anche quando la pubblicazione la
di ogni memoria, tanto individuale che collettiva,
rende, appunto, “pubblica”, sono differenti da quelli
sull’esistenza di memorie contrapposte, sul buono o
delle ricorrenze istituzionalizzate o della sistemazione
cattivo uso della memoria. Proprio fondandosi su questo
museale, veri e propri momenti di costruzione e di
modello di costruzione memoriale, è data ormai per
coagulo della memoria, a cui si unisce, almeno per
acquisita tanto la funzione fondamentale della memoria
quanto riguarda i musei, la primaria funzione didattica: il
nella costruzione dell’identità del singolo e del gruppo
mostrare, l’insegnare, il trasmettere.
quanto la sostanziale legittimità del suo uso politico,
nazionale ed ideologico. Anche di questo uso, e delle GLI INIZI: LO YAD VASHEM DI GERUSALEMME
politiche della memoria che ne derivano, si fa ormai la Nel caso della Shoah, il bisogno di individuare ricorrenze
storia, nell’intento di coglierne, nel conflitto che e di crear monumenti e musei ha preceduto non solo
inevitabilmente contrappone le diverse memorie, gli
l’affollarsi dei testi di memorialistica, ma anche la
eventuali abusi, le imposizioni totalitarie, gli appiattimenti
consapevolezza di quanto ciò che si voleva celebrare
conformistici. Sempre tuttavia nella consapevolezza che
avesse un significato specifico, fosse un evento diverso da
l’uso della memoria non si può eliminare, che esso fa
quello della guerra in cui si collocava, e fin l’affermarsi di
parte della memoria stessa e del suo farsi.
un nome con cui designarlo. E non ci stupiamo quindi
che il primo impulso a costruire per la Shoah un
Nel Museo Yad Vashem di Gerusalemme la Hall of names conserva le
fotografie degli ebrei morti nei campi di sterminio e più di due milioni di monumento che ne trasmettesse la memoria sia venuto
pagine con loro brevi biografie. in terra d’Israele, e per di più in un momento in cui lo
sterminio degli ebrei d’Europa era lungi dall’essere
compiuto, anche se cominciava a prendere forma e
sostanza nell’immaginazione degli ebrei dell’Yishuv. Sono
i giorni che seguono la sconfitta di Rommel ad El-
Alamein, nel Sahara egiziano, nel novembre 1942,
sconfitta che salvò la Palestina dall’occupazione e i suoi
ebrei dal condividere la sorte degli ebrei d’Europa. Sono
anche i giorni in cui le notizie sullo sterminio in atto in
Europa, che fino a quel momento erano passate
attraverso la Resistenza polacca e poi attraverso Londra,
furono riferite di prima mano in Palestina da un gruppo
di ebrei palestinesi. La notizia fece grande scalpore
nell’Yishuv, tanto che Ben-Gurion rivolse a Churchill,
Roosevelt e Stalin numerosi appelli, tutti caduti nel vuoto,
perchè aprissero ai profughi le frontiere palestinesi. La
proposta di un Memoriale dedicato alla Shoah fu ripresa
dopo il 1948 e la costituzione dello Stato. Questa volta, il
memoriale della Shoah avrebbe dovuto mostrare al

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mondo il legame esistente tra lo sterminio degli ebrei ombre, colori, dipendono così esiti culturali e politici
della Diaspora e la creazione dello Stato. Israele pretende non indifferenti, che ci ripropongono, all’interno della
ormai ad avere un ruolo centrale, se non esclusivo, nella storia della diaspora, i dilemmi che si trovarono di fronte
costruzione della memoria della Shoah, ed è anche i primi creatori dello Yad Vashem, quando cercarono di
questo il motivo per cui le proteste del governo israeliano esprimere nella loro narrativa il nesso tra la Shoah e il
riuscirono ad impedire la costruzione, proposta dagli sionismo o quello, altrettanto connotato
ebrei francesi, di un memoriale a Parigi. Sono questi i ideologicamente, tra la Shoah e l’eroismo, tutti problemi
primordi di quello che sarà poi, dopo una lunga e su cui ha scritto pagine importanti Tom Segev nel suo Il
complessa gestazione, edificato nel 1953 e settimo milione (Mondadori, Milano 2002).
completamente rifatto nel 2005 e che sarà destinato a
rappresentare tanto la memoria ufficiale della Shoah che IL MOMENTO DEL RICORDO
il nesso tra la Shoah e la costruzione dello Stato: lo Yad Tra gli strumenti memoriali, una funzione determinante
Vashem, sul Monte Herzl a Gerusalemme. è quella assunta dal tempo, dalla ricorrenza. Un
A partire dagli anni Novanta, i memoriali e i musei della momento collettivo dedicato alla memoria, che riunisca
Shoah si moltiplicano nella diaspora tanto europea che le memorie di tutti e le concentri, per un giorno, un’ora,
americana. È del 1993 l’importante e vastissimo Holocaust un minuto, sul ricordo dello sterminio. Il momento del
Memorial Museum di Washington, del 2000 l’Holocaust ricordo istituzionalizzato, codificato, condiviso. Ma quale
Exhibition di Londra, del 2005 il Mémorial de la Shoah di data, quale momento assumere a simbolo di un evento
Parigi e il Denmark di Berlino, del 2006, interamente così prolungato nel tempo e nello spazio? e ancora, cosa
rinnovata rispetto alla precede allestimento del 1992, la significare nella scelta, quale interpretazione dare cioè
Mostra Storica permanente di Wannsee, e questo per non dell’evento? Il bisogno di individuare una data in cui
citare che le istituzioni di rilevanza nazionale. Sono inoltre ricordare la Shoah si fa sentire in Israele subito dopo la
in fase di progettazione un grande Museo della Shoah a creazione dello Stato, ma deve passare attraverso dibattiti
Roma, e un Museo dell’ebraismo e della Shoah a Ferrara. e conflitti ideologici prima di dar vita, nel 1959, alla
ricorrenza dello Yom-ha-Shoah, fissata in aprile, in
genere una settimana dopo la Pasqua ebraica, in
LE SCELTE DEI MUSEI vicinanza quindi della data dell’insurrezione del ghetto
Nonostante la differenza tra lo scopo di perpetuare a fini
etici la memoria, principio ispiratore del memoriale, e
quella di documentare un percorso storico, principio
ispiratore del museo, i due obiettivi si mescolano e si
congiungono. Soprattutto nei progetti più recenti, si è
affermato l’obiettivo di ridare volto e nome alle vittime
più che di ricostruire la storia degli aggressori. Un
principio che passa attraverso l’identificazione, come a
Washington dove al visitatore viene consegnata
all’entrata una scheda biografica di una vittima della
Shoah, o come a Berlino dove invece una stanza intera è
dedicata alla lettura dei nomi di tre dei sei milioni di
vittime della Shoah (lettura che dura sei anni). Anche
Yad Vashem, nel suo nuovo allestimento, è volto più a
ricostruire il mondo delle vittime che le fasi
dell’aggressione. Questo obiettivo pone ai musei della
Shoah un problema metodologico non indifferente,
quello del rapporto tra la storia dello sterminio, che si fa
iniziare con l’avvento del nazismo nel 1933, e quella
della vita degli ebrei della diaspora, che ha
evidentemente tempi assai più lunghi. In linea di
massima, mentre i musei della Shoah tendono a
concentrare la narrativa sul periodo più recente, i musei
di storia degli ebrei tendono a portare la loro narrazione
fino alla Shoah. Anche qui numerosi sono i problemi
metodologici, in primis il rischio di mostrare nella
Shoah l’esito della lunga storia degli ebrei nella diaspora
e lo sbocco necessario dell’antisemitismo. Da scelte
strettamente museali, collocazione spaziale, luci ed

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di Varsavia. A metà mattinata, in tutto il paese suonano le italiano sembra essersi spostato sulle modalità di una
sirene. Tutti si fermano, immobilizzandosi in narrativa museale della Shoah. Ma anche in questo settore
raccoglimento. Le bandiere calano a mezz’asta. Poi, la più “tecnico” e meglio delimitato, i dubbi derivano da
vita riprende. La commemorazione, voluta fortemente problemi più generali. Evento limite per eccellenza, la
dai governi laburisti che si ponevano come gli eredi Shoah è infatti irta di pericoli anche nella sua trasmissione.
spirituali degli insorti del ghetto, voleva nella scelta della Essa porta alle estreme conseguenze la discrepanza tra
data connessa all’insurrezione del ghetto legare esigenza conoscitiva – conoscere quello che è stato,
simbolicamente la memoria dello sterminio a quella ricostruirlo, fissarlo in immagini e didascalie sulle pareti di
dell’eroismo ebraico, la stessa ideologia sottesa un museo – ed esigenza etica – sollecitare il ricordo per
inizialmente alla creazione dello Yad Vashem e alla sua evitare che l’evento si ripeta sotto qualsiasi forma. Dal
prima impostazione. Il conflitto politico che si aprì punto di vista conoscitivo, ciò che risalta è l’ineluttabilità
contrappose soprattutto la memoria laica della Shoah a della distruzione, la casualità della sopravvivenza. Ma dal
quella religiosa, che individuò altre date, legate alla punto di vista dell’insegnamento etico dobbiamo
tradizione ebraica medioevale e alla distruzione del insegnare soprattutto la responsabilità, la libertà delle
Tempio. Possiamo ricordare in questo contesto la scelte: spiegare che ogni gesto, sia pur piccolo, è
proposta di Menachem Begin, appena divenuto primo importante, serve, deve essere fatto. È ancora un altro
ministro, di scegliere per il giorno del ricordo il 9 di Av, problema che questa memoria ci pone: come guidare i
che cade tra luglio e agosto, il giorno di lutto giovani sulla via di una conoscenza profonda, interiore, che
tradizionale che commemora la caduta del secondo consenta anche la catarsi, il superamento dell’orrore fine a
Tempio e la cacciata degli ebrei dalla Spagna, e di se stesso? E come farlo, senza trasformare il nostro
unificare la memoria delle vittime della Shoah con quella insegnamento in un film a lieto fine, che addormenti le
delle vittime delle guerre per la creazione dello Stato. coscienze invece di risvegliarle? Tutti interrogativi che le
Proposta non accettata, ma significativa della politiche della memoria, anche nelle loro espressioni
conflittualità politica che stava dietro queste scelte. migliori, non riescono che a porre. Domande difficili,
Meno conflittuale, perché meno legata a scelte risposte ancora più difficili. Ma essenziali per il nostro
ideologiche così nette, la scelta della giornata europea futuro e per quello di coloro che verranno.
della memoria, fissata per il 27 gennaio, data della
liberazione da parte dell’Armata Rossa del campo di Anna Foa - Università «La Sapienza», Roma
Auschwitz, luogo simbolo della Shoah. In Italia, essa è
stata adottata nel 2000. Per un momento, si parlò di
preferire al 27 gennaio la data del 16 ottobre, in modo da
commemorare come evento simbolo la razzia nazista del
1943 a Roma, ma poi si preferì sottolineare il carattere
europeo della ricorrenza. Nel 2005, questa data è stata
ufficialmente adottata dall’ONU. In Israele, la data dello
Yom-ha-Shoah è rimasta invariata, anche se va crescendo
l’attenzione per la ricorrenza diasporica del 27 gennaio.

ESIGENZE CONOSCITIVE ED ESIGENZE ETICHE


L’adozione di una data simbolica del ricordo non è stata
senza conseguenze nel processo di costruzione memoriale,
con l’effetto di gonfiarne fortemente la valenza, la visibilità,
e soprattutto l’ufficialità. Forte è stato l’impulso dato alla
trasformazione del ricordo in una memoria retorica ed
irrigidita, anche se il costante collegamento della giornata
con l’insegnamento nelle scuole, le visite ad Auschwitz e ad
altri luoghi memoriali, la pubblicazione di libri e scritti ha
mantenuto vivo il legame tra la memoria e la sua
trasmissione. Probabilmente, esistono usi più o meno
buoni della Giornata della memoria, come esistono usi più
o meno buoni della memoria. Sono questioni su cui molto
si dibatte, soprattutto all’interno del mondo ebraico e delle
sue istituzioni, consapevoli dei rischi di una memoria
sbagliata. Ultimamente, forse grazie alla necessità di
immaginare i musei di Ferrara e di Roma, il dibattito

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studi
L’IMPATTO DELLA SHOAH
SULLE TEOLOGIE CONTEMPORANEE

Claudia Milani misura avere avuto un valore sacrale. Per questa ragione, a
partire dagli anni Ottanta, si comincia ad utilizzare
l’espressione «Shoah», che significa «distruzione,

I
l discorso teologico sulla Shoah, ossia il discorso su
Dio di fronte ad Auschwitz e dopo Auschwitz, non catastrofe, disastro», senza alcun significato sacrale.
può essere condotto seriamente al di fuori del
confronto con la storia e la filosofia. Con la storia, TEOLOGIA CRISTIANA DELLA SHOAH
anzitutto, perché il primo insegnamento che per la Il tentativo di pensare la Shoah da un punto di vista
teologia scaturisce dalla tragica esperienza teologico è stato fatto, come è evidente, in modo diverso
dell’annientamento di sei milioni di ebrei è la necessità da ebrei e cristiani: i primi, trovandosi dalla parte delle
di confrontarsi con il dato storico. Come notava James vittime, hanno cercato soprattutto di elaborare una
Parkes, storico e teologo anglicano, negli anni Trenta, la teodicea, ossia una spiegazione e giustificazione
Shoah affonda le sue radici in un’idea distorta di cosa dell’esistenza di Dio di fronte al male assoluto. I cristiani,
siano l’ebraismo e gli ebrei: una falsa conoscenza storica per contro, trovandosi dalla parte dei persecutori o
genera dunque una teologia distorta. almeno di coloro che non hanno saputo impedire la
Non meno importante, come avremo modo di osservare, è catastrofe, hanno dovuto porre a tema la possibilità dello
il confronto con le idee filosofiche, perché di fronte a sterminio ebraico all’interno dell’Europa cristiana. Va
subito notato che, oltre ad avviare un ripensamento della
quello che Arthur Cohen ha definito «il tremendum del
teologia cristiana – almeno tra i pensatori più avvertiti –
nostro tempo»1, non solo le categorie teologiche, ma anche
la Shoah ha anche avuto la conseguenza di dar vita al
quelle filosofiche subiscono uno scossone ed un necessario
dialogo cristiano-ebraico, finalmente sentito come una
riassestamento. Lo sterminio di sei milioni di innocenti,
necessità da quei teologi e studiosi che hanno colto tutta
ingiustificato ed ingiustificabile, svela quindi l’insufficienza
la devastante portata teologica dello sterminio ebraico.
delle categorie (storiche, filosofiche, ma anche teologiche)
Si è già detto della necessità, teorizzata ad esempio da
tradizionali e conduce a cercare categorie di pensiero
Parkes, di affrontare la questione teologica della Shoah a
nuove: come ha osservato Johann-Baptist Metz, occorre
partire dal dato storico, che non può essere in alcun
stare in guardia da quelle teologie che possono restare modo occultato o sminuito. Si è anche accennato alla
immutate prima e dopo Auschwitz. Nuovo dovrebbe essere posizione di Metz che, in alcuni saggi degli anni Settanta
anche il linguaggio con cui ci si riferisce a questo evento: e Ottanta2, afferma la necessità di ripensare tutta la
piuttosto che l’espressione «Olocausto», ancora tanto cara teologia cristiana di fronte ad Auschwitz, ossia di fronte
agli scrittori anglofoni, andrebbe preferita l’espressione al popolo ebraico sterminato: secondo il teologo
ebraica «Shoah», «distruzione, catastrofe». Olocausto è cattolico allievo di Karl Rahner, la Shoah non può essere
infatti un termine biblico che indica i sacrifici che venivano compresa in termini salvifici, essa può solo dimostrare la
offerti a Dio nel Tempio di Gerusalemme: si trattava di nostra insensibilità ed apatia e rappresenta la catastrofe
sacrifici animali in cui la bestia immolata doveva essere assoluta del senso. È grazie al confronto con lo sterminio
pura, senza difetto e venire consumata completamente dal nazista che Metz e altri insieme a lui cominceranno ad
fuoco; l’odore del sacrificio saliva (‘alah = «salire», in intuire che l’identità teologica cristiana può essere
ebraico) come profumo gradito a Dio. Se anche le vittime compresa pienamente solo confrontandosi con l’identità
dello sterminio nazista vennero condotte al macello senza ebraica: questo significa riscoprire la dimensione ebraica
macchia ed incolpevoli, se anche i loro corpi vennero presente all’interno della fede cristiana, ma anche e
completamente consumati nei forni crematori e salirono soprattutto riscoprire il perdurante valore teologico della
come fumo verso il cielo, è difficile pensare che tale fedeltà del popolo d’Israele all’alleanza mai revocata. È
sacrificio possa essere stato gradito a Dio, possa in qualche stato osservato da Rosemary Radford Ruether3 che
l’antigiudaismo cristiano ha costituito la base teologica
1. A.A. Cohen, The Tremendum. A Theological Interpretation of the Holocaust, dell’antisemitismo nazista: l’idea che gli ebrei siano stati
Crossroads Publishing Company, New York 1981.
2. Ripubblicati in J.-B. METZ, Jenseits bürgerlicher Religion. Reden über die Zukunft des rifiutati da Dio in quanto popolo deicida che non ha
Christentums, Matthias-Grünewald-Verlag, Meinz 1980, tr. it. Al di là della religione riconosciuto il messia, ha spianato la strada a secoli di
borghese. Discorsi sul futuro del cristianesimo, Queriniana, Brescia 19902. persecuzioni e pogrom, fino alla «soluzione finale»
3. R.R. Ruether, Faith and Fratricide. The Theological Roots of Anti-Semitism, Seabury
Press, New York 1974. progettata e parzialmente realizzata da Hitler. Se il

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mondo non è completamente redento, la storia si


presenta ancora come un percorso in cui non tutto è
compiuto e la croce di Cristo non può riscattare il male
compiuto alla sua ombra.

TEOLOGIA EBRAICA DELLA SHOAH


Mentre il cristianesimo, posto di fronte alla Shoah, ha
dovuto fare i conti con la presenza del male assoluto al
suo interno, reso possibile o almeno tollerato ai piedi
della croce, l’ebraismo si è interrogato radicalmente sulla
presenza e sul ruolo di Dio nei campi di sterminio. Come
è facile intuire, molti ebrei hanno perso la fede entrando
nei lager, e coloro che sono rimasti fedeli al Dio d’Israele
hanno radicalmente mutato la propria visione teologica,
ponendo il creatore davanti alla sofferenza subita dal suo
popolo, chiedendogli ragione dell’accaduto. Se
Auschwitz rappresenta il tremendum di cui parla Cohen,
l’anti-Sinai, l’anti-rivelazione, non è possibile riferirsi ad
esso con le categorie tradizionali della teologia ebraica:
occorre mettere a punto un linguaggio ed una teologia
nuovi. A parere di Cohen, l’assoluta negatività della
M. Chagall (1887-1885), Crocifissione bianca (1938) - Chicago, Art Shoah è da imputarsi alla libertà umana, che Dio
Institute. Il dipinto è ispirato alla persecuzione degli ebrei nell’Europa garantisce «ritirandosi» dalla creazione6: si tratterebbe
centrale e orientale. quindi di un Dio lontano, garante della nostra libertà,
ma non più responsabile di ciò che avviene nel mondo.
cristianesimo porta con sé il peccato originale di aver In direzione di una rilettura di alcune categorie
misconosciuto le proprie radici ebraiche fino a teologiche si muove anche Irving Greenberg, rabbino
sterminare i correligionari di Gesù di Nazareth, porsi ortodosso americano, che avvicina l’esperienza della
seriamente davanti ad Auschwitz significa ripensare Shoah all’esperienza che gli ebrei fecero nel deserto7. Se
l’ebraismo e quindi, come afferma l’episcopaliano Paul nel deserto venne siglata la berit, l’alleanza tra Dio ed il
Van Buren4, non tanto costruire una teologia della suo popolo, ad Auschwitz si formalizza una nuova
Shoah, quanto una teologia dell’ebraismo vivente con alleanza, basata su una fede frantumata, interrotta (anche
cui i cristiani si devono confrontare quotidianamente. Il se non negata): un’alleanza fragile in cui Dio sembra
«no» detto dagli ebrei a Gesù di Nazareth è in realtà, avere perso le forze ed il peso della fedeltà deve essere
secondo Van Buren, un atto di fedeltà all’alleanza portato ora dal popolo d’Israele. Gli ebrei devono quindi
sinaitica: mentre il «no» detto dai pagani a Cristo è un scegliere ancora una volta, liberamente, l’alleanza con
atto di idolatrica mancanza di fede, il «no» ebraico è il Dio, consci che dopo Auschwitz Dio non può tutto e che
modo per mantenere viva l’alleanza. Un’alleanza in cui i il peso della redenzione poggia sulle loro fragili spalle.
pagani entrano attraverso Cristo, ma in cui gli ebrei sono La debolezza di Dio, il suo silenzio, il suo nascondimento
già inseriti fin dal Sinai, senza bisogno di deviazioni o vengono tematizzati da diversi pensatori ebrei, che non
mutamenti del messaggio originale. È quindi opportuno, negano la presenza divina ad Auschwitz, ma sottolineano
a parere di Van Buren, evitare di cristianizzare Auschwitz, la fragilità di tale presenza. Martin Buber, ad esempio,
eludendo la tentazione di leggerlo alla luce della croce, dopo aver messo a punto negli anni Venti un sistema
come ha fatto Jürgen Moltmann. Anche i coniugi filosofico-teologico fondato sul costante dialogo tra Dio e
metodisti Roy ed Alice Eckardt5 si muovono sulla stessa uomo, definisce l’epoca della Shoah come l’epoca del
linea, sottolineando come per il popolo ebraico, per
secoli, la croce non sia stato simbolo di salvezza, ma al
contrario di sterminio: naturalmente negare la 4. P. Van Buren, A Theology of the Jewish-Christian Reality (3 voll.), Harper & Row,
San Francisco 1987-1988.
cristianizzazione di Auschwitz pone il problema di quale 5. R. ed A. Eckardt, Encounter with Israel. A Challenge to Conscience, Association
portata salvifica abbia il sacrificio di Cristo per i non Press, New York 1970; Id., Long Night’s Journey into Day. A Revised Retrospective on the
Holocaust, Wayne State University Press, Detroit 1982, 19882.
cristiani ed, in particolare, per gli ebrei e rifocalizza la 6. È qui evidente il riferimento alla teoria qabbalistica dello tzimtzum: il
teologia del post-Shoah sulla questione ebraica. restringimento di Dio necessario per fare posto alla creazione ed, in particolare,
Auschwitz si presenta dunque come l’irredimibile e, per all’uomo.
7. Si veda in proposito I. Greenberg, Cloud of Smoke, Pillar of Fire: Judaism,
la coscienza cristiana, assume la terribile funzione di Christianity and Modernity after the Holocaust, in E. Fleischner (a cura di), Auschwitz:
dimostrare che, benché il messia sia già venuto, questo Beginning of a New Era?, Ktav, New York 1977.

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Dio nascosto, dell’«eclissi di Dio»8. L’eclissi non è


l’assenza di un corpo celeste, ma solo il suo
nascondimento alla nostra vista: di fronte ad un Dio che
non è più visibile, ma che pure continua ad esistere,
l’ebreo deve dunque mantenere viva la propria fede,
mantenersi fedele all’alleanza nonostante Dio tardi a
venire. Andrè Neher parla invece di «silenzio di Dio» ad
Auschwitz9 ed utilizza la Shoah come chiave ermeneutica
per interpretare tutti i silenzi di Dio presenti nella
Bibbia. Il confronto con la tragedia storica conduce a
rileggere anche il testo biblico, puntando non tanto a
dare un’interpretazione della Shoah, quanto ad usarla
come punto di ascolto per fare esplodere alcuni temi e Elie Wiesel (1928)
figure classiche. Di fronte alla catastrofe, anche Neher ponendosi la domanda radicale di dove sia Dio ad
punta il dito sulla libertà umana, vera responsabile Auschwitz. Tale domanda potrebbe anche non trovare
dell’accaduto, senza però dimenticare che, poiché risposta, ma ciò nonostante bisognerebbe continuare a
l’uomo è e rimane creatura di Dio, la responsabilità del porla: l’uomo ebreo può infatti, secondo Wiesel, essere
male va in qualche modo ricondotta al creatore, come in relazione positiva con Dio o porsi contro Dio, ma mai
«lato sinistro», parte demoniaca di Dio ed in Dio. Di esistere senza Dio. Anche qui, nonostante la tragedia dei
fronte al male radicale la salvezza sta, anche secondo campi di sterminio vissuti dal pensatore sulla propria
Neher, nelle mani dell’uomo che può scegliere di pelle, non si arriva mai a negare Dio: il rapporto con il
continuare ad avere fede, benché il messia tardi a venire. creatore è dialettico, a volte complesso – come spesso
Il ripensamento più radicale del nostro concetto di Dio è accade nel testo biblico – ma mai di completa negazione.
però quello fornito da Hans Jonas10, che parte dal Accanto e, per certi aspetti, contro l’idea che Dio fosse
mutismo di Dio ad Auschwitz per interrogarsi sul modo nascosto, debole, invisibile ad Auschwitz, si collocano le
in cui, dopo la Shoah, si possa e si debba ripensare il opinioni (peraltro piuttosto variegate al loro interno) dei
divino se lo si vuole in qualche modo salvare, senza chassidim, gli ebrei religiosi appartenenti al movimento
cadere nell’ateismo. Tradizionalmente, afferma Jonas,
fondato nel XVIII secolo da rabbi Israel ben Eliezer, detto il
Dio ha tre attributi: la bontà, l’onnipotenza e la
Baal Shem Tov12. Negando l’esistenza del male metafisico,
conoscibilità, ma dopo lo sterminio ebraico non è più
molti chassidim affermano che anche la Shoah è un modo
possibile tenere insieme questi tre attributi, uno di essi
assunto da Dio per rivelarsi. La sofferenza provocata dallo
viene necessariamente meno. Di fronte al Dio che
sterminio è considerata come le «doglie del messia»: un
creando si è temporalizzato e quindi ha sacrificato una
dolore necessario ad avvicinare i tempi ultimi, i tempi
parte di se stesso, il pensatore tedesco vede una
messianici, e che, come tale, va accettato e sopportato. Tale
temporanea rinuncia di Dio alla propria onnipotenza.
visione crea ovviamente un certo immobilismo, che
Anche qui, di fronte al depotenziamento divino, si fa
storicamente ha provocato la scomparsa di gran parte delle
strada la responsabilità umana: la necessità per l’uomo di
comunità chassidiche dell’Europa orientale, spesso
farsi carico del peso della creazione e dello stesso
internate nei lager senza opporre resistenza.
creatore. Se Jonas ripensa il concetto umano di Dio, Elie
Da ultimo, in questa rapida carrellata di posizioni
Wiesel – sopravvissuto alla Shoah ed, in seguito, insignito
teologiche che non ha né può avere alcuna pretesa di
del Premio Nobel – arriva a citare Dio in giudizio11,
completezza, occorre segnalare il punto di vista di Emil
Fackenheim, che evidenzia la necessità, per il popolo
8. M. Buber, Gottesfinsternis, Manasse Verlag, Zürich 1953, trad. it., L’eclissi di Dio. ebraico, di sopravvivere per non dare una vittoria postuma
Considerazioni sul rapporto tra religione e filosofia, Oscar Mondadori, Milano 1990. a Hitler13. Dopo la Shoah la vita ebraica diventa più sacra
9. A. Neher, L’exile de la parole. Du silence biblique au silence d’Auschwitz, Editions du
della morte, fosse pure la morte per santificare il Nome di
Seuil, Paris 1970, trad. it., L’esilio della parola. Dal silenzio biblico al silenzio di
Auschwitz, Marietti, Casale Monferrato 1983. Dio. Sopravvivere diventa dunque il 614o precetto, l’unico
10. H. Jonas, Der Gottesbegriff nach Auschwitz. Eine judische Stimme, Tübingen 1984, precetto che, a parere dell’autore tedesco, possa essere
trad. it. Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, Il Melangolo, Genova 2000.
11. E. Wiesel, La nuit, Les Editions de Minuit, Paris 1958, trad. it. La notte,
aggiunto ai 613 precetti contenuti nella Torah: se nessun
Giuntina, Firenze 1980; Id., Le proces de Shamgorod tel qu’il se deroula le 25 fevrier avvenimento della storia ebraica ha potuto modificare la
1649, Editions du Seuil, Paris 1979, trad. it. Il processo di Shamgorod così come si svolse precettistica racchiusa nel Pentateuco, la Shoah ha
il 25 febbraio 1649, Giuntina, Firenze 1982.
12. Si veda in proposito almeno P. Schindler, Hasidic Responses to the Holocaust in
prodotto anche questo mutamento, confermandosi
the Light of Hasidic Thought, Ktav, New York 1990. dunque un evento unico per il mondo ebraico e, proprio
13. E. Fackenheim, God’s Presence in History. Jewish Affirmations and Philosophical per questo, capace di avviare una modifica radicale del
Reflections, Harper & Row, 1970, trad. it., La presenza di Dio nella storia, Queriniana,
Brescia 1977; Id., To Mend the World. Foundation of Future Jewish Thought, Schocken
modo di pensare il rapporto col divino.
Books, New York 1982, tr. it., Tiqqun – Riparare il mondo, Edizioni Medusa, Milano 2010. Claudia Milani - Università di Chieti

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studi
L A FILOSOFIA DAVANTI ALLA SHOAH
TRA FALLIMENTO, MIOPIA E TIQQUN ‘OLAM

Massimo Giuliani deprecabile, dell’inevitabile spirito dei tempi.


Ma i casi di Heidegger1 e del giurista Carl Schmitt2 sono
così eclatanti che rischiano di far dimenticare tutti gli

P
er riflettere sul modo in cui la Shoah è stata
percepita ed elaborata in ambito filosofico altri, a cominciare dagli allievi “ariani” di Heidegger,
contemporaneo (dove per filosofia si intende, in Sartre e Gadamer, oggi ossequiati non a torto come i
senso lato, ogni esercizio critico della ragione principali esponenti dei due maggiori movimenti
nei confronti della realtà) è senz’altro un buon punto di filosofici del ‘900: l’esistenzialismo e l’ermeneutica
partenza il volume di Enzo Traverso Auschwitz e gli filosofica (non va taciuto che il filosofo di Friburgo ebbe
intellettuali. La Shoah nella cultura del dopoguerra. Il volume anche eccellenti allievi ebrei, tra cui Hannah Arendt e
spiega i motivi per cui, nell’insieme e fatte pochissime Hans Jonas).
eccezioni, gli “intellettuali” e in particolare i filosofi, non Proprio a Jean-Paul Sartre Enzo Traverso ha dedicato
solo accademici, sono stati incapaci, durante la seconda un’analisi approfondita, stigmatizzando la sua “miopia”
guerra mondiale e subito dopo, di comprendere la dinanzi ad Auschwitz nonostante l’impegno a riflettere
sulla (allora cosiddetta) “questione ebraica”: «Nelle sue
portata e le implicazioni – anche filosofiche – di
Réflexions sur le question juive [1946] colpisce l’incapacità
quell’evento che da circa trent’anni chiamiamo con il
di pensare il genocidio, come pure il suo silenzio nei
termine ebraico di Shoah. Quando si parla di “Auschwitz
confronti dei reduci dei campi nazisti. Nel momento in
e la filosofia”, ossia si cerca di riflettere in profondità sul
cui incarnava idealtipicamente la figura dell’intellettuale,
senso di quell’evento, il nome che subito emerge e
Sartre indicava sì gli ebrei come le vittime dimenticate
assurge ad emblema del “tradimento dei chierici” è
nel clima dell’euforia patriottica, ma lo sterminio non
sempre (e spesso soltanto) quello di Martin Heidegger,
era mai posto al centro della sua analisi. Nel suo saggio,
certamente uno dei più influenti e fascinosi filosofi del le camere a gas sono appena citate e in modo del tutto
Novecento, che nell’anno dell’ascesa al potere di Hitler marginale. Poiché sarebbe assurdo accusarlo di aver
(1933) assunse la carica di rettore dell’università di volontariamente occultato il genocidio, il suo testo può
Friburgo e nei suoi discorsi espresse personale essere interpretato come un documento rivelatore
ammirazione per il Führer e piena sintonia con il dell’incapacità, da parte della cultura europea
nazismo. Ammirazione e sintonia che Heidegger non dell’immediato dopoguerra, di vedere Auschwitz come
ritrattò mai, neppure nei decenni del dopoguerra (morì una rottura di civiltà e di partire da questa constatazione
nel 1976) e neppure dinanzi agli ebrei che lo andavano a per cercarne le origini»3.
trovare attendendo da lui una parola in tal senso (è il Ecco la domanda di fondo: fu o non fu, Auschwitz, una
caso di Martin Buber e di Paul Celan). Per il filosofo di rottura di civiltà, una deflagrante implosione di tutto ciò
Essere e tempo, la Shoah non fu che una manifestazione che l’illuminismo aveva definito “civiltà europea”: gli
della tecnologia moderna ossia un aspetto, per quanto ideali di libertà e di eguaglianza per tutti i cittadini, il
valore della tolleranza religiosa, il controllo reciproco dei
Da sinistra: M. Horkheimer e Th.W. Adorno.
poteri per evitare gli abusi di assolutismo e totalitarismo,
ecc.? La barbarie, nome antico per l’ignoto veniva ora ri-
semantizzato come il contrario della civiltà, e divenne
l’unica categoria ritenuta adatta ad esprimere la misura

1. Sul caso Heidegger si vedano i due libri di Victor Farias, Heidegger e il nazismo
Bollati Boringhieri, Torino 1998 e L’eredità di Heidegger, Medusa, Milano 2008;
Marlène Zarader, Heidegger e l’eredità ebraica, Vita e Pensiero, Milano 1995; e il più
recente Emmanuel Faye, Heidegger: l’introduction du nazisme dans la philosophie,
Albin Michel, Paris 2005.
2. Sull’adesione di Schmitt all’ideologia nazista si veda: Yves Charles Zarka, Un
dettaglio nazi nel pensiero di Carl Schmitt, Il Melangolo, Genova 2005; Carlo
Angelino, Carl Schmitt sommo giurista del Führer. Testi antisemiti (1933-1936), Genova,
Il Melangolo, 2006; George Schwab, Carl Schmitt: The Challenge of the Exception,
Bunker & Humbolt, Berlino 1970.
3. E. Traverso, Auschwitz e gli intellettuali, il Mulino, Bologna 2004, p.20.

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a caso gli anni del dopoguerra segnano il ritorno degli


studiosi agli anti-sistemi di Kierkegaard e Schopenhauer,
e non a caso l’estetica post-bellica subisce il diktat, spesso
frainteso, di Adorno per il quale «scrivere poesie dopo
Auschwitz è un atto di barbarie»5. Non era, come fu
inteso da molti, un invito a non scrivere più poesie; era
l’imperativo categorico a ripensare tutto daccapo, a non
Hannah Arendt (1906-1975).
ragionare e scrivere come “prima di Auschwitz” o,
degli orrori dei Lager, il disprezzo nazista per l’uomo, la peggio, come se Auschwitz non fosse stata. Anzi, il solo e
repressione delle libertà individuali (di parola, di più urgente compito della filosofia dopo la Shoah
opinione, di stampa), l’esaltazione del razzismo, la diventava quello di far sì che Auschwitz non si ripetesse.
radicalizzazione del pregiudizio anti-ebraico, la Alla fine degli anni Sessanta, Horkheimer scrive a
negazione di ogni legalità, l’hubris del potere militare... riguardo degli intellettuali ebrei (ma è chiaro che questo
è il compito di tutti gli intellettuali e di tutti i filosofi che
LE ANALISI DELL’EBRAISMO TEDESCO vogliano assumersi la responsabilità di pensare il proprio
NEGLI ANNI ‘60 tempo): «Noi, che siamo sfuggiti alla morte del supplizio
Ad eccezione del filosofo tedesco Karl Jaspers (che, hitleriano, abbiamo un solo compito: agire affinché
sempre nel ’46, pubblica il suo coraggioso saggio Die quell’atrocità non si riproduca né venga dimenticata,
Schuldfrage [La questione della colpa]) e dell’anziano e rimanere uniti con chi è morto tra tormenti indicibili... La
famoso scrittore Thomas Mann, e a parte naturalmente loro morte è la verità della nostra vita; noi siamo qui per
le (allora poche) testimonianze dei sopravvissuti al esprimere la loro disperazione e la loro nostalgia»6. Tale
“sistema concentrazionario” (tra cui quelle di Eugen imperativo ha faticato a trovare pieno riconoscimento, e
Kogon, Primo Levi, Victor Klemperer, Robert Antelme), solo da circa tre decenni – in contemporanea con questo
la questione dello sterminio nazista degli ebrei non monito horkheimeriano – esso si è imposto all’agenda
venne davvero tematizzata come il sintomo del fallimento della cultura europea come “dovere della memoria” e
della modernità, e sebbene anche gli esponenti come base di una riflessione storico-filosofica e persino
(rifugiatisi a Chicago) della Scuola di Francoforte – teologica capace di assumersi le proprie responsabilità
Adorno, Horkheimer, Marcuse – faticassero a pensare (per il “passato prossimo” e dunque per il futuro).
Auschwitz fuori dagli schemi della “critica A partire appunto dagli anni ‘70, nuove voci si sono
dell’illuminismo” e dell’“anti-capitalismo romantico”, è aggiunte a quelle sopra mezionate, e il progetto di una
proprio da quel melieu, dall’ambiente dell’ebraismo filosofia capace di fare resistenza al “male radicale” (di
tedesco in esilio che vennero le analisi più acute. cui la Shoah è stato epifenomeno) è divenuto l’orizzonte
Secondo Hannah Arendt, come sintetizza Traverso, la delle generazioni post-Olocausto. Capifila e ispiratori di
Shoah costituiva «an almost complete break [una rottura questa “filosofia della resistenza” sono, a mio avviso, due
quasi totale] nel flutto ininterrotto della storia filosofi ebrei sopravvissuti (seppur in circostanze diverse)
occidentale quale gli uomini l’hanno conosciuta per allo sterminio: Emmanuel Lévinas e Emil L. Fackenheim.
oltre due millenni. Detto altrimenti, Auschwitz rimetteva
in causa il concetto stesso di civiltà: la barbarie non era LÉVINAS:
l’antitesi della civiltà moderna, tecnica e industriale, ma LA RISPOSTA DELLA BIBBIA E DEL TALMUD
la sua faccia nascosta, il suo risvolto dialettico. La storia Lévinas (1905-1995) non è conosciuto come un “filosofo
aveva cessato di scorrere lungo un asse rettilineo, della Shoah”, e lui stesso si sarebbe giustamente risentito
attraverso un tempo omogeneo e vuoto, tesa verso la per tale definizione. Andrebbe comunque subito
Provvidenza o il Progresso, così come da secoli era stata ricordato il suo scritto Alcune riflessioni sulla filosofia
pensata. Appariva ora come una storia spezzata»4. dell’hitlerismo, apparso a Parigi nel 1934, nel quale
L’evento chiamato Shoah, più e meglio dell’immane denunciava, fin dall’inizio, tutto il potenziale omicida e
tragedia della seconda guerra mondiale presa come un culturicida, per così dire, dell’ideologia nazista. Ma è il suo
insieme indistinto di dolore, evidenziava l’impossibilità di capolavoro filosofico, Autrement qu’être ou au-delà de l’essence
professare “una filosofia della storia” tout court, e dunque [Altrimenti che essere o al di là dell’essenza] del 1978, se
sanciva l’uscita dai sistemi, a cominciare dalla matrice di vagliato attentamente, a rappresentare la risposta
ogni ideologia moderna, ossia la filosofia hegeliana. Non filosofica più alta agli eventi della Shoah: la riflessione
levinasiana sull’alterità (la diversità etnica, culturale,
religiosa, politica) in termini di prossimità, di sensibilità,
4. Ibi, p.37. di ospitalità (tema ripreso da Jacques Derrida) e di
5. Cfr. P. Gnani, Scrivere poesie dopo Auschwitz. Paul Celan e Theodor W. Adorno,
Giuntina, Firenze 2010.
sostituzione costituisce una rivoluzionaria contro-
6. Citato in: E. Traverso, Auschwitz e gli intellettuali, p.129. proposta etica, biblicamente e talmudicamente ispirata,

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agli sviluppi della riflessione moderna sulla soggettività (e


dunque a Hegel, allo storicismo, al romanticismo e alle
ideologia della totalità) e costituisce il più ardito contro-
sistema teso a fondare quella responsabilità verso gli altri
che era appunto mancata nell’impianto teorico e nella
prassi dei filosofi che avevano lastricato la strada a Hitler.
In questo appello alla responsabilità, filosoficamente
fondata su una nuova concezione ontologica del soggetto,
Lévinas si pone come non solo come l’anti-Heidegger ma
anche come l’anti-Sartre, proprio perché la libertà è qui E. Lévinas (1906-1995).
essenzialmente un rispondere al “volto dell’altro”, è la
mia parola che risponde all’invocazione, alla chiamata, al teologia cristiana il compito di «riparare il mondo dopo
grido altrui, che come tale mi precede, mi giustifica e la Shoah» attraverso un’opera di resistenza al male in
dunque mi salva dall’egolatria e dal solipsismo a cui, tutte le sue forme. «Riparare il mondo» traduce un
altrimenti, sarei condannato. Ecco perché Lévinas sceglie, concetto religioso ebraico, il tiqqun ‘olam, ed è un atto di
per i suoi saggi sul giudaismo, il titolo di Difficile libertà: fede non solo e non tanto in Dio quanto nell’uomo e
questa libertà non è mai scissa dalla responsabilità etica, nella ragione umana; è un atto di fiducia che il mondo
dal riconoscimento del valore dell’altro e non è condannato a restare irredento soggiacendo alle
dall’accettazione della mia originaria, quasi apodittica (e forze del male; è un atto di speranza (di messianismo,
dunque filosoficamente indimostrabile ma del tutto diremmo oggi) in virtù del quale lavorare per il bene
evidente) prossimità con l’altro uomo, il diverso, lo nonostante il male si può e si deve. Compito della filosofia
straniero. È, in altre parole, la Bibbia e il Talmud, gettati è spiegare, con l’aiuto della ragione e della conoscenza
in faccia al neo-paganesimo nazista, alla mistica del storica, perché si può e perché si deve resistere a Hitler e alle
sangue e della terra, al mito della razza. In questa ideologie che a lui si ispirano. Compito della filosofia
prospettiva, quella di Lévinas è una filosofia della dopo Auschwitz è capire come Auschwitz sia stata
resistenza al male nel senso più profondo, perché scova e possibile e prevenire che si ripresentino le condizioni in
combatte alla radice della civiltà europea i virus letali che cui Auschwitz è stata possibile. Compito della filosofia
hanno reso possibile Auschwitz. oggi è, per elaborare la metafora hegeliana, costringere
la nottola di Minerva ad alzarsi in volo non alla sera, e
PRIMO LEVI: IL SILLOGISMO DEL MALE prendere atto degli eventi, ma al mattino, per prevedere
Il “nostro” Primo Levi, che non era un filosofo ma ha e intervenire sugli eventi stessi e dunque attivare nella
detto e scritto cose che la filosofia non può permettersi società quel pensiero etico-critico senza il quale subiamo
di ignorare, si è espresso così: «A molti, individui o gli eventi invece di governarli, contenendo in virtù di tale
vigilanza le derive anti-umane della storia, delle correnti
popoli, può accadere di ritenere, più o meno
ideologiche e dei movimenti politici.
consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo
Fackenheim addita un esempio: l’insegnante di filosofia
più questa convinzione giace in fondo agli animi come
Kurt Huber e i suoi studenti del gruppo della Rosa Bianca,
una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e
che nel 1943 seppero fare resistenza a Hitler e al suo
incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di
sistema di illegalità, che pagarono con la vita tale atto di
pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma
resistenza ma che, in tal modo, salvarono la dignità della
inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo,
stessa filosofia (a fronte dei voltafaccia di Heidegger) e
allora al termine della catena, sta il Lager. Esso è il
resero possibile, anche a noi oggi, continuare ad elaborare
prodotto di una concezione del mondo portata alle sue
un filosofia degna del nome, capace di correggere la
conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione
propria stessa miopia e di riscattarsi dalla bancarotta del
sussiste, le conseguenze ci minacciano»7. Minacciano
pensiero di cui fu testimone il XX secolo8.
tutti noi, e non solo una minoranza etica o religiosa (gli
Massimo Giuliani - Università di Trento
ebrei, gli zingari, i romeni, i neri, ecc.).
7. P. Levi, Prefazione a: Se questo è un uomo, Einaudi, Torino (multiple edizioni).
FACKENHEIM: LA VIGLIANZA DELLA FEDE 8. E. Fackenheim, Tiqqun – Riparare il mondo, Medusa, Milano 2010, pp. 228-236.
Conosciuto invece come pensatore della Shoah – forse il
più significativo esponente del pensiero ebraico
dell’Olocausto e del dopo-Olocausto, come si usa dire
nel mondo anglosassone – Emil L. Fackenheim (1913-
2003) ha pubblicato nel 1982 un testo di grande respiro
filosofico dal titolo (in inglese) To Mend the World, nel
quale addita al giudaismo, alla filosofia e persino alla

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