Un tempo il Beato soggiornava nel boschetto di Jeta,
presso Savatthi, all'interno del parco di Anathapindika. Ed ecco che il Beato si rivolse ai monaci:"O monaci!". "reverendo!" risposero i monaci al Beato.
"Anche un uomo comune, un uomo incolto, può provare
insoddisfazione per questo corpo fisico e, per questo, può volersi distaccare e liberare da esso. E perché? Ma perché, o monaci, l'accrescersi e il decrescere di questo copro fisico sono chiaramente visibili, così come l'assunzione e l'abbandono di esso con la nascita e con la morte. Per questo io dico che anche un uomo comune, un uomo incolto, può provare insoddisfazione per esso e volersene distaccare e liberare.
Ma, o monaci, un uomo comune, un uomo incolto, non è mai in grado
di provare una sufficiente insoddisfazione per quella che è chiamata mente (citta), senso interno (mano), coscienza (vinnana), e non desidera mai abbastanza il distacco e la liberazione da essa. E perché? Ma perché, o monaci, da tempo immemorabile l'uomo comune, l'uomo incolto, è aggrappato, fissato, imprigionato dall'idea "questo è mio, questo sono io, questo è il mio sé".
Per ciò io dico che un uomo comune, un uomo incolto, non è mai in grado di provare una sufficiente insoddisfazione per quest'idea, e non desidera mai abbastanza il distacco e la liberazione da essa.
In verità, sarebbe quasi più comprensibile che l'uomo comune, l'uomo
incolto, considerasse come proprio se, il suo corpo fisico, piuttosto che la mente. E perché? Ma perché, o monaci, ben si vede che questo corpo fisico appaia stabile un anno, due anni, tre anni, quattro, cinque, dieci, venti, trenta, quaranta, cinquanta, cento anni e più. Ma, o monaci, quella che è chiamata mente, senso interno, coscienza, nasce come qualcosa e muore come qualcos'altro in continuazione, giorno e notte.
Così come, o monaci, una scimmia vaga in una foresta o in un
grande bosco, afferra un ramo e poi, dopo averlo lasciato, ne afferra un altro, proprio così, o monaci, in modo analogo, quella che è chiamata mente, senso interno, coscienza, nasce come qualcosa e muore come qualcos'altro in continuazione, giorno e notte. Pertanto, o monaci, il colto e nobile discepolo, considera attentamente la genesi dipendente: essendoci quello allora c'è questo, a causa della nascita di quello viene ad esistere questo, non essendoci quello non c'è questo, a causa della cessazione di quello viene a cessare questo. E così, invero, condizionate dalla nescienza sorgono le volizioni; condizionata dalle volizioni sorge la coscienza ecc.
Così percependo, o monaci, il colto e nobile discepolo prova
insoddisfazione per la forma, per la sensazione, per le ideazioni, per le volizioni, per la coscienza. Ed avendo provato insoddisfazione si distacca, e dopo aver provato il distacco si libera.
Una volta ottenuta la liberazione egli diviene consapevole di questa
liberazione: "la nascita è distrutta, la vita ascetica è stata realizzata, quel che era da compiere è stato compiuto, altro non c'è da fare in questo mondo".