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Lezione 15|Fisiologia muscolare|03/04/2017

Docente: M.G.
Appunti di: Para

Nelle prime due lezioni affronteremo la parte conclusiva di fisiologia muscolare. Il professore ci lascerà solo
alcune slides e il testo consigliato è il Conti.
Vedremo la classificazione delle fibre muscolari e le loro caratteristiche, la classificazione delle unità motorie,
la regolazione della produzione di forza, la plasticità del muscolo scheletrico e le sue proprietà adattative, in
particolare per quanto riguarda l’esercizio fisico, la sedentarietà e l’invecchiamento e, infine, parleremo del
muscolo liscio.

Il professore ci mostra un video che mostra la sequenza si eventi che vanno dall’arrivo del potenziale d’azione
a livello del bottone sinaptico alla produzione di forza contrattile.
Il potenziale d’azione nervoso arriva al bottone sinaptico, dove si trovano le vescicole contenenti acetilcolina.
Le vescicole si fondono con la membrana sinaptica e liberano l’acetilcolina, che va a contattare i recettori
nicotinici colinergici. I canali per il sodio sulla membrana del motoneurone si aprono, il sodio entra e si crea
un potenziale d’azione. Questo, a livello della placca motrice è detto potenziale d’azione muscolare, diverso
da quello assonale. Il potenziale d’azione viene condotto a livello della membrana del motoneurone e arriva
ai tubuli T, dove troviamo i recettori voltaggio-dipendenti per la diidropiridina. Questi sono connessi ai
recettori per la rianodina presenti sul reticolo sarcoplasmatico. I canali per il calcio si aprono e questo viene
liberato nel sarcoplasma. Il calcio raggiunge la troponina, che è in contatto con la tropomiosina e libera i siti
per la miosina presenti sulla molecola di actina. In questo modo si crea un’interazione tra actina e miosina e
si ha la produzione del colpo di forza, che consiste nella rotazione delle teste della miosina e porta alla
produzione di forza contrattile. Il calcio liberato viene poi sequestrato tramite trasporto attivo, contro
gradiente di concentrazione. È necessaria quindi una pompa in grado di far rientrare il calcio all’interno del
reticolo a spese di ATP. L’ATP non è quindi necessario solo per la contrazione, ma anche per il rilasciamento.

CLASSIFICAZIONE DELLE FIBRE MUSCOLARI


Ogni fibra muscolare contiene una sola delle 3 isoforme esistenti delle catene pesanti di miosina. Avremo
quindi tre tipi diversi di fibre, il cui nome deriva dal tipo di miosina che contengono: le fibre di tipo I, le fibre
di tipo IIa e le fibre di tipo IIx. Su alcuni testi le fibre di tipo IIx potrebbero essere indicate come fibre di tipo
IIb, tuttavia questa nomenclatura non è corretta poiché la miosina IIb è presente nei mammiferi, ma l’uomo
possiede una miosina diversa, la miosina IIx.
Oltre a queste fibre, nell’uomo adulto è possibile ritrovare anche altri tipi di fibre, contenenti più di un tipo
di miosina. Per questo motivo, queste fibre sono dette fibre ibride e sono presenti in quantità minori rispetto
alle altre. Le fibre ibride sono ritenute essere delle fibre in fase di trasformazione verso uno dei tipi di fibre
di cui sono composte. In epoca fetale sono presenti alcuni tipi di fibre che poi spariscono, mentre nell’età
adulta certi tipi di fibre sono considerati patologici.
CARATTERISTICHE GENERALI DELLE FIBRE
Le fibre di tipo I sono lente, mentre le fibre di tipo II sono rapide, la lentezza e la rapidità sono riferite alla
loro velocità di contrazione. A sua volta, la velocità di contrazione è dovuta alla capacità della miosina di
idrolizzare ATP più o meno velocemente. La miosina, oltre ad essere una proteina strutturale, è anche in
grado di idrolizzare l’ATP. La testa della miosina possiede infatti due siti di legame, uno per l’actina e uno per
l’ATP, ma queste due molecole non possono mai essere legate contemporaneamente da parte della miosina.
Quando la miosina è connessa a una di queste due molecole, è automaticamente disconnessa dall’altra. Dopo
l’accorciamento del sarcomero, nella fase finale di contrazione, la miosina è legata all’actina e l’ATP deve
essere presente per sganciare la testa della miosina dall’actina. La velocità con cui la miosina lega l’ATP e lo
idrolizza influisce quindi sul ciclo di interazione tra le due molecole e, di conseguenza, sulla quantità di colpi
di forza che possono essere ottenuti in un’unità di tempo.

Il professore ci mostra un video in cui la testa della miosina è legata all’actina. L’ATP si lega poi alla testa della
miosina, che si distacca dall’actina. L’ATP viene poi idrolizzato e la testa della miosina può andare a contattare
un’altra molecola di actina. Questo passaggio determina quanti colpi di forza, ovvero quanti accorciamenti
del sarcomero, posso ottenere in un’unità di tempo.
La rappresentazione in un piano cartesiano di una scossa singola, ovvero della risposta muscolare a un singolo
potenziale d’azione, consiste in una curva, che rappresenta la forza, che sale, raggiunge un picco e poi scende.
La velocità di contrazione è il tempo impiegato per arrivare al picco della forza. Una fibra lenta ci mette molto
tempo ad arrivare al picco della forza e questo dipende dalla velocità di idrolisi dell’ATP.
Le fibre lente hanno tipicamente un diametro piccolo e questa caratteristica è molto importante per il
controllo della forza. Le fibre rapide hanno un diametro più grande e possono sviluppare più forza. La forza
prodotta da una fibra dipende dal diametro della fibra stessa e quindi dal numero di sarcomeri posti in
parallelo all’interno della stessa, mentre la lunghezza è ininfluente. Di conseguenza, i muscoli più grossi sono
anche quelli più forti.
Associando la rapidità di sviluppo della forza con la forza stessa e quindi col diametro, otteniamo un altro
parametro importante, la potenza, definita come il prodotto tra la forza e la velocità (P= F x v). La potenza
esprime quindi la capacità di produrre una certa forza in tempi molto brevi. Le fibre rapide sono anche le più
potenti in quanto sono sia rapide che forti.

Per definire i diversi tipi di fibre dobbiamo esaminare il metabolismo energetico cellulare. Nel muscolo
scheletrico l’ATP è l’unico donatore di energia immediata e questa molecola viene prodotta e consumata
molto rapidamente. In particolare, dopo 1 minuto dalla sua generazione l’ATP risulta essere quasi del tutto
consumato. Un uomo adulto a riposo consuma circa 40 kg di ATP in 24 ore, mentre durante l’esercizio fisico
consuma circa 0,5 kg di ATP al minuto. Il continuo apporto di ATP è necessario sia per la contrazione e quindi
per lo sviluppo di forza, sia per il reuptake del calcio all’interno del reticolo sarcoplasmatico, che avviene
contro gradiente di concentrazione.
Nel citoplasma di una cellula a riposo è presente una concentrazione di ATP pari circa a circa 3,5 mM. Questa
concentrazione permette di generare pochissime contrazioni, ad esempio, l’ATP a tale concentrazioni
permette di sostenere una contrazione tetanica, ovvero una contrazione ad alta frequenza di potenziale
d’azione, per circa 2 secondi. Tuttavia, nonostante la bassa concentrazione di ATP, il muscolo non entra nello
stato di rigor, ovvero lo stato in cui la testa della miosina rimane attaccata all’actina successivamente al colpo
di forza. Il rigor insorge ad esempio dopo la morte e in tal caso viene definito rigor mortis. La rigidità è dovuta
al fatto che non si ha più produzione di ATP dopo la morte e senza questa molecola i ponti tra actina e miosina
non possono essere interrotti. Il rigor mortis perdura per 48-72 ore e viene risolto dalla degenerazione
proteica; la durata dipende dalla temperatura a cui è esposto il cadavere: più è alta, minore è il tempo per
cui perdura lo stato di rigor mortis in quanto la degenerazione proteica è favorita. In vita non entriamo nello
stato di rigor poiché abbiamo una continua produzione di ATP secondo tre vie metaboliche: la via della
fosfocreatina, la via aerobica e la via anaerobica.
VIE METABOLICHE COINVOLTE NELLA
PRODUZIONE DI ATP
Via della fosfocreatina
La fosfocreatina contiene un gruppo fosfato
potenzialmente cedibile all’ADP per generare
ATP. In seguito a questa reazione, la
fosfocreatina si trasforma in creatina. La
fosfocreatina è un composto altamente
energetico e può essere considerata una sorta di
fonte diretta di energia, poiché la reazione
avviene in modo immediato quando si accumula
ADP nella cellula. È importante ricordare che la
fosfocreatina viene utilizzata solo durante alcuni
compiti motori.
La creatinfosfochinasi (o CPK o creatichinasi) è
presente a livello della linea M del sarcomero e
può essere utilizzata come marker clinico.
Esistono due isoforme di CPK, una scheletrica e
una cardiaca e attraverso il loro rispettivo dosaggio possiamo valutare lo stato del muscolo scheletrico e del
muscolo cardiaco. Elevati livelli di CPK cardiaca nel plasma fornisce una diagnosi di infarto del miocardio
pregresso, mentre elevati livelli di CPK scheletrica nel plasma indicano un danno molto esteso al muscolo
scheletrico.
La fosfocreatina è una riserva energetica tampone che va incontro ad una rapida deplezione nel giro di pochi
secondi, dipende dallo stato di sviluppo del muscolo: chi ha muscoli più sviluppati possiede una riserva
maggiore di fosfocreatina e può utilizzarla relativamente più a lungo. Visto che siamo in grado di sostenere
contrazioni muscolari molto più prolungate, è ovvio che queste saranno garantite da altre vie metaboliche
quali la glicolisi e la fosforilazione ossidativa.

Glicolisi (via anaerobia)


Da una mole di glucosio si ottengono 2 moli di piruvato, con formazione di 2 o 3 moli di ATP. Il numero esatto
dipende dalla provenienza del glucosio: se questo è presente sotto forma di glicogeno intracellulare la resa
sarà maggiore rispetto al glucosio introdotto dalla cellula al momento del bisogno.
La glicolisi è un processo rapido ed è sfruttabile quando l’organismo necessita di energia in tempi brevi,
tuttavia ha una bassa resa. Il piruvato può essere convertito in acido lattico, una molecola che possiede molta
energia potenziale. L’altro pregio della glicolisi è che questa può avvenire anche nel caso in cui l’apporto di
ossigeno sia ridotto, situazione che si verifica ad esempio durante la contrazione isometrica. In questo tipo
di contrazione infatti, il muscolo si contrae ma l’articolazione non si muove; le contrazioni dinamiche, al
contrario, determinano uno spostamento articolare e permettono di compiere dei movimenti. Durante la
contrazione isometrica, la contrattura del muscolo spreme i vasi, che rimangono occlusi. In questo modo,
durante la contrazione il muscolo non riceve ossigeno e deve lavorare in condizioni di anaerobiosi, con
conseguente produzione di acido lattico. Questo, accumulandosi, va ad affaticare il muscolo, quindi le
contrazioni che producono acido lattico non possono durare molto. Le contrazioni dinamiche possono invece
durare più a lungo in quanto non si ha produzione di acido lattico.

Via aerobia
I substrati della via aerobia sono il glucosio o gli acidi grassi. Il piruvato prodotto dal glucosio entra infatti nel
ciclo di Krebs e gli elettroni estratti da tale processo fluiscono nella catena della fosforilazione ossidativa. Da
una mole di glucosio, nella via aerobia otteniamo 38 moli di ATP, mentre dall’acido palmitico ne otteniamo
129.
Le reazioni della via aerobia avvengono nei mitocondri, ciò implica che i substrati debbano essere convogliati
all’interno di questo compartimento. Inoltre, nella via anaerobia sono coinvolte tantissime reazioni e tutto
ciò fa in modo che tale via sia molto più lenta della via aerobia e di quella della fosfocreatina. La via aerobia
fornisce quindi un rendimento molto elevato, tuttavia il processo è lento e può essere portata avanti solo
durante attività che prevedono una contrazione lenta.
Normalmente le proteine non vengono utilizzate come fonte energetica dal muscolo, ma possono essere
impiegate a tale fine durante il digiuno prolungato, quando non introduciamo glucosio.
Quando abbiamo un flusso sanguigno ottimale, durante le attività motorie che non implicano contrazioni
massimali o a riposo, il flusso sanguigno trasporta ossigeno alle cellule, che possono utilizzare il metabolismo
aerobico. Quando si hanno richieste energetiche maggiori subentra la glicolisi, in quanto la via aerobica
permette di raggiungere il 70% della prestazione muscolare massimale. Superato tale livello, l’ATP prodotto
dalla via aerobica non è sufficiente e il muscolo recluta la via glicolitica. A richieste energetiche maggiori il
muscolo impiega quindi un mix di metabolismi, mentre la fosfocreatina viene continuamente rigenerata.
Le richieste energetiche rapidissime (ad esempio il salto o i 100 m) vengono soddisfatte quasi interamente
dalla fosfocreatina, poiché gli altri processi impiegano più tempo ad entrare in azione, tuttavia, la glicolisi può
intervenire negli ultimi metri.

PROPRIETÀ DEI DIVERSI TIPI DI FIBRE


La classificazione delle fibre è basata sulle loro proprietà meccaniche, morfo-istologiche e biochimiche.
Queste proprietà influenzano la funzione dei vari tipi di fibre e l’eterogeneità strutturale è quindi associata
all’eterogeneità funzionale. I muscoli svolgono funzioni diverse, tuttavia non sono immutabili in quanto lo
stesso muscolo può svolgere compiti diversi a seconda delle necessità.

Fibre di tipo I
Le fibre di tipo I sono conosciute come fibre lente ossidative. Le fibre di tipo I contengono la miosina I (MCH-
I), che determinano una velocità di contrazione bassa.
In queste fibre il riassorbimento del calcio è lento, quindi, oltre alla bassa velocità di salita del potenziale di
forza, anche il rilasciamento sarà lento.
La produzione di ATP in queste fibre avviene tramite la via aerobia, quindi sono caratterizzate da un
metabolismo ossidativo. Per questo motivo, le fibre di tipo I sono ricche di mioglobina, una proteina in grado
di legare e cedere l’ossigeno all’occorrenza e per l’alto contenuto di questa proteina vengono chiamate fibre
rosse. La mioglobina rappresenta quindi una riserva di ossigeno importantissima per le cellule che sfruttano
un metabolismo di tipo aerobico ossidativo. Sempre a causa del loro metabolismo ossidativo, queste fibre
contengono un elevato numero di mitocondri, sedi degli enzimi ossidativi e possiedono una rete capillare
molto sviluppata in quanto necessitano di molto ossigeno.
Il diametro delle fibre di tipo I è piccolo e questa caratteristica risponde a una precisa necessità funzionale:
l’ossigeno, diffondendo all’interno di una fibra di tipo I, deve poter raggiungere tutti i punti in modo
omogeneo. In una cellula di grandi dimensioni ciò non sarebbe possibile. Tuttavia, un diametro piccolo rende
queste fibre relativamente deboli.
Le fibre di tipo I producono bassa forza, ma sono molto resistenti alla fatica in quanto non producono acido
lattico, uno dei meccanismi principali coinvolti nell’insorgenza di fatica.

Fibre di tipo IIx


Le fibre di tipo IIx sono dette fibre rapide glicolitiche. Le fibre di tipo IIx possiedono la miosina di tipo IIx,
quindi sono in grado di sostenere una contrazione ad alta velocità. In queste fibre il riassorbimento del calcio
è veloce e l’ATP viene prodotto soprattutto tramite la glicolisi. Una contrazione veloce richiede infatti una via
di produzione di ATP piuttosto veloce. In queste fibre sono presenti bassi livelli di mioglobina e per questo
motivo le fibre di tipo IIx sono conosciute anche come fibre bianche. Anche i mitocondri sono relativamente
pochi, mentre sono presenti molti depositi di glicogeno. La rete capillare non è molto sviluppata mentre il
diametro delle fibre è grande, quindi queste sono in grado di sviluppare forza e potenza elevate. Tuttavia,
queste fibre si affaticano precocemente in quanto portano all’accumulo di acido lattico.
È importante ricordare che la potenza è importantissima anche nella vita quotidiana in quanto tutti hanno
bisogno di muscoli abbastanza potenti per compiere attività ordinarie quali alzarsi dalla sedia di colpo o fare
le scale. Queste attività vengono definite come ADL, ovvero Activities of Daily Living e vengono utilizzate per
valutare il grado di autonomia di un soggetto.
Fibre di tipo IIa
Le fibre di tipo IIa possiedono caratteristiche intermedie e sono costituite da miosina di tipo IIa. Queste fibre
sono abbastanza rapide, anche se non tanto quanto le IIx. Anche queste presentano un riassorbimento del
calcio veloce e la produzione di ATP avviene sia attraverso il metabolismo aerobico che attraverso quello
anaerobico. Queste fibre, nonostante siano costituite da miosina di tipo rapido, sono ricche di mioglobina e
sono quindi anche esse fibre rosse. Possiedono inoltre una quota abbondante di mitocondri, depositi di
glicogeno e una ricca rete capillare. Le fibre di tipo IIa sono veloci ma piuttosto resistenti alla fatica.

FATICA MUSCOLARE
La fatica muscolare è un aspetto importante poiché alcune situazioni patologiche o parafisiologiche possono
condurre all’intolleranza all’esercizio o allo sforzo fisico, condizione che crea un pericoloso circolo vizioso in
quanto la sedentarietà aumenta il rischio di insorgenza di varie patologie.
La fatica muscolare è definita come la condizione in cui un muscolo non è più in grado di mantenere una
forza attesa e risulta quindi incapace di compiere un lavoro.
Si possono distinguere due tipi di fatica, quella centrale e quella periferica. La fatica periferica è relativa a
problematiche che riguardano il muscolo scheletrico e interessa i fenomeni che vanno dal potenziale d’azione
muscolare in poi. La fatica centrale riguarda i fenomeni antecedenti al potenziale d’azione muscolare ed è
definita come la sensazione soggettiva di stanchezza e desiderio di terminare l’esercizio. Dagli ultimi studi
sembra che sia proprio l’acido lattico che, una volta accumulatosi a livello tissutale, diffonde in circolo e
oltrepassa la barriera ematoencefalica. Questo meccanismo ha la funzione di proteggere il nostro organismo
dalla degenerazione dei tessuti muscolari e ossei. I soggetti che sperimentano la sindrome da overtraining o
i pazienti ricoverati in terapia intensiva possono infatti rimanere in uno stato di “energy failure” anche per
anni, a causa di uno stress organico molto esteso.
La fatica periferica è un meccanismo di controllo dovuto principalmente all’accumulo di acido lattico, alla
deplezione del glicogeno e all’aumento del fosfato inorganico. Per quanto riguarda l’acido lattico, l’accumulo
di questo provoca un aumento di acidità che risulta nella diminuzione dell’affinità della troponina verso il
calcio liberato dal reticolo. Senza il calcio non è possibile la formazione dei ponti trasversi e se l’affinità della
troponina per il calcio diminuisce, il processo viene rallentato o bloccato e il muscolo non è più in grado di
produrre forza.
La dissociazione del fosfato dal complesso provoca l’accumulo di fosfato inorganico, che va a rallentare il
rilascio del fosfato inorganico stesso dal complesso, andando così a inibire il colpo di forza.
La fatica insorge quindi quando la forza prodotta è minore rispetto a quella attesa.
Gli effetti della fatica consistono principalmente in una diminuzione della forza muscolare e della velocità di
raggiungimento del picco della forza e il rallentamento del rilasciamento. È come se una scossa singola di una
fibra rapida divenisse una scossa singola di una fibra lenta.

CRAMPO MUSCOLARE
Il crampo muscolare è una contrazione dolorosa e involontaria, che interessa soprattutto il polpaccio e il
quadricipite. I fattori che causano l’insorgenza di crampi sono rappresentati da un’esagerata sollecitazione
funzionale, dalla scorretta esecuzione del movimento (ad esempio se il muscolo lavora troppo accorciato),
da disturbi dell’irrorazione e vasospasmo da freddo, da alterazioni funzionali della placca motrice, dallo
squilibrio elettrolitico e, infine, da cause patologiche endocrine, vascolari e neurologiche.
Il trattamento consiste nella detensione del muscolo e nell’applicazione di calore, ma in casi estremi si può
ricorrere anche a trattamenti farmacologici.

UNITÀ MOTORIA
L’unità motoria è rappresentata da un motoneurone α e da tutto il gruppo di fibre muscolari da esso
innervato. L’unità motoria è quindi costituita dal pirenoforo del motoneurone, dal suo assone, dalle
ramificazioni motorie di questo e da un certo numero di fibre muscolari.
Ogni fibra è innervata da un solo motoneurone, quindi motoneuroni diversi non possono innervare la stessa
fibra. Quando il motoneurone genera un potenziale d’azione, tutte le fibre della stessa unità motoria si
contraggono simultaneamente. Ciò fa si che l’unità motoria possa essere definita come la quantità minima
di tessuto muscolare che può essere attivata o disattivata e costituisce l’unità funzionale del muscolo. L’unità
funzionale di un tessuto o organo è la minima quantità di tessuto in grado di riprodurre la funzione
dell’organo in toto. Nel rene, ad esempio, l’unità funzionale è il glomerulo mentre nel muscolo scheletrico è
l’unità motoria. Non è quindi possibile attivare una singola fibra e l’attivazione di solo motoneurone porta
alla contrazione della quantità minima di fibre che può essere controllata dal SNC.
Il numero di fibre all’interno di un’unità motoria è variabile: possiamo avere unità con un basso numero di
fibre e unità con un numero più alto, dipende dalla specializzazione del muscolo. I motoneuroni con poche
fibre ci permettono di regolare molto finemente la forza prodotta da un muscolo. Ad esempio, se un
motoneurone controlla solo tre fibre muscolari, la sua attivazione porta alla contrazione di sole tre fibre, che
produrranno una forza di bassa entità. L’ulteriore
attivazione di un’altra unità motoria sempre composta da
tre fibre porterà alla produzione di un movimento molto
delicato e fine in quanto aggiungo un quanto limitato di
forza. Al contrario, se un motoneurone è in grado di attivare
mille fibre muscolari, la forza prodotta sarà molto alta e
l’attivazione di una seconda unità motoria composta da
mille fibre muscolari produrrà una forza ancora più alta, con
uno sbalzo enorme e il movimento non sarà fine.
I muscoli che permettono i movimenti fini dell’occhio e della
mano, ad esempio, possiedono unità motorie composte da
poche fibre. Il quadricipite invece, non produce movimenti
grossolani e possiede quindi unità motorie costituite da
centinaia di fibre.
Le fibre appartenenti a una singola unità motoria non sono
contigue, ma sono mescolate tra loro in modo da
permettere una distribuzione omogenea della forza.

CLASSIFICAZIONE DELLE UNITÀ MOTORIE


Tutte le fibre appartenenti a una singola unità motoria sono dello stesso tipo. In questo modo, possiamo
classificare le unità motorie sulla base delle fibre che contengono. Avremo quindi le unità S (slow), costituite
da fibre lente ossidative, ovvero le fibre di tipo I, le unità FR (fast resistant), rapide e resistenti alla fatica e
quindi costituite da fibre di tipo IIa e infine le unità FF (fast faticable), veloci e affaticabili costituite da fibre
di tipo IIx.
Ogni muscolo contiene unità motorie diverse,
sebbene alcuni muscoli presentino in prevalenza
alcuni tipi di unità motorie rispetto ad altri. Negli
animali esistono muscoli costituiti da un solo tipo
di unità motorie, ma nell’uomo ciò non avviene.
Il soleo, ad esempio, è l’unico muscolo che
raggiunge il 90% di unità motorie dello stesso
tipo, ovvero di tipo S, mentre negli altri muscoli
la differenza è molto più sfumata.
La differente composizione in fibre riflette le
finalità di un certo muscolo e determina un certo
livello di eterogeneità e specificità funzionale
nella nostra muscolatura.
Sulla base della composizione del muscolo, possiamo distinguere due modalità di azione dei muscoli
all’interno del nostro organismo.
I muscoli impiegati in attività toniche, ovvero quelli che devono mantenere costantemente un certo livello
di forza, quali quelli implicati nel mantenimento del tono muscolare, sono muscoli resistenti alla fatica, ma
non devono produrre molta forza. I muscoli tonici saranno quindi costituiti da unità motorie di tipo S e FR.
I muscoli reclutati per attività fasiche, ovvero attività in cui c’è un ciclo continuo di attivazione e
rilasciamento, sono ricchi di unità FF poiché devono essere in grado di sviluppare molta forza in tempi rapidi.
Questi muscoli, tuttavia, sono poco resistenti alla fatica e necessitano quindi di un continuo “spegnimento”
per non affaticarli eccessivamente.
In alcune patologie si può osservare un cambiamento nei tipi di fibre che compongono determinati muscoli,
mentre col tempo alcuni muscoli posturali possono diventare ricchi di fibre rapide. Questi muscoli andranno
incontro ad un affaticamento veloce e questo processo è alla base di disturbi quali la lombalgia.
La composizione dei muscoli è soggetta a variabilità interindividuale, quindi soggetti diversi possiedono fibre
diverse. Per questo motivo, alcuni soggetti sono maggiormente predisposti verso alcune attività rispetto ad
altre.

REGOLAZIONE NELLA PRODUZIONE DI FORZA MUSCOLARE


La graduazione della forza esprimibile per ciascun muscolo è dovuta a due meccanismi che hanno origine a
livello de SNC e che raggiungono poi il muscolo.
Questi meccanismi consistono nel reclutamento o disattivazione delle unità motorie e nella modulazione
della frequenza di scarica di un’unità motoria attiva.

RECLUTAMENTO DELLE UNITÀ MOTORIE


La forza può essere incrementata aumentando il numero di unità motorie attive poiché questo è
proporzionale alla forza: più fibre vengono reclutate, più fibre si contraggono e, di conseguenza, maggiore è
la forza sviluppata dal muscolo. Il dereclutamento consiste invece nella diminuzione del numero di unità
motorie attive.
Il reclutamento non avviene in modo casuale, ma secondo un ordine stabilito dal principio delle dimensioni,
o principio di Henneman: le unità motorie vengono selezionate in base alle dimensioni del corpo cellulare
del motoneurone spinale. A livello spinale i motoneuroni presentano diverse dimensioni: alcuni sono piccoli,
altri intermedi e altri sono grandi. Il reclutamento inizia attivando i motoneuroni più piccoli, poiché questi
hanno una soglia di attivazione più bassa. I
motoneuroni più piccoli sono sempre associati alle
unità motorie di tipo S. Se non si necessita di ulteriore
forza, rimangono attive solo le unità S, ma se è
necessario aumentare la forza, lo stimolo a livello
centrale attiverà motoneuroni con soglie più alte. In
questo modo vengono reclutati i motoneuroni medi
e grandi, che sono quelli con una soglia maggiore. I
motoneuroni medi hanno sempre unità motorie FR,
mentre i motoneuroni grandi hanno unità FF e sono
quando si verifica un’elevata attivazione a livello
centrale, che induce l’attivazione di tutto il muscolo,
possono essere reclutate le fibre più forti, che però si affaticano rapidamente.
Le unità motorie S sono le prime ad essere reclutate e le ultime ad essere dereclutate e per questo motivo
vengono anche chiamate unità motorie Cinderella, in quanto lavorano sempre.
In condizioni standard, il reclutamento non è mai completo: normalmente è possibile reclutare il 90-95% di
tutte le unità motorie, mentre nei soggetti debilitati la quota si avvicina al 70%. Questo è dovuto al fatto che
ogni motoneurone spinale riceve migliaia di afferenze, in
particolare dagli interneuroni inibitori. Ciò significa che i
motoneuroni sono costantemente inibiti e questo
determina il non reclutamento della totalità delle unità
motorie. Solo in situazioni molto particolari, ad esempio
sotto stress o in condizioni di emergenza, questa
inibizione viene persa ed è possibile attivare tutte le unità
motorie.
La capacità di abituarsi a svolgere un certo tipo di attività
fisica che richiede un minimo di forza è dovuta a un
adattamento nervoso che ci favorisce. Un soggetto
sedentario e intollerante allo sforzo, oltre alla debolezza
muscolare, avrà anche un controllo motorio alterato e
recluterà una quantità minore di unità motorie.

MODULAZIONE DELLA FREQUENZA DI SCARICA


Aumentando la frequenza di scarica di un
motoneurone aumenta il numero di potenziali
d’azione prodotti nell’unità di tempo e, di
conseguenza, aumenta anche la forza prodotta.
A basse frequenze posso distinguere delle scosse
singole, ma, aumentando la frequenza, avviene la
sommazione del calcio, che viene liberato e va a
legarsi alla troponina. In questo modo ci saranno
molti siti dell’actina disponibili per legare la miosina
e si potranno ottenere molti colpi di forza. Questo
fenomeno non consiste nella sommazione dei
potenziali d’azione, in quanto vi è una situazione di
refrattarietà assoluta per cui non è possibile
sommare eventi elettrici. Ciò che si somma è il calcio, liberato dal sarcoplasma, che si accumula sempre di
più e va ad aumentare la possibilità di fare ponti trasversi fino al raggiungimento della contrazione tetanica,
che produce la massima forza realizzabile da una fibra.
Se diminuisce la frequenza di scarica diminuisce la forza prodotta. Quando viene reclutata un’unità motoria,
questa inizia a scaricare con una certa frequenza (circa 5 Hz). Per aumentare la forza, il motoneurone scarica
più rapidamente, fino ad arrivare a una frequenza di 30-40 Hz.
REGISTRAZIONE ELETTROMIOGRAFICA
La registrazione elettromiografica mostra l’aumento graduale di contrazione di un muscolo. Inizialmente,
un’unità motoria viene raggiunta da un potenziale d’azione, in seguito aumenta la frequenza e subentra una
seconda unità. Dopo un certo Δt, le unità motorie attive sono moltissime e il singolo potenziale d’azione non
è più distinguibile. Questo esame viene utilizzano nella pratica clinica per capire se sono presenti alterazioni
muscolari o nella conduzione nervosa. In un soggetto che ha avuto un ictus, ad esempio, questo esame
mostra dei treni di impulsi e “silenzi”, che corrispondono a continue attivazioni e spegnimenti delle unità
motorie. Un risultato di questo tipo si ottiene solitamente nelle prime settimane dopo l’ictus e rispecchia
l’incapacità del paziente di compiere movimenti fluidi, al contrario, questi soggetti si muovono a scatti.

RIASSUNTO DELLA LEZIONE IN INGLESE


Skeletal muscles are under voluntary control. The signal to contract starts with an input from the central
nervous system (CNS). The CNS communicates with peripheral muscles through the axon of motor neuron
by means of the neuromuscular junction. The axon of the spinal motor neurons constitutes the peripheral
nerve that reaches the muscles and provides innervation for each muscle fibres.
The electrical inputs generated in the soma, the cell body of the motor neuron, travels down to the axon
terminal. The neuromuscular junction converts the electrical signal in chemical signal. The axon terminal
contains the synaptic vescicles, which are filled with acetylcholine, a neurotransmitter. The space between
the presynaptic membrane and the postsynaptic membrane is called synaptic cleft. The postsynaptic
membrane is called motor end plate.
The motor end plate continues with the sarcolemma and the sarcolemma continues with the T tubules inside
of the cell. T tubules are in contact with the terminal cistern of the sarcoplasmic reticulum. When an electrical
impulse arrives to the terminal, it stimulates the vescicles to move to the terminal membrane. When the
vescicles reach the terminal membrane, they fuse to it.
Once the membrane of the vescicles and the membrane of the neuron are fused, the vescicles with
acetylcholine come out in the synaptic cleft. This process is called exocytosis.
Once the acetylcholine is released, it binds to nicotinic cholinergic receptors. This binding causes the channels
to open and sodium ions to move into the cell. As a consequence, we have some positive charges that enter
the cell and an electrical current flows across the membrane and induce depolarization of the membrane,
generating a new electrical signal called muscular action potential.
When the neurotransmitter comes off the receptor, the channels close and the current is turned off. There
is a rapid destruction of acetylcholine by the acetylcholinesterase in order to avoid prolongation of the
muscle contraction. We are talking about voluntary control, so we have also to stop the contraction.

There are 3 types of fibres and each fibre contains the same type of myosin heavy chain. We can distinguish
between type I, IIa and IIx fibres.
Type I fibres are slow compared to the other and present a small diameter. IIa and IIx fibres are faster and
have a larger diameter, so they are more powerful.
From the metabolic point of view, type I fibres and IIa have oxidative metabolism whereas type IIx fibres
exploit glycolysis. The final product of glycolysis is the lactic acid, so these fibres are the more powerful but
also the more fatiguable. On the contrary, type I fibres are more resistant to fatigue, but are also less strong.

The motor unit is the basic functional unit that initiates movement. The motor unit consist of a singular motor
neuron, his axon and the muscular fibres innervated from the axonal branches.
Each motor unit contains the same type of fibres, so we have three type of motor unit: type S, type FR and
type FF. The fewer fibres there are in a unit, the more precise is the movement. Muscles which control fine
movement and adjustment have the smallest motor unit.
Different muscles present different composition in motor units and this is important because this reflects the
task of the muscle. We can talk about slow muscles, which are recruited for maintaining posture and used
for long distance running. Fast muscles are used for sprinting and jumping. There is also an interindividual
variability in muscles composition, and a variability is also present between females and males: females have
muscles with a major quote of slow fibres.

Force generation can be controlled by some neural mechanism: the CNS controls the development of force
by means of two process: the recruitment of the motor unit and the firing rate of active motor units.
We can say that the intensity of the muscles contraction, so the intensity of the force that the muscles can
produce, is proportional to the number of the motor unit recruited by the CNS and is also proportional to the
frequency of action potential generated by an activated motor neuron.
The recruitment of the motor unit follows an important principle which state that the size of the motor
neurons turns out the recruitment order: small motor neuron are recruited first and are also the last to drop
out while motor units with large motor neurons are recruited last and are the first do drop out.

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