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Docente: M.G.
Appunti di: Para
Nelle prime due lezioni affronteremo la parte conclusiva di fisiologia muscolare. Il professore ci lascerà solo
alcune slides e il testo consigliato è il Conti.
Vedremo la classificazione delle fibre muscolari e le loro caratteristiche, la classificazione delle unità motorie,
la regolazione della produzione di forza, la plasticità del muscolo scheletrico e le sue proprietà adattative, in
particolare per quanto riguarda l’esercizio fisico, la sedentarietà e l’invecchiamento e, infine, parleremo del
muscolo liscio.
Il professore ci mostra un video che mostra la sequenza si eventi che vanno dall’arrivo del potenziale d’azione
a livello del bottone sinaptico alla produzione di forza contrattile.
Il potenziale d’azione nervoso arriva al bottone sinaptico, dove si trovano le vescicole contenenti acetilcolina.
Le vescicole si fondono con la membrana sinaptica e liberano l’acetilcolina, che va a contattare i recettori
nicotinici colinergici. I canali per il sodio sulla membrana del motoneurone si aprono, il sodio entra e si crea
un potenziale d’azione. Questo, a livello della placca motrice è detto potenziale d’azione muscolare, diverso
da quello assonale. Il potenziale d’azione viene condotto a livello della membrana del motoneurone e arriva
ai tubuli T, dove troviamo i recettori voltaggio-dipendenti per la diidropiridina. Questi sono connessi ai
recettori per la rianodina presenti sul reticolo sarcoplasmatico. I canali per il calcio si aprono e questo viene
liberato nel sarcoplasma. Il calcio raggiunge la troponina, che è in contatto con la tropomiosina e libera i siti
per la miosina presenti sulla molecola di actina. In questo modo si crea un’interazione tra actina e miosina e
si ha la produzione del colpo di forza, che consiste nella rotazione delle teste della miosina e porta alla
produzione di forza contrattile. Il calcio liberato viene poi sequestrato tramite trasporto attivo, contro
gradiente di concentrazione. È necessaria quindi una pompa in grado di far rientrare il calcio all’interno del
reticolo a spese di ATP. L’ATP non è quindi necessario solo per la contrazione, ma anche per il rilasciamento.
Il professore ci mostra un video in cui la testa della miosina è legata all’actina. L’ATP si lega poi alla testa della
miosina, che si distacca dall’actina. L’ATP viene poi idrolizzato e la testa della miosina può andare a contattare
un’altra molecola di actina. Questo passaggio determina quanti colpi di forza, ovvero quanti accorciamenti
del sarcomero, posso ottenere in un’unità di tempo.
La rappresentazione in un piano cartesiano di una scossa singola, ovvero della risposta muscolare a un singolo
potenziale d’azione, consiste in una curva, che rappresenta la forza, che sale, raggiunge un picco e poi scende.
La velocità di contrazione è il tempo impiegato per arrivare al picco della forza. Una fibra lenta ci mette molto
tempo ad arrivare al picco della forza e questo dipende dalla velocità di idrolisi dell’ATP.
Le fibre lente hanno tipicamente un diametro piccolo e questa caratteristica è molto importante per il
controllo della forza. Le fibre rapide hanno un diametro più grande e possono sviluppare più forza. La forza
prodotta da una fibra dipende dal diametro della fibra stessa e quindi dal numero di sarcomeri posti in
parallelo all’interno della stessa, mentre la lunghezza è ininfluente. Di conseguenza, i muscoli più grossi sono
anche quelli più forti.
Associando la rapidità di sviluppo della forza con la forza stessa e quindi col diametro, otteniamo un altro
parametro importante, la potenza, definita come il prodotto tra la forza e la velocità (P= F x v). La potenza
esprime quindi la capacità di produrre una certa forza in tempi molto brevi. Le fibre rapide sono anche le più
potenti in quanto sono sia rapide che forti.
Per definire i diversi tipi di fibre dobbiamo esaminare il metabolismo energetico cellulare. Nel muscolo
scheletrico l’ATP è l’unico donatore di energia immediata e questa molecola viene prodotta e consumata
molto rapidamente. In particolare, dopo 1 minuto dalla sua generazione l’ATP risulta essere quasi del tutto
consumato. Un uomo adulto a riposo consuma circa 40 kg di ATP in 24 ore, mentre durante l’esercizio fisico
consuma circa 0,5 kg di ATP al minuto. Il continuo apporto di ATP è necessario sia per la contrazione e quindi
per lo sviluppo di forza, sia per il reuptake del calcio all’interno del reticolo sarcoplasmatico, che avviene
contro gradiente di concentrazione.
Nel citoplasma di una cellula a riposo è presente una concentrazione di ATP pari circa a circa 3,5 mM. Questa
concentrazione permette di generare pochissime contrazioni, ad esempio, l’ATP a tale concentrazioni
permette di sostenere una contrazione tetanica, ovvero una contrazione ad alta frequenza di potenziale
d’azione, per circa 2 secondi. Tuttavia, nonostante la bassa concentrazione di ATP, il muscolo non entra nello
stato di rigor, ovvero lo stato in cui la testa della miosina rimane attaccata all’actina successivamente al colpo
di forza. Il rigor insorge ad esempio dopo la morte e in tal caso viene definito rigor mortis. La rigidità è dovuta
al fatto che non si ha più produzione di ATP dopo la morte e senza questa molecola i ponti tra actina e miosina
non possono essere interrotti. Il rigor mortis perdura per 48-72 ore e viene risolto dalla degenerazione
proteica; la durata dipende dalla temperatura a cui è esposto il cadavere: più è alta, minore è il tempo per
cui perdura lo stato di rigor mortis in quanto la degenerazione proteica è favorita. In vita non entriamo nello
stato di rigor poiché abbiamo una continua produzione di ATP secondo tre vie metaboliche: la via della
fosfocreatina, la via aerobica e la via anaerobica.
VIE METABOLICHE COINVOLTE NELLA
PRODUZIONE DI ATP
Via della fosfocreatina
La fosfocreatina contiene un gruppo fosfato
potenzialmente cedibile all’ADP per generare
ATP. In seguito a questa reazione, la
fosfocreatina si trasforma in creatina. La
fosfocreatina è un composto altamente
energetico e può essere considerata una sorta di
fonte diretta di energia, poiché la reazione
avviene in modo immediato quando si accumula
ADP nella cellula. È importante ricordare che la
fosfocreatina viene utilizzata solo durante alcuni
compiti motori.
La creatinfosfochinasi (o CPK o creatichinasi) è
presente a livello della linea M del sarcomero e
può essere utilizzata come marker clinico.
Esistono due isoforme di CPK, una scheletrica e
una cardiaca e attraverso il loro rispettivo dosaggio possiamo valutare lo stato del muscolo scheletrico e del
muscolo cardiaco. Elevati livelli di CPK cardiaca nel plasma fornisce una diagnosi di infarto del miocardio
pregresso, mentre elevati livelli di CPK scheletrica nel plasma indicano un danno molto esteso al muscolo
scheletrico.
La fosfocreatina è una riserva energetica tampone che va incontro ad una rapida deplezione nel giro di pochi
secondi, dipende dallo stato di sviluppo del muscolo: chi ha muscoli più sviluppati possiede una riserva
maggiore di fosfocreatina e può utilizzarla relativamente più a lungo. Visto che siamo in grado di sostenere
contrazioni muscolari molto più prolungate, è ovvio che queste saranno garantite da altre vie metaboliche
quali la glicolisi e la fosforilazione ossidativa.
Via aerobia
I substrati della via aerobia sono il glucosio o gli acidi grassi. Il piruvato prodotto dal glucosio entra infatti nel
ciclo di Krebs e gli elettroni estratti da tale processo fluiscono nella catena della fosforilazione ossidativa. Da
una mole di glucosio, nella via aerobia otteniamo 38 moli di ATP, mentre dall’acido palmitico ne otteniamo
129.
Le reazioni della via aerobia avvengono nei mitocondri, ciò implica che i substrati debbano essere convogliati
all’interno di questo compartimento. Inoltre, nella via anaerobia sono coinvolte tantissime reazioni e tutto
ciò fa in modo che tale via sia molto più lenta della via aerobia e di quella della fosfocreatina. La via aerobia
fornisce quindi un rendimento molto elevato, tuttavia il processo è lento e può essere portata avanti solo
durante attività che prevedono una contrazione lenta.
Normalmente le proteine non vengono utilizzate come fonte energetica dal muscolo, ma possono essere
impiegate a tale fine durante il digiuno prolungato, quando non introduciamo glucosio.
Quando abbiamo un flusso sanguigno ottimale, durante le attività motorie che non implicano contrazioni
massimali o a riposo, il flusso sanguigno trasporta ossigeno alle cellule, che possono utilizzare il metabolismo
aerobico. Quando si hanno richieste energetiche maggiori subentra la glicolisi, in quanto la via aerobica
permette di raggiungere il 70% della prestazione muscolare massimale. Superato tale livello, l’ATP prodotto
dalla via aerobica non è sufficiente e il muscolo recluta la via glicolitica. A richieste energetiche maggiori il
muscolo impiega quindi un mix di metabolismi, mentre la fosfocreatina viene continuamente rigenerata.
Le richieste energetiche rapidissime (ad esempio il salto o i 100 m) vengono soddisfatte quasi interamente
dalla fosfocreatina, poiché gli altri processi impiegano più tempo ad entrare in azione, tuttavia, la glicolisi può
intervenire negli ultimi metri.
Fibre di tipo I
Le fibre di tipo I sono conosciute come fibre lente ossidative. Le fibre di tipo I contengono la miosina I (MCH-
I), che determinano una velocità di contrazione bassa.
In queste fibre il riassorbimento del calcio è lento, quindi, oltre alla bassa velocità di salita del potenziale di
forza, anche il rilasciamento sarà lento.
La produzione di ATP in queste fibre avviene tramite la via aerobia, quindi sono caratterizzate da un
metabolismo ossidativo. Per questo motivo, le fibre di tipo I sono ricche di mioglobina, una proteina in grado
di legare e cedere l’ossigeno all’occorrenza e per l’alto contenuto di questa proteina vengono chiamate fibre
rosse. La mioglobina rappresenta quindi una riserva di ossigeno importantissima per le cellule che sfruttano
un metabolismo di tipo aerobico ossidativo. Sempre a causa del loro metabolismo ossidativo, queste fibre
contengono un elevato numero di mitocondri, sedi degli enzimi ossidativi e possiedono una rete capillare
molto sviluppata in quanto necessitano di molto ossigeno.
Il diametro delle fibre di tipo I è piccolo e questa caratteristica risponde a una precisa necessità funzionale:
l’ossigeno, diffondendo all’interno di una fibra di tipo I, deve poter raggiungere tutti i punti in modo
omogeneo. In una cellula di grandi dimensioni ciò non sarebbe possibile. Tuttavia, un diametro piccolo rende
queste fibre relativamente deboli.
Le fibre di tipo I producono bassa forza, ma sono molto resistenti alla fatica in quanto non producono acido
lattico, uno dei meccanismi principali coinvolti nell’insorgenza di fatica.
FATICA MUSCOLARE
La fatica muscolare è un aspetto importante poiché alcune situazioni patologiche o parafisiologiche possono
condurre all’intolleranza all’esercizio o allo sforzo fisico, condizione che crea un pericoloso circolo vizioso in
quanto la sedentarietà aumenta il rischio di insorgenza di varie patologie.
La fatica muscolare è definita come la condizione in cui un muscolo non è più in grado di mantenere una
forza attesa e risulta quindi incapace di compiere un lavoro.
Si possono distinguere due tipi di fatica, quella centrale e quella periferica. La fatica periferica è relativa a
problematiche che riguardano il muscolo scheletrico e interessa i fenomeni che vanno dal potenziale d’azione
muscolare in poi. La fatica centrale riguarda i fenomeni antecedenti al potenziale d’azione muscolare ed è
definita come la sensazione soggettiva di stanchezza e desiderio di terminare l’esercizio. Dagli ultimi studi
sembra che sia proprio l’acido lattico che, una volta accumulatosi a livello tissutale, diffonde in circolo e
oltrepassa la barriera ematoencefalica. Questo meccanismo ha la funzione di proteggere il nostro organismo
dalla degenerazione dei tessuti muscolari e ossei. I soggetti che sperimentano la sindrome da overtraining o
i pazienti ricoverati in terapia intensiva possono infatti rimanere in uno stato di “energy failure” anche per
anni, a causa di uno stress organico molto esteso.
La fatica periferica è un meccanismo di controllo dovuto principalmente all’accumulo di acido lattico, alla
deplezione del glicogeno e all’aumento del fosfato inorganico. Per quanto riguarda l’acido lattico, l’accumulo
di questo provoca un aumento di acidità che risulta nella diminuzione dell’affinità della troponina verso il
calcio liberato dal reticolo. Senza il calcio non è possibile la formazione dei ponti trasversi e se l’affinità della
troponina per il calcio diminuisce, il processo viene rallentato o bloccato e il muscolo non è più in grado di
produrre forza.
La dissociazione del fosfato dal complesso provoca l’accumulo di fosfato inorganico, che va a rallentare il
rilascio del fosfato inorganico stesso dal complesso, andando così a inibire il colpo di forza.
La fatica insorge quindi quando la forza prodotta è minore rispetto a quella attesa.
Gli effetti della fatica consistono principalmente in una diminuzione della forza muscolare e della velocità di
raggiungimento del picco della forza e il rallentamento del rilasciamento. È come se una scossa singola di una
fibra rapida divenisse una scossa singola di una fibra lenta.
CRAMPO MUSCOLARE
Il crampo muscolare è una contrazione dolorosa e involontaria, che interessa soprattutto il polpaccio e il
quadricipite. I fattori che causano l’insorgenza di crampi sono rappresentati da un’esagerata sollecitazione
funzionale, dalla scorretta esecuzione del movimento (ad esempio se il muscolo lavora troppo accorciato),
da disturbi dell’irrorazione e vasospasmo da freddo, da alterazioni funzionali della placca motrice, dallo
squilibrio elettrolitico e, infine, da cause patologiche endocrine, vascolari e neurologiche.
Il trattamento consiste nella detensione del muscolo e nell’applicazione di calore, ma in casi estremi si può
ricorrere anche a trattamenti farmacologici.
UNITÀ MOTORIA
L’unità motoria è rappresentata da un motoneurone α e da tutto il gruppo di fibre muscolari da esso
innervato. L’unità motoria è quindi costituita dal pirenoforo del motoneurone, dal suo assone, dalle
ramificazioni motorie di questo e da un certo numero di fibre muscolari.
Ogni fibra è innervata da un solo motoneurone, quindi motoneuroni diversi non possono innervare la stessa
fibra. Quando il motoneurone genera un potenziale d’azione, tutte le fibre della stessa unità motoria si
contraggono simultaneamente. Ciò fa si che l’unità motoria possa essere definita come la quantità minima
di tessuto muscolare che può essere attivata o disattivata e costituisce l’unità funzionale del muscolo. L’unità
funzionale di un tessuto o organo è la minima quantità di tessuto in grado di riprodurre la funzione
dell’organo in toto. Nel rene, ad esempio, l’unità funzionale è il glomerulo mentre nel muscolo scheletrico è
l’unità motoria. Non è quindi possibile attivare una singola fibra e l’attivazione di solo motoneurone porta
alla contrazione della quantità minima di fibre che può essere controllata dal SNC.
Il numero di fibre all’interno di un’unità motoria è variabile: possiamo avere unità con un basso numero di
fibre e unità con un numero più alto, dipende dalla specializzazione del muscolo. I motoneuroni con poche
fibre ci permettono di regolare molto finemente la forza prodotta da un muscolo. Ad esempio, se un
motoneurone controlla solo tre fibre muscolari, la sua attivazione porta alla contrazione di sole tre fibre, che
produrranno una forza di bassa entità. L’ulteriore
attivazione di un’altra unità motoria sempre composta da
tre fibre porterà alla produzione di un movimento molto
delicato e fine in quanto aggiungo un quanto limitato di
forza. Al contrario, se un motoneurone è in grado di attivare
mille fibre muscolari, la forza prodotta sarà molto alta e
l’attivazione di una seconda unità motoria composta da
mille fibre muscolari produrrà una forza ancora più alta, con
uno sbalzo enorme e il movimento non sarà fine.
I muscoli che permettono i movimenti fini dell’occhio e della
mano, ad esempio, possiedono unità motorie composte da
poche fibre. Il quadricipite invece, non produce movimenti
grossolani e possiede quindi unità motorie costituite da
centinaia di fibre.
Le fibre appartenenti a una singola unità motoria non sono
contigue, ma sono mescolate tra loro in modo da
permettere una distribuzione omogenea della forza.
There are 3 types of fibres and each fibre contains the same type of myosin heavy chain. We can distinguish
between type I, IIa and IIx fibres.
Type I fibres are slow compared to the other and present a small diameter. IIa and IIx fibres are faster and
have a larger diameter, so they are more powerful.
From the metabolic point of view, type I fibres and IIa have oxidative metabolism whereas type IIx fibres
exploit glycolysis. The final product of glycolysis is the lactic acid, so these fibres are the more powerful but
also the more fatiguable. On the contrary, type I fibres are more resistant to fatigue, but are also less strong.
The motor unit is the basic functional unit that initiates movement. The motor unit consist of a singular motor
neuron, his axon and the muscular fibres innervated from the axonal branches.
Each motor unit contains the same type of fibres, so we have three type of motor unit: type S, type FR and
type FF. The fewer fibres there are in a unit, the more precise is the movement. Muscles which control fine
movement and adjustment have the smallest motor unit.
Different muscles present different composition in motor units and this is important because this reflects the
task of the muscle. We can talk about slow muscles, which are recruited for maintaining posture and used
for long distance running. Fast muscles are used for sprinting and jumping. There is also an interindividual
variability in muscles composition, and a variability is also present between females and males: females have
muscles with a major quote of slow fibres.
Force generation can be controlled by some neural mechanism: the CNS controls the development of force
by means of two process: the recruitment of the motor unit and the firing rate of active motor units.
We can say that the intensity of the muscles contraction, so the intensity of the force that the muscles can
produce, is proportional to the number of the motor unit recruited by the CNS and is also proportional to the
frequency of action potential generated by an activated motor neuron.
The recruitment of the motor unit follows an important principle which state that the size of the motor
neurons turns out the recruitment order: small motor neuron are recruited first and are also the last to drop
out while motor units with large motor neurons are recruited last and are the first do drop out.