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ANATOMIA II

Lezione n°14 del 02.03.2017


Sbobinatore: B.P.
Argomenti: anatomia del torace (vascolarizzazione ed innervazione), parete anteriore del torace,
regione mammaria e ghiandola mammaria (tipologia, funzione, vascolarizzazione, drenaggio,
innervazione, accenno dallo sviluppo fetale fino alla pubertà nel sesso femminile), muscolo
diaframma, introduzione al concetto di cavità toracica, logge/regioni.

Riprendendo la scorsa lezione riguardante la vascolarizzazione e l’innervazione del dorso, ma anche


a livello del torace, ricordiamo una:

● componente parietale: si riflette sulla parete con vasi di tipo perforanti muscolocutanei che,
costituendo un circolo superficiale, arrivano a livello della parete del torace o del dorso.
Questi provengono da vasi che, diramandosi, raggiungono anche la componente muscolare e
la componente cutanea, sono i vasi parietali o superficiali.  

● componente viscerale: data da quei vasi viscerali o profondi che arrivano ad irrorare gli
organi presenti nella cavità toracica (cuore, polmoni, esofago, ecc). Questa parte verrà
affrontata nello specifico quando si tratterà ogni singolo organo.  

VASCOLARIZZAZIONE ARTERIOSA DEL TORACE

La vascolarizzazione e l’innervazione del torace ha uno stretto rapporto con gli arti superiori.
La parte anteriore del torace è irrorata dai rami dalle succlavie, le quali diventano ascellari a livello
del margine laterale della prima costa.
Dalla succlavia originano:
● Toracica interna o mammaria interna: prende origine dal lato inferiore dell’arteria
succlavia (opposta al tronco tireocervicale che origina dal lato superiore), scende a livello
del margine dello sterno che dà origine a sua volta a dei vasi collaterali segmentari che sono
le arterie intercostali anteriori che seguono le coste e si anastomizzano, a pieno canale, con
le intercostali posteriori, che provengono dall’aorta toracica. A livello del sesto spazio
intercostale si divide in due rami terminali: arteria muscolofrenica ed epigastrica superiore.
L’arteria muscolofrenica segue l’arcata costale e in vicinanza delle ultime coste (9-10) va ad
irrorare, oltre ai muscoli del torace, anche la prima parte dei muscoli addominali e, in parte,
il diaframma e la cupola diaframmatica.
L’epigastrica superiore si collega all’addome tramite anastomosi con l’epigastrica inferiore
che va a vascolarizzare parte degli organi della cavità addominale.
Quindi di nuovo anastomosi e rapporto stretto tra torace ed addome anche per quanto
riguarda la vascolarizzazione venosa.
● tronco tireocervicale si stacca dalla prima porzione dell’arteria succlavia e si divide
immediatamente nelle arterie tiroidea inferiore, cervicale ascendente, cervicale superficiale e
trasversa della scapola.
● tronco costocervicale: nasce dalla seconda porzione dell’arteria succlavia, spostato più
lateralmente rispetto al tireocervicale, e si dirige in alto fino a livello della prima costa dove
si divide nelle arterie: cervicale superficiale, cervicale profonda e intercostale superiore o
suprema. Quest’ultima va ad irrorare le prime parti della parete anteriore del torace.
Questa arteria, posizionata tra i muscoli scaleni, scende dal collo dopo la sua origine a
livello della prima e della seconda costa dando origine alle prime due arterie intercostali
posteriori; la seconda arteria intercostale posteriore si anastomizza con la terza posteriore
che proviene dall’aorta toracica.

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Le prime intercostali posteriori derivano dalla intercostale superiore o suprema, le altre
intercostali dall’aorta toracica.

Dall’arteria ascellare originano:


● toracica superiore, la toracoacromiale (o acromiotoracica) e toracica laterale (descritti in
direzione medio-laterale) che irrorano la parte anteriore, più medialmente o più lateralmente,
del torace. Questi tre vasi oltre a provvedere alla vascolarizzazione della parete anteriore del
torace sono strettamente associati anche alla vascolarizzazione dell’arto superiore, in
particolare a livello dell’articolazione scapolo-omerale e dei muscoli ad essa associati.
C’è uno stretto rapporto quindi di nuovo tra parete toracica ed arto superiore.
VASCOLARIZZAZIONE VENOSA DEL TORACE

Tutto ciò che abbiamo visto riguardo la vascolarizzazione arteriosa della parte anteriore del torace
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ovviamente si riflette sulla parte venosa. Quindi la descrizione non sarà in senso medio-laterale
come per quella arteriosa ma in senso latero-mediale.
Le anastomosi dei vasi del torace con quelli dell’addome riguardano anche il circolo venoso.
Le vene toraciche interne, in prossimità della terza cartilagine costale si uniscono e risalgono,
medialmente all’arteria, per terminare nella vena brachiocefalica. Le vene toraciche interne
presentano alcune valvole.
Le vene intercostali posteriori, la vena intercostale superiore o suprema (a livello delle prime due
coste) e le intercostali anteriori drenano nel sistema azygos, in base alla posizione:
● a destra del corpo troveremo la vena azygos;
● a sinistra il sistema azygos ha a che vedere con due vene: emiazygos ed emiazygos
accessoria.
Il sistema azygos è un grande sistema anastomotico che unisce vena cava inferiore e superiore
(questa anastomosi è chiamata anche cava-cava) a livello della parte posteriore del diaframma,
nello specifico a livello dei pilastri del diaframma.

Variante da ricordare: quando entrambe, la vena azygos e l’emiazygos, o una sola delle due, non
utilizzano i pilastri del diaframma per passare dal basso verso l’alto, quindi dall’addome verso il
torace, utilizzano l’orifizio aortico e raggiungono comunque il torace.

DIAFRAMMA
Il diaframma, muscolo che separa il torace dall’addome, ha origine a livello del processo xifoideo,
proiettato poi posteriormente sulle vertebre toraciche.
Il diaframma ha una ricca vascolarizzazione: non è vascolarizzato da un solo vaso principale, ma ha
una vascolarizzazione preponderante che proviene da vasi differenti.

La vascolarizzazione arteriosa del diaframma:


● arterie freniche con le loro derivazioni, le arterie muscolofreniche, vascolarizzano il
diaframma. Le arterie freniche superiori sono rami dell’aorta toracica che vascolarizzano la
faccia superiore del diaframma, le inferiori sono rami dell’aorta addominale;
● arterie intercostali posteriori, nello specifico le ultime intercostali posteriori sono dei vasi
principali che vascolarizzano il diaframma.

Le arterie freniche possono derivare da vasi principali diversi, e queste loro origini diverse sono
ancora una volta identificate come varianti anatomiche.
Possono avere origine dal tronco celiaco ma possono derivare dall’aorta totalmente (quindi sia
dall’aorta toracica che dall’aorta addominale, punti diversi addirittura) e anche dall’arteria o dalle

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arterie renali. Questo vuol dire che una può derivare a destra dall’aorta addominale e l’arteria
frenica sinistra dall’arteria renale. Quindi hanno una possibilità di variabilità enorme.
Tenete presente però che le arterie freniche che derivano dall’aorta toracica vascolarizzano
principalmente il diaframma nella sua parte superiore (ma con le loro ulteriori diramazioni possono
raggiungere anche il margine inferiore), mentre le arterie freniche che derivano dall’aorta
addominale, dal tronco celiaco o dalle arterie renali, provvedono alla vascolarizzazione
principalmente e prevalentemente della parte inferiore del diaframma.

La vascolarizzazione venosa del diaframma: anche in questo caso il drenaggio venoso segue la
componente di arteriosa. Quindi avremo le vene muscolofreniche e le vene intercostali posteriori,
che nella parte inferiore vanno a drenare il diaframma, esattamente come la componente arteriosa.
Allo stesso modo il drenaggio venoso viene effettuato da vene che vengono chiamate vene freniche,
l’opposto delle arterie freniche.
La vena frenica di destra e la vena frenica di sinistra drenano in vene principali diverse.
Principalmente la vena frenica destra drena direttamente a livello della vena cava inferiore; quella
sinistra può avere invece un doppio o triplo drenaggio: nella cava inferiore come la destra, a livello
della vena renale o della vena surrenale.
Variante: la vena frenica di sinistra non è unica ma dà due rami dopo la sua origine, che possono
drenare uno nella vena renale ed uno direttamente nella vena cava inferiore.
Quindi le varianti riguardano principalmente la vena frenica di sinistra, che può avere un unico
ramo ed un unico drenaggio, oppure può presentare anche delle varianti di drenaggio differente, in
organi quali rene o surrene (arriviamo sempre nella cava ma indirettamente) oppure direttamente
nella cava.

DRENAGGIO LINFATICO DEL TORACE


Anche per quanto riguarda il drenaggio linfatico abbiamo:
● componente parietale che si suddivide in: superficiale (vale anche per il dorso) che
riguarda cute, sottocute e muscoli; profonda che dalla cute e sottocute arriva ai dotti, cioè
alla componente linfatica profonda, che sia il dotto linfatico principale o che sia il tronco
linfatico.
● Componente viscerale di drenaggio associata agli organi. Questa parte verrà affrontata
nello specifico quando si tratterà ogni singolo organo.

SCHEMA:

La numerosità delle frecce dimostra un collegamento continuo tra tutti i linfonodi:

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● il principale linfocentro di drenaggio linfatico superficiale è costituito dai linfonodi ascellari
(linfocentro ascellare). Il cavo ascellare viene raggiunto da vasi che provengono da zone
diverse del torace: possono provenire dalla parte sternale, dalla parte del diaframma, oppure
in vicinanza della spalla, a livello dell’articolazione scapolo-omerale;
● linfonodi parasternali o toracici interni drenano la linfa nel linfocentro ascellare;
● linfonodi intercostali drenano nei tronchi broncomediastinici e successivamente nei dotti
finali. Però (freccia nell’immagine) possono anche drenare direttamente nella parte profonda
terminale saltando i tronchi broncomediastinici, ovvero direttamente al dotto toracico;
● linfonodi diaframmatici raggiungono la componente profonda; non hanno più a che vedere
con i tronchi di immissione (né il succlavio né il broncomediastinico, siamo troppo in basso
ovviamente), ma arrivano alla componente terminale, quindi ai dotti direttamente;
Li ritroveremo con i vari organi perché sono in grado di drenare anche i visceri
dell’addome.

Dotti profondi:
● dotto toracico è il principale vaso linfatico dell’organismo ed è la via principale di scarico
della linfa di tutto il corpo nel torrente ematico, ad esclusione di quella proveniente dal
braccio destro, dalla parte destra del torace, dal collo e dalla testa (che viene raccolta dal
dotto linfatico destra);
● dotto linfatico destro;
● tronchi linfatici giugulare (se considero il torace per lo stretto rapporto con l’arto superiore);
● tronco broncomediastinico drenano la linfa dai visceri e dalla parte profonda della parete del
torace, dal muscolo diaframma e in parte, indirettamente, anche dal fegato;
● tronco linfatico succlavio drenano gli arti superiori, parte della parete toracica, parte della
mammella e la parte superiore della parete anteriore addominale.

REGIONE MAMMARIA

Prima di arrivare alla descrizione della ghiandola mammaria ci sono delle indicazioni per definirne
la posizione, che può cambiare come punto di repere in base al sesso, all’età, a fattori genetici o
razziali.

Le linee che utili per definire la regione mammaria sono:


● La linea cervico-toracica identifica il margine superiore della parete toracica, in vicinanza
dell’incisura giugulare dello sterno, è proiettata posteriormente a livello di T2-T3. Quindi il
margine superiore della parete toracica è a livello di T2-T3, linea cervico-toracica.
● La linea toraco-addominale identifica il margine inferiore; la linea che segue il muscolo
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diaframma, e se consideriamo la parte scheletrica, sia lo sterno (processo xifoideo) che
l’arcata costale.
● La linea ascellare anteriore o media identifica il margine laterale, che cambia a seconda
della costituzione della ghiandola mammaria.
● La linea toraco-brachiale è uno dei margini laterali del torace che non ha a che vedere col
cavo ascellare; ha come punto di riferimento il muscolo deltoide per il margine laterale del
torace.
Il torace può essere così suddiviso in regioni:
● regione sterno-costale, regione sempre simmetrica e pari, comprende tutta l’arcata costale e
parte dello sterno (tagliato secondo un piano sagittale mediano), è delimitata superiormente
dalla linea cervico-toracica e inferiormente dalla linea toraco-addominale;
● regione sternale se si esegue un piano di taglio/di dissezione diverso per la necessità di
isolare solo lo sterno rispetto a tutta l’arcata costale; quest’ultima identificherà la regione
costale.

La ghiandola mammaria è una componente parietale anteriore del torace ed è avvolta dalla fascia
superficiale; è un carattere sessuale secondario che si sviluppa dopo la pubertà nel sesso femminile,
e rimane invece rudimentale nel sesso maschile.
Il suo sviluppo prima della pubertà è identico nei due sessi (a partire dall’inizio di formazione nei
primi mesi di gravidanza fino poi a livello post-natale).
Da una posizione standard nei due sessi si identificano punti di repere, grazie a due linee orizzontali
che delimitano il margine superiore ed inferiore della ghiandola mammaria:
● linea orizzontale tracciate a livello della II-III costa come limite superiore
● VI costa come limite inferiore. A livello di quest’ultima, prevalentemente identificato nel
caso del sesso femminile, la linea presenta un solco che viene definito come solco
sottomammario. Quindi il limite inferiore è identificato sia dalla linea orizzontale a livello
della VI costa, ma anche da un solco sottomammario.
● Lateralmente, normalmente si considera nel sesso maschile la linea ascellare anteriore, nel
sesso femminile, dopo pubertà, possiamo arrivare a considerare la linea ascellare media.

STRUTTURA DELLA GHIANDOLA MAMMARIA

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La ghiandola, rudimentale nel sesso maschile, presenta in una determinata posizione una struttura
che viene chiamata areola, e al centro dell’areola troviamo il capezzolo.
L’areola ed il capezzolo hanno una costituzione sia cutanea (soprattutto la parte areolare), ma anche
muscolare, con il muscolo areolare. Il muscolo areolare, insieme alla parte cutanea, circonda il
capezzolo.
N.B. (questo vale di più per il sesso femminile durante la gravidanza) normalmente anche
considerando la mammella rudimentale, la parte dell’areola e del capezzolo ha una pigmentazione
diversa rispetto alla rimanente parte cutanea della ghiandola stessa. Questa pigmentazione
diversa, si amplifica durante la gravidanza (dal secondo mese), aumentando il quantitativo di
melanociti che ha questa parte cutanea rispetto alla rimanente parte della ghiandola stessa.
L’areola presenta anche dei tubercoli che vengono chiamati “tubercoli di Montgomery”. Questi
tubercoli, diventano ben evidenti durante la gravidanza, perché fungono da ghiandole sebacee
producendo una componente oleosa che, a fine gravidanza e con la nascita del piccolo, permettono
la suzione del neonato (sono proprio quelle strutture che facilitano l’adesione del neonato alla
ghiandola mammaria).

La mammella è rivestita anteriormente e posteriormente dalla fascia superficiale del tronco; questa
ghiandola si trova sopra la fascia pettorale profonda che riveste i muscoli grande pettorale, dentato
anteriore, obliquo esterno; tra la ghiandola e la fascia profonda troviamo lo spazio retromammario,
costituito da tessuto connettivo lasso che consente alla mammella un certo grado di mobilità sulla
fascia pettorale profonda.

Il capezzolo ha una sua posizione rispetto all’areola, che in generale, è identificabile da una linea
verticale e una linea orizzontale:
● linea emiclaveare
● IV spazio intercostale

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La ghiandola mammaria viene considerata una ghiandola sudoripara modificata di tipo tubulo-
alveolare; la sua formazione è identica nei due sessi prima della pubertà.
La formazione degli abbozzi primordiali inizia dalla 5-6 settimana di gravidanza: sono delle
invaginazioni che creano un’integrazione tra le cellule epiteliali di origine ectodermica con il
connettivo di origine mesenchimale.
Questa interazione forma due linee, da ambo le parti, che sono chiamate linee del latte: sono linee,
che comprendono tanti abbozzi (vedete dall’immagine), di interazione tra ectoderma e mesoderma a
partire dal cavo ascellare fino a raggiungere la pelvi.
A partire dal 49^-50^ giorno di sviluppo rimane solo un abbozzo a livello toracico che avrà il suo
sviluppo, gli altri vanno incontro ad involuzione;
Questo abbozzo si sviluppa integrandosi maggiormente con la parte mesenchimale: la parte
epidermica si sviluppa a ridosso della parte mesenchimale o connettivale, e penetra (come se
distruggesse la parte connettivale per svilupparsi); questo suo sviluppo si amplifica nei successivi
mesi di gravidanza andando a costituire la ghiandola tubulo-alveolare, con la formazione dei dotti e
di un’organizzazione in lobi e lobuli a discapito della componente connettivale.
Nel secondo mese si ha lo sviluppo del capezzolo.

Domanda dall’aula: “La presenza di questi dotti permette la diffusione a distanza di cellule
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maligne e quindi metastasi in caso di tumori?” Si, soprattutto in caso di carcinoma della
mammella, effettivamente i dotti permettono un’ampia dispersione proprio a livello del torace ma
anche a livello interno, in questo caso delle cavità, dando delle metastasi tumorali.
Nell’immagine vedete la tipologia della ghiandola con la presenza della componente lobulare
attiva dopo la gravidanza e quindi ripiena di latte, e la componente lobulare inattiva uguale nei due
sessi (parte craniale).
Strutturalmente la ghiandola mammaria è costituita da:
● Dotti, che si formano all’interno della componente connettivale, rimangono non pervi e
inattivi (non producono latte) fino a quando la ghiandola mammaria non deve entrare in
funzione, quindi fino al termine della gravidanza;
● Lobulo è la parte secretoria costituita da tanti acini.
● Lobo della ghiandola mammaria è l’insieme di un certo numero di lobuli. Questi lobi sono
determinati da prolungamenti connettivali della fascia superficiale che avvolge e penetrano
la ghiandola. Quindi connettivo che penetra nella ghiandola mammaria (stesso concetto di
stroma che va all’interno del parenchima della ghiandola).
● Ciascun lobulo della ghiandola, presenta (nella ghiandola attiva si vede meglio) tante
piccole strutture di dimensioni estremamente minuscole, che sono chiamate alveoli o acini;
questi costituiscono la componente minimale del lobulo che è in grado di produrre secreto o
latte.
Questi alveoli e acini sono presenti ad esempio anche nella nullipara (non in gravidanza),
ma restano inattivi, in uno stato non funzionale.

Questi setti di tessuto connettivale che penetrano all’interno della ghiandola creando i lobi, fungono
anche da supporto della posizione della ghiandola: dandole anche una certa capacità di movimento
e la tengono posizionata addossata alla parete, ai muscoli, o alla fascia pettorale o grande pettorale.
Legamento sospensorio: legamento importante da ricordare, svolge la funzione di mantenimento
della posizione della ghiandola mammaria rispetto alla parete toracica; sono setti connettivali che
penetrano comunque all’interno della ghiandola, la circondano come fascia superficiale, e danno
una certa motilità alla ghiandola.
Questo legamento sospensorio arriva, posteriormente, fino a livello del muscolo grande pettorale,
alla fascia che abbiamo definito come fascia clavipettorale.
Tra il legamento sospensorio che circonda la ghiandola e la fascia clavipettorale esiste uno spazio
di tessuto connettivale, chiamato spazio retromammario, il quale ha la stessa funzione del
legamento sospensorio: garantire una certa mobilità alla ghiandola mammaria.

Oltre alla componente lobulare, la ghiandola presenta anche, nel suo parenchima, tessuto adiposo:
più sviluppato quando la ghiandola è inattiva rispetto a quando la ghiandola è funzionante. La sua
presenza varia in base alle varie fasi della vita: alla menopausa, la ghiandola mammaria perde la sua
funzione, quindi avrà maggior tessuto adiposo nel parenchima rispetto a tutta la componente
lobulare che non potrà più essere attiva.

Questa è una dissezione che venne fatta anni fa: si individua la linea emiclaveare per la posizione
del capezzolo (non sono evidenti i tubercoli di Montgomery).

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Dopo la dissezione della ghiandola mammaria, vediamo due strutture differenti per tipologia: il
tessuto adiposo di colore giallo intenso, e delle aree più chiare che identificano i lobuli.
Se si dovesse fare una statistica in base al quantitativo di tessuto adiposo e di lobuli, potremmo
pensare che questa sia una ghiandola mammaria di una signora in menopausa, dove il quantitativo
di lobuli si è ridotto (i lobuli involvono e scompaiono), mentre è aumentato il quantitativo di tessuto
adiposo.

Questi dotti collegano i lobuli, gli acini che fanno parte del lobulo, al capezzolo trasportando il
secreto per la suzione.
In base alla loro funzione, i dotti hanno un epitelio bistratificato (2 strati) oppure un epitelio
monostratificato con cellule di forma diversa (cilindrica o cubica).
Questi dotti, chiamati dotti galattofori, variano di dimensione e sono strutturalmente diversi:
presentano un epitelio differente in base alla loro dimensione. Partono dai dotti galattofori di
maggiori dimensioni, per poi diventare sempre più piccoli fino allo sbocco di questi dotti a livello
della cute del capezzolo grazie a degli orifizi (15-20) che permettono la fuoriuscita del latte.
Quando questi piccoli dotti che arrivano a livello degli orifizi sono direttamente a contatto con
l’epidermide: in questo punto l’epitelio cambia di nuovo. Questi piccoli dotti raggiunta l’epidermide
o raggiunti gli orifizi, presentano un epitelio squamoso cheratinizzato, che è un tutt’uno con
l’epidermide.
Tra i vari dotti, da quelli più grandi a quelli più piccoli in vicinanza del capezzolo, il tessuto
connettivo che si trova sia tra i lobuli sia tra i dotti, è un tipo di tessuto connettivale denso.
Questo tessuto connettivale denso presenta delle cellule particolari, mioepiteliale: hanno la funzione
di stimolare e comprimere il lobulo e gli acini per dare la spinta verso i grandi dotti, piccoli dotti
terminali e capezzolo; ovviamente il tutto è stimolato dalla suzione del neonato.
In lontananza, il tessuto connettivale diventa tessuto connettivale lasso che non contiene cellule
mioepitaliari.

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Vascolarizzazione e innervazione della ghiandola mammaria
La ghiandola mammaria fa parte della parete toracica superficiale, per cui è logico che tutti i vasi
sia arteriosi che venosi che drenano il sangue nella parete anteriore del torace riguardino anche la
ghiandola mammaria.
● arteria mammaria interna o toracica interna;
● arteria ascellare come derivata della succlavia. Già visti precedentemente.
● dalla 2^ alla 4^-5^ intercostale anteriore trasportano sangue arterioso alla parte centrale, e in
parte anche laterale, della ghiandola;
Quindi quei vasi che abbiamo visto per la parete vanno bene anche per la ghiandola con un
piccolo particolare: la 2^ intercostale anteriore ha un calibro maggiore rispetto alle altre
intercostali anteriori: perché ha il compito di vascolarizzare ovviamente un’area maggiore
rispetto alle altre intercostali, arrivando a vascolarizzare anche l’areola ed il capezzolo.
● La parte laterale della ghiandola mammaria comprende l’area che arriva alla linea ascellare
media: è un prolungamento della ghiandola mammaria che viene chiamato coda ascellare o
coda di Spence (non sempre presente). Questa parte sarà vascolarizzata come per la parte
laterale (anche se non ci fosse la coda ascellare), dalla componente ascellare-succlavia, dalle
toraciche laterali superiori e acromiotoracica.
Gli stessi vasi, che rispecchiamo la componente arteriosa, saranno invece responsabili per il
drenaggio venoso. Quindi gli stessi vasi che abbiamo visto per la parete toracica li avremo per il
drenaggio venoso della ghiandola mammaria.

Sistema linfatico della ghiandola mammaria


Più complessa è invece la componente linfatica, di importanza fondamentale nella diffusione del
tumore o delle metastasi, in quanto viene drenata da un numero di linfonodi e poi tronchi, e quindi
parte profonda, diversi.

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Tutto il drenaggio linfatico parte da un plesso linfatico che è a ridosso di tutta la ghiandola
mammaria da cui ha proprio inizio il drenaggio. Questi capillari linfatici vanno a drenare la linfa in
linfonodi parasternali (li vediamo nell’immagine), linfonodi posizionati tra il muscolo grande e
piccolo pettorale, muscoli intercostali ed i dentati, e sono chiamati linfonodi pettorali.
I linfonodi parasternali, come già detto precedentemente. possono confluire (sfortunatamente, nel
caso nel caso si verifichi una metastasi) in tronchi diversi.
Lo stesso vale anche per i linfonodi pettorali che possono drenare direttamente la linfa nei
sopraclavicolari oppure, indirettamente, dal linfocentro ascellare ai sopraclavicolari.
A questo livello siamo nel collo dove troviamo un altro tronco, il tronco giugulare (quindi
diffusione estrema metastatica): però la gran parte della linfa, circa il 75%, viene drenata dai
linfonodi ascellari.
Ci sono poi dei linfonodi sentinella, linfonodi che vengono identificati tra i primi come possibile via
di attacco, per il drenaggio, da parte delle cellule tumorali. Si identificano in prima battuta i primi
linfonodi pettorali o, in seconda battuta, a livello parasternale; soprattutto i pettorali, perché hanno
come sbocco terminale, con la gran parte della linfa, gli ascellari.
Innervazione della ghiandola mammaria

La ghiandola mammaria, per svolgere la propria funzione, necessita dell’azione da parte di ormoni,
quindi la componente endocrina gioca un ruolo importante per la secrezione della ghiandola; anche
l’innervazione però agisce sulla secrezione della ghiandola.
L’innervazione della ghiandola mammaria è associata ai nervi intercostali 4^ e 6^: hanno sia la
componente sensitiva cutanea che simpatica. Quindi sistema nervoso autonomo (secrezione della
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ghiandola) e sensibilità cutanea; simpatico (secrezione), componente sensitiva (dell’epidermide,
associata soprattutto anche alla parte dell’areola e del capezzolo durante la suzione).
Il capezzolo, in particolar modo, risente dell’innervazione del 4^ nervo intercostale: è ad hoc per
l’innervazione del capezzolo ed è chiamato cutaneo laterale di T4: nervo associato al 4^nervo
intercostale molto importante, perché ha in vicinanza dell’epidermide (e quindi della parte più
superficiale del capezzolo stesso) un numero di recettori che risentono della suzione del capezzolo,
che sono i corpuscoli di Meissner e terminazioni libere.
Oltre a questo 4^e 6^ per la parte di ghiandola mammaria ci sono gli ormoni.

CAVITA’ TORACICA

Introduzione alla cavità toracica che rivedremo bene la prossima lezione.


Tutta la cavità toracica, con i visceri, è organizzata in logge e regioni:
● logge pleuropolmonari: sono due dove troviamo polmoni e pleure,
● mediastino: contenente cuore, grossi vasi e visceri (parte della trachea e parte dell’esofago).
Il mediastino (e qui avete un’immagine) è suddiviso in due parti: mediastino superiore e
mediastino inferiore; questi sono separati da un foglietto connettivale profondo della fascia
profonda dalla parte del collo, oltrepassa l’incisura giugulare, oltrepassa lo sterno e continua
nel torace
● Il mediastino superiore va dalla linea cervicotoracica fino a T4-T5 (fine del manubrio e
l’inizio del corpo dello sterno con l’angolo di Louis).
Da qui, il mediastino inferiore, ha come limite inferiore anteriore la linea toraco-addominale
(processo xifoideo che arriva sino a T8-T9, T9-T10); come limite inferiore posteriore ha
l’ultima vertebra toracica T12.

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Il mediastino inferiore viene suddiviso in tre parti che sono:
● mediastino inferiore anteriore, piccola area a ridosso del margine posteriore dello sterno
(contiene parte del timo come organo linfoide, ma con l’invecchiamento non ci sarà più
neanche il timo);
● mediastino inferiore medio, con il cuore, il pericardio, l’origine dei grossi vasi (e poi
vedremo bene tutto quello che c’è, comprese la vascolarizzazione e l’innervazione);
● mediastino inferiore posteriore, raggiunge la colonna vertebrale e comprende l’aorta toracica
discendente, l’esofago, la suddivisione della trachea nei due bronchi, i visceri del mediastino
inferiore posteriore.
 

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