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Corso di Liturgia - studente: Andrea Scalvini FTTr AA.

2014-2015
ARCHITETTURA E LITURGIA, Louis Bouyer, Qiqajon, Magnano 1994 (originale:
Parigi1967)

A partire dalla riflessione del Concilio Vaticano II non avrebbe nessun senso parlare di
cambiamento (se questo fosse solo esteriore) se non nello spirito della liturgia. Spirito come
realtà incarnata. E’ necessario dare attenzione ad una disposizione generale (non al
rubricismo), a un ethos del cuore e della mente. Il rito è proprio incarnazione di questo
spirito.
Perché il Rinnovamento dovrebbe partire dalla liturgia? Perché è il cuore della Chiesa, ne è
il “culmine e la fonte”. Dal periodo della controriforma in poi abbiamo assistito ad un
irrigidimento e ad una esteriorizzazione del rito, se allora l’esteriorità era sinonimo di
tradizione non deve stupire oggi l’estremo contrario, che abbandona l’aspetto più visibile
della tradizione. La soluzione non è però gettare via tutto. La dinamica è invece quella di
un’incarnazione continua ed è in questo corpo che deve manifestarsi la permanenza e il
potere creatore dello Spirito.
La liturgia è preghiera di una comunità, è questo Corpo Mistico di Cristo che progredisce nella
storia a partire dall’insegnamento e dall’azione salvifica del Signore. È indispensabile il
nostro entrare nella vita di questo corpo. Le forme di preghiera del passato non sono morte,
ma rappresentano un eredità di vita che rimane sempre attiva e fruttuosa.
È necessario perciò considerare le forme liturgiche non per la cristallizzazione che hanno
subito nel tempo, ma vanno comprese nella loro primitiva freschezza, essendo oggetto di
partecipazione intelligente, attiva e feconda da parte dei fedeli. Allora la liturgia sarà vita
comune nello Spirito Santo, perché tutti diventino una cosa sola con Dio in Gesù Cristo.
Se liturgia è il radunarsi degli uomini nella casa del Signore, si intuisce così l’importanza
dell’architettura. Nella Sua dimora tutti sono invitati a riconciliarsi nel corpo del Suo Figlio,
siamo la Sua sposa, la Chiesa, senza dimenticare che l’unica dimora resta sempre quella
celeste, quella futura, ma già ora dobbiamo sentirci chiamati a edificarci su Cristo pietra
angolare. Gli edifici materiali pur essendo tende provvisorie, devono formare il quadro
visibile dalla Chiesa, per questo assumono il nome stesso di Chiesa. La modalità in cui
costruiremo la nostra chiesa sarà la manifestazione della qualità della nostra vita ecclesiale
nel corpo mistico di Cristo. Non basta perciò copiare dal passato forme esterne o
progettarne di nuove adattando all’uso liturgico spazi moderni. È necessario riscoprire come
la liturgia cristiana abbia rimodellato le costruzioni utilizzate all’inizio giungendo a risultati
nuovi. L’importante non è assemblare tra loro determinati dettagli, ma stabilire la relazione
dinamica tra i punti focali della celebrazione così che incarnandosi possa raggiungere un
armonia coerente. Solo la funzione vitale può spiegare l’organo, mentre un organo morto
non avrà senso né funzione.

Le antiche sinagoghe
Tra Antico e Nuovo Testamento non vi è solo continuità, ma il secondo è nato dal primo.
La Chiesa corpo di Cristo trova la sua anticipazione nel qahal del popolo ebraico, luogo della
preghiera, dell’ascolto, dell’alleanza. La chiesa come luogo architettonico della preghiera dei
cristiani, trova così il suo antecedente nella sinagoga. È errato contrapporre in senso
religioso sinagoga e tempio. Quest’ultimo è infatti la matrice del culto ebraico e la sinagoga
non ne è altro che il riverbero cultuale. Se la parola di Dio assume nella sinagoga un accento
più marcato, non si può dimenticare che la celebrazione cultuale è strettamente legata al
riconoscimento della Presenza (connessa al tempio e al Santo dei Santi). I punti focali della
sinagoga erano due: la cattedra di Mosè ovvero la tradizione viva della Parola di Dio
(presente negli scribi in quanto depositari autentici) e l’arca (eco dell’arca primitiva contenuta
nel debir del tempio) trono e spazio vuoto in cui era presente Dio stesso. Perciò ogni
sinagoga non era mai fulcro a sé, ma era sempre direzionata fisicamente e orientata al
tempio di Gerusalemme in cui era contenuto l’unico Santo dei Santi. La lettura della Torah
(a carattere rituale e realtà quasi sacramentale) e la recita della preghiere (che poteva esser
fatta da qualsiasi membro della comunità) veniva fatta dal bema (termine greco), tribuna
posta al centro dello spazio sacro per meglio essere uditi e opposta alla cattedra. Gli ebrei
adottarono sempre più spesso per il culto sinagogale la costruzione greca della “basilica” a
forma quadrata con due file di colonne ai lati, con una o tre porte spesso rivolte verso la
città santa. L’arca finì per essere inglobata in un abside (ove verranno trasferiti anche il
bema e la cattedra) e indicante la direzione di Gerusalemme con la porta in direzione
opposta. L’assemblea si radunava attorno al rabbino ma il centro rimaneva sempre l’arca e
Gerusalemme. Le preghiere venivano recitate sempre rivolti verso il tempio nell’attesa del
Messiah. Direzione che si mantiene ancora oggi per gli ebrei ortodossi nonostante il Santo
dei Santi non esista più, proprio in virtù dell’attesa futura di colui che verrà in
Gerusalemme. Il rito sinagogale assume così una fisionomia precisa a partire dai suoi
elementi e dalla relazione fra loro. Alle grandi preghiere della sinagoga si associa la
dimensione di “memoriale” legata all’espressione dell’essenza del culto sacrificale, e
divenuta propria del culto sinagogale. Già prima di Gesù si pensava che i riti della tavola
fossero il pieno compimento del rito in sinagoga, tanto da essere considerati in alcuni
ambienti religiosi, più importanti dei sacrifici del tempio. È l’inizio del regno e del banchetto
messianico, prefigurazione dei tempi nuovi.

Le prime chiese siriane


Le più antiche chiese cristiane (note attraverso documenti archeologici e testuali) sono
quelle siriane. Portano con sé elementi della tradizione semita salvaguardati in
contrapposizione all’ellenizzazione bizantina del quarto secolo. Le forme della celebrazione
sono perciò molto simili alle tradizioni sinagogali: la posizione del bema, la cattedra (del
vescovo), i seggi degli anziani (presbiteroi). La prima e sostanziale differenza con la sinagoga è
il loro orientamento verso l’oriente geografico. La seconda è che l’abside accoglie un tavola:
l’altare cristiano. L’orientamento non è più verso la città santa, perché la parousia che i
cristiani attendono non è restaurazione della Gerusalemme terrena. Ecco il nuovo
orientamento cristiano verso il sole che sorge (da est a ovest). È un simbolismo attestato da
tutte le primitive testimonianze cristiane, la preghiera verso l’oriente, Christus victor, sole che
non tramonta mai e questo anche dopo l’opera di ricostruzione costantiniana di
Gerusalemme. La nuova Shekhinà diviene così la celebrazione dell’eucaristia sull’altare, terzo
centro della celebrazione cristiana, unico orientamento fisico possibile per i cristiani.
Nell’anamnesi della morte salvatrice di Cristo e nell’attesa che la sua Risurrezione raggiunga
tutte le sue membra, il pasto eucaristico sostituisce il sacrificio del tempio. La cattedra del
vescovo sostituisce quella di Mosè, la Parola di Dio che crea l’assemblea: la Chiesa del
Nuovo Testamento sostituisce quella dell’Antico. Il Verbo fatto uomo è il compimento di
questa Parola. L’Evangelo sostituisce così la Torah. Tutti i sacrifici trovano compimento
nell’ultimo sacrificio di Cristo sulla Croce che intercede per noi. In seguito alla persecuzione
di Diocleziano ove le scritture venivano requisite, i rotoli vennero custoditi in luoghi segreti.
In certe chiese si sovrapporrà l’arca con la cattedra così che colui che predica il Vangelo non
sia nient’altro che portavoce di Cristo. Dopo il servizio delle letture e le preghiere dei fedeli,
tutto il clero si avvia verso est portando le offerte, mentre i presenti si raccolgono attorno
all’altare. Questo dinamismo si esprime bene nel movimento dell’assemblea che si raduna
attorno all’arca per l’ascolto, poi in gruppo per la preghiera, in cammino verso oriente e la
comunione. Si rivela perciò un’ azione corale di clero e popolo, un culto dell’assemblea che
prega insieme radunato attorno a colui che ha il compito di sorvegliare; il suo essere al
centro rimanda alla presenza trascendente del Signore pur rimanendo un semplice ministro.
Delle possibili soluzioni adottate dalle chiese siriache l’unica assunta dalla sinagoga fu quella
che presentava al centro tutti gli elementi nel bema, l’arca e la cattedra, i leggii riuniti
insieme nel centro dell’edificio. Era l’unica soluzione che permettesse la partecipazione del
popolo mantenendolo diviso tra uomini e donne. Con il cristianesimo ormai tutti i credenti
potevano partecipare al “sacerdozio regale”.

Le basiliche romane
A partire dalla ricerca archeologica è molto probabile che le liturgie romane non fossero
celebrate nelle catacombe, si tratta certamente di una invenzione romantica. Gli unici luoghi
in cui si potevano ritrovare i cristiani al tempo della persecuzione erano le case di patrizi
amici, e questo anche in tempi anteriori. Il luogo adibito alla celebrazione non poteva essere
l’atrio, disposto a cielo aperto e poco funzionale, ma il triclinium, la vasta sala da pranzo a
forma rettangolare, adatta per la verità a qualsiasi tipo di riunione. Gli indizi restano
comunque solamente le grandi basiliche dell’epoca costantiniana. Una delle poche che
ancora ha conservato la sua disposizione risalente al IV secolo è la basilica Lateranense.
Nelle chiese dell’Africa del nord molto vicina alla Roma imperiale, possiamo ritrovare
perfettamente intatte (ove sono rimaste) le strutture ecclesiali del IV secolo prima
dell’invasione islamica. La cattedra trasferita al centro dell’abside si trasforma in trono
d’onore, di un ufficiale, ruolo che nella Roma civile corrispondeva all’imperatore o al
magistrato nella basilica. Il vescovo e i suoi presbiteri furono infatti assimilati a funzionari
dello stato. Questo causò fin da subito una separazione: esercitarono un’autorità sopra tutto
il popolo, indistintamente dalla fede professata; e un allontanamento della “classe” liturgica
dal popolo, cosa che tra i primi cristiani e nelle sinagoghe non era mai successa. Dal punto
di vista architettonico nella basilica assistiamo ad uno scambio di posizioni tra cattedra e
altare. Se il seggio del vescovo prende il posto dell’altare nell’abside, l’altare viene
posizionato al centro dello spazio celebrativo. Il bema venne così sostituito con un recinto
allungato e aperto in prossimità degli amboni ove si recavano i ministri di grado inferiore.
L’altare era accessibile mediante gradini e avvolto da un ciborio soprastante. Venne poi
trasportato all’interno del “recinto” del clero anche l’altare creando una separazione netta
coll’assemblea durante tutto il rito eucaristico.
Gregorio Magno operando questa modifica volle spostare l’altare della basilica di san Pietro
sul luogo soprastante la sua tomba, in questo modo mise un impronta pesante sulle
dinamiche della liturgia perché creò una spaccatura destinata a svilupparsi nei secoli. La
celebrazione eucaristica partecipazione collettiva dei fedeli, veniva sempre più spesso
associata al culto dei martiri. Affidando alle comunità monastiche le grandi basiliche
romane, Gregorio faciliterà l’involuzione verso una celebrazione semiprivata.
La disposizione di san Pietro rendeva necessario al presidente rivolgersi verso il popolo,
cosa che non succedette per le basiliche Lateranense e di Santa Maria Maggiore che
mantennero la collocazione originale. È fondamentale osservare come la questione del
rivolgersi verso il popolo intesa ai giorni nostri non ha nulla a ché vedere con i motivi e le
contingenze che portarono a mantenere o a modificare l’uso della disposizione davanti o
dietro l’altare durante i secoli dopo Costantino. L’unica indicazione sulla celebrazione antica
che possiamo trovare indicava che il presbitero si voltasse verso oriente nel dire la preghiera
eucaristica e tutte le altre preghiere. È interessante anche notare come nei casi in cui
l’orientamento della chiesa permettesse al presbitero di essere rivolto verso il popolo
durante le orazioni, era il popolo stesso che si voltava verso oriente, a dimostrazione di
quale fosse il fulcro della celebrazione e delle funzioni liturgiche. Nell’epoca patristica non
aveva gran senso per i fedeli rivolgersi verso l’altare dopo la processione offertoriale, dato
che non avveniva da parte del ministro alcuna manipolazione del pane e del vino, né troppi
gesti, introdotti solo nel medioevo.

Le chiese bizantine
La chiesa bizantina tradizionale è pressoché contemporanea alla basilica romana, e non fu
che lo sviluppo logico del suo uso cristiano originario. Gli architetti scartarono tutti gli
elementi che non si adattavano all’uso liturgico che rimase l’unica esigenza nella
progettazione delle chiese. La basilica romana in effetti non era la migliore soluzione per la
celebrazione, la presenza dei transetti risultava problematica e la navata centrale lunga
rischiava di dividere in due l’assemblea generando una partecipazione limitata dei fedeli a
ovest dell’edificio. Quest’architettura venne così sostituita con una costruzione a pianta
quadrata: al centro potevano esser posti il bema, l’arca, gli amboni e i seggi. L’abside che in
precedenza era piccola veniva sostituita con una di più grandi dimensioni, con una maggior
visibilità dell’altare e una più attiva partecipazione grazie alle semicupole che venivano
crearsi e senza separazioni. Santa Sofia costruita da Costantino e ricostruita sotto
Giustiniano divenne così il modello grandioso e probabilmente il miglior adattamento alla
celebrazione cristiana dell’architettura. Lo sviluppo dell’iconografia sottolineerà
l’introduzione dell’intero corpo dei fedeli e del mondo nel mistero cristiano. L’iconografia
cristiana prenderà origine dalla sinagoga (a dispetto della credenza che nelle sinagoghe non
ci fossero immagini). Episodi biblici decoravano le pareti, ma non come un semplice
ricordo, come invece, nel contesto dell’haggadà, partecipazione permanente del popolo agli
eventi salvifici operati da Dio in suo favore. In contesto cristiano gli episodi verranno
arricchiti dell’interpretazione cristiana, pur restando in grande continuità con le realizzazioni
artistiche ebraiche tanto che la sinagoga di Dura Europos perfettamente conservata (prima
che l’uso di non utilizzare immagini acquisisse un significato anticristiano) creò qualche
difficoltà agli archeologi nell’essere distinta da una chiesa della stessa epoca. Nella tradizione
cristiana bizantina, la pittura o il mosaico non erano altro che la proiezione artistica della
visione di Chiesa operata dalla mistagogia.

Le chiese occidentali
Le chiese occidentali sembrano costituire lo sviluppo delle prime basiliche siriache, diverse
dal percorso delle chiese bizantine. La tradizione romana non sembra aver pesato
nell’influenza dell’architettura sacra almeno nel nord Europa, dove fu evidente la
clericalizzazione del culto: in epoca medievale il presbiterio era separato dal resto della
chiesa con un muro. Erano sostanzialmente scomparsa l’azione partecipativa del popolo. Si
assiste così ad una spettacolarizzazione della celebrazione in particolare con l’accentuazione
della consacrazione e a una esteriorizzazione del rito. Di contrario venne introdotto lo jubé
corridoio soprastante il muro di divisione che serviva per la proclamazione della Parola di
Dio e la lettura delle preghiere equivalente all’antico bema. Nel XII secolo in cui anche il
servizio delle letture e delle preghiere era divenuto prerogativa dei chierici, si assiste alle
prime ripetizioni in lingua volgare della prima parte della celebrazione, la comparsa del
pulpito e della cattedra opposta ad esso e di un ufficio di lettura, catechesi e orazione, tutto
in lingua volgare. Nel periodo della controriforma si istituzionalizzerà la predica e la
soppressione del recinto, a favore di un contatto visivo, ma con la scomparsa dello jubé e
della Parola cantata. Nel rinascimento entrerà in uso l’ancona, insieme di pitture o sculture
nello spazio dell’altare ponendo l’accento sulla dimensione della gloria eterna, richiamo alla
tradizione bizantina. In alcune parti d’Europa il coro dei chierici spostato più a ovest
permetteva un inserimento almeno visibile dell’assemblea nella liturgia. Se nelle chiese non
sono mai esistiti posti a sedere per i fedeli, nel XVII secolo in Europa, nelle collegiate e
nelle cattedrali è presumibile che gli stalli del coro lasciati liberi dal clero e dai coristi
fossero occupati dagli uomini. Nel XIX-XX sec. vennero introdotti nella navata i banchi, il
pulpito e la rimozione di ciò che poteva esser rimasto dello jubé, sciupando la celebrazione
e trasformando le chiese in aule di spettacolo. Con l’introduzione dello jubé e della cattedra
e del banc d’oeuvre le chiese in occidente erano tornate ad una situazione degna della
primitiva architettura bizantina. Nel medioevo la questione della celebrazione romana
“verso il popolo” era pressoché ignorata a nord delle Alpi. Tutto ciò che il rito romano
“impose” in occidente, furono i testi delle preghiere, ma per il resto fu esso stesso che si
adattò alle consuetudini cerimoniali degli altri riti. Nel cerimoniale di Patrizi (XVI sec.) per
la Chiesa in occidente si suggerì di porre il trono del vescovo a nord dell’altare e quello del
presbitero non vescovo dalla parte opposta, fu forse l’unico tentativo di offrire una
disposizione comune ai riti occidentali. Anticamente nel rito romano vi era una capsa nella
quale si conservavano le Scritture e le specie eucaristiche che non uscivano dalla sacrestia.
Nel medioevo comparvero armadi per la conservazione delle Scritture e le cosiddette
“torri” per l’eucaristia. Mai il “tabernacolo” entrò a far parte dell’altar maggiore.

Tradizione e rinnovamento
Non esiste un modello perfetto di chiesa e conoscendo lo sviluppo storico degli edifici sacri
del culto cristiano ci si può render conto di come non è possibile assumere schemi fissi per
la progettazione di una chiesa. Non si tratta ancora, di assumere uno degli schemi già visti,
ma di cogliere il dinamismo profondo di questo culto, per aprirsi anche a nuove forme,
magari migliori per il nostro tempo rispetto a quelle conosciute finora. È importante tener
conto del cuore del culto che in continuità con la sinagoga resta l’insegnamento della Parola
di Dio da comunicare in modo vivo, l’arca in cui vi è la presenza e la dimora di Dio in
mezzo a noi. Questa ci attira all’altare e questo ci porta simbolicamente all’immagine
escatologica della parusia. Il culto di un popolo di sacerdoti, è reso da tutti i partecipanti
nella diversità dei loro ministeri, vescovi e presbiteri, diaconi e altri ministri, resto
dell’assemblea. Tutti partecipano della comunione e dell’essere accolti da Cristo. Nella
prima parte della celebrazione il clero deve adunare il popolo e accogliere la Parola nella
risposta di fede comune, nella seconda parte, su questa fede, si va sul fondamento di una
risposta comune, verso la mensa eucaristica. Dopo aver ricevuto nel tempo le realtà eterne i
credenti devono proseguire il cammino in questo mondo. Il modo della celebrazione
cristiana si manifesta visibilmente e si rende reale nei fatti. Nelle chiese tutto dovrebbe
armonizzarsi con questo modello per essere a servizio della sua realizzazione. Ecco che il
tempio che accoglierà la Chiesa adunata e Cristo vivente, dovrebbe tendere a questa unione
e manifestarsi architettonicamente evitando ciò che la ostacola, le divisioni, i muri, ecc...
Pensando alla disposizione dell’assemblea si potrebbe pensare come forma realizzabile, un
tempio circolare sarebbe chiuso in sé stesso e statico. L’idea è invece quella di un popolo in
cammino e aperto ai santi alle altre comunità, a modo a cui deve portare l’annuncio. La
meta resta la città celeste. I punti focali orientati verso un asse comune restano due:
l’appello della Parola di Dio e la salita verso l’altare.
Per quanto riguarda l’orientamento ci sono diverse obiezioni. Non bisogna tanto vedere la
materialità dalla tradizione quanto il senso che non va abbandonato; l’orientamento è quello
escatologico. Inoltre il mondo sacramentale non dev’essere mai separato dal mondo reale. Il
mondo dovrebbe riuscire a trovare la trasparenza alle realtà spirituali e rinnovarsi da dentro.
La forma dell’altare dovrebbe avere questo duplice riferimento: all’inserimento nel mondo e
la tensione al mondo che ci trascende.
Il problema dei banchi. Fino al sec. XVII non sono mai esistiti e l’assemblea stava i piedi.
Stare seduti durante la celebrazione porta ad una passività che genera la sensazione di essere
ad uno spettacolo e quindi diventerà difficile pretendere una partecipazione attiva al canto e
alla lode. La soluzione di sedie pratiche e economiche potrebbe lasciare aperta la possibilità
di ritornare allo stare in piedi rendendo possibili i movimenti d’insieme e la progressione. I
fedeli poi potrebbero assumere diverse maniere di stare nell’aula liturgica, a seconda del
momento celebrativo, attorno alla cattedra o al leggio, a forma di ellisse o circolare. Con il
coro tra leggio e seggio del celebrante. Una disposizione che riprendesse gli usi medievali
vedrebbe la cattedra opposta all’altro seggio. La cattedra più che semplice e ordinario leggio
potrebbe essere associato all’arca, così da poterne riconoscere l’importanza sacrale.
L’ambone dovrebbe essere abbastanza ampio per accogliere tutti i ministri necessari per
l’annuncio e la celebrazione della Parola di Dio, luogo ove si manifesta la presenza d Cristo.
Con una possibile rappresentazione artistica del Risorto.
La partecipazione dei laici alla celebrazione è possibile se essi sono preparati, per quel che
riguarda le letture. Tutti coloro che svolgono un ministero dovrebbero avere una veste
liturgica (abito che indica il sacerdozio regale di ogni battezzato) e non solo il clero. È
necessario tener conto del fatto che più la celebrazione si trova concentrata nella stessa
parte dell’edificio, meno sarà reale l’introduzione vera dei fedeli nella celebrazione. Per le
preghiere il celebrante dovrebbe sempre volgersi verso il popolo e invitarlo a pregare. Per
quanto riguarda l’oratio fidelium preghiera propria dei fedeli coinvolti mediante un ministro, la
sua forma più antica è quella conservata nella liturgia del venerdì santo: invito a pregare da
parte del presbitero, preghiera silenziosa, colletta in cui il celebrante riassume le intenzioni
di tutti. Dopo i canti le letture, l’omelia e le preghiere, il celebrante dovrebbe andare
all’altare, seguito da una processione di fedeli o almeno da alcuni rappresentanti che portano
i doni e le offerte. Il problema della disposizione dell’altare. Secondo la Costituzione
conciliare è l’intera chiesa che dev’essere costruita attorno all’altare e questo deve avere una
certa distanza dal muro per poter permettere la celebrazione verso il popolo. La diffusione
televisiva delle immagini di san Pietro durante il concilio e questa disposizione conciliare
hanno fatto sì che fosse questo il fulcro della riforma, ma ormai sappiamo bene come
questo e ben lungi dall’essere vero. Inoltre anche se le basiliche romane hanno sempre
previsto questa modalità di celebrare come testimoniato nel Caeremoniale episcoporum e nel
Pontificale romanum, la celebrazione verso il popolo è possibile si, ma se la si desidera, non si
tratta di una imposizione. È comunque importante sottolineare come questa resti una
questione di convenienza e non di principio e i motivi che tempo fa adducevano ad una
prassi di questo genere sono quasi svaniti. Ogni qualvolta l’altare rivolto al popolo significa
prete da una parte e assemblea dall’altra il risultato sarà sempre la separazione anziché
l’unione. La soluzione migliore resta quella di porre il presbitero dalla medesima parte dei
fedeli per la preghiera eucaristica lasciando l’altare a poca distanza dalla prima fila di fedeli.
L’altare rivolto al popolo sarà realmente opportuno solo se si trova nella navata stessa e non
nella corda dell’abside, il ché avrebbe il vantaggio di non lasciare nessuno troppo lontano.
L’altare è una mensa, di festa e di un pasto sacro e sacrificale. Non è una tavola da cucina.
La scelta per la povertà non può significare lasciare misero l’altare. Esso è l’oggetto che
dovrebbe essere il più bello all’interno della chiesa, sopraelevato di alcuni gradini e mai dare
impressione di lontananza. Ci dovrebbero essere ad ornamento candelabri e luci sospese. La
presenza eucaristica in un tabernacolo sull’altare non è l’ideale, sarebbe meglio situarlo in
una cappella a parte o ritornare all’uso dell’armadio eucaristico.
La presenza di un immagine della croce con il crocifisso non è tradizione antichissima, ma
ormai universale e può essere mantenuta. Il legame croce e celebrazione non sarà
comunque mai messo in risalto a sufficienza. Sarà possibile posizionarlo sull’altare o anche
sospeso sopra la mensa eucaristica, o come nell’uso medievale si potrebbe recuperare la
trave rood o il tref francese che reggeva un crocifisso, in modo da mettere in risalto il
carattere sacro della messa. Le decorazioni dovrebbero conferire alla croce quel carattere di
fede anticipazione della trasfigurazione del mondo. Gli abiti dovrebbero accordarsi con
l’altare e rimandare sempre al loro aspetto nuziale per essere chiesa che fa il suo ingresso
gioioso al banchetto dello Sposo celeste. I colori degli abiti poi dovrebbero ritrovare tutta la
varietà della tradizione del medioevo.
Un cerimoniale semplice, ordinato, con abbondanza e varietà di canti, l’incenso, le luci, una
chiesa bella, tutto questo può aiutare a realizzare quella gioia spirituale senza la quale non si
dà culto eucaristico. Il rubricismo, l’astrattismo spirituale, il didatticismo, lo squallore degli
edifici, la pratica moralista bisognerà che scompaiano se si vuole che sulla terra ci sia una
vera anticipazione dell’incontro escatologico.
Questi non sono altro che esempi delle possibilità illimitate dischiuse agli architetti da una
tradizione ben compresa, sorgente di ispirazione e appello alla libertà creatrice.

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