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C'erano Federico Fellini e Sergio Leone. C'era Michelangelo Antonioni. Ma anche Mario Bava,
Umberto Lenzi, Lucio Fulci, Sergio Martino. E in mezzo ti capitava magari un Nico
D'Alessandria, o un Tinto Brass in forma.
Erano gli anni Sessanta e Settanta, e c'erano platee e botteghini. C'era un pubblico, e, difficile a
credersi, lo stesso pubblico che si emozionava davanti a Marcello Mastroianni, faceva lo stesso
con Maurizio Merli. Diversamente reagiva la critica (ma, francamente, a chi serve la critica?), e
il perbenismo della censura, al solito, colpiva tutti.
C'era una volta il cinema italiano “di genere”. Giallos, poliziotteschi, spaghetti western, e chi più
ne ha più ne metta. Film strani, a rivederli oggi. Film che volevano raccontare storie, e tenerti
inchiodato alla poltrona. Filoni e sottogeneri che a volte nascevano sull'onda di un successo di
Hollywood, e che si intrecciavano con la cronaca del tempo e con altri fermenti artistici
provocatori, come il fumetto nero.
Fissiamo qui l'attenzione, che tanto ripetere quant'è bravo Visconti non interessa a nessuno.
Pensiamo a quest'orda di registi amati e snobbati al tempo stesso, e al tempo stesso geni e
mestieranti.
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C'era una volta il cinema italiano
Erano ragazzi prolifici. Siamo in Italia e non si può mica girare un film ogni dieci anni come
Kubrick. O ripetere cento ciak cercando la perfezione. Pochi giorni per girare, e si era di nuovo
al lavoro su un'altra pellicola.
Ragazzi tuttofare, che scrivono e dirigono, che saltano dall'horror alle commedie demenziali
come nulla fosse.
Ragazzi scapestrati, sempre alle prese con censure, sequestri, processi. Ma anche questa è
una storia tutta italiana, perchè mentre un'intera generazione si sparava per le strade, il
problema erano ovviamente le autoreggenti della Fenech.
Ragazzi pazienti, spesso costretti a tollerare ingerenze disastrose da parte dei produttori, e a
fare il possibile per salvare le loro pellicole da idee discutibili.
Ragazzi ingegnosi, perchè Cinecittà non è Hollywood, e bisogna far andare il cervello per non
sforare quei budget ristretti.
Affiancati da musicisti impareggiabili, maestri come Ennio Morricone, Stelvio Cipriani, Riz
Ortolani, creatori di uno stile inconfondibile e mai imitato. Affiancati da attori entrati a diritto
nell'immaginario collettivo del nostro paese, come Tomas Milian e Barbara Bouchet, o
sconosciuti ai più ma osannati da pochi, come George Eastman e Barbara Steele.
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C'era una volta il cinema italiano
E venne la tv.
I guai arrivano con il successo della televisione commerciale, e tutto il suo carico di spettacoli
opinabili e sceneggiati sconfortanti. Negli anni Ottanta il declino è palese, ma si tiene duro. La tv
stessa è in declino, sul piccolo schermo non troviamo più attori come Sergio Tofano, ma
l'ascesa della cosidetta “tv-spazzatura”.
Al lancio del cattivo gusto (quello vero: la banalità) si aggiunge il ri-lancio del moralismo (la
programmazione televisiva, si sa, è molto poco permissiva, e produrre certe pellicole comincia a
diventare, economicamente parlando, un suicidio). Adesso è il piccolo schermo che detta legge
al suo fratello maggiore. Il cinema “estremo” scompare, e si affermano le accoppiate alla
Boldi-De Sica. Lo scenario, sì, è drasticamente mutato. Così come il gusto del pubblico,
assuefatto al torpore della morfina catodica. L'unico tentativo di dare uno scossone fu, forse,
quello della DAC Film di Dario Argento, che produsse risultati alterni ma spesso pregevoli
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C'era una volta il cinema italiano
(come Demoni, di Lamberto Bava, o Deliria, di Michele Soavi), per poi dissolvesi nei primi anni
Novanta.
Inoltre, al drastico calo di pellicole, il pubblico fa fronte donandosi anima e corpo al rassicurante
baraccone americano, che inietta nelle nuove generazioni altri miti, altre iconografie, altre idee.
E oggi?
Siamo negli anni delle fiction. Preti, poliziotti, famiglie simpatiche. Si ride e si litiga, ma alla fine
ci si vuole tutti bene. Pubblico e mercato (ed è inutile discorrere su chi influenza chi) nuotano
sorridenti in una boccetta di Valium. I grandi attori di ieri, restano lontani dalle scene o si sono
auto-esiliati in teatro, e i grandi registi di ieri restano anonimamente in tv, perchè “questo passa
la casa”.
E il cinema? Non scriverò che è morto, perchè di fronte ad autori come Garrone o Ciprì e
Maresco, non si può far finta di nulla.
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C'era una volta il cinema italiano
Ma il resto? Completamente inglobato dal mondo della fiction televisiva, tanto che si può parlare
a ragione di fiction cinematografica. Poi, come è noto, il sonno della ragione genera Ozpetek:
così nei multisala sono noia e moralismi a trionfare. Adolescenti innamorati e trentenni in crisi,
una gioventù molliccia e piagnona, boghesotta e tronfia, alle prese con un quotidiano tanto
scialbo quanto patinato, dove ogni timida denuncia non esce mai dal seminato del politicamente
corretto.
Guardiamoci in faccia, sono anni che nessuno tira più un pugno, e nessuna indossa più i tacchi.
Noi.
Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo
può essere considerata un capolavoro.
Perenni equilibristi tra passato e presente, e perennemente lanciati verso il futuro. Siamo
intimamente lontani da torpore e pilloline, ed estranei ad una società de-virilizzata,
rinchiusa in un luna park dove tutto ciò che è brutto, sconveniente, o scorretto, ha divieto
d'accesso. Vogliamo recuperare e diffondere quel cinema che fu, quel cinema che rincorreva
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C'era una volta il cinema italiano
l'estremo e godeva nello shockare e offendere, quel cinema denso di fermenti di rivolta fino a
sfociare, spesso, nel nichilismo, rimanendo però indipendente da qualsiasi logica politica.
E vogliamo sostenere qualsiasi giovane incendiario che ha deciso di non allinearsi alla
sonnolenza che ci propinano, e di essere brutto, sporco e cattivo, o per come la vediamo noi,
Libero Bello e Ribelle.
6/6