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Storia sociale dellarte

di Arnold Hauser

Storia dellarte Einaudi

Edizione di riferimento:

Arnold Hauser, Storia sociale dellarte. Volume secondo. Rinascimento. Manierismo. Barocco, trad. it. di Anna Bovero, Einaudi, Torino 1955, 1956 e 1987
Titolo originale:

Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, C. H. Beck, Mnchen

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Indice

IL RINASCIMENTO

I. II.

Il concetto di Rinascimento Pubblico di corte e pubblico borghese nel Quattrocento La posizione sociale dellartista nel Rinascimento

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III.

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il rinascimento Capitolo primo Il concetto di Rinascimento

Quanto di arbitrario ci sia nelluso di dividere il Medioevo dallet moderna e quanto fluido sia il concetto di Rinascimento, lo si avverte soprattutto nella difficolt che si incontra nellinserire nelluna o nellaltra categoria personalit come Petrarca e Boccaccio, Gentile da Fabriano e il Pisanello, Jean Fouquet e Jan van Eyck. Se si vuole, Dante e Giotto appartengono gi al Rinascimento, Shakespeare e Molire, ancora al Medioevo. N si pu metter senzaltro da parte lopinione che la vera e propria svolta si compia solo nel Settecento e let moderna cominci con lIlluminismo, lidea del progresso e lindustrializzazione1. Converr piuttosto anticipare questa fondamentale cesura situandola fra la prima e la seconda met del Medioevo, cio alla fine del secolo xii, quando rinasce leconomia monetaria, sorgono le nuove citt e la moderna borghesia acquista i suoi caratteristici lineamenti: in nessun modo comunque sar da porre nel Quattrocento, epoca in cui molte cose giungono a maturazione, ma non comincia quasi nulla di nuovo. La nostra concezione naturalistica e scientifica in sostanza una creazione del Rinascimento, ma il primo impulso a quel nuovo orientamento, nel quale questa nuova concezione ha la sua radice, stato dato dal nominalismo medievale. Linteresse per lindividualit, la ricerca della legge naturale, il senso della fedelt alla natura nellarte e nella letteratura non cominciano

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affatto con il Rinascimento. Il naturalismo quattrocentesco non fa che continuare il naturalismo gotico, in cui gi manifesta linterpretazione individuale delle cose individuali. E se gli apologeti del Rinascimento vogliono vederne un preannuncio o una prefigurazione in tutto quanto nel Medioevo spontaneo, progressivo e personale, se per il Burckhardt gi la poesia dei vagantes una prima manifestazione rinascimentale, e Walter Pater scorge unespressione del Rinascimento in unopera ancor cos intimamente medievale come il chante-fable di Aucassin et Nicolette, questo modo di interpretare non fa che mettere in luce, sia pure dal lato opposto, lintima connessione e continuit esistenti fra Medioevo e Rinascimento. Nel suo quadro del Rinascimento, il Burckhardt insiste soprattutto sul naturalismo e indica nel volgersi alla realt empirica, nella scoperta del mondo e delluomo lelemento essenziale della rinascita. Cos egli, come i pi dei suoi seguaci, non ha visto che nellarte rinascimentale non il naturalismo in s e per s era nuovo, bens solo il suo aspetto scientifico, metodico, integrale; che non losservazione e lanalisi della realt superavano i concetti medievali, ma solo la coerente consapevolezza con cui il dato empirico era registrato e analizzato; che il fatto rilevante del Rinascimento stato insomma non che lartista sia diventato un osservatore della natura, bens che lopera darte sia diventata uno studio della natura. Il naturalismo gotico comincia quando le rappresentazioni dellarte cessano di essere esclusivamente simboli e acquistano senso e valore anche senza un preciso rapporto con la realt trascendente, come pure riproduzioni delle cose terrene. Le sculture di Chartres e di Reims per quanto fosse ancora cos palese in esse la visione oltremondana si distinsero dalle opere romaniche per il loro senso immanente, separabile dalla loro significazione metafisica.

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violento perverso, quale lo dipinge la storia del costume rinascimentale; e se questo malvagio tiranno sia mai stato altro che il sedimento di reminiscenze lasciato dalle letture classiche degli umanisti12. In questa concezione sensualistica del Rinascimento amoralismo ed estetismo sintrecciavano in una maniera pi propria della psicologia ottocentesca che di quella rinascimentale. La visione estetica del mondo, che fu tipica dellet romantica, non si esauriva affatto in un culto dellarte e dellartista, implicava anzi una nuova impostazione, secondo criteri estetici, di tutti i problemi della vita. Ogni dato reale diveniva per essa il substrato di unesperienza artistica, e la vita stessa unopera darte, in cui ogni elemento non era che uno stimolo per i sensi. I peccatori, i tiranni e i malvagi del Rinascimento apparivano ad essa come grandi, pittoresche, impressionanti figure, protagonisti adatti al colorito sfondo dellepoca. Quella generazione che, ebbra di bellezza e avida di morte, voleva morire incoronata di pampini, era ben pronta e disposta a perdonare ogni cosa di unepoca che si avvolgeva nelloro e nella porpora, trasformava la vita in una splendida festa, e in cui, come si pretendeva, anche il semplice popolo si entusiasmava per le pi squisite opere darte. La realt storica corrispondeva ben poco a questo sogno desteti, e ancor meno allimmagine del superuomo in figura di tiranno. Il Rinascimento fu duro e freddo, pratico e tuttaltro che romantico; anche sotto questo rispetto non differiva troppo dal tardo Medioevo. I caratteri che lindividualismo liberale e lestetismo sensualistico hanno attribuito al Rinascimento, in parte non gli si adattano affatto, in parte convengono anche al tardo Medioevo. Pare che il limite sia qui piuttosto geografico e nazionale che storico. Nei casi discutibili ad esempio, quelli del Pisanello e dei van Eyck si riferiranno al Rinascimento i fenomeni del Sud, al

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Medioevo quelli del Settentrione. Le spaziose rappresentazioni dellarte italiana, con il libero movimento delle loro figure pur nellimpianto unitario della costruzione, appaiono rinascimentali; langustia spaziale della pittura fiamminga, le sue figure timide, un po goffe, i suoi accessori meticolosamente accumulati, la sua leggiadra tecnica militaristica, danno invece senzaltro limpressione di qualcosa di medievale. Ma se anche qui si pu concedere un certo peso ai fattori costanti dello sviluppo, cio al carattere etnico e nazionale dei gruppi che guidano la cultura, non si dovrebbe dimenticare che lammissione di un fattore di questo genere significa in sostanza una rinunzia al proprio ufficio di storici: ed rinuncia questa cui si deve consentire pi tardi possibile. Per lo pi si scopre infatti che tali fattori presunti costanti non sono che sedimentazioni di certi stadi dello sviluppo storico, o il frettoloso surrogato di condizioni storiche che non si sono indagate, ma che sono perfettamente indagabili. Comunque, il carattere individuale delle razze e delle nazioni ha nelle singole epoche della storia un significato di volta in volta diverso. Nel Medioevo insignificante, poich in quellepoca la grande collettivit cristiana cosa ben pi reale che non lindividualit dei singoli popoli. Ma sul finire del Medioevo, al feudalesimo, comune a tutto lOccidente, e alla cavalleria internazionale, alla Chiesa universale e alla sua cultura unitaria, subentrano la borghesia nazionale con il suo patriottismo cittadino, le sue forme economiche e sociali diverse da luogo a luogo, le anguste sfere dinteressi delle citt e delle province, il particolarismo dei principati e le variet del volgare. Solo allora il carattere nazionale ed etnico emerge pi decisamente come fattore distintivo; e il Rinascimento appare come quella forma storica particolare in cui lo spirito della nazione italiana si individua dal fondo dellunit culturale europea.

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Col Rinascimento le cose cambiano solo nel senso che il simbolismo metafisico svanisce del tutto e lartista si limita sempre pi risolutamente e coscientemente a rappresentare il mondo sensibile. Nella misura in cui la societ e leconomia si sciolgono dalle catene della dottrina ecclesiastica, anche larte si volge sempre pi libera allimmediata realt; ma il naturalismo non certo una novit del Rinascimento, cos come non lo leconomia mercantile. Fu il liberalismo ottocentesco ad affermare che il Rinascimento ha scoperto la natura: in realt quando esso contrappose al Medioevo questepoca schietta e amante della natura, lo fece anzitutto per polemica contro il Romanticismo. Quando il Burckhardt sostiene che la scoperta del mondo e delluomo opera del Rinascimento, la sua tesi un attacco alla reazione romantica e insieme una difesa contro la propaganda chessa conduceva servendosi del Medioevo. La teoria dello spontaneo naturalismo rinascimentale ha la stessa fonte di quella che considera conquiste del Quattrocento la lotta contro lo spirito di autorit e di gerarchia, lideale della libert di pensiero e di coscienza, lemancipazione dellindividuo e il principio democratico. In questo quadro la luce dei tempi nuovi contrasta dappertutto con le tenebre medievali. Il rapporto di questo concetto del Rinascimento con lideologia del liberalismo, appare, ancor pi chiaramente che in Burckhardt, in Michelet; a lui si deve la formula della dcouverte du monde et de lhomme2. Gi il modo in cui egli sceglie i suoi eroi unendo Rabelais, Montaigne, Shakespeare e Cervantes a Colombo, Copernico, Lutero e Calvino3; il fatto che persino in Brunelleschi egli veda solo il distruttore del gotico, e consideri il Rinascimento essenzialmente come linizio di quel processo evolutivo che si concluder con la vittoria dellidea di libert e ragione, mostra che ci che

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glimportava era anzitutto trovarvi lalbero genealogico del liberalismo. Anche per lui si trattava della lotta contro il clericalismo e di quella lotta per il libero pensiero che gi aveva rivelato agli illuministi del secolo xviii il loro contrasto con il Medioevo e la loro affinit con il Rinascimento. Infatti tanto per Bayle (Dict. hist. et crit., IV) quanto per Voltaire (Essai sur les moeurs et lesprit des nations, cap. 121), il Rinascimento era indiscutibilmente irreligioso, e tale si continuato a considerarlo fino ad oggi, bench in realt fosse soltanto anticlericale, antiscolastico, antiascetico, ma niente affatto miscredente. Le idee sulla salvezza, sulla vita futura, sulla redenzione, sul peccato originale, che impegnavano tutta la vita spirituale delluomo medievale, diventano, s, puramente secondarie nel Rinascimento4, ma dellassenza di ogni sentimento religioso non si pu certo parlare. Perch se si tenta, come nota Ernst Walser, di considerare con metodo puramente induttivo la vita e il pensiero delle personalit pi significative del Quattrocento, come Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini, Leonardo Bruni, Lorenzo Valla, Lorenzo il Magnifico o Luigi Pulci, di regola si d il caso strano che quelli che si considerano i segni caratteristici [dellirreligiosit del Rinascimento] non si ritrovano nella persona studiata...5. Il Rinascimento non era neppur cos ostile allautorit, come affermarono illuministi e liberali. Si attaccavano i chierici, ma si risparmiava la Chiesa come istituzione, e nella misura in cui la sua autorit si restringeva, la si sostituiva con quella degli antichi. Il radicalismo della concezione illuministica del Rinascimento si acu ancora verso la met del secolo scorso, per influsso delle lotte per la libert6. La battaglia contro la reazione ricorreva al ricordo delle repubbliche italiane del Rinascimento e incoraggiava lidea che il loro splendore culturale fosse in rapporto con lemancipazione dei loro cittadini7. In Francia fu il giornalismo

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antinapoleonico, in Italia quello anticlericale ad aiutare lacuirsi e il diffondersi di questa concezione8, e ad essa poi si attennero tanto gli storici borghesi-liberali quanto quelli socialisti. Il Rinascimento ancor oggi si celebra nei due campi come la grande lotta della ragione per la libert e come il trionfo dello spirito individuale9, mentre, in verit, n lidea del libero esame fu un portato del Rinascimento10, n lidea della personalit era completamente estranea al Medioevo; lindividualismo del Rinascimento era nuovo, non come fenomeno, ma solo come programma cosciente, come strumento di lotta e grido di guerra. Nel suo concetto di Rinascimento il Burckhardt collega lindividualismo a una visione sensuale della vita, lidea dellautodeterminazione della personalit allaccentuata protesta contro lascesi medievale, lesaltazione della natura al nuovo vangelo della gioia di vivere e dellemancipazione della carne. Da questa connessione di concetti sorge in parte sotto linflusso dellimmoralismo romantico di Heinse e anticipando Nietzsche e il suo amorale culto delleroe11 limmagine ben nota del Rinascimento come et senza scrupoli, violenta e gaudente, unimmagine i cui tratti libertini non hanno veramente alcun diretto rapporto con la visione liberale del Rinascimento, ma sarebbero inconcepibili senza il liberalismo e lindividualismo ottocentesco. Infatti proprio dal disagio della morale borghese e dalla ribellione contro di essa, che venne quella corrente di esuberante paganesimo che trovava nella rappresentazione degli eccessi del Rinascimento un surrogato a piaceri mancati. In tale quadro il condottiere, con la sua demoniaca brama di piaceri e la sua sfrenata volont di potenza, diventava il prototipo del peccatore irresistibile, che nella fantasia dei moderni consumava tutte le impossibili mostruosit del sogno borghese. Ci si domandato con ragione se sia esistito in realt questo

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I tratti pi caratteristici dellarte del Quattrocento italiano sono la libert e scioltezza nei modi espressivi, originali sia rispetto al Medioevo sia rispetto al Nord, la grazia e leleganza, il rilievo statuario, la linea ampia, piena di vita. Tutto vi chiaro e sereno, ritmico e melodico. La rigida, misurata solennit dellarte medievale svanisce per cedere il posto a un linguaggio libero, limpido, ben articolato; e in confronto persino larte franco-borgognona dellepoca pare abbia un tono fondamentalmente fosco, un fasto barbarico, forme bizzarre e sovraccariche13. Con il suo vivo senso per i rapporti semplici e grandiosi, per la misura e lordine, la plasticit monumentale e la salda costruzione, il Quattrocento anticipa nonostante occasionali durezze e una certa dispersione che spesso ancora non riesce a superare i princip stilistici del pieno Rinascimento. E proprio questa immanenza del classico nel preclassico divide nettamente le creazioni del primo Rinascimento italiano dallarte del tardo Medioevo e dalla contemporanea arte del Nord. Quello stile ideale che unisce Giotto a Raffaello, domina larte di Donatello e di Masaccio, di Andrea del Castagno e di Piero della Francesca, di Signorelli e del Perugino; e nessun artista italiano del primo Rinascimento sfugge del tutto al suo influsso. Lelemento essenziale di questa concezione artistica il principio dellunit, la forza delleffetto complessivo o almeno la tendenza allunit e laspirazione a un effetto unitario, pur moltiplicando forme e colori. Di fronte alle creazioni artistiche del tardo Medioevo, unopera del Rinascimento par sempre una cosa di getto, nella quale un carattere di continuit lega linsieme, e la rappresentazione, per quanto ricca, appare sostanzialmente come qualcosa di semplice e di omogeneo. La forma tipica dellarte gotica invece laddizione. Sia che lopera consti di pi parti relativamente indipendenti, o che di parti non si possa propriamente par-

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lare, che si tratti di pittura o di scultura, di poema o di dramma, prevale sempre lespansione sullaccentramento, la coordinazione sulla subordinazione, la serie aperta sulla chiusa forma geometrica. Le opere gotiche, o le parti di esse, sono come tappe e momenti di una via che ci porta a una visione per cos dire panoramica della realt, quasi una rassegna, e non gi unimmagine unilaterale, coerente, dominata da un unico ed esclusivo punto di vista. La pittura predilige la rappresentazione ciclica, il dramma tende a mettere in scena tutti gli episodi della vicenda e favorisce, anzich laccentrarsi dellazione in pochi momenti critici, il succedersi delle scene, dei personaggi e dei temi. Quel che conta nellarte gotica non il punto di vista soggettivo, non la volont creatrice, che si afferma nel piegare decisamente a s la materia, ma proprio la ricchezza dei motivi che si trovano dispersi nella realt e di cui artista e pubblico non arrivano mai a saziarsi. Larte gotica conduce locchio da un particolare allaltro e, come si notato, lo porta a leggere luna dopo laltra le parti della scena; larte del Rinascimento, invece, non consente indugi sul particolare, non lascia separare alcun elemento dal complesso figurativo, obbliga anzi a cogliere simultaneamente tutte le parti14. Come la prospettiva centrale nella pittura, cos nel dramma lunit spaziale e temporale della scena il mezzo specifico della visione simultanea. Il nuovo modo di concepire lo spazio, e quindi larte in generale, si rivela soprattutto nella consapevolezza improvvisa dellincompatibilit dellillusione artistica con lo scenario medievale, fatto di quadri indipendenti 15. Il Medioevo, che pensava lo spazio come un aggregato di elementi e quindi scomponibile in questi, non solo presentava luna accanto allaltra le diverse scene di un dramma, ma permetteva agli attori di rimaner sul palco per tutta la durata della rappresentazione, cio anche quando non erano di scena. Infatti lo spettatore, come

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non guardava il tratto di palcoscenico sul quale in un certo momento non si recitava, cos trascurava la presenza degli attori che in quel momento non agissero. Al Rinascimento pare impossibile che si possa sezionare in questo modo lattenzione. Il mutamento di sensibilit si palesa in modo inequivocabile nello Scaligero, che trova appunto ridicolo che i personaggi non lascino mai il palcoscenico e quelli che tacciono non sian considerati presenti16. Per la nuova estetica lopera darte costituisce un tutto indivisibile: lintero campo dazione del palcoscenico deve offrirsi allo spettatore alla prima occhiata, appunto come lo spazio di un dipinto costruito secondo la prospettiva centrale17. Ma levolversi dellarte dalla successione alla simultaneit implica una minor comprensione per quelle regole del gioco tacitamente accettate su cui, in ultima analisi, riposa ogni illusione artistica. Perch, se il Rinascimento trova assurdo che sulla scena si faccia come se non si potesse udire ci che luno dice dellaltro18, bench i personaggi siano gli uni accanto agli altri, questo pu considerarsi segno di un pi evoluto verismo, ma senza dubbio implica un certo declino dellimmaginazione. Comunque, larte del Rinascimento deve soprattutto a questa unitariet della rappresentazione leffetto di totalit, cio lapparenza di un mondo naturale, equilibrato, autonomo, e quindi la sua maggior verit rispetto al Medioevo. Levidenza della rappresentazione, la sua verosimiglianza, la sua forza di persuasione risiedono anche qui come spesso avviene nellintima logica dellimmagine, nella concordanza di tutti gli elementi, ben pi che nella loro corrispondenza con la realt esteriore. LItalia con la sua arte unitariamente concepita anticipa il classicismo rinascimentale, come anticipa levoluzione capitalistica dellOccidente con il suo razionalismo economico. Infatti il Quattrocento essenzialmente italiano, mentre sono comuni a tutta lEuropa il Cin-

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quecento e il Manierismo. La nuova cultura artistica si afferma prima in Italia, perch questo paese precede lOccidente anche sul piano economico e sociale: di qui infatti sinizia la rinascita delleconomia, qui trovano la loro organizzazione tecnica, soprattutto per quanto riguarda il finanziamento e i trasporti, le Crociate19; qui comincia a svilupparsi la libera concorrenza in contrasto con la struttura corporativa del Medioevo, e qui nasce la prima organizzazione bancaria dEuropa20. Non solo, ma qui la borghesia urbana si emancipa prima che altrove anche perch fin dallinizio feudalesimo e cavalleria vi erano meno sviluppati che al Nord, e la nobilt terriera molto presto si trasferita in citt, assimilandosi completamente allaristocrazia del denaro; infine, qui dove i monumenti superstiti sono visibili a tutti non si mai interamente perduta la tradizione classica. Si sa quale importanza sia stata attribuita a questultimo fattore nelle teorie sullorigine del Rinascimento. Sembrava infatti la cosa pi semplice ricondurre a un unico, diretto influsso esteriore linizio di quel nuovo stile cos difficilmente definibile. Si dimenticava per altro che nella storia un influsso esterno non mai la ragione ultima di un mutamento spirituale, perch un influsso diventa attivo solo quando gi esistono le premesse per accoglierlo. La sua stessa attualit devessere spiegata: non quindi un influsso a poter spiegare come diventino attuali i fenomeni concomitanti. Se dunque lantichit da un certo momento cominci a essere ben altrimenti efficace che prima non fosse, occorre anzitutto chiederci perch sia avvenuto questo mutamento, perch a un tratto la stessa cosa abbia prodotto reazioni nuove. Ma questa domanda altrettanto ampia, generica e difficile quanto quella iniziale, cio perch e come il Rinascimento sia diverso dal Medioevo. La sensibilit allantico fu solo un sintomo, essa aveva radici profonde in fenomeni sociali, esattamente come il rifiuto del-

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lantico al principio dellera cristiana. Ma neppure il suo valore di sintomo dovr esser sopravvalutato. Certo gli uomini dellepoca avevano chiara coscienza di una rinascita e, con essa, il senso del rinnovamento provocato dallo spirito classico, ma questo lo aveva anche il Trecento21. Invece di citar Dante e Petrarca come precursori, sar meglio come hanno fatto gli avversari della teoria classicista rintracciare lorigine medievale di questa idea di rinascita e dedurne la continuit fra Medioevo e Rinascimento. I pi noti sostenitori di uno sviluppo ininterrotto dal Medioevo al Rinascimento assegnano un valore decisivo al movimento francescano, collegando la sensibilit lirica, il senso della natura e lindividualismo, di Dante e di Giotto, e anche dei maestri pi tardi, con il soggettivismo e linteriorit del nuovo spirito religioso; e contestano che la scoperta dellantichit classica abbia potuto provocare, nel Quattrocento, una frattura nellevoluzione che gi era in corso22. Questa connessione del Rinascimento con la cultura della cristianit medievale e il passaggio senza fratture dal Medioevo ai tempi nuovi, stata sostenuta anche partendo da altre posizioni. Per Konrad Burdach il cosiddetto fondamento pagano del Rinascimento pura leggenda23, e Carl Neumann non solo afferma che esso sorge dalle immense energie suscitate dalleducazione cristiana, che lindividualismo e il realismo del Quattrocento sono lultima parola delluomo medievale giunto a maturit, ma sostiene anche che limitazione dellarte e della letteratura classiche, che gi aveva portato allirrigidimento della civilt bizantina, anche nel Rinascimento fu pi una remora che uno stimolo24. Infine Louis Courajod giunge a negare ogni intimo rapporto fra antichit classica e Rinascimento, e interpreta questo come lo spontaneo rinnovarsi del gotico franco-fiammingo25. Neppur questi studiosi, per, che pure affermano la prosecuzio-

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ne senza fratture del Medioevo nel Rinascimento, si rendono conto che la connessione delle due epoche sta essenzialmente nella continuit del loro sviluppo economico-sociale, n intendono che lo spirito francescano, messo in evidenza dal Thode, lindividualismo medievale del Neumann, o il naturalismo del Courajod hanno la loro origine prima in quel dinamismo sociale che segna la fine delleconomia curtense e muta il volto dellOccidente. Il Rinascimento intensifica questo processo di sviluppo delleconomia e della societ medievale verso il capitalismo solo per lindirizzo razionalistico che vi porta, indirizzo che dora in poi sar predominante in tutta la vita intellettuale e materiale. E ad esso si ispirano anche i princip che di qui in avanti saranno normativi per larte: la coerente unit dello spazio e delle proporzioni, laccentrarsi della rappresentazione su di un solo tema principale e lordinarsi della composizione in una forma immediatamente afferrabile. Vi si esprime la stessa avversione per tutto quel che sfugge al calcolo e alla prova, che si ritrova nelleconomia del tempo, che appezza il metodo, il calcolo, la convenienza; lo stesso spirito che pervade lorganizzazione del lavoro, la tecnica commerciale e bancaria, la contabilit a partita doppia, i metodi di governo, la diplomazia e la strategia26. Tutta levoluzione artistica sinserisce nel generale processo razionalizzatore. Lirrazionale perde ogni efficacia. Bello appare laccordo logico fra le singole parti di un tutto, larmonia dei rapporti che si esprime in numeri, il ritmo matematico della composizione, la scomparsa delle contraddizioni nei rapporti tra le figure e lo spazio e tra le singole parti di esso. E dato che la prospettiva centrale non in sostanza che la riduzione dello spazio in termini matematici, e la giusta proporzione un ordinare in sistema le singole forme di un quadro, cos a poco a poco tutti i criteri del valore artistico

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e le leggi dellarte si subordinano a motivi razionali. Questa tendenza non affatto peculiare dellarte italiana; ma al Nord assume aspetti pi grossolani che in Italia, si fa pi materiale, pi ingenua. Un caratteristico esempio transalpino della nuova concezione artistica la Madonna londinese di Robert Campin: nel fondo, lorlo superiore di un parafuoco anche il nimbo della Vergine. Il pittore sfrutta una coincidenza formale per accordare con la realt consueta un elemento irrazionale e irreale, e sebbene sia evidente chegli fermamente persuaso tanto della realt soprasensibile del nimbo quanto della realt sensibile del parafuoco, il solo fatto chegli creda di far pi attraente lopera sua dando al fenomeno una giustificazione naturale, il segno di unepoca nuova, se pur gi da tempo in gestazione.

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Capitolo secondo Pubblico di corte e pubblico borghese nel Quattrocento

Larte del Rinascimento ha il suo pubblico nella borghesia urbana e nella societ delle corti principesche. Quanto al gusto, i due ceti hanno molti punti di contatto, nonostante loriginaria differenza. Larte borghese conserva ancora elementi cortesi del gotico; e, in pi, con il rinnovarsi dei costumi cavallereschi, che del resto mai avevano perduto una loro attrattiva per i ceti inferiori, nuove forme di tipico gusto cortese vengono accolte dalla borghesia. Daltro canto neppure gli ambienti di corte possono sottrarsi al dominante realismo razionalistico della borghesia e finiscono per collaborare al costituirsi di una visione del mondo e dellarte che ha le sue pi profonde radici nella vita urbana. Alla fine del Quattrocento le due correnti sono cos commiste, che anche unarte profondamente borghese, come quella fiorentina, finisce per assumere un carattere pi o meno aulico. Ma questo fenomeno non fa che riflettere la generale evoluzione e lascia intravvedere il cammino che dalla democrazia comunale porta al principato assoluto. Gi nel secolo xi sorgono in Italia piccole repubbliche marinare, come Venezia, Amalfi, Pisa e Genova, indipendenti dai feudatari circostanti. Nel secolo seguente si costituiscono altri liberi Comuni, fra gli altri Milano, Lucca, Firenze, Verona, e si formano organismi statali socialmente piuttosto indifferenziati, retti dal

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principio delluguaglianza fra i cittadini, che esercitano il commercio o le industrie. Ma presto divampa la lotta fra i Comuni e i feudatari del contado, lotta che finisce con la vittoria dei cittadini. La nobilt terriera sinurba e cerca di adeguarsi alla struttura sociale ed economica della citt. Ma quasi contemporaneamente saccende anche unaltra lotta, assai pi dura e non cos presto decisa. la duplice lotta di classe, da un lato fra lalta e la piccola borghesia, dallaltro fra la borghesia nel suo complesso e il proletariato. La cittadinanza, che nella lotta contro il nemico comune, la nobilt, era ancora unita, non appena lavversario pare sconfitto si scinde in gruppi mossi da opposti interessi, che si fan guerra nel modo pi spietato. Le primitive democrazie gi alla fine del secolo xii si sono trasformate in autocrazie militari. Non sappiamo esattamente quale sia stata la causa di tale evoluzione n si pu dire con sicurezza se siano state le faide delle furenti fazioni nobiliari, o i conflitti di classe allinterno della borghesia, o forse i due fenomeni insieme, a rendere necessaria listituzione del podest, di un magistrato cio superiore ai partiti; dappertutto, comunque, a un periodo di lotte di parte, prima o poi succede la signoria. I signori o eran membri di locali dinastie, come gli Estensi a Ferrara; o vicari imperiali, come i Visconti a Milano; o condottieri, come il loro successore, Francesco Sforza; o nipoti di papi, come i Riario a Forl e i Farnese a Parma; o cittadini autorevoli, come i Medici a Firenze, i Bentivoglio a Bologna, i Baglioni a Perugia. In molti luoghi la signoria si fa ereditaria fin dal Duecento; altrove, specie a Firenze e a Venezia, si mantiene lantico ordinamento repubblicano, almeno nella forma; ma dappertutto il sorgere delle Signorie segna la fine dellantica libert. Il libero Comune appare una forma politica antiquata27. I cittadini, impegnati negli affari, non sono pi avvezzi alle armi e affidano la guerra a impresari militari e a soldati di

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mestiere, come sono appunto i condottieri e le loro truppe. Dappertutto il signore il comandante diretto o indiretto delle truppe28. La storia di Firenze tipica per tutte le citt italiane dove non si giunge ancora a una soluzione dinastica e quindi non si sviluppa una vita di corte. Non che leconomia capitalistica a Firenze si sia sviluppata prima che in molte altre citt, ma qui i singoli stadi dellevoluzione si distinguono pi nettamente e le cause dei conflitti di classe che ne conseguono risultano con pi evidenza che altrove29. Anzitutto nel caso di Firenze si pu seguire con pi esattezza che in altri Comuni il processo attraverso il quale lalta borghesia, per mezzo delle Arti, giunge a impadronirsi del potere politico, usandolo poi per accrescere la sua preponderanza economica. Dopo la morte di Federico II le Arti, protette dai Guelfi, conquistano il Comune e strappano il governo al podest. Si costituisce il primo popolo, la prima associazione politica consciamente illegittima e rivoluzionaria30 che elegge il proprio capitano. Formalmente questi sottoposto al podest, ma di fatto il pi influente funzionario dello stato: non solo dispone di tutta la milizia popolare, non solo decide tutte le controversie in materia di tasse, ma esercita anche una specie di diritto tribunizio di protezione e di inchiesta in tutti i casi di lagnanze contro la prepotenza di un nobile31. Cos si spezza il predominio della gente di spada e la nobilt feudale viene esclusa dal governo della repubblica. la prima decisiva vittoria della borghesia nella storia moderna, un avvenimento che ricorda il trionfo della democrazia greca sulla tirannide. Dieci anni dopo la nobilt riesce a riprendersi il potere, ma ormai la borghesia non ha che da affidarsi alla corrente del tempo, che la risolleva sempre sulle onde tempestose. Verso il 1270 si ha la prima alleanza fra laristocrazia del sangue e quella del denaro, e si prepara cos il regime di quel

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ceto plutocratico che determiner tutta la storia di Firenze. Intorno al 1280 lalta borghesia dispone interamente del potere, chessa esercita principalmente attraverso il consiglio dei Priori delle Arti. Questi dominano tutto il meccanismo politico e tutto lapparato amministrativo e, poich formalmente sono i rappresentanti delle Arti, Firenze pu dirsi una citt corporativa32. Le corporazioni economiche si son trasformate intanto in leghe politiche. Tutti i diritti effettivi del cittadino si fondano ormai sullappartenenza a una delle corporazioni legalmente riconosciute. Chi non appartiene ad alcuna organizzazione professionale non cittadino di pieno diritto. I magnati sono esclusi dal priorato, qualora non esercitino unindustria come i borghesi, o almeno pro forma non appartengano a unArte. Il che certo non vuol dire che tutti i cittadini di pieno diritto abbiano politicamente lo stesso peso; la signoria delle Arti non che la dittatura della borghesia capitalistica raccolta nelle sette Arti maggiori. Come veramente sia nata la distinzione di grado fra le Arti non sappiamo; certo che la si trova gi definita nei primi documenti della storia economica fiorentina33. I conflitti qui non scoppiano, come per lo pi nelle citt tedesche, fra le Arti e il ceto, non organizzato, dei patrizi, ma fra luno e laltro gruppo delle Arti34. Di fronte a quello del Nord, il patriziato di Firenze ha fin dallinizio il vantaggio dessere fortemente organizzato, alla pari dei ceti medi. Le Arti, in cui sono associati il commercio allingrosso, la grande industria e le banche, si sviluppano in vere societ di imprenditori, in cartelli. Data la grande potenza di queste Arti lalta borghesia pu servirsi dellintero apparato dellorganizzazione corporativa per opprimere le classi inferiori e anzitutto per ribassare i salari. Il Trecento pieno dei conflitti di classe fra la borghesia che padrona delle Arti e il proletariato che ne

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escluso. Questo toccato nel punto pi sensibile dal divieto dassociazione che ostacola ogni azione collettiva per la difesa degli interessi e qualifica come atto rivoluzionario ogni movimento di sciopero. Loperaio ora il suddito, privo di ogni diritto, di uno stato classista in cui la classe capitalistica, priva di scrupoli morali, pi inumana di quanto sia mai stata prima o dopo nella storia occidentale35. La condizione tanto pi disperata, in quanto non si ha assolutamente coscienza che si tratta di vera e propria lotta di classe, non si intende il proletariato come una classe sociale e si definiscono i salariati senza mezzi semplicemente come i poveri, che ci debbono pur essere. La floridezza economica, che in parte si deve a questa oppressione dei ceti inferiori, fra il 1328 e il 38 tocca lapogeo; poi segue la bancarotta dei Bardi e dei Peruzzi che provoca una grave crisi finanziaria e un generale ristagno. Il prestigio delloligarchia ne subisce un contraccolpo gravissimo: essa deve piegarsi prima alla signoria del duca dAtene, poi a un governo popolare essenzialmente piccolo-borghese il primo del genere in Firenze. Come gi era accaduto ad Atene tanti secoli prima, poeti e scrittori parteggiano per la classe signorile, parlando con il massimo disprezzo come fanno Boccaccio e Villani del regime dei bottegai e dei manovali. I quarantanni successivi, fino alla repressione del tumulto dei Ciompi, sono lunico momento davvero democratico della storia di Firenze breve intermezzo fra due lunghi periodi di plutocrazia. Veramente, anche ora soltanto la volont del medio ceto che riesce a imporsi, le grandi masse operaie debbono ricorrere ancora agli scioperi e alle rivolte. Il tumulto dei Ciompi del 1378 il solo di tali moti rivoluzionari di cui si abbia precisa notizia; e certo anche il pi importante. Soltanto con esso si raggiungono le condizioni fondamentali della democrazia economica. Il popolo caccia i priori, crea tre nuove Arti che rappre-

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sentano gli operai e i piccoli borghesi, e instaura un governo popolare che procede anzitutto a una revisione delle tasse. Il tumulto, che in sostanza una sollevazione del quarto stato e tende a una dittatura del proletariato36, in due mesi viene sconfitto dagli elementi moderati, coalizzati con lalta borghesia, ma ancora per tre anni assicura ai ceti inferiori leffettiva partecipazione al governo. La storia di questo tempo non solo prova che gli interessi del proletariato erano inconciliabili con quelli della piccola borghesia, ma permette di riconoscere quale grave errore abbia commesso la classe operaia, proponendosi un mutamento rivoluzionario della produzione nel quadro ormai antiquato delle Arti37. I grandi commercianti invece e i grandi industriali riconobbero assai pi rapidamente che le Arti eran diventate un ostacolo al progresso e cercarono di affrancarsene. Cos esse verranno assumendo funzioni sempre pi culturali e sempre meno politiche, finch non saranno del tutto sacrificate alla libera concorrenza. Rovesciato il governo popolare, si ritorna al punto di prima. Torna a predominare il popolo grasso, con lunica differenza che il potere non pi esercitato dallintera classe, ma solo da alcune potenti famiglie e che il loro predominio non verr pi seriamente minacciato. Nel secolo seguente, appena si avverte un moto sovversivo, anche minimamente pericoloso per la classe dominante, lo si reprime subito e, in verit, senza fatica38. Dopo il dominio relativamente breve degli Alberti, dei Capponi, degli Uzzano, degli Albizzi e della loro fazione, il potere passa infine ai Medici. Dora in poi parlare di democrazia sar ancor meno giustificato. Anche se finora solo una parte della borghesia godeva di veri diritti politici e privilegi economici, questo ceto tuttavia, almeno nellambito proprio, esercitava il potere con una certa equit e in complesso con mezzi corretti. I Medici invece sopprimono anche questa demo-

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crazia pur cos limitata, snaturandola intimamente. Ora, quando si tratta degli interessi della classe dominante, non si mutano pi le istituzioni, ma semplicemente se ne abusa; si manipolano le elezioni, si corrompono o si intimidiscono i funzionari, si fan muovere i priori come marionette. Si parla di democrazia, ma in realt la dittatura non ufficiale del capo di una ditta familiare, che si spaccia per un semplice cittadino e si nasconde dietro le forme impersonali di unapparente repubblica. Nel 1433 Cosimo costretto dai suoi rivali allesilio, fatto ben noto nella storia fiorentina; ma lanno dopo, tornato in citt, riprende a esercitare il suo potere senza il minimo impedimento. Si fa rieleggere gonfaloniere per due mesi, dopo aver gi due volte ricoperto tale ufficio; cos che la sua attivit pubblica di governo ha in tutto la durata di sei mesi. In realt, attraverso uomini di paglia, stando fra le quinte, egli domina la citt senza dignit speciali, n titoli, n uffici, n autorit, semplicemente con mezzi illegali. Cos a Firenze gi nel Quattrocento alloligarchia succede una larvata tirannide, da cui nasce pi tardi senzalcun attrito il principato vero e proprio39. Il fatto che i Medici nella lotta contro i loro rivali si alleino alla piccola borghesia, non muta nulla nella sostanza. La signoria medicea pu anche camuffarsi in forme patriarcali, ma per natura pi faziosa e arbitraria del governo oligarchico. Lo stato continua ad essere il sostegno di interessi privati; la democrazia di Cosimo sta tutta nel fatto chegli lascia che altri governi per lui e, se possibile, impiega energie fresche e giovani40. Con la calma e la stabilit, bench imposte a forza alla maggioranza della popolazione, cominci per Firenze, dallinizio del Quattrocento, una nuova floridezza economica, che durante la vita di Cosimo non fu interrotta da alcuna crisi importante. Qua e l ci furono sospensioni di lavoro, ma insignificanti e di breve durata. Firenze tocc lacme della sua potenza economica. Di

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qui sinviavano ogni anno sedicimila pezze di stoffa a Venezia, in transito; inoltre gli esportatori fiorentini usavano anche il porto di Pisa, ormai soggiogata, e dal 1421 quello di Livorno, acquistato per centomila fiorini. naturale che Firenze andasse fiera della sua potenza e che il ceto dominante, che ne traeva gran profitto, ci tenesse, come gi la borghesia ateniese, a far mostra del proprio potere e della propria ricchezza. Dal 1425 Ghiberti lavora alla splendida porta orientale del Battistero; nellanno dellacquisto di Livorno, sincarica Brunelleschi di progettare la cupola del duomo. Firenze deve diventare una seconda Atene. I mercanti fiorentini si fanno boriosi, vogliono affrancarsi dallestero, pensano allautarchia, cio a elevare il consumo interno adeguandolo alla produzione41. Loriginaria struttura del capitalismo italiano sostanzialmente mutata nel corso del Tre e del Quattrocento. Sulla primitiva avidit di guadagno venuta prevalendo lidea della convenienza, del metodo, del calcolo, e il razionalismo, che fin dagli inizi distingueva leconomia di profitto, si fatto assoluto. Lo spirito di intraprendenza dei pionieri ha perduto i suoi caratteri romantici, avventurosi, pirateschi; il predone diventato un organizzatore e un computista, un mercante previdente nei calcoli e circospetto nella condotta degli affari. Nelleconomia del Rinascimento non era nuovo in s il principio di organizzare razionalmente lattivit economica, n il semplice fatto di abbandonare prontamente un sistema tradizionale di produzione non appena se ne sperimentasse uno migliore, pi rispondente allo scopo; nuova invece fu la sistematica coerenza con cui la tradizione venne sacrificata alla razionalit, la spregiudicatezza con cui ogni fattore della vita economica venne obiettivamente valutato e trasformato in una partita di contabilit. Solo questa completa razionalizzazione permise di far fronte ai nuovi compiti crea-

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ti dallaumento degli scambi. Lincremento della produzione esigeva un pi intenso sfruttamento della mano dopera, una pi precisa divisione del lavoro e la graduale meccanizzazione dei metodi: non si trattava soltanto dintrodurre macchine, ma anche di rendere impersonale il lavoro umano, valutando il lavoratore unicamente a seconda del rendimento. Nulla meglio rivela la mentalit economica del nuovo tempo di questo realismo che riduce luomo al suo rendimento e questo al suo valore in denaro, al salario; il realismo per cui, in altre parole, loperaio si riduce a semplice elemento di un complicato sistema dinvestimenti e profitti, di possibilit di guadagno o di perdita, di attivit e passivit. Ma il razionalismo del tempo si esprime anche e soprattutto nel carattere in complesso commerciale che ha assunto ormai leconomia della citt, un tempo essenzialmente artigiana. E questa trasformazione consiste non soltanto nel fatto che nellattivit dellimprenditore il fattore manuale perde importanza e prevalgono invece il calcolo e la speculazione42; ma anche nellaffermarsi del principio per cui non necessario produrre altre merci per produrre altri valori. Ci che caratteristico della nuova economia quel senso che essa ha della natura fittizia, mutevole, del prezzo di mercato sempre legato alle congiunture, la consapevolezza che il valore di una merce non affatto una costante, anzi fluttua di continuo, e che il suo livello non dipende dalla buona o dalla cattiva volont del mercante, ma da congiunture obiettive. Come dimostra il concetto del giusto prezzo e gli scrupoli sul dare a interesse, nel Medioevo si considerava il valore come una qualit sostanziale, stabilmente inerente alla merce; solo con il costituirsi di uneconomia commerciale se ne scopre la reale natura, la sostanziale relativit e il carattere estraneo ad ogni considerazione morale. Nello spirito capitalistico del Rinascimento entrano

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insieme la passione degli affari e le cosiddette virt borghesi: amor del guadagno e operosit, frugalit e rispettabilit43. Ma anche il nuovo sistema etico non fa che rispecchiare la generale tendenza razionalizzatrice. Il borghese infatti segue positive considerazioni dinteresse anche l dove pare che si tratti solo del suo prestigio; e per rispettabilit egli intende solidit commerciale e buon nome; lealt, nel suo linguaggio, significa solvibilit. Soltanto nella seconda met del Quattrocento questi princip di vita positiva e razionale cedono allideale del rentier e solo allora la vita del borghese assume caratteri signorili. Il processo si svolge in tre tappe. Al tempo eroico del capitalismo laspetto saliente dellimprenditore quello del combattivo predone, dellaudace avventuriero che fida solo in se stesso e non si adatta alla relativa sicurezza delleconomia medievale. Labitante delle citt a quei tempi combatte realmente contro la nobilt nemica, i Comuni rivali e le inospiti citt marinare. Quando a queste lotte segue una relativa tranquillit e i traffici convogliati per vie sicure permettono ed esigono una produzione pi sistematica e pi intensa, il tipo del borghese perde a poco a poco i suoi caratteri romantici; tutta la sua vita si disciplina in una regola ragionevole, coerente, metodica. Ma, conseguita la sicurezza economica, la disciplina della morale borghese si allenta, e si cede con soddisfazione crescente agli ideali dellozio e della bella vita. Il borghese si avvicina a uno stile di vita irrazionale proprio quando i principi, che ormai pensano secondo criteri fiscali, cominciano ad ispirarsi a norme non diverse da quelle professionali di un solido mercante, probo e solvibile44. La corte e la borghesia sincontrano a mezza strada. I principi diventano sempre pi progressisti, mostrandosi anche nella loro attivit culturale non meno innovatori dellalta borghesia; questa per contro si fa sempre pi conservatrice e favorisce unarte che torna agli ideali

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della cavalleria e dello spiritualismo gotico, o per meglio dire poich essi non sono mai scomparsi del tutto dallarte torna a metterli in rilievo. Giotto il primo maestro del naturalismo in Italia. Gli antichi autori, Villani, Boccaccio, e anche Vasari, non senza ragione sottolineano lirresistibile efficacia della sua fedelt al vero sui contemporanei; e non per nulla contrappongono il suo stile alla rigidezza e allartificio della maniera bizantina, allora ancor largamente diffusa. Noi siamo abituati a confrontare la chiarezza e la semplicit, la logica e la precisione del suo linguaggio con il naturalismo ulteriore, pi frivolo e meschino; ci sfugge cos limmenso progresso che larte di Giotto ha significato nella rappresentazione immediata delle cose, comegli cio abbia saputo dar forma e narrare tutto quello che prima di lui era semplicemente inesprimibile con mezzi pittorici. Cos egli divenuto per noi il rappresentante della grande forma classica, severamente regolare, mentre in realt egli fu anzitutto il maestro di unarte borghese, semplice, logica, sobria, che trae la sua classicit dallordine e dalla sintesi che sa imporre alle impressioni immediate, dalla sua visione razionale e semplificatrice della realt e non gi da un astratto idealismo. Si voluto scoprire nellopera sua una volont di ricreare lantico, ma egli in realt non volle esser che un narratore breve e preciso, e il suo rigore formale non si deve interpretare come fredda astrazione, ma come incisiva drammaticit. La sua visione artistica nasce da un mondo borghese relativamente ancor modesto, sebbene gi ben consolidato in senso capitalistico. La sua attivit si svolge nel periodo di floridezza economica che sta fra lavvento delle Arti al potere e la bancarotta dei Bardi e dei Peruzzi, in quel primo grande periodo di civilt borghese che vide sorgere gli edifici pi splendidi della Firenze medievale: Santa Maria Novella e Santa Croce, Palazzo Vecchio, il Duomo e il Campanile. Larte di

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Giotto rigorosa e obiettiva come la mentalit dei suoi committenti che vogliono prosperare e dominare, ma non danno ancora uno speciale valore alla pompa e allo sfarzo. Larte fiorentina dopo di lui diventata pi naturale nel senso moderno, perch pi scientifica; ma nel Rinascimento nessun artista stato mai pi onesto di lui nello sforzo di essere vero e diretto nella rappresentazione del reale. Tutto il Trecento sotto il segno del naturalismo giottesco. Veramente qua e l ci sono ancora manifestazioni di stile arretrato che non sanno liberarsi dalle forme stereotipe dellantica tradizione pre-giottesca; ci sono correnti in ritardo, anzi reazionarie, che si attengono allo stile ieratico del Medioevo, ma lorientamento naturalistico quello prevalente nel gusto dellepoca. La prima grande rielaborazione del naturalismo giottesco avviene a Siena, donde esso penetra nel Nord, specialmente per il tramite di Simone Martini e dei suoi affreschi nel Palazzo papale di Avignone45. Per un momento Siena alla testa dellevoluzione artistica, mentre Firenze perde assai terreno. Giotto muore nel 1337; la crisi finanziaria provocata dai grandi fallimenti comincia nel 1339; la squallida tirannide del duca dAtene degli anni 1342-43; nel 1346 ha luogo una grave sommossa; il 1348 lanno della grande pestilenza, che infuria a Firenze ancor pi tremenda che altrove; fra la peste e il tumulto dei Ciompi, sono anni inquieti, pieni di torbidi e di rivolte; per larte un tempo sterile. A Siena, dove la media borghesia ha maggior peso e dove le tradizioni sociali e religiose hanno radici pi profonde, levoluzione culturale non turbata da crisi o da catastrofi, e il sentimento religioso pu rivestire forme pi adeguate al tempo e suscettibili di maggiore sviluppo, appunto perch ancora un sentimento vivo. Il maggior progresso sulla via aperta da Giotto lo fa il senese Ambrogio Lorenzetti, il creatore

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del paesaggio naturalistico e della veduta illusionistica di citt. Di fronte allo spazio di Giotto, che , s, unitario e continuo, ma non mai pi profondo di uno scenario, egli crea, nella sua veduta di Siena, una prospettiva che supera ogni precedente del genere, non solo per la sua ampiezza, ma anche per il naturale collegamento delle diverse parti in un unico spazio. Limmagine di Siena cos fedele, che si riconosce ancora la parte della citt che serv come tema al pittore; e sembra di poter camminare per quelle vie che fra i palazzi dei nobili e le case dei borghesi, fra le botteghe e i fondachi si snodano su per la collina. A Firenze levoluzione da principio non solo pi lenta, ma anche meno unitaria che a Siena46. Essa si muove essenzialmente nel solco del naturalismo, ma certo non sempre nella stessa direzione dei Lorenzetti e della loro pittura dambiente. Taddeo Gaddi, Bernardo Daddi, Spinello Aretino sono narratori ingenui quanto Ambrogio Lorenzetti; anchessi con la loro tendenza allampiezza si rifanno alla tradizione giottesca e perseguono soprattutto la profondit spaziale. Ma, accanto a questa corrente, a Firenze ce n unaltra importante, quella di Andrea Orcagna, Nardo di Cione e scolari, che, invece dellintimo e spontaneo modo lorenzettiano, rimangono fedeli alla solennit ieratica del pieno Medioevo, conservandone la rigida simmetria e il ritmo severo, il decorativismo piatto e la frontalit, il principio dellallineamento e delladdizione. Tuttavia si giustamente contestata la tesi che in tutto ci sia da vedere soltanto una reazione al naturalismo47 e si ricordato che il naturalismo in pittura non sta tutto nella profondit spaziale e nella forma libera dagli schemi geometrici: tra le sue conquiste sono anche quei valori tattili, che il Berenson pregia appunto anche nellOrcagna48. Per il plastico rilievo e il peso statuario che d alle sue figure, lOrcagna rappresenta nella storia

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dellarte una corrente progressiva quanto quella dei Lorenzetti o di Taddeo Gaddi, con la loro ricerca di ampiezza e profondit spaziale. La supposizione che qui si tratti di un arcaismo programmatico, da connettere allinflusso dei Domenicani, smentita nel modo pi palese dagli affreschi della Cappella degli Spagnoli nel chiostro di Santa Maria Novella: per quanto dedicate alla gloria dellordine domenicano, queste pitture sono, per molti aspetti, tra le opere pi evolute dellepoca. Nel Quattrocento Siena perde la sua posizione di guida nella storia dellarte. In primo piano torna Firenze, allacme ora della sua potenza economica. Questa situazione invero, se non la causa immediata della presenza e della singolarit dei suoi grandi maestri, spiega comunque lininterrotto flusso delle ordinazioni e quindi lemulazione attraverso la quale essi si fanno strada. Ora Firenze , con Venezia che tuttavia ha uno sviluppo tutto particolare e resta uneccezione lunico luogo in Italia dove si esplichi una cospicua attivit artistica di tendenze moderne, in complesso indipendente dallo stile tardogotico e aulico dellOccidente europeo. Nella Firenze borghese da principio larte cavalleresca, importata di Francia, trova limitata comprensione, mentre viene adottata alle corti dellalta Italia. Anche geograficamente questa regione pi vicina allOccidente, anzi confina direttamente con territori di lingua francese. I romanzi cavallereschi di Francia vi si diffondono gi nella seconda met del Duecento e non solo vengono tradotti come negli altri paesi dEuropa e imitati nellidioma del paese, ma anche ripresi e sviluppati nella lingua originale. Si scrivono poemi epici in francese, come liriche nella lingua dei trovatori49. Le grandi citt mercantili dellItalia centrale non sono certo isolate dallOccidente e dal Nord, e i loro mercanti, che reggono i traffici con la Francia e le Fiandre, introducono gli elementi della cultura cavalleresca

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anche in Toscana; ma qui manca un pubblico veramente interessato sia ad una vera epopea cavalleresca, che ad una pittura ispirata al romanticismo cortese-cavalleresco. Invece alle corti dei principi padani, a Milano, Verona, Padova, Ravenna e in molte altre citt minori, dove dinasti e tiranni si uniformano strettamente agli esempi di Francia, non solo si continua a leggere con immutato entusiasmo il romanzo cavalleresco francese, non solo lo si copia e lo si imita, ma lo si illustra nel gusto doltralpe50. Lattivit pittorica di queste corti per altro non si limita ai manoscritti miniati, ma si esercita anche in grandi cicli decorativi, che ugualmente traggono ispirazione dagli ideali cavallereschi di quei romanzi e attingono argomenti dalla stessa vita di corte: battaglie e tornei, cacce e cavalcate, scene di gioco e di danza, favole mitologiche, soggetti biblici e storici, immagini di eroi antichi e moderni, allegorie delle Virt cardinali, delle Arti liberali e soprattutto dellamore, figurato o adombrato in mille modi. Queste pitture seguono, nellimpostazione generale, i modi dellarazzo da cui principalmente derivano, e al pari di questo mirano a un effetto di festoso splendore, soprattutto con lo sfarzo delle vesti e il contegno di cerimonia dei personaggi. Le figure sono rappresentate in pose convenzionali, ma non senza una relativa giustezza dosservazione e una notevole disinvoltura di disegno: cosa che si comprende se si pensa che tale pittura ha le sue radici in quello stesso naturalismo gotico da cui deriva anche larte borghese del tardo Medioevo. Basta pensare al Pisanello per intendere quanto il naturalismo rinascimentale deve a questi affreschi, ai loro sfondi di verzura, a quelle piante e a quegli animali colti con tanta vivacit e dipinti con tanta sapienza. I pochi esempi che ancora si conservano in Italia di pi antica pittura decorativa profana forse non risalgono oltre il primo Quattrocento, ma i cicli trecenteschi non dove-

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vano essere sostanzialmente diversi. Tali resti si trovano in Piemonte e in Lombardia, e tra essi sono da ricordare quelli del castello della Manta, presso Saluzzo, e di casa Borromeo a Milano. Da fonti contemporanee sappiamo tuttavia che anche molte altre sedi principesche dellalta Italia possedevano una ricca e fastosa decorazione pittorica; tra queste, la rocca di Cangrande a Verona e il castello dei Carraresi a Padova51. A differenza di quanto accadeva alle corti, nelle citt a governo comunale larte del Trecento era di carattere prevalentemente sacro. Solo nel Quattrocento ne mutano lo spirito e lo stile; solo ora, rispondendo alle nuove esigenze dei privati e al generale orientamento razionalistico, essa prende carattere mondano. Non solo si diffondono nuovi generi, come la pittura di storia e il ritratto, ma anche i soggetti sacri si riempiono di motivi profani. Certo anche cos larte dei Comuni mantiene con la Chiesa e con la religione legami pi stretti che non larte delle Signorie e, almeno in questo, la borghesia pi conservatrice della societ di corte. Ma a met del secolo anche nei Comuni, specialmente a Firenze, si possono notare nellarte elementi cortesi e cavallereschi. I romanzi, diffusi dai giullari, penetrano fra la gente pi umile e in forma popolare giungono anche nelle citt toscane; frattanto essi perdono il loro idealismo originario diventando semplice letteratura amena52. questa anzitutto a destar linteresse dei pittori locali con i suoi soggetti romanzeschi; vi si aggiunga poi il diretto influsso di artisti come Domenico Veneziano e Gentile da Fabriano, che provenendo dallalta Italia diffondono a Firenze il gusto di corte delle regioni settentrionali. Infine lalta borghesia, ormai ricca e potente, comincia a far propri i costumi del mondo aristocratico e nella materia del romanzo cavalleresco non vede pi soltanto qualcosa di esotico, ma anche, in certo senso, dei modelli di vita.

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Allinizio del Quattrocento questa evoluzione in senso aulico si nota appena. I maestri della prima generazione, sopra tutti Masaccio e Donatello, son pi vicini allarte severa di Giotto, tutta intesa allunit dello spazio e al rilievo statuario delle figure, che non al gusto prezioso delle corti o, anche, alle forme leggiadre e spesso indisciplinate della pittura trecentesca. Dopo le scosse della crisi finanziaria, della peste e del tumulto dei Ciompi, questa generazione deve, si pu dire, rifarsi dal principio. La borghesia, nei costumi come nel gusto, si mostra ora pi semplice, pi sobria e puritana di prima. A Firenze torna a dominare una mentalit obiettiva e realistica, aliena dal romanzesco; e contro la concezione aristocratica e cortese dellarte un nuovo, fresco, robusto naturalismo riesce ad affermarsi, man mano che la borghesia torna a consolidarsi. Quella di Masaccio e di Donatello giovane larte di una societ ancora in lotta, bench profondamente ottimista e sicura della vittoria, larte di un nuovo tempo eroico del capitalismo, di una nuova epoca di conquistatori. Come nei provvedimenti politici di quegli anni, cos nel grandioso realismo dellarte si esprime un fiducioso, se pur non sempre sereno, senso di forza. Scompare la fatua sensibilit, il capriccioso linearismo, il decorativismo calligrafico della pittura trecentesca. Le figure ridiventan pi solide, ferme, massicce, stan pi salde sulle gambe, si muovono pi libere e naturali nello spazio. Piuttosto compatte che fragili, rudi piuttosto che leggiadre, esprimono forza, energia, dignit e seriet. Il senso del mondo e della vita in questarte sostanzialmente antigotico, cio alieno dalla metafisica e dal simbolismo, dal romanzo e dal cerimoniale. Questa, almeno, la tendenza prevalente, anche se non lunica. La cultura artistica del Quattrocento italiano in effetti gi cos complicata, vi partecipano ceti cos diversi per origine e per educazione, che impossibile chiuderla in una

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definizione che sia unitaria e possa valere per tutti i suoi aspetti. Accanto allo stile rinascimentale, classicamente statuario, di Masaccio e di Donatello, sopravvive la tradizione dello spiritualismo gotico, del decorativismo medievale: e non solo nellarte dellAngelico o di Lorenzo Monaco, ma anche nelle opere di artisti pur cos innovatori come Andrea del Castagno e Paolo Uccello. In una societ cos economicamente differenziata e spiritualmente complessa come quella del Rinascimento, una tendenza stilistica non scompare dalloggi al domani, anche quando il ceto a cui in origine eran destinati i suoi prodotti perde la sua potenza economica e politica e deve cedere a un altro ceto la sua egemonia culturale o, mantenendola, ne muta lorientamento. Lo stile spiritualistico del Medioevo poteva anche apparire antiquato e brutto alla maggioranza della borghesia, ma era ancor quello che meglio rispondeva al sentimento religioso di una minoranza assai considerevole. In ogni civilt evoluta accade che ceti sociali assai diversi fra loro e artisti ugualmente diversi, legati a questi ceti, generazioni differenti di consumatori e di produttori darte, giovani e vecchi, precursori ed epigoni vivano gli uni accanto agli altri, gli uni distinti dagli altri; ma in una civilt relativamente antica come il Rinascimento le singole tendenze non arrivano a esprimersi in gruppi definiti, esponenti di una sola tendenza, senza contaminazioni. La presenza di antitetiche tendenze non pu spiegarsi soltanto con la contiguit delle generazioni, la coesistenza degli uomini di et diversa53; spesso i dissidi si verificano allinterno di una stessa generazione: Donatello e lAngelico, Masaccio e Domenico Veneziano son quasi coetanei, mentre Piero della Francesca, che lartista pi affine a Masaccio, distinto da lui dallo spazio di una mezza generazione. Le antinomie si rivelano anche nello spirito del singolo. In un artista come lAngelico, Chiesa e mondo, Gotico e Rinascimento si

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ritrovano indissolubilmente legati tra di loro, come nel Castagno, in Pesellino e nel Gozzoli razionalismo e fantasia romanzesca, gusto borghese e gusto aulico. molto incerto il confine fra gli epigoni del gotico e i precursori di quel gusto romanzesco caro alla borghesia, che per tanti aspetti ancora affine al gotico. Il naturalismo, che costituisce la tendenza fondamentale dellarte quattrocentesca, pi volte cambia strada, in corrispondenza con gli sviluppi dellevoluzione sociale. Il naturalismo di Masaccio, monumentale, antigoticamente semplice, teso anzitutto alla chiarezza dei rapporti spaziali e delle proporzioni, quello ridondante del Gozzoli, quasi pittura di genere, e la sensibilit psicologica del Botticelli corrispondono a tre diversi stadi nella storia della borghesia, che dalla semplicit delle origini assurge via via a vera aristocrazia del denaro. Un motivo colto direttamente sul vero come lignudo che triema di Masaccio nella scena del battesimo alla cappella Brancacci una rarit al principio del Quattrocento, ma verso la met del secolo sarebbe del tutto normale. Allora infatti questo gusto per ci che individuale, caratteristico e curioso, assume per la prima volta grande importanza e nasce allora lidea di un mondo composto da petits faits vrais, che finora la storia dellarte aveva ignorato. Episodi della vita dogni giorno, scene di strada e interni domestici, stanze di puerpere e fidanzamenti, la nascita di Maria e la Visitazione viste come scene di societ, san Girolamo in un interno di casa borghese e le storie dei santi che si svolgono in mezzo al trambusto delle citt mercantili: ecco i soggetti del nuovo naturalismo. Ma sarebbe errato presumere che con tali figurazioni si volesse significare che i santi non sono che uomini, e che la predilezione per i temi di vita borghese fosse un segno di modestia; al contrario, si era fieri e soddisfatti di mostrar ogni particolare di quellesistenza. Tuttavia i ricchi borghesi che ora sinteressa-

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no allarte bench non disconoscano affatto la propria importanza, non vogliono apparire pi di quel che sono. Solo dopo la met del secolo appaiono segni di un mutamento. Piero della Francesca rivela gi una certa inclinazione alla solenne frontalit e una preferenza per le forme auliche e di cerimonia. Daltronde egli lavora molto per i principi e subisce direttamente linflusso delle convenzioni di corte. A Firenze per larte si mantiene, fino alla fine del secolo, libera in complesso da convenzioni e da eccessivi formalismi, anche se indulge sempre pi a leggiadrie e preziosismi e tende innegabilmente a un tono sempre pi elegante e squisito. vero comunque che il pubblico di Antonio Pollaiolo e di Andrea del Verrocchio, del Botticelli e del Ghirlandaio non ha pi nulla in comune con quella borghesia puritana per cui avevano lavorato Masaccio e Donatello giovane. La differenza che corre fra Cosimo e Lorenzo de Medici, la diversit dei princip secondo cui essi esercitano il potere e organizzano la loro vita privata ci danno la misura della distanza che separa le due generazioni. Come, dai tempi di Cosimo, la repubblica, sia pur solo apparentemente democratica, si venuta trasformando in vero e proprio principato, come il primo cittadino e il suo seguito sono diventati un principe e una corte, cos pure dallantica borghesia proba e intenta al profitto si sviluppata una classe che vive di rendita, disprezza il lavoro e il guadagno e vuole godersi nellozio la ricchezza ereditata dai padri. Cosimo era ancora essenzialmente un uomo daffari; amava larte e la filosofia, si faceva costruir belle case e ville, si circondava di artisti e di dotti, e, quando occorreva, non ignorava nemmeno il cerimoniale; ma il centro della sua vita erano la banca e lufficio. Lorenzo non ha pi interesse agli affari del nonno e degli avi, li trascura e li manda in rovina; lo interessano solo gli affari di stato, i rapporti con

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i monarchi dEuropa, la sua corte principesca, il suo ruolo di guida intellettuale, laccademia neoplatonica e quella artistica, la sua attivit di poeta e di mecenate. Esteriormente tutto ci si svolge ancora in forme borghesi e patriarcali. Lorenzo non permette che alla sua persona e alla sua casa si attribuiscano pubblici onori; i ritratti dei membri della famiglia servono sempre a usi privati, non altrimenti da quelli di ogni cospicuo cittadino, e non sono destinati al pubblico, come, centanni pi tardi, le statue dei granduchi54. Il tardo Quattrocento stato definito come la cultura di una seconda generazione, la generazione cio dei figli viziati e dei ricchi eredi; e il contrasto con la prima met del secolo parve cos deciso, che si credette di poter parlare di una cosciente reazione, di una voluta restaurazione del gotico e insomma di un antirinascimento55. A questa tesi si obiett giustamente che la tendenza che essa indicava come un ritorno al gotico non fa la sua comparsa solo nella seconda met del Quattrocento, ne costituisce invece un aspetto pi o meno palese, ma costante56. Ma per quanto sia innegabile il perdurare anche nel Quattrocento delle tradizioni medievali e un persistente contrasto tra spirito borghese e ideali gotici, non si pu disconoscere che nella borghesia fino a met del secolo prevalente un atteggiamento intellettuale avverso al gotico, realistico e antiromantico, liberale e democratico; e che solo al tempo di Lorenzo lo spiritualismo, il gusto delle convenzioni e le tendenze conservatrici prendono il sopravvento. Tuttavia non ci si pu immaginare levoluzione come una rinuncia improvvisa e totale dello spirito borghese alla sua struttura dinamica e dialettica. Il dominio delle tendenze conservatrici, spiritualistiche, cavalleresche e cortigiane nella seconda met del Quattrocento incontra naturalmente contrasti e opposizioni, non meno che la prevalenza, nella prima met del secolo, dello spirito

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innovatore della borghesia. Come in quei primi anni accanto agli ambienti progressisti ce nerano altri che servivano a ritardare il generale sviluppo, cos ora accanto ai gruppi conservatori qua e l si affermano elementi progressivi. Il ritiro degli antichi ceti, ormai sazi, dalla vita economica attiva e il farsi avanti di elementi nuovi, finora esclusi dalla possibilit di grandi profitti, verso i posti vacanti, o, in altre parole, lassurgere di ceti poveri alla condizione di agiati e degli agiati a quella di aristocratici rappresenta il ritmo costante dellevoluzione capitalistica57. I ceti colti, ieri ancora inclini a innovare, oggi sentono e pensano da conservatori; ma prima che possano trasformare lintera vita intellettuale secondo la loro nuova mentalit, ecco che riesce a impadronirsi degli strumenti della cultura, da cui ancora durante la precedente generazione era escluso, un altro ceto forte di una sua capacit dinamica, che a sua volta, alla generazione successiva, si porr come remora al naturale sviluppo, prima di cedere definitivamente ad altri. Nella seconda met del Quattrocento sono veramente gli elementi conservatori a dare il tono a Firenze, ma lavvicendamento sociale non affatto cessato; ci sono sempre, notevolmente attive, forze dinamiche che evitano lirrigidirsi dellarte nel preziosismo aulico, nellartificio e nella convenzionalit. Malgrado linclinazione a sottigliezze manierate e a uneleganza spesso vacua, continuano ad affermarsi nuovi impulsi naturalistici. Anche se assume molti aspetti aulici, e prende toni formalistici e artificiosi, larte di questo tempo non si preclude mai la possibilit di rinnovare e ampliare la sua visione. Rimane unarte innamorata della realt, aperta a nuove esperienze: espressione di una societ forse un po affettata e schizzinosa, ma non certo contraria ad accogliere nuovi impulsi. Da questo miscuglio di realismo e convenzione, di razionalismo e romanticismo escono a un

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tempo la rispettabilit borghese del Ghirlandaio e laristocratica raffinatezza di Desiderio, il robusto senso del reale del Verrocchio e la poetica fantasia di Piero di Cosimo, la lieta amabilit del Pesellino e la malinconica bizzarria di Botticelli. Le cause sociali di questo mutamento stilistico verso la met del secolo sono da cercare in parte nella diminuzione della clientela. La signoria medicea, con la sua oppressione fiscale ha sensibilmente ridotto il volume degli affari, costringendo molti imprenditori a lasciare Firenze trasportando altrove le loro aziende58. Sintomi del declino industriale, quali lemigrazione dei lavoratori e il regresso della produzione, si fanno gi sentire ai tempi di Cosimo59. Sempre pi la ricchezza si accentra in poche mani. Il pubblico dei committenti darte, che nella prima met del secolo tendeva sempre pi ad estendersi fra i privati cittadini, mostra ora una tendenza a restringersi. Le ordinazioni provengono principalmente dai Medici e da poche altre famiglie; la produzione, gi per questo fenomeno, assume un carattere pi esclusivo e raffinato. Nei Comuni italiani, durante gli ultimi due secoli, diretti committenti di architetture ecclesiastiche e di opere darte non erano per lo pi i prelati, ma i laici che ne rappresentavano e ne curavano gli interessi, cio da un lato il Comune, le grandi Corporazioni e le confraternite religiose, dallaltro le fondazioni private, le famiglie ricche e illustri60. Lattivit edilizia e artistica dei Comuni giunse allapice nel Trecento, col primo fiorire delleconomia urbana; in quel tempo lambizione dei cittadini si manifestava ancora in forme collettive e solo pi tardi cominci a esplicarsi in iniziative individuali. I Comuni italiani in questa attivit artistica profusero tesori, come gi le poleis greche. E non solo Firenze e Siena, ma anche Comuni minori, come Lucca e Pisa, vollero non essere da meno e quasi si dissanguarono in questa orgogliosa rivalit di costruttori.

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Nella maggior parte dei casi i signori cittadini, giungendo al potere, proseguirono lattivit artistica dei Comuni e, se possibile, la superarono in prodigalit. Fecero cos la pi efficace propaganda a se stessi e al loro governo, lusingando la vanit dei cittadini e regalando opere darte a quegli stessi che poi, di regola, dovevano pagarle. Questo, ad esempio, avvenne per la costruzione del duomo di Milano, mentre le spese per la Certosa di Pavia vennero sostenute dalla cassa privata dei Visconti e degli Sforza61. In Italia le Arti non si limitarono, come in altri paesi, a costruire e abbellire i loro oratori e le loro sedi sociali, ma parteciparono alle imprese artistiche del Comune, specie alla costruzione delle grandi chiese. Tali compiti del resto erano fin da principio di competenza delle Arti, che sempre pi li vennero sviluppando, via via che diminuiva il loro influsso politico ed economico. Ma di solito esse si limitavano a fornire dei comitati di esperti e degli organi di controllo alle autorit comunali cos come queste spesso non facevano che amministrare donazioni private. In nessun modo le Arti possono considerarsi alla stregua di fabbricieri, e neppure sono da ritenere promotrici di tutte le imprese artistiche da loro dirette; per lo pi amministravano soltanto le somme messe a disposizione per gli edifici e, al massimo, le integravano con prestiti o con contributi volontari di membri dellArte62. Per la sorveglianza delle opere loro affidate, le corporazioni eleggevano propri comitati edilizi che potevano contare da quattro a dodici membri (operai), a seconda dellimpresa. Tali comitati bandivano concorsi, affidavano glincarichi, approvavano i progetti, sorvegliavano i lavori, procuravano i materiali e corrispondevano i salari. Quando la stima di certe prestazioni artistiche o tecniche richiedeva una particolare competenza, essi nominavano un comitato di esperti63. Con simili poteri e attribuzioni lArte della Lana, a

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Firenze, condusse la costruzione del Duomo e del Campanile, lArte di Calimala i lavori del Battistero e della chiesa di San Miniato, lArte della Seta la costruzione dellOspedale degli Innocenti. Quale fosse la procedura consueta dei concorsi, si ricava chiaramente dalla storia delle porte bronzee del Battistero. Nellanno 1401 lArte di Calimala band per esse un pubblico concorso. Fra i concorrenti, si designarono sei artisti per un vaglio ulteriore: fra essi Brunelleschi, Ghiberti e Jacopo della Quercia. Si diede loro un anno per eseguire un rilievo di bronzo, il cui soggetto, a giudicar dallanalogia tematica nei lavori conservati, deve essere stato esattamente prescritto. Alle spese vive e al mantenimento degli artisti durante il periodo di prova provvide lArte stessa. Sui modelli presentati deliber infine un collegio di giudici nominato dallArte, composto da trentaquattro artisti di grido. Al principio le ordinazioni della borghesia consistevano soprattutto in doni per chiese e conventi; solo verso la met del secolo si cominci a ordinare in maggior numero opere profane per uso privato. Da allora anche le case dei ricchi cittadini, non solo i castelli e i palazzi dei principi e dei nobili, cominciano a ornarsi di quadri e di statue. Anche qui evidentemente considerazioni di prestigio, il desiderio di brillare e di farsi un monumento, giocano un ruolo non minore, e forse pi rilevante, dellesigenza estetica. Certo, questi moventi non erano estranei nemmeno alle donazioni di opere darte alle chiese. Ma le condizioni sono ora mutate, cos che i pi cospicui cittadini, gli Strozzi, i Quaratesi, i Rucellai si curano molto pi dei loro Palazzi che delle cappelle di famiglia. Giovanni Rucellai forse il tipo pi rappresentativo di questi nuovi mecenati interessati soprattutto allarte profana64. Di famiglia patrizia arricchitasi nellindustria della lana, egli appartiene a quella generazione gaudente che, sotto Lorenzo de Medici,

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comincia a ritirarsi dagli affari. Nelle sue note autobiografiche, uno dei celebri zibaldoni del tempo, egli scrive che per cinquantanni altro non ha fatto che guadagnare e spendere e ha compreso che lo spendere anche pi piacevole del guadagnare. Delle sue fondazioni ecclesiastiche egli dice che gli hanno dato e gli danno la massima soddisfazione, perch tornano a gloria di Dio e a onore della citt e anche perpetuano la sua memoria. Ma Giovanni Rucellai non si limita a doni e a fabbriche, anche un collezionista: possiede opere di Andrea del Castagno, Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Antonio Pollaiolo, Verrocchio, Desiderio da Settignano e altri. Questo trasformarsi dellamatore darte da donatore in collezionista lo vediamo anche meglio con i Medici. Cosimo ancora soprattutto il fabbriciere delle chiese di San Marco, Santa Croce, San Lorenzo e della Badia di Fiesole; suo figlio Piero gi un collezionista sistematico, e Lorenzo esclusivamente un collezionista. C una correlazione storica fra la figura del collezionista e quella dellartista che lavora indipendentemente dalle ordinazioni; nel corso del Rinascimento essi appaiono contemporaneamente, luno accanto allaltro. Lapparizione non tuttavia repentina, anzi il risultato di un lento processo. Larte del Quattrocento conserva ancora nellinsieme un carattere artigianale per cui di volta in volta si adegua alla natura della commissione, cos che spesso bisogna cercare lorigine dellopera non nellimpulso creativo, nella soggettiva volont di espressione e nellidea spontanea dellartista, ma nelle precise richieste del cliente. Quindi, a determinare il mercato artistico non ancora lofferta, ma la domanda65. Ogni opera ha ancora la sua destinazione ben precisa e la sua concreta connessione con la vita pratica. Si ordina una pala daltare per una cappella ben nota al pittore, un quadro di devozione per un ambiente determinato, il ritratto di un congiunto per una certa parete;

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ogni scultura progettata in vista di una collocazione ben definita, ogni mobile di pregio disegnato per una determinata stanza. In questi nostri tempi di grande libert artistica si ammette come un articolo di fede che la costrizione dallesterno, a cui allora lartista doveva, ma anche sapeva, sottostare, fosse un fattore indubbiamente favorevole e addirittura benefico. I risultati paiono giustificare questopinione, ma gli artisti la pensavano altrimenti. E difatti essi cercarono di liberarsi da ogni vincolo, non appena le condizioni del mercato lo permisero. E questo accadde appunto quando al semplice committente subentr lamatore, lesperto, il collezionista, cio quel moderno tipo di cliente che non ordinava pi quel che gli occorreva, ma comprava quel che gli veniva offerto. La sua apparizione sul mercato artistico signific la fine della produzione determinata unicamente da committenti e compratori, e assicur alla libera offerta possibilit nuove e insospettate. Dopo lantichit classica, il Quattrocento la prima epoca che di nuovo offra una produzione rilevante darte profana, e non soltanto esempi numerosi dei generi gi noti, come affreschi e quadri di cavalletto, arazzi, ricami, oreficerie e armature, ma anche molti di generi nuovi, creati anzitutto per abbellire la casa del ricco borghese, che al fastoso tono di rappresentanza delle corti preferisce per labitazione un tono confortevole e intimo: ecco quindi spalliere lignee, riccamente ornate, da fissare ai muri, cassoni dipinti e intagliati, lettiere di splendido lavoro, piccoli quadri di devozione in leggiadre cornici circolari (tondi), deschi da parto figurati, oltre alle solite maioliche e ai molti altri prodotti dellartigianato. In tutto questo ancora si mantiene una grande affinit fra arte e artigianato, fra pura opera darte e semplice suppellettile; le cose cambiano solo dopo che viene riconosciuta lautonomia della grande arte, libera da ogni fine pratico, e questa viene con-

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trapposta al carattere meccanico dellartigianato. Solo allora lartista si differenzia dallartigiano e il pittore comincia a fare i suoi quadri con animo diverso da quello con cui dipinge cassoni e pannelli decorativi, bandiere e gualdrappe, piatti e boccali. Ma allora egli comincia pure a sentirsi libero dai desideri del committente, e a trasformarsi da produttore per il cliente in produttore di merce, aprendo cos la via allamatore, allesperto e al collezionista. Questo daltro canto presuppone nellacquirente una concezione formalistica dellopera, s che lapprezzi a prescindere da una precisa destinazione pratica, insomma una, sia pur embrionale, concezione dellart pour lart. Concomitante allapparizione del collezionista laltro fenomeno nuovo del mercato artistico, conseguenza diretta del rapporto impersonale che si stabilisce tra compratore e opera darte, tra compratore e artista. Nel Quattrocento, quando la raccolta sistematica darte un caso sporadico, il commercio a s di opere darte, scisso dalla produzione, si pu dir sconosciuto; esso nasce soltanto nel secolo seguente, quando diventa abituale la ricerca di opere del passato e lacquisto di opere di contemporanei celebri66. Il primo mercante darte di cui ci sia noto il nome compare ai primi del Cinquecento: il fiorentino Giovan Battista della Palla. Nella sua citt natale egli d commissioni agli artisti e compra anche presso i privati per conto del re di Francia. Presto si d anche il caso di mercanti che commissionano opere per speculazione, rivendendole con profitto67. Nellet comunale i cittadini ricchi e illustri volevano assicurarsi almeno la gloria, dato che, per riguardo verso i concittadini, non potevano mettersi in mostra con il loro tenore di vita e dovevano anzi vivere con moderazione evitando ogni lusso eccessivo. I doni alle chiese erano il miglior modo per acquistarsi fama eterna, senza incorrere nel biasimo pubblico. Ci spiega in parte la spro-

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porzione fra larte sacra e quella profana ancora nella prima met del Quattrocento, quando cio la piet non era pi il maggior movente delle donazioni. Castello Quaratesi voleva far costruire a sue spese la facciata della chiesa di Santa Croce, ma quando non gli fu concesso di apporvi il suo stemma non volle pi saperne di mettere in opera il progetto68. Persino ai Medici parve saggio coprire il loro mecenatismo con unapparenza di devozione. Certo, Cosimo era ancora preoccupato pi di nascondere che di mettere in mostra le sue personali iniziative artistiche. I Pazzi, i Brancacci, i Bardi, i Sassetti, i Tornabuoni, gli Strozzi, i Rucellai perpetuarono il loro nome costruendo e decorando le loro cappelle di famiglia. Per questo si servirono dei migliori artisti del tempo. La cappella dei Pazzi fu costruita dal Brunelleschi, le cappelle Brancacci, Sassetti, Tornabuoni, Strozzi vennero decorate da pittori come Masaccio, Baldovinetti, Ghirlandaio e Filippino Lippi. molto dubbio che fra tutti questi mecenati fossero i Medici i pi generosi e intelligenti. Fra i due pi illustri della casa, comunque, pare che sia stato Cosimo ad avere il gusto pi saldo ed equilibrato. O forse lequilibrio si doveva al tempo? Egli impieg Donatello, Brunelleschi, Ghiberti, Michelozzo, Fra Angelico, Luca della Robbia, Benozzo Gozzoli, Filippo Lippi. Ma Donatello, il pi grande di tutti, ebbe in Roberto Martelli un amico e protettore ben pi fervido. Perch mai avrebbe lasciato pi volte Firenze, se Cosimo avesse saputo apprezzare convenientemente il suo valore? Cosimo fu grande amico di Donatello e di tutti i pittori e gli scultori, dicono i ricordi di Vespasiano da Bisticci; e poich gli parve che per questi ultimi ci fosse poco lavoro e gli rincresceva che Donatello dovesse restare inattivo, gli ordin i pulpiti di San Lorenzo e le porte della sacrestia69. Ma perch in quel tempo aureo delle arti un Donatello doveva correr pericolo di restare ino-

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peroso? Perch un incarico a Donatello doveva esser considerato un favore? Altrettanto, o pi difficile ancora, dare una giusta valutazione del gusto di Lorenzo in fatto darte. Gli si attribu sempre a merito personale laltezza e la variet deglingegni che lo circondavano; e si consider quella ricca vitalit che si esprime nellopera dei poeti, filosofi e artisti suoi favoriti come irradiata dalla sua persona. Da Voltaire in poi il suo tempo si annovera fra le epoche felici dellumanit, insieme con let di Pericle, il principato di Augusto e il Grand Sicle. Egli stesso fu poeta, filosofo, collezionista e fond la prima accademia darte. Si sa qual parte il neoplatonismo avesse nella sua vita e quanto questo movimento dovesse a lui personalmente. Sono noti i particolari dellamicizia fra Lorenzo e gli artisti del suo ambiente. noto che il Verrocchio restaur per lui cose antiche, Giuliano da Sangallo gli costru la villa di Poggio a Caiano e la sacrestia di Santo Spirito; per lui lavor molto Antonio Pollaiolo, amici intimi gli erano Botticelli e Filippino Lippi. Ma quali altri nomi mancano a questa lista! Lorenzo non solo rinunzi ai servigi di Benedetto da Maiano, il creatore di palazzo Strozzi, e del Perugino, che durante il suo governo pass molti anni a Firenze, ma rinunci anche allopera di Leonardo, il maggior artista dopo Donatello, che, a quanto sembra, incompreso, dovette lasciar Firenze ed emigrare i Milano. Egli era lontanissimo del neoplatonismo70, e questo forse spiega lindifferenza del Magnifico per lui. Il neoplatonismo, come del resto gi lidealismo platonico, comportava un atteggiamento puramente contemplativo di fronte al mondo, e, come ogni filosofia che ponga come soli princip della vita le idee pure, esso significava la rinunzia ad ogni intervento nelle cose della comune realt. Il destino di questa realt veniva rimesso a coloro che di fatto detenevano il potere poich il vero filosofo, secondo il Ficino, aspi-

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ra a morire alle cose della terra e a vivere soltanto nel mondo eterno delle idee71. naturale che una filosofia come questa fosse grata a un uomo come Lorenzo che osteggi ogni forma di attivit politica dei cittadini e distrusse lultimo resto delle libert democratiche72. Daltronde la dottrina di Platone, cos facile a tradursi e diluirsi in poesia, doveva anche di per se stessa rispondere al suo gusto. La natura del mecenatismo di Lorenzo si rivela chiarissima nei rapporti con Bertoldo. Lautore delle piccole sculture, eleganti ma alquanto superficiali, gli era pi caro di tutti gli altri artisti contemporanei. Abitava in casa sua, sedeva ogni giorno alla sua tavola, lo accompagnava nei viaggi, era il suo confidente il suo consigliere artistico e il direttore dellaccademia da lui fondata. Pieno di spirito e di tatto, anche nei rapporti amichevoli Bertoldo sapeva tenere le distanze; di fine cultura, aveva il dono di intuire perfettamente i gusti e i desideri del suo protettore. Era uomo di alto valore personale, eppure pronto a una completa subordinazione: insomma, lideale dellartista di corte73. Lorenzo, certo, trovava molto gusto ad aiutare Bertoldo nel suo lavoro elaborando miti classici e allegorie complicate e strane, o talvolta anche banali74, vedeva cos prendere corpo e figura la sua cultura umanistica, i suoi sogni mitologici e le sue fantasie poetiche. Lo stile di Bertoldo, il suo servirsi esclusivamente del bronzo, materiale raffinato, malleabile e pur cos duraturo, la predilezione per le figure piccole, per le composizioni leggiadre ed eleganti: tutti elementi fatti apposta, si direbbe, per compiacere al gusto di Lorenzo che senza dubbio prediligeva larte minore. Molto poco infatti possedeva della grande scultura fiorentina75; il nucleo della sua raccolta era costituito da gemme e cammei, da cinque a seimila76. Era un genere di derivazione classica e gi per questo Lorenzo lo preferiva. A rendergli grata larte di Bertol-

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do certo contribuiva anche il fatto che si servisse di una tecnica tipicamente classica e di soggetti tratti dallantico. Tutta lattivit di Lorenzo collezionista e mecenate non era che diletto di gran signore; come la sua raccolta conservava molti caratteri di un principesco gabinetto di curiosit, cos tutto il suo gusto, la sua predilezione per il leggiadro e il prezioso, per il capriccio e lartificio, aveva molti punti di contatto con i gusti rococ di tanti principotti europei. Nel Quattrocento accanto a Firenze, che fino alla fine del secolo rimane il massimo centro artistico della penisola, altri notevoli se ne sviluppano, specialmente alle corti di Ferrara, Mantova e Urbino. Queste si modellano sullesempio delle corti trecentesche dellalta Italia, da cui derivano i loro ideali cavallereschi e lo stile di vita formalistico e antiborghese. Tuttavia il nuovo spirito razionale, pratico, antitradizionale, non risparmia neppure la vita delle corti. Si continua a leggere gli antichi romanzi di cavalleria, ma con atteggiamento nuovo, con distacco un po ironico. Non solo Luigi Pulci nella Firenze mercantile, ma anche il Boiardo alla corte di Ferrara tratta la materia cavalleresca nel nuovo tono disinvolto e semiserio. Gli affreschi dei castelli e dei palazzi conservano lintonazione gi nota nel secolo precedente, e ancora vengono preferiti i temi mitologici e classici, le allegorie delle Virt e delle Arti liberali, i personaggi della famiglia regnante e le scene della vita di corte; ma lantico repertorio cavalleresco viene lasciato cadere77. La pittura non si presta alla trattazione ironica del soggetto. Ci rimangono, del Quattrocento, in due luoghi illustri, monumenti ben significativi dellarte di corte: nel palazzo di Schifanoia a Ferrara, gli affreschi di Francesco del Cossa, e quelli di Mantegna a Mantova. Mentre a Ferrara prevalgono le affinit con larte tardogotica francese, a Mantova si accentuano quelle con il naturalismo italiano; ma in

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entrambi i casi la differenza rispetto allarte borghese del tempo sta pi nel soggetto che nella forma. Il Cossa non si distingue sostanzialmente dal Pesellino, e il Mantegna ritrae la vita alla corte di Ludovico Gonzaga quasi con limmediato naturalismo di un Ghirlandaio, quando dipinge la vita dei patrizi fiorentini. Nel gusto artistico i due diversi ambienti si sono ormai largamente assimilati. La funzione della vita di corte in fondo di propaganda e di prestigio. I principi del Rinascimento non solo vogliono abbagliare il popolo, ma anche imporsi alla nobilt e legarla alla corte78. Ma non possono contare soltanto sul servigi e sulla presenza dei nobili; anzi, possono e vogliono servirsi di chiunque nobile o plebeo sia loro utile79. Quindi le corti del Rinascimento italiano si distinguono gi nella loro composizione da quelle del Medioevo; esse accolgono avventurieri fortunati e mercanti arricchiti, umanisti plebei e artisti maleducati proprio come se fossero persone di societ. In contrasto con la comunit, fondata su princip morali e quindi esclusiva, che fu propria del mondo cavalleresco, si sviluppa in queste corti una socialit da salotto relativamente libera, essenzialmente intellettuale, che, pur continuando la cultura dei pi raffinati ambienti borghesi, com descritta nel Decameron e nel Paradiso degli Alberti, non di meno anticipa quei salotti letterari che nel Sei e nel Settecento avranno tanta parte nella vita intellettuale dEuropa. Nel salotto della corte rinascimentale la donna non ancora il vero centro, bench essa partecipi fin dallinizio alla vita letteraria del gruppo; e anche quando, pi tardi, al tempo dei salotti borghesi, avr raggiunto questa posizione predominante sar tuttavia un predominio ben diverso da quello dei tempi della cavalleria. Daltronde, anche limportanza culturale che il Quattrocento riconosce alla donna non che una manifestazione del razionalismo rinascimen-

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tale. Questo le attribuisce una parit intellettuale con luomo, ma non la solleva al di sopra di lui. Tutte le cose che possono intendere gli omini, le medesime possono intendere anche le donne, dice il Cortegiano80; ma la galanteria che il Castiglione esige dalluomo di corte non ha pi nulla a che fare col servigio della dama richiesto al cavaliere. Il Rinascimento unepoca virile; sono eccezioni donne come Lucrezia Borgia, che tenne corte a Nepi, o come Isabella dEste, che fu il centro delle corti di Ferrara e di Mantova, e non solo incoraggi i poeti del suo ambiente, ma pare sia stata anche esperta darte. Ma quasi dappertutto i maggiori mecenati e protettori delle arti sono uomini. La civilt cavalleresca medievale aveva creato un nuovo sistema etico, nuovi ideali di eroismo e di umanit; le corti italiane del Rinascimento non mirano cos in alto, e nella formulazione di ideali per la vita e nei rapporti di societ non vanno oltre quel concetto di signorilit che, ulteriormente elaborato nel secolo successivo sotto linflusso spagnolo, si diffonde in Francia dove costituisce la base di quella civilt di corte che sar esemplare per tutta lEuropa. Quanto allarte, le corti del Quattrocento non hanno apportato nessun elemento propriamente originale. Le opere commissionate o ispirate dai principi di quel tempo non sono n meglio n peggio di quelle promosse dalla borghesia delle citt. La scelta degli artisti dipende forse pi spesso dalla situazione locale che dal gusto personale e dalle preferenze dei committenti; non si deve per dimenticare che Sigismondo Malatesta, uno dei pi crudeli tiranni del Rinascimento, impiega il pi gran pittore del suo tempo, Piero della Francesca; e Mantegna, lartista pi significativo della generazione successiva, non lavora per il grande Lorenzo de Medici, ma per un principotto come Ludovico Gonzaga. Con ci non si vuol affatto dire che questi principi fossero infallibili esperti darte. Anche

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nelle loro collezioni, come in quelle del mecenate borghese, cerano opere di secondo e di terzo ordine. La tesi di una universale intelligenza dellarte nel Rinascimento si rivela, a una indagine pi serrata, una leggenda altrettanto insostenibile dellaltra di un livello universalmente alto di tutta la produzione artistica. Neppure nei ceti elevati si giunse a una relativa uniformit nei princip del gusto; tanto meno ci avvenne per i ceti inferiori. Nulla pu illuminarci sul gusto dominante del tempo, meglio del fatto che il Pinturicchio, decoratore elegante, ma anche routinier, fu lartista pi occupato del suo tempo. Si pu almeno parlare di un generale interesse per larte, nel senso in cui ne parlano le pubblicazioni correnti sul Rinascimento? Ci si appassionava davvero, in alto e in basso, agli avvenimenti artistici? Era proprio tutta Firenze che si agitava per il progetto della cupola del duomo? Era proprio un avvenimento per tutto il popolo il compimento di unopera darte? Di quali ceti si componeva tutto il popolo? Anche dei proletari affamati? Non molto verosimile. Anche dei piccoli borghesi? Forse. Ma, in ogni modo, linteresse dei pi per le cose dellarte doveva essere pi che altro religioso e campanilistico. Non dobbiamo dimenticare che a quel tempo gli avvenimenti pubblici si svolgevano ancora in gran parte per le vie. Un corteo carnevalesco, larrivo di unambasceria, un funerale certo attiravano la folla non meno del cartone di Leonardo esposto al pubblico, davanti al quale, a quanto si narra, il popolo si affoll per due giorni. I pi non avevano idea del divario di qualit fra larte di Leonardo e quella dei suoi contemporanei, se pure labisso fra qualit e popolarit non era allora cos profondo come oggi. Ma labisso cominciava proprio allora a scavarsi; in qualche caso poteva ancora esser superato in quanto il giudizio artistico non era ancora divenuto esclusiva prerogativa degli iniziati. Che gli artisti del Rinascimento godesse-

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ro di una certa popolarit indubbio; lo dimostra, non fossaltro, il gran numero di storie e aneddoti correnti sul loro conto. Ma questo interesse si rivolgeva probabilmente non allartista come tale, ma piuttosto al personaggio che lavorava ad opere destinate al pubblico, partecipava a pubblici concorsi, esponeva lopera sua, riceveva commissioni dalle Arti e gi si faceva notare per le sue geniali originalit. Nel Rinascimento, bench fosse relativamente grande la richiesta di opere darte in citt come Firenze e Siena, non si pu parlar di arte popolare come si parla di poesia popolare a proposito deglinni religiosi, delle sacre rappresentazioni e dei romanzi cavallereschi scaduti a genere da fiera. Cera probabilmente unarte rustica, e anche una larga produzione di roba da pochi soldi destinata al popolo, ma le vere opere darte, bench non molto care, costavano sempre troppo per la gran maggioranza. Si accertato che intorno al 1480 a Firenze cerano 84 laboratori per intagli in legno e lavori dintarsio, 54 botteghe per decorazioni in marmo e pietra, 44 officine di orafi e argentieri81; per i pittori e gli scultori mancano dati relativi a quello stesso periodo, ma la matricola dei pittori fiorentini tra il 1409 e il 1499 registra 41 nomi82. Il confronto di queste cifre con il numero degli artigiani occupati nelle altre industrie, il fatto, ad esempio, che in Firenze cerano in uno stesso periodo 84 intagliatori in legno e 70 macellai83, basta per farsi unidea della richiesta di oggetti darte. Gli artisti identificabili, tuttavia, rappresentano solo un terzo o un quarto dei maestri elencati nei registri84. probabile che i pi non avessero una spiccata personalit e, come un Neri di Bicci, si dedicassero soprattutto a una produzione per cos dire di serie. Gli affari di simili aziende, sul cui andamento cinformano esattamente i ricordi di Neri di Bicci85, provano che il gusto del pubblico era lungi dallessere cos sicuro come di solito si

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proclama. Per lo pi si acquistava roba scadente. Secondo quanto si legge nei manuali, si dovrebbe ammettere che allora il possesso di opere darte fosse indispensabile per il decoro, e se ne trovassero abitualmente, almeno nelle case dei cittadini agiati. Ma, a quanto pare, non era cos. LArmenini, trattatista della seconda met del Cinquecento, dice di conoscer molte case distinte, in cui non c un quadro passabile86. Quello che noi chiamiamo Rinascimento non fu certo una civilt di mercantucci e di artigiani, e nemmeno la civilt di una borghesia agiata e mediocremente colta; fu piuttosto il patrimonio didee, gelosamente riservato ed esclusivo, di una lite imbevuta di cultura latina. Vi avevano parte principalmente le sfere collegate al movimento umanistico e neoplatonico: classe intellettualmente omogenea, in complesso concorde come, ad esempio, non fu mai il clero nella sua totalit. Le opere pi significative dellarte eran destinate a tale cerchia. Gli ambienti pi larghi non ne sapevano nulla, oppure le giudicavano con criteri inadeguati, non estetici, e per s saccontentavano di prodotti di scarso valore. Fu allora che si determin quella distanza, insuperabile e decisiva per tutto lo sviluppo successivo, fra una minoranza colta e una maggioranza incolta, distanza che in questa misura le epoche precedenti avevano ignorato. Non si pu dire neppure della civilt del Medioevo che abbia conosciuto un generale livellamento di cultura; nellantichit poi i ceti colti erano perfettamente consci della loro superiorit; ma in queste epoche nessuno mai, ad eccezione di piccoli gruppi occasionali, si propose di creare una cultura programmaticamente riservata a una lite e da cui la maggioranza dovesse essere esclusa. Le cose cambiano appunto nel Rinascimento. Nel Medioevo la lingua della cultura ecclesiastica era il latino, perch la Chiesa era legata direttamente e organicamente con la tarda civilt romana; gli umanisti invece scrivo-

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no in latino, perch rompono ogni continuit con le correnti culturali popolari, che si esprimono nei diversi idiomi, e tendono a crearsi un monopolio della cultura, quasi fossero una casta sacerdotale. Gli artisti si pongono sotto la protezione e la tutela intellettuale di questa cerchia. Insomma, si emancipano dalla Chiesa e dalla corporazione per soggiacere a unautorit che pretende per s la competenza di entrambe. Infatti ormai gli umanisti non soltanto sono autorit indiscusse in tutte le questioni iconografiche di tipo storico e mitologico, ma diventano anche intenditori di questioni formali e tecniche. Gli artisti finiscono col sottomettersi al loro giudizio anche per questioni in cui prima valevan soltanto la tradizione e i precetti della corporazione, e nelle quali nessun profano poteva interloquire. Il prezzo della loro indipendenza dalla Chiesa e dalla corporazione, il prezzo chessi debbono pagare per la loro ascesa sociale, per lapplauso e la gloria, laccettazione degli umanisti come critici. Questi veramente non hanno tutti la vocazione del critico e dellesperto, ma fra loro si trovano i primi laici che intuiscano i criteri del valore artistico e sappiano giudicare dellopera da un punto di vista puramente estetico. Con loro, in quanto osservatori veramente capaci di giudizio, nasce, si pu dire, in un senso moderno, il pubblico dellartista87.

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Capitolo terzo La posizione sociale dellartista nel Rinascimento

Laccresciuta richiesta di opere darte finisce per elevare lartista dalla condizione di artigiano piccolo-borghese a quella di libero lavoratore intellettuale. Se tali potevano essere anche prima gli artisti, ma a condizione di apparire degli spostati, ora invece cominciano a formare un ceto economicamente sicuro e socialmente consolidato, se pur non una classe omogenea. Gli artisti del primo Quattrocento sono ancora gente modesta; si ritengono artigiani pi raffinati degli altri ma, n per origine n per educazione, si distinguono dai piccoli borghesi delle Arti. Andrea del Castagno figlio di un contadino, Paolo Uccello di un barbiere, Filippo Lippi di un macellaio, i Pollaiolo sono appunto figli di un venditore di polli. Il loro nome tratto dalloccupazione paterna, o dal luogo di nascita, o dal nome del maestro, e allartista si d del tu come ai domestici. Egli soggetto alla corporazione e non certo il suo talento che gli d il diritto di esercitare il mestiere, ma il tirocinio compiuto nel modo prescritto. La sua educazione si fonda sui comuni rudimenti dellartigianato; egli non va a scuola, ma a bottega; non viene istruito teoricamente, ma praticamente. Dopo aver imparato pi o meno a leggere, scrivere e far di conto, ancor bambino va come apprendista da un maestro e per lo pi vi resta molti anni. Sappiamo che ancora per il Perugino, Andrea del Sarto, Fra Bartolomeo il tirocinio dur da otto a dieci

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anni. Gli artisti del Quattrocento fra gli altri Brunelleschi, Donatello, Ghiberti, Paolo Uccello, Antonio Pollaiolo, Verrocchio, il Ghirlandaio, Botticelli, il Francia provenivano in gran parte dalloreficeria, che giustamente fu detta la scuola darte del secolo. Molti scultori cominciavano a lavorare come scalpellini in cantiere, o presso gli intagliatori di ornati, come gi nel Medioevo i loro predecessori. Donatello ricevuto nella compagnia di San Luca come orafo e lapicida e quel che egli pensi dellarte e dellartigianato lo mostra ottimamente il fatto che il gruppo di Giuditta e Oloferne, una delle ultime e pi importanti opere sue, stato ideato per una fontana, destinata al cortile di palazzo Medici. Ma le pi rinomate botteghe del Quattrocento, nonostante lorganizzazione ancor sostanzialmente artigiana, seguono gi metodi didattici pi individuali. Ci vale anzitutto per le botteghe del Verrocchio e dei Pollaiolo a Firenze, per quella di Francesco Squarcione a Padova e di Giovanni Bellini a Venezia, dove il capo ugualmente famoso come maestro e come artista. Gli allievi non vanno pi in una qualsiasi bottega, ma presso un maestro determinato, che li accoglie tanto pi numerosi, quanto maggiore la sua fama di artista. Sono appunto questi ragazzi la mano dopera, se non sempre migliore, certo pi a buon mercato. Sar questo anche il motivo principale di quellintensificarsi del discepolato artistico che dora in poi si pu osservare, e non gi lambizione degli artisti di esser ritenuti buoni maestri. Il tirocinio, secondo la tradizione ereditata dal Medioevo, comincia con lavori manuali dogni sorta: macinar colori, pulir pennelli, preparar le tavole e le tele; si passa poi a trasportare certe composizioni dal cartone al quadro, ad eseguir panneggi e parti secondarie di figure, e si finisce con lesecuzione di intere opere sulla traccia di semplici schizzi e indicazioni verbali. Cos lapprendista diventa aiuto, pi o meno indipendente,

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che devessere, in genere, tenuto distinto dallo scolaro. Infatti non tutti gli aiuti di un maestro sono allievi suoi, n tutti gli allievi rimangono in bottega come aiuti. Laiuto spesso un artista che val quanto il maestro, ma pu essere anche uno strumento impersonale nelle sue mani. Dalla mutevole combinazione di queste possibilit e dalla frequente collaborazione fra maestro, aiuti e discepoli alla stessa opera viene non solo un miscuglio stilistico spesso difficile da analizzare, ma talvolta anche un effettivo livellamento delle differenze individuali, una forma comune, fondata anzitutto sulla tradizione artigiana. Il caso ben noto nelle biografie rinascimentali sia esso realt o finzione del maestro che rinunzia alla pittura perch uno dei suoi allievi lo ha superato (Cimabue-Giotto, Verrocchio-Leonardo, Francia-Raffaello) potrebbe rappresentare uno stadio ulteriore dello sviluppo, quando la comunit della bottega sta ormai per dissolversi, oppure come nel caso del Verrocchio e di Leonardo potrebbe avere una spiegazione pi realistica di quella fornita dagli aneddoti. Probabilmente Verrocchio cessa di dipingere, e attende esclusivamente alla scultura, dopo che si persuaso di potere lasciare tranquillamente le commissioni di pittura a un aiuto come Leonardo88. Nella bottega dellartista quattrocentesco domina ancora lo spirito collettivo del cantiere e della corporazione; lopera non ancora lespressione di una personalit indipendente, che accentua la propria originalit e si chiude a tutto ci che le estraneo. Lesigenza di condur lopera di propria mano dal principio alla fine e limpossibilit di una collaborazione feconda con allievi e aiuti si rivelano solo in Michelangelo, che anche per questo aspetto il primo artista moderno. Per tutto il Quattrocento il lavoro artistico conserva il suo carattere di collaborazione89. Per realizzare le grandi opere, soprattutto di scultura, si fondano vasti laboratori di

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tipo industriale con molti aiuti e manovali. Cos nella bottega del Ghiberti, quando eseguiva le porte del Battistero, una fra le massime imprese artistiche del Quattrocento, lavoravano circa venti aiuti. Fra i pittori, un Ghirlandaio e un Pinturicchio, per lesecuzione dei grandi cicli di affreschi, impiegavano intere quipes di aiutanti. La bottega del Ghirlandaio, in cui collaborano stabilmente anzitutto i fratelli e il cognato del maestro, una delle grandi aziende familiari del secolo, accanto a quelle dei Della Robbia e dei due Pollaiolo. Alcuni padroni di botteghe sono impresari pi che artisti e di solito si assumono le ordinazioni per poi farle eseguire da un pittore adatto. A questa categoria pare che appartenesse anche Evangelista de Predis a Milano, che fra gli altri impieg per qualche tempo Leonardo. Ma troviamo altre forme ancora di lavoro artistico collettivo nel Quattrocento: ad esempio la bottega tenuta in societ da due artisti, solitamente ancor giovani, che non potrebbero altrimenti affrontarne le spese. Cos lavorano Donatello e Michelozzo, Fra Bartolomeo e Mariotto Albertinelli, Andrea del Sarto e il Franciabigio. Sono ancora nel complesso forme di organizzazione collettiva, che impediscono latomizzarsi delle tendenze artistiche. Questa solidariet e continuit di forme si fa sentire in senso verticale, oltre che orizzontale. Le personalit pi in vista infatti formano lunghe dinastie di maestri e allievi, come ad esempio la catena Fra Angelico - Benozzo Gozzoli - Cosimo Rosselli - Piero di Cosimo - Andrea del Sarto - Pontormo - Bronzino, dove la linea di sviluppo prende forma di unininterrotta tradizione. Lo spirito che domina ancora nel Quattrocento si rivela anzitutto negli incarichi di modesto artigianato spesso assunti dalle botteghe degli artisti. Dai ricordi di Neri di Bicci sappiamo quali oggetti potessero uscire da una fiorente bottega di pittore: oltre i quadri, vi si face-

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vano stemmi, bandiere, insegne, intarsi, intagli in legno policromo, modelli per tappezzieri e ricamatori, decorazioni per feste e molte altre cose. Antonio Pollaiolo, anche quando gi illustre come pittore e scultore, continua a tenere una bottega di orafo, e in essa, oltre a sculture e oreficerie, si fanno cartoni per arazzi e disegni per incisioni in rame. Il Verrocchio, anche allapice della sua carriera, accetta i pi vari lavori di terracotta e dintaglio. Donatello per il suo protettore Martelli non esegue solo il celebre stemma, ma anche uno specchio dargento. Luca della Robbia fabbrica formelle di maiolica per chiese e case private, Botticelli fornisce disegni per ricami e lo Squarcione tiene una bottega di ricamatore. Il tipo di questi lavori varier, naturalmente, secondo lepoca e il nome del singolo artista, e non simmagini comunque che il Ghirlandaio e Botticelli dipingessero le insegne al fornaio o al macellaio della cantonata; simili incarichi certo non si accettavano pi nelle loro botteghe. Invece gonfaloni, cassoni nuziali e deschi da parto, fino alla fine del Quattrocento si ritennero lavori non indegni di un artista. Botticelli, Filippino Lippi, Piero di Cosimo ancor nel Cinquecento mettono mano a pitture di cassoni. Una svolta fondamentale nella valutazione del lavoro artistico si nota solo a partire dai tempi di Michelangelo. Per il Vasari incarichi di tipo artigiano non possono pi conciliarsi con la dignit di un artista. Questo significa in pari tempo la fine della soggezione degli artisti alla corporazione. sintomatico lesito del processo intentato dalla corporazione dei pittori di Genova contro Giovanni Battista Poggi, a cui si voleva proibire lesercizio della pittura in citt, perch egli non vi aveva compiuto i prescritti sette anni di tirocinio. Quellanno 1590 in cui fu deciso che gli statuti della corporazione non erano vincolanti per lartista che non tenesse bottega aperta, conclude un processo di trasformazione durato quasi due secoli90.

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Anche economicamente nel Quattrocento gli artisti sono equiparati al ceto piccolo-borghese degli artigiani; in generale la loro condizione non brillante, ma neppure veramente precaria. Fra di loro non c ancora chi viva da signore, tuttavia non si pu parlare di proletariato artistico. vero che i pittori nelle dichiarazioni fiscali si lagnano sempre delle loro angustie economiche, ma questi documenti non sono certo per lo storico le fonti pi degne di fede. Masaccio afferma di non poter nemmeno pagare il suo garzone, e noi sappiamo che effettivamente egli mor povero e pieno di debiti91. Filippo Lippi, secondo Vasari, non aveva da comprarsi un paio di calze e Paolo Uccello da vecchio dichiara che non possiede nulla, non pu pi lavorare e ha la moglie malata. Stavano meglio quelli che erano al servizio di una corte o di un mecenate. Fra Angelico, ad esempio, a Roma riceveva dalla Curia quindici ducati al mese in un tempo in cui a Firenze, forse un po meno cara, si poteva viver da signori con trecento ducati allanno92. Occorre notare che i prezzi in genere si mantenevano a un livello medio e che anche i maestri celebri non eran pagati molto meglio degli artisti mediocri e degli ottimi artigiani. Personalit come Donatello avevano probabilmente onorari un po pi alti, ma non cerano ancora veri e propri prezzi damatore93. Gentile da Fabriano per la sua Adorazione dei Magi ebbe 150 fiorini doro; Benozzo Gozzoli, 6o per una pala daltare; Filippo Lippi, 40 per una Madonna; ma Botticelli, gi 7594. Come stipendio fisso, Ghiberti, finch lavor alle porte del Battistero, guadagnava duecento fiorini lanno, quando il cancelliere della Signoria ne guadagnava seicento, con lobbligo di pagarsi quattro scrivani. Un buon amanuense allora riceveva trenta fiorini, oltre le spese. Gli artisti, quindi, non erano proprio mal pagati, se pur ben lungi dalle remunerazioni dei celebri letterati e docenti che spesso avevano da cinquecento a duemila

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fiorini lanno95. Tutto il mercato artistico si moveva ancora entro confini relativamente modesti; gli artisti gi durante il lavoro dovevano richiedere degli anticipi sul prezzo fissato e daltro canto i committenti spesso non potevano pagare se non a rate anche lo stesso materiale96. I principi stessi lottavano con la scarsezza di denaro liquido e Leonardo si lamenta pi volte con il suo protettore Ludovico il Moro, perch non gli stato pagato lonorario97. Non ultimo elemento che conferma il carattere artigiano del lavoro il regolare contratto che lega lartista al committente. Per le opere di maggior impegno tutte le spese, cio lacquisto del materiale, gli stipendi e spesso anche il mantenimento di aiuti e garzoni, erano assunte dal committente e il maestro stesso riceveva un onorario in ragione del tempo chegli impiegava. Per i pittori il lavoro a salario rimase la regola sino alla fine del Quattrocento; solo pi tardi questo tipo di compenso sar riservato alle prestazioni puramente artigiane, come restauri e copie98. Via via che larte si svincola dallartigianato, cambiano a poco a poco le clausole dei contratti. In uno del 1485, col Ghirlandaio, viene ancora fissato esplicitamente il prezzo dei colori; ma Filippino Lippi, secondo un contratto del 1487, tenuto a provvedere da s il materiale, e analoga condizione figura in un patto stipulato con Michelangelo nel 1498. Una linea di confine netta non si pu naturalmente stabilire, ma si pu dire in ogni caso che il mutamento si verifica verso la fine del secolo ed da connettere soprattutto con la persona di Michelangelo. Di regola nel Quattrocento si richiedeva allartista di nominare un mallevadore che garantisse per lui losservanza del contratto; per Michelangelo tale garanzia si riduce a una pura formalit. C un caso addirittura in cui lestensore stesso del documento funge da garante per le due parti99. Anche le altre clausole si fanno sempre meno severe per lartista e meno esatta-

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mente circostanziate. In un contratto del 1524 Sebastiano del Piombo viene lasciato libero di fare un quadro a suo talento, purch non sia un quadro sacro; e nel 1531 lo stesso collezionista ordina a Michelangelo unopera che pu essere un dipinto o una scultura, come piacer al maestro. NellItalia del Rinascimento fin dagli inizi gli artisti ebbero una posizione migliore che negli altri paesi, e non tanto per le forme pi evolute della vita urbana lambiente cittadino in s e per s non poteva offrire maggiori possibilit agli artisti che al comune ceto medio industriale ma perch i principi e i signori italiani avevano pi modo di impiegarne i talenti e sapevano apprezzarli meglio dei potenti dOltralpe. La maggiore indipendenza dalla corporazione, che alla base della condizione privilegiata dellartista italiano, anzitutto il risultato del suo lavorare presso corti diverse. Nel Nord ogni maestro legato a una citt; in Italia lartista va spesso di corte in corte, di citt in citt, e gi questa vita errante implica una minor soggezione alle prescrizioni corporative, che valgono per i rapporti entro un certo territorio e sono da osservare solo entro quei confini. Poich i principi ci tenevano ad assicurarsi non solo maestri genericamente di valore, ma anche determinati artisti, spesso forestieri, questi dovettero essere affrancati dalle limitazioni corporative. Non si poteva pretendere che mentre eseguivano il loro incarico badassero ai regolamenti dellartigianato locale, preoccupandosi di ottenere un permesso di lavoro dalle autorit delle corporazioni e stessero a chiedere quanti aiuti e garzoni potevano impiegare. Finito un lavoro, si trasferivano, insieme con la loro gente, presso un altro protettore, dove avevano un uguale trattamento di favore. Questi pittori erranti di corte in corte sfuggirono sempre alla giurisdizione corporativa. Ma i loro privilegi necessariamente influirono anche sulla

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condizione degli artisti stabiliti nelle citt, tanto pi che queste spesso occupavano gli stessi maestri che lavoravano alle corti, e dovevano quindi offrire condizioni non meno favorevoli di quelle, se volevano assicurarseli. Lartista quindi non si emancipa dalla corporazione perch abbia acquistato una pi alta dignit, e venga riconosciuta la sua aspirazione ad essere equiparato ai poeti e ai dotti, ma perch si ha bisogno dei suoi servigi e occorre acquistarseli. La dignit qui non che lespressione del prezzo di mercato. Lascesa sociale degli artisti si manifesta anzitutto negli onorari. Nellultimo quarto del Quattrocento a Firenze si cominciano a pagare prezzi relativamente alti per gli affreschi. Giovanni Tornabuoni, nel 1485, per la decorazione della cappella di famiglia in Santa Maria Novella, concorda col Ghirlandaio un onorario di 1100 fiorini. Filippino Lippi, per gli affreschi di Santa Maria sopra Minerva a Roma, riscuote il compenso di 2000 ducati doro, che corrispondono circa ad altrettanti fiorini. E 3000 ducati riceve Michelangelo per la volta della Sistina100. Verso la fine del secolo ci sono gi molti artisti che han denaro: Filippino anzi accumula una ricchezza notevole. Il Perugino possiede case, Benedetto da Maiano un podere. A Milano, Leonardo da Vinci ha uno stipendio annuo di 2000 ducati e in Francia riceve 35000 franchi lanno101. I celebrati maestri del Cinquecento, specialmente Raffaello e Tiziano, dispongono di entrate considerevoli e menano vita da signori. Le abitudini di Michelangelo sono modeste, ma anchegli guadagna assai, ed gi ricco quando rifiuta ogni compenso per i suoi lavori in San Pietro. A questo aumento degli onorari, oltre allaccresciuta domanda doggetti darte e alla generale ascesa dei prezzi, dovette contribuire in misura decisiva il fatto che sullo scorcio del secolo la Curia pontificia balza in primo piano sul mercato artistico e crea una sensibile concorrenza ai clienti

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degli artisti fiorentini. Questi emigrano in gran numero verso la munifica Roma. Naturalmente traggono profitto dalle alte offerte della corte papale anche i rimasti in verit, solo i pi rinomati, quelli che si cerca di trattenere in patria; per gli altri i prezzi arrancano a fatica seguendo la situazione generale e ora davvero cominciano ad apparire sostanziali differenze nei compensi102. La liberazione di pittori e scultori dai vincoli delle corporazioni e la loro ascesa dal livello degli artigiani a quello dei poeti e dei dotti stata attribuita alla loro alleanza con gli umanisti. Ma la solidariet degli umanisti si spiega ricordando che i monumenti letterari ed artistici dellantichit formavano ununit indivisibile agli occhi di quegli entusiasti, persuasi che, presso gli antichi, poeti e artisti godessero di ugual considerazione103. Di fatto, non avrebbero potuto concepire che gli autori di opere da loro ugualmente venerate per la comune origine, fossero stati valutati diversamente, e indussero i contemporanei e tutta la posterit, fino allOttocento a credere che lartista che in realt per gli antichi altro non era che un banauso dividesse con il poeta lonore della grazia divina. indubbio il contributo dellumanesimo allo sforzo di emancipazione degli artisti. Lumanista li conferma nella posizione conquistata grazie alle congiunture del mercato e fornisce loro le armi per imporsi alla corporazione e per vincere nelle loro stesse file la resistenza degli elementi conservatori, meno dotati e quindi pi timidi. La protezione dei letterati non stata quindi la causa vera della loro ascesa sociale, ma soltanto il sintomo di unevoluzione che ha preso il suo abbrivo dalla realt: dal sorgere cio delle nuove Signorie e Principati, e dallo sviluppo e ricchezza delle citt che hanno ridotto sempre pi la sproporzione tra lofferta e la domanda sul mercato artistico, fino a un perfetto equilibrio. noto che le corporazioni sostanzialmente si erano costituite per cercar di vol-

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gere tale sproporzione a vantaggio dei produttori; e in realt gli organi corporativi chiusero un occhio davanti alla violazione degli statuti solo quando non ci fu pi il pericolo della scarsit di lavoro. Al progressivo allontanarsi di tale minaccia, e non gi al favore degli umanisti, gli artisti dovettero la loro indipendenza. Lappoggio degli umanisti essi lo ricercarono, non tanto per spezzare la resistenza delle Arti, quanto per giustificare, agli occhi della classe dirigente imbevuta di umanesimo, la prosperit economica ormai acquisita, e anche per assicurarsi i dotti consiglieri che potessero aiutarli a trattare i soggetti storici e mitologici allora in voga. Gli umanisti erano per lartista i garanti del suo valore intellettuale e a loro volta trovavano nellopera darte un efficacissimo mezzo di propaganda per le idee su cui fondavano la loro egemonia spirituale. Da questo reciproco legame deriv quel concetto unitario dellarte, che per noi del tutto evidente, ma fu ignoto fino al Rinascimento. Non solo Platone parla in modo ben diverso dellarte e della poesia, ma neppure nella tarda antichit o nel Medioevo si pens mai che ci fosse tra arte e poesia unaffinit pi stretta di quella, ad esempio, corrente fra scienza e poesia, o tra filosofia e arte. La letteratura artistica del Medioevo si limitava a ricettari. In tali istruzioni pratiche larte non era in alcun modo distinta dal mestiere. Anche il trattato della pittura di Cennino Cennini non si scosta dalla mentalit e dalletica della corporazione; esorta lartista ad esser diligente, ubbidiente, paziente, e nellimitazione dei modelli dellarte scorge la via pi sicura per giungere alla maestria. Si tratta ancora di un orientamento tradizionalmente medievale. Leonardo il primo che anche sul piano teorico sostituisce allimitazione dei maestri lo studio della natura; ma cos egli non fa che codificare la vittoria sulla tradizione, che nella pratica naturalismo e razionalismo hanno gi da lungo tempo conseguito. Le-

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stetica leonardesca, orientata verso il naturalismo, mostra che frattanto completamente mutato il rapporto fra maestro e scolaro. Lemancipazione dallo spirito artigianale dovette cominciare con la trasformazione dellantico sistema didattico, sottraendo linsegnamento al monopolio della corporazione. Questo non si poteva spezzare e neppur legemonia tradizionale della bottega finch la facolt di esercitare larte era subordinata al tirocinio presso un maestro appartenente alla corporazione104. Si dovette perci assegnare leducazione dei giovani artisti alla scuola e non pi alla bottega, sostituendo in parte linsegnamento teorico al pratico, se si vollero spazzar via gli ostacoli che il vecchio sistema creava ai giovani. Anche il nuovo, veramente, a poco a poco cre a sua volta legami e ostacoli. Si comincia infatti col sostituire il modello naturale allautorit dei maestri, ma si finisce col rigido sistema dellinsegnamento accademico: questo, in luogo dellantico e screditato lavoro di maniera, impone ideali nuovi, che, anche se non meno ristretti, hanno il pregio di un fondamento scientifico. Del resto, ad istruire con metodo scientifico si comincia nelle stesse botteghe. Gi ai primi del Quattrocento i discepoli, durante il tirocinio, imparano, accanto alla tecnica manuale, anche i rudimenti della geometria, della prospettiva e dellanatomia e si abituano a disegnar da modelli vivi e da manichini articolati. Nei loro studi i maestri organizzano corsi di disegno e da questa istituzione si sviluppa sia laccademia privata con il suo insegnamento pratico e teorico105, sia laccademia pubblica che segna la fine dellantica comunit della bottega e della tradizione artigiana, in quanto in essa il rapporto tra maestri e scolari diviene puramente intellettuale. La pratica di bottega e le accademie private si mantengono per tutto il Cinquecento, ma perdono via via ogni importanza per lo sviluppo dello stile. La concezione scientifica dellarte, che costituisce la

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base dellinsegnamento accademico, comincia con Leon Battista Alberti. Egli il primo a formulare lidea che la matematica sia il terreno comune dellarte e della scienza, poich ad essa appartengono tanto la teoria delle proporzioni, quanto quella della prospettiva. E in lui si trova per la prima volta consapevolmente realizzata quellunione, che sul piano della pratica era gi operante in Masaccio e Paolo Uccello, del tecnico che esperimenta e dellartista che osserva106. Luno e laltro cercano di conoscere il mondo per via sperimentale, per indurre dai risultati delle esperienze leggi razionali; entrambi cercano di indagare e dominare la natura; un atteggiamento attivo, un poiein, li distingue entrambi dalla pura contemplazione, dalla scolastica angustia dei dotti universitari. Ma se il tecnico e lindagatore della natura pretendono, per le loro nozioni matematiche, di appartenere alla sfera intellettuale, anche lartista, che spesso fa tuttuno col tecnico e con lo scienziato, ha diritto daspettarsi che lo si distingua dallartigiano e che il suo mezzo espressivo conti fra le arti liberali. Leonardo non aggiunge alcuna fondamentale idea nuova al trattato dellAlberti, che innalza larte al grado della scienza e affianca lartista agli umanisti; egli non fa che accentuare e accrescere le rivendicazioni del suo predecessore. La pittura, egli afferma, una specie di scienza esatta della natura; daltra parte superiore alle scienze, perch queste sono imitabili, cio impersonali, larte invece legata allindividuo e alle sue facolt innate107. Leonardo sostiene dunque il diritto della pittura ad essere annoverata fra le arti liberali, non solo in considerazione della scienza matematica dellartista, ma anche del suo talento che non diverso dal genio poetico. Egli riprende la definizione simonidea della pittura come poesia muta e della poesia come pittura parlante; apre cos quella lunga controversia sulla dignit delle arti, che durer per secoli e in cui ancora Lessing

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avr modo di intervenire. Leonardo dice che se lesser muta per la pittura un difetto, si potrebbe con ugual diritto rimproverare alla poesia desser cieca108. Un artista che fosse stato pi vicino agli umanisti non si sarebbe mai spinto a sostenere una tal eresia. Una valutazione pi alta dellarte, un superamento della concezione artigiana del Medioevo, si nota gi del resto nei primi precursori dellumanesimo. Dante crea un monumento imperituro ai maestri Cimabue e Giotto (Purg., XI, 94-96), e li paragona a poeti come Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti. Il Petrarca nei suoi sonetti loda il pittore Simone Martini e Filippo Villani, nellelogio di Firenze, nomina fra gli uomini famosi della citt anche diversi artisti. Le novelle italiane, anzitutto quelle del Boccaccio e del Sacchetti, sono ricche di aneddoti sugli artisti. E se anche larte in s non ha, in questi aneddoti, grande importanza, pur sempre significativo che lartista in quanto tale appaia abbastanza interessante per essere tratto fuori dellanonima esistenza dei comuni artigiani e venga rappresentato con una sua individuale fisionomia. Gi nella prima met del Quattrocento cominciano quelle biografie di artisti, che sono cos tipiche della Rinascita italiana. Il Brunelleschi il primo ad avere una biografia scritta da un contemporaneo; tanto onore era fin qui riservato ai principi, agli eroi e ai santi. Il Ghiberti scrive la prima autobiografia dartista che si conosca. A gloria del Brunelleschi il Comune fa erigere un monumento sepolcrale nel duomo, e Lorenzo vorrebbe riportare in patria da Spoleto i resti mortali di Filippo Lippi e seppellirli onorevolmente. Gli si risponde che si dolenti, ma Spoleto molto pi povera di Firenze di grandi uomini e non si pu pertanto esaudire il suo desiderio. Da tutti questi fatti risulta chiaro che lattenzione del pubblico si ormai spostata dalle opere alla persona dellartista. Il moderno concetto di personalit creatrice comincia a

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farsi strada e sono sempre pi frequenti i segni del crescente orgoglio degli artisti. Abbiamo firme di quasi tutti i pittori importanti del Quattrocento e il Filarete, ad esempio, raccomanda agli artisti di firmare le loro opere. Fatto ancor pi notevole, questi pittori ci hanno lasciato per lo pi il loro autoritratto, anche se non sempre in un quadro a s. Lartista ritrae se stesso, e talvolta anche i propri familiari, accanto a donatori e mecenati come se fosse uno dei tanti assistenti alla scena sacra. Cos, in un affresco di Santa Maria Novella, il Ghirlandaio rappresenta i suoi parenti di fronte alla coppia dei donatori; e le autorit di Perugia incaricano il Vannucci di aggiungere il proprio ritratto agli affreschi del Cambio. Sempre pi spesso lartista riceve pubblici riconoscimenti. Gentile da Fabriano riceve la toga patrizia dalla Repubblica veneta; la citt di Bologna elegge gonfaloniere il Francia; Firenze d a Michelangelo lalto titolo di membro del consiglio109. Uno dei segni pi notevoli della nuova coscienza di s e della diversa considerazione che gli artisti hanno per la propria opera si ha nel loro graduale emanciparsi dallordinazione diretta: se essi non eseguono pi gli incarichi con lantica fedelt, spesso danno mano a lavori che nessuno ha loro ordinato. noto, per esempio, che Filippo Lippi non sempre seguiva nel suo lavoro quel ritmo continuo e regolare che si pretende per lattivit artigiana, cos che a un tratto lasciava in sospeso certe opere, per cominciarne altre. Questa abitudine di lavorare irregolarmente si fa sempre pi diffusa110, e col Perugino ci troviamo di fronte addirittura allastro viziato che tratta male i committenti: n in Palazzo Vecchio a Firenze, n in Palazzo Ducale a Venezia egli esegue i lavori assunti, e fa tanto aspettare lopera promessa per la cappella della Vergine nel duomo di Orvieto, che il Comune finisce col passar lincarico al Signorelli. La graduale ascesa dellartista si rispecchia nitidissima nella

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carriera di Leonardo, che a Firenze senza dubbio un uomo apprezzato, ma non molto ricercato come artista; a Milano, diventa il pittore aulico di Ludovico il Moro, cui tutto concesso; quindi assurge al rango di primo ingegnere militare di Cesare Borgia, e chiude la sua vita come favorito e amico del re di Francia. Il mutamento radicale avviene al principio del Cinquecento. Da allora i maestri celebri non sono pi dei semplici protetti dei mecenati, ma essi stessi dei gran signori. E da signore, pi che da artista , come dice il Vasari, la vita splendida di Raffaello, che a Roma dispone di un suo palazzo e tratta alla pari con principi e cardinali: Baldassar Castiglione e Agostino Chigi sono suoi amici, la nipote del cardinal Bibbiena devesser la sua sposa. E Tiziano, se possibile, sale ancor pi in alto. La fama di primo pittore del tempo, la sua vita, il suo grado, i titoli lo elevano al pi alto rango sociale. Limperatore Carlo V lo nomina conte palatino e membro della corte imperiale, lo fa cavaliere dello Speron dOro e gli concede, insieme col titolo ereditario, tutta una serie di privilegi. I sovrani si affannano, spesso inutilmente, per ottenere un ritratto di sua mano; egli, come scrive lAretino, ha proventi da principe; per ogni ritratto limperatore gli invia ricchi doni; sua figlia Lavinia riceve una dote cospicua; Enrico III visita personalmente il vecchio pittore e quando egli, nel 1576, muore vittima della peste, la Repubblica lo fa seppellire con i pi grandi onori della chiesa dei Frari, malgrado il severo divieto, sempre osservato, di dar sepoltura nelle chiese agli appestati. Michelangelo infine sale a unaltezza senza precedenti. La sua importanza cos manifesta, chegli pu rinunziare del tutto a onori pubblici, titoli e distinzioni. Egli sprezza lamicizia dei principi e dei papi; pu permettersi di avversarli. Non conte, n consigliere, n sovrintendente pontificio, ma lo chiamano divino. Non vuole che nellindirizzo delle lettere lo si indichi

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come pittore o scultore: Michelangelo Buonarroti, n pi n meno; vuole avere come allievi giovani nobili, n ci sar imputato a semplice snobismo; afferma di dipingere col cervello e non colla mano e pi ancora vorrebbe evocare le figure dal blocco di marmo con la pura magia della sua visione. Evidentemente questo assai pi che orgoglio dellartista che si sente superiore allartigiano, al meccanico, al filisteo; lespressione invece del terrore di venire a contatto con la comune realt. Ci si rivela cos il primo artista moderno, solitario, posseduto dal demone il primo ossessionato dalla sua idea, che sola esiste per lui; il primo che si senta profondamente impegnato di fronte al suo genio e che nelle proprie facolt di artista scorga una superiore potenza che si impone alla sua stessa volont. Qui si giunge a una altezza sovrana, per cui impallidisce ogni precedente idea della libert artistica. A questo punto veramente compiuta lemancipazione dellartista; ora egli diventa il genio, quale ci appare dal Rinascimento in poi. Si compie infine, con un ultimo mutamento, la sua ascesa: non pi larte, ma lartista stesso diventa oggetto di venerazione, diventa di moda. Il mondo, di cui egli doveva celebrare la gloria, ora celebra la sua; il culto, di cui era strumento, ora viene tributato alla sua persona; la grazia divina si trasferisce dai suoi protettori a lui stesso. Veramente cera sempre stato un rapporto reciproco fra la gloria delleroe e quella del cantore, fra la gloria del mecenate e quella dellartista111; quanto pi famoso era lapologeta, tanto pi valida era la fama, chegli creava. Ma ora si giunti a tal punto che il mecenate si innalza nella misura in cui innalza lartista al di sopra di s e lo esalta anzich esserne esaltato. Carlo V si china a raccogliere il pennello caduto a Tiziano, e ritiene pi che naturale che un tale artista sia servito da un imperatore. La leggenda dellartista completa. Senza dubbio, centra un po di civetteria: lartista circonfuso

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di luce, perch altri brilli del suo riflesso. Ma cesser mai del tutto la reciprocit della riconoscenza e della lode, il tributo di stima e di onore per i servigi reciproci, la vicendevole salvaguardia degli interessi? Al massimo, sar velata. La fondamentale novit della concezione artistica del Rinascimento lidea del genio e la concezione dellopera darte come creazione dellautonoma personalit: questa superiore alla tradizione, alla scuola, alla regola, allopera stessa, che anzi trae da essa la propria legge; in altre parole, essa pi ricca e pi profonda dellopera e non pu esprimersi compiutamente in alcuna forma obiettiva. una concezione affatto estranea al Medioevo, che non riconosceva alcun particolare valore alloriginalit e alla spontaneit dello spirito, raccomandava limitazione dei maestri e ammetteva il plagio, e tuttal pi era sfiorato, ma non certo dominato, dallidea dellemulazione. Il genio come dono di Dio, come forza creatrice innata e intrasmissibile; la libert, anzi il dovere dellartista di seguire una propria, unica legge che giustifica la sua originalit e la sua ostinazione geniale: sono tutte idee che sorgono solo con la societ rinascimentale. In questa infatti lintimo dinamismo economico e il profondo spirito di concorrenza aprono allindividuo assai pi larghe possibilit e daltro canto la richiesta di pi ampi mezzi di propaganda da parte dei ceti dirigenti provoca un rialzo della domanda sul mercato artistico. Ma come lidea moderna di concorrenza ha lontane radici nel Medioevo, cos si mantiene vivo a lungo il concetto medievale di unarte obiettiva superiore alle inclinazioni individuali, e la concezione soggettiva della personalit artistica si fa strada solo assai lentamente anche dopo la fine del Medioevo. Il quadro dellindividualismo rinascimentale dunque da correggere in due sensi. Ma la tesi del Burckhardt non va respinta del tutto, perch, sebbene anche nel Medioevo

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ci fossero gi personalit forti e caratteristiche112, altro pensare e agire individualmente, altro esser coscienti della propria individualit, affermarla e deliberatamente potenziarla. Si pu parlare di individualismo in senso moderno solo quando ci si trova di fronte a una riflessa coscienza individuale, non di fronte a una semplice reazione soggettiva. La coscienza della propria individualit comincia nel Rinascimento, ma il Rinascimento non comincia con tale coscienza. Si cerca e si apprezza nellarte lespressione della personalit molto prima di essere consapevoli che larte si orienta non pi verso un obiettivo che cosa, ma verso un soggettivo come. Si continua a parlare del suo contenuto di realt obiettiva, quando gi da gran tempo essa diventata una confessione soggettiva e proprio come espressione soggettiva acquista un valore universale. La forza della personalit, lenergia intellettuale e la spontaneit dellindividuo costituiscono la grande esperienza del Rinascimento; e il genio, come quintessenza di tali facolt, diventa per esso lideale in cui si raccoglie lessenza dello spirito umano e il suo potere sulla realt. Una delle prime conseguenze del concetto di genio lidea di propriet intellettuale. Nel Medioevo essa manca, come manca laspirazione alloriginalit che le strettamente collegata. Finch larte tutta volta a rappresentare la divinit e lartista non che un mezzo attraverso il quale si palesa leterno, soprannaturale ordine delle cose, non si pu parlare n di autonomia dellarte, n di propriet artistica. molto facile stabilire relazioni tra propriet intellettuale e inizi del capitalismo, ma una tale connessione si baserebbe semplicemente sullequivoco. Lidea della produttivit e quindi della propriet intellettuale una conseguenza del decadere della civilt cristiana. Non appena la religione cessa di dominare e unificare in s lintera vita spirituale, ecco affacciarsi lidea dellautonomia delle diverse forme

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dello spirito, e quindi anche dellarte come forma spirituale che abbia in s il proprio senso e il proprio fine. Malgrado ogni pi tardo tentativo di ricondurre allunitario principio della religione lintera cultura, e quindi anche larte, non si riuscir mai pi a ricostituire lunit culturale del Medioevo e a negare interamente allarte la sua autonomia. Essa ormai, anche se volta a fini extraestetici, rimane bella e significativa in s. Ma non appena si cessa di considerare le singole creazioni dello spirito come forme diverse di ununica verit sostanziale, ecco presentarsi lidea di assumere come criterio del loro valore la singolarit e loriginalit. Il Trecento tutto sotto il segno di un solo maestro Giotto e della sua tradizione; nel Quattrocento cominciano ad affermarsi tendenze individuali dogni sorta. Loriginalit diventa unarma della concorrenza. La dinamica sociale simpadronisce dun mezzo, chessa non ha creato, ma che adatta ai suoi fini, accrescendone lefficacia. Finch il mercato rimane in complesso favorevole agli artisti, il desiderio di unespressione personale ancora non si converte in ricerca di originalit; questo avviene solo col Manierismo, quando le mutate condizioni generali turbano sensibilmente il mercato artistico. Il tipo del genio originale tuttavia appare solo nel Settecento, quando gli artisti, nella transizione dal mecenatismo ai rischi del libero mercato, si trovano a dover combattere pi duramente che mai per lesistenza materiale. Lo sviluppo pi significativo del concetto di genio si ha nello spostarsi dellinteresse dal lavoro concreto alla semplice attitudine, dallopera alla persona dellartista, dal risultato allintento e allidea. E solo unepoca per la quale lespressione personale era diventata significativa in se stessa e rivelatrice dellattivit dello spirito poteva compiere questo passaggio. Che segni precursori di tale tendenza esistessero gi nel Quattrocento, lo

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mostra, fra laltro, un passo del trattato del Filarete, dove le forme di unopera darte sono paragonate ai caratteri di un manoscritto, dai quali si pu subito riconoscere la mano dello scrittore113. La comprensione e la crescente predilezione per il disegno, labbozzo, lo schizzo, il bozzetto, e in genere per lincompiuto, sono altri passi nella stessa direzione. Cos lorigine del gusto per il frammento da ricercare nella concezione soggettiva dellarte, nellattrazione che esercita lidea del genio; labitudine di studiare i torsi antichi ha potuto, al massimo, accrescerla. Il disegno, lo schizzo era pieno dinteresse per il Rinascimento non solo come risultato artistico, ma anche come documento, come testimonianza di un momento del processo creativo; vi si scorgeva insomma una forma espressiva particolare, distinta dallopera finita; vi si apprezzava il fatto che in esso era colta linvenzione alla sua origine, quasi non ancor separata dal soggetto creatore. Vasari dice che Paolo Uccello ha lasciato tanti disegni da riempirne casse intere. Del Medioevo, invece, non ce ne sono quasi pervenuti. A parte il fatto che lartista medievale certo non attribuiva alle idee momentanee la stessa importanza dei maestri pi tardi, e probabilmente non riteneva che valesse la pena di fissare ogni fuggevole idea, certo altre cause spiegano la rarit dei disegni medievali: anzitutto il disegno si diffuse universalmente solo quando si pot disporre di carta adatta e facilmente accessibile114, inoltre solo una parte relativamente piccola dei disegni effettivamente eseguiti ci pervenuta. Della loro distruzione tuttavia il tempo non il solo responsabile; evidentemente della loro conservazione ci si curava meno allora di quanto si fece pi tardi, e in questa mancanza dinteresse si rivela appunto la differenza fra la concezione artistica del Medioevo, sostanzialmente orientato verso lobiettivit, e quella soggettivistica del Rinascimento. Per il Medioevo lopera darte aveva solo un valore

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oggettivo, per il Rinascimento aveva valore anche come espressione della personalit. E appunto allora il disegno assunse valore di forma tipica del creare artistico, perch metteva nella massima evidenza quel che di frammentario, di non finito e di non finibile inerente a ogni opera darte. Lesaltazione dellattitudine rispetto allopera attuata, tratto essenziale del concetto di genio, sta a significare appunto che non si ritiene che la genialit possa mai realizzarsi interamente, e questo spiega perch si sia visto nel disegno con le sue lacune una tipica forma dellarte. Dal genio incapace di piena e perfetta comunicazione, al genio incompreso che si appella alla posterit contro il giudizio dei contemporanei, non cera che un passo. Il Rinascimento non lo comp mai. Non perch intendesse larte meglio dei tempi successivi, in cui invece ci furono veramente geni incompresi, ma perch allora la lotta per lesistenza nel campo dellarte si svolgeva in forme ancora relativamente innocue. Tuttavia il concetto di genio acquista gi ora alcuni tratti dialettici e gi lascia intravvedere lapparato difensivo, che lartista opporr sia al volgo incompetente dei filistei, sia a quello degli acciarponi e dei dilettanti. Contro i primi egli si trincerer dietro la maschera delleccentrico, contro gli altri accentuer il carattere innato del suo talento, loriginalit della sua arte che non si pu imparare. Francisco de Hollanda nel suo trattato della pittura (1548) osserva che ogni personalit notevole ha in s qualcosa di bizzarro, e sottolinea lidea, allora non pi del tutto nuova, che artista vero si nasce. La teoria del genio ispirato, le cui facolt sono di natura sovraindividuale e irrazionale, prova che si sta costituendo una nuova aristocrazia intellettuale, in cui ognuno preferisce rinunziare al merito personale, alla virt nel senso quattrocentesco, pur di distinguersi pi nettamente dagli altri.

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Lautonomia dellarte esprime in forma obiettiva, cio dal punto di vista dellopera, quel che il concetto di genio esprime in forma soggettiva, dal punto di vista dellartista. Lautonomia delle creazioni spirituali il correlativo della spontaneit dello spirito. Ma per il Rinascimento lautonomia dellarte significa soltanto lindipendenza dalla Chiesa e dalla metafisica chessa propone, non gi unautonomia assoluta, totale. Larte si libera dai dogmi ecclesiastici, ma aderisce pur sempre alla visione scientifica del mondo, propria del tempo; lartista si emancipa dal clero, ma si vincola ben pi strettamente alla cerchia umanistica. Tuttavia larte non diventa ancella della scienza, come nel Medioevo era ancella della teologia. Piuttosto, essa e rimane una sfera privilegiata in cui, lungi dal mondo, lo spirito si compiace, indugiando in spirituali godimenti di natura particolarissima. E, quando in essa si muove, luomo lontano tanto dalla vita pratica quanto dal mondo trascendente della fede. Larte pu servire ai fini della religione, e trovarsi a risolvere problemi in comune con la scienza; ma, per quanto essa assolva a funzioni extrartistiche, si pu sempre considerare come avente in se stessa il proprio oggetto. questo il lato nuovo, cui il Medioevo non poteva arrivare. Ci non vuol dire che prima del Rinascimento non si sentisse o non si godesse la qualit formale di unopera darte; ma non se ne aveva coscienza e, quando alla reazione sentimentale subentrava la riflessione, si giudicava secondo il soggetto, il significato e il valore simbolico. Linteresse del Medioevo per larte riguardava largomento; e non solo per larte cristiana contemporanea la considerazione ultima verteva esclusivamente sul contenuto: la stessa arte classica era giudicata da un punto di vista puramente contenutistico115. Il sovvertimento rinascimentale dei rapporti con larte e la letteratura classica non si deve attribuire alla scoperta di nuovi autori e di nuove opere,

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quanto piuttosto allo spostarsi dellinteresse dal contenuto alla forma, si trattasse di nuove scoperte o di monumenti gi noti116. Ed significativo che il pubblico ora fa proprio latteggiamento degli artisti e giudica larte, non pi col metro della religione e della vita, ma con quello dellarte. Larte del Medioevo mirava a interpretare la vita, quella del Rinascimento ad arricchirla; luna tendeva a elevare luomo, laltra a dilettarlo. Alla sfera empirica e a quella trascendente, le sole che lo spirito medievale conoscesse, unaltra se ne aggiunge, in cui sia le forme dellesperienza mondana, sia gli archetipi metafisici delle cose acquistano un senso particolare e nuovissimo. Lidea dellarte autonoma, disinteressata, godibile in s era gi familiare allantichit; il Rinascimento non fece che trarla dalloblio medievale. Ma prima di allora mai si era concepita lidea che una vita dedita al godimento dellarte potesse costituire una forma pi alta e pi nobile desistenza. Plotino e i neoplatonici, che pure avevano attribuito allarte un alto significato, ne negarono in pari tempo lautonomia, facendone un puro veicolo della conoscenza intellettiva. Lidea, gi accennata in Petrarca117, di unarte del tutto autonoma e che, bench indipendente dal resto del mondo spirituale, anzi proprio in grazia di quella bellezza che ha in s le sue ragioni, assurga ad educatrice dellumanit, estranea tanto al Medioevo quanto alla classicit. E tale tutto lestetismo del Rinascimento. vero che anche nella tarda antichit era avvenuto che i criteri dellarte si estendessero alla vita intera, pure sarebbe impossibile trovare nei secoli avanti il Rinascimento un episodio analogo a quello del credente che, sul letto di morte, si rifiuta di baciare il Crocifisso che gli presentato, perch brutto, e ne vuole uno pi bello118. Il concetto rinascimentale dellautonomia dellarte non , per altro, rigoroso, puristico; gli artisti cercano

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di spezzare i ceppi del pensiero scolastico, ma non hanno lambizione di reggersi da soli, n pensano a fare dellindipendenza dellarte una questione di principio. Anzi, essi sottolineano la natura scientifica della loro attivit. Soltanto nel Cinquecento si sciolgono i legami che facevano di scienza e arte un mezzo omogeneo per la conoscenza del mondo esterno; solo allora sorge lidea di unarte autonoma anche di fronte alla scienza. In certe situazioni larte pare orientarsi scientificamente, mentre la scienza per contro pare seguire criteri estetici. Nel Quattrocento il contenuto di verit dellarte lo si commisura con criteri scientifici; nel tardo Cinquecento invece e nellet barocca la concezione scientifica del mondo viene costruita in gran parte secondo criteri artistici. La prospettiva dei pittori quattrocenteschi una concezione scientifica; luniverso di Keplero e di Galileo , in fondo, una visione estetica. Con ragione Dilthey mette in rilievo un aspetto di fantasia artistica nellindagine scientifica rinascimentale119, ma con altrettanta ragione si potrebbe parlare di un contributo della fantasia scientifica alle creazioni dellarte quattrocentesca. Il prestigio che dotti e scienziati ebbero nel Quattrocento sar uguagliato solo nellOttocento. Entrambe queste epoche diressero i loro sforzi a incoraggiare per nuove vie e con nuovi mezzi, con nuovi metodi scientifici e invenzioni tecniche, lespansione delleconomia. Ci spiega in parte il primato della scienza e il rispetto nelluno e nellaltro secolo per i suoi cultori. Ci che, nelle arti figurative, Adolf Hildebrandt e Bernard Berenson intendono per forma120, un concetto teoretico pi che estetico, al pari della prospettiva dellAlberti e di Piero della Francesca. Le due categorie sono in realt guide per muoversi nel mondo dellesperienza sensibile, mezzi per chiarire i rapporti spaziali, strumenti per la conoscenza visiva. La concezione este-

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tica dellOttocento non pu ingannare sul carattere teoretico dei suoi princip artistici, come nel Rinascimento lamore dellarte non riesce a celare linteresse prevalentemente scientifico che esso ha per il mondo esterno. Nei valori spaziali di Hildebrandt, nel geometrismo di Czanne, nellattrazione che la fisiologia esercita sugli impressionisti, e la psicologia su tutta la moderna narrativa e sul dramma, dovunque ci volgiamo, notiamo lo sforzo di orizzontarsi nella realt empirica, di comprendere limmagine del mondo naturale, di accrescere i dati dellesperienza, di ordinarli ed elaborarli in un sistema razionale. Per lOttocento larte un mezzo per conoscere il mondo esterno, una forma di esperienza della vita, di analisi e dinterpretazione delluomo. Ma questo naturalismo volto a una conoscenza obiettiva nasce proprio nel Quattrocento; solo allora larte compie il suo primo tirocinio scientifico, e ancor oggi vive, almeno in parte, sul capitale allora tesaurizzato. I suoi strumenti erano matematica e geometria, ottica e meccanica, teoria della luce e dei colori, anatomia e fisiologia; i suoi problemi erano la natura dello spazio e la struttura del corpo umano, il movimento e le proporzioni, la tecnica dei panneggi e le propriet dei pigmenti. Ma, ad onta dei suoi tanti aspetti scientifici, il naturalismo del Quattrocento non era che finzione; lo rivela chiaramente quella che si pu considerare la sua pi tipica formula espressiva: la prospettiva centrale. In s la prospettiva non era una scoperta del Rinascimento121. Gi lantichit conosceva lo scorcio e riduceva le dimensioni degli oggetti in ragione della loro distanza dallosservatore; ma non riusc mai a dare dello spazio una rappresentazione prospetticamente unitaria, costruita su un unico punto di vista; non seppe o non volle rappresentare in ununit continua i diversi oggetti e gli spazi tra essi interposti. Lo spazio nelle opere antiche risultava dal comporsi di parti ed elementi disparati, non costi-

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tuiva un continuum unitario; riprendendo una distinzione del Panofsky, era piuttosto un aggregato che un sistema spaziale. Solo a partire dal Rinascimento la pittura si fonda sul presupposto che lo spazio in cui si trovano le cose sia un elemento infinito, continuo e omogeneo, e che di regola noi vediamo le cose unitariamente, cio con un unico e immobile occhio122. Ci che di fatto noi percepiamo invece uno spazio limitato, discontinuo, composto di elementi eterogenei. La nostra immagine dello spazio in realt deformata e sfocata ai margini, il suo contenuto si divide in gruppi e pezzi pi o meno indipendenti; e poich il nostro campo visivo fisiologicamente sferoidale, in parte noi vediamo curve invece di rette. Perci unardita astrazione la prospettiva lineare quale ce la presenta larte rinascimentale, cio con limmagine di uno spazio uniformemente chiaro e coerentemente costruito in tutte le sue parti, con un comune punto di concorso delle parallele e un modulo costante nella misura della giusta distanza: quellimmagine insomma che lAlberti defin come sezione trasversale della piramide visiva. La prospettiva centrale ci d uno spazio matematicamente esatto, ma psico-fisiologicamente irreale. Solo unepoca cos intimamente permeata di scienza, come i secoli tra il Rinascimento e la fine dellOttocento, poteva considerare questa visione assolutamente razionale dello spazio come una traduzione adeguata della reale impressione ottica. Allora infatti unit e coerenza eran considerate i pi alti criteri di verit. Solo recentemente abbiamo riacquistato la consapevolezza che noi non vediamo la realt come un tutto spazialmente unitario e conchiuso, ma che invece la nostra percezione si compie su gruppi sparsi di oggetti e da diversi punti di vista: la veduta complessiva si costruisce mentre il nostro sguardo si sposta dalluno allaltro, mediante laddizione di singole vedute parziali, con unoperazione analoga in certo modo a

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quella di un Lorenzetti nei suoi grandi affreschi di Siena. Certo la rappresentazione discontinua dello spazio in questi affreschi oggi persuade pi di quella perfettamente unitaria che i maestri del Quattrocento realizzavano sulla scorta della prospettiva centrale123. Si ritenuta peculiare del Rinascimento la versatilit degli ingegni e specialmente lattitudine, in una sola persona, allarte e alla scienza nello stesso tempo. Tuttavia il fenomeno di artisti che furono esperti di tecniche diverse, di un Giotto, un Orcagna, un Brunelleschi, un Benedetto da Maiano, un Leonardo da Vinci che furono insieme architetti, scultori e pittori; di un Pisanello, di un Antonio del Pollaiolo, di un Verrocchio che furono scultori, pittori, orafi e medaglisti; di un Raffaello che, nonostante la pi avanzata specializzazione, fu ancora pittore e architetto, e di un Michelangelo scultore, pittore, architetto, si spiega pi con il carattere di mestiere proprio delle arti figurative che non con un ideale rinascimentale di versatilit. Questa, in campo scientifico e tecnico, propriamente una virt medievale; il Quattrocento la eredita insieme con la tradizione artigiana e se ne allontana poi via via che si allontana dallo spirito di mestiere. Nel tardo Cinquecento sempre pi raro il caso dellartista che si dedica a tecniche diverse. Tuttavia, con la vittoria dellideale umanistico di cultura e con la concezione delluomo universale torna a prevalere una tendenza opposta alla specializzazione che porta al culto di una versatilit non pi di natura artigiana, ma dilettantesca. Alla fine del Quattrocento le due opposte correnti si trovano di fronte: per quanto abbia corso luniversalismo umanistico ispirato dagli alti ceti, che induce gli artisti a completare le loro capacit tecniche con cognizioni intellettuali, tuttavia si fa strada il principio della divisione del lavoro e della specializzazione, che finisce col prevalere anche in arte. Gi Cardano sottolinea che loccuparsi di molte cose

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porta al discredito di un intellettuale. Daltra parte di contro alla generale tendenza alla specializzazione merita di essere rilevato il fatto singolare che dei maggiori architetti del Cinquecento il solo Antonio da Sangallo si era subito avviato a quella carriera: Bramante in origine era stato pittore, Raffaello e il Peruzzi restarono tali nonostante la loro attivit di architetti, e Michelangelo era e rimase soprattutto scultore. Il fatto che ci si avviasse relativamente tardi alla professione di architetto e che per essa la preparazione di molti maestri fosse soprattutto teorica, dimostra quanto rapidamente leducazione artigiana venisse soppiantata da quella intellettuale e accademica; daltro canto sta ad indicare come larchitettura diventi in parte un passatempo da signori, spesso esercitata come attivit accessoria. E infatti i grandi signori vi si erano sempre dedicati con passione, non solo come fabbricieri, ma anche come costruttori dilettanti. Al Ghiberti erano occorsi decenni per compiere le porte del Battistero, e Luca della Robbia aveva speso poco meno di dieci anni intorno alla sua cantoria per il duomo fiorentino. Invece il metodo del Ghirlandaio si caratterizza per una geniale tecnica da fa presto, e Vasari proprio nella facilit e nella prestezza scorge un segno distintivo dellautentica natura artistica124. Dilettantismo e virtuosismo, per quanto contraddittori, si trovano uniti nella figura dellumanista, che giustamente stato definito il virtuoso della vita intellettuale, ma si potrebbe altrettanto bene qualificare come leterno, puro, infaticabile dilettante. Le due caratteristiche rientrano in quellideale della personalit che gli umanisti si sforzano di attuare, e nella paradossale unione si tradisce appunto la problematica natura della loro vita di intellettuali. Tale problematicit ha la sua origine nel modo stesso in cui intesa la condizione del letterato, di cui gli umanisti sono i primi rappresentanti, e soprat-

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tutto nella loro pretesa a una completa indipendenza, pretesa che contraddetta dal fatto che essi sono ancora legati in molte guise. Nel Trecento gli scrittori italiani provenivano per lo pi dai ceti superiori, dal patriziato urbano o da facoltose famiglie mercantili. Nobili erano Cavalcanti e Cino da Pistoia; Petrarca figlio di un notaio e notaio Brunetto Latini; Villani e Sacchetti erano agiati mercanti, come i genitori del Boccaccio e del Sercambi. Essi non avevano pi nulla in comune con i giullari medievali125. Ma gli umanisti non sono una categoria omogenea; non li assimila il ceto o il grado, non la cultura o la professione; fra di loro si incontrano chierici e laici, ricchi e poveri, alti funzionari e modesti notai, piccoli mercanti e maestri di scuola, giuristi ed eruditi126. I rappresentanti dei ceti inferiori vi si fanno sempre pi numerosi. Il pi celebre, il pi influente, il pi temuto di tutti il figlio di un calzolaio. Tutti son figli della citt ecco almeno un carattere comune. Molti di loro sono di famiglia povera, alcuni son fanciulli prodigio che, destinati a una carriera piena di promesse, apertasi allimprovviso, si trovano fin dallinizio in condizioni eccezionali. Le ambizioni precoci e smodate, lo studio intenso, spesso assillato dalla povert, lingrato lavoro di precettori e segretari, la caccia alla posizione e alla fama, le esaltate amicizie e i rancori ostinati, il facile successo o il fallimento immeritato, gli onori e la fama per gli uni, la vita raminga per gli altri: tutto ci non poteva passar sopra di loro senza gravi danni morali. Le condizioni sociali del tempo offrivano a un letterato grandi possibilit, ma minacciavano anche pericoli, fatti apposta per avvelenare fin dallinizio lanima di un giovane dingegno. Il formarsi, con lumanesimo, di una classe di letterati, teoricamente almeno, liberi, presuppone una classe agiata relativamente ampia, adatta a costituire un pubblico letterario. Veramente lumanesimo ebbe fin

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da principio i suoi massimi centri presso le corti e le cancellerie di stato, ma la maggior parte dei suoi fautori eran facoltosi mercanti e altra gente, cui lo sviluppo del capitalismo aveva dato ricchezza e autorit. La letteratura medievale era ancora destinata a una cerchia ristretta, solitamente ben nota allautore; gli umanisti sono i primi che si rivolgono con i loro scritti a un pubblico pi vasto, in parte sconosciuto. Dai loro tempi ha inizio qualcosa come un libero mercato letterario e una pubblica opinione che, promossa dalla letteratura, ne subisce linflusso. I loro discorsi e libelli sono le prime forme della moderna pubblicistica; le loro lettere, che raggiungevano cerchie relativamente ampie, sono i giornali del tempo127. LAretino il primo giornalista, e per giunta un giornalista ricattatore. La libert, a cui egli deve la propria posizione, era possibile solo in un tempo in cui lo scrittore non dipendeva pi da un mecenate o da un circolo severamente ristretto di protettori, ma per le produzioni del suo intelletto poteva trovare tanti clienti, da non dover pi usare alcun riguardo per nessuno. Tutto sommato per, era ancora un pubblico colto relativamente esiguo quello su cui potevan contare gli umanisti che, a differenza dei letterati moderni, vivevano da parassiti, a meno che la ricchezza familiare non assicurasse loro una piena indipendenza. Per lo pi essi non avevano altra possibilit che affidarsi al favore della corte o al mecenatismo di un autorevole cittadino, e di solito erano assunti come segretari o precettori. Il vitto e i regali di un tempo erano ormai sostituiti da stipendi statali, pensioni, prebende, benefizi; il loro mantenimento, piuttosto costoso, rientrava tra le spese di rappresentanza della nuova classe dirigente. Invece del cantore e del buffone, ora i signori tenevano a corte i propri storiografi e umanisti, veri e propri professionisti del panegirico, che di solito rendevano, in forma un po pi elevata, gli stessi servigi dei loro predecessori. Da loro

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per altro si esigeva di pi. Infatti, come un tempo lalta borghesia sera alleata alla nobilt di sangue, cos ora intendeva allearsi alla nobilt dellintelletto. Come quella prima grande alleanza laveva resa partecipe dei privilegi della nascita, questa doveva assicurale la nobilt intellettuale. Irretiti nella finzione della loro libert, gli umanisti dovevano sentirsi umiliati di dipendere dalla classe dominante. Il mecenatismo, quellistituzione antichissima e semplice che per un poeta del Medioevo contava ancora fra le cose pi naturali del mondo, perde ai loro occhi il suo carattere innocuo. Il rapporto dellintellettuale con la potenza e la ricchezza si complica sempre pi. In principio gli umanisti professavano lo stoicismo dei vagantes e dei monaci mendicanti, negando ogni valore alla ricchezza. Finch furono poveri studenti, maestri, letterati vagabondi, non si sentirono indotti a mutare questa opinione, ma quando entrarono in contatto pi stretto con la classe ricca sorse in loro un insanabile conflitto fra le antiche vedute e il nuovo modo di vita128. Il sofista greco, il retore romano, il chierico medievale non pensarono mai di uscir dalla propria posizione essenzialmente contemplativa o al pi attiva nellambito pedagogico per rivaleggiare con le classi dominanti. Gli umanisti sono i primi intellettuali che aspirano ai privilegi della propriet e del grado, e lorgoglio dellintellettuale, fenomeno finora ignoto, la difesa psicologica con cui essi reagiscono allinsuccesso. Il loro sforzo di elevazione sociale viene dapprima incoraggiato e favorito dallalto, ma alla fine represso. Esiste fin dal principio una reciproca diffidenza fra lorgogliosa classe colta, ribelle a ogni vincolo, e quella degli uomini daffari, prosaici e, in fondo, estranei alla sfera intellettuale129. Infatti, come let di Platone aveva sentito nettamente il pericolo implicito nel pensiero dei sofisti, cos ora la classe dirigente, con tutta la sua simpatia per lu-

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manesimo, non pu celare il suo sospetto contro gli umanisti che, privi di ogni base sociale, costituiscono di fatto un elemento distruttivo. Ma il conflitto latente fra laristocrazia intellettuale e quella economica non si manifesta ancora apertamente, almeno fra gli artisti che in questo caso reagiscono pi lentamente dei loro dotti maestri, in genere dotati di pi viva coscienza sociale. Tuttavia il problema, se pur eluso e non formulato, sempre e dappertutto presente, e ogni intellettuale, artista o letterato che sia, corre il rischio o di finire in una bohme di spostati rosi da risentimenti antisociali, o di arrendersi alla cerchia degli accademici conservatori e servili. Di fronte a una simile alternativa, gli umanisti si rifugiano nella torre davorio, per poi soggiacere alla fine a entrambi i pericoli cui volevano sfuggire. Tutto lestetismo moderno li segue su questa via e si riduce cos ad essere fuori della societ e, in una condizione passiva, serve gli interessi dei conservatori, senza poter inserirsi nellordine chesso appoggia. Per indipendenza lumanista intende assenza di vincoli; il suo disinteresse sociale in realt un estraniarsi; la sua fuga dalla vita reale, irresponsabilit. Per non legarsi, egli si proibisce ogni attivit politica, ma con la sua passivit rafforza i potenti: la trahison des clercs verso lo spirito questa, e non gi limpegno politico, di cui lintellettuale fu recentemente incolpato130. Lumanista perde il contatto con la realt, diventa un romantico che chiama disprezzo del mondo il suo straniarsi da esso, libert intellettuale la propria indifferenza, sovranit morale la sua mancanza di responsabilit civile. Per lui vita vuol dire, secondo il giudizio di uno studioso del Rinascimento, scrivere uneletta prosa, tornir versi raffinati, tradurre dal greco in latino... Ai suoi occhi lessenziale non che i Galli siano stati sconfitti, ma che siano stati scritti i commentari della loro sconfitta... il valore del fatto cede al valore

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dello stile...131. Gli artisti del Rinascimento non sono ancora straniati a tal punto dal loro ambiente, ma la loro vita spirituale ormai minata ed essi non riescono a ritrovare quellequilibrio con cui sinserivano nelledificio sociale del Medioevo. Stanno al bivio tra lattivismo e lestetismo. Oppure hanno gi scelto? Comunque, perduto per loro quel che per il Medioevo era del tutto naturale e ingenuo: lunione della forma artistica con fini che la trascendono. Ma fra gli umanisti non vi sono soltanto begli ingegni apolitici, fatui parlatori, romantici che fuggono la realt; vi sono anche ispirati riformatori, illuministi fanatici e anzitutto instancabili pedagoghi che pensano con passione al futuro. Pittori e scultori del Rinascimento debbono a questi non soltanto lastratto estetismo, ma anche lidea dellartista come eroe intellettuale e la concezione dellarte come educatrice dellumanit. Sono stati loro appunto i primi a fare dellarte un elemento essenziale della cultura intellettuale e morale.

Cfr. j. huizinga, Das Problem der Renaissance, in Wege der Kulturgeschichte, 1930, pp. 134 sgg.; g. m. trevelyan, English Social History, 1944, p. 97 [trad. it., Storia della societ inglese, Torino 1948]. 2 j. michelet, Histoire de France, VII, Renaissance, 1855, p. 6. 3 Cfr. adolf philippi, Der Begriff der Renaissance, 1912, p. 111. 4 ernst troeltsch, Renaissance und Reformation, in Historische Zeitschrift, vol. CX, 1913, p. 530. 5 ernst walser, Studien zur Weltanschauung der Renaissance, 1920, in Gesammelte Studien zur Geistesgeschichte der Renaissance, 1932, p. 102. 6 Cfr. karl borinski, Der Streit um die Renaissance und die Entstehungsgeschichte der historischen Beziehungsbegriffe Renaissance und Mittelalter, in Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaft, 1919, pp. 1 sgg. 7 karl brandi, Die Renaissance, in Propylen-Weltgeschichte, IV, 1932, p. 160. 8 werner kgi, ber die Renaissanceforschung Ernst Walsers, in ernst walser, Gesammelte Studien cit., p. xxviii.
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Arnold Hauser Storia sociale dellarte Cos, per esempio, anche in georges renard, Histoire du travail Florence, II, 1914, p. 219. 10 e. walser, Studien zur Weltanschauung ecc. cit., p.118. 11 Sulla posizione di Nietzsche di fronte a Heinse, cfr. walter brecht, Heinse und der sthetische Immoralismus, 1911, p. 62. 12 w. kgi, ber die Renaissanceforschung ecc. cit., p. xli. 13 j. huizinga, Herbst des Mittelalters, 1928, p. 468 [trad. it., LAutunno del Medioevo, Firenze 1942]. 14 dagobert frey, Gotik und Renaissance, 1929, p. 38. 15 Cfr., per quanto segue, id., Gothic und Renaissance cit., p. 194. 16 j. c. scaliger, Potices libri septem, VI, 1591, 21. 17 Dagobert Frey, nella concezione dello spazio come successione o come simultaneit, indica la differenza fra la concezione artistica medievale e quella del Rinascimento; evidentemente si appoggia alla distinzione di Erwin Panofsky fra aggregato e sistema spaziale (Die Perspektive als symbolische Form, in Vortrge der Bibliothek Warburg, Vortrge 1924-23, Leipzig-Berlin 1927; trad. it., La prospettiva come forma simbolica e altri scritti, Milano 1961). La tesi del Panofsky riprende la teoria di Wickhoff sulla rappresentazione continua o distinguente, che a sua volta pu essere stata stimolata dallidea di Lessing del momento pregnante. 18 scaliger, Potices libri septem cit. 19 jakob strieder, Werden und Wachsen des europischen Frhkapitalismus, in Propylen-Weltgeschichte, IV, 1932, p. 8. 20 id., Jakob Fugger, 1926, pp. 7-8. 21 werner weisbach, Renaissance als Stilbegriff, in Historische Zeitschrift, vol. CXX, 1919, p. 262. 22 henri thode, Franz von Assisi und die Anfnge der Kunst der Renaissance, 1885; id., Die Renaissance, in Bayreuther Bltter, 1899; mile gebhardt, Origines de la Renaissance en Italie, 1879; id., Italie mystique, 1890; paul sabatier, Vie de Saint Franois dAssise, 1893. 23 konrad burdach, Reformation Renaissance Humanismus, 1918, p. 138. 24 carl neumann, Byzantinische Kultur und Renaissancekultur, in Historische Zeitschrift, vol. XXI, 1903, pp. 215, 228, 231. 25 louis courajod, Leons professe lcole du Louvre, II, 1901, p. 142. 26 j. strieder, Studien zur Geschichte der kapitalistichen Organisationsformen, 1914, p. 57. 27 julien luchaire, Les Socits italiennes du XIIIe au XVe sicle, 1933, p. 92. 28 max weber, Wirtschaft und Gesellschaft, 1922, p. 573. 29 robert davidsohn, Forschungen zur Geschichte von Florenz, IV, 1908, p. 268.
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Arnold Hauser Storia sociale dellarte m. weber, Wirtschaft ecc. cit., p. 562. Ibid., p. 565. 32 alfred doren, Italienische Wirtschaftsgeschichte, I, 1934, p. 358. Cfr., invece, r. davidsohn, Geschichte von Florenz, IV, 2, 1925, pp. 1-2. 33 a. doren, Studien zu der Florentiner Wirtschaftsgeschichte, I, Die Florentiner Wollentuchindustrie, 1901, p. 399. 34 id., Studien zu der Florentiner Wirtschaftsgeschichte, II, Das Florentiner Zunftwesen, 1908, p. 752. 35 id., Die Florentiner Wollentuchindustrie cit., p. 458. 36 r. davrdsohn, Geschichte von Florenz cit., IV, 2, p. 5. 37 Cfr. g. renard, Histoire du travail ecc. cit., pp. 132-33. 38 a. doren, Das Florentiner Zunftwesen cit., p. 726. 39 r. davidsohn, Geschichte von Florenz cit., IV, 2, pp. 6-7. 40 ferdinand schewill, History of Florence, p. 362. 41 a. doren, Die Florentiner Wollentuchindustrie cit., p. 413. 42 werner sombart, Der moderne Kapitalismus, I, 1902, pp. 174 sgg.; georg von below, Die Entstehung des modernen Kapitalismus, in Historische Zeitschrift, vol. XCI, 1903, pp. 433-34. 43 w. sombart, Der Bourgeois, 1913. 44 Cfr. jacob burckhardt, Die Kultur der Renaissance, 1908, 10a ed., I, pp. 26, 51 [trad. it., La civilt del Rinascimento, 4a ed., Firenze 1943]. 45 m. DVOK, Die Illuminatoren des Johann Neumarkt, in Jahrbuch der kunstshistorischen Sammlungen des Allerhchsten Kaiserhauses, xxii, 1901, pp. 115 sgg. 46 Cfr., per quanto segue, georg gombosi, Spinello Aretino, 1926, pp. 7-11. 47 Ibid., pp. 12-14. 48 bernard berenson, The Italian Painters ot the Renaissance, 1930, p. 76 [trad. it., Pittori italiani del Rinascimento, Milano]; cfr. roberto salvini, Zur Florentiner Malerei des Trecento, in Kritische Berichte zur kunstgeschichtlichen Literatur, vi, 1937. 49 adolfo gaspary, Storia della letteratura italiana, I, 1887, p. 97. 50 w. weisbach, Francesco Pesellino und die Romantik der Renaissance, 1901, p. 13. 51 julius von schlosser, Ein veronesisches Bilderbuch und die hfische Kunst des XIV. Jahrhunderts, in Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen des Allerhchsten Kaiserhauses, 1895, vol. XVI, pp. 173 sgg. 52 a. gaspary, Storia della letteratura italiana cit., I, pp. 108-9. 53 wilhelm pinder, Das Problem der Generation, 1926, p. 12 e passim. 54 wilhelm von bode, Die Kunst der Frhrenaissance in Italien, 1923, p. 80.
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Arnold Hauser Storia sociale dellarte richard hamann, Die Frhrenaissance der italienischen Malerei, 1909, pp. 2-3, 16-17; id., Geschichte der Kunst, 1932, p. 417. 56 friedrich antal, Studien zur Gotik im Quattrocento, in Jahrbuch der Preussischen Kunstsammlungen, vol. XLVI, 1925, pp. 18 sgg. 57 Cfr. henry pirenne, Les priodes de lhistoire sociale du capitalisme, in Bulletins de lAcadmie Royale de Belgique, 1914, pp. 259-60, 290 e passim. 58 a. doren, Die Florentiner Wollentuchindustrie cit., p. 438. 59 Ibid., p. 428. 60 Cfr. martin wackernagel, Der Lebensraum des Knstlers in der Florentiner Renaissance, 1938, p. 214. 61 a. doren, Italienische Wirtschaftsgeschichte cit., I, pp. 561-562. 62 id., Das Florentiner Zunftwesen cit., p. 706. 63 Ibid., pp. 709-10. 64 Cfr., per quanto segue, m. wackernagel, Der Lebensraum ecc. cit., p. 234. 65 Cfr. ibid., pp. 9-10. 66 Ibid., p. 291. 67 Ibid., pp. 289-90. 68 robert saitschick, Menschen und Kunst der italienischen Renaissance, 1903, p. 188. 69 Citato da alfred von reumont, Lorenzo de Medici, 1883, II, p. 121. 70 ernst cassirer, Individuum und Kosmos in der Philosophie der Renaissance, 1927, pp. 177-78 [trad. it., Individuo e Cosmo nella filosofia del Rinascimento, Firenze 1935]. 71 richard hnigswald, Denker der italienischen Renaissance, 1938, p. 25. 72 Cfr. anthony blunt, Artistic Theory in Italy, 1940, p. 21. 73 w. von bode, Bertoldo und Lorenzo de Medici, 1925, p. 14. 74 id., Die Kunst der Frhrenaissance ecc. cit., p. 81. 75 j. burkhardt, Beitrge zur Kunstgeschichte Italiens, 1911, 2a ed., p. 397. 76 lothar brieger, Die grossen Kunstsammler, 1931, p. 62. 77 j. von schlosser, Ein veronesisches Bilderbuch ecc. cit., p. 194. 78 georg voigt, Die Wiederbelebung des klassischen Altertums, 1893, 3a ed., I, p, 445. 79 j. burkhardt, Die Kultur der Renaissance cit., I, p. 53. 80 w b. castiglione, Il Cortegiano, 1. III, cap. XII. 81 m. wackernagel, Der Lebensraum des Knstlers cit., p. 307. 82 Ibid., p. 306. 83 Ibid., p 307. 84 m. wackernagel, Aus dem Florentiner Kunstleben der Renaissan55

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Arnold Hauser Storia sociale dellarte cezeit, in Vier Aufstze ber geschichtliche und gegenwrtige Faktoren des Kunstlebens, 1936, p. 13. 85 thieme-becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Knstler, III, 1909. 86 g. b. armenini, De veri precetti della pittura, 1586. 87 Cfr. albert dresdner, Die Entstehung der Knstkritik, 1915, pp. 86-87. 88 kenneth clark, Leonardo da Vinci, 1939, pp. 11-12. 89 Cfr., per quanto segue, m. wackernagel, Der Lebensraum des Knstlers cit., pp. 316 sgg. 90 a. dresdner, Die Entstehung der Kunstkritik cit., 94. 91 gaye, Carteggio inedito dartisti dei sec. XIV-XVI, I, 1839-1840, p. 115. 92 maud j. jerrold, Italy in the Renaissance, 1927, p. 35. 93 h. lerner-lehmkuhl, Zur Struktur und Geschichte des florentiner Kunstmarktes im XV. Jahrhundert, pp. 28-29. 94 Ibid., pp. 38-39. 95 Ibid., p. 50. 96 m. wackernagel, Der Lebensraum des Knstlers cit., p. 355. 97 r. saitschick, Menschen und Kunst ecc. cit., p. 199. 98 paul drey, Die wirtschaftlichen Grundlagen der Malkunst, 1910, p. 46. 99 Ibid., pp. 20-21. 100 h. lerner-lehmkuhl, Zur Struktur und Geschichte ecc. cit., p. 34. 101 r. saitschick, Menschen und Kunst ecc. cit., p. 197. 102 h. lerner-lehmkuhl, Zur Struktur und Geschichte ecc. cit., p. 54. 103 a. dresdner, Die Entstehung ecc. cit., pp. 77-79. 104 Ibid., p. 95. 105 joseph meder, Die Handzeichnung. Ihre Technik und Entwicklung, 1919. 106 leonardo olschki, Geschichte der neusprachlichen wissenschaftlichen Literatur, I, 1919, pp. 107-8. 107 a. dresdner, Die Entstehung ecc. cit., p. 72. 108 j. p. richter, The Literary Work of Leonardo da Vinci, I, 1883, n. 653. 109 r. saitschick, Menschen und Kunst ecc. cit., pp. 185-86. 110 Cfr. nel Bandello la descrizione del ritmo saltuario di Leonardo nel condurre laffresco del Cenacolo. Citato da k. clark, op. cit., pp. 92-93. 111 edgar zilsel, Die Entstehung des Geniebegriffs, 1926, p. 109. 112 Cfr. dietrich schfer, Weltgeschichte der Neuzeit, 1920, 9a ed., pp. 13-14; j. huizinga, Wege der Kulturgeschichte, 1930, p. 130. 113 julius schlosser, Die Kunstliteratur, 1924, p. 139 [trad. it., La letteratura artistica, Firenze 1935].

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Arnold Hauser Storia sociale dellarte j. meder, Die Handzeichnung ecc. cit., pp. 169-70. k. borinski, Der Streit um die Renaissance ecc. cit., p. 21. 116 e. walser, Studien ecc. cit., pp. 104-5. 117 k. borinski, Der Streit um die Renaissance ecc. cit., pp. 32. 118 philippe monnier, Le Quattrocento, II, 1901, p. 229. 119 wilhelm dilthey, Weltanschauung und Analyse des Menschen seit Renaissance und Reformation, in Gesammelte Schriften, II, 1914, pp. 343 sgg. 120 adolf hildebrand, Das Problem der Form in der Bildenden Kunst, 1893; b. berenson, The Italian Painters ecc. cit. 121 Cfr., per quanto segue, e. panofsxy, Die Perspektive als symbolische Form, in Vortrge der Bibliothek Warburg, 1927, p. 270 (trad. it., La prospettiva come forma simbolica e altri scritti, Milano 1961). 122 Ibid., p. 260. 123 Cfr. jacques mesnil, Die Kunstlehre der Frhrenaissance im Werke Masaccios, in Vortrge der Bibliothek Warburg, 1928, p. 127. 124 La rapidit dellesecuzione viene celebrata anche dallAretino nelle lettere al Tintoretto degli anni 1545 e 1546. 125 e. zilsel, Die Entstehung ecc. cit., pp. 112-13. 126 e. walser, Studien ecc. cit., p. 105. 127 Cfr. j. huizinga, Erasmus, 1924, p. 123 [trad. it., Erasmo, Torino 1941]; karl bcher, Die Anfnge des Zeitungswesens, in Die Entstehung der Volkswirtschaft, 1919, 12a ed., I, p. 233. 128 hans baron, Franciscan Poverty and Civic Wealth as Factors in the Rise of Humanistic Thought, in Speculum, xiii, 1938, pp. 12, 18 sgg.; citato da c. e. trinkaus, Adversitys Noblemen, 1940, pp. 16-17. 129 alfred von martin, Soziologie der Renaissance, 1932, pagine 58 sgg. 130 julien benda, La trahison des clercs, 1927. 131 p. monnier, Le Quattrocento cit., I, p. 334.
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