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EVANGELIZZARE NEL TERZO MILLENNIO

G. Tanzella-Nitti Ateneo Romano della Santa Croce Facolt di Teologia

Con stile schietto, e come di consueto provocante, Andr Frossard osservava in unoccasione che il vero problema del rapporto fra Vangelo e cultura non sta nel fatto che il messaggio evangelico debba rincorrere la rapida evoluzione della societ e della cultura, ma nella constatazione che queste ultime, in realt, il Vangelo non lo hanno ancora raggiunto: in qualche modo, il contenuto e lesigenza di quel messaggio continua sempre a precederle1. Pur restando valida nella sua sostanza, questa constatazione, peraltro non dissimile da varie affermazioni rintracciabili nel Concilio Vaticano II2, va compaginata con la crescente attenzione che il Magistero della Chiesa ha dedicato al tema dellaggiornamento dei rapporti fra fede, mondo e cultura, proprio a partire da quel Concilio. Uno dei fini principali del Vaticano II, come noto, fu quello di cercare nuove vie di dialogo e di annuncio della fede nelle mutate condizioni culturali e sociali dellepoca contemporanea. Gli elementi pi significativi di quellinsegnamento, raccolti essenzialmente nella costituzione Gaudium et Spes e nel decreto Ad Gentes, furono riproposti ed approfonditi, prima da Paolo VI e poi da Giovanni Paolo II, in importanti interventi magisteriali: lesortazione apostolica Evangelii nuntiandi e lenciclica Redemptoris Missio, pubblicate rispettivamente nel 10 e 25 anniversario dalla promulgazione dei citati documenti conciliari. Alla vigilia del loro trentesimo anniversario, la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Tertio millennio adveniente3 ripropone il tema della missione apostolica della Chiesa sullo sfondo epocale del prossimo cambio di millennio. La finalit del documento principalmente quella di fornire gli orientamenti pastorali che guideranno la Chiesa verso la preparazione del Giubileo del 2000, sviluppandone le linee attorno ad un rilancio della trilogia sacramentale BattesimoConfermazione-Riconciliazione come riscoperta di una progressiva ascesa che dalla conoscenza del mistero del Figlio conduce nello Spirito a sperimentare una autentica filiazione verso il Padre. Nella sua parte iniziale, la lettera Tertio millennio adveniente si occupa tuttavia di inquadrare il mistero pasquale del Cristo crocifisso e risorto come centro dei tempi e della storia. Questa Parola, nella quale Dio ci ha gi detto tutto perch in Essa ha detto Se stesso4, divenuta storia ed stata consegnata alla storia. Ma

ci non obbliga il Vangelo a rincorrere lo scorrere dei tempi, quanto piuttosto pone ogni epoca ed ogni uomo nelle condizioni di aprirsi a questa pienezza di senso e di riconoscerne in modo significativo lappello. Proprio perch il Cristo il compimento non solo qualitativo, ma anche cronologico della storia, Egli avvolge nel suo dominio salvifico tutto il passato del genere umano ed a Lui appartiene anche il futuro5; pertanto, nelleterno presente delleconomia salvifica gi instaurata nella sua Chiesa, ogni uomo potr sempre guardare al Cristo come ad un suo contemporaneo, Egli che lo stesso ieri, oggi e sempre (Eb 13,8). Ma qual il panorama che i cristiani hanno dinanzi quando si apprestano ad annunciare il mistero del Cristo ad una umanit che vedr fra breve cambiare di ben quattro cifre la data dei suoi orologi? I tratti di un tale panorama sono certamente quelli di una nuova evangelizzazione. Sebbene si ripeta nel mondo la situazione in cui parl san Paolo allAreopago di Atene, osserva il Pontefice, oggi sono molti gli areopaghi, e assai diversi: sono i vasti campi della civilt contemporanea e della cultura, della politica e delleconomia. Pi lOccidente si stacca dalle sue radici cristiane, pi diventa terreno di missione, nella forma di svariati areopaghi6. Questa situazione senza dubbio sperimentata e condivisa da ogni coscienza cristiana sensibile ad una testimonianza apostolica nel proprio ambiente di vita. Il mondo delle professioni e della cultura hanno ormai il carattere di un terreno di missione, mentre si avverte sempre pi lesigenza di riuscire a parlare di Dio in modo credibile ed attraente, anche quando ci si rivolge ad un uomo, come quello contemporaneo, modellato dal materialismo, dallo scetticismo e dallinquietudine, frutti di quella mentalit efficientista e di quel relativismo morale tipici del nostro tempo. Sorge allora la domanda su come i cristiani possano parlare di Dio oggi, su quali siano le sfide che levangelizzazione nellimminente terzo millennio affronter con sempre maggior frequenza. Le riflessioni che seguono, pi che commentare la citata Lettera Apostolica del Pontefice (la cui lettura vivamente consigliata a tutti), si propongono solo di offrire qualche spunto per rispondere a questo interrogativo di fondo, o almeno di aiutare a coglierne le implicazioni nel contesto culturale odierno. Perch evangelizzare? Non infrequente che venga oggi richiesto alla Chiesa di dover fondare o giustificare la sua attivit evangelizzatrice. Cos si esprimeva Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio: Eppure, anche a causa dei cambiamenti moderni, e del diffondersi di nuove idee teologiche, alcuni si chiedono: ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non un suo

obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libert non esclude ogni proposta di conversione?7 Paolo VI, quindici anni prima, poneva la medesima domanda, formulandola con parole analoghe: Avviene cos che si sente dire troppo spesso, sotto diverse forme: imporre una verit, sia pure quella del Vangelo, imporre una via, sia pure quella della salvezza, non pu essere che una violenza alla libert religiosa. Del resto, aggiungono, perch annunciare il Vangelo dal momento che tutti sono salvati dalla rettitudine del cuore? Se daltra parte, il mondo e la storia sono pieni dei germi del Verbo, non una illusione pretendere di portare il Vangelo l dove esso gi si trova nei semi che il Signore stesso vi ha sparsi?8. Un primo elemento di riflessione dunque osservare che lannuncio del messaggio cristiano pare implicare non solo uno sguardo verso lesterno, ma anche uno verso linterno della Chiesa. Il punto nodale lo si tocca forse quando, con parole dellattuale Pontefice, si afferma che si tratta di un problema di fede: levangelizzazione lindice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi9. Questo sguardo rivolto verso linterno della comunit evangelizzatrice tocca due tematiche importanti: quella del valore della testimonianza e quella di come rafforzare gli stessi battezzati, poich la stabilit e la profondit della loro fede e della loro formazione paiono essere la condizione di una evangelizzazione capace di guardare allesterno, al mondo, ai non credenti. Sono ben note in proposito le parole del Concilio, quando considerava che nella genesi dellateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, o anche per i difetti della propria vita religiosa, morale o sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione10. Non superfluo notare che la teologia, dal canto suo, viene coinvolta dal tema dellevangelizzazione sotto un duplice aspetto. Dal punto di vista dogmatico, le si chiede con quale linguaggio parlare oggi di Dio, come rendere comprensibile lannuncio evangelico di fronte alla razionalit scientifica del nostro tempo, o in rapporto a fonti di conoscenza diverse dalla Rivelazione (come le scienze, la medicina, la storia, ecc.), o anche in relazione al contenuto di altre religioni. Dal punto di vista pastorale, alla teologia si chiede su quali temi centrare lannuncio e con quale ordine espositivo. Se cominciare ad esempio dal discorso su Dio oppure da un incontro vitale con la persona del Cristo; se accomunare pi facilmente gli uomini nel riconoscimento di un creatore o nellattesa di un redentore; inoltre, occorrer conoscere quali siano le caratteristiche del soggetto destinatario dellannuncio, le sue domande irrisolte, o i temi verso i quali mostri una particolare sensibilit.

Se prendiamo come riferimento la prima evangelizzazione diretta nei primi tre secoli al mondo greco-romano, troveremo vari elementi di rassomiglianza con la situazione odierna, ma anche alcune importanti diversit. Oggi come allora i cristiani hanno nella societ in cui vivono un ruolo di fermento, sono un segno di contraddizione. Prassi di vita estese in larghe fasce della societ negavano e negano la dignit della persona umana, lindissolubilit del matrimonio, lautentico valore della sessualit, mentre la logica del profitto economico e la ricerca di sicurezza e di benessere si pensi a Zaccheo o ad Erode il grande costituivano e costituiscono il principale elemento trainante che condiziona i rapporti fra i singoli e fra i popoli. Ma anche oggigiorno, ai cristiani coerenti si continua a guardare con un certo senso di rispetto, e sebbene non si approvi ci che dicono, li si ascolta volentieri; proprio come faceva Erode Antipa col Battista, nonostante questi gli rinfacciasse lunione illecita con la moglie di suo fratello (cfr. Mc 6,20), o come faceva il governatore romano Felice con Paolo, durante la prigionia dellApostolo a Cesarea (cfr. At 24,23-25). Eppure, fra la prima e la nuova evangelizzazione vi una differenza determinante: i cristiani si rivolgono oggi ad un mondo che ha gi ricevuto lannuncio del Cristo e che non ha dato prove, almeno di fronte allopinione pubblica, di poter vivere quel messaggio, o per lo meno di restarne condizionato negli orientamenti e nelle tappe decisive della sua storia. Il filosofo Hans Jonas esprimeva questa drammatica perplessit chiedendosi come si potesse parlare ancora di Dio dopo Auschwitz11. Ma qual leffettivo valore di questo argomento? Si tratta come ritengono alcuni di una constatazione tale da imporre cambi o ripensamenti decisivi circa la credibilit o la modalit dellannuncio? Su questo interrogativo e sul come giustificare unazione evangelizzatrice in un contesto pluralista torneremo pi avanti. Desideriamo prima concentrarci su alcuni aspetti della societ contemporanea che, sebbene condizionino severamente lannuncio del Vangelo, contengono allo stesso tempo interessanti prospettive e potenzialit che ci proponiamo di mettere in luce. Lattuale crisi di senso e il senso del discorso su Dio Molte analisi odierne presentano come elemento caratterizzante della cultura contemporanea proprio la vanificazione del problema di Dio, la sua assoluta perdita di significato12. L'uomo, che nella cristianit medievale si coglieva in costante dipendenza da Dio, e che nell'ateismo moderno vi si era sostituito come necessaria conseguenza della sua emancipazione, ora, nell'indifferenza religiosa denominata postmoderna, rinuncerebbe tanto alla negazione di Dio come alla sua affermazione. Svuotato di ogni significato universale, il discorso su Dio declassato al livello di un

debole mito che viene creato e consumato secondo le regole della soggettivit e del mercato. Dio non pi oggetto della fede, n della filosofia, ma del gioco. In questo contesto culturale si fa spazio anche un nuovo politeismo: al dogmatismo di chi affermava Dio esiste o Dio non esiste, si pu ora solo rispondere che esistono molti di13. In questa situazione, per, la ricerca di valori non appare totalmente narcotizzata e persiste una certa insoddisfazione. Permane irrisolta la domanda sul significato della vita e sul senso del dolore. Crescono le incertezze soggettive e sociali, il timore per lapplicazione incontrollata della tecnica, per lassenza di ogni principio stabile nel rapporto tra i singoli e tra i popoli; si avverte la mancanza di regole che vadano al di l di un cangiante convenzionalismo etico. In altre parole, alla post-modernit viene associato un giudizio di crisi di senso, crisi che alcuni riconoscono implicitamente quando parlano di nostalgia di Dio, o vedono la sua esistenza come qualcosa di troppo bello per essere vero14. Ma se la post-modernit avvertita come crisi di senso, allora, nel fondo dellanimo umano, persiste inalterato un desiderio di senso, la cui assenza sofferta come disagio, come noia, e richiede loneroso sforzo di non pensarci per non cadere nellangoscia. Anche in questo difficile contesto culturale, dunque, lannuncio del mistero del Cristo non perde attualit. Egli si rivela come pienezza di senso della vita umana, risposta ultima alla domanda sulla dignit della persona e sul significato della sua vita, sul senso del dolore e della morte. Nella misura in cui la persona umana ancora capace di percepire la sua vita come un enigma, non rinnega la possibilit di riconoscervi la soluzione nel mistero del Cristo, quello della sua incarnazione, della sua morte e resurrezione. E il cammino che Pascal amava far percorrere ai suoi contemporanei, e che ha accompagnato in larga parte tutto il personalismo cristiano, dai tempi di Agostino fino alle vibranti note della Redemptor hominis. Le opportunit dunque non mancano, ma si richiede anche una speciale attenzione. Vi infatti il pericolo di proporre un Dio a misura duomo, il cui fine primario sia quello di appagare le ansie umane e ridare speranza alle sue inquietudini. Molti movimenti religiosi orientali, divenuti ora religioni metropolitane, hanno scelto con successo questo cammino, proponendo un naturalismo o un misticismo garanzia di tranquillit psicologica, espressioni di una salvezza totalmente immanente. Quando si misura Dio solo sulla scorta delle richieste umane, nel pensare di avvicinarlo alluomo, si corre il rischio di confinarne limmagine nellorizzonte chiuso del nostro linguaggio e delle nostre aspettative. Come noto, la teologia di questo secolo non stata esente da questa tentazione: il caso dellesegesi esistenziale di Rudolph Bultmann, della cristologia di Karl Barth,

o di alcuni modi di intendere la cosiddetta svolta antropologica, come furono ad esempio quelli di Dietrich Bonhffer e di Paul Tillich. Questi ultimi due autori, pur seguendo percorsi opposti, sono poi confluiti interessante notarlo nel medesimo sbocco. Bonhffer, scosso dallesperienza dei campi di concentramento nazisti di cui fu vittima, invitava a cercare Dio nel centro della realt e non nel suo limite, in ci che conosciamo e di cui possiamo parlare, non nel bisogno di ci che la vita non ci spiega o il mondo ci nega, come si trattasse di una sorta di tappabuchi15. Tillich, invece, preoccupato della sempre minore comprensibilit della nozione di Dio, invitava a parlarne solo allinterno di correlazioni fra le risposte della Rivelazione e le domande delluomo: si pu capire ci che Dio dice solo se ho fatto la previa esperienza della domanda esistenziale alla quale la Rivelazione offe una corrispondente risposta16. Ambedue le proposte, mosse da validi intenti, terminano col confinare la parola di Dio allinterno di un orizzonte antropologico, di tipo ermeneutico oppure esistenziale; nel primo caso limitato a ci che luomo comprende, nel secondo a ci che luomo chiede. La buona novella di Ges di Nazareth, lannuncio che solo nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero delluomo17, implica invece lumilt di lasciarsi condizionare e interpretare da Lui. E la disponibilit a riconoscere la sapienza della croce, a perdere la vita per ritrovarla, ad accettare ci che non si comprende, ma che si riconosce proveniente da Colui che mi ha amato e ha dato la sua vita per me (cfr. Gal 2,20). Luomo al centro della crisi di senso della societ contemporanea, visto da Sartre come una passione inutile o da Heidegger come un un essere-per-la-morte in definitiva come un enigma che resterebbe insolubile in un orizzonte chiuso alla trascendenza pu ancora riconoscere come altamente significativa per la ragione e per il cuore la rivelazione di un Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio perch chiunque crede in lui non muoia (Gv 3,16). La garanzia che questa risposta non sia frutto delle proiezioni e delle aspettative umane come riteneva Feuerbach sta proprio nel fatto che la Rivelazione si presenta con una logica sovrabbondante in rapporto alle attese dei suoi destinatari. Da un lato, il Vangelo risponde alle nostre istanze pi profonde, fornendo le risposte puntuali agli interrogativi della ragione sul mondo e sulluomo. Dallaltro, le supera in modo eccedente, offrendo unantropologia, una salvezza ed una visione dei rapporti con Dio che vanno aldil di ogni previsione umana.

Parlare di Dio nel contesto scientifico odierno Un secondo elemento di sfida per levangelizzazione costituito dal fatto che la cultura odierna possiede una mentalit modellata essenzialmente dalla razionalit scientifica. Un discorso come quello su Dio che deve necessariamente astrarre dalle categorie dellanalisi empirica, tipica delle scienze naturali, per collocarsi invece nella sfera dei valori, dei significati, delle cause ultime o dei fini, ne risulterebbe pertanto indebolito. Inoltre, la nozione di un Dio creatore onnipotente e provvidente reclama anche un dominio sul mondo e sui suoi effetti visibili, proprio quegli effetti, cio, sui quali la scienza ci ha abituato a riconoscere il suo progressivo e sempre pi sofisticato controllo. Per rispondere a questa sfida, levangelizzazione pu muoversi su due piani successivi: il primo consiste nel porre su un retto binario epistemologico il rapporto fra Dio e la natura, fra la teologia della creazione e lanalisi delle scienze; il secondo porre lattenzione sulla natura antropologica dellimpresa scientifica per mostrare come essa non neghi senso al discorso su Dio. Le fondamenta di questo chiarimento epistemologico si trovano nella lunga tradizione della filosofia e della teologia medioevali, e chiunque si accosti ad essa libero da pregiudizi anacronostici vi trover ancora risposte utili, capaci di offrire ancor oggi punti di appoggio al discorso su Dio ed alla spiegazione dei suoi rapporti col mondo. Molte risposte di Tommaso dAquino sulla teologia della creazione, ad esempio, continuano ad essere pienamente attuali di fronte a parecchie domande filosofiche poste dalla cosmologia contemporanea. Lo sforzo interdisciplinare compiuto in questo terreno negli ultimi decenni permette oggi alle scienze fisiche di non guardare pi alla teologia con diffidenza ed alla teologia di non temere le conclusioni delle ricerche scientifiche, quando sono realizzate nel rispetto del proprio metodo e della verit delle cose18. Il secondo piano in cui il discorso su Dio pu muoversi mostrare che la scienza contemporanea, ancor prima delle applicazioni della tecnica, sussiste sempre come ricerca della verit, capace di appassionare e di stupire. Nonostante una certa immagine della scienza dataci da alcuni filosofi, limpresa scientifica non n fallibilista come vorrebbe Popper n idealista come sostenuto dalla tradizione neopositivista bens profondamente realista. Per lo scienziato, la natura e le sue leggi sono qualcosa di ricevuto, qualcosa che egli non crea ma scopre. Lesperienza con cui egli si pone in rapporto con il cosmo tale da fargli percepire lesistenza di un fondamento, di un logos che merita rispetto. La natura viene riconosciuta dall'uomo di scienza come meritevole di essere studiata, capace di motivarne il corrispondente sforzo intellettuale, perch capace di legare con una verit ed una bellezza

indipendenti dal soggetto conoscente. L'atteggiamento del ricercatore diviene allora quello di una religiosa riverenza e la sua attivit lo pone di fronte alla percezione di un Assoluto. Per questo non mancano scienziati che hanno paragonato l'esperienza scientifica ad una esperienza del sacro, capace di legare (re-ligo) e di condurre fino alle porte del mistero19. Ritenere che la diretta conseguenza della cultura scientifica sia l'aver tolto spazio al discorso su Dio mediante il progressivo controllo della natura, non darebbe ragione n del significato n dellessenza della vera mentalit scientifica. Essa unattivit di tutta la persona, capace di suscitare interrogativi di carattere filosofico, anche se non ha gli strumenti per rispondervi dallinterno del proprio metodo. Nel contesto della razionalit scientifica del nostro tempo, il mondo continua a manifestarsi come paradosso e mistero, e continua pertanto ad essere ragionevole chiedersi se il mondo abbia una spiegazione. L'eventuale ricerca di questa spiegazione rimanda ad un'area di significato che non considerata un non-senso ed apre pertanto la possibilit ad un discorso su Dio. Linteresse manifestato da molti ambiti delle scienze naturali verso linterdisciplinariet con le scienze umane e la filosofia, testimonia il clima di questa apertura e stimola la teologia ad essere presente nel dibattito con il ruolo che le proprio. Essa non deve svalutare, ma guardare con interesse quelle domande ultime che paiono riemergere nella descrizione scientifica della natura: la domanda sull'origine dell'universo e sul tutto, sul motivo della sua razionalit, specificit e bellezza, la domanda sul posto che l'uomo vi occupa e sul significato della sua presenza. Allo stesso tempo, la teologia deve andare pi in l: proclamare che il senso del mondo e delluomo non stanno in un fondamento filosofico impersonale, ma nella persona del Cristo, centro del mondo e della storia. E questo il Logos verso cui ogni ricerca della verit provenga essa dalle scienze, dalla filosofia o dalla teologia si sente attratta20. E lannuncio evangelico che la verit una Persona, che il Verbo si fatto carne, il solo annuncio capace di svelarci perch si pu parlare di amore per la verit e perch la verit, per essere conosciuta, deve essere anche accolta. Verit, intolleranza e dialogo I cristiani si trovano oggi allinterno di una societ pluralista, restia a riconoscere lesistenza di una verit assoluta, refrattaria ad accettare risposte definitive, perch la difesa delle proprie libere scelte e la libert da ogni condizionamento sono assunte a paradigma fondamentale sia per la vita pubblica che per quella privata. La pretesa di possedere la verit o limpegno per difendere dei valori considerati irreformabili vengono visti come fonte di intolleranza, quando non di potenziale violenza. La

rinuncia ad idee forti costituirebbe la garanzia necessaria per assicurare la convivenza ed il dialogo. Lopinione che la costruzione di uno Stato capace di riunire stabilmente gli interessi di diversi cittadini sia possibile solo relegando i valori in una sfera puramente privata risale, come noto, a Thomas Hobbes. La libera e pacifica convivenza in uno Stato organizzato pu realizzarsi solo sulle basi di un patto sociale, un contratto convenzionale che sappia prescindere da ogni convinzione morale di carattere universale: la ricerca o la difesa della verit sono la vittima sacrificale che deve essere immolata sullaltare della pace sociale. La posizione del messaggio cristiano circa il rapporto fra verit e libert, cos come fra legge divina e legge positiva, stata oggetto di molteplici riflessioni del Magistero della Chiesa, dalla dichiarazione conciliare Dignitatis humanae, alla enciclica Veritatis Splendor, fino alla recente Evangelium vitae21. Vi per un aspetto, che proprio a motivo della sua importanza per levangelizzazione e per le sue possibili strategie, merita di essere qui evidenziato. Mi riferisco alla radicale convinzione che la prima e fondamentale verit della persona umana, di tutte le persone umane, sia lessere stata creata ad immagine e somiglianza di Dio. La consapevolezza di questa comune origine rende il cristiano perfettamente convinto che ogni essere umano, indipendentemente dalla sua razza, condizione o cultura, quando si raccoglie in se stesso e si colloca senza pregiudizi di fronte al mistero del mondo, alla percezione della propria coscienza morale; quando si pone in definitiva di fronte alle domande che contano davvero, come quelle sul senso della realt e della propria esperienza esistenziale, allora vi trover necessariamente il segno di unapertura verso lAssoluto. Essere stato creato ad immagine e somiglianza di Dio vuol dire, per ogni uomo, avere scritta nella propria natura la capacit di essere interlocutore di Dio, il potere di riconoscerne la voce, sia nella bellezza della creazione che nellintimo della propria coscienza. Prova indiretta che questa capacit non sia del tutto estinta che, nonostante evidenti contraddizioni, si continui a guardare la natura con un senso di gratitudine e di stupore, si colga la solidariet umana come un valore da promuovere, si sperimenti disagio di fronte allingiustizia. Per il cristiano, difendere la dignit della persona umana o affermare lesistenza di Dio quale fondamento trascendente della giustizia, ma anche della carit, non diviene mai fonte di intolleranza. Nessuno meglio di lui sa che il riconoscimento di questi valori pu nascere solo dal sereno dialogo con le coscienze, manifestazione di un autentico servizio che egli vuole rendere in nome di Cristo alluomo e alla sua verit integrale. Non vi persona pi aperta di lui al dialogo, perch egli pienamente convinto, come lo era sette secoli or sono san Tommaso dAquino, che la ragione sia ancora in grado di legare tutti gli uomini. All'inizio della sua Contra Gentiles

affermer infatti che dovendo rivolgersi a dei non cristiani occorre potersi riferire a ci che accomuna ogni essere umano, cio la loro razionalit22. Colui che punta al dialogo con le coscienze non pu essere tacciato di intolleranza, perch sostiene appunto che la forza di questa intima voce, immagine di una comune origine da Dio, sia maggiore della forza del potere economico, politico, o perfino delle armi. E invece chi manca di questa consapevolezza, proclamando la debolezza della ragione e la sua incapacit di raggiungere una verit stabile ed oggettiva, a ritenere pi facilmente che il valore delle idee dipenda dalla forza con cui si gridano23. La strategia dellevangelizzazione non pu dunque prescindere dal promuovere nellinterlocutore tutto ci che pu favorirne la riflessione: il sereno esame della storia e delle situazioni, la liberazione o almeno la difesa dai condizionamenti e dalle mode, il silenzio: in definitiva ci che conduce sulla strada dellautentica preghiera, del dialogo con la propria coscienza, nella quale Dio abita come in un santuario24. Questo ottimismo di fondo sulla possibilit di ciascuno di porsi in relazione con la verit non si limita ad un impersonale piano teocentrico, n pu paragonarsi ad una fede deista di stampo illuminista, ma possiede invece dei necessari riflessi tipicamente cristologici. La consapevolezza che la verit di quellimmagine di Dio stia nel volto di Cristo spinge il cristiano ancora pi l. Egli ha la certezza che le risposte del Cristo troveranno eco sicura nel cuore di ogni uomo perch solo Cristo svela pienamente luomo a se stesso e chiunque segue Cristo, luomo perfetto, diventa anchegli pi uomo25. Le enormi potenzialit contenute nella teologia dellimmagine di Dio, nella sua valenza cristologica, e limportanza che essa destinata a svolgere nellevangelizzazione del terzo millennio paiono particolarmente evidenti nelle riflessioni offerti dallattuale Pontefice nella sua enciclica programmatica Redemptor hominis. Infine, lidea pragmatista che la convivenza pacifica e ledificazione della citt degli uomini debba costitutivamente prescindere dal dare ogni fondamento trascendente alla giustizia ed alla moralit, non pare affatto unidea vincente. Nella loro azione evangelizzatrice, i cristiani devono affermare senza timori che non soltanto il collettivismo marxista rispondeva ad una erronea e fallimentare concezione antropologica; ma anche un capitalismo puramente individualista, fondato su un relativismo etico, non ugualmente capace di costruire uno stato ed una societ veramente umane26. Lassenza di valori trascendenti, valori universalmente riconosciuti ed universalmente riconoscibili, non offre motivi validi nemmeno per adempiere alle leggi e servire lo Stato. Se letica cui una societ si fonda sganciata da unautentica vita morale riconoscibile da una retta coscienza, se resta unetica senza

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Dio in definitiva, in quella societ cessa de facto la capacit di reclamare lealt ed obbedienza alle sue stesse leggi. Al cittadino risulter normale prescindere dalla legalit ove questa entri in conflitto con i suoi interessi individuali, e non avvertir pi come un problema larrangiarsi a spese dello Stato. E proprio in una simile situazione, e non in una prospettiva antropologica cristiana, ove diviene paradossalmente pi facile il rischio dellintolleranza e della violenza. Questultima diviene allora lultimo ricorso per reclamare lobbedienza a quelle leggi giuste che la coscienza non stata pi educata a riconoscere sulla base del loro vero fondamento, quello di un bene comune trascendente. Non per nulla casuale che i primi cristiani, oltre allesempio del loro amore reciproco, fossero modello per i loro contemporanei anche nella fedele ottemperanza delle leggi27. Religione & religioni Il problema del rapporto fra il cristianesimo e le altre religioni costituisce un ulteriore aspetto destinato ad accompagnare sempre pi le future sorti dellevangelizzazione. Una prima questione posta dalla stessa natura antropologicoculturale del fenomeno religioso: se luomo naturaliter religioso e la cultura espressione di tutto ci che porta a pienezza i beni ed i valori della natura umana, allora ad una pluralit di culture dovrebbe corrispondere una legittima pluralit di religioni. Ma per collocarsi in modo corretto di fronte alla fenomenologia della religione, i cristiani devono innanzitutto prendere atto di quei caratteri di condiscendenza e di sovrabbondanza manifestati dalla Rivelazione. Leccedenza dellofferta divina manifestataci dalla storia della salvezza, quando comparata con l'orizzonte delle nostre domande religiose, fa s che il cristianesimo non possa essere considerato, alla stregua delle altre religioni, come un fatto totalmente culturale: esso non una religione fra le altre. Se la religione un moto ascendente dell'uomo a Dio, la rivelazione cristiana irrompe nella storia come un moto con-discendente di Dio verso l'uomo. Il cristianesimo non solo ricerca di Dio, ma soprattutto la rivelazione e lautocomunicazione di Dio stesso nel Verbo fatto carne, secondo una logica totalmente donata. Tocchiamo qui il punto essenziale afferma Giovanni Paolo II nella Tertio millennio adveniente per cui il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni, nelle quali si espressa sin dallinizio la ricerca di Dio da parte delluomo. nel cristianesimo lavvio dato dallIncarnazione del Verbo. Qui non soltanto luomo a cercare Dio, ma Dio che viene in Persona a parlare di s alluomo ed a mostrargli la via sulla quale possibile raggiungerlo28.

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Orbene, proprio per questo, il cristianesimo si trova nella condizione di poter riconoscere e valorizzare le istanze di verit contenute in tutte le altre religioni. Cos lo esprimeva la dichiarazione conciliare Nostra Aetate: La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verit che illumina tutti gli uomini. Tuttavia essa annuncia, ed tenuta ad annunciare, il Cristo che via, verit e vita in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa ed in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose (2Cor 5,18-19)29. La presenza dei riflessi o dei semi del Verbo divino nelle religioni non cristiane, nella filosofia e nella cultura, in quanto espressioni sincere della umana ricerca della verit, sia sul piano cosmologico che su quello antropologico, fu messa in luce fin dalle origini del cristianesimo. San Giustino, esponendo la sua dottrina sul Verbo divino, affermava gi nel II secolo che quello che di buono stato detto da tutti, appartiene a noi cristiani. In tal modo, aggiunge ancora Giovanni Paolo II, Cristo il compimento dellanelito di tutte le religioni del mondo e, per ci stesso, ne lunico e definitivo approdo. Se da una parte Dio in Cristo parla di s allumanit, dallaltra, nello stesso Cristo, lumanit intera e tutta la creazione parlano di s a Dio anzi, si donano a Dio30 Parlare del Dio di Ges Cristo in un contesto inter-religioso come quello contemporaneo vuol dire certamente riconoscere limplicita presenza di tali semi di verit, ma sottolineare nel contempo, e con chiarezza, ci che appartiene alla specificit del cristianesimo. Il cuore di questa specificit che la fede cristiana non si presenta come ladesione ad un contenuto o ad una dottrina, ma ladesione ad una persona, alla persona del Cristo, fino a farsi una sola cosa con lui e permettergli di vivere in noi. Mentre il ruolo di altri mediatori, come lo furono Budda o Maometto, fu quello di consegnare una regola di vita, di mostrare la direzione di un cammino di salvezza, nessuno di essi si propose mai come fine cui i suoi seguaci dovessero intimamente conformarsi. Il loro compito condurre fino alle porte della vita e poi dissolversi, non lasciando traccia. Il Cristo, invece, non solo indica la direzione ove trovare la via, la verit e la vita, ma lui stesso la fonte cui la verit e la vita attingono31. Infine, la persona del Cristo si colloca non solo al centro dellattesa messianica, come altri fondatori di religioni o portatori di messaggi di salvezza. Egli si presenta anche al centro dei piani di Dio sullintero cosmo. Egli non solo interpreta il mondo, come fecero redentori e profeti prima e dopo di Lui, ma del mondo ne ha presieduto la stessa creazione, come Verbo del Padre per mezzo del quale e in vista del quale ogni cosa fu fatta: le sue parole non conoscono tramonto.

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Conclusione: evangelizzare annunciare il mistero pasquale del Cristo La breve analisi precedentemente schizzata ci ha mostrato come i vari contesti che levangelizzazione incontra alle soglie del terzo millennio costituiscono certamente una sfida, ma offrono anche delle prospettive di grande interesse. Tutte quelle prospettive importante notarlo giungono prima o poi a intersecarsi col mistero del Cristo. Levangelizzazione, dunque, non pu fermarsi a met strada, limitandosi ad una sorta di teocentrismo, magari garante di valori universali; non pu tacere il mistero della redenzione o sorvolare sui frutti di salvezza affidati da Cristo al suo mistico Corpo che la Chiesa. Questa impostazione, anche se a prima vista parrebbe favorire un punto di incontro con molti popoli e culture, tradirebbe la verit del messaggio cristiano. Nellenciclica Redemptoris missio, Giovanni Paolo II segnalava in proposito due errori da evitare. Il primo la tentazione di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte s per luomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale32. Il secondo rappresentato da quelle concezioni che annunciano un Regno di tipo teocentrico perch dicono Cristo non pu essere compreso da chi non ha la fede cristiana, mentre popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare nellunica realt divina, quale che sia il suo nome. Per lo stesso motivo [queste concezioni] privilegiano il mistero della creazione, che si riflette nella diversit delle culture e delle credenze, ma tacciono sul mistero della redenzione. Inoltre, il Regno, quale essi lo intendono, finisce con lemarginare o sottovalutare la Chiesa, per reazione a un supposto ecclesiocentrismo del passato e perch considerano la chiesa stessa solo un segno, non privo peraltro di ambiguit. Ora, non questo il Regno di Dio conclude il Pontefice quale conosciamo dalla rivelazione: esso non pu essere disgiunto n da Cristo n dalla Chiesa33. Parlare di Dio oggi vuol dire ancora porre in contatto col mistero del Verbo incarnato e con la sua missione salvifica in favore del mondo. Occorre confessare fino in fondo questa intensit della presenza di Dio nella storia, anche se ci ha costituito e costituisce ancora un certo scandalo, perch luomo non spesso in grado di sopportare tale vicinanza, e comincia facilmente a protestare34. Non soltanto lannuncio, ma la stessa credibilit del cristianesimo deve centrarsi sulla persona del Cristo e sul suo evento terreno. La credibilit della fede in primo luogo la credibilit della persona di Ges, la credibilit delle sue virt e del suo esempio, del suo sorriso

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con i piccoli, del suo amore misericordioso verso i deboli, del suo perdono illimitato verso i peccatori. Solo una volta posto di fronte al Vangelo, luomo contemporaneo nella condizione di poter riconoscere, come fecero le guardie dei sommi sacerdoti, mai un uomo ha parlato come parla questuomo (Gv 7,46). In questa economia di credibilit, il segno del mistero pasquale del Figlio dellUomo costituisce il segno risolutivo. Allora, alcuni scribi lo interrogarono: Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno. Ed egli rispose: Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sar dato se non il segno di Giona profeta (Mt 12,38-39). E in forza di questo segno, quello del suo sacrificio innocente e della sua resurrezione gloriosa, che Egli ha la capacit di muovere i cuori e di attirare a S tutte le cose (cfr. Mt 27,54; Gv 12,32). E il segno dellamore del Padre per il mondo e dellamore del Figlio per ogni uomo. Lamore come segno fontale e radicale, capace di suscitare fiducia e abbandono, si mostra sommamente conveniente per la stessa natura della persona umana. La capacit di dare e di ricevere amore costituisce infatti la sua esperienza esistenziale fondamentale, qualcosa che condiziona in modo determinante la sua felicit e la sua piena realizzazione. Non senza significato che proprio il criterio risolutivo di credibilit dato da Dio alluomo sia segnato dalleconomia dellamore, e che la credibilit della fede poggi sulla struttura antropologica della credibilit dellamore. Poich di questo amore che i cristiani sono testimoni, lannuncio del Vangelo non pu essere disgiunto dal segno della croce e della resurrezione. La credibilit della fede diviene allora la credibilit con cui ciascun cristiano mostra di aver fatto sua la sapienza della croce e la gioia della resurrezione. Il mondo deve poter ritrovare nel volto del discepolo di Cristo la fede con cui affronta la contraddizione ed incarna il travaglio esistenziale della sua epoca, ma anche la gioia con cui sa testimoniare che, nella resurrezione del Figlio, il Padre ci ha dato insieme a Lui ogni cosa. La testimonianza si nutre dunque della fede e la fede si alimenta nellincontro personale con Cristo. Capiamo allora perch le incertezze dellevangelizzazione di cui parlavamo allinizio, pi che dalle difficolt esterne, dipendono facilmente dalla scarsa esperienza di quellincontro e di quella frequentazione con il Cristo, pane di vita e parola di salvezza. La centralit della categoria della testimonianza in tutto il panorama dellannuncio nei documenti del Concilio Vaticano II appare citata oltre 130 volte condiziona anche le modalit dellannuncio stesso. Pur avvalendosi dei mezzi di comunicazione sociale e di massa, il cui impiego al servizio del Vangelo stato non solo lodato ma anche incoraggiato dalla Chiesa in molteplici occasioni, lattivit apostolica pogger sempre sul rapporto personale, lunico capace di manifestare in modo credibile che lincontro con Ges ha segnato in profondit la vita

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dellapostolo. Qui radica, in definitiva, il motivo per il quale Ges risorto non torn in piazza a Gerusalemme, ma volle apparire a testimoni prescelti da Dio, a noi dir Pietro al centurione Cornelio che abbiamo mangiato e bevuto con lui (At 10,41). Resta infine da rispondere allinterrogativo lasciato in sospeso circa i rapporti fra la prima e la nuova evangelizzazione. Il fatto che i cristiani si trovano nelle condizioni di dover rievangelizzare coloro che avevano gi ricevuto il messaggio di Cristo non un segno di debolezza, o peggio dellinefficacia di tale messaggio? A questa obiezione si dovrebbe risponder mostrando che nelle societ gi evangelizzate, nella loro storia, nei loro principi sociali e culturali, e perfino nel loro sviluppo scientifico, vi sono molte pi tracce di una coscienza cristiana di quanto non si ritenga a prima vista. Si tratta di una coscienza alla quale non si presta forse pi ascolto, ma che non cessa di parlare nel cuore e nelle ansie di quei popoli che entrarono una volta in contatto col mistero della croce di Ges. Tanto in queste terre, come in quelle dove la parola giunge per la prima volta, i discepoli del Maestro sanno inoltre di dover essere sempre un vivo fermento ed un segno di contraddizione. Se la condizione delladesione alla fede che ogni essere umano venga chiamato a fare lesperienza di un incontro personale con Cristo, non deve neanche sorprendere che la logica di un continuo e rinnovato annuncio sia destinata ad accompagnare sempre lazione apostolica della Chiesa, sia quando conferma nella fede i credenti, sia quando si dirige a chi ancora non crede. Ogni uomo che viene alla vita in fondo sempre una novit per il mondo, e dunque anche una novit sulla strada di chi evangelizza, tanto nel cammino che conduce alle culture e ai popoli che si aprono per la prima volta al Vangelo, quanto nel cammino storico che la Chiesa compie di generazione in generazione. La Chiesa evangelizza nella misura in cui lo fanno i suoi membri. Quando in avvenire tuo figlio ti domander leggiamo nel Deuteronomio Che significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore nostro Dio vi ha date? tu risponderai a tuo figlio: eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dallEgitto con mano potente... per condurci nel paese che aveva giurato ai nostri Padri di darci (Dt 6,20-21.23). Nel popolo di Israele si faceva memoria della salvezza ricordandola di padre in figlio, nel rituale della pasqua ebraica. Nel nuovo Israele, che la Chiesa, la testimonianza della resurrezione salvifica di Cristo varcher le soglie del terzo millennio ancora perch annunciata da padre in figlio, perch coloro che non hanno ancora conosciuto Ges ne riceveranno il messaggio dalle labbra di chi lo ha gi incontrato.
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Cfr. A. FROSSARD, Dio. Le domande delluomo, Piemme, Casale Monferrato 1990.

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Cfr. ad esempio Cost. past. Gaudium et spes, nn. 41, 42, 58. GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente. Preparazione del giubileo dellanno 2000, Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 102. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente, n. 56. Ibid., n. 57. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptoris Missio. Lettera enciclica circa la permanente validit del PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 8 dicembre 1975, n. 80. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptoris Missio, n. 11. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 19. H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Il Melangolo, Genova 1989. Sul tema del discorso su Dio nella post-modernit si veda la lucida analisi offerta da G. MORRA, Dio

10 novembre 1994.
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mandato missionario., 7 dicembre 1990, n. 4.


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nella filosofia post-moderna, in Studi Cattolici, n. 404, novembre 1994, pp. 620-626 e IDEM, Il quarto uomo. postmodernit o crisi della modernit?, Armando, Roma 1992.
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Cfr. J.F. LYOTARD, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano 1981. Ad un interlocutore che criticava lesposizione del cristianesimo fatta da Simone Weil qualificando il

Dio cristiano troppo bello per essere vero, lautrice francese rispondeva serenamente cos bello che deve essere vero. Cfr. C. CHABANIS, Obsession de Dieu, Descle, Paris 1991, p. 163.
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Cfr. D. BONHFFER, Resistenza e resa, Bompiani, Milano 1969. Cfr. P. TILLICH, Systematic Theology, Univ. of Chicago Press, Chicago 1967. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 22. Una testimonianza delle mutate condizioni culturali nel dialogo fra teologia e scienze pu rilevarsi in

GIOVANNI PAOLO II, Lettera al Direttore dellOsservatorio Vaticano, in Osservatore Romano 26.10.1988, p. 7. Si veda anche il recente volume Aprs Galile. Science et foi: nouveau dialogue, a cura di P. Poupard, Descle, Paris 1994.
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Per una riflessione pi approfondita su questo aspetto dell'attivit scientifica si veda l'opera di E.

CANTORE, L'uomo scientifico. Il significato umanistico della scienza, Dehoniane, Bologna 1987; cfr. anche G. GISMONDI, Fede e cultura scientifica, Dehoniane, Bologna 1993; T. TORRANCE, Senso del divino e scienza moderna, Lib. Ed. Vaticana, Citt del Vaticano 1992.
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Cfr. G. TANZELLA-NITTI, Cultura scientifica e rivelazione cristiana, in Annales Theologici 8 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc. Veritatis splendor, 6.8.1993 spec. nn. 35-64 e Let. enc. Unde necesse est ad naturalem rationem recurrere, cui omnes assentire coguntur SAN TOMMASO

(1994), pp. 133-168.


21

Evangelium vitae, 25.3.1995, spec. nn. 68-74.


22

D'AQUINO, Contra Gentiles, liber I, caput II, n. 12.

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Sul rapporto fra verit e intolleranza si veda anche A. BAUSOLA, Fini ultimi. Verit assoluta. Cfr. CONCILIO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 16. Ibid., nn. 22 e 41. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus, 1.5.1991, nn. 10, 13, 44. Cfr. 1Pt 2,11-20. Cfr. anche Lettera a Diogneto, V-VI; ARISTIDE, Apologia, XV, nn. 3-8. GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente, n. 6. CONCILIO VATICANO II, dich. Nostra Aetate, n. 2. GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Tertio millennio adveniente, n. 6. Sulla specificit del cristianesimo sempre stimolante la lettura del noto saggio di Romano Guardini GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptoris Missio, n. 11. Ibid., nn. 17-18. Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Varcare le soglie della speranza, Mondadori, Milano 1994, p. 43.

Dialogicit., in Acta Philosophica 2 (1993), pp. 5-15.


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Lessenza del cristianesimo, Morcelliana, Brescia 1987.


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