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La Stampa 16 gennaio 2007

Il comunismo postmoderno
Un addio al socialismo che ha smesso di credere alla trasformazione radicale della societ. Ma forse la rivoluzione, ora, si pu pensare in termini meno autoritari, pi ironici e anarchici
Era un po impietoso il giudizio di Noam Chomsky sul grosso volume che ha riportato, qualche anno fa, l'attenzione su Toni Negri, quell'Impero (tradotto da Rizzoli) che, forse anche per merito del collaboratore americano Michael Hardt, appariva gi meno ermetico di tante altre opere del professore padovano. Chomsky aveva osservato che le tesi di Impero avrebbero potuto essere pi utilmente e chiaramente espresse in un numero assai minore di pagine invece che in un tomo di quello stile e di quelle proporzioni. Leggendo ora le conversazioni di Negri con Raf Valvola Scelsi (autore tra l'altro di una antologia di testi politici intitolata Cyberpunk, ed. Shake 1990), ci rendiamo conto di quanto giovi alla comprensione, e anche alla persuasivit, delle idee di Negri la collaborazione di un ascoltatore che lo aiuta a riassumerle e a chiarirle. Laddio al socialismo (Goodbye Mr Socialism il titolo, ed. Feltrinelli) di cui qui si parla non affatto, come ovvio per chi conosca Negri, una presa d'atto di ci che purtroppo persino molta sinistra ormai sembra aver accettato, e cio che non c' altro sistema economico efficace fuori del capitalismo. Al socialismo, invece, si dice qui addio proprio perch si lasciato affascinare (non certo per motivi estetici) dal modo di produzione capitalistico, rinunciando agli originari propositi di condurre l'umanit fuori dalla preistoria dello sfruttamento e della violenza. Il disastro del socialismo reale dell'Urss, culminato nella dittatura staliniana e nei suoi crimini sanguinosi, si spiega anzitutto in base a questo tradimento originario che, molto al di l delle personali scelte di Stalin, stato reso

necessario dall'assedio in cui fin dall'inizio il sistema sovietico stato rinchiuso da parte delle potenze capitalistiche. del resto qualcosa di cui tutti ci possiamo render conto facilmente: per portare la Russia feudale di inizio Novecento al punto di competere con gli Stati Uniti nella corsa allo spazio negli anni Cinquanta, era difficile non seguire la via di quella industrializzazione forzata che ha fatto perdere ogni contenuto libertario al sistema dei soviet: dell'originario programma leninista (comunismo soviet pi elettrificazione) rimasto solo l'ideale dello sviluppo industriale accelerato, necessario per non essere strangolati dall'assedio del capitalismo (e tra l'altro, per battere Hitler nella seconda guerra mondiale). Non che Negri assolva cos completamente Stalin e la classe dirigente sovietica che lo segu; ma certo mostra quanto di oggettivamente inevitabile ci sia stato nella involuzione della Russia dalla Rivoluzione d'Ottobre fino alla caduta del muro di Berlino. Tutto dipeso dal non aver creduto, o potuto credere, nella trasformazione radicale della societ e anche nella creazione di quell'uomo nuovo sovietico che l'avrebbe dovuta produrre. Il socialismo dunque morto per suicidio, si ridotto, nelle socialdemocrazie industriali, a un capitalismo di Stato che appunto in quanto sempre fondato sull'idea del profitto, annacquata solo con qualche meccanismo redistributivo (Welfare ecc.) - mostra di non reggere ai ritmi del capitalismo autentico che cerca il profitto e che per questo ricostruisce continuamente strutture di dominio e di sfruttamento. La fine del socialismo, si potrebbe dire, mostra per Negri anche l'improseguibilit del capitalismo. Nella quale ha una grande parte proprio lo sviluppo delle tecnologie nell'era dell'informatica. Come volete ancora, per esempio, che sia possibile difendere la propriet intellettuale - di software, di brevetti farmaceutici, di musiche e film - nella societ dove Internet tende a mettere tutto in comune? Persino fenomeni come Echelon - il sistema di intercettazione universale di messaggi che, diretto da Usa e Gran Bretagna, sorveglia ormai tutta la nostra vita - non permette pi di pensare alla distinzione tra pubblico e privato nei termini tradizionali; e se non vuole trasformarsi in una orrenda macchina orwelliana, richiede un ripensamento di tutto il sistema sociale. Che in fondo dovrebbe ricuperare l'originale ideale dei soviet - dei consigli di cittadini coinvolti in prima

persona nella direzione collettiva della cosa pubblica. Negri, che ha pubblicato di recente un altro grosso libro programmatico, Moltitudine. Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale (Rizzoli), conta molto sulla potenza delle nuove tecnologie in direzione della affermazione di ci che egli chiama il comune, ci che non privato ma neanche pubblico nel senso tradizionale, cio statale. Comuni sono certi beni che, come nelle societ preindustriali, e oggi ancora in certe forme comunitarie di culture non completamente europeizzate (le societ andine, per esempio), sono a disposizione di tutti (una volta i pascoli comunali, per esempio). Acqua e aria pulita sono beni comuni di questo tipo, che tendono a esserlo sempre meno se non cambia l'ordine capitalistico in cui ancora viviamo. Un comunismo sovietico nel senso originario della parola sembra oggi pi possibile di quanto non fosse a inizio Novecento: per esempio (come aveva suggerito un bel libro di Aldo Schiavone di molti anni fa) in una societ in cui tutti abbiano accesso alla rete informatica pi facile evitare la burocratizzazione di partiti e strutture statali che ha soffocato le societ socialiste, giacch si possono mettere in comune molte pi informazioni e cos anche democratizzare molte decisioni di interesse generale. Il pensiero post-modernista, di cui Negri ingiustamente diffida, forse perch troppo influenzato da autori anglosassoni, o dallo stesso Habermas - che per lo demonizzano proprio come nemico di quella modernit che neanche a Negri dovrebbe piacere tanto (stalinismo stato anche modernizzazione) - ha lavorato proprio su questo terreno, dell'apertura a nuove forme di vita individuale e collettiva meno centrate sul soggetto proprietario e forse anche meno legate agli ideali politici della modernit. Proprio in quanto post-modernisti, potremmo dire, ci sentiamo di scusare l'assenza di programmi strettamente politici dal discorso di Negri. Quando parla delle moltitudini e dei sintomi di un loro risveglio in varie forme e in varie parti del mondo (no global, esperienze cooperative di base ecc.) sembra che le sue tesi sfumino in una sorta di attesa mistica di un rinnovamento che - giustamente, del resto - non pu identificarsi con la fondazione di un partito o con la presa di qualche Palazzo d'Inverno. Forse solo il postmodernismo (e penso proprio a Nietzsche e a Heidegger, che Negri bolla come reazionario) pu aiutarci a pensare una rivoluzione che non pretenda di dar

luogo a un nuovo ordine rigidamente stabilito e formalizzato (come in fondo lo vorrebbe Habermas), ma che accetti di preparare, con uno stile un po' pi ironico e anarchico, nuove forme di esistenza delle quali, per ora, abbiamo solo un vago sentore. Gianni Vattimo

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