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IL DISCORSO DI HEIDEGGER SULLA FINE DELLA METAFISICA E' ANCORA ATTUALE Post-moderni, ma non superati
Pubblicazione: [11-01-2004, STAMPA, NAZIONALE, pag.25] - [11-01-2004, STAMPA, INTERNAZIONALE, pag.23] Sezione: Societa' e Cultura Autore: VATTIMO GIANNI Da domani al 16 gennaio si svolge a Lima la Conferenza inter-ibero-americana di Filosofia. A Gianni Vattimo, e' affidata una delle relazioni, di cui presentiamo qui uno stralcio Gianni Vattimo DA molte parti si dichiara ormai <<superato>>, - da qualcosa di piu' (post) moderno? - lo stesso concetto di postmodernita'. E cosi' si considera ormai consumato anche il discorso di Martin Heidegger sulla metafisica e la sua fine. Puo' darsi che cio' sia <<vero>>, ma solo per una specie di processo storico di invecchiamento; non perche' qualcuno abbia <<confutato>> ne' il discorso sul postmoderno, ne' la visione heideggeriana della (fine della) metafisica. Se non ci sono vere e proprie confutazioni e' perche', anche per i suoi critici, Heidegger ha, paradossalmente, ragione. Se e' <<superato>>, vuol dire che qui si argomenta solo per motivazioni storiche. Non si tratta di ricordare questo per mostrare la contraddizione performativa dei critici, secondo la logica del famoso argomento contro gli scettici che non ha mai persuaso nessuno. Piuttosto, di prendere atto che neanche i teorici tendenzialmente fondazionalisti usano argomenti fondativi per argomentare le proprie tesi. Il che, almeno a mio parere, mostra che il post-moderno e' la nostra condizione piu' o meno universale. Negarlo vorrebbe dire revocare un dubbio gran parte delle auctoritates filosofiche e culturali di cui e' fatta la nostra quotidianita', ossia in qualche senso lasciarci <<senza parole>>, impossibilitati a usare il vocabolario concettuale nel quale siamo cresciuti e che rende possibile la nostra comunicazione. Anche e soprattutto il neopragmatismo che ha largamente sostituito le posizioni neopositivistiche nella filosofia anglosassone si <<prova>>, ma meglio sarebbe dire si raccomanda come posizione filosofica ragionevole e preferibile, in riferimento non a esigenze vitali immediate, immaginate come naturali; ma alle condizioni di esistenza che caratterizzano una certa societa' e una certa cultura, quella del mondo attuale. Persino la nozione basilare dei diritti umani, intorno a cui ruota la vita sociale e politica di oggi, mostra chiaramente di non potersi fondare su essenze metafisiche, e anzi la' dove questo accade, appare - Editrice La Stampa S.p.a. - Tutti i diritti riservati -

Per informazioni: sito web: http://archivio.lastampa.it email: archivio@lastampa.it subito l'ispirazione autoritaria di coloro che pensano in questo modo. E' tutt'altro che una questione accademica, giacche' la si deve affrontare ogni volta che un gruppo, una chiesa, un paese del mondo avanza la pretesa di essere portatore di diritti fondati sulla natura stessa dell'uomo, in nome dei quali pretende di imporre leggi, gerarchie, discipline di qualche tipo. Nessuno, credo, neghera' che nel mondo di oggi questa e' la questione centrale: nei rapporti internazionali, come mostra il caso della guerra irachena, dove la superpotenza statunitense si ritiene (e, il che e' piu' grave, spesso in buona fede) titolare del diritto di imporre la <<democrazia>>, come essa la intende e pratica, agli altri popoli del mondo. Ma cio' vale anche per la politica interna di molti altri paesi a regime democratico: nei quali la Chiesa o le chiese pretendono di parlare in nome del diritto naturale. La situazione nei paesi musulmani non secolarizzati e' ancora peggiore, come si sa, e costituisce una delle minacce di guerra (scontro di civilta') con cui ci troviamo a fare i conti. Cio' non significa, voglio sottolinearlo con forza, che le pretese <<giusnaturalistiche>> di governi, chiese, gruppi, non debbano essere interpretate anche come posizioni ideologiche, che esprimono interessi materiali ben concreti - ancora una volta e' il caso della guerra irachena e degli interessi petroliferi e industriali in genere che la muovono. Ma anche in casi come questo, l'idea di poter svuotare di forza persuasiva e storicamente efficace il richiamo al diritto e alla giustizia naturale mostrandone il carattere puramente ideologico non appare capace di risolvere i conflitti, a meno che, ancora una volta in nome della <<verita'>> (per esempio della <<essenza generica>>, il Gattungswesen di cui parlava Marx) una classe di <<illuminati>> autorizzati da una specie di missione metafisica assoluta si imponga con la forza. Questo, in ultima analisi, e' il senso <<filosofico>> del fallimento delle rivoluzioni novecentesche, a cominciare da quella russa, che sembrava all'inizio la piu' conforme a ideali umani di uguaglianza e giustizia distributiva. Ancora piu' evidente e' il carattere disumano e autoritario di ogni fondazione <<naturalistica>> nei movimenti fascisti, che passano facilmente dal darwinismo sociale (ognuno secondo le sue <<naturali>> capacita') al razzismo esplicito (promuovere l'umanita' <<naturalmente>> superiore...). Avrebbe senso parlare della politica mondiale di oggi senza tener presente questa <<impossibilita'>>, concettuale ma anzitutto pratica, del giusnaturalismo? Lo stesso accade anche in filosofia e nelle scienze; dando ragione, nel senso piu' ampio, alle tesi di Thomas Kuhn. Anche delle streghe e dei vampiri non abbiamo mai dimostrato scientificamente l'inesistenza; semplicemente, non sono piu' termini del nostro vocabolario, chi ne parla si - Editrice La Stampa S.p.a. - Tutti i diritti riservati -

Per informazioni: sito web: http://archivio.lastampa.it email: archivio@lastampa.it isola definitivamente dalla comunita' dei parlanti attuali... Riconoscere simili <<impossibilita'>> - che non sono, in fondo, per nulla logiche e concettuali, ma anzitutto pratico-politiche significa in definitiva prender atto della nostra condizione postmoderna, comunque poi la si voglia chiamare. Ma se per esempio si definisce quella che qui chiamo condizione post-moderna in termini, molto diffusi in tutti gli ambienti, di <<crisi dei valori>>, vediamo subito che tra le interpretazioni che si esprimono nei diversi termini c'e' una differenza abissale. Qui, mi pare, si inserisce l'importanza del riferimento alla teoria heideggeriana della fine della metafisica. Chi parla di crisi dei valori mostra di considerare la nostra condizione come un momento di perdita di fondamenti che dobbiamo rimpiangere e, possibilmente, ricuperare, uscendo dallo stato negativo di mancanza. Nietzsche parlava a questo proposito di nichilismo negativo o reattivo. Quando <<Dio e' morto>>, e cioe' diventa esplicito il carattere interpretativo di ogni (pretesa) verita' assoluta, la versione negativa o reattiva del nichilismo si presenta come la via di uscita di chi non supera il lutto per quella morte, e anzi si rifiuta di prenderne atto, cercando di ricuperare una qualche assolutezza che sostituisca quella perduta. In nichilismo autentico, attivo creativo, e' invece l'atteggiamento dell'uomo <<piu' moderato>> che sa essere ironico anche verso se stesso; che non ha rimpianti per quel Dio (neanche Pascal ne aveva). <<Dio e' morto, e noi ora vogliamo che vivano molti de'i>>, scrive altrove. Ora, parlare di fine della metafisica come storia dell'essere vuol dire, nella mia prospettiva, liberare il postmoderno dal nichilismo reattivo, cioe' da ogni tentazione restaurativa (il <<ritorno ai valori>>) o, dall'altro lato, improntata al relativismo e allo scetticismo.

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