Italo Calvino, nella sua Postfazione all'antologia del 1982, indica una parentel
a letteraria tra le opere di Landolfi e quelle di Barbey d'Aurevilly e di Villie
rs de l'Isle-Adam, mentre Carlo Bo ha dichiarato pi volte che Landolfi il primo s crittore dopo D'Annunzio ad avere il dono di giocare con la lingua italiana e di poterne fare ci che vuole. Centrale nella sua opera la critica alle magnifiche sorti e progressive della mo derna societ dei consumi, ma rispetto a quella degli scrittori impegnati essa con dotta da un punto di vista aristocratico e conservatore[8] e si riverbera altres nel linguaggio attraverso uno stile sperimentale e un lessico barocco. Landolfi ha un vero interesse per le possibilit della lingua, seppure non sia uno scrittore d'avanguardia ma piuttosto un conservatore: per esempio, nel racconto La passeggiata[9], che alla persona dotata di un vocabolario medio pare un racc onto astruso e incomprensibile, Landolfi fa sfilare una serie di vocaboli desuet i, o gergali, ma tutti presenti sul dizionario. Una glossolalia, la sua, come di rebbe Agamben[10], da leggere con una continua sorpresa, dizionario alla mano (i l suo era uno Zingarelli, ma usava anche il Tommaseo-Bellini). L'inizio del racc onto recita cos: La mia moglie era agli scappini, il garzone scaprugginava, la fante preparava la bozzima... Sono un murcido, veh, son perfino un po' gordo, ma una tal calma, ma l rotta da quello zombare o dai radi cuiussi del giardiniere col terzomo, mi fac eva quel giorno l'effetto di un malagma o di un dropace! (La passeggiata (1966)) L'esempio in Landolfi non isolato, infatti usa lo stesso parlar per glosse nel r acconto Conferenza personalfilologicodrammatica con implicazioni.[11] Landolfi capace di dare leggerezza a fattarelli quotidiani e illuminarli di nuov a luce, anche solo con un vocabolo, come fa chiamando le omelette pesceduovo. Viceversa, Landolfi ama anche inventare e affronta problemi di linguistica, come nel caso della celebre poesia in lingua inventata che inizia cos: Aga magera difura natun gua mesciun Sanit guggernis soe wali trussan garigur Gunga bandura kuttavol jeris-ni gillara.... Questa poesia si trova all'interno del racconto umoristico e concettuale Dialogo dei massimi sistemi (1937)[12], incentrato sul problema linguistico e paradossa le di una lingua comprensibile solo al parlante, e al valore intrinseco, se esis te, di una poesia scritta in tale lingua. La poesia, quasi una formula magica, n el 1994 viene scelta per dare il titolo al Dizionario delle lingue immaginarie d i Paolo Albani e Berlinghiero Buonarroti.[13]