Sei sulla pagina 1di 194

Aldous Huxley

LUNGO
LA STRADA
Annotazioni di un turista
Traduzione di Graziella Cillario

FRASSINELLI

Indice

Parte prima
I1 viaggio in generale
Perch non rimanere a casa?
Uccelli migratori
La visione del viaggiatore
Le guide turistiche
Gli occhiali
La campagna
Libri da viaggio
Parte seconda
Luoghi
Montesenario
I1 fiume di Patinir
Portoferraio
I1 Palio di Siena
Paesaggi d'Olanda
Sabbioneta

Parte terza
Opere d'arte
Bruegel
Rimini e Alberti
Consolo
II pi bel dipinto del mondo
La fonte delle Muse
Parte quarta
Altri appuntamenti
Una notte a Pietramala
Lavoro e tempo libero
La musica popolare
Il mistero del teatro

PARTE PRIMA

Il viaggio in generale

Perch non rimanere a casa?

Ci sono persone che viaggiano per lavoro, altre per


motivi di salute. Ma non sono certo i malati e gli uomini
d'affari che riempiono i grandi alberghi e le tasche dei loro proprietari. Sono quelli che viaggiano per piacere,
come si dice comunemente. Ci che Epicuro - il quale
non viaggiava mai, salvo quando fu esiliato - cercava
nel suo giardino, i nostri turisti lo cercano lontano da casa. E trovano la felicit? Coloro che frequentano le localit cosiddette turistiche giudicheranno la domanda, con
un'eventuale risposta negativa, piuttosto indelicata. Infatti i turisti sono, nella maggioranza, gente dall'aria triste. Ho visto facce pi allegre a un funerale che in piazza
San Marco. Solo quando si riuniscono in gruppo e riescono a illudersi fuggevolmente di essere a casa, la maggior
parte dei turisti appaiono veramente contenti. Ci si domanda perch vadano all'estero.
I1 fatto che ben pochi amano davvero viaggiare. Se
affrontano i fastidi e le spese di un viaggio non tanto
per curiosit o per divertimento o per il piacere di vedere

cose belle e insolite, quanto per una forma di snobismo.


La gente viaggia per le stesse ragioni per cui colleziona
opere d'arte: perch cos fa la buona societ. Essere stati
in certi punti della superficie terrestre socialmente appropriato; d un senso di superiorit su coloro che non ci
sono mai stati. Inoltre i viaggi offrono argomenti di conversazione utili quando si ritorna a casa. Questi non sono
di solito cos numerosi da potersi permettere di trascurare
un'opportunit per allargare il proprio repertorio.
Per giustificare questo snobismo si andata formando
col tempo tutta una serie di miti. I luoghi che socialmente elegante aver visitato sono aureolati di fascino,
tanto da apparire a chi non c' mai stato altrettante leggendarie Babilonia o Bagdad. Chi ha viaggiato ha un interesse personale a coltivare e diffondere queste leggende. Infatti se Parigi e Montecarlo sono dawero cos meravigliose come le immaginano gli abitanti di Bradford o
del Milwaukee, di Tomsk e di Bergen, allora tanto pi
grande il merito di chi le ha visitate, tanto pi marcata
la sua superiorit su chi rimasto a casa. per questa ragione (e perch arricchiscono gli albergatori e le compagnie di navigazione) che le leggende sono mantenute scrupolosamente in vita.
Poche cose sono pi patetiche dello spettacolo di certi
viaggiatori inesperti, nutriti di questi miti, che fanno di
tutto per far coincidere la realt con la leggenda. per
amore del mito e, meno consciamente, per snobismo che
hanno lasciato le loro case; ammettersi delusi dalla realt
sarebbe come ammettere la propria stupidit per aver
creduto nella leggenda, e diminuirebbe il loro merito per
aver intrapreso il pellegrinaggio. Sulle centinaia di migliaia di anglosassoni che frequentano i night-club e le sale da ballo di Parigi ce ne sono indubbiamente molti che

apprezzano sinceramente queste cose. Ma moltissimi altri


provano segretamente un senso di fastidio e anche di disgusto. Eppure sono stati educati a credere in una Parigi
favolosa, dove tutto straordinariamente eccitante e dove, unico luogo al mondo, possibile vedere quella che
dawero si pu chiamare Vita. Quindi, arrivando a Parigi, si dedicano coscienziosamente allo sforzo di essere allegri. Ogni notte le sale da ballo e i bordelli sono affollati
di seri giovani compatrioti di Emerson e di Matthew Arnold, assiduamente impegnati a tentare di vedere la Vita,
pur in modo abbastanza confuso, attraverso i fumi sempre pi densi dell'Heidsieck e del Roederer.
Ancora pi coraggiose e determinate sono le loro compagne: queste per lo pi (a meno che siano estremamente
moderne) non ricorrono al Roederer perch le aiuti a
trovare Parigi allegra. Lo spettacolo pi triste al quale
abbia mai assistito stato in una bote di Montmartre alle
cinque circa di un mattino d'autunno. A un tavolino
d'angolo sedevano tre giovani americane, non accompagnate, avventurosamente impegnate a studiare la Vita da
sole. Sul loro tavolo c'erano le rituali bottiglie di champagne; ma per loro gusto, o forse per principio, bevevano
limonata. L'orchestra jazz suonava stancamente; il percussionista, sfinito, chinava il capo sul suo tamburo, i1
saxofonista sbadigliava nel suo saxofono. A coppie, in
gruppi, i clienti uscivano barcollando. Ma risolute, indomite, nonostante la stanchezza e la noia chiaramente visibili sui loro visi ingenui e graziosi, le tre ragazze non si
muovevano dal loro posto. C'erano ancora quando all'alba me ne andai. Chiss quali storie, pensavo, avrebbero raccontato al loro ritorno! E quale invidia avrebbero fatto nascere nelle amiche rimaste a casa: Parigi
semplicemente stupenda.. .

Ai parigini il mito regala diverse centinaia di miliardi


di buona moneta. A esso dedicano un'abbondante pubblicit; gli affari sono affari. Ma se io fossi il padrone di
una sala da ballo di Montmartre direi ai miei camerieri di
recitare la loro parte allegra con un po' pi di convinzione. Ragazzi, direi loro, dovete aver l'aria di credere
nel mito sul quale ci guadagniamo da vivere. Sorridete,
siate allegri. La vostra espressione attuale, che un misto
di noia, di disprezzo per i clienti e di cinica avidit, non
incoraggiante. Un bel giorno i clienti potrebbero essere
abbastanza sobri per accorgersene. E allora dove andremmo a finire?
Ma Parigi e Montecarlo non sono le sole mete di pellegrinaggio. Ci sono pure Roma e Firenze. Ci sono musei,
chiese e rovine, oltre che negozi e casin. E lo snobismo
che decreta che si deve amare l'Arte - o, per maggiore
esattezza, che si devono visitare i luoghi dov' visibile
l'Arte - quasi altrettanto tirannico quanto quello che
ordina di visitare i luoghi dove si contempla la Vita.
Siamo tutti pi o meno interessati alla Vita - anche a
quella fetta abbastanza meschina che si pu trovare a
Montmartre. Ma il gusto per l'Arte - intendo il genere
di arte che si trova nei musei e nelle chiese - non affatto universale. Quindi il caso dei poveri turisti che per snobismo visitano Roma e Firenze ancora pi patetico di
quello di chi va per la stessa ragione a Parigi e Montecarlo. I turisti che visitano una chiesa portano una maschera
di riverente interesse; ma quanta stanchezza, quale tedio
assoluto traspare cos spesso dai loro occhi! E questa
stanchezza sentita ancora pi forte proprio per lo sforzo di simulare un'attenzione assorta, di andare ipocritamente in estasi davanti alle cose segnalate dal Baedeker
con varie stelle. Ci sono momenti in cui l'essere umano

non riesce pi a sopportare lo sforzo. I1 filisteismo rifiuta


nettamente di pagare il tributo dovuto al gusto. Esasperato e ribelle, il turista giura che non metter mai pi piede in una chiesa, e preferisce passare le sue giornate nel
salone dell'albergo leggendo il Daily Mail, edizione per il
continente.
Ricordo di aver assistito a una di queste ribellioni a Venezia. Una societ di navigazione lagunare faceva la pubblicit di gite pomeridiane all'isola di Torcello. Prenotammo i posti e all'ora fissata partimmo in compagnia di
altri sette o otto turisti. Romantica nella sua solitudine,
Torcello ci apparve sulla laguna. I marinai attraccarono
a un piccolo molo in rovina. A quattrocento metri circa,
fra i campi, sorgeva la chiesa. Essa contiene alcuni dei
pi bei mosaici d'Italia. Scendemmo sulla riva, tutti ad
eccezione di una coppia di americani ostinati i quali,
quando seppero che l'interesse dell'isola consisteva soltanto in una chiesa, ancora un'altra, decisero di rimanere
comodamente seduti nella barca ad aspettare il ritorno
del gruppo. Li ammirai per la loro fermezza e la loro onest. Ma nello stesso tempo mi parve piuttosto triste che
avessero fatto tanta strada e speso tanto denaro semplicemente per il piacere di stare seduti in un motoscafo ormeggiato a un molo putrido. Ed erano soltanto a Venezia. La loro avventura italiana era appena iniziata. Padova, Ferrara, Ravenna, Bologna, Firenze, Siena, Perugia,
Assisi e Roma, con le loro innumerevoli chiese e pitture,
erano ancora da vedere prima di raggiungere il felice traguardo di Napoli e potersi finalmente imbarcare sul transatlantico che li avrebbe riportati a casa. Poveri schiavi,
pensai, di un padrone cos esigente!
Li chiamiamo viaggiatori semplicemente perch non se
ne restano a casa. Ma non sono viaggiatori autentici,

viaggiatori nati. Infatti viaggiano non per il piacere di


viaggiare ma per rispetto delle convenzioni. Partono nutriti di speranze e illusioni fantastiche e ritornano, anche
se non lo ammettono, delusi. Scarsamente interessati alla
realt, corrono dietro ai sogni, e le cose che vedono, sia
pure belle, curiose e varie, sono una delusione. Solo la vicinanza dei loro compagni di viaggio, con i quali ogni
tanto si creano una piccola oasi domestica nel deserto di
un paese straniero, insieme alla coscienza di assolvere un
dovere sociale, li tiene sia pur moderatamente allegri di
fronte alle deprimenti realt del viaggio.
L'autentico viaggiatore, invece, cos interessato alle
cose reali che non giudica necessario credere nei miti.
di una curiosit insaziabile, ama le cose sconosciute proprio in quanto sconosciute, si entusiasma per ogni manifestazione di bellezza. Sarebbe assurdo, certo, dire che
non si annoia mai. praticamente impossibile viaggiare
senza annoiarsi ogni tanto. Per il turista una parte della.
giornata inevitabilmente vuota. Per cominciare, si passa molto tempo a spostarsi da un luogo all'altro. E quando le visite sono finite, il turista si ritrova stanco fisicamente e con niente di particolare da fare. A casa propria,
fra le varie occupazioni normali, non ci si annoia mai. La
noia essenzialmente un sentimento della vacanza. (Non
forse il male cronico dello sfaccendato?) Proprio per
questa ragione il vero viaggiatore trova piacevole la noia:
il simbolo della sua libert - del suo eccesso di libert.
Accetta la noia, quando viene, non solo con filosofia ma
quasi con gioia.
Per il viaggiatore nato viaggiare il vizio dominante. Come gli altri vizi tirannico, esige dalla sua vittima tempo, denaro, energie e il sacrificio delle sue comodit. Vanta dei diritti; e il viaggiatore nato cede di buon

grado, quasi con entusiasmo. Molti vizi, vorrei aggiungere tra parentesi, esigono considerevole abnegazione. un
grave errore immaginare che una vita di vizi sia una vita
di ininterrotti piaceri. quasi altrettanto faticosa e difficile - se intensamente vissuta - quanto quella di Christian ne Il viaggio delpellegrino. La differenza principale
fra Christian e l'uomo vizioso che il primo ottiene qualcosa dai suoi sacrifici - sotto forma di un certo saltuario
benessere spirituale, per non parlare di ci che pu trovare in quella Gerusalemme gravemente problematica oltre
il fiume - mentre il secondo non ottiene nulla, salvo forse la gotta e la paralisi progressiva della demenza.
I1 vizio di viaggiare, vero, non porta necessariamente
con s queste due malattie; anzi, per la verit, nessun tipo
di malattia, a meno che i vostri vagabondaggi si spingano
fino ai tropici. Nessuna malattia del corpo, perch viaggiare non un vizio del corpo (semplicemente lo fiacca)
ma della mente. I1 viaggiatore che ama il viaggio in s
stesso come il lettore sregolato - un uomo che si abbandona al proprio piacere.
Come tutti gli altri uomini viziosi, il lettore e il viaggiatore hanno un intero arsenale di giustificazioni per difendersi. Leggere e viaggiare, dicono, allargano la mente,
stimolano la fantasia, sono altamente educativi. E cos
via. Questi sono argomenti speciosi; non convincono nessuno. Perch, anche se vero che per alcuni le letture e i
viaggi senza scopo sono molto istruttivi, non per questo
motivo che la maggior parte dei lettori appassionati e dei
viaggiatori nati indulgono ai loro gusti. Leggiamo e viaggiamo non per allargare e arricchire la nostra mente, ma
per dimenticare piacevolmente la sua esistenza. Amiamo
la lettura e i viaggi perch sono i pi deliziosi di tutti i surrogati del pensiero. Surrogati sofisticati e abbastanza raf-

finati. Per questo motivo non sono alla portata di tutti. Il


lettore o il viaggiatore congenito appartiene a quella razza esigente che non trova lo svago di cui ha bisogno nelle
scommesse, nel mah-jong, nell'alcol, nel golf e nel ballo.
Sono ben pochi quelli che viaggiano o che leggono con
uno scopo e un metodo definiti. Sono una classe moralmente ammirevole. Ed e la classe alla quale in genere appartengono le persone che realizzano qualcosa nella vita.
Per non sempre, in verit. Purtroppo, infatti, si possono avere nobili scopi e una bella personalit ma nessun
talento. Qualcuno dei viaggiatori e dei lettori che pi indulgono al piacere momentaneo ha saputo trarre vantaggio dai propri vizi. La sregolatezza nella lettura fu il peccato principale del dottor Johnson; leggeva qualsiasi libro gli capitasse fra le mani, ma nessuno fino alla fine.
Eppure i suoi risultati non furono da poco. E ci sono stati
viaggiatori frivoli, come Beckford, che sono andati in giro per il mondo indulgendo a una curiosit capricciosa,
con risultati quasi altrettanto buoni. La virt ha in s il
suo compenso; ma l'uva che il talento sa cogliere non
un po' acida?
Per me viaggiare decisamente un vizio. La tentazione
di indulgervi irresistibile, quasi come quella di leggere
in maniera indiscriminata, onnivora e senza scopo. Ogni
tanto, vero, prendo la decisione incrollabile di emendarmi. Traccio programmi di letture serie e proficue; tento di trasformare i miei vagabondaggi in viaggi sistematici attraverso la storia dell'arte e della civilt. Ma senza
molto successo. Dopo un po' ricado nei miei vecchi errori. Deplorevole debolezza! Cerco di consolarmi con la
speranza che anche i miei vizi possano essermi di qualche
utilit.

Uccelli migratori

Capelli biondi, capo scoperto, faccia abbronzata, pi


scura dei capelli, essi arrancano sulle strade polverose.
Portano calzoncini corti tirolesi, dai quali escono le ginocchia cotte dai sole. Gli enormi scarponi chiodati hanno un suono metallico sulle lastre di pietra delle chiese
nelle quali, Kunstforscher coscienziosi, si introducono.
Portano sul dorso lo zaino e fra le mani a volte un bastone, a volte un grosso ombrello; li ho visti scalare il Viale
dei Colli a Firenze con la piccozza in mano. Sono gli uccelli migratori e, come il loro nome (cos romantico e
usato senza ironia) schilleriano cos palesemente dimostra, vengono dalla Germania. Molti di loro hanno fatto
tutto il percorso a piedi, da Berlino a Taranto attraverso
le Alpi e ritorno, senza denaro, mangiando pane e acqua,
dormendo nei fienili o ai lati della strada. Giovani avventurosi e audaci! Sento per loro la pi profonda ammirazione. Addirittura li invidio, vorrei avere la loro energia,
il loro coraggio. Ma non li imito. Dice l'inno:

Gli antichi Santi salivano al Cielo


Con dolore, sforzo e fatica.
Signore, a noi pure sia data la forza
Per seguire in corteo. *

Per me, devo confessare, anche il treno diventato un


mezzo di locomozione troppo scomodo per farne molto
uso. Correggerei i due ultimi versi dell'inno cos:Signore, a noi pure sia data la ricchezza per seguire in automobile. La preghiera stata esaudita, almeno in parte; infatti da vedere se una Citroen dieci cavalli possa veramente essere chiamata automobile. 1 possessori di Napier, Vauxhall, Delage e Voisin lo negherebbero di certo.
Non discuter la faccenda. Tutto quello che posso dire a
favore della Citroen dieci cavalli che funziona. Modestamente e alla buona, non molto velocemente, ma con
regolarit e sicurezza. Questo esemplare ci ha portati per
diverse migliaia di chilometri sulle strade d'Italia, Francia, Belgio e Olanda; il che, per chiunque abbia familiarit con quelle strade, tutto dire.
A questo punto, se sapessi controllarmi, smetterei di
parlare di Citroen e ritornerei a temi pi elevati. Ma la
tentazione di parlare di automobili, per chi ne possiede
una, irresistibile. Prima di comprare la mia Citroen nessun argomento mi pareva meno interessante; ora nessuno
lo di pi. Posso parlare per ore di motori con gli altri
automobilisti. E sono pronto ad annoiare implacabilmente i non motorizzati parlando loro all'infinito di questo delizioso argomento. Spreco molto tempo prezioso

I1 verso in lingua originale suona: To follow in the train, dove


train significa corteo, ma anche treno: di qui il gioco di parole
nelle considerazioni successive. (N.d.T.)

leggendo giornali di automobilismo, mi appassiono alle


notizie delle corse su pista, leggo con la massima attenzione i vari dettagli tecnici che non capisco. E una pazzia,
ma di un genere molto piacevole.
Le conseguenze spirituali dell'essere un possessore di
automobile non sono, mi accorgo, tutte benefiche. L'introspezione e i discorsi degli altri automobilisti mi hanno
dimostrato che possedere un'automobile puo avere un
pessimo effetto sul carattere. Per cominciare, ogni automobilista un bugiardo. Non pu dire la verit circa la
sua macchina. Ne esagera la velocit, il numero di chilometri che fa con un litro di benzina, le proprie prodezze di
arrampicatore in montagna. Nel calore della conversazione anch'io ho peccato in questo senso pi di una volta; e
anche a freddo, con premeditazione, ho proferito sull'argomento bugie coscienti e calcolate. Non mi pesano molto
sulla coscienza. Non sono un casuista, ma mi pare che una
menzogna pronunciata senza aspettarsi che nessuno ci
creda sia una colpa molto veniale. L'automobilista, come
il pescatore, non suppone mai realmente che le sue vanterie vengano credute. Io pure ho smesso da molto tempo di
dare il bench minimo credito a quello che mi dicono i
miei compagni automobilisti. I1 mio ultimo residuo di fiducia fu distrutto da un guidatore belga il quale mi assicurb che due ore erano pi che sufficienti per il percorso da
Bruxelles a Ostenda; lui stesso, dichiar, lo faceva continuamente e non impiegava di pi. Gli credetti e non consultai la guida delle strade. Se lo avessi fatto avrei scoperto che la distanza fra le due citt di oltre cento chilometri, che la strada tutta pavimentata a ciottoli e per di pi
molto male, e che si deve passare attraverso tre grandi citt e circa venti paesi. Cos partimmo a pomeriggio inoltrato e fummo fatalmente sorpresi dalla notte. Ora, quando

un automobilista mi dice quanto impiega per andare da


un luogo all'altro, aggiungo alla cifra dal trenta al sessanta per cento, a seconda della persona. In questo modo ottengo la verit approssimativa.
Un altro orribile peccato sviluppato dal possesso di
un'automobile, specialmente se piccola, l'invidia. Quale amarezza riempie l'animo del proprietario di una 10
HP quando viene superato da una 40 HP lanciata silenziosamente a tutta velocit! Che odio feroce prova per il
possessore della macchina pi grande! Da quale invidia e
bramosia viene preso! Sulle strade piane si prova minore
invidia che su quelle in salita. In pianura infatti anche
l'automobile piccola se la cava con onore a mantenere la
fiducia in se stesso del guidatore. Mentre in un paese
montagnoso, come per esempio l'Italia, dove le strade
salgono fino a settecento o ottocento metri di altezza per
poi ridiscendere, fiorisce il peccato mortale dell'invidia.
L veramente l'automobile piccola deve riconoscere la
sua mortificante piccolezza. La superiorit della 40 HP
diviene dolorosamente evidente. Fu sul Moncenisio che
la coppa della nostra umiliazione trabocc e l'invidia pi
nera invase le nostre anime. Eravamo partiti da Torino.
Per i primi cinquanta chilometri la strada perfettamente
piana. Li percorremmo di slancio; le piccole Fiat mangiavano la nostra polvere. Di fronte a noi, come un immenso muro irregolare, le Alpi sorsero improvvisamente dalla pianura. In fondo a una lunga valle dal fondo piatto
che conduce nel cuore delle montagne si incontra la citt
di Susa. La si attraversa e di colpo, senza preavviso, la
strada comincia ad arrampicarsi. Prosegue ripida, senza
tregua, per i prossimi venticinque chilometri. I1 passo su
in cima a quasi duemila metri sul livello del mare. La
Citroen pass in seconda e affront sbuffando la salita.

Avevamo percorso circa un chilometro quando ci colp


un rumore che veniva dalla valle, come il frastuono di
molte mitragliatrici tutte insieme. Divenne sempre pi
forte. Dopo un minuto un'enorme Alfa Romeo rossa da
corsa, stranamente simile a quella che aveva appena vinto il Gran Premio d'Europa, ci super rombando a una
velocit non inferiore agli ottanta chilometri all'ora. Era
guidata evidentemente da un genio, perch guardando in
su vedemmo il mostro scarlatto che affrontava un tornante dopo l'altro della strada a zig zag sopra di noi senza abbassare la velocit di un solo chilometro orario. In
altri trenta secondi scomparve alla vista. I1 rumore si ripercuoteva fra le montagne come un tuono. Noi continuammo ad arrancare. Mezz'ora pi tardi incrociammo
il terrore rosso che scendeva; nelle svolte mostrava lo
stesso disprezzo per le pi elementari regole della dinamica che aveva mostrato nella salita. Pensavamo di averlo
visto per l'ultima volta. Ma mentre aspettavamo alla dogana italiana che il funzionario esaminasse le nostre carte
- operazione che, come in tutte le dogane, richiese molto tempo - udimmo in distanza un rumore familiare. In
pochi minuti divenne assordante. Come un enorme razzo
rosso, trascinandosi dietro una nuvola di fumo, 1'Alfa
Romeo precedette la sua polvere bianca. Stanno facendo dei collaudi di salita in montagna)), spieg il soldato
di guardia. Ripartimmo ancora una volta. La dogana
solo a met strada della montagna; restavano all'incirca
altri mille metri per raggiungere la cima. Lentamente,
sempre in seconda, ci disponemmo a percorrerli. Eravamo solo a un chilometro dalla dogana quando, per la seconda volta, incrociammo 1'Alfa Romeo che scendeva.
Scomparve, portando con s un carico di odio, di invidia
e di sentimenti poco caritatevoli di varia specie.

La strada saliva e saliva. Passammo attraverso la zona


delle pinete. Intorno e sopra di noi, ora i pendii spogli;
sulle cime pi vicine, al di l della stretta valle, c'erano
chiazze di neve. Nonostante fosse estate, l'aria era insolitamente pungente. Soffiava il vento; all'ombra faceva
decisamente freddo. Ma questo non impediva all'automobile di bollire.
I1 ricovero e gli alberghi del Moncenisio sorgono sulle
rive di un lago al centro di un piccolo pianoro, un miracolo di terra pianeggiante fra le linee perpendicolari circostanti. Sul lato italiano questa piattaforma fra le alture
finisce bruscamente in una specie di precipizio. Negli ultimi cento o duecento metri la strada che vi conduce tagliata nella roccia e sale con una pendenza non comune.
Eravamo a met strada su per questi ultimi tornanti
quando di colpo, irrompendo con un rombo dall'angolo
di una sporgenza rocciosa che ne aveva attutito il rumore, 1'Alfa Romeo scarlatta ricomparve in fondo allo strapiombo che stavamo faticosamente risalendo a zig-zag.
Ci inseguiva come una bestia feroce che insegue la sua
preda ruggendo. Proprio mentre raggiungevamo la cima
il mostro ci sorpass e continu la sua corsa sul pianoro.
La nostra umiliazione era al culmine. Invidia e malumore
bollivano in noi, come l'acqua bolliva nel radiatore della
nostra misera macchinetta. Se almeno , dicemmo,
((avessimo una vera automobile.. . Ambivamo a sostituire la passione dell'invidia con le passiopi altrettanto
perverse e non cristiane dell'orgoglio e del disprezzo, cio
a essere quelli che superano con esultanza invece di quelli
che sono superati. S, anche il cuore dei figli dell'uomo
pieno di malvagit, e la follia alberga nel loro cuore finch sono vivi, dopo di che vanno tra i morti. Quando arrivammo all'albergo 1'Alfa Romeo aveva girato e si pre-

parava alla terza discesa. una brutta automobile)), dicemmo.


Tali sono le conseguenze morali di possedere una piccola automobile. Tentammo di ragionare fra noi. Dopo
tutto, dicevamo, questa macchinetta ha fatto un buon
servizio. Ci ha portati su strade cattive, su e gi per montagne immense, attraverso tutta una serie di paesi. Ci ha
portati non solo attraverso lo spazio, sulla faccia della
terra, ma attraverso il tempo - nelle varie epoche - attraverso l'arte, attraverso le lingue e gli usi, la filologia e
l'antropologia. stata strumento di grandi e svariati piaceri. Costa poco, si comporta bene, ha delle abitudini regolari come quelle di Immanuel Kant. Nel suo modo senza pretese un modello di virt. Dicemmo tutto questo
e molto di pi, e fu consolante. Ma nel fondo dei nostri
cuori covavano ancora l'invidia e lo scontento, come serpenti attorcigliati, pronti ad alzare la testa la prossima
volta che quaranta cavalli ci avrebbero superati in una salita.
Si pu obiettare che il proprietario della piccola automobile non il solo a provare invidia. I viandanti che
percorrono i loro sei chilometri all'ora, sudando su per la
salita polverosa, devono invidiare indiscriminatamente
sia l'uomo della dieci cavalli che quello della quaranta cavalli. Certo, alcuni di loro probabilmente lo fanno. Ma
non va dimenticato che ci sono pedoni che vanno a piedi
perch lo preferiscono sinceramente al farsi portare comodamente da un mezzo meccanico. In giovent cercavo
di convincermi che preferivo andare a piedi piuttosto che
ricorrere ad altri mezzi di locomozione. Ma presto scoprii
che non era vero. Per un po' di tempo recitai come tanti
(e sono assai numerosi) la parte del campagnolo cordiale
che va in giro a bere birra nelle piccole osterie perch la

cosa giusta da fare. Tuttavia finii per ammettere con me


stesso e con gli altri che non avevo lo spirito del girovago
appiedato, che non ero fatto per l'esercizio pesante e per
le scomodit e che non intendevo pi fingere di esserlo.
Ma continuo ad avere il massimo rispetto per quelli che
lo sono, e penso che appartengano a un tipo di umanit
superiore a quello predominante nel nostro tempo,
amante dell'ozio e degli agi. Una delle grandi attrattive
del progresso meccanico che esso ci permette di fare
ogni cosa facilmente e rapidamente. Questo molto piacevole, ma non credo che sia salutare per lo spirito. E
non lo neppure per il corpo. nei paesi civilizzati, dove
gli esseri umani mangiano di pi e fanno meno esercizio,
che il cancro pi diffuso. Questo male aumenta con l'espandersi delle fabbriche di Henry Ford.
Nonostante tutto preferisco seguire in automobile. Ai
viandanti che superiamo sulla nostra strada faccio tanto
di cappello. un segno della mia stima sincera. Ma dentro di me ripeto le parole dell'Abate nei Racconti di Canterbury: Che sia riservata a Austin la sua dura fatica)).

La visione del viaggiatore

Potrei dare molte eccellenti ragioni della mia avversione per i grandi pranzi, le serate, i ricevimenti, le feste, gli
incontri letterari, i balli. La vita non abbastanza lunga
per sprecare il tempo in queste cose; il gioco non vale la
candela. I1 rapporto sociale superficiale come un piccolo sorso di alcol che stimola il sistema nervoso ma non
nutre. E cos via. Tesi rispettabili e certamente vere. E su
di me hanno avuto senza dubbio il loro peso. Ma l'argomento decisivo contro i grandi raduni e in favore della
solitudine e delle piccole riunioni intime , nel mio caso,
di carattere pi personale. Dipende non dalla mia ragione
ma dalla mia vanit. I1 fatto che nelle grandi assemblee
non brillo affatto; in realt emetto appena un barlume. E
la coscienza del proprio grigiore umiliante.
Questa incapacit di essere brillante in compagnia
dovuta interamente alla mia eccessiva curiosit. Non riesco ad ascoltare quello che dice il mio interlocutore o a
trovare qualcosa da rispondergli perch non so fare a meno di ascoltare le conversazioni che si svolgono intorno a

me a portata di orecchio. Per esempio, il mio interlocutore sta dicendo qualcosa di molto intelligente a proposito
di Henry James e ovviamente alla fine del suo discorso si
aspetta da me un commento brillante o acuto. Ma le due
donne alla mia sinistra stanno raccontando una storia
scandalosa che riguarda una persona che conosco. L'uomo dalla voce tonante all'altro capo della stanza sta discutendo i meriti di varie automobili. Lo studioso di
scienze accanto al camino sta parlando della teoria dei
quanti. L'illustre avvocato irlandese sta raccontando
aneddoti nel suo inimitabile stile professionale. Dietro di
me un giovanotto e una ragazza si stanno scambiando
opinioni sull'amore, mentre dal gruppo nell'angolo pi
distante colgo una frase incidentale che mi fa arguire che
stanno parlando di politica. Sono dominato da una curiosit invincibile, dall'ardente desiderio di captare quello che ognuno sta dicendo. Scandali, motori, quanti,
amenit irlandesi, amore e politica mi sembrano infinitamente pi interessanti di Henry James; e ognuno di questi argomenti a sua volta pi interessante di tutti gli altri. La curiosit svolazza disperatamente di qua e di l,
come un uccello in una gabbia di vetro. E il risultato finale che, non ascoltando quello che dice il mio interlocutore ed essendo troppo frastornato per rispondere sensatamente, devo apparire un idiota ai suoi occhi, e intanto
il numero eccessivo delle mie illecite curiosit mi rende
impossibile soddisfarne neppure una.
Ma questa esagerata ed eterogenea avidit di sapere,
cos fatale a chi desidera essere bene accetto in societ,
un notevole vantaggio per chi sta semplicemente a guardare, senza partecipare alle azioni dei suoi simili.
Per il viaggiatore che costretto, gli piaccia o no, ad
atteggiarsi a osservatore distaccato, la curiosit addirit-

tura una necessit. La noia, dice Baudelaire, fruit de la


morne incuriosit. I1 turista che non ha curiosit condannato alla noia.
Ci sono pochi passatempi pi piacevoli che stare seduti
al caff o al ristorante o nella carrozza di terza classe di
un treno guardando i propri vicini e ascoltando (senza
tentare di partecipare alla conversazione) i frammenti di
discorso che si possono intercettare qua e l. Dal loro
aspetto e dalle loro parole si pu ricostruire con l'immaginazione la loro personalit, la storia della loro vita.
Sulla base di un singolo osso fossile, con un po' di fantasia si costruisce l'intero diplodoco. un magnifico gioco.
Ma va giocato con discrezione. Una curiosit troppo manifesta pu offendere. Si deve osservare e ascoltare senza
averne l'aria. Se il gioco viene fatto in due, i commenti
devono essere espressi in una lingua diversa da quella del
paese in cui ci si trova. Ma forse la regola pi importante
del gioco quella che vieta, salvo casi eccezionali, di fare
qualsiasi sforzo per arrivare a conoscere l'oggetto della
propria curiosit.
Purtroppo, infatti, l'oggetto della propria curiosit,
una volta conosciuto da vicino, si riveler del tutto immeritevole di ogni interesse ulteriore. A distanza possibile
sentire un'acuta curiosit per un abbonato della linea di
Surbiton. La sua testa calva cos luccicante; i suoi baffi
impornatati sono cos buffi; diventa cos rosso in faccia
quando parla dei socialisti con gli amici; la sua risata
cos sonora e sgradevole quando uno di loro racconta
una storiella sporca; suda cos abbondantemente quando
fa caldo; fa sfoggio di tanta competenza quando parla di
rose; ha una sorella che vive a Birmingham; suo figlio ha
appena vinto un premio per la matematica a scuola. A
una certa distanza tutto questo affascinante; stimola

l'immaginazione. Questo ometto si fa amare; un personaggio simpatico, una vera fetta di vita. Ma fatene la conoscenza... Da quel momento farete di tutto per viaggiare in un altro scompartimento.
Come sono divertenti, originali e fantastiche le persone
viste a distanza! Quando penso al numero di uomini e
donne affascinanti che non ho mai conosciuto (soltanto
visto o ascoltato temporaneamente) sono meravigliato.
Ne ricordo a centinaia. I miei preferiti, sono incline a
pensare, sono stati quegli impiegati delle poste, maschi e
femmine, che vivevano in pensione nel piccolo albergo di
Ambrieu dove tempo fa ho abitato per una settimana o
poco pi terminando di scrivere un libro. Erano un gruppetto straordinario. C'era l'uomo vecchiotto che arrivava sempre in ritardo per la cena, con un berretto in testa
- un tipo arcigno e taciturno; c'era il ragazzo giovanissimo, niente affatto arcigno ma silenzioso a causa della timidezza; c'era il meridionale allegro e vivace che scherzava e faceva il galante con le signorine; e c'erano le tre signorine, una brutta ma abbastanza vivace, una piuttosto
graziosa ma un tipo molle e anemico, la terza cos carica
di vitalit che non si poteva fare a meno di trovarla bella
- occhi neri cos mobili, un sorriso, una voce, e cos spiritosa! I1 giovanotto timido la contemplava con occhi bovini, arrossiva quando lei lo guardava, l'ascoltava parlare con un sorriso tonto e dimenticava di mangiare la sua
cena. La sua presenza addolciva la tetraggine dell'uomo
anziano e spingeva il meridionale a voli sempre pi arditi.
E la sua superiorit era cos marcata che la ragazza brutta
e quella clorotica non erano minimamente gelose, ma la
adoravano. assurdo essere gelosi degli di.
Quanto mi piaceva quel gruppo! Con quale appassionato interesse li sorvegliavo dal mio tavolo nella saletta

da pranzo! Con quanta attenzione tendevo l'orecchio ai


loro discorsi! Seppi dove avevano passato le loro vacanze, chi di loro era stato a Parigi, dove abitavano i loro parenti, che cosa pensavano del direttore dell'ufficio postale di Ambrieu, e un'infinit di altre cose, tutte straordinariamente interessanti ed eccitanti. Ma per niente al
mondo avrei voluto fare la loro conoscenza. La padrona
si offr di presentarmeli; ma rifiutai l'onore. Temo che
mi giudicasse uno snob; era fiera dei suoi pensionanti. Mi
era impossibile spiegarle che la mia riluttanza a conoscerli era dovuta al fatto che li amavo ancora pi di lei. Conoscerli avrebbe signficato rovinare tutto. Da esseri
straordinari e misteriosi sarebbero decaduti a piccoli impiegati insignificanti e patetici, condannati a passare la
loro vita malinconicamente in una piccola citt di provincia.
Poi vi furono i milionari di Padova. Come ci divertimmo alle loro spalle! Fu il cameriere a dirci che erano dei
plutocrati. Nel ristorante dell'Hotel Storione di Padova
c', pare, un tavolo speciale riservato ai milionari. Quattro o cinque di questi pranzavano l regolarmente ogni
giorno nel periodo che noi passammo all'albergo. Erano
personaggi splendidi, perfettamente in carattere con i milionari dei film italiani. Nei film americani, certo, il tipo
e molto diverso. Un milionario di Hollywood e un uomo
forte e taciturno, ben sbarbato, con una faccia come
un'accetta oppure come una focaccina non cotta. Questi
invece avevano enormi barbe, parlavano in continuazione, erano vestiti lussuosamente e portavano guanti bianchi. Sembravano un gruppetto di Barbabl.
Un altro dei miei ricordi preferiti la sirena che vedemmo al Ristorante Centrale di Genova. Era seduta a un tavolo vicino a noi con quattro uomini, tutti disperatamen-

te innamorati di lei, e parlava, lo si vedeva dal loro modo


di ascoltare e di ridere, come tutte le eroine di Congreve
fuse in una sola. Uno degli uomini era turco e doveva ricorrere continuamente all'interprete, senza il cui aiuto la
maggioranza degli avventori di quel ristorante poliglotta
non sarebbero stati in grado di ordinare i loro maccheroni. Un altro - era vecchio e pagava il pranzo - doveva
essere il marito o l'amante. Poveretto, ogni tanto aveva
un'aria afflitta, quando lei si rivolgeva al turco, sua vittima principale, con l'intenzione troppo evidente di sedurlo, oppure a uno degli altri uomini. Ma allora lei gli sorrideva, guardandolo un momento con i suoi occhi grigioazzurri, e lui era di nuovo contento. No, non proprio
contento; il termine sbagliato. Ubriaco - penso che si
avvicini di pi. Ebbro di gioia in superficie; e dentro. di
un'infelicit senza fondo. Cos ragionavamo romanticamente da lontano. Che cosa avremmo scoperto in uno
studio pi ravvicinato non lo so - n voglio saperlo.
L'essere umano piu insignificante, visto a una certa distanza da uno spettatore dotato di un'attiva fantasia e
della volont di vedere il meglio delle cose, assume un fascino misterioso, diventa strano ed eccitante. Si pub provare una forte emozione a proposito di persone lontane e
sconosciute; emozione che impossibile ritrovare dopo
averne fatto la conoscenza, ma che cede il posto al giudizio e conseguente affetto o antipatia.
Certi scrittori hanno sfruttato, sia deliberatamente che
per incapacit di fare altrimenti, l'emozione dello spettatore in presenza di attori sconosciuti. Per esempio Joseph
Conrad. Il fascino acuto e misterioso dei suoi personaggi, in particolare quelli femminili, dovuto al fatto che
lui non sa niente di loro. Se ne sta in disparte, li osserva
agire e poi continua a chiedersi, attraverso le pagine del

lungo e tortuoso racconto di Marlow, perch mai essi abbiano agito cos, quali siano stati i loro moventi, che cosa
abbiano sentito e pensato. La visione quasi divina di quei
romanzieri che realmente sanno o pretendono di sapere
esattamente che cosa accade nella mente dei loro personaggi l'opposto della visione del viaggiatore, dell'estraneo che parte con nessuna conoscenza della personalit
degli attori e pu solo dedurre dalle loro azioni cib che
avviene nelle loro menti. Conrad, bisogna ammetterlo,
riesce a dedurne ben poco; gli manca la fantasia del paleontologo, il potere di ricostruire il pensiero in base al
comportamento. Alla fine di un romanzo le sue eroine
sono altrettanto nebulose quanto lo erano all'inizio.
Hanno agito, e Conrad si a lungo chiesto - senza scoprirlo - perch hanno agito in quel particolare modo.
La sua perplessit contagiosa; il lettore sconcertato
quanto lui e giudica i personaggi altrettanto sorprendentemente misteriosi. Il mistero eccitante e delizioso; ma
assurdo dargli troppa importanza. Una cosa misteriosa
semplicemente perch sconosciuta. I misteri esisteranno
sempre perch ci saranno sempre cose sconosciute e inconoscibili. Ma meglio conoscere ci che conoscibile.
Non c' nessun merito a non conoscere ci che pu essere
conosciuto. Certi letterati, per esempio, si vantano della
loro ignoranza della scienza; sono degli sciocchi e degli
arroganti. Se i personaggi di Conrad sono misteriosi, non
perch sono complicati, difficili q sfuggenti, ma semplicemente perch lui non li capisce; e non riuscendo a capire come sono, fa delle ipotesi senza successo, e finisce per
ammettere che sono impenetrabili. L'onest con la quale
confessa la sua ignoranza meritoria, non cos l'ignoranza. I personaggi dei grandi romanzieri come Dostoevskij
e Tolstoj non sono misteriosi; sono capiti perfettamente e

descritti con chiarezza. Questi scrittori vivono con le loro


creazioni. Conrad le guarda soltanto di lontano, senza
capirle, senza neppure fare su di loro qualche ipotesi
plausibile lavorando di fantasia.
Sotto questo aspetto diverso da Katherine Mansfield,
un'altra scrittrice che applica agli esseri umani la visione
del viaggiatore. La Mansfield infatti ha una fervida fantasia. Come Conrad, vede i suoi personaggi da una certa
distanza, come da un tavolino al caff; coglie brani dei
loro discorsi - sulle loro zie a Battersea, le loro raccolte
di francobolli, le loro anime - e li trova straordinari, pi
attraenti di qualsiasi persona reale e conosciuta, originali, estremamente eccitanti. Scopre che sono la Vita stessa,
la Vita bella e fantastica. Ma raramente va oltre questa
conoscenza a distanza con i suoi personaggi per familiarizzarsi con le loro piatte vite quotidiane. Dove Conrad,
perplesso, si limita a fare congetture, la Mansfield usa la
sua immaginazione. Inventa vite credibili per le favolose
creature adocchiate al caff. E come sono sempre entusiasmanti queste vite immaginarie! Ma proprio per questa ragione non sono molto convincenti. I suoi studi di
interni sono come quelle brillanti ricostruzioni paleontologiche che vediamo nei libri di scienza popolare - l'ittiosauro nelle sue acque natie, lo pterodattilo che svolazza e si slancia nel tiepido cielo del terziario - troppo fantasticamente romantici, nonostante la loro pretesa di realismo, per essere veramente genuini. I suoi personaggi sono visti con straordinaria vivacit e precisione, come si
vede un gruppo di persone in un salotto illuminato, di sera, attraverso una finestra con le tende scostate - una di
quelle riunioni mondane di cui si legge nel Peter Bell:

Alcuni sorseggiano punch, altri t,


Tutti nel pi grande silenzio,
Tutti zitti e tutti dannati.
Li si vede per un momento in una luce significativa.
Sembrano creature favolose (anche se naturalmente, nella loro realt individuale e agli occhi di quelli che stanno
con loro nella stanza, non lo sono affatto). Poi si passa
oltre e scompaiono. Ciascuna delle storie di Katherine
Mansfield una finestra su una stanza illuminata. La vista dei suoi occupanti che sorseggiano t e punch straordinariamente eccitante. Ma, una volta passati oltre, non
si sa nulla di cib che veramente sono. Questa la ragione
per cui, pur stimolanti a una prima lettura, le sue storie
non resistono al tempo. A differenza di quelle di Cecov;
ma lui aveva vissuto con i suoi personaggi, oltre che guardarli dalla finestra. La visione del viaggiatore su uomini e
donne non esauriente. Si pu passare la vita sui treni e
nei ristoranti e alla fine non conoscere niente dell'umanit. Per conoscerla occorre essere attore oltre che spettatore. Si deve pranzare a casa come nei ristoranti, smettere
il gioco divertente di spiare attraverso finestre sconosciute per vivere la vita piatta, tranquilla, senza emozioni fra
le pareti domestiche. Tuttavia il gioco, se considerato
un divertimento saltuario e non una seria attivit della vita, un'ottima cosa. Ed l'unico vero gioco da viaggio.

Le guide turistiche

Per il viaggiatore che abbia dei gusti personali l'unica


guida utile sarebbe quella scritta da lui stesso. Tutte le altre non fanno che irritarlo. Segnano con asterischi le opere d'arte che lui trova insignificanti e passano sotto silenzio quelle che ammira. Gli fanno percorrere chilometri e
chilometri per vedere un cumulo di sciocchezze; vanno in
estasi su rovine il cui unico pregio di essere antiche. Le
informazioni pratiche non sono mai aggiornate. Raccomandano cattivi alberghi e definiscono modesti quelli
buoni. In una parola, sono insopportabili.
Quante volte ho imprecato contro il barone Baedeker
per avermi mandato attraverso la polvere a vedere un Sodoma ripugnante o un Andrea del Sarto appena decoroso! Quanto mi ha fatto arrabbiare con le sue stelle attribuite a cose antiche semplicemente perch sono antiche!
E come l'ho odiato per la sua mancanza di discriminazione! Ha un certo modo di mettere insieme tutte le cose antiche di un certo genere e di trattarle come se, appartenendo allo stesso periodo, il loro valore fosse esattamen-

te uguale. Per esempio, le vetrate di Sens sono considerate dalle guide alla stregua di qualsiasi altra vetrata del
quattordicesimo secolo, mentre in realt sono uniche per
bellezza e audacia di disegno. La serie di illustrazioni della Bibbia a Sens opera di un grandissimo artista. I1 barone parla con pari ammirazione dell'abile lavoro artigianale di Chartres e Canterbury.
Come pure le sculture nella chiesa di Brou e la transenna del coro di Chartres ottengono lo stesso numero
di stelle della tomba di Ilaria del Carretto a Lucca e del
bassorilievo di Luca della Robbia nell'Opera del Duomo di Firenze. Sono tutti esemplari di scultura rinascimentale.
Fra loro c' solo questa lieve differenza: che le opere
italiane sono capolavori assoluti, mentre quelle francesi
sono opere rozze: le sculture di Brou di un'evidente banalit, quelle di Chartres volonterose, stentate e francamente insignificanti. E il barone cos privo di senso delle
proporzioni che d alla chiesa di Brou lo stesso numero
di stelle della cattedrale di Bourges, segnalando con pari
entusiasmo un brutto incubo architettonico e la pi grandiosa, la pi sorprendente, la pi incredibilmente bella
costruzione d'Europa.
Imbecille! Ma un imbecille colto e, ahim, indispensabile. Non c' scampo; si deve viaggiare in sua compagnia,
almeno la prima volta. Solo dopo avere scrupolosamente
seguito i suoi dettami, dopo avere scoperto le sue lacune
in fatto di gusto, i suoi pregiudizi artistici e i suoi snobismi antiquari, il turista pu redigere quella guida personale che l'unica che gli serva. Se soltanto l'avesse posseduta fin dal suo primo viaggio! Ma purtroppo, se facile
imbrogliare gli altri con la pittoresca descrizione di luoghi mai visti con i nostri occhi, invece difficile imbro-

gliare se stessi. La propria guida deve essere frutto di dura esperienza personale.
L'unico sostituto soddisfacente di una guida scritta da
s una guida riccamente illustrata. Conoscere le cose in
fotografia quello che pi si avvicina a conoscere le cose
stesse. Le illustrazioni consentono di vedere che cosa
esattamente raccomanda il barone. Una riproduzione di
quei ridondanti Sodoma permetterebbe di ridurre gli
asterischi del testo. Qualche fotografia delle tombe di
Tarquinia ci convincerebbe che vale infinitamente pi la
pena di visitarle che non il Foro. Una veduta della chiesa
di Brou ci dispenserebbe dall'andarci. La migliore guida
illustrata che conosco il Libro delle Strade della Toscana di Parnpaloni, nel quale le informazioni consuete si riducono a un breve compendio, sono descritti i principali
itinerari da una localit all'altra e sono segnate con asterischi soltanto le cose riprodotte in fotografia.
A qualcuno, lo so, Pampaloni appare un po' troppo
sintetico. Sono evitate tutte le tiritere - anche quel tanto
che trova posto nel Baedeker - e si ha solo un'esposizione telegrafica di dati corredata da fotografie. Personalmente non ho un debole per le tiritere (a meno che non
siano quelle di un genio), quindi trovo Pampaloni del tutto soddisfacente. Molti turisti, invece, preferiscono una
guida pi letteraria. Amano il sentimento, lo stile elaborato, gli stati d'animo di fronte al Colosseo sotto la luna
e via dicendo. Anch'io amo queste cose, ma non dalla
penna di chi scrive guide sovrabbondanti. Perfino il Baedeker mi pare a volte un po' troppo lirico. Mi piace che le
guide siano ricche di informazioni, misurate nell'entusiasmo e, dove trattano questioni pratiche, bene aggiornate
- ci che il Baedeker (restio ad ammettere, credo per ragioni patriottiche, la realt dell'ultima guerra) non af-

fatto. Se voglio leggere una tiritera prendo con me uno


stilista migliore del barone o dei suoi esuberanti sostituti.
Le uniche guide letterarie che mi vanno a genio sono
quelle veramente brutte - cos brutte che la loro pessima
qualit compie, per cos dire, un giro completo e diviene
qualcosa di sublime. Le comuni guide letterarie non sono
mai brutte in modo cos superlativo. C' in esse quella
corretta, efficiente mediocrit sulla quale non c' nulla
da eccepire. Solo in certe oscure guide locali si trova il comico sublime. In ogni citt vale sempre la pena di dare
un'occhiata alla guida locale. Se si fortunati se ne trover una in cui il treno viene chiamato la magica creatura
di Stephenson. Non capita spesso, lo ammetto (perch
non di ogni giorno la nascita di un genio che inventi simili perle); ma abbastanza spesso perch valga la pena di
fare questa ricerca. Io stesso ho trovato qualche passo
notevole nelle guide locali italiane. Questa descrizione di
un dipinto di infimo ordine, Venere che sorge dal mare,
ghiotta: Venere, abbigliata di una calda nudit, sorge
dalle onde... una seducente figura di donna, palpitante, voluttuosa. Sembra che sotto l'epidermide pulsino le
vene frementi e scorra tepido il sangue. L'occhio languido pare inviti a una dolce tregenda.* Lo stesso D'Annunzio non avrebbe potuto far meglio. Ma il pi bell'esempio di stile in fatto di guide l'ho trovato in Francia. una
descrizione di Digione: Comme une jolie femme dont une
maturit savoureuse arrondit les formes plus pleines, la
capitale de la Bourgogne a fait, en grandissant, clater la
tunique troite de ses vieilles murailles; elle a revtu la robe plus moderne et plus confortable des larges boule-

In italiano nel testo.

vards, des places spacieuses, des faubourgs s'grenant


dans les jardins; mais elle a gard le corps aux lignes pures, aux charmants dtails que des sicles pris d'art
avaient amoureusement orns. Tanto di cappello alla
Francia! Mi faccio premura, in questa occasione, di aderire all'invito di Lord Rothermere.
Le vecchie guide, cos superate da divenire documenti
storici, sono ottimi compagni di viaggio. Una Murray di
altri tempi un tesoro. In realt qualsiasi libro di viaggi
europeo, anche se oscuro, interessante, purch sia stato
scritto prima dell'epoca delle ferrovie e di Ruskin. divertente leggere sul posto le impressioni e i giudizi di turisti che hanno visitato cent'anni prima, con i mezzi di trasporto e i pregiudizi estetici dell'epoca, i luoghi che stiamo visitando oggi. I1 viaggio non pi un semplice spostamento nello spazio; diventa pure un'escursione nel
tempo e nel pensiero. Questi vecchi libri di viaggi sono
inoltre letture moralmente sane, perch ci fanno constatare il carattere transitorio dei nostri gusti e delle nostre
convinzioni intellettuali fondamentali. A noi pare assiomatico, ad esempio, che Giotto fu un grande artista; eppure Goethe, quando and ad Assisi, non si diede neppure la pena di guardare gli affreschi della chiesa. Per lui
l'unica cosa che meritasse di essere vista ad Assisi era il
portico del tempio romano. Quanto a noi, non troviamo
nessuna attrattiva particolare nel Guercino; eppure
Stendhal ne era entusiasta. Troviamo Canova divertente e talvolta, come nella statua di Paolina Borghese, veramente incantevole nel suo modo dolce e voluttuoso
(perfino il cuscino al quale si appoggia si gonfia voluttuosamente; vengono in mente quelle nuvole davvero indecenti dalle quali gli angeli del Correggio guardano in gi
dalla cupola del duomo di Parma). Ma non siamo del tut-

to d'accordo con Byron quando dice: Quali furono i


Grandi di un tempo, Canova oggi. Eppure, in fondo,
Goethe, Stendhal e Byron non erano degli stupidi. Data
la loro formazione, non potevano pensare diversamente.
Noi avremmo pensato esattamente come loro se fossimo
vissuti cent'anni fa. I nostri modelli di giudizio diversi e
la nostra tolleranza, in genere pi grande, sono soprattutto il risultato della migliore conoscenza dell'arte di
ogni paese e di ogni tempo, conoscenza dovuta a sua volta principalmente alla fotografia. La maggior parte dell'arte mondiale stata non realistica; noi la conosciamo
come mai la conobbero i nostri antenati; quindi naturale che siamo molto pi favorevoli all'arte non realistica,
molto meno colpiti dal realismo di quanto lo fossero coloro che erano educati quasi esclusivamente nella conoscenza del realismo dell'arte greca, romana e moderna.
Quei vecchi libri ci insegnano a non essere troppo arroganti nei nostri giudizi. Anche noi potremmo essere tacciati di stupidit.
Questi libri sono cos numerosi e cos caratteristici della loro epoca che si pu sceglierli a caso negli scaffali di
una libreria ben fornita, sicuri di imbatterci in una lettura
piacevole e istruttiva. Parlando per esperienza personale,
ho sempre trovato Stendhal un gradevole compagno di
viaggio in Italia. Le Passeggiate romane mi hanno accompagnato nei miei giri in quella citt senza mai deludermi. Ottimo pure, quando si visita Roma, il troppo trascurato Veuillot. Non pretendo che Veuillot sia un grande scrittore. In realt molto del suo fascino e della sua
apparente originalit consiste nel fatto puramente accidentale che i suoi pregiudizi erano diversi da quelli che la
maggioranza dei viaggiatori si portano dietro in Italia.
Siamo cos abituati a sentir dire che il potere temporale

stato un male indiscutibile e che i preti sono stati la


causa della decadenza italiana che chi ci dice il contrario ci appare di un'originalit sorprendente. Dopo la
condanna decretata da tanti protestanti e liberi pensatori leggiamo questo libro con particolare piacere; oltre
tutto abbastanza ben scritto, tra parentesi Veuillot era
un giornalista di prim'ordine. (Allo stesso modo, l'insolita natura del punto di vista dal quale fu scritto che
ci fa ammirare Les Paysans di Balzac forse pi di quanto meriti. Siamo abituati ai romanzi che esaltano le
umili virt dei contadini, che deplorano il loro duro destino e denunciano la tirannia del padrone. Balzac parte
dal presupposto che il contadino una canaglia bell'e
buona e reclama la nostra simpatia per il disgraziato padrone, rappresentato come vittima innocente delle persecuzioni dei suoi contadini. L'interpretazione balzachiana della storia sociale pu non essere corretta; ma
almeno fa da piacevole diversivo a quella dei tanti romanzieri che hanno trattato un tema simile.) Il profumo
di Roma di Veuillot divide con Les Paysans il merito di
essere scritto da un punto di vista insolito. Veuillot visita gli Stati Pontifici deciso a vedervi il paradiso terrestre. E ci riesce. Sua Santit ha solamente sudditi felici.
Fuori di questo gregge benedetto si aggirano le bestie
feroci, Cavour, Mazzini, Garibaldi e gli altri; dovere
di ogni benpensante impegnarsi a non lasciarli entrare.
questa la sua tesi, e trova in tutto ci che vede un pretesto per ritornarvi. Il profumo di Roma scritto con
curiose intemperanze di linguaggio. Veuillot, come Zimmi, era:

Cos ultraviolento e ultracivile


Che per lui ogni uomo era Dio o il Diavolo.

Inoltre era logico e aveva il coraggio delle sue opinioni.


Straordinaria, per esempio, la sua denuncia di tutta l'arte
pagana basata sul fatto che non era cristiana! Mentre il
resto del mondo si prosterna davanti ai Greci e ai Romani, Veuillot, coerente adepto dell'Ultramontanismo, li
condanna insieme a tutte le loro opere, per principio,
sdegnosamente. davvero spassoso.
Degli altri vecchi compagni di viaggio che mi hanno dilettato saltuariamente posso solo nominarne qualcuno.
C' quella miniera di informazioni che il Prsident des
Brosses. Non c' compagno migliore per un viaggio in
Italia. I1 nostro Young quasi altrettanto bravo per la
Francia. Pieni d'interesse sono i diari di viaggio della
Berry. Si trova del buono anche in lady Mary Montagu.
Beckford il perfetto dilettante. Borrow, l'insignificante
divulgatore della Bibbia, ha per il merito di essere stato
il primo ad apprezzare E1 Greco.
Se la pittura non il vostro interesse principale, c'
l'eccellente dottor Burney, il cui Viaggio musicale in Italia non solo istruttivo ma delizioso. I suoi libri sull'Italia sono preziosi, fra molti altri motivi, perch ci spiegano che cosa accadde nel diciottesimo secolo del talento
prodigioso che un tempo si manifestava nel dipingere
quadri, scolpire statue, costruire chiese. Pass tutto nella
musica. Perfino i suonatori ambulanti erano abili contrappuntisti; i contadini cantavano divinamente (dovreste sentire come cantano adesso!), ogni chiesa aveva un
buon coro che eseguiva continuamente nuove messe,
mottetti e oratori; non c'era quasi dama o gentiluomo
che non fosse un conoscitore e un esecutore di prim'ordine; c'erano innumerevoli concerti. I1 dottor Burney descrive quel secolo come il paradiso del musicista. E che ne
oggi del genio italiano? Esiste ancora? O morto?

Esiste ancora, penso; ma stato deviato dalla musica,


come dalle arti visive, verso la politica, e pi tardi verso il
commercio e la tecnica. I primi due terzi del diciannovesimo secolo furono occupati dalla realizzazione della libert e dell'unit. I sessant'anni trascorsi da allora sono stati
dedicati allo sfruttamento delle risorse del paese; e le
energie restanti sono andate nella politica. Un giorno,
quando avranno finito di organizzare modernamente la
vecchia casa e avranno eliminato i servi turbolenti per insediare una buona direzione domestica, tranquilla e onesta, quel giorno forse gli italiani riverseranno di nuovo le
loro energie e il loro talento nei vecchi canali. Speriamo
che ci avvenga.

Gli occhiali

Non vado mai in giro senza una copiosa scorta di lenti


da vista. Un paio di occhiali per leggere, un paio per vedere a distanza, due lenti di riserva, mi seguono ovunque
io vada. Per romperli tutti ci vorrebbero un terremoto o
un disastro ferroviario. E la distrazione dovrebbe spingersi fino all'idiozia per arrivare a perderli tutti. In pi,
c' un'ulteriore sicurezza in una scorta abbondante: perch la materia (chi potrebbe dubitarne?) non neutra come gli uomini di scienza erroneamente insegnano, ma un
po' maligna, sta dalla parte dei diavoli contro di noi. Di
conseguenza, un paio di occhiali destinato a rompersi o
a scomparire proprio quando non ci si pu permettere di
farne a meno e non si in grado di rimpiazzarli. Ma la
cosiddetta materia inanimata non stupida; e quando un
paio di occhiali si rende conto che ne possedete due o tre
altre paia in tasca o in valigia, capir che non c' niente
da fare e, anzich decidere di rompersi o perdersi, si sforzer di restare intatto.
Ma allorch, in un mese qualsiasi dopo l'equinozio di

primavera e prima dell'autunno, i miei vagabondaggi mi


portano al sud, verso il sole, il mio armamentario di occhiali si arricchisce dell'aggiunta di tre paia di lenti colorate - due tonalit di verde, una pi chiara e una pi
scura e un paio nero. I1 riverbero delle strade bianche di
polvere, dei muri candidi e del cielo di un azzurro metallico fastidioso e anche pericoloso per gli occhi. Con il
progredire o declinare dell'estate, il crescere o calare della luce del giorno, io mi sistemo sul naso le lenti verde
pallido, verde cupo oppure nere. In questo modo riesco a
mitigare l'illuminazione del mondo secondo le mie precise esigenze.
Ma anche se non soffrissi affatto dell'eccesso di luce e
potessi compiere senza strizzare gli occhi le imprese dell'aquila o del saldatore ossiacetilenico, porterei ugualmente con me i miei occhiali colorati nei viaggi al sud,
poich hanno un uso estetico oltre che pratico. Migliorano il paesaggio, cos come riposano gli occhi.
Quando ci si awicina alla grande fascia desertica che
avvolge la terra con qualche migliaio di chilometri di aridit su questo lato del tropico del Cancro, il paesaggio
subisce una modifica che, perlomeno a noi altri nordici,
sembra una modifica in peggio. Esso perde la sua vegetazione lussureggiante. A sud di Lione (salvo fra le montagne e le paludi) non c' erba degna di questo nome. Gli
alberi a foglie caduche crescono con riluttanza, lasciando
il posto al nero cipresso e al pino, al lauro e al ginepro
verde cupo, all'olivo di un pallido grigio. I verdi di un
paesaggio italiano sono o tenui e offuscati o scuri e lucidi. Solo quando si sale a settecento metri - e anche allora non immancabilmente - si vede qualcosa di simile al
verde smagliante, che pare brillare di luce propria, del
paesaggio inglese. I1 tipico panorama dell'Italia del nord

fatto di colline, con i pendii pi bassi grigi di olivi e le


cime, quando superano il livello delle colture, nude e di
colore bruno. Questo paesaggio rappresenta un compromesso non del tutto soddisfacente fra quello nordico e
quello decisamente meridionale. I1 panorama inglese reso ricco e piacevole dalle forme piene e dai colori, ravvivati dal clima umido, della sua lussureggiante vegetazione. E la sua franca rusticit addolcita e resa pi romantica dal fiorire delle nebbie che in parte lo velano alla vista. I1 paesaggio meridionale, mediterraneo, che fa la sua
prima comparsa italiana a Terracina, spoglio, dai contorni nitidi, di un austero splendore. L'aria limpida, e le
terre viste da lontano sembrano anch'esse aria colorata.
I1 paesaggio dell'Italia settentrionale non appartiene n al
nord n al sud - non di un'eterea chiarita e neppure di
un verde rigoglioso, deciso o velato.
Qui, in questo paesaggio semiriarso che non ha ancora
raggiunto l'eterea perfezione del sud, il viaggiatore saggio inforcher i suoi occhiali verdi. L'effetto magico.
Ogni filo d'erba polverosa diviene all'istante ricco di linfa. Ogni sfumatura di verde nascosta nel grigio dell'olivo
affiora intensificata. I boschi disseccati rinverdiscono.
Le vigne e il grano nascente sembrano avere assorbito
una pioggia ristoratrice. Tutto quello che mancava alla
compiuta bellezza del panorama gli viene istantaneamente prestato. Attraverso gli occhiali verdi contempliamo il
paesaggio settentrionale, ma trasformato ed esaltato pi vivace, pi nobilmente drammatico e romantico.
Gli occhiali verdi funzionano pure ottimamente sulle
spiagge del Mediterraneo settentrionale. Nel sud l'azzurro del mare di una bella tonalit intensa, come quella
dei lapislazzuli. il mare dell'antichit, di colore cupo
come il vino, che per contrasto fa apparire ancora pi

chiara e immateriale la terra illuminata dal sole. Ma a


nord di Roma l'azzurro non abbastanza intenso; quello della porcellana, non del lapislazzulo. I1 mare di Montecarlo e di Genova, di La Spezia e di Civitavecchia ha la
fissit azzurrina e vitrea di un occhio di bambola, che diventa irritante nella sua vacuit e trasparenza. Mettetevi
gli occhiali verdi e questo sguardo ebete si trasformer in
quello cupamente glauco ed enigmatico che occhieggia,
fra i cipressi, dalle acque della Villa d'Este a Tivoli. I1
mare, da ebete che era, diventa sirena, e le aride colline
che lo circondano si coprono di verzura come sotto il tocco della primavera.
Oppure, se preferite, mettetevi gli occhiali neri e incupite il colore fino a raggiungere la tonalit vinosa del Mediterraneo della Grecia, Magna Grecia e isole. Tuttavia
gli occhiali neri non contribuiscono a dare un aspetto pi
meridionale alle terre. Accanto al loro mare intensamente azzurro, le coste meridionali sembrano fatte di aria colorata. Gli occhiali neri possono scurire il mare settentrionale; ma danno pure maggior peso e solidit alla terra. Le lenti che faranno sembrare il mondo pi chiaro,
pi vivace e ridente, che porteranno la luce del sole su un
paesaggio grigio e trasformeranno il nord in sud, purtroppo sono ancora da inventare.

La campagna

un fatto curioso, del quale non trovo nessuna spiegazione soddisfacente, che l'entusiasmo per la vita campestre e l'amore per lo scenario naturale sono pi forti e
molto pi diffusi proprio nei paesi europei che hanno il
clima peggiore e dove la ricerca del pittoresco comporta
maggiori difficolt. I1 culto della natura aumenta in proporzione esatta con la distanza dal Mediterraneo. Gli italiani e gli spagnoli non hanno quasi nessun interesse per
la natura in se stessa. I francesi hanno un certo amore per
la campagna, ma non abbastanza da far loro desiderare
di viverci se hanno la possibilit di stare in citt. Gli abitanti della Germania meridionale e della Svizzera sono
apparentemente un'eccezione alla regola. Vivono pi vicino al Mediterraneo dei parigini, eppure amano di pi la
campagna. Ma l'eccezione, come ho detto, solo apparente; perch a causa della lontananza dall'oceano e della
conformazione montagnosa della loro terra questa gente
vive per la maggior parte dell'anno in un clima che , tutto sommato, artico. In Inghilterra, dove il clima dete-

stabile, amiamo la campagna a tal punto che siamo disposti, per il privilegio di viverci, ad alzarci alle sette estate e inverno e, con qualunque tempo, a raggiungere in bicicletta una stazione lontana per poi fare un'ora di viaggio fino al nostro posto di lavoro. Nei nostri momenti liberi facciamo gite a piedi, e i viaggi in roulotte sono un
vero divertimento. In Olanda il clima molto piu sgradevole che in Inghilterra e quindi ci si aspetterebbe che gli
olandesi siano ancora piu appassionati di noi alla natura.
Tuttavia l'acqua onnipresente rende difficile sistemarsi in
campagna e andare avanti e indietro fra questa e le citt.
Ma, pur inadatti alle costruzioni, i prati fradici dei Paesi
Bassi sono abbastanza saldi per reggere delle tende. Impossibilitati a vivere in permanenza in campagna, gli
olandesi sono i pi grandi campeggiatori al mondo. Il
mio povero zio Toby, quando era in guerra da quelle parti, trovava l'umidit cos penetrante che era costretto a
bruciare nella sua tenda del buon brandy per asciugare
l'aria. Ma lo zio Toby era un vero inglese, cresciuto in un
clima che, paragonato a quello olandese, balsamico.
Gli olandesi pi intrepidi vanno in campeggio per divertimento. Della Germania settentrionale basti dire che la
patria dei girarnondo. Quanto alla Scandinavia, noto
che non c' altra parte del mondo, esclusi i tropici, dove
la gente si spogli con tanta disinvoltura. La passione degli
svedesi per la natura cos forte che pu esprimersi soltanto in un completo stato di naturalezza. Come anime
disincarnate , dice Donne, i corpi devono essere svestiti
per gustare la completa felicit. Nobili, rudi e molto pi
moderni di qualsiasi altro popolo europeo, essi nuotano
nelle gelide acque del Baltico e vagano nudi nelle foreste
vergini. L'italiano prudente, invece, si bagna nel suo tiepido mare solo due mesi su dodici; porta sempre la canot-

tiera sotto la camicia e, se pu evitarlo, non lascia mai la


citt, salvo in estate quando il caldo si fa insopportabile,
e di nuovo per breve tempo in autunno per sovrintendere
alla produzione del suo vino.
Strano e inspiegabile stato di cose! forse perch coloro che vivono sotto cieli inclementi cercano di illudersi di
vivere nell'Eden? Sono cos decisi nel loro amore per la
natura allo scopo di convincersi che essa altrettanto bella nell'umidit e nel grigiore quanto nella piena luce del
sole? Sfidano i disagi della vita in campagna per poter dire a coloro che vivono in paesi piu fortunati: La nostra
campagna attraente come la vostra; e la prova ne che
ci viviamo N?
Ma qualunque ne sia la ragione, resta il fatto che il culto della natura aumenta con la distanza dal sole. Ricercarne le cause impresa vana; ma facile e anche abbastanza interessante registrarne gli effetti. Cos, la passione di noialtri anglosassoni per la campagna ha avuto come risultato di trasformarla in un'unica immensa citt;
ma una citt senza le comodit cittadine che rendono tollerabile la vita urbana.
I1 fatto che amiamo la campagna a tal punto che desideriamo viverci anche soltanto durante la notte, quando
non siamo al lavoro. Costruiamo cottage, compriamo
abbonamenti ferroviari e biciclette per andare alla stazione. E intanto la campagna muore. I1 Surrey che conoscevo da ragazzo era pieno di distese selvagge. Oggi Hindhead si distingue appena dall'Elephant and Castle. Lloyd
George si fatto costruire un cottage per il weekend ai
piedi del Salto del Diavolo (una scelta, direi, piuttosto
appropriata); diverse migliaia di persone stanno affrettandosi a seguire il suo esempio. Ogni sentiero diventato una via cittadina. Harrod's e Selfridge's vi fanno con-

segne giornaliere. Non esiste pi la campagna, almeno


per cinquanta miglia intorno a Londra. I1 nostro amore
l'ha uccisa.
Salvo che d'estate, quando fa troppo caldo per restare
in citt, i francesi, e pi ancora gli italiani, non amano la
campagna. I1 risultato che hanno ancora una campagna
da non amare. La solitudine arriva quasi alle porte di Parigi. (Parigi, non dimentichiamolo, ha ancora delle porte; ci si arriva per strade di campagna, le si attraversa e ci
si trova a pochi minuti dal centro della citt.) I1 silenzio
regna indisturbato - a parte la flebile musica dei fantasmi - fino a un chilometro dal monumento di Vittorio
Emanuele a Roma. In Francia e in Italia nessuno vive in
campagna all'infuori dei contadini. L'agricoltura una
cosa seria; le fattorie sono ancora fattorie e non cottage
per il weekend; e il grano pu ancora crescere nei campi
che in Inghilterra sarebbero ambiti terreni fabbricabili.
Nonostante gli italiani istruiti amino la campagna meno ancora dei francesi, in Italia c' un numero minore di
zone disabitate che in Francia, perch ci sono pi contadini. Quanto pochi ce ne sono in Francia! Un viaggio dalla frontiera belga al Mediterraneo d vita e significato a
quelle statistiche dalle quali apprendiamo in teoria che la
Francia sottopopolata. Lunghi percorsi solitari si stendono fra una citt e l'altra.

Come pietre preziose sparse in modo rado,


O come gioielli nel collare del capitano.
Anche i villaggi sono pochi e distanti fra loro. E in
Francia si cercherebbe invano l'equivalente' delle innumerevoli fattorie che spuntano fra gli oliveti sui fianchi delle
colline italiane. Viaggiando attraverso le fertili pianure

della Francia centrale pu accadere di guardarsi intorno


senza vedere neppure una casa. E quante foreste ricoprono ancora il suolo francese! Immense zone silvestri disabitate, senza un gitante o un turista che cammini nella loro ombra.
Tutto questo una delizia per me personalmente, perch amo la campagna, mi piace la solitudine e non mi interessa affatto il futuro politico della Francia. Ma immagino che per un patriota francese un viaggio attraverso la
sua terra natale possa sembrare deprimente. Enormi popolazioni, sui cui crani visibile lontano un miglio il bernoccolo della prolificit, pullulano sull'altro lato di quasi
tutte le frontiere. Senza fretta, senza tregua, come per un
miracolo in stabile progresso, i tedeschi e gli italiani si
moltiplicano come i pani e i pesci. Ogni tre anni un milione di nuovi teutoni si affacciano al Reno, un milione di
italiani si chiedono dove troveranno lo spazio per vivere
nel loro angusto paese. E i francesi sono sempre lo stesso
numero. Che cosa accadr di qui a vent'anni? I1 governo
francese promette premi a chi mette al mondo molti figli.
Invano: ognuno sa tutto sul controllo delle nascite, e anche nelle classi meno istruite non esistono pregiudizi e si
bada al risparmio. Orde di neri vengono istruite ed equipaggiate; ma i neri non sono che una povera difesa, alla
lunga, contro la prolificit europea. Presto o tardi questa
terra semideserta sar colonizzata. Pu avvenire pacificamente o con la violenza; speriamo pacificamente con il
consenso e su invito degli stessi francesi. La Francia gi
importa temporaneamente non ricordo pi quanti lavoratori stranieri ogni anno. Col tempo, senza dubbio, gli
stranieri cominceranno a sistemarsi: gli italiani nel sud, i
tedeschi nell'est, i belgi nel nord, forse anche qualche inglese nell'ovest.

Ai francesi il piano pub non piacere; ma, finch tutte


le nazioni non saranno d'accordo nel praticare il controllo delle nascite esattamente nella stessa misura, il
migliore che si possa escogitare.
I portoghesi, che alla fine del Cinquecento e nel Seicento subirono un forte calo di popolazione (meta degli
uomini validi erano emigrati nelle colonie, dove morivano in guerra o di malattie tropicali, mentre quelli rimasti a casa erano periodicamente decimati dalle carestie
- poich le colonie producevano solo oro, non pane),
risolsero il loro problema importando schiavi neri per
lavorare i campi abbandonati. I neri si insediarono. Si
mescolarono agli abitanti con matrimoni misti.In due o
tre generazioni si estinse la razza che aveva conquistato
mezzo mondo, e il Portogallo, fatta eccezione per una
piccola area nel nord del paese, fu abitato da una razza
ibrida di euroafricani. 1 francesi possono ritenersi fortunati se, evitando la guerra, riusciranno a riempire il loro
paese sguarnito con uomini bianchi civilizzati.
Nel frattempo, questo paesaggio deserto una delizia
per chiunque sia amante della natura e della solitudine.
Ma anche in Italia, dove le fattorie e i contadini e i figli
dei contadini sono fittamente disseminati su tutte le terre, l'amante della campagna si sente molto pi felice
che nelle zone meno popolate del suo paese d'origine.
Questo perch le fattorie e i contadini sono prodotti
della campagna, altrettanto naturali all'ambiente quanto gli alberi o il grano, e altrettanto inoffensivi. l'intruso cittadino che rovina la campagna inglese. N lui
n la sua casa le appartengono. In Italia, invece, quando un abitante della citt si awentura nella campagna,
la trova genuinamente rustica. La campagna densamente popolata, ma pur sempre campagna. Non sta-

ta uccisa dal fatale amore di coloro che, come me, sono


cittadini nati.
Temo non sia lontano il giorno in cui ogni regione rurale d'Europa, compresa quella spagnola, sar invasa dagli amanti della natura venuti dalle citt. In fondo non
passato molto tempo da quando Evelyn era terrorizzata e
rivoltata dallo spettacolo delle rocce di Clifton. Fino alla
fine del diciottesimo secolo ogni persona sensibile, perfino in Inghilterra, perfino in Svezia, temeva e detestava le
montagne. L'entusiasmo per la natura selvaggia una
tendenza recente e ha avuto inizio - insieme alla cura
per gli animali, all'industrialismo e ai viaggi in ferrovia
- proprio fra inglesi. (Forse non sorprendente che il
popolo che per primo ha reso inabitabili le sue citt con
la sporcizia, il fumo e i rumori sia stato anche il primo ad
amare la campagna.) I1 sentimento della natura si diffuso da questa isola insieme alle macchine. Tutto il mondo
ha accolto con gioia l'avvento delle macchine; ma il sentimento della natura fiorito finora soltanto nel nord.
Tuttavia ci sono segni evidenti che anche i latini cominciano a esserne contagiati. In Francia e in Italia la natura
selvaggia diventata - sia pure in misura minore che in
Inghilterra - oggetto di predilezione snobistica. In quei
paesi considerato elegante essere innamorati della natura. Fra pochi anni, ripeto, tutti ne andranno pazzi come
una cosa normale. Perfino nel nord quelli che non l'amano affatto sono costretti a credere di amarla dall'abile e
incessante opera di persuasione di gente che ha interesse a
farla apprezzare. Nessun uomo moderno, anche se detesta la campagna, pu resistere al richiamo degli innumerevoli annunci pubblicitari diffusi dalle ferrovie, dalle industrie automobilistiche, dai fabbricanti di thermos da
viaggio, dai sarti sportivi, dagli agenti immobiliari e da

tutti coloro il cui sostentamento dipende dall'impulso dato alla campagna. Nei paesi latini l'arte della pubblicit
ancora poco sviluppata. Ma anche l sta avanzando. La
marcia del progresso irresistibile. La Fiat e le Ferrovie
dello Stato devono soltanto assumere esperti di pubblicit americani per trasformare gli italiani in una razza di
gitanti e di pendolari. C' gi una Citt-Giardino alle
porte di Roma; Ostia si sta sviluppando in un sobborgo
residenziale in riva al mare; l'autostrada aperta di recente
ha messo i laghi a breve portata da Milano. Prevedo che i
miei nipoti dovranno passare Ie vacanze nel centro dell'Asia.

Libri da viaggio

Tutti i turisti nutrono un'illusione dalla quale nessun


accumulo di esperienza pu mai guarirli completamente;
pensano di trovare il tempo, nel corso dei loro viaggi, per
molte letture. Si immaginano, alla fine di una giornata di
visite ai monumenti o di giri in automobile, o mentre
viaggiano in treno, impegnati a girare le pagine di tutte le
opere serie e voluminose che in tempi ordinari non trovano mai il tempo di leggere. Partono per un giro di quindici giorni in Francia portando con s la Critica della ragion pura, Apparenza e realt, le opere complete di Dante e il Ramo d'oro. Ritornano a casa e scoprono che hanno letto un po' meno di mezzo capitolo del Ramo d'oro e
i primi cinquantadue versi dell'Inferno. Ma questo non
impedisce loro di partire con lo stesso numero di libri alla
prossima occasione.
La lunga esperienza mi ha insegnato a ridurre in certa
misura le dimensioni della mia biblioteca viaggiante. Ma
anche ora sono sempre troppo ottimista sulle mie possibilit di lettura durante un viaggio. Insieme ai libri che so

di poter leggere continuo a mettere qualcuno degli altri,


nella pia speranza che un giorno in qualche modo verranno letti. Grossi volumi hanno viaggiato con me per migliaia di chilometri attraverso l'Europa e sono ritornati
con i loro segreti intatti. Ma mentre in passato portavo
soltanto i pi voluminosi, e per di pi in grosse quantit,
ora ne porto solo uno o due di quelli e per il resto metto
in valigia unicamente quel tipo di libri che so per esperienza di poter leggere in una stanza d'albergo dopo una
giornata di visite turistiche.
Ecco le qualit essenziali di un buon libro da viaggio.
Deve essere di un genere che ci permetta di aprirlo a un
punto qualsiasi, sicuri di trovarvi qualcosa di interessante, di completo in se stesso e facile da leggere in breve
tempo. Un libro che richieda un'attenzione continua e
uno sforzo mentale prolungato inutile in viaggio; perch il tempo libero, in queste occasioni, scarso e accompagnato da stanchezza fisica, la mente distratta e incapace di esercizi prolungati.
Pochi libri da viaggio sono pi indicati di una buona
antologia poetica, nella quale ogni pagina contiene un
pezzo completo e perfetto a s stante. Le brevi tregue nella fatica che il volonteroso turista si concede non possono
essere riempite in modo pi piacevole che con la lettura di
poesie, che si potranno perfino imparare a memoria; infatti la mente, riluttante a seguire un ragionamento, prova invece piacere nella lieve fatica di assimilare qualche
verso melodioso.
Nella scelta delle antologie ogni viaggiatore seguir la
sua ispirazione. La mia preferita il Pocket Book of
Poems and Songs for the Open Air di Edward Thomas.
L'autore era un uomo di ampia cultura e di gusti squisiti,
e in pi particolarmente dotato per comporre un'antolo-

gia dell'Aria aperta)). Infatti, nell'enorme trib dei poetucoli moderni che ciarlano di verdi prati, Thomas quasi l'unico che sentiamo veramente poeta della natura
(l'espressione abbastanza brutta ma non ce ne sono altre) per diritto di nascita e conquista di reale comunione e
comprensione. Non tutti quelli che dicono Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli; e pochi, pochissimi
di quelli che gridano cuc, cuc saranno ammessi nella
compagnia dei poeti della natura. A prova di ci rimando
i miei lettori ai vari volumi di poesia dell'epoca georgiana.
Oltre la poesia, altrettanto adatte alle necessita del
viaggiatore sono le raccolte di massime e aforismi. Se sono buone - e devono esserlo veramente, poich non c'
niente di pi deprimente di un grande pensiero)) enunciato da un autore che non possieda egli stesso certi elementi di grandezza - le massime sono la migliore lettura
possibile. Si leggono in un minuto e forniscono una materia su cui il pensiero pu ruminare per ore. Le migliori
sono quelle di La Rochefoucauld. Io stesso riservo sempre la tasca superiore sinistra del mio panciotto a una piccola ristampa in sedicesimo delle Massime. un libro
dall'interesse inesauribile. A mano a mano che la nostra
vita procede e aumenta la conoscenza di noi stessi e degli
altri, esso allarga i suoi significati. La Rochefoucauld conosceva quasi tutto dell'animo umano, tanto che praticamente tutte le scoperte che facciamo per conto nostro nel
corso della vita sono state anticipate da lui ed espresse
con brevit ed eleganza ineguagliabili. H o detto prudentemente che La Rochefoucauld conosceva quasi tutto
dell'animo umano, poich ovvio che non lo conosceva
per intero. Sapeva tutto sugli esseri umani in quanto animali sociali. Dell'animo dell'uomo in solitudine, quando

non pi interessato alle soddisfazioni e ai successi sociali che per La Rochefoucauld erano di estrema importanza, sa poco o nulla. Se desideriamo sapere qualcosa dell'animo umano in solitudine - delle sue relazioni non
con i suoi simili ma con Dio - dobbiamo rivolgerci altrove: per esempio ai Vangeli, ai romanzi di Dostoievskij. Ma l'uomo nei suoi rapporti sociali non mai stato
pi acutamente descritto, i suoi moventi mai pi sottilmente analizzati che da La Rochefoucauld. Gli aforismi
variano notevolmente di valore; ma i migliori - straordinariamente numerosi - sono di una profondit e di una
pregnanza sorprendenti. Essi riassumono una ricca esperienza. In una frase La Rochefoucauld condensa tanto
materiale quanto servirebbe a un romanziere per una lunga storia. E viceversa, non mi meraviglierebbe apprendere che qualche romanziere ricorra alle Massime per trovarvi spunti per trame e personaggi. impossibile, per
esempio, leggere Proust senza pensare alle Massime, o le
Massime senza pensare a Proust. Le plaisir de I'amour
est d'aimer, et l'on est plus heureux par la passion que
I'on a que par celle que I'on donne. Il y a des gens si
remplis d'eux-mmes, que, lorsqu'ils sont amoureux, ils
trouvent moyen d'tre occups de leurpassion sans l'tre
de la personne qu'ils aiment. Che cosa sono tutte le storie d'amore di Alla ricerca del tempo perduto se non immensi sviluppi di questi aforismi? Proust un La Rochefoucauld ingrandito diecimila volte.
Poco meno soddisfacenti come libri da viaggio sono gli
aforismi di Nietzsche. In comune con quelli di La Rochefoucauld i detti di Nietzsche hanno la pregnanza e la vastit. I suoi aforismi migliori sono lunghi corsi di pensiero condensati. La mente pu soffermarvisi a lungo, perch in essi c' tanto di implicito. cos che i buoni afori-

smi si distinguono dai semplici epigrammi, nei quali tutto


consiste nella felicit di espressione. I1 piacere dell'epigramma nella sua capacit di sorprenderci; dopo il primo momento l'effetto si esaurisce e non siamo pi interessati. Non ci si fa prendere due volte dallo stesso scherzo. Ma un aforisma non si basa sull'arguzia verbale. I1
suo effetto non momentaneo, pi ci pensiamo pi lo
troviamo denso di significato.
Un altro libro da viaggio eccellente - poich unisce
ampi aforismi e aneddoti - la Vita di Samuel Johnson
di Boswell, che la Oxford Press pubblica ora su carta
d'India in un unico volume in ottavo. (Tutti i viaggiatori,
tra parentesi, devono molto alle fatiche di Henry Frowde
della Oxford Press, l'inventore, o almeno il reinventore
europeo di quella carta sottile mista a minerale per renderla opaca che chiamiamo carta d'India.) Ci che l'aforisma alla dissertazione filosofica, tale il libro di carta
d'India rispetto alle ponderose edizioni del passato. Tutto Shakespeare, perfettamente leggibile, racchiuso in
un volume non pi grande di un singolo romanzo del defunto Charles Garvice. Tutto Pepys, o almeno quanto di
suo consentito leggere al pubblico inglese, trova ora posto in tre tascabili. E la Bibbia, ridotta allo spessore di
due centimetri e mezzo, rischia certamente di perdere la
sua funzione di fermaproiettili sul petto dei combattenti
che un tempo possedeva, almeno nelle storie romantiche.
Grazie a Henry Frowde si pu infilare in uno zaino un
milione di parole per le nostre letture, con una differenza
di peso trascurabile.
La carta d'India e la fotografia hanno reso possibile
includere in una libreria portatile quello che secondo me
il libro da viaggio migliore di tutti - un volume (uno
qualsiasi dei trentadue) della dodicesima edizione, dimez-

zata rispetto alle precedenti, dell'Enciclopedia Britannica. Occupa poco spazio (21,6 cm per 16,5 per 2,5 non mi
pare eccessivo), contiene circa mille pagine e un numero
quasi infinito di dati curiosi e insoliti. Pu essere consultato in qualunque punto, i capitoli che lo compongono
sono ognuno a s stante e non troppo lunghi. Per il viaggiatore, il quale dispone soltanto di brevi mezz'ore, il libro ideale, tanto pi immaginando che sia un viaggiatore
nato e probabilmente anche uno di quei lettori saltuari e
senza metodo per i quali l'Enciclopedia, al di fuori di
ogni fine pratico, pu essere del massimo interesse. Non
passo mai un giorno lontano da casa senza portarne con
me un volume. il libro dei libri. Sfogliandolo, rovistando fra le riserve di voci straordinariamente eterogenee
riunite secondo il capriccio dell'ordine alfabetico, mi crogiolo nel mio vizio mentale. Un volume isolato dell'Enciclopedia come la mente di un pazzo erudito - imbottita di idee corrette fra le quali, tuttavia, non c' altra relazione che il fatto di avere un'iniziale in comune; da
orach, o {(spinaciodi montagna)), si passa direttamente a
oracle. Se leggendo l'Enciclopedia non si impazzisce o
non si diventa una miniera di nozioni inutili e slegate,
perch si dimentica. La mente ha una grande capacit di
oblio. Provvidenziale, altrimenti nel caos di una futile
memoria sarebbe impossibile ricordare le cose utili e significative. D'abitudine lavoriamo su generalizzazioni,
ricavate dal groviglio delle cose reali. Se ricordassimo
ogni cosa perfettamente, non saremmo mai in grado di
generalizzare, poich alla nostra mente non si presenterebbero che immagini staccate, precise e varie. Senza l'ignoranza non potremmo generalizzare. Ringraziamo il
cielo per la nostra capacit di dimenticare. Nei riguardi
dell'Enciclopedia essa immensa. La mente ricorda sol-

tanto quello che le serve. Cinque minuti dopo aver letto


dello spinacio di montagna, l'uomo comune, che non sia
n un botanico n un cuoco, ha dimenticato tutto sull'argomento. Letta per divertimento, l'Enciclopedia serve
soltanto come svago momentaneo; non istruisce, non deposita niente di duraturo sulla superficie della mente.
un semplice passatempo e un temporaneo stimolatore del
cervello. Lo uso solo per diletto nei miei viaggi; mi vergognerei di indulgere a una curiosit cos fine a se stessa
quando sono a casa in tempi di lavoro serio.

PARTE SECONDA

Luoghi

Montesenario

Era marzo e la neve si stava sciogliendo. Met invernale, met primaverile, la montagna era tutta a chiazze come un cane rognoso. Le pendici a sud erano scoperte; ma
in ogni cavit, sulle parti senza sole degli alberi, c'era ancora la neve, bianca sotto le azzurre ombre trasparenti.
Attraversammo una piccola pineta; il sole pomeridiano che filtrava attraverso lo scuro fogliame toccava qui
un ramo, l un pezzo di tronco, trasformando la corteccia rossastra in una specie di corallo dorato. Oltre il bosco sorgeva il monte, nudo fino alla vetta. Lungo la cresta, una massa di costruzioni elevava le sue alte mura illuminate dal sole contro il cielo pallido, una piccola Gerusalemme delle regioni fredde. Era il monastero di Montesenario. Affrontammo faticosamente la salita; l'ultima
fase del pellegrinaggio da Firenze a Montesenario insolitamente ripida, e si deve lasciare l'automobile a un certo
punto. E all'improvviso, come a darci il benvenuto, come a incoraggiare le nostre fatiche, la citt celeste ci mand incontro una schiera di angeli. Svoltando un angolo

del sentiero li vedemmo venire a due a due in lungo corteo; angeli in tonaca nera con cappello nero rotondo in
testa - un seminario nella sua ora d'aria pomeridiana.
Erano tutti ragazzi molto giovani, i pi vecchi potevano
avere sedici o diciassette anni, i pi giovani non pi di
dieci. Con le loro nere sottane svolazzanti, camminavano
con una dignit innaturale. Vedendo quei piccoletti in testa alla fila, con il grosso padre sorvegliante che avanzava a grandi passi al loro fianco, era difficile credere che
non si trattasse di una mascherata. Sembrava uno spettacolo di irriverente comicit; una caricatura di Goya animata all'improwiso. Ma i loro visi erano seri; paffuti o
affinati dall'adolescenza, avevano gi un'espressione
mellifluamente pretesca. Non era uno scherzo. Guardando quei ragazzini vestiti di nero, ci si sarebbe augurato
che lo fosse.
Continuammo a salire; i pretini, scendendo, scomparvero alla vista. Giungemmo finalmente alle porte della
citt celeste. Una piccola piattaforma lastricata e munita
di ringhiera serviva da pianerottolo alla fuga di gradini
che conducevano al cuore del convento. In mezzo alla
piattaforma sorgeva una statua di dimensioni pi grandi
del naturale raffigurante un santo sconosciuto. Ammirevole nella sua comicit, era un pezzo di scultura barocca
del diciottesimo secolo. Scolpito con rozzo talento, il personaggio gesticolava in preda all'estasi, con gli occhi rivolti al cielo; le vesti gli svolazzavano intorno in ampie
pieghe. In certo modo non era il tipo di santo che ci si
aspetta di trovare di sentinella sul pi severo eremo della
Toscana. E anche il convento sembrava un'incongruenza
in cima a questa austera montagna. Infatti la citt celeste
era un bell'esempio del primo barocco, con decorazioni e
aggiunte settecentesche. La chiesa era piena di sculture

dorate e contorte e di pitture tremendamente abili; le spoglie dei sette pii fiorentini che nel tredicesimo secolo fuggirono dalla citt di perdizione della pianura sottostante
e fondarono questo eremo sulla montagna erano conservate in una grande urna di cristallo e oro, illuminate, come in una bacheca nel salotto di un collezionista di porcellane, da lampadine elettriche nascoste. No, gli edifici
erano ridicoli. Ma, in fondo, che importano gli edifici? Si
possono dipingere bei quadri in una catapecchia, scrivere
poesie nel pi orrendo quartiere cittadino; e viceversa si
pu vivere in una casa stupenda, circondati da capolavori
d'arte antica, eppure (come quasi sempre succede quando i collezionisti dell'antico, affidandosi per una volta al
loro giudizio e non alla tradizione, si innamorano dell'arte moderna) essere grossolanamente insensibili e privi di
gusto. Entro certi limiti, l'ambiente esterno conta ben
poco. Solo quando l'ambiente estremamente sfavorevole pu distruggere o distorcere le facolt della mente. E
anche se favorevole, non pu far nulla per allargare i limiti posti dalla natura alle capacit umane. Cos qui l'architettura appariva assolutamente inappropriata al luogo
severo e all'idea stessa di romitaggio; ma gli eremiti che
vivono nel suo ambito non si accorgono forse neppure
della sua esistenza. All'ombra dell'assurda statua di San
Filippo Benizi un Buddha potrebbe sviluppare il suo pensiero buddhista come sotto un fico della pagoda.
Sui terreni intorno al monastero vedemmo una mezza
dozzina di Serviti in tonaca nera che segavano legna, con
vigore e umilt, in uno spirito ben diverso dalle pretenziose dorature della chiesa e dal campanile settecentesco.
Erano la presenza pi genuina. E la vista dalia seconda
cima della montagna era nella pi pura tradizione eremitica. Le alture si estendevano fin dove l'occhio poteva ar-

rivare nella foschia invernale, come un grande mare tempestoso immobilizzato dal gelo. Le valli erano piene di
ombre azzurre, e tutti i pendii esposti al sole erano color
ruggine dorata. Ai nostri piedi il terreno scendeva verso
un immenso abisso azzurro cupo. L'aria velata ammorbidiva ogni contorno, confondeva ogni particolare, soltanto luci dorate e ombre violette fluttuavano sotto il pallido
cielo come l'essenza disincarnata di un paesaggio.
Rimanemmo a lungo in contemplazione di quel regno
del silenzio, di una maestosa bellezza. La solitudine era
altrettanto profonda quanto l'abisso d'ombra sotto di
noi; si estendeva fino ai brumosi orizzonti e al cielo senza
confini. Nel cuore stesso di questa solitudine, pensavo,
l'uomo pu cominciare a capire qualcosa di quella parte
del suo essere che non si rivela nel commercio quotidiano
della vita, che i contatti sociali non suscitano, neppure a
sprazzi, da quella pietra focaia inerte che uno spirito
mai messo alia prova; quella parte del suo essere di cui
l'uomo prende coscienza unicamente nella solitudine e
nel silenzio. E se nella sua vita non c' silenzio, se la solitudine gli ignota, allora pu accadergli di scendere nella
tomba senza indovinarne l'esistenza, senza comprenderne la natura o realizzarne le potenzialit.
Ritornammo sui nostri passi verso il monastero e di l
scendemmo per il ripido sentiero fino all'automobile.
Dopo un chilometro di strada in direzione di Pratolino
incontrammo i pretini di ritorno dalla loro passeggiata.
Poveri ragazzini! Ma forse che il loro destino era peggiore, mi chiesi, di quello degli abitanti della citt nella valle? In cima alla loro montagna essi vivevano sotto una regola tirannica, veniva loro insegnato a credere in una
quantit di cose chiaramente insulse. Ma quella regola
era forse pi tirannica delle sciocche convenzioni che do-

minano la vita degli esseri sociali della pianura? Lo snobismo a proposito di duchesse e illustri scrittori era pi
ragionevole di quello a proposito di Ges Cristo e dei
santi? I1 duro lavoro per la maggior gloria di Dio era pi
detestabile delle otto ore quotidiane di ufficio per la maggior fortuna degli ebrei? La temperanza era un peso, non
c' dubbio; ma veniva cos disgustosamente a noia come
l'eccesso? E l'impegno dello spirito nella preghiera e nella meditazione era meno divertente dell'impegno in un
mare di bassezze? Scendendo in automobile verso la citt
di pianura riflettevo. E quando, in via Tornabuoni, passammo vicino a Mrs Thingummy che stava laboriosamente estraendo il suo corpo flaccido da una gigantesca
limousine per scendere sul marciapiede, di colpo capii
perfettamente che cosa avesse spinto i sette ricchi mercanti fiorentini, settecento anni fa, ad abbandonare la loro posizione nel mondo e a raggiungere quell'elevato luogo selvaggio per vivere in caverne sulla cima di Montesenario. Mi volsi a guardare: Mrs Thingummy entrava dimenandosi nel negozio dell'orefice. S, capivo perfettamente.

I1 fiume di Patinir

I1 fiume scorre in una stretta valle fra le colline. Un fiume ampio, colmo e scintillante. Le colline sono scoscese e
di un'unica altezza. Dove il fiume descrive una curva, le
colline su un lato sporgono a bastione, sull'altro si ritirano. Ci sono dirupi e boschi digradanti dal cupo fogliame.
Al di sopra di questa striscia di terra capricciosamente
scolpita e dentellata il cielo pallido. Da questo cielo deve scendere a volte una pioggia di un bianco di lino. Infatti sulle rocce aleggia un pallore di cenere; e il verde dell'erba e degli alberi si sfuma di bianco fino ad assumere
la tonalit del verde smeraldo delle scatole di colori dei
bambini.
Fiume colmo e scintillante, pallidi dirupi, alberi di un
intenso verde cupo, pendii dove il tappeto erboso ha il
colore del verderame stinto - pensavo che fosse tutto di
fantasia. Osservando questi quadretti, dipinti con milioni
di minuscole pennellate di un pennello di martora composto da quattro peli, ero affascinato e divertito dalla
graziosa invenzione. Questo Joachim Patinir, pensavo,

ha una fantasia delicata. Da anni ero abituato a farmi


cullare da questo fiume fra i dirupi come da un fiume della mente, fuori dal mondo.
Poi un giorno - un umido giorno d'autunno - uscendo in automobile da Namur verso Dinant attraverso la
pioggia, mi trovai improvvisamente a percorrere, veloce
come potevano portarmi i miei dieci cavalli nella fanghiglia sdrucciolevole, la riva di questo fiume immaginario.
La pioggia, vero, offuscava un po' il paesaggio. Si frapponeva, come una lastra di vetro sudicio, fra la scena e
gli occhi dello spettatore. Malgrado cib distinguevo, inconfondibile, il paesaggio favoloso dei piccoli dipinti del
fiammingo. Rocce, fiume, prati verde smeraldo, boschi
cupi erano l, nella loro indubbia realt. Avevo attribuito a Joachim Patinir il merito che appartiene a Dio.
Quella che avevo preso per una sua squisita invenzione
era la Mosa autentica e reale.
Viaggiammo, chilometro su chilometro, da Namur a
Dinant; da Dinant, chilometro su chilometro, fino a Givet. Tutto il tempo in compagnia di Patinir; il fiume serpeggiante, la doppia linea di colline sporgenti e rientranti, l'erba color verderame, i dirupi e gli alberi pensili, lungo tutto il percorso. A Givet lasciammo il fiume, poich
la destinazione era Reims e il nostro itinerario passava
per Rethel. Lasciammo il fiume, ma ci rimase l'impressione che esso ripercorresse all'indietro tutta una serie di
paesaggi di Patinir fino alla sua lontana sorgente a Poissy. Mi piace pensare che fosse realmente cos. Perch Patinir era un pittore delizioso e poche sono le sue opere rimaste. Duecento miglia di paesaggi suoi non sarebbero
affatto troppe.

Portoferraio

I1 cielo era la tavolozza di Tiepolo. Una nuvola di fumo saliva nell'azzurro, bianca nella parte verso il sole,
tendente a scurirsi fino al grigio, passando per il colore
delle pieghe in ombra di un abito da sposa. In primo piano sulla destra sorgeva una grande casa rosa, il rosa acceso del geranio, inondata dal sole. C'era il materiale per
una Madonna con seguito di santi e angeli; o per un episodio della leggenda di Troia; o per una Crocifissione; o
per una scena delle tresche di Giove Tonante.
La terra era mediterranea - un pezzo di riviera interamente circondato dal mare. In una parola, 1'Elba. Le colline scendevano fino a una grande e bella baia curva,
riempita da un mare sfacciatamente azzurro. Sul promontorio a un capo della baia di Portoferraio si ergeva
su gradinate di stucco dipinto. Ai suoi piedi giaceva un
piccolo porto irto di alberature di barche. L'odore di pesce e il ricordo di Napoleone aleggiavano perpetuamente
nell'aria. La coscienza e il barone Baedeker ci dicevano
che avremmo dovuto visitare la casa di Napoleone - ora,

molto opportunamente, museo di storia naturale. Ma opponevamo una strenua resistenza. molto spiacevole sapere di non aver fatto il proprio dovere. Com' fastidiosa una coscienza colpevole, dice il Cardinale nella Duchessa di Amalfi. Aveva perfettamente ragione. Passeggiavamo nelle belle strade assolate gemendo sotto il peso
del peccato.
Poi, introducendoci attraverso una porta nelle mura
della citt vecchia, ci trovammo di fronte a una scena che
ci liber completamente dal senso di colpa. Ai nostri occhi si present una visione al cui confronto una casa piena di ricordi napoleonici era cosi insignificante che la nostra ribellione al barone Baedeker non era pi una colpa
ma decisamente un merito.
Sotto di noi, sull'altro lato di una piccola insenatura,
sullo sfondo delle montagne, si stendeva un piccolo pezzo di Terra Nera. Nel mezzo c'era un gruppo di fornaci in
attivit con tre enormi ciminiere alle loro spalle, come i
campanili di una cattedrale. Alla loro destra ce n'erano
altre cinque o sei. Tre gru immense erano piantate in riva
all'acqua, e un ponte di ferro conduceva dalla banchina
alle fornaci. Le ciminiere, le gru, le fornaci e le costruzioni, il mucchio di rottami, il terreno stesso di questa piccola area fra il Mediterraneo e le montagne - tutto era nero come carbone. Nero contro il cielo, nero contro le colline glauche e oro, nero anche il riflesso nelle scintillanti
acque azzurre.
Se ne fossi stato capace avrei voluto dipingere la scena.
Era di un'estrema bellezza. Bella e anche drammatica. La
mente si diletta dei contrasti violenti. Birmingham spaventosa cosi com' situata, il corpo nel Warwickshire e i
suoi neri tentacoli che si allungano attraverso la terra ondulata fino a Stafford. Ma trasportatela in Sicilia o sulle

rive del Lago Maggiore e il suo orrore diventa subito pi


dolorosamente palese. Nel Warwickshire essa un ininterrotto sermone sulla civilt, ma durante i sermoni si
dorme. Vicino al Mediterraneo diventa il pi caustico e
memorabile degli epigrammi. Inoltre, la Birmingham effettiva del Warwickshire troppo estesa per poterne abbracciare la vista per intero. Questo pezzo isolato di nero
fra l'azzurro del cielo e l'azzurro del mare era densamente simbolico. E proprio perch il cielo e l'erba erano ancora visibili tutto intorno, la lotta fra l'industria e le bellezze naturali della terra era rappresentata molto pi efficacemente qui che nei luoghi come le grandi citt del
nord, dove l'industrializzazione ha ottenuto una vittoria
definitiva e non ci si accorge neppure pi di quello che
esisteva prima.
Restammo a lungo a guardare il fumo che usciva dalle
ciminiere e saliva nell'aria immota. Bianchi veli; bianco
raso, lucente o ombreggiato; soffice grigio - gli angeli di
Tiepolo volteggiavano; e il cielo azzurro era la serica veste della Madonna; e la grande casa rosa sulla destra aveva il colore di uno di quei sontuosi velluti per i quali, nel
paradiso dell'ultimo dei grandi veneziani, i santi hanno
una cos comprensibile predilezione.

I1 Palio di Siena

Le nostre stanze erano in una torre. Dalle finestre si vedeva, al di sopra dei tetti di tegole brune, il duomo sulla
sua collina. Cento piedi pi sotto c'era la strada, uno
stretto vicolo fra alti muri, perennemente senza sole; le
voci dei passanti salivano rimbombando come da un baratro. L sotto si camminava sempre nell'ombra; nella
nostra torre godevamo fino ali'ultimo la luce del sole.
Nelle giornate calde faceva pi fresco gi nella strada;
ma noi almeno avevamo il vento. Arrivava a ondate, si
rompeva contro la torre e riprendeva a scorrere sui due
lati. E alla sera, quando solo i campanili, le cupole e i tetti pi alti erano ancora incendiati dal sole al tramonto, le
nostre finestre erano a livello del volo di rondini e rondoni. Nei tramonti di tutta quella lunga estate saettavano e
roteavano intorno alla nostra torre. C'era sempre uno
stormo che eseguiva complicate evoluzioni proprio davanti alla nostra finestra. Deviavano bruscamente in tutte le direzioni, si tuffavano e risalivano, arrestavano il loro volo precipitoso con un battito delle lunghe ali appun-

tite e facevano una virata su se stesse. Solide, agili, affusolate, parevano l'incarnazione dell'eterea velocit. E il
loro grido sottile, acuto, fulmineo era la velocit fatta
suono. Stavo alla finestra a guardarle tracciare i loro
complicati arabeschi fino a esserne stordito, finch le loro stridule grida parevano sorgere dentro le mie orecchie
e il loro volo mi sembrava un moto continuo, guizzante,
straordinariamente multiplo, che sorgesse dietro i miei
occhi. E intanto il sole declinava, le ombre si arrampicavano sempre pi in alto su case e torri, e la luce che ancora indugiava sulle loro cime si faceva pi rosea. Infine
l'ombra raggiungeva anche queste, e la citt si adagiava
in un grigio e denso crepuscolo sotto il pallido cielo.
Una sera, verso la fine di giugno, mentre sedevo alla finestra guardando il volo degli uccelli, udii attraverso le
grida delle rondini un rullo di tamburo. Guardai gi nel
vicolo in ombra ma non vidi nulla. I1 suono si fece sempre pi forte e improvvisamente, dall'angolo dietro il
quale girava il vicolo, comparvero tre personaggi usciti
da un affresco del Pinturicchio. Erano vestiti in costume
verde e giallo - giubbetto giallo con bordi e riporti verdi, calze e scarpe dei due colori, e altrettanto i cappelli
piumati. Il suonatore di tamburo era in testa. Gli altri
due seguivano portando bandiere verdi e gialle. Proprio
sotto la nostra torre la via si allargava in una minuscola
piazza. In questo spazio vuoto i tre personaggi di Pinturicchio fecero una sosta, e la piccola folla di bimbi e di
sfaccendati che li seguivano da presso si radunarono intorno a loro in attesa. Il suonatore di tamburo acceler il
rullo e i due sbandieratori avanzarono al centro della
piazzetta. Restarono l immobili per un momento, con il
piede destro un po' in avanti rispetto all'altro, il pugno
sinistro sul fianco e le bandiere abbassate nel destro. Poi

contemporaneamente le sollevarono e cominciarono a


sventolarle intorno alle loro teste. Nel movimento circolare le bandiere si aprirono. Erano della stessa misura,
entrambe gialle e verdi, ma con i colori disposti secondo
un diverso disegno. E la bellezza di quei disegni! Non si
pu immaginare niente di pi moderno. Potevano essere state disegnate da Picasso per i Balletti Russi. Se fossero state di Picasso, i critici pi autorevoli le avrebbero
definite futuristiche, come il jazz pi scatenato. Ma non
erano di Picasso; erano state disegnate quattrocento anni
prima dal genio innominato che preparava lo spettacolo
annuale dei senesi. Di conseguenza, i critici possono soltanto levarsi il cappello. Queste bandiere sono classiche,
sono arte nobile; non c' altro da dire.
I1 tamburo continuava a rullare. Gli sbandieratori agitavano i loro drappi con tanta arte che l'intero disegno
colorato era sempre visibile in tutta la sua estensione, ondeggiante nell'aria. Si passavano le bandiere da una mano d'altra, dietro la schiena, sotto una gamba sollevata.
Infine, raccogliendo le forze per compiere uno sforzo supremo, le lanciarono per aria. Esse salirono in alto, roteando in un movimento ascendente lento e continuo, rimasero sospese un istante al culmine della loro traiettoria, poi ricaddero, con la pesante asta all'ingi, verso i
lanciatori che le afferrarono prima che toccassero terra.
Un ultimo sventolio, poi il tamburo riprese il suo ritmo di
marcia, gli uomini si misero in spalla le bandiere e, seguiti dai bimbi e dai fannulloni anacronistici del ventesimo
secolo, i tre giovani virtuosi del Pinturicchio si incamminarono spavaldi su per la strada buia, mentre i rulli di
tamburo si facevano sempre pi fievoli fino a svanire del
tutto.
In seguito ogni sera, quando le rondini si lanciavano

nei loro voli e nei loro gridi intorno alla torre, udimmo il
rullo del tamburo. Ogni sera, nella piazzetta sotto di noi,
prendeva vita un frammento del Pinturicchio. A volte
erano i nostri amici in verde e giallo che ritornavano a
sventolare le loro bandiere sotto le nostre finestre. A volte erano i rappresentanti di altre contrade o zone della
citt, in blu e bianco, rosso e bianco, nero, bianco e arancione, bianco, verde e rosso, giallo e scarlatto. I giubbotti
e le calze di due vivaci colori spiccavano sui grigi e i neri
funerei della piccola folla del ventesimo secolo che li circondava. I gonfaloni spiegati ondeggiavano nella strada
come ali colorate di immense farfalle. I1 tamburo accelerava il suo ritmo e un rullo prolungato accompagnava il
lancio delle bandiere che si arrotolavano e vibravano nell'aria.
Per lo straniero che non ha mai assistito a un palio
queste prove generali sono un anticipo molto eccitante.
Affascinato da questi primi assaggi, si prepara con impazienza a ci che gli riserva la grande giornata. Anche i senesi sono eccitati. Lo spettacolo, pur familiare, non li
stanca mai. E l'appassionato di gioco che in loro, il patriota locale, aspetta ansiosamente il risultato della gara.
Gli ultimi giorni di giugno che precedono il primo Palio,
la settimana di met agosto che precede il secondo, sono
giorni di crescente eccitazione e tensione in citt. Si gode
tanto di pi il Palio dopo averli vissuti.
Perfino il sindaco e il consiglio comunale sono contagiati dall'emozione generale. Sono talmenti compresi dell'importanza dell'avvenimento che negli ultimi giorni di
giugno mandano una squadra sulla piazza del Palazzo
Comunale a sradicare ogni filo d'erba o ciuffi di muschio
cresciuti nelle fessure fra le pietre. quasi una caratteristica nazionale, questo odio per le cose naturali che cre-

scono fra" le opere dell'uomo. Ho visto spesso nelle vecchie citt italiane degli operai impegnati a strappare le erbacce nelle vie e nelle piazze meno frequentate. I1 Colosseo, invaso fino a trenta o quarant'anni fa da una vegetazione piranesiana e romantica di arbusti, erbe e fiori,
stato ufficialmente ripulito con tale energia che il suo
aspetto di abbandono e rovina notevolmente aumentato. Nei pochi mesi che dur quel lavoro sono state fatte
crollare pi pietre di quante ne fossero spontaneamente
cadute nei mille anni precedenti. Ma gli italiani ne furono
soddisfatti; il che, in fondo, la cosa pi importante. I1
loro odio per la vegetazione selvatica alimentato dall'orgoglio nazionale; un grande paese, soprattutto se si
vanta di essere moderno, non pu permettere che le erbacce crescano neppure fra le sue rovine. Capisco e condivido in pieno il punto di vista degli italiani. Se Ruskin e
i suoi discepoli avessero parlato di me e della mia casa come parlavano dell'Italia e degli italiani, mi farei anch'io
un punto d'onore della mia modernit; installerei bagni,
riscaldamento centrale, ascensore, farei raschiare tutta la
muffa dai muri, farei ricoprire di linoleum i pavimenti di
marmo. Davvero, credo che nella mia irritazione farei
abbattere l'intera casa per costruirne una nuova. Considerata la provocazione che hanno ricevuto, mi pare che
gli italiani siano stati notevolmente moderati in fatto di
diserbamento, distruzioni e ricostruzioni. La loro moderazione in parte dovuta, non C' dubbio, alla loro relativa povert. I loro antenati costruivano case di una tale
prodigiosa solidit che abbatterne una vecchia costerebbe come costruirne una nuova. Pensate, per esempio, se
si dovesse demolire il Palazzo Strozzi di Firenze. Comporterebbe una fatica pari a quella di demolire il Cervino. A Roma, che in prevalenza una citt barocca del
73

diciassettesimo secolo, le case sono fatte di materiale pi


leggero. Di conseguenza, l il processo di modernizzazione molto pi rapido che nella maggior parte delle altre
citt italiane. Nella pi ricca Inghilterra si sono lasciati in
piedi pochissimi monumenti antichi. La maggior parte
delle grandi case di campagna inglesi furono ricostruite
durante il diciottesimo secolo, Se l'Italia avesse mantenuto la sua indipendenza e la sua prosperit durante il diciassettesimo, il diciottesimo e il diciannovesimo secolo,
ci sarebbe probabilmente un numero molto minore di costruzioni medievali e rinascimentali di quante invece ne
sopravvivono. La mancanza di denaro, dunque, impedisce la completa modernizzazione. L'estirpazione del verde ha il merito di essere a buon mercato ed nello stesso
tempo ricca di simboli. Quando si dice di una citt che
l'erba cresce nelle sue strade, si intende che completamente morta. Viceversa, se non c' erba nelle strade, significa che & ben viva. Certamente il sindaco e il consiglio
comunale di Siena non mettevano la questione in questi
termini. Ma che la questione esistesse in modo vago in
fondo ai loro pensieri, non lo metto in dubbio. I1 diserbamento era simbolo di modernit.
Con gli addetti a questo lavoro arrivavano altri operai
che costruivano tutto intorno ai lati curvi della piazza
grande una serie di gradinate di legno, sei file una sull'altra, per gli spettatori. La piazza, che non so se per caso o
ad arte ha gi la forma di un teatro antico, diveniva per
l'occasione un vero teatro. Fra i posti a sedere e l'area
centrale della piazza la pista era delimitata da sbarre e gli
instabili stendardi venivano parzialmente coperti con
sabbia. L'aspettativa cresceva ogni giorno di pi.
E finalmente arrivava il gran giorno. Come sempre le
rondini e i rondoni disegnavano i loro arabeschi nella

chiara luce dorata sulla citt. Ma le loro strida erano coperte dal brusio profondo, continuo e informe della folla
che gremiva le strade e la piazza. Sotto la sua volta di pietra il campanone della torre del Mangia oscillava senza
posa avanti e indietro; anch'esso sembrava muto. Il cicaleccio, le risa, le grida di quarantamila persone salivano
dalla piazza come una solida colonna sonora, impenetrabile a qualsiasi rumore ordinario.
Erano le sei passate. Prendemmo posto in una delle
gradinate di fronte al Palazzo Comunale. I1 nostro lato
della piazza era gi nell'ombra; ma il sole illuminava ancora il palazzo e la sua torre alta e sottile, facendo brillare le loro superfici di mattoni rosati come di un fuoco interno. Un'enorme affluenza di popolo riempiva la piazza
e tutte le file di posti all'intorno. C'era gente a ogni finestra e perfino sui tetti. Al Derby di Wembley, nei giorni
di regate, ho visto folle pi vaste; ma mai tante persone
confinate in un cos piccolo spazio.
Un colpo di fucile risuonb attraverso il frastuono di
voci; a questo segnale una compagnia di carabinieri a cavallo irruppe nella piazza, spingendo avanti i ritardatari
che ancora affollavano la pista. Erano in alta uniforme,
nera e rossa con guarnizioni d'argento; tricorno in testa e
spada in mano. Sui loro bei cavallini sembravano uno
squadrone di elegante cavalleria napoleonica. Davanti a
loro gli ultimi arrivati si affrettarono a infilarsi attraverso ogni possibile varco fra le sbarre fino allo spazio centrale, che presto fu fittamente stipato. La pista fu liberata con un giro al passo e ripercorsa poi al trotto veloce,
nel migliore stile Carle Vernet. I carabinieri ricevettero
un bell'applauso e si ritirarono. La folla fremeva nell'attesa. Per un momento si fece quasi il silenzio. La campana delia torre ridivenne sonora. Qualcuno nella folla lan-

ci un paio di palloni, che salirono perpendicolari nell'aria tranquilla, una sfera rossa e una porpora. Passarono
dall'ombra alla luce del sole, e il rosso divenne rubino, il
porpora scintillante ametista. Arrivati al di sopra dei tetti, una leggera brezza li spinse via, sempre con movimento ascendente, fino a scomparire alla vista.
Ci fu un altro colpo di fucile e Vernet lasci i1 posto al
Pinturicchio. I1 frastuono della folla aument, la campana oscill di nuovo senza suono e le trombe del corteo in
arrivo si udirono appena. I rappresentanti delle diciassette contrade della citt fecero lentamente il giro della piazza. Oltre il tamburino e i due portastendardi ogni contrada aveva un armigero a cavallo, tre o quattro alabardieri
e paggetti e, nel caso delle dieci prescelte per la gara, un
fantino; tutti indossavano la divisa alla Pinturicchio nei
colori particolari di ogni contrada. Avanzavano lentamente, poich ogni cinquanta passi si fermavano per permettere ai portastendardi di esibirsi in prove di abilit
con le bandiere. Impiegarono almeno un'ora a fare il giro. Ma il tempo sembrava perfino troppo breve. I1 Palio
uno spettacolo del quale non ci si stanca. Ormai l'ho visto gi tre volte, e l'ultima mi ha divertito come la prima.
I turisti inglesi sono spesso diffidenti a proposito del
Palio. Ricordano quelle terribili rievocazioni storiche che
erano in gran voga nel loro paese circa quindici anni fa, e
pensano che il Palio si riveli qualcosa di simile. Ma voglio
rassicurarli; non affatto cos. Non esiste nessuna poesia
di Louis Napoleon Parker a Siena. Qui non ci sono cori
di fanciulle i cui canti sommessi esprimono elevati sentimenti morali. Non ci sono scialbi attori-impresari imperfettamente camuffati da Hengist e Horsa, n una folla di
comparse gesticolanti vestite con pessimo gusto e addobbi
dei pi scadenti. Infine, a Siena capita raramente di esse-

re colti dal quasi invariabile accompagnamento delle parate inglesi - la pioggia. No, il Palio soltanto spettacolo; non ha nessun significato particolare ma, per il
semplice fatto di mantenere in vita una tradizione, significa infinitamente di pi di quei deprimenti pasticci con
tutta la loro vuota poesia parkeriana e le loro drammatiche rievocazioni. Tutti questi paggi e armigeri e sbandieratori vengono direttamente da un passato che la pittura
del Pinturicchio raffigura cos bene. I loro abiti sono
quelli disegnati per i loro avi, copiati fedelmente a ogni
generazione con gli stessi colori e le stesse ricche stoffe;
non le flanelle e i cotoni ma le sete, i velluti, le pellicce. E
quei colori furono assortiti, gli abiti tagliati in origine da
uomini il cui gusto era quello impeccabile del primo Rinascimento. Non c' dubbio che oggi ci sono costumisti
dal gusto altrettanto raffinato. Ma non erano certo i Paquin, i Lanvin o i Poiret a vestire gli attori di quegli spettacoli inglesi; erano i fabbricanti di parrucche e le sarte
da strapazzo. Ho gi parlato della bellezza degli stendardi, del loro disegno audace, fantasioso, moderno. Nel
Palio ogni altro particolare in armonia con gli stendardi, originale, estroso, ma sempre appropriato, sempre di
un'irreprensibile raffinatezza. L'unica nota falsa proprio il Palio in se stesso - lo stendardo che viene dato
alla contrada il cui cavallo ha vinto la gara. Questo stendardo dipinto appositamente ogni anno in questa occasione. Guardatelo mentre avanza, esposto orgogliosamente sul grande carro da guerra medievale che chiude la
sfilata - guardatelo, o forse preferibile di no. Sembra
uscito dalla collezione di addobbi di uno di quegli spettacoli inglesi. il capolavoro di una sarta da strapazzo.
Rabbrividendo, si distolgono gli occhi.
Preceduto da una fila di paggi del Quattrocento che

portano festoni di foglie d'alloro e scortato da una compagnia di cavalieri, il carro da combattimento avanzava
lento e pesante, inalberando il poco degno trofeo. A questo punto le trombe in testa al corteo si misero a suonare,
in modo appena udibile da noi sull'altro lato della piazza. Finalmente tutta la sfilata complet il suo giro intorno alla piazza e si schier in buon ordine davanti al Palazzo Comunale. Sopra le teste degli spettatori radunati
nello spazio centrale vedemmo i trentaquattro stendardi
che ondeggiavano in un'ultima esibizione d'insieme, venivano infine lanciati per aria, esitavano un istante al culmine del loro slancio, poi ricadevano fuori della nostra
vista. Ci fu uno scoppio di applausi. Lo spettacolo era
terminato. Un altro colpo di fucile. E in mezzo ad altri
applausi i cavalli della gara furono riportati al luogo di
partenza.
I1 percorso di tre giri intorno alla piazza, la cui forma, come ho detto, somiglia a quella di un teatro antico.
Ci sono dunque due curve strette dove le estremit del semicerchio incontrano il diametro. Una di esse, data l'irregolarit della pianta, pi stretta dall'altra. In questo
punto la parete esterna della pista imbottita con materassi per impedire ai fantini irruenti, che prendono la curva troppo velocemente, di sfracellarsi. I fantini cavalcano senza sella; i cavalli corrono su un sottile strato di sabbia sparsa sulle lastre di pietra della piazza. I1 Palio forse la corsa in piano pi pericolosa al mondo. Ed resa
ancora pi pericolosa dal patriottismo esagerato delle
contrade rivali. Infatti i1 vincitore della gara, quando tira
le redini del suo cavallo dopo avere oltrepassato il traguardo, assalito dai sostenitori delle altre contrade (i
quali pensano tutti che il loro cavallo avrebbe dovuto
vincere) con una furia cos scatenata che i carabinieri de-

vono sempre intervenire a proteggere l'uomo e l'animale


dal linciaggio. I nostri posti erano a duecento o trecento
metri oltre il traguardo, cos avevamo un'ottima visuale
della battaglia che si accendeva intorno al cavallo vincente mentre rallentava l'andatura. I1 traguardo era appena
superato che la folla gia rompeva le file e faceva irruzione
sul percorso. I1 cavallo avanzava sulla pista, ancora al
piccolo galoppo. Una banda di ragazzi si lanci all'inseguimento, agitando bastoni e gridando. Contemporaneamente, con le code delle loro giubbe napoleoniche sollevate dalla corsa, i tricorni traballanti, brandendo la spada con le mani guantate di bianco, i carabinieri a cavallo
accorsero in aiuto. Vi fu una breve lotta intorno all'animale ora fermo, i giovani furono respinti, e circondato
dai tricorni, seguito da una folla di sostenitori della sua
contrada natia, il cavallo fu portato via in trionfo. Noi
abbandonammo i nostri posti. Ora la piazza era completamente in ombra. Soltanto in cima alla torre e sulle merlature del palazzo brillava l'ultimo sole, accendendovi
una luce rosata contro il cielo azzurro pallido. Le rondini
continuavano i loro giri incessanti lass nella luce. Si dice
che al crepuscolo e all'alba questi uccelli innamorati della
luce salgano in cielo con le loro ali robuste a dare un ultimo addio o un mattiniero benvenuto al sole calante o nascente. Mentre noi ci abbandoniamo al sonno, rassegnati
all'oscurit, le rondini guardano lontano dalla loro torre
di osservazione nell'alto dei cieli, fino all'orlo del pianeta
ruotante verso la luce. Sar una favola, mi chiedevo
guardando in su a quella ronda vorticosa di uccelli, o
vero? Intanto qualcuno imprec contro di me che non
guardavo dove stavo andando. Rimandai la riflessione.

Paesaggi d'Olanda

Ho sempre avuto un debole per la geometria piana;


probabilmente perch la sola branca della matematica
che mi stata insegnata in modo che potessi capirla. Infatti, pur non avendo nessuna fiducia nel potere dell'istruzione di trasformare i ragazzi della scuola pubblica in
tanti Newton ( ovvio che, qualunque sia l'opportunit
offerta loro, soltanto certi rari esseri desiderosi di imparare e in possesso di doti naturali imparano realmente
qualcosa), devo tuttavia ripetere a mia difesa che l'insegnamento matematico del quale sono stato disgraziatamente vittima a Eton era inteso non solo a trasformare il
mio desiderio di imparare in ostinata resistenza passiva,
ma anche a soffocare qualunque disposizione naturale io
avessi in questa materia. Ma lasciamo andare. Basti dire
che, nonostante l'educazione ricevuta e la mia inettitudine congenita, la geometria piana mi ha sempre affascinato per la sua semplicit ed eleganza, la sua eliminazione
del dettaglio e del caso individuale, la sua insistenza sui
principi generali.

I1 mio amore per la geometria piana mi ha preparato a


sentire un'attrazione speciale per l'Olanda. Infatti il paesaggio olandese ha tutte le qualit che rendono cos piacevole la geometria. Un viaggio in Olanda un viaggio
attraverso i primi libri di Euclide. In un paese che la superficie piana ideale dei libri di geometria, le strade e i canali tracciano le distanze pi brevi fra un punto e l'altro.
Nelle sconfinate distese di polder, le dighe sormontate
dalle strade e gli scintillanti canali si intersecano ad angolo retto, formando un incrocio di linee perfettamente parallele. Ogni rettangolo di grassa terra erbosa contenuto
in questo reticolato di dighe ha esattamente la stessa
area. Cinque chilometri di lunghezza, tre di larghezza queste cifre vengono registrate sul quadrante del contachilometri. Cinque per tre per.. . quante volte? I1 demone
del calcolo s'impossessa della mente. Viaggiando lungo le
levigate strade color mattone che corrono fra i canali,
l'occhio si sforza di contare le dighe perpendicolari o parallele alla nostra. Si calcola l'area dei polder che esse
racchiudono. Tanti chilometri quadrati. Ma questi devono essere trasformati in acri. una somma spaventosa da
calcolare con la propria testa; tanto pi che si dimenticato quanti metri quadrati ci sono in un acro.
E a mano a mano che si procede l'immenso paesaggio
geometrico si allarga ai due lati dell'automobile come un
ventaglio aperto. Sulla linea piatta dell'orizzonte una serie di mulini a vento agitano le braccia come tanti danzatori di un balletto geometrico. Inevitabilmente, le leggi
della prospettiva conducono le lunghe strade e le acque
scintillanti a un punto di fuga indistinto nella bruma.
Qua e l - presenze irrilevanti in questa astratta pianura
- alcune mucche bianche e nere uscite da un dipinto di
Cuyp pascolano instancabilmente nell'erba verde e rigo-

gliosa oppure, ricordando Paul Potter, si specchiano come tanti Narcisi ruminanti nelle acque di un canale. Talvolta si incontrano degli esseri umani, deplorevolmente
fuori luogo, ma che di solito fanno del loro meglio per
compensare il loro aspetto poco geometrico girando in
bicicletta. Le ruote circolari propongono una serie di
nuovi teoremi e un nuovo compito per il demone del calcolo. Supponiamo che il raggio delle ruote sia di trenta
centimetri; trenta volte per trenta volte pi greco dar l'area. L'unico guaio che abbiamo dimenticato il valore
del pi greco.
Mi affretto a esorcizzare il demone del calcolo per essere libero di ammirare la fattoria sulla riva opposta del canale alla nostra destra. Con quale perfezione si inserisce
nello schema geometrico! Su un cubo, ridotto a circa un
terzo della sua altezza, collocata un'alta piramide. Questa la casa. La circonda una piantagione di alberi disposti a quinconce; i confini del suo giardino rettangolare sono disegnati dall'acqua sulla verde pianura, e al di l le
dighe ordinate si succedono sulla piatta distesa illimitata.
Non ci sono rimesse, fienili, cortili con cataste disordinate. I1 fieno riposto sotto il grande tetto piramidale, e nel
cubo tronco sottostante vivono da una parte il fattore e la
sua famiglia, dall'altra parte (ma solo durante l'inverno,
perch nel resto dell'anno dormono nei campi) le sue
mucche bianche e nere alla Cuyp. Tutte le fattorie dell'Olanda settentrionale si adeguano a questo stile, che tradizionale e cos perfettamente conforme al paesaggio che
sarebbe impossibile immaginarne uno pi appropriato.
Una fattoria inglese, con le sue costruzioni sparse, il suo
cortile disordinato, pieno di animali, i suoi pagliai e piccionaie, qui sarebbe terribilmente fuori luogo. Si adatta
bene al paesaggio inglese, con la sua conformazione acci-

dentata e la sua variet di particolari. Ma qui, in questa


Olanda settentrionale, euclidea e uniforme, sarebbe un
controsenso e una stonatura. La geometria esige geometria; con un senso delle convenienze estetiche che non si
ammirer mai abbastanza, gli olandesi si sono adeguati
alle esigenze del paesaggio e hanno costellato la superficie piana del loro paese di cubi e piramidi.
Paesaggio delizioso! Non conosco altra terra dove
viaggiare sia pi stimolante per la mente. Non fa meraviglia che Cartesio la preferisse a ogni altra. il paradiso
del razionalista. Quando si corre nella propria automobile da sessanta chilometri all'ora ci si sente un illuminista
cartesiano, ebbro di eccitazione intellettuale, convinto
che Euclide la verit assoluta, che Dio un matematico,
che l'universo una semplice questione da spiegare in termini di fisica e di meccanica, che tutti gli uomini sono
ugualmente dotati di ragione e che si tratta soltanto di
metterli di fronte ai giusti argomenti per mostrare loro gli
errori in cui incorrono e inaugurare il regno della giustizia e del buon senso. Quelli erano sogni nobili e commoventi, encomiabile esaltazione! Oggi noi siamo pi misurati. Abbiamo imparato che nulla semplice e razionale
tranne ci che abbiamo inventato noi stessi; che Dio non
pensa in termini di Euclide n di Riemann; che la scienza
non ha spiegato nulla; che pi allarghiamo le nostre
conoscenze pi il mondo ci appare misterioso e pi profonde le tenebre che ci circondano; che la ragione distribuita in modo irregolare; che l'istinto l'unica fonte dell'azione; che il pregiudizio infinitamente pi forte del
pensiero ragionato e che anche nel ventesimo secolo gli
uomini si comportano come ai tempi delle grotte di Altamira e delle abitazioni lacustri di Glastonbury. E simbolicamente si fanno le stesse scoperte in Olanda. Perch i

polder non sono illimitati, n tutti i canali diritti, n ogni


casa un connubio di cubi e piramidi, e neppure la fondamentale superficie piana ovunque tale. Quella deliziosa
sensazione di ((Ultima corsa insieme)) che ci pervade
quando viaggiamo lungo le strade di mattoni sulle righe
fra i canali un'illusione. I1 presente non eterno; l'Ultima corsa attraverso la geometria piana si interrompe
bruscamente - in una citt, in una foresta, sulla costa,
sulle rive di un fiume sinuoso o su un grande estuario.
Non importa quale di questi luoghi: sono tutti essenzialmente non geometrici; ognuno ha il potere di dissolvere
in un istante tutti quei paralogismi del razionale)) (come
li chiama il professor Rougier) dei quali ci siamo beatamente nutriti fra i polder. Le citt hanno vie tortuose e
affollate; le case hanno forme e dimensioni diverse. I1 litorale non rettilineo n a curve regolari, le dune o le dighe (dove non ci riesce la natura l'opera dell'uomo che
deve difendere la costa dall'invasione delle onde) si ergono immancabilmente sulla superficie piana. I boschi non
hanno niente di scientifico nel loro ombroso mistero e
non se ne possono distinguere tutti i singoli alberi. I fiumi
sono tortuosi e brulicanti di chiatte e battelli. Le insenature del mare hanno forme del tutto irregolari. il mondo reale dopo quello ideale - irrimediabilmente diversificato, complesso e oscuro; ma, passato il primo rimpianto, non meno affascinante del paesaggio geometrico
che ci siamo lasciati alle spalle. E lo troveremo ancora
pi attraente se abbiamo una mente concreta ed estroversa. Personalmente, le mie simpatie sono bilanciate. Perch amo il mondo interiore quanto quello esteriore.
Quando questo mi disturba mi ritiro nella semplicit razionale di quello interiore - nei polder dello spirito. E
quando, a loro volta, i polder mi sembrano eccessiva-

mente piatti, le strade troppo diritte e le leggi della prospet tiva troppo tiranniche, riemergo nella simpatica confusione della realt non addomesticata.
E com' bella e stimolante quella confusione in Olanda! Penso a Rotterdam con il suo fiume enorme e i suoi
grandi ponti, cos invasa dal traffico di una grande metropoli che si costretti a code lunghe mezzo miglio per
attraversare le strade. Penso all'Aja e alle sue pretese di
eleganza, mentre riesce soltanto a essere rispettabile e alto-borghese. A Delft, la citt commerciale di trecento anni fa; a Haarlem, dove in autunno si vedono passare i
carri di bulbi come in altri paesi i carri di patate; a Hoorn
sullo Zuyder Zee, con il suo piccolo porto e il castello che
guarda il mare, il suo assurdo museo pieno di costose
sciocchezze di vario genere, il suo enorme magazzino di
formaggi, come un arsenale dei vecchi tempi, dove gli
operai sono indaffarati tutto il giorno a lucidare palle di
cannone gialle in una specie di tornio e a dipingerle di rosa acceso con colori all'anilina. Penso a Volendam una fila di case di legno sull'alto della diga costiera e
un'altra fila in basso, nei campi verdi dietro la diga. La
gente di Volendarn e vestita come per una commedia musicale - Miss Hook d'Olanda - gli uomini con pantaloni a sbuffo e giacchette corte, le donne con cuffie bianche
ad ali, corsetti aderenti e quindici sottane sovrapposte.
Cinquemila turisti vengono ogni giorno a vederli; ma miracolosamente essi conservano la loro dignit e indipendenza. Penso ad Amsterdam; la citt vecchia, una specie
di Bruges pi animata, specchia nei canali le sue alte case
di mattoni. In un quartiere, a ogni finestra si affacciano
grasse prostitute sorridenti, gli esemplari umani pi polposi che abbia mai visto. Alle nove del mattino, all'ora di
colazione, alle sei di sera, le vie si riempiono all'improv-

viso di trecentomila biciclette; ad Amsterdam tutti vanno


e vengono dal lavoro su un paio di ruote. Per il pedone
come per l'automobilista un incubo. Sono tutti ciclisti
spericolati. Bambini di quattro anni portano bambini di
tre sul manubrio. Madri pedalano allegramente con pupi
di pochi mesi addormentati in culle legate al portapacchi.
Giovani fattorini portano come niente fosse due metri
cubi di pacchi. I lattai fanno il loro giro su biciclette speciali che possono portare duecento bottiglie da un quarto
su un ripiano fra le due ruote, Ho visto orticoltori trasportare quattro palme e una dozzina di vasi di crisantemi sul manubrio. Ho visto cinque persone filare nel traffico su un'unica bicicletta. Le gesta pi audaci del circo e
del music hall fanno parte della routine quotidiana di
Amsterdam.
Penso alle dune vicino a Schoorl. Viste da una certa distanza nella pianura sembrano una catena di enormi
montagne contro il cielo. Seguendo con gli occhi il loro
contorno frastagliato si possono provare le stesse emozioni suscitate per esempio dallo spettacolo delle Alpi viste da Torino. Le dune sono grandiose; su di loro si potrebbe scrivere un intero canto de Il pellegrinaggio del
giovane Harold. Poi, ahim, ci rendiamo conto di ci che
per un momento avevamo dimenticato, che questa fila di
cime imponenti non sorge a cinquanta chilometri da noi,
al limite curvo del pianeta; a una distanza di poche decine di metri, e i comignoli delle case alla sua base raggiungono quasi i due terzi dell'altezza di quelle cime. Ma che
importa? Con un po' di buona volont, ripeto, si possono provare in Olanda tutte le emozioni che ci procura la
Svizzera.
S, le dune di Schoorl e di Groet sono davvero grandiose. Ma lo spettacolo pi grandioso che mi ha offerto la

parte non geometrica d'Olanda stata Zaandam; Zaandam vista da lontano, dalla pianura.
Avevamo viaggiato attraverso i polder e l'aperta campagna dell'Olanda del nord. Zaandam fu il primo pezzo
di realt non geometrica che incontrammo dopo Alkmaer. In termini tecnici, Zaandam non pittoresca; la
guida ha poco da segnalare. un porto e una citt industriale sullo Zaan, qualche chilometro a nord di Amsterdam; questo tutto. Ci sono fabbriche di cacao e di sapone. L'aria carica, a strati alternati, di esalazioni deliziose di cioccolato fuso e di puzza di grasso bollito. Sulle
banchine in riva al fiume ci sono depositi di grano americano e di legname del Baltico. I granai furono i primi ad
annunciarci da lontano la presenza di Zaandam. Come
cattedrali di una nuova religione non ancora divulgata,
essi troneggiavano nell'aria velata autunnale - enormi
rettangoli di cemento collocati verticalmente, quasi senza
finestre, di un grigio uniforme. Era come se tutta la loro
forza fosse diretta verso l'alto; guardare il mondo orizzontalmente da una finestra sarebbe stato un nonsenso;
gli occhi erano costretti a questo sforzo verso l'alto. E tale direzione era accentuata dalle linee dei riquadri alternatamente sporgenti e rientranti nei quali erano divise le
superfici dei muri di questi grandi edifici - lunghe e sottili linee d'ombra che correvano ininterrotte per cento
piedi dalla base alla sommit. I costruttori del palazzo
papale di Avignone usarono un accorgimento simile a
questo per dare al loro fabbricato il suo aspetto di verticalit e di straordinaria imponenza. I riquadri in rilievo e
gli archi ciechi sostenuti da montanti di inverosimile altezza, con i quali essi hanno movimentato le superfici,
conferiscono all'intero edificio un forte slancio verso
l'alto. Lo stesso accade per i silos di Zaandam. Nella fo-

schia dell'Olanda autunnale mi venne in mente la Provenza. Guardando quelle forme troneggianti che divenivano sempre pi grandi a mano a mano che ci avvicinavamo, pensavo a Chartres, a Bourges e a Reims: sagome
gigantesche viste alla fine di una giornata di viaggio, verso sera, contro un pallido cielo, con le piccole luci di una
citt intorno alla loro base.
Ma se da una certa distanza Zaandam, con i suoi monumenti commerciali, ricorda i castelli provenzali e le
cattedrali gotiche francesi, uno sguardo pi rawicinato
ne denuncia l'inequivocabile carattere olandese. Ai piedi
dei silos e delle fabbriche poco meno gigantesche, nell'aria che sa di cioccolato e di sapone, giace la citt con le
sue case sparse. I sobborghi sono lunghi ma stretti, aggrappati precariamente alla sottile striscia di terra fra
due acque. Le case sono piccole, di legno dipinto a colori vivaci, con giardini grandi come un fazzoletto, ben curati e pieni di begonie rigogliose, almeno nella stagione
in cui li ho visti. In uno di essi, grande come due fazzoletti, c'erano non meno di quattordici gruppi scultorei.
Nelle vie si incontrano uomini che fumano, con zoccoli
di legno ai piedi. Cani che tirano carri pieni di vasi d'ottone. Innumerevoli biciclette. l'Olanda reale, non
quella ideale geometrica; affollata, confusionaria, multiforme, strana, affascinante... Ma entrando nella citt
sospirai. Era finita l'Ultima corsa insieme)); ci eravamo lasciati alle spalle gli amati paralogismi razionalistici. Ora si doveva affrontare il mondo reale degli uomini
e, nel mio caso, affrontarlo conoscendo esattamente sei
parole di olandese (dialetto, per giunta) imparate anni
prima a beneficio di una cameriera fiamminga: Ha dato da mangiare ai gatto?)) Non c' da stupirsi che rimpiangessi i polder.

Sabbioneta

Lo chiamano il Palazzo del T, disse la cameriera


della piccola locanda di una via laterale dove avevamo
fatto colazione, perch i Gonzaga ci andavano di solito
a prendere il t. E questo era tutto ci che lei, e probabilmente la maggior parte degli abitanti di Mantova, sapeva sui Gonzaga e i loro palazzi. E forse c'era da meravigliarsi che ne sapesse tanto. Gonzaga: il nome, almeno,
risuonava ancora sia pur debolmente. Dopo duecento anni quanti nomi vengono ancora ricordati? Pochi in verit. I Gonzaga, mi parve, godono di un grado di immortalit che pu fare invidia. Sono scomparsi, sono una razza
estinta come i dinosauri; ma nella citt che in passato governarono il loro nome ancora vagamente familiare, e
per chi voglia ascoltarli essi hanno lasciato alcuni dei pi
eloquenti sermoni sulla vanit delle aspirazioni umane e
l'incostanza della fortuna che le pietre abbiano silenziosamente pronunciato.
Ho visto molte rovine di ogni periodo. Stonehenge e
Ansedonia, Ostia e la medievale Ninfa (che il duca di

Sermoneta sta attivamente trasformando nella copia di


un lindo parco suburbano), Bolsover e le orribili rovine
moderne della Francia del nord. Ho visto grandi citt
morte o in declino: Pisa, Bruges e la Vienna degli orrori
recenti. Ma mi pareva che su nessuna incombesse una
malinconia cos profonda come su Mantova; nessuna
appariva cos morta o cos totalmente spoglia di gloria;
in nessun luogo la solitudine era pi carica di ricordi dello splendore passato, il silenzio pi ricco di echi. Nella
labirintica Reggia di Mantova ci sono mille stanze - gotiche, rinascimentali, barocche, altre con le assurde pretenziose decorazioni del Primo Impero, enormi sale delle
udienze e salotti privati, e gli orridi e squisiti appartamenti dei nani - mille stanze, le cui pareti racchiudono
un vuoto che il lugubre fantasma di una ricca presenza
scomparsa. Camminando per Mantova si percepisce il
creux nan t musicien di Mallarm.
E non solo a Mantova. Infatti i Gonzaga, ovunque vissero, lasciarono dietro di s lo stesso vuoto patetico, la
stessa opprimente solitudine, gli stessi echi, gli stessi fantasmi di uno splendore scomparso.
I1 Palazzo del T ha la stessa malinconica bellezza che
incombe sulla Reggia. vero, l'insulsa banalit di Giulio
Romano ha avuto modo di esibirsi su quelle pareti in una
serie di deplorevoli affreschi ( strano, fra l'altro, che
Giulio Romano sia stato l'unico artista italiano del quale
Shakespeare avesse mai sentito parlare, o almeno l'unico
da lui menzionato); ma le cose assurde e banali sembrano
rendere in realt ancora pi commovente questo luogo. I
defunti occupanti del palazzo divengono in certo modo
pi reali quando si scopre il loro gusto per i dipinti trompe i'oeii di giganti in lotta e per le scene vagamente pornografiche tratte dalla mitologia pagana. E sembrando

pi umani sembrano pure pi morti; e nel vuoto lasciato


dalla loro scomparsa echeggia pi che mai una sottile tristezza.
Anche i figli cadetti della famiglia Gonzaga avevano il
potere di lasciare dietro di s una desolazione pi che
pompeiana. A trentadue chilometri da Mantova, sulla
strada per Cremona, c' un villaggio chiamato Sabbioneta. Sorge vicino al Po ma non sulle sue rive; ha una popolazione abbastanza numerosa per un villaggio, dedita soprattutto all'agricoltura; piuttosto sporco e ha un'apparenza - forse illusoria - di povert. In realt molto
simile a tutti gli altri villaggi della pianura padana, ma
con questa differenza: un tempo ci viveva un Gonzaga.
Lo squaliore di Sabbioneta non consueto; uno squallore che in passato era magnificenza. I suoi contadini e
mercanti di cavalli vivono nella sporcizia e in condizioni
precarie fra tesori architettonici del tardo Rinascimento.
Il municipio un palazzo ducale; nella scuola pubblica le
lezioni avvengono sotto soffitti dipinti e scolpiti, e quando il maestro fuori della classe i bambini scrivono i loro
nomi sui ventri di marmo delle pazienti, malconce cariatidi che sostengono la cappa blasonata del camino. Le
proiezioni settimanali di film avvengono in un Teatro
Olimpico, costruito qualche anno dopo il famoso teatro
di Vicenza da un allievo di Palladio, Scamozzi. La gente
prega in chiese sontuose; se per caso la truppa capita in
citt, viene alloggiata nella bella residenza estiva deserta.
I1 creatore di tutte queste meraviglie fu Vespasiano, figlio di quel Luigi Gonzaga che fu compagno di orge regali e che, per il suo valore e la sua forza favolosa, i suoi
contemporanei soprannominarono Rodomonte. Luigi
mor giovane, ucciso in battaglia; e suo figlio Vespasiano
fu allevato dalla zia Giulia Gonzaga, una delle pi raffi-

nate dame dell'epoca. Gli fece imparare il latino, il greco,


la matematica, le buone maniere e l'arte della guerra. In
quest'ultima si distinse servendo successivamente sotto
molti principi, in particolare Filippo I1 di Spagna, che gli
concesse favori speciali. Vespasiano fu, pare, il tipico tiranno italiano di quel periodo - colto, intelligente e con
quel tanto di incontrollabile feroce ribalderia che ci si
aspetta da un uomo abituato a esercitare il potere assoluto. Fu nell'intimit della vita privata che esib le sue caratteristiche meno apprezzabili. Avvelen la prima moglie sul semplice sospetto, probabilmente infondato, di
infedelt, assassin il suo presunto amante e ne esili i
parenti. La seconda moglie lo abbandon misteriosamente dopo tre anni di vita coniugale e mor di crepacuore in un convento, portando con s nella tomba chiss
mai quale spaventoso segreto. La terza moglie, vero,
visse fino a tarda et; ma a questo punto Vespasiano mor dopo pochi anni appena di matrimonio. I1 suo unico figlio, che lui am con la trepidante passione del parvenu
ambizioso che aspira a fondare una dinastia, un giorno lo
mand in collera per non essersi tolto il berretto incontrandolo per strada. Vespasiano gli rimprover aspramente questa mancanza di rispetto. I1 ragazzo gli rispose
con impertinenza. Al che Vespasiano gli sferr un pugno
cos violento d'inguine che lo uccise. Questo dimostra
che, anche quando si castigano i propri figli, conviene osservare le regole di Queensberry.
Fu nel 1560 che Vespasiano decise di trasformare il misero villaggio dal quale prendeva il suo titolo in una capitale degna del suo principe. Si mise al lavoro con energia.
In pochi anni il villaggio di povere casupole raggruppate
intorno a un castello feudale diede luogo a una citt cinta
da mura, con vie ampie, due belle piazze, un paio di pa-

lazzi e un nobile Museo di Antichit. Vespasiano aveva


ereditato queste ultime da suo padre Rodomonte, il quale
aveva partecipato al sacco di Roma del 1527 e si era dimostrato uno zelante e sagace razziatore. Sabbioneta fu a
sua volta saccheggiata dagli Austriaci, che trasportarono
le spoglie di Rodomonte a Mantova. I1 museo rimane;
ma non contiene altro che quel creux nant musicien che
soltanto i Gonzaga, fra tutti i principi italiani, ebbero
l'arte speciale di creare con la loro scomparsa.
Eravamo arrivati a Sabbioneta da Parma. Qui, nel
grande palazzo Farnese il vuoto non risuona di echi musicali; e un vuoto normale, per nulla inquietante. Soltanto
nel colossale Teatro Estense si ritrova qualcosa della malinconia mantovana. Passammo per Colorno, dove l'ultimo degli Este costru un palazzo d'estate vasto quasi come Hampton Court. Attraversammo il Po su un ponte di
barche, poi Casalmaggiore e avanti, in un itinerario tortuoso di piccole strade secondarie nella pianura. Ci trovammo di fronte un tratto di mura con una bella porta.
La oltrepassammo e immediatamente udimmo intorno a
noi il fievole suono di fantomatici oboi; eravamo a Sabbioneta fra i fantasmi dei Gonzaga.
La piazza centrale rettangolare; il palazzo di Vespasiano sorge su uno dei lati brevi, presentando alla vista
una modesta facciata con cinque finestre, un tempo ricca
di decorazioni, oggi nuda. Attualmente ospita il municipio. Nella sala d'attesa del primo piano ci sono quattro
statue equestri a grandezza naturale, di legno scolpito e
dipinto, che raffigurano quattro antenati di Vespasiano.
Un tempo erano una squadra di dodici; ma le altre sono
state fatte a pezzi o bruciate. Questo crimine, insieme a
tutti gli altri danni operati dal tempo o dai vandali nel
corso di tre secoli, fu attribuito dal sindaco, che ci fece

personalmente gli onori di casa, ai socialisti che lo avevano preceduto nella carica. superfluo dire che lui era
un fascista.
Girammo nelle grandi sale vuote sotto i magnifici soffitti scolpiti e dorati. I1 custode sedeva fra gli affreschi in
rovina del Gabinetto di Diana. I1 consiglio municipale
teneva le sue sedute nel Salone Ducale. La Galleria degli
antenati ospitava gli archivi cittadini e un impiegato. I1
vicesindaco aveva il suo ufficio nella Sala degli Elefanti.
La Sala d'Oro era diventata una classe di asilo infantile.
Uscimmo nella piazza soleggiata letteralmente con il
cuore spezzato.
I1 Teatro Olimpico pochi passi pi in l nella via.
Accompagnati dal giovane custode gentile del Gabinetto
di Diana, vi entrammo. un teatro minuscolo ma perfetto e straordinariamente elegante. Dalla platea cinque
scalini semicircolari salgono a una loggia a colonne, dietro la quale sta il palco ducale che domina l'intera sala.
La loggia composta di dodici colonne corinzie, sormontate da una cornice. Su questa, al di sopra di ogni
colonna, c' una dozzina di di e dee di stucco. Nasi e
dita, capezzoli e orecchie hanno fatto la fine di tutte le
cose d'arte; ma sopravvivono le forme generali. Le loro
bianche sagome gesticolano con grazia nella semioscurit della sala.
I1 palcoscenico era un tempo ornato di uno scenario
fisso in prospettiva, come quello costruito dal Palladio a
Vicenza. I1 sindaco volle farci credere che l'avevano distrutto i suoi predecessori bolscevichi; ma certamente era
stato asportato circa un secolo prima. Distrutti erano
pure gli affreschi che in passato ricoprivano i muri. Durante un'epidemia il teatro fu usato come ospedale. Passata la peste, si pens che fosse necessaria una disinfe-

zione e gli affreschi furono imbiancati a calce. Non c' il


denaro per raschiare via la calce e riportarli in luce.
Seguimmo il giovane custode fuori del teatro. Altri
duecento o trecento metri e arrivammo sulla Piazza d'Armi. uno spazio erboso rettangolare. Lungo l'asse del
rettangolo, vicino al fondo, su un bel piedistallo che sostiene una colonna scanalata di marmo, sorge la statua di
Atena, la dea protettrice della citt di Vespasiano. I1 piedistallo, il capitello e la statua sono del tardo Rinascimento. La colonna appartiene all'antichit classica; faceva parte del bottino romano di Rodomonte. Evidentemente costui non era un ladruncolo da poco. Se una cosa
merita di essere fatta, la si deve fare fino in fondo; questo
era certamente il suo motto.
Uno dei lati lunghi del rettangolo occupato dal Museo di Antichit. uno splendido edificio, come architettura di gran lunga il pi bello della citt. Il pianterreno
formato da un portico a grandi archi; i muri della galleria
sovrastante sono ornati di archi ciechi; al centro di ogni
arco ci sono finestre ben proporzionate e, fra l'uno e l'altro, le tipiche colonne toscane. Una cornice dalla forte
sporgenza, sormontata da un tetto basso, completa il disegno della facciata, che per la sua sobria e imponente
eleganza a mio parere fra i pi notevoli nel suo genere.
Il lato opposto delia piazza aperto, una siepe lo separa dai giardini posteriori delle case vicine. Immagino che
qui sorgesse in origine il castello feudale. Esso fu abbattuto nel diciottesimo secolo (quanto si davano da fare
quei bolscevichi!) e i suoi mattoni vennero usati, a scopi
pi utili ma meno estetici, per rinforzare gli argini che
proteggono, non troppo efficacemente, la pianura circostante dalle acque del Po.
La sua distruzione ha lasciato isolata la residenza estiva

di Vespasiano, o Palazzo del Giardino (salvo nella parte


confinante con il museo), che ha un certo aspetto di abbandono in fondo alla lunga piazza. una costruzione
bassa e allungata di soli due piani, abbastanza insignificante all'esterno. evidente che Vespasiano la costru con
il massimo risparmio possibile. Per lui era solo una casetta
da weekend, un luogo di vacanza, dove sfuggire al fasto
cittadino e all'andirivieni del palazzo sulla piazza principale, spostandosi appena di mezzo chilometro. Come tutti
i sovrani di piccoli stati, Vespasiano deve aver incontrato
gravi difficolt per prendersi una vera vacanza. Non poteva allontanarsi di dieci chilometri in qualsiasi direzione
senza incontrare una frontiera. Nei suoi domini era impossibile cambiare aria. Saggiamente, dunque, decise di
concentrare i suoi lussi. Costru il suo Balmoral a cinque
minuti di strada dal suo Buckingham Palace.
Bussammo alla porta. Ci apr la guardiana, una vecchia che avrebbe potuto calcare qualsiasi scena nella parte della nutrice di Giulietta senza nessuna prova preliminare. L'avevamo appena conosciuta che gi ci confidava
di essersi sposata da poco per la terza volta, a settant'anni suonati. I suoi commenti sullo stato coniugale erano
cos in stile con la nutrice di Giulietta, cos decisamente
Comare di Bath, che ci fecero sentire molto vittoriani
al confronto di questa gagliarda vecchia comare del
Quattrocento.* Dopo averci detto tutto quello che si pu
dire (e molto che non si pu, almeno nelia buona societ)
sullo stato matrimoniale, pass a farci gli onori di casa.
Ci guid attraverso le stanze, aprendo le persiane di
ognuna a mano a mano che entravamo. E nella luce che

In italiano nel testo.

irrompeva dalle finestre senza vetri quali delizie gonzaghesche ci furono rivelate! C'era un Gabinetto di Venere
con i resti di nudi voluttuosi, una Sala dei Venti con cherubini che soffiavano e una cappa di camino di marmo
rosso; un Gabinetto dei Cesari con pavimento di marmo
e ornato di medaglioni di tutti i ribaldi deil'antichit; una
Sala dei Miti sul cui soffitto a forma di piramide tronca
vista dall'interno erano dipinte cinque incantevoli scene
alla Lemprire - un Icaro, un Apollo e Marsia, un Fetonte, un'Aracne, e al centro una scena per me alquanto
misteriosa: una bellezza nuda seduta in groppa non a un
toro (questo sarebbe stato abbastanza semplice) ma a un
cavallo sdraiato che gira amorosamente la testa a guardarla mentre lei gli accarezza il collo. Chi fosse la dama e
chi il dio travestito non so con esattezza. Vaghi ricordi di
una scappatella di Saturno mi fluttuano in mente. Ma
forse sto diffamando una divinit rispettabile.
Ad ogni modo, qualunque ne sia il soggetto, il dipinto
affascinante. L'artista principale di Vespasiano fu Bernardino Campi di Cremona. Non era un gran pittore,
certo; ma la sua mediocrit era aggraziata e gentile, mai
banale come quella di Giulio Romano. Sul Palazzo del
T incombe un'atmosfera di paura appena attenuata dal
tempo; ma il Giardino tutto dolcezza - manierata e
piuttosto fiacca - tuttavia autentica nel suo sfacelo.
La vecchia guardiana ci illustrava le pitture mentre giravamo - non in base alla conoscenza di ci che rappresentavano, ma alla sua immaginazione, che era ben pi
interessante. Nella Sala delle Grazie, le cui pareti recavano ancora le tracce di una serie di graziosi grotteschi*

* In italiano nel testo.

nello stile pompeiano, la sua fantasia super se stessa.


Queste, disse, sono raffigurazioni dei sogni del Duca.
Ogni volta che faceva un sogno mandava a chiamare il
suo pittore perch lo disegnasse sulle pareti della sua
stanza. Queste - e indic una coppia di Chimere - le ha
viste in un incubo; questi satiri danzanti lo hanno visitato
nel sonno dopo una serata allegra; questi quattro fiaschi
sono stati sognati dopo una solenne bevuta. Quanto alle
tre Grazie nude che danno il nome alla sala e a quei.. . sopra le Grazie, a questo punto ridivenne troppo Comare di
Bath per riferire le sue parole.
Le sue risate di vecchia chioccia continuarono a risuonare nelle stanze vuote; esse parvero condensare e cristallizzare tutta la malinconia in sospensione, per cos dire,
fra quei muri sbiaditi e scrostati. I1 senso di desolazione,
prima vagamente sentito, si fece pi acuto. E quando la
vecchia ci introdusse in un'altra stanza, buia e odorosa di
muffa come tutto il resto, e apri gli scuri annunciando
nella luce rivelatrice la Sala degli Specchi, avrei voluto
piangere. Infatti nella Sala degli Specchi non ci sono pi
specchi, ma soltanto le loro complicate cornici sui muri e
sul soffitto. Dove un tempo scintillavano i vetri di Murano ci sono ora superfici di gesso che guardano come occhi ciechi, vacui e, si direbbe, pieni di rimprovero. In
questa sala una volta ballavano, disse la vecchia.

PARTE TERZA

Opere d'arte

Bruegel

La maggior parte dei nostri errori sono fondamentalmente grammaticali. Ci creiamo noi stessi delle difficolt
usando un linguaggio inadeguato per descrivere la realt.
Cos, per fare un esempio, diamo lo stesso nome a cose
diverse e pi di un nome alla medesima cosa. Le conseguenze, quando dobbiamo discutere, sono disastrose. Infatti usiamo un linguaggio che non descrive adeguatamente le cose delle quali parliamo.
La parola pittore una di quelle la cui applicazione
indiscriminata ha condotto ai peggiori risultati. Cos vengono chiamati senza distinzione tutti coloro che per qualsiasi ragione e a qualsiasi scopo mettono il pennello sulla
tela e dipingono. Ingannati dall'unicit del nome, gli studiosi di estetica hanno voluto farci credere che c' una sola psicologia del pittore, una sola funzione del dipingere,
un solo standard di critica. La moda cambia e con essa le
idee dei critici d'arte. Ai nostri giorni di moda credere
nella forma trascurando il soggetto. I giovani vanno quasi in deliquio per l'emozione estetica davanti a un Matis-

se. Due generazioni prima si sarebbero asciugati gli occhi


di fronte all'ultimo Landseer. (Ah, quei cani pi che
umani, addirittura divini, come erano commoventi, quale lezione impartivano! Non c'era pi stata pittura religiosa come quella di Landseer dai tempi di Carlo Dolci.)
Queste considerazioni storiche dovrebbero metterci in
guardia contro la fede esclusiva in una qualsiasi teoria artistica. Un genere di pittura, una corrente di idee sono di
moda in un dato momento. Diventano la base di una teoria che condanna gli altri generi di pittura e le teorie critiche precedenti. I1 processo si ripete in continuazione.
Attualmente, vero, abbiamo raggiunto un eclettismo
e una tolleranza senza precedenti. Riusciamo, se siamo
aggiornati, ad apprezzare tutto, dalla scultura nera a
Luca della Robbia e da Magnasco ai mosaici bizantini.
Ma questo eclettismo raggiunto quasi completamente a
spese del contenuto delle opere d'arte considerate. Ci
che abbiamo imparato a vedere in tutte queste opere sono
le loro qualit formali, che isoliamo dai resto e definiamo
arbitrariamente essenziali. Il soggetto dell'opera, con tutto ci che il pittore ha voluto esprimere ai di l del suo
senso dei rapporti formali, rifiutato dalla critica contemporanea come un fattore di nessuna importanza. I1
giovane pittore evita scrupolosamente di introdurre nei
suoi quadri qualunque cosa abbia attinenza con una storia, o che sia l'espressione di una visione della vita, mentre il giovane Kunstforscher rifiuta, come inutile esibizionismo, ogni manifestazione di interesse, vietata a un contemporaneo, per il dramma o la filosofia. Certo, gli antichi maestri potevano permettersi di rappresentare delle
storie e di esprimere i loro pensieri sul mondo. Poveretti,
non sapevano fare di meglio! L'osservatore moderno si
mostra indulgente verso la loro ignoranza e sorvola su

tutto cib che esula dai rapporti formali. Gli ammiratori


di Giotto (oggi altrettanto numerosi quanto quelli di Guido Reni cent'anni fa) si sforzano di guardare i suoi affreschi prescindendo da quello che rappresentano o che il
pittore ha voluto esprimervi. Li depurano da ogni accenno di dramma o di significato; ammirano soltanto la
composizione. un processo analogo alla lettura di versi
latini senza capire la lingua, semplicemente per amore
della ritmica sonorit degli esametri.
Sarebbe assurdo, naturalmente, negare l'importanza
dei rapporti formali. Nessun dipinto sta insieme senza una
corretta composizione, nessun bravo pittore privo di uno
specifico amore per la forma in se stessa - come non c'
bravo scrittore che non abbia la passione delle parole e
delle loro combinazioni. owio che nessuno pu esprimersi adeguatamente se non ha interesse per i mezzi che si
propone di usare per esprimersi. Non tutti i pittori sono
interessati allo stesso tipo di forme. Alcuni, ad esempio,
amano i volumi e le superfici dei solidi. Altri hanno il gusto delle linee. Alcuni compongono a tre dimensioni. Ad
altri piace disegnare sagome piatte. Alcuni amano levigare
la superficie del dipinto, renderla per cos dire traslucida,
in modo che gli oggetti rappresentati nel quadro siano visti
ben distinti e separati, come attraverso una lastra di vetro.
Altri (ad esempio Rembrandt) amano le superfici a pennellate ricche e dense che fondono in un unico insieme tutti gli oggetti rappresentati, pur rispettando la profondit
delia composizione e la distanza degli oggetti dal primo
piano del dipinto. Tutte queste considerazioni puramente
estetiche sono, come ho detto, importanti. Tutti gli artisti
vi sono interessati; ma quasi per nessuno questo interesse
esclude tutti gli altri. Capita davvero molto di rado che un
pittore sia ispirato soltanto dal suo interesse per la forma e

per la materia della pittura. I buoni pittori di soggetti


astratti o anche di nature morte sono rari. Le mele e la
geometria solida non stimolano un uomo a esprimere i
suoi sentimenti circa la forma e a fare una composizione.
Tutti i pensieri e le emozioni sono interdipendenti. Per
usare le parole della cara vecchia canzone:

Le rose intorno allaporta


Mi fanno amare di pi la mamma.
Un sentimento suscita l'altro. Le nostre facolt funzionano meglio in un'atmosfera di emozioni congeniale. Per
esempio, la facolt di Mantegna di fare nobili composizioni di forme era stimolata dai suoi sentimenti su un'umanit eroica e quasi divina. Esprimendo quei sentimenti, che trovava esaltanti, esprimeva pure - nel modo pi
perfetto di cui era capace - i suoi sentimenti sui volumi,
le superfici, i solidi, i vuoti. Le rose intorno alla porta
- cio il suo culto per gli eroi - gli facevano amare di
pi la mamma - stimolando il suo dono della composizione lo faceva dipingere meglio. Se Isabella d'Este gli
avesse ordinato di dipingere mele, tovaglie e bottiglie, essendo poco interessato a questi oggetti avrebbe eseguito
una mediocre composizione. Eppure, da un punto di vista puramente formale, mele, bottiglie e tovaglie sono altrettanto interessanti quanto i volti e i corpi umani. Ma
Mantegna, come la maggioranza dei pittori, non aveva
un interesse appassionato per questi oggetti inanimati.
Quando siamo annoiati diventiamo noiosi.

Le mele intorno alla porta


Mi fanno diventare terribilmente noioso.

esclusivo per la forma da poter dipingere qualsiasi cosa


abbia una forma; o che possieda una certa dose di quel
bizzarro panteismo, di quella superstizione animistica
per cui Van Gogh considerava i pi umili e comuni degli
oggetti come divinamente o diabolicamente vivi. Crains
dans le mur aveugle un regard qui t'pie. Se un pittore
sente cos, sar in grado, come Van Gogh, di dipingere
campi di cavoli e povere stanze d'albergo che avranno la
stessa violenta drammaticit di un Ratto delle Sabine.
Oggi e di moda ammirare soprattutto il pittore che si limita al lato formale della sua arte e dipingere quadri del
tutto privi di letteratura. I1 detto del vecchio Renoir, Un
peintre, voyez-vous, qui a le sentiment du tton et des
fesses, est un homme sauv, induce i puristi a sospettarlo di spirito godereccio. Un pittore che ha il gusto delle
tette e delle natiche qualcuno che gode a ritrarre modelli
reali. I1 puro esteta avrebbe solo i1 gusto delle sfere, delle
linee curve e delle superfici. Ma questo gusto delle natiche comune a tutti i buoni pittori. il minimo comun
denominatore del mestiere. possibile, come Mantegna,
avere la passione di tutto ci che solido, e nello stesso
tempo essere un filosofo stoico e un ammiratore di eroi;
avere, come Michelangelo, una perfetta conoscenza di seni e interessarsi anche di anime o, come Rubens, avere il
sentimento della grandezza umana e nello stesso tempo
dei sederi umani. Il pi grande contiene il pi piccolo; i
grandi pittori drammatici e riflessivi hanno le stesse cognizioni di quelli estetici che dipingono forme geometriche, mele o natiche; ma anche molte di pi. Quello che
hanno da dire sui rapporti formali, sebbene importante,
solo una parte di quello che hanno da esprimere. L'insistenza attuale sulla forma, a esclusione di tutto il resto,

un assurdo. Come lo era un tempo l'insistenza sull'imitazione della natura e sul sentimento a esclusione della forma. Non ci devono essere esclusioni. Nonostante il nome
unico, ci sono molti tipi diversi di pittori e tutti, a parte
quelli che non sanno dipingere o che hanno una personalit banale o volgare o noiosa, hanno il diritto di esistere.
Tutte le classificazioni e le teorie sono fatte a posteriori; i fatti devono prima accadere per poi essere catalogati
e ridotti a metodo. Invertendo il processo storico, noi affrontiamo i fatti gi con una scorta di pregiudizi teorici.
Invece di valutare ogni singolo fatto in base ai suoi meriti, ci chiediamo come esso si adatti allo schema teorico. A
un dato momento un certo numero di fatti meritevoli non
concordano con la teoria di moda e devono quindi essere
ignorati. Cos l'arte di E1 Greco non si conform all'ideale pittorico in auge presso Filippo I1 e i suoi contemporanei. Nel diciassettesimo e diciottesimo secolo i primitivi
senesi erano giudicati dei barbari incompetenti. Sotto
l'influenza di Ruskin il tardo diciannovesimo secolo pens bene di condannare quasi tutta l'architettura che non
fosse gotica. E all'inizio del nostro secolo, sotto l'influenza dei francesi, si deplora o si ignora, in pittura, tutto quello che letterario o drammatico o che riflette un
pensiero.
In ogni epoca la teoria ha portato gli uomini ad apprezzare molte cose brutte e a rifiutarne molte belle. I1
critico d'arte dovrebbe avere un solo pregiudizio, quello
contro l'incompetenza, la disonest mentale, la superficialit. Infiniti sono i modi per fare buoni quadri, e tutti
dipendono soltanto dalla variet delle menti umane.
Ogni buon pittore inventa un nuovo metodo di dipingere.
Quest'uomo un pittore esperto? Ha qualcosa da dire,
genuino? Sono queste le domande che il critico si deve

porre. E non: Si adegua alla mia teoria dell'imitazione, o


della deformazione, o della purezza morale, o dell'importanza della forma?
C' un pittore contro il quale, mi pare, il pregiudizio
teorico ha sempre agito molto ingiustamente. Questo
Bruegel il Vecchio. Guardando i suoi dipinti pi belli mi
accorgo che posso rispondere in modo affermativo a tutte le domande che un critico pu legittimamente porsi.
estremamente abile dal punto di vista estetico; ha moltissimo da dire; ha una mente originale, interessante, piena
di vigore; e non ha false pretese, assolutamente onesto.
Eppure non ha mai goduto l'alta fama che le sue doti gli
meritavano. Credo sia dovuto al fatto che la sua opera
non si mai pienamente accordata con nessuna delle varie teorie critiche che dai suoi tempi si sono succedute nel
campo estetico.
Colorista sottile, disegnatore robusto e sicuro, con una
sapienza di composizione che gli permette di ordinare gli
innumerevoli personaggi che riempiono i suoi quadri in
gruppi piacevolmente decorativi (costruiti, come si vede
se analizziamo i suoi metodi di composizione formale,
con singole figure piatte, quasi semplici sagome, collocate in una successione di piani digradanti), Bruegel pu
vantare meriti puramente estetici che dovrebbero farlo
apprezzare anche dai pi rigidi cultori della forma. Avvolta in questa salsa estetica, si suppone che la pillola
amara della sua letteratura dovrebbe essere inghiottita
facilmente. Se a Giotto sono perdonate le sue intrusioni
nella storia sacra, perch non si dovrebbe accettare che
Bruegel sia un antropologo e un filosofo sociale? Al che
arrischio questa risposta: perdoniamo Giotto perch abbiamo cos totalmente smesso di credere nella religione
cattolica che possiamo facilmente ignorare il soggetto dei

suoi dipinti e concentrarci soltanto sulle loro qualit formali; Bruegel invece imperdonabile perch i suoi commenti sull'umanit hanno ancora per noi un interesse.
Dai suoi soggetti non possiamo estraniarci; ci toccano
troppo da vicino per poterli ignorare. Ecco perch Bruegel disprezzato da tutti i Kunstforscher aggiornati.
E anche in passato, quando non c'erano obiezioni teoriche alla mescolanza di pittura e letteratura, Bruegel non
ottenne, per altre ragioni, il riconoscimento dovuto. Era
considerato volgare, rozzo, buffonesco, e come tale indegno di seria considerazione. Cos l'Enciclopedia Britannica, sulla quale in queste faccende si pu fare affidamento per conoscere l'opinione corrente di un paio di generazioni fa, nelle undici righe che con parsimonia dedica
a Peter Bruegel ci informa che i soggetti dei suoi dipinti
sono principalmente figure umoristiche, come quelle di
D. Teniers; e se a lui manca il tocco delicato e l'argentea
luminosit di quel maestro, ampiamente dotato di spirito e di capacit comiche)).
Chiunque abbia scritto queste parole - e si suppone
che siano state scritte, cinquant'anni fa, da qualcuno desideroso di andare sul sicuro e di dire la cosa giusta -
probabile che non si sia mai dato la pena di guardare nessuno dei quadri dipinti da Bruegel nella sua piena maturit di artista.
In giovent, vero, fece una certa quantit di lavoro
scadente per un mercante specializzato in caricature e
diavoli nello stile di Hieronymus Bosch. Ma i suoi quadri
successivi, dipinti quando si era veramente impadronito
dei segreti della sua arte, non sono affatto comici. Sono
studi di vita contadina, allegorie, pitture religiose di una
concezione insolitamente meditativa, paesaggi squisitamente poetici. Bruegel mor ai sommo delle sue capacit. \

Ma sufficiente quanto esiste della sua opera matura ad Anversa, a Bruxelles, a Napoli e soprattutto a Vienna
- per dimostrare la stoltezza del verdetto classico e rivelarlo per quello che fu: il maggior paesaggista del suo secolo, il pi acuto studioso di costumi, il pittore che con
straordinaria abilit ha rappresentato o suggerito una visione della vita. a Vienna che l'arte di Bruegel pu essere meglio studiata in tutti i suoi aspetti. L ci sono praticamente tutti i suoi migliori dipinti di vari generi. Quelli
sparsi tra Anversa, Bruxelles, Parigi, Napoli e altrove
non danno che una pallida idea delle sue capacit. Nei
musei di Vienna sono raccolti pi di una dozzina di suoi
quadri, tutti appartenenti al suo ultimo e migliore periodo. La Torre di Babele, la Salita al Calvario, il Censimento a Betlemme, i due paesaggi dell'lnverno, quello
dell'Autunno, la Conversione di san Paolo, la Battaglia
fra i Filistei e gli Israeliti, il Pranzo di nozze e la Danza di
contadini - tutte queste opere mirabili sono presenti
qui. su queste che si deve giudicarlo.
I paesaggi a Vienna sono quattro: i Cacciatori nella neve (Gennaio), la Giornata oscura (Febbraio), il Ritorno
della mandria (Novembre), e il Censimento a Betlemme,
che nonostante il titolo poco pi di un paesaggio con figure. Quest'ultimo, come il paesaggio di Gennaio e la
Strage degli innocenti a Bruxelles, uno studio di neve.
Le scene di neve si prestavano in modo particolare allo
stile pittorico di Bruegel. Infatti, visti su uno sfondo innevato, tutti gli oggetti scuri o colorati hanno un risalto
speciale, come sagome dai contorni netti. In tutte le sue
composizioni Bruegel fa quello che la neve fa nella natura. Nei suoi quadri (che ricordano molto la maniera dei
giapponesi) tutti gli oggetti sono sagome estremamente
sottili disposte, un piano dopo l'altro, come gli arredi

teatrali nella profondit del palcoscenico. Di conseguenza quando dipinge le scene di neve, dove la natura che
per prima imita il suo metodo abituale, egli raggiunge un
grado quasi inquietante di realismo essenziale. Quei cacciatori che scendono dalla collina verso la valle coperta di
neve con i suoi stagni gelati sono tanti Jack Frost con la
sua banda. La folla che gira per le bianche strade di Betlemme si inserisce in un inverno assoluto, e quei feroci
soldati a cavallo che si danno al saccheggio e alla caccia
agli innocenti in un paesaggio da cartolina di Natale fanno parte dell'esercito stesso dell'inverno, e gli innocenti
che uccidono sono i giovani germogli della terra.
Lo stile di Bruegel meno strettamente compatibile
con i paesaggi senza neve di Febbraio e Novembre. I diversi piani sono separati in modo un po' troppo netto e
piatto. Occorre un tipo di pittura pi morbida e pastosa
per cogliere l'intima qualit di scene come quelle raffigurate in questi due dipinti. Uno specialista dell'autunno,
ad esempio, avrebbe fuso gli animali, gli uomini, gli alberi e le montagne in un insieme pi indistinto, unendo il
tutto, il vicino e il lontano, nella ricca materia della sua
pittura. Bruegel aveva un modo di dipingere troppo piatto e trasparente per essere l'interprete perfetto di simili
paesaggi. Eppure, anche dove il suo stile non era totalmente adeguato, ha fatto meraviglie. Questo Autunno
di una squisita bellezza. Qui, come nel pi cupamente
drammatico paesaggio di Febbraio, fa un uso sapiente di
ori, gialli e bruni, in una sobria luminosa armonia di colori. Il paesaggio di Novembre del tutto calmo e sereno;
invece nella Giornata oscura il pittore ha rappresentato
uno dei drammi naturali del cielo e della terra - un conflitto fra la luce e l'oscurit. La luce irrompe di sotto le
nuvole all'orizzonte, scintilla dal fiume che scorre nella

valle a media distanza, risplende sulle cime delle montagne. Il primo piano, che rappresenta la cresta di una collina boscosa, scuro; e gli alberi spogli sui pendii sono
neri contro il cielo. Questi due dipinti sono i pi bei paesaggi del sedicesimo secolo che conosco. Sono intensamente poetici ma misurati, senza concessioni al pittoresco e al romantico. Gli aspri dirupi e i vertiginosi precipizi cos cari agli antichi pittori non appaiono in questi
esempi dell'opera matura di Bruegel.
L'antropologia di Bruegel altrettanto attraente quanto la sua poesia della natura. Conosceva i suoi fiamminghi, li conosceva intimamente, nei loro momenti di prosperit come negli anni infelici di lotte, rivolte, persecuzioni, guerre e conseguente povert che seguirono all'avvento della Riforma nelle Fiandre.
Fiammingo lui stesso, in un modo cos profondo e incrollabile che riusc ad andare in Italia e, come il suo
grande connazionale Roger van der Weyden un secolo
prima, a ritornarne senza la pi lieve traccia di italianismo - era perfettamente qualificato a essere lo storico
dei costumi delle genti fiamminghe. Le mostra per lo pi
in quei momenti di orgiastica allegria con la quale mitigano la monotona fatica del vivere quotidiano: enormi abbuffate e bevute, goffe danze, abbandono a certe amenit scatologiche tipicamente fiamminghe. I1 Pranzo di
nozze e la Danza di contadini, entrambi a Vienna, sono
superbi esempi di questo tipo di pittura antropologica.
N dobbiamo dimenticare quei due quadri curiosi che sono il Combattimentofra Carnevale e Quaresima e i Giochi di bimbi. Anche questi ci mostrano certi aspetti allegri di vita fiamminga. Ma la visione non si limita a una
scena individuale, colta per caso al suo culmine e riprodotta. Questi due dipinti sono sistematici ed enciclopedi-

ci. Nell'uno sono illustrati i giochi dei bambini, nell'altro


i divertimenti del Carnevale, con tutte le forze schierate
dalla parte dell'ascetismo. Allo stesso modo, nella straordinaria Torre di Babele, sono rappresentati tutti i processi della costruzione. Questi dipinti sono veri e propri manuali dei rispettivi soggetti.
La tendenza di Bruegel a generalizzare e sistemizzare
illustrata inoltre nei suoi pezzi allegorici. I1 Trionfo della
Morte, al Prado, impressionante nella sua concezione e
nella sua ricchezza compositiva. I1 fantastico Dulle
Griet ad Anversa un trionfo del male quasi altrettanto
elaborato. Le illustrazioni di proverbi e parabole appartengono alla stessa categoria. Esse dimostrano che Bruegel fu un uomo profondamente convinto della realt del
male e degli orrori che questa vita mortale, per non parlare dell'eternit, riserva all'umanit sofferente. I1 mondo
un luogo orribile; ma ci nonostante, o proprio per
questo, gli uomini e le donne mangiano, bevono e ballano, il Carnevale combatte contro la Quaresima e trionfa,
sia pure momentaneamente; i bambini giocano nelle strade, la gente si sposa fra grossolani festeggiamenti.
Ma fra tutti i quadri di Bruegel quello che pi invita alla riflessione non specificamente allegorico o sistematico. Cristo che porta la Croce uno dei suoi dipinti pi
grandi, affollato di piccole figure ritmicamente raggruppate contro un ampio e romantico sfondo. La composizione semplice, gradevole in se stessa, e sembra scaturire dal soggetto anzich imporsi ad esso. Questo per il lato
puramente estetico.
Della crocifissione e della salita al Calvario esistono
centinaia di versioni dei pi grandi e pi vari maestri. Ma
di tutti quelli che ho visto questo Calvario di Bruegel il
pi suggestivo e il pi impressionante per drammaticit.

Tutti gli altri maestri hanno dipinto queste tragiche scene


dall'interno, per cos dire, verso l'esterno. Per loro Cristo il centro, l'eroe divino della tragedia; questo il fatto dal quale essi partono, che influenza e trasforma tutti
gli altri fatti, giustificando, in certo senso, l'orrore del
dramma e disponendo tutto ci che circonda la figura
centrale in una gerarchia ordinata di bene e di male.
Bruegel invece parte dall'esterno per giungere al centro.
Rappresenta la scena come sarebbe apparsa a uno spettatore casuale sulla strada per il Golgota un certo mattino
di primavera dell'anno 33 d.C. Altri artisti si sono sentiti
angeli e hanno dipinto la scena tenendo presente il suo significato. Bruegel resta invece decisamente uno spettatore umano. Ci mostra una folla di persone che camminano
di buon passo sul pendio di una collina, allegre come fossero in vacanza. Sulla cima, visibile a media distanza sulla destra, ci sono due croci alle quali sono attaccati due
ladroni, e fra esse un buco nel terreno in cui verr presto
piantata un'altra croce. Intorno alle croci, sulla cima
brulla della collina, c' un gruppo di persone venute qui
con i loro cestini del picnic ad assistere allo spettacolo
gratuito offerto dai ministri della giustizia. I pi previdenti hanno gi preso posto intorno alle croci; sono quelli che ai nostri giorni vedremmo con seggiolini pieghevoli
e thermos, sei ore prima dello spettacolo, in testa alla fila
per una serata della Melba al Covent Garden. I meno
previdenti o i pi awenturosi sono nella folla che sale
sulla collina insieme al terzo e pi importante dei malfattori, la cui croce occuper il posto d'onore fra le altre
due. Nella loro ansia di non perdere nulla del divertimento durante la salita, essi dimenticano che dovranno accontentarsi di posti arretrati sul luogo dell'esecuzione.
Potrebbe darsi, pero, che abbiano prenotato i loro posti

lass. A Tyburn si poteva ottenere un ottimo posto in un


palco privato per mezza corona; con il biglietto in tasca,
si poteva seguire il carro lungo tutto il percorso dalla prigione, arrivare contemporaneamente al condannato e
avere una vista perfetta sullo spettacolo. Ai nostri giorni,
in cui un dubbio spirito umanitario ha finora ottenuto
che le impiccagioni avvengano in privato, e le grida della
signora Thompson non possono neppure essere registrate
alla radio, dobbiamo accontentarci di leggere le notizie
sulle esecuzioni, anzich assistervi. Gli impresari che vendevano posti a Tyburn sono stati sostituiti da famosi proprietari di giornali che vendono ghiotte descrizioni di Tyburn a un pubblico infinitamente pi vasto. Se la gente
venisse ancora impiccata a Marble Arch, Lord Riddell
sarebbe molto meno ricco.
Quel febbrile, fremente, lascivo interesse per il sangue
e la bestialit che in questi tempi pi civili possiamo soddisfare soltanto a un passo dalla realt nelle pagine dei
nostri giornali, al tempo di Bruegel veniva accontentato
pi apertamente; il bruto ingenuo che cova nell'uomo era
meno sofisticato, gli si dava maggiore spazio, poteva abbaiare e agitare festosamente la coda intorno alla vittima
designata. Vista cos, con indifferenza, dall'esterno, la
tragedia non purifica e non eleva; sgomenta e sconvolge,
oppure pu perfino ispirare una sorta di macabra ilarit.
La stessa situazione pu essere tragica o comica, a seconda che sia vista attraverso gli occhi di chi patisce o di chi
guarda. (Spostando appena il punto di vista, Macbeth
pu essere letto come una farsa clamorosa.) Bruegel fa
una concessione alla tradizione altamente tragica collocando nel primo piano del suo dipinto il piccolo gruppo
delle pie donne che piangono e si torcono le mani. Esse
stanno in disparte dalle altre figure del quadro e sono

fondamentalmente in contrasto con quelle, essendo dipinte nello stile di Roger van der Weyden. Una piccola
oasi di spiritualit appassionata, di consapevolezza e partecipazione, in mezzo alla dilagante insensibilit e bestialit. Perch Bruegel le abbia messe nella scena difficile
precisare; forse a beneficio dei religiosi convenzionali,
forse per rispetto della tradizione; oppure la sua visione
gli pareva troppo sconfortante e ha voluto aggiungere
questo nobile particolare per rassicurare se stesso.

Rimini e Alberti

Quella mattina Rimini fu onorata dalla presenza di tre


illustri visitatori - noi due e il Braccio Taumaturgico di
San Francesco Saverio. Separato dalle altre spoglie del
santo, la cui dimora un'urna tempestata di gemme nella
chiesa del Ges a Goa, il Braccio stava girando come noi
per l'Italia. Ma, mentre noi poveri turisti comuni spendevamo via via il nostro denaro, il Braccio Taumaturgico
invece ne raccoglieva, e questo era forse il suo risultato
pi miracoloso. Era sufficiente che questo pezzo di scheletro, con un dito ossuto sul quale brillava un enorme
anello con ametista, si mostrasse attraverso il cristallo dei
reliquiario nel quale viaggiava per procurargli la venerazione degli spettatori e una pioggia di monete di rame
parcamente mescolate ad altre di nichel e a qualche biglietto di piccolo taglio. Le monete andavano alle missioni estere; che cosa succedesse della venerazione, difficile indovinare; probabile che venisse segnata, insieme all'offerta della loro monetina, a credito di coloro che ne
erano pervasi, nel registro degli angeli.

Provavo un po' di pena per il braccio di San Francesco Saverio. I1 corpo del santo, dopo la traslazione dalla
Cina alla Malacca e dalla Malacca all'India, ora riposa,
come ho detto, nell'urna sfarzosa di Goa. Dopo una vita
cos straordinariamente intensa, il grande missionario
meriterebbe di riposare in pace. E cos fa, almeno la
maggior parte di lui. Ma il braccio destro ha dovuto rinunciare alla sua quiete secolare; i suoi viaggi missionari
non sono ancora finiti. Nella sua cassetta di cristallo e
oro si sposta instancabilmente attraverso il mondo cattolico raccogliendo oboli - per rovinare l'innocenza degli indiani)), come con espressione concisa e piuttosto
caustica ha detto Matthew Green duecento anni fa. Povero braccio!
Quella mattina lo trovammo nella chiesa di San Francesco a Rimini. Una folla di fedeli riempiva l'edificio e
traboccava nella strada. Pareva che la gente aspettasse
nella vaga speranza di qualche evento taumaturgico. All'interno della chiesa una lunga fila di uomini e donne
strascicava i piedi fino al coro per baciare il reliquiario
ingioiellato e deporre le monete. Fuori, fra la folla alla
porta della chiesa, giravano i venditori ambulanti con
cartoline a colori del Braccio Taumaturgico e brevi ma
favolose biografie del suo possessore. Ci mettemmo a
parlare con uno di loro, il quale ci raccont che seguiva
il Braccio di citt in citt, vendendo le sue mercanzie
ovunque esso si fermava per mostrarsi. Era un'attivit
abbastanza redditizia, che gli permetteva di mantenere
moglie e figli a Milano in una certa agiatezza. Ci mostr
le loro fotografie: mamma e bambini avevano l'aria ben
nutrita. Ma, poveraccio, questo lavoro lo teneva quasi
ininterrottamente lontano da casa. A che serve sposarsi? disse rimettendosi in tasca le fotografie. Sospir

scuotendo la testa. Se almeno fosse stato possibile indurre il Braccio a starsene fermo per un po'!
All'ora di colazione il Braccio fu portato in giro per
Rimini. Drappi rossi e gialli erano appesi in suo onore a
tutte le finestre; i fedeli aspettavano con impazienza. E
finalmente arriv, in una grande Fiat molto sporca e rumorosa, accompagnato non dai dignitari ecclesiastici della citt come ci si sarebbe aspettato, ma da sette o otto
giovanotti molto laici in camicia nera, con i capelli crespi, le tasche dei pantaloni gonfie di pistole automatiche
- certamente una rappresentanza del fascio locale.
I1 Braccio stava sul sedile anteriore, vicino all'autista; i
fascisti erano adagiati dietro. Al passaggio dell'automobile i fedeli si comportavano in modo curioso: mescolando gesti di riverenza e di applauso, cadevano in ginocchio
e battevano le mani. I1 Braccio era trattato come se fosse
un misto di Jackie Coogan e dell'ostia sacra. Dopo pranzo fu trasportato rapidamente a Bologna. I venditori di
immagini sacre lo seguirono con la velocit consentita
dalle ferrovie italiane, la folla si disperse e la chiesa di
San Francesco ritorn al suo consueto silenzio.
Di questo ci rallegrammo, poich non era per vedere
un frammento di San Francesco Saverio che eravamo venuti a Rimini, ma per visitare la chiesa di San Francesco
d'Assisi. Finch vi aveva sostato il Braccio, la visita era
stata impossibile; la sua partenza ci diede modo di guardarci intorno a nostro agio. Tuttavia ero molto contento
di aver visto l dentro la reliquia peripatetica e i suoi adoratori. In questa strana chiesa che Malatesta trov come
tempio cristiano, ricostru con forme pagane e ridedic a
se stesso, alla sua amante e al classicismo, la scena di cui
eravamo stati testimoni era carica di sorprendenti contraddizioni che provocavano, per uno scherzo delle circo-

stanze, una serie di divertite riflessioni. Provai a immaginare che cosa avrebbe pensato di Sigismondo Malatesta il
primo San Francesco, che cosa avrebbe pensato di lui Sigismondo e come avrebbe giudicato la profanazione del
suo tempio nietzschiano compiuta dalla visita postuma di
un frammento del secondo San Francesco. Ci si pu immaginare uno spassoso dialogo alla Gobineau e alla Luciano fra quei quattro personaggi nei Campi Elisi, un volo lieve e ardito al di sopra delle profondit dello spirito.
E per chi ha orecchi per intendere c' un'eloquenza anche
nella muta disputa delle pietre. Gli archi gotici dell'interno protestano contro la struttura classica nella quale
l'Alberti ha racchiuso la chiesa di San Francesco; contro
le decorazioni pagane di Matteo de' Pasti; contro l'autoesaltazione blasfema di Malatesta; e mentre lodano il
costante disinteresse del missionario, protestano contro
l'eccessiva ricchezza del reliquiario gesuitico. Seria, sobria, razionale, la facciata classica dell'Alberti sembra
deplorare la navet del primo San Francesco e gli entusiasmi intolleranti del secondo e, pur stimando l'intelligenza di Malatesta, sembra rimproverargli la sua lussuria
e i suoi eccessi. Malatesta, intanto, se la ride cinicamente
di tutti loro. I1 potere, il piacere e Isotta - sono queste,
dichiara attraverso lo schema delle decorazioni che fece
eseguire da Matteo de' Pasti, le sole cose che contano.
L'esterna della chiesa interamente di Alberti. N a
San Francesco n a Malatesta e concesso disturbare la sua
solenne e armoniosa bellezza. La facciata un arco trionfale, una versione pi nobile di quell'arco di Augusto che
scavalca la strada all'altro capo di Rimini. Nell'enorme
spessore del muro a sud Alberti ha inserito una serie di
profonde nicchie ad arco. Ombre rientranti si alternano
armoniosamente nella lunga prospettiva a lisce zone di

pietra illuminata dal sole; e in ogni nicchia, semplice e severo come il carattere di un romano antico nelle pagine di
Plutarco, sta il sarcofago di uno studioso o di un filosofo. Qui non c' nulla dell'ingenuit primordiale di San
Francesco. Alberti un adulto pienamente consapevole;
il suo culto la ragione e ad esso si dedica razionalmente.
L'intero edificio un inno alla bellezza intellettuale,
un'esaltazione della ragione come unica fonte di grandezza umana. La sua forma romana; infatti Roma fu l'Utopia retrospettiva nella quale uomini come Alberti, dal
tempo del Rinascimento fino a un'epoca molto pi tarda,
videro la realizzazione dei loro ideali. I1 mito romano
duro a morire, quello greco ancora di pi; ci sono certe
vittime dell'educazione classica che considerano ancora
la Repubblica come la sede di tutte le virt e l'Atene di
Pericle come l'unico ricettacolo dell'intelligenza umana.
Malatesta avrebbe ottenuto una pi splendida apoteosi
personale se fosse vissuto in un secolo pi tardo. Alberti
era un artista troppo stoico e austero per accondiscendere
a una grandiosit puramente teatrale. Del resto il grandioso in arte non fu veramente apprezzato fino al diciassettesimo secolo, l'et del barocco, della pompa regale ed
ecclesiastica. Lo zelante missionario, il cui braccio avevamo visto quella mattina nel tempio malatestiano, riposa a
Goa in un ambiente che si adatterebbe meglio al mausoleo innalzato da un tiranno alla propria gloria. I1 monumento costruito da Alberti invece un tributo alla grandezza intellettuale. Come commemorazione di un briccone particolarmente scaltro e sanguinario assurdo.
All'interno della chiesa, vero, Malatesta ha voluto
che le cose fossero fatte a modo suo. Alberti non era presente a interferire nel suo progetto di decorazione, cos
Sigismondo fu libero di dettare a Matteo de' Pasti e ai

suoi aiuti tutti i temi delle loro sculture. Di conseguenza


questo interno un unico grande tributo personale a Malatesta e Isotta, con qualche saltuaria buona parola a favore delle divinit pagane, della letteratura, dell'arte e
della scienza. La gestualit troppo espressiva e teatrale
degli architetti e degli artisti barocchi non era ancora stata inventata; la volgare tirannia di Sigismondo quindi
celebrata con gusto ineccepibile e con fantasia colta e delicata. A Sigismondo tocco in sorte ben pi di quanto meritasse. Meritava un Borromini, un cavaliere d'Arpino,
uno scadente imitatore di Bernini. Invece gli toccarono,
per una questione di tempi, Matteo de' Pasti, Piero della
Francesca e Leon Battista Alberti.
La partecipazione di Alberti a questo monumento,
dunque, una sorta di inno alla bellezza razionale, un
peana in lode della civilt, espressi nel linguaggio di Roma, ma usato liberamente e senza pedanteria, cos come i
filosofi e i poeti dell'epoca usavano l'idioma latino. Secondo me lui fu forse il romano pi nobile di tutti. L'esterno di San Francesco a Rimini, l'interno di Sant'Andrea a Mantova (purtroppo imbrattato da decorazioni
successive e con l'assurda cupola a tamburo di Juvara al
centro invece della cupola ribassata disegnata dallo stesso
Alberti) sono i pi begli esempi di architettura rinascimentale. Ci che li rende ancora pi notevoli che furono senza precedenti in quell'epoca. Alberti fu uno dei
reinventori di quello stile. Quella maniera tipicamente romana (che divenne il linguaggio corrente del tardo Rinascimento) fu una sua riscoperta esclusiva. L'altra maniera del primo Rinascimento, basata, come quella di Alberti, sui classici - la maniera di Brunelleschi - era destinata a estinguersi, almeno per quanto riguarda l'archittettura delle chiese. Sant'Andrea di Mantova fu il model-

lo al quale si ispirarono le chiese tipiche del tardo Rinascimento, ben pi che alle chiese fiorentine di San Lorenzo e di Santo Spirito del Brunelleschi.
Un confronto fra questi due architetti quasi contemporanei - Brunelleschi nacque circa venticinque anni prima di Alberti - estremamente interessante e istruttivo.
Entrambi furono studiosi entusiasti dell'antico, entrambi
si ispirarono a Roma, entrambi usarono nelle loro costruzioni gli elementi caratteristici dell'architettura classica. Eppure difficile trovare due architetti la cui opera
sia cos nettamente diversa. Paragonate gli interni delle
due chiese fiorentine di Brunelleschi con quello di Sant'Andrea di Alberti. Gli interni di Brunelleschi sono divisi in tre navate, quella centrale e le due laterali, da due file di colonne alte e sottili che sostengono gli archi a tutto
sesto. I particolari sono cos rigorosamente classici che
potrebbero essere stati eseguiti da artefici romani. Ma il
disegno generale non romano, bens romanico. Queste
chiese sono semplicemente versioni pi esili delle basiliche dell'undicesimo secolo, con particolari pi puri.
Tutto e levit e grazia; c' perfino una certa impressione
di instabilit in questi interni di chiese, tanto esili sono le
colonne, tanti gli spazi liberi.
Quale contrasto con la grande chiesa di Alberti! Essa
costruita in forma di croce latina, con un'unica navata e
cappelle laterali. La volta della navata e a botte; sopra il
transetto c' la cupola (purtroppo di Juvara, non di Alberti); l'altare situato nell'abside. Le cappelle si aprono
sulla navata centrale con archi a tutto sesto, molto alti e
larghi in proporzione. Fra ogni cappella c' un enorme
pilastro in muratura, largo come gli archi che esso separa. In ogni altro pilastro si apre una porticina che d accesso a una cappella supplementare ricavata nel suo volu-

me. Ma queste porte non si notano neppure, e l'impressione generale di vuoti e solidi equamente alternati.
Quella di Alberti essenzialmente un'architettura di volumi, quella di Brunelleschi di linee. Perfino all'immensa
cupola di Santa Maria del Fiore, Bruneileschi riesce a
conferire una straordinaria leggerezza, come di linee alternate a vuoti. L'enorme massa come sospesa nell'aria, trattenuta dalle sue otto nervature di marmo. Un miracolo si realizza senza sforzo sotto i nostri occhi. Ma
una cupola, per quanto leggera la si faccia, soprattutto
una questione di volumi. Disegnando la sua per Santa
Maria del Fiore, Brunelleschi dovette sottostare alla visione plastica delle cose. Forse il motivo per cui questa
cupola di gran lunga la cosa pi bella che abbia fatto. I1
tipo di problema architettonico da risolvere non gli permise di dare libero sfogo alla sua passione per la levit e
le belle linee. Qui aveva a che fare con dei volumi; di qui
non si sfuggiva. I1 risultato fu che, trattando il volume
della cupola per quanto possibile a base di linee sottili,
robuste, scattanti, riusc a conferire a quest'opera un'eleganza e una forza ideali quali non furono mai eguagliate
in nessuna altra cupola. Le altre opere sue, pur piene di
grazia e di fascino, sono a mio avviso molto meno soddisfacenti, proprio perch tutto si riduce a una questione di
linee. Brunelleschi studi l'architettura dei Romani; ma
ne prese soltanto i particolari. Ci che in essa era essenziale - la sua massiccia imponenza - lo lasci indifferente. Prefer, in tutti i suoi progetti di chiese, seguitare a
Perfezionare l'opera degli architetti romanici, arrivando
alla fine a una fragile eleganza tutta vuoti e linee.
Per contro Alberti prese dai Romani la loro fondamentale concezione di un'architettura di masse e la svilupp,
Perfezionandola, per usi pi attuali e cristiani. Secondo

me fu lui, fra i due, l'architetto pi bravo e pi autentico.


Personalmente io amo l'imponenza e la solidit. Altri, lo
so, preferiscono la linearit e la leggerezza e metterebbero al primo posto l'interno di San Lorenzo rispetto a
quello di Sant'Andrea, la cappella dei Pazzi rispetto a
San Francesco di Rimini. Non ci metteremo mai d'accordo. Tutti quelli che praticano le arti visive e presumibilmente tutti quelli che le apprezzano devono avere un certo sentimento della forma come tale. Ma non tutti sono
interessati allo stesso tipo di forme. I cultori della linea
pura e quelli del volume stanno ai limiti opposti della scala estetica. La passione estetica di un artista o di un
amante dell'arte la solidit; un altro sensibile soltanto
agli arabeschi di linee o alle superfici piatte. Queste passioni formali possono avere conseguenze dannose. 1 pittori possono essere trascinati dal loro amore eccessivo
per la solidit tridimensionale in un campo che esula dalla pittura; Michelangelo ne un esempio probante. Gli
scultori che tendono troppo all'effetto lineare non sono
pi scultori, e la loro opera non altro che piatta decorazione nella pietra o nel metallo, che va contemplata da un
solo punto di vista e manca di profondit; la famosa Diana attribuita a Goujon (ma probabilmente di Benvenuto
Cellini) una di queste statue concepita secondo il criterio della piattezza. Cos come i pittori non devono amare
troppo i solidi o gli scultori essere troppo inclini alle superfici piatte, mi pare che nessun architetto dovrebbe essere troppo interessato alle linee. L'architettura nelle mani di un appassionato delia linea destinata all'eleganza
troppo esile e fragile dell'opera di Brunelleschi.
Gli psicanalisti, che fanno risalire l'interesse per l'arte
a un amore infantile per gli escrementi, ci offrirebbero
certo una semplice spiegazione fecale per la variet delle

nostre passioni estetiche. L'uno ama i volumi, l'altro le


linee: la spiegazione in termini di coprofilia cos lampante che mi si pu dispensare dal darla qui. Mi accontenter di citare dalle opere del dottor Ernest Jones la ragione per cui il culto della forma risulterebbe in molti casi
legato al culto di un ideale morale; in una parola, perch
l'arte cos spesso religiosa. La religione, dice il dottor Jones, ha sempre usato l'arte sotto l'una o l'altra
forma per la ragione che i desideri incestuosi costruiscono invariabilmente le loro fantasie con materiale fornito
dalla memoria inconscia di interessi coprofili infantili;
questo il significato nascosto della frase: 'L'Arte
l'ancella della Religione'. Parole illuminanti! Peccato
che non siano state scritte trent'anni fa. Mi sarebbe piaciuto leggere i commenti di Tolstoj in Che cos'?l'arte sull'ultima e pi interessante delle teorie estetiche.

Consolo

Sapere quello che tutti sanno - per esempio che Virgilio scrisse l'Eneide, o che la somma degli angoli di un
triangolo uguale a due angoli retti - piuttosto banale
e noioso. Se volete acquistare una fama di erudizione a
buon mercato meglio ignorare le piatte e insignificanti
cognizioni che tutti possiedono e concentrarsi su qualcosa di originaie e insolito. Invece di citare Virgilio citate
Sidonio Apollinare ed esprimete a gran voce il vostro disprezzo per coloro che preferiscono il poeta di corte di
Augusto al panegirista di Avito, Maggioriano e Antemio.
Quando il discorso cade su Jane Eyre o su Cime tempestose (che naturalmente non avete letto) dite che preferite
di gran lunga Ilfattore di Wildfell Hall. Quando quaicuno fa le lodi di Donne, prendete un'aria superiore e dite a
costui che dovrebbe leggere Gongora. Quando viene
menzionato Raffaello, fate il gesto di vomitare (anche se
non siete mai stati in Vaticano); i Raphael Mengs che ci
sono a Pietroburgo, direte, sono gli unici dipinti accettabili. In questo modo vi farete la reputazione di persona di

profonda cultura e gusti squisiti. Mentre invece, se date


prova di conoscere Dickens, di aver letto la Bibbia, i classici inglesi, Euclide e Orazio, nessuno avr un grande
concetto di voi. Sarete uno come tutti gli altri.
L'estrema insufficienza della mia istruzione mi ha
spesso condotto, nel corso della mia carriera giornalistica, a ricorrere a questa tattica. Ho scritto con disinvoltura di cose remote e insolite per nascondere la mia ignoranza di quelle vicine e tradizionali. Il mestiere di giornalista letterario non tale da incoraggiare l'onest. Tutto
cospira a farne un ciarlatano. Non ha tempo di leggere
regolarmente o con metodo; il lavoro di recensore lo porta a conoscenza di una massa di nozioni frammentarie ed
eterogenee. Sarebbe un prodigio di rettitudini intellettuali se non le inserisse nei suoi articoli, con leggerezza e baldanza, come se ogni particolare eccentrico fosse un promontorio isolato nel vasto continente della sua sapienza
universale. Inoltre la necessit in cui si trova di stimolare
sempre l'interesse lo spinge a essere originale e fuori del
comune a qualunque costo. C' da meravigliarsi se, conoscendo cinque righe sia di Virgilio che di Apollinare,
preferisce citare il secondo? O se, non conoscendo nulla
di Virgilio, trasforma la sua ignoranza in virt critica e
lascia intendere che i migliori cervelli sono ora passati da
Marone a Sidonio?
Nel monastero di Subiaco, che sorge in un remoto angolo di terra dietro Tivoli, si trovano, oltre molte altre
cose belle di interesse storico, diversi affreschi di un maestro del tredicesimo secolo, noto soltanto come autore di
queste opere, chiamato Consolo. un nome magnifico e
non si potrebbe desiderare di meglio. Solenne e nello stesso tempo lievemente grottesco, non comune (anzi, a
quanto mi risulta, unico) e facile da ricordare, un nome

che sembra appartenere di diritto a un grand'uomo. Consolo: al suono di queste belle sillabe la persona colta ha la
vaga e fastidiosa sensazione che dovrebbe sapere a che
cosa si riferiscono. Sar una battaglia? O una filosofia
scolastica? O un'eresia? O che cosa? Venendo a sapere,
dopo un momento di angosciosa incertezza (durante il
quale si chiede se il suo interlocutore scioglier l'enigma
o lo costringer a confessare la sua ignoranza), che Consolo era un pittore, la persona colta si lancia fiduciosa.
Un cos meraviglioso artista! esclama estasiata.
Il vecchio Adamo giornalistico non morto del tutto in
me, e conosco la societ istruita. La tentazione era forte.
Avrei divulgato Consolo in un mondo ottenebrato e,
esaltando lui come artista, avrei esaltato anche me stesso
come critico d'arte. E che operazione a buon mercato! Al
prezzo di tredici litri di benzina, dieci lire di cartoline e
mance, un'ottima colazione a base di trote a Tivoli, mi
sarei impadronito perfettamente dell'argomento e avrei
affermato la mia fama di Kunstforscher. Niente viaggi
faticosi a lontani musei, alla ricerca di opere minori del
maestro, niente laboriose letture di monografie tedesche.
Soltanto questa piacevolissima gita sull'alta valle dell'Aniene, questa passeggiata di quaranta minuti sulla collina, questo giretto al primo eremo di san Benedetto - ed
tutto. Sarei ritornato a Londra, avrei scritto qualche articolo, o addirittura un libretto sul maestro, con qualche
bella riproduzione. E quando, nella societ colta, qualcuno avrebbe parlato di Duccio o di Simone Martini, io
avrei sorriso dall'alto della mia superiorit. Sono tutti
ottimi, non c' dubbio. Ma quando si visto Consolo...
E avrei seguitato a parlare dei suoi valori tattili e olfattivi, del suo modo magistrale di trattare la quarta dimensione, del suo uso squisitamente sottile dei contrasti, del-

la sua straordinaria padronanza del colore che gli permetteva di dipingere tutte le carni in due toni di ocra,
porpora impuro e verde escremento d'oca. I miei ascoltatori (atterriti, come tutti i membri della societ colta sempre lo sono, di essere lasciati indietro neila gara intellettuale) seguirebbero avidamente il mio discorso. E se ne
andrebbero trionfanti, consci di aver segnato un punto
sui loro rivali, di essere entrati in un giro del quale fa parte soltanto un'lite, di essersi messi al passo con una moda venuta direttamente da Parigi (poich naturalmente
lascerei intendere che Derain e Matisse sono pienamente
d'accordo con me); e da quel momento il nome di Consolo, e il mio insieme, comincerebbe a risuonare, in crescendo e con una nota di ammirazione, in tutti i migliori
salotti da Euston ai confini del mondo.
La tentazione era forte; ma lottai eroicamente contro
di essa e alla fine ebbi il sopravvento. Decisi di non deformare la verit allo scopo di conquistarmi la fama, sia pure lusinghiera, di critico acuto e selettivo. Perch la verit, ahim, che questo Consolo dal nome unico e altisonante un pittore francamente trascurabile. abile e conosce il suo mestiere, ma questo tutto. Il suo merito
principale consiste nel fatto che visse nel tredicesimo secolo e lavor nello stile caratteristico della sua epoca. Dipingeva nella maniera bizantina decadente che noi, guardando indietro dalla Firenze del sedicesimo secolo invece
che avanti dalla Ravenna del sesto secolo, chiamiamo erroneamente primitiva. In questo, ripeto, consiste il
suo merito principale, almeno per noi. Infatti un secolo
fa il suo primitivismo avrebbe suscitato soltanto derisione e pena. Oggi abbiamo rivoluzionato tutto, in maniera
cos radicale che molti giovani, nella loro ansia di non apparire antiquati, considerano con sospetto qualsiasi di-

pinto che abbia una stretta somiglianza con il suo modello e, se non garantito chimicamente puro da un'autorit
estetica riconosciuta, lo trovano ridicolo a priori. Per
questi asceti ogni bellezza naturale, se riprodotta dall'arte, condannabile. Una bella donna fedelmente resa
una scatola di cioccolatini; un bel paesaggio puro
esercizio poetico. Se un'opera d'arte attrae naturalmente, se commuove a prima vista, secondo quella gente irrimediabilmente brutta. Questo principio applicato alla
musica ha portato all'esaltazione di Bach, anche del Bach
pi meccanico e meno ispirato, a spese di Beethoven. Ha
portato all'esecuzione fredda e classica della musica di
Mozart, considerato privo di sentimento perch non banalmente sentimentale come Wagner. Ha portato a esaltare i pezzi per organo di Haendel e gli sbraitamenti senza
senso di Palestrina. E quei giovani irragionevoli, nella loro reazione al sentimentalismo e al lacrimoso idealismo
che secondo loro hanno caratterizzato l'et vittoriana,
pur lasciati del tutto freddi da quelle esecuzioni, proprio
per questa ragione le lodano come artistiche in sommo
grado. Lo stesso accade con la pittura. Pi terrosi sono i
colori, pi deformate le immagini, pi vera arte. Ci sono centinaia di giovani pittori che non osano dipingere in
modo realistico e piacevole, anche se ne fossero capaci,
per paura di perdere la stima degli intenditori che sono
anche i loro mecenati. Certo, i buoni pittori dipingono
bene e si esprimono compiutamente a qualunque regola
si attengano; e i pittori scadenti fanno una pittura scadente in qualsiasi circostanza. Non dovremmo dunque
preoccuparci minimamente se i giovani pittori scadenti
preferiscono la deformazione e il colore terroso alla vivacit, al realismo e alla piacevolezza. Non ha dawero importanza come dipingono. Eppure in passato si provava

un certo interesse per pittori scadenti che facevano del loro meglio per imitare la natura e raccontare dei fatti. Ci si
accontentava di copie fedeli di begli oggetti, documenti
di vita e appunti pittorici, storie divertenti e commenti
sulla vita contemporanea. Tutte queste cose potevano
non essere grande pittura; ma almeno valevano qualcosa,
anche se era un valore diverso da quello estetico. Mirando a un certo mitico ideale di estetica pura, al quale sacrifica tutto fuorch la forma, il giovane pittore senza talento dei nostri giorni non ci offre altro che noia. Perch i
suoi dipinti non sono buona pittura, e la loro cattiva qualit non compensata dal fatto di ricordarci dei begli oggetti; non hanno neppure il merito di essere documenti o
commenti, n di raccontare una storia. In una parola non
hanno niente che ci attiri. Dai tempi in cui ci procurava
un certo piacere, l'artista mediocre (se per caso anche
d'avanguardia) diventato un insopportabile noioso.
La diffidenza dei giovani verso il realismo non riguarda soltanto l'arte contemporanea; anche retrospettiva.
Fra due artisti del passato, entrambi senza talento, questa giovent preferisce decisamente il meno realistico, il
pi primitivo. Consolo viene ammirato pi del suo
equivalente del diciassettesimo secolo, semplicemente
perch le sue immagini non ricordano niente che sia piacevole in natura, perch non sa nulla di luce e ombra,
perch la sua composizione rigidamente simmetrica e
perch il contenuto sentimentale della sua pittura ardentemente religiosa per noi del tutto svanito, senza lasciare nulla che possa suscitare nei nostri cuori il bench minimo sentimento di qualsiasi genere; unica eccezione,
quelle famose emozioni estetiche cos zelantemente coltivate dai giovani.
Certo, le regole alle quali si conformavano i pittori ita-

liani dei diciassettesimo secolo erano di un genere insopportabile. I1 gesticolare scomposto con il quale riempivano i loro dipinti nella speranza di creare artificialmente
un'atmosfera di violente passioni semplicemente ridicolo. Lo stile barocco e lo stile romantico affine sono i pi
adatti per loro natura alla rappresentazione del comico.
Aristofane, Rabelais, Nashe, Balzac, Dickens, Rowlandson, Goya, Dor, Daumier e gli innominati creatori di
personaggi grotteschi in tutto il mondo e in ogni epoca tutti i professionisti del comico puro, sia in letteratura
che in arte - hanno usato uno stile stravagante, barocco,
romantico. naturale, perch il comico puro essenzialmente stravagante ed eccessivo. Salvo che nelle mani di
qualche genio eccezionale (come Marlowe e Shakespeare,
Michelangelo e Rembrandt) questo stile, se usato per scopi seri, ridicolo. Quasi tutta l'arte barocca e quasi tutta
l'arte romantica venuta dopo sono grottesche perch gli
artisti (non di prim'ordine) tentano di esprimere qualcosa
di tragico in uno stile essenzialmente comico. Sotto questo aspetto le opere dei primitivi - anche di quelli minori
- sono davvero preferibili alle opere dei loro discendenti
del Seicento. Questo perch nelle loro pitture non c' nessuna contraddizione fondamentale fra lo stile e il soggetto. Ma questa una qualit negativa; i primitivi minori
sono decorosi ma del tutto insignificanti. L'opera successiva dei realisti pu essere volgare e assurda nell'insieme,
ma spesso riscattata dal fascino dei particolari. Nei dipinti di artisti minori del diciassettesimo secolo si possono trovare deliziosi paesaggi, fisionomie interessanti, studi di curiosi effetti di luce e ombra - cose che, vero,
non salvano dalla bruttezza l'insieme di ciascuna di queste opere ma che sono gradevoli in se stesse. Nei vari
Consolo di un'epoca pi remota l'opera nel suo insieme

degna di stima; ma il suo grigiore non ravvivato da nessun particolare curioso o piacevole. Con la loro assurda
avversione ascetica per l'ovviamente piacevole, i giovani
si sono privati di un autentico godimento. Si annoiano
nella contemplazione di scadenti Consolo quando potrebbero divertirsi guardando altrettanto scadenti Feti,
Caravaggio, Rosa da Tivoli, Guercino e Luca Giordano e
tutti gli altri. Se si devono guardare i quadri scadenti ed inevitabile, poich i buoni quadri sono cos rari -
certamente pi ragionevole guardare quelli che ci danno
qualcosa (anche se le perle sono incastonate in una cornice di orrori) che quelli che non ci danno assolutamente
nulla.

I1 pi bel dipinto del mondo

Borgo San Sepolcro non molto facile da raggiungere.


C' un trenino un po' da burla che arriva da Arezzo attraverso le colline. Oppure si pu risalire la valle del Tevere venendo da Perugia. Se invece si a Urbino, c' un
autobus che porta a San Sepolcro, su e gi per gli Appennini, in sette ore e pi. Un viaggio che non uno scherzo,
come so per esperienza. Ma vale la pena di farlo, sia pure
con un altro mezzo che l'autobus, per vedere Bocca Trabaria, il pi bel passo degli Appennini, fra la valle del Tevere e quella superiore del Metauro. Lo attraversammo
all'inizio della primavera. I1 nostro torpedone sferragliava e ansimava su per il bruilo pendio a nord, fra rocce
nude, erba secca e alberi ancora senza gemme. Attravers il valico e all'improwiso, come per miracolo, il terreno si copr del giallo di innumerevoli primule, simboli del
sole che le aveva chiamate in vita.
E quando infine si arriva a San Sepolcro, che cosa c'
da vedere? Una cittadina circondata da mura, in un'ampia valle pianeggiante fra le colline; alcuni dei palazzi ri-

nascimentali con graziosi balconi in ferro battuto; una


chiesa non particolarmente interessante e, infine, il pi
bel dipinto del mondo.
Il pi bel dipinto del mondo un affresco sulla parete
di una sala del municipio. Un vandalo involontariamente
benefico lo fece ricoprire, un po' di tempo dopo la sua
esecuzione, di uno spesso strato di gesso, sotto il quale rimase nascosto per un secolo o due, per essere infine scoperto in uno stato di conservazione quasi perfetto per un
affresco di quell'et. Grazie ai vandali, il visitatore che
oggi entra nel Palazzo dei Conservatori di Borgo San Sepolcro trova questa stupenda Resurrezione quasi come la
dipinse Piero della Francesca. I suoi colori chiari, ma sapientemente sobrii, splendono sulla parete con una freschezza appena attenuata dal tempo. L'umidit non ha
confuso l'immagine, lo sporco non l'ha scurita. Non
dobbiamo ricorrere all'immaginazione per figurarcene la
bellezza; l di fronte a noi nel suo reale splendore, il pi
bel dipinto del mondo.
I1 pi bel dipinto del mondo.. . Voi sorridete. L'espressione ridicola, certo. Non c' niente di pi futile del lavoro di quegli esperti che passano il loro tempo a stabilire
graduatorie fra i migliori pittori, musicisti, poeti, architetti e cos via. La futilit dovuta al fatto che ci sono infiniti generi di merito e un'infinita variet di esseri umani. I1 Beato Angelico un pittore migliore di Rubens? Tali domande, voi insistete, sono senza senso. questione
di gusti personali. E fino a un certo punto vero. Tuttavia non c' dubbio che esista uno standard assoluto di
merito artistico. E in ultima analisi si tratta di uno standard di natura morale. La bellezza o la bruttezza di un'opera d'arte dipende interamente dalla personalit che si
esprime nell'opera. Non si pu dire che tutti gli uomini

virtuosi siano buoni artisti n che tutti gli artisti siano necessariamente virtuosi. Longfellow era un cattivo poeta,
mentre i rapporti di Beethoven con i suoi editori erano
francamente vergognosi. Ma ci si pu comportare vergognosamente con i propri editori e conservare tuttavia il
genere di virt necessario per essere un buon artista. la
virt della rettitudine, dell'onest verso se stessi. La cattiva arte pu essere di due tipi: quella che semplicemente
banale, insulsa e maldestra, che si pu definire negativamente cattiva; e queila positivamente cattiva, che una
menzogna e una mistificazione. Spesso la menzogna
raccontata cos bene che quasi tutti ci cascano - almeno
per un certo tempo. Ma alla fine le bugie sono sempre
scoperte. La moda cambia, il pubblico impara a guardare
da un punto di vista diverso e, mentre un attimo prima
vedeva un'opera ammirevole che suscitava in lui una reale emozione, ora vede un'impostura. Nella storia delle arti troviamo innumerevoli impostori, un tempo ritenuti
sinceri, oggi riconosciuti tali. I loro nomi sono quasi tutti
dimenticati. Tuttavia si coglie ancora una debole eco dell'interesse per i canti di Ossian, per le doti di romanziere
di Bulwer e le qualit poetiche di Bailey. Oggi i loro successori si affannano a conquistare lodi e denaro. Mi chiedo spesso se non sono anch'io uno di loro. Impossibile
saperlo. Perch si pu essere un impostore in arte anche
senza l'intenzione di imbrogliare e malgrado il pi ardente desiderio di essere onesto.
Talvolta il ciarlatano anche un uomo di genio di prim'ordine, e allora si hanno quegli artisti singolari, come
Wagner e Bernini, che possono trasformare ci che falso e affettato in qualcosa di quasi sublime.
Che sia difficile distinguere il genuino dal falso dimostrato dal fatto che un numero enorme di persone ha

commesso degli errori e continua a commetterli. La genuinit, come ho detto, alla lunga trionfa sempre. Ma in
qualsiasi momento la maggioranza della gente, pur non
preferendo il falso al vero, li apprezza entrambi allo
stesso modo, facendoli oggetto di omaggio indiscriminato.
E ora, dopo questa piccola digressione, possiamo ritornare a San Sepolcro e al pi grande dipinto del mondo. La sua grandezza dipende dal fatto che l'uomo che
l'ha eseguito era genuinamente nobile oltre che pieno di
talento. E per me personalmente anche il dipinto pi
commovente, perch il suo autore possedeva forse pi di
ogni altro pittore quelle qualit di carattere che pi ammiro e perch le sue preoccupazioni estetiche erano del
genere che io sono per natura portato a capire. Una grandezza naturale, spontanea, senza ostentazione - questa
la qualit dominante di tutta l'opera di Piero. maestoso senza essere forzato, teatrale o isterico - com'
maestoso Haendel, non Wagner. Raggiunge una naturale
grandiosit in ogni gesto, senza nessuno sforzo cosciente.
Come Alberti, con l'architettura del quale, spero di dimostrare, la sua pittura ha certe affinit, Piero pare essersi ispirato a quella che chiamerei la religione delle Vite
di Plutarco - che non il cristianesimo, ma il culto di
quello che c' di mirabile nell'uomo. Anche i suoi dipinti
strettamente religiosi sono inni di lode alla dignit umana. Ed in ogni momento profondamente razionale.
Il lato drammatico della vita e della religione lo interessa ben poco. I suoi quadri di battaglia ad Arezzo non sono composizioni drammatiche nonostante i molti particolari di questo genere che contengono. Tutto il tumulto,
tutte le emozioni di queste scene sono stati filtrati dalla
mente in un insieme fortemente razionale. come se

Bach avesse composto l'ouverture 1812. Neppure i due


superbi dipinti della National Gallery - la Nativit e il
Battesimo di Cristo - si distinguono per una speciale
partecipazione al significato religioso o emotivo degli
eventi rappresentati. Nella straordinaria Flagellazione di
Cristo di Urbino il soggetto che d il nome al dipinto relegato nello sfondo a sinistra, dove serve a bilanciare le
tre figure misteriose che stanno in disparte in primo piano a destra. Qui pare non esserci altro che un esperimento di composizione, ma un esperimento cos strano e cos
eccezionalmente riuscito che non rimpiangiamo l'assenza
di senso drammatico e il nostro occhio pienamente soddisfatto. La Resurrezione di Borgo San Sepolcro pi
drammatica. Piero ha usato la composizione triangolare
come simbolo del soggetto. La base del triangolo formata dal sepolcro; e i soldati che dormono intorno a esso
segnano con la loro collocazione lo slancio verso l'alto
dei due lati, che si incontrano al vertice nel volto del Cristo risorto, il quale, con una bandiera nella mano destra,
il piede sinistro gi alzato e posato sull'orlo del sepolcro,
si prepara a rientrare nel mondo. Nessun'altra composizione geometrica avrebbe potuto avere maggiore semplicit o efficacia. Ma l'essere che sorge dalla tomba davanti ai nostri occhi pi simile a un eroe plutarchiano che al
Cristo della religione tradizionale. I1 corpo perfettamente sviluppato, come quello di un atleta greco, di un
tale vigore che la ferita nel fianco muscoloso sembra in
un certo modo irrilevante. I1 volto severo e pensoso, gli
occhi freddi. L'intera figura esprime forza fisica e intellettuale. la risurrezione dell'ideale classico - infinitamente pi grandioso e pi bello della realt classica dalla tomba in cui aveva dormito per centinaia di anni.
Dal lato estetico, l'opera di Piero ha questa somiglian-

za con quella di Alberti: anch'essa essenzialmente una


questione di volumi. Ci che Alberti a Brunelleschi,
Piero della Francesca al suo contemporaneo Botticelli.
Botticelli era fondamentalmente un disegnatore, un creatore di linee agili e flessuose, che pensava in termini di
arabeschi su superfici piatte. Piero invece ha la passione
della solidit come tale. C' qualcosa nelle sue opere che
ci ricorda continuamente la scultura egizia. Piero ha lo
stesso amore per la superficie liscia e arrotondata che il
simbolo esterno e l'espressione di un volume. Le facce
dei suoi personaggi sembrano scolpite in una roccia molto dura nella quale stato impossibile incidere i particolari di una fisionomia umana - le cavit, le linee e le rughe della vita reale. Sono facce ideali, come quelle degli
di e dei sovrani egizi, i loro piani si incontrano e si congiungono con altre superfici curve e uniformi in maniera
quasi geometrica. Guardate per esempio i volti delle donne nell'affresco di Piero ad Arezzo: La Regina di Saba
riconosce l'Albero Sacro)). Sono tutti di un unico stampo: fronte alta, liscia e arrotondata; collo come un cilindro di avorio levigato; dal centro delle occhiaia concave
le palpebre sporgono in un'unica curva convessa, le
guance sono uniformemente lisce e la lieve curvatura delle loro superfici indicata da un chiaroscuro molto delicato che suggerisce la solidit e il volume della carne molto pi efficacemente di come potrebbe fare il pi spettacolare contrasto di luce e ombra di un Caravaggio.
La passione di Piero per la solidit non meno evidente nella sua trattazione di vestiti e panneggi. significativo, ad esempio, che, quando il soggetto lo consente, fa
apparire i suoi personaggi con curiose acconciature, che
per il loro solido aspetto geometrico ricordano gli strani
cappelli da cerimonia o tiare portati dalle statue dei re

egizi. Alcuni degli affreschi di Arezzo illustrano questa


particolarit. In quello che rappresenta Eraclio che restituisce la Vera Croce a Gerusalemme tutti i dignitari ecclesiastici hanno enormi copricapi conici, o a forma di
tromba, o rettangolari. Sono dipinti in modo uniforme
e, naturalmente, con un profondo gusto della solidit.
Altri copricapi simili, insieme a una grande variet di elmi meravigliosamente tondeggianti, sono rappresentati
con amorosa cura nelle scene di battaglia sempre ad
Arezzo. I1 Duca di Urbino, nel famoso ritratto agli Uffizi, ha un copricapo di panno rosso la cui forma ricorda
quella del Brodrick del soldato inglese moderno, ma
senza la visiera - un cilindro aderente alla testa, coronato da un disco sporgente. La pittura ne mette in risalto
la levigatezza e la rotondit delle superfici. Inoltre Piero
non trascura i veli delle sue figure femminili. Sebbene di
batista trasparente, essi avvolgono il capo delle sue donne in pieghe rigide, come fossero fatti di acciaio. Fra gli
abiti, ha una passione speciale per le tuniche e i bustini
pieghettati. Le sporgenze e le rientranze della stoffa a
pieghe lo affascinano, e gli piace far vedere come la pieghettatura segue le curve del corpo. Ai panneggi d, come ci si pu aspettare, particolare peso e ricchezza. Forse la pi squisita trattazione del drappeggio la si pu ammirare nella pala d'altare della Madonna della Misericordia, che ora appesa accanto alla Resurrezione nel
municipio di Borgo San Sepolcro. La figura centrale di
questo dipinto, una delle prime opere esistenti di Piero,
rappresenta la Vergine in piedi, che allarga le braccia a
coprire su ogni lato i due gruppi di fedeli con le pieghe
del suo pesante manto azzurro. I1 manto e la tunica della
Vergine cadono in semplici pieghe perpendicolari, come
quelle dell'auriga arcaico di bronzo al Louvre. Piero ha

dipinto con amore speciale queste superfici concave e


convesse alternate.
Non mia intenzione scrivere un trattato su Piero della
Francesca; questo gi stato fatto abbastanza spesso e
abbastanza male perch mi sembri inutile seppellire questo grande artista sotto ulteriori strati di commenti confusi. Qui ho semplicemente voluto esporre le ragioni per
cui lo ammiro e che mi fanno ritenere la Resurrezione il
pi bel dipinto del mondo. Quello che in lui mi attrae la
sua forza intellettuale; la sua capacit di rendere con naturalezza il grandioso e il nobile; il suo compiacersi di
tutto quanto c' di meraviglioso nell'umanit. Nell'artista mi piace particolarmente il gusto per la solidit, per le
lisce superfici curve, per la costruzione a grandi volumi.
Personalmente lo preferisco a Botticelli, tanto che se fosse necessario sacrificare tutte le opere di Botticelli per salvare la Resurrezione, la Nativit, la Madonna della Misericordia e gli affreschi di Arezzo, non esiterei a dare alle
fiamme la Primavera e tutto il resto. un peccato per la
fama di Piero che le sue opere siano relativamente poche
e in molti casi di difficile accesso. Ad eccezione della Nativit e del Battesimo di Cristo alla National Gallery, tutte le sue opere veramente importanti sono ad Arezzo, San
Sepolcro e Urbino. I ritratti del Duca e della Duchessa di
Urbino con i loro rispettivi trionfi, conservate agli Uffizi,
sono piacevoli ed estremamente divertenti; ma non
rappresentano il Piero migliore. La pala d'altare a Perugia e la Madonna con santi e donatore a Milano non sono
di prima qualit. I1 San Girolamo a Venezia abbastanza
buono, come pure l'affresco danneggiato dei Malatesta a
Rimini. Al Louvre non c' nulla e la Germania pu vantare unicamente uno studio di architettura, inferiore a
quello di Urbino. Chiunque voglia conoscere Piero deve

dunque andare da Londra ad Arezzo, San Sepolcro e Urbino. Ora, Arezzo una citt noiosa e cos ingrata verso i
suoi figli illustri che entro le sue mura non c' nessun monumento al divino Aretino. Ma, nonostante tutto, qui
che dovete andare per vedere le opere pi importanti di
Piero. Da Arezzo dovete spingervi fino a San Sepolcro,
dove l'albergo locale appena decente, e i mezzi per arrivarvi sono cos scadenti che, se non andate con la vostra
automobile, siete costretti a passarvi la notte. E da San
Sepolcro dovete fare sette ore di autobus attraverso gli
Appennini fino a Urbino. Tuttavia qui non ci sono soltanto due mirabili Piero (la Flagellazione e una scena di
architettura), ma il pi bel palazzo d'Italia e un albergo
quasi buono. Anche per il turista pi restio a muoversi la
visita a Urbino d'obbligo; non ci si pub sottrarre, bisogna vederla. Ma nel caso di Arezzo e San Sepolcro non
esiste un simile obbligo morale. Di conseguenza sono pochi i turisti che si danno la pena di visitarle.
Se le opere principali di Piero si potessero vedere a Firenze e quelle di Botticelli a San Sepolcro non dubito che
la pubblica stima per questi due maestri sarebbe invertita. Le zitelle inglesi amanti dell'arte starebbero in cont emplazione statica davanti alla Leggenda della Croce invece che davanti alla Primavera. L'estasi dipende in larga
parte dalle stelle del Baedeker, e queste sono assegnate
pi generosamente a opere d'arte nelle citt facilmente
accessibili che a quelle nelle citt difficili da raggiungere.
Se la cappella degli Scrovegni sorgesse nelle montagne
della Calabria invece che a Padova, avremmo certo sentito parlare molto meno di Giotto.
Ma basta cos. L'ombra di Consolo si leva ad ammonirmi che sto cadendo nell'errore di coloro che giudicano
il merito in base a una scala dell'inusuale e del raro.

La fonte delle Muse

Un sapere limitato)), ha detto Pope, pericoloso.


E chi, veramente, avrebbe conosciuto i suoi pericoli pi
intimamente dell'uomo che si era accinto a tradurre
Omero senza conoscere in pratica neppure una parola di
greco? Bevete a fondo - l'esortazione, evidente,
viene dal cuore stesso del traduttore - oppure non avvicinatevi alla fonte delle Muse.
Bevete a fondo. I1 consiglio buono, purch la bevanda sia salutare. Ma la fonte delle Muse salutare? Questo
il problema. Non tutte le acque medicinali sono adatte a
qualsiasi bevitore. Persone che traggono beneficio da
grandi bevute a Carlsbad o a Montecatini possono morire di indigestione a Bath. Analogamente, la fonte delle
Muse non per tutti. I1 filosofo e lo scienziato possono
abbeverarsene quanto vogliono e non far loro che bene.
Al poeta non pu certo far male; il suo linguaggio naturale arricchito da un po' di cultura. I1 politico farebbe
bene a bere da questa fonte con maggior frequenza e abbondanza di quanto faccia in realt. L'uomo d'affari

pu trarre profitto da qualche sorsata, mentre il dilettante bere per puro piacere. Ma c' almeno una categoria di
uomini ai quali la fonte delle Muse sembra essere quasi
fatale. Per nessun motivo dovrebbe essere concesso all'artista di attingervi.
Sono passati due secoli da quando Pope ha messo in
guardia i suoi lettori contro i pericoli di un sapere limitato. La storia di questi due secoli, e specialmente degli ultimi cinquant'anni, ha dimostrato che per quanto riguarda l'artista una vasta cultura altrettanto pericolosa
quanto una scarsa. Anzi, in realt lo molto di pi.
Posso meglio spiegare che cosa succede quando gli artisti bevono copiosamente alla fonte delle Muse descrivendo una certa esposizione di Arti e Mestieri che mi
capitato di visitare un paio di estati fa a Monaco. Era una
cosa immensa. Mobili, gioielli, ceramiche, tessili - ogni
genere di arte applicata era ampiamente rappresentato. E
tutti gli oggetti esposti erano tedeschi. Tutti tedeschi eppure tutte quelle batterie da cucina, quelle sedie e quei
tavoli, quei tessuti, quelle pitture, sculture, ferri battuti,
parlavano cento lingue diverse oltre il teutonico locale.
Ariano, mongolo, semitico, bantu, polinesiano, maya tutti i pezzi esposti a Monaco parlavano correntemente
tutte le lingue. Qui, ad esempio, c'era un vaso messicano
con decorazioni moresche; l una statuetta in puro stile
greco del sesto secolo abilmente mescolato all'arte nera
del Benin. Qui un tavolo rustico delia Foresta Nera sostenuto da gambe egizie; l un crocifisso poteva essere opera
di un artista T'ang che avesse passato un anno in Italia
come allievo di Bernini. Capra, donna, leone e grifone c'erano chimere a ogni passo. E nessuno dei pezzi (questo
era il vero guaio, perch la buona riuscita giustifica ogni
cosa) valeva qualcosa.

La Germania, vero, il paese dove i pericoli di una


troppo vasta erudizione si sono resi pi evidenti. il paese che ha attinto pi abbondantemente alla fonte delle
Muse. Negli ultimi cinquant'anni gli editori tedeschi hanno pubblicato sei monografie illustrate per ciascuna uscita in Francia, e almeno una dozzina per ogni pubblicazione inglese. Con instancabile impegno e un entusiasmo
che nulla - neppure la guerra, neppure la pace - ha potuto scoraggiare, i tedeschi hanno fotografato i residui
artistici di ogni civilt fiorita sulla terra. E hanno pubblicato queste fotografie, con dotte introduzioni, in libriccini venduti un tempo a un marco l'uno e anche oggi non
costano di pi, diciamo, di quindicimila o ventimila milioni. I tedeschi sono al corrente degli stili artistici del
passato pi di ogni altro popolo al mondo - ma la loro
arte attuale cos irrimediabilmente noiosa come pu esserlo qualsiasi altra arte nazionale. La sua cattiva qualit
, per dirla in termini matematici, in funzione della sua
erudizione.
Quello che accaduto in Germania accaduto pure,
sebbene in misura un po' ridotta, in tutti i paesi del mondo. Ne sappiamo tutti troppo, e il nostro sapere ci impedisce - a meno di essere artisti di eccezionale indipendenza e talento - di fare un buon lavoro.
Fino a un tempo abbastanza recente nessun artista europeo conosceva, n gli pareva il caso di conoscere, alcunch a proposito di forme d'arte che non fossero quelle
fiorite nel suo continente. E anche di queste sapeva ben
poco. Uno scultore del sedicesimo secolo, ad esempio,
conosceva qualcosa della scultura greca - o comunque
qualcosa delle copie romane di sculture appartenenti a un
certo periodo dell'arte greca. Conosceva invece pochissimo le opere eseguite dagli scultori del periodo gotico, an-

che nel suo paese; e quel poco che ne conosceva, era incline a disprezzarlo come puramente barbaro. Allora non
c'era la fotografia, e anche le stampe erano poche. Lo
scultore del Rinascimento lavorava in un'ignoranza quasi
totale di ci che era stato fatto da altri scultori, in altre
epoche e in paesi diversi dal suo. I1 risultato era che poteva concentrarsi sull'unica tradizione che gli pareva valida
- quella classica - e lavorarci sopra indisturbato, fino a
svilupparne tutte le potenziali risorse.
I1 caso dell'architettura ancora pi interessante. Per
trecento anni gli ordini classici regnarono sovrani in Europa. I1 gotico fu dimenticato e disprezzato. Non si conosceva niente di altri stili. Una generazione dopo l'altra di architetti lavor ininterrottamente basandosi su quest'unica
tradizione. E quale stupefacente variet di realizzazioni
seppero trarne! Usando gli stessi elementi classici di base,
generazioni successive produssero tutta una serie di opere
originali e nettamente diverse fra loro. Brunelleschi, Alberti, Michelangelo, Palladio, Bernini, Pietro da Cortona,
Christopher Wren, Adam, Nash - tutti questi architetti
(lavorarono secondo gli stessi schemi classici, ricavandone
una serie di capolavori assolutamente differenziati.
Questi furono tutti artisti geniali che avrebbero compiuto grandi cose in qualsiasi circostanza. Si rimane ancora pi colpiti dalle realizzazioni degli artisti minori. In
tutto questo lungo periodo perfino il lavoro di un apprendista aveva delle qualit che invano cerchiamo fra gli
artisti minori del nostro tempo. Era l'assenza di nozioni
frastornanti che rendeva possibile questo alto livello di risultati anche fra i meno dotati. Per loro c'era un'unica
tradizione cui ispirarsi. Concentravano i loro sforzi nel
trarne il meglio che potevano.
Com' diverso lo stato di cose attuale! L'artista di oggi

conosce, e gli stato insegnato ad apprezzare, le tradizioni artistiche di ogni popolo di tutti i tempi. Per lui non
esiste un'unica tradizione corretta; ce ne sono migliaia,
tutte degne del suo rispetto perch si sono prodotte buone opere nell'ambito di ognuna di esse. finita la beata
ignoranza, svanito il sano disprezzo per tutto quello che
non rientra in quell'unica tradizione. Ora non ne esiste
pi nessuna, oppure ce ne sono a centinaia - il che equivale alla stessa cosa. Le conoscenze dell'artista tendono a
sviarlo, a disperdere le sue energie. Invece di dedicare la
sua vita a sfruttare sistematicamente un'unica tradizione,
si muove inquieto fra tutti gli stili conosciuti, indeciso su
quale adottare, prendendo spunti da ciascuno.
Ma in arte non ci sono scorciatoie per una buona riuscita. Non possibile impadronirsi in mezz'ora dei segreti di uno stile che ha richiesto il lavoro di generazioni per
raggiungere la perfezione. In mezz'ora, certo, si pu imparare quali sono le caratteristiche superficiali pi vistose
di quello stile; si pub imparare a scimmiottarlo. Questo
tutto. Per capire uno stile occorre dedicarglisi completamente, viverci, per cos dire, dentro; occorre concentrazione e lavoro indefesso.
Ma la concentrazione proprio la cosa che il sapere eccessivo tende a rendere impossibile, per tutti tranne che
per gli artisti individualmente pi dotati e pi risoluti.
Questi, vero, sanno badare a se stessi. Qualunque sia il
loro ambiente mentale e fisico, non perderanno la loro
originalit. La conoscenza ha avuto gli effetti pi disastrosi sulle personalit minori, sulla truppa. In un altro
secolo questi avrebbero seguitato a lavorare imperturbabili, cercando di trarre il meglio da una tradizione, in genere riuscendoci fino al limite estremo delle loro capacit
naturali. I loro discendenti stanno cercando di ricavare il

meglio da cinquanta tradizioni diverse nello stesso tempo. Con quali risultati, lo dimostra l'orribile esposizione
di Monaco. E non si tratta soltanto di Monaco, ma di Parigi, di Londra, di New York, dell'intero mondo dominato dalla conoscenza.
Tuttavia il sapere esiste ed facilmente accessibile.
Non c' verso di distruggerlo o nasconderlo. Non pu esserci riconquista dell'antica ignoranza che permetteva
agli artisti del passato di continuare a lavorare in uno stile per anni, magari per secoli. I1 sapere ha portato con s
irrequietezza, instabilit e la possibilit di rapidi e continui cambiamenti negli stili artistici. Quanti ne sono nati e
svaniti durante gli ultimi settant'anni! I1 preraffaellismo,
l'impressionismo, l'art nouveau, il futurismo, il postimpressionismo, il cubismo, l'espressionismo. Agli Egizi sarebbero occorsi cento secoli per smaltire una simile variet di stili. Oggi noi ne inventiamo uno nuovo - o pi sovente risuscitiamo vecchi stili del passato in nuove combinazioni - lo utilizziamo e lo gettiamo via, il tutto nello
spazio di cinque anni. La stabilit delle vecchie tradizioni, la ferma educazione del gusto dovuta all'ignoranza e
alla meticolosit intransigente, non esistono pi. Ritorneranno mai? Col tempo, certamente, gli artisti si saranno assuefatti al veleno della fonte delle Muse. L'immenso
volume di conoscenza che nelle nostre menti ancora allo
stato grezzo verr gradualmente assimilato. Quando questo processo sar compiuto, si arriver a una certa stabilit, o meglio a un moto lento e costante, perch nella vita
non c' immobilit. Intanto, dobbiamo accontentarci di
vivere in un'epoca di energie disperse, di esperimenti e di
accozzaglie di stili, di inquietitudine e di desolante incertezza.
I1 grande aumento della nostra conoscenza della storia

dell'arte ha inciso non solo sugli artisti ma su tutti coloro


che si interessano di arte. Poich tout savoir est tout pardonner, abbiamo imparato ad apprezzare e scoprire il
meglio di ogni stile. A Voltaire e al dottor Johnson perfino l'arte gotica appariva barbara. Che cosa avrebbero
detto se avessimo chiesto loro di ammirare la bellezza
plastica di una statua polinesiana o una pittura di animali
di un artista vissuto millenni prima dell'alba della storia?
I1 sapere ci ha messi in grado di condividere punti di vista
insoliti, di apprezzare forme d'arte create da gente profondamente diversa da noi. Tutto questo indubbiamente
un'ottima cosa. Ma la nostra comprensione cos ampia e abbiamo una tale paura di mostrarci intolleranti
verso le cose che dovrebbero piacerci, che abbiamo cominciato ad amare in modo indiscriminato non soltanto
le espressioni pi alte di ogni stile, ma anche le pi scadenti.
Non ci accontentiamo di apprezzare certe cose valide
che i nostri antenati condannavano. L'appetito cresce a
mano a mano che lo si soddisfa. I1 bello non sufficiente
ad appagare il nostro famelico desiderio di apprezzamento; dobbiamo inghiottire pure il brutto. Per giustificarci
di apprezzare ci che brutto abbiamo creato tutta una
serie di nuovi valori estetici. I1 processo iniziato qualche
tempo fa proseguito con velocit e ampiezza crescenti,
tanto che non c' pi niente, per quanto brutto sia, che
non ci procuri piacere.
Credo che storicamente il momento di rottura con i
vecchi standard del gusto sia stato l'invenzione del pittoresco)). Un oggetto pittoresco pu essere definito qualcosa che possiede certe qualit in eccesso rispetto al normale. La natura di queste qualit in eccesso una questione irrilevante. Cos, perfino un eccesso di sudiciume

sufficiente a rendere pittoresco un oggetto. L'oggetto o


la scena pittoresca ideale ricco di qualit eccessiva in
violento contrasto fra loro - per esempio l'eccesso di
ombra in contrasto con l'eccesso di luce, l'eccesso di magnificenza con l'eccesso di squallore.
Il bizzarro pu essere definito un pittoresco attenuato
e tinto di comico. Quelle piccole vecchie case che Dickens
si divertiva a descrivere - tutte nascondigli e angoli bui e
particolarit curiose - sono tipici esempi del bizzarro. In
esso c' sempre qualcosa di familiare e rassicurante, e
perfino, di vagamente virtuoso e comicamente buono,
come Tom Pinch in Martin Chuzzlewit. Furono le classi
medie dell'epoca vittoriana a fare del bizzarro uno standard di eccellenza estetica. La loro predilezione per esso,
unita all'amore per il pittoresco, permise loro di ammirare una quantit di cose che in pratica non hanno niente a
che vedere con l'arte. Ci che potrei chiamare falso artigianato)) o mito del rustico)) una derivazione tolstojana dal bizzarro.
La grande invenzione di anni pi recenti stata il divertente~.In origine uno standard di valore molto sofisticato e aristocratico. Tutta la cattiva arte la cui bruttezza sia una qualit positiva e non quella puramente negativa della banalit rispettabile pu essere definita divertente. Per esempio Wordsworth, quando scrive male, non
affatto divertente. Moore invece lo ; perch la cattiva
qualit di Moore quella della sua epoca, molto colorita,
affettata e leziosa. Le cose brutte di Wordsworth, come
le buone, sono di ogni tempo. I suoi Sonetti ecclesiastici
sono di un'assoluta scipitaggine, mentre i pi bei passi di
Preludio e L'escursione sono autentica poesia.
Una percezione molto sviluppata del divertente nell'arte oggi estremamente comune. Pochi di coloro che han-

no un interesse reale per l'arte ne sono privi. I1 divertente


perfino arrivato ad avere un valore commerciale; i mercanti hanno scoperto che possono vendere a prezzi notevoli il mobilio di papier mch degli anni 1850, i fiori di
cera e le statuette dell'epoca di Luigi Filippo. La gente
che colleziona questi oggetti pare derivarne altrettanto
piacere - almeno per un certo tempo - quanto dal pi
sobrio e armonioso mobile Hepplewhite o dai pi raffinati avori del quattordicesimo secolo. E non c' ragione,
naturalmente, che non sia cos, purch si continui a riconoscere che il mobile Hepplewhite superiore al papier
mch vittoriano e che gli avori medievali sono pi belli
dei fiori di cera. Ma il guaio che questo riconoscimento
non mai cos pronto e completo come dovrebbe essere.
Questo il grande pericolo che si accompagna al culto
per il divertente; esso fa dimenticare ai suoi seguaci che
esistono cose come il bello e il sublime. Si finisce per preferire Erasmus Darwin a Wordsworth, Longhi a Giotto.
Indirettamente ne responsabile la fonte delle Muse.

PARTE QUARTA

Altri appuntamenti

Una notte a Pietramala

Quello che amo di pi al mondo, dice Browning in


De Gustibus, un castello circondato dal precipizio in
una gola dell'Appennino martoriato dal vento. De gustibus, davvero. Accetto la cosa senza discuterla. Mi limito a dire che, anche se mi piace questa poesia, non condivido i gusti del poeta. Un castello nell'Appennino verrebbe per ultimo nell'elenco delle cose che amo. Un palazzo
a Roma, una villa alle porte di Siena, perfino una roulotte avrebbero la precedenza. La caratteristica che Browning attribuisce all'Appennino la pi appropriata. Non
dubito che a lui piacesse essere martoriato dal vento.
Posso immaginarmelo, a testa china, farsi strada attraverso una di quelle raffiche infernali che in primavera e
d'inverno vengono gi nelle gole fra le alture. Sarebbe eccitato dallo sforzo; la sua lotta contro gli elementi lo renderebbe euforico e ritornerebbe nel suo castello a scrivere
un inno di lode pi che mai caloroso alla passione e alla
forza - una passione fine a se stessa, una forza ammirevole, non tanto per il suo obiettivo quanto per la sua enti-

t. Sono sicuro che era questo l'effetto del vento su


Browning; lo confermava nel suo travolgente ottimismo.
A me invece il vento degli Appennini non causa altro che
nevralgie e la pi profonda depressione. Nel castello circondato dal precipizio non scriverei Prospice, ma qualcosa nello stile di La citt della notte tremenda.
Che io non stia esagerando gli orrori del vento negli
Appennini dimostrato dal fatto che si giudicato necessario, per la comodit e anche per la sicurezza dei viaggiatori, proteggere i punti pi esposti dei passi principali
con alti muraglioni. Ricordo in particolare un tratto della
strada maestra fra Firenze e Bologna fiancheggiato per
alcune miglia da un immenso parapetto, come la Grande
Muraglia cinese. In questo punto la strada, tra i settecento e gli ottocento metri sul livello del mare, attraversa un
fondovalle stretto e scosceso, nel quale si infila un vento
perpetuo. Anche d'estate, nelle giornate serene, quando
si passa al riparo del muro, si sente il malinconico lamento dei venti che soffiano sopra. Ma nelle brutte giornate
d'inverno, primavera e autunno, l'aria piena di spaventosi rumori, come se le porte dell'inferno si fossero spalancate e le anime dannate facessero festa. Rabbrividisco
ai pensiero dei viaggiatori di circa cent'anni fa, prima che
un benefico governo granducale costruisse il muro. Spesso dovevano essere letteralmente soffiati via dalla strada.
Passammo di l una volta nel mese di marzo. La primavera italiana, che non molto diversa da quella di altri
paesi, quell'anno era gelida e inclemente. A Firenze il sole brillava saltuariamente fra enormi nuvole. Sul Monte
Morello c'era ancora la neve a chiazze. L'aria era pungente. I passi sono liberi dalla neve? chiedemmo al garage dove ci fermammo a fare il pieno di benzina. Animato dal tipico desiderio italiano di dare una risposta che

soddisfi chi interroga, l'uomo del garage ci assicur che la


strada era perfettamente sgombra. E lo disse con tale convinzione che credemmo, come farebbe qualsiasi nordico,
che fosse ben informato. Nulla pi simpatico della cortesia meridionale, della cordialit meridionale, del desiderio meridionale di far piacere. I1 cuore si commuove per
l'affettuoso interesse che gli italiani dimostrano per le vostre faccende; li amate per la loro amichevole curiosit; vi
fanno sentire immediatamente a vostro agio, vi trattano
subito da esseri umani e fanno del loro meglio per accontentarvi. Sono deliziosi. Ma a volte sono perfino troppo
gentili: per non contraddirvi o per non darvi un piccolo dispiacere discutendo la bont dei vostri progetti, vi diranno
le cose che volete sentire invece di quelle che vi sarebbe utile sapere. Inoltre l'orgoglio non permette loro di confessare una totale ignoranza; cos preferiscono dirvi la cosa
sbagliata piuttosto che non dirvi niente del tutto. Dunque,
quando l'uomo del garage ci disse che sulla strada da Firenze a Bologna non c'era neve, lo disse anzitutto perch
vide che volevamo andare a Bologna e che saremmo rimasti delusi se la cosa si fosse rivelata impossibile, e in secondo luogo perch trovava pi simpatico dire Niente neve
con tono convinto che ammettere la verit, e cio che non
aveva la pi pallida idea se ci fosse neve o no.
Gli credemmo e partimmo. La strada sale ripida da
Firenze, si arrampica fino a trecento o quattrocento metri, poi scende di nuovo nella lunga valle a fondo piatto
racchiusa fra le montagne, il Mugello. Quando la raggiungemmo il sole era completamente scomparso e il cielo sopra di noi era un'unica nube di un bianco-giallastro, foriera di neve. Guardando i vari castelli lungo il
Percorso, i gusti di Browning mi parvero pi che mai incomprensibili.

Fra Firenze e Bologna ci sono due passi: la Futa e, otto


o nove chilometri pi avanti, il passo di Raticosa. Proprio in cima alla Futa i granduchi costruirono il baluardo
contro il vento. Sotto e sopra, i pendii erano coperti di
neve. In mezzo a tutto quel candore la strada in salita si
snodava come un serpente color fango.
Al riparo del muraglione ci fermammo a fotografare
questo panorama italiano. In quel punto l'aria era calma,
e nella sua immobilit pareva quasi tiepida. Ma sopra le
nostre teste, alla sommit del muro, soffiava il vento. I
fiocchi di neve che esso trasportava davano l'idea della
sua velocit. Riempiva le orecchie del suo frastuono.
Mentre stavo l mi venne in mente una versione abbastanza ridicola e scadente del David Copperfield, che Beerbohm Tree metteva in scena a volte nel teatro His Majesty. Tree sosteneva due parti, Micawber e Peggotty; la
prima, aggiungo tra parentesi, con bravura (era un ottimo attore comico), la seconda, nella sua recitazione pi
patetica, con minor successo. Ma lasciamo andare. Nelle
vesti di Peggotty, Tree non entrava mai in scena senza
l'accompagnamento del vento: faceva parte della finzione marinara. Ogni volta che lui apriva la porta della sua
casetta sulla spiaggia di Yarmouth, dall'oscurit circostante si levava un baccano come un sabba di streghe. In
tutto il corso di quel David Copperfield non c'era mai
tregua nella burrasca. Uuuh.. . uuuh.. . - crescendo e decrescendo. Le signore in platea si rimettevano la pelliccia,
gli uomini tiravano su il bavero della giacca. Era orribile.
Durante questo spettacolo avevo sperato di non dover
mai affrontare un vento simile a quello che soffiava nel
teatro His Majesty. E cos fu fino a quel gelido giorno di
marzo quando ci fermammo sotto il muro granducale
sulla strada da Firenze a Bologna. L sentii per la prima

volta la natura emulare l'arte di Sir Herbert. Un luogo


perfetto, riflettei, per il castello di Browning.
A Pietramala, un paesino sotto il passo di Raticosa, ci
fermammo a far colazione in una piccola locanda. Gli
sfaccendati che si radunarono immediatamente, come
per magia, intorno alla nostra automobile - perch anche a Pietramala, anche nella neve, c'erano appassionati
di automobili per i quali l'arrivo di una Citroen dieci cavalli era un avvenimento - non esitarono a dirci che la
strada sull'altro lato del passo era bloccata dalla neve
portata dal vento. Entrammo a mangiare un po' depressi, e anche un po' seccati con l'uomo del garage di Firenze. Il locandiere, tuttavia, ci rassicur; squadre di spalatori, ci disse, sarebbero arrivati prima della fine del nostro pasto da Pietramala e dal villaggio sull'altro lato del
passo. Per le quattro la strada sarebbe stata sgombra; saremmo arrivati a Bologna prima del buio. Quando gli
chiedemmo se la strada per Firenzuola e Imola era libera,
scosse la testa. Per la seconda volta della giornata gli credemmo.
Le ragioni del locandiere per non dire la verita erano
diverse da quelle dell'uomo del garage. Quest'ultimo aveva mentito per malinteso orgoglio e cortesia; invece i1 locandiere menti per puro interesse personale. Voleva farci
restare per la notte. Ci riusc perfettamente. Alle quattro
ci mettemmo in moto. In cima al passo la neve si era accumulata sulla strada, e non c'era nessuno spalatore in
vista. Tornammo indietro. I1 locandiere cadde dalle nuvole: come, niente spalatori? Non poteva crederci. Ma
l'indomani mattina la strada sarebbe stata infallibilmente
sgombra. Decidemmo di rimanere per la notte.
Avevo portato con me in questo viaggio il secondo volume dell'Enciclopedia Britannica - And.-Aus. un vo-

lume di importanza capitale, dal quale si possono trarre


utili conoscenze sull'Angiosperma, 1' Afasia, l'Anglicanesimo, l'Antrace, l'Asia, l'Aurora Boreale e l'Australia,
per non nominare l'Antropologia, l'Archeologia, 1'Architettura, l'Arte, l'Astrologia e l'Astronomia. Iniziai fiducioso con Animali (culto degli.. .) .L'orso, lessi,
gode di enorme rispetto da parte di tutte le razze selvagge che vengono in contatto con lui.
A me quella sera ispir soltanto un'enorme invidia.
Pensai ai versi di Belloc:

L'Orso Polare P incurante


Del freddo che mi tortura.
Lui, beato, possiede una pelliccia.
Come vorrei averla io pure!
Perch, nonostante il fuoco e i cappotti pesanti, faceva
un freddo spaventoso. I prodotti della mucca, proseguii nella lettura, e apprezzai l'eufemismo riassuntivo,
sono importanti nella magia. Ma non andai oltre; faceva troppo freddo anche per leggere. Sono tuttora nell'ignoranza dei sentimenti degli Indiani Thlinkit per il corvo, dei Kalanghi per il cane e dei Siamesi per l'elefante
bianco. E se sono invece al corrente del fatto che il dio
degli Ottentotti, Cagn, incarnato nella mantide religiosa, Ngo, perch mi sono portato lo stesso volume in un
altro viaggio compiuto d'estate, quando le serate erano
meno inclementi e la mente era libera di dedicarsi a questioni pi nobili del problema della semplice sopravvivenza.

Faceva gi abbastanza freddo nel soggiorno; ma la vera tragedia ebbe inizio quando andammo a letto. Le stanze da letto della locanda non avevano stufa; non c'era la

possibilit di riscaldarle. In quelle stanze si sarebbe potuto conservare all'infinito la carne di montone. Vestiti di
tutti gli indumenti di lana in nostro possesso, ci infilammo nei letti duri come pietra. Fuori il vento continuava a
ululare fra i monti. Fra lenzuola che non volevano scongelarsi, inutile sperare di prendere sonno. Rimasi sveglio
ad ascoltare il rumore del vento, chiedendomi quale effetto potesse avere la bufera su quei getti violenti di gas
naturale che fanno la fama di Pietramala. Quei giganteschi fuochi fatui sarebbero stati spenti dal vento? Oppure
avrebbero continuato ad ardere nonostante la sua furia?
I1 pensiero delle fiamme era confortante; vi indugiai con
un certo compiacimento.
Questi getti di fuoco non sono rari fra gli Appennini
settentrionali. Per esempio Salsomaggiore deve il suo
stemma, una salamandra fra le fiamme, ai suoi zampilli
di gas naturale. in questa forma gassosa che gli idrocarburi degli Appennini fanno la loro comparsa al centro
della catena montuosa. Nelle alture laterali li si pu trovare sotto la forma commercialmente pi utile di petrolio, che ora estratto in piccole quantit nelle colline intorno a Piacenza, Reggio e Modena. Chiss se non vivremo ancora abbastanza per vedere le torri di Canossa
emulate dai castelli di legno delle torri di trivellazione sui
pendii sottostanti.
Le persiane sbattevano, il vento ululava. Decisamente,
nessuna fiamma poteva ardere nei vortici di un simile uragano. Poveri ignes fatui! Come li avremmo accolti con
gioia in questa casa di ghiaccio! Con quale amore di vestali avremmo alimentato qualsiasi fuoco, anche se fatuo!
Dal pensiero di quelle fiamme e dal desiderio di averle
con me nella stanza, passai a chiedermi perch mai i getti
di gas di Pietramala mi fossero cos stranamente familia-

ri. Ne avevo letto qualcosa? Li avevo sentiti nominare recentemente in qualche conversazione? Mi lambiccavo il
cervello. E ail'improvviso ricordai: avevo letto su Pietramala in Life and Letters of Faraday di Bence Jones.
In una giornata piovosa dell'autunno 1814 due turisti
inglesi piuttosto insoliti scesero dal loro calesse nello
squallido paesino di Pietramala. Uno di essi era vicino alla mezz'et, l'altro era ancora molto giovane. Si chiamavano Sir Humphry Davy e Michael Faraday. Erano lontani dall'Inghilterra da circa un anno. Infatti erano sbarcati in Francia nell'anno 1813, poco prima che giungesse
a Parigi la notizia della battaglia di Lipsia. A noi pare
nell'ordine naturale delle cose che la scienza e la religione
siano questioni di interesse nazionale, che gli ecclesiastici
gridino Urr e Alleluja e i chimici si entusiasmino per
la bandiera e per HzS04,Ma non fu sempre cos. Dio e le
opere di Dio erano un tempo considerate faccende internazionali. Dio fu il primo a essere nazionalizzato; dopo la
Riforma ridivenne ancora una volta strettamente tribale.
Ma la scienza e anche l'arte erano ancora al di sopra del
patriottismo. Nel diciottesimo secolo Francia e Inghilterra
si scambiavano le idee quasi nella stessa misura che le cannonate. Le spedizioni scientifiche francesi potevano passare indisturbate fra le squadre navali inglesi; Sterne era
accolto calorosamente dai nemici del suo paese. La consuetudine si protrasse ancora nell'Ottocento. Napoleone
confer onorificenze a uomini di scienza inglesi; e quando, nel 1813, Sir Humphry Davy chiese l'autorizzazione
a viaggiare sul continente, gli fu subito concessa. Fu ricevuto a Parigi con sommi onori, fu fatto membro dell'Istituto di Francia, e nonostante la durezza e l'arroganza
insopportabili di cui dava abitualmente prova, durante
tutto il suo soggiorno in Francia fu trattato con la massi-

ma cortesia. Nel nostro pi illuminato ventesimo secolo


sarebbe stato fucilato come spia o internato.
Irrequieto ed eccentrico, Davy corse attraverso 1'Europa alla ricerca della verit scientifica. Tutto era pane per i
denti. A Genova fece esperimenti elettrici sulle torpedini. A Firenze si fece prestare il grande specchio ustorio dei Granduchi e con questo diede fuoco a un diamante. A Roma analizz i pigmenti usati dai pittori dell'antichit. A Napoli fece esperimenti sullo iodio ed escursioni
sul Vesuvio. Lo accompagnava ovunque Michael Faraday in qualit di ((assistente in esperimenti e scrittura)).
Lady Davy, invece, tent di usarlo come messaggero e
anche come servitore di fiducia. I1 giovane Faraday trovava un po' pesante questa posizione; solo la coscienza di
avere un'opportunit senza pari per completare la sua
istruzione lo decise a conservare il suo posto. La personalit di Sir Humphry poteva avere dei lati negativi ( noto
che pi tardi Faraday dichiar che il pi grande fra tutti
i grandi vantaggi da lui goduti era l'avere avuto in Davy
un modello per insegnargli quello che doveva evitare);
ma egli fu senza dubbio una miniera di conoscenze scientifiche. Essergli costantemente vicino, come Faraday durante quei diciotto mesi di viaggio, fu per lui un'educazione classica. I1 giovane Faraday lo sapeva e si rassegnb
alla tirannia di Lady D.
A Pietramala, dunque, si fermarono sotto la pioggia
scrosciante - e certamente nella furia del vento - per
osservare i fuochi d'artificio naturali. Campioni di gas
furono messi in bottiglia e portati a Firenze per analizzarli. Sir Humphry arriv alla corretta conclusione che si
trattava di un idrocarburo leggero praticamente puro.
A questo desolato villaggio in cresta agli Appennini
Faraday dedica un paio di pagine del suo diario. A Firen-

ze, salvo nominarla come citt dove si trovavano le attrezzature adatte per gli esperimenti, non dedica invece
alcuno spazio. Faraday non mostrava interesse per le
opere dell'uomo, nonostante la loro bellezza. Era interessato unicamente alle opere di Dio. In lui c' una straordinaria coerenza. Tutto ci che scrive nel diario e nelle lettere perfettamente conseguente. sempre il filosofo nato. Scoprire la verit il suo unico fine e interesse. La sua
strada inalterabilmente fissata. Non si concede mai di
esserne sviato - non dall'arte, che ignora quasi del tutto;
non dalla politica, che nelle tremende scene finali del
dramma napoleonico nomina casualmente una o due volte; non dal piacere di occasionali rapporti sociali, anche
se trov sempre il tempo per coltivare l'amicizia - ma su
quella strada procede con fermezza, perseveranza, modestia, disinteresse, e infine trionfalmente, da uomo di genio vittorioso.
Oltre la scienza il suo grande interesse fu la religione.
La battaglia fra la scienza e la teologia dogmatica, che infuri nella seconda met del diciannovesimo secolo, diede l'impressione, che ancora sussiste, che ci sia una netta
incompatibilit fra la religione e la scienza. La storia dimostra che in realt questa incompatibilit non esiste. Se
leggiamo le biografie dei tre uomini di scienza pi geniali
(nel significato francese) che abbia dato l'Inghilterra Isaac Newton, Faraday e James Clerk Maxwell - scopriremo che tutti e tre furono profondamente religiosi.
Newton dedic la maggior parte della sua lunga esistenza
d'interpretazione delle profezie bibliche. Faraday fu un
convinto e ardente cristiano della setta Sandemaniana.
Maxwell fu un grande mistico oltre che un grande scienziato; ci sono lettere sue che testimoniano la sua appartenenza alla corrente di Boehme e Swedenborg (anche que-

st'ultimo, per inciso, fu un eminente uomo di scienza).


Tutto questo non dovrebbe sorprenderci. Un astronomo miscredente un folle)): attenuandola, questa affermazione retorica contiene una certa verit. Infatti impossibile studiare da vicino la natura senza convincersi
della singolarit e del mistero di un mondo familiare nel
quale la maggioranza degli esseri umani passano la loro
vita senza porsi alcuna domanda. Pi si allarga la nostra
conoscenza e pi ci rendiamo conto delle sue implicazioni, pi misterioso ci appare questo universo. Certi uomini devono essere stupidi e privi di fantasia se studiano gli
oscuri processi della vita, i movimenti delle stelle, l'intima struttura della materia senza provare ogni tanto un
senso di timore e di sgomento. Nelle file degli scienziati di
professione tali uomini trovano indubbiamente il loro
posto; ci sono persone prive di fantasia in tutti i mestieri,
da quello di fantino a quello di vescovo. Ma in genere
non eccellono nel loro lavoro. Senza immaginazione e
senza sensibilit impossibile essere un bravo uomo di
scienza. difficile trovare un grande scienziato che non
sia stato colto da questo senso di meraviglia di fronte al
mistero delle cose. Essa si rivela in modi diversi secondo
la formazione e il temperamento di chi la prova. Per
qualcuno, in una religiosit tranquilla e ortodossa; per
altri, restii a pronunciarsi decisamente circa la natura del
mistero che li circonda, nell'agnosticismo; in certi casi
(Maxwell e Swedenborg ne sono degli esempi) lo scienziato dotato delle particolari qualit mentali del mistico; in
altri casi infine troviamo uomini in possesso di queste
stesse doti mistiche ma allo stato grezzo, in certo modo
grossolane (perch ci sono mistici elevati e mistici mediocri, proprio come ci sono artisti buoni e altri scadenti),
allora abbiamo non un Maxwell con il suo misticismo

raffinato, ma un Newton interprete di libri profetici. Per


Faraday il corollario e il complemento della scienza era il
cristianesimo protestante. La sua meraviglia e il suo timore di fronte al mistero affascinante del mondo si esprimeva nei suoi incontri Sandemaniani e nella lettura della
Bibbia. Nella scala dei mistici egli si colloca circa a met
strada fra Maxwell e Newton, senza doti eccelse ma neppure ordinarie, una specie di Andrea del Sarto fra Giotto
da una parte e Caravaggio dall'altra. Un Cherubini fra
Mozart e Strauss.
Quel re che nella favola di Anatole France poteva guarire dalla sua malinconia solo indossando la camicia di
un uomo felice, avrebbe potuto saggiamente rivolgersi a
Faraday. Una sua camicia sarebbe stata un rimedio specifico contro la malattia del re. Perch, se mai vi fu un uomo felice, lui certamente lo fu. Per tutta la sua vita fece
per mestiere le cose che desiderava fare. Conoscere, scoprire la verit - questo era il suo desiderio. Un desiderio
il cui appagamento non causa delusione o noia, come accade per quasi tutti i desideri umani. Poich non ci sono
limiti alla verit, ogni aspetto di essa, una volta scoperto,
ne rivela altri ancora da scoprire. L'uomo che aspira alla
conoscenza non prova mai saziet, perch il conoscibile
perpetuamente nuovo. Potrebbe vivere innumerevoli vite
e non annoiarsi mai. Certo, il mondo conoscibile non
tutto. C' anche il mondo dei sentimenti; c' anche quello inconoscibile all'uomo. Nel nostro rapporto con questi
due mondi c' grande spazio per l'infelicit. Ma Faraday
fu felice anche sul piano sentimentale. I1 suo matrimonio
fu un completo successo; ebbe ottimi amici; ebbe un tenore di vita normale e non desider pi di quello che aveva. Fu altrettanto fortunato nel suo rapporto con l'inconoscibile. I problemi della vita, come vengono chiamati,

non lo tormentarono mai. Una loro soluzione anticipata


gli fu offerta dalla religione nella quale era cresciuto:
non pass attraverso nessuna crisi come quella che port
Tolstoj sull'orlo del suicidio. interessante osservare
come abbia separato nettamente il campo della scienza
da quello della religione, il conoscibile dall'inconoscibile. L'arcano consiste non in come il mondo, ma nel
fatto che esso , ha detto Wittgenstein. E ancora: Per
una risposta che non pub essere formulata neppure la
domanda pu essere formulata. L'enigma non si pone ...
La soluzione del problema della vita da vedere nella
sparizione del problema stesso. (Non questa la ragione
per cui certi uomini, ai quali dopo lunghe incertezze si
chiarito il significato della vita, non saprebbero dire in
che cosa consistesse quel significato?) Faraday fu un
uomo felice in quanto non ebbe mai dubbi, non tent
mai di porre domande non formulabili alle quali non c'
risposta possibile. Com' il mondo, questo si propose di
scoprire, con maggior successo di quello che arrise a
molti ricercatori. Non si tortur la mente chiedendosi
perch o che cosa esso . La sua religione gli offr la
spiegazione del perch; o per essere pi esatti (poich
non c' nessuna spiegazione) lo aiut a contemplare il
mondo sub specie aeterni, come un tutto limitato . I1
sentimento dei mondo come un tutto limitato il sentimento mistico. Faraday possedeva questo sentimento;
forse non nella sua forma pi raffinata, ma in maniera
genuina. Le sue relazioni con l'inconoscibile erano dunque altrettanto soddisfacenti quanto quelle con ci che
pu essere conosciuto.
Fra i filosofi nati Faraday non fu certo l'unico a essere
felice. Veramente, come classe, direi che gli uomini di
scienza sono pi felici di altri uomini. A priori, e quasi

per definizione, dovrebbero esserlo. E quando si leggono


le loro vite si scopre che in realt generalmente lo furono.
Com' sempre ammirevole la vita degli scienziati nati!
C' in loro un'onest, un'unit di propositi che appare
invidiabile e meravigliosa a noi poveri mortali preoccupati di tante cose diverse.
Se potessi nascere un'altra volta e scegliere che cosa essere nella mia successiva esistenza, vorrei essere uno
scienziato - non per caso ma per natura, ineluttabilmente. I1 destino potrebbe offrirmi altre alternative - avere
potere o ricchezza, essere re o uomo di stato. Non avrei
difficolt a respingere queste lusinghiere tentazioni; infatti la mia avversione per l'irritante trambusto della vita
pratica perfino pi forte del mio amore per il denaro e il
potere, e poich questi non si ottengono senza immergersi nella vita pratica, posso rinunciarvi a cuor leggero.
facile eleggere a virt una necessit psicologica. L'unica
cosa che potrebbe rendermi esitante sarebbe l'offerta di
ingegno artistico da parte del destino. Ma anche se potessi essere Shakespeare, credo che sceglierei comunque di
essere Faraday. Certo, la gloria postuma di Shakespeare
maggiore di quella di Faraday; gli uomini leggono ancora Macbeth, non pi (anche se sono elettrotecnici) le
Ricerche sperimentali in elettricit. I1 lavoro di uno scienziato una creazione sulla quale altri costruiscono; offre
spunti per ulteriori sviluppi. Se vogliamo studiare l'elettricit, leggiamo quello che ne dicono i moderni successori e discepoli di Faraday. Macbeth invece una cosa compiuta, non una scoperta che altri uomini possono perfezionare. In arte non esiste quella cosa che si chiama progresso. Ogni artista ricomincia da capo. L'uomo di scienza, al contrario, comincia dal punto in cui si sono interrotti i suoi predecessori. Da un'epoca all'altra cambiano

le opinioni e i concetti, sotto il peso dell'esperienza accumulata. Il lato umano degli istinti e dei sentimenti, essendo ereditario, rimane lo stesso. Lo scienziato fornisce l'esperienza che cambia le idee della razza; con il passare del
tempo le sue scoperte sono superate. L'artista non mai
superato, perch lavora su una materia che non cambia.
Le liriche composte da un poeta dell'et paleolitica ci
commuoverebbero ancora. Ma le idee di un astronomo di
quella stessa epoca avrebbero per noi un interesse puramente storico e accademico.
Eppure, nonostante tutto, preferirei ancora essere Faraday invece che Shakespeare. La fama postuma non
procura a nessuno molte soddisfazioni da questa parte
della tomba; e sebbene la coscienza di possedere un grande talento artistico debba essere di profonda soddisfazione, e il suo libero esercizio fonte di felicit, mi pare che il
possesso e l'esercizio del talento scientifico sia ancora pi
soddisfacente. Infatti l'artista, la cui funzione esprimere adeguatamente e trasmettere agli altri le comuni emozioni umane, deve fatalmente passare gran parte della
sua vita nel mondo affettivo dei contatti umani. Le sue
riflessioni sul mondo, le sue reazioni personali ai contatti
- questo forma la materia della sua arte. I1 mondo nel
quale lo scienziato passa la parte della sua vita dedicata al
lavoro non quello umano, non ha nulla a che vedere
con i contatti personali e le reazioni affettive. Siamo tutti
assoggettati al lavoro che facciamo; personalmente, io
preferirei essere assoggettato alla contemplazione intellettuale che al sentimento, preferirei usare il mio spirito
nell'impegno di conoscere pi che di sentire.
Uno dei piccoli svantaggi di essere un grande artista il
notevole prestigio sociale di cui gode. L'arte oggetto di
snobismo in misura molto maggiore della scienza. Si pen-

sa che la presenza di un rinomato poeta o pittore dia un


tono speciale a un pranzo importante. raro che una padrona di casa vi inviti alla sua tavola per conoscere un
biochimico, sia pure insigne. La ragione semplicemente: tutti pensano di poter apprezzare le arti - e fino a un
certo punto vero - mentre sono ben pochi quelli che
possono capire gli aspetti tecnici della scienza. (Vanamente, ahim, vorrei appartenere a quella minoranza.) A
ci dovuta l'invidiabile immunit degli scienziati dall'intrusione di frivoli seccatori. L'artista, invece, una
delle prede preferite del ricco sfaccendato; un buon esem-

plare vale almeno quanto un ambasciatore, quasi come


un principe indiano. Se l'artista un uomo di carattere
trover che le attenzioni di questi cacciatori di celebrit
non sono pericolose ma profondamente irritanti. Sono
pericolose soltanto per quelli che si lasciano catturare.
piacevole essere adulati; e se si ha voglia di sprecare il
proprio tempo, il modo pi facile dedicarsi alle relazioni sociali superficiali. L'artista che cede alle tentazioni
sociali perde tutto: il suo tempo, la sua onesta, il suo senso delle proporzioni, perfino la speranza di realizzare
qualcosa di importante. una disgrazia esporsi a queste
tentazioni.
Verso il mattino, quando, come una braciola di montone su un piatto freddo, avevo un po' scongelato il mio
letto, i fantasmi di Michael Faraday e di Sir Humphry
Davy si allontanarono, lasciandomi solo con i miei desideri repressi. Di quale natura fossero, non so esattamente. Ad ogni modo sfociarono, idealmente e simbolicamente, in un incubo confuso di automobili e mucchi di
neve.
Quando ci alzammo soffiava ancora il vento. Passammo la mattinata tremando nella saletta della locanda-

Ogni qualche minuto veniva il padrone con le notizie circa la situazione sul passo. Messaggi telefonici erano arrivati da Firenze e Bologna; era stata mobilitata una squadra di spalatori, che ora era in azione; un uomo appena
arrivato dal passo li aveva visti al lavoro; per le due la
strada sarebbe stata certamente libera. Dopo ogni elenco
di notizie, faceva un inchino, sorrideva, si fregava le mani e tornava in cucina a inventare il successivo. Aveva
una fertile immaginazione.
Mi dedicai a una lettura intermittente della voce: Chiesa Armena. Ma il mio interesse era fiacco. Avevo troppo
freddo per provare entusiasmo alla scoperta che i vecchi
inni sacrificali erano probabilmente osceni e certamente
senza senso)). Ricordando quella frase in successive estati, mi ha divertito considerare come essa descriva bene, in
modo conciso, non soltanto gli inni sacrificali dell'Armenia precristiana, ma una grande quantit di arte moderna
e di cosiddetta scienza - per esempio la maggior parte
della letteratura psicoanalitica, la musica di Schreker,
molta pittura espressionista, l'Ulisse e cos via. Quanto
alla meno moderna pseudoscienza e pseudoarte, dallo
spiritualismo al cinema commerciale, non hanno neppure
il pregio dell'oscenit a salvarle; sono semplicemente senza senso.
La mattinata pass; venne l'ora di colazione. Dopo un
pasto a base di spaghetti e capretto arrosto, ci sentimmo
un po' pi forti e meno gelati. Come vanno le cose sul
passo? chiedemmo. Ma il nostro locandiere parve improvvisamente aver perduto la sua onniscienza e con essa
il suo ottimismo. Non sapeva che cosa stesse succedendo
e ci consigli di aspettare ancora un po'. Ad ogni modo
per le cinque tutto sarebbe stato a posto. E la strada per
Firenzuola? Quella era impraticabile, ne era sicuro. Ci la171

sci nel dubbio sul da farsi; se aspettare o ritornare a Firenze. Eravamo ancora in uno stato di penosa incertezza
quando un messaggero mandato dal cielo sotto forma di
un uomo con calesse e cavallo si ferm alla porta della locanda. Ci rivolgemmo a lui per aiuto. Miracolo! Non soltanto conosceva la verit; ce la rivelb nuda e cruda. Nessuno spalatore, ci assicur, era al lavoro sul passo; e non
ne avrebbero mandati finch non cambiava il vento (poich quando il vento soffiava in quella direzione la neve,
appena spalata, era risospinta sulla strada). Il vento poteva cambiare in serata, certo; d'altra parte poteva anche
cambiare la prossima settimana. Ma se volevamo andare
a Bologna, perch non avevamo preso la strada di Firenzuola? S, perch? disse il locandiere, che si era unito a
noi e ascoltava la conversazione. Perch non prendere la
strada di Firenzuola? Si rendeva conto che i giochi erano
fatti e che non restava nessuna speranza di farci fermare
per un'altra notte. Perch no? Lo guardammo in modo
significativo, in silenzio. Ci sorrise in risposta, con inalterabile buonumore, e rientrb a compilare il conto.
Partimmo. Il cielo era biancastro e pieno di nubi in
movimento. Qua e l le bianche montagne erano spennellate di nero, dove le pareti erano troppo a strapiombo per
permettere alla neve di fermarsi. Da La Casetta infilammo la strada che scende a rotta di collo e tutta curve nella
valle del Santerno. Fra le sue mura Firenzuola era cupa,
antica, triste. Di l la strada segue il Santerno. Il fiume si
e scavato un corso tortuoso fra le montagne. La valle
stretta e profonda; qua a l il fiume e la strada corrono
fra pareti rocciose perpendicolari, formate da fasce oblique di stratificazioni sovrapposte. Poi lentamente la valle
si allarga, le montagne si trasformano in brulle colline.
Ai piedi di queste c' la pianura, racchiusa qui tra le

montagne e il mare, ma in continua espansione a mano a


mano che si va verso nord e si raggiunge l'ininterrotta
piattezza della pianura padana.
A Imola imboccammo la grande Via Emilia che corre
in costante linea retta da Rimini a Piacenza. E quali citt
si sgranano lungo quel teso filo bianco! Cesena, Forl,
Faenza, Imola, Bologna, Reggio, Modena, Parma perla dopo perla.
Quando entrammo a Bologna era buio e le vie erano
piene di persone in maschera. Era l'ultimo giorno di carnevale. Ci facemmo strada attraverso la gente, suonando
il clacson. Maschere! * ci gridavano mentre passavamo: e con i nostri berretti a visiera e le nostre sciarpe sembravamo anche noi vestiti da carnevale. Non era un grande spettacolo; qualche ragazza in domino, qualche studente chiassoso in costume - tutto qui. Pensai alle brillanti esibizioni e mascherate del passato. Divertenti, certo; ma non si dovrebbe rimpiangerle. Perch le esibizioni
e le mascherate sono sintomi di cattivo governo. I tiranni
passano la loro vita al centro di uno sfarzoso balletto. I1
popolo oppresso, troppo povero per pagarsi i propri divertimenti, tenuto allegro da queste messinscene regali,
completamente gratuite. E nel corso di periodici Saturnali gli schiavi possono sublimare i loro istinti ribelli in giochi sfrenati. Se il carnevale decaduto, lo stesso stato
dell'oppressione. E dove il popolo ha le monetine per andare al cinema, non necessario ai re e ai papi organizzare i loro balletti. Comunque lo spettacolo valeva ben poco; trovai che avrebbero potuto festeggiare il nostro arrivo a Bologna in modo piu degno.

* In italiano nel testo.

Lavoro e tempo libero

I riformatori guardano a un futuro in cui un'efficiente


organizzazione sociale e macchinari perfezionati aboliranno la necessit del lavoro duro e prolungato, rendendo possibile a tutti gli uomini e donne una quantit di
tempo libero quale ne godono oggi unicamente pochi privilegiati. In quell'et dell'oro nessuno avr bisogno di lavorare pi di quattro o cinque ore al giorno. Ognuno potr disporre del tempo restante come meglio gli piacer.
Una persona sensibile non pub non essere d'accordo
con questa aspirazione. Si deve essere prepotentemente
sicuri della propria qualit di superuomini per poter accettare di buon grado la schiavitu sulla quale si basa la
possibilit di essere superuomini. I1 povero Nietzsche fin
per firmare le sue lettere Nietzsche Caesare mor in
manicomio. Forse questo il prezzo che occorre pagare
- comunque dalle persone intelligenti, poich gli stupidi
non pagano mai nulla, come pure non ricevono nulla per un'incrollabile convinzione di superiorit.
Ma essere d'accordo su un progetto ideale non signifi-

ca necessariamente non criticarlo; si pu essere fortemente coinvolti in un problema, ma non per questo si deve
smettere di pensare. La maggior parte degli esseri umani
sono oppressi dal lavoro eccessivo del genere pi insulso.
Questo fatto pub e dovrebbe comunque suscitare la nostra indignazione e la nostra piet. Ma questi sentimenti
non devono impedirci di criticare il progetto di coloro
che vogliono cambiare il presente stato di cose. I riformatori sociali auspicano un'organizzazione che consenta a
tutti gli uomini di godere dello stesso tempo libero, o
quasi, di cui godono oggi le classi privilegiate. Nonostante tutta la nostra comprensione, ci sia concesso di dubitare che la realizzazione di quel progetto sia davvero cos
auspicabile.
Cominciamo con una semplice domanda: come si suggerisce che gli esseri umani impieghino il tempo libero
che la riorganizzazione sociale e i macchinari perfezionati
offriranno loro?
I profeti del futuro danno generalmente la stessa risposta a questa domanda, con lievi varianti a seconda dei loro gusti diversi. Henri Poincar, ad esempio, immagin
che gli uomini del futuro avrebbero riempito le loro lunghe parentesi di tempo libero ((contemplando le leggi della natura)). George Bernard Shaw all'incirca della stessa opinione. Avendo smesso, giunti all'et di quattro anni, di trovare qualsiasi interesse in cose puerili come l'amore, l'arte e la compagnia degli altri esseri umani, i vegliardi di Torniamo a Matusalemme dedicano le loro vite
prolungate all'infinito a meditare sulla misteriosa e miracolosa bellezza del cosmo. H.G. Wells, in Men like Gods,
descrive una razza di chimici e fisici atletici che vanno in
giro nudi e, a differenza degli austeri vegliardi di Shaw,
praticano il libero amore in modo razionale fra un esperi175

mento e l'altro. Si interessano pure di arte e non disdegnano di darsi al gioco.


Queste tre risposte alla nostra domanda sono tipiche.
Profeti diversi possono valutare diversamente il grado di
importanza delle varie attivit che costituiscono quello
che viene chiamato pi alto livello di vita; ma tutti sono d'accordo sul fatto che la vita dei nostri posteri, liberati dalla fatica, sar di alto livello. Essi saranno avidi di
conoscere il meglio che stato detto e pensato)) su ogni
cosa; ascolteranno concerti della musica pi raffinata; si
dedicheranno all'arte e all'artigianato (almeno fino al
giorno in cui anche queste occupazioni sembreranno puerili); studieranno le scienze, la filosofia, la matematica e
mediteranno sull'affascinante mistero del mondo nel
quale vivranno.
In breve, queste masse privilegiate di un futuro che
non c' motivo di credere infinitamente lontano - veramente, i nostri nipoti possono arrivare a vedere l'istituzione della giornata lavorativa di quattro ore - faranno
tutte le cose che le classi agiate attuali sono cos manifestamente incapaci di fare.
Quante sono oggi le persone ricche e libere dai lavoro
che passano il loro tempo a contemplare le leggi delia natura? Non potrei dire; so soltanto che ne incontro molto
raramente. Molte di loro, vero, si dedicano ai mecenatismo e perfino all'esercizio dilettantesco dell'arte. Ma
chiunque abbia frequentato la gente ricca e artistica sa
quanto questo gusto per le arti sia dovuto a snobismo,
quanto siano in gran parte superficiali e insinceri quegli
entusiasmi tanto strombazzati. Le classi privilegiate si dedicano all'arte per le stesse ragioni per cui si dedicano al
bridge - per sfuggire alla noia. Insieme allo sport e all'amore, l'arte li aiuta a riempire il vuoto della loro esistenza.

A Montecarlo e Nizza si incontrano questi ricchi i cui


interessi dominanti sono il gioco e l'amore. Secondo la
mia guida di viaggio sono due milioni le persone che ogni
anno visitano la sola Montecarlo. Sette ottavi dell'intera
popolazione agiata d'Europa si concentrano annualmente su quel tratto di costa. Cinquemila complessi jazzistici
suonano giornalmente per il loro diletto. Centomila veicoli a motore li trasportano velocemente da un luogo all'altro. Enormi societ per azioni offrono loro ogni genere di svaghi, dalla roulette al golf. Legioni di prostitute si
radunano qui da tutte le parti del globo, e abbondano gli
entusiasti seguaci dell'amor cortese. Per quattro mesi all'anno la Riviera francese un paradiso terrestre. Passati
i quattro mesi, i ricchi sfaccendati ritornano alle loro
nordiche case, dove trovano ad aspettarli meno splendide
ma autentiche succursali del paradiso appena lasciato.
I ricchi sfaccendati di Montecarlo sono coloro, ho detto, le cui principali risorse contro la noia o i pensieri seri
sono l'amore e il gioco. Molti di loro sono anche ((artistici. Ma non credo sia a Montecarlo che si trovano i migliori esemplari di ricchi artistici. Per vederne il meglio si
deve andare a Firenze. Firenze la sede di coloro che coltivano con pari ardore la passione per il mah-jong e per il
Beato Angelico. Sulla loro tazza di t con pasticcini discorrono, se sono troppo vecchi per fare loro stessi l'amore, dei loro lascivi conoscenti pi giovani; ma fanno
anche schizzi all'acquerello e leggono i Fioretti di San
Francesco.
Per equit verso i ricchi sfaccendati non posso omettere di menzionare quella rispettabile minoranza che si occupa di opere di carit (per non dire tirannia), di politica,
di amministrazione locale e saltuariamente di studi eruditi o scientifici. Esito a usare la parola servizio; perch

stata sbandierata cos spesso come un ideale da una tale

marmaglia di proprietari di giornali, rudi uomini d'affari


e moralisti di mestiere appartenenti all'YMCA, che ha
perduto ogni significato reale. L'ideale del servizio
realizzato, secondo i nostri moderni messia, da quelii che
fanno un lavoro efficiente e proficuo con quel tanto di
onest che li salva dalla galera. Cos una banale attivit
commerciale esaltata come un'ammirevole virt. L'ideale del servizio che anima buona parte della classe agiata inglese non ha niente a che vedere con gli ideali del servizio cos spesso nominati nella pubblicit delle riviste
americane. Se non avessi chiarito questo punto, il mio
elogio avrebbe potuto essere giudicato, se non proprio
offensivo, almeno odiosamente vago.
Esiste, infine, una minoranza ammirevole. Ma, anche
quando questa minoranza e le sue occupazioni siano tenute nel dovuto conto, onestamente non si pu dire che le
classi agiate del nostro tempo, o di qualsiasi periodo storico che conosciamo, siano un'ottima pubblicit per i1
tempo libero. L'osservazione della vita sfaccendata di
Montecarlo o anche dell'artistica Firenze non affatto
incoraggiante o edificante.
N ci rassicura molto osservare le occupazioni dei poveri lavoratori durante le brevi ore di riposo concesse loro fra il lavoro e il sonno. Guardare gli altri che giocano,
andare al cinema, leggere il giornale e qualche romanzo
scadente, ascoltare concerti alla radio e dischi sul grammofono, spostarsi su treni e autobus - queste, immagino, sono le occupazioni principali del tempo libero dell'operaio. Il loro basso costo quello che le distingue dagli svaghi dei ricchi. Prolunghiamo il tempo libero e che
cosa accadr? Dovranno esserci pi cinema, pi giornali,
pi cattivi romanzi, pi radio e pi automobili a basso

prezzo. Se la ricchezza e l'istruzione aumentano con il


tempo libero, allora ci dovranno essere pi Balletti Russi
e pi film, pi Times e pi Daily Mail, pi casinb, pi
corse di cavalli e pi partite di calcio, pi costosi spettacoli d'opera e piu dischi grammofonici, piu Hugh Walpole e pi Nat Gould. Ci si pu aspettare che, agendo sugli stessi organismi, le stesse cause producano gli stessi effetti. E in linea generale, considerando il corso della storia, la natura umana praticamente immutabile; l'organismo rimane lo stesso. Argal, come avrebbe detto Lancillotto Gobbo.. .
Stando cos le cose, dobbiamo ancora supporre che
l'aumento del tempo libero sar accompagnato da un'equivalente maggiore incidenza di quelle malattie dello
spirito - noia, irrequietezza, malinconia e generica stanchezza del mondo - che affliggono le classi agiate e le
hanno sempre afflitte anche in passato.
Un altro risultato dell'aurnento del tempo libero, ammesso che sia accompagnato da un livello di vita abbastanza alto, sar un notevole aumento dell'interesse per
tutte le questioni di natura amorosa da parte di quella che
ora la classe lavoratrice. L'amore, nei suoi aspetti pi
ricchi e complessi, pu fiorire soltanto in una societ
composta di persone ben nutrite e libere da impegni. Esaminate la letteratura che e stata scritta da e per membri
delle classi agiate e paragonatela con la letteratura popolare e operaia. Confrontate La Principessa di C l v e con
s
Il viaggio del pellegrino, Proust con Charles Garvice, il
Troilo e Criseide di Chaucer con le sue ballate. subito
abbastanza evidente che le classi agiate hanno e sempre
hanno avuto nei confronti dell'arnore un interesse pi vivo e, potrei dire, pi professionale di quello dei lavoratori. Un uomo non puo lavorare sodo e nello stesso tempo

coltivare complicate relazioni amorose. L'amore, almeno


nel modo in cui lo intendono le donne libere da impegni,
un'occupazione a tempo pieno. Richiede sia energie che
tempo libero. E queste sono esattamente le cose che mancano a chi lavora sodo. Riducete le sue ore di lavoro e otterr l'una e l'altra cosa.
Se domani o fra un paio di generazioni fosse reso possibile a tutti gli esseri umani condurre la vita libera che
oggi privilegio di pochi, i risultati, per quanto posso immaginare, sarebbero i seguenti: ci sarebbe un enorme aumento della domanda di quegli svaghi e surrogati del
pensiero che sono i giornali, i film, i romanzi, i mezzi di
comunicazione a buon mercato e i radiotelefoni; detto in
termini pi generici, un aumento della domanda di divertimenti e di arte. L'interesse per la bella arte dell'amore
crescerebbe enormemente. E innumerevoli persone, immuni fino a quel momento da queste malattie mentali e
morali, sarebbero invece afflitte dalla noia, dalla depressione e da una insoddisfazione universale.
I1 fatto che la maggioranza degli esseri umani, educati come sono attualmente, non saprebbero rinunciare a
dedicare il loro tempo libero a occupazioni che, pur non
essendo riprovevoli in s, sono per insulse e futili e, quel
che peggio, sentite segretamente come tali.
A Tolstoj l'idea di benessere universale sembrava assurda e anche peccaminosa. Considerava dei folli quei riformatori sociali che proponevano l'ideale di realizzare il
benessere universale. Essi aspiravano a rendere tutti gli
uomini simili a quella gente cittadina ricca e oziosa in
mezzo alla quale lui aveva passato la sua giovent e che
disprezzava cos profondamente. Secondo lui non erano
altro che cospiratori contro il bene della razza.
Per Tolstoj la cosa importante non era che i lavoratori

ottenessero pi tempo libero, ma che i privilegiati lavorassero. 11 suo ideale sociale era il lavoro per tutti in un
ambiente naturale. Voleva vedere tutti gli uomini e le
donne vivere in campagna e sostentarsi con i prodotti dei
campi che loro stessi coltivavano. I creatori di utopie
amano profetizzare che verr un tempo in cui gli uomini
abbandoneranno l'agricoltura e vivranno di cibi sintetici;
per Tolstoj l'idea era semplicemente ripugnante. Ma,
bench avesse certo ragione di provarne orrore, i profeti
dei cibi sintetici sono probabilmente pi lungimiranti di
lui. pi verosimile pensare a un'umanit urbanizzata
piuttosto che completamente dedita alla vita rurale. Ma
queste ipotesi non ci interessano qui. Ci interessa invece
l'opinione di Tolstoj sul tempo libero.
La sua awersione per la vita comoda era dovuta alla
sua esperienza di giovane inoperoso e alla sua osservazione di un ambiente di ricchi e sfaccendati. Arriv alla conclusione che, come stanno le cose, la vita comoda in genere pi una maledizione che una fortuna. difficile non
essere d'accordo con lui quando si visita Montecarlo o
qualcuno degli altri paradisi terrestri dei ricchi. Molti cervelli riescono a essere attivi soltanto se forzati. La vita
comoda un vantaggio unicamente per coloro che desiderano, anche non costretti, fare un lavoro mentale. In
una societ composta interamente di menti attive il tempo libero sarebbe una vera benedizione. Una simile societ non mai esistita e non esiste neppure oggi. Potr mai
essere realizzata?
Una risposta affermativa verr da chi crede che si possa porre rimedio a tutte le deficienze della natura con
un'educazione adeguata. E in realt abbastanza chiaro
che la scienza dell'educazione ancora in uno stadio molto rudimentale. Possediamo sufficienti conoscenze di fi181

siologia per inventare degli esercizi ginnastici che sviluppino il corpo fino al pi alto grado di efficienza. Ma la
nostra conoscenza della mente, e soprattutto delle sue
possibilit di crescita, molto meno completa; e anche
quella poca che possediamo non applicata sistematicamente n universalmente ai problemi dell'educazione. Le
nostre menti sono come i corpi fiacchi degli abitanti sedentari delle citt - inefficienti e imperfettamente sviluppate. Per un gran numero di persone lo sviluppo intellettuale cessa quasi del tutto nell'infanzia; affronta la vita con le facolt intellettuali dei ragazzini di quindici anni. Un corso appropriato di ginnastica mentale, basata su
reali cognizioni psicologiche, permetterebbe a tutte le
menti di raggiungere il loro massimo sviluppo. Splendida
prospettiva! Ma il nostro entusiasmo per l'educazione si
raffredda un po' se consideriamo qual realmente il massimo sviluppo che pu essere raggiunto dalla maggior
parte degli esseri umani. Riguardo a queste particolari facolt, gli uomini dotati di talento sono, rispetto a quelli
che ne sono privi, come gli esseri umani rispetto ai cani.
i n fatto di matematica, io sono un cane in confronto a
Newton; in fatto di musica, un cane in confronto a Beethoven; ancora un cane in fatto di arte in confronto a
Giotto. Per non parlare del fatto che sono un cane come
funambolo in confronto a Blondin; un cane come giocatore di biliardo in confronto a Newman; un cane nella
boxe in confronto a Dempsey; un cane come assaggiatore
di vini in confronto al padre di Ruskin. E cos via. Anche
se fossi perfettamente istruito in matematica, musica,
pittura, funambolismo, gioco del biliardo, boxe e degustazione di vini, diverrei soltanto un cane ammaestrato
invece che un cane allo stato naturale. L'eventualit mi
d una soddisfazione molto moderata.

L'educazione pu assicurare a ogni uomo il massimo


dello sviluppo mentale. Ma quel massimo abbastanza
elevato nella maggioranza dei casi per consentire a un'intera societ di vivere negli agi senza incrementare quelle
deplorevoli qualit che hanno sempre caratterizzato le
classi agiate? Conosco un'infinit di persone che hanno
ricevuto la migliore educazione possibile nella nostra
epoca e impiegano il loro tempo libero come se non l'avessero mai ricevuta. Ma allora la nostra educazione dichiaratamente cattiva (anche se sufficientemente buona
per tutti gli uomini di talento e d'ingegno che sono fra
noi); forse quando sar perfezionata queste persone passeranno il loro tempo libero a contemplare le leggi della
natura. Forse. Mi permetto di dubitarne.
H.G. Wells, che crede nell'educazione, colloca la sua
Utopia tremila anni avanti nel futuro; George Bernard
Shaw, con una fiducia meno ottimistica nella natura e nel
processo di evoluzione cosciente, sposta la sua addirittura fino all'anno 30.000 d.C. Geologicamente parlando,
questi tempi si equivalgono a tutti gli effetti nella loro
brevit. Disgraziatamente, per, non siamo fossili ma
uomini. Anche tremila anni appaiono ai nostri occhi un
tempo straordinariamente lungo. I1 pensiero che fra tremila o trentamila anni gli esseri umani possano eventualmente condurre una vita piacevole e razionale ci conforta
e ci sostiene fino a un certo punto. Gli uomini hanno l'abitudine di pensare solo a se stessi, ai loro figli e ai figli
dei loro figli. E hanno perfettamente ragione. Fra trentamila anni tutto pub essere perfetto. Ma nel frattempo
quel brutto quarto d'ora geologico che separa il presente
da quel roseo futuro deve essere vissuto. E prevedo che
uno fra i pi piccoli, oppure fra i maggiori problemi di
quel quarto d'ora sar il problema del tempo libero. Nel
183

Duemila le sei ore lavorative giornaliere saranno ovunque la norma, e i cento anni successivi vedranno forse
quel massimo ridotto a cinque ore o anche meno. Per allora la natura non avr avuto il tempo di cambiare le abitudini mentali della razza; e l'educazione, pur migliorata,
avr semplicemente trasformato i cani in cani ammaestrati. Come riempiranno il loro sempre crescente tempo
libero gli esseri umani? Contemplando le leggi della natura, come Henri Poincar? O leggendo le News of the
World? Me lo chiedo.

La musica popolare

C' un motivetto allegro, animato, saltellante, familiare a tutti coloro che hanno passato qualche settimana in
Germania o che nell'infanzia sono stati affidati alle cure
di una governante tedesca. I1 suo titolo Ach, du lieber
Augustin. una cosetta vivace nel tempo di tre quarti;
con un ritmo e una melodia cos semplici che perfino l'idiota del villaggio potrebbe cantarla dopo averla sentita
la prima volta; di un sentimento cos innocente che il cuore della fanciulla pi sensibile non accelererebbe il suo
battito di un solo colpo ascoltandola. Questa canzonetta
cos genuinamente e allegramente insulsa che disarma
ogni critica.
Qualche parola sulla sua storia. Ach, du lieber Augustin fu composta nel 1770 e fu il primo valzer. I1 primo
valzer! Devo chiedere al lettore di canterellare il motivo
fra s, poi di pensare a un qualsiasi valzer moderno che
gli sia familiare. Nella differenza fra le due melodie trover un ricco spunto per interessanti riflessioni.
La differenza fra Ach, du lieber Augustin e qualsiasi

altra aria di valzer composta in qualunque momento dalla met dell'Ottocento in poi la stessa che c' fra un
pezzo musicale quasi completamente vuoto di contenuto
sentimentale e un altro saturo di passione amorosa, di
volutt e languore. La fanciulla sensibile che ascoltando
Ach, du lieber Augustin non prova altro che un generico
senso di euforia e di buonumore sente il suo cuore palpitare ai carezzevoli motivi del valzer moderno. La sua anima cade quasi in deliquio in un mare di sdolcinatezza; le
pare di respirare un'atmosfera carica di effluvi d'ambra e
di muschio. Dalla cosetta deliziosa che era alla nascita, il
valzer diventato quella faccenda voluttuosa, tale da
mettere il cuore in subbuglio, che oggi conosciamo.
E lo stesso destino del valzer ha avuto tutta la musica
popolare. Un tempo era ingenua, oggi provocatoria; un
tempo trasparente, oggi densa e impastata, un tempo elegante, oggi deliberatamente barbara. Confrontate la musica dell'Opera del mendicante con quella di uno spettacolo di variet attuale. Sono diverse come la vita nel giardino dell'Eden era diversa dalla vita nel quartiere artistico di Gomorra. L'una di un'eterea dolcezza da prima
della caduta, l'altra ricca, ridondante e chiassosa, volutamente selvaggia.
L'evoluzione della musica popolare andata in parallelo, a un livello pi basso, con quella della musica seria.
I compositori di canzoni popolari non sono abbastanza
musicisti per saper inventare nuove forme di espressione.
Si limitano ad adattare le scoperte dei geni originali al gusto del volgo. Alla lunga e indirettamente, Beethoven
responsabile di tutte le languide arie di valzer, di tutto il
jazz selvaggio, di quanto c' di sdolcinato o violento nella nostra musica popolare. Ne responsabile perch
stato il primo che ha ideato metodi musicali efficaci per

l'espressione diretta dei sentimenti. I1 caso volle che i sentimenti di Beethoven fossero nobili; inoltre era un musicista troppo intellettuale per trascurare il lato formale e
strutturale della musica. Ma sfortunatamente ha reso
possibile a compositori di intelletto e personalit inferiori
esprimere in musica le loro passioni meno elevate e i loro
sentimenti pi banali. Ha reso possibili i fiacchi sentimentalismi di Schumann, le barocche grandiosit di Wagner, gli isterismi di Skrjabin; e inoltre, i valzer di tutti gli
Strauss, dal Danubio blu al valzer di Salom. Infine ha
reso possibile, a un livello ancora pi basso, certi capolavori dell'arte popolare come Mi sono innamorato di te
o La mia mammina nero-carbone .
Per l'introduzione nella musica di una certa vibrante
sessualit, Beethoven forse meno direttamente responsabile che gli italiani dell'Ottocento. Un tempo mi chiedevo spesso perch le opere di Mozart fossero meno popolari di quelle di Verdi, Leoncavallo e Puccini. Non si
poteva desiderare niente di pi contagiosamente orecchiabile di certe arie delle Nozze di Figaro o del Don
Giovanni. Anche se classica, la musica di queste opere
non oscura n eccessivamente complessa. Al contrario
limpida, semplice, di quella semplicit in apparenza facile che solo un grandissimo genio pu raggiungere, e assolutamente affascinante. Eppure per ogni rappresentazione del Don Giovanni se ne hanno cento della Bohme.
Tosca almeno cinquanta volte pi popolare delle Nozze
di Figaro. E se si sfoglia un catalogo di dischi grammofonici, si scopre che mentre si pu acquistare il Rigoletto
completo in trenta dischi, non ne esistono pi di tre del
Flauto magico. A prima vista la cosa lascia perplessi. Ma
il motivo non difficile da scoprire. Dopo Mozart i compositori hanno imparato l'arte di mettere nella musica
187

una sessualit tutta palpiti e grida gutturali. Le arie di


Mozart sono di una limpida purezza che le fa parere insipide al confronto con le melodie singhiozzanti e strozzate
degli italiani del diciannovesimo secolo. I1 pubblico, abituato ormai a questi liquori pi forti e pi torbidi, non
trova pi nessun aroma nel canto cristallino di Mozart.
Un saggio sulla musica popolare moderna non sarebbe
completo senza un grato riferimento a Rossini, il quale,
per quanto ne so, fu il primo compositore a dimostrare
quale incanto possa esserci nella melodia popolare. Prima dei tempi di Rossini le arie erano spesso estremamente banali e scadenti; ma quasi mai esse avevano quell'indefinibile qualit volgarmente popolaresca che possiede
invece qualcuna delle arie pi riuscite di Rossini e nella
quale riconosciamo in certo modo un carattere moderno
e contemporaneo. I metodi usati da Rossini per la realizzazione di questo genere popolaresco non sono facilmente analizzabili. I1 suo grande segreto, mi pare, fu la frequente ripetizione in scale diverse di una breve frase facilmente memorizzabile. Ma pi facile spiegare con esempi. Pensate alla prima aria di Mos nel Mos in Egitto.
un melodia essenzialmente popolare, molto dissimile da
quelle di epoche precedenti. Ha invece qualche affinit
con il canto popolare moderno. Fu alla sua invenzione di
questo genere che Rossini dovette il suo enorme successo
fra i contemporanei. La gente comune prima di lui doveva accontentarsi delle delicate arie mozartiane. Rossini
venne a offrirle una musica pi congeniale ai suoi gusti.
Non sorprende che il mondo si sia prostrato con riconoscenza ai suoi piedi. Se la sua popolarit finita da molto
tempo perch i successori, approfittando delle sue lezioni, hanno realizzato su quella base certi trionfi che lui
non avrebbe mai immaginato.

I barbarismi sono entrati nella musica popolare da due


fonti - dalla musica di popoli barbari come i neri e dalla musica seria che ha attinto la sua ispirazione dalla cultura barbarica. La tecnica di questa musica venuta in
realt dalla musica seria. Nell'elaborazione di questa tecnica nessun musicista ha fatto di pi dei russi. Se Rimskij
Korsakov non fosse mai esistito, la musica da ballo moderna non sarebbe quella che .
Dopo esserci assuefatti agli stimoli violenti e puramente fisiologici della musica jazzistica moderna con i suoi
suoni fragorosi e tambureggianti, le vibrazioni ritmiche e
i lamentosi glissando, difficile prevedere se il mondo ritorner mai a qualcosa di meno rozzo e primitivo. Perfino i musicisti seri hanno difficolt a fare a meno dei barbarismi. Nonostante la monotonia e la singolare mancanza di finezza che caratterizza questo genere, essi insistono
nelle violente sonorit alla vecchia maniera russa, come
se non si potesse inventare niente di pi interessante o eccitante. Quando da ragazzo udii per la prima volta un
pezzo di musica russa mi sentii letteralmente trascinato
dalle sue selvagge melodie, dai suoi ritmi insistenti e ossessivi. Ma a ogni audizione la mia eccitazione scemava.
Oggi nessuna musica per me pi noiosa. L'unica musica
che possa procurare un inesauribile piacere a un uomo civile la musica civile. Se foste costretti ad ascoltare ogni
giorno della vostra vita un unico pezzo di musica, scegliereste l' Uccello di fuoco di Stravinskij o la Grande fuga di
Beethoven? Ovviamente scegliereste la Fuga, non foss'altro che per la sua complessit e perch impegna il nostro
intelletto molto pi dei ritmi troppo semplici del musicista russo. I compositori sembrano dimenticare che noi
siamo, nonostante tutto e anche se le apparenze sono
contro di noi, abbastanza civilizzati. Ci subissano non
189

soltanto di sonorit russe e negroidi, ma anche di miagolii celtici sui tasti neri, di cupi gemiti spagnoli punteggiati
dal crepitio delle nacchere e dalle martellanti armonie
della chitarra. Quando i compositori seri saranno tornati
alla musica civilizzata - e gi alcuni di loro stanno abbandonando i barbarismi - ci sar probabilmente un
cambiamento corrispondente 'verso una maggiore raffinatezza nella musica popolare. Ma finch i musicisti seri
non indicheranno loro la strada, sarebbe assurdo aspettarsi che i volgarizzatori cambino il loro stile.

I1 mistero del teatro

Ci fu un tempo, nel corso di una vita male spesa, in cui


la mia sorte mi portava a teatro circa duecentocinquanta
volte all'anno. Non ho bisogno di aggiungere che ci andavo per lavoro; difficile che si faccia questo tipo di cose per puro piacere. Ero pagato per farlo.
Alla fine di quell'anno - anzi, per essere esatti, molto
prima che il nostro pianeta avesse completato la sua orbita intorno al sole - giunsi alla conclusione che non ero
pagato abbastanza; che in realt non sarei mai stato pagato abbastanza per questo particolare lavoro. Lo lasciai; e niente potrebbe ora indurmi a riprenderlo.
Da allora le mie presenze a teatro sono state in media
forse tre all'anno.
Eppure ci sono persone che vanno a ogni prima rappresentazione, non per obbligo, non per soddisfare le esigenze di uno stomaco vorace, ma perch a loro piace cos. Non sono pagati per andarci; pagano, come per un
privilegio. Le vie degli uomini sono davvero misteriose.
Riguardo a questo mistero mi abbandonavo spesso a

congetture - astraendomi come potevo dagli orrori che


mi circondavano - durante i passi pi strazianti delle
commedie cui dovevo assistere. Nelle poltrone intorno a
me - cos riflettevo - ci sono diverse centinaia di persone ricche e, se cos si pu dire, istruite, che hanno pagato
per vedere questa sciocca commedia (poich suppongo
che si tratti di una delle diciannove commedie sciocche e
non dalla rara ventesima Casa cuore infranto o La signora Beam). il genere di persone che nell'intimit delle loro case leggono romanzi della migliore qualit, o comunque non della peggiore. Sarebbero indignati se offriste loro un romanzetto da quattro soldi.
Eppure questi lettori di storie rispettabili vanno a teatro (non per obbligo, ricordiamolo) a vedere lavori che,
quanto a letteratura, sono allo stesso livello dei romanzetti che giustamente disdegnano di leggere.
Ai loro romanzi chiedono un minimo di verosimiglianza, di aderenza alla vita, di credibilit dei personaggi e di
scrittura decorosa. Una storia impossibile, nella quale i
personaggi sono altrettanti fantocci che si muovono secondo le leggi di assurde e logore convenzioni e si esprimono in un inglese grottesco, ridondante e sgrammaticato, li riempirebbe di disgusto. Ma a un lavoro teatrale che
corrisponde esattamente a questa descrizione accorrono
a migliaia. Si commuovono fino alle lacrime e si entusiasmano per situazioni che in un romanzo troverebbero
semplicemente ridicole. Tollerano, e addirittura ammirano calorosamente, un linguaggio che chiunque abbia un
minimo di sensibilit per l'uso delle parole fremerebbe a
vedere stampato.
su questa strana anomalia che ero solito meditare
durante quelle orrende serate a teatro. Perch il romanzetto da quattro soldi disgusta, sotto forma di libro, que-

gli stessi che se ne deliziano quando rappresentato in


palcoscenico? Esposto succintamente, era questo il problema che non smetteva di interessarmi.
Shaw ha detto che pi facile scrivere un romanzo che
una commedia; e per dimostrare con quale spaventosa
facilit un romanziere pu raccontare in pagine di fitta
descrizione ci che il drammaturgo deve condensare in
poche battute di dialogo, riscrisse in forma narrativa moderna una scena del Macbeth. Dichiaratamente, Shakespeare resse benissimo il confronto. Infatti certamente
pi facile scrivere un cattivo romanzo che un buon dramma. Ma d'altra parte molto pi facile scrivere un brutto
dramma destinato al successo - anche con un pubblico
intelligente e di gusti raffinati - che un brutto romanzo
che avr lettori dello stesso tipo. Un cornmediografo pu
cavarsela con un lavoro in cui la caratterizzazione a
livello di caricatura, il linguaggio che vuole essere elevato
non supera mai la pi banale retorica, la verosimiglianza
inesistente - ma che presenta soltanto una situazione
interessante. Il romanziere non pu.
Questo fatto mi ha colpito recentemente una volta di
pi in un teatro di Parma - purtroppo non i1 grande teatro Estense ma una piccola sala dozzinale moderna dove andai a vedere la versione italiana di una commedia
di Arthur Pinero - se ben ricordo il titolo era La casa in
ordine. Confesso di aver goduto a fondo questo spettacolo. La vita dell'alta societ inglese, vista attraverso gli occhi di una compagnia itinerante italiana, meritava un
viaggio - anche dalla lontana Inghilterra - per essere
studiata. E gli attori erano bravissimi. Ma mentre ascoltavo mi meravigliavo che una commedia di una tale vuotaggine - poich a Parma l'involontario umorismo e la
buona recitazione erano aggiunte puramente casuali al-

l'insignificante originale - avesse avuto, e potesse ancora


avere, un tale successo. E con la mia dura esperienza di romanziere, invidiavo i fortunati commediografi che riescono a produrre lavori popolari e anche altamente apprezzati nei quali i personaggi sono fantocci senz'anima o caricature, il linguaggio pomposo, la trama una successione
di epigrammi dozzinali di circostanza noti come situazioni)). Se mi fosse concesso di fabbricare un romanzo
con questi soli ingredienti, mi rallegrerei con me stesso per
essermela cavata eccezionalmente a buon mercato.
Ci che rende possibile al drammaturgo mettere cos
poco nei suoi lavori e tuttavia cavarsela con successo ,
naturalmente, l'intervento degli interpreti. Se conosce il
trucco - e lo si impara con la pratica - il drammaturgo
pu scaricare sull'attore gran parte delle sue responsabilit. L'unica cosa che deve fare, se un pigro, inventare
situazioni brillanti e lasciare agli attori il compito di ricavarne il meglio. Lo studio dei personaggi, la fedelt alla
vita, le idee, la scrittura decorosa e il resto, tutte queste cose pu lasciarle agli scrittori per i loro libri, con la confortante certezza che il pubblico sar troppo preso dalle acrobazie degli attori per notare l'assenza di quelle quisquilie
puramente letterarie.
Sono gli interpreti, naturalmente, che riconciliano un
pubblico per altri versi esigente con la robaccia che riesce
ad arrivare sul palcoscenico. solo per merito degli attori
che gli occupanti delle poltrone, i quali potrebbero leggere, vicino ai loro caminetti, per esempio Wells o Conrad o
D.H. Lawrence, o addirittura Dostoievskij, si rassegnano
volentieri all'equivalente teatrale del romanzetto e della
storia a puntate di un rotocalco; per merito degli attori,
vivi e sorridenti, del tocco personale, della palpitante nota
umana.

Se la recitazione fosse sempre di prim'ordine, potrei


capire che si diventasse incalliti frequentatori di prime
teatrali - o si dovrebbe forse dire rammolliti poich il
teatro contemporaneo pi rilassante che tonico, pi
emolliente che rinvigorente? - diciamo dunque rammolliti frequentatori di prime teatrali. Una bella prova di recitazione merita di essere vista come una bella esecuzione
in qualsiasi altro campo artistico.
Ma i buoni attori sono altrettanto rari quanto i buoni
pittori e i buoni scrittori. Di ottimi non ne appaiono piu
di due o tre per ogni generazione. Ne ho visto qualcuno.
I1 vecchio Guitry, per esempio. E Marie Lloyd, la meravigliosa, intensa, shakespeariana Marie, morta ahim troppo presto; car elle tait du monde o les plus belles choses
ont le pire destin. E Little Tich. E Raquel Meller, straordinaria sia come dicitrice che come attrice di cinema, la
pi perfetta e pi nobile interprete della passione che io
abbia mai visto; une me bien ne se mai ve ne furono. E
Charlie Chaplin. Tutti uomini e donne di genio.
Interpretazioni perfette come le loro meritano certo di
essere viste. E c' un gran numero di talenti minori tutt'altro che disprezzabili. Sono altrettanto disposto a pagare per vedere questi attori recitare delle sciocchezze
quanto a pagare per assistere a una buona commedia mal
recitata (ed straordinario come una commedia veramente buona sia a prova di attori). Ma che si debba pagare per vedere un pezzo di recitazione scadente, o magari
abile ma completamente senz'anima, unitamente a una
brutta commedia - questo supera davvero le mie capacita di comprensione.
Gli incalliti - chiedo scusa - rammolliti frequentatori di prime teatrali ai quali ho posto la domanda non mi
hanno mai saputo dare risposte soddisfacenti. Posso sol-

tanto supporre che questo fedele delle prime sia nato


con la passione per il teatro; che lo ami comunque, per se
stesso, ciecamente (perch l'amore cieco), senza giudicarlo. Paga il suo biglietto al botteghino, lascia il suo senso critico al guardaroba insieme al soprabito, al cappello
e al bastone, e si mette in poltrona, sicuro di divertirsi
qualunque cosa succeda sul palcoscenico. L'aria soffocante e la folla, il momento di silenzio e di attesa nell'oscurit, poi l'apocalittico levarsi del sipario, lo scintillio
delle luci, l'irrealt colorata - tutte queste cose sono in
s sufficienti a farlo felice. Non chiede di pi. Lo invidio
per la sua facilit ad accontentarsi.

Potrebbero piacerti anche