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LUNGO
LA STRADA
Annotazioni di un turista
Traduzione di Graziella Cillario
FRASSINELLI
Indice
Parte prima
I1 viaggio in generale
Perch non rimanere a casa?
Uccelli migratori
La visione del viaggiatore
Le guide turistiche
Gli occhiali
La campagna
Libri da viaggio
Parte seconda
Luoghi
Montesenario
I1 fiume di Patinir
Portoferraio
I1 Palio di Siena
Paesaggi d'Olanda
Sabbioneta
Parte terza
Opere d'arte
Bruegel
Rimini e Alberti
Consolo
II pi bel dipinto del mondo
La fonte delle Muse
Parte quarta
Altri appuntamenti
Una notte a Pietramala
Lavoro e tempo libero
La musica popolare
Il mistero del teatro
PARTE PRIMA
Il viaggio in generale
grado, quasi con entusiasmo. Molti vizi, vorrei aggiungere tra parentesi, esigono considerevole abnegazione. un
grave errore immaginare che una vita di vizi sia una vita
di ininterrotti piaceri. quasi altrettanto faticosa e difficile - se intensamente vissuta - quanto quella di Christian ne Il viaggio delpellegrino. La differenza principale
fra Christian e l'uomo vizioso che il primo ottiene qualcosa dai suoi sacrifici - sotto forma di un certo saltuario
benessere spirituale, per non parlare di ci che pu trovare in quella Gerusalemme gravemente problematica oltre
il fiume - mentre il secondo non ottiene nulla, salvo forse la gotta e la paralisi progressiva della demenza.
I1 vizio di viaggiare, vero, non porta necessariamente
con s queste due malattie; anzi, per la verit, nessun tipo
di malattia, a meno che i vostri vagabondaggi si spingano
fino ai tropici. Nessuna malattia del corpo, perch viaggiare non un vizio del corpo (semplicemente lo fiacca)
ma della mente. I1 viaggiatore che ama il viaggio in s
stesso come il lettore sregolato - un uomo che si abbandona al proprio piacere.
Come tutti gli altri uomini viziosi, il lettore e il viaggiatore hanno un intero arsenale di giustificazioni per difendersi. Leggere e viaggiare, dicono, allargano la mente,
stimolano la fantasia, sono altamente educativi. E cos
via. Questi sono argomenti speciosi; non convincono nessuno. Perch, anche se vero che per alcuni le letture e i
viaggi senza scopo sono molto istruttivi, non per questo
motivo che la maggior parte dei lettori appassionati e dei
viaggiatori nati indulgono ai loro gusti. Leggiamo e viaggiamo non per allargare e arricchire la nostra mente, ma
per dimenticare piacevolmente la sua esistenza. Amiamo
la lettura e i viaggi perch sono i pi deliziosi di tutti i surrogati del pensiero. Surrogati sofisticati e abbastanza raf-
Uccelli migratori
Potrei dare molte eccellenti ragioni della mia avversione per i grandi pranzi, le serate, i ricevimenti, le feste, gli
incontri letterari, i balli. La vita non abbastanza lunga
per sprecare il tempo in queste cose; il gioco non vale la
candela. I1 rapporto sociale superficiale come un piccolo sorso di alcol che stimola il sistema nervoso ma non
nutre. E cos via. Tesi rispettabili e certamente vere. E su
di me hanno avuto senza dubbio il loro peso. Ma l'argomento decisivo contro i grandi raduni e in favore della
solitudine e delle piccole riunioni intime , nel mio caso,
di carattere pi personale. Dipende non dalla mia ragione
ma dalla mia vanit. I1 fatto che nelle grandi assemblee
non brillo affatto; in realt emetto appena un barlume. E
la coscienza del proprio grigiore umiliante.
Questa incapacit di essere brillante in compagnia
dovuta interamente alla mia eccessiva curiosit. Non riesco ad ascoltare quello che dice il mio interlocutore o a
trovare qualcosa da rispondergli perch non so fare a meno di ascoltare le conversazioni che si svolgono intorno a
me a portata di orecchio. Per esempio, il mio interlocutore sta dicendo qualcosa di molto intelligente a proposito
di Henry James e ovviamente alla fine del suo discorso si
aspetta da me un commento brillante o acuto. Ma le due
donne alla mia sinistra stanno raccontando una storia
scandalosa che riguarda una persona che conosco. L'uomo dalla voce tonante all'altro capo della stanza sta discutendo i meriti di varie automobili. Lo studioso di
scienze accanto al camino sta parlando della teoria dei
quanti. L'illustre avvocato irlandese sta raccontando
aneddoti nel suo inimitabile stile professionale. Dietro di
me un giovanotto e una ragazza si stanno scambiando
opinioni sull'amore, mentre dal gruppo nell'angolo pi
distante colgo una frase incidentale che mi fa arguire che
stanno parlando di politica. Sono dominato da una curiosit invincibile, dall'ardente desiderio di captare quello che ognuno sta dicendo. Scandali, motori, quanti,
amenit irlandesi, amore e politica mi sembrano infinitamente pi interessanti di Henry James; e ognuno di questi argomenti a sua volta pi interessante di tutti gli altri. La curiosit svolazza disperatamente di qua e di l,
come un uccello in una gabbia di vetro. E il risultato finale che, non ascoltando quello che dice il mio interlocutore ed essendo troppo frastornato per rispondere sensatamente, devo apparire un idiota ai suoi occhi, e intanto
il numero eccessivo delle mie illecite curiosit mi rende
impossibile soddisfarne neppure una.
Ma questa esagerata ed eterogenea avidit di sapere,
cos fatale a chi desidera essere bene accetto in societ,
un notevole vantaggio per chi sta semplicemente a guardare, senza partecipare alle azioni dei suoi simili.
Per il viaggiatore che costretto, gli piaccia o no, ad
atteggiarsi a osservatore distaccato, la curiosit addirit-
l'immaginazione. Questo ometto si fa amare; un personaggio simpatico, una vera fetta di vita. Ma fatene la conoscenza... Da quel momento farete di tutto per viaggiare in un altro scompartimento.
Come sono divertenti, originali e fantastiche le persone
viste a distanza! Quando penso al numero di uomini e
donne affascinanti che non ho mai conosciuto (soltanto
visto o ascoltato temporaneamente) sono meravigliato.
Ne ricordo a centinaia. I miei preferiti, sono incline a
pensare, sono stati quegli impiegati delle poste, maschi e
femmine, che vivevano in pensione nel piccolo albergo di
Ambrieu dove tempo fa ho abitato per una settimana o
poco pi terminando di scrivere un libro. Erano un gruppetto straordinario. C'era l'uomo vecchiotto che arrivava sempre in ritardo per la cena, con un berretto in testa
- un tipo arcigno e taciturno; c'era il ragazzo giovanissimo, niente affatto arcigno ma silenzioso a causa della timidezza; c'era il meridionale allegro e vivace che scherzava e faceva il galante con le signorine; e c'erano le tre signorine, una brutta ma abbastanza vivace, una piuttosto
graziosa ma un tipo molle e anemico, la terza cos carica
di vitalit che non si poteva fare a meno di trovarla bella
- occhi neri cos mobili, un sorriso, una voce, e cos spiritosa! I1 giovanotto timido la contemplava con occhi bovini, arrossiva quando lei lo guardava, l'ascoltava parlare con un sorriso tonto e dimenticava di mangiare la sua
cena. La sua presenza addolciva la tetraggine dell'uomo
anziano e spingeva il meridionale a voli sempre pi arditi.
E la sua superiorit era cos marcata che la ragazza brutta
e quella clorotica non erano minimamente gelose, ma la
adoravano. assurdo essere gelosi degli di.
Quanto mi piaceva quel gruppo! Con quale appassionato interesse li sorvegliavo dal mio tavolo nella saletta
lungo e tortuoso racconto di Marlow, perch mai essi abbiano agito cos, quali siano stati i loro moventi, che cosa
abbiano sentito e pensato. La visione quasi divina di quei
romanzieri che realmente sanno o pretendono di sapere
esattamente che cosa accade nella mente dei loro personaggi l'opposto della visione del viaggiatore, dell'estraneo che parte con nessuna conoscenza della personalit
degli attori e pu solo dedurre dalle loro azioni cib che
avviene nelle loro menti. Conrad, bisogna ammetterlo,
riesce a dedurne ben poco; gli manca la fantasia del paleontologo, il potere di ricostruire il pensiero in base al
comportamento. Alla fine di un romanzo le sue eroine
sono altrettanto nebulose quanto lo erano all'inizio.
Hanno agito, e Conrad si a lungo chiesto - senza scoprirlo - perch hanno agito in quel particolare modo.
La sua perplessit contagiosa; il lettore sconcertato
quanto lui e giudica i personaggi altrettanto sorprendentemente misteriosi. Il mistero eccitante e delizioso; ma
assurdo dargli troppa importanza. Una cosa misteriosa
semplicemente perch sconosciuta. I misteri esisteranno
sempre perch ci saranno sempre cose sconosciute e inconoscibili. Ma meglio conoscere ci che conoscibile.
Non c' nessun merito a non conoscere ci che pu essere
conosciuto. Certi letterati, per esempio, si vantano della
loro ignoranza della scienza; sono degli sciocchi e degli
arroganti. Se i personaggi di Conrad sono misteriosi, non
perch sono complicati, difficili q sfuggenti, ma semplicemente perch lui non li capisce; e non riuscendo a capire come sono, fa delle ipotesi senza successo, e finisce per
ammettere che sono impenetrabili. L'onest con la quale
confessa la sua ignoranza meritoria, non cos l'ignoranza. I personaggi dei grandi romanzieri come Dostoevskij
e Tolstoj non sono misteriosi; sono capiti perfettamente e
Le guide turistiche
te uguale. Per esempio, le vetrate di Sens sono considerate dalle guide alla stregua di qualsiasi altra vetrata del
quattordicesimo secolo, mentre in realt sono uniche per
bellezza e audacia di disegno. La serie di illustrazioni della Bibbia a Sens opera di un grandissimo artista. I1 barone parla con pari ammirazione dell'abile lavoro artigianale di Chartres e Canterbury.
Come pure le sculture nella chiesa di Brou e la transenna del coro di Chartres ottengono lo stesso numero
di stelle della tomba di Ilaria del Carretto a Lucca e del
bassorilievo di Luca della Robbia nell'Opera del Duomo di Firenze. Sono tutti esemplari di scultura rinascimentale.
Fra loro c' solo questa lieve differenza: che le opere
italiane sono capolavori assoluti, mentre quelle francesi
sono opere rozze: le sculture di Brou di un'evidente banalit, quelle di Chartres volonterose, stentate e francamente insignificanti. E il barone cos privo di senso delle
proporzioni che d alla chiesa di Brou lo stesso numero
di stelle della cattedrale di Bourges, segnalando con pari
entusiasmo un brutto incubo architettonico e la pi grandiosa, la pi sorprendente, la pi incredibilmente bella
costruzione d'Europa.
Imbecille! Ma un imbecille colto e, ahim, indispensabile. Non c' scampo; si deve viaggiare in sua compagnia,
almeno la prima volta. Solo dopo avere scrupolosamente
seguito i suoi dettami, dopo avere scoperto le sue lacune
in fatto di gusto, i suoi pregiudizi artistici e i suoi snobismi antiquari, il turista pu redigere quella guida personale che l'unica che gli serva. Se soltanto l'avesse posseduta fin dal suo primo viaggio! Ma purtroppo, se facile
imbrogliare gli altri con la pittoresca descrizione di luoghi mai visti con i nostri occhi, invece difficile imbro-
gliare se stessi. La propria guida deve essere frutto di dura esperienza personale.
L'unico sostituto soddisfacente di una guida scritta da
s una guida riccamente illustrata. Conoscere le cose in
fotografia quello che pi si avvicina a conoscere le cose
stesse. Le illustrazioni consentono di vedere che cosa
esattamente raccomanda il barone. Una riproduzione di
quei ridondanti Sodoma permetterebbe di ridurre gli
asterischi del testo. Qualche fotografia delle tombe di
Tarquinia ci convincerebbe che vale infinitamente pi la
pena di visitarle che non il Foro. Una veduta della chiesa
di Brou ci dispenserebbe dall'andarci. La migliore guida
illustrata che conosco il Libro delle Strade della Toscana di Parnpaloni, nel quale le informazioni consuete si riducono a un breve compendio, sono descritti i principali
itinerari da una localit all'altra e sono segnate con asterischi soltanto le cose riprodotte in fotografia.
A qualcuno, lo so, Pampaloni appare un po' troppo
sintetico. Sono evitate tutte le tiritere - anche quel tanto
che trova posto nel Baedeker - e si ha solo un'esposizione telegrafica di dati corredata da fotografie. Personalmente non ho un debole per le tiritere (a meno che non
siano quelle di un genio), quindi trovo Pampaloni del tutto soddisfacente. Molti turisti, invece, preferiscono una
guida pi letteraria. Amano il sentimento, lo stile elaborato, gli stati d'animo di fronte al Colosseo sotto la luna
e via dicendo. Anch'io amo queste cose, ma non dalla
penna di chi scrive guide sovrabbondanti. Perfino il Baedeker mi pare a volte un po' troppo lirico. Mi piace che le
guide siano ricche di informazioni, misurate nell'entusiasmo e, dove trattano questioni pratiche, bene aggiornate
- ci che il Baedeker (restio ad ammettere, credo per ragioni patriottiche, la realt dell'ultima guerra) non af-
Gli occhiali
La campagna
un fatto curioso, del quale non trovo nessuna spiegazione soddisfacente, che l'entusiasmo per la vita campestre e l'amore per lo scenario naturale sono pi forti e
molto pi diffusi proprio nei paesi europei che hanno il
clima peggiore e dove la ricerca del pittoresco comporta
maggiori difficolt. I1 culto della natura aumenta in proporzione esatta con la distanza dal Mediterraneo. Gli italiani e gli spagnoli non hanno quasi nessun interesse per
la natura in se stessa. I francesi hanno un certo amore per
la campagna, ma non abbastanza da far loro desiderare
di viverci se hanno la possibilit di stare in citt. Gli abitanti della Germania meridionale e della Svizzera sono
apparentemente un'eccezione alla regola. Vivono pi vicino al Mediterraneo dei parigini, eppure amano di pi la
campagna. Ma l'eccezione, come ho detto, solo apparente; perch a causa della lontananza dall'oceano e della
conformazione montagnosa della loro terra questa gente
vive per la maggior parte dell'anno in un clima che , tutto sommato, artico. In Inghilterra, dove il clima dete-
stabile, amiamo la campagna a tal punto che siamo disposti, per il privilegio di viverci, ad alzarci alle sette estate e inverno e, con qualunque tempo, a raggiungere in bicicletta una stazione lontana per poi fare un'ora di viaggio fino al nostro posto di lavoro. Nei nostri momenti liberi facciamo gite a piedi, e i viaggi in roulotte sono un
vero divertimento. In Olanda il clima molto piu sgradevole che in Inghilterra e quindi ci si aspetterebbe che gli
olandesi siano ancora piu appassionati di noi alla natura.
Tuttavia l'acqua onnipresente rende difficile sistemarsi in
campagna e andare avanti e indietro fra questa e le citt.
Ma, pur inadatti alle costruzioni, i prati fradici dei Paesi
Bassi sono abbastanza saldi per reggere delle tende. Impossibilitati a vivere in permanenza in campagna, gli
olandesi sono i pi grandi campeggiatori al mondo. Il
mio povero zio Toby, quando era in guerra da quelle parti, trovava l'umidit cos penetrante che era costretto a
bruciare nella sua tenda del buon brandy per asciugare
l'aria. Ma lo zio Toby era un vero inglese, cresciuto in un
clima che, paragonato a quello olandese, balsamico.
Gli olandesi pi intrepidi vanno in campeggio per divertimento. Della Germania settentrionale basti dire che la
patria dei girarnondo. Quanto alla Scandinavia, noto
che non c' altra parte del mondo, esclusi i tropici, dove
la gente si spogli con tanta disinvoltura. La passione degli
svedesi per la natura cos forte che pu esprimersi soltanto in un completo stato di naturalezza. Come anime
disincarnate , dice Donne, i corpi devono essere svestiti
per gustare la completa felicit. Nobili, rudi e molto pi
moderni di qualsiasi altro popolo europeo, essi nuotano
nelle gelide acque del Baltico e vagano nudi nelle foreste
vergini. L'italiano prudente, invece, si bagna nel suo tiepido mare solo due mesi su dodici; porta sempre la canot-
tutti coloro il cui sostentamento dipende dall'impulso dato alla campagna. Nei paesi latini l'arte della pubblicit
ancora poco sviluppata. Ma anche l sta avanzando. La
marcia del progresso irresistibile. La Fiat e le Ferrovie
dello Stato devono soltanto assumere esperti di pubblicit americani per trasformare gli italiani in una razza di
gitanti e di pendolari. C' gi una Citt-Giardino alle
porte di Roma; Ostia si sta sviluppando in un sobborgo
residenziale in riva al mare; l'autostrada aperta di recente
ha messo i laghi a breve portata da Milano. Prevedo che i
miei nipoti dovranno passare Ie vacanze nel centro dell'Asia.
Libri da viaggio
gia dell'Aria aperta)). Infatti, nell'enorme trib dei poetucoli moderni che ciarlano di verdi prati, Thomas quasi l'unico che sentiamo veramente poeta della natura
(l'espressione abbastanza brutta ma non ce ne sono altre) per diritto di nascita e conquista di reale comunione e
comprensione. Non tutti quelli che dicono Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli; e pochi, pochissimi
di quelli che gridano cuc, cuc saranno ammessi nella
compagnia dei poeti della natura. A prova di ci rimando
i miei lettori ai vari volumi di poesia dell'epoca georgiana.
Oltre la poesia, altrettanto adatte alle necessita del
viaggiatore sono le raccolte di massime e aforismi. Se sono buone - e devono esserlo veramente, poich non c'
niente di pi deprimente di un grande pensiero)) enunciato da un autore che non possieda egli stesso certi elementi di grandezza - le massime sono la migliore lettura
possibile. Si leggono in un minuto e forniscono una materia su cui il pensiero pu ruminare per ore. Le migliori
sono quelle di La Rochefoucauld. Io stesso riservo sempre la tasca superiore sinistra del mio panciotto a una piccola ristampa in sedicesimo delle Massime. un libro
dall'interesse inesauribile. A mano a mano che la nostra
vita procede e aumenta la conoscenza di noi stessi e degli
altri, esso allarga i suoi significati. La Rochefoucauld conosceva quasi tutto dell'animo umano, tanto che praticamente tutte le scoperte che facciamo per conto nostro nel
corso della vita sono state anticipate da lui ed espresse
con brevit ed eleganza ineguagliabili. H o detto prudentemente che La Rochefoucauld conosceva quasi tutto
dell'animo umano, poich ovvio che non lo conosceva
per intero. Sapeva tutto sugli esseri umani in quanto animali sociali. Dell'animo dell'uomo in solitudine, quando
non pi interessato alle soddisfazioni e ai successi sociali che per La Rochefoucauld erano di estrema importanza, sa poco o nulla. Se desideriamo sapere qualcosa dell'animo umano in solitudine - delle sue relazioni non
con i suoi simili ma con Dio - dobbiamo rivolgerci altrove: per esempio ai Vangeli, ai romanzi di Dostoievskij. Ma l'uomo nei suoi rapporti sociali non mai stato
pi acutamente descritto, i suoi moventi mai pi sottilmente analizzati che da La Rochefoucauld. Gli aforismi
variano notevolmente di valore; ma i migliori - straordinariamente numerosi - sono di una profondit e di una
pregnanza sorprendenti. Essi riassumono una ricca esperienza. In una frase La Rochefoucauld condensa tanto
materiale quanto servirebbe a un romanziere per una lunga storia. E viceversa, non mi meraviglierebbe apprendere che qualche romanziere ricorra alle Massime per trovarvi spunti per trame e personaggi. impossibile, per
esempio, leggere Proust senza pensare alle Massime, o le
Massime senza pensare a Proust. Le plaisir de I'amour
est d'aimer, et l'on est plus heureux par la passion que
I'on a que par celle que I'on donne. Il y a des gens si
remplis d'eux-mmes, que, lorsqu'ils sont amoureux, ils
trouvent moyen d'tre occups de leurpassion sans l'tre
de la personne qu'ils aiment. Che cosa sono tutte le storie d'amore di Alla ricerca del tempo perduto se non immensi sviluppi di questi aforismi? Proust un La Rochefoucauld ingrandito diecimila volte.
Poco meno soddisfacenti come libri da viaggio sono gli
aforismi di Nietzsche. In comune con quelli di La Rochefoucauld i detti di Nietzsche hanno la pregnanza e la vastit. I suoi aforismi migliori sono lunghi corsi di pensiero condensati. La mente pu soffermarvisi a lungo, perch in essi c' tanto di implicito. cos che i buoni afori-
zata rispetto alle precedenti, dell'Enciclopedia Britannica. Occupa poco spazio (21,6 cm per 16,5 per 2,5 non mi
pare eccessivo), contiene circa mille pagine e un numero
quasi infinito di dati curiosi e insoliti. Pu essere consultato in qualunque punto, i capitoli che lo compongono
sono ognuno a s stante e non troppo lunghi. Per il viaggiatore, il quale dispone soltanto di brevi mezz'ore, il libro ideale, tanto pi immaginando che sia un viaggiatore
nato e probabilmente anche uno di quei lettori saltuari e
senza metodo per i quali l'Enciclopedia, al di fuori di
ogni fine pratico, pu essere del massimo interesse. Non
passo mai un giorno lontano da casa senza portarne con
me un volume. il libro dei libri. Sfogliandolo, rovistando fra le riserve di voci straordinariamente eterogenee
riunite secondo il capriccio dell'ordine alfabetico, mi crogiolo nel mio vizio mentale. Un volume isolato dell'Enciclopedia come la mente di un pazzo erudito - imbottita di idee corrette fra le quali, tuttavia, non c' altra relazione che il fatto di avere un'iniziale in comune; da
orach, o {(spinaciodi montagna)), si passa direttamente a
oracle. Se leggendo l'Enciclopedia non si impazzisce o
non si diventa una miniera di nozioni inutili e slegate,
perch si dimentica. La mente ha una grande capacit di
oblio. Provvidenziale, altrimenti nel caos di una futile
memoria sarebbe impossibile ricordare le cose utili e significative. D'abitudine lavoriamo su generalizzazioni,
ricavate dal groviglio delle cose reali. Se ricordassimo
ogni cosa perfettamente, non saremmo mai in grado di
generalizzare, poich alla nostra mente non si presenterebbero che immagini staccate, precise e varie. Senza l'ignoranza non potremmo generalizzare. Ringraziamo il
cielo per la nostra capacit di dimenticare. Nei riguardi
dell'Enciclopedia essa immensa. La mente ricorda sol-
PARTE SECONDA
Luoghi
Montesenario
Era marzo e la neve si stava sciogliendo. Met invernale, met primaverile, la montagna era tutta a chiazze come un cane rognoso. Le pendici a sud erano scoperte; ma
in ogni cavit, sulle parti senza sole degli alberi, c'era ancora la neve, bianca sotto le azzurre ombre trasparenti.
Attraversammo una piccola pineta; il sole pomeridiano che filtrava attraverso lo scuro fogliame toccava qui
un ramo, l un pezzo di tronco, trasformando la corteccia rossastra in una specie di corallo dorato. Oltre il bosco sorgeva il monte, nudo fino alla vetta. Lungo la cresta, una massa di costruzioni elevava le sue alte mura illuminate dal sole contro il cielo pallido, una piccola Gerusalemme delle regioni fredde. Era il monastero di Montesenario. Affrontammo faticosamente la salita; l'ultima
fase del pellegrinaggio da Firenze a Montesenario insolitamente ripida, e si deve lasciare l'automobile a un certo
punto. E all'improvviso, come a darci il benvenuto, come a incoraggiare le nostre fatiche, la citt celeste ci mand incontro una schiera di angeli. Svoltando un angolo
del sentiero li vedemmo venire a due a due in lungo corteo; angeli in tonaca nera con cappello nero rotondo in
testa - un seminario nella sua ora d'aria pomeridiana.
Erano tutti ragazzi molto giovani, i pi vecchi potevano
avere sedici o diciassette anni, i pi giovani non pi di
dieci. Con le loro nere sottane svolazzanti, camminavano
con una dignit innaturale. Vedendo quei piccoletti in testa alla fila, con il grosso padre sorvegliante che avanzava a grandi passi al loro fianco, era difficile credere che
non si trattasse di una mascherata. Sembrava uno spettacolo di irriverente comicit; una caricatura di Goya animata all'improwiso. Ma i loro visi erano seri; paffuti o
affinati dall'adolescenza, avevano gi un'espressione
mellifluamente pretesca. Non era uno scherzo. Guardando quei ragazzini vestiti di nero, ci si sarebbe augurato
che lo fosse.
Continuammo a salire; i pretini, scendendo, scomparvero alla vista. Giungemmo finalmente alle porte della
citt celeste. Una piccola piattaforma lastricata e munita
di ringhiera serviva da pianerottolo alla fuga di gradini
che conducevano al cuore del convento. In mezzo alla
piattaforma sorgeva una statua di dimensioni pi grandi
del naturale raffigurante un santo sconosciuto. Ammirevole nella sua comicit, era un pezzo di scultura barocca
del diciottesimo secolo. Scolpito con rozzo talento, il personaggio gesticolava in preda all'estasi, con gli occhi rivolti al cielo; le vesti gli svolazzavano intorno in ampie
pieghe. In certo modo non era il tipo di santo che ci si
aspetta di trovare di sentinella sul pi severo eremo della
Toscana. E anche il convento sembrava un'incongruenza
in cima a questa austera montagna. Infatti la citt celeste
era un bell'esempio del primo barocco, con decorazioni e
aggiunte settecentesche. La chiesa era piena di sculture
dorate e contorte e di pitture tremendamente abili; le spoglie dei sette pii fiorentini che nel tredicesimo secolo fuggirono dalla citt di perdizione della pianura sottostante
e fondarono questo eremo sulla montagna erano conservate in una grande urna di cristallo e oro, illuminate, come in una bacheca nel salotto di un collezionista di porcellane, da lampadine elettriche nascoste. No, gli edifici
erano ridicoli. Ma, in fondo, che importano gli edifici? Si
possono dipingere bei quadri in una catapecchia, scrivere
poesie nel pi orrendo quartiere cittadino; e viceversa si
pu vivere in una casa stupenda, circondati da capolavori
d'arte antica, eppure (come quasi sempre succede quando i collezionisti dell'antico, affidandosi per una volta al
loro giudizio e non alla tradizione, si innamorano dell'arte moderna) essere grossolanamente insensibili e privi di
gusto. Entro certi limiti, l'ambiente esterno conta ben
poco. Solo quando l'ambiente estremamente sfavorevole pu distruggere o distorcere le facolt della mente. E
anche se favorevole, non pu far nulla per allargare i limiti posti dalla natura alle capacit umane. Cos qui l'architettura appariva assolutamente inappropriata al luogo
severo e all'idea stessa di romitaggio; ma gli eremiti che
vivono nel suo ambito non si accorgono forse neppure
della sua esistenza. All'ombra dell'assurda statua di San
Filippo Benizi un Buddha potrebbe sviluppare il suo pensiero buddhista come sotto un fico della pagoda.
Sui terreni intorno al monastero vedemmo una mezza
dozzina di Serviti in tonaca nera che segavano legna, con
vigore e umilt, in uno spirito ben diverso dalle pretenziose dorature della chiesa e dal campanile settecentesco.
Erano la presenza pi genuina. E la vista dalia seconda
cima della montagna era nella pi pura tradizione eremitica. Le alture si estendevano fin dove l'occhio poteva ar-
rivare nella foschia invernale, come un grande mare tempestoso immobilizzato dal gelo. Le valli erano piene di
ombre azzurre, e tutti i pendii esposti al sole erano color
ruggine dorata. Ai nostri piedi il terreno scendeva verso
un immenso abisso azzurro cupo. L'aria velata ammorbidiva ogni contorno, confondeva ogni particolare, soltanto luci dorate e ombre violette fluttuavano sotto il pallido
cielo come l'essenza disincarnata di un paesaggio.
Rimanemmo a lungo in contemplazione di quel regno
del silenzio, di una maestosa bellezza. La solitudine era
altrettanto profonda quanto l'abisso d'ombra sotto di
noi; si estendeva fino ai brumosi orizzonti e al cielo senza
confini. Nel cuore stesso di questa solitudine, pensavo,
l'uomo pu cominciare a capire qualcosa di quella parte
del suo essere che non si rivela nel commercio quotidiano
della vita, che i contatti sociali non suscitano, neppure a
sprazzi, da quella pietra focaia inerte che uno spirito
mai messo alia prova; quella parte del suo essere di cui
l'uomo prende coscienza unicamente nella solitudine e
nel silenzio. E se nella sua vita non c' silenzio, se la solitudine gli ignota, allora pu accadergli di scendere nella
tomba senza indovinarne l'esistenza, senza comprenderne la natura o realizzarne le potenzialit.
Ritornammo sui nostri passi verso il monastero e di l
scendemmo per il ripido sentiero fino all'automobile.
Dopo un chilometro di strada in direzione di Pratolino
incontrammo i pretini di ritorno dalla loro passeggiata.
Poveri ragazzini! Ma forse che il loro destino era peggiore, mi chiesi, di quello degli abitanti della citt nella valle? In cima alla loro montagna essi vivevano sotto una regola tirannica, veniva loro insegnato a credere in una
quantit di cose chiaramente insulse. Ma quella regola
era forse pi tirannica delle sciocche convenzioni che do-
minano la vita degli esseri sociali della pianura? Lo snobismo a proposito di duchesse e illustri scrittori era pi
ragionevole di quello a proposito di Ges Cristo e dei
santi? I1 duro lavoro per la maggior gloria di Dio era pi
detestabile delle otto ore quotidiane di ufficio per la maggior fortuna degli ebrei? La temperanza era un peso, non
c' dubbio; ma veniva cos disgustosamente a noia come
l'eccesso? E l'impegno dello spirito nella preghiera e nella meditazione era meno divertente dell'impegno in un
mare di bassezze? Scendendo in automobile verso la citt
di pianura riflettevo. E quando, in via Tornabuoni, passammo vicino a Mrs Thingummy che stava laboriosamente estraendo il suo corpo flaccido da una gigantesca
limousine per scendere sul marciapiede, di colpo capii
perfettamente che cosa avesse spinto i sette ricchi mercanti fiorentini, settecento anni fa, ad abbandonare la loro posizione nel mondo e a raggiungere quell'elevato luogo selvaggio per vivere in caverne sulla cima di Montesenario. Mi volsi a guardare: Mrs Thingummy entrava dimenandosi nel negozio dell'orefice. S, capivo perfettamente.
I1 fiume di Patinir
I1 fiume scorre in una stretta valle fra le colline. Un fiume ampio, colmo e scintillante. Le colline sono scoscese e
di un'unica altezza. Dove il fiume descrive una curva, le
colline su un lato sporgono a bastione, sull'altro si ritirano. Ci sono dirupi e boschi digradanti dal cupo fogliame.
Al di sopra di questa striscia di terra capricciosamente
scolpita e dentellata il cielo pallido. Da questo cielo deve scendere a volte una pioggia di un bianco di lino. Infatti sulle rocce aleggia un pallore di cenere; e il verde dell'erba e degli alberi si sfuma di bianco fino ad assumere
la tonalit del verde smeraldo delle scatole di colori dei
bambini.
Fiume colmo e scintillante, pallidi dirupi, alberi di un
intenso verde cupo, pendii dove il tappeto erboso ha il
colore del verderame stinto - pensavo che fosse tutto di
fantasia. Osservando questi quadretti, dipinti con milioni
di minuscole pennellate di un pennello di martora composto da quattro peli, ero affascinato e divertito dalla
graziosa invenzione. Questo Joachim Patinir, pensavo,
Portoferraio
I1 cielo era la tavolozza di Tiepolo. Una nuvola di fumo saliva nell'azzurro, bianca nella parte verso il sole,
tendente a scurirsi fino al grigio, passando per il colore
delle pieghe in ombra di un abito da sposa. In primo piano sulla destra sorgeva una grande casa rosa, il rosa acceso del geranio, inondata dal sole. C'era il materiale per
una Madonna con seguito di santi e angeli; o per un episodio della leggenda di Troia; o per una Crocifissione; o
per una scena delle tresche di Giove Tonante.
La terra era mediterranea - un pezzo di riviera interamente circondato dal mare. In una parola, 1'Elba. Le colline scendevano fino a una grande e bella baia curva,
riempita da un mare sfacciatamente azzurro. Sul promontorio a un capo della baia di Portoferraio si ergeva
su gradinate di stucco dipinto. Ai suoi piedi giaceva un
piccolo porto irto di alberature di barche. L'odore di pesce e il ricordo di Napoleone aleggiavano perpetuamente
nell'aria. La coscienza e il barone Baedeker ci dicevano
che avremmo dovuto visitare la casa di Napoleone - ora,
molto opportunamente, museo di storia naturale. Ma opponevamo una strenua resistenza. molto spiacevole sapere di non aver fatto il proprio dovere. Com' fastidiosa una coscienza colpevole, dice il Cardinale nella Duchessa di Amalfi. Aveva perfettamente ragione. Passeggiavamo nelle belle strade assolate gemendo sotto il peso
del peccato.
Poi, introducendoci attraverso una porta nelle mura
della citt vecchia, ci trovammo di fronte a una scena che
ci liber completamente dal senso di colpa. Ai nostri occhi si present una visione al cui confronto una casa piena di ricordi napoleonici era cosi insignificante che la nostra ribellione al barone Baedeker non era pi una colpa
ma decisamente un merito.
Sotto di noi, sull'altro lato di una piccola insenatura,
sullo sfondo delle montagne, si stendeva un piccolo pezzo di Terra Nera. Nel mezzo c'era un gruppo di fornaci in
attivit con tre enormi ciminiere alle loro spalle, come i
campanili di una cattedrale. Alla loro destra ce n'erano
altre cinque o sei. Tre gru immense erano piantate in riva
all'acqua, e un ponte di ferro conduceva dalla banchina
alle fornaci. Le ciminiere, le gru, le fornaci e le costruzioni, il mucchio di rottami, il terreno stesso di questa piccola area fra il Mediterraneo e le montagne - tutto era nero come carbone. Nero contro il cielo, nero contro le colline glauche e oro, nero anche il riflesso nelle scintillanti
acque azzurre.
Se ne fossi stato capace avrei voluto dipingere la scena.
Era di un'estrema bellezza. Bella e anche drammatica. La
mente si diletta dei contrasti violenti. Birmingham spaventosa cosi com' situata, il corpo nel Warwickshire e i
suoi neri tentacoli che si allungano attraverso la terra ondulata fino a Stafford. Ma trasportatela in Sicilia o sulle
I1 Palio di Siena
Le nostre stanze erano in una torre. Dalle finestre si vedeva, al di sopra dei tetti di tegole brune, il duomo sulla
sua collina. Cento piedi pi sotto c'era la strada, uno
stretto vicolo fra alti muri, perennemente senza sole; le
voci dei passanti salivano rimbombando come da un baratro. L sotto si camminava sempre nell'ombra; nella
nostra torre godevamo fino ali'ultimo la luce del sole.
Nelle giornate calde faceva pi fresco gi nella strada;
ma noi almeno avevamo il vento. Arrivava a ondate, si
rompeva contro la torre e riprendeva a scorrere sui due
lati. E alla sera, quando solo i campanili, le cupole e i tetti pi alti erano ancora incendiati dal sole al tramonto, le
nostre finestre erano a livello del volo di rondini e rondoni. Nei tramonti di tutta quella lunga estate saettavano e
roteavano intorno alla nostra torre. C'era sempre uno
stormo che eseguiva complicate evoluzioni proprio davanti alla nostra finestra. Deviavano bruscamente in tutte le direzioni, si tuffavano e risalivano, arrestavano il loro volo precipitoso con un battito delle lunghe ali appun-
tite e facevano una virata su se stesse. Solide, agili, affusolate, parevano l'incarnazione dell'eterea velocit. E il
loro grido sottile, acuto, fulmineo era la velocit fatta
suono. Stavo alla finestra a guardarle tracciare i loro
complicati arabeschi fino a esserne stordito, finch le loro stridule grida parevano sorgere dentro le mie orecchie
e il loro volo mi sembrava un moto continuo, guizzante,
straordinariamente multiplo, che sorgesse dietro i miei
occhi. E intanto il sole declinava, le ombre si arrampicavano sempre pi in alto su case e torri, e la luce che ancora indugiava sulle loro cime si faceva pi rosea. Infine
l'ombra raggiungeva anche queste, e la citt si adagiava
in un grigio e denso crepuscolo sotto il pallido cielo.
Una sera, verso la fine di giugno, mentre sedevo alla finestra guardando il volo degli uccelli, udii attraverso le
grida delle rondini un rullo di tamburo. Guardai gi nel
vicolo in ombra ma non vidi nulla. I1 suono si fece sempre pi forte e improvvisamente, dall'angolo dietro il
quale girava il vicolo, comparvero tre personaggi usciti
da un affresco del Pinturicchio. Erano vestiti in costume
verde e giallo - giubbetto giallo con bordi e riporti verdi, calze e scarpe dei due colori, e altrettanto i cappelli
piumati. Il suonatore di tamburo era in testa. Gli altri
due seguivano portando bandiere verdi e gialle. Proprio
sotto la nostra torre la via si allargava in una minuscola
piazza. In questo spazio vuoto i tre personaggi di Pinturicchio fecero una sosta, e la piccola folla di bimbi e di
sfaccendati che li seguivano da presso si radunarono intorno a loro in attesa. Il suonatore di tamburo acceler il
rullo e i due sbandieratori avanzarono al centro della
piazzetta. Restarono l immobili per un momento, con il
piede destro un po' in avanti rispetto all'altro, il pugno
sinistro sul fianco e le bandiere abbassate nel destro. Poi
nei loro voli e nei loro gridi intorno alla torre, udimmo il
rullo del tamburo. Ogni sera, nella piazzetta sotto di noi,
prendeva vita un frammento del Pinturicchio. A volte
erano i nostri amici in verde e giallo che ritornavano a
sventolare le loro bandiere sotto le nostre finestre. A volte erano i rappresentanti di altre contrade o zone della
citt, in blu e bianco, rosso e bianco, nero, bianco e arancione, bianco, verde e rosso, giallo e scarlatto. I giubbotti
e le calze di due vivaci colori spiccavano sui grigi e i neri
funerei della piccola folla del ventesimo secolo che li circondava. I gonfaloni spiegati ondeggiavano nella strada
come ali colorate di immense farfalle. I1 tamburo accelerava il suo ritmo e un rullo prolungato accompagnava il
lancio delle bandiere che si arrotolavano e vibravano nell'aria.
Per lo straniero che non ha mai assistito a un palio
queste prove generali sono un anticipo molto eccitante.
Affascinato da questi primi assaggi, si prepara con impazienza a ci che gli riserva la grande giornata. Anche i senesi sono eccitati. Lo spettacolo, pur familiare, non li
stanca mai. E l'appassionato di gioco che in loro, il patriota locale, aspetta ansiosamente il risultato della gara.
Gli ultimi giorni di giugno che precedono il primo Palio,
la settimana di met agosto che precede il secondo, sono
giorni di crescente eccitazione e tensione in citt. Si gode
tanto di pi il Palio dopo averli vissuti.
Perfino il sindaco e il consiglio comunale sono contagiati dall'emozione generale. Sono talmenti compresi dell'importanza dell'avvenimento che negli ultimi giorni di
giugno mandano una squadra sulla piazza del Palazzo
Comunale a sradicare ogni filo d'erba o ciuffi di muschio
cresciuti nelle fessure fra le pietre. quasi una caratteristica nazionale, questo odio per le cose naturali che cre-
scono fra" le opere dell'uomo. Ho visto spesso nelle vecchie citt italiane degli operai impegnati a strappare le erbacce nelle vie e nelle piazze meno frequentate. I1 Colosseo, invaso fino a trenta o quarant'anni fa da una vegetazione piranesiana e romantica di arbusti, erbe e fiori,
stato ufficialmente ripulito con tale energia che il suo
aspetto di abbandono e rovina notevolmente aumentato. Nei pochi mesi che dur quel lavoro sono state fatte
crollare pi pietre di quante ne fossero spontaneamente
cadute nei mille anni precedenti. Ma gli italiani ne furono
soddisfatti; il che, in fondo, la cosa pi importante. I1
loro odio per la vegetazione selvatica alimentato dall'orgoglio nazionale; un grande paese, soprattutto se si
vanta di essere moderno, non pu permettere che le erbacce crescano neppure fra le sue rovine. Capisco e condivido in pieno il punto di vista degli italiani. Se Ruskin e
i suoi discepoli avessero parlato di me e della mia casa come parlavano dell'Italia e degli italiani, mi farei anch'io
un punto d'onore della mia modernit; installerei bagni,
riscaldamento centrale, ascensore, farei raschiare tutta la
muffa dai muri, farei ricoprire di linoleum i pavimenti di
marmo. Davvero, credo che nella mia irritazione farei
abbattere l'intera casa per costruirne una nuova. Considerata la provocazione che hanno ricevuto, mi pare che
gli italiani siano stati notevolmente moderati in fatto di
diserbamento, distruzioni e ricostruzioni. La loro moderazione in parte dovuta, non C' dubbio, alla loro relativa povert. I loro antenati costruivano case di una tale
prodigiosa solidit che abbatterne una vecchia costerebbe come costruirne una nuova. Pensate, per esempio, se
si dovesse demolire il Palazzo Strozzi di Firenze. Comporterebbe una fatica pari a quella di demolire il Cervino. A Roma, che in prevalenza una citt barocca del
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chiara luce dorata sulla citt. Ma le loro strida erano coperte dal brusio profondo, continuo e informe della folla
che gremiva le strade e la piazza. Sotto la sua volta di pietra il campanone della torre del Mangia oscillava senza
posa avanti e indietro; anch'esso sembrava muto. Il cicaleccio, le risa, le grida di quarantamila persone salivano
dalla piazza come una solida colonna sonora, impenetrabile a qualsiasi rumore ordinario.
Erano le sei passate. Prendemmo posto in una delle
gradinate di fronte al Palazzo Comunale. I1 nostro lato
della piazza era gi nell'ombra; ma il sole illuminava ancora il palazzo e la sua torre alta e sottile, facendo brillare le loro superfici di mattoni rosati come di un fuoco interno. Un'enorme affluenza di popolo riempiva la piazza
e tutte le file di posti all'intorno. C'era gente a ogni finestra e perfino sui tetti. Al Derby di Wembley, nei giorni
di regate, ho visto folle pi vaste; ma mai tante persone
confinate in un cos piccolo spazio.
Un colpo di fucile risuonb attraverso il frastuono di
voci; a questo segnale una compagnia di carabinieri a cavallo irruppe nella piazza, spingendo avanti i ritardatari
che ancora affollavano la pista. Erano in alta uniforme,
nera e rossa con guarnizioni d'argento; tricorno in testa e
spada in mano. Sui loro bei cavallini sembravano uno
squadrone di elegante cavalleria napoleonica. Davanti a
loro gli ultimi arrivati si affrettarono a infilarsi attraverso ogni possibile varco fra le sbarre fino allo spazio centrale, che presto fu fittamente stipato. La pista fu liberata con un giro al passo e ripercorsa poi al trotto veloce,
nel migliore stile Carle Vernet. I carabinieri ricevettero
un bell'applauso e si ritirarono. La folla fremeva nell'attesa. Per un momento si fece quasi il silenzio. La campana delia torre ridivenne sonora. Qualcuno nella folla lan-
ci un paio di palloni, che salirono perpendicolari nell'aria tranquilla, una sfera rossa e una porpora. Passarono
dall'ombra alla luce del sole, e il rosso divenne rubino, il
porpora scintillante ametista. Arrivati al di sopra dei tetti, una leggera brezza li spinse via, sempre con movimento ascendente, fino a scomparire alla vista.
Ci fu un altro colpo di fucile e Vernet lasci i1 posto al
Pinturicchio. I1 frastuono della folla aument, la campana oscill di nuovo senza suono e le trombe del corteo in
arrivo si udirono appena. I rappresentanti delle diciassette contrade della citt fecero lentamente il giro della piazza. Oltre il tamburino e i due portastendardi ogni contrada aveva un armigero a cavallo, tre o quattro alabardieri
e paggetti e, nel caso delle dieci prescelte per la gara, un
fantino; tutti indossavano la divisa alla Pinturicchio nei
colori particolari di ogni contrada. Avanzavano lentamente, poich ogni cinquanta passi si fermavano per permettere ai portastendardi di esibirsi in prove di abilit
con le bandiere. Impiegarono almeno un'ora a fare il giro. Ma il tempo sembrava perfino troppo breve. I1 Palio
uno spettacolo del quale non ci si stanca. Ormai l'ho visto gi tre volte, e l'ultima mi ha divertito come la prima.
I turisti inglesi sono spesso diffidenti a proposito del
Palio. Ricordano quelle terribili rievocazioni storiche che
erano in gran voga nel loro paese circa quindici anni fa, e
pensano che il Palio si riveli qualcosa di simile. Ma voglio
rassicurarli; non affatto cos. Non esiste nessuna poesia
di Louis Napoleon Parker a Siena. Qui non ci sono cori
di fanciulle i cui canti sommessi esprimono elevati sentimenti morali. Non ci sono scialbi attori-impresari imperfettamente camuffati da Hengist e Horsa, n una folla di
comparse gesticolanti vestite con pessimo gusto e addobbi
dei pi scadenti. Infine, a Siena capita raramente di esse-
re colti dal quasi invariabile accompagnamento delle parate inglesi - la pioggia. No, il Palio soltanto spettacolo; non ha nessun significato particolare ma, per il
semplice fatto di mantenere in vita una tradizione, significa infinitamente di pi di quei deprimenti pasticci con
tutta la loro vuota poesia parkeriana e le loro drammatiche rievocazioni. Tutti questi paggi e armigeri e sbandieratori vengono direttamente da un passato che la pittura
del Pinturicchio raffigura cos bene. I loro abiti sono
quelli disegnati per i loro avi, copiati fedelmente a ogni
generazione con gli stessi colori e le stesse ricche stoffe;
non le flanelle e i cotoni ma le sete, i velluti, le pellicce. E
quei colori furono assortiti, gli abiti tagliati in origine da
uomini il cui gusto era quello impeccabile del primo Rinascimento. Non c' dubbio che oggi ci sono costumisti
dal gusto altrettanto raffinato. Ma non erano certo i Paquin, i Lanvin o i Poiret a vestire gli attori di quegli spettacoli inglesi; erano i fabbricanti di parrucche e le sarte
da strapazzo. Ho gi parlato della bellezza degli stendardi, del loro disegno audace, fantasioso, moderno. Nel
Palio ogni altro particolare in armonia con gli stendardi, originale, estroso, ma sempre appropriato, sempre di
un'irreprensibile raffinatezza. L'unica nota falsa proprio il Palio in se stesso - lo stendardo che viene dato
alla contrada il cui cavallo ha vinto la gara. Questo stendardo dipinto appositamente ogni anno in questa occasione. Guardatelo mentre avanza, esposto orgogliosamente sul grande carro da guerra medievale che chiude la
sfilata - guardatelo, o forse preferibile di no. Sembra
uscito dalla collezione di addobbi di uno di quegli spettacoli inglesi. il capolavoro di una sarta da strapazzo.
Rabbrividendo, si distolgono gli occhi.
Preceduto da una fila di paggi del Quattrocento che
portano festoni di foglie d'alloro e scortato da una compagnia di cavalieri, il carro da combattimento avanzava
lento e pesante, inalberando il poco degno trofeo. A questo punto le trombe in testa al corteo si misero a suonare,
in modo appena udibile da noi sull'altro lato della piazza. Finalmente tutta la sfilata complet il suo giro intorno alla piazza e si schier in buon ordine davanti al Palazzo Comunale. Sopra le teste degli spettatori radunati
nello spazio centrale vedemmo i trentaquattro stendardi
che ondeggiavano in un'ultima esibizione d'insieme, venivano infine lanciati per aria, esitavano un istante al culmine del loro slancio, poi ricadevano fuori della nostra
vista. Ci fu uno scoppio di applausi. Lo spettacolo era
terminato. Un altro colpo di fucile. E in mezzo ad altri
applausi i cavalli della gara furono riportati al luogo di
partenza.
I1 percorso di tre giri intorno alla piazza, la cui forma, come ho detto, somiglia a quella di un teatro antico.
Ci sono dunque due curve strette dove le estremit del semicerchio incontrano il diametro. Una di esse, data l'irregolarit della pianta, pi stretta dall'altra. In questo
punto la parete esterna della pista imbottita con materassi per impedire ai fantini irruenti, che prendono la curva troppo velocemente, di sfracellarsi. I fantini cavalcano senza sella; i cavalli corrono su un sottile strato di sabbia sparsa sulle lastre di pietra della piazza. I1 Palio forse la corsa in piano pi pericolosa al mondo. Ed resa
ancora pi pericolosa dal patriottismo esagerato delle
contrade rivali. Infatti i1 vincitore della gara, quando tira
le redini del suo cavallo dopo avere oltrepassato il traguardo, assalito dai sostenitori delle altre contrade (i
quali pensano tutti che il loro cavallo avrebbe dovuto
vincere) con una furia cos scatenata che i carabinieri de-
Paesaggi d'Olanda
gliosa oppure, ricordando Paul Potter, si specchiano come tanti Narcisi ruminanti nelle acque di un canale. Talvolta si incontrano degli esseri umani, deplorevolmente
fuori luogo, ma che di solito fanno del loro meglio per
compensare il loro aspetto poco geometrico girando in
bicicletta. Le ruote circolari propongono una serie di
nuovi teoremi e un nuovo compito per il demone del calcolo. Supponiamo che il raggio delle ruote sia di trenta
centimetri; trenta volte per trenta volte pi greco dar l'area. L'unico guaio che abbiamo dimenticato il valore
del pi greco.
Mi affretto a esorcizzare il demone del calcolo per essere libero di ammirare la fattoria sulla riva opposta del canale alla nostra destra. Con quale perfezione si inserisce
nello schema geometrico! Su un cubo, ridotto a circa un
terzo della sua altezza, collocata un'alta piramide. Questa la casa. La circonda una piantagione di alberi disposti a quinconce; i confini del suo giardino rettangolare sono disegnati dall'acqua sulla verde pianura, e al di l le
dighe ordinate si succedono sulla piatta distesa illimitata.
Non ci sono rimesse, fienili, cortili con cataste disordinate. I1 fieno riposto sotto il grande tetto piramidale, e nel
cubo tronco sottostante vivono da una parte il fattore e la
sua famiglia, dall'altra parte (ma solo durante l'inverno,
perch nel resto dell'anno dormono nei campi) le sue
mucche bianche e nere alla Cuyp. Tutte le fattorie dell'Olanda settentrionale si adeguano a questo stile, che tradizionale e cos perfettamente conforme al paesaggio che
sarebbe impossibile immaginarne uno pi appropriato.
Una fattoria inglese, con le sue costruzioni sparse, il suo
cortile disordinato, pieno di animali, i suoi pagliai e piccionaie, qui sarebbe terribilmente fuori luogo. Si adatta
bene al paesaggio inglese, con la sua conformazione acci-
mente piatti, le strade troppo diritte e le leggi della prospet tiva troppo tiranniche, riemergo nella simpatica confusione della realt non addomesticata.
E com' bella e stimolante quella confusione in Olanda! Penso a Rotterdam con il suo fiume enorme e i suoi
grandi ponti, cos invasa dal traffico di una grande metropoli che si costretti a code lunghe mezzo miglio per
attraversare le strade. Penso all'Aja e alle sue pretese di
eleganza, mentre riesce soltanto a essere rispettabile e alto-borghese. A Delft, la citt commerciale di trecento anni fa; a Haarlem, dove in autunno si vedono passare i
carri di bulbi come in altri paesi i carri di patate; a Hoorn
sullo Zuyder Zee, con il suo piccolo porto e il castello che
guarda il mare, il suo assurdo museo pieno di costose
sciocchezze di vario genere, il suo enorme magazzino di
formaggi, come un arsenale dei vecchi tempi, dove gli
operai sono indaffarati tutto il giorno a lucidare palle di
cannone gialle in una specie di tornio e a dipingerle di rosa acceso con colori all'anilina. Penso a Volendam una fila di case di legno sull'alto della diga costiera e
un'altra fila in basso, nei campi verdi dietro la diga. La
gente di Volendarn e vestita come per una commedia musicale - Miss Hook d'Olanda - gli uomini con pantaloni a sbuffo e giacchette corte, le donne con cuffie bianche
ad ali, corsetti aderenti e quindici sottane sovrapposte.
Cinquemila turisti vengono ogni giorno a vederli; ma miracolosamente essi conservano la loro dignit e indipendenza. Penso ad Amsterdam; la citt vecchia, una specie
di Bruges pi animata, specchia nei canali le sue alte case
di mattoni. In un quartiere, a ogni finestra si affacciano
grasse prostitute sorridenti, gli esemplari umani pi polposi che abbia mai visto. Alle nove del mattino, all'ora di
colazione, alle sei di sera, le vie si riempiono all'improv-
parte non geometrica d'Olanda stata Zaandam; Zaandam vista da lontano, dalla pianura.
Avevamo viaggiato attraverso i polder e l'aperta campagna dell'Olanda del nord. Zaandam fu il primo pezzo
di realt non geometrica che incontrammo dopo Alkmaer. In termini tecnici, Zaandam non pittoresca; la
guida ha poco da segnalare. un porto e una citt industriale sullo Zaan, qualche chilometro a nord di Amsterdam; questo tutto. Ci sono fabbriche di cacao e di sapone. L'aria carica, a strati alternati, di esalazioni deliziose di cioccolato fuso e di puzza di grasso bollito. Sulle
banchine in riva al fiume ci sono depositi di grano americano e di legname del Baltico. I granai furono i primi ad
annunciarci da lontano la presenza di Zaandam. Come
cattedrali di una nuova religione non ancora divulgata,
essi troneggiavano nell'aria velata autunnale - enormi
rettangoli di cemento collocati verticalmente, quasi senza
finestre, di un grigio uniforme. Era come se tutta la loro
forza fosse diretta verso l'alto; guardare il mondo orizzontalmente da una finestra sarebbe stato un nonsenso;
gli occhi erano costretti a questo sforzo verso l'alto. E tale direzione era accentuata dalle linee dei riquadri alternatamente sporgenti e rientranti nei quali erano divise le
superfici dei muri di questi grandi edifici - lunghe e sottili linee d'ombra che correvano ininterrotte per cento
piedi dalla base alla sommit. I costruttori del palazzo
papale di Avignone usarono un accorgimento simile a
questo per dare al loro fabbricato il suo aspetto di verticalit e di straordinaria imponenza. I riquadri in rilievo e
gli archi ciechi sostenuti da montanti di inverosimile altezza, con i quali essi hanno movimentato le superfici,
conferiscono all'intero edificio un forte slancio verso
l'alto. Lo stesso accade per i silos di Zaandam. Nella fo-
schia dell'Olanda autunnale mi venne in mente la Provenza. Guardando quelle forme troneggianti che divenivano sempre pi grandi a mano a mano che ci avvicinavamo, pensavo a Chartres, a Bourges e a Reims: sagome
gigantesche viste alla fine di una giornata di viaggio, verso sera, contro un pallido cielo, con le piccole luci di una
citt intorno alla loro base.
Ma se da una certa distanza Zaandam, con i suoi monumenti commerciali, ricorda i castelli provenzali e le
cattedrali gotiche francesi, uno sguardo pi rawicinato
ne denuncia l'inequivocabile carattere olandese. Ai piedi
dei silos e delle fabbriche poco meno gigantesche, nell'aria che sa di cioccolato e di sapone, giace la citt con le
sue case sparse. I sobborghi sono lunghi ma stretti, aggrappati precariamente alla sottile striscia di terra fra
due acque. Le case sono piccole, di legno dipinto a colori vivaci, con giardini grandi come un fazzoletto, ben curati e pieni di begonie rigogliose, almeno nella stagione
in cui li ho visti. In uno di essi, grande come due fazzoletti, c'erano non meno di quattordici gruppi scultorei.
Nelle vie si incontrano uomini che fumano, con zoccoli
di legno ai piedi. Cani che tirano carri pieni di vasi d'ottone. Innumerevoli biciclette. l'Olanda reale, non
quella ideale geometrica; affollata, confusionaria, multiforme, strana, affascinante... Ma entrando nella citt
sospirai. Era finita l'Ultima corsa insieme)); ci eravamo lasciati alle spalle gli amati paralogismi razionalistici. Ora si doveva affrontare il mondo reale degli uomini
e, nel mio caso, affrontarlo conoscendo esattamente sei
parole di olandese (dialetto, per giunta) imparate anni
prima a beneficio di una cameriera fiamminga: Ha dato da mangiare ai gatto?)) Non c' da stupirsi che rimpiangessi i polder.
Sabbioneta
personalmente gli onori di casa, ai socialisti che lo avevano preceduto nella carica. superfluo dire che lui era
un fascista.
Girammo nelle grandi sale vuote sotto i magnifici soffitti scolpiti e dorati. I1 custode sedeva fra gli affreschi in
rovina del Gabinetto di Diana. I1 consiglio municipale
teneva le sue sedute nel Salone Ducale. La Galleria degli
antenati ospitava gli archivi cittadini e un impiegato. I1
vicesindaco aveva il suo ufficio nella Sala degli Elefanti.
La Sala d'Oro era diventata una classe di asilo infantile.
Uscimmo nella piazza soleggiata letteralmente con il
cuore spezzato.
I1 Teatro Olimpico pochi passi pi in l nella via.
Accompagnati dal giovane custode gentile del Gabinetto
di Diana, vi entrammo. un teatro minuscolo ma perfetto e straordinariamente elegante. Dalla platea cinque
scalini semicircolari salgono a una loggia a colonne, dietro la quale sta il palco ducale che domina l'intera sala.
La loggia composta di dodici colonne corinzie, sormontate da una cornice. Su questa, al di sopra di ogni
colonna, c' una dozzina di di e dee di stucco. Nasi e
dita, capezzoli e orecchie hanno fatto la fine di tutte le
cose d'arte; ma sopravvivono le forme generali. Le loro
bianche sagome gesticolano con grazia nella semioscurit della sala.
I1 palcoscenico era un tempo ornato di uno scenario
fisso in prospettiva, come quello costruito dal Palladio a
Vicenza. I1 sindaco volle farci credere che l'avevano distrutto i suoi predecessori bolscevichi; ma certamente era
stato asportato circa un secolo prima. Distrutti erano
pure gli affreschi che in passato ricoprivano i muri. Durante un'epidemia il teatro fu usato come ospedale. Passata la peste, si pens che fosse necessaria una disinfe-
irrompeva dalle finestre senza vetri quali delizie gonzaghesche ci furono rivelate! C'era un Gabinetto di Venere
con i resti di nudi voluttuosi, una Sala dei Venti con cherubini che soffiavano e una cappa di camino di marmo
rosso; un Gabinetto dei Cesari con pavimento di marmo
e ornato di medaglioni di tutti i ribaldi deil'antichit; una
Sala dei Miti sul cui soffitto a forma di piramide tronca
vista dall'interno erano dipinte cinque incantevoli scene
alla Lemprire - un Icaro, un Apollo e Marsia, un Fetonte, un'Aracne, e al centro una scena per me alquanto
misteriosa: una bellezza nuda seduta in groppa non a un
toro (questo sarebbe stato abbastanza semplice) ma a un
cavallo sdraiato che gira amorosamente la testa a guardarla mentre lei gli accarezza il collo. Chi fosse la dama e
chi il dio travestito non so con esattezza. Vaghi ricordi di
una scappatella di Saturno mi fluttuano in mente. Ma
forse sto diffamando una divinit rispettabile.
Ad ogni modo, qualunque ne sia il soggetto, il dipinto
affascinante. L'artista principale di Vespasiano fu Bernardino Campi di Cremona. Non era un gran pittore,
certo; ma la sua mediocrit era aggraziata e gentile, mai
banale come quella di Giulio Romano. Sul Palazzo del
T incombe un'atmosfera di paura appena attenuata dal
tempo; ma il Giardino tutto dolcezza - manierata e
piuttosto fiacca - tuttavia autentica nel suo sfacelo.
La vecchia guardiana ci illustrava le pitture mentre giravamo - non in base alla conoscenza di ci che rappresentavano, ma alla sua immaginazione, che era ben pi
interessante. Nella Sala delle Grazie, le cui pareti recavano ancora le tracce di una serie di graziosi grotteschi*
PARTE TERZA
Opere d'arte
Bruegel
La maggior parte dei nostri errori sono fondamentalmente grammaticali. Ci creiamo noi stessi delle difficolt
usando un linguaggio inadeguato per descrivere la realt.
Cos, per fare un esempio, diamo lo stesso nome a cose
diverse e pi di un nome alla medesima cosa. Le conseguenze, quando dobbiamo discutere, sono disastrose. Infatti usiamo un linguaggio che non descrive adeguatamente le cose delle quali parliamo.
La parola pittore una di quelle la cui applicazione
indiscriminata ha condotto ai peggiori risultati. Cos vengono chiamati senza distinzione tutti coloro che per qualsiasi ragione e a qualsiasi scopo mettono il pennello sulla
tela e dipingono. Ingannati dall'unicit del nome, gli studiosi di estetica hanno voluto farci credere che c' una sola psicologia del pittore, una sola funzione del dipingere,
un solo standard di critica. La moda cambia e con essa le
idee dei critici d'arte. Ai nostri giorni di moda credere
nella forma trascurando il soggetto. I giovani vanno quasi in deliquio per l'emozione estetica davanti a un Matis-
un assurdo. Come lo era un tempo l'insistenza sull'imitazione della natura e sul sentimento a esclusione della forma. Non ci devono essere esclusioni. Nonostante il nome
unico, ci sono molti tipi diversi di pittori e tutti, a parte
quelli che non sanno dipingere o che hanno una personalit banale o volgare o noiosa, hanno il diritto di esistere.
Tutte le classificazioni e le teorie sono fatte a posteriori; i fatti devono prima accadere per poi essere catalogati
e ridotti a metodo. Invertendo il processo storico, noi affrontiamo i fatti gi con una scorta di pregiudizi teorici.
Invece di valutare ogni singolo fatto in base ai suoi meriti, ci chiediamo come esso si adatti allo schema teorico. A
un dato momento un certo numero di fatti meritevoli non
concordano con la teoria di moda e devono quindi essere
ignorati. Cos l'arte di E1 Greco non si conform all'ideale pittorico in auge presso Filippo I1 e i suoi contemporanei. Nel diciassettesimo e diciottesimo secolo i primitivi
senesi erano giudicati dei barbari incompetenti. Sotto
l'influenza di Ruskin il tardo diciannovesimo secolo pens bene di condannare quasi tutta l'architettura che non
fosse gotica. E all'inizio del nostro secolo, sotto l'influenza dei francesi, si deplora o si ignora, in pittura, tutto quello che letterario o drammatico o che riflette un
pensiero.
In ogni epoca la teoria ha portato gli uomini ad apprezzare molte cose brutte e a rifiutarne molte belle. I1
critico d'arte dovrebbe avere un solo pregiudizio, quello
contro l'incompetenza, la disonest mentale, la superficialit. Infiniti sono i modi per fare buoni quadri, e tutti
dipendono soltanto dalla variet delle menti umane.
Ogni buon pittore inventa un nuovo metodo di dipingere.
Quest'uomo un pittore esperto? Ha qualcosa da dire,
genuino? Sono queste le domande che il critico si deve
suoi dipinti e concentrarci soltanto sulle loro qualit formali; Bruegel invece imperdonabile perch i suoi commenti sull'umanit hanno ancora per noi un interesse.
Dai suoi soggetti non possiamo estraniarci; ci toccano
troppo da vicino per poterli ignorare. Ecco perch Bruegel disprezzato da tutti i Kunstforscher aggiornati.
E anche in passato, quando non c'erano obiezioni teoriche alla mescolanza di pittura e letteratura, Bruegel non
ottenne, per altre ragioni, il riconoscimento dovuto. Era
considerato volgare, rozzo, buffonesco, e come tale indegno di seria considerazione. Cos l'Enciclopedia Britannica, sulla quale in queste faccende si pu fare affidamento per conoscere l'opinione corrente di un paio di generazioni fa, nelle undici righe che con parsimonia dedica
a Peter Bruegel ci informa che i soggetti dei suoi dipinti
sono principalmente figure umoristiche, come quelle di
D. Teniers; e se a lui manca il tocco delicato e l'argentea
luminosit di quel maestro, ampiamente dotato di spirito e di capacit comiche)).
Chiunque abbia scritto queste parole - e si suppone
che siano state scritte, cinquant'anni fa, da qualcuno desideroso di andare sul sicuro e di dire la cosa giusta -
probabile che non si sia mai dato la pena di guardare nessuno dei quadri dipinti da Bruegel nella sua piena maturit di artista.
In giovent, vero, fece una certa quantit di lavoro
scadente per un mercante specializzato in caricature e
diavoli nello stile di Hieronymus Bosch. Ma i suoi quadri
successivi, dipinti quando si era veramente impadronito
dei segreti della sua arte, non sono affatto comici. Sono
studi di vita contadina, allegorie, pitture religiose di una
concezione insolitamente meditativa, paesaggi squisitamente poetici. Bruegel mor ai sommo delle sue capacit. \
Ma sufficiente quanto esiste della sua opera matura ad Anversa, a Bruxelles, a Napoli e soprattutto a Vienna
- per dimostrare la stoltezza del verdetto classico e rivelarlo per quello che fu: il maggior paesaggista del suo secolo, il pi acuto studioso di costumi, il pittore che con
straordinaria abilit ha rappresentato o suggerito una visione della vita. a Vienna che l'arte di Bruegel pu essere meglio studiata in tutti i suoi aspetti. L ci sono praticamente tutti i suoi migliori dipinti di vari generi. Quelli
sparsi tra Anversa, Bruxelles, Parigi, Napoli e altrove
non danno che una pallida idea delle sue capacit. Nei
musei di Vienna sono raccolti pi di una dozzina di suoi
quadri, tutti appartenenti al suo ultimo e migliore periodo. La Torre di Babele, la Salita al Calvario, il Censimento a Betlemme, i due paesaggi dell'lnverno, quello
dell'Autunno, la Conversione di san Paolo, la Battaglia
fra i Filistei e gli Israeliti, il Pranzo di nozze e la Danza di
contadini - tutte queste opere mirabili sono presenti
qui. su queste che si deve giudicarlo.
I paesaggi a Vienna sono quattro: i Cacciatori nella neve (Gennaio), la Giornata oscura (Febbraio), il Ritorno
della mandria (Novembre), e il Censimento a Betlemme,
che nonostante il titolo poco pi di un paesaggio con figure. Quest'ultimo, come il paesaggio di Gennaio e la
Strage degli innocenti a Bruxelles, uno studio di neve.
Le scene di neve si prestavano in modo particolare allo
stile pittorico di Bruegel. Infatti, visti su uno sfondo innevato, tutti gli oggetti scuri o colorati hanno un risalto
speciale, come sagome dai contorni netti. In tutte le sue
composizioni Bruegel fa quello che la neve fa nella natura. Nei suoi quadri (che ricordano molto la maniera dei
giapponesi) tutti gli oggetti sono sagome estremamente
sottili disposte, un piano dopo l'altro, come gli arredi
teatrali nella profondit del palcoscenico. Di conseguenza quando dipinge le scene di neve, dove la natura che
per prima imita il suo metodo abituale, egli raggiunge un
grado quasi inquietante di realismo essenziale. Quei cacciatori che scendono dalla collina verso la valle coperta di
neve con i suoi stagni gelati sono tanti Jack Frost con la
sua banda. La folla che gira per le bianche strade di Betlemme si inserisce in un inverno assoluto, e quei feroci
soldati a cavallo che si danno al saccheggio e alla caccia
agli innocenti in un paesaggio da cartolina di Natale fanno parte dell'esercito stesso dell'inverno, e gli innocenti
che uccidono sono i giovani germogli della terra.
Lo stile di Bruegel meno strettamente compatibile
con i paesaggi senza neve di Febbraio e Novembre. I diversi piani sono separati in modo un po' troppo netto e
piatto. Occorre un tipo di pittura pi morbida e pastosa
per cogliere l'intima qualit di scene come quelle raffigurate in questi due dipinti. Uno specialista dell'autunno,
ad esempio, avrebbe fuso gli animali, gli uomini, gli alberi e le montagne in un insieme pi indistinto, unendo il
tutto, il vicino e il lontano, nella ricca materia della sua
pittura. Bruegel aveva un modo di dipingere troppo piatto e trasparente per essere l'interprete perfetto di simili
paesaggi. Eppure, anche dove il suo stile non era totalmente adeguato, ha fatto meraviglie. Questo Autunno
di una squisita bellezza. Qui, come nel pi cupamente
drammatico paesaggio di Febbraio, fa un uso sapiente di
ori, gialli e bruni, in una sobria luminosa armonia di colori. Il paesaggio di Novembre del tutto calmo e sereno;
invece nella Giornata oscura il pittore ha rappresentato
uno dei drammi naturali del cielo e della terra - un conflitto fra la luce e l'oscurit. La luce irrompe di sotto le
nuvole all'orizzonte, scintilla dal fiume che scorre nella
valle a media distanza, risplende sulle cime delle montagne. Il primo piano, che rappresenta la cresta di una collina boscosa, scuro; e gli alberi spogli sui pendii sono
neri contro il cielo. Questi due dipinti sono i pi bei paesaggi del sedicesimo secolo che conosco. Sono intensamente poetici ma misurati, senza concessioni al pittoresco e al romantico. Gli aspri dirupi e i vertiginosi precipizi cos cari agli antichi pittori non appaiono in questi
esempi dell'opera matura di Bruegel.
L'antropologia di Bruegel altrettanto attraente quanto la sua poesia della natura. Conosceva i suoi fiamminghi, li conosceva intimamente, nei loro momenti di prosperit come negli anni infelici di lotte, rivolte, persecuzioni, guerre e conseguente povert che seguirono all'avvento della Riforma nelle Fiandre.
Fiammingo lui stesso, in un modo cos profondo e incrollabile che riusc ad andare in Italia e, come il suo
grande connazionale Roger van der Weyden un secolo
prima, a ritornarne senza la pi lieve traccia di italianismo - era perfettamente qualificato a essere lo storico
dei costumi delle genti fiamminghe. Le mostra per lo pi
in quei momenti di orgiastica allegria con la quale mitigano la monotona fatica del vivere quotidiano: enormi abbuffate e bevute, goffe danze, abbandono a certe amenit scatologiche tipicamente fiamminghe. I1 Pranzo di
nozze e la Danza di contadini, entrambi a Vienna, sono
superbi esempi di questo tipo di pittura antropologica.
N dobbiamo dimenticare quei due quadri curiosi che sono il Combattimentofra Carnevale e Quaresima e i Giochi di bimbi. Anche questi ci mostrano certi aspetti allegri di vita fiamminga. Ma la visione non si limita a una
scena individuale, colta per caso al suo culmine e riprodotta. Questi due dipinti sono sistematici ed enciclopedi-
fondamentalmente in contrasto con quelle, essendo dipinte nello stile di Roger van der Weyden. Una piccola
oasi di spiritualit appassionata, di consapevolezza e partecipazione, in mezzo alla dilagante insensibilit e bestialit. Perch Bruegel le abbia messe nella scena difficile
precisare; forse a beneficio dei religiosi convenzionali,
forse per rispetto della tradizione; oppure la sua visione
gli pareva troppo sconfortante e ha voluto aggiungere
questo nobile particolare per rassicurare se stesso.
Rimini e Alberti
Provavo un po' di pena per il braccio di San Francesco Saverio. I1 corpo del santo, dopo la traslazione dalla
Cina alla Malacca e dalla Malacca all'India, ora riposa,
come ho detto, nell'urna sfarzosa di Goa. Dopo una vita
cos straordinariamente intensa, il grande missionario
meriterebbe di riposare in pace. E cos fa, almeno la
maggior parte di lui. Ma il braccio destro ha dovuto rinunciare alla sua quiete secolare; i suoi viaggi missionari
non sono ancora finiti. Nella sua cassetta di cristallo e
oro si sposta instancabilmente attraverso il mondo cattolico raccogliendo oboli - per rovinare l'innocenza degli indiani)), come con espressione concisa e piuttosto
caustica ha detto Matthew Green duecento anni fa. Povero braccio!
Quella mattina lo trovammo nella chiesa di San Francesco a Rimini. Una folla di fedeli riempiva l'edificio e
traboccava nella strada. Pareva che la gente aspettasse
nella vaga speranza di qualche evento taumaturgico. All'interno della chiesa una lunga fila di uomini e donne
strascicava i piedi fino al coro per baciare il reliquiario
ingioiellato e deporre le monete. Fuori, fra la folla alla
porta della chiesa, giravano i venditori ambulanti con
cartoline a colori del Braccio Taumaturgico e brevi ma
favolose biografie del suo possessore. Ci mettemmo a
parlare con uno di loro, il quale ci raccont che seguiva
il Braccio di citt in citt, vendendo le sue mercanzie
ovunque esso si fermava per mostrarsi. Era un'attivit
abbastanza redditizia, che gli permetteva di mantenere
moglie e figli a Milano in una certa agiatezza. Ci mostr
le loro fotografie: mamma e bambini avevano l'aria ben
nutrita. Ma, poveraccio, questo lavoro lo teneva quasi
ininterrottamente lontano da casa. A che serve sposarsi? disse rimettendosi in tasca le fotografie. Sospir
scuotendo la testa. Se almeno fosse stato possibile indurre il Braccio a starsene fermo per un po'!
All'ora di colazione il Braccio fu portato in giro per
Rimini. Drappi rossi e gialli erano appesi in suo onore a
tutte le finestre; i fedeli aspettavano con impazienza. E
finalmente arriv, in una grande Fiat molto sporca e rumorosa, accompagnato non dai dignitari ecclesiastici della citt come ci si sarebbe aspettato, ma da sette o otto
giovanotti molto laici in camicia nera, con i capelli crespi, le tasche dei pantaloni gonfie di pistole automatiche
- certamente una rappresentanza del fascio locale.
I1 Braccio stava sul sedile anteriore, vicino all'autista; i
fascisti erano adagiati dietro. Al passaggio dell'automobile i fedeli si comportavano in modo curioso: mescolando gesti di riverenza e di applauso, cadevano in ginocchio
e battevano le mani. I1 Braccio era trattato come se fosse
un misto di Jackie Coogan e dell'ostia sacra. Dopo pranzo fu trasportato rapidamente a Bologna. I venditori di
immagini sacre lo seguirono con la velocit consentita
dalle ferrovie italiane, la folla si disperse e la chiesa di
San Francesco ritorn al suo consueto silenzio.
Di questo ci rallegrammo, poich non era per vedere
un frammento di San Francesco Saverio che eravamo venuti a Rimini, ma per visitare la chiesa di San Francesco
d'Assisi. Finch vi aveva sostato il Braccio, la visita era
stata impossibile; la sua partenza ci diede modo di guardarci intorno a nostro agio. Tuttavia ero molto contento
di aver visto l dentro la reliquia peripatetica e i suoi adoratori. In questa strana chiesa che Malatesta trov come
tempio cristiano, ricostru con forme pagane e ridedic a
se stesso, alla sua amante e al classicismo, la scena di cui
eravamo stati testimoni era carica di sorprendenti contraddizioni che provocavano, per uno scherzo delle circo-
stanze, una serie di divertite riflessioni. Provai a immaginare che cosa avrebbe pensato di Sigismondo Malatesta il
primo San Francesco, che cosa avrebbe pensato di lui Sigismondo e come avrebbe giudicato la profanazione del
suo tempio nietzschiano compiuta dalla visita postuma di
un frammento del secondo San Francesco. Ci si pu immaginare uno spassoso dialogo alla Gobineau e alla Luciano fra quei quattro personaggi nei Campi Elisi, un volo lieve e ardito al di sopra delle profondit dello spirito.
E per chi ha orecchi per intendere c' un'eloquenza anche
nella muta disputa delle pietre. Gli archi gotici dell'interno protestano contro la struttura classica nella quale
l'Alberti ha racchiuso la chiesa di San Francesco; contro
le decorazioni pagane di Matteo de' Pasti; contro l'autoesaltazione blasfema di Malatesta; e mentre lodano il
costante disinteresse del missionario, protestano contro
l'eccessiva ricchezza del reliquiario gesuitico. Seria, sobria, razionale, la facciata classica dell'Alberti sembra
deplorare la navet del primo San Francesco e gli entusiasmi intolleranti del secondo e, pur stimando l'intelligenza di Malatesta, sembra rimproverargli la sua lussuria
e i suoi eccessi. Malatesta, intanto, se la ride cinicamente
di tutti loro. I1 potere, il piacere e Isotta - sono queste,
dichiara attraverso lo schema delle decorazioni che fece
eseguire da Matteo de' Pasti, le sole cose che contano.
L'esterna della chiesa interamente di Alberti. N a
San Francesco n a Malatesta e concesso disturbare la sua
solenne e armoniosa bellezza. La facciata un arco trionfale, una versione pi nobile di quell'arco di Augusto che
scavalca la strada all'altro capo di Rimini. Nell'enorme
spessore del muro a sud Alberti ha inserito una serie di
profonde nicchie ad arco. Ombre rientranti si alternano
armoniosamente nella lunga prospettiva a lisce zone di
pietra illuminata dal sole; e in ogni nicchia, semplice e severo come il carattere di un romano antico nelle pagine di
Plutarco, sta il sarcofago di uno studioso o di un filosofo. Qui non c' nulla dell'ingenuit primordiale di San
Francesco. Alberti un adulto pienamente consapevole;
il suo culto la ragione e ad esso si dedica razionalmente.
L'intero edificio un inno alla bellezza intellettuale,
un'esaltazione della ragione come unica fonte di grandezza umana. La sua forma romana; infatti Roma fu l'Utopia retrospettiva nella quale uomini come Alberti, dal
tempo del Rinascimento fino a un'epoca molto pi tarda,
videro la realizzazione dei loro ideali. I1 mito romano
duro a morire, quello greco ancora di pi; ci sono certe
vittime dell'educazione classica che considerano ancora
la Repubblica come la sede di tutte le virt e l'Atene di
Pericle come l'unico ricettacolo dell'intelligenza umana.
Malatesta avrebbe ottenuto una pi splendida apoteosi
personale se fosse vissuto in un secolo pi tardo. Alberti
era un artista troppo stoico e austero per accondiscendere
a una grandiosit puramente teatrale. Del resto il grandioso in arte non fu veramente apprezzato fino al diciassettesimo secolo, l'et del barocco, della pompa regale ed
ecclesiastica. Lo zelante missionario, il cui braccio avevamo visto quella mattina nel tempio malatestiano, riposa a
Goa in un ambiente che si adatterebbe meglio al mausoleo innalzato da un tiranno alla propria gloria. I1 monumento costruito da Alberti invece un tributo alla grandezza intellettuale. Come commemorazione di un briccone particolarmente scaltro e sanguinario assurdo.
All'interno della chiesa, vero, Malatesta ha voluto
che le cose fossero fatte a modo suo. Alberti non era presente a interferire nel suo progetto di decorazione, cos
Sigismondo fu libero di dettare a Matteo de' Pasti e ai
lo al quale si ispirarono le chiese tipiche del tardo Rinascimento, ben pi che alle chiese fiorentine di San Lorenzo e di Santo Spirito del Brunelleschi.
Un confronto fra questi due architetti quasi contemporanei - Brunelleschi nacque circa venticinque anni prima di Alberti - estremamente interessante e istruttivo.
Entrambi furono studiosi entusiasti dell'antico, entrambi
si ispirarono a Roma, entrambi usarono nelle loro costruzioni gli elementi caratteristici dell'architettura classica. Eppure difficile trovare due architetti la cui opera
sia cos nettamente diversa. Paragonate gli interni delle
due chiese fiorentine di Brunelleschi con quello di Sant'Andrea di Alberti. Gli interni di Brunelleschi sono divisi in tre navate, quella centrale e le due laterali, da due file di colonne alte e sottili che sostengono gli archi a tutto
sesto. I particolari sono cos rigorosamente classici che
potrebbero essere stati eseguiti da artefici romani. Ma il
disegno generale non romano, bens romanico. Queste
chiese sono semplicemente versioni pi esili delle basiliche dell'undicesimo secolo, con particolari pi puri.
Tutto e levit e grazia; c' perfino una certa impressione
di instabilit in questi interni di chiese, tanto esili sono le
colonne, tanti gli spazi liberi.
Quale contrasto con la grande chiesa di Alberti! Essa
costruita in forma di croce latina, con un'unica navata e
cappelle laterali. La volta della navata e a botte; sopra il
transetto c' la cupola (purtroppo di Juvara, non di Alberti); l'altare situato nell'abside. Le cappelle si aprono
sulla navata centrale con archi a tutto sesto, molto alti e
larghi in proporzione. Fra ogni cappella c' un enorme
pilastro in muratura, largo come gli archi che esso separa. In ogni altro pilastro si apre una porticina che d accesso a una cappella supplementare ricavata nel suo volu-
me. Ma queste porte non si notano neppure, e l'impressione generale di vuoti e solidi equamente alternati.
Quella di Alberti essenzialmente un'architettura di volumi, quella di Brunelleschi di linee. Perfino all'immensa
cupola di Santa Maria del Fiore, Bruneileschi riesce a
conferire una straordinaria leggerezza, come di linee alternate a vuoti. L'enorme massa come sospesa nell'aria, trattenuta dalle sue otto nervature di marmo. Un miracolo si realizza senza sforzo sotto i nostri occhi. Ma
una cupola, per quanto leggera la si faccia, soprattutto
una questione di volumi. Disegnando la sua per Santa
Maria del Fiore, Brunelleschi dovette sottostare alla visione plastica delle cose. Forse il motivo per cui questa
cupola di gran lunga la cosa pi bella che abbia fatto. I1
tipo di problema architettonico da risolvere non gli permise di dare libero sfogo alla sua passione per la levit e
le belle linee. Qui aveva a che fare con dei volumi; di qui
non si sfuggiva. I1 risultato fu che, trattando il volume
della cupola per quanto possibile a base di linee sottili,
robuste, scattanti, riusc a conferire a quest'opera un'eleganza e una forza ideali quali non furono mai eguagliate
in nessuna altra cupola. Le altre opere sue, pur piene di
grazia e di fascino, sono a mio avviso molto meno soddisfacenti, proprio perch tutto si riduce a una questione di
linee. Brunelleschi studi l'architettura dei Romani; ma
ne prese soltanto i particolari. Ci che in essa era essenziale - la sua massiccia imponenza - lo lasci indifferente. Prefer, in tutti i suoi progetti di chiese, seguitare a
Perfezionare l'opera degli architetti romanici, arrivando
alla fine a una fragile eleganza tutta vuoti e linee.
Per contro Alberti prese dai Romani la loro fondamentale concezione di un'architettura di masse e la svilupp,
Perfezionandola, per usi pi attuali e cristiani. Secondo
Consolo
Sapere quello che tutti sanno - per esempio che Virgilio scrisse l'Eneide, o che la somma degli angoli di un
triangolo uguale a due angoli retti - piuttosto banale
e noioso. Se volete acquistare una fama di erudizione a
buon mercato meglio ignorare le piatte e insignificanti
cognizioni che tutti possiedono e concentrarsi su qualcosa di originaie e insolito. Invece di citare Virgilio citate
Sidonio Apollinare ed esprimete a gran voce il vostro disprezzo per coloro che preferiscono il poeta di corte di
Augusto al panegirista di Avito, Maggioriano e Antemio.
Quando il discorso cade su Jane Eyre o su Cime tempestose (che naturalmente non avete letto) dite che preferite
di gran lunga Ilfattore di Wildfell Hall. Quando quaicuno fa le lodi di Donne, prendete un'aria superiore e dite a
costui che dovrebbe leggere Gongora. Quando viene
menzionato Raffaello, fate il gesto di vomitare (anche se
non siete mai stati in Vaticano); i Raphael Mengs che ci
sono a Pietroburgo, direte, sono gli unici dipinti accettabili. In questo modo vi farete la reputazione di persona di
che sembra appartenere di diritto a un grand'uomo. Consolo: al suono di queste belle sillabe la persona colta ha la
vaga e fastidiosa sensazione che dovrebbe sapere a che
cosa si riferiscono. Sar una battaglia? O una filosofia
scolastica? O un'eresia? O che cosa? Venendo a sapere,
dopo un momento di angosciosa incertezza (durante il
quale si chiede se il suo interlocutore scioglier l'enigma
o lo costringer a confessare la sua ignoranza), che Consolo era un pittore, la persona colta si lancia fiduciosa.
Un cos meraviglioso artista! esclama estasiata.
Il vecchio Adamo giornalistico non morto del tutto in
me, e conosco la societ istruita. La tentazione era forte.
Avrei divulgato Consolo in un mondo ottenebrato e,
esaltando lui come artista, avrei esaltato anche me stesso
come critico d'arte. E che operazione a buon mercato! Al
prezzo di tredici litri di benzina, dieci lire di cartoline e
mance, un'ottima colazione a base di trote a Tivoli, mi
sarei impadronito perfettamente dell'argomento e avrei
affermato la mia fama di Kunstforscher. Niente viaggi
faticosi a lontani musei, alla ricerca di opere minori del
maestro, niente laboriose letture di monografie tedesche.
Soltanto questa piacevolissima gita sull'alta valle dell'Aniene, questa passeggiata di quaranta minuti sulla collina, questo giretto al primo eremo di san Benedetto - ed
tutto. Sarei ritornato a Londra, avrei scritto qualche articolo, o addirittura un libretto sul maestro, con qualche
bella riproduzione. E quando, nella societ colta, qualcuno avrebbe parlato di Duccio o di Simone Martini, io
avrei sorriso dall'alto della mia superiorit. Sono tutti
ottimi, non c' dubbio. Ma quando si visto Consolo...
E avrei seguitato a parlare dei suoi valori tattili e olfattivi, del suo modo magistrale di trattare la quarta dimensione, del suo uso squisitamente sottile dei contrasti, del-
la sua straordinaria padronanza del colore che gli permetteva di dipingere tutte le carni in due toni di ocra,
porpora impuro e verde escremento d'oca. I miei ascoltatori (atterriti, come tutti i membri della societ colta sempre lo sono, di essere lasciati indietro neila gara intellettuale) seguirebbero avidamente il mio discorso. E se ne
andrebbero trionfanti, consci di aver segnato un punto
sui loro rivali, di essere entrati in un giro del quale fa parte soltanto un'lite, di essersi messi al passo con una moda venuta direttamente da Parigi (poich naturalmente
lascerei intendere che Derain e Matisse sono pienamente
d'accordo con me); e da quel momento il nome di Consolo, e il mio insieme, comincerebbe a risuonare, in crescendo e con una nota di ammirazione, in tutti i migliori
salotti da Euston ai confini del mondo.
La tentazione era forte; ma lottai eroicamente contro
di essa e alla fine ebbi il sopravvento. Decisi di non deformare la verit allo scopo di conquistarmi la fama, sia pure lusinghiera, di critico acuto e selettivo. Perch la verit, ahim, che questo Consolo dal nome unico e altisonante un pittore francamente trascurabile. abile e conosce il suo mestiere, ma questo tutto. Il suo merito
principale consiste nel fatto che visse nel tredicesimo secolo e lavor nello stile caratteristico della sua epoca. Dipingeva nella maniera bizantina decadente che noi, guardando indietro dalla Firenze del sedicesimo secolo invece
che avanti dalla Ravenna del sesto secolo, chiamiamo erroneamente primitiva. In questo, ripeto, consiste il
suo merito principale, almeno per noi. Infatti un secolo
fa il suo primitivismo avrebbe suscitato soltanto derisione e pena. Oggi abbiamo rivoluzionato tutto, in maniera
cos radicale che molti giovani, nella loro ansia di non apparire antiquati, considerano con sospetto qualsiasi di-
pinto che abbia una stretta somiglianza con il suo modello e, se non garantito chimicamente puro da un'autorit
estetica riconosciuta, lo trovano ridicolo a priori. Per
questi asceti ogni bellezza naturale, se riprodotta dall'arte, condannabile. Una bella donna fedelmente resa
una scatola di cioccolatini; un bel paesaggio puro
esercizio poetico. Se un'opera d'arte attrae naturalmente, se commuove a prima vista, secondo quella gente irrimediabilmente brutta. Questo principio applicato alla
musica ha portato all'esaltazione di Bach, anche del Bach
pi meccanico e meno ispirato, a spese di Beethoven. Ha
portato all'esecuzione fredda e classica della musica di
Mozart, considerato privo di sentimento perch non banalmente sentimentale come Wagner. Ha portato a esaltare i pezzi per organo di Haendel e gli sbraitamenti senza
senso di Palestrina. E quei giovani irragionevoli, nella loro reazione al sentimentalismo e al lacrimoso idealismo
che secondo loro hanno caratterizzato l'et vittoriana,
pur lasciati del tutto freddi da quelle esecuzioni, proprio
per questa ragione le lodano come artistiche in sommo
grado. Lo stesso accade con la pittura. Pi terrosi sono i
colori, pi deformate le immagini, pi vera arte. Ci sono centinaia di giovani pittori che non osano dipingere in
modo realistico e piacevole, anche se ne fossero capaci,
per paura di perdere la stima degli intenditori che sono
anche i loro mecenati. Certo, i buoni pittori dipingono
bene e si esprimono compiutamente a qualunque regola
si attengano; e i pittori scadenti fanno una pittura scadente in qualsiasi circostanza. Non dovremmo dunque
preoccuparci minimamente se i giovani pittori scadenti
preferiscono la deformazione e il colore terroso alla vivacit, al realismo e alla piacevolezza. Non ha dawero importanza come dipingono. Eppure in passato si provava
un certo interesse per pittori scadenti che facevano del loro meglio per imitare la natura e raccontare dei fatti. Ci si
accontentava di copie fedeli di begli oggetti, documenti
di vita e appunti pittorici, storie divertenti e commenti
sulla vita contemporanea. Tutte queste cose potevano
non essere grande pittura; ma almeno valevano qualcosa,
anche se era un valore diverso da quello estetico. Mirando a un certo mitico ideale di estetica pura, al quale sacrifica tutto fuorch la forma, il giovane pittore senza talento dei nostri giorni non ci offre altro che noia. Perch i
suoi dipinti non sono buona pittura, e la loro cattiva qualit non compensata dal fatto di ricordarci dei begli oggetti; non hanno neppure il merito di essere documenti o
commenti, n di raccontare una storia. In una parola non
hanno niente che ci attiri. Dai tempi in cui ci procurava
un certo piacere, l'artista mediocre (se per caso anche
d'avanguardia) diventato un insopportabile noioso.
La diffidenza dei giovani verso il realismo non riguarda soltanto l'arte contemporanea; anche retrospettiva.
Fra due artisti del passato, entrambi senza talento, questa giovent preferisce decisamente il meno realistico, il
pi primitivo. Consolo viene ammirato pi del suo
equivalente del diciassettesimo secolo, semplicemente
perch le sue immagini non ricordano niente che sia piacevole in natura, perch non sa nulla di luce e ombra,
perch la sua composizione rigidamente simmetrica e
perch il contenuto sentimentale della sua pittura ardentemente religiosa per noi del tutto svanito, senza lasciare nulla che possa suscitare nei nostri cuori il bench minimo sentimento di qualsiasi genere; unica eccezione,
quelle famose emozioni estetiche cos zelantemente coltivate dai giovani.
Certo, le regole alle quali si conformavano i pittori ita-
liani dei diciassettesimo secolo erano di un genere insopportabile. I1 gesticolare scomposto con il quale riempivano i loro dipinti nella speranza di creare artificialmente
un'atmosfera di violente passioni semplicemente ridicolo. Lo stile barocco e lo stile romantico affine sono i pi
adatti per loro natura alla rappresentazione del comico.
Aristofane, Rabelais, Nashe, Balzac, Dickens, Rowlandson, Goya, Dor, Daumier e gli innominati creatori di
personaggi grotteschi in tutto il mondo e in ogni epoca tutti i professionisti del comico puro, sia in letteratura
che in arte - hanno usato uno stile stravagante, barocco,
romantico. naturale, perch il comico puro essenzialmente stravagante ed eccessivo. Salvo che nelle mani di
qualche genio eccezionale (come Marlowe e Shakespeare,
Michelangelo e Rembrandt) questo stile, se usato per scopi seri, ridicolo. Quasi tutta l'arte barocca e quasi tutta
l'arte romantica venuta dopo sono grottesche perch gli
artisti (non di prim'ordine) tentano di esprimere qualcosa
di tragico in uno stile essenzialmente comico. Sotto questo aspetto le opere dei primitivi - anche di quelli minori
- sono davvero preferibili alle opere dei loro discendenti
del Seicento. Questo perch nelle loro pitture non c' nessuna contraddizione fondamentale fra lo stile e il soggetto. Ma questa una qualit negativa; i primitivi minori
sono decorosi ma del tutto insignificanti. L'opera successiva dei realisti pu essere volgare e assurda nell'insieme,
ma spesso riscattata dal fascino dei particolari. Nei dipinti di artisti minori del diciassettesimo secolo si possono trovare deliziosi paesaggi, fisionomie interessanti, studi di curiosi effetti di luce e ombra - cose che, vero,
non salvano dalla bruttezza l'insieme di ciascuna di queste opere ma che sono gradevoli in se stesse. Nei vari
Consolo di un'epoca pi remota l'opera nel suo insieme
degna di stima; ma il suo grigiore non ravvivato da nessun particolare curioso o piacevole. Con la loro assurda
avversione ascetica per l'ovviamente piacevole, i giovani
si sono privati di un autentico godimento. Si annoiano
nella contemplazione di scadenti Consolo quando potrebbero divertirsi guardando altrettanto scadenti Feti,
Caravaggio, Rosa da Tivoli, Guercino e Luca Giordano e
tutti gli altri. Se si devono guardare i quadri scadenti ed inevitabile, poich i buoni quadri sono cos rari -
certamente pi ragionevole guardare quelli che ci danno
qualcosa (anche se le perle sono incastonate in una cornice di orrori) che quelli che non ci danno assolutamente
nulla.
virtuosi siano buoni artisti n che tutti gli artisti siano necessariamente virtuosi. Longfellow era un cattivo poeta,
mentre i rapporti di Beethoven con i suoi editori erano
francamente vergognosi. Ma ci si pu comportare vergognosamente con i propri editori e conservare tuttavia il
genere di virt necessario per essere un buon artista. la
virt della rettitudine, dell'onest verso se stessi. La cattiva arte pu essere di due tipi: quella che semplicemente
banale, insulsa e maldestra, che si pu definire negativamente cattiva; e queila positivamente cattiva, che una
menzogna e una mistificazione. Spesso la menzogna
raccontata cos bene che quasi tutti ci cascano - almeno
per un certo tempo. Ma alla fine le bugie sono sempre
scoperte. La moda cambia, il pubblico impara a guardare
da un punto di vista diverso e, mentre un attimo prima
vedeva un'opera ammirevole che suscitava in lui una reale emozione, ora vede un'impostura. Nella storia delle arti troviamo innumerevoli impostori, un tempo ritenuti
sinceri, oggi riconosciuti tali. I loro nomi sono quasi tutti
dimenticati. Tuttavia si coglie ancora una debole eco dell'interesse per i canti di Ossian, per le doti di romanziere
di Bulwer e le qualit poetiche di Bailey. Oggi i loro successori si affannano a conquistare lodi e denaro. Mi chiedo spesso se non sono anch'io uno di loro. Impossibile
saperlo. Perch si pu essere un impostore in arte anche
senza l'intenzione di imbrogliare e malgrado il pi ardente desiderio di essere onesto.
Talvolta il ciarlatano anche un uomo di genio di prim'ordine, e allora si hanno quegli artisti singolari, come
Wagner e Bernini, che possono trasformare ci che falso e affettato in qualcosa di quasi sublime.
Che sia difficile distinguere il genuino dal falso dimostrato dal fatto che un numero enorme di persone ha
commesso degli errori e continua a commetterli. La genuinit, come ho detto, alla lunga trionfa sempre. Ma in
qualsiasi momento la maggioranza della gente, pur non
preferendo il falso al vero, li apprezza entrambi allo
stesso modo, facendoli oggetto di omaggio indiscriminato.
E ora, dopo questa piccola digressione, possiamo ritornare a San Sepolcro e al pi grande dipinto del mondo. La sua grandezza dipende dal fatto che l'uomo che
l'ha eseguito era genuinamente nobile oltre che pieno di
talento. E per me personalmente anche il dipinto pi
commovente, perch il suo autore possedeva forse pi di
ogni altro pittore quelle qualit di carattere che pi ammiro e perch le sue preoccupazioni estetiche erano del
genere che io sono per natura portato a capire. Una grandezza naturale, spontanea, senza ostentazione - questa
la qualit dominante di tutta l'opera di Piero. maestoso senza essere forzato, teatrale o isterico - com'
maestoso Haendel, non Wagner. Raggiunge una naturale
grandiosit in ogni gesto, senza nessuno sforzo cosciente.
Come Alberti, con l'architettura del quale, spero di dimostrare, la sua pittura ha certe affinit, Piero pare essersi ispirato a quella che chiamerei la religione delle Vite
di Plutarco - che non il cristianesimo, ma il culto di
quello che c' di mirabile nell'uomo. Anche i suoi dipinti
strettamente religiosi sono inni di lode alla dignit umana. Ed in ogni momento profondamente razionale.
Il lato drammatico della vita e della religione lo interessa ben poco. I suoi quadri di battaglia ad Arezzo non sono composizioni drammatiche nonostante i molti particolari di questo genere che contengono. Tutto il tumulto,
tutte le emozioni di queste scene sono stati filtrati dalla
mente in un insieme fortemente razionale. come se
dunque andare da Londra ad Arezzo, San Sepolcro e Urbino. Ora, Arezzo una citt noiosa e cos ingrata verso i
suoi figli illustri che entro le sue mura non c' nessun monumento al divino Aretino. Ma, nonostante tutto, qui
che dovete andare per vedere le opere pi importanti di
Piero. Da Arezzo dovete spingervi fino a San Sepolcro,
dove l'albergo locale appena decente, e i mezzi per arrivarvi sono cos scadenti che, se non andate con la vostra
automobile, siete costretti a passarvi la notte. E da San
Sepolcro dovete fare sette ore di autobus attraverso gli
Appennini fino a Urbino. Tuttavia qui non ci sono soltanto due mirabili Piero (la Flagellazione e una scena di
architettura), ma il pi bel palazzo d'Italia e un albergo
quasi buono. Anche per il turista pi restio a muoversi la
visita a Urbino d'obbligo; non ci si pub sottrarre, bisogna vederla. Ma nel caso di Arezzo e San Sepolcro non
esiste un simile obbligo morale. Di conseguenza sono pochi i turisti che si danno la pena di visitarle.
Se le opere principali di Piero si potessero vedere a Firenze e quelle di Botticelli a San Sepolcro non dubito che
la pubblica stima per questi due maestri sarebbe invertita. Le zitelle inglesi amanti dell'arte starebbero in cont emplazione statica davanti alla Leggenda della Croce invece che davanti alla Primavera. L'estasi dipende in larga
parte dalle stelle del Baedeker, e queste sono assegnate
pi generosamente a opere d'arte nelle citt facilmente
accessibili che a quelle nelle citt difficili da raggiungere.
Se la cappella degli Scrovegni sorgesse nelle montagne
della Calabria invece che a Padova, avremmo certo sentito parlare molto meno di Giotto.
Ma basta cos. L'ombra di Consolo si leva ad ammonirmi che sto cadendo nell'errore di coloro che giudicano
il merito in base a una scala dell'inusuale e del raro.
pu trarre profitto da qualche sorsata, mentre il dilettante bere per puro piacere. Ma c' almeno una categoria di
uomini ai quali la fonte delle Muse sembra essere quasi
fatale. Per nessun motivo dovrebbe essere concesso all'artista di attingervi.
Sono passati due secoli da quando Pope ha messo in
guardia i suoi lettori contro i pericoli di un sapere limitato. La storia di questi due secoli, e specialmente degli ultimi cinquant'anni, ha dimostrato che per quanto riguarda l'artista una vasta cultura altrettanto pericolosa
quanto una scarsa. Anzi, in realt lo molto di pi.
Posso meglio spiegare che cosa succede quando gli artisti bevono copiosamente alla fonte delle Muse descrivendo una certa esposizione di Arti e Mestieri che mi
capitato di visitare un paio di estati fa a Monaco. Era una
cosa immensa. Mobili, gioielli, ceramiche, tessili - ogni
genere di arte applicata era ampiamente rappresentato. E
tutti gli oggetti esposti erano tedeschi. Tutti tedeschi eppure tutte quelle batterie da cucina, quelle sedie e quei
tavoli, quei tessuti, quelle pitture, sculture, ferri battuti,
parlavano cento lingue diverse oltre il teutonico locale.
Ariano, mongolo, semitico, bantu, polinesiano, maya tutti i pezzi esposti a Monaco parlavano correntemente
tutte le lingue. Qui, ad esempio, c'era un vaso messicano
con decorazioni moresche; l una statuetta in puro stile
greco del sesto secolo abilmente mescolato all'arte nera
del Benin. Qui un tavolo rustico delia Foresta Nera sostenuto da gambe egizie; l un crocifisso poteva essere opera
di un artista T'ang che avesse passato un anno in Italia
come allievo di Bernini. Capra, donna, leone e grifone c'erano chimere a ogni passo. E nessuno dei pezzi (questo
era il vero guaio, perch la buona riuscita giustifica ogni
cosa) valeva qualcosa.
che nel suo paese; e quel poco che ne conosceva, era incline a disprezzarlo come puramente barbaro. Allora non
c'era la fotografia, e anche le stampe erano poche. Lo
scultore del Rinascimento lavorava in un'ignoranza quasi
totale di ci che era stato fatto da altri scultori, in altre
epoche e in paesi diversi dal suo. I1 risultato era che poteva concentrarsi sull'unica tradizione che gli pareva valida
- quella classica - e lavorarci sopra indisturbato, fino a
svilupparne tutte le potenziali risorse.
I1 caso dell'architettura ancora pi interessante. Per
trecento anni gli ordini classici regnarono sovrani in Europa. I1 gotico fu dimenticato e disprezzato. Non si conosceva niente di altri stili. Una generazione dopo l'altra di architetti lavor ininterrottamente basandosi su quest'unica
tradizione. E quale stupefacente variet di realizzazioni
seppero trarne! Usando gli stessi elementi classici di base,
generazioni successive produssero tutta una serie di opere
originali e nettamente diverse fra loro. Brunelleschi, Alberti, Michelangelo, Palladio, Bernini, Pietro da Cortona,
Christopher Wren, Adam, Nash - tutti questi architetti
(lavorarono secondo gli stessi schemi classici, ricavandone
una serie di capolavori assolutamente differenziati.
Questi furono tutti artisti geniali che avrebbero compiuto grandi cose in qualsiasi circostanza. Si rimane ancora pi colpiti dalle realizzazioni degli artisti minori. In
tutto questo lungo periodo perfino il lavoro di un apprendista aveva delle qualit che invano cerchiamo fra gli
artisti minori del nostro tempo. Era l'assenza di nozioni
frastornanti che rendeva possibile questo alto livello di risultati anche fra i meno dotati. Per loro c'era un'unica
tradizione cui ispirarsi. Concentravano i loro sforzi nel
trarne il meglio che potevano.
Com' diverso lo stato di cose attuale! L'artista di oggi
conosce, e gli stato insegnato ad apprezzare, le tradizioni artistiche di ogni popolo di tutti i tempi. Per lui non
esiste un'unica tradizione corretta; ce ne sono migliaia,
tutte degne del suo rispetto perch si sono prodotte buone opere nell'ambito di ognuna di esse. finita la beata
ignoranza, svanito il sano disprezzo per tutto quello che
non rientra in quell'unica tradizione. Ora non ne esiste
pi nessuna, oppure ce ne sono a centinaia - il che equivale alla stessa cosa. Le conoscenze dell'artista tendono a
sviarlo, a disperdere le sue energie. Invece di dedicare la
sua vita a sfruttare sistematicamente un'unica tradizione,
si muove inquieto fra tutti gli stili conosciuti, indeciso su
quale adottare, prendendo spunti da ciascuno.
Ma in arte non ci sono scorciatoie per una buona riuscita. Non possibile impadronirsi in mezz'ora dei segreti di uno stile che ha richiesto il lavoro di generazioni per
raggiungere la perfezione. In mezz'ora, certo, si pu imparare quali sono le caratteristiche superficiali pi vistose
di quello stile; si pub imparare a scimmiottarlo. Questo
tutto. Per capire uno stile occorre dedicarglisi completamente, viverci, per cos dire, dentro; occorre concentrazione e lavoro indefesso.
Ma la concentrazione proprio la cosa che il sapere eccessivo tende a rendere impossibile, per tutti tranne che
per gli artisti individualmente pi dotati e pi risoluti.
Questi, vero, sanno badare a se stessi. Qualunque sia il
loro ambiente mentale e fisico, non perderanno la loro
originalit. La conoscenza ha avuto gli effetti pi disastrosi sulle personalit minori, sulla truppa. In un altro
secolo questi avrebbero seguitato a lavorare imperturbabili, cercando di trarre il meglio da una tradizione, in genere riuscendoci fino al limite estremo delle loro capacit
naturali. I loro discendenti stanno cercando di ricavare il
meglio da cinquanta tradizioni diverse nello stesso tempo. Con quali risultati, lo dimostra l'orribile esposizione
di Monaco. E non si tratta soltanto di Monaco, ma di Parigi, di Londra, di New York, dell'intero mondo dominato dalla conoscenza.
Tuttavia il sapere esiste ed facilmente accessibile.
Non c' verso di distruggerlo o nasconderlo. Non pu esserci riconquista dell'antica ignoranza che permetteva
agli artisti del passato di continuare a lavorare in uno stile per anni, magari per secoli. I1 sapere ha portato con s
irrequietezza, instabilit e la possibilit di rapidi e continui cambiamenti negli stili artistici. Quanti ne sono nati e
svaniti durante gli ultimi settant'anni! I1 preraffaellismo,
l'impressionismo, l'art nouveau, il futurismo, il postimpressionismo, il cubismo, l'espressionismo. Agli Egizi sarebbero occorsi cento secoli per smaltire una simile variet di stili. Oggi noi ne inventiamo uno nuovo - o pi sovente risuscitiamo vecchi stili del passato in nuove combinazioni - lo utilizziamo e lo gettiamo via, il tutto nello
spazio di cinque anni. La stabilit delle vecchie tradizioni, la ferma educazione del gusto dovuta all'ignoranza e
alla meticolosit intransigente, non esistono pi. Ritorneranno mai? Col tempo, certamente, gli artisti si saranno assuefatti al veleno della fonte delle Muse. L'immenso
volume di conoscenza che nelle nostre menti ancora allo
stato grezzo verr gradualmente assimilato. Quando questo processo sar compiuto, si arriver a una certa stabilit, o meglio a un moto lento e costante, perch nella vita
non c' immobilit. Intanto, dobbiamo accontentarci di
vivere in un'epoca di energie disperse, di esperimenti e di
accozzaglie di stili, di inquietitudine e di desolante incertezza.
I1 grande aumento della nostra conoscenza della storia
PARTE QUARTA
Altri appuntamenti
Faceva gi abbastanza freddo nel soggiorno; ma la vera tragedia ebbe inizio quando andammo a letto. Le stanze da letto della locanda non avevano stufa; non c'era la
possibilit di riscaldarle. In quelle stanze si sarebbe potuto conservare all'infinito la carne di montone. Vestiti di
tutti gli indumenti di lana in nostro possesso, ci infilammo nei letti duri come pietra. Fuori il vento continuava a
ululare fra i monti. Fra lenzuola che non volevano scongelarsi, inutile sperare di prendere sonno. Rimasi sveglio
ad ascoltare il rumore del vento, chiedendomi quale effetto potesse avere la bufera su quei getti violenti di gas
naturale che fanno la fama di Pietramala. Quei giganteschi fuochi fatui sarebbero stati spenti dal vento? Oppure
avrebbero continuato ad ardere nonostante la sua furia?
I1 pensiero delle fiamme era confortante; vi indugiai con
un certo compiacimento.
Questi getti di fuoco non sono rari fra gli Appennini
settentrionali. Per esempio Salsomaggiore deve il suo
stemma, una salamandra fra le fiamme, ai suoi zampilli
di gas naturale. in questa forma gassosa che gli idrocarburi degli Appennini fanno la loro comparsa al centro
della catena montuosa. Nelle alture laterali li si pu trovare sotto la forma commercialmente pi utile di petrolio, che ora estratto in piccole quantit nelle colline intorno a Piacenza, Reggio e Modena. Chiss se non vivremo ancora abbastanza per vedere le torri di Canossa
emulate dai castelli di legno delle torri di trivellazione sui
pendii sottostanti.
Le persiane sbattevano, il vento ululava. Decisamente,
nessuna fiamma poteva ardere nei vortici di un simile uragano. Poveri ignes fatui! Come li avremmo accolti con
gioia in questa casa di ghiaccio! Con quale amore di vestali avremmo alimentato qualsiasi fuoco, anche se fatuo!
Dal pensiero di quelle fiamme e dal desiderio di averle
con me nella stanza, passai a chiedermi perch mai i getti
di gas di Pietramala mi fossero cos stranamente familia-
ri. Ne avevo letto qualcosa? Li avevo sentiti nominare recentemente in qualche conversazione? Mi lambiccavo il
cervello. E ail'improvviso ricordai: avevo letto su Pietramala in Life and Letters of Faraday di Bence Jones.
In una giornata piovosa dell'autunno 1814 due turisti
inglesi piuttosto insoliti scesero dal loro calesse nello
squallido paesino di Pietramala. Uno di essi era vicino alla mezz'et, l'altro era ancora molto giovane. Si chiamavano Sir Humphry Davy e Michael Faraday. Erano lontani dall'Inghilterra da circa un anno. Infatti erano sbarcati in Francia nell'anno 1813, poco prima che giungesse
a Parigi la notizia della battaglia di Lipsia. A noi pare
nell'ordine naturale delle cose che la scienza e la religione
siano questioni di interesse nazionale, che gli ecclesiastici
gridino Urr e Alleluja e i chimici si entusiasmino per
la bandiera e per HzS04,Ma non fu sempre cos. Dio e le
opere di Dio erano un tempo considerate faccende internazionali. Dio fu il primo a essere nazionalizzato; dopo la
Riforma ridivenne ancora una volta strettamente tribale.
Ma la scienza e anche l'arte erano ancora al di sopra del
patriottismo. Nel diciottesimo secolo Francia e Inghilterra
si scambiavano le idee quasi nella stessa misura che le cannonate. Le spedizioni scientifiche francesi potevano passare indisturbate fra le squadre navali inglesi; Sterne era
accolto calorosamente dai nemici del suo paese. La consuetudine si protrasse ancora nell'Ottocento. Napoleone
confer onorificenze a uomini di scienza inglesi; e quando, nel 1813, Sir Humphry Davy chiese l'autorizzazione
a viaggiare sul continente, gli fu subito concessa. Fu ricevuto a Parigi con sommi onori, fu fatto membro dell'Istituto di Francia, e nonostante la durezza e l'arroganza
insopportabili di cui dava abitualmente prova, durante
tutto il suo soggiorno in Francia fu trattato con la massi-
ze, salvo nominarla come citt dove si trovavano le attrezzature adatte per gli esperimenti, non dedica invece
alcuno spazio. Faraday non mostrava interesse per le
opere dell'uomo, nonostante la loro bellezza. Era interessato unicamente alle opere di Dio. In lui c' una straordinaria coerenza. Tutto ci che scrive nel diario e nelle lettere perfettamente conseguente. sempre il filosofo nato. Scoprire la verit il suo unico fine e interesse. La sua
strada inalterabilmente fissata. Non si concede mai di
esserne sviato - non dall'arte, che ignora quasi del tutto;
non dalla politica, che nelle tremende scene finali del
dramma napoleonico nomina casualmente una o due volte; non dal piacere di occasionali rapporti sociali, anche
se trov sempre il tempo per coltivare l'amicizia - ma su
quella strada procede con fermezza, perseveranza, modestia, disinteresse, e infine trionfalmente, da uomo di genio vittorioso.
Oltre la scienza il suo grande interesse fu la religione.
La battaglia fra la scienza e la teologia dogmatica, che infuri nella seconda met del diciannovesimo secolo, diede l'impressione, che ancora sussiste, che ci sia una netta
incompatibilit fra la religione e la scienza. La storia dimostra che in realt questa incompatibilit non esiste. Se
leggiamo le biografie dei tre uomini di scienza pi geniali
(nel significato francese) che abbia dato l'Inghilterra Isaac Newton, Faraday e James Clerk Maxwell - scopriremo che tutti e tre furono profondamente religiosi.
Newton dedic la maggior parte della sua lunga esistenza
d'interpretazione delle profezie bibliche. Faraday fu un
convinto e ardente cristiano della setta Sandemaniana.
Maxwell fu un grande mistico oltre che un grande scienziato; ci sono lettere sue che testimoniano la sua appartenenza alla corrente di Boehme e Swedenborg (anche que-
le opinioni e i concetti, sotto il peso dell'esperienza accumulata. Il lato umano degli istinti e dei sentimenti, essendo ereditario, rimane lo stesso. Lo scienziato fornisce l'esperienza che cambia le idee della razza; con il passare del
tempo le sue scoperte sono superate. L'artista non mai
superato, perch lavora su una materia che non cambia.
Le liriche composte da un poeta dell'et paleolitica ci
commuoverebbero ancora. Ma le idee di un astronomo di
quella stessa epoca avrebbero per noi un interesse puramente storico e accademico.
Eppure, nonostante tutto, preferirei ancora essere Faraday invece che Shakespeare. La fama postuma non
procura a nessuno molte soddisfazioni da questa parte
della tomba; e sebbene la coscienza di possedere un grande talento artistico debba essere di profonda soddisfazione, e il suo libero esercizio fonte di felicit, mi pare che il
possesso e l'esercizio del talento scientifico sia ancora pi
soddisfacente. Infatti l'artista, la cui funzione esprimere adeguatamente e trasmettere agli altri le comuni emozioni umane, deve fatalmente passare gran parte della
sua vita nel mondo affettivo dei contatti umani. Le sue
riflessioni sul mondo, le sue reazioni personali ai contatti
- questo forma la materia della sua arte. I1 mondo nel
quale lo scienziato passa la parte della sua vita dedicata al
lavoro non quello umano, non ha nulla a che vedere
con i contatti personali e le reazioni affettive. Siamo tutti
assoggettati al lavoro che facciamo; personalmente, io
preferirei essere assoggettato alla contemplazione intellettuale che al sentimento, preferirei usare il mio spirito
nell'impegno di conoscere pi che di sentire.
Uno dei piccoli svantaggi di essere un grande artista il
notevole prestigio sociale di cui gode. L'arte oggetto di
snobismo in misura molto maggiore della scienza. Si pen-
Ogni qualche minuto veniva il padrone con le notizie circa la situazione sul passo. Messaggi telefonici erano arrivati da Firenze e Bologna; era stata mobilitata una squadra di spalatori, che ora era in azione; un uomo appena
arrivato dal passo li aveva visti al lavoro; per le due la
strada sarebbe stata certamente libera. Dopo ogni elenco
di notizie, faceva un inchino, sorrideva, si fregava le mani e tornava in cucina a inventare il successivo. Aveva
una fertile immaginazione.
Mi dedicai a una lettura intermittente della voce: Chiesa Armena. Ma il mio interesse era fiacco. Avevo troppo
freddo per provare entusiasmo alla scoperta che i vecchi
inni sacrificali erano probabilmente osceni e certamente
senza senso)). Ricordando quella frase in successive estati, mi ha divertito considerare come essa descriva bene, in
modo conciso, non soltanto gli inni sacrificali dell'Armenia precristiana, ma una grande quantit di arte moderna
e di cosiddetta scienza - per esempio la maggior parte
della letteratura psicoanalitica, la musica di Schreker,
molta pittura espressionista, l'Ulisse e cos via. Quanto
alla meno moderna pseudoscienza e pseudoarte, dallo
spiritualismo al cinema commerciale, non hanno neppure
il pregio dell'oscenit a salvarle; sono semplicemente senza senso.
La mattinata pass; venne l'ora di colazione. Dopo un
pasto a base di spaghetti e capretto arrosto, ci sentimmo
un po' pi forti e meno gelati. Come vanno le cose sul
passo? chiedemmo. Ma il nostro locandiere parve improvvisamente aver perduto la sua onniscienza e con essa
il suo ottimismo. Non sapeva che cosa stesse succedendo
e ci consigli di aspettare ancora un po'. Ad ogni modo
per le cinque tutto sarebbe stato a posto. E la strada per
Firenzuola? Quella era impraticabile, ne era sicuro. Ci la171
sci nel dubbio sul da farsi; se aspettare o ritornare a Firenze. Eravamo ancora in uno stato di penosa incertezza
quando un messaggero mandato dal cielo sotto forma di
un uomo con calesse e cavallo si ferm alla porta della locanda. Ci rivolgemmo a lui per aiuto. Miracolo! Non soltanto conosceva la verit; ce la rivelb nuda e cruda. Nessuno spalatore, ci assicur, era al lavoro sul passo; e non
ne avrebbero mandati finch non cambiava il vento (poich quando il vento soffiava in quella direzione la neve,
appena spalata, era risospinta sulla strada). Il vento poteva cambiare in serata, certo; d'altra parte poteva anche
cambiare la prossima settimana. Ma se volevamo andare
a Bologna, perch non avevamo preso la strada di Firenzuola? S, perch? disse il locandiere, che si era unito a
noi e ascoltava la conversazione. Perch non prendere la
strada di Firenzuola? Si rendeva conto che i giochi erano
fatti e che non restava nessuna speranza di farci fermare
per un'altra notte. Perch no? Lo guardammo in modo
significativo, in silenzio. Ci sorrise in risposta, con inalterabile buonumore, e rientrb a compilare il conto.
Partimmo. Il cielo era biancastro e pieno di nubi in
movimento. Qua e l le bianche montagne erano spennellate di nero, dove le pareti erano troppo a strapiombo per
permettere alla neve di fermarsi. Da La Casetta infilammo la strada che scende a rotta di collo e tutta curve nella
valle del Santerno. Fra le sue mura Firenzuola era cupa,
antica, triste. Di l la strada segue il Santerno. Il fiume si
e scavato un corso tortuoso fra le montagne. La valle
stretta e profonda; qua a l il fiume e la strada corrono
fra pareti rocciose perpendicolari, formate da fasce oblique di stratificazioni sovrapposte. Poi lentamente la valle
si allarga, le montagne si trasformano in brulle colline.
Ai piedi di queste c' la pianura, racchiusa qui tra le
ca necessariamente non criticarlo; si pu essere fortemente coinvolti in un problema, ma non per questo si deve
smettere di pensare. La maggior parte degli esseri umani
sono oppressi dal lavoro eccessivo del genere pi insulso.
Questo fatto pub e dovrebbe comunque suscitare la nostra indignazione e la nostra piet. Ma questi sentimenti
non devono impedirci di criticare il progetto di coloro
che vogliono cambiare il presente stato di cose. I riformatori sociali auspicano un'organizzazione che consenta a
tutti gli uomini di godere dello stesso tempo libero, o
quasi, di cui godono oggi le classi privilegiate. Nonostante tutta la nostra comprensione, ci sia concesso di dubitare che la realizzazione di quel progetto sia davvero cos
auspicabile.
Cominciamo con una semplice domanda: come si suggerisce che gli esseri umani impieghino il tempo libero
che la riorganizzazione sociale e i macchinari perfezionati
offriranno loro?
I profeti del futuro danno generalmente la stessa risposta a questa domanda, con lievi varianti a seconda dei loro gusti diversi. Henri Poincar, ad esempio, immagin
che gli uomini del futuro avrebbero riempito le loro lunghe parentesi di tempo libero ((contemplando le leggi della natura)). George Bernard Shaw all'incirca della stessa opinione. Avendo smesso, giunti all'et di quattro anni, di trovare qualsiasi interesse in cose puerili come l'amore, l'arte e la compagnia degli altri esseri umani, i vegliardi di Torniamo a Matusalemme dedicano le loro vite
prolungate all'infinito a meditare sulla misteriosa e miracolosa bellezza del cosmo. H.G. Wells, in Men like Gods,
descrive una razza di chimici e fisici atletici che vanno in
giro nudi e, a differenza degli austeri vegliardi di Shaw,
praticano il libero amore in modo razionale fra un esperi175
ottenessero pi tempo libero, ma che i privilegiati lavorassero. 11 suo ideale sociale era il lavoro per tutti in un
ambiente naturale. Voleva vedere tutti gli uomini e le
donne vivere in campagna e sostentarsi con i prodotti dei
campi che loro stessi coltivavano. I creatori di utopie
amano profetizzare che verr un tempo in cui gli uomini
abbandoneranno l'agricoltura e vivranno di cibi sintetici;
per Tolstoj l'idea era semplicemente ripugnante. Ma,
bench avesse certo ragione di provarne orrore, i profeti
dei cibi sintetici sono probabilmente pi lungimiranti di
lui. pi verosimile pensare a un'umanit urbanizzata
piuttosto che completamente dedita alla vita rurale. Ma
queste ipotesi non ci interessano qui. Ci interessa invece
l'opinione di Tolstoj sul tempo libero.
La sua awersione per la vita comoda era dovuta alla
sua esperienza di giovane inoperoso e alla sua osservazione di un ambiente di ricchi e sfaccendati. Arriv alla conclusione che, come stanno le cose, la vita comoda in genere pi una maledizione che una fortuna. difficile non
essere d'accordo con lui quando si visita Montecarlo o
qualcuno degli altri paradisi terrestri dei ricchi. Molti cervelli riescono a essere attivi soltanto se forzati. La vita
comoda un vantaggio unicamente per coloro che desiderano, anche non costretti, fare un lavoro mentale. In
una societ composta interamente di menti attive il tempo libero sarebbe una vera benedizione. Una simile societ non mai esistita e non esiste neppure oggi. Potr mai
essere realizzata?
Una risposta affermativa verr da chi crede che si possa porre rimedio a tutte le deficienze della natura con
un'educazione adeguata. E in realt abbastanza chiaro
che la scienza dell'educazione ancora in uno stadio molto rudimentale. Possediamo sufficienti conoscenze di fi181
siologia per inventare degli esercizi ginnastici che sviluppino il corpo fino al pi alto grado di efficienza. Ma la
nostra conoscenza della mente, e soprattutto delle sue
possibilit di crescita, molto meno completa; e anche
quella poca che possediamo non applicata sistematicamente n universalmente ai problemi dell'educazione. Le
nostre menti sono come i corpi fiacchi degli abitanti sedentari delle citt - inefficienti e imperfettamente sviluppate. Per un gran numero di persone lo sviluppo intellettuale cessa quasi del tutto nell'infanzia; affronta la vita con le facolt intellettuali dei ragazzini di quindici anni. Un corso appropriato di ginnastica mentale, basata su
reali cognizioni psicologiche, permetterebbe a tutte le
menti di raggiungere il loro massimo sviluppo. Splendida
prospettiva! Ma il nostro entusiasmo per l'educazione si
raffredda un po' se consideriamo qual realmente il massimo sviluppo che pu essere raggiunto dalla maggior
parte degli esseri umani. Riguardo a queste particolari facolt, gli uomini dotati di talento sono, rispetto a quelli
che ne sono privi, come gli esseri umani rispetto ai cani.
i n fatto di matematica, io sono un cane in confronto a
Newton; in fatto di musica, un cane in confronto a Beethoven; ancora un cane in fatto di arte in confronto a
Giotto. Per non parlare del fatto che sono un cane come
funambolo in confronto a Blondin; un cane come giocatore di biliardo in confronto a Newman; un cane nella
boxe in confronto a Dempsey; un cane come assaggiatore
di vini in confronto al padre di Ruskin. E cos via. Anche
se fossi perfettamente istruito in matematica, musica,
pittura, funambolismo, gioco del biliardo, boxe e degustazione di vini, diverrei soltanto un cane ammaestrato
invece che un cane allo stato naturale. L'eventualit mi
d una soddisfazione molto moderata.
Duemila le sei ore lavorative giornaliere saranno ovunque la norma, e i cento anni successivi vedranno forse
quel massimo ridotto a cinque ore o anche meno. Per allora la natura non avr avuto il tempo di cambiare le abitudini mentali della razza; e l'educazione, pur migliorata,
avr semplicemente trasformato i cani in cani ammaestrati. Come riempiranno il loro sempre crescente tempo
libero gli esseri umani? Contemplando le leggi della natura, come Henri Poincar? O leggendo le News of the
World? Me lo chiedo.
La musica popolare
C' un motivetto allegro, animato, saltellante, familiare a tutti coloro che hanno passato qualche settimana in
Germania o che nell'infanzia sono stati affidati alle cure
di una governante tedesca. I1 suo titolo Ach, du lieber
Augustin. una cosetta vivace nel tempo di tre quarti;
con un ritmo e una melodia cos semplici che perfino l'idiota del villaggio potrebbe cantarla dopo averla sentita
la prima volta; di un sentimento cos innocente che il cuore della fanciulla pi sensibile non accelererebbe il suo
battito di un solo colpo ascoltandola. Questa canzonetta
cos genuinamente e allegramente insulsa che disarma
ogni critica.
Qualche parola sulla sua storia. Ach, du lieber Augustin fu composta nel 1770 e fu il primo valzer. I1 primo
valzer! Devo chiedere al lettore di canterellare il motivo
fra s, poi di pensare a un qualsiasi valzer moderno che
gli sia familiare. Nella differenza fra le due melodie trover un ricco spunto per interessanti riflessioni.
La differenza fra Ach, du lieber Augustin e qualsiasi
altra aria di valzer composta in qualunque momento dalla met dell'Ottocento in poi la stessa che c' fra un
pezzo musicale quasi completamente vuoto di contenuto
sentimentale e un altro saturo di passione amorosa, di
volutt e languore. La fanciulla sensibile che ascoltando
Ach, du lieber Augustin non prova altro che un generico
senso di euforia e di buonumore sente il suo cuore palpitare ai carezzevoli motivi del valzer moderno. La sua anima cade quasi in deliquio in un mare di sdolcinatezza; le
pare di respirare un'atmosfera carica di effluvi d'ambra e
di muschio. Dalla cosetta deliziosa che era alla nascita, il
valzer diventato quella faccenda voluttuosa, tale da
mettere il cuore in subbuglio, che oggi conosciamo.
E lo stesso destino del valzer ha avuto tutta la musica
popolare. Un tempo era ingenua, oggi provocatoria; un
tempo trasparente, oggi densa e impastata, un tempo elegante, oggi deliberatamente barbara. Confrontate la musica dell'Opera del mendicante con quella di uno spettacolo di variet attuale. Sono diverse come la vita nel giardino dell'Eden era diversa dalla vita nel quartiere artistico di Gomorra. L'una di un'eterea dolcezza da prima
della caduta, l'altra ricca, ridondante e chiassosa, volutamente selvaggia.
L'evoluzione della musica popolare andata in parallelo, a un livello pi basso, con quella della musica seria.
I compositori di canzoni popolari non sono abbastanza
musicisti per saper inventare nuove forme di espressione.
Si limitano ad adattare le scoperte dei geni originali al gusto del volgo. Alla lunga e indirettamente, Beethoven
responsabile di tutte le languide arie di valzer, di tutto il
jazz selvaggio, di quanto c' di sdolcinato o violento nella nostra musica popolare. Ne responsabile perch
stato il primo che ha ideato metodi musicali efficaci per
l'espressione diretta dei sentimenti. I1 caso volle che i sentimenti di Beethoven fossero nobili; inoltre era un musicista troppo intellettuale per trascurare il lato formale e
strutturale della musica. Ma sfortunatamente ha reso
possibile a compositori di intelletto e personalit inferiori
esprimere in musica le loro passioni meno elevate e i loro
sentimenti pi banali. Ha reso possibili i fiacchi sentimentalismi di Schumann, le barocche grandiosit di Wagner, gli isterismi di Skrjabin; e inoltre, i valzer di tutti gli
Strauss, dal Danubio blu al valzer di Salom. Infine ha
reso possibile, a un livello ancora pi basso, certi capolavori dell'arte popolare come Mi sono innamorato di te
o La mia mammina nero-carbone .
Per l'introduzione nella musica di una certa vibrante
sessualit, Beethoven forse meno direttamente responsabile che gli italiani dell'Ottocento. Un tempo mi chiedevo spesso perch le opere di Mozart fossero meno popolari di quelle di Verdi, Leoncavallo e Puccini. Non si
poteva desiderare niente di pi contagiosamente orecchiabile di certe arie delle Nozze di Figaro o del Don
Giovanni. Anche se classica, la musica di queste opere
non oscura n eccessivamente complessa. Al contrario
limpida, semplice, di quella semplicit in apparenza facile che solo un grandissimo genio pu raggiungere, e assolutamente affascinante. Eppure per ogni rappresentazione del Don Giovanni se ne hanno cento della Bohme.
Tosca almeno cinquanta volte pi popolare delle Nozze
di Figaro. E se si sfoglia un catalogo di dischi grammofonici, si scopre che mentre si pu acquistare il Rigoletto
completo in trenta dischi, non ne esistono pi di tre del
Flauto magico. A prima vista la cosa lascia perplessi. Ma
il motivo non difficile da scoprire. Dopo Mozart i compositori hanno imparato l'arte di mettere nella musica
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soltanto di sonorit russe e negroidi, ma anche di miagolii celtici sui tasti neri, di cupi gemiti spagnoli punteggiati
dal crepitio delle nacchere e dalle martellanti armonie
della chitarra. Quando i compositori seri saranno tornati
alla musica civilizzata - e gi alcuni di loro stanno abbandonando i barbarismi - ci sar probabilmente un
cambiamento corrispondente 'verso una maggiore raffinatezza nella musica popolare. Ma finch i musicisti seri
non indicheranno loro la strada, sarebbe assurdo aspettarsi che i volgarizzatori cambino il loro stile.