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Passione e ragion di Stato

Concedere la cittadinanza milanese alla guida spirituale del popolo tibetano, era un obiettivo che univa senza distinzioni maggioranza e opposizione. Una dichiarata, unanime solidariet che si era dimenticata di fare i conti con una dura realt: da quando, nel 1949, la Cina lha invaso, la pratica di sistematica violazione dei diritti umani in Tibet non si mai interrotta e mai la Cina ha concesso che la comunit internazionale ne giudicasse le azioni comunque intendendole come ostili. Questo i consiglieri comunali avrebbero dovuto ben sapere nel prepararsi a un gesto di simbolica solidariet che avrebbe inevitabilmente comportato conseguenze. Che, puntualmente, si sono verificate costringendo a una vergognosa marcia indietro. Tanto pi amara in quanto la merce di scambio divenuta assolutamente trasparente ai cittadini e ne origina le proteste: gli investimenti, tre anni di relazioni commerciali, la partecipazione allExpo, perfino i rapporti con la comunit dei residenti cinesi. La presa di coscienza collettiva che, pur con le migliori intenzioni, ci si stesse preparando a un insostenibile confronto assegnando a Milano un ruolo evidentemente ingestibile nella cornice della politica estera nazionale e delle diplomazie internazionali stata tardiva e, forse per questo, ancor pi dolorosa. Costretto a un esercizio di realpolitik, il sindaco Giuliano Pisapia ha trovato modo di introdurre un sottile distinguo affermando di rispettare le decisioni del Consiglio per poi intitolare alla Giunta la responsabilit di percorrere lunica possibile alternativa: assicurare la presenza del Dalai Lama in Consiglio . E una mediazione, ma non pu il sindaco dimenticare che la concessione della cittadinanza stata bloccata dalla sua maggioranza e che dunque la sua scelta non si pu qualificare come un grande passo avanti o una soluzione ancora migliore per stare a Basilio Rizzo che pure, come il sindaco, si astenuto nella votazione decisiva . E non si cancella il fatto che Milano sia lunica citt italiana ad essere stata costretta ad abdicare alla propria autonomia politica e amministrativa. Ma forse solo Milano aveva davvero qualcosa da perdere. Tutto questo senza considerare il segnale dallarme che dovrebbe scattare anche alla Farnesina considerando lobiettiva ingerenza della Cina sin nella politica interna dei paesi con i quali intrattiene relazioni. E comprensibile lo sforzo di circoscrivere quanto accaduto, ma legittimo chiedersi se quella che oggi appare come una soluzione di ripiego non fosse in realt il massimo che la citt potesse realisticamente concedere e, al tempo stesso, riflettere su come sia possibile per Milano assumere un ruolo internazionale nella difesa di diritti fondamentali che, purtroppo, non sono calpestati solo in Tibet.

Forse, sar per primo il Dalai Lama a considerare inevitabile il corso degli ultimi eventi, ripetendo di non essere una persona importante: sono uno di voi. Sono una qualunque dei sei miliardi di persone che abitano il mondo. Ma la citt che lo voleva suo cittadino ha dovuto misurare in poche ore la distanza che separa la passione dalla ragione. Ancor pi brucia che una gestione politica dissennata offra alle opposizioni loccasione di imputare al sindaco la figuraccia per chiederne ritualmente le dimissioni dimenticando di essere stati solo pochi giorni fa a favore della concessione della cittadinanza come non lo erano, con simmetrico realismo, quando governavano la citt e il sindaco poteva incontrare il Dalai Lama al Palasharp ma non a Palazzo Marino. (la Repubblica Milano, 23 luglio 2012)

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