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Cos parl Zarathustra, di F. Nietzsche


Il superuomo e la fedelt alla terra
a.

Giunto nella citt vicina, sita presso le foreste, Zarathustra vi trov radunata sul mercato una gran massa di popolo: era stata promessa infatti l'esibizione di un funambolo. E Zarathustra parl cos alla folla: Io vi insegno il superuomo. L'uomo qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di s: e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l'uomo? Che cos' per l'uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l'uomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna. Avete percorso il cammino dal verme all'uomo, e molto in voi ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l'uomo pi scimmia di qualsiasi scimmia. E il pi saggio tra voi non altro che un'ibrida disarmonia di pianta e spettro. Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta? Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo il senso della terra. Dica la vostra volont: sia il superuomo il senso della terra! b. Vi scongiuro, fratelli rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio morto, e cos sono morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa oggi la cosa pi orribile, e apprezzare le viscere dell'imperscrutabile pi del senso della terra! In passato l'anima guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa pi alta: essa voleva il corpo macilento, orrido, affamato. Pensava in tal modo, di poter sfuggire al corpo e alla terra. Ma questa anima era anch'essa macilenta, orrida e affamata: e crudelt era la volutt di questa anima! Ma anche voi, fratelli, ditemi: che cosa manifesta il vostro corpo dell'anima vostra? Non forse la vostra anima indigenza e feccia e miserabile benessere? Davvero, un fiume immondo l'uomo. Bisogna essere un mare per accogliere un fiume immondo, senza diventare impuri. Ecco, io vi insegno il superuomo: egli il mare, nel quale si pu inabissare il vostro grande disprezzo. Qual la massima esperienza che possiate vivere? L'ora del grande disprezzo. [...] Non il vostro peccato - la vostra accontentabilit grida al cielo, la vostra parsimonia nel vostro peccato grida al cielo! Ma dov' il fulmine che vi lambisca con la sua lingua! Dov' la demenza che dovrebbe esservi inoculata? Ecco, io vi insegno il superuomo: egli quel fulmine e quella demenza! c. Zarathustra aveva detto queste parole, quando uno della folla grid: "Abbiamo sentito parlare anche troppo di questo funambolo; ora che ce lo facciate vedere!". E la folla rise di Zarathustra. Ma il funambolo, credendo che ci fosse detto per lui, si mise all'opera. Zarathustra invece guard meravigliato la folla. Poi parl cos: L'uomo un cavo teso tra la bestia e il superuomo, - un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in

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05/12/2010

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cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza dell'uomo di essere un ponte e non uno scopo: nell'uomo si pu amare che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando, poich essi sono una transizione. Io amo gli uomini del grande disprezzo, perch essi sono anche gli uomini della grande venerazione e frecce che anelano all'altra riva. Io amo coloro che non aspettano di trovare una ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bens si sacrificano alla terra, perch un giorno la terra sia del superuomo. Io amo colui che vive per la conoscenza e vuole conoscere, affinch un giorno viva il superuomo. E cos egli vuole il proprio tramonto. Io amo colui che lavora e inventa, per costruire la casa al superuomo, e gli prepara la terra, l'animale e la pianta: giacch cos egli vuole il proprio tramonto. Io amo colui che ama la sua virt: giacch virt volont di tramontare e una freccia anelante. [...] Io amo colui l'anima del quale trabocca da fargli dimenticare se stesso, e tutte le cose sono dentro di lui: tutte le cose divengono cos il suo tramonto. Io amo colui che di spirito libero e di libero cuore: il suo cervello, in tal modo, non altro che le viscere del cuore, ma il suo cuore lo spinge a tramontare. Io amo tutti coloro che sono come gocce grevi, cadenti una a una dall'oscura nube incombente sugli uomini: essi preannunciano il fulmine e come messaggeri periscono. Ecco, io sono un messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma il fulmine si chiama superuomo. [...]
Cos parl Zarathustra, Prefazione di Zarathustra, 3-4, in Opere, vol. VI, tomo 1, pp. 6-9.

ANALISI DEL TESTO

a. L'annuncio del superuomo fatto attraverso una metafora biologica. Si tratta, appunto, di una metafora, perch l'evoluzionismo al quale allude Nietzsche esclusivamente di tipo morale. Essa indica che il superuomo un oltre-uomo, secondo la traduzione letterale del termine impiegato da Nietzsche, Uebermensch; , cio, un essere diverso e non un uomo migliorato. Il salto "biologico" dall'uomo al superuomo consiste essenzialmente nel fatto che mentre l'uomo, nel corso della propria storia, ha derivato il senso del mondo e della vita da qualcosa d'altro (come la scimmia che imita comportamenti altrui, invece di produrli), il superuomo creatore di valori, deve essere egli stesso "il senso della terra". b. Il sacrilegio contro la terra, dunque la terra ha preso il posto di Dio. Dio costituiva il centro di gravitazione, il riferimento per le certezze e per i valori, ed proprio questo il senso che deve avere la terra. Si tratta di stabilire che cosa rappresenta la "terra". Nietzsche lo spiega subito sotto: la "terra" il corpo, la naturalit, gli istinti. Nella storia della filosofia, e in particolare nella tradizione platonica, il corpo stato identificato con il male, con il peccato. L'anima doveva purificarsi, allontanandosene e liberandosi dalle passioni. Nietzsche inverte la prospettiva. La naturalit la sorgente dei valori vitali, e vivifica anche l'anima. La repressione degli istinti impoverisce l'anima, ne comprime l'energia e la vitalit. Bisogna leggere questo passo quasi in ottica psicoanalitica, che Nietzsche per molti versi anticipa. La repressione - la morale - rende l'anima limitata, ne soffoca gli impulsi, mutila l'uomo. Il superuomo di Nietzsche colui che rifiuta l'autorepressione, che accetta la libera manifestazione delle pulsioni, di ci che a-razionale ("la demenza"). Riappropriandosi della propria naturalit, egli supera la morale, costruita storicamente in base alla razionalit contro le forze vitali, istintive, inconsce. Per lo stesso motivo, il superuomo immenso come il mare, l'essere delle grandi cose, del grande peccato e del grande disprezzo. La morale, infatti, lascia spazio soltanto ad alcune componenti dell'uomo, reprimendo il resto. L'uomo della morale , scrive Nietzsche in molti passi, "piccolo", perch ridotto alla sola ragione, alle convenzioni sociali, potremmo dire alla sola coscienza (in senso psicoanalitico). Il superuomo, al contrario, accetta il corpo, le passioni, gli istinti, ci che la morale giudica "male" ma che comunque la parte maggiore dell'essere umano.

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Ne risulta un essere che non n "buono" n "cattivo" - a-morale - ma in ogni caso non si limita (non si "accontenta"), realizza per intero la propria natura. L'uomo della morale un uomo parziale, ci che la morale consente che sia, distinguendo il bene dal male e precludendogli tutto ci che identificato con il secondo termine. Il superuomo l'uomo totale, che recupera anche il "male" come parte della propria natura, anzi, la parte pi vasta, pi profonda (l'inconscio). c. L'immagine del cavo sottolinea il significato morale dell'apparente evoluzionismo del primo paragrafo. Lo spazio da percorrere sopra un abisso ed l'individuo in prima persona che deve attraversarlo, mettendo in giuoco la propria vita, cio negandosi. L'uomo deve essere un tramonto in quanto deve rinunciare a se stesso, alle proprie certezze, ai valori della tradizione che rassicurano perch sono condivisi da tutti. Se si guarda indietro, se incerto, se non accetta di tramontare, non pronto per annunciare il superuomo. Questo brano offre elementi per comprendere il concetto di superuomo cos come inteso da Nietzsche. Vi si tratteggia un completo rinnovamento interiore, che passa attraverso la negazione di ci che si ("dimenticare se stesso e tutte le cose che sono dentro di lui") per aprirsi a nuovi valori, per diventare una transizione e un ponte verso nuovi significati da dare alla vita. Il superamento della morale non pu compiersi sulla base di un ragionamento, o convincendo se stessi, perch la ragione proprio la parte dell'uomo che la morale ha coltivato e su cui essa si basa. La morale interiorizzata, l'individuo stesso. Per superarla, occorre cambiare la propria natura, tramontare, liberarsi da ci che si . Per questo, l'uomo attuale, l'uomo della morale, non pu andare oltre l'uomo, ma pu essere soltanto una transizione, annunciare il superuomo e preparargli la strada.

Contro la trascendenza S, questo io e la contraddizione e il groviglio dell'io, parla ancora nel modo pi onesto del proprio essere - questo io che crea, vuole, valuta ed la misura e il valore delle cose. E questo che l'essere pi onesto, l'io - questo parla del corpo e vuole il corpo, anche quando si induce a poetare e fantasticare e svolazza qua e l con le ali spezzate. Esso impara a parlare sempre pi onestamente, l'io: e quanto pi impara, tanto pi trova parole in onore del corpo e della terra. Un nuovo orgoglio mi ha insegnato l'io, e io lo insegno agli uomini: non ficcare pi la testa nella sabbia delle cose del cielo, bens portarla liberamente, una testa terrena, che crea il senso della terra!
Cos parl Zarathustra, Di coloro che abitano un mondo dietro il mondo, in Opere, vol. VI, tomo 1, pp. 31-32.

Dall'uomo al superuomo
Delle tre metamorfosi.

Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo. a. Molte cose pesanti vi sono per lo spirito, lo spirito forte e paziente nel quale abita la venerazione: la sua forza anela verso le cose pesanti, pi difficili a portare. Che cosa gravoso? domanda lo spirito paziente - e piega le ginocchia, come il cammello, e vuol essere ben caricato. Qual la cosa pi gravosa da portare, eroi? - cos chiede lo spirito paziente, - affinch io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza. Non forse questo: umiliarsi per far male alla propria

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alterigia? Far rilucere la propria follia per deridere la propria saggezza? Oppure : separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria? Salire sulle cime dei monti per tentare il tentatore? Oppure : nutrirsi delle ghiande e dell'erba della conoscenza e a causa della verit soffrire la fame dell'anima? Oppure : essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e invece fare amicizia coi sordi, che mai odono ci che tu vuoi? Oppure : scendere nell'acqua sporca, purch sia l'acqua della verit, senza respingere rane fredde o caldi rospi? Oppure : amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo spettro quando ci vuol fare paura? Tutte queste cose, le pi gravose da portare, lo spirito paziente prende su di s: come il cammello che corre in fretta nel deserto sotto il suo carico, cos corre anche lui nel suo deserto. b. Ma l dove il deserto pi solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuol come preda la sua libert ed essere signore nel proprio deserto. Qui cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e del suo ultimo dio vuol egli diventare, con il grande drago vuol egli combattere per la vittoria. Chi il grande drago, che lo spirito non vuol pi chiamare signore e dio? "Tu devi" si chiama il grande drago. Ma lo spirito del leone dice "io voglio". "Tu devi" gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come l'oro, e su ogni squama splende a lettere d'oro "tu devi!". Valori millenari rilucono su queste squame e cos parla il pi possente dei draghi: "tutti i valori delle cose risplendono su di me". "Tutti i valori sono gi stati creati, e io sono ogni valore creato. In verit non ha da essere pi alcun "io voglio"!". Cos parla il drago. Fratelli, perch il leone necessario allo spirito? Perch non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed piena di venerazione? Creare valori nuovi - di ci il leone non ancora capace: ma crearsi la libert per una nuova creazione - di questo capace la potenza del leone. Crearsi la libert e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, necessario il leone. Prendersi il diritto per valori nuovi - questo il pi terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e venerante. In verit un depredare per lui e il compito di una bestia da preda. Un tempo egli amava come la cosa pi sacra il "tu devi": ora costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose pi sacre, per predar via libert dal suo amore: per questa rapina occorre il leone. c. Ma ditemi, fratelli che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? perch il leone rapace deve anche diventare un fanciullo? Innocenza il fanciullo e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante da sola, un primo moto, un sacro dire di s. S, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di s: ora lo spirito vuole la sua volont, il perduto per il mondo conquista per s il suo mondo. Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello, leone il cammello, e infine il leone fanciullo.
Cos parl Zarathustra, Delle tre metamorfosi, in Opere, vol. VI, tomo 1, pp. 23-25.

ANALISI DEL TESTO

Il brano ripercorre le tappe di cui si detto sopra: il cammello rappresenta l'uomo sottomesso, che accetta la morale della tradizione; il leone simboleggia la rottura con questa morale, anzi, la negazione della morale come tale; il fanciullo, infine, l'uomo nuovo, creatore di valori terreni. Il riferimento alle metamorfosi indica che ogni singolo individuo deve percorrere questo cammino: il superuomo non pu essere una conquista sociale, ma essenzialmente il risultato di un rinnovamento interiore. Per comprendere pi a fondo le tre figure, si presti attenzione agli aggettivi e alle immagini con le quali Nietzsche le associa. Infatti, qui pi che altrove, egli procede per metafore e non per argomentazioni, in modo da rendere palpabile l'atmosfera morale di tre diversi stili di vita.

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a. Il cammello rappresenta la morale del dovere, nel senso cristiano pi che kantiano. L'uomo fa ci che deve fare, a prescindere dal fatto che ci lo renda felice o meno. Anzi, proprio quello che umilia, che punisce l'orgoglio e l'affermazione di s a dover essere perseguito. Le espressioni e le immagini che caratterizzano questo stadio dell'uomo suggeriscono l'umiliazione, la rinuncia, il sacrificio, la sopportazione paziente. b. La figura del leone introdotta dall'iperbole del deserto ancora "pi solitario". Si noti che anche il cammello un abitatore del deserto, il che significa che nemmeno la morale del dovere ha una destinazione sociale. Il dovere non finalizzato alla convivenza con gli altri, ma un modo di essere dell'individuo, interiorizzato. Il leone, per, ancora pi solo del cammello, la sua forza di critica e di demolizione della morale indirizzata verso se stesso e non verso valori sociali. Con questa immagine, Nietzsche sottolinea la necessit di un rinnovamento interiore - una metamorfosi, appunto - l'esigenza di rimuovere il dovere, potremmo dire, dal proprio inconscio. Si detto che stato Nietzsche a coniare il termine "Es" che Freud far poi proprio. Oltre al termine e al concetto, delineata la dinamica alla quale essi rinviano: la morale della rinuncia e del risentimento non un insieme di costrizioni esterne, ma interiorizzata dall'individuo ed diventata il suo modo d'essere. Il "tu devi", il drago dalle mille scaglie d'oro, rappresenta la sedimentazione dei valori secolari che danno un significato al mondo, presentandolo all'individuo come una realt compiuta e fornita di valore. Al leone assegnata la funzione di liberare l'essere profondo dell'individuo, cio l'inconscio. Si tratta di un'opera di distruzione per creare uno spazio vuoto. Il pericolo maggiore di ogni morale non , secondo Nietzsche, il suo contenuto, ma il suo sostituirsi all'individuo ed imporgli valori gi fatti ("tutti i valori sono gi stati creati"). Per questo, la sua critica non rivolta soltanto alla morale cristiana, ma alla morale in quanto tale. Il leone non crea, distrugge: ma cos facendo recupera la dimensione della possibilit, del non determinato, e quindi prepara il terreno per la creazione. c. Al fanciullo associata la rinascita, la mancanza di un passato, l'oblio. Il fanciullo non ha valori da accettare, e nemmeno da rifiutare, non ha valori esterni a se stesso. Egli non crea una nuova morale. L'immagine della ruota che gira da s indica che il nuovo uomo, il superuomo, deve essere un creatore di valori sempre nuovi, vitali, tali cio da non sedimentarsi in nuovi condizionamenti interni. La creazione definita un "giuoco", cio qualcosa che si rinnova continuamente, che non ha un fine esterno - in particolare non ha il fine di erigere una nuova costruzione, nuove regole o nuovi comandamenti. Dominano in questo paragrafo l'accettazione della vita per se stessa e l'affermazione dell'io che d significato al mondo.

L'eterno ritorno e la nascita del superuomo


a.

Salivo, salivo, sognavo, - pensavo: ma tutto mi opprimeva. Ero come un malato: stremato dal suo tormento atroce, sta per dormire, ma un sogno, pi atroce ancora, lo ridesta. Ma c' qualcosa che io chiamo coraggio: questo finora ha sempre ammazzato per me ogni scoramento. Questo coraggio mi impose alfine di fermarmi e dire: "Nano! O tu! O io!". [...] Coraggio la mazza pi micidiale: il coraggio ammazza anche la compassione. Ma la compassione l'abisso pi fondo: quanto l'uomo affonda la sua vista nella vita, altrettanto l'affonda nel dolore. Coraggio per la mazza pi micidiale, coraggio che assalti: esso ammazza anche la morte, perch dice: "Questo fu la vita? Ors! Da capo!" Ma in queste parole sono molte squillanti fanfare. Chi ha orecchi, intenda.

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b. "Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il pi forte son io: tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo - tu non potresti sopportarlo!". Qui avvenne qualcosa che mi rese pi leggero: il nano infatti mi salt gi dalle spalle, incuriosito! Si accoccol davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta carraia. "Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternit. E quella lunga via fuori della porta e in avanti - un'altra eternit. Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'un contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: "attimo". Ma, chi ne percorresse uno dei due sempre pi avanti e sempre pi lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?". "Tutte le cose diritte mentono, borbott sprezzante il nano. Ogni verit ricurva, il tempo stesso un circolo". "Tu, spirito di gravit! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove ti trovi, sciancato - e sono io che ti ho portato in alto! Guarda, continuai, questo attimo! Da questo porta carraia che si chiama attimo, comincia all'indietro una via lunga, eterna: dietro di noi un'eternit. Ognuna delle cose che possono camminare, non dovr forse avere gi percorso una volta questa via? Non dovr ognuna delle cose che possono accadere, gi essere accaduta, fatta, trascorsa una volta? E se tutto gi esistito: che pensi, o nano, di questo attimo? Non deve anche questa porta carraia esserci gi stata? E tutte le cose non sono forse annodate saldamente l'una all'altra in modo tale che questo attimo trae dietro di s tutte le cose avvenire? Dunque - anche se stesso? Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori - deve camminare ancora una volta! E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna, e persino questo chiaro di luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti - non dobbiamo tutti esserci stati un'altra volta? e ritornare a camminare in quell'altra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via - non dobbiamo ritornare in eterno?". c. Cos parlavo, sempre pi flebile: perch avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri reconditi. E improvvisamente, ecco, udii un cane ululare. Non avevo gi udito una volta un cane ululare cos? Il mio pensiero corse all'indietro. S! Quand'ero bambino, in infanzia remota: allora udii un cane ululare cos. [...] E ora, sentendo di nuovo ululare a quel modo, fui ancora una volta preso da piet. Ma dov'era il nano? E la porta? E il ragno? E tutto quel bisbigliare? Stavo sognando? Mi ero svegliato? D'un tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al pi desolato dei chiari di luna. Ma qui giaceva un uomo! E - proprio qui! - il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, adesso mi vide accorrere - e allora ulul di nuovo, url: - avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo? E, davvero, ci che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e l si era abbarbicato mordendo. La mia mano tir con forza il serpente, tirava e tirava invano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfugg dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!", cos grid da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia piet, tutto quanto in me buono o cattivo gridava da dentro di me, fuso in un sol grido. Voi, uomini arditi che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo, e chiunque tra di voi si

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sia mai imbarcato con vele ingegnose per mari inesplorati! Voi che amate gli enigmi! Sciogliete dunque l'enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del pi solitario tra gli uomini! Giacch era una visione e una previsione: - che cosa vidi allora per similitudine? E chi colui che un giorno non potr non venire? Chi il pastore, cui il serpente strisci in tal modo entro le fauci? Chi l'uomo, cui le pi grevi e le pi nere tra le cose strisceranno nelle fauci? - Il pastore, poi, morse cos come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da s sput la testa del serpente: e balz in piedi. Non pi pastore, non pi uomo, un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, e ora mi consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa. La nostalgia di questo riso mi consuma: come sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora! Cos parl Zarathustra.
Cos parl Zarathustra, La visione e l'enigma, in Opere, vol. VI, tomo 1, pp. 191-194.

ANALISI DEL TESTO

a. La prima scena rappresenta l'oppressione e la rassegnazione. Zarathustra sale faticosamente verso una meta - la cima della montagna -sopportando il peso del nano deforme - i valori della morale che rendono la vita un insieme di costrizioni e di doveri. La metafora del nano spiegata in un successivo capitolo dello Zarathustra, intitolato Dello spirito di gravit. Il nano colui "che scava come una talpa" e dice: "buono per tutti, cattivo per tutti", rappresenta cio i valori "universali". Essi, per, impediscono di dare significato alla propria vita. Si liberato dal nano, aggiunge Nietzsche, "colui che dice: questo il mio bene e male". Il coraggio quello di considerare se la propria vita, sottratta ai valori esterni, ha di per s valore, e, dato che la risposta ovviamente negativa, di iniziare a vivere in altro modo, nella prospettiva dell'eterno ritorno. b. Liberatosi dal nano, cio dai significati trascendenti della vita, Nietzsche illustra la teoria dell'eterno ritorno come fondamento di un senso diverso e nuovo dell'esistenza. Non si tratta di una teoria in senso stretto, poich non dimostrata e neppure argomentata. Per questo, Heidegger la definisce una "dottrina", sottolineando comunque che essa cos centrale nel pensiero di Nietzsche, che lo Zarathustra pu essere definito come "la seconda comunicazione della dottrina dell'eterno ritorno". Lo stesso Nietzsche, d'altra parte, in Ecce homo, definisce il pensiero dell'eterno ritorno come la concezione fondamentale dell'opera. Il nano propone una prima formulazione dell'eterno ritorno, quella tradizionale che si richiama allo stoicismo. Zarathustra replica irato, non perch il nano sbagli, ma per la sua superficialit. Egli, infatti, presenta l'eterno ritorno come una teoria conoscitiva, senza capirne le profonde implicazioni sul piano esistenziale. Se la si accetta, secondo Nietzsche, essa sconvolge il nostro modo di vedere e di essere, come viene esemplificato drammaticamente dalla metafora del pastore e del serpente. Nella Gaia scienza la dottrina dell'eterno ritorno era stata presentata nel suo significato morale, come esigenza di dare un senso eterno ad ogni momento della vita. Ma questo non possibile in una concezione lineare del tempo, in cui ogni momento non ha in s il proprio significato perch lo deriva dal precedente, che comprende in s. Il nucleo centrale del discorso di Zarathustra non , infatti, l'analisi o la giustificazione dell'eterno ritorno, ma la conseguenza che questa concezione ha sull'attimo presente ("E se tutto gi esistito: che pensi, o nano, di questo attimo?"). L'attimo non un momento di una sequenza, ma il convergere di due sentieri infiniti, il punto di incontro del passato e del futuro. Ogni attimo ha in s un significato eterno. La concezione lineare del tempo si imposta con il cristianesimo, che ha scalzato la precedente

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concezione greca, circolare, alla quale Nietzsche si richiama. Per il cristianesimo il presente deve essere vissuto in funzione della salvezza o della dannazione. Anche nell'interpretazione del nano il tempo una successione, bench poi si ripieghi su se stessa dando luogo a un circolo, che nel suo insieme l'eternit. Per Nietzsche, al contrario, ogni istante l'eternit ed , in quanto tale, salvezza o dannazione eterne. Deve perci essere vissuto di per s, proprio perch torner in eterno. Si noti che nell'interpretazione di Nietzsche, all'eterno ritorno non connesso nessun fatalismo: gli attimi della vita presente non sono quelli gi vissuti che tornano, ma quelli che diverranno eterni. L'eterno ritorno non deve essere interpretato, nel significato stoico, come destino (tutto gi avvenuto e si ripeter nello stesso modo), ma come creazione (ci che adesso io faccio torner in eterno). In questo senso, nonostante le giustificazioni filosofiche o anche scientifiche che Nietzsche tenta di dare a questa teoria, essa rimane una dottrina, enunciata e non dimostrata, con una finalit e un significato esistenziali e non ontologici. c. La scena cambia radicalmente, diventa cupa, oppressiva. Il pensiero dell'eterno ritorno porta con s, per l'uomo non ancora trasformato, prospettive angoscianti. La metafora del serpente che ha conficcato i denti nella gola del pastore viene chiarita da Nietzsche in un successivo capitolo dello Zarathustra, Il convalescente. "Il grande disgusto per l'uomo - ci mi soffocava e mi era strisciato dentro le fauci". Il disgusto, spiega subito dopo, per "l'uomo piccolo", che fa piccole cose sia nel male che nel bene, per il quale tutti gli attimi della vita sono allo stesso livello, sostanzialmente indifferenti. Se tutto destinato a tornare, anche l'uomo piccolo torner in eterno. Ogni uomo piccolo prima di aver compreso l'eterno ritorno, lo stesso pastore della metafora, cio Zarathustra: il pensiero dell'eterno ritorno rende terribili gli "attimi piccoli" che hanno costituito la vita e impone una trasformazione. Infatti, finch si convinti che l'importante sia il significato complessivo della vita, o il fatto che preluda alla salvezza eterna, i singoli istanti sono irrilevanti. Ma se si accetta l'eternit di ogni attimo, quelli considerati insignificanti diventano terribili, perch torneranno in eterno nella loro mediocrit. Il serpente che si insinua nelle fauci appunto il pensiero della vita vissuta come un insieme di attimi insignificanti, nell'attesa che la loro somma produca qualcosa di sensato, o, come sostiene il cristianesimo, che la miseria della vita terrena prepari un'esistenza autentica dopo la morte. Il morso dato al serpente il rifiuto di questa dinamica, il suo rovesciamento. Ogni istante ha valore in quanto tale e ad ogni momento della propria vita occorre dare un senso. Accettare ci implica una metamorfosi, vuol dire andare oltre l'uomo. Dopo essersi liberato dal serpente, il pastore un uomo nuovo, anzi, un superuomo; egli ride, accetta ogni momento della vita per se stesso, senza derivarne il senso dal passato o dal futuro.

Tutti i brani sono tratti dalla traduzione italiana curata da Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Opere di Friedrich Nietzsche, Adelphi, Milano, 1977. Il materiale di questa pagina tratto dal manuale L. Tornatore, G. Polizzi, E. Ruffaldi, P. A. Ferrisi, La filosofia attraverso i testi. Profili, Temi, Autori, Loescher Editore, Torino, 1996, vol. 3.1, cap. 21. Si ringrazia la Casa Editrice Loescher per averne autorizzata la pubblicazione in Rete. consentita l'utilizzazione soltanto a fini didattici e ad uso interno.

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