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FRIEDRICH NIETZSCHE

Man mu noch Chaos in sich haben, um einen tanzenden stern zu gebren.


Bisogna avere ancora Caos dentro di s per partorire una stella danzante
(Friedrich Nietzsche, Cos parl Zarathustra)

Leggere Nietzsche un problema: pensare i suoi stessi pensieri aporetici non ci lascia immutati, in un certo senso
rischiamo di perdere noi stessi, di raggiungerlo nella sua follia. Non diciamo malattia, perch questa un'opinione
esterna, medica, che non tenta di entrare nel labirinto dei suoi pensieri, e che non ha mai visto il Minotauro nel labirinto.

Cercare di pensare Nietzsche, di scrutare il dionisiaco, significa allora forse diventare folli, scoprire, dopo aver
scrutato nell'abisso, che l'abisso ha degli occhi che ci stanno guardando.
Quando Friedrich Nietzsche muore, il 15 agosto del 1900, ha alle spalle dodici anni di silenzio (era nato nel 1844).
Si trattava di follia? Sospendiamo il giudizio, e proviamo a chiederci se il pensiero non sia, per il senso comune,
vera e propria follia.
Vogliamo meditare sul problema "Nietzsche". Ma che cosa significa "meditare"? Prendersi cura di s. Ma la cura
di s pu venire intesa come esercizio (aiskesis, da cui ascesi) etico di trasformazione del s. La meditazione di
Nietzsche una metamorfosi dell'umano. Cercheremo allora di percorrere il cammino verso l'oltreumano
(bermensch): una danza dionisiaca.

Gli antisemiti li metterei tutti al muro


(F. Nietzsche, Lettere).

Conosco la mia sorte. Un giorno sar legato al mio nome il ricordo di qualcosa di
enorme una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la pi profonda collisione della
coscienza, una decisione evocata contro tutto ci che sinora stato creduto, preteso,
consacrato. Io non sono un uomo. Sono dinamite
Ich kenne mein Loos. Es wird sich einmal an meinen Namen die Erinnerung an etwas
ungeheures anknpfen, - an eine Krisis, wie es keine auf Erden gab, an die tiefste
Gewissens-Collision, an eine Entscheidung, heraufbeschworen gegen Alles, was bis
dahin geglaubt, gefordert, geheiligt worden war. Ich bin kein Mensch, ich bin
Dynamit.
(F. Nietzsche, Ecce homo, p. 365).
Chiarimento preliminare

Ma un chiarimento preliminare d'uopo. Nietzsche stato usato dai nazisti; la metamorfosi oltreumana ridotta
alla selezione razziale dell'ariano; la critica niciana allo Stato costretta ad essere una giustificazione dello Stato
totalitario nazionalsocialista. stato passato sotto silenzio il fatto che Nietzsche avesse insultato gli antisemiti (ma
non per questo risparmiato l'ebraismo-cristianesimo) proprio mentre, al contrario, diversi suoi scritti venivano
manipolati dalla sorella e dai suoi amici antisemiti. Quest'ultima questione particolarmente importante, se
pensiamo al modo in cui si esprimeva nei confronti degli antisemiti: "non voglio aver nulla a che fare con loro";
"Gli antisemiti li metterei tutti al muro".
Liberare il pensiero di Nietzsche dalle incrostazioni naziste significher proprio reinterpretare il concetto di
bermensch, rifiutandoci di tradurlo con "superuomo" o uomo (razza superiore). Questo non nell'intento di
restituire il suo pensiero originario, bens cercando di sviluppare una nostra interpretazione (una nostra pratica),
un'autotrasformazione di noi stessi che resista all'interpretazione nazista, che con essa entri in conflitto. Questo
dovr dispiegarsi nel chiarimento dell'oltreumano come potenza.
Se il suo nome legato a quello del nazionalsocialismo questo indubbiamente dovuto alla sorella, Elisabeth
Frster Nietzsche, che ha manipolato l'edizione dei testi, ma anche come il pensiero di Nietzsche sia aperto,
volutamente aperto, a tutti i possibili fraintendimenti (cf. testi 1 e 2, da Ecce homo) e anzi inviti esso stesso al
fraintendimento.
In queste nostri tentativi non si tratter di fedelt al suo pensiero, dunque, ma della nostra trasformazione e delle
nostre esigenze. Lo rinnegheremo, se sar necessario, proprio come Zarathustra stesso chiedeva ai suoi discepoli,
prima di andarsene (F. Nietsche, Also sprach Zarathustra, Von der schenkenden Tugend, 3):
Ora me ne vado, solo, miei discepoli! Anche voi ve ne andrete, e soli! Voglio cos.
Andatevene da me, e guardatevi da Zarathustra. Meglio ancora: vergognatevi di lui! Forse vi ha
ingannati.
L'uomo della conoscenza non solo deve amare i suoi nemici; deve anche poter odiare i suoi amici.
Si ripaga male un maestro se se ne resta solo il discepolo. E perch non vorreste voi strapparmi la
corona?
Mi venerate: ma che accadrebbe, se, un giorno, la vostra venerazione, crollasse? Badate che non vi
schiacci una statua.
Dite di credere a Zarathustra? Ma che importa di Zarathustra! Siete i miei credenti, ma che importa di
tutti i credenti!
Non vi eravate ancora cercati: e mi trovaste. Cos fanno tutti i credenti: per questo qualsiasi fede conta
cos poco.
Ora vi chiedo di perdermi e di trovarvi; e solo quando tutti voi mi avrete rinnegato vorr ritornare a
voi....

Lo rinnegheremo, dunque. Ma forse proprio in questo saremo fedeli non al contenuto del suo pensiero, bens al
suo atteggiamento parresiastico, alla verit non come esattezza o corrispondenza tra pensare, dire ed essere, bens
come coraggio di dire la verit, alla verit come rischio. E lo vedremo ritornare. Cosa scriveva, infatti, in Ecce
homo, nel capitolo intitolato "Warum ich ein Schicksal bin" (Perch sono un destino)?
La filosofia, cos come io l'ho intesa e vissuta fino ad oggi, vita volontaria tra i ghiacci e le alture
ricerca di tutto ci che l'esistenza ha di estraneo e problematico, di tutto ci che finora era
proscritto dalla morale. Attraverso una lunga esperienza di itinerari nel proibito, ho imparato a

considerare le cause per cui fino ad oggi si moralizzato e idealizzato in modo assai diverso da
quello che comunemente si richiede: mi si fatta luce sulla storia segreta dei filosofi, sulla
psicologia dei loro grandi nomi. quanta verit pu sopportare, quanta verit pu osare un uomo?
Questa diventata la mia vera unit di misura: sempre pi.

Abbiamo solo enunciato qualche difficolt sul pensiero di chi scriveva di s: io non sono un uomo, io sono
dinamite. Vediamo come descrive s stesso.
E con tutto ci non c' nulla in me del fondatore di religioni le religioni sono affari per la
plebe, io sento il bisogno di essermi lavato le mani, dopo essere stato in contatto con uomini
religiosi Non voglio credenti, penso di essere troppo malizioso per credere a me stesso, non
parlo mai alle masse Ho una paura spaventosa che un giorno mi facciano santo: indovinerete
perch io mi premunisca in tempo, con la pubblicazione di questo libro, contro tutte le sciocchezze
che si potrebbero fare con meNon voglio essere un santo, allora piuttosto un buffoneForse
sono un buffoneE ciononostante, anzi, non ciononostante, perch non c' mai stato sinora
niente di pi menzognero dei santi la verit parla in me. Ma la mia verit tremenda: perch
sino ad oggi si chiamava verit la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa la mia
formula per l'atto con cui l'umanit prende la decisione suprema su s stessa, un atto che in me
diventato carne e genio. Vuole la mia sorte che io debba essere il primo uomo decente, che sappia
oppormi a una falsit che dura da millenniio per primo ho scoperto la verit, proprio perch per
primo ho sentito la menzogna come menzogna, la ho fiutataIl mio genio nelle mie nariciIo
vengo a contraddire come mai si contraddetto, e nondimeno sono l'opposto di uno spirito
negatore. Io sono un lieto messaggero, quale mai si visto, conosco compiti di una altezza tale che
finora mancato il concetto per definirli: solo a partire da me ci sono di nuovo speranze. Con tutto
ci io sono anche, necessariamente, l'uomo del fato. Perch ora la verit d battaglia alla millenaria
menzogna, avremo degli sconvolgimenti, uno spasimo di terremoti, monti e valli che si spostano,
come mai prima si era sognato.
Io sono di gran lunga l'uomo pi tremendo che ci sia mai stato: ci non toglie che io possa essere il
pi benefico. Conosco il piacere del distruggere in misura della mia forza di distruzione, - nell'una
e nell'altra cosa obbedisco alla mia natura dionisiaca, che non riesce a distinguere tra il fare no e il
dire s. Io sono il primo immoralista: perch io sono il distruttore par excellence (Ecce homo, p.
365, Perch io sono un destino)

Distruttore per eccellenza ma al tempo stesso colui che dice di s. Per dire di s occorre riscrivere una lunga storia,
svelare le falsit come falsit, riscrivere i valori (trasvalutare). In questo senso il pensiero genealogico di
Nietzsche come un tornado che spazza via tutto ci che si era, sino ad ora, creduto sacrosanto.
Trasvalutazione, volont di potenza, oltreumano. I tre concetti dovranno legarsi e comprendersi a partire dal
dionisiaco e passando per l'eterno ritorno dell'uguale. La costellazione di senso si chiarisce a partire dalla Nascita
della tragedia (1871) e dalla critica della storia (Sull'utilit e il danno della storia per la vita, 1873).

Schopenhauer ci ha descritto limmenso orrore che afferra luomo, quando


improvvisamente perde la fiducia nelle forme di conoscenza dellapparenza, in quanto
il principio di ragione sembra soffrire uneccezione in qualcuna delle sue
configurazioni. Se a questo orrore aggiungiamo lestatico rapimento che, per la stessa
violazione del principium individuationis, sale dallintima profondit delluomo, anzi
della natura, riusciamo allora a gettare uno sguardo nellessenza del dionisiaco, a cui
ci accostiamo di pi ancora attraverso lanalogia con lebbrezza. O per linflusso
delle bevande narcotiche, cantate da tutti gli uomini e dai popoli primitivi, o per il
poderoso avvicinarsi della primavera, che penetra gioiosamente tutta la natura, si
destano quegli impulsi dionisiaci, nella cui esaltazione lelemento soggettivo svanisce
in un completo oblio di s.
Dionysos e il tragico (un'anticipazione)
Nietzsche ci offre, nella Nascita della tragedia, una genealogia del tragico. Prima di chiarire che cosa sia il
tragico occorre spiegare quale sia il metodo di Nietzsche, metodo che viene costantemente affinato.
Il progetto generale di Nietzsche consiste nell'introdurre in filosofia i concetti di senso e valore, ma tali nozioni
richiedono un rovesciamento (una trasvalutazione-Um-wertung), infatti i valori si danno da un lato come principi
(una valutazione presuppone dei valori a partire dai quali essa valuta i fenomeni); d'altra parte, per, sono i valori

che suppongono una valutazione, dei punti di vista della valutazione da cui derivano i valori. Ma il valore dei
valori, la valutazione da cui procede il loro valore, il problema della loro invenzione (Erfindung).
La valutazione si definisce come elemento differenziale dei valori corrispondenti. Questo elemento genetico e
differenziale: propriamente la volont di potenza (Wille zur Macht, dove la volont non va separata da ci che
pu).
Nietzsche si impone allora due compiti:

1. riportare ogni "cosa" a dei valori;


2. rapportare i valori alla loro "nascita", provenienza, invenzione (non a un'"origine", non, cio, a un'essenza
originaria immutabile e inalterata). Questa nascita va vista come modalit, rapporto di forze e conflitto,
non come una cosa o una sostanza. Per questo dall'idea di nascita si escludono sia l'idea di un
fondamento che lasci i valori indifferenti alla loro propria "origine", sia la semplice derivazione causale
per cui l'origine sia indifferente ai valori.
Il concetto di genealogia non richiede n il giudice di un tribunale (che andrebbe a sua volta indagato, del quale
anzi occorrerebbe a sua volta fare la genealogia), n un meccanicismo utilitarista (secondo cui si fa qualcosa solo
perch utile, aldil delle giustificazioni ideologiche ma qual il fondamento dell'utile?).
Il filosofo genealogista della nascita della tragedia piuttosto un poeta tragico.
La sua passione per la filologia non si distingue da quella per la filosofia. La riflessione concettuale unita a
quella estetica, come vedremo. I suoi educatori elettivi sono Wagner e Schopenhauer, prima di venire ripudiati
insieme all'intera tradizione della metafisica occidentale (riletta come morale).
Vediamo innanzitutto, allora, come leggeva la tragedia, o meglio: come pensava attraverso la lettura della tragedia
greca.

"Che cos' dunque la verit? Un esercito mobile di metafore, metonimie, antropomorfismi,


in breve, una somma di relazioni umane che cono state sublimate, tradotte, abbellite
poeticamente e retoricamente, e che per lunga consuetudine sembrano a un popolo salde,
canoniche e vincolanti: le verit sono illusioni delle quali si dimenticato che non sono
appunto che illusioni, metafore, che si sono consumate e hanno perduto di forza, monete
che hanno perduto la loro immagine e che quindi vengono prese in considerazione solo
come metallo, non come monete."

Il mondo greco e la nascita della razionalit.


La nascita della tragedia dallo spirito della musica pu essere considerata l'opera cardine di Nietzsche. Possiamo
individuarvi in nuce tutti gli elementi del suo pensiero. La Nascita della tragedia narra in realt la storia di una
decadenza: dalla tragedia greca alla commedia attica nuova. Dal mondo di Eschilo e Sofocle si passa alle nuove
generazioni rappresentate da Euripide e dal suo "maestro" Socrate. Non si tratta solo della sostituzione di un
genere teatrale con un altro. Si tratta piuttosto di una rivoluzione epocale. Il V secolo a.C. lo spartiacque sul
quale si fonda tutta la tradizione occidentale.
Qual l'intento dell'opera? Mostrare come in Grecia sia nato un modo di rapportarsi al mondo che ha il perno
nella logica e che trova i suoi simboli in Socrate ed Euripide. E indicarne le conseguenze. Dietro alla tradizione
filosofica occidentale si celano "sterminate antichit", oscure e inaccessibili al nostro modo di pensare.
Come comprendere allora l'evento della nascita della razionalit, visto che il "prima" della razionalit non ci
accessibile? Resta un solo modo, che inizia a manifestarsi ora e che si svilupper nel metodo "genealogico":
"dobbiamo per cos dire smantellare pietra per pietra quel geniale edificio" "fino a vedere le fondamenta sulle
quali si basa".
Questo significher allora smantellare la visione di un mondo di equilibrata armonia e bellezza che era l'immagine
stereotipata della grecit ereditata dal classicismo.
Per fare questo Nietzsche si serve di due nozioni chiave: Apollo e Dioniso. Con esse riesce a dissotterrare le
fondamenta della nostra civilt. Che cosa significano queste due divinit? Che cosa simboleggiano? Innanzitutto il
mondo degli impulsi: Apollo, divinit della bellezza, del sogno, della visione e dell'arte plastica incarna l'impulso
rappresentativo (germe che dar luogo alla coscienza razionale); Dioniso si manifesta come dio dell'ebbrezza, del
corpo, della libera esplosione degli istinti, della vita al di qua del bene e del male, si esprime nella musica e nella
danza. esistenza magmatica.
Si tratta in ogni caso di due istinti, i quali, contrapponendosi e intrecciandosi, danno origine alle fasi della storia
della cultura umana. Apollo e Dioniso, in quanto espressioni del mondo degli impulsi, al di l dei modi delle loro
manifestazioni, hanno una radice comune. L'autentica contrapposizione non tra Apollo e Dioniso, ma tra
Dioniso e Apollo degenere (Socrate). Il dionisiaco non rappresenta solo il caotico e l'irrazionale dell'eccitazione
musicale, cos come l'apollineo non rappresenta solo la dimensione razionale, il mondo delle immagini e delle
sculture. Nel loro intimo Apollo e Dioniso condividono il magma degli istinti. Se il primo si manifesta come
rappresentazione e il secondo come volont (cos secondo il titolo del libro di Schopenhauer dal quale Nietzsche

si lascia ispirare), entrambi sono in realt manifestazioni dei contrari che coincidono nel divenire, entrambi sono
istinti di una pluralit di centri di forza la cui radice il principio generatore di differenze, la natura o physis
(apollineo e dionisiaco sono fenomeni fisiologici), che dovremo ricomprendere.
La contrapposizione, dicevamo, non tra Apollo e Dioniso, ma tra Dioniso e Socrate. Lo stesso Apollo, infatti,
viene ricondotto nell'ambito del dionisiaco. Solo che nell'apollineo c' un resto non perfettamente assorbibile dal
mondo dell'istintualit. una conseguenza o degenerazione: la dimensione della rappresentazione, il mondo della
coscienza, l'impianto logico-razionale, la conoscenza. Il principio di ragione (nihil est sine ratione) collega tutte le
immagini e rappresentazioni secondo la legge di causalit. Socrate incarna una maschera che nasconde due visi:
quello di Platone e quello di Aristotele, maestri del principio di non contraddizione e definitivi codificatori del
ragionamento corretto (la logica). In Socrate la vita, con le sue laceranti contraddizioni, viene ridotta a schema
logico. Espelle da s ogni riferimento al mondo del mito, alle feste dionisiache, al lato oscuro dell'esistenza. Il
mondo assume un aspetto teleologico e razionale. Ci che in queste categorie non pu essere incluso viene escluso
e negato.
Socrate allora il grande malato. Ma rappresenta la nostra cultura. Di che cosa malata la nostra cultura? Il
socratismo l'inizio della decadenza dell'Occidente: la razionalit diventa il "secondo istinto" (l'habitus,
l'abitudine, secondo Aristotele era una "seconda natura") che diventa il primo, l'impulso degenerato che nega il
mondo da cui proviene. La degenerazione consiste nel sottomettersi a istanze metafisiche esterne (Vero, Bene,
Bello, Giusto) le quali non sono altro che caratteristiche umane. L'uomo pone in un altro da s ci che gli pi
proprio.
Nietzsche invita a recuperare la cultura tragica, modo greco di stare al mondo che, davanti ai terrori e all'atrocit
dell'esistenza, ci permette di continuare comunque a vivere. L'arte offre questa possibilit: l'apollineo, impulso
sapientemente intrecciato con il dionisiaco, produce il mondo artistico intermedio degli di olimpici. La civilt
greca riuscita ad abitare con leggerezza la condizione intermedia tra i due poli, l'uno dei quali corrisponde
all'interminabile ciclo di vita e di morte, l'altro alla possibilit di dare forma, produrre immagini e rappresentazioni
che siano capaci di sottrarsi (anche se solo momentaneamente) all'indistinto fluire del tutto. Davanti al dolore
dell'esistenza l'arte ha trovato una via che le ha permesso di non annientare la vita stessa. La filosofia cos per
Nietzsche una metafisica da Artista.
Occorre, sin da ora, comprendere che questa "estetica" gi tutta la filosofia di Nietzsche. Il rovesciamento del
platonismo, centro delle ricerche genealogiche a partire dall'annuncio della morte di Dio, significa rovesciare il
rapporto che si instaurato tra arte e filosofia, dove la leggerezza e il gioco, la menzogna, sono state scacciate
dalla citt dei filosofi (cf. Repubblica di Platone) insieme ai sofisti. Rovesciare il platonismo significa ripensare
tutte le nozioni di Platone e della tradizione occidentale e vederne l'insorgenza. Questo significher anche
ripensare il rapporto tra Essere ed Apparire, come vedremo, ma si presenta innanzitutto come critica della verit,
la quel trova il suo fondamento in Dio (la verit il correlato concettuale di un precetto morale, il quale trova il
suo fondamento in Dio)

Storia e vita (critica all'eccesso di storia e apertura verso una concezione critica della storia)
Per ripensare la verit occorre un metodo (storico) particolare, che Nietzsche chiama "metodologia da talpe",
capace di andare a smascherare le imposture, di scavare alle radici la provenienza delle cose, nel contesto delle
analisi della propria contemporaneit, per esempio nella seconda Considerazione inattuale, Sull'utilit e il danno
della storia per la vita. L'opera indubbiamente un manifesto dell'antistoricismo, infatti Nietzsche attacca: lo
storicismo hegeliano, all'epoca imperante, al quale viene assimilata anche La filosofia del Positivismo, nella quale
insita una tendenza ottimistica; la Filosofia dell'inconscio (di Eduard von Hartmann), dove si sostiene che ci
che determina le nostre azioni inconoscibile e quindi deciso a priori rispetto al volere della coscienza
individuale. Entrambe le posizioni, appena il caso di dirlo, derivano dal razionalismo ottimistico di socratica
memoria.
Aldil degli attacchi occorre concentrarsi sulla concezione antiteleologica (antifinalistica) di Nietzsche.
Antifinalistica e inattuale, controcorrente. Non la storia (l'inconscio) a decidere il destino individuale, semmai il
contrario. Contro l'idolatria del fatto Nietzsche pone la capacit attiva e fattiva del singolo (qui ritroviamo
un'anticipazione della nozione di creativit, dell'artificio, della costruzione, propria della concezione che
Nietzsche avr della volont di potenza, la quale non consiste nel desiderare o nel prendere, ma nel creare e nel
dare).
La storia ha senso se e solo se fornisce modelli di riferimento affinch l'individuo possa plasmare da s il proprio
destino, dando senso alla propria vita. Si tratta qui di capire come questo senso della storia sia una sorta di
autoeducazione, non limitata al consueto iter scolastico. Concerne infatti la vita stessa, in quanto indica ci che il
singolo individuo, in possibilit, . Il concetto verr ripreso in Ecce homo, in una sorta di resoconto autobiografico
e concettuale di quanto scritto precedentemente: "Come si diventa ci che si " recita infatti il sottotitolo
dell'opera. Proprio per questo la filosofia di Nietzsche non pu che contrapporsi al modello ottocentesco

imperante: lo storicismo il modello educativo dei suoi contemporanei, che vedono, sentono, pensano da malati,
ovvero storicamente. come se avessero sviluppato solo un organo del proprio corpo, diventato ipertrofico. Di
nuovo: la malattia storica ha un precursore: Socrate. Perch? Non esiste storia senza un principio di ragione: il
mondo diventa indagabile attraverso un nesso causale, che riesce a imbrigliare la vita in una enciclopedia di fatti,
in una classificazione di avvenimenti databili e definibili, che corrispondono alla bava del ragno, la quale permette
di costruire una tela onniavvolgente. La trama delle cose ridotta al principio di causalit, alla razionalit. La
malattia socratica si cos compiuta. La conseguenza che la vita non agisce, decade. Si comporta come Amleto.
Per agire occorre un senso non storico, occorre l'oblio. L'agire prevede un ampio spettro di indeterminazione,
casualit (non causalit) e rischio, prevede lo scarto, la deviazione, l'inconcepibile.
Questo dunque il danno. Quale l'utilit della storia? Prima di vedere i tre modi nei quali la storia serve al vivente
dobbiamo ancora dire qualcosa: l'utilit della storia quella della storia come genealogia (il libro che tematizza la
questione La genealogia della morale), che permette a Nietzsche di percorrere a ritroso i concetti stratificati e
sedimentati della tradizione occidentale, mostrando la provenienza (cio l'invenzione, pi che l'origine unica e
solenne) dei concetti morali, delle virt, e quindi della logica e della razionalit stessa. Nella seconda Inattuale la
storia vista cos:
La storia appartiene al vivente sotto tre rapporti: in quanto attivo ed ha aspirazioni;
perch preserva e venera; perch soffre e ha bisogno di liberazione." Il che corrisponde a
tre modalit della storia: "A questa trinit di rapporti corrispondono tre specie di storia e
si possono distinguere nello studio della storia un punto di vista monumentale, un punto
di vista antiquario e un punto di vista critico.
La prima considerazione concerne la storia monumentale: ci che si manifestato una volta in modo grandioso e
straordinario pu in qualche modo rivivere. La storia antiquaria, invece, si rapporta al passato venerandolo,
impedendo per l'azione; la storia critica, infine, rompe con il passato, libera chi abbastanza forte per creare. Si
tratta di tre modalit che esprimono il rapporto della vita con la storia. Nello Zarathustra abbiamo tre metamorfosi
dello spirito, le quali, forse, possono corrispondere a tre attitudini della vita. In ogni caso la ripresa di tutte e tre
che pu permetterci di capire la volont di potenza come autoeducazione dell'uomo, metamorfosi che lo porter
all'oltreuomo, passando per una trasvalutazione di tutti i valori.
Chimica delle idee e dei sentimenti
Dopo la pubblicazione di Umano, troppo umano Nietzsche si distanzia da Wagner e anche da Schopenhauer e si
dedica alle scienze positive. Si tratta di un cambiamento radicale. Nietzsche non si avvicina per al positivismo:
tenta piuttosto di scandagliare l'impianto logico razionale che domina ormai incontrastato. Nietzsche sfrutta e
approfondisce lo sguardo scientifico per far esplodere la scienza dal suo interno. Questo atteggiamento stato
definito "illuminista" (Umano, troppo umano dedicato a Voltaire). La scienza viene contrapposta all'arte, ma
come l'arte una forma di rappresentazione, un modo di vedere la vita, un atto creativo: lo scienziato un ulteriore
sviluppo dell'uomo artistico.
L'opera si apre con l'aforisma dal titolo "Chimica delle idee e dei sentimenti". La chimica filosofica ha come
oggetto d'indagine la morale intesa in senso lato: le forme spirituali prodotte dalla civilt occidentale che
permeano di s le attivit umane (abitudini quotidiane, metafisica, religione, educazione, politica, etica, arte,
scienza).
L'opera di smontaggio inizia a presentarsi come metodo archeologico-genealogico. Iniziata con la Nascita della
tragedia, si occupa ora dei grandi moralisti francesi (Montaigne, La Rochefoucauld, Chamfort, Fontanelle,
Pascal).
Il sistema della verit, i valori e le norme a cui facciamo riferimento per vivere, non sono altro che errori. Che
cosa sono questi errori? Secondo la nozione presente in Verit e menzogna in senso extramorale si tratta di un
prodotto "troppo umano" derivato da una serie di atti e abitudini formatisi nel corso del tempo, di per s casuali,
gratuiti, inconoscibili.
In Umano, troppo umano (II) Nietzsche ricostruisce i processi che hanno generato i sentimenti morali. Individua
nell'istinto di conservazione il motore che sta alla base di questi ultimi. Gli individui sono mossi dal principio di
conservazione, dall'intenzione di procurarsi piacere ed evitare dolore. Anche le azioni impossibili eppure reali
come l'altruismo o l'eroismo o il sacrificio di s sono manifestazioni del fatto che l'uomo ama qualcosa di s.
come se l'individuo si sdoppiasse e ponesse davanti a s l'oggetto che una volta raggiunto gli procura piacere.
Si tratta di un fenomeno di autoscissione, in cui l'uomo considera come altro da s la parte che di s pi ama. Da
questa strutturazione duplice scaturiscono i sentimenti morali dai quali derivano le differenti forme di religione
(cf. Hegel, Feuerbach, Marx, Stirner el'alienazione) e di metafisica. Cosa intende Nietzsche con il termine
"metafisica"? L'idea di sostanza e di libert morale, il principio di causalit da cui deriva la stessa scienza.

Raggiungimento del piacere e fuga dal dolore spiegano anche la ricerca di abitudini, ovvero di ci che d certezze
e sicurezze, come le categorie della ragione tramite le quali ci orientiamo nel mondo.
Aurora continua nel solco di queste indagini e pone al centro delle sue indagini proprio il concetto di morale. Che
cosa la muove? Qual il suo fondamento? assente. Nietzsche rilegge qui il binomio concettuale di paura e
potenza: attraverso di questo prende di mira la tradizione. Il concetto di dovere (Kant), quello dell'utile (Spencer)
o della compassione (Schopenhauer) sono stravolti. Dimostra che chi crede di comportarsi conformemente a certi
principi lo fa senza un fondamento certo. Le azioni che si basano su di essi sono in realt basate su altre
motivazioni.
La morte di Dio e il nichilismo
L'opera di smascheramento compiuta da Nietzsche nei confronti della morale tocca via via questioni che
abbracciano l'intera societ. Nella gaia scienza le ragioni del corpo smascherano l'impostura che per oltre due
millenni le ha sottomesse. La stessa storia della filosofia stata una pratica della sottomissione, la quale ha
condannato gli istinti, il mondo della sensibilit e la vita.
L'annuncio dell'uomo folle, contenuto nella Gaia scienza, e con esso il tema dell'eterno ritorno, introducono al
tema del nichilismo. Un folle tenta di annunciare la morte di Dio. Dio morto, ma tutti restano indifferenti. Qual
la questione di fondo? Metafisica e nichilismo sono intrecciati. Se la Nascita della tragedia racconta la storia di un
suicidio, quello del mondo della vita e degli istinti primordiali ad opera dell'apollineo degenerato, che dal mondo
degli istinti traeva la sua origine, la morte di Dio smaschera un gesto di autosoppressione. Cosa vuol dire? Che il
compimento della metafisica (simboleggiato dalla figura di Dio), un suicidio, l'estinzione di un processo vitale.
La fine della metafisica segna la fine di un'epoca, quella dell'ottimismo socratico, che ha trasformato una finzione
nell'unica realt possibile. Ma questa realt si smascherata da s, ormai.
Metafisica e nichilismo sono in un certo senso il medesimo: il rifiuto dell'esistenza terrena (aldiqua) a favore di un
regno dei cieli a venire (aldil). Questa prospettiva si manifesta con Socrate, Platone e poi con il cristianesimo. La
vita scissa: la vita terrena rifiutata, quella ultraterrena da conseguire con qualsiasi sforzo ( il mito della
provvidenza, o anche del progresso, in et moderna).
L'ultimo mito che ci rimasto quello della scienza. Nietzsche mette a fuoco anche questo. l'erede del
socratismo, anch'essa una religione, l'ultima versione possibile del mito della verit: cerca di spiegare qualsiasi
cosa riconducendola a leggi immutabili e conoscibili: la scienza riconduce la vita alla dimensione dell'utile, alla
praticit.
Il nichilismo l'atto originario della metafisica, ma ora il cerchio si chiude e il nichilismo riemerge. Dio stato
creato dall'uomo per annientare la vita. Ora l'uomo ha annientato Dio stesso attraverso l'ultima propaggine della
metafisica: la scienza. Il nichilismo uno svuotamento dall'interno. La metafisica nata attraverso la differenza
ontologica: ci che (l'idea, la verit, l'essere) non ci che diviene (la vita terrena). Ora, giunta al suo epilogo,
porta alle estreme conseguente la volont di potenza come volont di verit: la verit, discesa dal piano delle idee,
ora dipendente dall'utilit umana. L'uomo folle rivela il percorso. Scopre per che l'uomo preferisce rovesciare i
piani dell'essere, sostituendo a Dio la divinizzazione del nulla: "preferisce ancora volere il nulla piuttosto che il
non volere". (conclusione della Genealogia della morale).
Il nichilismo ha due accezioni: un volto negativo e uno positivo. Quello negativo rappresenta la decadenza,
psicologistica, che ha il suo centro in uno stato d'animo nostalgico, che si manifesta nell'atteggiamento
dell'abbandonarso al disfacimento (la fascinazione della rovina: Wagner e Baudelaire); quello positivo invece la
volont di potenza, come gaiezza dell'apertura al possibile. Il nichilismo pu essere inteso cos: se Dio non c', se
tutto diviene, se il divenire e l'essere coincidono, allora questo il momento in cui l'uomo pu rovesciare il senso
del nulla, trasformandolo in attivit creatrice. Dal nichilismo passivo si passa a quello attivo (cf. lettura).
Nietzsche ha fatto di se stesso il laboratorio in cui sperimentare questa duplicit. un dcadent e al contempo ne
l'antitesi.
Con ottica da malato guardare a concetti e valori pi sani, o all'inverso, dalla pienezza e
sicurezza della vita ricca far cadere lo sguardo sul lavoro segreto dell'istinto della
dcadence questo stato il mio pi lungo esercizio, la mia vera esperienza, l'unica in
cui, se mai, sia diventato maestro. Ora in mano mia, mi sono fatta la mano a spostare le
prospettive: ragione prima per cui forse a me solo possibile una 'trasvalutazione dei
valori'.
Genealogia della morale come trasvalutazione di tutti i valori

Il nulla, cancellando l'orizzonte metafisico, apre uno spazio di nuovi valori, per nuovi mondi.
Chi sar in grado di fruire di questo spazio? Una nuova umanit. Non basta uccidere Dio, per trasvalutare.
Distruggere facile, ma costruire

La nuova umanit che deve farsi carico della costruzione chiamata bermensch (oltre-uomo). Aldil della
tradizione metafisica, si apre una nuova possibilit. Il mito dell'Oltreuomo rintracciabile nello Zarathustra, in
un'atmosfera sapienziale e poetica. La filosofia del mattino, la gaia scienza, ha preparato il cammino liberando
l'uomo dall'impostura e dai pregiudizi. Il mondo vero diventato favola (cf. lettura dal Crepuscolo degli idoli,
brano antologico. 25).
La trasvalutazione, la metamorfosi dell'uomo, si divide in tre momenti: cammello, leone, fanciullo (cf. lettura
dallo Zarathustra, brano in antologia: 12).
Se il cammello sopporta il peso del tu devi, il leone ribatte io voglio, il fanciullo io posso. Il fanciullo, come
metamorfosi dello spirito, una delle figure dell'oltreuomo, ad un tempo distruttiva e creatrice come il divenire, il
dionisiaco. creazione e distruzione, posizione di nuove tavole di valori, leggererra dell'innocenza contro il peso
della colpevolezza.
L'oltreuomo l'individuo che va oltre la metafisica e il nichilismo, riuscendo ad applicare la genealogia della
morale e trasvalutando tutti i valori. Si fa carico, distrugge, crea. Trasforma le forze reattive (la morale del
risentimento) in forze attive: dice s alla vita, ma non come l'asino, che porta qualunque cosa (e che dice J-A),
bens come colui che crea, affermando e potenziando la vita.
Eterno ritorno

In questo senso l'oltreuomo, il fanciullo, che dice s alla vita, pu dire di volere l'eterno ritorno (cf. Antologia: 1112-13).
L'oltreuomo vuole il ritorno, lo ama (amor fati). In questo senso il passato non gli pesa. Il senso storico non gli
pesa, perch trasvaluta la storia della morale e della metafisica, perch l'orrore di rivedere accadere quanto
accaduto potenzia la sua affermazione della vita. Il cos fu diventa cos volli che fosse, cos voglio, cos vorr.
L'eterno ritorno il divenire. Ritorna il sorgere-tramontare, il volere e il creare.
Volont di potenza

La trasvalutazione di tutti i valori operata dall'oltreuomo si basa sul volere il passato, volere che libera dal peso del
dovere e dell'esser-stato. In una parola: amor fati. Questo termine la formula che permette di comprendere la
volont di potenza. Lungi dall'essere interpretabile come desiderio di dominio, essa invece esprime la
fondamentale importanza che il possibile ha nella concezione dell'oltreuomo. L'oltreuomo il senso del possibile,
potenziamento e non attualizzazione. Attivo e non reattivo.
Come si manifesta lo spirito reattivo? Come cattiva coscienza, negazone, colpa, risentimento, malafede. Queste
manifestazioni dello spirito reattivo sono l'essenza stessa della morale, che, come viene illustrato in Al di l del
bene e del male e in Genealogia della morale, poggia sulla vendetta, come espressione degenere della volont di
potenza. La questione della morale, dei grandi valori di riferimento del mondo moderno (cristianesimo, progresso,
democrazia) ritorna dopo lo Zarathustra, in un tentativo di sistematizzazione come problema della trasvalutazione.
Tutto ci che era stato espresso in termini sapienziali-poetici viene ripreso e rielaborato.
In Aldil del bene e del mal e Genealogia della morale tutte le questioni vengono riprese a partire dall'occhio del
genalogista. La nuova posizione ha un nome: si chiama volont di potenza. Nelle due opere la questione volont
di potenza viene indagata a partire dal dolore, punto di vista privilegiato. La questione della reattivit viene riprese
in quanto lo spirito reattivo proprio di chi non sa accettare il dolore dell'esistenza, dolore che per Nietzsche, sin
dalla Nascita, parte intetrante della vita stessa, della volont di potenza. Il s alla vita inevitabilmente anche
s al dolore, alla volont di potenza. Il problema , naturalmente, che cosa questo significhi. Abbiamo visto che
significa: amor fati (accettare come creare, divenire, ci che si ).
Il dolore sempre stato visto dalla tradizione come qualcosa da rifiutare, negare, fuggire. Nietzsche riprende a
polemizzare con Schopenhauer: se per questi la volont di vita l'irrazionale essenza delle cose che tutto travolge
con l'unico scopo di affermare se stessa e alla quale bisogna sottrarsi (tramite la noluntas), per Nietzsche la
volont di vita non altro che volont di potenza (e anche la volont di verit): una forza che non solo da
accettare (sarebbe un nichilismo passivo), ma addirittura da volere, da affermare. L'essenza delle cose, il fondo
ultimo a cui si perviene indagando la vita piacere e dolore. Lo spirito libero riconosce cos nella morale,
superandola, la storia di un pregiudizio.
La volont di potenza un cardine di tutto il pensiero di Nietzsche: si manifesta come superamento di qualsiasi
interpretazione dualistico-metafisica della vita (il ci che , essenza, intelligibile, verit, bene, rispetto a ci che
appare, il sensibile, il falso, il male), che trova le sue origini in Platone con la contrapposizione dei due piani
dell'essere ma che si presenta ancora in Schopenhauer, che contrappone il mondo come rappresentazione
(apparenza) a quello come volont (essenza). Per Nietzsche non ci sono mondi dietro a questo mondo, altre quinte
dietro la scena nella quale recitiamo. Essenza ed esistenza sono il medesimo. La natura non fa che rappresentare
s medesima: labirinto di centri di forza. L'essenza corrisponde a ogni singola apparenza. Senza scissione. Ogni
singola volont di potenza una determinazione prospettica.

Ogni centro di forza ha per tutto il resto la sua prospettiva, cio la sua affatto determinata
scala di valori, il suo tipo d'azione, il suo tipo di resistenza. Il 'mondo apparente' si riduce
pertanto a un modo specifico di agire sul mondo, che muove da un centro. Ma non c'
nessun'altra azione, e il 'mondo' solo una parola per il gioco complessivo di queste
azioni. La realt consiste esattamente in questa azione e reazione particolare di ogni
individuo verso il tutto (Frammenti 1888).
Nietzsche individua cos la particolarit di ogni singola prospettiva. Ogni prospettiva volont di potenza.
"Non ci sono unit durevoli ultime, non atomi, non monadi: anche qui l'"essere" stato introdotto solo da noi (per
ragioni pratiche, di utilit, prospettiche) () non c' una volont: ci sono puntuazioni di volont, che accrescono o
diminuiscono costantemente la loro potenza."
Due sono le nozioni che Nietzsche mette definitivamente in discussione bollandole come superstizioni: la nozione
di oggetto (la cosa in s, l'essenza prima o il fondamento ultimo delle cose) e quella di soggetto (l'essenza
individuale, l'anima, l'io).
La verit e l'essenza, come qualsiasi altro oggetto, non sonon che rappresentazioni, fenomeni, intrecci di rapporti
di forze, elementi eterogenei; cos come il soggetto, l'ego, non che un oggetto di tipo particolare, una
rappresentazione, frutto di un'invenzione, un artefatto.
Dire che soggetto e oggetto sono fatti significa semmai, etimologicamente, dire che sono dei "costruiti": un "fatto"
un prodotto artificiale, l'insieme fluido e in divenire di una pluralit di eventi e di impulsi contrastanti che
trovano momentanei punti di aggregazione un intricato coacervo di abitudini, istinti, valori, convinzioni.
simile a una stratificazione eterogena e metamorfica che muta con il variare della prospettiva assunta.

Il necessario prospettivismo, in virt del quale ogni centro di forza e non solo l'uomo
costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cio lo misura, lo modella, lo
forma secondo la sua forza [] hanno dimenticato di calcolare nell'"essere vero" questa
forza che pone prospettive.
Che cos' questa prospettiva? La genealogia ha smascherato soggetto e oggetto: sono prodotti culturali di una
tradizione, involucri vuoti, se pensati come cose a s stanti, indipendenti, astratte dal contesto nel quale sono nate.
Il senso si produce invece all'interno di una molteplicit di relazioni: dall'incrocio delle relazioni prende forma un
qualcosa. Prima della relazione le cose non esistono.

Contro il positivismo, che si ferma ai fenomeni: 'ci sono soltanto fatti', direi:: no, proprio i
fatti non ci sono, bens soltanto intepretazioni. Noi non possiamo constatare nessun fatto
'in s'; forse un'assurdit volere qualcosa del genere. 'Tutto soggettivo' dite voi; ma gi
questa un'interpretazione, il soggetto non niente di dato, solo qualcosa di aggiunto
con l'immaginazione, qualcosa di appiccicato dopo. infine necessario mettere ancora
l'interprete dietro l'interpretazione? Gi questa invenzione, ipotesi. In quanto la parola
'conoscenza' abbia senso, il mondo conoscibile; ma esso interpretabile in modi diversi,
non ha dietro di s un senso, ma innumerevoli sensi. 'Prospettivismo' sono i nostri bisogni
che interpretano il mondo: i nostri istinti e il loro pro e contro. Ogni istinto una specie di
sete di dominio, ciascuno ha la sua prospettiva, che esso vorrebbe imporre come norma a
tutti gli istinti.
Questa prospettiva, in cui ogni fatto si sgretola e si ricompone nelle infinite prospettive, troviamo la volont di
potenza, un'approssimazione all'iniziale spirito dionisiaco, perduto nel suicidio della tragedia.

ANTOLOGIA DI TESTI FRIEDRICH NIETZSCHE


0. Da Ecce homo. Perch io sono un destino
La filosofia, cos come io l'ho intesa e vissuta fino ad oggi, vita volontaria tra i ghiacci e le alture ricerca di
tutto ci che l'esistenza ha di estraneo e problematico, di tutto ci che finora era proscritto dalla morale. Attraverso
una lunga esperienza di itinerari nel proibito, ho imparato a considerare le cause per cui fino ad oggi si
moralizzato e idealizzato in modo assai diverso da quello che comunemente si richiede: mi si fatta luce sulla
storia segreta dei filosofi, sulla psicologia dei loro grandi nomi. quanta verit pu sopportare, quanta verit pu
osare un uomo? Questa diventata la mia vera unit di misura: sempre pi.
Conosco la mia sorte. Un giorno sar legato al mio nome il ricordo di qualcosa di enorme una crisi, quale mai si
era vista sulla terra, la pi profonda collisione della coscienza, una decisione evocata contro tutto ci che sinora
stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo. Sono dinamite. E con tutto ci non c' nulla in me del
fondatore di religioni le religioni sono affari per la plebe, io sento il bisogno di essermi lavato le mani, dopo
essere stato in contatto con uomini religiosi Non voglio credenti, penso di essere troppo malizioso per credere a
me stesso, non parlo mai alle masse Ho una paura spaventosa che un giorno mi facciano santo: indovinerete
perch io mi premunisca in tempo, con la pubblicazione di questo libro, contro tutte le sciocchezze che si
potrebbero fare con meNon voglio essere un santo, allora piuttosto un buffoneForse sono un buffoneE
ciononostante, anzi, non ciononostante, perch non c' mai stato sinora niente di pi menzognero dei santi la
verit parla in me. Ma la mia verit tremenda: perch sino ad oggi si chiamava verit la menzogna.
Trasvalutazione di tutti i valori: questa la mia formula per l'atto con cui l'umanit prende la decisione suprema su
se stessa, un atto che in me diventato carne e genio. Vuole la mia sorte che io debba essere il primo uomo
decente, che sappia oppormi a una falsit che dura da millenniio per primo ho scoperto la verit, proprio perch
per primo ho sentito la menzogna come menzogna, la ho fiutataIl mio genio nelle mie nariciIo vengo a
contraddire come mai si contraddetto, e nondimeno sono l'opposto di uno spirito negatore. Io sono un lieto
messaggero, quale mai si visto, conosco compiti di una altezza tale che finora mancato il concetto per definirli:
solo a partire da me ci sono di nuovo speranze. Con tutto ci io sono anche, necessariamente, l'uomo del fato.
Perch ora la verit d battaglia alla millenaria menzogna, avremo degli sconvolgimenti, uno spasimo di terremoti,
monti e valli che si spostano, come mai prima si era sognato.
Io sono di gran lunga l'uomo pi tremendo che ci sia mai stato: ci non toglie che io possa essere il pi benefico.
Conosco il piacere del distruggere in misura della mia forza di distruzione, - nell'una e nell'altra cosa obbedisco
alla mia natura dionisiaca, che non riesce a distinguere tra il fare no e il dire s. Io sono il primo immoralista:
perch io sono il distruttore par excellence.
1. da: La nascita della tragedia: Il dionisiaco1
E cos potrebbe valere per Apollo, in un senso eccentrico, ci che Schopenhauer dice delluomo irretito nel velo di
Maya3 (Mondo come volont e rappresentazione, I): Come sul mare in furia che, sconfinato da ogni parte,
solleva e sprofonda ululando montagne donde, un navigante siede su un battello, confidando nella debole
imbarcazione; cos lindividuo sta placidamente in mezzo a un mondo di affanni, appoggiandosi e confidando nel
principium individuationis4. Si dovrebbe anzi dire di Apollo che lincrollabile fiducia in quel principium e il
placido acquietarsi di colui che da esso dominato, hanno trovato in lui la loro espressione pi sublime, e si
potrebbe definire lo stesso Apollo come la magnifica immagine divina del principium individuationis, dai cui gesti
e sguardi ci parla tutta la gioia e la saggezza della parvenza, insieme alla sua bellezza. Nello stesso luogo
Schopenhauer ci ha descritto limmenso orrore che afferra luomo, quando improvvisamente perde la fiducia nelle
forme di conoscenza dellapparenza, in quanto il principio di ragione sembra soffrire uneccezione in qualcuna
delle sue configurazioni. Se a questo orrore aggiungiamo lestatico rapimento che, per la stessa violazione del
principium individuationis, sale dallintima profondit delluomo, anzi della natura, riusciamo allora a gettare uno
sguardo nellessenza del dionisiaco, a cui ci accostiamo di pi ancora attraverso lanalogia con lebbrezza. O per
linflusso delle bevande narcotiche, cantate da tutti gli uomini e dai popoli primitivi, o per il poderoso avvicinarsi
della primavera, che penetra gioiosamente tutta la natura, si destano quegli impulsi dionisiaci, nella cui esaltazione
lelemento soggettivo svanisce in un completo oblio di s. ()
Ora lo schiavo uomo libero, ora sinfrangono tutte le rigide, ostili delimitazioni che la necessit, larbitrio o la
moda sfacciata hanno stabilito fra gli uomini. Ora, nel vangelo dellarmonia universale, ognuno si sente non
1

Nietzsche paragona lapollineo al mondo come rappresentazione di Schopenhauer: dominato dalla ragione e dalla causalit,
ordinato e rassicurante, esso non che la superficie di una realt inquietante. Dietro lapollineo c il mondo nascosto del dionisiaco,
ci sono gli istinti vitali, capaci di risvegliare le forze pi naturali e pi autentiche delluomo. Tali forze, per, sono positive e feconde,
di segno opposto rispetto alla Volont descritta da Schopenhauer.

solo riunito, riconciliato, fuso col suo prossimo, ma addirittura uno con esso, come se il velo di Maya fosse stato
strappato e sventolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unit originaria. Cantando e danzando, luomo si
manifesta come membro di una comunit superiore: ha disimparato a camminare e a parlare ed sul punto di
volarsene in cielo danzando. Dai suoi gesti parla lincantesimo. Come ora gli animali parlano, e la terra d latte e
miele, cos anche risuona in lui qualcosa di soprannaturale: egli sente se stesso come dio, egli si aggira ora in
estasi e in alto, cos come in sogno vide aggirarsi gli di. (La nascita della tragedia, par. 1, in Opere, vol. III,
tomo I, pp. 24-25.)
2Dalle considerazioni inattuali: L'utilit e il danno della storia per la vita.
Dalla seconda inattuale2
Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa.
Digerisce, torna a saltare, e cos dallalba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e
dolore, attaccato cio al piuolo dell'istante, e perci n triste n tediato (I). Il veder ci fa male alluomo, poich al
confronto dellanimale egli si vanta della sua umanit e tuttavia guarda con invidia alla felicit di quello
giacch questo soltanto egli vuole, vivere come lanimale n tediato n fra dolori, e lo vuole per invano, perch
non lo vuole come lanimale. Luomo chiese una volta allanimale: perch non mi parli della tua flicit e soltanto
mi guardi? Lanimale dal canto suo voleva rispondere e dire: ci deriva dal fatto che dimentico subito quel che
volevo dire, ma subito dimentic anche questa risposta e tacque; sicch luomo se ne meravigli.
Ma egli si meravigli anche di se stesso, per il fatto di non poter imparare a dimenticare e di essere continuamente
legato al passato: per quanto lontano, per quanto rapidamente egli corra, corre con lui la catena. E un miracolo:
listante, eccolo presente. eccolo gi sparito, prima un niente, dopo un niente, torna tuttavia ancora come spettro,
turbando la pace di un istante posteriore. Continuamente un foglio si stacca dal rotolo del tempo, cade, vola via
e scivola improvvisamente indietro, in grembo alluomo. Allora l'uomo dice mi ricordo. e invidia lanimale che
subito dimentica e che vede veramente morire, sprofondare nella nebbia e nella notte, spegnersi per sempre ogni
istante (2). Quindi lanimale vive in modo non storico, poich si risolve come un numero nel presente, senza che
ne resti una strana frazione; non in grado di fingere, non nasconde nulla e appare in ogni momento in tutto e per
tutto come ci che , quindi non pu essere nient'altro che sincero. Luomo invece resiste sotto il grande e sempre
pi grande carico del passato: questo lo schiaccia a terra e lo piega da parte; questo appesantisce il suo passo come
un invisibile e oscuro fardello, che egli pu ben far mostra di rinnegare, e che nei rapporti coi suoi simili rinnega
fin troppo volentieri, per suscitare la loro invidia. Perci lo commuove, come se si ricordasse di un paradiso
perduto, il vedere il gregge che pascola o, in pi familiare vicinanza, il bambino che non ha ancora nessun passato
da rinnegare e che giuoca in beatissima cecit fra le siepi del passato e del futuro. E tuttavia il suo giuoco deve
essere disturbato: anche troppo presto egli si risveglia dal suo oblio. Allora impara a intendere la parola cera,
quella parola dordine con cui lotta, sofferenze e tedio si avvicinano alluomo, per rammentargli ci che in fondo
la sua esistenza qualcosa di imperfetto che non pu essere mai compiuto. E quando infine la morte porta il
desiato oblio, essa sopprime insieme il presente e lesistenza imprimendo in tal modo il sigillo su quella
conoscenza che lesistenza solo un ininterrotto essere stato, una cosa che vive del negare e del consumare se
stessa, del contraddire se stessa (3). Se una felicit. se un correr dietro a una nuova felicit ci che in un certo
senso trattiene in vita il vivente e continua a spingerlo alla vita, nessun filosofo ha forse pi ragione del Cinico.
poich la felicit dellanimale. come perfetto Cinico, la prova vivente del diritto del cinismo. La felicit pi
piccola, purch esista ininterrottamente e renda felici, senza confronto una felicit maggiore della pi grande.
che venga solo come episodio, per cos dire come capriccio, come idea folle, fra mera sofferenza, brama e
privazione. Ma sia nella massima, sia nella minima felicit, sempre una cosa sola quella per cui la felicit
diventa felicit: il poter dimenticare o, con espressione pi dona. la capacit di sentire, mentre essa dura. in modo
non storico. Chi non sa mettersi a sedere sulla soglia dellattimo dimenticando tutte le cose passate, chi non
capace di star ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria, non sapr mai che cosa sia la
felicit, e ancor peggio, non far mai alcunch che renda felici gli altri. Immaginate lesempio estremo, un uomo
che non possedesse punto la forza di dimenticare, che fosse condannato a vedere dappertutto un divenire: un uomo
simile non crederebbe pi al suo stesso essere, non crederebbe pi a s, vedrebbe scorrere luna dallaltra tutte le
cose in punti mossi e si perderebbe in questo fiume del divenire: alla fine, da vero discepolo di Eraclito, quasi non
oserebbe pi alzare il dito (4). Per ogni agire ci vuole oblio: come per la vita di ogni essere organico ci vuole non
soltanto luce, ma anche oscurit. Un uomo che volesse sentire sempre e solo storicamente, sarebbe simile a colui
che venisse costretto ad astenersi dal sonno, o allanimale che dovesse vivere solo ruminando e sempre per
2
L'inizio del brano si ispira evidentemente al Canto notturno di un pastore errane dell'Asia di Giacomo Leopardi. Nella prima
stesura della II inattuale Nietzsche stesso citava i vers: "Quanta invidia ti porto! Non sol perch d'affanno Quasi libera vai, Ch'ogni
stento, ogni danno, Ogni estremo timor subito scordi; Ma pi perch gi mai tedio non provi". Attraverso la memoria, invece, l'uomo
si differenzia dall'animale. Il sapere storico una forma di memoria, che costruisce una continuit nel tempo, una tradizione. L'uomo
non si dissolve nell'istante.

ripetuta ruminazione. Dunque, possibile vivere quasi senza ricordo, anzi vivere felicemente, come mostra lanimale; ma assolutamente impossibile vivere in generale senza oblio. Ovvero, per spiegarmi su questo tema ancor
pi semplicemente: c un grado di insonnia, di ruminazione, di senso storico, in cui lessere vivente riceve danno
e alla fine perisce, si tratti poi di un uomo, di popolo o di una civilt. [...].
La serenit, la buona coscienza, la lieta azione, la fiducia nel futuro tutto ci dipende, nellindividuo come nel
popolo, dal fatto che ci sia una linea che divida ci che si pu abbracciare con lo sguardo, ci che chiaro, da ci
che non rischiarabile e oscuro; dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare quanto ricordare al tempo giusto;
dal fatto che si discerna immediatamente con forte istinto quando necessario sentire in modo storico e quanto in
modo non storico. proprio questa la proposizione alla cui considerazione il lettore invitato: ci che non
storico e ci che storico sono ugualmente necessari per la salute di un individuo, di un popolo e di una civilt.
Ma la questione fino a che grado la vita abbia bisogno in genere del servizio della storia, una delle questioni
e preoccupazioni pi alte riguardo alla salute di un uomo, di un popolo, di una cultura. Perch con un certo
eccesso di storia la vita si frantuma e degenera, e alla fine a sua volta, a causa di questa degenerazione, va perduta
la storia stessa.
Ma che la vita abbia -bisogno del servizio della storia, deve essere compreso altrettanto chiaramente quanto la
proposizione secondo cui un eccesso di storia danneggia lessere vivente. In tre riguardi al vivente occorre la
storia: essa gli occorre in quanto attivo e ha aspirazioni, in quanto preserva e venera, in quanto soffre e ha
bisogno di liberazione. [...]
La storia occorre innanzitutto allattivo e al potente, a colui che combatte una grande battaglia, che ha bisogno
di modelli, maestri e consolatori, e che non pu trovarli fra i suoi compagni e nel presente... Che i grandi momenti
nella lotta degli individui formino una catena, che attraverso essi si formi lungo i millenni la cresta montuosa
dellumanit, che per me le vette di tali momenti da lungo tempo trascorsi siano ancora vive, chiare e grandi
questo il pensiero fondamentale di una fede nellumanit che si esprime nellesigenza di una storia monumentale...
- In che giova dunque alluomo doggi la considerazione monumentale del passato, loccuparsi delle cose
classiche e rare delle epoche precedenti?
Egli ne deduce che la grandezza, la quale un giorno esistette, fu comunque una volta possibile, e perci sar
possibile un'altra volta; egli percorre pi coraggiosamente la sua strada, perch ora il dubbio che lo assale nelle
ore di debolezza, di volere forse l'impossibile, spazzato via.
Della storia ha bisogno in secondo luogo colui che custodisce e venera colui che guarda indietro con fedelt e
amore, verso il luogo onde proviene, dove divenuto; con questa piet egli per cos dire paga il debito di
riconoscenza per la sua esistenza. [...]
La felicit di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di
venire in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza e questo ci che oggi si designa di preferenza
come il vero e proprio senso storico... Qui sempre molto vicino un pericolo: alla fine tutto ci che di antico e
passato entra in genere ancora nellorizzonte, viene semplicemente accettato come ugualmente venerabile, mentre
tutto ci che non muove incontro con venerazione a questa antichit, ossia il nuovo e ci che diviene, rifiutato e
avversato. [...] [La storia antiquaria] capaceappunto solo di conservare, non di generare vita; perci sottovaluta
sempre ci che diviene, in quanto non ha per esso alcun istinto divinante come per esempio lo ha la storia
monumentale. Quindi la storia antiquaria ostacola la forte risoluzione per il nuovo, quindi paralizza chi agisce, il
quale sempre, come agente, violer e deve violare qualche piet.
Qui si fa chiaro come luomo abbia molto spesso necessariamente bisogno, accanto al modo monumentale e
antiquario di considerare il passato, di un terzo modo, quello critico:e anche di questo per servire la vita. Egli deve
avere, e di tempo in tempo impiegare, la forza di infrangere e di dissolvere un passato per poter vivere: egli ottiene
ci traendo quel passato innanzi a un tribunale, interrogandolo minuziosamente, e alla fine condannandolo; ogni
passato merita invero di essere condannato giacch cos vanno le cose umane: sempre la violenza e la
debolezza umane sono state potenti. Non la giustizia che siede qui a giudizio; ancor meno la clemenza quella
che pronunzia qui il giudizio: ma soltanto la vita... Tavolta proprio la vita stessa, che ha bisogno della
dimenticanza, richiede il temporaneo annientamento di questa dimenticanza; allora appunto deve precisamente
divenir chiaro quanto sia ingiusta lesistenza di una qualche cosa, di un privilegio, di una casta, di una dinastia per
esempio, quanto questa cosa meriti la fine. Allora il suo passato viene considerato criticamente, allora si attaccano
con il coltello le sue radici, allora si calpestano crudelmente tutte le piet. (Considerazioni inattuali, II, pp. 1-4)
3. La scienza
I Uninterpretazione scientifica del mondo, come lintendete voi, potrebbe essere pur sempre una delle pi
sciocche, cio, tra tutte le possibili interpretazioni del mondo una delle pi povere di senso: sia detto ci per gli
orecchi e per la coscienza dei signori meccanicisti che oggi sintrufolano volentieri tra i filosofi, e sono
assolutamente dellopinione che la meccanica sia la teoria delle leggi prime e ultime, sulle quali ogni esistenza
dovrebbe essere edificata come sopra le sue fondamenta. Tuttavia un mondo essenzialmente meccanico sarebbe
un mondo essenzialmente privo di senso. Ammesso che si potesse misurare il valore di una musica da quanto di

essa pu essere computato, calcolato, tradotto in formule, come sarebbe assurda una tale scientifica misurazione
della musica! Che cosa di essa avremmo mai colto, compreso, conosciuto? Niente, proprio un bel niente di ci che
propriamente in essa musica.
II Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che non esiste affatto una scienza scevra di presupposti. La
domanda se sia necessaria la verit, non soltanto deve avere avuto gi in precedenza risposta affermativa, ma deve
averla avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il principio, la fede, la convinzione che niente pi
necessario della verit e che in rapporto a essa tutto il resto ha soltanto un valore di secondo piano. Questa
incondizionata volont di verit, che cos dunque?
Ebbene, si sar compreso dove voglio arrivare, vale a dire che pur sempre una fede metafisica quella su cui
riposa la nostra fede nella scienza; che anche noi, uomini della conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici,
continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede
cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio verit e la verit divina... Ma come possibile, se
proprio questo diventa sempre pi incredibile, se niente pi si rivela divino salvo lerrore, la cecit, la menzogna,
se Dio stesso si rivela come la nostra pi lunga menzogna? (F.Nietzsche, La gaia scienza)
4. La chimica della morale3
Tutto ci di cui abbiamo bisogno e che allo stato presente delle singole scienze pu esserci veramente dato, una
chimica delle idee e dei sentimenti morali, religiosi ed estetici, come pure di tutte quelle emozioni che
sperimentiamo in noi stessi nel grande e piccolo commercio della cultura e della societ, e persino nella
solitudine: ma che avverrebbe, se questa chimica concludesse col risultato che anche in questo campo i colori pi
magnifici si ottengono da materiali bassi e persino spregiati? Avranno voglia, molti, di seguire tali indagini?
Lumanit ama scacciare dalla mente i dubbi sullorigine e i princpi: non si deve forse essere quasi disumanizzati
per sentire in s linclinazione opposta (Umano, troppo umano I, par. I, in Opere, voi. IV, torno 11, p. 15)?
5: Origine e funzione della giustizia4
92. Origine della giustizia. La giustizia (equit) prende origine fra uomini di forza pressappoco uguale, come
Tucidide (nel terribile colloquio degli ambasciatori ateniesi e melii) ha rettamente inteso: dove non esiste una
superiorit chiaramente riconoscibile e una lotta si ridurrebbe a un infruttuoso nuocersi a vicenda, ivi sorge il
pensiero di mettersi daccordo e di negoziare le reciproche pretese: il carattere dello scambio loriginario carattere della giustizia. Ciascuno accontenta laltro, in quanto ciascuno riceve ci che egli apprezza pi dellaltro.
Si d a ciascuno, come ormai suo, ci che egli vuole avere, e si riceve in compenso ci che si desidera. La
giustizia dunque compensazione e scambio, in base al presupposto di una posizione di forza allincirca pari: cos
la vendetta rientra originariamente nella sfera della giustizia, uno scambio. Cos pure la gratitudine. La giustizia
si riconnette naturalmente col punto di vista di una intelligente conservazione di s, vale a dire con legoismo di
questa riflessione: Perch dovrei farmi inutilmente danneggiare e magari non raggiungere nemmeno il mio
scopo?. Tanto, dellorigine della giustizia. Per il fatto che gli uomini, secondo la loro abitudine intellettuale,
hanno dimenticato lo scopo originario delle azioni cosiddette giuste ed eque, e particolarmente per il fatto che per
millenni stato insegnato ai fanciulli ad ammirare e a imitare tali azioni, sorta a poco a poco la parvenza che
unazione giusta sia unazione altruistica; ed su questa parvenza che basata lalta valutazione di essa, che
inoltre, come tutte le valutazioni, prende sempre pi vigore: qualcosa che stimato altamente viene, infatti,
ricercato con sacrificio, imitato, moltiplicato, e acquista sempre maggior vigore perch al valore della cosa stimata
viene aggiunto da ciascuno il valore della fatica e dello zelo spesi. Quanto poco morale apparirebbe il mondo
senza la dimenticanza! Un poeta potrebbe dire che Dio ha posto la dimenticanza come custode sulla soglia del
tempio della dignit umana. (Umano, troppo umano I, par. 92, in Opere, voi. IV, torno 11, pp. 70-71)
6. L'origine della logica5
III. Origine del logico. Donde nata la logica nella testa delluomo? Indubbiamente dalla non-logica, il regno
della quale, originariamente, deve essere stato immenso. Tuttavia innumerevoli esseri che argomentavano in
maniera diversa da come oggi argomentiamo noi, perirono: ci potrebbe essere stato ancor pi vero! Chi, per
esempio, non riusciva a trovare abbastanza spesso luguale, relativamente alla nutrizione o agli animali a lui
3
necessaria una chimica della morale e delle idee, per scomporle nei loro costituenti elementari, anche correndo il rischio che idee
nobili si rivelino in realt composte da elementi spregevoli.
4
La giustizia nasce tra uomini di forza simile, perch una situazione di conflitto nuocerebbe a entrambi. In origine dunque uno
scambio, quando non possibile sopraffare laltro. Dimenticando lorigine della giustizia e insegnando ai bambini questo
comportamento, lo si ammantato di significati positivi, facendone un valore altruistico.
5
I grandi principi della logica, che sembrano connaturati al pensiero umano, sono in realt poco logici e sono in origine legati
alladattamento allambiente. Non esistono, ad esempio, cose concrete perfettamente uguali tra loro, ma chi riusciva ad applicare il
principio di uguaglianza a cose simili poteva trattare nello stesso modo animali diversi, per simili in quanto pericolosi, oppure
oggetti diversi, ma accomunati dal fatto di essere cibo, aumentando in questo modo le proprie possibilit di sopravvivenza.

ostili, colui che quindi procedeva troppo lento, troppo cauto nella sussunzione, aveva pi scarsa probabilit di
sopravvivere di chi invece, in tutto quanto era simile, azzeccava subito luguaglianza. Ma linclinazione
prevalente a trattare il simile come uguale, uninclinazione illogica perch nulla di uguale esiste ha creato in
principio tutti i fondamenti della logica. Similmente, perch nascesse il concetto di sostanza, che indispensabile
per la logica, anche se ad esso, a rigor di termini, non corrisponde nulla di reale, non si dovette per lungo tempo n
vedere n sentire il permutarsi delle cose; gli esseri che non vedevano con precisione avevano un vantaggio
rispetto a coloro che vedevano tutto allo stato fluido. In s e per s, gi ogni grado elevato di cautela
nellargomentare, ogni inclinazione scettica un grande pericolo per la vita. Non si sarebbe conservato alcun
essere vivente, se non fosse stata coltivata, in modo estremamente vigoroso, lopposta inclinazione, diretta ad
affermare piuttosto che a sospendere il giudizio, a errare e a immaginare piuttosto che a restare in posizione
dattesa, ad assentire invece che a negare, a esprimere la propria opinione invece che a essere giusti. Il decorso
dei pensieri e delle deduzioni logiche nel nostro cervello di oggi corrisponde a un processo e a un conflitto di
istinti che presi per s, nella loro rispettiva singolarit, sono tutti molto illogici e ingiusti2 noi esperimentiamo di
consueto solo il risultato della lotta, tanto rapido e nascosto si svolge oggi il funzionamento di questo primordiale
meccanismo (La gaia scienza, III, in Opere, vol. V, torno 11, pp. 121-2).
7:Lannuncio della morte di Dio
Luomo folle. Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al
mercato e si mise a gridare incessantemente: Cerco Dio! Cerco Dio!. E poich proprio l si trovavano raccolti
molti di quelli che non credevano in Dio, suscit grandi risa. E forse perduto? disse uno. Si perduto come un
bambino? fece un altro. Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si imbarcato? emigrato? gridavano e
ridevano in una gran confusione. il folle uomo balz in mezzo a loro e li trapass coi suoi sguardi: Dove se n
andato Dio? grid ve lo voglio dire! Siamo stati noi ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma
come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino allultima goccia? Chi ci dtte la
spugna per cancellare lintero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole?
Dov che si muove ora? Dov che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non il nostro un eterno precipitare? E
allindietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esistono ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando
come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si fatto pi freddo? Non seguita a
venire notte, sempre pi notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini
mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione?
Anche gli di si decompongono! Dio morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo
noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di pi sacro e di pi possente il mondo possedeva fino ad oggi, si
dissanguato sotto i nostri coltelli; chi deterger da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci?
Quali riti espiatri, quali giuochi sacri dovremo noi inventare? Non troppo grande, per noi, la grandezza di
questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare di, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai unazione
pi grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virt di questa azione, ad una storia pi alta di
quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!.
A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anchessi tacevano e lo
guardavano stupiti. Finalmente gett a terra la sua lanterna che and in frantumi e si spense. Vengo troppo presto
prosegu non ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento ancora per strada e sta facendo il suo
cammino non ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle
costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perch siano vedute e
ascoltate. Questazione ancor sempre pi lontana da loro delle pi lontane costellazioni: eppure sono loro che
lhanno compiuta!. Si racconta ancora che luomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse
chiese, quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e interrogato, si dice che si fosse
limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i
sepolcri di Dio? (La gaia scienza, . 125, in Opere, vol. V, torno II, pp. 129-30).
6

8: Le conseguenze della morte di Dio7


Quel che significa per la nostra serenit. Il maggiore degli avvenimenti pi recenti che Dio morto, che la
fede nel Dio cristiano divenuta inaccettabile comincia gi a gettare le sue prime ombre sullEuropa. Almeno
a quei pochi [...] la diffidenza di sguardo dei quali abbastanza forte e sottile per questo spettacolo, pare appunto
6

Il brano, costruito intorno a metafore, sullo stile delle parabole evangeliche, presenta la figura di un folle che cerca Dio, con una
lanterna accesa nonostante sia giorno. Di fronte ai motteggi degli astanti, enuncia il suo messaggio: Dio morto, noi labbiamo
ucciso eliminando con ci ogni punto di riferimento; per essere allaltezza di questa azione, dobbiamo farci noi stessi Dio.
7
La morte di Dio destinata a portare con s una lunga serie di crisi e di demolizioni, perch dovr crollare tutta la morale, insieme a
tutto ci che dalla fede era sostenuto. Ma nellimmediato, questo annuncio provoca una grande serenit, perch apre di nuovo
lorizzonte alla responsabilit umana, alla possibilit, alla costruzione da parte delluomo stesso dei propri significati del mondo e del
proprio destino.

che un qualche sole sia tramontato, che una qualche antica, profonda fiducia si sia capovolta in dubbio: a costoro
il nostro vecchio mondo dovr sembrare ogni giorno pi crepuscolare, pi sfiduciato, pi estraneo, pi antico.
Ma in sostanza si pu dire che lavvenimento stesso fin troppo grande, troppo distante, troppo alieno dalla
capacit di comprensione del maggior numero perch possa dirsi gi arrivata anche soltanto notizia di esso; e
tanto meno, poi, perch molti gi si rendano conto di quel che propriamente accaduto con questo avvenimento e
di tutto quello che ormai, essendo sepolta questa fede, deve crollare, perch su di essa era stato costruito, e in essa
aveva trovato il suo appoggio, e dentro di essa era cresciuto: per esempio tutta la nostra morale europea. Una
lunga, copiosa serie di demolizioni, distruzioni, decadimenti, capovolgimenti ci sta ora dinanzi: chi gi da oggi
potrebbe aver sufficiente divinazione di tutto questo, per far da maestro e da veggente di questa mostruosa logica
dellorrore, per essere il profeta di un offuscamento e di uneclissi di sole, di cui probabilmente non si ancora
mai visto sulla terra luguale?
Perfino noi, per nascita divinatori denigmi, noi che siamo in attesa per cos dire sulle montagne, piantati fra
loggi e il domani, interiormente tesi nella contraddizione tra loggi e il domani, noi primogeniti e figli prematuri
del secolo imminente, noi che gi dovremmo scorgere le ombre che ben presto avvolgeranno lEuropa: com che
per. fino noi le guardiamo salire senza una vera partecipazione a questo ottenebramento, soprattutto senza
preoccuparci e temere per noi stessi? Siamo forse ancor troppo soggetti alle pi immediate conseguenze di questo
avvenimento: e queste pi immediate conseguenze, le sue conseguenze per noi, contrariamente a quello che ci si
potrebbe aspettare non sono per nulla tristi e rabbuianti, ma piuttosto come un nuovo genere, difficile da
descriversi, di luce, di felicit, di ristoro, di rasserenamento, di rincoramento, daurora [..]. In realt, noi filosofi e
spiriti liberi, alla notizia che il vecchio Dio morto, ci siamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il
nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, dattesa, finalmente lorizzonte torna ad
apparirci libero, anche ammettendo che non sereno finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle
nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio delluomo della conoscenza di nuovo permesso; il
mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinnanzi, forse non vi ancora mai stato un mare cos aperto (La gaia
scienza, par. 343, in Opere, vol. V, tomo II, pp. 204-5.).
9: da Aurora, 95
Un tempo si cercava di dimostrare che Dio non esiste oggi si mostra che ha potuto avere origine la fede
nell'esistenza di un Dio, e per quale tramite questa fede ha avuto il suo peso e la sua importanza: in tal modo una
controdimostrazione della non esistenza di Dio diventa superflua.
10: Il primo annuncio delleterno ritorno8
Il peso pi grande. Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella pi solitaria delle
tue solitudini e ti dicesse: Questa vita come tu ora la vivi e lhai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora
innumerevoli volte, e non ci sar in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e
sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovr fare ritorno a te, e tutte nella stessa
sequenza e successione e cos pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e cos pure questo attimo e io
stesso. Leterna clessidra dellesistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!.
Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che cos ha parlato? Oppure hai forse
vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: Tu sei un dio e mai intesi cosa
pi divina?. Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi (cfr.
Zarathustra, Delle tre metamorfosi) e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa Vuoi tu questo ancora
una volta e ancora innumerevoli volte? graverebbe sul tuo agire come il peso pi grande! Oppure, quanto
dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare pi alcunaltra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo
suggello? (La gaia scienza, par. 341, in Opere, voi. V, tormo II, pp. 201-2).
11: Loltreuomo e la fedelt alla terra9
1 Giunto nella citt vicina, sita presso le foreste, Zarathustra vi trov radunata sul mercato una gran massa di
popolo: era stata promessa infatti lesibizione di un funambolo. E Zarathustra parl cos alla folla:
Io vi insegno il superuomo. Luomo qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo? Tutti gli
esseri hanno creato qualcosa al di sopra di s: e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere
alla bestia piuttosto che superare luomo? Che cos per luomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa.
8

La prospettiva del ritorno di ogni gesto e di ogni evento della vita per leternit potrebbe riempire dangoscia o di felicit, a seconda
che si siano subiti i vari momenti della vita o che, al contrario, li si sia scelti e voluti.
9
Zaratbustra parla alla folla radunata nella piazza del mercato, annunciando loltreuomo, considerato come un salto nella catena
evolutiva, pari a quello rappresentato dalluomo verso la scimmia. Lannuncio delloltreuomo strettamente legato allesortazione
alla fedelt alla terra, cio al recupero di valori legati alla naturalit, alla fsicit, agli istinti. Il discorso di Zaratbustra
interrotto dalla folla che reclama lesibizione del funambolo, e Zaratbustra prende spunto dallinizio dellesibizione per illustrare
con altre metafore il concetto delloltreuomo.

E questo appunto ha da essere luomo per il superuomo: un ghigno o una dolorosa vergogna. Avete percorso il
cammino dal verme alluomo, e molto in voi ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi luomo
pi scimmia di qualsiasi scimmia. E il pi saggio tra voi non altro che unibrida disarmonia di pianta e spettro.
Voglio forse che diventiate uno spettro o una pianta? Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo il senso
della terra. Dica la vostra volont: sia il superuomo il senso della terra!
2 Vi scongiuro, fratelli rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo
sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. Dispregiatori della vita essi sono, moribondi e avvelenati essi stessi,
hanno stancato la terra: possano scomparire! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio
morto, e cos sono morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa oggi la
cosa pi orribile, e apprezzare le viscere dellimperscrutabile pi del senso della terra! In passato lanima
guardava al corpo con disprezzo: e questo disprezzo era allora la cosa pi alta: essa voleva il corpo macilento,
orrido, affamato. Pensava in tal modo di poter sfuggire al corpo e alla terra.
Ma questa anima era anchessa macilenta, orrida e affamata: e crudelt era la volutt di questa anima! Ma anche
voi, fratelli, ditemi: che cosa manifesta il vostro corpo dellanima vostra? Non forse la vostra anima indigenza e
feccia e miserabile benessere? Davvero, un fiume immondo luomo. Bisogna essere un mare per accogliere un
fiume immondo, senza diventare impuri. Ecco, io vi insegno il superuomo: egli il mare, nel quale si pu
inabissare il vostro grande disprezzo. Qual la massima esperienza che possiate vivere? Lora del grande
disprezzo. [...]
Non il vostro peccato la vostra accontentabilit grida al cielo, la vostra parsimonia nel vostro peccato grida al
cielo! Ma dov il fulmine che vi lambisca con la sua lingua! Dov la demenza che dovrebbe esservi inoculata?
Ecco, io vi insegno il superuomo: egli quel fulmine e quella demenza!
3 Zarathustra aveva detto queste parole, quando uno della folla grid: Abbiamo sentito parlare anche troppo di
questo funambolo; ora che ce lo facciate vedere!. E la folla rise di Zarathustra. Ma il funambolo, credendo che
ci fosse detto per lui, si mise allopera.
Zarathustra invece guard meravigliato la folla. Poi parl cos: Luomo un cavo teso tra la bestia e il superuomo
un cavo al di sopra di un abisso. Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso
guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi. La grandezza delluomo di essere un ponte e non uno
scopo: nelluomo si pu amare che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se
non tramontando, poich essi sono una transizione. Io amo gli uomini del grande disprezzo, perch essi sono
anche gli uomini della grande venerazione e frecce che anelano allaltra riva. Io amo coloro che non aspettano di
trovare una ragione dietro le stelle per tramontare e offrirsi in sacrificio: bens si sacrificano alla terra, perch un
giorno la terra sia del superuomo.
Io amo colui che vive per la conoscenza e vuole conoscere, affinch un giorno viva il superuomo. E cos egli
vuole il proprio tramonto. Io amo colui che lavora e inventa, per costruire la casa al superuomo, e gli prepara la
terra, lanimale e la pianta: giacch cos egli vuole il proprio tramonto. Io amo colui che ama la sua virt: giacch
virt volont di tramontare e una freccia anelante. [...]
Io amo colui lanima del quale trabocca da fargli dimenticare se stesso, e tutte le cose sono dentro di lui: tutte le
cose divengono cos il suo tramonto. Io amo colui che di spirito libero e di libero cuore: il suo cervello, in tal
modo, non altro che le viscere del cuore, ma il suo cuore lo spinge a tramontare. Io amo tutti coloro che sono
come gocce grevi, cadenti una a una dalloscura nube incombente sugli uomini: essi preannunciano il fulmine e
come messaggeri periscono. Ecco, io sono un messaggero del fulmine e una goccia greve cadente dalla nube: ma
il fulmine si chiama superuomo (Cos parl Zarathustra, Prefazione di Zarathustra, parr. 3-4, in Opere, voi. VI, torno I, pp. 69.).
12: Dalluomo alloltreuomo10
Delle tre metamorfosi.
Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il
leone fanciullo.
1 Molte cose pesanti vi sono per io spirito, lo spirito forte e paziente nel quale abita la venerazione: la sua forza
anela verso le cose pesanti, pi difficili a portare. Che cosa gravoso? domanda lo spirito paziente e piega le
ginocchia, come il cammello, e vuoi essere ben caricato. Qual la cosa pi gravosa da portare, eroi? cos
chiede lo spirito paziente, affinch io la prenda su di me e possa rallegrarmi della mia robustezza. Non forse
questo: umiliarsi per far male alla propria alterigia? Far rilucere la propria follia per deridere la propria saggezza?
Oppure : separarsi dalla propria causa quando essa celebra la sua vittoria? Salire sulle cime dei monti per tentare
il tentatore? Oppure : nutrirsi delle ghiande e dellerba della conoscenza e a causa della verit soffrire la fame
10

Zarathustra esemplifica il passaggio dalluomo alloltreuomo mediante tre metamorfosi: il cammello luomo della morale, che
sopporta il peso del dovere; il leone la forza distruttiva che combatte il drago, simbolo del dovere e di ogni morale che si impone
allindividuo; il fanciullo, infine, il creatore che, liberato dalla morale, pu inventare da s il suo mondo.

dellanima? Oppure : essere ammalato e mandare a casa coloro che vogliono consolarti, e invece fare amicizia
coi sordi, che mai odono ci che tu vuoi? Oppure : scendere nellacqua sporca, purch sia lacqua della verit,
senza respingere rane fredde o caldi rospi? Oppure : amare quelli che ci disprezzano e porgere la mano allo
spettro quando ci vuoi fare paura? Tutte queste cose, le pi gravose da portare, lo spirito paziente prende su di s:
come il cammello che corre in fretta nei deserto sotto il suo carico, cos corre anche lui nei suo deserto.
2 Ma l dove il deserto pi solitario avviene la seconda metamorfosi: qui lo spirito diventa leone, egli vuoi come
preda la sua libert ed essere signore nel proprio deserto. Qui cerca il suo ultimo signore: il nemico di lui e dei suo
ultimo dio vuol egli diventare, con il grande drago vuoi egli combattere per la vittoria. Chi il grande drago, che
lo spirito non vuol pi chiamare signore e dio? Tu devi si chiama il grande drago. Ma io spirito del leone dice
io voglio. Tu devi gli sbarra il cammino, un rettile dalle squame scintillanti come loro, e su ogni squama
splende a lettere doro tu devi!. Valori millenari rilucono su queste squame e cos parla il pi possente dei
draghi: Tutti i valori delle cose risplendono su di me. Tutti i valori sono gi stati creati, e io sono ogni valore
creato. In verit non ha da essere pi alcun io voglio!. Cos parla il drago. Fratelli, perch il leone necessario
allo spirito? Perch non basta la bestia da soma, che a tutto rinuncia ed piena di venerazione? Creare valori
nuovi di ci il leone non ancora capace: ma crearsi la libert per una nuova creazione di questo capace la
potenza del leone. Crearsi la libert e un no sacro anche verso il dovere: per questo, fratelli, necessario il leone.
Prendersi il diritto per valori nuovi questo il pi terribile atto di prendere, per uno spirito paziente e
venerante. In verit un depredare per lui e il compito di una bestia da preda. Un tempo egli amava come la cosa
pi sacra il tu devi: ora costretto a trovare illusione e arbitrio anche nelle cose pi sacre, per predar via libert
dal suo amore: per questa rapina occorre il leone.
3 Ma ditemi, fratelli, che cosa sa fare il fanciullo, che neppure il leone era in grado di fare? Perch il leone rapace
deve anche diventare un fanciullo? Innocenza il fanciullo, e oblio, un nuovo inizio, un giuoco, una ruota ruotante
da sola, un primo moto, un sacro dire di s. S, per il giuoco della creazione, fratelli, occorre un sacro dire di s: ora
lo spirito vuole la sua volont, il perduto per il mondo conquista per s il suo mondo. Tre metamorfosi vi ho
nominato dello spirito: come lo spirito divenne cammello, leone il cammello, e infine il leone fanciullo (Cos parl
Zarathustra, Delle tre metamorfosi, in Opere, vol. VI, torno I, pp. 23-25).
13: Leterno ritorno e la nascita delloltreuomo11
Salivo, salivo, sognavo pensavo: ma tutto mi opprimeva. Ero come un malato: stremato dal suo tormento
atroce, sta per dormire, ma un sogno, pi atroce ancora, lo ridesta. Ma c qualcosa che io chiamo coraggio:
questo finora ha sempre ammazzato per me ogni scoramento. Questo coraggio mi impose alfine di fermarmi e
dire: Nano! O tu! O io!.
Coraggio la mazza pi micidiale: il coraggio ammazza anche la compassione. Ma la compassione labisso pi
fondo: quanto luomo affonda la sua vista nella vita, altrettanto laffonda nel dolore.
Coraggio per la mazza pi micidiale, coraggio che assalti: esso ammazza anche la morte, perch dice: Questo
fu la vita? Ors! Da capo!. Ma in queste parole sono molte squillanti fanfare. Chi ha orecchi, intenda.
2 Alt, nano! dissi. O io! O tu! Ma di noi due il pi forte sono io: tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo
tu non potresti sopportano!. Qui avvenne qualcosa che mi rese pi leggero: il nano infatti mi salt gi dalle
spalle, incuriosito! Si accoccol davanti a me, su di un sasso. Ma, proprio dove ci eravamo fermati, era una porta
carraia. Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: essa ha due volti. Due sentieri convengono qui: nessuno li
ha mai percorsi fino alla fine. Questa lunga via fino alla porta e allindietro: dura uneternit. E quella lunga via
fuori della porta e n avanti unaltra eternit. Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa lun
contro laltro: e qui, a questa porta carraia, essi convengono. In alto sta scritto il nome della porta: attimo. Ma,
chi ne percorresse uno dei due sempre pi avanti e sempre pi lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si
contraddicano in eterno?.
Tutte le cose diritte mentono, borbott sprezzante il nano. Ogni verit ricurva, il tempo stesso un circolo.
Tu, spirito di gravit! dissi io incollerito, non prendere la cosa troppo alla leggera! O ti lascio accovacciato dove
ti trovi, sciancato e sono io che ti ho portato in alto! Guarda, continuai, questo attimo! Da questa porta carraia
che si chiama attimo, comincia allindietro una via lunga, eterna: dietro di noi uneternit. Ognuna delle cose
che possono camminare, non dovr forse avere gi percorso una volta questa via? Non dovr ognuna delle cose
che possono accadere, gi essere accaduta, fatta, trascorsa una volta? E se tutto gi esistito: che pensi, o nano, di
questo attimo? Non deve anche questa porta carraia esserci gi stata? E tutte le cose non sono forse annodate
11
Zarathustra racconta una visione, nella quale egli sta inerpicandosi faticosamente verso la vetta di una montagna. Porta sulle
spalle un essere deforme, met nano met talpa, simbolo dello spirito di gravit, del peso del passato che impedisce di salire verso
loltreuomo. Ad un tratto, il nano scende dalle sue spalle e Zaratbustra gli espone la teoria delleterno ritorno. Il nano cerca di
interpretarla, ma la fraintende, considerandola una semplice visione circolare del tempo. Mentre Zaratbustra, adirato, riprende la
spiegazione per mostrare al nano la differenza, ha unulteriore visione: vede un pastore che sta lottando con un serpente che gli
penzola dalla bocca. Grida allora al pastore di mordere la testa del serpente; seguendo questa indicazione, il pastore si libera della
bestia e appare tra sfigurato: la metafora della nascita delloltreuomo.

saldamente luna allaltra in modo tale che questo attimo trae dietro di s tutte le cose avvenire? Dunque anche
se stesso? Infatti, ognuna delle cose che possono camminare: anche in questa lunga via al di fuori deve
camminare ancora una volta! E questo ragno che indugia strisciando al chiaro di luna e persino questo chiaro di
luna e io e tu bisbiglianti a questa porta, di cose eterne bisbiglianti non dobbiamo tutti esserci stati unaltra
volta? e ritornare a camminare in quellaltra via al di fuori, davanti a noi, in questa lunga orrida via non
dobbiamo ritornare in eterno?.
3 Cos parlavo, sempre pi flebile: perch avevo paura dei miei stessi pensieri e dei miei pensieri reconditi. E
improvvisamente, ecco, udii un cane ululare. Non avevo gi udito una volta un cane ululare cos? Il mio pensiero
corse allindietro. Si! Quandero bambino, in infanzia remota: allora udii un cane ululare cos. [...] E ora, sentendo
di nuovo ululare a quel modo, fui ancora una volta preso da piet.
Ma dovera il nano? E la porta? E il ragno? E tutto quel bisbigliare? Stavo sognando? Mi ero svegliato? Dun
tratto mi trovai in mezzo a orridi macigni, solo, desolato, al pi desolato dei chiari di luna. Ma qui giaceva un
uomo! E proprio qui! il cane, che saltava, col pelo irto, guaiolante, adesso mi vide accorrere e allora
ulul di nuovo, url: avevo mai sentito prima un cane urlare aiuto a quel modo?
E, davvero, ci che vidi, non lavevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in
viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca. Avevo mai visto tanto schifo e livido raccapriccio
dipinto su di un volto? Forse, mentre dormiva, il serpente gli era strisciato dentro le fauci e l si era abbarbicato
mordendo. La mia mano tir con forza il serpente, tirava e tirava invano! non riusciva a strappare il serpente dalle
fauci. Allora un grido mi sfugg dalla bocca: Mordi! Mordi! Staccagli il capo! Mordi!, cos grid da dentro di
me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia piet, tutto quanto in me buono o cattivo gridava da dentro di
me, fuso in un sol grido.
Voi, uomini arditi che mi circondate! Voi, dediti alla ricerca e al tentativo, e chiunque tra di voi si sia mai
imbarcato con vele ingegnose per mari inesplorati! Voi che amate gli enigmi! Sciogliete dunque lenigma che io
allora contemplai, interpretatemi la visione del pi solitario tra gli uomini! Giacch era una visione e una
previsione: che cosa vidi allora per similitudine? E chi colui che un giorno non potr non venire? Chi il
pastore, cui il serpente strisci in tal modo entro le fauci? Chi luomo, cui le pi grevi e le pi nere tra le cose
strisceranno nelle fauci?
Il pastore, poi, morse cos come gli consigliava il mio grido; e morse bene! Lontano da s sput la testa
del serpente: e balz in piedi. Non pi pastore, non pi uomo, un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva!
Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! Oh, fratelli, udii un riso che non era di uomo, e ora mi
consuma una sete, un desiderio nostalgico, che mai si placa. La nostalgia di questo riso mi consuma: come
sopporto di vivere ancora! Come sopporterei di morire ora! Cos parl Zarathustra (Cos parl Zarathustra, La visione
e lenigma, in Opere, vol. VI, tomo I, pp. 191-94.).
14: Amor fati ed eterno ritorno
La mia formula per la grandezza dell'uomo amor fati: non volere nulla di diverso, n dietro, n davanti a s, per
tutta l'eternit. Non solo sopportare, e tanto mento dissimulare, il necessario [] ma amarlo. (Nietzsche, Ecce
homo. Perch sono cos accorto, 10)
E il senso di tutto il mio operare che io immagini come un poeta e ricomponga in uno ci che frammento ed
enigma e orrida casualit. E come potrei sopportare di essere uomo, se l'uomo non fosse anche poeta e solutore di
enigmi e redentore della casualit!
Redimere coloro che sono passati e trasformare ogni "cos fu" in un "cos volli che fosse!" solo questo pu
essere per me "redenzione"!
Volont il nome di ci che libera e procura la gioia: cos vi ho insegnato, amici miei! Ma adesso imparate
ancora questo: la volont, di per s, ancora come imprigionata.
Volere libera: ma come si chiama ci che getta in catene anche il liberatore?
"Cos fu" cos si chiama il digrignar di denti della volont e la sua mestizia pi solitaria. Impotente contro ci
che gi fatto, la volont sa male assistere allo spettacolo del passato.
La volont non riesce a volere a ritroso; non potere infrangere il tempo e la voracit del tempo, questa per la
volont la sua mestizia pi solitaria
Che il tempo non possa camminare a ritroso, questo il suo rovello; "ci che fu" cos si chiama il macigno che
la volont non pu smuovere. E cos fa rotolare sassi piena di malumore e rovello, e si vendica contro tutto quanto
non provi il suo stesso rovello e malumore. Cos la volont, invece di liberare, infligge sofferenza: e oggetto della
sua vendetta, per non poter volere a ritroso, tutto quanto sia capace di soffrire[]
Via da tutte queste filastrocche, io vi condussi quando vi insegnai: "la volont qualcosa che crea".
Ogni "cos fu" un frammento, un enigma, una casualit orrida fin quando la volont che crea non dica anche:
"ma cos volli che fosse!"
Finch la volont che crea non dica anche: "ma cos voglio! Cos vorr!"

(F. Nietzsche, Cos parl Zarathustra, "Della redenzione")


15: La morale dei signori e la morale degli schiavi12
Vagabondando tra le molte morali, pi raffinate e pi rozze, che hanno dominato fino a oggi o dominano ancora
sulla terra, ho rinvenuto certi tratti caratteristici, periodicamente ricorrenti e collegati tra loro: cosicch mi si sono
finalmente rivelati due tipi fondamentali e ne balzata fuori una radicale differenza. Esiste una morale dei signori
e una morale degli schiavi mi affretto ad aggiungere che in tutte le civilt superiori e pi ibride risultano
evidenti anche tentativi di mediazione tra queste due morali e, ancor pi frequentemente, la confusione delluna
nellaltra, nonch un fraintendimento reciproco, anzi talora il loro aspro confronto persino nello stesso uomo,
dentro la stessa anima. Le differenziazioni morali di valore sono sorte o in mezzo a una stirpe dominante, che con
un senso di benessere acquistava coscienza della propria distinzione da quella dominata, oppure in mezzo ai
dominati, gli schiavi e i subordinati di ogni grado. Nel primo caso, quando sono i dominatori a determinare la
nozione di buono, sono stati di elevazione e di fierezza dellanima che vengono avvertiti come il tratto distinti e
qualificante della gerarchia. [...} un fatto palmare che le designazioni morali di valore sono state ovunque
primieramente attribuite a uomini e soltanto in via derivata e successiva ad azioni: per cui un grave errore che gli
storici della morale prendano come punto di partenza problemi quali perch stata lodata lazione pietosa?.
Luomo di specie nobile sente se stesso come determinante il valore, non ha bisogno di riscuotere approvazione, il
suo giudizio quel che dannoso a me, dannoso in se stesso, conosce stesso come quel che unicamente
conferisce dignit alle cose, egli creatore di valori. Onorano tutto quanto sanno appartenere a s: una siffatta
morale autoglorificazione. Sta in primo piano il senso della pienezza, della potenza che vuole straripare, la
felicit della massima tensione, la coscienza di una ricchezza che vorrebbe donare e largire anche luomo nobile
presta soccorso allo sventurato, ma non o quasi non per piet, bens piuttosto per un impulso generato dalla
sovrabbondanza di potenza.
[...] Diversamente stanno le cose per quanto riguarda il secondo tipo di morale, la morale degli schiavi. Posto che
gli oppressi, i conculcati, i sofferenti, i non liberi, gli insicuri e stanchi di se stessi, facciano della morale, che cosa
sar lelemento omogeneo nei loro apprezzamenti di valore? Probabilmente trover espressione un pessimistico
sospetto verso lintera condizione umana, forse una condanna delluomo unitamente alla sua condizione. Lo
schiavo non vede di buon occhio le virt dei potenti: scettico e diffidente, ha la raffinatezza della diffidenza per
tutto quanto di buono venga tenuto in onore in mezzo a costoro , vorrebbe persuadersi che tra quelli la stessa
felicit non genuina. Allopposto vengono messe in evidenza e inondate di luce le qualit che servono ad
alleviare lesistenza ai sofferenti: sono in questo caso la piet, la mano compiacente e soccorrevole, il calore del
cuore, la pazienza, loperosit, lumilt, la gentilezza a esser poste in onore giacch sono queste, ora, le qualit
pi utili e quasi gli unici mezzi per sopportare il peso dellesistenza. La morale degli schiavi essenzialmente
morale utilitarista. Ecco il focolare dove nato quel famoso contrasto tra buono e malvagio nellintimo
del male si avverte la potenza e la pericolosit, una certa terribilit, finezza e forza che soffoca il disprezzo alle
radici (F. Nietzsche, Al di l del bene e del male, par. 260, in Opere, vol. VI, tomo II, pp. 178-79, 180-81).
16: La negazione della morale 13
Questo problema del valore della compassione e della morale della compassione (io sono un avversario dello
scandaloso infrollimento moderno dei sentimenti) sembra innanzitutto soltanto un fatto isolato, un interrogativo a
s; ma a chi su questo punto resta inchiodato, a chi su questo punto impara a interrogare, accadr quel che
accaduto a me gli si spalancher dinanzi una prospettiva nuova, immensa, una possibilit lo afferrer come una
vertigine, ogni specie di diffidenza, di sospetto, di paura far un balzo in fuori, vaciller la fede nella morale, in
ogni morale finalmente si render avvertibile una nuova esigenza. Enunciamola questa nuova esigenza:
abbiamo bisogno di una critica dei valori morali, di cominciare a porre una buona volta in questione il valore
stesso di questi valori e a tale scopo necessaria una conoscenza delle condizioni e delle circostanze in cui sono
attecchiti, poste le quali si sono andati sviluppando e modificando (morale come conseguenza, come sintomo,
come maschera, come tartuferia, come malattia, come fraintendimento; ma anche morale come causa, come
terapia, come stimulans, come inibizione, come veleno), non essendo esistita fino a oggi una tale conoscenza e
non essendo stata neppure soltanto desiderata. Si preso il valore di questi valori come dato, come risultante di
fatto, come trascendente ogni messa in questione; fino a oggi non si neppure avuto il minimo dubbio o la
12

Nietzsche individua nella storia due morali: quella dei signori e quella degli schiavi. La differenza maggiore che la prima
basata sugli uomini, la seconda sulle azioni. Per la morale dei signori, gli individui sono buoni, nobili ecc., e buono o nobile
ci che essi fanno. Sono essi a stabilire e a creare i valori. Gli schiavi, al contrario, basano la loro morale su leggi che si impongono
agli uomini, leggi che condannano la potenza e laffermazione di s, esaltando al contrario la rinuncia (umilt, rassegnazione) come
virt. In questa prospettiva buono e cattivo non sono riferiti agli uomini ma alle azioni, a seconda che si con formino o meno
alle leggi.
13
Dopo lanalisi delle diverse morali, Nietzsche mette in dubbio il concetto stesso di morale, contesta la possibilit di valori,
sottolinea che la stessa nozione di bene potrebbe essere uno strumento per limitare la forza vitale, la realizzazione di s.

minima esitazione nello stabilire il buono come superiore, in valore, al malvagio, superiore in valore nel
senso di un avanzamento, di una utilit, di una prosperit in rapporto alluomo in generale (compreso lavvenire
delluomo).
Come? e se la verit fosse il contrario? Come? e se nel bene fosse insito anche un sintomo di regresso, come pure
un pericolo, una seduzione, un veleno, un narcoticum27 attraverso il quale a un certo punto il presente vivesse a
spese dellavvenire? Con maggior agio, forse, e con minor pericolo, ma anche con uno stile inferiore, pi volgare?
Cos che precisamente la morale sarebbe responsabile del fatto che una in s possibile suprema possanza e
magnificenza del tipo uomo non mai stata raggiunta? Cos che proprio la morale sarebbe il pericolo dei pericoli?
(Genealogia della morale, . 6, in Opere, vol. VI, tomo II, pp. 218-19)
17: La cattiva coscienza e la morale del risentimento14
A questo punto non posso pi esimermi dal fornire alla mia particolare ipotesi sullorigine della cattiva
coscienza15 una prima provvisoria formulazione: tale ipotesi non si lascia facilmente ascoltare e vuole essere
lungamente meditata, vigilata e ponderata. Considero la cattiva coscienza come quella grave malattia in balia della
quale doveva cadere luomo sotto la pressione della pi radicale tra tutte le metamorfosi che egli abbia mai vissuto
quella metamorfosi in cui si venne a trovare definitivamente incapsulato nellincantesimo della societ e della
pace. Non diversamente da quel che deve essere accaduto agli animali acquatici, allorch furono costretti a
divenire animali terrestri oppure a perire, si comp la sorte di questi semianimali felicemente adattati allo stato
selvaggio, alla guerra, al vagabondaggio, allavventura a un tratto tutti i loro istinti furono svalutati e divelti.
Dovettero ormai camminare sulle gambe e portare se stessi, laddove fino a quel momento venivano portati
dallacqua: una spaventosa pesantezza gravava su di loro. Si sentivano inabili alle funzioni pi semplici, per
questo nuovo mondo sconosciuto non avevano pi le loro antiche guide, gli istinti regolativi, inconsciamente
infallibili erano ridotti, questi infelici, a pensare, dedurre, calcolare, combinare cause ed effetti, alla loro
coscienza, al loro pi miserevole organo, il pi esposto a ogni errore! Credo che non ci sia mai stato sulla terra
un tale senso di miseria, un tale plumbeo disagio e intanto quegli antichi istinti non avevano cessato tutta un
tratto di porre le loro esigenze! Solo che difficilmente e di rado era possibile dar loro soddisfacimento: in
sostanza, essi dovettero cercarsi nuovi e per cos dire sotterranei appagamenti. Tutti gli istinti che non si scaricano
allesterno, si rivolgono allinterno questo quella che io chiamo interiorizzazione delluomo: in tal modo
soltanto si sviluppa nelluomo quella che pi tardi verr chiamata la sua anima. Lintero mondo interiore,
originariamente sottile come fosse teso tra due epidermidi, si stemperato e dischiuso; ha acquistato profondit,
latitudine, altezza a misura che stato impedito lo sfogo delluomo allesterno. Quei terribili bastioni con cui
lorganizzazione statale si proteggeva contro gli antichi istinti della libert le pene appartengono soprattutto a
questi bastioni fecero s che tutti codesti istinti delluomo selvaggio, libero, divagante si volgessero a ritroso, si
rivolgessero contro luomo stesso. Linimicizia, la crudelt, il piacere della persecuzione, dellaggressione, del
mutamento, della distruzione tutto quanto si volge contro i possessori di tali istinti: ecco lorigine della cattiva
coscienza. Luomo che in mancanza di nemici esterni e di resistenze, rinserrato in una opprimente angustia e
normalit di costumi, faceva impazientemente a brani se stesso, si perseguitava, si rodeva, si aizzava, si
svillaneggiava, questanimale che si vuole ammansire e d di cozzo alle sbarre della sua cella fino a coprirsi di
piaghe, questo essere che manca di qualcosa, che si strugge nella nostalgia del deserto e che deve far di se stesso
unavventura, una camera di supplizi, una selva insicura e perigliosa questo giullare, questo desioso e disperato
prigioniero, divenne linventore della cattiva coscienza. Con essa fu per introdotta la pi grande e la pi
sinistra delle malattie, di cui fino a oggi lumanit non guarita, la sofferenza che luomo ha delluomo, di s:
14

La cattiva coscienza si forma in seguito alla nascita della vita associata, che impone la repressione degli istinti vitali e
lesaltazione del pensiero, della ragione, della coscienza. Gli istinti originari, che non possono pi dirigersi verso lesterno, si
ripiegano verso luomo stesso, dilatandone il mondo interiore e al tempo stesso dilaniando lindividuo, mettendolo in conflitto con se
stesso e con la propria naturalit. Questa lorigine della cattiva coscienza, che spinge luomo a martoriare se stesso, a essere
autoaggressivo e infelice.
15
Largomentazione di Nietzsche ricorda alcuni passi freudiani. Si noti lenfasi iniziale, fino a considerare la nascita della cattiva
coscienza come una vera e propria mutazione genetica, descritta nel brano con un ricco apparato metaforico. Ricostruiamo i
passaggi salienti dellanalisi di Nietzsche, decodificando il tessuto metaforico. a. luomo era guidato originariamente dagli istinti e
non esisteva uninteriorit; b. per garantirsi una sopravvivenza senza pericolo e senza lotta, in un secondo momento luomo ha
represso gradualmente i propri istinti; c. non potendo pi scaricarsi allesterno, come aggressivit verso gli altri, ma conservando la
loro energia, gli istinti (forse, meglio, gli impulsi) si sono rivolti contro lindividuo stesso, mediante un processo di interiorizzazione;
d. in questo modo nato un mondo interiore, chiamato anima, che andato via via crescendo durante la storia dellumanit; e. la
coscienza cos prodotta per cattiva, perch fatta di autoaggressivit, di autorepressione, di commiserazione di s. Luomo si
costruito un mondo interiore rinunciando alla libera espressione della sua parte vitale e indirizzandola contro se stesso; f. questo
processo stato rafforzato, anzi in una certa misura indotto, dallo sviluppo della civilt, dallo Stato che ha elaborato un sistema
repressivo per punire la manifestazione degli impulsi istintuali, costringendo lindividuo a rivolgerli contro se stesso; g. in seguito a
questo processo, luomo si per distinto da tutti gli altri animali, diventato un essere speciale, tormentato dalla propria coscienza,
ma capace, proprio per la contraddittoriet del proprio essere, del grande salto verso loltreuomo.

conseguenza di una violenta separazione dal suo passato danimale, di un salto e di una caduta, per cos dire, in
nuove situazioni e condizioni esistenziali, di una dichiarazione di guerra contro gli antichi istinti, sui quali fino
allora riposava la sua forza, il suo piacere e la sua terribilit.
Aggiungiamo subito che, daltro canto, col fatto di unanima animale rivolta contro se stessa, intenta a
prender partito contro se stessa, si era presentato sulla terra qualcosa di tanto nuovo, profondo, inaudito,
enigmatico, colmo di contraddizioni e colmo davvenire, che laspetto della terra ne fu sostanzialmente
trasformato. In realt, ci sarebbero voluti spettatori divini per apprezzare lo spettacolo che in tal modo aveva avuto
inizio e di cui non ancora assolutamente prevedibile la fine uno spettacolo troppo squisito, troppo
meraviglioso, troppo paradossale perch potesse svolgersi assurdamente inosservato su un qualche ridicolo astro!
Da allora luomo annoverato tra le pi inaspet. tate e stimolanti mosse azzeccate che gioca il grande fanciullo
eracliteo, si chiami Zeus o caso desta per s un interesse, una tensione, una speranza, quasi una certezza, come
se con lui qualcosa si annunziasse, qualcosa si preparasse, come se luomo non fosse una meta, ma soltanto una
via, un episodio, un ponte, una grande promessa (Genealogia della morale, par. 16, in Opere, vol. VI, tomo II, pp. 283-85).
18: Il nichilismo passivo e la morale dell'autorit16.
La domanda del nichilismo17 a che scopo? procede dalla vecchia abitudine di vedere il fine come posto, dato,
richiesto dallesterno cio da una qualche autorit sovrumana. Anche dopo aver disimparato a credere in
questultima, si continua a cercare, secondo la vecchia abitudine, unaltra autorit in grado di parlare un
linguaggio assoluto e di imporre fini e compiti. Viene quindi in primo piano lautorit della coscienza (quanto pi
si emancipa dalla teologia, tanto pi la morale diventa imperativa), in sostituzione di una autorit personale. O
lautorit della ragione. O listinto sociale (il gregge). O la storia con uno spirito immanente, che ha il suo fine in
s e a cui ci si pu abbandonare. Si vorrebbe aggirare la necessit di avere una volont, di volere uno scopo, il
rischio di dare a se stessi un fine; si vorrebbe scaricare la responsabilit (si accetterebbe il fatalismo). Infine:
felicit, e, con una certa tartuferia, la felicit dei pi (Frammenti postumi 1887-88, par. 33, in Opere, voi. VIII, tomo Il, p.
17).
19
Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al "perch?"; che cosa significa nichilismo? che i valori supremi si
svalorizzano. Esso AMBIGUO:
A) Nichilismo come segno della cresciuta potenza dello spirito: come NICHILISMO ATTIVO.
Pu essere un segno di forza; l'energia dello spirito pu essere cresciuta tanto, che i fini sinora perseguiti
("convinzioni, articoli di fede") le riescano inadeguati. []
D'altra parte un segno di forza non sufficiente per porsi ora nuovamente, in maniera creativa, un fine, un perch,
una fede. []
B) Nichilismo come declino e regresso della potenza dello spirito: il NICHILISMO PASSIVO:
come segno di debolezza: l'energia dello spirito pu essere stanca, esaurita, in modo che i fini sinora perseguiti
sono inadeguati e non trovano pi credito;
la sintesi dei valori e dei fini (su cui riposa ogni forte cultura) si scioglie, in modo che i singoli valori si fanno la
guerra: disgregamento;
tutto ci che ristora, guarisce, tranquillizza, stordisce, sar in primo piano, sotto diversi travestimenti, religiosi o
morali o politici o estetici, ecc. [Frammenti postumi, 1887, 35]
PRESUPPOSTI DI QUEST'IPOTESI
Che non ci sia una verit; che non ci sia una costituzione assoluta delle cose, una "cosa in s";
- ci stesso un nichilismo, anzi il nichilismo estremo. Esso ripone il valore dele cose proprio nel fatto che a tale
valore non corrisponda n abbia corrisposto nessuna realt, ma solo un sintomo di forza da parte di chi pone il
valore, una semplificazione ai fini della vita. (Nietzsche, Frammenti postumi [1887], 35)
20: I mille volti del cristianesimo18

16

Il nichilismo nega l'autorit divina o trascendente come fondamento della morale, tendendo per a sempre nuove autorit, dalla
coscienza morale alla ragione all'utilit sociale, perpetuando l'equivoco di fondo: che la morale debba poggiare su qualcosa di esterno
all'individuo.
17
Nonostante la diversit delle motivazioni, le diverse concezioni del nichilismo passivo sono accomunate dal riferimento a
unautorit esterna, e come tale viene trattata la stessa coscienza, in quanto riferita allanima in contrapposizione al corpo. Del
sorgere e del perpetuarsi della morale criticata da Nietzsche responsabile soprattutto il cristianesimo, oggetto di unaspra condanna
nellAnticristo.
18
La concezione cristiana della provvidenza divina paralizzante perch sulla base di essa gli uomini sono indotti a rinunciare
allazione, non sentendosi pi responsabili del proprio destino. Lo stesso risultato deriva dai ritenere il mondo, secondo una visione

Da meditare, fino a che punto continui a sussistere la nefasta fede nella Provvidenza divina questa credenza tra
le pi paralizzanti che ci siano mai state, per lazione e per la ragione; fino a che punto continuino a vivere i
presupposti e linterpretazione cristiani sotto le parole natura, progresso, perfezionamento,
darwinismo19, in base alla superstizione di una certa connessione tra felicit e virt, tra infelicit e colpa.
Quellassurda fiducia nel corso delle cose, nella vita, nell istinto della vita, quella rassegnazione bonaria la
quale crede che ciascuno debba solo compiere il proprio dovere perch tutto vada bene cose del genere hanno
senso solo ammettendo una direzione delle cose sub specie boni31. Lo stesso fatalismo, la nostra forma attuale di
sensibilit filosofica, una conseguenza del fatto che si sia cos a lungo creduto a una disposizione divina, una
conseguenza inconscia: cio come se appunto non dipendesse da noi che tutto vada in un certo modo (come se ci
fosse lecito lasciare che le cose vadano come vanno e ogni individuo fosse solo un modus della realt assoluta).
Si deve al cristianesimo: lintromissione del concetto di colpa e di castigo in tutti i concetti; la vigliaccheria di
fronte alla morale; la stupida fiducia nel corso delle cose (nel meglio); la falsit psicologica verso se stessi
(Frammenti postumi 1887-88, in Opere, voi. VIII, tomo II, p. 142).
21: I significati della volont di potenza20.
Che cos buono? Tutto ci che eleva il senso della potenza, la volont di potenza, la potenza stessa nelluomo.
Che cos cattivo? Tutto ci che ha origine dalla debolezza. Che cos felicit? Sentire che la potenza sta
crescendo, che una resistenza viene superata. Non appagamento, ma maggior potenza; non pace sovra ogni altra
cosa, ma guerra; non virt, ma gagliardia (virt nello stile del Rinascimento, virt libera dallipocrisia morale). I
deboli e i malriusciti devono perire: questo il principio del nostro amore per gli uomini. E a tale scopo si deve
anche essere loro daiuto. Che cos pi dannoso di qualsiasi vizio? Agire pietosamente verso tutti i malriusciti
e i deboli il cristianesimo. [...]
Il problema che io pongo qui non riguarda il posto che lumanit deve prendere nella serie successiva degli esseri
(luomo una fine): bens quale tipo umano deve essere allevato21, deve essere voluto, in quanto tipo di superiore
valore, pi degno di vivere, pi certo dellavvenire. Questo tipo di superiore valore gi esistito abbastanza
spesso: come caso fortunato, per, come eccezione; mai come qualcosa di voluto. stato proprio questo invece ad
essere particolarmente temuto, esso stato fino a oggi quasi la cosa terribile, e prendendo le mosse dal timore
stato voluto, allevato, raggiunto il tipo opposto: lanimale domestico, lanimale darmento, luomo come animale
malato il cristiano. [...] (Lanticristo, parr. 2-3, in Opere, voi. VI, torno III, pp. 168-69).

22: La volont di potenza come recupero della totalit delluomo


La coscienza e le facolt connesse di solito alla morale non sono che una piccola parte delluomo, ci invece
soprattutto fisicit, animalit, tutti aspetti cio fondamentalmente amorali. Al di l delle giustificazioni che
luomo si dato, il fine dellattivit umana laccrescimento della potenza, il potenziamento della vita, intesa
in senso biologico e istintuale.
Ci che vien detto una buona azione un mero equivoco; azioni del genere non sono affatto possibili.
Egoismo , del pari che disinteresse, una finzione popolare, allo stesso modo lindividuo, lanima.
Nellimmensa molteplicit di quanto accade in un organismo, la parte di cui acquistiamo coscienza un semplice
angolino; e quel poco di virt, di disinteresse e di simili finzioni viene smentito, in maniera assolutamente
apparentemente laica, retto da princpi come la natura o il progresso. Anche in questo caso, infatti, si sostiene lesistenza di un senso
del mondo destinato a realizzarsi da s.
19
Provvidenzialismo, fatalismo, evoluzionismo ecc., pur apparendo come concezioni tra loro antitetiche, sono simili nella sostanza,
in quanto tutte affermano lesistenza di una razionalit esterna alluomo. Il cristianesimo ha influenzato profondamente la societ
occidentale, con lintroduzione di una serie di atteggiamenti che hanno permeato gli aspetti pi diversi della cultura. I concetti di
colpa e di castigo, ad esempio, non riguardano soltanto la trasgressione dei comandamenti divini, ma sono stati assimilati anche da
filosofie laiche o addirittura atee. Allo stesso modo, la provvidenza divina non riguarda solo la religione, ma ogni concezione che
consideri la storia come uno sviluppo necessario, da quella hegeliana a quella evoluzionistica (darwinismo). In questo contesto, la
volont di potenza si pone come la trasvalutazione di tutti i valori, non soltanto di quelli stabiliti dal cristianesimo e da
Socrate, ma del valore in quanto tale. Lunico punto di riferimento dogni giudizio luomo stesso come essere naturale, e
laccrescimento della propria potenza, della forza vitale.
20
Dopo la distruzione della morale, lunico punto di riferimento resta il singolo individuo, nella sua naturalit: buono tutto ci che
ne accresce la potenza e la forza vitale, cattivo il contrario. Luomo superiore, che fa di s lunico criterio morale, nato a volte
in modo fortuito: si tratta di fare in modo che divenga la norma.
21
Qui, come in altri passi sullo stesso argomento, la posizione di Nietzsche aperta a una variet dinterpretazioni. Il motivo centrale
univoco: la volont di potenza la sostituzione di un senso del mondo dato dallesterno, da unautorit di qualsiasi tipo, con la
capacit dellindividuo di essere fonte di significati. Nietzsche non auspica quindi una nuova morale, ma un nuovo tipo duomo,
loltreuomo. A questo egli contrappone per i malriusciti e i deboli che devono perire. Non chiaro quanto questo linguaggio
sia metaforico e quanto invece sia da prendere alla lettera, con le inquietudini e le assonanze storiche con lideologia nazista che in
questo caso evocherebbe. La stessa ambiguit presente nel passo successivo, dove si pu leggere quasi una prospettiva di selezione
di una razza superiore.

radicale, dal resto dellaccadere globale. Faremo bene a studiare il nostro organismo nella sua perfetta
immoralit32. Le funzioni animali sono anzi, per principio, milioni di volte pi importanti di tutte le belle
disposizioni e le altezze della coscienza: queste ultime sono un sovrappi, in quanto non siano strumenti di quelle
funzioni animali. Tutta la vita cosciente, lintelletto insieme con lanima, insieme col cuore, insieme con la bont,
insieme con la virt, al servizio di che cosa opera? Per il massimo perfezionamento dei mezzi (di nutrimento e di
sviluppo) delle funzioni animali fondamentali: soprattutto per il potenziamento della vita.
Ci che si chiamato corpo e carne conta infinitamente di pi: il resto un piccolo accessorio. Il compito di
continuare a filare lintero tessuto della vita e in modo che il filo diventi sempre pi potente tale il compito.
Ma si veda poi come cuore, anima, virt e spinto facciano addirittura una congiura per distorcere questo compito
principale; come se fossero essi lo scopo. [...1 La degenerazione della vita sostanzialmente determinata dalla
straordinaria capacit di errore della coscienza: essa viene tenuta assai poco a freno dagli istinti e sbaglia perci
lunghissimamente e profondissimamente. Misurare se lesistenza ha valore in base ai sentimenti piacevoli o
spiacevoli di questa coscienza: si pu immaginare un pi folle eccesso di vanit? Essa infatti solo un mezzo; e i
sentimenti piacevoli o spiacevoli sono a loro volta solo mezzi! In base a che cosa si misura oggettivamente il
valore? Solo in base al quantum di potenza accresciuta e organizzata, in base a ci che accade in ogni
accadimento, una volont di un di pi (Frammenti postumi 1887-88, par. 339, in Opere, vol. VIII, tomo II, pp. 250-51).
23: Volont di potenza e prospettivismo22
Non esistono una pura ragione o una conoscenza impersonale. La conoscenza sempre conoscenza da parte di
qualcuno, che orientato dal proprio stato danimo e dal proprio punto di vista particolare, e dunque sempre
prospettico. Loggettivit consiste nel mettere insieme una molteplicit di punti di vista.
Dora innanzi guardiamoci meglio infatti, signori filosofi, dal pericoloso, antico favoleggiamento concettuale, che
ha impiantato un puro, senza volont, senza dolore, atemporale soggetto della conoscenza; guardiamoci dalle
prensili braccia ditali concetti contraddittori come pura ragione, assoluta spiritualit, conoscenza in s; qui
si pretende sempre di pensare un occhio che non pu affatto venir pensato, un occhio che non deve avere
assolutamente direzione, in cui devono essere troncate, devono mancare le forze attive e interpretative, mediante
le quali soltanto vedere diventa un vedere qualcosa: qui dunque viene sempre preteso un controsenso e un nonconcetto di occhio. Esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un conoscere prospettico; e quanti pi affetti
lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti pi occhi, differenti occhi sappiamo impegnare in noi per
questa stessa cosa, tanto pi completo sar il nostro concetto di essa, la nostra obiettivit. Ma eliminare in
genere la volont, sospendere tutte quante le passioni, ammesso che di questo fossimo capaci: come? non
significherebbe castrare lintelletto (Genealogia della morale, in Opere, vol. VI, tomo II, pp. 101-2.)?
24 Da: Ecce homo su "Il crepuscolo degli idoli"
"Questo scritto di cento cinquantapagine, sereno e fatale nel tono, un demone che ride, l'opera di cos
pochi giorni che esito a dire quanti, l'eccezione tra i libri: non vi nulla di pi ricco di sostanza, di pi
indipendente, di pi eversivo, di pi cattivo. Se ci si vuole fare rapidamente un'idea di come, prima di me,
tutto fosse capovolto, si inizi con questo libro. Ci che nel titolo indicato come 'idoli' molto
semplicemente ci che sino ad ora stato chiamato verit. Crepuscolo degli idoli, detto a chiare lettere:
le antiche verit stanno per finire."
25. Come il mondo vero fin per diventare favola.
Nietzsche ripercorre la storia del pensiero filosofico, paragonandola al graduale intensificarsi della luce in
una giornata dopo la notte della trascendenza platonica: il primo chiarore (Kant), il mattino (positivismo),
fino al mezzogiorno di massima luminosit.
Storia di un errore.
22
Alla volont di potenza correlato anche il prospettivismo. Ogni individuo punto di riferimento e origine di valori, in quanto
esprime una prospettiva particolare del mondo. Al posto di un significato univoco e oggettivo del mondo viene introdotta una
molteplicit di significati che hanno il loro centro nei singoli individui, intesi e definiti come centri di forza indipendenti. La
volont di potenza non affermazione del vitalismo soltanto nel senso di un recupero degli istinti e della naturalit, ma pi in
generale un rifiuto di significati gi assegnati, di ogni fede, sia in ambito morale che conoscitivo. La conoscenza deve essere
ricondotta a una pluralit di prospettive, di interpretazioni, ed perci produzione e creazione continua.
Il soggetto impersonale ha costituito nella filosofia il presupposto per una conoscenza universale e oggettiva, indipendente dai
singoli individui e valida in s. Secondo Nietzsche, il significato del mondo dato dal soggetto individuale. Non solo: la conoscenza,
in quanto ricondotta al singolo, non ha valenza puramente teoretica, ma dipende anche dalla volont e dalle passioni. Infine, la
prospettiva varia per lindividuo stesso, a seconda dei suoi stati danimo, dei diversi momenti in cui guarda il mondo, di come egli .
Questa pluralit di prospettive, per, non fonte di errore, dato che non c il vero e il falso, ma arricchisce la conoscenza stessa di
significato. La nozione futura di obiettivit, sottolinea Nietzsche, la facolt di avere in proprio potere, di scombinare e
combinare il nostro pro e contro: cosicch si sa utilizzare, per la conoscenza, proprio la diversit delle prospettive e delle
interpretazioni affettive (Genealogia della morale, in Opere, voi. Vi, torno II, p. 101I.

1. Il mondo vero, attingibile dal saggio, dal pio, dal virtuoso egli vive in esso, lui stesso questo mondo.
(la forma pi antica dell'idea, relativamente intelligente, semplice, percuasiva. Trascrizione della tesi "Io,
Platone, sono la verit").
2. Il mondo vero, per il momento inattingibile, ma promesso al saggio, al pio, al virtuoso ("al peccatore che
fa penitenza").
(Progresso dell'idea: essa diventa pi sottile, pi capziosa, pi inafferrabile diventa donna, si cristianizza).
3. Il mondo vero, inattingibile, indimostrabile, impromettibile, ma gi in quanto pensato una consolazione,
un obbligo, un imperativo. (In fondo l'antico sole, ma attraverso nebbia e scetticismo; l'idea sublimata,
pallida, nordica, knigsbergica).
4. Il mondo vero inattingibile. Comunque non raggiunto. E in quanto non raggiunto, anche sconosciuto. Di
conseguenza neppure consolante, salvifico, vincolante: a che ci potrebbe vincolare qualcosa di
sconosciuto?
(Grigio mattino. Primo sbadiglio della ragione. Canto del gallo del positivismo).
5. Il "mondo vero" un'idea, che non serve pi a niente, nemmeno pi vincolante un'idea divenuta inutile e
superflua, quindi un'idea confutata: eliminiamola!
(Giorno chiaro; prima colazione; ritorno del bon sens e della serenit; Platone rosso di vergogna; baccano
indiavolato di tutti gli spiriti liberi).
6. Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci rimasto? Forse quello apparente?ma no! col
mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente! (mezzogiorno: momento dell'ombra pi corta;
fine del lunghissimo errore; apogeo dell'umanit; incipit Zarathustra) (Crepuscolo degli idoli, Opere, vol VI,
tomo III, pp. 75-76).
26 Cos parl Zarathustra: della virt che dona.
3. Detto ci Zarathustra tacque, come uno che non abbia ancora detto l'ultima parola; a lungo, perplesso, dondol
il bastone in mano.
Quando riprese a parlare, la sua voce era mutata:
"Andr solo, adesso, miei discepoli! Anche voi ve ne andrete, e soli! Lo voglio.
In verit vi consiglio. Andatevene lontano da me, guardatevi da Zarathustra! Meglio ancora: vergognatevi di lui!
Forse vi ha ingannato.
L'uomo che cerca la conoscenza deve non soltanto sapere amare i propri nemici, ma anche odiare gli amici.
Ripaga male un maestro chi resta sempre suo discepolo. E perch non vorreste voi sfrondare la mia corona?
Mi siete devoti: ma cosa accadrebbe se un giorno crollasse la vostra venerazione? Badate affinch non vi
schiacci una statua!
Dite d'avere fede in Zarathustra. Ma che importa di Zarathustra! Voi siete i mei credenti: ma che importano tutti i
credenti del mondo?
Voi non vi eravate ancora cercati: e mi trovaste. Cos fanno tutti i credenti: perci la fede vale poco.
Ora vi chiedo di perdere me e di cercare voi; e soltanto allorch mi avrete tutti rinnegato, torner a voi.
In verit, fratelli miei, con altri occhi cercher allora quelli che ho smarrito; vi amer d'altro amore.
E un giorno potrete ancora essere i miei amici e i figli di una sola speranza; allora per la terza volta sar con voi,
per celebrare con voi la festa del grande meriggio.
Sar il grande meriggio, quando l'uomo si trover a mezza strada tra il bruto e il superuomo e celebrer il suo
volgere al tramonto come la sua pi grande speranza: giacch questo tramonto sar la via a un'aurora nuova.
Colui che tramonta benedir allora se stesso, perch uno che va verso la sua risurrezione; e il sole della sua
conoscenza sar nel suo meriggio.
"Tutti gli dei sono morti: viva il superuomo": sia questa, un giorno, nel grande meriggio, la nostra volont
suprema!"
Cos parl Zarathustra.
27 Da: la gaia scienza, aforisma 279
Amicizia stellare. Eravamo amici e ci siamo diventati estranei. Ma giusto cos e non vogliamo dissimularci e
mettere in ombra questo come se dovessimo vergognarcene. Noi siamo due navi, ognuna delle quali ha la sua
meta e la sua strada: possiamo benissimo incrociarci e celebrare una festa tra di noi, come abbiamo fatto: allora i
due bravi vascelli se ne stavano cos placidamente all'ncora n uno stesso porto e sotto uno stesso sole, che
avevano tutta l'aria di essere gi alla meta, una meta che era stata la stessa per tutti e due. Ma proprio allora
l'onnipossente violenza del nostro compito ci spinse di nuovo l'uno lontano dall'altro, in diversi mari e zone di sole
e forse non ci rivedremo mai forse potr anche darsi che ci si veda, ma senza riconoscerci: i diversi mari e soli ci
hanno mutati! Che ci dovessimo divenire estranei la legge incombente su di noi: ma appunto per questo
dobbiamo diventare pi degni di noi! Appunto per questo il pensiero della nostra trascorsa amicizia deve diventare
pi sacro! Esiste verosimilmente un'immensa invisibile curva e orbita siderale, in cui potrebbero essere

ricomprese, quasi esigui tratti di strada, le nostre diverse vie e mete, - innalziamoci a questo pensiero! Ma la
nostra vita troppo breve, troppo scarsa la nostra facolt visiva per poter essere pi che degli amici nel senso di
quella nobile possibilit. E cos vogliamo credere alla nostra amicizia stellare, anche se dovessimo essere terrestri
nemici l'un l'altro.
INTEGRAZIONE
1.La filosofia, cos come io l'ho intesa e vissuta fino ad oggi, vita volontaria tra i ghiacci e le alture ricerca di
tutto ci che l'esistenza ha di estraneo e problematico, di tutto ci che finora era proscritto dalla morale. Attraverso
una lunga esperienza di itinerari nel proibito, ho imparato a considerare le cause per cui fino ad oggi si
moralizzato e idealizzato in modo assai diverso da quello che comunemente si richiede: mi si fatta luce sulla
storia segreta dei filosofi, sulla psicologia dei loro grandi nomi. quanta verit pu sopportare, quanta verit pu
osare un uomo? Questa diventata la mia vera unit di misura: sempre pi. (da Ecce homo)
2. (Da Ecce homo. Perch io sono un destino) Conosco la mia sorte. Un giorno sar legato al mio nome il
ricordo di qualcosa di enorme una crisi, quale mai si era vista sulla terra, la pi profonda collisione della
coscienza, una decisione evocata contro tutto ci che sinora stato creduto, preteso, consacrato. Io non sono un
uomo. Sono dinamite. E con tutto ci non c' nulla in me del fondatore di religioni le religioni sono affari per
la plebe, io sento il bisogno di essermi lavato le mani, dopo essere stato in contatto con uomini religiosi Non
voglio credenti, penso di essere troppo malizioso per credere a me stesso, non parlo mai alle masse Ho una
paura spaventosa che un giorno mi facciano santo: indovinerete perch io mi premunisca in tempo, con la
pubblicazione di questo libro, contro tutte le sciocchezze che si potrebbero fare con meNon voglio essere un
santo, allora piuttosto un buffoneForse sono un buffoneE ciononostante, anzi, non ciononostante, perch
non c' mai stato sinora niente di pi menzognero dei santi la verit parla in me. Ma la mia verit tremenda:
perch sino ad oggi si chiamava verit la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa la mia formula per
l'atto con cui l'umanit prende la decisione suprema su se stessa, un atto che in me diventato carne e genio.
Vuole la mia sorte che io debba essere il primo uomo decente, che sappia oppormi a una falsit che dura da
millenniio per primo ho scoperto la verit, proprio perch per primo ho sentito la menzogna come menzogna, la
ho fiutataIl mio genio nelle mie nariciIo vengo a contraddire come mai si contraddetto, e nondimeno sono
l'opposto di uno spirito negatore. Io sono un lieto messaggero, quale mai si visto, conosco compiti di una altezza
tale che finora mancato il concetto per definirli: solo a partire da me ci sono di nuovo speranze. Con tutto ci io
sono anche, necessariamente, l'uomo del fato. Perch ora la verit d battaglia alla millenaria menzogna, avremo
degli sconvolgimenti, uno spasimo di terremoti, monti e valli che si spostano, come mai prima si era sognato.
Io sono di gran lunga l'uomo pi tremendo che ci sia mai stato: ci non toglie che io possa essere il pi benefico.
Conosco il piacere del distruggere in misura della mia forza di distruzione, - nell'una e nell'altra cosa obbedisco
alla mia natura dionisiaca, che non riesce a distinguere tra il fare no e il dire s. Io sono il primo immoralista:
perch sono il distruttore par excellence.
1Dalle considerazioni inattuali: L'utilit e il danno della storia per la vita. (Dalla seconda inattuale23)
Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa oggi, salta intorno, mangia, riposa.
Digerisce, torna a saltare, e cos dallalba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo piacere e
dolore, attaccato cio al piuolo dell'istante, e perci n triste n tediato (I). Il veder ci fa male alluomo, poich al
confronto dellanimale egli si vanta della sua umanit e tuttavia guarda con invidia alla felicit di quello
giacch questo soltanto egli vuole, vivere come lanimale n tediato n fra dolori, e lo vuole per invano, perch
non lo vuole come lanimale. Luomo chiese una volta allanimale: perch non mi parli della tua flicit e soltanto
mi guardi? Lanimale dal canto suo voleva rispondere e dire: ci deriva dal fatto che dimentico subito quel che
volevo dire, ma subito dimentic anche questa risposta e tacque; sicch luomo se ne meravigli.
Ma egli si meravigli anche di se stesso, per il fatto di non poter imparare a dimenticare e di essere continuamente
legato al passato: per quanto lontano, per quanto rapidamente egli corra, corre con lui la catena. E un miracolo:
listante, eccolo presente. eccolo gi sparito, prima un niente, dopo un niente, torna tuttavia ancora come spettro,
turbando la pace di un istante posteriore. Continuamente un foglio si stacca dal rotolo del tempo, cade, vola via
e scivola improvvisamente indietro, in grembo alluomo. Allora l'uomo dice mi ricordo. e invidia lanimale che
subito dimentica e che vede veramente morire, sprofondare nella nebbia e nella notte, spegnersi per sempre ogni
23
L'inizio del brano si ispira evidentemente al Canto notturno di un pastore errane dell'Asia di Giacomo Leopardi. Nella prima
stesura della II inattuale Nietzsche stesso citava i versi: "Quanta invidia ti porto! Non sol perch d'affanno Quasi libera vai, Ch'ogni
stento, ogni danno, Ogni estremo timor subito scordi; Ma pi perch gi mai tedio non provi". Attraverso la memoria, invece, l'uomo
si differenzia dall'animale. Il sapere storico una forma di memoria, che costruisce una continuit nel tempo, una tradizione. L'uomo
non si dissolve nell'istante.

istante. Quindi lanimale vive in modo non storico, poich si risolve come un numero nel presente, senza che ne
resti una strana frazione; non in grado di fingere, non nasconde nulla e appare in ogni momento in tutto e per
tutto come ci che , quindi non pu essere nient'altro che sincero. Luomo invece resiste sotto il grande e sempre
pi grande carico del passato: questo lo schiaccia a terra e lo piega da parte; questo appesantisce il suo passo come
un invisibile e oscuro fardello, che egli pu ben far mostra di rinnegare, e che nei rapporti coi suoi simili rinnega
fin troppo volentieri, per suscitare la loro invidia. Perci lo commuove, come se si ricordasse di un paradiso
perduto, il vedere il gregge che pascola o, in pi familiare vicinanza, il bambino che non ha ancora nessun passato
da rinnegare e che giuoca in beatissima cecit fra le siepi del passato e del futuro. E tuttavia il suo giuoco deve
essere disturbato: anche troppo presto egli si risveglia dal suo oblio. Allora impara a intendere la parola cera,
quella parola dordine con cui lotta, sofferenze e tedio si avvicinano alluomo, per rammentargli ci che in fondo
la sua esistenza qualcosa di imperfetto che non pu essere mai compiuto. E quando infine la morte porta il
desiato oblio, essa sopprime insieme il presente e lesistenza imprimendo in tal modo il sigillo su quella
conoscenza che lesistenza solo un ininterrotto essere stato, una cosa che vive del negare e del consumare se
stessa, del contraddire se stessa (3). Se una felicit. se un correr dietro a una nuova felicit ci che in un certo
senso trattiene in vita il vivente e continua a spingerlo alla vita, nessun filosofo ha forse pi ragione del Cinico.
poich la felicit dellanimale. come perfetto Cinico, la prova vivente del diritto del cinismo. La felicit pi
piccola, purch esista ininterrottamente e renda felici, senza confronto una felicit maggiore della pi grande.
che venga solo come episodio, per cos dire come capriccio, come idea folle, fra mera sofferenza, brama e
privazione. Ma sia nella massima, sia nella minima felicit, sempre una cosa sola quella per cui la felicit
diventa felicit: il poter dimenticare o, con espressione pi dona. la capacit di sentire, mentre essa dura. in modo
non storico. Chi non sa mettersi a sedere sulla soglia dellattimo dimenticando tutte le cose passate, chi non
capace di star ritto su un punto senza vertigini e paura come una dea della vittoria, non sapr mai che cosa sia la
felicit, e ancor peggio, non far mai alcunch che renda felici gli altri. Immaginate lesempio estremo, un uomo
che non possedesse punto la forza di dimenticare, che fosse condannato a vedere dappertutto un divenire: un uomo
simile non crederebbe pi al suo stesso essere, non crederebbe pi a s, vedrebbe scorrere luna dallaltra tutte le
cose in punti mossi e si perderebbe in questo fiume del divenire: alla fine, da vero discepolo di Eraclito, quasi non
oserebbe pi alzare il dito (4). Per ogni agire ci vuole oblio: come per la vita di ogni essere organico ci vuole non
soltanto luce, ma anche oscurit. Un uomo che volesse sentire sempre e solo storicamente, sarebbe simile a colui
che venisse costretto ad astenersi dal sonno, o allanimale che dovesse vivere solo ruminando e sempre per
ripetuta ruminazione. Dunque, possibile vivere quasi senza ricordo, anzi vivere felicemente, come mostra lanimale; ma assolutamente impossibile vivere in generale senza oblio. Ovvero, per spiegarmi su questo tema ancor
pi semplicemente: c un grado di insonnia, di ruminazione, di senso storico, in cui lessere vivente riceve danno
e alla fine perisce, si tratti poi di un uomo, di popolo o di una civilt.[...}.
La serenit, la buona coscienza, la lieta azione, la fiducia nel futuro tutto ci dipende, nellindividuo come nel
popolo, dal fatto che ci sia una linea che divida ci che si pu abbracciare con lo sguardo, ci che chiaro, da ci
che non rischiarabile e oscuro; dal fatto che si sappia tanto bene dimenticare quanto ricordare al tempo giusto;
dal fatto che si discerna immediatamente con forte istinto quando necessario sentire in modo storico e quanto in
modo non storico. proprio questa la proposizione alla cui considerazione il lettore invitato: ci che non
storico e ci che storico sono ugualmente necessari per la salute di un individuo, di un popolo e di una civilt.
Ma la questione fino a che grado la vita abbia bisogno in genere del servizio della storia, una delle questioni
e preoccupazioni pi alte riguardo alla salute di un uomo, di un popolo, di una cultura. Perch con un certo
eccesso di storia la vita si frantuma e degenera, e alla fine a sua volta, a causa di questa degenerazione, va perduta
la storia stessa.
Ma che la vita abbia -bisogno del servizio della storia, deve essere compreso altrettanto chiaramente quanto la
proposizione secondo cui un eccesso di storia danneggia lessere vivente. In tre riguardi al vivente occorre la
storia: essa gli occorre in quanto attivo e ha aspirazioni, in quanto preserva e venera, in quanto soffre e ha
bisogno di liberazione. [...] La storia occorre innanzitutto allattivo e al potente, a colui che combatte una grande
battaglia, che ha bisogno di modelli, maestri e consolatori, e che non pu trovarli fra i suoi compagni e nel
presente... Che i grandi momenti nella lotta degli individui formino una catena, che attraverso essi si formi lungo i
millenni la cresta montuosa dellumanit, che per me le vette di tali momenti da lungo tempo trascorsi siano ancora vive, chiare e grandi questo il pensiero fondamentale di una fede nellumanit che si esprime nellesigenza
di una storia monumentale...
- In che giova dunque alluomo doggi la considerazione monumentale del passato, loccuparsi delle cose
classiche e rare delle epoche precedenti?
Egli ne deduce che la grandezza, la quale un giorno esistette, fu comunque una volta possibile, e perci sar
possibile un'altra volta; egli percorre pi coraggiosamente la sua strada, perch ora il dubbio che lo assale nelle
ore di debolezza, di volere forse l'impossibile, spazzato via. / Della storia ha bisogno in secondo luogo colui che
custodisce e venera colui che guarda indietro con fedelt e amore, verso il luogo onde proviene, dove
divenuto; con questa piet egli per cos dire paga il debito di riconoscenza per la sua esistenza. [.. .]

La felicit di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di
venire in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza e questo ci che oggi si designa di preferenza
come il vero e proprio senso storico... Qui sempre molto vicino un pericolo: alla fine tutto ci che di antico e
passato entra in genere ancora nellorizzonte, viene semplicemente accettato come ugualmente venerabile, mentre
tutto ci che non muove incontro con venerazione a questa antichit, ossia il nuovo e ci che diviene, rifiutato e
avversato. [...]
[La storia antiquaria] capace appunto solo di conservare, non di generare vita; perci sottovaluta sempre ci che
diviene, in quanto non ha per esso alcun istinto divinante come per esempio lo ha la storia monumentale. Quindi
la storia antiquaria ostacola la forte risoluzione per il nuovo, quindi paralizza chi agisce, il quale sempre, come
agente, violer e deve violare qualche piet.
Qui si fa chiaro come luomo abbia molto spesso necessariamente bisogno, accanto al modo monumentale e
antiquario di considerare il passato, di un terzo modo, quello critico:e anche di questo per servire la vita. Egli deve
avere, e di tempo in tempo impiegare, la forza di infrangere e di dissolvere un passato per poter vivere: egli ottiene
ci traendo quel passato innanzi a un tribunale, interrogandolo minuziosamente, e alla fine condannandolo; ogni
passato merita invero di essere condannato giacch cos vanno le cose umane: sempre la violenza e la
debolezza umane sono state potenti. Non la giustizia che siede qui a giudizio; ancor meno la clemenza quella
che pronunzia qui il giudizio: ma soltanto la vita... Tavolta proprio la vita stessa, che ha bisogno della
dimenticanza, richiede il temporaneo annientamento di questa dimenticanza; allora appunto deve precisamente
divenir chiaro quanto sia ingiusta lesistenza di una qualche cosa, di un privilegio, di una casta, di una dinastia per
esempio, quanto questa cosa meriti la fine. Allora il suo passato viene considerato criticamente, allora si attaccano
con il coltello le sue radici, allora si calpestano crudelmente tutte le piet (Considerazioni inattuali, II, pp. 1-4).

APPROFONDIMENTI
1. MICHEL FOUCAULT: RIFLESSIONI SUL METODO GENEALOGICO
Per il momento vorrei riprendere, in modo diverso, le riflessioni metodologiche delle quali parlavo poco fa.
Sarebbe stato possibile, forse pi onesto, non citare che un nome, quello di Nietzsche; perch ci che dico qui
non ha senso che in rapporto con l'opera di Nietzsche, dove si trova effettivamente un tipo di discorso che fa
l'analisi storica della formazione del soggetto stesso, l'analisi storica della nascita di un certo tipo di sapere senza
mai ammettere la preesistenza di un soggetto di conoscenza. Ci che mi propongo, ora, di seguire, nell'opera di
Nietzsche, i lineamenti che possono servirci come modello per le analisi in questione.
Prenderei come punto di partenza un testo di Nietzsche datato 1873, pubblicato postumo. Il testo dice: "In fondo a
qualche angolo dell'universo inondato da fuochi di innumerevoli sistemi solari, ci fu un giorno un pianeta sul
quale degli animali intelligenti inventarono la conoscenza. Fu il minuto pi orgoglioso e pi menzognero della
storia universale." (F. Nietzsche, Verit e menzogna in senso extramorale).
[...] [Considererei] dapprima il termine "invenzione". Nietzsche afferma che, in un punto determinato del tempo e
in un luogo determinato dell'Universo, degli animali intelligenti hanno inventato la conoscenza. La parola che usa,
"invenzione" (Erfindung), ripresa spesso, nei suoi testi, e sempre con un senso e una intenzione polemica.
Quando parla di invenzione, N. ha sempre in mente un termine che si oppone a "invenzione": il termine "origine".
Quando dice invenzione (Erfindung) per non dire "origine" (Ursprung). [...]
Per esempio, nella Gaia scienza, dove parla di Schopenhauer rinfacciandogli la sua analisi della religione, N. dice
che Schopenhauer ha commesso l'errore di cercare l'origine (Ursprung) della religione in un sentimento metafisico
che sarebbe presente in tutti gli uomini e che conterrebbe, in nuce, qualsiasi religione: il suo modello allo stesso
tempo vero ed essenziale. N. afferma: ecco un'analisi della storia della religione completamente falsa, infatti
ammettere che la religione si origini all'interno di un sentimento metafisico significa dire [...] che la religione
dovrebbe trovarsi gi, almeno implicitamente, in questo sentimento metafisico. Ora, dice N., la storia non
questo, non in questo modo che la si fa, e non questo che [544] accaduto. Perch la religione non ha
un'origine (Ursprung), stata inventata, c' stata una Erfindung della religione. A un momento dato successo
qualcosa che ha fatto apparire la religione. Essa stata fabbricata, non esisteva prima. Tra la grande continuit
dello Ursprung descritto da Schopenhauer e la rottura che caratterizza la Erfindung di Nietzsche, c'
un'opposizione fondamentale.
Parlando della poesia, sempre nella Gaia scienza, N. afferma che ci sono coloro che cercano l'origine (Ursprung),
della poesia, mentre, in verit, non c' un Ursprung della poesia, c' solo la sua invenzione (Gaia scienza, libro V,
353). Un giorno, qualcuno ha avuto l'idea, assai curiosa, di utilizzare un certo numero di propriet ritmiche o
musicali del linguaggio per parlare, per imporre le sue parole, per stabilire, attraverso le sue parole, una certa
relazione di potere sugli altri. Anche la poesia stato inventata o fabbricata.
C' ancora il celebre brano alla fine del primo discorso della Genealogia della morale, dove N. si riferisce a quella
specie di grande fabbrica, grande officina dove si produce l'ideale (Genealogia, primo trattato, 14). L'ideale non
ha origine. Anch'esso stato inventato, fabbricato, prodotto da una serie di meccanismi, di piccoli meccanismi.
L'invenzione, Erfindung, per N. da un lato una rottura, dall'altro qualche cosa che possiede un piccolo inizio,
basso, meschino, inconfessabile. Questo il punto cruciale della Erfindung. stato attraverso oscure relazioni di
potere che la poesia stata inventata. Allo stesso modo, stato attraverso pure ed oscure relazioni di potere che la
religione stata inventata. Meschinit (vilenie), dunque, di tutti questi cominciamenti, allorch vengono
contrapposti alla solennit dell'origine quale essa concepita dai filosofi. Lo storico non deve temere le
meschinit, perch di meschinit in meschinit, di piccola cosa in piccola cosa, infine, si sono formate le grandi
cose. Alla solennit dell'origine occorre contrapporre, attraverso un buon metodo storico, la piccolezza meticolosa
e inconfessabile di queste fabbricazioni, di queste invenzioni.
La conoscenza stata, dunque, inventata. Dire che essa stata inventata, significa dire che essa non ha origine.
Significa dire, in modo pi preciso, per quanto paradossale, che la conoscenza non affato iscritta nella natura
umana. La conoscenza non costituisce [545] il pi antico istinto umano o, inversamente, non c', nel
comportamento umano, negli appetiti umani, nell'istinto umano qualcosa come un germe della conoscenza. In
fatti, dice N., la conoscenza ha un rapporto con gli istinti, ma non pu essere presente in essi, e nemmeno essere
un istinto come gli altri. La conoscenza semplicemente il risultato del gioco, dello scontro, della giunzione, della
lotta e del compromesso tra gli istinti. perch gli istinti si incontrano, si battono e arrivano, infine, alla fine delle
loro battaglie, a un compromesso, che qualcosa si produce. Questo qualcosa la conoscenza.
Di conseguenza, per Nietzsche, la conoscenza non dell stessa natura degli istinti, non come un raffinarsi degli
istinti stessi. La conoscenza ha per fondamento, per base e punto di partenza gli istinti, ma gli istinti enlla loro
confrontazione, della quale essa non che il risultato, in superficie. La conoscenza come un ECLAT, come una
luce che si diffonde, ma che prodotta da meccanismi o realt che sono di natura totalmente diversa. la
conoscenza l'effetto degli istinti; come un colpo fortunato, o come il risultato di un lungo compromesso. ,
dice ancora N., come una "scintilla tra due spade", ma che non fatta dello stesso ferro.

Effetto di superficie, non tratteggiato in anticipo nella natura umana, la conoscenza porta il suo gioco davanti agli
istinti, al di sopra di essi, in mezzo a loro; li comprime, traduce un certo stato di tensione o di calma tra gli istinti.
Ma da essi non possibile dedurre la conoscenza, in modo analitico, come se si trattasse di una derivazione
naturale. Non possibile, e necessariamente, dedurla dagli istinti stessi. La conoscenza, in fondo, non fa parte
della natura umana. Sono la lotta, il combattimento, il risultato del combattimento, e di conseguenza il rischio e
l'azzardo che danno luogo alla conoscenza. La conoscenza non istintiva, contro-istintiva; parimenti, non
naturale, bens contro-natura.
Questo il primo senso che potrebbe dato all'idea che la conoscenza un'invenzione e che non ha origine. Ma
l'altro senso che potrebbe essere dato a questa affermazione, sarebbe che la conoscenza, oltre a non essere legata
alla natura umana, a non derivarne, non ha nemmeno una parentela, attraverso un diritto originario, con il mondo
da conoscere. Non c', secondo Nietzsche, nessuna somiglianza, nessuna affinit predeterminata tra la conoscenza
[546] e le cose che bisognerebbe conoscere. In termini pi rigorosamente kantiani, occorrerebbe dire che le
condizioni dell'esperienza e le condizioni dell'oggetto d'esperienza sono totalmente eterogenee.
Ecco la grande rottura. [...] Nietzsche pensa [...] che tra la conoscenza e il mondo da conoscere ci siano altrettante
differenze come ce ne sono tra la conoscenza e la natura umana. [...] La conoscenza non ha relazioni di affinit
con il mondo da conoscere, dice Nietzsche, molto di frequente. Citer solo un testo della Gaia scienza (libro III,
109): "Il carattere dell'insieme del mondo da tutta l'eternit quello del caos, in ragione non dell'assenza di
necessit, ma dell'assenza di ordine, articolazione, forma, bellezza, saggezza. Il mondo non cerca affatto di imitare
l'uomo. Ignora qualsiasi legge. Guardiamoci dal dire che ci sono delle leggi nella natura. contro un mondo senza
ordine, senza legami, senza forma, senza bellezza, senza saggezza, senza armonia, senza legge che la conoscenza
si trova a dover lottare. ad esso che si rapporta. Non c' nulla nella conoscenza che la abiliti, per un diritto
qualunque, a conoscere questo mondo. Non naturale, per la natura, essere conosciuta. Cos, tra l'istinto e la
conoscenza, non si trova una continuit, ma una relazione di lotta, di dominazione, di servit, di compensazione;
allo stesso modo, non pu esserci, tra la conoscenza e le cose che la conoscenza deve conoscere, nessuna
relazione di continuit naturale. Non pu esserci che una relazione di violenza, di dominazione, di potere e di
forza, di violazione. La conoscenza non pu che essere una violazione delle cose da conoscere, e non una
percezione, un riconoscimento, una identificazione di esse [...].
Mi sembra che ci sia, in questa analisi di N., una rottura duplice e molto importante [...]. La prima la rottura tra
la conoscenza e le cose. Che cosa, effettivamente, nella filosofia occidentale, assicurava che le cose da conoscere
e la conoscenza stessa fossero in relazione di continuit? Che cosa assicurava alla conoscenza il potere di
conoscere davvero [547] le cose del mondo e di non essere indefinitamente errore, illusione, arbitrio? Che cosa, se
non Dio, poteva garantire tale potere nella nella filosofia occidentale? [...] Per dimostrare che la conoscenza era
[...] fondata, in verit, nelle cose del mondo, Cartesio ha dovuto affermare l'esistenza di Dio.
Se non esiste pi una relazione tra la conoscenza e le cose da conoscere, se la relazione tra la conoscenza e le
cose conosciute arbitraria, se una relazione di potere e violenza, l'esistenza di Dio al centro del sistema della
conoscenza non pi indispensabile. Nello stesso brano della Gaia scienza in cui evoca l'assenza di ordine, di
legame, di forma, di bellezza nel mondo, N. chiede, precisamente: "Quando tutte le ombre di Dio cesseranno di
oscurarci? Quando avremo totalmente de-divinizzato la natura?" (ibid.).
La rottura della teoria della conoscenza con la teologia comincia stricto sensu con un'analisi come quella di N.
In secondo luogo, dire che, se vero che tra la conoscenza e gli istinti [...] non c' che rottura, relazioni di
dominazione e di servit, relazioni di potere, allora non sparisce solo Dio, ma lo stesso soggetto nella sua unit e
sovranit.
Risalendo alla tradizione filosofica a partire da Cartesio [..] si vede che l'unit del soggetto umano era assicurata
dalla continuit che va dal desiderio alla conoscenza, dall'istinto al sapere, dal corpo alla verit. Se vero che ci
sono da un lato i meccanismi dell'istinto, i giochi del desiderio, gli affrontamenti della meccanica del corpo e della
volont, e, dall'altro lato, a un livello dalla natura completamente differente, la conoscenza, allora non abbiamo
pi bisogno dell'unit del soggetto umano. Possiamo ammettere un soggetto, o possiamo ammettere che il
soggetto non esiste. [...]
Ora, quando N. dice che la conoscenza il risultato degli istinti, ma che non un istinto, n deriva direttamente
dagli istinti, che cosa vuol dire esattamente, e come concepisce questo [548] curioso meccanismo attraverso il
quale gli istinti, senza avere alcuna relazione di natura con la conoscenza, possono, attraverso il loro semplice
gioco, produrre, fabbricare, inventare una conoscenza che non ha nulla a che vedere con essi? Ecco la seconda
serie di problemi che vorrei affrontare.
Esiste un testo della Gaia scienza ( 333) che possiamo considerare come una delle analisi pi rigorose che N. ha
fornito di questa fabbricazione, invenzione della conoscenza. In quel lungo testo intitolato "Che cosa significa
conoscere?" N, riprende un testo di Spinoza, nel quale venivano contrapposti intelligere (comprendere), da un
lato, e ridere, lugere, detestari dall'altro. Spinoza diceva che, se vogliamo capire le cose, se vogliamo
comprenderle nella loro natura, nella loro essenza, e dunque nella loro verit, occorre che evitiamo di riderne, di
deplorarle o detestarle. Solo se queste passioni si placano possiamo comprendere. N. non solo dice che questo non

vero, ma anche che proprio il contrario a realizzarsi effettivamente. Intelligere, comprendere, non nulla pi
che un certo gioco o, meglio, il risultato di un certo gioco, una certa composizione o compensazione tra ridere,
lugere, detestari. N. dice che comprendiamo solo perch dietro tutto questo ci sono il gioco e la lotta di questi tre
istinti, di questi tre meccanismi, o di queste tre passioni che sono il deridere, il deplorare, il detestare/maledire
(Verlachen, Beklagen, Verwnschen).
Innanzitutto dobbiamo notare che queste tre passioni, o queste tre pulsioni [...] hanno in comune il fatto di essere
un modo non di avvicinarsi all'oggetto, o di identificarsi con esso, bens di mantenerlo a distanza, di
differenziarsene o di porsi in rottura con esso, di proteggersi da esso attraverso il riso, di svalorizzarlo attraverso il
pianto, di allontarlo ed eventualmente distruggerlo attraverso l'odio. Di conseguenza, tutte queste pulsioni che
sono alla radice della conoscenza e la producono, hanno in comune la messa a distanza dell'oggetto, una volont
di allontanarsene e di allontanarlo allo stesso tempo, e, infine, di distruggerlo. Dietro la conoscenza c' una
volont, senza dubbio oscura, non di portare l'oggetto verso di s, di identificarsi con lui, ma, al contrario, una
volont oscura di allontanarsene e distruggerlo. Malignit radicale della conoscenza.
[549] Si arriva cos a una seconda idea importante: che queste pulsioni (ridere, piangere, detestare) siano tutte
dell'ordine delle malvage relazioni. Dietro la conoscenza, alla radice della conoscenza, N. non mette una sorta di
affezione, di pulsione o di passione che ci farebbe amare l'oggetto da conoscere, ma piuttosto delle pulsioni che ci
piazzino in posizione di odio, disprezzo o rimpianto delle cose che minacciano e sono presuntuose.
Se queste tre pulsioni (ridere, deplorare, odiare) arrivano a produrre la conoscenza, non , secondo N., perch si
sono placate, come in Spinoza, o riconciliate, o perch sono giunte a un'unit. , al contrario, perch hanno lottato
tra loro, perch si sono affrontate. perch queste pulsioni si sono combattute, perch hanno tentato [...] di
nuocersi l'un l'altra, perch sono in stato di guerra, in una stabilizzazione momentanea di questo stato di guerra,
che arrivano a una specie di stato, di scissione (coupure), dove finalmente la conoscenza apparir come la
"scintilla che scaturisce dallo scontro tra due spade".
Non c' dunque, nella conoscenza, una adaequatio all'oggetto, una relazione di assimilazione, ma piuttosto una
relazione di distanza e di dominazione; non c', nella conoscenza, qualcosa come felicit e amore, ma odio e
ostilit; non c' unificazione ma sistema precario di potere. [...] La filosofia occidentale [...] ha sempre
caratterizzato la conoscenza attraverso il logocentrismo, la somiglianza, l'adaequatio, la beatitudine, l'unit. Tutti
questi grandi temi sono ora rimessi in questione. [...] Nietzsche mette al centro, alla radice della conoscenza,
qualcosa come l'odio, la lotta, la relazione di potere.
[...] Se vogliamo sapere che cos' la conoscenza non dobbiamo avvicinarci alla forma di vita, di esistenza, di
ascetismo propria del filosofo. Se vogliamo davvero conoscere la conoscenza, sapere che cosa essa sia, [550]
coglierla nella sua radice, al momento della sua fabbricazione, dobbiamo avvicinarci non ai filosofi ma ai
politici, dobbiamo comprendere quali siano le relazioni di lotta e di potere. solo in queste relazioni di lotta e
potere, attraverso il modo il cui le cose tra loro, gli uomini tra loro si odiano, lottano, egli uni cercano di dominare
gli altri, di esercitare su di loro relazioni di potere, che possibile comprendere in che cosa consista la
conoscenza.
Possiamo allora capire come un'analisi di questo tipo ci introduca, in modo efficace, a una storia politica della
conoscenza, a fatti di conoscenza e al soggetto della conoscenza.
[...] Ho preso questi testi di Nietzsche in funzione dei miei interessi, non per dimostrare che questa fosse la
concezione niciana della conoscenza [...] ma per mostrare che esiste in N. un certo numero di elementi che
mettono a nostra disposizione un modello per un'analisi storica di ci che chiamerei la politica della verit. un
modello che si trova effettivamente in Nietzsche, e penso anche che costituisca nella sua opera uno dei modelli
pi importanti per la comprensione di qualche elemento apparentemente contraddittorio della sua concezione della
conoscenza. [...] [551] [Contro Kant] Nietzsche vuol dire che non c' una natura della conoscenza, una essenza
della conoscenza, delle condizioni universali della conoscenza, ma che la conoscenza , ogni volta, il risultato
storico e puntuale delle condizioni che non sono di ordine conoscitivo. La conoscenza in effetti un evento che
pu essere piazzato sotto il segno dell'attivit. La conoscenza non una facolt o una struttura universale. Anche
quando utilizza un certo numero di elementi che possono sembrare universali, la conoscenza sar solamente
dell'ordine del risultato, dell'evento, dell'effetto.
Possiamo cos comprendere una serie di testi nei quali N. afferma che la conoscenza ha un carattere prospettico.
[...] N. non vuol dire che sarebbe un mlange di kantismo e di empirismo, che la conoscenza sia limitata,
nell'uomo, da un certo numero di condizioni, di limiti derivati dalla natura umana, dal corpo umano o dalla
struttura stessa della conoscenza. [...] Sostiene invece che non c' conoscenza se non sotto forma di un certo
numero di atti che sono diversi tra loro e multipli nella loro essenza; atti attraverso i quali l'essere umano si
impadronisce violentemente di un certo numero di cose, reagisce a un certo numero di situazioni, impone loro dei
rapporti di forza. In altri termini, la conoscenza sempre una certa relazione strategica nella quale l'uomo si trova
situato. questa relazione strategica che definisce l'effetto della conoscenza ed per questo che sarebbe
totalmente contraddittorio immaginare una conoscenza che non sia per sua stessa natura parziale, obliqua,
prospettica. Il carattere prospettico della conoscenza non deriva dalla natura umana, ma sempre dal carattere

polemico e strategico della conoscenza. Si pu parlare del carattere prospettico della conoscenza perch c' una
battaglia, e la conoscenza l'effetto di questa battaglia.
per questo che troviamo in Nietzsche l'idea, che [552] ritorna di continuo, che la conoscenza sia allo stesso
tempo ci che c' di pi generalizzante e di pi particolare. La conoscenza schematizza, ignora le differenze,
assimila le cose tra loro, e questo senza alcun fondamento nella verit. Per questo fatto, la conoscenza sempre un
misconoscere. D'altro lato, sempre qualcosa che prende di mira, in modo maligno, insidioso e aggressivo,
individui, cose, situazioni. Non c' conoscenza se non nella misura in cui, tra l'uomo e ci che conosce, si
stabilisce, si trama qualcosa come una lotta singolare, un tte--tte, un duello. C' sempre nella conoscenza
qualcosa che dell'ordine del duello e che la rende sempre singolare. Questo il carattere contraddittorio della
conoscenza, quale definito nei testi di Nietzsche, che apparentemente si contraddicono: generalizzante e sempre
singolare.
Ecco come [...] possibile costruire non una teoria generale della conoscenza ma un modello che permetta di
approcciare l'oggetto di queste conferenze: il problema della formazione di un certo numero di domini di sapere a
partire dai rapporti di forza e delle relazioni politiche nella societ.

2. FERNANDO PERISSINOTTO, NIETZSCHE, LO ZARATHUSTRA, L'ETERNO RITORNO


L'opera di Nietzsche, fino alla stesura dello Zarathustra.

Agli inizi del 1883 Nietzsche durante il suo soggiorno a Rapallo inizia la prima stesura di Cos parl Zarathustra
che terminer, nel corso dei suoi pellegrinaggi tra Sils Maria nell'Alta Engadina e Nizza, nel 1885. Tutta la critica
nietzschiana concorda sulla centralit di questo testo nell'opera del filosofo tedesco. 1)
L'opera di Nietzsche, fino alla stesura dello Zarathustra, aveva conosciuto, pur nella complessa profondit delle
tematiche trattate, una sua articolata coerenza che pu essere forse riassunta, con grande approssimazione, nei
temi centrali della scoperta della decadence come cuore pulsante della storia della cultura occidentale; dello
smascheramento delle "cattive maschere" della morale, della religione della metafisica; della dialettica del
nichilismo. 2)
Come Nietzsche ben spiega gi nel 1872, in un testo che sar pubblicato dopo la sua morte, Verit e menzogna in
senso extramorale, la stessa capacit proteiforme e metaforica che sta alla base della produzione artistica e
mitica, che, in determinate condizioni di dominio sociale, porta la societ a produrre quelle maschere e quelle
metafore che si fisseranno nelle verit immutabili della metafisica, solo che in questo caso si perde coscienza
dell'origine arbitraria di queste finzioni che si cristallizzano nel Mondo vero contrapposto ad un mondo apparente.
Il mondo vero diviene cos, non solo fondamento, ma anche giustificazione e criterio del mondo apparente. Il
senso, la verit sono poste fuori dalla dimensione della nostra esistenza che, proprio in quanto necessita di una
giustificazione e di un fondamento fuori di s, avvertita come incompleta, parziale, colpevole. Ha qui origine la
decadenza e il nichilismo che contraddistinguono la nostra cultura e nei confronti della quale Nietzsche compie un
opera sistematica di smascheramento. 3)
Da dove proviene infatti la nostra volont di smascheramento se non proprio da quell'imperativo incondizionato
alla ricerca della verit che iscritto nella stesso atto di produzione di un mondo vero, contrapposto al mondo
apparente? E' cos la stessa volont di verit che sta alla base della svalutazione del mondo del divenire e
dell'apparenza che, in un processo autoconsuntivo, giunge a dissolvere se stessa, a smascherare le sue radici non
certo divine o incondizionate, ma umane, troppo umane.
"Ebbene si sar compreso dove voglio arrivare vale a dire che pur sempre una fede metafisica quella su cui
riposa la nostra fede nella scienza; che anche noi, uomini della conoscenza d'oggi, noi atei e antimetafisici,
continuiamo a prendere anche il nostro fuoco dall'incendio che una fede millenaria ha acceso, quella fede cristiana
che era anche la fede di Platone, per cui Dio verit e la verit divina...Ma come possibile, se proprio questo
diventa sempre pi incredibile, se niente pi si rivela divino salvo l'errore, la cecit, la menzogna, se Dio stesso si
rivela come la nostra pi lunga menzogna" 4)
La figura finale che corona i testi nietzschiani di questo periodo pare cos essere quella dello spirito libero, di colui
che raggiunta la coscienza della radicale insensatezza del reale, del suo darsi come flusso libero e disancorato di
apparenze, non rimane per paralizzato dall'angoscia, orfano di Dio e di una forma di giustificazione superiore,
ma matura una "buona volont delle apparenze" trovando una realizzazione estetica per la propria esistenza nel
gioco consapevole delle apparenze. 5)

La riproposizione di nuovo mito: Zarathustra e il suo annuncio dell'Eterno Ritorno.

Se si cos parlato di una fase illuministica per questi scritti di Nietzsche, non esiste per il filosofo tedesco
contraddizione fra lo smascheramento e la desacralizzazione di questi testi e la riproposizione di nuovo mito:
Zarathustra e il suo annuncio dell'Eterno Ritorno. 6)
La tesi dell'Eterno Ritorno nella sua essenzialit costituisce una frattura profonda con la concezione progressiva
del tempo maturata nell'ambito del pensiero ebraico-cristiano e che si trova alla base, come fa notare Karl Lwith,
delle filosofie secolarizzate della storia da Condorcet a Comte da Hegel a Marx. 7)
L'inattualit straniante di tale concezione comporterebbe per Nietzsche il vantaggio di poter pensare alla vita a
prescindere da un senso trascendente o ad essa immanente: all'interno di una concezione circolare del tempo non
possiamo tanto sostenere che l'istante che viviamo stato causato dalla successione degli istanti precedenti,
quanto che l'istante presente sia alla radice degli sviluppi futuri. 8)
Quindi, la dottrina dell'Eterno Ritorno, risucchiando la storia nella ciclicit della natura, costituisce la
congiunzione astrale di tempo ed eternit, di divenire ed essere. Eternit e temporalit non sono, come pretende il
pensiero cristiano da Agostino in poi, due dimensioni antitetiche e incomunicabili, l'una propria della perfezione
divina l'altra della caducit mondana, ma coincidono nell'infinito ritorno dell'istante. L'immagine decisiva a cui
Zarathustra-Nietzsche associa l'Eterno Ritorno quella, densa di riferimenti panici, del grande meriggio: l'istante
senza tempo in cui il sole si trova immobile nel punto pi alto del cielo, l'istante in cui tutto tace addormentato
nella luce abbagliante, l'istante in cui con l'apparire di Pan, tempo ed eternit coincidono. Proprio il riferimento
alla natura panica del meriggio e al suo legame con l'Eterno Ritorno pongono per una serie di problemi
interpretativi che svelano la natura ambigua del pensiero nietzschiano. Come nota giustamente Lwith
riprendendo una felice intuizione di Karl Schelekta, proprio quando, nell'evocazione del meriggio panico,
Nietzsche sembra riaffermare una concezione arcaica e pagana del tempo nell'abbandono dell'uomo all'apertura
dispiegata della physis, si ripresenta invece l'hybris della decisione. 9)
Se Zarathustra svela il pensiero dell'Eterno Ritorno, l'Ubermensch, invocato dal profeta iranico, colui che vuole
l'Eterno Ritorno o, se vogliamo seguire il primo, inaudito annuncio della Gaia Scienza, colui che capace di non
essere schiacciato, stritolato da questo pensiero.
"Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella pi solitaria delle tue solitudini e ti
dicesse: <>. Non ti rovesceresti a terra, drighignando i denti e maledicendo il demone che cos ti ha parlato?
Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: <>. Se quel
pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la
domanda per qualsiasi cosa: <
Riflettendo proprio su questo aforisma, come chiave interpretativa dello Zarathustra, gi G. Simmel nel 1907, a
ridosso dell'esperienza nietzschiana, aveva interpretato la figura dell'Eterno Ritorno nello spazio della volont e
della decisione. 10)
Se nell'annuncio di Zarathustra l'Eterno Ritorno si presenta come nuovo inizio, il concetto stesso di ritorno non
stride forse con quello di inizio? O ancora, come evidenziano in modo diverso sia Lwith che Heidegger, il
concetto stesso di Eterno Ritorno non si presenta come un enigma racchiuso in un ossimoro? Se l'eternit fa
riferimento ad una temporalit senza inizio ne fine, il ritorno richiama ad una temporalit finita in cui sono
reperibili un prima e un dopo che permettono di definire l'idea stessa di ritorno. Forse, non tanto per uscire dalla
contraddizione, quanto per coglierne la radicalit, bisogna allontanarsi da quel paradigma che abbiamo fino qui
mantenuto come decisivo nell'interpretazione dell'Eterno Ritorno: il modello della circolarit. Seguendo
l'intuizione di Deleuze, folgorante nel suo capitale testo su Nietzsche e approfondita in seguito in Differenza e
Ripetizione, ci che torna sempre identico nel divenire non forse la differenza? La necessit che si afferma
sempre uguale non sarebbe cos altro che il differire del divenire, la necessit che si manifesta, il ritorno
incessante del caso che genera di continuo nuove e inaspettate combinazioni. 11)
Del resto come nota con acume G.Vattimo nella sua imprescindibile interpretazione, ma come del resto gi la
scuola francese da Deleuze a Foucault a Pautrat aveva dimostrato, la figura del circolo, se presenta una prima
approssimazione dell'Eterno Ritorno, deve essere abbandonata nel momento in cui si voglia penetrare realmente
nelle profondit del pensiero abissale di Zarathustra cos come ci viene presentata nel decisivo passo nietzschiano:
la visione e l'enigma
"Tutte le cose dritte mentono, borbotto sprezzante il nano. Ogni verit ricurva, il tempo stesso un circolo". "Tu
spirito di gravit! - dissi io incollerito - , non prendere le cose troppo alla leggera!...Guarda, - continuai quest'attimo! Da questa porta carraia che si chiama attimo, comincia all'indietro una via lunga, eterna: dietro di noi
un'eternit. Ognuna delle cose che possono camminare, non dovr forse avere gi percorso una volta questa via?

Non dovr ognuna delle cose che possono accadere, gi essere accaduta, fatta trascorsa una volta? E se tutto gi
esistito: che pensi, o nano, di quest'attimo? Non deve essere questa porta carraia - esserci gi stata? E tutte le cose
non sono forse annodate saldamente l'una all'altra, in modo tale che questo attimo trae dietro di s tutte le cose
avvenire? Dunque anche se stesso?"
E' chiaro che in questo passo si scontrano due formulazioni dell'Eterno Ritorno, quella del nano e quella di
Zarathustra. La formulazione del nano quella canonica del ritorno: tutto ritorna per cui non esiste un senso, una
direzione del tempo. 12)
Ma la dimensione dell'Eterno Ritorno cos come presentata da Zarathustra va oltre l'ambito teorico, investe la
dimensione pratica come mostra il terzo momento: la visione del pastore strangolato dalla serpe.
"E, davvero, ci che vidi, non l'avevo mai visto. Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto
in viso, cui un greve serpente nero penzolava dalla bocca...La mia mano tir con forza il serpente, tirava e tiravainvano! non riusciva a strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggi dalla bocca: "Mordi! Mordi!
Staccagli il capo! Mordi!", cos grid da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia piet, tutto
quanto in me - buono o cattivo - gridava da dentro in me fuso in un sol grido.-...Voi che amate gli enigmi!
Sciogliete dunque questo enigma che io allora contemplai, interpretatemi la visione del pi solitario degli
uomini!... Chi il pastore, cui il serpente strisci in tal modo entro le fauci? Chi l'uomo, cui le pi grevi e le pi
nere tra le cose strisceranno nelle fauci? -Il pastore, poi, morse cos come gli consigliava il mio grido; e morse
bene! lontano da s sput la testa del serpente -: e balz in piedi. - Non pi pastore, non pi uomo, - un
trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!"
Il morso del pastore la decisione, mentre il serpente (figura della circolarit) la dottrina stessa dell'Eterno
Ritorno nella sua duplice accezione della falsa circolarit, che viene rinnegata, e della reale affermazione
dell'identit fra esistenza e senso nell' "attimo immenso" dell'Eterno Ritorno. 13)
Come gi il soggetto che decide per l'Eterno Ritorno, l'attimo nella dimensione dell'Eterno Ritorno, non una
sospensione del divenire, ma esso stesso divenire: un fascio di innumerevoli relazioni temporali, ma in quanto
tali relazioni sono incessantemente mutevoli, esso stesso deve mutare senza posa. 3b) Come il soggetto
tradizionale della metafisica e della morale, il soggetto responsabile, osservatore neutrale e distaccato stritolato
dall'interpretazione decisiva dell'Eterno Ritorno, cos anche la visione tradizionale del tempo, quella per cui ogni
istante trova il suo senso fuori di s, nel rinvio alla concatenazione passata degli eventi e/o nell'aspettativa della
risoluzione e della redenzione finale, radicalmente negata. Tutto il senso, tutto il valore non al di fuori
dell'attimo, ma immanente ad esso. 14)
La figura del pastore cos quella dell'Oltreuomo, di colui che sa dispiegare il versante creativo della volont di
potenza, colui per il quale la volont di potenza non pi negazione, ma volont di affermazione, s alla vita: il
fanciullo della terza metamorfosi annunciata da Zarathustra.

Conclusione

Alla luce di questa interpretazione forse possibile evocare una figura dell'oltreuomo ben distante sia dalla bestia
bionda trionfante, dal dominatore violento, che dal soggetto dispiegato della metafisica della volont di potenza.
Se il passato non incombe pi sul presente con il peso dell'autorit del gi dato, da cui deriva la nostra condizione
di gettatezza (gli storpi a cui parla Zarathustra nel brano Della Redenzione), dell'immutabile che grava sul
presente, ma innerva l'evento come del resto il futuro permea l'attimo, l'attivit dell'oltreuomo, di colui che
decidendosi per la dimensione diveniente e differente del tempo ha spezzato i legami con il soggetto della
metafisica, sar quella del gioco debordante delle interpretazioni. Nell'interpretazione si risponde cos all'appello
che giunge dall'evento, si risponde e corrisponde ad un segnale che non per mai un dato originario, ma rinvia a
stratificazioni mobili di sensi, a conflitti precedenti di interpretazioni e nello stesso tempo si ricostruisce, nel
compito genealogico, proprio quella sedimentazione di maschere e finzioni che costituiscono il dato in un
conflitto sempre aperto e diveniente in cui lo stesso soggetto interpretante pi che essere l'artefice del gioco
costantemente giocato. Non esistono fatti, ma interpretazioni, sostiene Nietzsche alla fine della sua parabola
speculativa, e questa affermazione, lungi dallabbandonarsi alla deriva soggettivistica, coinvolge lo stesso soggetto
interpretante nel flusso delle interpretazioni: l'interpretazione infatti pi che svelare un senso riposto lo produce,
ma questo vuol dire che lo spazio stesso in cui risiede il soggetto interpretante lo spazio mobile di un divenire
interpretante che lo precede e a cui non pu che corrispondere. Forse, al di l dello stesso Nietzsche, si apre la
prospettiva dell'oltreuomo come soggetto depotenziato che gioca ed giocato nel conflitto delle interpretazioni,
mentre la volont di potenza, perdendono ogni connotazione aggressiva e violenta, si riscopre come volont di
interpretazione, policentrica e diveniente.

NOTE, OSSERVAZIONI
1) Sia per quanto concerne la prima presentazione delle tematiche che caratterizzeranno il suo pensiero maturo, la
riflessione su bermensch, sull'Eterno Ritorno e sulla Volont di Potenza, sia per la natura sperimentale della
scrittura dello Zarathustra che nella sua forma narrativa, metaforica, poetica, rompe radicalmente con la tradizione
sistematico-argomentativa della filosofia. Il testo di Nietzsche sembra infatti prescindere da qualsiasi struttura
dimostrativa riproponendo provocatoriamente la perentoriet allusiva della dimensione mitica, giocando sulle
corde di uno stile allo stesso tempo evocativo, profetico, ma anche parodistico ironico e autoironico: stile e forma
che non rivestono tanto un contenuto, ma che diventano corpo portante del messaggio nietzschiano impegnato
nella ricerca di una sovraragione, policentrica, mobile, asistematica, capace, pi che comprendere, di modellarsi
sui suoi oggetti: il divenire, il caso e la sua necessit. Per questo motivo sicuramente lo Zarathustra stato ed il
testo pi letto e amato di Nietzsche, ma certamente anche quello pi frainteso, pi equivocato, scontando cos un
destino di ambiguit che del resto coessenziale al suo stesso determinarsi e prodursi.
2) Apertasi con la provocatoria rinterpretazione della classicit nel suo testo sulla tragedia, la riflessione di
Nietzsche scopre alla radice della nostra stessa civilt un processo di progressivo occultamento e rifiuto della
molteplicit debordante e diveniente della vita. L'incapacit di guardare fino in fondo l'abisso di insensatezza su
cui poggia la nostra esistenza, l'angoscia nei confronti della contraddizione quale cifra del nostro essere, profonda
verit che emerge nel pensiero tragico, porta l'uomo a negare e sfuggire l'instabilit costitutiva del suo essere, a
ipostatizzare, contro lo spalancarsi ingiustificato contraddittorio, ma innocente dell'apparire, un mondo vero, di
essenze eterne, di verit, immutabili, di leggi necessarie universali: il mondo della religione, della metafisica, della
morale, della verit.
3) La novit della riflessione nietzschiana nei confronti della tradizione illuministica, a cui vengono riallacciate le
opere di questo periodo, sta nella lucidissima consapevolezza che non si tratta tanto di operare un semplice
ribaltamento dialettico, un ritorno, sul modello di Feurebach, dell'essenza dell'uomo, dall'alienazione: in primo
luogo perch non esistono essenze eterne e immutabili, in secondo luogo perch lo smascheramento iscritto
nella stessa storia del nichilismo e della decadenza.
4) Il valore e il significato della nota sentenza nietzschiana "Dio morto", sta proprio in questa rivelazione. Non si
tratta di una semplice professione di ateismo, ma dalla constatazione che la morte di Dio ha un carattere
eventuale: l'evento decisivo della storia del nichilismo, un evento di cui non si ha ancora piena coscienza perch
il suo darsi epocale, storico. Dio per Nietzsche il luogo stesso dei valori oltre che il loro fondamento ultimo e il
suo venir meno non pu essere il frutto di una semplice confutazione teorica, ma di un processo che coinvolge
tutte le condizioni di vita dell'uomo. Annunciare che Dio morto e che siamo "noi" ad averlo ucciso, vuol dire
siamo entrati in una dimensione in cui abbiamo sempre meno bisogno delle forme di rassicurazione e
giustificazione che avevano imposto la finzione del mondo vero, anche se l'uomo non sembra ancora pronto ad
accogliere questo annuncio: "Dio morto: ma stando alla natura degli uomini, ci saranno forse ancora per millenni
caverne nelle quali si additer la sua ombra. E noi - noi dobbiamo vincere anche la sua ombra" (F.Nietzsche, op.
cit, pag. 114)
5) "La nostra ultima gratitudine verso l'arte. Se non avessimo consentito alle arti ed escogitato questa specie di
cultura del non vero, la cognizione dell'universale non verit e menzogna che ci fornita dalla scienza, - il
riconoscimento dell'illusione e dell'errore come condizioni dell'esistenza conoscitiva e sensibile, - non sarebbe
affatto sopportabile. Le conseguenze dell'onest sarebbero la nausea e il suicidio. Ora per la nostra onest ha una
controforza che ci aiuta ad eludere tali conseguenze: l'arte intesa come buona volont dell'apparenza."
(F.Nietzsche, op. cit, pag. 112)
6) Nietzsche stesso racconta come germin in lui l'idea di Eterno Ritorno nell'agosto del 1881 sulle rive del lago
di Silvaplana nei boschi dell'Alta Engadina "a seimila piedi al di l dell'uomo e del tempo". Come spiega Charles
Andler nella sua monumentale monografia su Nietzsche le fonti dell'idea sono molteplici: dall'antica filosofia
presocratica, al pensiero stoico, alle radici orientali della dottrina: la stessa Persia di Zarathustra/Zoroastro e le
filosofie indiane, fino alle rinterpretazioni contemporanee come quella presente in un testo del fisico tedesco F.G.
Vogt che, proprio pochi anni prima dell'illuminazione nietzschiana, riformulava l'ipotesi sulle basi dei presupposti
matematici della scienza moderna.
7) Se queste leggono la storia secondo lo schema di un processo lineare con un inizio (la creazione), un senso, nel
duplice significato di una direzione che stabilisce la scansione fra un prima e un dopo nel flusso del tempo e di
una verit o di un valore che si realizza nella e attraverso la storia, ed un fine iscritto nell'orizzonte della

redenzione, l'idea dell'Eterno Ritorno, la dottrina che tutti gli eventi del mondo sono destinati a tornare infinite
volte e nell'ordine stesso della loro manifestazione, ripresenta provocatoriamente, sempre secondo le parole di
Lwith, una concezione pagana del tempo in aperta controtendenza con l'affermarsi della modernit nella
secolarizzazione del messaggio cristiano.
8) Le dimensioni del tempo perdono quindi la loro stabilit: il passato si confonde con il futuro, l'avvenire ci
proviene dalle profondit del passato, mentre il presente ripete e ripeter sempre ci che sar ed stato. Nella confusione dei tempi ci che viene meno cos, assieme all'idea di un'origine in cui si conserva la verit essenziale
del divenire, anche quella di fine. Se non esiste un senso trascendente verso cui tende il cammino degli uomini,
neppure iscritto nella storia un telos che ne indirizzi il divenire. Questo vuol perci anche dire che l'instancabile
e immotivato ritorno di ogni evento, il cieco divenire dell'essere, non attende nessun compimento: non esiste
nessuna meta finale che riscatti e dia un senso al tornare incessante di ogni evento. Il divenire riconquista la sua
innocenza, privo di qualsiasi giustificazione o redenzione.
9) Non ci si deve infatti lasciar ingannare dall'enfasi profetica delle parole di Zarathustra: ci che qui viene
annunciato non la struttura metafisica dell'essere, non quindi il riproporsi di una verit assoluta, ma un
interpretazione decisiva, che si sa, si conosce, si vuole come interpretazione, un interpretazione per cui bisogna
decidersi, un interpretazione che comporta un nuovo inizio: "La caratterizzazione nietzschiana del meriggio
quindi perci sempre ambigua: l'atmosfera panica costantemente attraversata e turbata dall'idea non pagana e
innaturale secondo cui l'ora del meriggio un'ora della <>...il tempo della festa del <> sar un evento
escatologico. Mentre nell'ora di Pan si rivela ci che per natura sempre si ripete, con il grande meriggio
dell'anticristo-Zarathustra ha inizio qualcosa di totalmente nuovo e definitivo" (K. Lwith, Nietzsche e l'Eterno
Ritorno, Roma-Bari, 1985, II ed. pag. 105)
10) L'Eterno Ritorno nella lettura di Simmel assumerebbe la funzione di un idea regolativa sul modello kantiano:
l'agire dell'uomo dovrebbe conformarsi, in una adeguazione all'infinito, all'idea dell'Eterno Ritorno. L'uomo per
realizzarsi pienamente dovrebbe amare e affermare la propria vita, ogni istante della propria vita, come se questo
dovesse tornare eternamente. L'analisi di Simmel, in parte ripresa anche da Lwith, se ha il merito di eviden-ziare
la natura non metafisica, interpretativa, della dottrina dell'Eterno Ritorno appare per, per certi versi, troppo
tranquillizzante e rasserenante, smorza e occulta le contraddizioni incapsulate nel pensiero nietzschiano.
11) Se questa interpretazione coerente allora, come evidenzia G.G.Pasqualotto, potremmo utilizzare come
criterio interpretativo dell'Eterno Ritorno un altro aforisma della Gaia Scienza: "...non esiste pi nessuna ragione
in ci che accade, nessun amore in ci che accadr - pi non si dischiude al suo cuore un asilo di pace, in cui vi sia
soltanto da trovare e non pi da cercare, ti stai difendendo da qualsiasi ultima pace, tu vuoi l'Eterno Ritorno di
guerra e di pace...". (F.Nietzsche, op. cit., pag.158) Contro ogni volont di pacificazione definitiva e stabilizzante,
sia anche questa la chiarezza accecante del meriggio pagano (ti stai difendendo da qualsiasi ultima pace), ci che
torna e si riproduce sempre di nuovo il contrasto irrisolto di guerra e pace od ancora, in senso pi profondo, il
differire precario e diveniente conflittuale (tu vuoi l'Eterno Ritorno di guerra e pace).
12) E' lo spirito di gravit che qui ha parlato, il nichilismo passivo che vista la rovina di tutti i valori sui cui ha
poggiato la sua esistenza, si sente in preda all'angoscia e alla disperazione per la perdita del senso. Ma in questo
modo il nano, il nichilista passivo, non si rende conto d'essersi preservato dal processo dell'Eterno Ritorno. E'
infatti per il soggetto che si pone come punto centrale "presente" e, nello stesso tempo, spettatore esterno alla
vicenda del divenire insensato che questo spettacolo pu apparire disperante. Solo se si vive ancora nella
fascinazione del senso e della verit, la rivelazione della causalit innocente del divenire pu suscitare orrore. Per
Zarathustra, per il nichilismo che si fa attivo, non esiste pi un punto di vista privilegiato, un soggetto distaccato e
spettatore, da cui constatare angosciati la perdita di senso del divenire perch l'attimo stesso della visione tratto
nell'abisso della circolarit: non si danno cos centri spiazzati da cui giudicare l'insensatezza. Tutto gioco di
maschere e finzioni e la stessa verit dell'Eterno Ritorno soggetta al ritorno incessante dell'interpretazione. Colui
che si ricomprende nel vortice delle finzioni e delle interpretazioni cos lo spirito libero che vive la buona
volont dell'apparenza.
13) Attimo ci che sta scritto sopra la porta carraia in cui converge l'eternit del passato e quella del futuro, ma
nell'attimo sono, secondo le parole di Nietzsche, saldamente annodate tutte le cose, "in modo tale che questo
attimo trae dietro di s tutte le cose a venire? dunque anche se stesso." Nell'attimo perci precipitano e scorrono
tutti i tempi intimamente intrecciati, vivere l'Eterno Ritorno cos esperire l'attimo come simultaneit di tutti i
tempi, ma nello stesso tempo percepirlo non come istante immobile e atemporale, ma come spazio mobile di
confluenza della temporalit. Per questo l'attimo " illimitato, connesso ad un numero illimitato di tempi, tessuti
di storie antenate ed eredi: esso, infatti non qualcosa di finito nel tempo, ma tempo e in quanto tale, partecipa
della sua infinitezza"

14) Al di l della dimensione del nichilismo passivo, che solamente consapevole dell'assenza di senso e che
soffre di questa o si rifugia nella giustificazione estetica dell'esperienza come lo spirito libero, il decidersi per la
dimensione dell'Eterno Ritorno vuol dire riscoprire l'unit inaudita di senso e valore: la parola finale non cos
l'assenza di senso, la fine dei valori, ma la trasmutazione di tutti valori, l'attivit creatrice dell'oltreuomo che pone
sensi e valori nuovi. Questo non vuol dire per , come abbiamo visto, che la dimensione temporale acquisisca la
stabilit e l'assolutezza della verit trascendente, quanto che la verit e il senso assumano il valore precario e
diveniente dell'esistenza. Il vero nemico dell'Eterno Ritorno, della coincidenza fra valore e senso, cos il
soggetto della metafisica e della morale tradizionale, che non riesce a pensare la coincidenza tra evento e senso se
non con terrore e disgusto perch ancorato ad una concezione stabile, definita, necessaria della verit. Dire infatti
che il significato e il valore non trascendono l'evento dell'esistenza, non deve essere pensato per Nietzsche,
hegelianamente, come l'inverarsi del finito nell'infinito, quanto che il senso, non ponendosi pi fuori del fluire del
divenire, non riposando pi nella dimensione dell'essere, assume la precariet, la mobilit, l'instabilit del
divenire.

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