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Il concetto di ritmo nella teoria greca

Menadismo

1 Valenza metaforica del concetto di ritmo Crediamo tutti di sapere cosa significhi ritmo, finch non proviamo a definirlo: se andassimo a cercare su un vocabolario una definizione di ritmicit, ci verrebbero incontro una serie di definizioni vaghe, e velate da qualche ambiguit: lespressione in generale, viene riportata immediatamente ad uno svolgersi di fenomeni, secondo un determinato ordine, oppure alla successione armonica di forme nello spazio (il ritmo che regola larticolarsi di un edificio o le posizioni dei personaggi in una scultura, o in un dipinto). Avvicinandoci ad una definizione connessa pi strettamente al musicale, verremo indirizzati verso un succedersi di suoni, cadenze o di accenti allinterno di una frase, oppure verso la struttura di una battuta musicale:levocazione di un movimento, mette in gioco lidea di forte regolarit. Tutto ci molto chiaro, se non fosse che non ci viene mai detto su cosa si basino queste regolarit: non appena chiediamo come si passi da una formula matematica astratta come due quarti alla dimensione cinetica che pervade una forma di musicalit, avvertiamo subito dei problemi, come uno scivolamento dal terreno del numero a quello del movimento e mentre danziamo, forse, non saremmo disposti a dire che ci muoviamo in un dato modo solo perch la musica ci impone la misura due quarti, saremmo anzi piuttosto sorpresi se dal del carattere di un movimento ci dovessimo limitare ad indicare solo una forma matematica. Il problema del ritmo prende consistenza proprio sul tendersi di questa definizione, su u terreno in cui corporeo, numerico e musicale, in senso latissimo, coagulano uno sullaltro, creando una forte opacit. Sappiamo cogliere con immediatezza le metafore ritmiche, ma non sappiamo estrinsecare puntualmente il senso cui mirano:le nostre definizioni si appannano immediatamente, possiamo indicare un ritmo, ma la sua definizione ci sfugge subito dalle mani. La cultura greca ha colto immediatamente questo lato del problema, e attraverso una serie di distinzioni sottili, ma essenziali, ci spinge a trovare una definizione rigorosa del concetto di ritmo. Proviamo ad avvicinarci, trattenendoci ancora su un piano generale, alla nascita di questo problema. Abbiamo parlato di regolarit, e nelle definizioni di ritmo si intrecciano strettamente due nozioni: la prima quella di misura, la seconda quello di processo. I presupposti che ci fanno riconoscere unarticolazione ritmica sembrano prendere spessore ne connettersi di almeno due operazioni, distinte fra loro: perch si dia un ordine ritmico nello svolgersi di fenomeni o nellinseguirsi delle forme nello spazio, bisogna che sia stato fissato un criterio, che permetta di misurare la distanza, lintervallo temporale, fra un evento ed un altro, o fra un elemento spaziale e laltro. Allindividuazione di questa struttura modulare, deve affiancarsi la possibilit di ripeterla a piacimento, di iterarla come regola costruttiva che stringe fra loro gli elementi di un intero: un gruppo di suoni vengono tenuti in trama, grazie ad un rapporto matematico che continua a ripetersi, organizzandone i rapporti temporali. Esiste dunque una scansione, una divisione ed una misurazione dellunit ritmicamente articolata: ed anche l, il vocabolario sembra darci una mano, indicando la radice latina della parola scandire (scandere), con una trasparente allusione al salire ed allo scendere del piede, nel momento in cui misuriamo la quantit di sillabe in un verso: perch ci sia ritmo, bisogna trovarsi di fronte ad una struttura chiusa, tanto che si tratti di un palazzo, di un verso o di una frase musicale, e poterne misurare lampiezza, quasi isolandola dal contesto che la circonda. Lesistenza di un ritmo separa la cosa dal mondo, porta in rilievo un modo di guardare alla forma della sua organizzazione: quando parliamo, ad esempio, del ritmo delle stagioni, come se prendessimo una totalit, lanno, la scomponessimo in quattro grandi quadranti, e guardassimo a quellintero, secondo le articolazioni offerte da quella relazione numerica. Il tempo, unit infinita che assorbe dentro di s infiniti istanti, pu essere misurato, lanno scandito. Totalit aperta e totalit chiusa richiamano operazioni concettualmente differenziate. Nel tempo uninfinit di proiezioni del medesimo elemento, listante, nellanno invece una totalit

chiusa, tagliata in quattro sezioni, che si abbracciano fra di loro. Abbiamo un intero, abbiamo delle parti, e la definizione di ritmo sembra immediatamente volgersi al modo in cui quella relazione stata misurata. Lanno diventato una totalit chiusa, il prodotto del succedersi di quelle quattro fasi. In qualche modo, organizzando una scansione, come se indicassimo esplicitamente il modo in cui un intero andato costituendosi rispetto alle occorrenze delle sue componenti. Lintero si fa processo, sviluppo successivo di fatti o di fenomeni, che hanno fra di loro un nesso: quel nesso, quellarticolazione stato fissato dalla misurazione stessa. In questo senso, il processo il risultato di unoperazione, con cui abbiamo sezionato qualcosa, lo abbiamo organizzato, rispetto ad una nozione di ordine, pi o meno elementare. Si tratta di uno strato elementare, che d ragione della superficie del fenomeno, e che vorremmo tentare subito di complicare un poco. Vi sono, infatti, aspetti di questo modo di presentare la questione che sembrano non essere molto chiari, tanto pi se andiamo a vedere la parola che, secondo il vocabolario, indica lorigine del termine ritmo: ritmo deriva dalla parola greca r(uqmoj. Si tratta di unespressione complessa, che indica, in generale, il ritmo, o un movimento regolato, un modo per cadenzare, e quindi, in senso lato misura, una proporzione, fino ad indicare la forma della calzatura, o la configurazione dei punti che scandiscono il prendere forma di una figura geometrica. La figura viene colta nel momento in cui viene tracciata, ed i punti indicano una tendenza interna alla configurazione, al modo in cui quella figura verr chiusa. Se disegno tre punti, il modo di congiungerli isoler immediatamente un piano, ed il r(uqmoj sembra indicare quella fase del movimento della penna in cui la figura non ancora disegnata fino in fondo, in cui vi un gioco fra la fluidit della forma non ancora chiusa e la tendenza interna, che va rafforzandosi, tratto dopo tratto, nella configurazione del suo profilo. Siamo di fronte ad una forma in movimento, scossa ancora da una cineticit interna, anche se orientata verso una risoluzione. La soluzione prende corpo nel momento in cui giungo al limite della chiusura, passando dalla configurazione o dalla disposizione delle parti, allarticolazione determinata dellintero. Il tema spaziale sembra coniugarsi ad un riferimento temporale, che ci parla della modalit del suo venire alla luce. Assumendo questa prospettiva, potremmo ripensare a tutti gli esempi che abbiamo finora citato, ed il concetto di ritmo sembra immediatamente guadagnare una mobilit inaspettata, che le placide formulazioni che andavamo sciorinando tendevano a nascondere. Cosa significa, infatti, scandire lanno secondo le stagioni, se non tentare di creare un sistema mobile di organizzazione del tempo, che ci permetta di individuare una serie di cesure possibili, che possano frenare, ed articolare, la fuggevolezza del tempo? Dobbiamo chiederci su cosa si appoggi la convenzione che sostiene il passaggio da una stagione allaltra, cosa ha di mira quella relazione: il fatto che il ciclo delle stagioni abbia un andamento circolare, pone alcuni problemi: da un lato quella circolarit permette che quel modello trovi nella ripetizione la possibilit di essere iterato a piacere, dallaltro esso ci pone di fronte ad un sistema di transizioni, che ha come scopo catturare una trasformazione che segmenta una lunga unit di tempo, permettendone una sorta di organizzazione interna. Prendendo come asse dorientamento lidea di mutamento, le stagioni si legano infatti al mutare del tempo, del clima: ogni passaggio da una stagione ad unaltra indica il radicalizzarsi di una tendenza. Il nesso interno la trasformazione delluna nellaltra, la morte delluna nellaltra, in un processo di chiusura e risoluzione, scandito dal mutamento. Il punto in cui avviene quella cesura, quel limite che devo toccare per articolare lintero, anchesso in movimento, e sembra che abbia, in realt, una consistenza tenue, una necessit logica ben opaca. Siamo di fronte ad una metafora ritmica, che si appoggia ad unimmagine, ma non appena cerchiamo di guardare dentro allimmagine, i concetti si appannano. Abbiamo solo arrestato la fluidit del tempo, con una serie di indicatori, che hanno una profonda flessibilit interna. Il senso della costruzione, visto da vicino, sembra assai povero. La forma della calzatura segue lidea di una fluidit intrappolata nel movimento. La calzatura deve adattarsi al movimento del piede, offrirgli un certo gioco interno, costruirsi e come un limite mobile, in grado di affrontare gli scarti imprevedibili del movimento. Quella formazione fluida,

scossa da un continuo mutamento di assetto, come per un profilo che deve calzare attorno a qualcosa, senza poterlo irrigidire: esiste cos lidea di una elasticit della forma, che sembra avvicinare il rapporto fra ritmo e forma a quello che intercorre fra un luogo, ed uno spazio che lo circonda. Nellidea di ritmo comincia cos a farsi largo, accanto a quella di una scorrevolezza che deve essere frenata, misurata, per mantenere la flessibilit dellandamento, una vaghezza scoraggiante. Lo stesso accade per la misura della sillabe del verso: una volta che abbiamo individuato una scansione, la dobbiamo seguire, ma seguire una scansione ritmica nella parola significa comunque dover organizzare tutta la trama del discorso, anche sul piano del significato, per non ridurre loggetto fuggevole, protetto da parola e metrica, ovvero il portato espressivo del discorso, in pura meccanicit. Avevamo in mano poco, or sembra che i concetti vadano tutti sciogliendosi fa loro. La nozione di processo, cambiata drasticamente di segno: non solo la connessione di elementi attraverso lindividuazione di un nesso, ma lostinata ricerca del senso interno di quel processo, per poterne mantenere intatta la configurazione nel tempo. Continuando la nostra lettura, troveremo un immediato riferimento allo stato danimo, ad un carattere, alla natura di un modo di sentire, ad una disposizione psicologica. Una disposizione psicologica, un carattere, sono elementi che hanno proprio la possibilit di mutare nel tempo, di trasformarsi, di produrre continui rivolgimenti. Un carattere, secondo Eraclito, indica gi un destino, una storia possibile, ma quella storia tutta da scrivere, non viene mai prescritta rigidamente. Il r(uqmoj comincia a mostrare una bivalenza interna, rafforzata dal fatto che quel termine deriva da un verbo assai noto ai filosofi, r(ew, che significa scorro, colo fluisco, stillo. Fluire, scorrere, colare indicano un mutamento continuo, ed anche lidea di un decadimento: in Platone indica lessere in una continua fluttuazione, in continuo mutamento, ma anche il decadere, il corrompersi, il non poter mantenere un assetto stabile. La nozione di ritmo sembra avere qualcosa di questo carattere, ed al tempo stesso, sembra voler difendere, nella fluttuazione, lacquisizione di una forma. Potremmo concluderne immediatamente che esiste una dialettica interna a r(uqmoj, che mette sullo stesso piano, la fluidit dellaccadere ed il vincolo attraverso cui conquistiamo una sua articolazione. Il modo di porre la questione porta con s molte opacit, perch se il problema del ritmo giace nella coesistenza di questi aspetti, dobbiamo articolare un periplo complesso attorno al problema, per poterne decifrare meglio i tratti: siamo infatti ad una nozione che sembra avere almeno due lati e che prende consistenza nelloscillazione fra due configurazioni.

2 Il ritmo come enigma Proviamo ad avvicinare la questione, assumendo, sulle prime, un punto di vista generale, volutamente pre-filosofico: potremmo dire che forse il ritmo una nozione che ha qualche relazione con lenigma. Un enigma non una semplice domanda, ma un modo di presentare un oggetto, facendo emergere al suo interna una determinazione di tipo contraddittorio, per cui la stessa cosa si d nellopposizione fra pi caratteri, fra pi tendenze. La stessa presenta almeno due lati, e quei lati impongono una mediazione, che permetta alla cosa di mantenere un equilibrio fra gli aspetti, che la tirano ora da una parte, ora dallaltra. La cosa si configura cos attraverso unopposizione, che ne permette una scansione ritmica. La nozione di enigma rimanda immediatamente alla filosofia presocratica. Ecco la formulazione caratteristica di un enigma, secondo Cleobulo 1 . ei)=j o( pathr, pai=dej de\ duwdeka tw=n de e)kastwi kou=rai e(chkonta diandixa ei)=doj e)xousai ai) men leukai\ e)asin i)dei=n, ai) d )au=)te melainai a)qanatoi de t e)ou=sai a)pofqinuqousin a(pasai. 2 Uno solo il padre, mentre dodici sono i figli, ciascuno dei quali ha sessanta fanciulle, che hanno un duplice aspetto: le une sono bianche a vedersi, le altre nere per contro, ed essendo immortali, tutte periscono. Le parole, sibilline, vogliono indicare un modo di guardare lanno: ha dodici figli, i mesi, e ogni mese composto da sessanta mezze giornate, in cui si alternano giorno e notte, pur essendo immortali, perch giorno e notte sono in ciclo continuo, ogni volta periscono, per rinascere nel loro incrocio ritmico. Il tempo viene colto ora come ciclicit che conserva, nel ripetersi della giornata, ora come flusso, in cui ogni istante viene divorato nella transizione dal giorno alla notte. Quella transizione, la zona intermedia in cui il carro del giorno ed il farsi della notte si incrociano lungo le bronzee porte del tempo, garantisce immortalit ad entrambe, perch una si risolve nellaltro e viceversa. Il passaggio, che ha valenza ritmica, in cui si alterna una configurazione che si spegne poco a poco, nellaltra, ci interessa particolarmente, perch fa emergere di nuovo un coesistere fra transizione, e rigidit, un passaggio fra due poli, che ha nel suo sviluppo un movimento che confonde le carte. Lambiguit della situazione si rispecchia nel passaggio da un modo di formulare allaltro: di particolare interesse, il fatto che le sessanta fanciulle abbiano un duplice aspetto, che in greco viene espresso con lavverbio diandixa, che significa in due parti. Ogni nuova giornata bipartita, ed il nesso che la separa prende forma nel passaggio da una configurazione allaltra. Vi sono linee che tagliano in due, ma vi anche una continua metamorfosi, che sposta gli elementi fra di loro. Ogni e nuovo, iterazione ed evento, questo il punto. Laspetto del giorno nasce come divisione, il giorno separatezza apparente, ma anche ripetizione che si ricompatta, formata da una serie di unit, che continuano a ripresentarsi secondo la sequenza logica (-a, +a).

Traggo il passo da Giorgio Colli, La sapienza greca, Adelphi, 1977, Milano, pp. 340 - 342 e sgg. Colli osserva che sullattribuzione di questo passo a Cleobulo di Lindo esistono pesanti dubbi da parte di Diehl. Per Wilamowitz, essi comunque sono molto antichi (G. Colli, Op. cit., p. 435). 2 Cleobulus, I, 129 - 130 Diehl, (Diog. Laert. I, 90 - 91 [feretai d au)tou= kai\ ai)nigma toi=on] ; Stob. Ecl. I, 8, 37; A. P. 14, 101).

Solo in questo modo quel passaggio, diventa unit, misura, che nel mese si fa sequenza, ed in condizione di iterarsi almeno sessanta volte, mentre lanno equivale ora a sessanta volte per dodici. La scansione crea un processo, ed al suo interno le cose possono essere lette secondo due determinazioni di tipo contraddittorio: solo in questo senso, le mezze giornate, pur essendo immortali, tutte periscono: a)qanatoi de t e)ou=sai a)pofqinuqousin a(pasai La formulazione mette in luce chi ci che immortale, come luminosit del giorno che continuamente si rigenera nel ciclo, inabissandosi nel buio, nel ciclo, nel processo stesso deve morire, per lasciar emergere laltra parte del giorno: esiste un equilibrio fra le due configurazioni possibili, che garantisce il ritmo, la scansione da una fase allaltra: la misura, che ha una consistenza numerica, mette capo al sistema ciclico, che permette che ai due aspetti di coesistere, portando alla luce il modo attraverso cui bisogna pensare quella relazione. Ogni fase del giorno trova il proprio fondamento nel darsi dellordine dellaltra. Mutamento e ripetizione sono in anello, e questo permette al sistema, che si chiude su se stesso, di non disperdersi, di prendere una consistenza di tipo formale, per quanto elementare esso possa essere. Lanno sta trasformandosi in una grande totalit chiusa, che vive in una fluttuazione continua da una configurazione allaltra. Laspetto enigmatico, tuttavia, allude ad un problema pi profondo, strettamente legato alla fluttuazione temporale: le fanciulle sono met bianche e met nere, ma mentre una loro separazione spaziale possibile e netta, possono essere distinte in due gruppi complementari, sul piano temporale le cose non stanno cos, perch la transizione fra giorno e notte si d sempre in un regime di penombra: proprio in quel momento, pur essendo immortali, ognuna perisce. Dove inizia una linea, dove finisce laltra? Per quale sezione, in questa continua penombra, passa il ritmo? La ritmicit preserva, protegge, isola il giorno dalla dispersione con la sua scansione rigida, ma non sappiamo in che punto questo accada, perch la transizione un gradiente qualitativo, che muta di giorno in giorno: il motore nascosto dellenigma Da questo punto di vista, anche se lassetto della configurazione instabile, un netto punto di transizione fra il giorno e la notte non esiste: il passaggio appartiene ad uno sfrangiarsi di sfumature, fra ombra e luce, che ha la natura del continuo. La forma linguistica dellenigma evoca con nettezza la bivalenza della nozione di ritmo. Solo alla fine del processo, la bipartizione assume nettezza, sugli estremi logici dellopposizione. Quel momento di transizione, regolare ma di difficile definibilit, appartiene certamente a quellambito di problemi che evoca la parola r(uqmoj, ed il suo implacabile rapporto con uno schema che possa risolverlo. La forma precipita verso levento. Da quanto scriviamo, emerge una mentalit, un modo di cogliere la duplicit di un problema, che trova limpida eco nel mondo della tragedia. Crediamo tutti di conoscere, in qualche modo, Edipo Re: nellEdipo Re si fa questione dellenigma e del ritmo. Edipo ha risolto una domanda micidiale, proposta dalla Sfinge: quale sia la creatura che prima si muove a quattro zampe, poi, a due, infine, a tre. La risposta, ovviamente, luomo, che passa da una configurazione allaltra. La misura la stessa, il passo, ma esso viene percorso in tre modi diversi: il bambino lo scandisce veloce, a carponi, in rapida pulsazione, luomo con un andamento regolare, il vecchio lo trascina. Scansione e misurazione sono scisse, la misurazione si appoggia alla scansione, ma ogni scansione esprime un diverso stile nellabitare la spazialit: implacabilmente, la sfinge chiede alluomo di riconoscersi per quello che , nel tempo, come quel nucleo che permane identico, rispetto a tre trasformazioni: lo stesso ora cammina a quattro zampe, ora a due, ora a tre. La stessa cosa, presa in tre momenti diversi della sua costituzione, assume un aspetto diverso. Per rispondere a quella domanda, Edipo ha dovuto tornare indietro nel tempo, interrogare le proprie esperienze, ed il senso interno che sostiene la sua capacit di muoversi. Solo se hai strisciato, sai camminare e anche se molto hai camminato, arriver il momento della caduta, quello in cui le tue forze iniziano ad abbandonarti, ed avrai bisogno di un terzo piede, di un sostegno a cui

appoggiarti: in quellenigma sta tutta la caducit di una vita umana, il senso di un percorso crudele e sempre identico a s stesso. Un limite che feconda, una finitezza che protegge. Un discorso su una configurazione ritmica ben stabilizzata. Il modo di camminare una forma espressiva, racconta il nostro rapporto con il mondo: abbiamo imparato a muoverci a carponi, ed allora il nostro sguardo andava dal basso verso lalto. Il radicamento della cosa impone staticit, osservazione del movimento, orizzontalit che protegge. Strisciando non siamo ancora bersagli di Apollo, anche se il dio arciere ha il gusto della vendetta efferata. Arrivati alla postazione eretta, guardiamo alle cose in modo frontale, ma non siamo in grado di avere una prospettiva aperta sul mondo: dobbiamo girare su noi stessi, rischiare la vertigine, cogliere sempre le cose secondo un lato. Lo spazio che ci circonda ricco di punti di fuga, ma noi possiamo seguire solo un orientamento, una prospettiva. Siamo il lato passivo dellobliquit. Lo sguardo si piega per abbracciare un cerchio che promana dal movimento stesso: in centro concentrico, la soggettivit occupa il proprio spazio e riverbera la sua presenza tutta intorno a s. Quella circolarit, il poter coprire tutti gli orizzonti, tuttavia, d vertigine, impone una terribile fatica. Infine, camminiamo spossati su tre piedi, ci siamo piegati, difficile tenere a lungo la postazione eretta, girare attorno alle cose logora, eravamo un bersaglio troppo visibile, il nostro un cammino calante. I tre modi di camminare si flettono sul pensiero, lo orientano, danno il taglio attraverso cui lenigma scandisce lampiezza della metafora ritmica. Il dinamismo del concetto tiene insieme le tre rappresentazioni delluomo, le protegge dallo spappolarsi in una serie irrelata di rappresentazioni: il ritmo tiene in tensione, nel passaggio da una configurazione allaltra, la struttura del problema: si d come scansione, nel passaggio da una fase allaltra, si d come metro, come misura, per la forma di ciascuno degli andamenti. Per rispondere a quella domanda, Edipo deve allontanarsi dal presente e cominciare a scorrere in due direzioni, il passato ed il futuro. Il presente gi in marcia verso il suo tramonto, mentre il passato incombe sul presente: si formata una nuova catena, che il ritmo articola nelle sue transizione: il soggetto, ci che non cambia luomo, ma lenigma ci parla proprio delluomo che cambia. La tragedia appena iniziata, ma solo se conosciamo la domanda a cui ha risposto Edipo, possiamo comprendere il senso della prima scena: i tebani, i vecchi, sono andati al palazzo e seduti, inginocchiati, parlano con Edipo, perch cerchi un modo di cacciare la pestilenza, lorrido nemico interno che va sfigurando Tebe. I vecchi parlano, ma attorno a loro i giovani strisciano. La prima immagine dellEdipo Re un enigma: un uomo in piedi, circondato da uomini seduti, di ogni et. Il suo nome piedi gonfi, mentre gli uomini che gli stanno intorno non vogliono avere i piedi gonfiati dalla peste. Seduti, o inginocchiati, i tebani chiedono ad Edipo di riportarli al movimento eretto. La peste porta il terrore per un evento che altera tutti ritmi tutte le configurazioni di senso, che tengono insieme la citt e la fanno vivere. Una disarmonia ritmica porta direttamente verso il tragico, verso la rottura di ogni argine, verso la deformazione della risposta di Edipo: la fluidit si trasforma cos in morte, il passato spinge sul futuro, assumendo il carattere di una colpa, che prefigura un destino tragico. Edipo fuggito da Corinto perch loracolo gli ha predetto che uccider il padre e si congiunger con la madre. Edipo ha preso loracolo alla lettera, non ha chiesto a chi corrispondessero quei termini cos generali: Edipo risponde, ma non sa domandare, Edipo salva ed infetta. Edipo deve perdere la vista perch il mondo veda la sua disgrazia. Le configurazioni in movimento hanno traiettorie imprevedibili, e chi ci cade dentro, ha destino tragico, e scisso. Il concetto di ritmo va pensato come vincolo, vincolo potente, che tenta di arginare il flusso del tempo: formazione fuggente, meno riconoscibile del concetto di forma, perch legata ad una fluidit che lega il carattere della cosa al suo accadere nel tempo, meglio ancora allorganizzazione narrativa di una struttura, il ritmo un concetto complesso, e pericolosamente ampio. Al tempo

stesso, pur mutando, il ritmo rimane identico a se stesso a va riconosciuto nelle cose. La qualit di questo riconoscimento ha a che fare, come mostrano gli esempi che abbiamo citato, con la capacit di tracciare dei confini che fermano una forma nel tempo, e che, al tempo stesso, sanno riconoscere il modo attraverso cui essa fluisce. Il ritmo un vincolo, che blocca la cosa nelle sue trasformazioni, de definisce lampiezza delle fasi, come accade per lessenza della natura umana vista attraverso lo scorrere delle et, e del modo di camminare. Il ritmo scioglie lenigma, perch insegna ad affiancarsi alle mutazioni della forma, a muoversi in parallelo con loro, e a sapere definire esattamente in che punto ci troviamo in una trasformazione in una fase. Possiamo correre da vecchi, anche con il bastone, ma usciamo da un piano ordinato dellesperienza, possiamo cercare di alzarci in piedi , quando siamo ancora molto piccoli, ma la postazione eretta verr conquistata lentamente:nel modificarsi del mondo, la scansione del ritmo offre gli appigli per la misurazione: senza questo collegamento ritmico, pensare il mondo significa pensare il caos.

Giovane che danza con una palla

3 Ritmo come riconoscimento di un vincolo Dovremmo cominciare a chiederci forse cosa significhi riconoscere un ritmo. Il tema, a dire il vero, molto antico 3 e va molto oltre lambito delle riflessioni musicali. Un antico frammento di Archiloco (Fr 67 a), ci suggerisce di non seguire ciecamente le passioni che ci prendono nella gioia o nello sconforto, ma a riconoscere quale ritmo tenga vincolati gli uomini 4 (gignowske d )oi)=oj r(usmo\j a)nqrwpouj e)xei). La conoscenza del ritmo non immediata, riconoscere quale sia il ritmo che tiene gli uomini uno sforzo, nel fluire delle loro passioni, dobbiamo individuare qualcosa che ad esso si contrappone, che non muta con il mutare delle loro emozioni. Un ritmo trattiene in una configurazione determinata, in una mobile regolarit un flusso: infatti, se il ritmo vincola o tiene assieme, dobbiamo pensare che se esso abbia riferimento proprio allo scorrere delle cose, e che la sua capacit sia quella di regolarne il flusso, di trattenerlo fornendogli una forma appropriata. Il ritmo ( r(uqmoj) presiede alla disposizione dinamica delle parti, rispetto a qualcosa che va muovendosi. Per questo motivo, continuiamo a volgerci (gignowske, gignoskein significa continuare a guardare in una direzione, compiere cio un atto a carattere iterativo. Opponiamo al flusso la ricerca di una regolarit nella trasformazione. Quella forma tende a fuggire, a mimetizzarsi. In un saggio, profondamente discusso da Giovanni Piana 5 , Benveniste osservava che per cogliere fino in fondo il significato del termine, dobbiamo prestare attenzione alla desinenza qmoj, che applicata alle parole astratte, implica un riferimento al modo in cui una nozione viene a realizzarsi: se qesij si riferisce allatto del disporre, qesmoj la particolare disposizione delle parti, la configurazione che essa assumono in un intero. Potremmo dire che si tratta di un movimento grazie a cui un intero si assesta, ma non si ancora stabilizzato, in cui le parti stanno raggiungendo una configurazione spaziale, non pienamente raggiunto? In parte si ed in parte no. Scrive Benveniste, [...] r(uqmoj [...] designa la forma nellattimo in cui assunta da ci che si muove, mobile, fluido, la forma di ci che non ha consistenza organica: si addice al pattern di un elemento fluido...a un peplo che si dispone a piacimento, alla particolare disposizione del carattere e dellumore 6 . Il problema non si appoggia alla stabilit dellassetto, o al semplice riconoscimento della forma, ma all gioco che scuote il disporsi di qualcosa che non abbia una consistenza organica, o spaziale: la caratteristica della fluidit nellelemento scosso dal ritmo lo rende qualcosa che soggetto a continue transizioni, a continui mutamenti. Esso, tuttavia, tende ad essere frenato dal ritmo stesso, che cerca di contenere, di frenare la fluidit, attraverso un decorso di transizioni.
Una discussione pi elaborata di tale concetto viene presentata su un libro dedicato alla componente musicale nei frammenti eraclitei, ed stata usata anche per uno studio sulla musica di Conlon Nancarrow, di imminente pubblicazione. 4 Cfr. Werner Jaeger, Paideia , (trad. italiana di Luigi Emery), Firenze, La Nuova Italia, 1953 vol I, pp. 240 - 241. Il tema tratto da Benveniste (. Benveniste, La notion du rythme dans son expression linguistique, Journal de Psychologie, 1951, ripubblicato in: mile Benveniste, Problmes de linguistique generale Gallimard, Parigi, 1966. Cito dalla traduzione italiana di Maria Vittoria Giuliani: . Benveniste, Problemi di linguistica generale, Il Saggiatore, Milano, 1971 p. 394. Per il linguista francese, si tratta dinclinazioni comuni. Va quindi rilevato uno scarto di senso tra i due modi dinterpretare il detto dArchiloco. Per una discussione sul concetto di ritmo, cfr. Giovanni Piana, Filosofia della musica, Guerini e Associati, Milano, 1991, pp.153 - 157. 5 Trattando del carattere fluido che caratterizza questo livello del configurarsi dello strutturarsi della forma, Giovanni Piana parla della rigida precariet di un movimento rappreso (cfr. Giovanni Piana Filosofia della musica, Guerini e Associati, Milano, 1991, pp. 153 - 157). 6 mile Benveniste, La notion du rythme dans son expression linguistique, Journal de Psychologie, 1951, oggi in mile Benveniste, Problmes de linguistique generale Gallimard, Parigi, 1966, (Problemi di linguistica generale, (trad. italiana di M. Vittoria Giuliani, Il Saggiatore, 1971, p.396.)
3

Il ritmo emerge in situazioni di estrema mobilit, in cui vanno stringendosi delle relazioni: non abbiamo contorni nitidi, ma il movimento di un peplo, che copre il frastagliarsi di un contorno, oppure lagitarsi di una disposizione di carattere, di uno stato danimo che pu mutare da un momento allaltro. Entriamo in un terreno liminare, scivoloso, sulla soglia del costituirsi di una forma, pi che su quello della forma gi data, e dobbiamo pur trovare qualcosa che ci permetta almeno di localizzare le fasi della trasformazione. Benveniste traccia il problema in modo ammirevole, quando osserva che se r(uqmoj ha a che fare con lidea di una forma improvvisata, momentanea e modificabile 7 , se deriva da una natura che scorrimento e modificazione, esso indica essenzialmente una maniera particolare di fluire, atta a descrivere delle configurazioni, delle disposizioni senza necessit, che possono modificarsi improvvisamente. Abbiamo per gi visto che, per quanto la natura sia retta da uno scorrere continuo, quello scorrere pu immediatamente congiungersi allidea di ripetizione di periodicit, dando luogo ad un quadro assai pi problematico della nozione di ritmo. Un esempio tratto dal mondo della percezione visiva, pu esserci utile per cercare di dar ragione delle ambiguit che legano il rapporto intero - parti rispetto al definirsi di un r(uqmoj. Immaginiamo tre punti luminosi, che si dispongano in una configurazione caratteristica. Non ci sorprender che con il termine r(uqmoj si indichi, nella filosofia atomista, il passaggio attraverso cui la forma dellatomo va consolidandosi nello schema, il suo assumere identit attraverso una morfologia spaziale fissa. Nessuno avrebbe dubbi nel riconoscere in questa figura gli estremi di una figura triangolare: essa ha certamente pregnanti caratteri geometrici, anche se non abbiamo, ad esempio, tracciato lati, elementi caratteristici nella definizione delle propriet continue dello spazio geometrico.

Siamo su una soglia, rispetto alla quale si va configurando una forma definita, colta, nel suo farsi e potremmo chiederci perch mai Benveniste sottolinei con tanta accuratezza il carattere mobile, fluido del concetto di ritmo, perch tutto sembra chiaro. Linsistenza sulla nozione di forma distintiva che non si lascia ossificare nella determinatezza dello sxh=ma, dovrebbe trovare un fondamento nel processo dacquisizione della forma tra una fase ancora sottoposta a mutamento ed un momento in cui lindividuazione si realizzi a pieno. Guardando ad una configurazione appena pi complessa, incontriamo subito problemi che ci fanno cogliere il significato della distinzione appena proposta.

Ibidem, pp.407 408

In un primo momento potremmo riconoscere nella disposizione spaziale dei quattro punti un quadrilatero, ma alla stessa stregua potremmo individuare gli estremi di una croce. Non riusciamo a sciogliere le ambiguit di una struttura tanto semplice, e di conseguenza a prendere una decisione.

Basterebbe enfatizzare alcune tendenze interne alla raffigurazione, collocando un punto al centro della figura per rafforzare il richiamo ad una croce oppure connettendo una fila di punti tra loro creando la traccia di un lato ed uscire dallambiguit iniziale. Mancano una serie di caratteristiche strutturali, orientabili secondo un unico vettore. Emerge cos un livello di raffigurazione della struttura caratterizzato da una fluidit, che va dominata attraverso scelte e selezioni di materiali, facendoci oscillare fra due rappresentazioni possibili, che entrano in conflitto tra loro. Potremmo naturalmente investire di forti vettori immaginativi la presenza simultanea delle due figure nella forma ambigua, o intenderle come complementari. Nella figura si presenteranno opposizioni: nel momento in cui tracciamo i punti sul centro o lungo un lato, le condizioni costitutive della figurazione vengono finalmente in chiaro, e la figura diventa uno schema. Potremmo essere tentati di tracciare una curva, che passi per i quattro punti e verificare se possibile tracciare una circonferenza. Solo avendo scelto una direzione possibile, il r(uqmoj andr a coincidere con lo sxh=ma. Il ritmo un primo passo per trattenere la forma. Il r(uqmoj si collega al divenire della forma su un terreno che precede non solo cronologicamente lavvento dellidentit della figura, sxh=ma: r(uqmoj e sxh=ma sono momenti complementari nello squadernarsi delle relazioni che individuano una struttura ritmica, come mostra lesempio tratto dalla psicologia della forma 8 . Potremmo cominciare a costruirci un piccolo vocabolario portatile rispetto al concetto di ritmo: ritmo e schema, e vederli come due fasi nella costituzione di un intero: nel momento dominato dal ritmo, lintero va costituendosi sul piano delle relazioni, viene colto da unistantanea che ne indica i contorni, nel momento dello schema lintero si presenta mostrando in modo pi nitido le proprie relazioni. E chiaro che il problema ritmico si muove tutto allinterno delle transizioni fra queste due fasi, che si rincorrono continuamente. Il momento di transizione potremmo definirlo come il momento della raffigurazione. Il ritmo si oppone al fluidit, la trattiene e nel suo trattenerla prepara lavvento di una schematizzazione. Vi sono ambiti in cui la schematizzazione non possibile, in cui il concetto di ritmo, nel suo articolare possibilit oppositive allinterno delle propriet di un oggetto, o di una situazione, sfiora la dimensione del tragico, consegnandolo ad una sorta di scissione originaria in cui loggetto contemporaneamente due cose e viene tirato in due direzioni opposte.
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Cfr. Gaetano Kanisza, Grammatica del vedere, 1980 Il Mulino, Bologna, p.13.

Il riferimento alla tragedia diventa pertinente: il personaggio di Edipo salvezza ed infezione e va pensato lasciando che questi attributi si fondano tra loro, creando una disarmonia che orienta il suo destino. La bivalenza tragica cos ambiguit ritmica, tensione allinterno di una figura che appartiene, contemporaneamente almeno a due ordini diversi, come accade, del resto, anche per Antigone. 4 Schema e figurazione nella filosofia eraclitea

Il nostro periplo attorno alla nozione di r(uqmoj continua a porci di fronte ad una polarit fra forma ed evento piuttosto interessante: esiste un modello per lidea di pulsazione silente, che avevamo visto emergere nel carattere circolare che sostiene il movimento iterativo della pulsazione platonica? Un esempio eracliteo, che molto pu insegnare sulle relazioni che stringono ritmo, ripetizione e figura. Nel frammento D.K. 103 9 , leggiamo che: Nel circolo principio e fine fanno uno.. Le interpretazioni pi diffuse, da Diano a Marcovich, vedono correttamente nella forma paradigmatica dellarmonia fra opposti (inizio e fine del cerchio, che sono lo stesso), una grande immagine cosmologica del divenire. Come chiarire il senso che sostiene questimmagine? il frammento, alla fonte, suona: cuno\n ga\r a)rxh\ kai\ peraj e)pi\ kuklou perifereiaj 10 . Nella traduzione di Diano, si perde il riferimento al termine perifereiaj , la parola che in greco indica il movimento del punto lungo il cerchio. Marcel Conche, la inserisce nel testo originale, proponendo questa traduzione :"Chose commune que comencement et fin sur le circuit du cercle 11 ". Cosa muta nella formulazione? Viene in questione il significato da attribuire alla rivoluzione che il punto va compiendo attorno al cerchio mentre lo traccia. Sottolineare il richiamo al movimento del punto sulla circonferenza, porta in primo piano lidea di una ciclicit, che va articolandosi nel movimento del punto, evocando il costruirsi del cerchio in termini dinamici, secondo quanto suggerisce Conche. Il ragionamento eracliteo interessante: inizio e fine, principio e limite scivolano lungo la circonferenza sono quando al figura chiusa. Siamo allinterno di quella fase in cui la disposizione degli elementi si chiusa, sul terreno di un ritmo che non tiene pi la configurazione aperta, eppure vi un continuo trapasso tra inizio e fine, lidea di origine germina per tutta la circonferenza.
Per la traduzione, Eraclito, I frammenti e le testimonianze, a cura di Carlo Diano, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano, 1980, pp.18 - 19. 10 Tratto da Porfirio, Quaestiones homericae ad Iliadem, XIV 200. 11 Hraclite, Fragments, texte tabli, traduit, comment par Marcel Conche, P. U. F., Paris, 1986, pp. 411 - 413. Contro tale interpretazione, che assume che la parola periphereias faccia parte del frammento eracliteo originale, si sono schierati grandi filologi, come Gigon, Marcovich (con unacuta analisi grammaticale), Kirk. Carlo Diano, pur parlando del "moto inarrestabile e continuo della periferia, dove ogni punto principio e fine" (cfr. Carlo Diano, " Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici" in Studi e saggi di filosofia antica, Padova, 1973, p.32), evita di tradurla. Non siamo in grado di affrontare una questione di tale portata in poche righe, ma ci sembra che in questo modo si perda un elemento essenziale per la nostra discussione. Per luso di perifereias, vedi anche K. Deichgrber Rythmische Elemente im Logos des Heraklit, Akad., Mainz, 1962, pp.477 - 533.
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Lenigma, che accosta il termine comune ad inizio e fine, e che allude ad un modo di intendere il problema in cui questo paradosso venga a sciogliersi (vi un riferimento allidea di comprensione, messa in gioco dalla parola cuno\n), trova il proprio fondamento sul piano della costituzione della figura stessa, del r(uqmoj: fino a quando il cerchio non viene chiuso, inizio e fine sono distinguibili, quando il tracciato compiuto che non li distinguiamo pi. Il riferimento al continuo evidente, in qualsiasi segmento rettilineo possono essere indicati un inizio ed una fine, estremi di quel tratto: qui la struttura circolare racconta appunto della qualit del moto di un punto, che diventa immagine di uniterazione infinita attorno al centro. Linsistere sullespressione lungo la circonferenza del cerchio sottolinea, tuttavia, anche la presenza di una distinzione fra due strati temporali del processo, attraverso cui la figura viene disegnata e chiusa, secondo un modello ritmico che gi conosciamo. Luso di e)pi\ traduce, in termini spaziali, una distinzione di tipo qualitativo, che concerne la funzione del punto, mentre si traccia la figura, e lo statuto del passaggio da configurazione a schema. La distinzione qualitativa non , tuttavia, di tipo meramente temporale: qualcosa cambiato grazie al formarsi della figura. Potremmo pensare ad una mano che sta tracciando un cerchio, con una corda ed un perno oppure con una sorta di compasso: fino a quando il giro intorno al centro non stato completato, inizio e fine sono distinguibili, allinterno di un percorso basato sulliterazione di una regola. Torniamo alla contrapposizione enigmatica pi imbarazzante del frammento, cuno\n ga\r a)rxh\ kai\ peraj, che sottolinea la comunanza fra principio e fine, fra principio e limite. La potremmo commentare dicendo che solo a cerchio ultimato, inizio e termine sono comuni, e quella propriet passa, in modo traslato, su tutti i punti del cerchio, ma questo significa che, ina dialettica fra totalit ed infinito, gli opposti svaniscono nel darsi della totalit della figura. Il riferimento ad inizio e fine prende diversa cos consistenza rispetto alle bivalenze adombrate dal termine peraj, che indica anche il concetto di limite, di confine tra una transizione e laltra: ecco il paradosso, peraj ha portato il ritmo nello schema, ma modello della figura chiusa rimanda alle propriet dellillimitato. Solo in questo senso, possiamo dire che, se tutti i punti possono diventare inizio e fine del cerchio, avremo un andamento ciclico, che pu iniziare in qualunque punto della circonferenza. Lo snodo importante, perch ci fa passare dal come tracciata la figura al quante volte sia possibile percorrerla, verso una ciclicit infinita. peculiare lidea che il cerchio sia concepito nella sua costruzione, evitando riferimenti di tipo numerico. Lunica regola sembra appoggiarsi alla chiusura di un ciclo, che poi quello del disegno. Alla domanda " quante volte?", si pu solo rispondere: "infinite". un altro modo per segnalare il paradosso della misura, che si ripete infinite volte nel farsi della figura. Linfinit fa perdere di pregnanza al riferimento temporale, come accadeva nel presente immobile della ripetizione. Solo allinterno di questa prospettiva nasce il problema del senso dellopposizione fra inizio e fine. Nel nostro caso lesser comune dellinizio e del limite prendeva consistenza proprio nel tentativo di dar ragione del criterio costruttivo attraverso cui il cerchio tracciato: i punti vengono ora compresi come opposti: questo passaggio enfatizzato proprio da cuno\n, che ha riferimenti consistenti allattivit del comprendere, sul piano spaziale della transizione continua da un punto allaltro, e su quello intellettuale del riconoscimento della qualit di un ritmo. Lopposizione va stringendo ormai tutto il cerchio, risultato della tensione armonica fra principio e fine: diremmo che i limite della fine e del principio sono la stessa cosa, che principio e fine hanno effettuato una conversione reciproca. chiaro che il legame fra punto finale e punto iniziale diventa oppositivo solo in questa prospettiva di tipo costruttivistico. Larmonia che permette che inizio e fine siano comuni legata al conflitto che unisce la staticit del centro rispetto al movimento del punto. Emerge cos nella riflessione eraclitea una componente relazionale che guarda al costituirsi della figura, in senso processuale, ed alla figura ormai costituita: il fatto che inizio e fine, (limite) vengano pensati sulla circonferenza del cerchio, valorizzando lidea del girare attorno, stabilisce

una continuit fra i due livelli legati dallarmonia: nessuno dei due pu essere pensato senza laltro, schema ed evento sono assolutamente complementari. Si allude cos ad un rapporto fra limite e spostamento del limite, che va portato in evidenza, dando senso al doppio modo dintendere ci che sarebbe logicamente indistinguibile. Solo dopo avere indicato tale relazione, ed essersi soffermati sullambivalenza del nostro modo dintendere il punto come inizio e come fine nel percorso e nel ciclo, si potr pensare alla valorizzazione del problema della circolarit in direzione di uninterpretazione ciclica del tempo o delle strutture cosmologiche. Eraclito ci propone un modo esemplare di presentare la figura del cerchio: lesibizione del luogo geometrico dei punti equidistanti dal centro, il conchiudersi della curva su se stessa, la rotondit, si appoggiano sulla mobilit incessante del punto, che diventa, sotto i nostri occhi, inizio e fine della figura, che esibisce le proprie regole costruttive. Il cerchio partecipa cos, contemporaneamente a due diverse configurazioni di senso, Eraclito ci sta insegnando a pensarlo a cavallo delle due posizioni, che sono egualmente necessarie per la corretta comprensione del problema. In tal modo, la riflessione eraclitea tocca contemporaneamente due piani del discorso, per distinguerli mentre li congiunge: ritmo e ciclicit, mediati dalla ripetizione, prendono consistenza solo quando il r(uqmoj ha chiuso la sua configurazione. Ritmo e schema sono posti nuovamente in parallelismo, come accadeva nella prospettiva platonica, di cui questo frammento segna un prezioso antecedente concettuale.

5 Platone: il ritmo come limite Un tema di questa ampiezza non poteva che interessare i filosofi. Allidea di ritmo come opposizione, ed ai problemi che ad esso si intrecciano, fa riferimento Platone nel Simposio, quando fa dire ad Erissimaco (187b - d) che il ritmo deriva dal rapido e dal lento, prima in opposizione e poi accordatisi. Su cosa si basa questaccordo, come possibile che due elementi in varianza continua, come il lento ed il veloce, possano coagularsi in una relazione ritmica?. La definizione canonica di ritmo che rintracciamo nelle Leggi (664e 665a), da cui le ricerche sul ritmo prendono, pi o meno indirettamente, le mosse contiene in s aspetti tormentosi, che vorremmo discutere: la constatazione iniziale dei filosofi in dialogo si lega allesigenza di attribuire un andamento ordinato, attraverso ritmo ed armonia, al movimento: il ritmo ordina, organizza il movimento del corpo umano ed elemento propedeutico ad ogni forma di educazione, ed al preservarsi del potere di controllo emotivo della musica. Scelta del ritmo e selezione delle strutture melodiche che sostengono i sistemi scalari fanno parte dello stesso problema di partizione del continuo: per il filosofo platonico bisogner allora coglierne il senso, poterlo collocare in un percorso dialettico, e constatarne la portata concettuale . Il ritmo lordine del movimento: meglio, il nome di quella misura, di quellordine (tacij), che sostiene il movimento (kinhsij). Dovremmo osservare da vicino la frizione suscitata dallaccostamento delle due parole: tacij indica una schiera, un ordine rigido, che viene sollecitato, in opposizione al mutamento: il nocciolo semantico della parola indica cos la schiera militare, la classe sociale, ma anche il posto in una schiera, la localizzazione di un luogo o di un momento, che permette di ripartire le fasi di un processo, un muro che si costituisca ad ogni irrompere della fluidit. Il termine indica anche la posizione di un punto in una figura: con tacij cogliamo un perno immaginario, che determina le condizioni di ordinabilit di una molteplicit, e Platone, contrapponendolo nel Timeo, (30) alla)tacia ha certamente in mente un riferimento ad un vincolo fecondo, che dispone, imponendo una regola, frena una sollecitazione, facendo mantenere una posizione allinterno di un andamento, rendendo feconda unarticolazione del movimento: in questo senso, la pregnanza della scelta della posizione, del momento del suo costituirsi va pensata contemporaneamente al tema dello scorrimento, ponendo una relazione stretta fra il formarsi della

una sequenza ed il presentarsi della molteplicit. Se tutto questo risaputo, meno semplice trovare il senso della correlazione con il termine scelto per esprimere il movimento. Platone individua la nozione allidea appoggiandosi al termine kinhsij, parola che esprime non tanto il movimento in senso generico, ma la fonte del movimento, costituirsi del movimento stesso: kinhsij si manifesta nel passo di danza, come nel moto da un punto ad un altro, nella mozione assembleare, o nel mondo delle emozioni, indicando una commozione, lo sdegno, un brusco mutamento dumore. Vi quindi profonda tensione nellaccostare i due termini che pone il r(uqmoj come prodotto di una mediazione fra processo in atto di costituzione di un intero e criterio di localizzazione ed organizzazione reciproca delle parti allinterno del processo stesso: il movimento del corpo, ad esempio, deve poter essere riportato ad una forma, che si articola nel movimento secondo regole canonizzabili, mettendo in opposizione fluire del movimento ed incanalamento nella sequenza. Il gesto va disciplinato, ma la messa a norma non affatto pacifica, perch modifica irreversibilmente lo statuto del movimento, ne trasforma i portati qualitativi, impone il presentarsi di qualcosa che resista alla fluidit continua, morbida dello scorrimento, rompendone lindifferenziazione interna. Il ritmo condizione di possibilit nella costituzione di una gerarchia, snodo che decide lampiezza dei nodi, che tengono assieme il senso di una concatenazione. Ma la materia del ritmo, come la chiamer la filosofia aristotelica, resiste, scalpita, esce dai bordi che abbiamo disegnato con literarsi dei tagli. Platone individua la fluidit di questa situazione, la determinazione del senso del contenimento. Il senso del problema, dunque, non affatto pacifico e non si esaurisce nella possibilit di vedere un movimento disciplinato, ma di poterlo costruire secondo parametri armonici che ne mantengano tutta la tensione. Il nucleo pregnante della definizione coincide con lindividuazione di un criterio di misurazione unitario, attraverso cui individuare e scandire le singole fasi nel movimento, in unaccentuazione del carattere discreto della pulsazione. Lidea di descrivibilit si collega immediatamente a quella di divisibilit, secondo un procedimento che abbia, per cos dire, un numero finito di passi, e possa metterci sotto gli occhi il rapporto di partenza, il modulo, insomma, una volta per tutte. Le valenze semantiche si incontrano e mettono in luce uninterpretazione del movimento, come oggetto di commensurabilit e rafforzano lidea di un ritmo che frena un flusso, che presiede e ordina il divenire, misurandone il profilo di una forma che va costituendosi. Il vincolo la prima possibilit di organizzazione della forma e la forma musicale movimento. Per questo la nozione di equilibrio cos decisiva: lorganizzazione temporale della musica garantisce variet nel potersi allontanare di molti passi da un modello, da una scansione che viene data, e che va riportata alla misura originaria, che ne organizza tutte le variazioni. Alla definizione platonica, che si appoggia sul terreno mutevole dello scorrere e che cerca di ritagliarne i limiti della decifrabilit, potremmo contrapporre il disarticolarsi del movimento nella danza menadica, quel saltellare, quellirrompere del gesto incontrollato che caratterizza la gestualit nel corteo e nella musica dionisiaca. Le menadi saltano flettendo una sola gamba (Baccanti, 940 944), incespicano, si muovono a balzi 12 , si muovono con bruschi scarti che descrivono lirrompere del dionisiaco, come momento di continuit che travolge ogni discretezza, lesplodere di una tensione che rompe ogni forma articolatoria nel movimento, bloccandosi nello spasmo. Esiste cos, nella definizione platonica il riferimento ad un vuoto che si crea, una tensione che cerca di ritrovare i propri limiti nel movimento, nella continuit della transizione. Fra i due estremi del platonico e del dionisiaco, si fa avanti la nozione di corpo e di volizione.
Una analisi assai fine del movimento a sbalzi della baccante, e del suo rapporto con lidea di evento, apre Marcel Detienne, Dioniso a cielo aperto, Universale Laterza, Roma Bari, 1986.
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Il farsi avanti di una tensione che preservi il movimento dalla spasticit, la presa datto che esiste una dimensione espressiva che protegge la natura processuale del gesto rispetto alla continuit dello spazio, e la possibilit di suddividerlo ordinatamente, nel movimento dalla rottura, dalla cesura improvvisa e gratuita, ovvero dallavvilimento della caduta. I riferimenti alla cura dei coribanti da parte delle nutrici, che vengono assimilate alle nutrici che tranquillizzano i bambini con un movimento circolare, emerger nei passi successivi (790d 791d). Lidea di una segmentazione non basta quindi minimamente a dar ragione della complessit del concetto platonico di ritmo: si tratta di una processualit che regola un flusso, ed in questo pienamente consapevole tanto della mutevolezza del r(uqmoj, che della staticit schematica. Platone non propone una semplice iterazione che misura, ma una tensione che preservi il movimento dai suoi stessi eccessi, e che permetta si passi dal piano cinetico a quello dellevidenza a quel nucleo strutturale di gesti che indicano, nella danza, larticolarsi del movimento corporeo nello spazio e nel tempo. La cosa si comprende meglio se contrapponiamo allo sprizzare energetico della danza menadica, allirrompere della continuit caotica, agitata del dionisiaco, il movimento cullante, circolare cui il filosofo ateniese allude quando ci parla delle donne che curano i coribanti, che ricorrono ad un movimento regolare, in cui i ritmi si assestano, rispetto ad ununit di misura che si ripete. Quel movimento statico, questa ciclicit rasserenante, sono due immagini di un ritmo che si avvicina al rarefarsi di un periodare che precede un silenzio, alla morbidezza della ninna nanna che calma gli animi stravolti: sul piano espressivo e su quello delle relazioni di durata il ritmo assume il valore di una preparazione al silenzio, di uno smussarsi del movimento che prepari lavvento di una immobilit. E la fine dello spasmo, attraverso il ritmo e la melodia, che mutano il carattere del movimento che scuote lanima, calmandola. Landamento oscilla fra lo statico, e linfinito, non si spezza mai: la circolarit del movimento, fa s che esso faccia mostra di s come unimmagine del perenne. Su cosa poggia questa perennit, nel paradosso di un movimento che limmagine qualcosa di immobile? Sulla logica interna della sua costruzione: il movimento che culla non si ferma mai, e non lo fa perch la sua concettualizzazione trova la propria radice in un problema espressivo: ti culler sino ad addormentarti, in un movimento sempre identico, che mantiene tutta la sua tensione nel durare. Punto di articolazione del movimento, articolazione nella transizione, protegge un passaggio che sul piano logico, stringe il fenomeno al suo momento costitutivo, nel configurarsi di un moto appena scandito, che porta da una continuit allaltra, ciclicit rasserenante. Il problema della stasi quindi assimilabile allo spegnersi della pulsazione nel rilassamento, ad un appropinquarsi progressivo ad una staticit cui possiamo abbandonarci, perch non sappiamo distinguere le fasi di un moto perfettamente omogeneo ed identico a s stesso. Paradossale nozione di limite: una transizione che si fa sempre pi lenta, non raggiungendo mai limmobilit, che continua a dilatarsi attraverso suddivisioni successive, e non si pu chiudere mai. Al movimento strappato dello spasmo, corrisponde la continuit del circolo, al colpo, una risposta, che si fa, via via, sempre pi silente. La dialettica ritmica messa in gioco da Platone un gioco raffinatissimo fra vuoti e pieni, ed il giocare con lidea di un movimento che culla, fino alla transizione del sonno, senza mai toccarlo, , in fondo, lidea sublimato di un procedere per pulsazioni tenui, colpi senza accento: che la prima riflessione sul ritmo, pur avendo come tema il movimento del corpo, abbia preso forma attraverso una sublimazione dellelemento di scansione assai interessante, perch permette alla definizione di muoversi su un piano di enorme generalit. Lidea di ritmo come regolarit, come freno che si oppone al flusso aveva trovato molte illustrazioni di alto profilo, ed una particolarmente bassa, che ci interessa riprendere: la metafora del r(uqmoj come calzatura. In quellimmagine, infatti, vediamo emergere una dialettica che mette in gioco il rapporto con il corpo: la calzatura greca, il calzare, un insieme di corde che fascia e protegge un arto.

Esso si stringe attorno al piede, ne segue il profilo, ne avvolge il movimento: reticolo di lacci che lambisce con morbidezza larto, si modella sulla sua superficie. Il calzare ha la fluidit che permette al piede di rimodellarne la forma dallinterno, tutti quei lacci hanno, daltra parte, fra loro un rapporto armonico, che permette loro di seguire larticolarsi del movimento. Guaina che si avvita su di una forma scossa nel mutamento, il ritmo oscilla fra una serie di posizioni fisse del piede, sostenendone lorientamento. Organizzazione dinamica, esso si mantiene nellinvisibilit, prendendo consistenza nel disporsi degli snodi dinamici della relazione: vincolo invisibile, ma potentissimo, perch indica la linea dellorizzonte oltre la quale il movimento non pu spingersi. Tutta la spazialit pervasa dai vincoli ritmici, li mette in mostra nel momento in cui la ritmicit incardina il movimento nelle regole concesse dalla sua elasticit. La stessa cosa accade, naturalmente, quando il ritmo mette in tensione landamento del tempo, orientandone la direzionalit , e facendo valere le sue regole: quando la scansione gira a vuoto, quando andiamo sprofondando, come accade nei passaggi da una scansione allaltra, che spesso fanno mostra di s nei nostri esempi musicali, per un momento il tempo - flusso ricomincia a scorrere e perdiamo il nostro orientamento temporale, per ricadere subito dopo nelle maglie delle regole ritmiche. Possiamo incontrare lunghe sezioni temporali in cui lorientamento temporale si appanna, come accade per le musiche in cui si apre una dialettica fra ritmo e continuit: dovremo interrogarci sul senso di questo orientamento espressivo. Nel Prometeo incatenato di Eschilo il titano si compiange, perch incatenato ad un ritmo: la sua possibilit di movimento bloccata da un vincolo, egli pu muoversi in molte direzioni, ma arriva un punto in cui la trazione del suo movimento verr implacabilmente portata indietro. Anche in questo caso, la nozione metaforica di ritmo copre almeno due valenze. Su un primo strato, essa ci parla del vincolo spazio-temporale che la catena impone al prigioniero: per certi versi, allinterno della incatenamento sono possibili molti movimenti vettoriali: dal circolare al diagonale. Arrivati ad un certo limite di distanza, la catena diventa vincolo che inchioda di nuovo al punto di partenza, impedendo la fuga prospettica, che andava configurandosi nelle direzioni possibili di quel movimento. La vista ha di fronte a s un enorme orizzonte di punti di vista, bloccato nel vincolo: locchio guarda verso una spazialit infinita, che lo chiama, lattira con la sua profondit, ma il corpo inchiodato un punto, in cui tutti i decorsi di senso evocati dallo spazio sono interrotti, dopo aver preso forma. In questo carattere di ostinatezza, che vincola nel movimento emerge allora laltro aspetto metaforico: il titano prigioniero di un destino, e di uno stato danimo, che muta continuamente nel dolore, e che impedisce la rassegnazione a causa di una sofferenza fisica continua, che crea spasmo. Il destino di Prometeo un piano inclinato, che passa attraverso il vincolo della sua condizione di prigioniero della libert. La configurazione di quel mondo doloroso , la tempo stesso, implacabile nella sua staticit e instabile nelle sue tendenze, mentre il destino del titano, lo sprofondamento, si configura sempre pi dolorosamente. Per salvarci dalleccesso tragico, dobbiamo imparare a stare nel vincolo ritmico, a muoverci, come ci insegna a Platone, nellarticolazione del movimento Questo piano prescrittivi non pu che toccare lorizzonte del corpo danzante .Il corpo diventa bello attraverso una pratica ginnica ma deve portare a rappresentazione lidea di un equilibrio,di una grazia che trovi il proprio fondamento oggettivo nel senso della misura. Il trapasso dalle forme della danza a quello della ginnastica devessere netto, ma va pensato attraverso un criterio che possa fondarle entrambe (Leggi, VII 795, d-e). Non difficile indicare in quale direzione indagare, per trovare il senso di questa partizione: la dimensione del politico, della tutela dei sacri vincoli che tengono assieme la polis, impone una gerarchizzazione della danza, dove il grado pi basso sar occupato dalla dimensione del buffo, dei ridicolo, di tutto quello che precipita verso il deforme. Alle danze buffe, al limbo del grottesco dove viene la psyche viene avvilita nella deformazione di un modello il filosofo platonico antepone le danze guerriere e le danze pacifiche.

La nettezza della partizione non deve far perdere di vista la centralit della categoria despressione, e quella, non meno importante, di economia di mezzi che gioca il suo ruolo con molta forza: nella danza guerriera per eccellenza, la pirrica (Leggi, 816 a) il corpo porta in scena la sua capacit di evitare colpi, si getta di fianco, si alza e si abbassa, indietreggia, tende larco, lancia il giavellotto. Potremmo pensare ad un semplice portato del concetto di mimesi, ma soffermarsi su questo piano toglierebbe al gesto la sua essenzialit, la sua risolutezza. Platone cita gesti che hanno nettezza profonda, e dove la tensione che regge lequilibrio viene fuori con la massima forza, in una danza attorno agli assetti fondamentali dequilibrio del corpo, e alla loro perdita, la cui rigidezza, per un lato rimanda ancora alla ginnastica. Questo piano elementare, aggressivo nella sua coordinazione essenziale, che stilizza consapevolmente il caos della rissa bellica, permette il radicarsi di una categoria espressiva (Leggi 814e - 815a), che trascende il modello di quel movimento asciugato e che trover pregnanza nella danza sacra, nellemmeleia, una danza che porta dentro di s un riferimento al canto, e alle capacit etiche del musicale. Limpulso alla danza quello verso la musica obbediscono alla medesima tensione espressiva, una tensione lirica che non scade nella soggettivit, ma nelloggettivit di uno stile. Il gesto armonico che pervade questa danza, per Platone, il risultato di una tensione 13 che si esprime nellammorbidimento del gesto, nella sua rotondit. Le due qualit del gesto, fondano la visione politica del corporeo, e lesemplarit della danza. Si tratta di un passaggio essenziale, per comprendere il destino di quella forma darte, che diventa immediatamente struttura rappresentativa di un ordine politico- religioso e di una forma dordine, al punto che la forma pi stilizzata di danza, il balletto, nascer allinterno della corte, alla ricerca di unartificialit espressiva del gesto, che possa tradurre unidea di bellezza, tagliando corto con qualunque forma di naturalismo, ma il problema della canonizzazione della danza non si esaurisce qui. Lelaborazione teorica delle Leggi (Leggi 816 e) presenta un platonismo ben consapevole della pienezza del corporeo, della ricchezza di quella dimensione espressiva e dei modi atti a proteggerne lannichilimento, un atteggiamento in cui il tema della somatica, e del suo sentire, mette in scena la morbidezza del gesto, e della sua fluidit, come punto darrivo della sua forza, risolvendo sul piano dinamico la statica delle categorie ritmiche, da cui eravamo partiti. Nel movimento armonico dellemmeleia la transizione fra una postura e laltra devessere appena avvertita, come accade per la nozione di limite allinterno della categoria ritmica. La rilassatezza, omogeneit carica di tensione, si fa gesto, in movimento esemplare per una comunit politica, che sappia vedere nella tensione dello sforzo la capacit di controllare lenergia corporea, indirizzandola implacabilmente verso il gesto espressivo. Va osservato che, se la definizione platonica vuol salvare il corpo dai suoi stessi eccessi, nella ricerca di una giusta proporzione a cui il fenomeno ritmico dovrebbe guardare, lidea di una articolazione pone al centro del problema una nozione di corpo senziente assai forte: vi sublimazione nella scelta di una misura, che permetta di controllare la forma dalla dispersione nel divenire, non certo una negazione dellaspetto corporeo, che si limita ad essere inserito in una sorta di reticolo, che ne moduli le possibilit di movimento in senso prescrittivo. Il precipitato di queste nozioni, che richiamiamo necessariamente in una sintesi violenta ed un poco semplificatoria, possono trovare una qualche analogia nella dimensione del musicale? Lidea di una configurazione che muta nel tempo e che rende visibile la caducit della forma, ha certamente molti tratti analogici con la natura del suono, che anzitutto processualit che si dispiega nel tempo, che permette alla percezione di avvertire il prender forma di un andamento della temporalit.

Ancora in pieno novecento lo spazio che si muove attorno al corpo del danzatore prende la forma di un solido platonico, licosaedro come accade in Rudolf Lablan, The Mastery of Movement on the Stage, Mac-Doanld and Evans, London, 1950

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Flusso e diga, tempo e ritmo sembrano continuamente tendersi la mano: nella definizione platonica vengono messi al bando due tipi di movimento, come ha messo bene in rilievo Curt Sachs 14 : movimenti di tipo caotico, come quello di una valanga, totalmente privi di una periodicit interna, e movimenti troppo uniformi, con un carattere di continuit cinetica, come accade per il movimento di una barca a vela, o di unautomobile. La definizione di Platone, nellinterpretazione di Sachs, coglie i due estremi allinterno dei quali la nozione di ritmo pu oscillare. Il carattere di regolarit, di segmentazione di una continuit qui prende pregnanza, perch diventa avvertibile: la forma ritmica deve potersi dare alla percezione, per poter essere riconosciuta, ed apprezzata. Vi quindi lidea di una ripetizione, che va separando le parti di un intero, e che devessere riconoscibile: ma cosa rende percepibile un tessuto che trova il proprio principio di articolazione nelle lacune che ne distanziano i tratti? Il richiamo alla misura, infatti, va affrontato prima ci si metta a contare i tagli con cui elaboriamo il profilo che d un andamento al continuo temporale. Tale aspetto del problema ritmico ci si fa innanzi prima ancora che si possa entrare nellambito delle esemplificazioni musicali, perch mette in gioco problemi legati al concetto di periodicit: cosa vuol dire che un suono si ripete, ad esempio, e che si ripete, secondo un certo andamento? Si tratta di un problema essenziale, perch, se il ritmo basato su una misura che determina landamento delle occorrenze di una certa figura, di un certo colpo, dobbiamo poter mostrare chiaramente quale sia il senso dellarticolazione, che cosa la sostenga.

6 La funzione del ritmo nellatomismo: lo sciogliersi della forma nella figurazione Allinterno di tutte le accezioni di r(uqmoj considerate, manca ancora quella che lega il termine alla nozione di atomo: nella filosofia degli antichi atomisti, r(uqmoj indica quel tracciato che latomo disegna nello spazio. Se ogni atomo si muove nello spazio, secondo una propria modalit, la qualit di quel movimento ne determina la forma e la modalit di congiunzione con gli altri atomi. La nozione ci interessa particolarmente, perch i titoli delle opere di Democrito vedono affiancarsi alla nozione di ritmo, come forma in movimento degli atomi, quella di ritmo musicale, e questo mostra che fa le due nozioni corre unaffinit profonda. Vorremmo comprendere meglio cosa si intenda con questo parallelismo, virando tutto il ragionamento sul piano di un approdo ad una filosofia della musica. Se r(uqmoj indica la forma di una traiettoria in movimento, ed ha la possibilit di intervenire sulle modalit di aggregazione degli atomi fra loro, sembra immediatamente tradursi nella nozione di schema, figura che descrive il modo in cui due materie diverse vengono costruite, grazie allintreccio di due atomi diversi che hanno carattere di eternit, in un composto che , per sua natura, instabile e sottoposto a generazione e corruzione. Nella Metafisica, Aristotele spiega quella relazione ricorrendo al una analogia con la posizione delle lettere nellalfabeto: (Gli atomisti) infatti asseriscono che lessere differisce solo per la traiettoria, per modalit di congiunzione, per modalit di rivolgimento (r(usmw=si kai\ diaqigh=i kai\ troph=i). In particolare, la traiettoria (r(usmo\j) la figura (sxh=ma e)stin), la modalit di congiunzione 15 lordine (tacij) e la modalit di rivolgimento la posizione. Infatti la A differisce dalla N per la figura, mentre AN differisce da NA per la posizione, e invece I si differenzia da H per la posizione 16 ..
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Curt Sachs, Rhytm and Tempo. A study in music history. Norton and Company, New York, 1953, p.15. Il testo aristotelico recita cos: h) de\ diaqigh\ tacij, h) de\ troph\ qesij 16 Aristotele, Metafisica, A4. 985b 4 . Traggo la traduzione da Atomisti Antichi, Frammenti e testimonianze, a cura di Matteo Andolfo, Rusconi, Milano, 1999, pp.98 - 99.

Il passo aristotelico sembrerebbe ricondurre le relazioni fra fluidit dellassetto e schematicit della forma, decisamente dalla parte della schematicit, quando sostiene che r(usmo\j e lo sxh=ma coincidono. Una simile lettura, tuttavia, proposta ossessivamente in molti manuali di storia della filosofia, potrebbe rivelarsi troppo unilaterale, e se guardiamo con pi cura la testimonianza aristotelica, collocandola cio nel contesto di quello che sappiamo della filosofia atomistica, il senso di quanto leggiamo muta completamente 17 . Aristotele scrive dapprima che A ed N hanno figura diversa, e quindi che la forma degli atomi, presa in s, muta a seconda del tipo. In questo senso, lo schema criterio di identit dellatomo stesso, la sua forma caratteristica. Noi, tuttavia, non facciamo esperienza di atomi, ma di sostanze, di materia, costruita attraverso laggregarsi degli atomi, e tali aggregati non sono eterni, come latomo. Se la nozione di sostanza, sembrasse troppo legata ad un orizzonte aristotelico, il peso del problema non muta. Lintrecciarsi dei caratteri della congiunzione degli atomi nello spazio, da cui si sviluppa la materia, fa uscire dalla staticit dello schema, per avviarsi verso la nozione di ritmo. Larmonia che tiene insieme le cose, non eterna. La sostanza una strutturazione ritmica, sottoposta a corruzione, perch intreccio fra atomi, di forma diversa: latomo configura una struttura che forma in movimento, verso la propria degenerazione. La posizione, la tacij, quella relazione che sostiene le relazioni reciproche fra atomi nel loro contessersi, ci che si oppone al mutamento, ma quel mutamento avanza implacabile con il decorrere del tempo. Ogni sostanza unit che vive in un decorso finito del tempo, in ununit lunghissima, ma chiusa solo da un andamento che la tiene coesa. Essa rientra dunque in pieno nellidea di una scansione, non di una misurazione. La schematicit solo apparente, ed dalla parte dellatomo: per quanto attiene la dimensione degli elementi essa ancora movimento, il mondo che ci circonda configurazione che muta. Aria ed acqua differiscono per la disposizione degli atomi nella loro costituzione: assumono forme diverse nella loro aggregazione, ma tali forme sono effimere. Latomo, pur avendo una figura, muta in relazione alle strutture combinatorie con cui entra nella configurarsi degli elementi tra di loro: in un mondo dominato dal movimento, sospeso fra essere e non essere, fra pieno e vuoto, dove anche le immagini, gli odori o i suoni sono eidola, immagini riflesse della materia, che si offrono ai sensi, il ritmo tiene insieme lelemento nella configurazione, instabile tessitura del reale. Il concetto di simulacro rieccheggia in s gli adombramenti di un divenire inquieto e corrosivo. Potremmo osservare che il ritmo determina le forme combinatorie degli atomi negli elementi e si basa su una differenza intrinseca, legata alle differenti forme degli atomi fra loro, e ad una modalit della configurazione, legata al loro movimento, alla modalit del loro intreccio, allaffinit tra le traiettorie. Esiste cos una serie di analogie fra il ritmo, che tiene uniti gli atomi nella materia e la forma delle lettere, combinazione grafica di tratti, che si consolida, e che pu mutare nel tempo. La I e la H, spiega Aristotele, sono lo stesso carattere grafico. posto in posizione diversa: il che vero se guardiamo alla grafia greca delle lettere e che mostra che la lettera oscilla nello spazio, si configura, consolidandosi in uno schema, soggetto a variazioni. Lo stesso grafema, posto diversamente nello spazio, configura due lettere diverse: in qualche misura, neppure la schematicit della forma garantisce lidentit e la non mutevolezza dellparola nel tempo: se la scrittura si basa su una combinazione di tratti, che configurano la parola, la combinazione stessa si trasforma, nel mutare dei sistemi grafici in cui laspetto della lettera ci appare in nuova configurazione.
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Lorizzonte interpretativo che ci accingiamo a sviluppare stato sviluppato, in una direzione assai diversa dalla nostra, dal Deleuze di Logica del senso, dove il problema viene aggredito a partire dalla nozione di simulacro.

La lettera ha consistenza apparente, configurazione in movimento, trama che pone gli elementi in tensione tra loro, non armatura che li incardina: nel senso della costituzione del grafema si pone lidea di una continua deformazione, rispetto ad un modello che , ancora, configurazione nel movimento: forma e deformazione scivolano sullo stesso piano, mentre continua ad emergere una nozione di ritmo che resiste, in qualche modo, alla visibilit apparente che si presenta nelle sue manifestazioni di superficie. Possibilit della schematizzazione, il ritmo continua a sfuggire a darsi attraverso una forma congelata, reticolare mentre la sua essenza si nasconde nel movimento che ne scuote le strutturazioni. Il ritmo vive cos nel darsi delle sue variazioni, allinterno di una regola, di una misura, che traluceva dalla forma scossa della calzatura. Da questa prima immagine, dove la nozione di regolarit esce dalla rigidit un poco rappresa della forma architettonica, per mettere capo ad un processo dove la misura assicura le condizioni minime delloscillazione attorno a punti fissi, eravamo arrivati ad evocare limmagine platonica dellarticolarsi nella transizione, del placarsi delle tendenze centrifughe e spasmodiche del movimento dionisiaco, fino alla neutralizzazione della pulsazione, del colpo placido, senza accento. Possiamo ora chiederci se questa formulazione sia stata, in qualche modo, riattraversata dalla tradizione aristotelica, intenta a fornire criteri esplicativi rigorosi, che permettano di costruire delle teorie in gradi di dar ragione di quanto accade sul piano dellesperienza: nel nostro caso, potremmo chiederci in che modo possiamo dire che siamo in grado di riconoscere un ritmo? Su cosa si basa il riconoscimento della regolarit, una volta, che attraverso il lavorio concettuale del platonismo e della filosofia presocratica, abbiamo compreso che la regolarit essenzialmente protezione di una forma?

7 Aristosseno e la materia del tempo Domande di tale tenore emergono dalla lettura degli Elementa Rhythmica 18 di Aristosseno (354 300 a. C.), che si preoccupa immediatamente di avvisarci che perch vi sia percezione del ritmo, necessario che il fenomeno ritmico si articoli secondo rapporti che si ripetano e che possano essere mimati da gesti. Il ritmo fa tutt'uno con la regolarit della scansione: ma la regolarit della scansione prende corpo solo di fronte alla possibilit di individuare il movimento caratteristico di una figura che si ripete. Solo in presenza della ripetizione, infatti, riusciamo a coordinare un movimento, o una serie di gesti che ci permettono di decidere sull'efficacia nei rapporti fra durate che scandiscono una frase musicale o un verso. Il ritmo ha quindi natura gestuale: se siamo portati a battere le mani, o i piedi o a scuotere la testa, il ritmo funziona. Laspetto paradossale di modo di procedere che esso si basa su presupposti non immediati che vanno portati in evidenza. Il primo che non basta una relazione matematica per misurare il movimento: se il tempo caratterizzato dalla sua continuit, dall'essere una linea retta, qualcosa che non ha parti, che ha limiti comuni, per cui si trapassa continuamente da una fase allaltra, non possiamo accontentarci di isolarne dei frammenti, perch otterremmo delle semplici durate. Le durate diventano percepibili ai sensi attraverso sillabe o note musicali. Il tempo quindi la materia del ritmo, la prima cosa da suddividere, per ottenere una serie di rapporti (protos chronos), di valori semplici, proporzioni matematiche, che organizzano tutta la struttura ritmica. Ma il tempo anche un segmento immaginato, una forma che cerca la propria profilatura, per farsi avvertire mentre scorre. Dobbiamo isolarne dei frammenti che abbiano pregnanza, cio che non siano n troppo lunghi, n troppo brevi: in questa operazione decide la scelta nasce dalla possibilit di cadenzare con il corpo il movimento, ovvero di trasformare il frammento ritmico in un gesto, che si possa iterare con facilit. Esiste quindi una differenza, fra l'attribuzione astratta di una misura nel flusso temporale, assimilabile all'indicazione che troviamo ad apertura di un brano musicale o nella suddivisione offerta dalle sillabe del verso, e l'articolazione, il periodare degli eventi, dei suoni delle parole offerte da un ritmo, che si organizzano in strutture che hanno una vita autonoma che va riconosciuta. Non basta, in una concezione ritmica di tipo aristossenico la semplice scansione in sillabe di un verso, il ricercare le lunghe e le brevi, per applicarvi meccanicamente un metro. La natura di quelle suddivisioni, infatti, pu sostenere accentazioni diverse: l'articolazione ritmica non si limita quindi ad una suddivisione o ad una organizzazione per gruppi, ma deve fornire un'architettura degli eventi temporali. Il terreno di esplicazione del ritmo il battere ed il levare del piede, nella marcia o nella danza (pouj). Vengono cos introdotti i concetti di arsi e di tesi: ogni volta che muoviamo un passo solleviamo un piede, e lo abbassiamo: quel movimento diviso in due fasi: nella prima fase del processo, il piede sospeso in aria, nella seconda battiamo il colpo. Il ritmo nasce come un'alternanza di colpi, nascendo solo nella transizione da una fase all'altra del processo: il ritmo deve rimanere sempre riconoscibile modificandosi, prenendo spessore a seconda del taglio che ne cattura i profili. Il suono isolato, non relazionato ad un altro, non costituisce unit ritmica. Rimane solo un colpo. Dovremo interrogarci su questo presupposto relazionale. Il risuonare del colpo non schematizzabile, vive al di fuori di ogni relazione.

Aristoxenus, Elementa Rhythmica. The Fragments of Book II and the additional evidence for Aristoxenean Rhythmic Theory. Texts edited with introduction, transalation and commentary by Lionel Parsons, Clarendon Press, Oxford, 1990. Ci occupiamo del secondo libro, lunico che ci sia arrivato in una versione integrale.

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Lo stesso vale per i fenomeni continui, o troppo discreti, come il canto delle cicale, o lo scorrere di un ruscello, che non sono modulabili attraverso l'individuazione del segmento che esprime la misura dell'alternanza. Quei fenomeni naturali hanno un andamento caratteristico, riconoscibile, ma la pulsazione che li caratterizza non pu essere scandita attraverso il movimento, le fasi sono caratterizzate da fenomeni di addensamento o di rarefazione che non ne permettono una riproducibilit che possa essere controllata: non si possono utilizzare, n misurare in modo pregnante. Sono dunque degli indeclinabili: perch si possa plasmare ritmicamente qualcosa, bisogna che la sostanza di cui costituito goda di propriet, che trovano il loro fondamento nella ripetibilit modulare. Da quanto abbiamo detto per Aristosseno la proporzione matematica fra durate (ossia il chronos protos) deve rendersi percepibile attraverso il liberarsi della tensione fra arsi e tesi, attraverso il cadere del colpo, che crea attesa per la caduta successiva. Nella metrica della poesia lunione di una sillaba breve e di una sillaba lunga viene denominata giambo. Non passeremo attraverso il terreno minato della metrica, ma trasformare arsi e tesi direttamente in durate ritmiche, cercando di farvi ascoltare le relazioni fra le durate. Di fronte alla raffinatissima concettualizzazione del problema del ritmo, che Aristosseno sviluppa in modo serrato, rapido, vi un modo peculiare di riprendere laspetto legato al problema aritmetico, ossia alle relazione fra i valori delle durate, cui debbono essere condotti tutti i tempi primi. Non possiamo entrare nel vivo della trattazione, ma dobbiamo notare come ogni rapporto numerico venga riportato al problema della sua riconoscibilit, che consiste nella battuta del piede. Per Aristosseno, il numero anima il flusso del tempo attraverso dei colpi, e lo rende riconoscibile. Lintervallo fra i colpi, il silenzio, diventa quindi una struttura dellattesa. Le possibilit sintetiche legate alluso di queste cellule elementari sono notevoli, e basta pochissimo per elaborare un primo accostamento fra due cellule ritmiche elementari, per ottenere un disegno ritmico, in cui la funzione della pausa crea gi una prima, elementare, articolazione. Sulla base ritmica vediamo prender piede ( il caso di dirlo) una delle pi sistematiche e raffinate applicazioni dei criteri di costruzione ritmica nel verso, ma non possiamo seguire questa direzione. Osserviamo solo che la matrice ritmica, che si fa avvertire attraverso la distribuzione degli accenti, ha evidentemente il valore di una sublimazione della struttura ritmica, epurata, in fondo, di tutte le sue componenti pi concrete. Eppure, basterebbe far risuonare la struttura ritmica di un verso omerico, per avere ben pi di una sorpresa. La struttura iterativa della disposizione degli accenti, se da un lato sublima il colpo, riesce a mantenere tensione nelliterazione, ovvero nella dialettica di attese e risposte che una relazione ritmica impone al periodare del tempo. Se il ritmo sceglie i propri oggetti, ha affinit con alcuni fenomeni e con altri no, e ci dev'essere la possibilit di verificare in qualche modo la capacit delle parole e o dei suoni di sostenere la suddivisione: il metodo , apparentemente, molto semplice. Si deve distinguere ci che pu essere plasmato dal ritmo, in questo caso gruppi di suoni o di parole, da ci che non pu essere suddiviso: una teoria del ritmo, secondo Aristosseno, deve anzitutto poter localizzare i propri oggetti, definire quali sono i limiti della propria indagine, rispetto alle materialit che deve analizzare. Nel riprendere limpostazione offerta dalla sistematizzazione aristotelica, che distingue tra forma e materia, Aristosseno propone di definire gli oggetti che divengono materia della scienza ritmica come r(uqmiqomena, strutture o sostanze che possono sostenere l'articolazione effettuata dal ritmo(rhythmizomena). Possiamo decidere quali essi siano solo attraverso un richiamo alla possibilit di cantare o di scandire un suono o una parola. La distinzione fra ritmo (r(uqmoj) e ci che va suddiviso collocato sullo stesso piano di quella fra forma (sxh=ma) e materia plasmabile dalla forma stessa (sxhmatizomenon). La distinzione epistemologica viene riportata al sistema di classificazione della logica aristotelica: l'uomo ed il bue sono entrambi animali, perch la definizione della loro essenza ha tratti comuni: questessenza che permane la chiameremo sostrato. Ora, alcune cose, che fanno parte dello stesso sostrato, non possono essere predicate l'una dell'altra: il che implica che il loro rapporto con il

sostrato comune vari e che vada ulteriormente specificato il senso della loro relazione: la bianchezza pu far parte di un corpo, ma il corpo non bianchezza. Il ritmo esiste nella cose che possono essere plasmate dalle relazioni definite attraverso rapporti temporali, ma il ritmo non una di quelle cose: il ritmo non il movimento del corpo, l'articolazione della melodia, la lettura del verso, anche se tutte e tre queste cose fanno parte dei fenomeni governati dal ritmo. Questo discorso, a dire il vero, viene sempre liquidato come unovviet, a me invece sempre sembrato molto misterioso: perch mai il ritmo non deve coincidere con quello che stato diviso? Perch non posso indicarlo, se poi ammetto in partenza che si tratta di un rapporto fra segmenti temporali? Se ci fermassimo su questo livello della discussione, perderemmo forse lo spessore filosofico del discorso aristossenico, che ha, alle spalle, un problema consistente. Che tipo di quantit viene retta da un ritmo, che materia viene gestita ritmicamente? 8 Aristosseno e il sigillo della forma sulla quantit Se il ritmo unopera di suddivisione, dobbiamo capire che tipo di quantit sia quella cui il ritmo mette capo: abbiamo dei suoni, delle parole, dei movimenti. E questi gesti coprono, ed animano, lo scorrerre del tempo. Ma cos, allora, una quantit? Nella logica aristotelica la quantit il genere delle determinazioni che indicano la divisibilit di una cosa. Dobbiamo porre attenzione al fatto che, secondo Aristotele, il concetto di quantit va riportato alla dialettica fra un intero e parte: ha senso parlare di quantit, solo se ci troviamo di fronte ad una suddivisione in cui risultino delle parti che siano interne alle cosa stessa e che siano, ciascuna, numericamente una e determinata. Se prendo il foglio e lo divido in quattro quadranti, ho di fronte a me uninterpretazione pregnante del concetto di quantit aristotelica. Rispetto al foglio, i quadranti sono individuati e numericamente determinati. Naturalmente, potrei continuare a suddividere i quadranti in ulteriori parti, sempre pi piccole. Le parti in cui si divide una quantit sono ancora quantit, quindi sono ulteriormente suddivisibili.

La distinzione 19 che ci interessa fra quantit continue e discrete. Delle quantit, scrive Aristotele, una continua, laltra discreta (Tou= de posou= to\ men e)sti diwrismenon, to\ de\ sunexej). Nella quantit discreta le parti hanno una posizione, sono cio ben scandite, individuabili, separate fra loro, mentre in quella continua le parti di cui costituita hanno tutte un confine comune. Aristotele indica come esempi di quantit discrete il numero ed il discorso parlato. I numeri, sono entit concrete, aggregati puntuali che individuano quantit, e tipologie di relazioni, e non godono di contiguit: allo stesso modo, il discorso scandito dalla voce , che fatto di parole, cio da aggregati di una quantit discreta di sillabe che vengono enunciate nella scansione. Il discorso parlato dunque il discorso sillabato, che si esprime attraverso cadenze della voce: esso esiste solo mentre risuona. Le parti del discorso non permangono, ma, appena dette, si perdono: manca una sostanza che garantisca continuit. Tuttavia, vi una tensione che mantiene lintero. La linea, la superficie, il corpo, il luogo sono invece quantit continue, che hanno confini comuni: nella linea, il punto, nella superficie, la linea, nel solido geometrico, la linea come spigolo e la superficie come sezione, nel tempo, listante, per il luogo, il limite del corpo contenuto. Tutta il campo della spazialit cos caratterizzato da un reciproco coimplicarsi, da un appartenersi delle parti, dallimpossibilit di separare qualcosa, senza perdere lintero. Di fronte ad una quantit continua vista come forma di compenetrazione intima delle parti, la transizione non solo il carattere dello scivolamento nellomogeneit, ma quello della transizione da una dimensione allaltra, nellindividuazione del concetto di luogo. Il discorso, al contrario, una quantit discreta, proprio perch misurato da una sillaba lunga ed una sillaba breve: esse non hanno un limite comune, non convergono luna verso laltra. Fra di loro c un vuoto vibrante, che separa qualcosa da qualcosa daltro, in altri termini un intervallo. Nei commenti al passo delle Categorie si osserva spesso che una sillaba lunga equivale a due brevi e che quindi, in teoria, non vi dovrebbe essere cesura nella scansione. Questo un buon modo per confondere listanza della misurazione nellintero, che si basa sullindividuazione di un unit minima di riferimento, la breve appunto, con larticolazione ritmica dellintero stesso, che vive nel pulsare che deve riempire un silenzio. Dovremmo allora chiederci su quale fondamento comune si appoggiano il movimento ritmato del corpo nello spazio, la dialettica fra le sillabe lunghe e quelle brevi, le relazioni interne giocate dai suoni messi in rapporto ritmico, dobbiamo chiederci quale sia il sostrato comune a queste tre cose, quale sia l' u(pokeimenon che le sostiene. La risposta aristossenica semplice, quanto poco rilevata: non tanto il carattere di continuit del tempo, presupposto ovvio, ma il modo in cui essi si danno nel tempo, ovvero il loro durare nel tempo, il loro non essere eventi istantanei, che non sorreggono una suddivisione ritmica, ma la loro possibilit di sostenere l'esser messi in sequenza per dar luogo ad un intero. Il ritmo non vive che nella sua transizione, nellistaurarsi di una relazione retta dal numero. Intravvediamo ora il fondamento del discorso sulla natura temporale del suono, che i commentatori del trattato sembrano vedere in modo confuso: un suono deve durare, deve avere una tensione interna che lo sostiene, che ne permette una segregazione dai fenomeni acustici che lo circondano, e dev'essere qualcosa che possa essere riportato al piano della transizione fra colpi, che interpreta l'oggetto sonoro come una sequenza o un processo. Il tempo un continuum, ma se vogliamo renderne percettivamente avvertibile la funzione del ritmo nell'articolazione dei suoni, dobbiamo effettuare una serie di operazioni che diano al flusso un andamento. Lo stesso vale per il movimento che si articola nello spazio: esso un processo (qui sta la continuit con l'impostazione platonica del problema), che si esprime attraverso figure che propongono una partizione della sequenza temporale e spaziale a scopo espressivo. Si tratta di una condizione generalissima, che ancora non ci permette di modulare le relazioni fra durate in modo unitario: abbiamo di fronte un campo che va ancora messo a fuoco, ma l'idea del carattere
Aristotele, Le Categorie, introduzione, traduzione e note di Marcello Zanatta,Bur, Milano, 1989. Il passo cui mi riferisco Cat6, 4b 20ce sgg.
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processuale del suono, della sua possibilit di articolazione prospettica, resa ancora pi avvertibile dal movimento organizzato nello spazio, affermata in modo prepotente. Perch una sequenza di suoni risulti riconoscibile come dominata dal ritmo, necessario selezionare un rapporto che organizzi la transizione da un colpo ad un altro, ma tutto ci si appoggia sul carattere processuale della durata temporale del suono. In secondo luogo, isolati due suoni, dobbiamo poterne segmentare le durate, ovvero porle in un ciclo temporale retto da un rapporto, individuando delle relazioni fra durate che abbiano pregnanza e che siano modulabili tra di loro. Per questo motivo, fin dallinizio del suo trattato, Aristosseno ci invita a distinguere ci che pu essere plasmato ritmicamente, la sostanza, dal ritmo, ovvero dalloperazione di plasmazione. Insomma, il ritmo si esprime solo in presenza di una sostanza che possa fungere da sostrato, di una continuit che duri, si mantenga nel tempo. Si tratta della transizione fra due o pi fasi. Questo il fondamento non dichiarato su cui poggia loperazione del suddividere ritmicamente la materia dalla forma. Nei commenti al testo aristossenico si insiste molto sulla suddivisione fra una sostanza ritmica e l'operazione del suddividerla, ma l'attenzione eccessiva a questa applicazione della logica aristotelica, al porre cio una differenza di natura fra ci che suddivide, ossia il numero, e la sostanza cui si riferisce al suddivisione ritmica, che pu essere il verso, il suono musicale o il passo di danza, quindi fra la materia e la forma, ha portato i commentatori a trascurare l'accentuazione fenomenologica della durata del suono come fondamento della sua permanenza. Ma qui riscopriamo il carattere attrattivo del suono stesso, il suo sopravanzare: non esiste un ritmo sulla carta: i suoni devono potersi muovere, questo il problema fondamentale. All'inizio della nostra discussione sul ritmo abbiamo insistito sulla nozione di durata fenomenologica del suono, inteso come fondamento dell'apparire del suono stesso. In Aristosseno troviamo quest'ipotesi formulata in un altro modo: il ritmo musicale rende percepibile lo scorrere del tempo, e lo organizza a proprio, grazie al durare del suono. Il durare del suono il sostrato permanente che ne permette la suddivisione: il ritmo un segmento, un segmento che non ha una durata assoluta, svincolata dall'attivit della coscienza. Quel segmento deve suscitare in noi qualche gesto, dev'essere riconosciuto nella sua pregnanza, per poter ritagliare nel campo delle durate una forma ben riconoscibile. La forma, tuttavia, viene isolata da una materia che continuit che dura, flusso che continuamente si reintegra, materia che possa essere schematizzata. Ogni forma ritmica si staglia da questo fondo continuo a condizione di poter essere riconosciuta, ovvero di poter esibire le regole della propria suddivisione. Il durare va disciplinato e reso fruibile, ma si esibisce all'interno del modo d'organizzazione della durata stessa. Il richiamo al gesto, all'intonazione della parola o al canto, il passaggio, diciamo cos, dalla potenza all'atto per decidere se un rapporto ritmico funziona o meno, mette in mostra non tanto un richiamo psicologico, ma il ruolo fondamentale attribuito al durare del suono ed all'esibizione delle caratteristiche strutturali di quel durare. Il durare messo in gioco dal rapporto ritmico diventa cos una tensione fra due fasi distinte: e qui emerge latro aspetto nel rilevato del problema: la tensione offerta dal ritmo viene ricondotta ad ununit di misura, particolarmente elementare, il protos chronos, il tempo primo. Si tratta dellunit minima che permette quel collegamento: ma tutto, in quel collegamento, si gioca nel mantenere in tensione, nel veder convergere i limiti delle durate da una transizione allaltra. Il ritmo visto da Aristosseno non coincide, come generalmente si crede, con lisolamento della figura e lopera di scansione fra una figura e laltra, tanto che si tratti della sillaba di una parola, del passo di una danza, o dellarticolazione fra le durate che connettono landamento di un gruppo di suoni organizzato. Il movimento, allinterno di questo fenomeni, rischia di far perdere la sostanziale tendenza allunit, che emerge quando costruiamo un rapporto che metta in tensione i due oggetti. La continuit fra i gesti ritmo, il legame che stringe i suoni ritmo, la fusione fra le parole e gli accenti ancora ritmo. Il ritmo fonde le singole fasi, e le stringe tutte fra loro. Quando ci chiediamo quale sia il soggetto della scienza ritmica di Aristosseno, quale sia il suo soggetto, quale sia l u(pokeimenon (upokeimenon) di una suddivisione ritmica non dobbiamo

pensare alle relazioni fra gruppi di suoni, di gesti, presi come oggetti che si presentano e poi spariscono, ma alla tensione che fa s che luno divenga conseguenza dellaltro che la tensione accumulata nelluno venga a a risolversi nellaltro. La distinzione fra ritmo e ritmizzabili prende allora consistenza diversa: un verso contiene sempre lo stesso numero di sillabe, ma la scelta del tempo giusto si lega, in sostanza, ad una scelta di tipo espressivo. Limportante che si mantenga una tensione costante che non dipende certo dalla velocit, ma dalle figure che il testo mette in gioco. Ma aldil di questa parentesi, ovvia e contenutistica, quello che emerge con chiarezza dalla lettura aristossenica proprio la difficolt a sostenere fino in fondo lidea di un irrigidimento nello schema: la figura pulsa, si muove nel tempo, ogni classificazione ora ha un carattere scientifico e mostra le proprie regole interne, perch nella figura ritmica il ritmo, materia, si fatto forma in movimento, ma scandita. Quando abbiamo iniziato a parlare del ritmo, abbiamo continuato a giocare la carta di una contrapposizione fra schema e ruthmos, una contrapposizione che sembrava collocarsi allinterno di una dialettica fra il configurarsi di una forma, il suo trattenere delle relazioni allo stato fluido, per contrapporla ad una nozione di schema molto definita, piena di regole. Si trattava di una accentuazione che allinterno del tema del ritmo deve ora essere fortemente ridimensionata. Nelle forme ritmiche, e non nella misurazione, sentiamo farsi avanti un movimento di coesione fra parti che si articola nella tensione degli elementi allinterno della transizione. Il gioco di valorizzazione metrica del ritmo, lanimazione legata allalternarsi degli accenti non esprime pi quella variet che viene spesso postulata come momento accessorio nel gioco dellespressione, ma giace proprio allinterno del configurarsi dei materiali in visto della loro plasmazione. La forma si raggela nella tensione dei suoi costituenti. Facendo uso della logica aristotelica, la suddivisione aristossenica porta laccento sulla continuit di fenomeni acustici: i movimenti, i suoni musicali, i versi possono essere plasmati ritmicamente in pi modi. Ogni sequenza di suoni, ogni sequenza di parole, ogni sequenza di movimenti pu accettare pi suddivisioni, partendo per dal fatto che tutti questi fenomeni possono essere scanditi dal battito del piede. Levocazione del concetto di arsi e tesi da parte di Aristosseno viene immediatamente collegata al problema della tensione fra colpi nella durata : un singolo battito non offre unarticolazione ritmica. Allinizio della nostra esposizione, avevamo osservato che questa opzione teorica sembrava chiudere il problema del ritmo allinterno dello schema, delliterazione della cellula: ma anche qui dobbiamo stare attenti alle espressioni che Aristosseno sceglie, perch si sta facendo avanti un altro problema. Egli osserva che la lunghezza del piede che fa s che siano necessari pi segnali. Lespressione che usa Aristosseno shmei=on, il segnale che mette in luce la necessit di pi pulsazioni nella lettura del verso, nel passo di danza, nel brano musicale. La suddivisione del tempo attraverso segnalatori ritmici implica per che il problema che si va configurando nellambito della suddivisione non sia semplicemente quello del misurare, ma del misurare mantenendo una tensione fra arsi e tesi. Aristosseno osserva infatti che i sensi hanno bisogno di molti segnali per poter riconoscere una suddivisione ritmica di ununit molto lunga e che si disperdono se vi sono troppi segnali per una corta. Ora, questa frase va capita a fondo perch, di per s, il segnale non fa altro che indicare gli estremi della pulsazione come semplice suddivisione fra tempi, e non come articolazione tensiva fra arsi e tesi. Per questo motivo, per evitare di mantenere solo un tono di astratta suddivisione matematica fra le durate che reggono la scandirsi degli eventi ritmici, Aristosseno ricorre ad unaltra nozione, quella di ryhtmopoia, che ha di mira i nessi interni dellarticolazione ritmica, le forme legate alla quantit di colpi, e le possibilit espressive che giacciono dentro alla forma. In questo senso vanno lette le forme tassonomiche e gli elenchi delle figurazioni ritmiche che percorrono questo secondo libro. Anche in questo caso, vi una radicale continuit con il pensiero platonico, ed forse paradossale rilevare che comprendere a fondo la continuit con il platonismo ci spinge a riflettere su distinzioni meno evidenti di quantici aspetteremmo.

Spieghiamoci con un esempio: per Aristotele il discorso il luogo della discontinuit, del sezionamento della parola attraverso la gabbia metrica. In Aristosseno, per tutte le ragioni che abbiamo elencato, il discorso prende una piega diversa: la metrica determinata dalla scansione la superficie del problema ritmico, il suo segno: ma laspetto decisivo nellelaborazione musicale del verso o nellandamento ritmico del canto sta nella transizione fra le fasi di questa discontinuit, come accade , ad esempio, quando passiamo da un vocale ad unaltra in una linea di canto sillabata. Il ritmo deve permettere che le sillabe si inanellino luna nellaltra nella morbidezza dellattacco, nella continuit del salto che ci fa passare da una vocale ad unaltra, come accade per il canto, che non deve dare lidea di uno scalino, ma di un segmento continuo. In questo senso la rythmopoia sostiene la tecnica del canto, e smorza le cesure dellaccento, che la tradizione metrica enfatizza: nel verso le frazioni delle parole si abbracciano tra loro, vengono scandite, frenate, ma facendo collimare quelle discontinuit nellattacco del suono. Tutte le tassonomie dei tipi ritmici aristossenici sono pensate cos, facendo emergere, platonicamente, la continuit nella transizione da una fase allaltra: si tratta di quel delicato passaggio che porta dalla metrica della poesia alla metrica della musica, in una civilt che abbraccia entrambe, e che le fa germinare luna dallaltra. La parola ritmata si tende come un arco, ma al suo interno i passaggi da una fase allaltra sono morbidi, anche se determinati, non dobbiamo avvertire scalini, ma un tendersi della voce fra le sillabe, oltre che fra note dellintervallo, e la dimensione ritmica sostiene la nettezza della configurazione spaziale fra i centri delle note che caratterizzano un intervallo. Ritmo ed armonia ora si tendono la mano. La voce salta fra i punti sonori che limitano un intervallo, e canta: ma il suo canta sorretta dalla danza, dal ritmo che le permette di transitare con ordine da una sillaba allaltra:larte del canto questo incontro raro.

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