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Volume Brasile
Volume Brasile
di
Sandro Sideri
Sandro Sideri, PhD Università di Amsterdam (1970) e Harkness Fellow al MIT, Cambridge
(Mass.) (1964-66). Già professore ordinario di economia internazionale all’International
Institute of Social Studies (ISS) of the Erasmus University Rotterdam, sede L’Aja (fino al
2000), ha lavorato alla CEPAL (Commissione economica per America Latina e Caraibi) a
Santiago (Cile) (1971-73), é stato Visiting Professor in varie università straniere, per molti
anni all’Università Bocconi e poi alla LUISS e all’Orientale e docente all’ICE e all’ISPI.
Il presente volume conclude la serie dedicata ai BRIC, iniziata con “La Russia e gli altri”
(ed. Egea) (2009) e, online per l’ISPI, “La Cina e gli altri” (2011) e “L’India e gli altri”
(2012)..
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INDICE
Abbreviazioni .................................................................................................... p. vi
1. Il Brasile ...................................................................................................... » 1
1.1. Introduzione .......................................................................................... » 1
1.2. Geografia, popolazione, religione e stato .............................................. » 1
1.3. Storia, politica ed economia .................................................................. » 10
1.4. Società: oligarchia, meticciato e disuguaglianza ................................... » 41
1.5. Contesto continentale ............................................................................ » 47
Approfondimento 1.1. La questione razziale ......................................... » 51
Approfondimento 1.2. La riforma agraria e
il movimento dei “senza terra” .............................................................. » 56
Approfondimento 1.3. Le minoranze etniche dell’Amazzonia .............. » 62
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Indice
iv
Indice
v
Abbreviazioni
vi
Abbreviazioni
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Il Brasile e gli altri
viii
ix
1. Il Brasile
1.1. INTRODUZIONE
Il Brasile è a una fase critica di un lungo processo di trasformazione che da una so-
cietà patrimoniale – basata sulla coltivazione e l’esportazione di zucchero e caffè –
sta passando a una società con un effettivo sistema democratico e una modernizzata
economia industriale e di servizi. Quinta nazione al mondo per territorio e popola-
zione, è ora anche la sesta economia. Dalla fine della seconda Guerra mondiale il
Brasile è stato un leader nella governance e nei negoziati internazionali relativi al
commercio – vedi l’importante ruolo avuto nell’evoluzione del GATT e nella nasci-
ta e sviluppo dell’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC, o WTO), e
nella questione ambientale. Tuttavia, nella seconda metà del secolo scorso la politica
del Brasile è stata erratica e l’economia si è distinta per forti inflazioni e pesanti dis-
avanzi nella bilancia dei pagamenti. Solo partendo dalla storia sociale, politica e
economica del paese è possibile cercare di capire se il Brasile è veramente pronto ad
assumere un posto rilevante tra le grandi potenze alla guida del mondo.
Il nome del paese deriva da pau brazil, “albero rosso” (come brasa, cioè brace)
(caesalpinia echinata, albero della famiglia delle fabaceae), la cui corteccia era usa-
ta per tingere di rosso i tessuti1. Il pau brazil nasceva nella foresta vergine che
ricopriva completamente le regioni litoranee del Brasile, in seguito quasi interamen-
te distrutta ed è ora reperibile solo nei giardini botanici.
Il Brasile è il più grande paese dell’America Latina2 (AL), il quinto al mondo
sia per dimensione – 85,2 milioni km2 – che per popolazione – 203 milioni di per-
1
. Secondo Davidson (2012: 24), in un’antichissima leggenda celtica Brazil era il nome di una mitica
terra al di là dell’Atlantico. Inizialmente, il Brasile fu anche chiamato America.
2
. Il termine “America Latina” apparve per la prima volta in Francia ne “La revue des races Latines”
del 1861 e fu utilizzato da Napoleone III per rivendicare la matrice culturale latina del Messico, in
opposizione a quella anglosassone. Attualmente, con questo termine si intende l’insieme di paesi che
hanno mantenuto un legame culturale (religioso e linguistico) con le potenze coloniali ‘latine’” (Liz-
za, 2009: 71 nota 20). Quando all’inizio degli anni ’90 il Messico entrò nel North American Free
Trade Agreement (NAFTA) e l’America Centrale e i Caraibi gravitavano sempre più intorno agli
USA, Cardoso e la diplomazia brasiliana decisero che Sudamerica fosse un termine più adeguato per
descrivere l’area al di sotto del Canale di Panama, praticamente un’isola, cioè un’entità molto logica,
molto ben identificabile dal punto di vista geografico e più facilmente descrivibile. Una delle prime
applicazioni ufficiali del termine fu nell’Area de Libre Comercio de America del Sur (ALCAS)
(Burges, 2009: 38-39).
1
Il Brasile e gli altri
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Il Brasile
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. Il Brasile ha distrutto le proprie foreste meno di tanti altri paesi ed infatti ha conservato il 70% del-
la originale copertura, contro lo 0,3% dell’Europa. Molti brasiliani trovano paradossale che invece di
essere ammirati per questo e per gli attuali sforzi per proteggere e mantenere l’originale copertura fo-
restale, sono severamente criticati da chi invece distrusse le proprie foreste molto tempo fa. Secondo
il ministero dell’Ambiente, nel periodo 2002-06 l’attività di disboscamento si è ridotta del 52%.
Malgrado questo, il Brasile resta sempre tra i primi cinque paesi al mondo che emettono gas respon-
sabili dell’effetto serra.
4
. Megadiverse sono chiamati i paesi che ospitano la maggioranza delle specie terrestri e quindi
presentano una notevole biodiversità.
5
. Cause principali dell’inquinamento idrico sono le dispersioni di materiali tossici provenienti da at-
tività industriali o agroindustriali, oltre agli scarichi fognari che contaminano l’Oceano fino a 50 km
dalla costa (Isenburg, 2006: 53).
3
Il Brasile e gli altri
quando esplose l’economia mineraria nel XVIII secolo, due attività che richiedevano
grande disponibilità di braccia6. Tra il 1650 e 1855 entrarono più di quattro milioni
di africani – per cui il Brasile è il paese che nelle Americhe ne ha ricevuto il mag-
gior numero.
La rete stradale brasiliana è di 1,7 milioni di km, dei quali solo il 12,5% è
asfaltato, cioè 218 mila km. Secondo una commissione governativa (Baer, 2008:
176 nota 48) l’80% delle strade sono classificate come “difettose”, “in cattivo stato”
o “terribili” per cui sui restanti 350 mila km passa un quarto del traffico di merci. I
porti sono notoriamente cari e inefficienti e per essi passa il 95% delle merci espor-
tate, ma sono al 123° posto su 139 paesi nel rapporto sulla concorrenza del World
Economic Forum. Infatti, a Santos, il maggior porto brasiliano, si possono scaricare
30 container l’ora, mentre a Singapore ne vengono scaricati 100.
L’economia brasiliana è una delle maggiori dei paesi in rapida crescita. Nel
2011 il PIL del paese a prezzi correnti è stato il sesto al mondo ($2,5 miliardi, contro
i $2,2 miliardi dell’Italia) e a parità di potere d’acquisto (ppp) il settimo con $2,26
miliardi, il che implica un PIL pro capite di $11,500 (paragonati ai $48,200 degli
USA), ma la distribuzione del reddito è molto diseguale7. Il PIL brasiliano rap-
presenta il 60% di quello sudamericano e il 2,9% di quello globale.
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Con i suoi 195 milioni di abitanti (erano 3,9 milioni nel 1822, di cui il 31%
schiavi; 10 milioni nel primo censimento del 1872, di cui 15% schiavi; e 18 milioni
nel 1900) il Brasile è il quinto stato più popoloso al mondo. La sua popolazione è
cresciuta rapidamente fino agli anni ’70, quando è iniziata una specie di transizione
demografica. Infatti, la natalità è diminuita – da 6,2 figli per donna nel 1940 a 1,8
nel 2011 – e così anche la mortalità infantile (meno di un anno), che però resta an-
cora alta a 14‰ nel 2011 (Cile 8‰), per cui il tasso di crescita annuo della popola-
zione è passato gradualmente dal 3% degli anni ’50 allo 0,9% del 2011. Insieme
all’India, il Brasile è una delle due economie emergenti con una popolazione gio-
vane, per cui nei prossimi decenni la crescita economica non dovrebbe essere
ostacolata da un alto tasso di dipendenza (numero persone di 65+ anni/numero per-
sone di 20-64 anni). Con un’età mediana di 28,9 anni, la popolazione brasiliana si
trova all’inizio del ciclo di consumo. Il gruppo di persone in età produttiva, cioè
quelle tra 15 e 65 anni, che ora rappresenta il 68% della popolazione, dovrebbe con-
tinuare ad aumentare fino a diventare il 71% nel 2022. Dopo quella data, continua
6
. Quello degli schiavi era un commercio triangolare: le navi salpavano dai porti atlantici europei
cariche di alcool, armi, attrezzi in ferro e piccoli oggetti di scarso valore dirette all’Africa occidenta-
le dove, con la complicità di alcune popolazioni locali, scambiavano queste merci con esseri umani e
quindi salpavano per il Brasile – ma dal XVII secolo anche per le Antille e per le colonie francesi e
inglesi in Nord America – dove scambiavano gli schiavi con zucchero prima e poi con tabacco, coto-
ne e caffè che riportavano in patria. Dichiarato illegale nel 1815, questo traffico continuò fino al
1850. Si stima che gli africani trasportati – 15-20% moriva durante il viaggio – furono da 3 a oltre 10
milioni. In Brasile gli schiavi erano usati come servitori domestici, nelle piantagioni e altri svolgeva-
no lavori artigianali e artistici o esercitavano la prostituzione, i cui guadagni andavano al padrone.
Secondo stime del ministero del Lavoro, al momento in Brasile ci sono tra i sette e gli otto milioni di
lavoratori domestici, il maggior numero al mondo, dei quali solo una minoranza è in regola con i
contributi.
7
. Nella classificazione del Fondo Monetario Internazionale (FMI) il Brasile occupa il 53° posto e il
25° nel Human Development Index della Banca Mondiale (BM).
4
Il Brasile
Vital (2011). il rapporto tra chi non è più in età lavorativa e chi lo è dovrebbe rag-
giungere 4:10, da 7:10 all’inizio degli anni ’90. Il rallentamento del tasso di crescita
della popolazione in età attiva inesorabilmente spingerà in alto i salari e il paese
resterà competitivo solo aumentando la produttività.
L’alfabetismo della popolazione (di 15 anni o più) è aumentato dal 49% nel
1950 al 75% nel 1980 al 90% del 2008, ma se si considera l’analfabetismo
funzionale la percentuale scende attorno al 73%. In media il brasiliano legge an-
nualmente meno di due libri. Anche il sistema sanitario è ancora molto carente tanto
che la speranza di vita alla nascita è 73 anni (Cile 79 anni), senza dimenticare, però,
che nel 1940 era 43 anni. L’urbanizzazione è aumentata, passando da 56% del 1970
all’85% del 2011. La densità per km2 è di 23-24 persone, ma i valori variano molto:
da 3,3 persone nell’Amazzonia a 31 nel Nordeste, 149 nello stato di São Paulo, dove
11 milioni di persone vivono nella città di São Paulo, 20 milioni nella sua area me-
tropolitana (il 20% in favelas) e 30 milioni nella sua “macro metropoli”.
Nel 2001 la popolazione era così distribuita sul territorio: 7%
nell’Amazzonia, 28% nel Nordeste, 43% nel Sudeste, 15% nel Sul e 7% nel Centro-
Oeste. Se nel 1872 il 47% dei cittadini vivevano nel Nordeste e il 40% nel Sudeste,
oggi in quest’area si concentra il 43% della popolazione, cioè negli stati di São Pau-
lo, Rio Grande do Sul, Rio de Janeiro, Minas Gerais e Bahia, a causa del trasferi-
mento di massa dal Nordeste verificatosi tra il 1950 e 1970. Dalla metà degli anni
’50 è anche cresciuto un movimento di breve e medio raggio dalle campagne verso
le città, anche di non grandi dimensioni, e dagli anni ’70 si è verificato un mo-
vimento ondulatorio verso le aree periferiche dell’entroterra, soprattutto Mato Gros-
so, Rondônia, Acre e la frontiera interna amazzonica.
Il tasso di partecipazione della forza lavoro (15 o più anni) è cresciuto dal 33%
nel 1950 al 65% nel 1990 e al 70% nel 2010 e continuerà ad aumentare per i prossimi
anni 15-20 anni. La popolazione economicamente attiva è ancora relativamente giovane,
ma dagli anni ’90 è iniziato l’invecchiamento8 dovuto alla diminuzione dei tassi di na-
talità e di mortalità. Nel mondo del lavoro aumenta, quindi, la partecipazione di persone
con più di 60 anni, contribuendo così a un costante calo del tasso di dipendenza. Il Bra-
sile sta già riscuotendo il cosiddetto “dividendo demografico” – la crescita economica
che si verifica quando la forza lavoro aumenta rispetto al resto della popolazione –, ma
non ha ancora un sistema scolastico per fornire ai giovani l’addestramento necessario per
contribuire al meglio alla crescita del paese, né ha un’assicurazione sociale universale
per prendersi cura del crescente numero di pensionati.
***
Il Brasile è un crogiolo di gruppi etnici diversi – rosso, bianco, nero e giallo – diver-
sità che però “non ha impedito al Brasile di raggiungere una forte unità culturale”
(Baer, 2008: 7). Alla formazione di questa comunità culturale hanno contribuito due
movimenti che, alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, “hanno svelato
all’insieme del paese mondi fino ad allora isolati e sconosciuti”. Il primo è stato il
movimento messianico dei Canudos nell’area di Bahia (1892) che, insieme ai libri
8
. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE, 2011: 13 Fig. 1 e 130) cal-
cola che tra meno di 20 anni il numero di persone di 65 o più anni si raddoppierà e che nel 2050 questa
sezione della popolazione crescerà dall’attuale 7,6% fino al 38%, per cui il tasso di dipendenza, che dal
1965 ha continuato a diminuire, toccherà il minimo nel 2025 e poi comincerà a crescere.
5
Il Brasile e gli altri
9
. Fu chiamato Tenentismo il movimento nato all’interno delle forze armate per iniziativa di giovani
uffici che tra il 1922 e il 1934 scosse la vita politica del paese e contribuì a porre fine alla “vecchia
Repubblica” (1989-1930).
10
. Tra il 1940 e il 2000 la percentuale di meticci e mulatti (pardos) è passata da 21% a 39%, quella
dei neri da 15% a 6% e quella dei bianchi da 63% a 54% (IBGE, 2007: Tab. 11).
11
. Ad aprile 2013 la Corte Suprema ha deciso che tale politica non viola la norma costituzionale rela-
tiva alla parità dei diritti, per cui risulta valida anche la legge dell’agosto 2012 che ha introdotto quo-
te d’ingresso in tutte le università federali e le scuole tecniche federali, misura che non è imposta alle
università private.
6
Il Brasile
ita del 6% la popolazione che si dichiarava bianca e sono aumentate quella nera e
quella mista.
Il fatto che la composizione della popolazione brasiliana sia multietnica, lin-
guisticamente omogenea, propensa all’integrazione culturale e aperta alla diversità,
spinse Celso Lafer – ex ministro degli Esteri – a definire il Brasile “Otro Occidente”
(un’espressione poi ripresa da Carmagnani (2003)), per evidenziarne l’appartenenza
all’Occidente, anche se più povero e problematico. Lafer parla anche di una doppia
inserzione internazionale del Brasile: occidentale in termini valoriali, formazione
storica ecc., appartenente, però, al Terzo mondo, di cui condivide molte posizioni e
l’ansiosa ricerca dello sviluppo. Per Davidson (2012: 34), tra i paesi del gruppo
BRIC12 (Brasile, Russia, India e Cina, che diventa BRICS se vi si aggiunge il Sudaf-
rica), “il Brasile è quello più vicino etnicamente e culturalmente agli USA ed è
l’unico che può essere considerato una ‘economia americana’”, cioè statunitense.
***
12
. I BRICS coprono il 30% della superficie terrestre, includono il 42% della popolazione globale e
rappresentano il 20% dell’economia mondiale.
13
. La città-regione di São Paulo è molto globalizzata, la sua economia è la più knowledge-intensive e
la più focalizzata sui servizi, è il centro della manifattura brasiliana ed esporta petrolio, zucchero e
frutta, specialmente alla Cina. Ospita le sedi principali di dozzine d’imprese nazionali e multina-
zionali e di 19 delle più grandi banche.
7
Il Brasile e gli altri
14
. Lo stato di São Paulo si è sempre distinto per una chiara proiezione non verso l’Oceano, come il
resto del paese, ma verso ovest, per cui la formazione della sua economia non è dipesa solo dalla
domanda esterna, ma è stata anche influenzata dalla richiesta locale. Ciò non toglie, però, che
l’accumulazione di capitali regionali più importante sia dovuta al ciclo del caffè e, quindi, alla do-
manda internazionale.
8
Il Brasile
***
Ufficialmente, oltre il 95% dei brasiliani è cristiano (di cui, nel 2010, il 74% cattoli-
ci)15. Sono tuttavia molto diffuse pratiche afro-brasiliane, per cui mentre apparente-
mente quasi tutta la popolazione sembra accettare una visione cristiana della vita, in
realtà molti aderiscono a cosmologie parallele con sistemi di credenze che poco
hanno a che fare con il cristianesimo. Il censimento della popolazione del 2010 mos-
tra un aumento della diversità religiosa del paese. Negli ultimi anni, sia il cattol-
icesimo che le credenze popolari stanno perdendo terreno a beneficio del
protestantesimo evangelico, che sembra offrire un più diretto dialogo con la divinità,
diffuso particolarmente nelle regioni del Norte e Centro-Oeste e specialmente nelle
aree urbane, meno nel Nordeste e nel Sul. I gruppi etnici che offrono maggiore resi-
stenza alla penetrazione evangelica sono gli indigeni e i nuovi immigrati16. La per-
centuale degli evangelici è passata dal 3% nel 1940 al 22% nel 2010, mentre quella
dei cattolici si è ridotta al 65%17. La causa dell’arretramento dei cattolici è attribuita
alla campagna pervicacemente messa in atto dal Vaticano contro la teologia della
liberazione18, e dall’uso migliore, ma più commerciale e istrionico, che gli evangeli-
ci hanno fatto delle tecniche di comunicazione e reclutamento dei fedeli. Il censi-
mento ha anche mostrato un aumento della popolazione che non professa nessuna
religione, passata dai 12,5 milioni del 2000 ai 15 milioni del 2010.
Oltre la composizione religiosa, sono cambiate le caratteristiche generali del-
la popolazione brasiliana, che ha registrato l’accelerazione dell’invecchiamento, la
riduzione dei tassi di fertilità – attualmente questo tasso è 1,8% e il 40% delle donne
tra 25 e 29 anni non ha figli – la ristrutturazione della piramide dell’età. Inoltre,
15
. In forma crescente, i cattolici fluiscono verso le chiese evangeliche, particolarmente quelle pen-
tecostali alle quali aderiscono più di 25 milioni di brasiliani, specialmente quelli delle classi più
disagiate e delle periferie della grandi città. I cattolici resistono, invece, nelle aree rurali del Nordeste,
ma non sono più maggioranza nello stato di Rio de Janeiro.Sta crescendo il numero di deputati e se-
natori che fanno riferimento ai culti evangelici e ne difendono gli interessi. Il 7,4% dei brasiliani si
dichiara ateo o agnostico.
16
È questa la cosiddetta “nuova migrazione”, proveniente in gran parte da altri paesi latinoamericani,
dall’Africa di lingua portoghese e dalle due Coree, anche se non si sono arrestati del tutto gli arrivi da
Germania, Giappone, Portogallo, Spagna e Italia.
17
. Le varie confessioni evangeliche che fanno parte dell’universo protestante hanno un giro d’affari
annuo che supera $1,5 miliardi e creano oltre due milioni di posti di lavoro. Ideologicamente queste
confessioni sono tutte molto conservatrici.
18
. Corrente di pensiero cattolica che tende a porre in evidenza i valori di emancipazione sociale e po-
litica presenti nel messaggio cristiano, la teologia della Liberazione nacque negli anni ’60 in Perù e
fu diffusa in Brasile e poi in quasi tutta l’AL da religiosi convinti che non si possa insegnare il Van-
gelo senza insegnare anche i diritti delle persone, la coscienza di essere cittadini, la certezza dei pro-
pri diritti. La povertà diventa un peccato sociale da combattere al pari dei vizi capitali, un peccato da
cui liberarsi tramite la trasformazione sociale e politica, inclusa la ridistribuzione della ricchezza. Per
far fronte all'aggravarsi della crisi politica e sociale latinoamericana le proposte elaborate dai teologi
della liberazione divennero sempre più radicali, mentre continuavano a moltiplicarsi le comunità ec-
clesiali di base. La reazione dei vari regimi militari fu violenta e presto a questa si aggiunsero le mi-
sure disciplinari adottate dal Vaticano contro quasi tutti i maggiori esponenti di questo movimento.
9
Il Brasile e gli altri
***
19
. I sistemi e metodi di governo utilizzati dalla corona portoghese dal ’400 in avanti si riconducono
tutti al Prazo de Coroa (prazo, dal latino placitum, espressione usata fin dal secolo XIV° come sino-
nimo di enfiteusi), una particolare forma d’enfiteusi molto vicina al feudo europeo, cioè di “filiazione
medievale”. Con questa concessione, inizialmente utilizzata in India e in Africa, la Corona ricono-
sceva a chi ne faceva domanda, “il possesso della terra, qualunque fosse stato il modo dell’acquisto,
per un periodo pari a tre generazioni” e con l’obbligo per le eredi, la successione era per linea fem-
minile, di sposare Portoghesi bianchi o loro discendenti. “Allo scadere della terza generazione i ter-
reni ritornavano nel completo possesso della Corona, che poteva rinnovare la concessione alla stessa
famiglia oppure conferirla ad altri”. I donatários avevano “funzioni di governo, raccoglievano i tri-
buti, nominavano magistrati e ufficiali pubblici e fruivano dei privilegi giurisdizionali degli antichi
signori del regno”. Nella vicenda dei Prazos da Coroa gli aspetti internazionali s’intrecciano stretta-
mente con la struttura economica e la politica coloniale del Portogallo (Papagno, 1972: 14, 19, 31-32,
38 e 40).
10
Il Brasile
prodotto che dalla metà del XVI secolo, dopo che le sfrenate esportazioni del pau-
brasil ne avevano causato l’esaurimento, divenne la principale esportazione della
colonia. Fu così che “il Brasile divenne il primo degli insediamenti europei in Amer-
ica che tentò la coltivazione del suolo” (Magalhães, 1970: 533). Divenne però presto
necessario coordinare e limitare l’attività dei donátarios, per cui nel 1549 il re
nominò un governatore generale che da Baía, dove era insediato, esercitava
l’autorità regia sull’intera colonia e dette grandissime tenute (latifundia) ai civili e
militari importanti e ricchi abbastanza per svilupparle rapidamente.
Questo sistema di grandi proprietà fondiarie ha dominato per secoli non solo
l’uso della terra20, ma anche la storia e la politica brasiliana, contribuendo così a
creare la diseguaglianza di reddito, a limitare il mercato interno e a mantenere una
profonda e insanabile divisione tra ricchi e poveri. “Per quanto la istituzione del
maggiorasco fosse rara, non si verificarono frazionamenti o divisioni di latifondi; la
piccola proprietà rimase un fatto eccezionale e ciò impedì la formazione di una
classe media, tra quella degli schiavi e del proletariato bianco e quella dei fazendei-
ros” (Papagno, 1972: 232). Il latifondo si è conservato fino ad oggi – nel 2003 si
stimava che i latifondi occupassero il 45% della superficie del Brasile (Losano,
2007: 78) – e i numerosi tentativi di riforma agraria non produssero risultati rile-
vanti, perché per la coltivazione della canna da zucchero dovevano essere di grandi
dimensioni per ammortizzare gli investimenti necessari a trasformare la canna grez-
za in zucchero destinato all’esportazione21, zucchero che nel 1650 costituiva il 95%
delle esportazioni brasiliane.
***
L’isolamento delle fazendas e la distanza che le separava dalle città crearono consi-
derevoli ostacoli all’esercizio dell’autorità centrale e dello stato, caratteristica che
spiega il perdurare delle forti spinte per l’autonomia che hanno agitato il paese.
Dominati dai fazendeiros e dai senhores de ebgenhos (padroni di piantagioni di zuc-
chero), i governi locali – governatori e consigli municipali – restarono forti fino a
metà del XVIII° secolo, mentre il centro della vita economica e sociale erano le
grandi piantagioni di zucchero lungo la costa (Baer, 2008: 14). Secondo Furtado
(1970: 139), il fatto che l’agricoltura d’esportazione brasiliana provenisse da grandi
fondi monoculturali spiega sia l’ineguale distribuzione del reddito e della ricchezza
sia le ridotte dimensioni del mercato interno e, quindi, le difficoltà per la creazione
di un settore commerciale e industriale indipendente. Un argomento questo che Baer
considera “non essere completamente rilevante per il periodo coloniale”, perché
l’enorme vantaggio comparato che il paese aveva nella produzione di zucchero e co-
tone avrebbe reso inefficiente una differente allocazione delle risorse. Ciò tuttavia
non elimina gli effetti perversi della monocoltura e del sistema delle piantagioni. È
20
. Fino al 1822, i diritti terrieri potevano essere ottenuti solo con un atto reale di concessione perso-
nale (sesmarias), un sistema che ha fortemente limitato lo sviluppo di una classe media in Brasile –
vedi anche nota 29.
21
. Fin dall’inizio, “una parte sostanziale dei capitali necessari venne dai Paesi Bassi” che “partecipa-
rono tanto al finanziamento delle installazioni produttive in Brasile quanto all’importazione della
manodopera schiava”. Dato che gli olandesi “controllavano sia il trasporto (compresa una parte del
trasporto tra il Brasile e il Portogallo), sia la raffinazione e la commercializzazione del prodotto”,
Furtado (1970: 36) “ne deduce che il settore zuccheriero era in realtà più nelle loro mani che in quel-
le dei portoghesi”.
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Il Brasile e gli altri
sempre più accettato, infatti, che istituzioni e politiche governative tendano generalmente
a riprodurre le condizioni di partenza (Furtado, 1970: 293). Più specificamente, nelle so-
cietà che inizialmente presentano forti disuguaglianze, le elite hanno buon gioco a sta-
bilire un quadro legale che assicuri loro una quota sproporzionata del potere politico che
così diventa funzionale al mantenimento dei privilegi nel tempo.
Insieme agli evidenti squilibri economici e sociali, la concentrazione della
proprietà terriera ha causato anche l’altro enorme problema che caratterizza questo
paese e cioè lo sfrenato sfruttamento delle risorse naturali (Rohter, 2010: 13). Due
problemi che insieme agli effetti dello schiavismo hanno segnato, e continuano a
segnare, profondamente il Brasile e dalla cui soluzione ne dipenderanno le sorti fu-
ture, a cominciare dalla possibilità di diventare una grande potenza.
***
22
. Inizialmente, la colonia brasiliana abbracciava un terzo circa dell’attuale estensione. Fu il Trattato di
Madrid, riconoscendo lo uti possidetis juris e in cambio di diverse concessioni fatte in Asia orientale alla
corona spagnola, ad assegnare alla colonia portoghese le terre occupate nell’Amazzonia e nei distretti di
Cuiabá e Mato Grosso, più le zone ad est del fiume Uruguay. Con il Trattato di Santo Ildelfonso il Brasi-
le arrivò a occupare quasi 8 milioni di km2 e tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento attraverso
arbitrati e accordi diplomatici guadagnò altri 340 mila km2 nelle zone periferiche.
12
Il Brasile
enna” (Pitrobelli e Pugliese, 2007: 22). Nel 1821 il re rientrò in Portogallo, dove era re-
clamato dalla rivoluzione liberale, lasciando il figlio come reggente in Brasile. Questi
dichiarò l’indipendenza dal Portogallo e nel 1822, con il nome di Pedro I, si proclamò
imperatore del Brasile che così passò pacificamente da colonia, a monarchia, a impero.
L’indipendenza brasiliana fu completata entro il 1823: la guerra civile era stata evitata, le
spinte separatiste domate e la continuità amministrativa assicurata. Nel 1824 Don Pedro I
promulgò la prima Costituzione brasiliana. Il Brasile si presentava come uno stato uni-
tario governato da una monarchia costituzionale e da un sistema parlamentare bicamer-
ale. Nel 1828 si staccò la regione Cisplatina e, con la mediazione britannica, nacque
l’Uruguay. La scelta monarchica fu sostenuta dalla proprietà fondiaria per consolidare il
proprio potere e bloccare le deboli richieste che la nascente borghesia urbana cominciava
ad avanzare. Da notare che, contrariamente a quanto avvenuto nel resto dell’AL con il
sanguinoso collasso dell’impero spagnolo, le varie fasi della trasformazione di questa
colonia in nazione indipendente avvennero pacificamente e mantenendo l’unità territo-
riale (Trento, 1992: 27). L’indipendenza formale e l’integrità territoriale furono rese pos-
sibili dall’appoggio militare e commerciale inglese e dal rapido riconoscimento di paesi
quali gli USA, ma senza che il nuovo impero e il suo debole governo affrontassero i
molti problemi interni e alcuni esterni, tra i quali i due trattati firmati con l’Inghilterra.
Con il primo del 1827, questa otteneva lo stesso trattamento privilegiato che da tempo
godeva per il suo commercio con il Portogallo; con il secondo del 1826, il Brasile
s’impegnava ad abolire la schiavitù entro il 1830. Un impegno, quest’ultimo che sem-
brava minacciare le fondamenta della prosperità brasiliana e che risultò impossibile man-
tenere, anzi l’importazione di schiavi crebbe rapidamente (Humphreys, 1969: 632).
Nel 1831 una rivolta costrinse Pedro I ad abdicare23 in favore del figlio che,
dopo l’instabile e anarchico periodo della reggenza, periodo turbato anche dalla ri-
volta Cabanagem e dalla guerra faroupilha (guerra regionale, contro il centralismo
imperiale, nella quale combatté anche Garibaldi), fu dichiarato maggiorenne nel
1841 e salì al trono con il nome di Pedro II. Secondo Roett (2010: 25-29) la vita po-
litica dell’impero fu dominata dai seguenti problemi: (i) divisione del potere tra im-
peratore e parlamento24, dissolto quando non si riuscì a raggiungere un compro-
messo mentre l’imperatore a marzo 1824 promulgava la sua Costituzione che man-
teneva l’elezione delle due camere, ma con il diritto di voto severamente ristretto e
indiretto, e riservava al sovrano un ruolo chiave e il potere di “moderare”; (ii) dis-
pute territoriali con i paesi vicini e difficili relazioni tra Rio e il resto del paese che
portarono alla creazione di una guardia nazionale controllata dalle elite locali, cioè
dai proprietari terrieri, di cui rapidamente divenne un formidabile pilastro per man-
tenere l’ordine interno; e (iii) crescente importanza della produzione di caffè – sos-
tenuta dal capitale e dagli ingegneri inglesi che costruirono la prima ferrovia del pa-
ese per trasportare questo prodotto al porto di Santos per cui alla fine del XIX° seco-
lo il Brasile ne divenne il maggiore esportatore mondiale. La coltivazione del caffè
però necessitava di mano d’opera che non poteva più essere costituita da schiavi, per
cui si ricorse alla massiccia immigrazione europea – circa quattro milioni tra metà
Ottocento e inizio anni ’20. L’abolizione della schiavitù era necessaria perché il
mondo “civile” accettasse il Brasile ed inoltre l’arrivo in massa di europei per-
23
. Questa “abdicazione segnò, sul piano politico, la sconfitta del ceto mercantile portoghese e l’inizio
del dominio del latifondo schiavista” (Trento, 1992: 12).
24
. Solo un ristretto numero di uomini, quelli istruiti e di censo, aveva il diritto di voto, mentre donne,
non cattolici e detentori di redditi modesti ne erano esclusi.
13
Il Brasile e gli altri
metteva di “sbiancare” la popolazione del paese – cioè diluire gli effetti di secoli di
miscegenazione, come si vedrà meglio sotto – e quindi presentarlo come nazione
bianca. Sfortunatamente, l’abolizione della schiavitù contribuì ad accrescere le dise-
guaglianze sociali, perché nulla era stato preparato per aiutare gli schiavi liberati25.
Inoltre, l’importanza del caffè accrebbe quella della provincia di São Paulo, e Minas
Gerais, e mise in moto il processo di decentralizzazione e autonomia delle provincie,
per cui queste due dominarono il sistema economico e politico fino al 1930.
Durante il lungo regno di Pedro II, il Brasile combatté e vinse tre guerre: quella
di Platine (1851-52), dell’Uruguay (1864-65) e della Triplice alleanza, o guerra del
Paraguay (1864-70). Quest’ultima causò la riduzione delle esportazioni e l’aumento
del debito estero che tra il 1860 e il 1875 si triplicò, per cui il suo servizio in percen-
tuale del PIL passò dal 4% del 1860 a quasi il 9% del 1880. Anche le tariffe doganali
cominciarono ad aumentare: dal 15% che l’Inghilterra aveva imposto a Libona nel
1810 “si passò a un valore medio del 30% nel 1844” e via via salendo raggiunse “un
picco del 40% nel decennio prebellico”. Il Brasile era ormai diventato un’economia
del caffè”, ma continuava a esportare gomma naturale e alla fine del XIX° secolo
cominciò a esportare anche il cacao. Ad ogni modo, nel 1891 la produzione brasiliana
di zucchero era l’80% di quella mondiale e la sua esportazione rappresentava il 63%
delle esportazioni totali del paese (Goldstein e Trebeschi, 2012: 16 e 18).
L’importanza della schiavitù era venuta declinando e con la chiusura del traf-
fico internazionale di schiavi nel 1850 essi cominciarono a ridursi, per cui quando
nel 1888 la schiavitù fu definitivamente abolita rappresentavano non più del 5% del-
la popolazione brasiliana. A novembre dell’anno seguente una rivolta, sostenuta an-
che dai vecchi proprietari di schiavi, mise fine all’impero brasiliano e Pedro II lasciò
il paese per l’esilio. Seguì una rivolta organizzata dai militari e dalle forze politiche
che a fine 1889 costrinse l’imperatore a rinunciare al trono. In maniera del tutto
pacifica il paese divenne così una Repubblica federale, ma “la repubblica nasceva …
sotto il segno delle forze armate, che la guidarono fino al 1894”, quando i repubbli-
cani assunsero il controllo della situazione e fino al 1930 “gestirono in maniera
esclusiva la vita politica a vantaggio dell’oligarchia del caffè” (Trento, 1992: 35-36),
la cui produzione favoriva la concentrazione della proprietà e riduceva la conveni-
enza della coltivazione su piccola e media scala. Inoltre, la dipendenza dal caffè au-
mentava pericolosamente la vulnerabilità dell’economia brasiliana.
Con la prima Costituzione repubblicana del 1891 si creò uno stato presiden-
zialista federalista che pur conservando il sistema parlamentare bicamerale, restrin-
geva i diritti politici (analfabeti, donne e soldati non avevano il diritto di voto) e isti-
tuzionalizzava il predominio dei latifondisti, particolarmente quelli produttori di
caffè, i cui interessi non furono intaccati nemmeno dall’abolizione della schiavitù,
ormai resa obsoleta dal massiccio arrivo degli immigrati europei che contribuirono a
creare una classe salariata di consumatori. Da meno di 200 mila durante gli anni
25
. Stefanini (2007: 144-45) rileva che all’abolizione della schiavitù contribuì non poco “la convinzi-
one che il sistema economico schiavista contribuisse a impedire lo sviluppo economico” del paese,
per cui gli schiavi liberati “vengono estromessi dalla formazione della nuova società imperniata sul
lavoro libero e salariato”. Una volta bollati come “incapaci di inserirsi con successo nel mercato del
lavoro libero”, gli schiavi africani e i loro discendenti vengono definitivamente esclusi e marginaliz-
zati. Ma se correttamente si riconosce in questo “il nucleo del pensiero razzista”, non si capisce
perché Stefanini senta la necessità di aprire l’analisi di questa questione, scrivendo che “il razzismo
che segna la società brasiliana contemporanea non è affatto la sopravvivenza del regime schiavista,
ma il risultato dei significati che gli sono stati attribuiti in diversi momenti della storia del Brasile”.
14
Il Brasile
1870, nella decade successiva gli immigrati superarono il mezzo milione e raggiun-
sero un milione negli anni 1890 con i portoghesi ormai sorpassati dagli italiani – più
di un milione nel periodo 1884-903. L’arrivo di questi ultimi coincise con
l’abolizione degli schiavi, di cui furono, in un certo qual modo, i sostituti nelle
fazendas. Quest’ondata d’immigrati fu un importante fattore di trasformazione eco-
nomica e sociale, anche se il suo impatto fu particolarmente concentrato nella parte
meridionale del paese, da São Paulo a Rio Grande (Griffin, 1962: 520).
Con il passaggio alla repubblica, il paese fu dominato dai due stati regionali
più forti, São Paulo (produttore di caffè) e Mina Gerais (produttore di latte e suoi
derivati), mentre le altre provincie erano abbandonate a se stesse. Inoltre, il debito
ereditato dall’impero continuava ad assorbire una parte rilevante delle spese federali
– 53% nel 1898 – e delle entrate di valuta provenienti essenzialmente dalle esporta-
zioni di caffè, il cui prezzo dipendeva dagli andamenti del mercato internazionale. Il
crescente peso del debito estero e l’instabilità politica interna nel 1898 portarono il
Brasile a dichiarare fallimento.
La principale politica economica perseguita durante la cosiddetta Prima Re-
pubblica (1889-1930) fu la svalutazione della moneta locale quando diminuiva il prez-
zo mondiale del caffè, per cui mentre aumentava il valore dei prodotti importati, i
prezzi in moneta locale non si contraevano o lo facevano in misura inferiore a quelli
esterni. Conseguentemente, il costo della vita aumentava e si realizzava la social-
izzazione delle perdite dei fazenderos, i proprietari dei latifondi, All’inizio del Nove-
cento, il 90% dei contadini non possedeva terra propria e due terzi della produzione
agricola erano esportatiti (Trento, 1992, 43 e 45). Con l’accumularsi di giacenze in-
vendute di caffè, nel 1906 si stabilì che queste fossero acquistate dai governi regionali
ricorrendo a prestiti esteri coperti da una sovrattassa in oro su ogni sacco esportato,
meccanismo che ebbe effetti positivi nel 1911, 1917 e 1920, mentre il mercato di
sbocco più importante divennero gli USA che tra il 1913 e il 1929 passarono ad as-
sorbire il 32% e il 46% delle esportazioni del Brasile, mentre contribuirono il 16% e il
27% delle sue importazioni. Gli investimenti industriali dipendevano dall’esportazione
di caffè che procuravano la valuta estera con cui acquistare beni strumentali, per cui
cominciò a svilupparsi l’industria tessile, alimentare, delle calzature e
dell’abbigliamento (Pietrobelli e Pugliese, 2007: 31-32). Tuttavia, l’economia brasili-
ana restava una giustapposizione delle differenti economie regionali non coordinate tra
loro, una decentralizzazione della gestione economica che rifletteva la scarsa integra-
zione nazionale. Fu la prima Guerra mondiale a costituire un primo acceleratore per
l’industrializzazione. Le moltissime imprese che nacquero in quel periodo per sopper-
ire alla caduta delle importazioni dai tradizionali partner commerciali esteri “avviaro-
no un processo di sostituzione delle importazioni, in particolare di prodotti alimentari,
… e si assistette a un primo tentativo di esportare alcuni prodotti industriali nel resto
del continente sudamericano”. Dopo la fine della guerra, “il settore del caffè ricon-
quistò rapidamente la propria supremazia, arrivando a superare il 70% delle esporta-
zioni brasiliane”, tuttavia “il consolidamento del modello agro esportatore non impedì
una serie di profonde trasformazioni …, anche se nel 1929 l’occupazione manifatturi-
era non superava il 12% del totale”(Goldstein e Trebeschi, 2012: 20).
Mentre nessuna istituzione era capace di unificare veramente il paese e di
identificare obiettivi nazionali di sviluppo, povertà e marginalizzazione predom-
inavano non solo fra gli ex schiavi, ma anche in ampi segmenti della popolazione
fuori dei maggiori centri urbani che cominciavano a essere circondati da barac-
copoli, che col tempo sono smisuratamente cresciute e sono diventate le favelas
15
Il Brasile e gli altri
dove si stima che attualmente viva un terzo della popolazione brasiliana. Le tensioni
sociali causate dal diseguale sviluppo che l’industrializzazione e l’urbanizzazione
tendevano a rafforzare non trovarono negli anni ’20 un partito di classe media dispo-
sto a capitalizzarle, mentre vari movimenti sociali – come il tenentismo già menzio-
nato – agitavano il paese, creando un periodo di marcata instabilità sociale, politica
ed economica. I tratti comuni delle varie risposte che venivano proposte per affron-
tare le montanti tensioni sociali includevano, secondo Carmagnani (1973: 20), il na-
zionalismo economico, in funzione anti imperialistica; l’avanzata delle classi medie;
la presa di coscienza della classe operaia; e la “lotta contro le sopravvivenze del
passato coloniale, intesa come lotta antioligarchica”.
Nel 1930, dopo l’assassinio del vicepresidente João Pessoa appena eletto,
dilagò la rivolta militare e, con l’aiuto dei tenentes e del partito di Alleanza liberale
e sostenuto da Minas Gerais e dal suo stato di Rio Grande, Getùlio Vargas, uscito
battuto alle elezioni presidenziali, si lanciò in una guerra civile, sconfisse le forze di
São Paulo e cacciò il Presidente. Nominato capo del governo provvisorio, sciolse il
Parlamento e le assemblee legislative dei singoli stati, i cui governatori furono so-
stituiti da interventores di nomina presidenziale, con poteri esecutivi e legislativi.
Vargas creò una forma di “dittatura modificata” tramite due importanti cambiamenti
costituzionali diretti a rafforzare i poteri del Presidente e a ridurre quelli del Con-
gresso e dei governi degli stati. A titoli differenti, Vargas governò il paese per 18
anni: Presidente provvisorio (1930-34), eletto in forma indiretta (1934-37), dittatore
“soft” (1937-45) e Presidente eletto direttamente (1951-54).
Considerando inevitabile la fine del potere dell’oligarchia rurale, partico-
larmente quella delle grandi piantagioni di caffè di São Paulo, e dell’economia cen-
trata sull’agricoltura d’esportazione, il governo Vargas influenzò la riflessione intel-
lettuale sulla società brasiliana, denunciando per primo il pregiudizio di razza, valor-
izzando l’elemento di colore, criticando i fondamenti patriarcali e agrari, analizzan-
do le condizioni economiche e demistificando la retorica liberale. Prima degli anni
’30, la decentralizzazione che caratterizzava il paese aveva generato scarso interesse
per la “brasileiridad”. Fu solo dopo che Vargas sconfisse un movimento separatista
di São Paulo e rafforzò il potere centrale in Rio de Janeiro che si cominciò a identi-
ficare quello che avrebbe potuto unire tutti i brasiliani e a sostenere lo sviluppo di
quella classe media che cominciava a emergere nei centri urbani del Centro-Oeste.
Scavalcando i partiti politici, che essendo in verità poco rappresentativi sub-
irono una vera e propria liquidazione, Vargas, come Peron, si appellò direttamente
alle masse e ricorse al nazionalismo di tipo irrazionale. In questo modo riuscì a get-
tare le basi per lo sviluppo del Brasile moderno e per la prima volta i fazenderos
persero il controllo politico sul governo (pur mantenendo il controllo economico e
sociale a livello regionale). L’industrializzazione e la diversificazione del commer-
cio furono rese possibile dalle grandi imprese create da Vargas, come la Companhia
Siderurgica Nacional, la Petrobrás (creata nel 1953, questa compagnia di bandiera è
ora pubblica al 40%, ma per il resto è in gran parte in mano ad azionisti statunitensi,
e genera un 10% del PIL brasiliano) e la Companhia Vale do Rio Doce (CVRD), poi
solo Vale quando fu privatizzata nel 1997.
Il principale sostegno del regime di Vargas fu la classe operaia sindacalizzata che
con la creazione del ministero del Lavoro fu trasformata da potenziale oppositore in cli-
ente, anche se furono banditi i sindacati indipendenti nelle città e tutte le organizzazioni
dei lavoratori nelle campagne e proibiti i legami del movimento operaio con i partiti
politici. Si deve a lui l’estesa legislazione del lavoro riguardante pensionamento, salario
16
Il Brasile
26
. Ma sia il regime autoritario di Vargas sia quelli militare e democratico venuti dopo si sono rifiutati
di sottoscrivere un Concordato con il Vaticano.
27
. Secondo Carmagnani (1973: 4) l’oligarchia nasce dall’appropriazione di risorse produttive, in
questo caso terra e commercio, da parte di una ristretta minoranza che, “unita da vincoli di parentela,
mirava a salvaguardare i propri privilegi e il proprio reddito tramite l’istituzionalizzazione a livello
regionale e locale di certe forme di controllo della popolazione (indebitamento della mano d’opera,
segregazione della stessa dal mercato, appropriazione delle terre delle comunità contadine) e tramite
la dominazione politica a livello nazionale della popolazione stessa, per mezzo della distorsione del
suffragio e dell’istituzione di un esercito permanente – prima inesistente – in grado di soffocare con
le armi qualsiasi tentativo eversivo”.
28
. “L’esperienza brasiliana rappresenta il caso esemplare d’industrializzazione da sostituzione”,
un’esperienza resa possibile “sia dalla dimensione del mercato brasiliano sia perché un’economia basata
sul caffè difficilmente avrebbe potuto ridurre rapidamente i costi monetari” (Furtado, 1970: 113).
17
Il Brasile e gli altri
29
. In AL il populismo è stato la variante più diffusa del riformismo che si manifesta in forma più
compiuta nel Brasile e soprattutto in Argentina (Carmagnani, 1973: 32).
18
Il Brasile
Democrático (PSD), con il sostegno del PTB, le stesse forze che avevano sostenuto
il governo di Vargas, e con l’assenso dei militari, lanciò la candidatura di Juscelino
Kubitschek che assunse la presidenza all’inizio del 1956 e “tentò di proseguire il
progetto tracciato da Vargas, senza peraltro attuare alcuna trasformazione strutturale
di rilievo” (Carmagnani e Casetta, 1989: 119-20). Vargas lasciava, però, un paese la
cui struttura economica e sociale era ormai profondamente cambiata, con una po-
polazione urbana in forte crescita che ne faceva un paese sempre meno rurale.
Come Vargas, Kubitschek (1956-61) pensava che una rapida espansione indu-
striale “e una rinnovata dinamicità del settore urbano, avrebbero accelerato
l’unificazione economica del paese e il completo sfruttamento delle risorse naturali
nazionali” (Carmagnani e Casetta, 1989: 120). Anche per questo con la creazione della
nuova capitale Brasilia (costruita in 41 mesi con 30 mila operai emigrati soprattutto
dal Nordeste) e della rete stradale che la connetteva ai maggiori centri di popolazione
“il centro di gravità del paese, per la prima volta nella sua storia, cominciò a spostarsi
dalla costa e il vasto e arretrato interno fu finalmente aperto alla modernizzazione e
allo sviluppo”. Tutto questo a sua volta spinse all’espansione delle fabbriche di acciaio
e dell’industria pesante, e quindi alla costruzione di dighe e centrali elettriche per far
funzionare le imprese manifatturiere che già includevano le costruzioni navali e la
produzione di apparecchiature varie. Infatti, durante il quadriennio di Kubitschek la
produzione industriale crebbe dell’80%, i profitti delle imprese del 76% (Rohter,
2010: 24) e il tasso medio di crescita del paese raggiunse l’8,54% l’anno. Nonostante
la forte espansione economica, il potere d’acquisto delle masse popolari non migliorò
molto, perché gli aumenti salariali venivano annullati dall’inflazione, per cui “ancora
una volta lo schema populista dimostrava la propria incapacità di coniugare la crescita
economica con il progresso sociale” (Carmagnani e Casetta, 1989: 120). Ad ogni mo-
do, il fatto che dal 1945 al 1980 la crescita media del PIL fu del 7,5% annuo, mentre
poi fino alla fine del secolo non supererà il 2,5% e l’inflazione dominò la scena, spiega
il ruolo centrale che Vargas continua a occupare nella storia e nella psiche del paese.
Alla politica di sostituzione delle importazioni, Kubitscheck antepose
l’integrazione del paese nel sistema capitalistico, una politica nacional-
desenvolvimentista elaborata nell’ambito dell’Istituto superiore di studi brasiliani che
mirava a un’industrializzazione a tappe forzate, modernizzazione dei settori tradizion-
ali, ridimensionamento dell’intervento pubblico, abbandono del nazionalismo e aper-
tura al capitale estero. Il suo Plano de Metas lanciato nel 1956 proponeva ambiziose e
dettagliate iniziative per promuovere l’industrializzazione ed espandere le infrastrut-
ture, obiettivi che in gran parte furono raggiunti, come mostra la seguente tabella.
19
Il Brasile e gli altri
Se nella prima metà del secolo XIX il capital estero si era concentrato nella
finanza e nel commercio, nella seconda metà una grande quantità di capitali esteri
partecipò alla costruzione dell’infrastruttura economica del paese, contribuendo così
a integrarlo sempre più nell’economia mondiale come fornitore di materie prime.
Dal 1880 al 1930 il totale capitale estero passò dagli stimati $190 milioni ai $2,6
miliardi concentrati nei servizi di pubblica utilità (public utilities), commercio, fi-
nanza e distribuzione del petrolio. Quando negli anni ’50 il Brasile adottò l’ISI, gli
investimenti esteri abbandonarono quasi completamente le public utilities per dirig-
ersi verso il settore manifatturiero – specialmente prodotti chimici, mezzi di traspor-
to, alimenti e bevande e macchinari – settore che nel 1952 ricevette il 51% di tutti
gli investimenti esteri fino a raggiungere il 75% nel 1992, quando la quota cominciò
a declinare verso il 40% del 2005 e gli investimenti diretti esteri (IDE) tornarono a
concentrarsi nel settore delle public utilities e in quello finanziario. Fino alla prima
guerra mondiale il capitale inglese fu dominante, ma poi ebbe luogo l’avanzata di
quello americano che restò maggioritario fino a dopo la seconda guerra mondiale
quando cominciarono ad arrivare capitali tedeschi, olandesi, spagnoli e italiani, per
cui la quota americana passò dal 44% del 1951 al 22% del 2005. Nella seconda metà
degli anni ’90 c’è stato un drammatico aumento degli IDE che, superando rap-
idamente l’afflusso di capitale di portafoglio, sono passati da una media annuale di
$1,3 miliardi all’inizio della decade ai $33 miliardi del 2000. L’aumento degli IDE è
dovuto alla stabilizzazione del real, al processo di privatizzazione, al cambiamento
della legislazione brasiliana relativa al capitale estero e alla creazione del mercato
comune MERCOSUL30 (Baer, 2008: 191- 193 Tab 9.4., 195 Tab. 9,6 e 205-06). Ne-
gli ultimi anni l’afflusso di IDE è stato notevole: $48,5 miliardi nel 2010, $66,6 mi-
liardi nel 2011 e $47,5 miliardi nei primi nove mesi del 2012 (dati del Banco Central
do Brasil - BCB).
Una “società civile” cominciò a svilupparsi durante la presidenza di Ku-
bitscheck – tasso medio di crescita 8,54% – la Chiesa, guidata da Hélder Cãmara, si
pose alla testa della lotta all’ingiustizia sociale e fu creata la Superintendência de
Desenvolvimento do Nordeste (SUDENE) sotto la direzione di Celso Furtado – vedi
2.6. Per realizzare il suo programma Kubitscheck ampliò la base monetaria e fece levi-
tare il debito estero, causando iperinflazione e conseguente aumento del costo della
vita, cattivo utilizzo delle risorse e, infine, polarizzazione politica, mentre la prolifera-
zione dei partiti – 13 nel 1964 – paralizzava il parlamento nazionale e quelli statali.
Nel 1960 vinse le elezioni Jãnio Quadros il cui programma presentava “spic-
cate caratteristiche riformiste” come lotta alla corruzione della classe politica e della
burocrazia sindacale, una politica d’impronta liberista, ma anche lotta alla povertà e
alla marginalizzazione specialmente nel Nordeste – dove le organizzazioni dei con-
tadini cominciavano a radicalizzarsi – e una linea neutralista in politica internazionale.
Proprio quest’ultimo aspetto del programma contribuì a saldare “l’opposizione dei
gruppi d’interesse nazionali e nordamericani31 contro Quadros” che, dato anche
l’arresto della crescita economica, fu costretto a dimettersi ad agosto del 1961. La
presidenza fu assunta dal vicepresidente João Goulart (1961-64) che, “con l’appoggio
30
. Il MERCOSUL (in portoghese) o MERCOSUR (in spagnolo) fu creato nel 1991 da Argentina,
Brasile, Paraguay e Uruguay. Negli anni seguenti sono diventati membri associati Cile, Bolivia, Ec-
uador, Colombia e Perú, mentre dal 2012 il Venezuela è membro a pieno titolo.
31
. Per neutralizzare la crescente radicalizzazione del paese, il governo Kennedy intervenne con un
massiccio programma di aiuti.
20
Il Brasile
di una fazione militare, cercò di superare la grave crisi attribuendo maggiori poteri
all’esecutivo, riproponendo un sistema di tipo presidenziale … Per poter controllare
l’evoluzione delle classi popolari e minarne le capacità sovversive, Goulart propose
anche l’attuazione di alcune importanti riforme politiche: diritto di voto agli
analfabeti, legalizzazione delle associazioni spontanee e pieni diritti politici ai soldati e
ai sottufficiali”. Fallito il tentativo di pianificare l’economia, Goulart nazionalizzò le
raffinerie di greggio e invano tentò una riforma agraria e l’espropriazione delle terre di
chi possedeva più di 100 ettari. Da notare che negli anni ’60 le grandi proprietà
ricoprivano il 60% della superficie agricola, all’interno delle quali solo una ridotta
percentuale era veramente sfruttata, mentre i piccoli produttori e i contadini senza terra
rappresentavano il 65% della popolazione rurale. Questa “sottoutilizzazione della terra
si traduce in una minore disponibilità alimentare, non solo per le aree rurali, ma anche
per le aree urbane” (Carmagnani e Casetta, 1989: 120-21 e 44).
La radicalizzazione degli studenti urbani e dei gruppi politici anche nelle aree
rurali s’intensificò, gli scioperi si moltiplicarono e all’inizio del 1963 il referendum
per restaurare i poteri presidenziali – ridotti dal compromesso che aveva permesso a
Goulart di assumere la presidenza dopo le dimissioni di Quadros – fu approvato a
grande maggioranza. Goulart procedette quindi all’espropriazione delle raffinerie
non ancora controllate da Petrobrás, alla nazionalizzazione di una sussidiaria
dell’ITT americana e a dichiarare soggetta a espropriazione qualsiasi proprietà terri-
era sotto utilizzata32, mentre si apprestava a convocare un’assemblea per redigere
una nuova costituzione. La reazione della classe dominante, ma anche della classe
media molto contraria alle riforme di Goulart, non si fece attendere33 e nel 1964
questi fu deposto dai militari che s’impadronirono del potere e lo mantennero per
più di due decenni, decisi a de-radicalizzare e modernizzare il paese. “L’entusiastico
appoggio che Washington dette a questo golpe militare creò un modello che presto
si sarebbe ripetuto altrove in AL” (Rohter, 2010: 28).
Lo scontro tra riformatori radicali e l’establishment del paese segnò la fine
del sistema democratico, rimpiazzato da un regime “burocratico-autoritario”, cioè
quella forma di dittatura, identificata da Guillermo O’Donnell, associata principal-
mente a un’istituzione, le forze armate, piuttosto che a un individuo, con l’obiettivo
di preservare l’ordine e generare la crescita economica. Nel caso brasiliano il regime
burocratico-autoritario si arricchì di un “efficiente settore pubblico, o ‘smart state’,
32
. Il trasferimento delle terre non coltivate a terzi disposti a farlo, previsto dalla legge portoghese
delle sesmarias del 1375, entrata in Brasile con tutta la legislazione portoghese dal momento della
sua scoperta, non era un vero esproprio, ma solo una confisca, un sequestro, perché il colono im-
messo non riceveva la proprietà e, quindi, doveva pagare una rendita al titolare del diritto di
proprietà. In Brasile, il sistema delle sesmarias “generò una serie di abusi e la costante estensione ar-
bitraria di latifondi, accompagnata – quasi per contrappasso – dall’occupazione delle terre dei la-
tifondi da parte di chi poteva lavorarle, ma non aveva i mezzi per acquistarle”(Losano, 2007: 74-75 e
77). L’allocazione delle terre secondo il sistema sesmarias fu abolito nel 1822, ma nessun nuovo sis-
tema fu stabilito fino al 1850 quando una legge legalizzò i diritti degli occupanti abusivi, previo pa-
gamento di una grossa tassa, ma allo stesso tempo convalidò i titoli sulla terra ottenuti tramite le ses-
marias. Infatti, l’obiettivo principale della legge era quello “di promuovere il sistema delle grandi pi-
antagioni” (Skidmore, 2010: 59).
33
. Cardoso (1973: 146-47) spiega il golpe che depose Goulart come reazione di settori antipopulisti
nella tecnocrazia e tra i militari i cui interessi coincidevano o erano vicini a quelli delle imprese mul-
tinazionali, ansiosi di smantellare gli strumenti di pressione con i quali i settori popolari, particolar-
mente quelli urbani, spingevano per ottenere la ridistribuzione del reddito e l’espansione dei pro-
grammi di welfare.
21
Il Brasile e gli altri
guidato dalle forze armate”, cioè membri o associati dell’Escola Superior de Guerra, cre-
ata nel 1949 con l’assistenza americana (Roett, 2010: 55-56 e 53). La Costituzione del
1946 fu mantenuta, tuttavia l’Ato Institucional dell’aprile 1964 rafforzò i poteri del Pres-
idente – unico autorizzato a presentare leggi relative alla spesa pubblica, a invalidare ri-
sultati elettorali e a sospendere i diritti politici di leader politici per dieci anni –, eliminò
l’immunità dei membri del Parlamento e introdusse il sistema d’indagine da parte di
polizia e militari contro cittadini sospettati di sovversione o crimini contro lo stato. Per la
coordinazione della lotta alla sovversione fu poi creato il Serviço Nacional de In-
formações (SNI) che rapidamente si trasformò in “un governo parallelo, soggetto a scarsi
controlli formali” (Roett, 2010: 56-57). Infine, la crescita economica diventò un ele-
mento chiave del governo militare, perché secondo la “teoria della sicurezza nazionale”
era lo strumento per creare e rafforzare una classe media e contrastare la montante pres-
sione rivoluzionaria e isolarne i promotori34.
Il primo Presidente di questo regime fu il maresciallo Humberto Castel Bran-
co che, quando nel 1965 l’opposizione ottenne la maggioranza dei voti alle elezioni
regionali, non esitò a invalidare la consultazione elettorale, sopprimere le libertà
politiche e iniziare una feroce repressione dell’opposizione stessa, repressione che si
accentuò notevolmente durante la presidenza di Garrastazu Médici (ottobre 1969-
marzo 1974), già direttore dell’SNI. Con il secondo “Ato Institucional” l’elezione del
Presidente e del suo vice fu affidata alla scelta indiretta del parlamento e fu abolito il
sistema dei partiti. Per legge vennero creati due nuovi partiti: uno che rappresentava il
governo (Aliança da Renovação Nacional (ARENA)) e l’altro, più debole,
l’opposizione (Movimento Democrático Brasileiro (MDB)) e a gennaio del 1967 fu
emanata una seconda Costituzione e fu eletto Presidente il generale Costa e Silva, un
proponente della linea dura all’interno delle forze armate (Roett, 2010: 58-60).
Riallacciandosi all’approccio di Kubitscheck, la dittatura militare perseguì la
crescita economica approfondendo il programma d’ISI, massimizzando le esporta-
zioni e incoraggiando gli IDE. Dal 1963 al 1971 il debito pubblico si ridusse da
4,3% a 0,3% e l’inflazione crollò da 90% del 1964 al 20% circa per il resto della
decade. Tra il 1968 e 1973, la produzione industriale aumentò annualmente del 13%
e il PIL dell’11% e grazie alla diversificazione dei prodotti e dei mercati di sbocco
34
. Durante la seconda guerra mondiale, fu creata la Junta Interamericana de Defensa col compito di
coordinare, assieme agli USA, gli sforzi continentali contro la minaccia dell'Asse. Con il profilarsi
della guerra fredda, la conferenza di Rio de Janeiro del 1947 elaborò il Tratado Interamericano de
Asistencia Reciproca (TIAR) che considera l’attacco armato o la minaccia di aggressione a danno di
uno dei paesi firmatari – originariamente furono 21 paesi – da parte di un paese membro o non
membro come un attacco contro tutti i firmatari. Nella pratica, il TIAR funzionò come canale di arti-
colazione politico-militare per mantenere in AL l’influenza USA. Infatti, la dottrina della sicurezza
nazionale nasce negli USA come elemento fondante della sua politica estera e venne poi esportata e
sperimentata nei paesi amici attraverso i loro modelli di difesa e i loro ufficiali addestrati nella Scuo-
la di guerra americana. Particolarmente importante fu l’elaborazione fattane in Brasile dal generale
Golbery do Couto e Silva (Geopolitica do Brasil, 1960), secondo il quale la guerra contro il comu-
nismo era un impegno globale, totale e permanente, e compito delle forze armate latinoamericane era
condurre la lotta contro quella che era chiamata la sovversione interna e, in politica estera, allinearsi
automaticamente sulle posizioni USA. Le forze armate si trasformano in un concreto strumento di
politica estera. Queste teorie cominciarono a circolare con particolare intensità dopo la rivoluzione
cubana (1959) e il colpo di stato militare in Brasile rappresentò un salto di qualità in tale processo.
Accanto a una repressione più selettiva, profonda e crudele, corrispondente alla teoria della sicurezza
nazionale, si formò una struttura del sistema statale totalmente subordinata alla giunta militare, ment-
re i principali centri di potere furono assunti dai militari o da tecnocrati loro alleati. Questo regime
militare ebbe l'entusiastico appoggio del sistema finanziario internazionale e nazionale.
22
Il Brasile
iniziò a cambiare anche la struttura delle esportazioni. Tutto ciò ebbe un alto costo
per gli operai, in città come in campagna, ai quali fu anche di fatto reso impossibile
scioperare. Ma il regime militare trovò nel “miracolo economico” del 1968-74
un’altra fonte di legittimazione, la classe medio-alta si sentì rassicurata e
l’opposizione sembrò momentaneamente scoraggiata,
Quando la recessione mondiale del 1973 ridusse le entrate derivate dalle
esportazioni di un paese che per l’80% del suo fabbisogno energetico dipendeva
dall’estero, i militari ricorsero all’indebitamento estero – che dal 1970 al 1980 passò
da $5,3 miliardi a 53,8 miliardi –, cosa non difficile dato che la notevole liquidità
del sistema internazionale alimentata dai petrodollari manteneva i tassi d’interesse
molto bassi. Questa strategia “mostrò tutta la sua fragilità” all’arrivo della seconda
crisi petrolifera del 1979 e gli effetti disastrosi del servizio del debito – che pari a
$87 miliardi nel 1982 portò il paese al fallimento – fecero degli anni ’80 una “dec-
ade perduta” che si chiuse con la crisi iperinflazionistica del 1989 (Pietrobelli e
Pugliese, 2007: 45-46). Fu il collasso del modello economico fondato sul protezion-
ismo e sull’indebitamento applicato dai militari.
Indubbiamente, dal 1960 al 1973 il PIL pro capite passò da $256 a 83935, la
produzione industriale aumentò al ritmo annuo del 12,6% e l’inflazione fu in media
del 37,6% l’anno (Baer, 2008: 419 Tab, A5). Questo successo si basò sull’alleanza
tra stato, imprenditori privati locali e capitale estero, un successo dai cui benefici la
maggior parte della popolazione risultò tagliata fuori e che accrebbe la distanza tra
ricchi e poveri. Infatti, mentre nel 1960 a metà della popolazione andava il 17% del
reddito nazionale e al 10% più ricco il 40%, nel 1980 le due percentuali erano diven-
tate rispettivamente 13% e 51%. Tuttavia, nel 1969 furono anche create l’impresa
EMBRAER per la costruzione di aerei – oggi terzo produttore mondiale dopo Boe-
ing e Airbus, specializzata in piccoli aerei per brevi voli regionali – e una serie di
altre imprese per produrre carri armati e mezzi corazzati per il mercato interno e per
quello estero – nel 2010 le vendite di armi del Brasile sono ammontate a $700 mil-
ioni (ISPRI, 2012: 248 Tab. 5.4) –, così come si dette inizio alla costruzione della
strada Belém-Brasilia (poi asfaltata nel 1974), al progetto idroelettrico di Itaipú, al
ponte di 4 km per collegare Rio de Janeiro con Niterói attraverso la baia Guanabara
e al programma Pro-Àlcool per estrarre etanolo dalla canna da zucchero.
L’opposizione si era ripresa e ora comprendeva segmenti dell’elite della so-
cietà, la Chiesa, gli studenti e rappresentanti del mondo degli affari, ma anche insur-
rezionali armati. L’ordine fu mantenuto per mezzo della diffusa violazione dei diritti
umani cui fecero ricorso le forze di sicurezza. Il costo umano fu alto anche se inferi-
ore a quello pagato dall’Argentina nello stesso periodo36.
Incapacitato da un colpo apoplettico, Costa e Silva fu sostituito dal generale
Emilío Garrastazu Médici che guidò il più repressivo governo militare. L’obiettivo
35
. Nel periodo 1980-2002, il PIL pro capite è cresciuto annualmente ad un tasso medio dello 0,87%,
tasso che è stato leggermente più alto, 0,97% se si considera solo il periodo 1990-2003.
36
. Almeno così si è creduto per molto tempo, perché grazie all’amnistia del 1979 che perdonò i cri-
mini commessi durante la dittatura, molto di quanto accaduto in quel periodo non è mai venuto alla
luce. Solo a maggio 2012 la Presidente Rousseff – essa stessa imprigionata e torturata negli anni ’70
– ha finalmente istituito una Commissione Verità per indagare su crimini e violazioni dei diritti uma-
ni compiuti in quegli anni. Infatti, contrariamente a quanto avvenuto in altri paesi del Sudamerica, il
Brasile non aveva mai preso in considerazione indagini sulle violazioni dei diritti umani commesse
dal regime militare. Tuttavia, l’amnistia del 1979 è ancora in vigore, per cui i lavori della Commissi-
one Verità non potranno portare ad alcun procedimento penale.
23
Il Brasile e gli altri
di popolare l’Amazzonia non si materializzò, la pratica dello “slash and burn” con-
tinuò a causare pesanti danni ambientali ed emersero nuove minacce per le popola-
zioni indigene. Tuttavia furono costruiti la Transamazzonica e un sistema di strade
che da Brasilia s’irradiavano a nord e a ovest. Per ridurre l’influenza di São Paulo e
Minas Gerais, i due tradizionali centri di potere, i militari crearono una serie di
nuovi stati e aumentarono la dimensione minima delle delegazioni congressuali di
ogni stato, riducendo così il peso di quelli maggiori e accrescendo quello degli stati
più poveri, ma più facilmente controllabili. Un sistema che resta ancora in vita e
costringe i presidenti a cercare continuamente l’appoggio degli stati più arretrati
(Rohter, 2010: 29). I problemi della presidenza Médici e gli eccessi dell’SNI pe-
sarono sulla scelta del nuovo Presidente che nel 1974 cadde sul generale Ernesto
Geisel che mise in moto un lento e graduale processo di “ri-democratizzazione” por-
tato poi a termine dal suo successore, generale João Figueiredo (1979-85).
All’inizio degli anni ’70 il Brasile importava l’80% del petrolio consumato, per
cui dal 1973 al 1974 la spesa per questa importazione si raddoppiò da $6,2 miliardi a $12
miliardi, e la bilancia commerciale passò da un piccolo avanzo a un disavanzo di quasi
$5 miliardi, disavanzo che continuò fino al 1981. Allo shock petrolifero si poteva reagire
sacrificando la crescita in modo da ridurre le importazioni non petrolifere oppure contin-
uando a sostenere la crescita il che implicava bruciare riserve valutarie o aumentare il
debito estero (Baer, 1990. 41-43 Tab.4.1). Poiché la legittimazione del regime stava pro-
prio nella crescita economica, con il Secondo piano di sviluppo nazionale 1975-79 si
decise di continuare a investire nella produzione dei prodotti industriali di base e nelle
infrastrutture fisiche del paese, ma i crescenti prezzi del petrolio contribuirono a in-
grossare il debito estero. Di conseguenza, nel periodo 1974-80 l’economia brasiliana
continuò a crescere annualmente al ritmo del 7,1%, l’esportazione a una media annua del
22%, mentre l’inflazione saliva da 34,8% a 110%.
La crescita economica ottenuta con l’ISI causò un crescente debito estero –
quello netto aumentò da $6,2 miliardi nel 1973 a $32 miliardi nel 1978 –, accentu-
ando così la necessità di espandere le esportazioni e preparando la crisi del debito
degli anni ’80. Per far accettare le misure d’austerità imposte dal FMI i militari
dovettero promettere il loro ritorno alle baracche, ma la recessione causata da queste
misure rafforzò l’opposizione e accelerò la loro uscita di scena. La legittimità del
regime militare fu ulteriormente minata dalla politica salariale e sociale di Geisel
che, a causa delle severe restrizioni fiscali introdotte per far fronte
all’indebitamento, si vide costretto a posporre gli interventi che avrebbero potuto
migliorare le condizioni di vita dei poveri – tra il 1981 e il 1983 il coefficiente di
Gini37 passò da 0,58 a 0,59, la percentuale del PIL del 40% più povero della popola-
zione si ridusse da 9,3% a 8,1% e i costi salariali nel 1984 furono il 66,2% di quelli
del 1980 (Baer, 1990: 46 Tab. 4.3 e 51 Tab. 4.5). Inoltre, l’ISI e la concentrazione
dell’industria nelle grandi città, particolarmente São Paulo, causarono una massiva
migrazione che potendo esser solo in parte assorbita dalle fabbriche generò un dif-
fuso e crescente sottoproletariato urbano.
Nel periodo 1981-85 il tasso annuo di crescita si ridusse a 1,2% e nel periodo
successivo, 1986-93 ad appena 2,5%, per cui per tutto il periodo fu solo 1,9%, mentre
crebbe molto la concentrazione del reddito. Infatti, l’indice di Gini da poco più di 0,58
37
. Il coefficiente di Gini misura la distribuzione della ricchezza o della terra, per cui mentre 1 indica
la concentrazione di tutte le risorse considerate nelle mani di un unico proprietario, 0 rappresenta la
distribuzione più ugualitaria possibile.
24
Il Brasile
nel 1981 arrivò a 0,63 nel 1988 quando cominciò di nuovo a diminuire (e non è mai più
tornato a quel livello), per cui la distribuzione del reddito del Brasile restò la seconda più
iniqua al mondo. Frattanto, il servizio del debito assorbiva più del 60% del valore delle
esportazioni brasiliane, ma la politica delle esportazioni aveva anche creato una forte di-
pendenza dalle multinazionali estere, il cui costo divenne evidente quando il rimpatrio di
capitali attuato nel 1986 impattò negativamente sulla bilancia dei pagamenti.
I larghi consensi che l’MDB ottenne alle elezioni municipali del novembre
1976 convinsero Geisel ad aggiornare il Parlamento e introdurre una serie di riforme
per permettere all’ARENA di mantenere la maggioranza, ma quando l’MDB emerse
come il vincitore delle elezioni legislative del 1978, il governo accettò i risultati e
cominciò a tollerare una limitata mobilitazione dei lavoratori, spinti dai metal-
meccanici guidati da Luis Inácio da Silva e sostenuti dalla Chiesa.
Deciso a procedere con la liberalizzazione politica ma incapace di arrestare il
successo dell’MDB, il nuovo Presidente Figueiredo (1979-85) abolì entrambi i parti-
ti e creò un nuovo sistema politico trasformando l’ARENA nel Partito democratico
sociale (PDS, oggi diventato Partito progressista - PP), il che però non riuscì ad ar-
restarne la decadenza, mentre l’MDB divenne il Partido do Movimento Democrático
Brasileiro (PMDB) e terzo maggiore partito divenne il PT, fondato nel 1980 da Luis
Inácio Lula da Silva nella periferia intensamente industriale e moderna di São Paulo,
ma non legato ad alcun potentato locale38. Nello stesso periodo intellettuali e attivisti
di sinistra come Leonel Brizola e Dilma Rousseff fondarono il “Partido Democráti-
co Trabalhista” (PDT).
Di fronte ai drammatici costi sociali della crisi del debito – disoccupazione,
povertà, indigenza e malnutrizione – i militari capirono di aver perso la capacità di
controllare il processo e ritrovandosi delegittimati ridiedero vita alle istituzioni che
avevano mantenuto dopo averle svuotate di ogni sostanza. Dal punto di vista economi-
co, il Brasile emerse con un notevole settore industriale, ma anche con un ampio
settore pubblico. Tuttavia, il modello d’autarchia economica creato da Vargas nei lon-
tani anni ’30, basato sull’ISI e sul ruolo centrale dello stato, era ormai esaurito.
All’inizio del 1985 “il collegio elettorale elesse Presidente Tancredo Neves,
esponente dell’opposizione storica al regime militare”, che però morì prima di assumere
la carica che passò al suo vicepresidente José Sarney (1985-90). Benché fosse “un uomo
vicino alle forze armate” che “aveva da sempre fiancheggiato la dittatura” (Pietrobelli e
Pugliese, 2007: 55), Sarney concesse il diritto di voto agli analfabeti, legalizzò tutti i par-
titi che presentavano i minimi requisiti per registrarsi, indisse libere e dirette elezioni dei
sindaci di tutte le città e reintrodusse l’elezione diretta del Presidente. Il tasso
d’inflazione toccò il massimo fino allora raggiunto – 235% nel 1985 –, mentre il tasso di
disoccupazione superava il 12%, mancava cibo, il settore alimentare essendo stato tras-
curato a favore delle produzioni ad alto contenuto energetico da esportare, il valore reale
dei salari era stato notevolmente ridotto, la povertà cronica riguardava 30 milioni di bra-
siliani. Con la fame e la malnutrizione era aumentato il numero di bambini abbandonati,
mentre la diffusione della criminalità era sempre più preoccupante. Nel 1984 il debito
estero aveva superato $105 miliardi (il 47,1% del PIL), il maggiore al mondo, e i ne-
goziati con il FMI erano risultati inconcludenti. Poiché le previsioni per il 1985 erano
38
. Nel tempo la base elettorale del PT si è venuta spostando da São Paulo alle “zone povere del Nor-
deste che dipendono dai programmi assistenziali” e ha cessato “di essere il rappresentante esclusivo
di un settore economico e comincia a contendersi il centro dello spettro sociale e politico con altri
partiti” (Recupero, 2009: 25).
25
Il Brasile e gli altri
buone il ministro delle Finanze Dornelles cominciò a negoziare con le banche commer-
ciali, che possedevano $35 miliardi dei prestiti brasiliani in scadenza entro il 1989, e che
concessero il roll over dei prestiti a scadenza nel 1985-86 e il rinnovo di importanti cred-
iti commerciali (Roett, 2010: 77). Il processo di trasformazione politico-istituzionali, la
“ri-democratizzazione” del paese, che era iniziato nel 1985 con la firma del Patto di San
José (American Convention on Human Rights) e dell’UN Convention Against Torture,
procedeva speditamente e il Brasile tornava a far parte del sistema internazionale.
L’amministrazione di José Sarney cercò di fermare l’inflazione con il Plano
Cruzado che, introdotto all’inizio del 1986, sostituì il cruzeiro (Cr) con il cruzado (1
Cz per 1.000 Cr), eliminò completamente l’indicizzazione dei salari e congelò i
prezzi di un gran numero di beni. Con l’arresto dei prezzi e del tasso di cambio, an-
che gli interessi diminuirono, un successo favorito dal simultaneo declino dei tassi
d’interesse internazionali, dalla notevole riduzione del prezzo del petrolio e dalla
svalutazione del dollaro che seguì l’accordo dell’Hotel Plaza (22 settembre 1985).
Avendo il paese scelto il dollar standard, la competitività delle esportazioni brasili-
ane si rafforzò, ma presto i consumi e le importazioni esplosero e le spese governa-
tive aumentarono, ma non così le entrate, per cui fu introdotto il controllo sui prezzi,
mentre i salari reali aumentavano al ritmo del 10%. La produzione cominciò a
ristagnare, si sviluppò il mercato nero, riapparve l’indicizzazione – per cui i prezzi
crescevano il giorno dopo sospinti dall’aumento del giorno prima – e il governo
divenne insolvente verso i suoi creditori privati. A febbraio 1987 il Brasile dichiarò
una moratoria temporanea dei pagamenti d’interessi di medio e lungo termine ai
creditori stranieri. Seguì il piano del nuovo ministro delle Finanze Bresser-Pereira
del giugno 1987 che, però, non sortì alcun effetto sulla crescente inflazione che a
fine 1988 viaggiava al ritmo mensile del 25-30%. Stesso fallimento incontrò il Pla-
no Verão (estate) del gennaio 1989, mentre la situazione continuava a peggiorare. A
marzo 1989 – tasso d’inflazione 1783%, ma il massimo fu raggiunto nel 1993 con
2708% – il governo americano annunciò la creazione del Piano Brady, ma a luglio il
Brasile sospese il pagamento degli interessi al Paris Club.
Frattanto, nel 1988 era stata elaborata la nuova “Costituzione del Cittadino”
che. oltre a ristabilire pienamente le libertà democratiche e il federalismo, poneva
l’accento sull’importanza delle municipalità e assegnava loro dei fondi senza, però,
definire bene le loro responsabilità39. Per di più, non prevedeva nessun reale vincolo di
bilancio e ignorava il bisogno di stabilizzazione e di riforme economiche. Continuava,
infine, la sbilanciata composizione dei due rami del Parlamento che favoriva gli stati
più piccoli del Norte e Nordeste, che sono anche quelli più poveri. Con questa Cos-
tituzione il presidenzialismo mise radici più profonde di quanto previsto, il Parlamento
divenne uno strumento più passivo di quanto voluto e gli stati e i governi locali ri-
uscirono ad accrescere la propria autorità e le risorse disponibili, tendenze che, sempre
secondo Fishlow (2011: 32), dal 1995 avrebbe dovuto cominciare a invertirsi. Inoltre,
nella transizione dall’autoritarismo alla democrazia, alla fine degli anni ’80 emergeva
chiaramente una importante caratteristica della polity brasiliana, e cioè l’estrema
complessità e diffusione della governance del paese, mentre l’entrata di nuovi attori
39
. Purtroppo, la legge che secondo l’art 23 della Costituzione avrebbe dovuto farlo non è stata mai
approvata, per cui i trasferimenti agli stati e ai governi locali sono effettuati automaticamente, trasfe-
rimenti che nel caso delle municipalità ammontano a un quarto delle tasse sul valore aggiunto dello
stato nel quale esse si trovano (Fishlow, 2011: 23-24).
26
Il Brasile
40
. La politica estera di Amorim puntò a “Democracy, Development and Disarmament”, echeggiando
lo slogan delle tre D del governo Goulart “Disarmament, Development and Decolonization”.
27
Il Brasile e gli altri
41
. La tesi che a spingere in alto i tassi d’interesse sarebbe il basso tasso di risparmio è stata sostenuta
da molti – Hausmann (2008), Fraga (2005) e Miranda e Muinhos (2003). In effetti, secondo la teoria
classica, quando la domanda per l’investimento eccede l’offerta di risparmio interno, il tasso
d’interesse d’equilibrio non può che aumentare. Anche se in un’economia aperta il risparmio dome-
stico non dovrebbe costituire una forte limitazione, Feldstein e Horioka (1980) e una serie di studi
posteriori hanno riscontrato una forte correlazione tra risparmio e investimenti interni, un fenomeno
che Rogoff e Obstfeld (2000) considerano uno dei principali rompicapi della macroeconomia moder-
na. Il lavoro di Segura-Ubiergo (2012) suggerisce che ci sarebbero, però, anche degli altri fattori
propri del Brasile, come la segmentazione del mercato del risparmio e l’inflation inertia generata dal-
le pratiche d’indicizzazione che ancora permangono nel paese.
28
Il Brasile
Nel 1996 furono “privatizzate le banche di sviluppo degli stati e delle muni-
cipalità che chiaramente non potevano sopravvivere in un mondo non inflazionario”,
le loro obbligazioni furono assorbite nel debito federale, e le future emissioni venne-
ro eliminate, per cui il governo centrale ottenne implicitamente il controllo sulla
spesa di queste entità, controllo poi formalizzato dalla legge sulla responsabilità fi-
scale del maggio 2000. Questre misure furono considerate necessarie per assicurare
al governo centrale un avanzo primario (Fishlow, 2011: 26-27). La mancata riforma
della finanza pubblica, l’aumento del salario minimo e il conseguente aumento delle
pensioni contribuirono, però, a rendere negativo l’avanzo primario – con gli interessi
pari al 6-7% del PIL – durante l’intero primo mandato di Cardoso, e solo alcune en-
trate generate dalla privatizzazione impedirono al debito pubblico di crescere troppo,
anche se l’inflazione restava bassa.
Il miglioramento del tasso di crescita del Brasile non fu sufficiente a generare
la stabilità macroeconomica del paese, ma aumentò notevolmente il flusso di capitali
esteri, grazie anche agli alti interessi reali prevalenti nel paese, contribuendo così
all’apprezzamento della moneta e, quindi, alla rivalutazione del real. Tra il 1995 e il
1998 il saldo delle partite correnti divenne fortemente negativo, il debito esterno
aumentò di 8 punti di PIL e il suo crescente servizio contribuì a far aumentare il dis-
avanzo delle partire correnti. Frattanto, peggiorava la situazione dei conti pubblici, a
causa anche della crescita della spesa previdenziale, per cui il debito passò dal 30%
al 48 % del PIL e aumentava la disoccupazione. L’impatto negativo della crisi asiat-
ica del 1997-98 e di quella Russa del 1998 causò grosse perdite di riserve e rese an-
cor più difficile mantenere il tasso di cambio fisso, per cui il governo di Cardoso si
vide costretto, poco prima delle elezioni presidenziali, a negoziare con il FMI un ac-
cordo di stand-by da $40 miliardi. All’inizio del 1999 il cambio fisso fu abbandona-
to e si passò a quello fluttuante. Per Burges (2009: 81-82), l’effetto principale del
Plano real fu di aver ristabilito fiducia e prevedibilità. Una volta che i mercati eb-
bero segnalato che il Brasile era seriamente impegnato a mantenere la stabilità eco-
nomica, gli operatori economici e gli individui ripresero gli investimenti.
Il cambio fluttuante, la rigorosa politica di bilancio, cioè avanzo positivo del
bilancio primario, e l’inflation targeting, più l’autonomia della BCB, costituirono, e
continuano a costituire, il regime macroeconomico del paese. Grazie a questo re-
gime nel 2005 il paese ha rimborsato in anticipo il restante debito di $15,5 miliardi
al FMI e nel 2009 ne è diventato creditore. Neanche con i $42 miliardi ottenuti dal
FMI si riuscì a stabilizzare l’economia, per cui subito dopo l’inizio del secondo
mandato (1999-2002), Cardoso dovette permettere una forte svalutazione del real
pari al 40%. che poi, salvate parte delle riserve, rapidamente si stabilizzò.
Questa nuova politica economica attrasse gli investimenti esteri (tra il 1994 e
il 1999-2000 l’afflusso di IDE passò da $2 a $30 miliardi) ed evitò sia la caduta del
reddito e sia un eccessivo aumento dell’inflazione. Infatti, nel 2000 il tasso di crescita
dell’economia brasiliana raggiunse 4,3%, il deficit corrente si ridusse dal 4,7% al 4,2%
e sia il tasso d’interesse che quello dell’inflazione declinarono. Ma la legge sulla re-
sponsabilità fiscale introdotta a maggio 2000 comportò l’aumento delle tasse e la ridu-
zione della spesa pubblica, per cui perse priorità quella politica sociale che avrebbe
dovuto caratterizzare il secondo mandato di Cardoso (Fishlow, 2001: 44-47).
Se Cardoso non riuscì a portare sotto controllo i conti pubblici né a realizzare
tutte le riforme di cui il paese avrebbe avuto bisogno, ciò fu dovuto non solo alle
scontate resistenze interne, ma anche agli ostacoli creati da varie crisi esterne che
ridussero l’afflusso di capitali esteri in Brasile. Nel 2000 il debito sfiorò i $22 mil-
29
Il Brasile e gli altri
iardi – pari a 11% del PIL – e aumentò il peso degli interessi. Ormai “tutto girava
attorno al debito” e l’inflazione aumentava, per cui quando arrivò l’attacco alle Torri
gemelle e si aggravò la crisi dell’Argentina, il terzo mercato di sbocco del Brasile, il
real dovette essere svalutato (Fishlow, 2001: 48-50). La situazione economica e so-
ciale continuò a peggiorare e “nel 2002, ultimo anno del governo Cardoso, il debito
pubblico superò il 50% del PIL, la disoccupazione aumentò e con essa la popola-
zione sotto la linea di povertà” (Pietrobelli e Pugliese, 2007: 65).
A causa delle varie crisi finanziarie, la popolarità di Cardoso declinò
notevolmente durante il suo secondo mandato, ma la maggior parte degli analisti gli
riconosce il merito di aver creato le fondamenta su cui è stata costruita la stabilità
macroeconomica di cui il paese ha finora goduto. Importanti successi Cardoso li ot-
tenne anche in politica estera facendo del Brasile un riconosciuto attore a livello sia
regionale che internazionale. Fu un fermo sostenitore del MERCOSUR e dei vertici
Ibero-Americani e organizzò e ospitò a Brasilia la prima Cumbre de Presidentes de
América del Sur ad agosto 2000 dove, per la prima volta si cominciò a discutere di
un processo d’integrazione che invece dell’AL prendeva in considerazione solo il
Sudamerica. Questo concetto, politicamente sviluppatosi solo più recentemente,
prende atto che la parte dell’AL a nord del canale di Panama è ormai dal punto di
vista della sicurezza e degli accordi commerciali, cioè geopoliticamente, definitiva-
mente inclusa nella sfera d’influenza di Washington. Poiché per far funzionare il
sistema dovette, sia pure con riluttanza, appoggiarsi ai tradizionali capi regionali,
Cardoso cominciò a essere percepito come parte di quel “vecchio” Brasile che ci si
voleva lasciare alle spalle (Roett, 2010: 107). Inoltre, l’elettorato brasiliano era pre-
occupato dalla stagnazione economica e dalla forte disoccupazione che contrasse-
gnarono la fine del suo secondo mandato.
Secondo Erber (2002: 23-24), gli obiettivi raggiunti dall’amministrazione
Cardoso riguardano certamente il controllo dell’inflazione, l’afflusso degli IDE,
l’aumento di produttività (quella del lavoro di circa il 6% l’anno nel periodo 1991-
98) e i guadagni netti del lavoro urbano che hanno contribuito al boom dei consumi.
Non si può dire lo stesso del tasso di crescita del PIL, che per il periodo 1995-2002 è
stato in media solo del 2,3%, degli investimenti che in media sono rimasti al disotto
del 20%, della disoccupazione che è aumentata, mentre l’occupazione informale
rappresentava oltre la metà del totale, il che parzialmente spiega l’aumento della
produttività. Di conseguenza, conclude Erber (2002: 33), salvo la riduzione
dell’inflazione, i risultati concernenti crescita, occupazione ed esportazione non
sono stati migliori di quelli del decennio precedente.
Ed è proprio la debole crescita economica durante i suoi due mandati che
“limitò la possibilità di usare la politica estera per far leva sugli obiettivi strategici
politici ed economici”, per cui Vigevani e Cepaluni (2009: 63) sostengono che i
successi dell’amministrazione Cardoso furono ottenuti quando incontrò “la predis-
posizione, la buona volontà e collaborazione dei partner esterni”.
***
Nel 2002, e di nuovo nel 2006, fu eletto Luis Iñacio Lula da Silva, un metal-
meccanico nato povero nel Nordeste (Pernanbuco), diventato sindacalista, fondatore
del PT, oppositore della dittatura militare che lo imprigionò, eletto nel 1986
all’Assemblea nazionale costituente e candidato alla presidenza per ben quattro vol-
te. I timori generati dal suo programma elettorale e il crescente consenso che i son-
30
Il Brasile
daggi rivelavano furono abbastanza destabilizzanti facendo così salire sia lo spead
tra i titoli brasiliani denominati in dollari e i Treasuries statunitensi sia l’indice del
rischio paese, deprimendo il tasso di cambio e facendo crescere l’inflazione. Lula
reagì con la Carta ao povo brasileiro (lettera al popolo brasiliano) con la quale
riconosceva la necessità di una gestione macroeconomica responsabile e prometteva
che il suo governo avrebbe onorato tutti i debiti, i contratti e le altre obbligazioni fi-
nanziarie del paese e che l’impegno alla giustizia sociale e alla riduzione della pov-
ertà sarebbe stato realizzato nell’ambito di una politica fiscale moderata (Roett,
2010: 104). Prima delle elezioni chiese al FMI, e ottenne, un prestito di $30 miliardi
per garantire una transizione ordinata della nuova amministrazione.
Una volta diventato Presidente Lula si dimostrò molto più conservatore di
quanto molti si aspettassero. Quando all’inizio del 2003 Lula assunse la presidenza,
la situazione economica del Brasile era delicata perché la crescita era lenta, le
riserve ammontavano a meno di $40 miliardi e il debito esterno era il 45% del PIL,
di cui il 42% denominato in dollari (Roett, 2010: 110, Tab. 7.1). Sulla base della po-
litica macroeconomica seguita da Cardoso, Lula aumentò l’avanzo fiscale primario e
l’autonomia del BCB e attuò la riforma fiscale, ma nonostante mantenesse stretta-
mente sotto controllo la spesa pubblica, riorganizzò e ampliò alcuni dei programmi
sociali iniziati da Cardoso. Chiaramente, Lula ereditò una transizione incompleta da
uno stato agente principale a uno disposto a delegare la regolamentazione ad agenzie
specializzate, in altre parole un incompleto passaggio da uno stato sviluppista ad uno
liberale42. Indubbiamente, l’amministrazione Lula frenò la privatizzazione mentre si
moltiplicavano le tensioni tra l’esecutivo e le agenzie regolatrici ma considerazioni
politiche e legali impedirono l’inversione del processo, uno stallo che ha impoverito
la governance e ritardato la crescita (Erber, 2008: 23). Accusandolo di non aver rot-
to con il FMI e con la BM e di non aver rinazionalizzato, parte della sinistra attaccò
duramente Lula per aver tradito il sogno di una rivoluzione socialista.
La stabilizzazione macroeconomica limitò la crescita economica e depresse i
consumi, ma contribuì all’aumento dell’afflusso di IDE mentre l’aumento delle es-
portazioni di materie prime a prezzi crescenti, in gran parte dirette alla Cina, gen-
erarono un avanzo corrente. Intanto gli elevati tassi d’interesse mantenevano bassa
l’inflazione (26,5%), l’attivo di bilancio superava il 5%, il PIL aumentava del 3,3%,
ma cresceva la disoccupazione, diminuiva il potere d’acquisto dei salari e di conse-
guenza aumentava il numero di famiglie povere. Lula riuscì anche a introdurre alcu-
ni cambiamenti nel sistema di sicurezza sociale, che Cardoso aveva invano tentato di
riformare, aumentando l’età minima per il pensionamento degli impiegati pubblici,
limitando le pensioni per le loro vedove e orfani e stabilendo dei tetti per stipendi e
pensioni sia degli impiegati pubblici che di quelli privati. Alla fine del 2003 riuscì
anche a rivedere il codice fiscale, unificando le tasse statali e riducendo il numero
delle aliquote fiscali da 44 tasse degli stati a cinque aliquote nazionali (Baer, 2008:
166-66), rendendo permanente la tassa sulle transazioni finanziarie e razionalizzan-
do gli effetti “a cascata” del sistema fiscale. Nel 2004, fu infine presentata la Políti-
42
. Lo stato sviluppista guidò il paese da Vargas fino agli anni ’70, ma fu drasticamente ridimensio-
nato negli anni ’80 dalla scarsa crescita e dalla montante inflazione. Dal 1900 al 2002 s’impose il
neo-liberalismo del FMI e della BM, cioè il Washington Consensus, che portò alla privatizzazione di
molte imprese di stato senza, però, riuscire a operare quelle importanti riforme politiche e amminist-
rative necessarie per rendere lo stato politicamente più rappresentativo e capace di una migliore
governance.
31
Il Brasile e gli altri
***
Sotto le pressioni della sinistra del suo partito, del Movimento dos trabalhadores ru-
rais sem terra (MTRST)45 e degli intellettuali che l’avevano sostenuto, Lula, pren-
dendo atto del fatto che l’economia stava migliorando, cominciò a realizzare quella
lotta alla fame che era stata l’elemento centrale della sua campagna elettorale. Mes-
so da parte il più ambizioso piano Fome Zero (Zero fame), Lula riprese i programmi
sociali del secondo governo Cardoso – Bolsa Escola (1994), Auxílio Gás, Bolsa
Alimentação (2001) e Luz no campo – che, causa i limitati fondi utilizzati, ebbero
un modesto impatto sulla povertà, ma nessuno sull’ingiustizia) e introdusse il Pro-
grama Bolsa Familia (PBF) – cioè assegni sociali per le famiglie povere46 – tra R15
43
. Incisivamente, Lagos (2009: 46) scrive che in AL “più che dalle differenze, siamo caratterizzati da
ciò che tutti condividiamo: le diseguaglianze” che, generando sfiducia, ostacolano la crescita.
44
. Secondo l’indice di competitività globale del World Economic Forum (2010: 33-34 e 106) su 139
paesi il Brasile è solo 58°, mentre per le sue infrastrutture del trasporto scende al 67° posto con 3,8
punti, mentre il Cile ottiene 4,6 punti e Hong Kong, il migliore, 6,7 punti. L’indice delle infra-
strutture portuali (2,94) fa precipitare il Brasile al 123° posto. Il problema è che storicamente gli in-
vestimenti in infrastrutture non hanno superato il 2% del PIL.
45
. Esiste anche il Movimento dos Trabalhadores Sem Teto (MTST, movimento dei senza tetto) secon-
do il quale mancano 8 milioni di alloggi, ma almeno 5 milioni di questi potrebbero essere ricavati da
edifici abbandonati, che il movimento tenta di occupare.
46
. Il criterio di eleggibilità è un reddito pro capite inferiore a mezzo salario minimo e residenza nel
Nordeste. Interessante notare che beneficiaria del trasferimento non è il padre, ma la madre, pro-
babilmente contando sul maggiore senso di responsabilità e d’amore per i figli di quest’ultima.
32
Il Brasile
e R95 a seconda del reddito familiare e del numero di figli in età scolare – condizio-
nati alla frequenza scolastica dei figli, alle loro vaccinazioni e alle loro regolari visi-
te mediche –, programma del quale hanno beneficiato più di 12 milioni di famiglie,
approssimativamente un quarto della popolazione del paese (Fishlow, 2011: 136),
alle quali nel 2010 sono stati distribuiti più di $3 miliardi47. Inoltre, a sostegno del
consumo e della domanda interna, oltre che per ridurre gli squilibri sociali, durante
la Presidenza di Lula il salario minimo è stato aumentato nominalmente del 132% e
l’aumento del 2010 ha iniettato $6 miliardi circa nella classe D – vedi 2.6. (Di Fran-
co, 2011). Infatti, la modesta “ridistribuzione del reddito e la diffusione delle infra-
strutture fisiche di base (‘Luz para todos’) hanno permesso di ampliare la classe me-
dio-bassa e i consumi interni durante la complicata congiuntura internazionale degli
ultimi anni” (Gefter, 2011: 44). Nel 2005 il PBF interessò 11,2 milioni di famiglie,
le condizioni imposte dal FMI non permettendo di spendere più dello 0,5% del PIL.
Secondo i dati dell’IPEA, dal 2005 al 2009 la popolazione povera è diminuita
da 55,5 milioni a 39,6 milioni, di cui quella estremamente povera da 20,7 milioni a
13,5 milioni. Grazie all’effetto cumulativo di politiche sociali ed economiche, sta
così emergendo una complessa classe media – la cosiddetta classe C48 – che ingloba
poco più della metà della popolazione – vedi Tab. 1.2. e la sezione 2.6. L’impatto
del PBF sulla riduzione della povertà totale è stato modesto, non più dell’8%, un ri-
sultato dovuto alla modesta dimensione dei benefici, insufficienti a spostare molte
famiglie oltre la linea della povertà. Maggiore è stato l’impatto sulla poverty gap e
sull’assoluta povertà, entrambe diminuite rispettivamente del 18% e del 22%. Se-
condo Neri (2010: 5) questi trasferimenti spiegherebbero circa un terzo della ridu-
zione della povertà nel paese.
Popolazione % Reddito %
10 45
40 41
30 11
20 3
Fonte: IPEA
Per la riduzione della povertà molto importante è stata anche la Lei Orgánica
de la Asistencia Social (LAOS) del dicembre 1993 che ha assicurato un salario mi-
nimo ai vecchi e ai disabili mentali senza supporto familiare. La spesa per la LAOS
47
. A una famiglia sotto la soglia di estrema povertà, con tre figli piccoli e due teenagers la Bolsa
Familia può trasferire al massimo R242 al mese (OCSE, 2011: 143). Molti stati o autorità locali ag-
giungono di loro per aumentare i trasferimenti della Bolsa Família e, infatti,il comune di Rio integra
i pagamenti della Bolsa di circa 700 mila famiglie.
48
. In Brasile la classificazione socio-economica suddivide la popolazione in 5 gruppi che tra il 2002
e 2009 erano così divisi: i più ricchi (A e B) rappresentavano il 15%, i più poveri (D e F) erano tra il
43% e il 32% e la classe media (C) tra il 42% e il 53% e, cosa di grande importanza, per la prima vol-
ta il reddito di quest’ultima classe appariva maggiore della somma di quello di A e B (Fishlow, 2011:
136). La classe C include le persone con un reddito pro capite giornaliero compreso tra $6,10 e
$26,20, mentre la classe D quelli con un reddito pro capite giornaliero d compreso tra $3,8 e $6,1.
33
Il Brasile e gli altri
è stata ampliata dopo il 2003. La politica sociale di Lula si è caratterizzata sia per la
fornitura di servizi di base, come l’elettricità (con il Programa Luz para Todos) e
l’educazione primaria (con il Fundo de Desenvolvimento da Educação Básica), e sia
per il trasferimento di reddito (con il PBF) e con l’aumento del salario minimo, au-
mento di molto inferiore a quello ottenuto dai dipendenti pubblici, pari al 74-79%
tra il 2003 e il 2009. Tutti questi interventi, e particolarmente il PBF e LAOS, con-
tribuirono nel periodo 2001-08 a un declino della povertà assoluta da 11,3% a 6,1%,
a un leggero miglioramento della diseguaglianza di reddito e a un aumento delle
iscrizioni scolastiche dei più giovani. Infatti, se nel 1995 il 15% dei bambini in età
scolare non andava a scuola, ora, grazie anche al PBF, la frequenza scolastica dei
ragazzi di 6-17 anni ha raggiunto quasi il 90%. Tuttavia, il 60% della popolazione
non ha una scolarità superiore a quella della scuola media
Gli analfabeti sarebbero il 12,1%, ma se a questi si aggiungono quelli che
sanno scrivere solo il proprio nome, si arriva a quasi un quarto della popolazione.
Dal 2005 il tasso di crescita dei consumi familiari è stato più alto di quello del PIL
brasiliano (Guerrieri, 2009: 19). Il rafforzamento e l’ampliamento del mercato inter-
no hanno incoraggiato gli investimenti delle imprese estere – negli anni recenti sono
entrati annualmente più di $45 miliardi – e di quelle nazionali così che, grazie anche
alle politiche anticicliche promosse dal governo, il Brasile è sembrato uno dei primi
a riprendersi dal collasso del 2008. Alla fine del primo mandato di Lula, il PIL era
cresciuto dall’1,15% del 2003 al 3,9% del 2006; la bilancia dei pagamenti da $2,6
miliardi nel 2001 a $46,1 miliardi nel 2006, grazie alle maggiori esportazioni; il di-
savanzo della bilancia corrente, diventata positiva già nel 2003, toccò i $13,5 miliar-
di nel 2006. Tra il 2003 e 2006 gli occupati aumentarono di 9,1 milioni, di cui 1,6
milioni nell’industria e 1,5 milioni nel commercio, ma l’occupazione formale passò
solo da 50% a 55% del totale e il salario di due terzi circa dei nuovi occupati non
ammontava a più di due salari minimi. Inoltre, il salario minino era tornato ai livelli
degli anni ’70 – il periodo del miracolo economico brasiliano – ma ancora un terzo
al disotto del massimo raggiunto negli anni ’50. Nello stesso periodo, anche gli in-
vestimenti sono cresciuti meno del massimo raggiunto nel 1994, quando rappresen-
tarono quasi il 21% del PIL, per cui lo stock di capitale continua a crescere al ritmo
del 2,5% l’anno, “insufficiente per sostenere una rapida espansione del PIL” (Erber,
2008: 19 Tab. 4 e 21).
Grazie al surplus primario di bilancio, all’incirca costante intorno al 4%
già dai tempi del predecessore Cardoso, il rapporto tra debito netto del settore pub-
blico e PIL è stato ridotto dal 53,5% del 2003 al 43% del 2009, mentre l’inflazione è
scesa dal 12,5% del 2002 (comunque già molto ridotta rispetto ai livelli iperbolici
del periodo 1985-1994) al 4,3% del 2009. I tassi d’interesse continuano a restare
molto alti, il che incide pesantemente sulle casse dello stato, il cambio è sopravvalu-
tato, il che inquieta notevolmente il settore industriale; ma le riserve valutarie inter-
nazionali si avvicinano a $300 miliardi, grazie anche al forte attivo delle partite fi-
nanziarie (Di Franco, 2011)
***
34
Il Brasile
però, a mantenere indiscussa la sua onestà e buona fede, per cui il “lulismo” è
“diventato un neologismo in grado di sopravvivere al suo creatore, mix di pragma-
tismo economico con tendenze protezioniste e di idealismo politico”. Dopo otto anni
al potere con Lula e almeno altri quattro con Rousseff – la prima donna arrivata alla
presidenza –, “il PT ha occupato stabilmente la scena politica a tutti i livelli, obbli-
gando il principale avversario – il PSDB – a una profonda ristrutturazione se vuole
vincere il prossimo turno elettorale” (Gefter, 2011: 44).
***
Benché per gran parte della storia brasiliana lo stato sia stato molto presente
nell’area economica come proprietario oppure gestore o investitore, ciò non ha
comportato l’abbandono delle regole di mercato. Tutte le parti politiche hanno ac-
cettato che lo stato assumesse il ruolo di motore della crescita economica e fornisse
molti dei beni sociali, ma hanno dato poca importanza alla ridistribuzione del red-
dito e della ricchezza, anzi fino a tempi recenti hanno mirato a “una distribuzione
del reddito sfavorevole alle classi popolari così da consentire la nascita di un mer-
cato di beni di consumo durevoli ristretto ai ceti elevati” (Pietrobelli e Pugliese,
2007: 40).
Durante il secondo mandato, Lula ha anche ampliato il ruolo dello stato
nell’economia, ha introdotto una serie di misure per accelerare la crescita economica
e controbilanciare gli effetti della crisi finanziaria globale e ha cercato di aumentare
le abitazioni formali per i brasiliani con basso reddito tramite il programma Minha
Casa, Minha Vida (casa mia, vita mia), iniziato nel 2009. Poco prima di lasciare la
Presidenza, Lula riuscì a far passare la legge che stabilisce nuove regole che ac-
crescono il ruolo pubblico nello sfruttamento delle notevoli risorse energetiche sot-
tomarine in modo da finanziare lo sviluppo economico e sociale di lungo periodo.
Durante i due mandati di Lula il reddito pro capite brasiliano è quasi triplica-
to e circa 25 milioni di persone sono sfuggite alla povertà. Il “vero segreto” è stato
l’espansione dei consumi, che ha, però, causato un crescente disavanzo di parte cor-
rente e una domanda diventata gradualmente superiore alla produzione. Inoltre sono
stati creati almeno 12 milioni di posti di lavoro formale sia nel settore pubblico che
in quello privato, rispetto ai 2,1 milioni del decennio precedente; sono aumentate le
riserve, arrivate all’inizio del 2011 a $350 miliardi; i tassi d’interesse sono diminuiti;
e il tasso di cambio è stato rivalutato, mentre è aumentata la quota del debito pubbli-
co detenuta da investitori esteri, superiore al 7% alla fine del 2009. Dal 2005, il con-
sumo di beni durevoli è aumentato a un tasso superiore a quello di crescita del PIL e
nel 2006 il possesso medio di beni durevoli ha raggiunto il 71% di quello europeo,
ancora inferiore all’87% della Cina ma superiore a quello della Russia e dell’India
(Guerrieri, 2009: 19-20 Tab. 13 e 14).
Se a Cardoso va attribuito gran parte del merito di avere rimosso il pericolo
dell’inflazione, la scelta di mantenere quest’approccio ha contribuito non poco
all’indiscutibile successo di Lula che ha chiuso il suo secondo mandato con l’86% di
approvazione popolare (Latinobarómetro, 2011: 24 Tab. 4) ed è riuscito a fare eleg-
gere nel 2010 il suo fidato ed efficiente braccio destro, la signora Dilma Rousseff, il
cui compito principale è ora quello di portare il paese su un sentiero di crescita eco-
nomica sostenuta e stabile.
Finora c’è stata una coerente evoluzione che ha portato all’eliminazione
dell’inflazione come stile di vita; a regolari avanzi primari; all’aumento e alla diver-
35
Il Brasile e gli altri
49
. Rousseff non solo ha immediatamente rimosso vari ministri, ma si è adoperata perché s’iniziasse
il processo contro le 38 persone coinvolte nel maggiore caso di corruzione degli ultimi anni – quello
del mensalão, ovvero dei grossi stipendi che il PT appena arrivato al governo nel 2003 pagava per
comprare l’appoggio dei deputati e senatori dei partiti alleati, usando i fondi per la pubblicità e quelli
delle pensioni delle imprese pubbliche. Lo scandalo emerse nel 2005 e la Corte suprema – la sola che
può giudicare parlamentari – accolse il caso nel 2007, ma il processo tardava a iniziare per permette-
re che molti dei reati contestati si prescrivessero. Infatti, nel 2003 il padre dell’ex Presidente Collor
sparò e uccise un altro senatore nel Senato, ma il processo non ebbe mai luogo. Nel caso mensaláo,
invece, non solo il processo è iniziato, ma si è anche concluso a dicembre 2012 con 25 dei 38 imputa-
ti condannati a svariati anni di carcere e pesanti multe pecuniarie. Questo è il primo vero attacco alla
cultura dell’impunità dei potenti, per cui se “il carcere per i politici corrotti è ancora improbabile, non
è più impensabile” (TE, 28.07.2012). Inoltre, nel 2010 è entrata in vigore la legge che richiede una
ficha limpa (fedina penale pulita) per essere eleggibile a cariche pubbliche.
50
. Secondo i dati della BM, nel 2011 il PIL del Brasile ha raggiunto 2,48 miliardi di dollari correnti,
diventando così la sesta economia al mondo. Se invece si considera il reddito nazionale lordo a parità
di potere d’acquisto, il Brasile è l’ottava economia al mondo, quasi alla pari con la Francia.
36
Il Brasile
***
51
. Il sistema tributario non è solo pesante (con prelievi tra il 35% e il 37% del PIL, alti considerando
il reddito medio e in crescita), ma anche inefficiente, perché consente larghe aree di evasione e favo-
risce il cattivo funzionamento del mercato del lavoro.
52
. I maggiori produttori di etanolo al mondo sono gli USA e il Brasile che nel 2011 hanno generato
insieme l’87% della produzione mondiale.
53
. I campi petroliferi Tupi e Jupiter, di simili dimensioni, dovrebbero contenere riserve tra 5 e 8 mili-
ardi di barili equivalenti di petrolio ciascuno, mentre quello Carioca potrebbe contenerne 33 miliardi.
Si stima che le riserve brasiliane siano superiori a 80 miliardi di barili, almeno ottave al mondo, diet-
ro solo ai paesi del Medio Oriente (MO), Russia, Nigeria, e prima del Venezuela. Secondo uno studio
riportato da Peter Millard (Bloomberg, 19.01.2011), le riserve ammonterebbero a 123 miliardi di ba-
rili. Le riserve comprovate di gas sono 350 miliardi di m3. I costi di estrazione saranno, però, eleva-
tissimi: non meno di $30 dollari a barile, contro i due del petrolio saudita. Gli investimento necessari
per poter passare all’estrazione sono stimati pari a circa un trilione di dollari – vedi anche 2.2.4.
37
Il Brasile e gli altri
***
Molto problematica è la difesa dei diritti umani in Brasile dove, secondo il Country
Report on Human Rights del 2010 del ministero degli Esteri americano si commet-
54
. Al valore di mercato la Petrobrás è la quinta impresa petrolifera internazionale al mondo, opera in
25 paesi e più di un quarto del suo azionariato è straniero. Non è chiaro, però, se sia essenzialmente
un ramo dello stato brasiliano e, quindi, uno strumento del governo oppure una competitiva impresa
energetica internazionale. Un dilemma che crea molti problemi all’impresa e al Brasile.
38
Il Brasile
55
. U.S. Department of State, Bureau of Democracy, Human Rights, and Labor, 2010 Country Re-
ports on Human Rights Practices, 8 aprile 2011.
56
. Il sistema penitenziario brasiliano costruito per 90 mila prigionieri, ne contiene ora più di mezzo
milione – la quarta popolazione carceraria al mondo dopo quelle di USA, Cina e Russia. Un rapporto
del Parlamento ha documentato il rutinario uso da parte delle guardie di bastonatura e tortura, il cibo
immangiabile e le celle prive di luce naturale nelle quali si può essere rinchiusi per molti mesi. La più
potente banda brasiliana – “Primeiro Comando da Capital” (PCC) che nel 2006 riuscì a paralizzare
l’intera São Paulo per giorni – nacque nel carcere di São Paulo nel 1993 per difendere i diritti dei
carcerati e vendicare il massacro di più di cento di essi compiuto dalla polizia. Il PCC controlla la
maggior parte delle carceri di São Paulo, così come fanno altre bande in altri stati del paese. In Brasi-
le le bande armate possono dare vittoriosamente battaglia alla polizia e organizzare grandi rivolte
nelle carceri. Nella seconda metà del 2012 nello stato di São Paulo più di 300 persone sono morte in
incidenti violenti. Mentre nel 2001 gli agenti di polizia periti furono 56, dall’inizio del 2012 ne sono
morti circa 100 (EIU, 2012 set. 22: 52 e dic. 15: 19).
57
. Rosinha, la maggiore favela brasiliana, conta più di 120 mila abitanti, 2500 negozi – tra cui
McDonald’s – un’agenzia postale, varie agenzie bancarie, due supermercati e quattro scuole munici-
pali. Vi si vendono in media 500 chilogrammi di cocaina all’anno per un fatturato di R560 milioni
(circa $280 milioni) (Giappichini, 2011: 74). Ed è il traffico di droga, secondo Goldstein e Trebeschi
(2012: 147) “il principale ostacolo al progresso delle favelas”, mentre è da “sfatare un mito, quello
che le favelas siano unicamente un ginepraio di problemi sociali, una trappola di povertà da cui è im-
possibile uscire”.
39
Il Brasile e gli altri
***
Notevole è stato il successo di Lula nel campo della politica estera58 – ha avviato un
importante processo d’apertura verso l’Africa e l’Asia che è destinato a durare – che
ha fatto del Brasile un vero protagonista sulla scena internazionale, anche se
l’economia del paese resta debole e i condizionamenti esterni sono sempre molto
forti. Inoltre, quella brasiliana è un’economia bilanciata ma ancora relativamente
chiusa – il commercio estero non rappresenta più del 25% del PIL59 –, la cui crescita
è trainata essenzialmente dal consumo interno – nel 2009 pari a 84% del PIL –, in
parte alimentato da comprensivi programmi sociali, una situazione più simile a
quella che si riscontra nei paesi avanzati piuttosto che nei BRIC. Inoltre, il 40% del
PIL è in mano al governo.
Ad ogni modo la trasformazione del Brasile in un attore internazionale ha
rappresentato un evento certamente non prevedibile solo due decadi fa. Rendendo
possibile un nuovo ordine internazionale, la fine della guerra fredda implicava anche
la riconfigurazione dell’ordine politico. Il Brasile, insieme agli altri BRIC, incarnava
sempre più “lo scetticismo del XXI secolo verso mercati e istituzioni create negli
anni ’40” (Roett, 2010: 14) e cercava un’alternativa al Consenso di Washington. Nel
2003 fu introdotto il termine neo-developmentalism da Luis Carlos Bresser-Pereira,
ma sono Antonio Barros de Castro e Celia Kerstenetzky che contribuiscono mag-
giormente a elaborare un approccio che combina lo strutturalismo con il pensiero
keynesiano, uno sforzo che nel 2010 ha prodotto l’elaborazione del manifesto delle
“Dieci tesi del neo-developmentalism”60.
58
. C’è chi rimprovera a Lula di aver esercitato la politica estera essenzialmente a sua volontà. Geo-
ges Landau (2010a) gli rimprovera di non aver mai capito la differenza tra stato e governo per cui la
politica estera della sua amministrazione è stata quella del suo partito politico, il PT, pesantemente
ideologica e criticata non solo dall’opposizione, ma anche da una parte dell’accademia e dei media,
oltre che dal mondo degli affari.
59
. Il Brasile “resta la più chiusa economia al mondo, con un controverso percorso di liberalizzazione
commerciale e una lunga storia di strategie d’industrializzazione inward oriented” (Franco e Vieira,
2010: 2-3). Il grado di apertura (commercio estero/PIL) è il 25% circa, contro il 50% dell’Argentina
e il 33% del Cile. Nel 2010 il grado d’apertura è stato di poco più del 21%.
60
. Il neo-developmentalism comporta una nuova forma di attivismo statale, cioè un programma di
sviluppo capitalistico nazionale per guidare i paesi in via di sviluppo ad abbandonare il Consenso di
40
Il Brasile
Fino a tutti gli anni ’80 l’immagine corrente del Brasile era quella di un paese con
una repressiva dittatura militare e un’economia arretrata e dominata da prodotti agri-
coli come caffè e zucchero, ma d’allora il paese ha certamente vissuto profondi e
radicali cambiamenti, particolarmente sul piano economico, meno forse su quello
sociale, dove stanno sempre più chiaramente emergendo i problemi legati alla sua
storia coloniale. La società conserva molte delle caratteristiche emerse al tempo del-
la colonia, finora nascoste dal mito del “paese felice” e del “paradiso razziale” e sul-
la cui base si è creata l’immagine di un paese da molti considerato un simbolo di tol-
leranza e di cordialità.
La marcata strutturazione oligarchica della società brasiliana deriva dal
sistema ereditario delle capitanie – grandi feudi nei quali il feudatario era l’assoluto
padrone, al di sopra della legge, responsabile solo verso una corona lontana che non
aveva la capacità d’imporre la propria volontà e ancor meno monitorare quello che
succedeva. La mentalità creatasi allora permane nel paese, specialmente nel
Nordeste dove i politici locali e i proprietari terrieri sfidano impunemente
l’autorità centrale (Rohter, 2010: 13) e dove i comportamenti economici degli im-
migrati continuano a essere influenzati dal sogno di diventare ricchi rapidamente per
tornarsene in Europa, il che ha generato un’economia basata sullo sfruttamento delle
risorse naturali e del lavoro – indigeni e schiavi – e incolmabili divisioni sociali.
Per far fronte alla scarsità di manodopera, gli schiavi arrivarono in Brasile dal
1538 fino al 1850 mentre l’abolizione della schiavitù ebbe luogo solo nel 1888, con
“un lascito di razzismo, povertà e discriminazione sociale che continua ad affliggere
il paese”, perché, continua Rohter (2010: 14) “a parte la fantasticheria di alcuni poeti
e la riflessione di alcuni pensatori, il più grande problema del Brasile – la
Washington, mirando a raggiungere il pieno impiego in condizioni di stabilità finanziaria e dei prez-
zi. Il nuovo approccio condivide con l’ISI, o vecchio developmentalism, (i) l’idea che l’economia
mondiale consista essenzialmente di stato-nazioni che competono tra loro tramite le rispettive impre-
se, il che giustifica il ricorso a vari livelli di nazionalismo economico e all’adozione di una strategia
di sviluppo che permetta alle imprese domestiche di raggiungere economie di scala globali
promuovendo miglioramento tecnologico e innovazione, ma anche di una politica commerciale che
rafforzi la protezione della proprietà intellettuale e le opportunità d’investimento per le proprie im-
prese; e (ii) la visione dello sviluppo economico come un processo strutturale, il che implica la mobi-
litazione di tutto il lavoro esistente, l’aumento della produttività d’ogni settore e il continuo trasferi-
mento di risorse finanziarie ai settori che generano alti salari e alto valore aggiunto. Contrariamente
al precedente, il nuovo developmentalism,considera fondamentale muovere verso un’economia aper-
ta, obiettivo che va raggiunto tramite una politica industriale che accresce la quota dei prodotti con
medio e alto valore aggiunto e dei servizi, e particolarmente delle imprese capaci di competere inter-
nazionalmente. In questo modo, il neo-developmentalism riconosce la centralità sia dei meccanismi
di mercato che gli interventi statali nel processo di sviluppo, mentre il manifesto del 2010 ha eviden-
ziato la dimensione macroeconomica della politica industriale e ha combinato la riflessione post-
keynesiane e quella strutturalista per concludere che “i maggiori colli di bottiglia della crescita si cre-
ano nella domanda” e “nei PVS ci sono due altre tendenze strutturali che limitano la domanda e gli
investimenti: la tendenza dei salari a crescere a un tasso minore di quello della produttività e quella
del cambio a sopravalutarsi”. Per far fronte alla prima tendenza si raccomanda di aumentare il salario
minimo legale, di operare trasferimenti monetari ai poveri e offrire impiego con salario di sussistenz-
a; per la seconda si raccomanda che lo sviluppo sia finanziato essenzialmente con risparmi interni.
All’obiettivo della stabilità macroeconomica del Consenso di Washington viene affiancato quello del
pieno impiego e della distribuzione del reddito più progressiva, mentre il principio di libero scambio
viene limitato dall’accettazione del controllo dei movimenti di capitale.
41
Il Brasile e gli altri
disuguaglianza generata dalla schiavitù – non è mai stato affrontato con l'impeto e la
determinazione necessaria”.
A differenza di quanto accaduto negli USA e in Sudafrica, in Brasile non si è
verificata un’esplicita divisione razziale, per cui la miscegenazione (miscigenação),
o meticciato, tra padroni bianchi e schiave nere ha prodotto una popolazione di mu-
latti. Questa pratica è continuata anche dopo l’abolizione della schiavitù, il che aiuta
a spiegare perché, ancor oggi, i neri abbiano difficoltà a unirsi tra loro per difendere
i propri diritti (Roett, 2010: 22).
Studi recenti hanno definitivamente archiviato la favola della “democrazia
razziale”, opportunamente inventata da Gilberto Freyre (Padroni e schiavi, 1933),
che resiste, però, a livello popolare e spesso anche a quello politico, perché offre un
conveniente alibi a molti. Freyre asseriva che la schiavitù avesse incoraggiato la tol-
leranza e la promiscuità per cui i brasiliani sarebbero stati inerentemente privi di
pregiudizi, contrariamente a quello che l’autore aveva riscontrato in Europa, negli
USA e in Africa. Freyre pose l’accento su come le tre razze avessero contribuito alla
formazione della nazione, per cui i brasiliani dovevano essere orgogliosi della loro
etnicamente mista e unica civiltà tropicale. Un’ideologia, quella di Freyre, che
promuoveva la nozione dell’armonia razziale brasiliana, considerando così le dis-
criminazioni subite dagli afro-brasiliani come essenzialmente questioni di classe so-
ciale. In questo modo, i movimenti dei diritti civili degli afro-asiatici venivano
privati di un obiettivo in funzione del quale mobilitarsi.
Se ufficialmente la miscegenazione è orgogliosamente riconosciuta come un
tratto caratteristico nazionale, non è stato così fino a tempi recenti e anche oggi si
cerca di evitare di ammettere che alla sua origine ci sia lo sfruttamento sessuale e di
classe – vedi Appendice 1.1. La posizione di Freyre è perfettamente in linea con la
storiografia lusitana che da sempre enfatizza la particolare capacità portoghese “di
creare società multirazziali, di saper creare una terza cultura, dopo quella occi-
dentale e quella delle popolazioni indigene, che fonde ed integra nel reciproco con-
tatto le idee e i valori propri di ciascuna in una dimensione superiore”.
Secondo Roett (2010: 23-24), cinque realtà storiche hanno formato
l’esperienza portoghese nel Nuovo Mondo: forti e assertive famiglie o clan che con-
trollavano ampi territori, a cominciare dal nordeste; debolezza e relativa passività
del governo coloniale; creazione di una forza lavoro non di liberi nativi ma di schia-
vi importati dall’Africa; continua dipendenza dalle risorse naturali; e, infine, espan-
sione delle “frontiere”61, il che contribuì a consolidare l’idea del Brasile come po-
tenziale grande potenza.
La popolazione in generale tende a ignorare chiesa e stato. La società brasili-
ana resta essenzialmente gerarchica e maschilista, perché fin dall’inizio dominata da
una piccola elite e con una gran massa di poveri. La struttura sociale, dominata dai
proprietari delle piantagioni, popolate da schiavi, è restata a lungo molto semplice,
61
. Isenburg (2006: 18-20) chiama “frontiera” “una frontiera interna che progressivamente si sposta e
ingloba nella compagine statale ciò e coloro che, per motivi diversi, ne erano ai margini”. Nel caso
brasiliano, le aree di frontiera cui si applica questa definizione sono “fondamentalmente due: una ri-
guardava la propaggine estrema meridionale- orientale, l’altra lo spazio amazzonico: due cerniere in
cui gli imperi iberici di spagna e di Portogallo entravano in frizione e attrito”. I problemi nella secon-
da area furono risolti con la creazione nel 1828 dello stato cuscinetto dell’Uruguay, mentre nella
prima si è tentata una colonizzazione, negli anni ’70-80, degli stati di Rondônia e Roraima e anche di
Acre. Stimolato da una serie di incentivi finanziari e fiscali e dalla costruzione di infrastrutture, ques-
to tentativo ha prodotto risultati economicamente insoddisfacenti e seri danni ambientali.
42
Il Brasile
perché “fino al 1870 non esistevano praticamente ceti medi, né proletariato indus-
triale, ma solo oligarchia fondiaria, schiavi e lavoratori agricoli che praticavano
un’economia di sussistenza” (Pietrobelli e Pugliese, 2007: 27), più mercanti, bu-
rocrati, sacerdoti e artigiani. Il rapporto padrone-servo creato da 350 anni di
schiavismo penetra anche l’emergente classe media, che, per imitare i comporta-
menti dell’elite, ha bisogno di una classe di servitori. La stratificazione del sistema
sociale si è ampliata, ma il carattere marcatamente gerarchico permane e forse anche
si rafforza (Rohter, 2010: 50). Già Papagno (1972: 236) aveva evidenziato la persis-
tenza di un fattore: “la perenne stratificazione della società di derivazione feudale e
il legame tra la costituzione della proprietà terriera e la composizione sociale”, per
cui “la distribuzione del potere, strettamente connessa con le condizioni generali
della società e dell’economia, fu sempre lo specchio della stratificazione sociale”.
***
Per quanto concerne le donne, “la situazione è più ambigua”. In termini legali i due
sessi sono uguali, ma nonostante il notevole miglioramento di cui hanno goduto le
donne dell’ultima generazione, l’uomo continua a dominare in qualunque ambito
sociale che conti. Un gran numero di donne è entrato nel mercato del lavoro, ma es-
se guadagnano una frazione di quanto ricevono gli uomini e rappresentano una percen-
tuale della forza lavoro molto minore di quella che prevale nel resto dei paesi industri-
alizzati. Di conseguenza la maggioranza delle donne brasiliane dipende economi-
camente da un uomo e i ruoli di entrambi i sessi sono chiaramente definiti: l’uomo
dirige e domina, la donna segue e si sottomette, il che forse spiega l’ossessiva pratica
del rapporto anale (Rohter, 2010: 51-53). La situazione della donna sta, però, cambi-
ando: nel 1960 solo il 17% delle donne lavorava fuori casa, uno dei tassi più bassi in
AL, ora due terzi di esse lo fanno, uno dei tassi più alti della regione, un cambiamento
facilitato dalla riduzione del numero dei figli da una media di 6 per donna a 1,9, il che,
con l’eccezione di Cuba, rappresenta il tasso più basso in tutta l’AL. Un numero cres-
cente di donne è ben qualificate e costituisce tre quinti dei laureati. E nonostante stia
diminuendo, “la segregazione di genere sembra molto più ampia di quella razziale”.
La prima è diminuita notevolmente nel settore primario e terziario, ma resiste, ed è
leggermente aumentata, in quello secondario (Salardi, 2010: 29).
***
Più della metà dei brasiliani dichiarano la propria discendenza africana – costituendo
così il secondo paese nero dopo la Nigeria – ma i neri e i meticci sono esclusi dagli
aspetti importanti della vita nazionale, sono discriminati nella vita di tutti i giorni e
appaiono in massa nelle scale più basse di tutti gli indicatori sociali, una situazione
generalmente spiegata come un problema di classe quando invece è più propriamen-
te un problema di razza che “invece di essere fonte di orgoglio, è diventata la ver-
gogna segreta del Brasile” (Rohter, 2010: 60). “La memoria africana fu gradualmen-
te esclusa dalla vita del brasiliano comune, indipendentemente dal colore della
pelle”, scrive Saraiva (2012: 15). Ma anche interessante è il commento di uno degli
esponenti del gruppo musicale Ilê Aiyê di Salvador (Bahia) che rivendica la deci-
sione di escludere i bianchi dal gruppo, facendo notare che “in Brasile vi sono bian-
chi, neri e indios, ma il Paese cerca la propria identità solo sul versante europeo. Ciò
43
Il Brasile e gli altri
vale in ogni settore, dall’arte alla danza, sino all’economia. Solo l’elemento europeo
è rappresentato” (Giappichini, 2011: 31).
In effetti, “in Brasile il razzismo non è stato mai istituzionalizzato, perché
non si è mai sentito il bisogno di formalizzare un’esclusione che è parte di un codice
sociale non scritto che tutti i brasiliani accettano e al quale si sono tradizionalmente
attenuti”. La questione è resa più complicata dal fatto che non si tratta solo di bian-
chi e neri, ma del maggiore gruppo demografico del paese, i mulatti, la cui “infinita
varietà del colore della loro pelle rende difficile stabilire dove ‘bianco’ finisce e ‘ne-
ro’ comincia”. Sempre Rohter (2010: 64 e 77) riporta un recente studio condotto
dall’Università di Minas Gerais secondo il quale 87% dei brasiliani presentano geni
che almeno per il 10% sono di origine africana.
Anche il governo ha dovuto riconoscere che la disuguaglianza ha una com-
ponente razziale, perché mentre più della metà dei brasiliani si identificano come
neri o di sangue misto, gli afro-brasiliani sono solo il 18% della fascia dei più ricchi
(la classe A) mentre sono più del 76% nella fascia più povera (le classi E ed F). Altri
fattori che frenano la mobilità sociale sono la mancanza di accesso ad una istruzione
di qualità e di opportunità di addestramento. Secondo il Latinobarómetro (2011: 61 e
63 Tab. 16) il 17% dei brasiliani si dichiara mestizo, il 13% mulato, 17% negro e il
49% si reputa blanco. Tuttavia, il 59% degli intervistati pensa che i brasiliani siano
razzialmente discriminati, la più alta percentuale dell’AL dove la media è 45%.
In Brasile “persiste la tentazione da Primo Mondo delle élites, di considerarlo
un paese ‘bianco, occidentale e cristiano’”, mentre in effetti è un paese meticcio e
neppure una “democrazia razziale” o una nazione multiculturale. Poiché “miscege-
nazione non significa sbiancamento, ma mescolanza, qualcosa che attiene a una cul-
tura. Per la cultura brasiliana che si sta creando l’elemento africano, continua Visen-
tini (2009: 11), “rappresenta un contributo decisivo, e questo deve essere ricono-
sciuto”, ma vi sono anche “diseguaglianze sociali che penalizzano la maggioranza
dei neri, e queste devono essere eliminate”. Visentini fa notare, inoltre, che nonos-
tante le troppe ingiustizie, il paese ha “un enorme tolleranza che dovrebbe essere un
modello per un mondo intollerante”.
La politica con la quale si affrontò il problema razziale fu quella dello “sbian-
camento” del popolo brasiliano tramite la miscegenazione e l’immigrazione europea62,
parallelamente alla proibizione dell’immigrazione nera, imposta due anni dopo
l’abolizione della schiavitù e mantenuta fino agli anni ’30 (Rohther, 2010: 70). Dopo
essere stato a lungo negato, il problema razziale ha cominciato a essere dibattuto con
la questione dell’azione affermativa. Il 20% dei nuovi posti nelle agenzie federali sono
riservati agli afro-brasiliani. L’unica eccezione è il ministero degli Esteri che, però, ha
introdotto quote di ammissione alla sua prestigiosa università, Rio Branco. Particolar-
mente controverse continuano a essere le quote di riserva per l’ammissione ad alcune
delle migliori università del paese – vedi Approfondimento 1.1.
Mentre la segregazione è diminuita nel settore del lavoro formale, è cer-
tamente aumentata in quello informale. Inoltre, mentre le donne sono ben rappresen-
tate, e a volte anche dominano, settori altamente specializzati, le non bianche sono
fortemente concentrate nei lavori meno specializzati. Sorprende notare che la segre-
62
. Negli anni ’20 arrivarono molti immigrati giapponesi che si stabilirono principalmente negli stati
di São Paulo e Paraná. Oggi i discendenti di questi immigrati ammontano a quasi un milione.
44
Il Brasile
gazione razziale è più diffusa tra i più istruiti e specialmente tra i giovani lavoratori,
il che sembra “un robusto indicatore della relativa persistenza della segregazione
razziale e delle evidenti barriere con le quali devono confrontarsi i meno esperti la-
voratori non bianchi”. Geograficamente, la segregazione è più alta nelle aree urbane
e nelle regione del Sul e del Sudeste (Salardi, 2010: 30).
Indubbiamente, in Brasile la struttura di classe ereditò il modello delle rela-
zioni razziali sviluppatesi durante i lunghi secoli della schiavitù, per cui anche gli
schiavi liberati si trovarono ad affrontare le stesse disuguaglianze che avevano se-
gnato la loro vita di schivi. “Un’economia di mercato, lavoro libero e modern-
izzazione istituzionale non cancellarono queste strutture” (Fernandes, 1969: 98). In-
oltre, quella brasiliana è stata essenzialmente una società costiera, con scarsa cono-
scenza dell’interno, dove i neri erano concentrati. Di conseguenza, nonostante che i
brasiliani spesso credano e facciano di tutto per dimostrare che la loro è una società
tollerante, la realtà razziale “è molto più complessa e ambigua” (Rohter, 2010: 59)
mentre si perpetua tenacemente lo stereotipo della democrazia razziale.
***
La famiglia è al centro della vita d’ognuno ma “così come assicura una rete di
protezione e sostegno su cui contare, la famigli estesa può imbrigliare l’autonomia
dei suoi membri in una rete di obbligazioni”. Le leggi non scritte dei vincoli person-
ali “impediscono la costruzione di un vero spazio pubblico fondato
sull’impersonalità dei rapporti. Tuttavia il familismo continua ad alimentare le nu-
merose mitologie fondanti, come quella dell’indeterminatezza del confine tra ordine
e disordine, tra strada e casa, tra pubblico e privato, cui si associa la visione del
jeitinho (grosso modo, l’espediente) come il più appropriato strumento d’azione
all’interno della società brasiliana”. Più di un metodo, il “jeitinho, è “una categoria
dello spirito, é la capacità di trovare una soluzione soddisfacente a un problema, la
via d’uscita migliore da una situazione di stallo, aggirando a buon fine la rigidità di
norme e convenzioni .... È il trionfo della flessibilità e dell’inventiva”. Infatti, “il
jeitinho e la la scarsa inclinazione verso svolte radicali” punteggiano anche i pas-
saggi cruciali della storia del Brasile”. Una storia nella nel quale “in fondo l’unica
grande ‘rottura’ storica sembra essere il suicidio di Gétulio Vargas (1945), per certi
versi ancora avvolto nell’ombra” (Valensise, 2007: 211-12).
Tutto ciò, oltre ad “alimentare il favoritismo porta a considerare la legge uno
strumento di potere e coercizione, e non di giustizia” (Rohter, 2010: 40-41) e con-
tribuisce ad alimentare, come sostiene Coatsworth (2007), quelle diseguaglianze
sociali, etniche e regionali che rendono la distribuzione del reddito brasiliana una
delle peggiori al mondo. Inoltre la grande povertà, la malnutrizione cronica e le
malattie evitabili costituiscono un serio ostacolo alla crescita economica, il cui tasso
annuo potrebbe aumentare di altri 2-3 punti percentuali se la povertà fosse eliminata.
Nonostante gli sforzi compiuti dall’amministrazione negli ultimi anni, la
scuola pubblica è di pessima qualità63 per cui la classe media, appena può permetter-
selo, manda i propri figli a quella privata. Migliori sono le università pubbliche per
63
. In alcuni studi globali sull’istruzione i quindicenni brasiliani delle scuole private si sono classifica-
ti a un livello leggermente superiore alla media degli studenti dei paesi sviluppati, mentre molti degli
studenti delle scuole pubbliche non sanno leggere, scrivere e far di conto (“Slavery’s legacy”, TE on
line, 26 aprile 2013).
45
Il Brasile e gli altri
accedere alle quali è necessario passare il vestibular che consiste in una serie di
prove scritte che riguardano le materie studiate nella scuola secondaria. Il sistema
praticamente esclude dalle università pubbliche chi proviene dalle scuole pubbliche,
cioè i più poveri e quindi i neri che, infatti, a metà della decade passata erano solo il
2% degli studenti universitari, mentre insieme ai pardos rappresentano quasi la
metà della popolazione brasiliana.
Anche il carnevale deriva da riti e pratiche di origine africana ma anche qui
non mancano le ambiguità – un’altra caratteristica brasiliana – perché, in effetti, “è
diventato un’industria … la sua crescente commercializzazione, centralizzazione e
standardizzazione rendono sempre più difficile che possa mantenere il suo sot-
tostante spirito anarchico, il suo carattere anti-autoritario”. Frattanto, il carnevale di
Salvador di Bahia sta emergendo come il maggior rivale di quello di Rio (Rohter,
2010: 90 e 96)64.
***
Malgrado il ritorno alla democrazia e alla normalità, la società brasiliana, come visto
sopra, resta profondamente caratterizzata da clientelismo e corruzione, la democrazia è
troppo spesso litigiosa, il rispetto della legge continua a essere più nominale che reale
e prevale la ricerca dell’interesse personale sull’interesse collettivo. Inoltre, la società
brasiliana sembra avere una quasi totale sfiducia interpersonale. Infatti, secondo Lati-
nobarómetro (2011: 51-52) solo il 9% dei brasiliani, la percentuale più bassa dell’AL,
dichiara che “si può avere fiducia nella maggior parte delle persone”.
Roett (2010: 1) sostiene che “in parte la storia del nuovo Brasile è avvenuta
senza – o malgrado – la ‘vecchia’ politica del clientelismo e della corruzione”, ma in
realtà una relativamente ristretta oligarchia di proprietari, spesso di origine colo-
niale, ancor oggi continua a controllare gran parte dei terreni più fertili. Il paese si
distingue ancora per il più marcato squilibrio al mondo tra gruppi sociali e il succes-
so brasiliano deve molto a fattori esterni come la forte domanda per le sue materie
prima da parte dell’Asia, a cominciare dalla Cina. Anche in futuro saranno proba-
bilmente il petrolio e il gas appena scoperti davanti alle coste sudorientali che per-
metteranno la modernizzazione di questo paese.
Affrontando questioni sociali da troppo tempo lasciate irrisolte, Cardoso e
Lula hanno contribuito al consolidamento del sistema politico nazionale, nel senso
che anche se non sono riusciti a migliorare la qualità dei candidati eletti, lo stato è
ora capace di organizzare pacifiche elezioni. Il problema è che in Brasile, come in
tutta AL, la democrazia è in diretta competizione con l’urgenza di svilupparsi eco-
nomicamente, cosicché la democrazia elettorale è certamente un bene, ma non è
sufficiente. Infatti, poiché l’agenda democratica dell’AL deve misurarsi con un ri-
tardo storico dell’economia, con le divisioni sociali e una sfavorevole inserzione nel
sistema internazionale (Calderón, 2011: 108), è diffusa la sensazione che “quello
che è stato ottenuto non sia al sicuro” (UNDP, 2002: 110).
***
64
. Salvador è anche il principale centro industriale del Nordeste con un settore petrolifero di estra-
zione e raffinazione e impianti chimici di fertilizzanti e materiali plastici di rilievo.
46
Il Brasile
Fino a tempi recenti l’espansione del Brasile è stata una continua minaccia agli inte-
ressi dei paesi limitrofi di lingua spagnola. La sua rilevanza sul continente è
cresciuta ancor più nelle ultime due decadi, a causa della sua evoluzione interna e
del crescente peso politico ed economico che sta assumendo a livello globale. Frat-
tanto, però, la regione è sempre più frammentata in seguito alla moltiplicazione dei
centri di potere e influenza con il Brasile in ascesa, il Venezuela che guida una com-
battiva alleanza, l’America Centrale (AC) indebolita dalla stagnazione economica e
dalla violenza della criminalità e il Messico che si dibatte per adattarsi alle forze del-
la globalizzazione. Gli USA, intanto, sono distratti e scoraggiati, mentre arrivano
nuovi attori come la Cina e vecchi attori come l’Europa si ritirano. Tutto questo si
traduce in una frustrante competizione per la leadership e crea crescenti dubbi
sull’utilità di perseguire un’agenda emisferica.
L’evoluzione interna del Brasile va considerata come un aspetto del processo
di trasformazione che ebbe luogo nell’emisfero meridionale dagli anni ’40, quando,
spiegano Carmagnani e Casetta (1989: 4-21), “si potenziano le risorse dei paesi lati-
noamericani attraverso quell’aumento delle esportazioni di beni primari che erano
necessari alle potenze europee e statunitense per sostenere lo sforzo bellico”. Questo
processo, che investì anche paesi prima non toccati, fu preceduto, negli anni ’30, da
una “rilevante concentrazione della ricchezza” e da “una nuova progettazione, elab-
orata dagli intellettuali delle classi medie, che assegna alla nazione la funzione di
entità superiore agli interessi dei singoli gruppi e delle singole classi” e allo stato “il
compito di organizzare questi gruppi e di tutelarne gli interessi”, con conseguente
rafforzamento dello stato e del nazionalismo, comprese le derivazioni corporativ-
istiche. I fattori alla base di questo processo di trasformazione furono la notevole
crescita demografica e l’importanza acquisita dal ceto medio, dal proletariato e dal
sottoproletariato che trovarono il terreno di scontro con le oligarchie nelle città, in
genere nelle capitali. L’esplosiva crescita demografica comportò la presenza di un
rilevante contingente di giovani che l’arretratezza economica costringeva alla disoc-
cupazione, situazione che alimentò le tensioni sociali. A causa dello spopolamento
delle campagne, l’urbanizzazione sempre più spinta generò la terziarizzazione del
47
Il Brasile e gli altri
65
. “Un’urbanizzazione esplosiva non accompagnata da un pari livello di sviluppo industriale ha pri-
vato l’America Latina del principale strumento che”, commenta Recupero (2009: 24), nei paesi svi-
luppati “aveva agevolato il processo di trasformazione di ex contadini in operai, rendendo quindi
possibile il completo inserimento nella nuova società industriale”. Il mancato legame tra urbanizzazi-
one e industrializzazione è stato il terreno fertile su cui sono prosperati criminalità organizzata, nar-
cotraffico transnazionale e guerra civile tra criminali e poliziotti che rappresentano una seria e cre-
scente minaccia per lo stesso stato.
48
Il Brasile
49
Il Brasile e gli altri
esse. Infatti, il Brasile è l’unico BRIC che non possiede armi nucleari66, un rifiuto
iscritto nella Costituzione del 1988, per cui ha credibilità ed esperienza per guidare
gli sforzi diretti alla creazione di un regime globale caratterizzato da non prolifera-
zione e disarmamento.
La politica estera brasiliana interagisce così con la politica nazionale di difesa
perché le sorti del Sudamerica sono strettamente legate al paese, la cui immediata e
quotidiana realtà è strettamente legata al divenire della regione, voglia o non voglia
esso guidarla. Questo dipende dal fatto che la società brasiliana sente la propria
sicurezza oggetto di minacce non tradizionali67 provenienti d’oltre confine, poiché il
Brasile ha frontiere sperdute nella selva, di difficile accesso e controllo, spopolate e
pertanto molto permeabili. Per di più, il paese è segnato da un debito sociale – an-
cora notevole nonostante i miglioramenti della situazione socio-economica degli ul-
timi anni delle classi più svantaggiate – che condiziona pesantemente l’ordine inter-
no e crea un fertile terreno sul quale le minacce non tradizionali possono facilmente
prosperare. Basta considerare gli atti di violenza (il Brasile è il quarto paese al mon-
do per numero di omicidi e sequestri e uno dei maggiori produttori ed esportatori di
armi piccole e leggere) e la grande capacità operativa acquisita dal narcotraffico e
dalla criminalità organizzata in generale. Inoltre, il Brasile confina con molti paesi,
alcuni dei quali presentano realtà interne complesse che comprendono instabilità is-
tituzionale (Bolivia), ricostituzione di attori armati collegati strettamente al narco-
traffico (Perú), conflitto armato (Colombia) e fragilità statale (Paraguay)68. Chiara-
mente, alcune di queste situazioni possono creare problemi alla stabilità del Brasile e
nuocere alla sua immagine internazionale di grande potenza capace di assicurare la
sua sicurezza insieme a quella della regione. Per tanto, il Consejo Suramericano de
Defensa (CSD) – vedi 4.4 – dovrebbe permettere al Brasile di incoraggiare il di-
66
Il Brasile ha ufficialmente inaugurato il suo impianto d’arricchimento di Resende (Rio de Janeiro)
a maggio 2006, un impianto che ha provocato complesse discussioni con l’Agenzia internazionale
per l’energia atomica (IAEA) e i suoi paesi membri. Nel 2005 il governo brasiliano rifiutò all’IAEA
il permesso d’ispezionare le centrifughe sostenendo che in questo modo sarebbero stati violati segreti
tecnologici e che non essendo il Brasile parte di nessun “asse del male”, l’accesso all’impianto pote-
va essere visto come un tentativo di pirateria industriale, visto che la tecnologia brasiliana era supe-
riore a quella americana e francese. Il governo brasiliano insisteva d’aver bisogno di uranio arricchito
per produrre il combustibile. I negoziati tra il Brasile e l’IAEA terminarono a ottobre del 2005, quan-
do l’amministrazione Bush accettò ispezioni limitate che non riguardavano direttamente le centrifu-
ghe, anche se l’IAEA poteva controllare la composizione del gas in entrata e in uscita. Il Brasile con-
tinua, però, a opporsi alla firma dell’Additional Protocol del Trattato di non proliferazione (NPT)
perché garantirebbe all’IAEA un maggiore accesso al suo programma nucleare. Quello che preoccu-
pa è l’uso militare di questa conoscenza, specialmente quando un ex Vicepresidente della Repub-
blica, José Alencar (2003-2010), considera il possesso dell’arma nucleare necessario non solo per
qualunque paese che aspiri a diventare una grande potenza ma soprattutto per un paese che ha 15 mi-
la km di frontiere e una piattaforma continentale ricca di petrolio (pré-sal).
67
. Le minacce non tradizionali sono spesso legate a conflitti interni che potenzialmente possono gen-
erare conflitti interstatali, come il crimine organizzato transnazionale che gestisce il traffico di droga
e di armi; i gruppi armati illegali come Sendero Luminoso in Perú e le Fuerzas Armadas Revolucio-
narias della Colombia; la questione indigena in Ecuador e Bolivia; la penetrazione e la compene-
trazione della criminalità organizzata in vari sistemi politici della regione; e i molti canali attraverso i
quali la droga serve a procurare armi. Queste minacce mettono in dubbio che la regione sia caratte-
rizzata da scarsa conflittualità e allo stesso tempo introducono due pericoli sia per la governabilità in-
terna dei paesi sia per la stabilità della regione sudamericana (Calderón, 2011: 95).
68
. L’America Latina e Caraibi (ALC) resta una delle più violente regioni al mondo – secondo alcuni
dati la più violenta –, un fenomeno che nell’ultimo decennio ha causato la morte di 1,4 milioni di
persone.
50
Il Brasile
alogo e rafforzare i vincoli con i suoi vicini. Indubbiamente, una potenza regionale
che aspiri a divenire potenza mondiale globale deve necessariamente assicurare una
certa stabilità nella regione nella quale è geograficamente localizzata.
APROFONDIMENTO 1.1.
LA QUESTIONE RAZZIALE
Prima del 1888 il razzismo era estraneo alla società brasiliana in quanto “il colore
non era il tratto distintivo, ma uno degli attributi dello schiavo”, ma “la questione raz-
ziale diviene d’attualità durante e dopo il dibattito sull’abolizione della schiavitù”. Da
quella data, il colore sarà utilizzato “per indicare una rielaborazione della gerarchia so-
ciale propria della società post-schiavista, in cui la superiorità e l’inferiorità saranno def-
inite in termini di natura”. È, quindi, solo dopo l’abolizione della schiavitù quando “gli
‘altri’ diventano ‘neri’, e quando essere nero è articolato come un attributo biologi-
camente determinato” (Ribeiro, 2005: 8-9 e 25). Il razzismo brasiliano nasce proprio
dalla necessità di ridurre l’“uomo di colore” in un essere inferiore, in una merce,
giustificandone così il commercio e il trattamento. Il razzismo si diffuse col crescere del
traffico negriero e continuò a prosperare anche dopo l’abolizione della schiavitù, perché
ormai parte integrante della cultura del paese, tanto che le classi dominanti lo utiliz-
zarono per difendere i propri interessi e come strumento di controllo sociale. L’aver oc-
cultato il ruolo svolto dai brasiliani in questo traffico ha sicuramente contribuito a pro-
lungare fino ad oggi la schiavitù69, un crimine dichiarato imprescrittibile dalla Cos-
tituzione del 1988 (Fabbri e Ribeiro, 2012).
Il vero debito morale brasiliano deriva dal commercio negriero condotto da traffi-
canti brasiliani, principalmente durante la fase imperiale del paese, attuando illegal-
mente e impunemente sotto l’egida dello stato. Il fatto che furono dei brasiliani, in
combutta con i grandi latifondisti, a monopolizzare la tratta degli schiavi africani ha
continuato a esercitare un enorme peso sulla vita politica ed economica del paese,
rendendo difficile l’ampliamento degli orizzonti democratici e la costruzione di una
società che rispetti la dignità umana.
Il razzismo che oggi segna la società brasiliana “non è affatto la sopravvivenza del re-
gime schiavista, ma il risultato dei significati che gli sono stati attribuiti in diversi momenti
della storia del Brasile” a partire dalla “convinzione che il sistema economico schiavista
contribuisse a impedire lo sviluppo economico della giovane nazione brasiliana”, con-
vinzione che comportò l’estromissione degli schiavi liberati “dalla formazione della nuova
società imperniata sul lavoro libero e salariato”, sostenendo che gli schiavi africani e i loro
discendenti fossero “in condizione di lavorare solo in un rapporto di coercizione”, quindi
incapaci di operare nel mercato del lavoro libero. Ribeiro (2007: 144-45) riconosce “qui il
nucleo del pensiero razzista”, perché l’incapacità degli schiavi liberati a inserirsi nel mer-
cato del lavoro “viene individuata nella razza degli africani, ossia nella loro natura”.
69
. La pratica del trabalho escravo, cioè forzato o coatto, si diffuse dopo l’abolizione della schiavitù.
Secondo il ministero del Lavoro, dal 1995 ad agosto 2010 sono stati liberati quasi 38 mila schiavi,
mentre la Comissão Pastoral da Terra stima che circa 25 mila brasiliani vengono ridotti in schiavitù
ogni anno, costretti a vivere in tuguri di terra battuta, separati dalle loro famiglie, oppressi da debiti
esorbitanti e crescenti. Il rapporto presentato al Consiglio dei diritti umani dell’ONU (United Na-
tions, 2010) sostiene che questi lavoratori coatti sono utilizzati nelle aree rurali – specialmente
nell’industria dell’allevamento estensivo del bestiame e nell’agricoltura –, mentre nelle aree urbane
sono utilizzati nell’industria dell’abbigliamento. Tutti sono minacciati o subiscono violenza fisica,
psicologica e a volte sessuale. Le politiche introdotte dal governo sono vanificate dall’impunità di cui
godono i proprietari terrieri, le imprese locali o straniere e gli intermediari, i cosiddetti gatos.
51
Il Brasile e gli altri
52
Il Brasile
dopo l’abolizione”. Da qui, sostiene Ribeiro (2005: 50-51) , “l’idea del Brasile come na-
zione nata da un sistema armonioso di relazioni razziali, da un amalgama di culture dif-
ferenti”, interpretazione che poggiava non solo sulla connotazione culturale della
nozione di razza, ma anche sulla dimensione familiare, segnatamente quella delle rela-
zioni sessuali, mentre i vizi sociali venivano “attribuiti principalmente all’atmosfera del-
la monocultura schiavista che dominò il paese fino alla seconda metà dl XIX° secolo”.
Secondo Freyre “il processo di colonizzazione dei portoghesi è stato meno violento poi-
ché è stato integrato nelle relazioni sessuali tra uomini portoghesi e donne indigene e af-
ricane, e poiché queste relazioni sessuali sono considerate ‘naturali’ e non anch’esse dei
rapporti di potere”. In realtà, “il processo di branqueamento e poi, in minor misura, il
meticciato” è pensato come una “pratica diffusa e valorizzata di relazioni sessuali
‘miste’ unidirezionali, uomini bianchi con donne nere” – ma non il contrario –
un’asimmetria che rivelava la relazione di sudditanza della donna.
È da notare che l’idea della mescolanza di razze come un attributo positivo della po-
polazione fu articolato da Gilberto Freyre nel 1933, in contrasto con la posizione allora
dominante in Brasile che considerava la mescolanza di razze una degenerazione e con-
seguentemente guardava con pessimismo al futuro del paese. Ma una volta accettato che
il meticciato rappresentava l’unità nazionale, il nazionalismo poteva essere “elaborato
come un progetto di omogeneità culturale, di recupero e valorizzazione delle tradizioni
popolari considerate originali e ‘autentiche’ contro l’influenza straniera, di modern-
izzazione e centralizzazione della politica” (Ribeiro, 2005: 39 e 42-43). Nasceva così
l’idea della “democrazia razziale”, un immaginario elaborato interamente “da una
posizione sociale specifica; quella dell’uomo bianco padrone di una casa-grande, delle
sue relazioni con le donne schiave e della riproduzione che ne conseguiva e che per-
metteva la formazione di un Brasile meticcio” e rendeva “possibile erotizzare
l’ineguaglianza di potere tra donne e uomini nel contesto coloniale” (Ribeiro, 2005: 60).
Chiaramente Freyre non considerava il carattere conflittuale tra i gruppi sociali, per
cui poteva affermare che “i proprietari terrieri hanno avuto, malgrado le responsabilità a
loro attribuite, una funzione fondamentalmente positiva nell’umanizzazione del rapporto
tra padrone e schiavo”. In quest’operazione, la miscigenação rappresenta “la mediazione
neutra tra le specificità culturali di ciascun gruppo, e l’elogio del meticciato un modo per
sfumare le ineguaglianze sociali”. Per questo, “l’idea che una pratica diffusa e valorizz-
ata di relazioni sessuali ‘miste’ sia la prova della mancanza di razzismo del Brasile è un
elemento forte e potente nell’autopercezione che i brasiliani hanno oggi del razzismo e
dell’antirazzismo”. La valorizzazione del meticciato ha portato alla valorizzazione della
mescolanza tra gruppi piuttosto che la loro contrapposizione, a un continuum, quindi,
che nega “l’opposizione bianco/nero, ma non il sistema di valori socialmente stabilito
che definisce come positivo il polo chiaro e negativo quello scuro”, il che comporta che
“essere classificati come neri costituisce uno stigma sociale” (Ribeiro, 2005: 51, 48 e
78). Inoltre, la valorizzazione del meticciato avveniva “sul piano dell’identità nazionale
e su quello delle pratiche culturali”, senza per questo implicare l’integrazione dei cit-
tadini neri nella società brasiliana, per cui essi “continuano ad occupare posizioni mar-
ginali del mercato del lavoro” e, quindi, sono in gran parte poveri (Ribeiro, 2007: 146).
Purtroppo, la “pretesa di un antirazzismo istituzionale ha profonde radici tanto nella
storia come nella letteratura” del Brasile che anche nell’immaginario mondiale era e
continua a esser il “paradiso razziale”. In effetti, la sottovalutazione di quanto im-
portante e diffuso sia il “razzismo come meccanismo sociale” è dovuta alla lettura della
realtà sociale in termini di classe e di differenza di classe e non attraverso il colore, che
“è lo strumento storicamente più diffuso per la comprensione delle esperienze quotidi-
ane di ogni brasiliano” (Ribeiro, 2007: 149-50). Solo all’inizio degli anni ’50, ricerche
condotte dall’UNESCO cominciarono a rivelare che la società brasiliana era meno dem-
ocratica e più diseguale di quanto si pensasse e, cosa più importante, fu messa in discus-
sione “l’idea del Brasile come una società in cui non esistono forme di esclusione e dis-
criminazione razziale”. Studi successivi hanno confermato che quella brasiliana è “una
53
Il Brasile e gli altri
società segnata non solo da un forte divario socio-economico, ma anche razziale” una
scoperta ottenuta utilizzando una metodologia “scientifica” e quindi, meno contestabile.
A riprova della “pericolosità” di questa scoperta, Ribeiro (2005: 79) continua ricordando
che il regime militare (1964-85) definì il “tema razziale” una questione di “sicurezza na-
zionale” e promosse la democrazia razziale a ideologia nazionalista.
In realtà, l’informazione su quest’aspetto della realtà brasiliana restò scarsa fino a
quando i dati statistici raccolti per la prima volta dall’amministrazione Cardoso
rivelarono le profonde disparità che esistevano tra gli afro-brasiliani per l’istruzione,
per la salute e per i livelli salariali. Le analisi quantitative effettuate dopo la fine del
regime militare ebbero un forte impatto sull’intera società civile che finalmente
cominciò “a prendere atto dell’estensione e della capillarità delle diseguaglianze so-
cio-economiche tra bianchi e neri, per molto tempo sommerse dalla democrazia raz-
ziale, discorso e esercizio identitario che permeano la società brasiliana nella dire-
zione di un’uguaglianza spesso più immaginata che realizzata” (Ribeiro, 2005: 87).
La Costituzione del 1988, alla cui stesura parteciparono anche i movimenti sociali,
definisce il razzismo come un crimine imperscrittibile e soggetto alla pena della reclu-
sione. Inoltre, il governo di Cardoso per la prima volta presentò delle politiche pubbliche
basate sulla razza, anche se poi non fu approvata alcuna legge che regolasse l’attuazione
di queste politiche. Frattanto, si è intensificata la discussione sul razzismo e sul rapporto
tra razzismo e democrazia razziale, si sono moltiplicati i centri di ricerca su razzismo e
diaspora africana e il governo brasiliano ha cominciato ad adottare l’azione positiva,
cioè politiche di compensazione come strumento per riparare i danni della schiavitù e
dei meccanismi di esclusione sociale dei neri e a varare leggi anti discriminazione. È
nato anche un movimento dei neri formato da una pluralità di organizzazioni non gov-
ernative (ONG) impegnate nella lotta al razzismo. In mancanza di una legge federale al-
cuni stati, o in alcuni casi, alcune università hanno introdotto, sotto la spinta
dell’amministrazione Lula durante il suo secondo mandato, misure compensative, cioè
quote del vestibular, o d’ingresso, riservate a chi proviene da scuole secondarie pubbli-
che e borse di studio. Naturalmente le quote riservate per combattere la discriminazione
razziale pongono il problema dell’abbassamento della qualità dell’insegnamento e
quello dei possibili eccessi nel processo di definizione dei candidati aventi diritto.
Ad ogni modo, l’azione positiva presuppone “la formazione di una identità raz-
ziale nera netta e senza sfumature”, cosa resa difficile da fatto che in Brasile l’identità
nazionale “ha al suo cuore il meticciato, la valorizzazione della mescolanza razziale e
della democrazia razziale”. Ma “in una società che storicamente si è pensata come a-
razzista e mescolata” la costruzione dell’identità razziale negra non può non implicare
una profonda e dolorosa trasformazione “nella percezione dei rapporti tra bianchi e ne-
ri”, rapporti che sottolinerebbero l’opposto di quel continuum finora considerato “carat-
teristica del Brasile”. Da questa nuova classificazione resta fuori la categoria moreno,
“la più utilizzata dai brasiliani”, forse perché ambiguamente evita “i due estremi, il bian-
co e il nero, per non ricordare il diverso valore sociale a essi attribuito”. Ma è proprio “la
mancanza di un’identità razziale negra in opposizione a quella bianca” che il movimento
negro considera “come uno dei meccanismi sociali che di fatto indebolisce il gruppo dei
neri e la loro coscienza in quanto tali, e che ha una delle sue principali manifestazioni
nel tentativo di sbiancarsi”. Per questo, definirsi “‘negro’ diventa un’assunzione di iden-
tità in prima persona, una affermazione della condizione sociale dell’essere negro nella
società brasiliana,…una forma di auto-identificazione e coscienza politica che rimanda
all’appartenenza ad una comunità negra che si costituisce proprio in questa afferma-
zione”. Non meraviglia quindi che “uno degli obiettivi del movimento negro sia demoli-
re il concetto di democrazia razziale, cuore dell’identità nazionale brasiliana”, decos-
truendo il meticciato e la sua valorizzazione come il meccanismo che “tacitamente
riproduceva e legittimava la discriminazione e l’esclusione dei cittadini di origine afri-
cana”. La schiavitù torna a essere “reinvestita di significati, diventando il momento in
cui la nazione ha contratto un debito verso una parte di essa che, di conseguenza, recla-
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Il Brasile
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Il Brasile e gli altri
APPROFONDIMENTO 1.2.
LA RIFORMA AGRARIA E IL MOVIMENTO DEI “SENZA-TERRA”
In Brasile, come in gran parte dell’AL, la struttura agraria dualistica – latifundio e mini-
fundo – è un lascito della colonia. L’estrema concentrazione della proprietà della terra
che ha causato, ha rappresentato il maggiore ostacolo allo sviluppo rurale e le politiche
di riforma agraria intentate dagli anni ’60 non sono servite a modificarla molto, come
mostra la Tabella 1.3, anzi con il censimento del 2006 l’indice Gini è salito a 0,872.
Il movimento per la riforma agraria cominciò a manifestarsi già in epoca colonia-
le, data la particolare struttura della proprietà terriera e la presenza di proprietari con
titolo di proprietà e possessori senza titolo, cioè contadini che coltivano una terra,
demaniale70 o privata, senza averne la proprietà né il contratto (posseiros). Ma solo
negli anni ’50, insieme alla trasformazione in atto nell’agricoltura, le ribellioni indivi-
duali o religiose si trasformarono in collettive, per la distribuzione della terra. La que-
stione agraria divenne allora un problema nazionale. Infatti, tra il 1920 al 1980
l’indice Gini che si riferisce alla distribuzione della terra in Brasile – Tab. 1.3. – se-
gnala l’accresciuta concentrazione della proprietà. All’inizio degli anni ’20, il 10%
della popolazione possedeva tutte le terre private e il 4,5% ne deteneva il 55%. Oggi,
secondo le stime dell’Istituti Nacional de Colonização e Reforma Agrária circa 5 mi-
lioni di famiglie contadine non posseggono terra, circa 6,5 milioni dispongono di pic-
coli appezzamenti che permettono appena la sussistenza, ma 500 mila grandi fazen-
70
. Solo nel 1850 la Lei de Terras stabilì che gli spazi pubblici, estremamente estesi, potevano essere
acquisiti unicamente tramite compravendita con il governo. Con la Costituzione del 1891 il diritto di
compravendita delle terre demaniali fu trasferito agli stati, quasi tutti nelle rapaci mani delle poche
famiglie latifondiste. Questo diritto tornò all’Unione solo nel 1930.
56
Il Brasile
das, mediamente di circa 600 ettari ciascuna “occupano tre quarti della terra arabile,
anche se molta di essa non viene utilizzata” (Godstein e Trebeschi, 2012: 70).
Nella prima metà degli anni ’60 si cominciò ad avviare una seria politica di ridi-
mensionamento del latifondo, ma il processo fu interrotto dal golpe militare, con il
quale gli interessi internazionali si saldavano con quelli dei gruppi oligarchici nazio-
nali. La questione agraria divenne essenzialmente un problema di ordine pubblico,
quindi di competenza del Consiglio di sicurezza nazionale che promosse la colonizza-
zione, cioè il trasferimento di lavoratori in insediamenti controllati dall’esercito per
dissodare terre vergini, specialmente nell’Amazzonia.
All’inizio degli anni ’60 il Presidente Goulart fu il primo a proporre una riforma
agraria, il che scatenò l’opposizione dei proprietari di terra e probabilmente contribuì
al successo del colpo di stato del 1964. Appena arrivati al governo i militari introdus-
sero l’“Estatuto da Terra”, ancora in vigore, che per aumentare la produttività e
l’occupazione rurale puntava all’espropriazione delle terre non coltivate. Questa ri-
forma non ridusse la concentrazione della proprietà terriera né l’esodo dalle campagne
verso le città e divenne essenzialmente uno strumento per creare insediamenti in aree
disabitate. Nel 1975 si passò alla colonizzazione privata, con particolare attenzione al-
la produzione agricola e all’allevamento di bestiame su grande scala, tuttavia lo svi-
luppo economico e la modernizzazione dell’agricoltura stavano facendo crescere il
numero dei senza terra. Negli anni ’80, la crisi fece dimenticare la riforma agraria. Il
governo civile che seguì all’uscita di scena dei militari presentò subito un Plano Na-
cional de Reforma Agrária con il quale si mirava ad aggredire l’inaccettabile distri-
buzione della terra non tanto per migliorare la crescita economica, ma per far giustizia
e ridurre le tensioni sociali. Gli interessi dei grandi agrari prevalsero di nuovo e fu il
Presidente Cardoso a riportare la questione della riforma agraria al centro del dibattito
politico per sviluppare l’agricoltura familiare e ridurre la conflittualità nelle campa-
gne. Tuttavia, quasi metà delle terre ridistribuire da Cardoso erano localizzate
nell’Amazzonia e la situazione non è migliorata durante la presidenza di Lula. Nono-
stante che durante i due governi Cardoso l’assegnazione della terra avesse riguardato
circa 500 mila famiglie, verso la fine del secondo mandato risultò impossibile evitare
lo scontro sulla legalità, dato che alcuni comportamenti del Movimento Sem Terra
(MST) erano considerati incompatibili con il diritto positivo.
La ridistribuzione è, quindi, avanzata molto a rilento e tre quarti delle terre con-
cesse si trovano in remote regioni amazzoniche, spesso ecologicamente fragili e lon-
tane dai luoghi dove si concentra la popolazione che chiede la terra, come il povero
Nordeste. Anche con il governo Lula solo poco più di 500 mila famiglie hanno rice-
vuto appezzamenti e crediti per circa $2,4 miliardi.
57
Il Brasile e gli altri
Non è ancora chiaro se la distribuzione della terra sia una questione di principio –
per esempio, giustizia sociale – o piuttosto di efficienza – ovvero produttività. Finora
ha prevalso l’efficienza e, infatti, il governo continua a presentare l’agribusiness co-
me una strategia di sviluppo (Mancini e Pallas, 2001: 71). A peggiorare la situazione,
potenti politici regionali ora chiedono che i movimenti per l’occupazione della terra
siano considerati movimenti terroristici.
La prima organizzazione che ricorse all’agitazione politica è la Ligas Camponesas
(1955-64), seguita dal Movimento dos Agricultores Sem Terra (1960-64), entrambi
poi caduti sotto il controllo del governo militare che, però, per contenere la protesta
dei contadini immediatamente emanò la prima legge di riforma agraria, l’Estatuto da
terrra che assegnava alla proprietà fondiaria una “funzione sociale”. Il regime militare
importò anche la “rivoluzione verde” che, sostituendo gradualmente la cultura del caf-
fè con quella più redditizia della soia che richiede maggiori superfici e meno mano
d’opera, contribuì ad accrescere il numero dei senza-terra. Si spiega così perché
l’MST sia nato nella parte più ricca del paese e non nel Nordeste. Il regime militare
ottenne il completo controllo delle campagne rendendo statali due istituzioni già esi-
stenti – la Confederazione dei lavoratori agricoli (Confereração Nacional do Tra-
balhadores Agrícolas do Brasil) e la confederazione padronale (Confederação da Agri-
cultura e Pecuária do Brazil) – il che permise di “attuare solo le riforme agrarie stretta-
mente indispensabili per l’ammodernamento produttivo”. Ma già negli anni ’70 il molti-
plicarsi delle tensioni nelle campagne generò violenza e le uccisioni di lavoratori rurali e
sindacalisti aumentarono rapidamente da 42 nel periodo 1964-69 a 580 nel periodo
1981-85. Queste uccisioni erano “compiute apertamente, a scopo intimidatorio, ed erano
eseguite da gruppi armati, cioè da vere e proprie milizie private … Questo massacro
era(e, purtroppo, è ancora) reso possibile dalla sostanziale impunità dei fazendeiros vio-
lenti e dei loro guardaspalle (jagunço)” (Losano, 2007: 133).
Non potendo accettare questa situazione, la chiesa cattolica, più precisamente le
comunità di base, perché quella “alta” restò sempre abbastanza vicina al governo mili-
tare, si schierarono con i diseredati, operando tramite la Comissão Pastoral da Terra
(CPT), un servizio di assistenza e appoggio, ed elaborando la teologia della liberazio-
ne – vedi nota 16 – per la quale il povero cessa di esser visto come “agnello” ed
emerge, invece, “come soggetto della propria liberazione e anche della nuova evange-
lizzazione … soggetto creatore della Chiesa” (Leonardo Boff citato da Losano (2007:
137 e 138-40)). Ne deriva che “l’ordine attuale non è quello voluto da Dio e quindi la
lotta dei senza-terra si fonda su un ordinamento superiore a quello dello Stato che non
attua la riforma agraria”, il diritto alla terra non deriva in ultima analisi dal diritto po-
sitivo brasiliano, ma dal diritto naturale: ‘Terra de Deus – Terra para todos’ …
L’occupazione del latifondo, quindi, ristabilisce l’ordine delle cose voluto da Dio”71.
Nel 1985, le varie organizzazioni dei senza-terra si riunirono a Curitiba nel Para-
ná, dove fu formalmente creato l’MTRST che chiedeva al governo una radicale rifor-
ma agraria, finanziamenti per i piccoli coltivatori diretti e l’abbandono dell’Estatuto
da Terra e ai militanti l’occupazione delle terre improduttive – una condizione aperta
a differenti valutazioni – o di proprietà pubblica, in modo che potessero essere espro-
71
. Il misticismo dell’MST nasce dal millenarismo contadino, la fede cristiana nella vita eterna e la
speranza socialista di poter costruire sulla terra una società egalitaria e democratica. Già all’inizio del
XX° secolo la dipendenza dal latifondista aveva prodotto due tipi di ribellione: quella individuale e
banditesca (cangaço) e quella del fanatismo religioso, che però sosteneva anche la lotta armata, come
il movimento di Canudos o quello di Contestado, movimenti guidati “da figure di religiosi, come
Padre Cícero, ancor oggi venerati come santi da molti brasiliani” (Losano, 2007: 80).È interessante
notare che David Graeber (Rivoluzione: istruzione per l’uso, 2012), sostenendo che l’uso della forza
non può essere ritenuto illegittimo in linea di principio, ma che i rivoluzionari devono sforzarsi di es-
sere “più non violenti possibile”, porti come esempio i “senza terra” brasiliani.
58
Il Brasile
priate ai fini della riforma agraria. All’MST la Costituzione democratica del 1988 “ha
fornito due strumenti di lotta, prescrivendo la funzione sociale della proprietà e defi-
nendo le direttrici per l’espropriazione dei latifondi improduttivi, essendo tali quelli
che non rispettano questa funzione sociale” (Losano, 2007a: 131).
L’MST “è un movimento di ispirazione cristiana che, per realizzare la riforma agraria,
pratica una disobbedienza civile non necessariamente priva di una violenza positiva e limi-
tata” e che spesso è ricorso “all’occupazione perché lo Stato ha agito troppo lentamente nel
ripartire terre pubbliche o nell’espropriare fattorie improduttive” (Losano, 2007: 186 e
178). Invece, anche l’amministrazione Lula ha conservato il decreto (2000) di Cardoso che
vietava l’esproprio delle terre occupate fino al 2002, malgrado che “a causa della iniqua di-
stribuzione della terra, tuttavia, gran parte dei 330 milioni di ettari agricoli è inutilizzata,
mentre oltre 2 milioni di famiglie rurali sono senza terra” (Mori, 2011: 58).
La riforma agraria è importante perché coinvolge all’incirca 50 milioni di brasi-
liani – “precisamente quelli che si trovano ai due estremi della scala della ripartizione
del reddito: i senza-terra e l’agrobusiness” (agricoltura industriale) – e “incide sul futuro
della produzione agroalimentare, nella quale il Brasile è già la seconda potenza esporta-
trice mondiale”, mentre al suo interno non è ancora riuscito a vincere la battaglia contro
la fame, una battaglia che il modello dell’agricoltura familiare – diversificato e basato
sulla manodopera familiare, sullo sfruttamento intensivo della terra e rivolto al mercato
interno – potrebbe facilmente e rapidamente risolvere. In effetti, per la riforma agraria,
secondo Losano (2007: 15 e 88-89), dovrebbe interessare molto di più questo modello
che quello dell’agrobusiness che, insieme alle cooperative, si sviluppò principalmente
nel centro-sud, lì dove maturarono le più profonde trasformazioni socio-economiche e i
maggiori conflitti agrari degli anni ’90, perché la formazione delle grandi imprese
agroindustriali estrometteva i piccoli proprietari dai loro fondi, senza offrire loro una
reale alternativa. Conflitti che più tardi si sarebbero saldati con quelli generati
dall’arretratezza del Nordeste tradizionale per poi investire l’intero paese.
Ad ogni modo, dalle 42 occupazioni del 1985 si passò alle 80 del 1989, anche se va
ricordato, come ben fa Losano (2007: 143), che solo un terzo delle occupazioni furono
direttamente organizzate dall’MST, mentre la maggior parte ebbero un’origine sponta-
nea o sindacale. Inoltre l’MST non è una persona giuridica riconosciuta, ma
un’associazione di fatto – situazione in parte dovuta all’esser nato durante il regime mi-
litare, ma che lo rende un’entità contabilmente e amministrativamente opaca non sotto-
ponibile a controllo statale, per cui non può essere citato in giudizio per i reati commessi
dai suoi militanti. Poiché non può possedere immobili né può avere rapporti di lavoro o
di servizio con terzi,spiega Losano (2007 157-60), usa due associazioni di cooperative
per operare nella società brasiliana: l’Associção Nacional de Cooperação Agrícola che
sostiene le famiglie accampate o insediate con l’appoggio soprattutto del governo fede-
rale, e la Confederação de Cooperativas de Reforma Agrárias no Brasil che sostiene
cooperative e piccole associazioni soprattutto con finanziamenti locali. Di conseguenza,
la mancanza di una contabilità pubblica delle entrate e delle spese dell’MST non aiuta a
diradare i dubbi sulla sua corretta gestione.
Naturalmente, il referente politico dell’MST era sempre stato il PT di Lula che, però,
una volta arrivato al potere fu subito accusato di eccessiva lentezza nel portare avanti la ri-
forma agraria, ovvero la promessa di sistemare 400 mila famiglie entro il 2006. Infatti, nel
2003 era riuscito solo a sistemarne 36 mila invece delle 60 mila previste per potere rispetta-
re la promessa. Subito le occupazioni aumentarono, accompagnate da 1690 conflitti che
coinvolsero più di un milione di persone e causarono almeno 61 morti. Il governo raddop-
piò i fondi del ministero per lo Sviluppo Agrario e accelerò gli espropri, ma la riforma
agraria non fu realizzata, per cui si continuò con l’assistenza. Frattanto, “l’immagine del
Partito dei Lavoratori come ‘partito etico’ si era dissolta”, anche a causa dei vari scandali
che l’avevano colpito (Losano, 2007: 150-51). Per la fine del primo mandato Lula riuscì,
però, a sistemare 325 mila famiglie, mentre il PBF aveva migliorato le condizioni di vita
59
Il Brasile e gli altri
dei ceti più poveri i cui consumi erano notevolmente aumentati. Tanto bastò perché Lula
potesse ottenere di nuovo i voti dell’MST per il suo secondo mandato.
Studi riportati da Fernandes (2009) mostrano che tra gli insediamenti creati pre-
dominano quelli agroforestali, a scapito di quelli agricoli, una tendenza rafforzatasi
durante l’amministrazione Lula. Mentre 18 tipi d’insediamenti sono il prodotto dalla
riforma agraria in senso stretto, 7 sono frutto della riforma agraria basata sul mercato,
una differenza causata dalla creazione di nuovi tipi d’insediamento oltre il classico
modello di coltivazione e anche da particolari situazioni regionali. Il governo di Lula
si è discretamente astenuto da espropriare terre nelle aree che interessano
l’agrobusiness, così come non è intervenuto nelle regioni le cui terre sono state dichi-
arate detenute illegalmente – ossia terre pubbliche controllate dai latifondisti o
dall’agrobusiness. Il governo è intervenuto per convincere l’agrobusiness a concedere
frazioni delle terre contese solo quando si è trattato di occupazioni accompagnate da
conflitto aperto. In effetti, il governo Lula ha deciso di proseguire con la riforma
agraria non tanto tramite nuove espropriazioni, ma regolando il possesso della terra
amazzonica e gli insediamenti avvenuti. Tuttavia, l’MST dichiarò il suo totale appog-
gio a Dilma Rousseff anche se questa, prima della sua elezione, aveva sostenuto che
la crescita economica avrebbe eventualmente spinto nel dimenticatoio la questione
della terra e appena eletta ha definito la riforma agraria una questione “di diritti uma-
ni”, cioè essenzialmente un problema umanitaria, assistenziale.
La riforma agraria brasiliana mostra altre anomalie. Normalmente, la riforma
agraria indica un cambiamento nella struttura della proprietà della terra, come sta av-
venendo anche nel caso brasiliano, ma senza deconcentrazione della proprietà. Ciò
significa che in Brasile negli ultimi 15 anni è aumentata sia la terra destinata
all’agricoltura sia la concentrazione della proprietà ed è aumentata la proprietà di terra
sia dell’agrobusiness sia dei contadini (Fernandes, 2009). Che il processo di concen-
trazione della proprietà della terra continui, lo registra l’indice Gini che dallo 0,836
del 1967 è passato allo 0,854 del 2006. Il fatto che la politica economica brasiliana
faccia affidamento sui surplus commerciali generati dall’agrobusiness riduce
notevolmente la priorità che la politica del governo assegna alla riforma agraria. Inol-
tre, la ripresa economica, l’aumento della spesa per il welfare e le maggiori oppor-
tunità di occupazione hanno contribuito a moderare l’attivismo agrario, anche se nel
2006, secondo l’MST, nei vari accampamenti del movimento si contavano 150 mila
famiglie. Anche la repressione continua e all’inizio del 2012, in Alagoas, 80 famiglie
sono state scacciate da un sito occupato in un podere affittato a uno zuccherificio pie-
no di debiti non pagati. Ad aprile, l’MST ha occupato a Brasília l’edificio principale
del ministero dello Sviluppo agrario per protestare contro il rallentamento che hanno
subito i progetti ufficiali della riforma agraria dall’arrivo dell’amministrazione
Rousseff accusata, da una parte della base del PT, di essersi venduta.
Il capo dell’MST João Pedro Stedile, sostiene che “il problema della terra in Bra-
sile è un problema della società brasiliana, per questo si chiama ‘questione agraria’. È
un problema nazionale, poiché molti dei problemi sociali dei quali il Brasile soffre han-
no radici nella questione agraria irrisolta”, una questione che è nata da due fenomeni ab-
normi e tipicamente brasiliani: (i) solo una metà circa delle terre coltivabili è effettiva-
mente coltivata, il resto dedicato all’allevamento; e (ii) quasi metà della terra coltivabile
è posseduta dall’1% dei fazenderos, mentre oltre 3 milioni di contadini devono spartirsi
meno del 3% della terra. Questa questione agraria non risolta è responsabile di molti ma-
li del paese, come disoccupazione, esodo dei disoccupati e violenza nelle città, ma “è al-
trettanto vero che mai come ora l’idea di una riforma agraria integrale e capillare appaia
lontana”, perché la società brasiliana è quasi tutta convinta che il vero business sia
l’agrobusiness. In effetti, quasi il 40% del PIL ruota attorno al settore primario. Inoltre,
nota Giappichini (2011: 156-57), il governo si rende conto che senza costosi investimen-
ti pubblici in vie di comunicazione, sistemi d’irrigazione e sementi, il semplice insedia-
mento di senza terra in un appezzamento è destinato a fallire.
60
Il Brasile
Con circa 1,5 milioni di aderenti l’MST resta il maggiore movimento sociale
dell’AL, anche se ne sono nati molti altri, a cominciare dal Movimento de libertacão dos
sem terra, diretto dal più conciliante Bruno Maranhão e organizzato come un partito. E
mentre l’MST e gli altri movimenti continuavano a concentravano le loro proteste esclu-
sivamente contro il latifondo improduttivo, è stato Bruno Maranhão, il primo a capire
che il nuovo bersaglio dei movimenti della riforma agraria doveva essere l’agrobusiness
(Giappichini, 2011: 155).
Anche l’MST ha aspramente criticato l’appoggio del governo al modello
dell’agrobusiness con l’apertura alla cultura del mais genericamente modificato, le con-
cessioni per la costruzione di nuove centrali idroelettriche, la deviazione del fiume São
Francisco, le monoculture di eucalipto – responsabili dei cosiddetti “deserti verde” – e
per quelle di canna da zucchero destinate alla produzione di etanolo. Ha, inoltre,
richiesto politiche forestali più chiare e comprensibili, per evitare sospetti di denazional-
izzazione, o privatizzazione dell’Amazzonia72. Per tacitare queste critiche, a giugno
2009, Lula approvò la legge che garantisce quasi 260 mila miglia quadrate
dell’Amazzonia a occupanti abusivi.
Negli ultimi, tempi alcuni movimenti hanno cominciato a teorizzare
l’occupazione anche come un primo passo verso la rivoluzione sociale, una radicaliz-
zazione che rischia di indebolire l’MST e “ostacolare la riforma agraria, di cui il Bra-
sile, ha un estremo bisogno”. Sempre Losano (2007: 170, 180, 14 e 22) si pone, quin-
di, alcune domande: “ha ancora senso parlare di un’unica riforma agraria per tutto il
Brasile, senza distinguere da zona a zona? I movimenti sociali e la Chiesa cattolica
possono continuare a rinnovare l’esercito dei senza-terra, spingendoli per una via dal-
la dubbia legalità e anche dalla dubbia redditività? Va, infine, riconosciuto che, non-
ostante i tempi brasiliani siano eccessivi, la riforma agraria, in un sistema democrati-
co, richiede tempi lunghi”. Questo non è facilmente accettabile, però, da “chi attende
la riforma agraria … sotto un telone di plastica nera”, riforma agraria che “non è una
rivoluzione, ma una politica diretta ad applicare la costituzione del 1998”. Va ricono-
sciuto, però, che la distribuzione della terra, ancora al centro del dibattito sulla politica
agraria, oggi appare come una soluzione valida soltanto per una parte sempre più limi-
tata del Brasile (Losano, 2007: 86, 187 e 217).
Infine, per avere un suo futuro, la riforma agraria deve esser parte d’un progetto di
sviluppo, sociale e politico, dell’intero paese, per cui uno degli obiettivi della riforma
dovrebbe essere quello di trattenere gran parte della popolazione rurale nei campi in-
vece di spingerla nelle favelas delle aree metropolitane già terribilmente affollate. In-
vece di un insieme di misure strategiche per affrontare la concentrazione della propri-
età della terra e per promuovere uno sviluppo sostenibile e egualitario nel campo, fi-
nora non si è avuto che un precario programma di insediamenti, a un livello di molto
inferiore rispetto a quello previsto dal Secondo piano nazionale di riforma agraria.
Tanto è vero che J.P. Stedile (“Bilancio della riforma agraria brasiliana”, Intervista di
José Zé Dirceu) sostiene che “ormai, comunque, la riforma agraria non dipende dal
MST, ma dai nuovi rapporti di forza nella società, che si modificheranno solo con la
mobilitazione sociale cittadina”.
Apparentemente, “per i senza terra, conclude Losano (2007a: 142), il Brasile è la
terra di un futuro che non arriverà mai”.
72
. Digerita male e non dimenticata resta la frase pronunciata da Al Gore nel 1989: “al contrario di
quanto pensano i brasiliani, l’Amazzonia non è una loro proprietà, ma appartiene a tutti”.
61
Il Brasile e gli altri
APPROFONDIMENTO 1.3.
LE MINORANZE ETNICHE DELL’AMAZZONIA
A differenza di altre parti dell’America centro-meridionale, nelle regioni che for-
mano il Brasile “mancavano forme di organizzazione statale centralizzate”, come
l’impero inca o quello maya, ma prevalevano i gruppi isolati. È quindi impossibile
stimare il numero degli aborigeni al momento dell’arrivo dei portoghesi. Si parla di
“qualche milione di persone, forse due e mezzo”, che in pochi decenni furono ridotte “a
poche decine o al massimo un paio di centinaia di migliaia di persone. Un genocidio,
dunque”, dovuto essenzialmente a due cause: “le malattie portate dai nuovi arrivati” e
fattori politici e sociali. Imponendo loro la conversione religiosa, “i missionari distrusse-
ro spesso il sistema di riferimento culturale e spirituale stravolgendo il senso della vita
degli abitanti del luogo; gli operatori economici obbligarono al lavoro coatto individui
abituati ad altri e inconciliabili modi di vita;” e furono usate armi tecnicamente superio-
ri. “Un mondo venne distrutto nel giro di neanche un secolo e il divieto, a partire dal
1595, di trarre gli indii in cattività giunse tardi e non venne neppure rispettato” (Isen-
berg, 2006: 34-35). Nelle foreste brasiliane attualmente vivono, nelle riserve o in uno dei
quattro parchi nazionali, gruppi di indigeni che includono Yanomami, Tukano, Urueu-
Wau-Wau, Awá, Arará, Guaraní, Nambiquara, Tikuna, Makuxi, Wapixana and Kayapó,
Tapeba, Tremenbe, Kaiowa e Nandevi Guaraní.
Nel 1990 le popolazioni indigene classificate erano 216, per un totale stimato di
300 mila persone, ma all’ultimo censimento del 2010 sono stati più di 900 mila quelli
che si sono definiti indigeni. Le etnie sono così diventate 305 e 274 sono le lingue e i
dialetti che parlano, raccolti in tre principali ceppi linguistici. Gli indios rappresentano
solo lo 0,47% della popolazione totale, ma sono insediate in 587 aree pari a poco più
di un milione di km2 (12% del territori nazionale) e sono presenti in quasi tutti gli sta-
ti, ma principalmente negli stati di Amazonas, São Paulo e Mato Grosso do Sul. Al-
cuni di questi gruppi etnici sono molto piccoli e il meno numeroso è formato da una
sola persona, che vive in una foresta della Rondonia e del quale non si conosce il
nome né la lingua che parla. È l’ultimo sopravvissuto di una tribù massacrata, come
altre, dai grandi allevatori di bestiame che occupano la regione di Tamaru, e che an-
che recentemente hanno tentato di farlo fuori a fucilate. Popoli più numerosi di quello
del cosidetto “Uomo della buca” sono gli Akuntsu, rimasti in cinque; i 10 Piripkura;
una cinquantina di Kawahiva; e, infine, i 360 Awá. Le cause della loro recente cresci-
ta sono l’alta natalità, le migliori condizioni di vita e la creazione di riserve. Forte-
mente aumentato è anche l’orgoglio delle proprie origini e la capacità di organizzarsi
per difendere i propri diritti.
In effetti, il loro modo di vita e la loro stessa sopravvivenza sono minacciati dagli
interessi economici di chi vorrebbe impadronirsi delle ricchezze presenti nelle terre
indigene e dai gruppi religiosi che vogliono invece salvarne le anime. Gli indios non
vogliono dipendere dall’assistenzialismo del governo, ma chiedono di potersi riap-
propriare delle terre dove per secoli sono vissuti liberamente. Non dovrebbe sorpren-
dere, quindi, che vedendosi condannati all’esclusione di fatto e enza alcuna prospetti-
va futura, un numero crescente di giovani indios decida ogni anno di suicidarsi.
Il movimento indigenista per promuovere una politica volta a preservare le popo-
lazioni ancora esistenti nacque solo all’inizio del XX secolo e ad esso si deve la crea-
zione della Fundação Nacional do Indio. La Costituzione del 1988 garantisce la po-
polazione indigena, stabilisce che in questa materia legiferi l’Unione e concede loro in
usufrutto le terre tradizionalmente occupate, la cui proprietà resta però all’Unione. Al
momento i territori indigeni riconosciuti sono 557, la maggior parte localizzati
nell’Amazzonia, e un altro centinaio sono in discussione. Tuttavia l’idea di allocare il
12% circa del territorio nazionale alla comunità indigena che rappresenta solo lo 0,47
della popolazione totale non è ancora riuscita a conquistare un sufficiente sostegno
politico per cui la demarcazione delle terre da assegnare alle varie popolazioni ritarda,
62
Il Brasile
provocando continui conflitti. Frattanto la potente lobby degli agricoltori sta cercando
di cambiare la Costituzione perché sia il Congresso a decisione la demarcazione dei
territori indigenti, potere che, invece, il governo vuole lasciare al ministero di
Giustizia e alla Presidenza. Per difendere il proprio territorio e i propri diritti, gli in-
digeni stanno registrando un numero crescente di ONG – al momento più di 250,
molte delle quali collegate a fonti internazionali di finanziamento – per sostenere at-
tività di sviluppo nelle proprie comunità.
Il fatto che le piccole imprese agricole degli indigeni continuano a essere espulse, spes-
so violentemente, per far posto alla produzione di soia, coinvolge anche le donne indigene
quebradeiras (schiaccianoci) che cercano di mantenere l’accesso alle palme babaçú, una
pianta originaria della foresta brasiliana che ha più di 50 usi: foraggio per il bestiame, me-
dicina naturale, costruzione di case, cesti e combustibile, mentre il gheriglio della noce è
commestibile o ridotta ad olio serve per cucinare e lubrificare, ma può anche essere utiliz-
zato per produrre sapone e cosmetici. La raccolta di babaçú rimonta all’era pre-colombiana
e ora rappresenta un’importante fonte di reddito per mezzo milione di afro-brasiliani e
donne indigene che raccolgono e lavorano le noci. L’occupazione della terra su grande sca-
la sta, però, rendendo sempre più difficile per queste donne raggiungere le foreste di ba-
baçú, perché trovano il cammino sbarrato da ferro spinato, oppure da guardie armate.
Nelle comunità indigene il tasso di mortalità infantile (60%) è almeno tre volte quel-
lo medio nazionale, un quarto dei bambini non ha accesso alla scuola, il 15% di quelli
tra 10 e 15 anni è analfabeta e tre quarti vivono al di sotto della linea di povertà. I dati
ufficiali sono, però, contestati da molte ONG che stimano che la differenza tra la mor-
talità dei bambini indigeni sia cinque volte maggiore di quella degli altri bambini. Se-
condo Fundação Nacional do Indio la popolazione indigena continua a essere afflitta da
molte malattie, ma riceve scarse cure; sta perdendo la cultura nativa e subisce ricorrenti
incursioni e aggressioni, specialmente nella foresta pluviale. A causa della crescente vio-
lenza da parte di allevatori di bestiame, imprese e contadini, il numero annuo degli indi-
geni morti ammazzati è aumentato.
Interessante appare l’iniziativa proposta dal governo dell’Ecuador. Il suo Parco na-
zionale Yasuní, con l’adiacente territorio dove vive l’etnia Huaoramil, nel 1989 è
stato dichiarato dall’UNESCO “Riserva nazionale della biosfera”, perché possiede
uno dei più alti tassi di biodiversità presenti al mondo. All’interno del Parco vivono
anche due popolazioni indigene ancestrali, i Tagaeri e i Taromennane, che da sempre
hanno scelto l’isolamento volontario e l’esclusione di qualsiasi contato con il mondo
esterno. Suddivisi in cinque clan distinti essi non contano più di trecento individui.
Nel 1999 il loro territorio è stato dichiarato “zona intangibile” da un decreto del Presi-
dente dell’Ecuador, ma le perforazioni e attività di varie imprese petrolifere interessate
stanno accerchiando la zone mettendo in pericolo le due popolazioni. Una volta che il
petrolio è stato trovato nel “blocco 31”, conosciuto col nome ITT (Ishipingo-
Tambococha-Tiputini), il governo di Rafael Correa ha bloccato la produzione del pe-
trolio per un tempo indefinito. L’Iniziativa Yasuní-ITT “inaugura un nuovo modo di
proteggere l’ambiente”: ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera astenendosi dallo
sfruttare i giacimenti di risorse non rinnovabili, “a patto che la Comunità internazionale
s’impegni a corrispondere almeno il 50 per cento dei proventi che il Paese otterrebbe se
estraesse e commercializzasse il greggio”. Inoltre, l’Ecuador “intende investire il ricava-
to di questa grande operazione di sostenibilità ambientale” per sviluppare “fonti energet-
iche ‘pulite’, alternative e rinnovabili” e per la “riforestazione di alcune aree
dell’Amazzonia ecuadoriana, oggetto in passato (e nel presente) di azioni illegali di de-
forestazione, commercio illecito di legname e abusivismo edilizio”. In questo modo, la
sfida dell’impatto globale del cambiamento climatico è affrontata “secondo una logica di
corresponsabilità internazionale” (Sanchini, 2010: 166-71).
I membri di queste tribù amazzoniche sono così descritti dall’indianista brasiliano
Orlando Villas Boas: “non ho mai visto due indios litigare né una coppia separarsi.
Tra loro l’anziano è il padrone della storia, l’uomo è il padrone del villaggio e il bam-
63
Il Brasile e gli altri
64
2. Un gigante economico?
Una costante della storia economica del Brasile è la sequenza di booms-and busts
(Rohter, 2010: 15), cicli economici legati all’espansione, seguita poi dal collasso, delle
esportazioni di un prodotto dopo l’altro1. Infatti, il boom del pau brasil fu seguito da
quello dello zucchero, fino a quando alla fine del Settecento la concorrenza olandese e
inglese riuscì a dimezzarne il prezzo. Frattanto, però, le piantagioni di zucchero ave-
vano trasformato il Nordeste “da terra fertile, ricca di humus, sali minerali e coperta di
boschi … in una regione di savane”. Quella che era stata la zona più ricca del paese
divenne, e resta, la più povera (Pietrobelli e Pugliese, 2007: 26). La produzione di zuc-
chero era abbastanza redditizia, ma invece di servire a nuovi investimenti, gli utili fu-
rono quasi esclusivamente assorbiti dall’importazione di manufatti, e spesso anche di
alimenti, europei. La fine del ciclo dello zucchero, oltre a ridurre l’importazione di
merci e di schiavi, non ebbe altri effetti su un’economia scarsamente monetaria che
quello di spingerla ulteriormente verso l’autosufficienza e le attività di sussistenza. Un
processo che Furtado (1970: 120-22), analizzando la fine del ciclo minerario che seguì
quello dello zucchero, ha giustamente definito “regresso economico”, fenomeno ricor-
rente nella storia economica del paese, che dimostra come a esso mancassero molti dei
prerequisiti necessari per uno sviluppo export-led (Baer, 2008: 15).
Dopo lo zucchero fu la volta, dal 1690, dell’oro e dei diamanti, la cui produ-
zione spostò il centro di quest’economia d’esportazione dal Nordeste al Centro-
Oeste. Il Marchese di Pombal, autoritario capo del governo portoghese dal 1750 al
1777, riuscì a incrementare la centralizzazione e a promuovere l’unità politica, cosa
che mancò in altre parti dell’America spagnola. Egli abolì le vecchie capitanie che
erano sopravvissute; ridusse significativamente il potere dei funzionari delle capita-
nie della Corona; abolì anche il sistema dei convogli navali annuali ufficiali e inco-
raggiò le compagnie private a farsi carico del monopolio del commercio portoghese.
Tuttavia, non riuscì a impedire che “l’oro brasiliano in quantità immense dal Porto-
gallo finisse in Inghilterra” (Humphreys, 1965: 412) dove contribuì alla nascita della
City e a finanziare l’industrializzazione inglese (Sideri, 1970)2.
1
. ‘Ciclo’ designa meglio un periodo nel quale la produzione di un bene predomina nettamente sulle
altre attività economiche, il che è proprio delle economie coloniali caratterizzate dalla monocultura
d’esportazione. Nel caso del Brasile sono chiaramente distinguibili il ciclo del pau brasil, dello zuc-
chero, dell’oro e del caffè (Godinho, 1971: 8-12).
2
. Nelle prime due decadi del XVII° secolo l’oro brasiliano “non solo rimodellò la geografia del Bra-
sile ma lasciò la sua impronta sulle economie d’Inghilterra, Olanda e parti dell’Italia” (Magalhães
Godinho, 1970: 536).
65
Il Brasile e gli altri
Alla fine del Settecento le miniere di oro e diamanti erano praticamente esau-
rite, ma il Brasile ora esportava cotone e zucchero, produzioni che avevano restituito
alle regioni di Bahia e Pernambuco parte della loro precedente importanza. Purtrop-
po, però, nessun processo d’industrializzazione era stato messo in moto, a causa an-
che della politica mercantilistica del Portogallo3, mentre continuava a prosperare il
sistema della piantagione, basato su monocoltura e schiavitù, che aveva formato
un’aristocrazia – i senhores de engenhos (padroni di presse per la produzione dello
zucchero), coltivatori di cotone e di prodotti alimentari e allevatori di bestiame – che
sempre più si considerava brasiliana piuttosto che portoghese, che disprezzava i
mercanti e gli immigrati e che controllava la vita commerciale della colonia. Il setto-
re minerario fu riorganizzato e più moderni metodi di estrazione furono introdotti,
tuttavia la società brasiliana restava essenzialmente rurale, anche se il potere eco-
nomico si era spostato dalle vecchie piantagioni del Nordeste alle nuove aree di pro-
duzione del caffè di São Paulo e alle provincie più meridionali dove l’habitat natura-
le favoriva l’allevamento bovino.
Al tempo dell’indipendenza (1822) dal Portogallo, l’economa brasiliana era una
delle meno produttive del continente e il suo tasso annuo di crescita non superava lo
0,2%, con un PIL pro capite meno della metà di quello messicano e solo un sesto di
quello statunitense. Nemmeno l’abolizione della schiavitù e la notevole immigrazione
riuscirono a far uscire il paese dal ristagno. Il controllo della terra e l’espansione della
grande proprietà diventarono “più elemento di status e non fattore di sviluppo e, in as-
senza di stratificazione sociale e di indipendenza economica, i proprietari si configuraro-
no come unica autorità, anche politica, nelle campagne (Trento, 1992: 15).
Verso la fine del XIX° secolo l’esportazione del caffè, una merce molto ri-
chiesta dal mercato internazionale, particolarmente quello statunitense, mise in moto
il nuovo ciclo di boom and bust. L’espansione della produzione di caffè consolidò
l’economia del latifondo, cioè “una coltura estensiva basata sul lavoro degli schiavi,
su metodi arretrati di produzione e profondamente vulnerabile alle oscillazioni dei
prezzi sul mercato mondiale”. Solo nello stato di São Paulo alla coltivazione del caf-
fè si accompagnò un intenso sviluppo industriale (Pietrobelli e Pugliese, 2007: 26-
27). La grande espansione della coltivazione del caffè, iniziata alla fine del XIX°,
portò il Brasile a controllare tre quarti della produzione mondiale ma contribuì an-
che a creare crisi di sovrapproduzione. I produttori si resero conto che per difendersi
contro una caduta dei prezzi occorrevano “risorse finanziarie per trattenere fuori del
mercato una parte del prodotto, cioè limitare artificialmente l’offerta” per poi mobi-
litarla quando la domanda si fosse rafforzata. L’accordo di Taubaté4 (febbraio 1906)
tra gli stati brasiliani produttori di caffè creò la base per “quella che sarebbe divenuta
nota come politica di sostegno dei prezzi” (Furtado, 1970: 231) che fu messa un atto
quando la grande crisi fece crollare il prezzo internazionale del caffè, che passò da
22,5 centesimi di dollaro a libra del 1929 a 8 centesimi nel 1931. La caduta dei prezzi
3
. Inoltre, nel 1785 Lisbona, per difendere il proprio monopolio, ordinò che in Brasile fossero chiuse
tutte le imprese impegnate nella produzione tessile, salvo quella dei panni grezzi per gli schiavi.
4
. Per ristabilire l’equilibrio tra domanda e offerta, il governo doveva intervenire sul mercato acqui-
stando le eccedenze di prodotto ricorrendo a prestiti esteri il cui servizio sarebbe stato coperto attra-
verso una nuova imposta in oro su ogni sacco di caffè esportato. Ma se i prezzi restavano stabili così
restavano anche i profitti e quindi altri capitali sarebbero stati attratti in questa produzione, espan-
dendo l’offerta che, a sua volta, avrebbe depresso i prezzi. “la riduzione artificiale dell’offerta provo-
cava l’espansione di quella stessa offerta e poneva un più grave problema per il futuro” (Furtado,
1970: 233).
66
Un gigante economico?
causò anche la caduta del potere d’acquisto esterno della moneta che nello stesso pe-
riodo si abbassò del 50%. Con la creazione nel 1931 del Conselho Nacional do Café si
decise di cercare di sostenere il reddito nazionale distruggendo la quantità di prodotto
in eccedenza impiegando in questa attività la manodopera disponibile. Ciò permise di
mantenere un certo livello d’occupazione e quindi del reddito monetario. Nel 2009, il
valore di queste giacenze, il cui finanziamento era stato in gran parte ottenuto da ban-
che estere e facilitato dall’introduzione dalla convertibilità, raggiunse il 10% del PIL.
Quando scoppiò la crisi, le riserve furono rapidamente assorbite dalla fuga di capitali
esteri, fuga che la convertibilità “servì solo a facilitare” (Furtado, 1970: 237-38).
Tuttavia, nel 1933 il reddito nazionale iniziò a dare i primi segnali di crescita,
per cui lo strumento sviluppato per difendere gli interessi del caffè fu utilizzato per
giustificare l’estensione di forme di sostegno a tutta l’industria brasiliana. L’aumento
del PIL fu dovuto al fatto che durante tutto il periodo della crisi, gli investimenti liqui-
di furono positivi per cui, conclude Furtado (1970: 248). “la ripresa dell’industria bra-
siliana che si manifestò a partire dal 1933, non si deve a nessun fattore esterno, ma alla
politica di incentivazione seguita inconsapevolmente nel paese e che era un sottopro-
dotto della difesa degli interessi del caffè”. L’acquisto di caffè da parte dello stato
equivalse alla creazione di reddito che evitò una più grave caduta della domanda e
quindi sostenne l’economia. In effetti, tale acquisto creò domanda anche per altri setto-
ri produttivi, perché la crescita dei prezzi dei beni esteri causata dalla svalutazione del-
la moneta nazionale ne comprimeva la domanda che necessariamente doveva così ri-
volgersi alla produzione interna, il che facilitò anche la nascita di un’industria di beni
strumentali. Tra il 1929 e il 1937 la produzione industriale aumentò di circa il 50% e il
PIL del 20% pari a un 7% l’anno (Furtado 1970; 255-56).
La crisi evidenziò per il Brasile le limitazioni e i costi della dipendenza che
imponeva il modello d’esportazione di materie prime scarsamente lavorate che gran
parte dell’AL e dei paesi in via di sviluppo (PVS) avevano ereditato dall’era colo-
niale. Un modello di sviluppo del quale solo alla fine degli anni 1940 e durante gli
anni 1950 si sarebbero studiati gli effetti perniciosi per lo sviluppo economico dei
paesi produttori – vedi gli scritti di Raùl Prebish, Enzo Faletto, Fernando Henrique
Cardoso (proprio il futuro Presidente del Brasile) e Celso Furtado. La crisi facilitò i
piani di Vargas per procedere all’industrializzazione del paese.
***
Dal 1913 al 1950 la crescita, interrotta brevemente nei primi anni della grande de-
pressione, si aggirò intorno al 2% l’anno per passare a quasi il 4% tra il 1959 e il
1980. Durante quasi sette decenni, l’economica brasiliana fu quella che in tutto
l’emisfero crebbe più rapidamente e che vide il suo reddito pro capite aumentare da
$678 a $5570 (dollari internazionali del 1990) (Maddison, 2003: 142-44). I dramma-
tici squilibri esterni sperimentati dal Brasile dalla fine degli anni ’20, conseguenza
del collasso dei mercati internazionali di capitale, la brutale contrazione del com-
mercio estero e i problemi di crescenti raccolti di caffè, alterarono completamente la
forma d’interazione con l’economia mondiale consolidatasi durante la Prima, o Vec-
chia, Repubblica (1889-1930), quando, però, non erano state ancora introdotte quel-
le riforme strutturali o istituzionali necessarie a mantenere la stabilità interna in con-
dizioni normali (Pinheiro et al., 2004: 13). Una carenza a cui si cominciò a rimedia-
re sotto l’effetto dello shock prodotto dalla crisi petrolifera che all’inizio degli anni
’80 paralizzò di nuovo il paese che, insieme al resto dell’AL, entrò nel “decennio
67
Il Brasile e gli altri
perduto”, seguito da quello dell’instabilità. Quando nel 1985 il paese tornò sotto il
controllo civile, il reddito continuò a crescere seguendo la ripresa iniziata l’anno
precedente, ma così fece anche l’inflazione a un tasso del 200%. Chiaramente, la
ricetta del FMI adottata nel 1982 non aveva funzionato.
Pinheiro et al.(2004: 6) suddividono il periodo 1930-93 come segue:
1930-50: unstructured import substitution (IS) della produzione di manufatti
tradizionali, con scarsa partecipazione da parte d’imprese di stato e forte di-
pendenza dall’esportazione di caffè;
1951-63: structured IS dei beni di consumo durevoli, con crescente partecipazione
d’imprese di stato e IDE, mentre continua la dipendenza dall’export di caffè;
1964-80: espansione dell’IS ai beni intermedi e strumentali, rapida crescita
dell’export di manufatti, crescita degli IDE e della partecipazione delle imprese di
stato;
1981-93: aumento, seguito da riduzione, del protezionism e crescita dei sussidi
alle esportazioni, inizio della privatizzazione, basso afflusso di IDE e forte in-
stabilità macroeconomica.
Fonte: Pinheiro et al., 2004: 5 Tab.1; Baer, 2008: 405 Tab.A1; EIU, 2012 dic.: 9.
Tabella 2.2. - Tasso medio annuale di crescita del Brasile e altre aree. 1931-2010
5
. Iniziato ad aprile 1980 e finito a giugno 1995, il processo inflazionistico brasiliano aumentò men-
silmente a una media di quasi il 16% (Franco e Vieira, 2010: 4).
68
Un gigante economico?
scita dell’occupazione e, almeno dagli anni ’30, del capitale fisico e umano. Nel
1981-2000, le prestazioni brasiliane furono povere non solo rispetto al suo passato,
ma anche al mondo e all’AL – vedi Tabella 2.2 –, un deterioramento attribuibile alle
cattive politiche macro e microeconomiche adottate fino all’inizio degli anni ’90.
Se fino al 1994 l’instabilità brasiliana fu causata dalle aspettative create da
vari tentativi di stabilizzare l’inflazione sempre falliti, successivamente fu dovuta
all’impatto delle crisi esterne che alimentarono la crescita del debito pubblico, pas-
sato tra il 1995 e il 2002 dal 30% al 56% del PIL. Naturalmente, durante i periodi
d’instabilità inflazionaria, le politiche del reddito influenzavano sia l’inflazione cro-
nica che i tentativi di stabilizzazione, in altre parole erano parte del problema come
della soluzione. Vari furono i tentativi di combattere l’inflazione, ma solo il Plano
Real riuscì a ridurla e controllarla (Neri, 2009: 221). La forte inflazione fu accom-
pagnata da alte barriere commerciali e diffuso intervento statale realizzato per mez-
zo della proprietà d’imprese commerciali, monopoli pubblici, restrizioni all’entrata
in una serie di settori e miriadi di norme, regole e incentivi mirati a orientare inve-
stimenti e attività private. In verità, ammettono Pinheiro et al. (2004: 5-6), tutto que-
sto era presente e in vigore anche nel periodo del boom del 1930-80, per cui solo in
parte può essere considerato responsabile della povera performance. Inoltre, da 1994
il Brasile godè di bassa inflazione, liberalizzazione commerciale, sostanziale priva-
tizzazione e riduzione di gran parte della regolamentazione dell’attività privata, sen-
za che tutto ciò producesse una rapida crescita.
Durante la seconda parte del secolo XX, il Brasile fu uno dei maggiori e più
frequenti clienti del FMI, l’ultima volta tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999 per un
pacchetto di aiuti dell’ordine di $41,5 miliardi. Ora è invece un creditore esterno
netto, il che ha permesso al paese di continuare a ricevere credito anche dopo che
nel 2008 si sono arrestati i flussi esterni di credito e di evitare il salvataggio di qual-
che sua banca (Rohter, 2010: 159). Nel 2012 il paese è diventato un creditore del
FMI e anche il quarto maggiore creditore degli USA, un altro elemento che ne ha
fatto un’economia emergente e una potenziale potenza globale come Russia, India e
Cina, insomma un BRIC, già all’inizio di questo millennio,
Le basi della crescita economica del Brasile furono poste negli anni ’30 e du-
rante il periodo del regime militare, ma poi riattivate e migliorate da Fernando Hen-
rique Cardoso e continuate ed estese da Lula. La stabilizzazione monetaria raggiunta
con il Plano Real ha trasformato milioni di famiglie di classe medio-bassa in con-
vinti consumatori. Questo ha incoraggiato le imprese brasiliane a investire e assume-
re il che ha ulteriormente rafforzato i consumi delle famiglie, consumi che ultima-
mente rappresentano più del 60% del PIL nazionale.
Con un PIL di $2,4 trilioni, il Brasile è la settima economia mondiale6, il suo
reddito pro capite ha raggiunto nel 2012 $12,340 da $1.000 del 1970 e $1.931 del
1980. Nel 2012 le esportazioni hanno raggiunto $243 miliardi (pari al 10 del PIL) e
l’avanzo commerciale ha sfiorato i $20 miliardi. Nel 2012, il Brasile ha esportato
merci per un valore di $243 miliardi, ottenendo un surplus commerciale si quasi $20
miliardi. Se allo scambio di merci si aggiungono i servizi, l’apertura del paese è pari
al 24,1% del PIL, non una delle economie più aperte, ma certamente un’economia
sempre più bilanciata e diversificata.
6
. In effetti, nel 2011 il Brasile è stato la sesta economia mondiale, ma è tornato ad essere la settima
nel 2012 a causa della minore crescita e di una moneta più debole (Meyer, 2013: 5).
69
Il Brasile e gli altri
***
70
Un gigante economico?
attive in altri settori alimentari. L’agrobusiness contribuisce il 27% del PIL e almeno il
36% dell’export e assorbe il 35% degli occupati.
7
. Le difficoltà che necessariamente accompagnano la compilazione di queste statistiche sono fa-
cilmente intuibili, per cui anche lo stesso autore può presentare dati diversi in pubblicazioni diverse.
Secondo Neri (2010: 32), nel periodo 1992-2009, le classi A+B passano da 5,4% a 10,6%, la C da
32,5% a 50,5% e le D+E diminuiscono da 62,1% a 38,9%. Le differenze con la Tab. 2.4. potrebbero
spiegarsi con il riassorbimento delle persone restate fuori da quella tabella.
8
. Il 60% degli studenti brasiliani ha ottenuto il più basso punteggio all’esame di matematica del
Programme for International Student Assessment (PISA) 2009, contro la media del 22% degli stu-
denti dei paesi OCSE (Puryear e Ortega, 2012: 35). Ma tra il 2003 e il 2009 la deviazione della media
71
Il Brasile e gli altri
2.2.1. AGRICOLTURA
Durante i primi quattro secoli della sua storia, la produzione brasiliana restò stretta-
mente legata all’agricoltura, particolarmente ai prodotti destinati all’esportazione
piuttosto che al consumo interno. Il primo di questi prodotti fu il pau brazil, seguito
poi dalla canna da zucchero, piantata lungo la costa utilizzando la manodopera
schiava, e poi oro e diamanti, caucciù, cotone caffè, per finire, oggi, con carne e altri
prodotti alimentari.
Cominciando con la canna da zucchero, il fatto che la ricchezza del Brasile
dipendesse da un prodotto la cui coltivazione richiedeva vaste estensioni di terreno,
numerosa manodopera e molto capitale, rese facile trasferire nel paese il sistema so-
ciale e politico portoghese. Lo spirito feudale che lo distingueva “ebbe quindi modo
di radicarsi con maggiore facilità e di stabilire delle fondamenta più durature”, sulle
quali riprodurre la stratificazione sociale portoghese, “aggravata per la presenza di
dei risultati ottenuti nella lettura e nella matematica è migliorata, passando da -121% a -101% (OC-
SE, 2011: 31). Paragonando i risultati del PISA 2000 con quelli del 2009, si nota che per l’abilità ma-
tematica gli studenti brasiliani hanno guadagnato l’equivalente di un intero anno accademico e il loro
punteggio complessivo rappresenta il terzo maggiore aumento mai registrato dal PISA. Questi risul-
tati sono in gran parte dovuti alla partecipazione degli studenti provenienti dai gruppi di reddito più
basso. Oggi, un bambino brasiliano di sei anni proveniente dal quintile più basso della distribuzione
del reddito potrà usufruire del numero doppio di anni scolastici dei suoi genitori. Nonostante queste
conquiste, i risultati ottenuti dagli studenti brasiliani sono ancora notevolmente inferiori a quelli dei
partecipanti dei paesi OCSE, dell’Asia Orientale e dell’Europa Orientale (OCSE, 2011: 144). Dei 40
paesi presi in considerazione dal Global Index of Cognitive Skills and Educational Attainment del
Pearson Institute il Brasile è risultato penultimo, seguito solo dall’Indonesia.
9
. Il fatto che il Brasile sia l’erede della tradizione centralista della monarchia iberica nella quale lo
stato sovrano è il great provider e attorno al quale gravita qualsiasi cosa, spiega la sua pesante, soffo-
cante e tronfia burocrazia.
10
. Al Projeto de Inclusão Bancária per facilitare l’apertura di conti correnti semplificati hanno già
aderito più di tre milioni di beneficiari del PBF.
72
Un gigante economico?
73
Il Brasile e gli altri
dualismo regionale che continua a caratterizzare il paese. Dal 1860 in poi sia lo zuc-
chero che il caffè ricevettero “un fondamentale sostegno da parte del governo”, so-
stegno che negli anni ’30 divenne “un’estremamente aggressiva politica del caffè
che comportò non solo l’acquisto di grandi quantità di caffè invenduto, ma anche
l’incenerimento di 70 milioni di sacchi di caffè”, mentre veniva incentivata la colti-
vazione del cotone sulle terre che prima lo producevano (Mueller, 2010: 13-14).
L’esportazione di gomma sembrò introdurre una certa diversificazione ma
non durò molto, perché l’offerta brasiliana dopo aver raggiunto il 90% della doman-
da mondiale all’inizio del secolo XX, si ridusse rapidamente a causa della concor-
renza asiatica. L’esportazione sia dello zucchero che del cotone continuò in forma
modesta, mentre altre voci entrarono a far parte dell’export brasiliano come cacao,
carne, legname, prodotti forestali (Griffin, 1962: 521) e tabacco.
All’agricoltura Vargas assegnò un ruolo di supporto all’industrializzazione,
perché con l’accelerazione dell’urbanizzazione il problema nutrizionale della popo-
lazione stava diventando un’importante questione politica. Per assicurare ai poveri
l’accesso al cibo, Vargas creò istituzioni pubbliche per controllare la produzione
alimentare e i prezzi e promosse la “March para o Oeste” (marcia verso l’ovest) per
occupare il cerrado (savana), marcia che, però, risultò un processo violento e non
riuscì a creare un sistema agrario sufficientemente equo. L’agricoltura doveva forni-
re, inoltre, la valuta estera per acquistare i macchinari per l’industria e per fare ciò fu
adottato un sistema di cambio multiplo con il quale gli esportatori di caffè, mante-
nendo il cambio sopravvalutato, venivano in pratica tassati.
Dal 1930 al 1945, aumentò notevolmente la produzione di alimenti per il
mercato interno, il che permise di ridurne l’importazione, ma fu con l’avvento dello
Stato Nuovo che si arrivò ad adottare un modello di sviluppo autarchico basato
sull’ISI e, conseguentemente furono creati vari strumenti per l’intervento dello stato
nel settore agricolo.
Se dopo il 1945 l’attenzione per l’agricoltura si ridusse, fu proprio in questo
periodo che il settore fu modernizzato e trasformato in maniera radicale, per cui,
malgrado che “dal 1950 al 1965 le politiche governative continuassero a discrimina-
re il settore agricolo” per favorire l’importazione di macchinari e manufatti, i so-
stanziali aumenti della produzione agricola – il cui tasso di crescita fu leggermente
superiore al 5% dal 1947 al 1981, risultato ottenuto nonostante che i metodi di colti-
vazione restassero quelli tradizionali e ad alta intensità di lavoro – servirono da
complemento allo sviluppo industriale (Baer, 2008: 278). Mueller (2010: 15-16)
identifica tre fasi dell’evoluzione agricola:
(i) dal 1945 fino ai primi anni ’70 si ebbe la fase dell’“espansione orizzontale”,
ovvero la continuazione della situazione precedente, anche se la performance
dell’agricoltura fu abbastanza ragionevole nonostante la maggiore discrimina-
zione subita a causa dell’ISI, grazie alla continua incorporazione di nuovi terre-
ni agricoli e alla coltivazione del caffè nel Paraná, che permise di espandere
simultaneamente l’offerta di beni alimentari a costo minore, Tuttavia, fuori di
São Paulo la produttività agricola restò bassa.
(ii) tra la fine degli anni ’60 e metà anni ’70 venne realizzata una rapida indu-
strializzazione dell’agricoltura senza, però, alcuna considerazione per
l’eventuale riduzione dell’accesso alla terra. Era chiaro che così si rischiava
una crisi dell’offerta agricola e una conseguente riduzione delle entrate gene-
rate dalle esportazioni. Furono quindi istituiti nel 1965 il Sistema nazionale di
credito rurale, poi la politica dei prezzi minimi e finalmente l’Empresa Brasi-
74
Un gigante economico?
75
Il Brasile e gli altri
11
. Un terzo della popolazione brasiliana vive nelle grandi città, ma quelle che crescono maggiormen-
te sono le città intermedie, cioè quelle con una popolazione tra 100 mila e 500 mila abitanti.
76
Un gigante economico?
***
***
12
. Barros de Castro e Pires de Souza (1985: 157) sostengono che fu la politica industriale
dell’amministrazione del generale Geisel (1974-79) a creare le condizioni essenziali per la diversifi-
cazione industriale che il Brasile intraprese negli anni ’80.
13
. Delle 100 multinazionali che un recente rapporto della Boston Consulting Group classifica come
“global challengers” nella prossima decade, 24 sono quelle latinoamericane – di cui 13 brasiliane, 7
messicane, 2 cilene, 1 argentina ed 1 colombiana – 30 sono cinesi e 20 indiane.
14
. Il Brasile possiede il 60% della terra arabile non utilizzata mondiale e il 15% dell’acqua dolce del
pianeta. Le sue potenziali esportazioni potrebbero aiutare a colmare i deficit alimentari che necessa-
riamente sorgeranno nel mondo.
77
Il Brasile e gli altri
78
Un gigante economico?
02). Durante gli anni ’90 il settore agroalimentare ebbe un avanzo commerciale annuo
tra i $10 e i $15 miliardi, mentre la bilancia commerciale dell’economia brasiliana ri-
maneva cronicamente negativa. Frattanto, i bassi prezzi alimentari reali generavano un
aumento dei salari reali e permettevano l’introduzione di misure redistributive del red-
dito come il PBF, per cui l’indice Gini – vedi Tab. 2.9 –, comunemente usato per mi-
surare l’ineguaglianza, diminuì dell’1,2% l’anno.
***
15
. Il costo per produrre carne in Brasile è circa la metà di quello degli USA.
16
. Negli ultimi anni, la produzione brasiliana di etanolo ha superato i 450 mila barili giornalieri, di
cui l’80% circa è assorbito dal mercato interno. Dal 2005 il valore delle esportazioni di etanolo si è
aggirato attorno a $1,6 miliardi e i principali acquirenti sono stati gli USA (25%), il Giappone e
l’Olanda (Ubiraci e Narciso, 2009: 39).
79
Il Brasile e gli altri
17
. “Con 21,4 milioni di ettari, il Brasile è anche, dopo gli Stati Uniti (e pressoché allo stesso livello
dell’Argentina), il secondo paese al mondo per ciò che riguarda l’estensione di terre coltivate con orga-
nismi geneticamente modificati, in particolare il Roundup Ready della Monsanto” (Goldstein e Trebe-
schi, 2012: 67).
18
. Secondo l’OCSE, nel 2005-07 i sussidi statali brasiliani sono ammontati a meno del 6% del reddito
agricolo totale, mentre sono stati il 12% negli USA, il 29% nell’UE e in media il 26% nei paesi OCSE.
80
Un gigante economico?
***
Il Brasile dispone di abbondante acqua21 non sfruttata poiché solo la produzione al-
tamente tecnologica di riso nel sud e quella di canna da zucchero nel Nordeste. han-
no bisogno di irrigazione. Il bestiame da allevamento e in parte quello per la produ-
19
. Molti problemi di salute sono causati dalla crescente obesità, dovuta principalmente alla diffusione
del fast food e dei soft drinks ricchi di zucchero. Secondo alcuni dati circa la metà degli adulti sono
in sovrappeso e 15% sono obesi. Di questo passo tra dieci anni queste due categorie potrebbero costi-
tuire due terzi della popolazione brasiliana, con notevole impatto negativo sui costi della sanità.
20
. Si calcola che i costi della logistica incidano per il 15-20% sui prezzi delle esportazioni delle
commodities agricole.
21
. Secondo il World Water Assessment Report del 2009 il Brasile riceve annualmente più di 8 trilioni
cubi di acqua rinnovabile. La grande disponibilità di acqua, sia in termini assoluti (27% del totale di
acqua dolce disponibile), grazie alla vastità del territorio, sia in termini relativi per abitante, pongono
il Brasile alla testa dei dieci paesi con la presenza idrica più abbondante. Si stima che sia irrigato il
4% della superficie coltivata che, però, contribuisce il 16% della produzione complessiva del settore
cerealicolo. Più di due terzi dell’acqua disponibile in Brasile si trova nella regione amazzonica, ment-
re il restante terzo è distribuito in maniera non omogenea e soddisfa il 93% della domanda idrica na-
zionale. Al sud è localizzato l’Acuífero Guaraní, una delle riserve sotterranee di acqua dolce più
grandi del mondo, che ha una superficie di 1,2 milioni di km2, equivalente a quattro volte l’Italia e
che contiene circa 45 mila km3 di acqua. Ogni anno la falda si ricarica di quasi 200 km3 di acqua che,
in alcuni punti affiora in suprfice, in altri arriva fino a 1800 metri di profondità. l’Acuífero Guaraní si
trova per 840 mila km2 in Brasile, per 225.500 in Argentina, quasi 72 mila in Paraguay e 58.500 km2
in Uruguay. Il Brasile è il paese che sfrutta maggiormente questo bacino sotterraneo, che potrebbe
diventare un altro importante collante per il MERCOSUL – vedi 4.2 – i cui membri hanno avviato
nel 2003 il progetto Sistema Acuífero Guaraní, cofinanziato dal Fondo mondiale dell’ambiente, per
la protezione ambientale e il suo sviluppo sostenibile.
81
Il Brasile e gli altri
zione di latte si nutrono sui pascoli che sono più che sufficienti per mantenerne una
quantità attualmente inferiore solo a quella indiana.
La produzione agricola brasiliana è ben diversificata in quanto comprende pro-
dotti tropicali e dell’area temperata, più vari tipi di carne. I produttori di zucchero, pol-
lame e carne bovina hanno cominciato a investire all’estero nel manifatturato e nella
distribuzione, mentre la maggiore competitività brasiliana nella produzione di etanolo
dipende non solo dall’uso della canna da zucchero rispetto al granturco, ma anche
dall’alta produttività nella produzione della canna. Inoltre, il costo di produzione
dell’etanolo è ridotto dalla congiunta generazione di elettricità che in parte è utilizzata
per detta produzione e in parte è immessa nella rete, generando così un’entrata (Melo-
ni, 2009: 63-71). Mentre nel 2010 la produzione di etanolo è in Brasile aumentata da
5,6% a 7,2 miliardi di galloni, l’esportazione si è leggermente ridotta da 1 miliardo nel
2008 a 685 milioni di galloni nel 2010. Secondo le proiezioni nel 2020 la produzione
dovrebbe raggiungere 18 miliardi e il consumo 13 miliardi di galloni.
Secondo FAPRI-ISU (2001), la produzione di semi di soia dovrebbe conti-
nuare ad espandersi e nel 2020-21 il Brasile dovrebbe, avendo superato gli USA,
diventarne il maggiore esportatore mondiale. Le esportazioni di zucchero, nel 2010-
11 ammontate a 1,4 mmt (million metric tons)*, poco meno degli anni precedenti,
nel 2025-26 si prevede che aumenteranno più del 50% e l’esportazione del granturco
dovrebbe aumentare molto grazie alla crescente domanda cinese.
L’espansione dell’agricoltura brasiliana è venuta dalla maggiore competitivi-
tà – produttività ed economie di scala –, dalla forte domanda e, in buona misura,
dall’eliminazione dei sussidi e dei controlli sui prezzi, dall’apertura commerciale,
dalla maggiore interazione nel MERCOSUL e dalla stabilizzazione macroeconomi-
ca. Infatti, l’aumento delle aree coltivate a cereali cominciò solo all’inizio del 2000 e
raggiunse il massimo nel 2007-08 quando il raccolto sfiorò 140 milioni di tonnellate.
La produzione della canna da zucchero ha raggiunto il massimo, per cui ora non si
tratta più di produrre più canna per ettaro, ma più energia per ettaro, mentre la pro-
duzione di etanolo supera quella di zucchero. È insomma la produttività di tutto il
settore che sta crescendo, per cui il futuro dell’agricoltura brasiliana dipenderà dal
miglioramento delle infrastrutture e dallo sviluppo di nuove tecnologie. Frattanto, il
governo ha operato per rinegoziare i debiti rurali e sostenere il reddito tramite sche-
mi di commercializzazione (Meloni, 2009: 74-76)).
Mentre la quota delle esportazioni agricole brasiliane nell’export mondiale
cresceva – da 2,34% del 1990 al 3,34% del 2002 – diminuiva il contributo
dell’agricoltura al PIL nazionale passando dal 24,3% nel 1950 al 7,5% nel 2005 –
vedi Tab. 2.1. – e diminuiva anche la presenza della manodopera agricola nel totale,
passata dal 66% nel 1939 al 23% nel 2003, evidenziandone così la scarsa efficienza
e quindi la povertà (Baer, 2008: 302). Frattanto, la percentuale della popolazione
rurale è passata dal 64% del totale nel 1950 al 44% nel 1970 e al 19% nel 2000, il
che significa che ogni decennio 10-15 milioni di persone hanno abbandonato le aree
rurali, diretti ai centri urbani (Barros, 2009: 91). Malgrado che oggi il contributo
dell’agricoltura al PIL si aggiri attorno al 6%, questo settore è ancora il maggior da-
tore di lavoro nelle zone rurali.
***
Oltre che dalle ricorrenti siccità, l’ultima del 2004-05, che spesso hanno causato notevoli
riduzioni della produzione e dei redditi dell’agricoltura, il settore continua a essere pena-
82
Un gigante economico?
lizzato dalle cattive condizioni delle infrastrutture che dovrebbero servirlo, una situazio-
ne resa più difficile dalla poco chiara definizione di chi dovrebbe essere responsabile de-
gli investimenti infrastrutturali22. Durante il suo primo mandato Lula ha tentato di intro-
durre il sistema del partenariato pubblico-privato, ma con scarsi risultati.
In realtà, notevoli investimenti sono stati realizzati dal settore privato, spe-
cialmente dopo la nazionalizzazione delle ferrovie, ma non sono stati localizzati nel-
la regione Centro-Oeste, dove l’assenza di adeguate infrastrutture crea seri problemi
allo sviluppo della produzione cerealicola. Con una rete ferroviaria di 30 mila km il
trasporto ferroviario è poco sviluppato e infatti effettua solo il 25% delle movimento
merci. Benché si stiano ampliando due ferrovie – la Ferrovia Norte-Sul che collega
lo stato di Goiás con quello di Maranhão e la Ferronorte, che collega Rondônia e
Mato Grosso con il Sudeste – sarebbe molto utile costruirne una terza tra Cuiaba, nel
Mato Grosso, e Santarém, nel Pará. Secondo Meloni (2009: 77-78), anche se il PAC
prevede la costruzione di 2500 km di ferrovie, ciò non appare sufficiente a ridurre
per l’agricoltura gli alti costi della logistica del Centro-Oeste. Benché il Brasile ab-
bia una rete di fiumi navigabili di quasi 50 mila km, solo il 13% delle merci viene
trasportate per acqua.
Per più di tre decenni gli investimenti sono stati scarsi in quasi tutti i settori
delle infrastrutture e solo dal 2007 stanno lentamente aumentando – nel periodo
2007-09 gli investimenti in infrastrutture sono stati circa il 2% del PIL, finanziati in
parti grosso modo uguali dal settore pubblico e da quello privato. Considerando che
a questo stadio dello sviluppo del paese tali investimenti dovrebbero risultare alta-
mente profittevoli, il governo ha presentato l’ambizioso PAC, ignorando i tagli fi-
scali annunciati all’inizio del 2011 (OCSE, 2011: 101).
Nonostante l’enorme potenziale, le ferrovie brasiliane sono poco sviluppate e
sotto utilizzate. Lo stretto controllo esercitato dal governo federale sulle tariffe fino
agli ultimi anni ’80 ha danneggiato le condizioni finanziarie degli operatori ferrovia-
ri, ha causato sotto investimenti e ha ridotto la spesa per la manutenzione ,e perfino
la lunghezza della rete ferroviaria stessa passata dai 35 mila km del 1930 ai quasi 30
mila del 2009. Finora le ferrovie sono usate solo per il trasporto merci (OCSE, 2011:
119). Finalmente, è iniziata la costruire della prima linea per il trasporto a grande
velocità di passeggeri tra Rio de Janeiro e São Paulo, ma lo scarso interesse mostrato
dal settore privato ne sta ritardando i lavori.
Altro problema è la mancanza di dotti per il trasporto dell’etanolo dai centri
di produzione ai porti. Dall’inizio del millennio è però aumentato l’interesse per
queste vie interne di comunicazione che si pensa potranno svolgere un utilissimo
servizio infrastrutturale, una volta realizzati gli interventi sulla morfologia fluviale
per rendere la navigazione di grandi imbarcazioni regolare, costante e sicura.
***
22
. L’inadeguatezza delle infrastrutture brasiliane è dovuta alla scarsità d’investimenti in questo setto-
re. Secondo uno studio di Morgan Stanley del 2010, il Brasile dovrebbe investire circa il 4% del PIL
per almeno venti anni per raggiungere i livelli delle infrastrutture cilene, le migliori in Sudamerica.
Inoltre, dagli ultimi anni ’90, il settore privato non ha compensato il declino della spesa pubblica
causato dalle pressioni per il consolidamento fiscale.
83
Il Brasile e gli altri
zioni organizzate dall’’MST, negli otto anni del suo governo vennero assegnate terre
a circa 500 mila famiglie, e altre 325 mila furono sistemate nel primo quadriennio
del governo Lula. Il piano elaborato da Plínio de Arruda Sampaio prevedeva
l’insediamento di un milione di famiglie, ma più prudentemente Lula, durante la
campagna elettorale, aveva parlato di 400 mila famiglie.
Ad ogni modo, la distribuzione della terra resta un argomento sul quale forti
divisioni sono esistite anche all’interno del governo Lula tra chi sostiene il settore
agroindustriale e chi l’MST. Meloni (2009:80) argomenta che, oltre ad aumentare gli
investimenti in infrastrutture e la spesa per scienza e tecnologia23, per diventare una
superpotenza agricola e agro-energetica al Brasile servono istituzioni e politiche ade-
guate e, secondo Barros (2009: 105-06), la rimozione dell’insicurezza circa i diritti di
proprietà che i movimenti sociali stanno generando in molti agricoltori – vedi Appro-
fondimento 2.1. In discussione è quindi il modello di politica agraria da perseguire.
Se grazie all’agrobusiness e ai prodotti OGM, il Brasile si avvia a diventare il
maggiore produttore agricolo mondiale, il problema della fame può essere risolto
solo dai piccoli produttori che sul 24% della terra producono il 60% dei prodotti de-
stinati al consumo interno e creano “il 77% dei posti di lavoro agricolo, ma ricevono
solo il 25% dei finanziamenti disponibili”. Per questo “lo scontro sulla riforma agra-
ria è lo scontro fra il modello di agricoltura industriale e quello di agricoltura di so-
stentamento” (Losano, 2007: 100 e 36).
Il modello di distribuzione delle parcelle di terra a piccoli agricoltori era il
sogno dei rivoluzionari e riformisti sudamericani, ma oggi, in un Brasile dove sem-
bra esserci terra per tutti, dovrebbe essere possibile trovare “un punto di equilibrio,
una convivenza tra l’agrobusiness (che ormai è un pilastro del bilancio statale) e
l’agricoltura familiare (che può risolvere la fame endemica in certe aree)”. Per que-
sto, “la riforma agraria è oggi uno dei problemi centrali del Brasile, ma la sua realiz-
zazione è però legata agli altri enormi problemi ancora aperti di quel paese”, per cui
“la questione urbana è simmetrica alla questione agraria” (Losano, 2007: 14). Nono-
stante i progressi fatti in agricoltura, il 30% dei lavoratori agricoli brasiliani è anal-
fabeta e l’80% non ha terminato le elementari.
Infine, Rohter (2010: 151) sottolinea che quello che veramente distingue il
Brasile dagli altri membri del BRIC e da molti paesi avanzati, come Giappone e
Germania, è l’ineguagliabile produzione attuale e potenziale della sua agricoltura, in
particolare del settore agroalimentare. Essendo in condizione di alimentare la pro-
pria popolazione e gran parte di quella mondiale, il Brasile è, come è stato corretta-
mente definito dal Segretario di Stato americano Colin Powell “una superpotenza
agricola” che ha simultaneamente la possibilità di diventare anche una potenza indu-
striale. È chiaro, quindi il ruolo centrale del settore agricolo nell’economia brasilia-
na. E seguendo l’esempio di altre potenze agricole, come USA e UE, Brasília non ha
lesinato gli aiuti a questo settore, aiuti che nel periodo 2009-10 sono raddoppiati,
raggiungendo $10 miliardi, di cui $1,7 miliardi sono andati a produttori con basso
reddito, ma solo $4,9 miliardi potrebbero avere, secondo le regole dell’OMC, qual-
che leggero effetto negativo sul commercio internazionale.
23
. Invece la percentuale della spesa pubblica per scienza e tecnologia sul PIL è diminuita da 1,32%
nel 2000 a 1,20% nel 2004, mentre nello stesso periodo quella delle imprese è solo passata da 0,16%
a 0,22%. Nonostante tutto, però, alcune imprese sono riuscite ugualmente a sviluppare eccellenti
tecnologie che hanno usato per internazionalizzarsi (Amann, 2009: 201 Fig. 8.2).
84
Un gigante economico?
2.2.2 INDUSTRIA
24
. Delle più di 13 mila imprese esistenti nel 1919, il 45% era stato creato nel periodo 1915-19 (Baer,
2008: 32 Tab 3.5).
85
Il Brasile e gli altri
86
Un gigante economico?
tica (Barros, 2009: 83)*. La seconda Guerra mondiale fece crescere la produzione
brasiliana al tasso annuale medio del 5,4% tra il 1939 e il 1945, senza che venisse
ampliata la capacità produttiva, salvo quella dell’acciaio e del cemento, localizzate a
Volta Redonda. Durante la guerra aumentarono anche le esportazioni di manufatti, a
cominciare dal tessile che però, data la bassa qualità e l’inaffidabilità delle conse-
gne, abbastanza presto si ridussero quasi del tutto.
Gli investimenti ripresero nel 1945 per far fronte al deterioramento e
all’obsolescenza di gran parte della capacità brasiliana, ma anche sotto l’impulso
della Cooke Mission, sponsorizzata dal governo americano, che nel 1942-43 aveva
visitato il paese per formulare un piano d’azione. La Missione trovò nel Sul le mi-
gliori condizioni per un rapido sviluppo che avrebbe poi trascinato anche il resto del
paese e raccomandò, quindi, l’espansione dell’industria dell’acciaio per sostenere la
produzione di beni d’investimento, lo sviluppo dell’industria del legno e della carta
e un aumento del settore tessile, in vista anche dell’esportazione di questi prodotti.
Alla fine degli anni ’40 l’economia brasiliana continuava a dipendere pesante-
mente dalle esportazioni. Il settore economico più importante era quello
dell’agricoltura che contribuiva il 28% del PIL, dava lavoro a più del 60% della popo-
lazione economicamente attiva ed esportava il 40% della sua produzione totale. Anco-
ra nel 1950, il settore agricolo esportava il 95% della produzione totale di caffè, l’88%
del cacao, il 12% del cotone, il 14% della gomma, il 27% del tabacco e il 46% del mi-
nerale ferroso (Baer, 2008: 49, 51 Tab. 4.2 e 71 nota 1). Frattanto si moltiplicavano le
analisi che mettevano in dubbio la possibilità di ottenere alti tassi di crescita contando
principalmente sull’esportazione di materie prime mentre la CEPAL sviluppava una
teoria che dimostrava come i ritardi del continente dipendevano dalla divisione inter-
nazionale del lavoro, ovvero dalla specializzazione nelle materie prime.
L’industrializzazione continuò, come nel passato, principalmente per fron-
teggiare le difficoltà della bilancia dei pagamenti, ma le sue caratteristiche cambia-
rono, perché già negli anni ’50 essa aveva cessato di essere una reazione a eventi
esterni, per diventare lo strumento principale utilizzato dal governo per sostenere il
tasso di crescita dell’economia, al posto dell’esportazione di materie prime, non più
considerata una valida alternativa. L’adozione dell’ISI comportò la diminuzione del-
le importazioni di manufatti di consumo e l’aumento di quelle di beni capitale e di
carburante, un processo sostenuto dalla politica cambiaria – vedi dopo 2.4. – insieme
all’applicazione della “legge dei simili”. Quest’ultima era stata istituita alla fine del
secolo XIX° per estendere la protezione tariffaria a chi registrava il bene che produ-
ceva o intendeva produrre come simile a quello per il quale era prevista la protezio-
ne, un sistema che lasciava all’autorità una grande discrezionalità. La legge serviva
anche a “incoraggiare un sostanziale aumento dell’integrazione verticale” spingendo
gli investitori esteri a passare dall’importazione all’assemblaggio oppure
dall’assemblaggio alla completa produzione in Brasile (Baer, 2008: 49 e 61).
Un ambizioso tentativo di pianificazione fu il lavoro svolto nel 1951-53 dalla
Joint Brazil-United State Economic Commission che, dopo aver redatto un attento
studio dell’economia brasiliana, propose una serie di progetti per la modernizzazio-
ne delle infrastrutture per quasi $400 milioni. Benché mai formalmente accettato, il
piano contribuì alla creazione nel 1952 del BNDES proprio per il finanziamento di
progetti infrastrutturali e industriali, tra i quali maggior successo ebbe quello per la
promozione dell’industria automobilistica.
Durante il periodo 1951-63, quello che Pinheiro et al. (2004: 16) definiscono
“government-led import substitution”, il sistema delle licenze d’importazione e i
87
Il Brasile e gli altri
controlli cambiari introdotti nel periodo 1931-50 continuarono a essere utilizzati per
limitare gli squilibri della bilancia dei pagamenti, ma solo alla fine degli anni ’40
cominciarono a essere sfruttati come potenziali incentivi per l’industrializzazione
che il governo iniziava a sostenere sempre più tramite dazi, licenze d’importazione,
credito ai produttori, facilitazioni cambiarie per l’importazione di beni capitali, in-
centivi agli IDE diretti al settore industriale e aumento degli investimenti da parte
delle imprese di stato.
Tra il 1956 e il 1962, il più intenso periodo dell’industrializzazione, il tasso
medio di crescita dell’economia brasiliana sfiorò l’8% l’anno e già all’inizio degli
anni ’50 la quota del PIL attribuito all’industria aveva superato quella del settore
agricolo. Vari problemi stavano, però, emergendo. Malgrado che l’agricoltura conti-
nuasse a crescere al tasso medio del 4,5%, superiore al 3,1% al quale aumentava la
popolazione, il rapido inurbamento rendeva potenzialmente insufficiente l’offerta
alimentare e spingeva in alto i prezzi relativi, alimentando così l’inflazione e distor-
cendo l’allocazione delle risorse. Inoltre, il processo d’industrializzazione era ac-
compagnato da un peggioramento della distribuzione del reddito. Per finire, il servi-
zio di un debito superiore a $2 miliardi dovuto all’afflusso di capitale estero – inve-
stimenti diretti esteri e prestiti – verificatosi nella seconda metà degli anni ’50, stava
creando pressanti problemi alla bilancia dei pagamenti, anche perché le esportazioni
stentavano ad aumentare.
Il regime militare che s’instaurò nel 1964 era convinto che l’eliminazione
dell’inflazione – che nei cinque anni precedenti era cresciuta a una media annua del
45% – fosse la condizione necessaria per la crescita economica del paese, insieme
all’apporto del capitale estero per espanderne la capacità produttiva. Di conseguenza
fu deciso di eliminare le distorsioni dei prezzi, aggravate da anni d’inflazione, il che
permise di ridurre i sussidi pubblici e quindi il deficit del bilancio statale. Dopo i
primi anni l’inflazione si ridusse al 20% circa, per poi cominciare di nuovo a cresce-
re e superare il 200% negli ultimi anni del governo militare.
Una notevole crescita prese l’abbrivo nel 1968 e continuò fino a 1973, periodo
durante il quale il PIL aumentò al ritmo di 11% l’anno (ma poi poco più del 4% fino al
1985), trainato dall’industria, più particolarmente dai settori mezzi di trasporto, mac-
chinari e strumenti elettrici, mentre accelerava il declino della quota dell’agricoltura
nel PIL. Il coefficiente di capitale era restato basso durante gli anni ’50 e ’60, ma nella
prima metà degli anni ’70 toccò il 27%. Anche le tasse aumentarono, sia quelle dirette
che quelle indirette (Baer, 2008: 77). L’economia che il regime lasciava al paese era
caratterizzata da un ampio settore pubblico che includeva importanti aree industriali
come siderurgia, petrolchimica, fertilizzanti, produzione di aerei e di computer, con
Petrobrás e CVRD in posizione dominante nel settore petrolifero e in quello minerario.
Finito il regime militare, il BNDES cominciò subito a premere per la privatizzazione
di queste imprese in modo da potere finanziare nuovi investimenti, un invito che
l’amministrazione Collor (1990-92) fu la prima a raccogliere con l’ambizioso Plano
Nacional de Desestatização, ma alla fine del 1994 erano state privatizzate solo la metà
delle imprese selezionate. La privatizzazione procedette meglio nella seconda metà
degli anni ’90, anche con la partecipazione d’investitori esteri, dopo di che, però, ven-
nero meno le condizioni per spingerla oltre.
La sfida principale che Cardoso dovette affrontare quando divenne Presidente
nel 1995 fu quella di portare sotto controllo un’inflazione ormai cronica e inerziale
(cioè che si autoalimentava), un problema che dalla proclamazione della repubblica
nel 1889 aveva reso impossibile per il paese la realizzazione di tutto il suo potenzia-
88
Un gigante economico?
le. Anche durante il regime militare l’inflazione era stata inizialmente domata trami-
te l’indicizzazione, ma col tempo questa servì solo a contenerla tra due o tre cifre. Il
problema si aggravò nella seconda metà degli anni ’80 fino al 1993 quando
l’inflazione raggiunse il 2.700% – e il tasso d’interesse nominale quasi il 3.500% –
per cui i professionisti per i loro servizi cominciarono a esigere il pagamento in dol-
lari. Nel frattempo, la produttività del lavoro nell’industria era aumentata annual-
mente del 6% dal 1991 al 1999, ma il PIL declinava dal 5.95% nel 1994 a meno
dell’1% nel 1998 e 1999 e restava bassa la percentuale degli investimenti, a prezzi
correnti, pari a 20,8% del PIL nel 1994 e 19,7% nel 1998 (Baer, 2008: 405 Tab.A1 e
407 Tab. A3). La disoccupazione raggiunse livelli record mentre l’occupazione in-
formale rappresentava più della metà del totale25.
La crescente domanda di materie prime e prodotti di base materializzatasi
negli anni ’90 ha portato la maggior parte delle grandi imprese brasiliane dentro i
mercati globali e ora 3/5 della produzione industriale dell’AL ha luogo in Brasile, la
cui industria manifatturiera è la maggiore, la più diversificata e la più competitiva.
Da notare, però, che la quota del PIL generata dall’industria nel suo comples-
so è passata dal 40,9% nel 1980 al 28,1% del 2010 – vedi Tab. 2.3 – e ancora di più
si è ridotta la quota dell’industria manifatturiera – dal 19% a metà degli anni ’90 al
12,2% del 2000 e al 15% del 2011. A questo calo hanno certamente contribuito gli
alti tassi d’interesse e altri carichi interni, che è stato compensato, però, dal buon an-
damento “dell’industria estrattiva e del settore energetico, che ha oltrepassato il 7%,
da meno del 4% della metà degli anni ’90” (Goldstein e Trebeschi, 2012: 54). Resta
il fatto, però, che la minore produzione industriale ha contribuito alla riduzione del
tasso di crescita del PIL. Anche l’indice di Competitive Industrial Performance
dell’UNIDO, mostra che “la posizione competitiva del Brasile è leggermente peg-
giorata, al contrario di quanto accaduto in Cina (e nel resto dell’Asia orientale) dove
si è registrato un balzo in avanti”. L’industria brasiliana è anche fortemente polariz-
zata dato che il Sudeste “rappresenta il 79% del valore della trasformazione indu-
striale e il 88% dell’export”, con São Paulo e il suo hinterland che contribuiscono il
42% (Goldstein e Trebeschi, 2012: 71-72).
L’industria dell’acciaio è nata all’inizio degli anni ’40 con tre differenti impre-
se statali, in seguito riunite nella holding Siderbrás, sostenute dall’inizio, e ancora og-
gi, dal BNDES. Negli anni ’80 e poi con la privatizzazione nella decade successiva le
imprese della Siderbrás divennero altamente produttive e internazionalmente competi-
tive tanto che all’inizio degli anni 2000 il Brasile era l’ottavo produttore ed esportatore
mondiale d’acciaio. Gerdau, una delle tre originali imprese insieme a Usimonas e
CSN, con 30 impianti – 11 in Brasile e gli altri in AL, USA ed Europa – e quasi 28
mila impiegati, produce circa 15 milioni di tonnellate d’acciaio l’anno.
La sviluppata industria automobilistica brasiliana si distingue per il fatto che
il mercato automobilistico nazionale è interamente servito da multinazionali estere
da sempre localizzate nel paese dal quale esportano anche nella regione o fuori.
Tra le imprese ad alta intensità di capitale vi sono Braskem, una delle mag-
giori imprese chimiche al mondo, e grandi imprese nel settore di carta e cellulosa,
quali Fibria, Suzano, Klabib e Cenibra, che a loro volta hanno investito molto anche
all’estero. Molto diversificata è la Votorantim, attiva nel cemento, pasta di cellulosa
25
. La diffusione del lavoro informale deriva anche dalle tasse e dai benefici sociali che incidono sul
costo del lavoro e quindi sull’occupazione formale, per cui anche se c’è povertà e disoccupazione, il
costo del lavoro non è affatto basso.
89
Il Brasile e gli altri
e carta, alluminio e in altri settori legati alle risorse naturali, come succhi e minerali,
e a quelle idroelettriche.
L’industria d’estrazione e lavorazione dei minerali genera 2-4% del PIL e oc-
cupa circa 800 mila persone, il 5% del totale dell’industria, e non è da dimenticare
naturalmente il settore petrolifero che è dominato da Petrobrás, la terza compagnia
petrolifera mondiale la cui produzione nel 2011 ha raggiunto il massimo con una
media di 2,02 milioni di bpd (EIU, 2013 feb.: 24).
Nata negli anni ’40 come CVRD, l’impresa mineraria Vale si è sviluppata a
partire dalle miniere di ferro di Minas Gerais, dove ha creato un’efficiente rete di
trasporti, ed è poi passata ad altri minerali, in Amazzonia, e ha stretto joint ventures
nel campo dell’acciaio e dell’alluminio. Dopo la privatizzazione, Vale iniziò un ra-
pido processo d’internazionalizzazione, tramite acquisizioni e accordi di joint ventu-
res con imprese estere, preferendo la lavorazione dei minerali nella catena di produ-
zione oppure l’esplorazione mineraria (Amann, 2009: 214). Alla fine degli anni
2000, Vale era il maggiore produttore di minerale ferroso al mondo e il secondo di
nickel e ormai solo metà della sua produzione proviene dal Brasile, dove la maggio-
re area di rifornimento è il ricchissimo giacimento di Carajás, collegato al Porto di
São Luis, mentre l’energia necessaria per la produzione di alluminio viene
dall’invaso artificiale di Tucuruí26.
Altro colosso minerario è EBX, fondata nel 1980, basata sull'estrazione di
oro e minerale ferroso, ma diversificata in petrolio, energia, immobili e spettacolo
(Schneider, 2009: 162-67).
“Meno soddisfacente, scrivono Goldstein e Trebeschi (2012: 79), è la per-
formance dell’industria brasiliana di beni di capitale, in particolare nelle tecnologie
dell’informazione e delle comunicazioni” tanto che la partecipazione al valore ag-
giunto manifatturiero di questo settore è diminuita dal 14% del 1996 al 12% del
2005. Difficile, infine, la vita delle tradizionali industrie ad alta intensità di lavoro
“penalizzate dal tasso di cambio forte e dalla concorrenza (non di rado illegale, per
mezzo del contrabbando) cinese”, come dimostra l’industria tessile e
dell’abbigliamento, che “agli inizi degli anni ’90 rischiò quasi di scomparire, salvo
recuperare tra il 1996 e il 2005 grazie al sostegno del BNDES” e ora dà occupazione
al 17,3% della manodopera industriale. Terzo produttore di calzature al mondo, il
Brasile ne è il sesto consumatore e l’ottavo esportatore in valore.
Le piccole e medie imprese (PMI) rappresentano quasi il 20% del PIL e il
52% dell’impiego formale nel manifatturiero ma le loro esportazioni, anche se sono
aumentate, non superano l’1% del totale brasiliano.
***
Nel 2000 la spesa in R&S che in Brasile e Cina era grosso modo in entrambi pari
all’1% del PIL, nel 2009 è stata 1,2% in Brasile e 1,7% in Cina, la cui spesa in R&S
in valore assoluto è 6,5 volte quella brasiliana. Per di più, i risultati che si ottengono
con la spesa brasiliana non sono paragonabili a quelli che si ottengono altrove, an-
26
. Vale, che è il maggiore esportatore brasiliano, nacque come impresa di stato nel 1942 con il nome
Vale do Rio Doce (CVRD) e fu privatizzata nel 1997. Attualmente, ha più di 100 mila dipendenti e
opera in 30 paesi in cinque continenti, producendo minerale ferroso e pellets, nickel, carbone, allum-
inio, potassio, rame, manganese, leghe di ferro, caolino e acciaio..
90
Un gigante economico?
27
. Secondo i dati riportati da Bustillo (2012: 10 Tab.1) nel 2000-09 il Brasile ha avuto in media 682
ricercatori per ogni milione di abitanti; nel 2002-2004 la sua spesa per R&S è stata 0,94% del PIL, di
cui 47% fornita dallo stato; nel 2000-2006 ha ottenuto cumulativamente 738 brevetti dal Patent and
Trademark Office degli USA; e nel 2003 ha pubblicato 48 articoli scientifici e tecnici per ogni milio-
ne di abitanti (contro i 94 del Cile).
28
. Il 6 dicembre 2012 il Presidente Dilma Rousseff ha presentato il Programa de Investimento em
Logística: Portos di R54,2 miliardi ($26,1 miliardi) per migliorare l’infrastruttura dei porti e il loro
management, stimolare gli investimenti privati e accrescere la competitività brasiliana. Il programma
integra il Plano Nacional de Logística Integrada, presentato ad agosto, per strade e ferrovie. Nel
2012, gli investimenti pubblici hanno rappresentato più dell’8% del bilancio statale, ma sempre meno
del 13,2% del 2008 (TE, 2012 marzo: 48).
91
Il Brasile e gli altri
(il cosiddetto “quantitative easing”, cioè l’acquisto da parte della Federal Reserve di
ingenti quantità di obbligazioni stampando nuova moneta, praticata dal 2013 e imi-
tata anche dal Giappone per sostenere la ripresa e sconfiggere la deflazione)29 e i
massicci interventi delle autorità cinesi per mantenere basso il valore della propria
valuta, per sostenere le esportazioni e scoraggiare le importazioni, preoccupano non
poco il governo brasiliano, che all’inizio del 2012 ha reagito portando fino a 6% la
tassa sulle operazioni finanziarie, cioè sui prestiti esteri e sulle obbligazioni emesse
all’estero da imprese locali.
***
Nel 2011, l’economia brasiliana ha subito una forte frenata da parte del governo, per
mantenere sotto controllo l’inflazione che alla fine del 2010 aveva raggiunto il 5.9%,
tramite un pacchetto macroprudenziale che regolava le riserve obbligatorie e imponeva
restrizioni selettive e mirate ai requisiti di adeguatezza patrimoniale. Seguirono con-
venzionali restrizioni a gennaio e luglio (in totale 175 punti base), accompagnate
dall’aumento dell’avanzo primario del settore pubblico consolidato da 2,7% a 3,1%
del PIL (Mario Mesquita, 2012: 45). Ad agosto fu presentato il PBM che dimostra la
preoccupazione dell’amministrazione Rousseff e la determinazione ad appoggiare e
difendere il settore industriale del paese, la cui quota del PIL tra il 2000 e il 2011 è
diminuita dal 17,2% al 14,6%, il livello più basso dal 1947 (dati IBGE), mentre la per-
centuale dei manufatti esportati sul totale della produzione industriale è stata poco me-
no del 20%, dopo che nel 2004 aveva quasi raggiunto il 23%.
Il nuovo piano di politica industriale mira a migliorare la competitività delle
imprese nazionali nel contesto del rafforzamento della moneta nazionale e della cre-
scente concorrenza internazionale. I vari obiettivi fissati dal PBM includono aumen-
to del 3% della quota degli investimenti per portarla al 22,4% del PIL entro il 2014,
sostegno all’innovazione delle imprese, miglioramento del capitale umano e produ-
zioni che favoriscono la protezione dell’ambiente. Le nuove misure prevedono fi-
nanziamenti rimborsabili e riduzione del carico fiscale per migliorare la competitivi-
tà nei mercati interni e internazionali, stimolando l’innovazione tecnologica e au-
mentando il valore degli assets e dei servizi nazionali. Vengono anche aumentati gli
incentivi per le assunzioni. Molte di queste misure sono mirate a determinate indu-
strie e definite nei minimi dettagli. Le principali sono così riassunte dall’OCSE
(2011: 43): (i) sospensione fino a dicembre 2012 dei contributi aziendali per la pre-
videnza sociale per le imprese in sub settori con alta intensità di lavoro che operano
in abbigliamento, calzature, mobili e software. Le aziende sarebbero invece tassate,
secondo il settore, da un minimo 1,5% sulle entrate lorde. Specifici benefici sono
riservati al settore industriale; (ii) aumento dei finanziamenti e degli investimenti per
promuovere l’innovazione da parte del BNDES, che offre maggiore capitale
d’esercizio alle PMI tramite linee di credito che da 3,4 miliardi sono portate a R104
miliardi; e (iii) possibile concessione di trattamento preferenziale fino al 25% del
29
. In realtà, poiché le banche centrali di Washington e Tokyo hanno quasi azzerato il tasso
d’interesse a breve ed esaurito le tradizionali politiche monetarie, ora sono costrette a ricorrere a
misure poco convenzionali per stimolare la spesa interna e gli investimenti. L’eventuale riduzione
delle importazioni causata dall’indebolimento della moneta dovrebbe essere compensata dalle mag-
giori importazioni generate proprio dalla crescita della domanda interna. Purtroppo, il quantitative
easing non è consigliabile ad un paese con un alto rischio d’inflazione come il Brasile.
92
Un gigante economico?
differenziale di prezzo ai prodotti nazionali negli appalti pubblici. (iv) serie di misu-
re per incoraggiare le esportazioni e proteggere il mercato interno, compreso il rim-
borso di varie tasse pagate lungo la catena valoriale.
Poiché, però, il PBM non comporta alcun mutamento delle politiche macroe-
conomiche, in particolare del cambio fluttuante e degli alti tassi d’interesse come prin-
cipali strumenti per combattere l’inflazione30, molti dubitano che esso possa cambiare
la situazione. Inoltre, il PBM espande l’accesso all’acquisizione di beni strumentali per
migliorare l’innovazione, ma non indica un aumento delle risorse disponibili né con-
tiene misure effettive, salvo per il settore del software. La politica del PBM è stata an-
che criticata in quanto ricorda quella di sostituzione delle importazioni cui si fece ri-
corso negli anni ’70 e ’80. Questa politica, da alcuni chiamata un po’ forzatamente ISI
2.0, continua ad applicare alti dazi e varie altre barriere per proteggere gruppi naziona-
li e sostenere le priorità di industrie prescelte per cui i consumatori brasiliani pagano
prezzi stratosferici per molti beni importati. In questo modo, secondo Troyjo (2012),
più che una semplice protezione degli imprenditori brasiliani, si attua una “brasilizza-
zione” delle imprese che desiderano sfruttare il potenziale del mercato interno, impre-
se alle quali questa politica governativa offre una serie d’incentivi.
Quello dei servizi non finanziari è un settore estremamente eterogeneo che comprende
svariate attività, le maggiori delle quali sono commercio all’ingrosso e al dettaglio;
costruzione; riparazione di beni personali e casalinghi; trasporto per terra, aria e mare;
intermediazione finanziaria; posta e telecomunicazioni; attività immobiliare; affitti;
amministrazione pubblica, difesa, sicurezza sociale, istruzione, salute e servizi sociali.
Nel 2008 questo settore ha contribuito il 65,3% del valore aggiunto del PIL, è stato il
settore che ha ricevuto la quota maggiore degli investimenti diretti, cioè 38,5%, e tra-
dizionalmente è anche quello che ha prodotto più occupazione nel paese, 9,1 milioni
nel 2008 e 9,7 milioni nel 2009, di cui il 40% nei servizi “professionali, amministrativi
e complementari”, pari al 32% del valore aggiunto dell’intero settore (IBGE. 2009:
Fig. 1). Nel settore privato, il maggior numero di lavoratori è assorbito da alberghi,
ristoranti e bar e da negozi per riparazioni di vario tipo. La vendita al dettaglio e i ser-
vizi personali rappresentano il resto del settore privato. Ma è nel campo della tecnolo-
gia informatica31, dove l’occupazione sta crescendo più rapidamente.
Non considerando il settore delle materie prime, è “nei servizi che si trova la
maggior parte delle più grandi imprese brasiliane, specialmente in quei segmenti che
hanno sperimentato l’ espansione più rapida, come telefonia mobile, attività bancarie e
30
. Il nuovo approccio si basa più su una politica fiscale macroprudenziale e meno su una politica
monetaria convenzionale. Inoltre si è tollerata qualche deviazione del tasso d’inflazione dal valore
centrale di 4,5% che rappresenta l’obiettivo per mitigare la volatilità del PIL e per moderare gli in-
centivi all’arbitraggio del tasso d’interesse che potrebbe rafforzare il real. L’approccio ha invece ac-
cresciuto il ruolo del BCB come il guardiano della stabilità sia finanziaria sia dei prezzi (Mario Me-
squita, 2012: 45).
31
. Il mercato dei servizi delle telecomunicazioni è diviso da due distinti regimi e soffre per mancanza
di concorrenza nel segmento del fisso. In quest’ultimo, il “regime pubblico” impone alle imprese di
rispettare obiettivi di servizio universale e limiti fissati per i prezzi. Normalmente, in ogni stato vi è
un’impresa dominante. Nel “regime privato”, le imprese subiscono solo un minimo d’intervento
pubblico e i prezzi sono liberi, né vi sono restrizioni per gli investimenti esteri (OCSE, 2011: 118).
93
Il Brasile e gli altri
trasporto aereo”. Queste grandi imprese furono create negli anni ’30 e ’40 (imprese di
costruzione e di distribuzione al dettaglio) oppure tramite privatizzazione (telecomuni-
cazione) o anche per il ritiro dello stato (trasporto aereo). Tutte queste aree in altri pae-
si dell’AL sono state occupate da multinazionali, una denazionalizzazione che non si
riscontra in Brasile, perché queste imprese continuano a godere della protezione stata-
le. Le tre maggiori imprese di costruzione e ingegneria – Odebrecht, Camargo Corrêa
e Andrade Gutierrez – nacquero alla fine degli anni ’30 e inizio dei ’40, si svilupparo-
no negli anni ’50 grazie ad una serie di programmi governativi e negli anni ’80 comin-
ciarono a diversificarsi andando all’estero o entrando in nuovi settori in patria. Ode-
brecht, la maggiore delle tre e una delle poche grandi imprese originarie del Nordeste,
si è diversificata anche geograficamente, entrando nella petrochimica con la sussidiaria
Braskem che opera anche all’estero32. L’Andreade Gutierrez si è invece diversificata
nelle telecomunicazioni. Pão de Açucar è la maggiore impresa della grande distribu-
zione, ma le sue operazioni estere sono ancora limitate.
Nel 2008 l’export dei servizi è cresciuto del 27,9% più di quello relativo alle
merci, raggiungendo il record di $44,4 miliardi. Anche per i servizi la distribuzione
regionale non è molto omogenea e, cosa più importante, si è verificata un’inversione
nella loro localizzazione: mentre nel 1949 il Norte derivava il 58% del suo PIL dai
servizi e il Centro-Oeste il 48%, nel 1985 queste percentuali erano rispettivamente
44% e 71% (Baer, 2008: 247 Ta. 11.3 (a).
***
32
. La Odebrecht ha sviluppato una Odebrecht Managerial Technology che consiste in una flessibile
struttura organizzativa interna che devolve massima autonomia a ciascun manager, abolendo così la
tradizionale struttura gerarchica.
94
Un gigante economico?
che resta piccolo anche per gli standard latinoamericani. Infatti, alla fine del 2010 lo
stock obbligazionario brasiliano era circa lo 0,5% del PIL, quello argentino 1,8%,
quello messicano 3,4% e 14,6% il cileno. In Brasile le obbligazioni possono permet-
tersele solo poche principali imprese, per cui per le restanti il credito bancario rap-
presenta la fonte più importante di finanziamento (OCSE, 2011: 81). Il settore fi-
nanziario privato è dominato da tre banche – Itaú, Bradesco (la maggiore in Brasile
e in AL) e Unibanco – tutte tra i dieci maggiori gruppi del paese e sulla scia della
crisi 2007-08 salite anche nelle classificche internazionali, malgrado che siano state
più lente di altre imprese brasiliane a intraprendere operazioni all’estero, forse a
causa della protezione di cui hanno goduto in patria. Dalle ceneri di Varig, Tran-
sbrasil e Vasp sono emerse due nuove compagnie aeree low-cost – Tam e Gol – che
ora dominano il mercato interno, un duopolio che non rischia un’acquisizione
dall’estero, perché la proprietà straniera delle linee domestiche è sottoposta a varie
restrizioni (Schneider, 2009: 169-73).
Dalla metà degli anni ’90 lo sviluppo del sistema bancario e dei mercati di ca-
pitale ha svolto un ruolo importante nell’allocare le scarse risorse a imprese brasiliane
efficienti e produttive. In effetti, la crescita del settore finanziario, l’affermarsi del
mercato azionario e la liberalizzazione finanziaria sono strettamente collegati allo svi-
luppo economico del paese e non sarebbero stati possibili durante il periodo
d’iperinflazione che precedette l’adozione del Plano Real. Il sistema bancario è stato
utilizzato come uno strumento della politica governativa, che ha contribuito alla forte
crescita dei settori manifatturiero e industriale. Grazie anche alla liberalizzazione fi-
nanziaria e al deepening del settore bancario dopo le riforme del 1988 e del 1994-95,
nel 2009 tre delle prime dieci banche al mondo erano brasiliane (Roett, 2010: 120).
A metà del 1995 il Banco Econônomico, il settimo istituto bancario del Bra-
sile, fu lasciato fallire33, mentre altre banche minori vennero nazionalizzate per evi-
tare che facessero la stessa fine, ma il governo colse l’occasione per introdurre il
Programa de Estímulo à Reestruturação e ao Fortalecimento do Sistema Financeiro
Nacional (PROER) che inaspriva la normativa del settore, riduceva la partecipazione
statale e assegnava al BCB maggiori poteri di controllo e supervisone. Il PROER
conteneva anche un’assicurazione di R20.000 per garantire depositi bancari indivi-
duali. Il programma prevedeva la vendita dei buoni assets di banche problematiche,
liquidando in seguito le bad banks, e l’offerta d’interessi agevolati per i prestiti con-
cessi dal PROER per portare gli assets al livello dei depositi. L’anno successivo fu
introdotto il PROES, un programma simile al PROER, per risanare e privatizzare le
banche di proprietà degli stati e seriamente indebitate. Grazie agli incentivi concessi
per ridurre la partecipazione statale nelle attività bancarie, alla fine solo il 3% degli
attivi bancari è restato nelle mani pubbliche. “Il costo totale di PROER e PROES
ammontò al 10,4% del PIL, ma solo una piccola parte rappresentò un trasferimento
dai contribuenti ai banchieri, la maggior parte dei fondi utilizzati per rifinanziare gli
stati andò invece ai cittadini di São Paulo e altri grandi stati” (Fishlow, 2011: 61-
65). Al ridursi del numero delle banche è, però, aumentato il grado di concentrazio-
ne che negli anni successivi ha continuato a crescere, per cui “a fine 2011 le prime
dieci banche commerciali detenevano oltre il 74% degli attivi” (Goldstein e Trebe-
schi, 2012: 86-87). Il programma fu eliminato quando nel 2000 fu promulgata
la legge sulla responsabilità finanziaria che ha proibito l’uso di fondi pubblici per
33
. In effetti, nel 1996 il Banco Excel si fuse con il Banco Econômico.
95
Il Brasile e gli altri
34
. Non è facile spiegare perché i tassi d’interesse brasiliani siano così alti. Oltre l’ovvia spiegazione
della scarsità di risparmio interno, nella letteratura se ne trovano altre, e non necessariamente in con-
flitto con la prima, ma nessuna sembra sufficientemente convincente. Le spiegazioni possono inclu-
dere storia e fondamentali macroeconomici, come rigidità della spesa pubblica corrente alle riduzioni
e debole protezione del creditore (OCSE, 2011: 78 e 39).
35
. Nel periodo 1900-25 le aziende tessili brasiliane ottennero il 60% del capitale dalla collocazione di
azioni e obbligazioni in borsa, mentre il resto provenne dal reinvestimento degli utili (Carmagnani,
2003: 255).
36
. Storicamente, le imprese brasiliane – con l’eccezione delle grandi corporazioni che possono fa-
cilmente accedere ai mercati di capitale internazionali – sono contrarie a qualunque forma
d’indebitamento, il che comporta che gli investimenti siano fatti principalmente con gli utili non dis-
tribuiti. Di conseguenza, il tasso di formazione del capitale fisso è molto basso e gli alti tassi
d’interesse rappresentano un importante ostacolo per gli investimenti privati e perché il risparmio
96
Un gigante economico?
ammontarono in media al 7% del PIL, poi passati al 5% (EIU, 2012 dic.: 5). Con
l’aggravarsi della crisi globale, il BCB dall’agosto 2011 ha ridotto il tasso
d’interesse ufficiale di oltre 500 punti base e allentato le misure macroprudenziali,
anche per cercare di portare il tasso d’interesse reale del paese ai livelli delle altre
economie emergenti (FMI, 2012: 3).
Grafico 2.2.
raggiunga livelli compatibili con una rapida e sostenibile crescita economica (Franco e Vieira, 2010:
23).
97
Il Brasile e gli altri
2010 - % 2011 - %
Rinnovabili 121,2 - 45,1 120,1 - 44,1
Energia idroelettrica 37,7 - 4,0 39,9 - 14,6
Biomassa da canna 47,1 - 17,5 42,8. - 15,7
Biomassa tradizionale 26,0 - 10,0 26,3 - 9,7
Altre rinnovabili 10,4 - 3,9 11,1 - 4,1
Non rinnovabili 147,6 - 54,9 152,2 - 55,9
Petrolio e altri liquidi 101,7 - 37,8 105,2 - 38,6
Gas naturale 27,5 - 10,2 27,6 - 10,1
Carbome 14,5 - 5,4 15,2 - 5,7
Nucleare 3,9 - 1,5 4,1 - 1,5
37
. Studi recenti hanno scoperto che le centrali idroelettriche alimentate da grandi bacini idrici emet-
tono, a parità di potenziale produttivo, dieci volte più metano e anidride carbonica delle centrali ter-
moelettriche.
98
Un gigante economico?
il 14,6% e tutte le biomasse il 30,3%. Il restante 55,9% è fornito dalle energie non rin-
novabili, il 38,6% dal petrolio e il 10,1% dal gas (più dei due terzi di quello importato
proviene dalla Bolivia), il cui consumo sta crescendo, e il restante 5,7% dal carbone38
e dall’uranio (1,5%)39. Sempre nel 2011, il 30% dell’energia, di cui il 17% rinnovabi-
le, è stata utilizzata dal settore dei trasporti – dove la partecipazione del petrolio è di-
minuita nell’ultimo decennio e quella dei biocombustibili è aumentata – mentre il
9,5%, di cui il 68% rinnovabile, è stato usato dalle famiglie. Dal rinnovabile viene
l’85% dell’elettricità (il 79% è energia idroelettrica), contro il 20% nel mondo e il 18%
nei paesi OCSE. Il resto dell’energia elettrica è generato da altre fonti rinnovabili
(7%), combustibile fossile (12%) e nucleare (3%).
Anche le emissioni pro capite brasiliane sono molto basse. Nel 2008, secondo
l’OCSE (2011: 146 Tab. 4.3), le emissioni pro capite del Brasile sono ammontate a
1,8 CO2, contro 7,1 dell’UE e 16,9 degli USA. Contrariamente a quanto accade nella
maggioranza dei paesi il trasporto è responsabile solo per il 12% delle emissioni di
gas che aggravano l’effetto serra, l’energia e l’allevamento di bestiame per il 18%
ciascuno, mentre la deforestazione e gli incendi per il 42%.
Il Brasile è un gigante sia come produttore che consumatore d’energia e si sta
espandendo su entrambi a tassi esponenziali, ma questo settore, sottolinea Landau
(2010: 3) è “il tallone d’Achille del paese” non per scarsità di risorse naturali, ma
piuttosto a causa della loro cattiva gestione, dell’opprimente struttura regolativa e
della tassazione, e da una pianificazione energetica disfunzionale più che integrata.
In effetti, quello energetico è uno dei settori più politicizzati dell’economia brasilia-
na, e non solo, a causa della importanza strategica che riveste per lo sviluppo eco-
nomico del paese e per la sicurezza nazionale40, della natura chiaramente oligopoli-
stica del suo mercato e della forte presenza che storicamente gli stati hanno proietta-
to sui mercati interni come su quelli internazionali. Tuttavia, le svariate considera-
zioni economiche e tecniche che condizionano il mercato energetico, limitano le op-
zioni politiche e riducono le strategie interne e internazionali tra le quali i paesi pos-
sono scegliere. La politica ha sempre pervaso questo settore e, specialmente nelle
ultime amministrazioni, è stata caratterizzata dall’ideologia statista-interventista che
ha limitato gli investimenti esteri nelle infrastrutture energetiche.
È anche vero, però, che negli ultimi due decenni il Brasile ha rapidamente
modificato la propria strategia internazionale e la propria inserzione nei mercati
energetici mondiali. Dai primi anni ’90 sta sostituendo la strategia energetica mirata
all’autosufficienza41, che ha naturalmente massimizzato il ruolo dello stato, con una
politica che persegue maggiore sicurezza energetica basandosi su fattori interni, re-
gionali e internazionali, anche se il ruolo dello stato resta rilevante, specialmente per
38
. Tutte le miniere di carbone brasiliane sono localizzate nei tre stati più meridionali. Il carbone è
utilizzato principalmente per la generazione termica d’elettricità che si aggiunge a quella idrica.
39
. Il contributo del nucleare al consumo energetico è fornito dagli impianti di Angra I e Angra II,
impianti che furono costruiti durante il regime militare e il cui principale obiettivo probabilmente non
fu quello di produrre energia elettrica o semplicemente di apprendere come utilizzare la tecnologia
(Ubiraci e Narciso, 2009: 27 nota 2). I due impianti sono stati poi incorporati in quella di Almirante
Álvaro Alberto, situata a Angra dos Reis, nello stato di Rio de Janeiro.
40
. In Brasile, il settore energetico fu associato al concetto di sicurezza nazionale già durante la presi-
denza di Vargas, che creò Petrobrás, e ancor più durante il regime militare. E anche oggi la Petrobrás
resta uno strumento della politica statale malgrado che come impresa multinazionale dovrebbe ris-
pondere esclusivamente ai suoi azionisti, brasiliani e stranieri (Landau, 2007: 245).
41
. Ultimamente, l’autosufficienza del paese è ottenuta grazie a una produzione petrolifera giornaliera
di poco più di 2 milioni di barili, produzione che entro il 2016 dovrebbe raddoppiarsi.
99
Il Brasile e gli altri
il petrolio e per il gas. Secondo Ubiraci e Narciso (2009: 18-21 e 45), i fattori che
definiscono un’efficiente e sicura strategia energetica sono (i) quantità e qualità di
riserve o di risorse naturali; (ii) capacità tecnologica relativa all’intera catena ener-
getica42; (iii) disponibilità di capitale; (iv) infrastrutture per il trasporto energetico; e
(iv) accesso ai mercati di consumo. Di conseguenza, sono “maggiori potenze ener-
getiche” i paesi che possiedono tutti questi fattori, posizione che il Brasile sta rag-
giungendo rapidamente e con essa la possibilità di “guadagnarsi una presenza eco-
nomica e politica più assertiva nel mondo”.
Riserve d’idrocarburi sono state recentemente scoperte di fronte allo stato di
Rio de Janeiro, dove al largo delle coste sono localizzati l’81% dei giacimenti di pe-
trolio e il 48% di quelli di gas naturale, una zona, la cosiddetta pré-sal, a 7 mila me-
tri sotto il livello marino. Grazie a queste scoperte la produzione petrolifera brasilia-
na, secondo le previsioni del Short-Term Energy Outlook dell’EIA (Energy Informa-
tion Agency) (gennaio 2012), dovrebbe toccare nel 2013 3,0 milioni di bpd (barili di
petrolio al giorno), il che dovrebbe permettere al paese di diventare un esportatore
netto, anche se l’autosufficienza43 non è, però, ancora completamente assicurata, a
causa delle caratteristiche della produzione petrolifera e dello stato attuale delle raf-
finerie44. Infatti, da tempo il paese dipende dall’importazione di petrolio leggero
(l’Arabian light) dal MO, perché il petrolio nazionale è molto pesante e, quindi, po-
co adatto alla produzione dei derivati industriali. Le raffinerie sono state costruite
per trattare questo tipo di petrolio, per cui il Brasile esporta una parte del suo crudo e
importa quello leggero, insieme al diesel che è molto usato dai grossi camion da tra-
sporto. In altri termini, il paese importa carburante raffinato per il trasporto aereo,
ma allo stesso tempo esporta anche benzina, poiché la produzione supera il fabbiso-
gno nazionale. Un cambio enorme se si considera che fino al 1970 il Brasile produ-
ceva solo il 20% del suo fabbisogno petrolifero e oggi è l’11° produttore al mondo e
per il 2020 potrebbe essere il 5°.
Dopo le scoperte del pré-sal, il Brasile si appresta a diventare uno dei mag-
giori produttori di petrolio e un grande esportatore mondiale. Ed è per questo che
alla fine del 2010 Petrobrás non ha avuto difficoltà a piazzare sul mercato azioni per
$70 miliardi, anche se questa capitalizzazione ha creato qualche preoccupazione,
perché il maggiore controllo assunto dal governo nell’impresa ne potrebbe aumenta-
re la politicizzazione. I proibitivi costi della tecnologia per l’estrazione a più di 7
mila metri sotto il livello del mare rendono molto costoso il petrolio del pré-sal. Pe-
trobrás stima questi costi d’estrazione pari a $25 per barile, ma altre imprese parlano
di $45. Secondo Petrobrás e l’Agência Nacional do Petróleo, Gás Natural e Bio-
combustíveis” (ANP), le riserve provate superano i 14 miliardi di barili, le seconde
del Sudamerica, dopo il Venezuela. La direttrice dell’ANP Magda Chambriard a
metà 2001 ha affermato che il petrolio del pré-sal dovrebbe portare le riserve brasi-
liane di petrolio e gas a più di 50 miliardi di barili, ma per altri potrebbero anche es-
sere il doppio.
42
. Il fatto che il Brasile sia all’avanguardia per quanto concerne esplorazione ed estrazione di pet-
rolio e gas dalle profondità marine sarà cruciale per beneficiare al massimo degli enormi depositi
d’idrocarburi recentemente scoperti.
43
. L’autosufficienza petrolifera fu proclamata dal Presidente Lula il 1° maggio 2006 dalla piattafor-
ma P-50 ancorata nel Campos Basin a largo della costa brasiliana. In effetti, nel 2005 le esportazioni
di petrolio della Petrobrás superarono di poco le importazioni (Landau, 2007: 248).
44
. Petrobrás intende aumentare la capacità di raffinazione a più 3,1 milioni b/d entro il 2020 co-
struendo cinque nuovi impianti.
100
Un gigante economico?
***
45
. La marina militare brasiliana sta ripensando “la propria missione nell’ottica della difesa” dei depo-
siti di idrocarburi e della pesca, cioè un’area denominata “Amazônia Azul” che si estende per “3,6
milioni di km2, che potrebbero diventare 4,5 milioni qualora la Commissione della Piattaforma Con-
tinentale dell’ONU riconoscesse la legittimità della richiesta brasiliana di ricalcolare l’estensione del-
la piattaforma continentale”. E “così come nell’Amazzonia verde è stato implementato un complesso
sistema di copertura radar e aerea chiamato SIVAM (Sistema de Vigilância da Amazônia, entrato in
funzione nel 2002), che ha permesso di ridurre e controllare la presenza di aerei non identificati in
volo sopra la foresta, la protezione dell’Amazzonia azzurra costituisce la giustificazione principale
per gli ambiziosi programmi di acquisizione di navi e sommergibili – convenzionali e nucleari – ne-
cessari a difendere l’integrità territoriale, la sovranità e gli interessi marittimi del Brasile” (Gefter,
2011: 93-94).
46
. La rete di distribuzione del gas è formata da circa 7.200 chilometri di gasdotti, la gran parte nel
Nordeste e Sudeste. I due sistemi per molto tempo non sono stati integrati, il che ha ostacolato lo svi-
luppo della produzione e del consumo interno, ma all’inizio del 2010 finalmente il collegamento è
stato creato con il Gasoduto Sudeste-Nordeste (GASENE) che va da Rio de Janeiro fino a Bahia e nel
2009 Petrobrás ha completato la costruzione del gasdotto Urucu che connette Urucu a Manaus, un
progetto che dovrebbe facilitare lo sviluppo delle considerevoli riserve di gas dell’Amazzonia.
101
Il Brasile e gli altri
la politica dei prezzi più efficiente. Nonostante gli sforzi finora sostenuti per ridurre
la dipendenza dalla Bolivia, nel 2010 l’importazione di gas boliviano, secondo
l’ANP, è aumentata del 21% e nel 2011 ha raggiunto i 30 milioni di metri3 al giorno,
pari al 36% del proprio consumo. L’accordo che regola questo scambio fu firmato
nel 1999 ed è valido fino al 2019, quando la produzione brasiliana dovrebbe soddi-
sfare la domanda interna, ma è probabile che per ragioni politiche l’importazione
continui anche dopo quella data. Infatti, prosegue la discussione relativa
all’ampliamento del GASBOL, il gasdotto (operativo dal 1988) attraverso il quale il
gas boliviano arriva in Brasile, mentre Petrobrás continua a pianificare l’aumento
della produzione interna. Si prevede, spiega Gefter (2011: 90-93), che la produzione
domestica cresca fino ad arrivare nel 2030 a 250 milioni di m3 al giorno, mantenen-
do le importazioni a circa 70 milioni di m3 al giorno. Il 60% del gas è utilizzato
dall’industria, che sta progressivamente abbandonando l’olio combustibile.
Il paese sembra destinato a emergere in Sudamerica come un attore centrale
nei settori del petrolio e del gas, ma ci sono alcuni rischi a cominciare da quello di
contrarre la “malattia olandese” (Dutch disease)47, anche se il governo ha già creato
un fondo che assorbirà, e poi distribuirà per sostenere lo sviluppo sociale, l’eccesso
di liquidità generata dalle entrate provenienti dall’estrazione pré-sal.
Bisognerà però vedere come funzionerà il quadro normativo introdotto nel
2010 per assicurare al paese una quota maggiore di risorse e un più stretto controllo
sull’attività petrolifera in tutte le tappe del processo. E naturalmente, non meno im-
portante, è come queste risorse saranno ripartite tra gli stati e come saranno utilizza-
te a livello statale e federale. La stessa legge del 2010 ha creato un Fondo Social do
Pré-Sal e ha stabilito che le sue risorse vengano investite in istruzione, cultura, sport,
salute pubblica, scienza & tecnologia, ambiente e riduzione e adattamento al cam-
biamento climatico. Ma sono tutte queste decisioni che determineranno il fato del
Fondo Sociale previsto dalla nuova normativa.
Vi è poi il rischio che la crescita economica del paese continui a un tale ritmo
che la produzione dalle riserve pré-sal sia interamente assorbita dalla domanda in-
terna e quindi non si possa esportare petrolio (Landau, 2010: 5). Altri problemi che
possono accompagnare grandi scoperte di petrolio sono l’attrazione di capitali che
potevano essere investiti più vantaggiosamente altrove e la “reform fatigue”, ovvero
la perdita d’interesse per affrontare problemi economici strutturali.
47
. La “Dutch disease” si riferisce agli effetti di scoperte o aumenti dei prezzi di materie prime che,
causando rivalutazione del tasso di cambio, aumento dei consumi (effetto ricchezza) e riallocazione
dei fattori di produzione, portano alla deindustrializzazione tramite riduzione della produzione mani-
fatturiera e delle esportazioni nette. Generalizzando, l’esportazione di grandi quantità di risorse natu-
rali può ridurre la competitività di altri settori domestici e causarne la fine. Per questo è importante
che lo stato eserciti uno stretto controllo sul settore del petrolio e su quello del gas. Analizzando
l’impatto delle royalties distribuite ai vari stati brasiliani, Caselli e Michaels (2010) concludono che
gli effetti sono differenti da stato a stato ma nel complesso sembrano suggerire che l’effettivo flusso
di beni, servizi e trasferimenti ricevuto dalla popolazione non è proprio proporzionato all’aumento di
spesa dovuto alle nuove entrate. Gli inattesi guadagni derivati dal petrolio chiaramente non si tradu-
cono in un miglioramento della fornitura di beni pubblici o degli standard di vita della popolazione.
La differenza, che gli autori chiamano “missing money”, è apparentemente servita ad ampliare le case
degli impiegati municipali, forse perché appropriarsi delle royalties petrolifere è più facile che rubare
altri tipi di entrate pubbliche. Infine, le manifestazioni più importanti della “maledizione del petrolio”
riportate sopra si materializzano a livello nazionale.
102
Un gigante economico?
***
48
. Sempre secondo TE (05.11.10), la quota maggiore degli investimenti nel pré-sal verranno da Petr-
obrás che nel 2009 ha ottenuto $25 miliardi dalla vendita di azioni, prenderà a prestito altri $47 mili-
ardi nei prossimi anni e conta di ottenerne altri $14 miliardi dalla vendita di assets. Frattanto, Petrob-
rás ha intrapreso quasi 700 progetti connessi al pré-sal che costano più di $25 milioni l’uno e sta pia-
nificando investimenti per $224 miliardi per il periodo 2011-15. Ma per gran parte del 2011, il prez-
103
Il Brasile e gli altri
***
Nel paese si trovano anche enormi depositi d’olio di scisto (oil shale) di cui è già il
secondo produttore al mondo, dopo l’Estonia. Il gas naturale contribuisce una quota
ancora non rilevante del consumo nazionale e anche in questo caso Petrobrás eserci-
ta un ruolo importante, superiore anche a quello che esercita nel petrolio. Finora no-
tevoli quantità di gas sono state importate dalla Bolivia tramite un gasdotto di 3150
km (che da Santa Cruz de la Sierra entra in Mato Grosso do Sul a Corumbá e prose-
gue verso São Paulo, ma a Campinas un braccio arriva a Guararema mentre l’altro
scende fino a Porto Alegre). C’è il rischio, però, che dando la precedenza a petrolio
e gas, tutte le altre fonti energetiche siano ignorate.
In realtà, il Brasile è all’avanguardia nel settore dell’energia rinnovabile di
origine vegetale, cioè nella produzione di combustibili liquidi non fossili. Lo svilup-
po dell’industria dell’etanolo49, un’energia rinnovabile ed ecocompatibile, della cui
produzione il Brasile è ormai il secondo leader mondiale, utilizza proprio quella
canna da zucchero che per quasi cinque secoli, con alterne vicende, ha simboleggia-
to la dipendenza dell’economia del paese da quella internazionale. È stato il governo
militare, al quale lo shock petrolifero rivelò la vulnerabilità strategica creata da que-
sta nuova forma di dipendenza, a lanciare nel 1975 il programma ProÁlcool per ri-
cavare alcool dalla fermentazione delle biomasse e già dieci anni dopo più di tre
quarti delle 800 mila vetture prodotte nel paese, principalmente nello stato di São
Paulo, che ancora oggi è al centro di questa filiera produttiva, andavano a metano
estratto dalla canna da zucchero.
Quando, però, nel 1989 il prezzo mondiale dello zucchero aumentò sensibil-
mente, la produzione di etanolo fu abbandonata insieme a quella delle auto che lo
utilizzavano. La scoperta del motore “flex-fuel” – motore che può funzionare con
diversi carburanti – e la sua adozione da parte della Volkswagen, seguita poi dalle
altre case automobilistiche, riportò in auge l’etanolo. Oggi, praticamente tutte le au-
to prodotte nel paese hanno questo motore e il consumo di etanolo supera quello del-
la benzina, che comunque contiene un 25% di etanolo. Grazie a questa scoperta la
produzione di autovetture in Brasile è cresciuta molto rapidamente e ha attratto capi-
tali esteri, per cui il paese è diventato il quinto produttore mondiale di autovetture e
autocarri (Rohter, 2010: 184-85). Due terzi del consumo energetico brasiliano è usa-
to dai settori trasporti e industriale, particolarmente l’industria pesante, che sono an-
che i maggiori consumatori di biocombustibili. Specialmente il trasporto consuma
poco petrolio e gas e sempre più etanolo, o meglio il biodiesel, cioè un olio vegetale
adatto alla trazione o alla combustione ottenuto da oleaginose annuali, quali soia,
girasoli, arachidi, e soprattutto dal ricino, arbusto delle zone tropicali dal ciclo plu-
riennale in grado di adattarsi a condizioni pedologiche anche severe e a climi aridi
zo delle azioni della Petrobrás è diminuito a causa delle preoccupazioni per l’eccessiva estensione
degli impegni e per le molte interferenze politiche.
49
. Il Brasile è diventato un esportatore netto d’energia, grazie anche alla crescente produzione di eta-
nolo. Nel 1975 il governo, reagendo al rapido aumento del prezzo del petrolio, introdusse un pro-
gramma nazionale per promuovere la produzione e il consumo dell’etanolo da canna da zucchero.
Nel 2010 il Brasile ha prodotto 486 mila b/d di etanolo, di cui circa il 17% è stato esportato. Nel pae-
se l’etanolo puro è disponibile in quasi tutte le stazioni di servizio. Nel 2010, circolavano più di 10
milioni di macchine attrezzate con flex-fuel per cui ormai l’etanolo ha permesso di ridurre del 40% il
consumo di benzina. E presto dovrebbe essere possibile produrre biocombustibili di seconda genera-
zione da materie lignocellulosiche e da alghe.
104
Un gigante economico?
(Isenburg, 2006: 77). Lo sviluppo della produzione del biodiesel ha avuto un note-
vole impatto sociale, avendo contribuito a creare occupazione (circa 250 mila fami-
glie nel 2007) nelle aree meno sviluppate del Nordeste (Landau, 2007: 262). Inoltre,
il biodiesel e gli altri carburanti naturali stanno creando un effetto dipendenza nei
mercati dei paesi limitrofi.
Nuove tecnologie permettono inoltre di utilizzare anche il cascame generato
dalla produzione di quest’ultimo per creare energia termica da immettere sulla rete
di distribuzione elettrica (Ubiraci e Narciso, 2009: 24). La produzione complessiva
di energia da biomasse in quarant’anni è passata da 36 a 78 Mtep. Questa produzio-
ne non coinvolge la regione amazzonica, perché la canna da zucchero è coltivata
nelle zone costiere e temperate del Nordeste fino al sud, ma non nell’Amazzonia.
Anche la produzione del biodiesel con la soia non aggredisce l’ambiente e presenta
un rapporto economico dei più favorevoli per quanto concerne l’effetto serra.
La produzione di etanolo è, però, sempre meno considerata un’alternativa
ecologica “virtuosa” rispetto ai combustibili fossili, perché il suo processo produtti-
vo assorbe una grande quantità d’acqua dolce50, risorsa sempre più scarsa e preziosa,
e perché potrebbe sottrarre terra alle produzioni di alimenti e quindi contribuire
all’aumento dei loro prezzi. Proprio Al Gore, un paio d’anni fa, ha candidamente
ammesso che sull’etanolo “mi sono sbagliato”. Il governo brasiliano sostiene che la
critica non è molto pertinente nel caso dell’etanolo brasiliano; perché certamente più
pulito in termini di emissione d’anidride carbonica; perché l’incidenza della coltiva-
zione della canna sull’aumento del costo degli alimenti è tutta da dimostrare, mentre
è invece ampiamente dimostrata nel caso dell’etanolo estratto dal mais, come è quel-
lo statunitense; perché “nessuno studio attendibile lega la ripresa del disboscamento
amazzonico all’investimento del governo brasiliano sui carburanti alternativi”; per-
ché non è dimostrato che l’acqua usata per l’etanolo finisca per essere sottratta ad
altre coltivazioni; e perché, infine, le coltivazioni dirette alla produzione di etanolo
non occupano più dell’1% delle terre arabili. Al che va aggiunto che l’etanolo da
canna costa molto meno di quello da mais, una differenza dovuta soprattutto alla
tecnologia brasiliana (Giappichini, 2011: 401-09).
Mentre la quantità di gas naturale proveniente dalla Bolivia resta insufficien-
te a causa, tra l’altro, della nazionalizzazione eseguita nel 2006 dal governo Mora-
les, che ha messo a rischio l’approvvigionamento elettrico del Brasile, all’inizio del
2008 Petrobrás ha annunciato la scoperta di una megariserva di questo carburante a
Bacia de Santos, presso quella di Tupi, e alla quale è stato dato il nome di Júpiter.
Con una capacità stimata tra 5 e 8 miliardi di barili, Júpiter potrebbe produrre 100
mila barili di petrolio e 5 milioni di metri cubi di gas al giorno. In questo modo sa-
rebbe assicurata l’indipendenza energetica e il paese potrebbe diventare un impor-
tante esportatore. Bacia de Santos dista dalla costa dello stato di Rio de Janeiro quasi
300 km, per cui per essere trasportato il gas dovrebbe essere liquefatto. Oltre a quel-
lo boliviano, il Brasile importa gas liquefatto (LNG) da Trinidad e Tobago, Qatar e
Nigeria51.
50
. Contrariamente all’etanolo estratto dal granturco, quello proveniente dalla canna da zucchero pro-
duce otto volte più energia di quanta ne assorba la sua produzione.
51
. Il Brasile ha due terminali per rigassificazione, il Pecem nel Nordeste e il Guanabara Bay nel Su-
deste con una capacità totale di 740 milioni di piedi cubi. Petrobrás ha deciso di costruire un terzo
terminale entro il 2013 con una capacità di 495 milioni di piedi cubi.
105
Il Brasile e gli altri
Per ora, però, il gas resta scarso tanto che quando la Bolivia ha proposto di
ridurre le esportazioni al Brasile per aumentare quelle dirette all’Argentina, che da
mesi si confrontava con una difficile situazione energetica, il Brasile si è opposto,
anche se ha promesso di vendere a quest’ultima più energia elettrica.
***
Oltre petrolio e gas, il Brasile è dotato di varie altre fonti di energia rinnovabile: tre
maggiori sistemi fluviali, incluso il bacino amazzonico, potenza solare ed eolica pra-
ticamente illimitate, anche se non ancora sfruttate, e, infine, notevoli depositi di ura-
nio – le seste riserve comprovate al mondo – e torio. Gestire “quest’abbondanza ri-
chiede, però, disciplina e pianificazione di lungo termine, due qualità che in Brasile
sono state sempre scarse” (Rohter, 2010: 172).
Lo sfruttamento delle risorse idriche fu iniziato negli anni ‘60 e ’70 dal regi-
me militare, che non si curò troppo dell’impatto sociale e ambientale causato dalla
costruzione di dighe. Questo ha dato un’immagine negativa dell’energia idrica che si
stenta a cancellare del tutto, per cui solo una metà dell’enorme potenziale idroelet-
trico è sfruttata. Per di più, le aree che potrebbero essere utilizzate per la costruzione
di nuove centrali elettriche sono sempre più lontane dalle zone di maggiore consu-
mo, per cui si richiedono lunghe vie di trasmissione, oppure si trovano in regioni che
ambientalisti e popolazioni indigene sono pronti a proteggere. Infine, per evitare
eventuali interruzioni della fornitura elettrica a causa delle siccità, si preferisce po-
tenziare generatori che utilizzano gas naturale o anche reattori nucleari. Anche il gas
boliviano è, però, esposto agli eventi politici, quindi la fornitura elettrica continua a
essere aleatoria.
La centrale bi-nazionale di Itaipú, al confine con il Paraguay, inaugurata nel
1984 rimane cruciale per la sicurezza energetica del paese. Con una capacità di
14GW, Itaipú fornisce da sola il 20% dell’energia elettrica consumata in Brasile. Le
centrali idroelettriche esistenti sono 140 e si prevede di costruirne altre 177 da me-
no di 30MW, 28 della quali lungo i fiumi amazzonici, per un totale di altri 30GW.
Le dighe e le centrali nell’Amazzonia sono le più contestate da ambientalisti e difen-
sori dei diritti delle popolazioni indigene. Particolarmente contestato, il progetto per
la centrale di Belo Monte, sul fiume Xingu, nel Parà, che dovrebbero occupare per
importanza il terzo posto al mondo, dopo Itaipú e la diga delle Tre Gole in Cina. I
piani governativi mirano a “integrare i grandi centri di consumo di Minas Gerais,
São Paulo e Rio de Janeiro con le regioni settentrionali e centro-occidentali, dove si
concentra il maggiore potenziale energetico ancora da sfruttare” (Gefter, 2011: 88).
Nel complesso, gli impianti idrici in funzione sono almeno 450, di dimensioni molto
differenti, e forniscono l’80% dell’energia elettrica utilizzata nel paese. Oltre quella
di Itaipú, due opere sovradimensionate sono quella di Balbina sull’Uatumá, un af-
fluente del Rio delle Amazzoni, per rifornire Manaus e quella di Tucuruí sul Tocan-
tins, per garantire energia al complesso minerario di Carajás (Isenburg, 2006: 71-
73)52. Nel 2010 il Brasile ha generato 401 miliardi di kilowattora da impianti, ma la
maggior parte delle centrali idroelettriche sono localizzate lontano dai maggiori cen-
tri di domanda per cui le perdite per trasmissione e distribuzione sono alte.
52
. Anche in Brasile la costruzione di grandi dighe ha costretto più di un milione di persone a emig-
rare loro malgrado, per cui è nato il Movimento dos Atingidos por Barrages (Movimento dei colpiti
dalle dighe).
106
Un gigante economico?
Dalla metà degli anni ’80 è stata abolita, però, la tassa sul consumo elettrico,
il che ha privato Eletrobrás di un’importante fonte di risorse, mentre le agenzie in-
ternazionali di sviluppo esitavano a fornire prestiti privilegiati a causa del clamore
creato dai verdi sull’impatto negativo delle dighe. Nel 1995, Eletrobrás perse la po-
sizione monopolista quando la distribuzione dell’elettricità fu aperta ai privati, per
cui oggi il governo ha solo il 52% delle azioni di quella che è la maggiore azienda
elettrica di pubblica utilità dell’AL, un’azienda che genera e trasporta il 60%
dell’elettricità del paese e gestisce una capacità installata di 40GW.
Nell’ultima decade del secolo scorso, la capacità installata è cresciuta del
32%, mentre il consumo è aumentato del 58%, per cui nel 2001 e nel 2004, a causa
anche della severa siccità, il sistema entrò in crisi e si dovette ricorrere al raziona-
mento e a tagli dei consumi con conseguente riduzione della produzione industriale
del paese la cui crescita nel 2001 crollava a 1,31%. Tale crollo contribuì l’anno se-
guente alla vittoria di Lula (Rohter, 2010: 196) che, subito dopo la sua elezione, de-
cise di costruire grandi dighe sul fiume Xingu a Belo Monte nell’Amazzonia orien-
tale (11,3 GW) e sul fiume Madeira a SantoAntônio-Jirau nell’Amazzonia occiden-
tale (6,4 GW). Entrambi i progetti sono stati fortemente osteggiati dagli ambientali-
sti e dai gruppi indigeni, anche perché le lunghissime linee di trasmissione che ri-
chiedono per portare l’elettricità al sud del paese creano problemi ambientali e ri-
schiano di perdere per dissipazione non meno del 30% dell’elettricità generata. Nel
2012, la costruzioni sul Madeira è stata bloccata da un tribunale, ma i lavori sem-
brano continuare. Ad agosto 2012 un tribunale federale ha fermato anche la costru-
zione della diga di Belo Monte, ma ora i lavori sono ripresi e dovrebbero essere ul-
timati entro il 2019, con un costo superiore ai $14 miliardi.
Inoltre, le maggiori beneficiarie di questi progetti sarebbero le imprese cinesi,
interessate a estrarre e lavorare alluminio, acciaio, rame e nickel da esportare poi in
Cina, piuttosto che a sviluppare produzioni industriali in Brasile (Rohter, 2010: 197-
98). Ad ogni modo nei prossimi dieci anni si prevede un aumento della generazione
di energia elettrica del 68,7%, ovvero da 112 GW a 189 GW. Al momento, il Brasile
importa carbone per le sue acciaierie, gas per uso industriale dalla Bolivia ed elettri-
cità, un terzo dell’offerta nazionale, dal Paraguay, cioè ricompra parte del 50% della
produzione generata dalla centrale di Itaipú che spetta al Paraguay, ma che questo
non utilizza.
Naturalmente, il consumo di elettricità non farà che aumentare sia per soste-
nere la produzione sia per soddisfare i bisogni delle persone e delle famiglie. Fortu-
natamente quasi metà del consumo totale d’energia proviene da combustibili rinno-
vabili scarsamente inquinanti e il ricorso al carbone, già basso, dovrebbe ulterior-
mente diminuire con l’entrata in funzione delle grandi dighe in costruzione.
L’amministrazione Lula ha proposto un Piano Decennale di Espansione
dell’Energia Elettrica 2006-15 per promuovere un maggiore utilizzo del potenziale
idroelettrico e nel 2009 un Plan Nacional de Energia 2030 (PNE2030) per ridurre il
consumo interno di petrolio e derivati e aumentare, invece, quello del gas e delle
energie rinnovabili da biomassa. Il che sembra indicare la decisione di dedicare la
maggior parte del petrolio pré-sal all’esportazione e di spingere il mercato interno a
utilizzare al massimo l’etanolo, sempre più importante per il trasporto nazionale sia
privato che commerciale. Il PNE2030 prevede anche di ridurre leggermente l’uso
dell’energia idroelettrica e aumentare quella termica, eolica e da biomasse. Per rea-
lizzare il PNE2030 saranno necessari investimenti annui dell’ordine di $30 miliardi,
pari a più del 2% del PIL.
107
Il Brasile e gli altri
Gli impianti idroelettrici generano più del 70% dell’elettricità, una produzio-
ne di 121 mila MW che, però, tende a ridursi durante i periodi di siccità. Sebbene il
governo abbia promesso di aumentare di circa 8.500 MW la produzione elettrica e di
aggiungere altri 8 mila chilometri alla rete di trasmissione, alla fine si dovrà arrivare
a ridurre la quota dell’idroelettrico e aumentare quella delle centrali termali alimen-
tate da combustile fossile.
***
***
53
. Questa utility, creata nel 1962 durante la presidenza di João Goulart, guida un sistema di sei sussi-
diare, sei imprese di distribuzione e possiede il 50% del capitale azionario di Itaipú Binational, la
joint venture dei governi del Paraguay e del Brasile che possiede la centrale elettrica di Itaipú. Eletr-
obras produce e distribuisce il 60% circa dell’offerta elettrica del paese e h un capacità produttiva di
circa 40 GW, in gran parte generata da centrali idroelettriche. Il governo federale possiede il 52%
delle azioni, che sono scambiate sia alla Bovespa che alla Borsa di New York e di Madrid.
54
. Si calcola che ogni brasiliano resti senza luce in media 18 ore all’anno.
108
Un gigante economico?
estrarlo e raffinarlo, ma anche alle importanti misure prese proprio per difendere
l’ambiente.
Indubbiamente, la continua crescita economica del paese sta acuendo i pro-
blemi ambientali, anche se simultaneamente si moltiplicano i mezzi economici per
affrontarli. Da notare, però, che nel periodo 2005-09 il Brasile ha ridotto le emissio-
ni annuali di carbonio del 5% ed ha anche ottenuto un tasso di crescita economica
del 3.5% l’anno. Un successo unico al mondo riconducibile alla composizione delle
sue emissione di carbonio – dovute a deforestazione e all’allevamento di bestiame –
per cui è stato possibile ridurre gradualmente il livello di queste emissioni a un costo
relativamente basso per lo sviluppo economico.
Lo sfruttamento delle risorse petrolifere del pré-sal rischia di causare danni
ambientali e danneggiare seriamente l’“Amazzonia blu”, mentre la deforestazione
della foresta pluviale amazzonica resta la maggiore fonte di emissione di gas serra.
Ed è proprio per limitare questa deforestazione che dal 2003 il governo brasiliano ha
messo a punto il Plano de Ação para a Prevenção e Controle do Desmatamento na
Amazônia Legal, creato ampi sistemi di monitoraggio da terra e dal cielo e istituita il
PBF che retribuisce azioni volte a a proteggere la foresta. Infine, il Brasile ha prepa-
rato un piano per la volontaria riduzione entro il 2020 di circa la metà delle emissio-
ni del gas serra per unità di PIL. In realtà, la deforestazione amazzonica si è già ri-
dotta a un terzo rispetto al 2004. Ciò non toglie, però, che il paese potrebbe dover
affrontare notevoli problemi a causa del cambiamento climatico, cioè minore dispo-
nibilità di acqua e quindi di energia idroelettrica, e una più bassa resa dei raccolti nel
Centro-Oeste e nel Nordeste.
Sembra quindi che il Brasile sia sul punto di lasciare la propria impronta a livello
mondiale con una matrice energetica che va oltre il graduale esaurimento del petro-
lio e con la creazione di una nuova industria strategica che presenta dimensioni ve-
ramente geopolitiche. Infatti, se correttamente gestita, la tecnologia brasiliana per la
trasformazione della canna da zucchero e altre piante in etanolo e altri tipi di biocar-
buranti può essere trasferita ai PVS che, a cominciare da quelli lusofoni africani, di-
spongono ancora di molta terra arabile.
109
Il Brasile e gli altri
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Un gigante economico?
Il Brasile ha dovuto affrontare a lungo, più di qualsiasi paese emergente, una forte e
volatile inflazione che fu moderatamente alta negli anni ’70 (media 69%), decisa-
mente alta nel periodo 1980–88 (media 279%), per diventare iperinflazione nel
1989-1994 (media 1.450%), domata infine per mezzo di alti tassi reali d’interesse.
Poiché durante la guerra le esportazioni brasiliane erano cresciute molto,
mentre le importazioni erano crollate, il paese si trovò ad aver accumulato riserve
estere per più di $700 milioni. All’inizio del 1945 fu introdotto un regime cambiario
del tutto libero, salvo alcune restrizioni per il rimpatrio dei profitti, ma il cambio del
cruzeiro fu mantenuto al valore pre-bellico fino al 1953. Con questo cambio la mo-
neta nazionale, già sopravvalutata nell’anteguerra, lo divenne ancor di più quando i
prezzi interni continuarono ad aumentare. La costante sopravvalutazione del cruzei-
ro veniva giustificata dal desiderio di soddisfare una repressa domanda
55
. Questa voce indica tasse e contributi obbligatori che un’impresa di media grandezza deve pagare
in un dato anno, più il carico amministrativo che questo pagamento comporta.
111
Il Brasile e gli altri
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Un gigante economico?
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Il Brasile e gli altri
moratoria imposta al debito messicano dell’estate 1982, quando le riserve nette della
BCB si esaurirono, mentre il servizio del debito assorbiva l’83% delle entrate dalle
esportazioni. Alla fine del 1982 il governo dovette rivolgersi al FMI che impose il
solito programma d’austerità, ma il complesso processo di rinegoziazione del debito
si protrasse fino al 1994 quando finalmente fu raggiunto un accordo che prevedeva
pagamenti anche trentennali.
La relazione con l’FMI fu da subito molto difficile e l’effetto della cura fu
una riduzione del tasso di crescita reale del PIL del 5,1% e del PIL pro capite
dell’11,2%. Specialmente nel settore industriale, l’inflazione raggiunse il 211% e il
224% nel 1983 e 1984, la formazione di capitale diminuì, ma aumentò il surplus
commerciale, surplus che in verità aveva cominciato a materializzarsi già dal 1981.
Chiaramente, “le politiche che generarono grandi surplus commerciali e permisero
che si continuassero a pagare gli interessi sul debito estero portarono anche
all’aumento delle pressioni inflazioniste domestiche e alla caduta degli investimenti
… e al trasferimento all’estero di risorse per un valore pari al 5% del PIL nel 1982 e
nel 1984”. La struttura settoriale sperimentò un declino dell’industria, specialmente
del settore manifatturiero e un aumento dei servizi (Baer, 2008: 87-89).
Le origini dell’inflazione degli anni ‘70 e ’80 sono identificate nelle politiche
monetarie e fiscali e negli shock agricoli, cioè negli strumenti di politica economica uti-
lizzati dal governo (analisi ortodossa o monetarista), oppure nel potere monopolistico di
imprese, sindacati e stato, cioè nel “capitalismo tecno-burocratico” che genera un infor-
male processo di indicizzazione e quindi una “inflazione inerziale” (analisi strutturalista).
Ad ogni modo, fu rilevante una serie di shock esterni, come l’aumento del prezzo del
petrolio del 1973-74 e del 1979 (il primo shock che quasi immediatamente pose fine al
cosiddetto “miracolo brasiliano” dei primi anni ’70)56, l’aumento dei tassi d’interesse
mondiali, le forti svalutazione del 1979 e del 1983 e alcuni disastri naturali come siccità
o inondazioni che fecero salire i prezzi degli alimenti. Ma c’erano anche, spiega Baer
(2008: 107-08), due meccanismi atti a propagare l’inflazione: la capacità di vari settori di
trasferire ai propri prodotti gli aumenti dei costi di produzione e quello di far sì che lo
stato compensasse le riduzioni di reddito causate dall’inflazione. A questi due meccani-
smi, nel 1979 se n’era aggiunto un terzo, cioè l’indicizzazione dei salari. Tuttavia, cru-
ciale restò il notevole aumento dell’offerta monetaria che nel caso del Brasile venne uti-
lizzata non solo per finanziare i deficit statali, ma anche per fornire prestiti sussidiati al
settore privato.
A febbraio 1986, il Presidente Sarney (1985-90) congelò i prezzi dei beni fi-
nali, i salari, gli affitti e i mutui; introdusse un sistema d’indicizzazione che aumen-
tava i salari solo quando l’indice dei prezzi saliva di 20 punti percentuali; e sostituì il
cruzeiro (Cr) con il cruzado (Cz) (Cz1=Cr1.000 e $1=Cz13,84). Gli effetti immedia-
ti del “Piano cruzado” furono “spettacolari”: l’inflazione si ridusse, l’attività eco-
nomica riprese e le esportazioni aumentarono, ma dopo qualche mese anche i salari
cominciarono a crescere e tornarono, intensificati, tutti i problemi precedenti
all’introduzione del cruzado.Tuttavia la crescita economica continuò, anche se trai-
56
. Durante il regime militare il risparmio pubblico raggiunse il più alto livello storico, sommandosi a
quello privato e a quello estero (cioè il disavanzo della bilancia delle partite correnti) nel sostenere il
livello degli investimenti oltre il 25% del PIL. Il tasso di crescita medio dell’economia brasiliana nel
periodo 1967-78 fu 9,5%, lo stesso della Cina negli anni 1990-2000. Anche se esistono similarità tra i
due modelli, sfortunatamente il miracolo brasiliano non è durato, però, tanto quanto quello cinese
(Franco e Vieira, 2010: 7-8).
114
Un gigante economico?
nata dalla spesa per i consumi, spesa alimentata dai fondi liberati dal rapido muta-
mento delle aspettative inflazioniste creato dal Piano cruzado (the wealth effect). Ma
a metà del 1986 gli investimenti esteri crollarono, mentre crescevano il rimpatrio dei
profitti e la fuga di capitali, per cui alla fine dell’anno fu lanciato il Piano cruzado II
che, però, rafforzò l’inflazione, tanto che a febbraio 1987 il governo dovette dichia-
rare la moratoria unilaterale. Il debito pubblico continuava a crescere senza che il
governo potesse fare molto per fermarlo, perché in questo contesto era sempre più
difficile introdurre una politica fiscale e monetaria. Il 1987 vide anche un Piano
Bresser che falli rapidamente a causa dell’incapacità di controllare il deficit di bilan-
cio. Anche più breve fu la vita del Plano Verão (Piano estate) del 1989. Frattanto,
una crescente quantità di fondi finiva nel settore finanziario e conseguentemente di-
minuiva l’attività economica (Baer, 2008: 110-19). La finanziarizzazione
dell’economia brasiliana era iniziata.
Appena assunto il potere nel 1990, il Presidente Fernando Collor de Melo
(1990-92) emanò una serie di misure (Collor I) con le quali furono congelati tutti i de-
positi superiori a Cr50.000; si tornò al cruzeiro (Cr); si congelarono prezzi e salari, con
la possibilità di aggiustamenti nel tempo; si indicizzarono le tasse; si aumentarono i
prezzi dei servizi pubblici; e si parlò di eliminare 360 mila posti di lavoro nel settore
pubblico. L’effetto immediato fu la recessione – il PIL del 1990 diminuì a -4,4% –,
quello a lungo termine fu la riduzione del rapporto debito/PIL che passò da 16,5% nel
1990 a 12,2% nel 1991. Iniziò in quel periodo un processo di liberalizzazione degli
scambi internazionali. L’incapacità di controllare l’inflazione portò alla formulazione
del piano Collor II che ripeteva alcune delle misure del Collor I, come il congelamento
di prezzi e salari e l’estinzione di varie forme d’indicizzazione, ma dava maggior peso
al management dei flussi di cassa e allo stretto controllo dei bilanci delle imprese pub-
bliche, congelava i bilanci dei ministeri e riduceva i trasferimenti finanziari a stati e
municipi (Roett, 2010: 85). L’espansione monetaria non fu però fermata e l’inflazione
riprese fiato, per cui a ottobre del 1991 il mercato dei cambi entrò in crisi e si scatenò
una forte speculazione contro il cruzeiro.
In realtà, i primi cinque anni della “Nuova Repubblica”, spiegano Franco e
Vieira (2010: 8), furono caratterizzati da un’esplosione di richieste sociali, espres-
sioni della nuova Costituzione del 1988, che gonfiarono il bilancio dello stato e fini-
rono per causare una crisi fiscale e l’iperinflazione a dimostrazione di come sia dif-
ficile soddisfare le richieste di sicurezza sociale, salute, istruzione – il cosiddetto
“debito sociale” – e allo stesso tempo realizzare ambiziosi programmi pubblici
d’investimento e fare accettare alla classe più ricca un maggiore carico fiscale.
Alla fine del 1992, Collor dovette dimettersi e a maggio 1993 fu nominato
ministro delle Finanze Fernando Henrique Cardoso che con un gruppo di “giovani e
prammatici economisti” (Roett, 2010: 86) disegnò e presentò a dicembre del 1993 il
Plano Real che non differiva molto dal Plano Cruzado del 1986, salvo per l’enfasi
posta fin dall’inizio sull’austerità fiscale e per essere un “piano d’azione immediata”
da discutere con il Parlamento e dibattere pubblicamente. Gli elementi centrali del
piano erano (i) taglio della spesa pubblica di circa $6 miliardi (pari al 9% della spesa
federale e 2,5% di quella a tutti gli altri livelli amministrativi; (ii) indicizzazione ge-
nerale di tutti i prezzi il cui indicatore era una “unità reale di valore” (URV) pari a
un dollaro; (iii) inasprimento della riscossione fiscale e della lotta all’evasione; (iv)
creazione del Fondo d’emergenza sociale per aiutare le classi più basse a far fronte
all’aggiustamento fiscale; (v) introduzione (1° luglio 1994) di una nuova moneta, il
real, agganciata (pegged) al dollaro; e (vi) politica monetaria restrittiva e alti tassi
115
Il Brasile e gli altri
***
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Un gigante economico?
***
Nella visione di Cardoso, capitale e tecnologia sono strumenti importanti per realiz-
zare riforme regolatrici, un pretesto esterno per smantellare tradizionali strutture di
potere fondate sulla capacità di distribuire favori e sospendere regole. Anzi, Cardo-
so, rielaborando la teoria della dipendenza, interpretò anche l’interdipendenza della
globalizzazione come lo strumento per rimodellare radicalmente il carattere
dell’economia nazionale58. Tuttavia, per offrire una qualche protezione a industrie
57
. Con l’“inflation targeting” la politica monetaria è formulata in modo tale da centrare l’obiettivo
finale, cioè il tasso d’inflazione, invece di obiettivi intermedi, per cui la BC varia il tasso d’interesse
a seconda delle deviazioni dell’inflazione dal target e della produzione dal suo valore naturale. Nel
caso del Brasile il tasso d’interesse risponde alle deviazioni dell’inflazione attesa rispetto
all’obiettivo stabilito, il che consente di evitare al BCB di dover intervenire ogni volta che
l’inflazione effettiva differisce dal target, provocando repentini balzi del tasso d’interesse che potreb-
bero rivelarsi destabilizzanti per il sistema finanziario. Dal 2006 l’obiettivo d’inflazione è al 4,5%,
con una variazione del 2% (Mori, 2001: 55). Una grossa limitazione dell’“inflation targeting” è quel-
la di subordinare tutte le altre politiche al contenimento dell’inflazione.
58
. La rielaborazione da parte di Cardoso della teoria della dipendenza nasce dal tentativo di spiegare il
regime militare brasiliano, un regime che non è semplicemente un ritorno al passato – cioè all’Estado
Novo di Vargas, come sostenuto da Skidmore (1973: 43) –, ma l’emergere e l’affermarsi di un nuovo
processo di associated-dependent development. Il regime rappresenta quindi “una fondamentale
ristrutturazione della polity, ristrutturazione strettamente correlata con i cambiamenti economici e sociali
che cominciarono a manifestarsi alla fine degli anni ’50 e che ora avanzano a un ritmo più rapido”.
Questa nuova dipendenza, dovuta all’emergere di una nuova divisione internazionale del lavoro, creata
dalle imprese multinazionali con i loro “massicci IDE per produrre e vendere beni di consumo alle cre-
scenti ricche classi medie urbane, è compatibile, anzi dipende da una rapida crescita economica di al-
meno alcuni settori dell’economia dipendente”. Tale crescita “implica una precisa articolazione con il
mercato internazionale e richiede connessioni tecnologiche, finanziarie, organizzative e di mercato che
solo le multinazionali possono assicurare”. Inoltre, il modello dell’associated-dependent development
“ha certamente un effetto marginalizzante … e si basa su concentrazione del reddito e crescente miseria
relativa” (Cardoso, 1973: 142, 149 e 157). In un’intervista del 1998 Cardoso sostenne che le stesse forze
che contribuirono alla creazione dell’associated-dependent development spinsero per una riaffermazione
dei principi di libero mercato e liberalismo politico, lasciando, però, lo stato privo di una autonoma solu-
zione per affrontare le sfide della globalizzazione.
117
Il Brasile e gli altri
118
Un gigante economico?
tata, nonostante le pressioni per una politica monetaria più espansiva. Recentemente,
il tasso d’interesse interbancario59 è gradualmente diminuito dal 12% di agosto 2011
al 7,25% di ottobre 2012 e poiché a quel livello si tratta di tasso chiaramente infla-
zionario, l’EIU (nov. 2012: 5) stima che presto verrà portato a 8-9%, dando così ini-
zio a un nuovo ciclo di contrazione monetaria. Il tasso d’interesse reale continua,
però, a essere uno dei più alti al mondo.
Erber (2008: 27-28) fa notare che dopo la traumatica esperienza
dell’inflazione fermata dal Plano Real, il BCB è diventato il “guardiano della stabi-
lità”, ha acquistato un grande potere, nessun governo può infatti permettersi di esse-
re considerato “indulgente” con l’inflazione e quindi può continuare a imporre la sua
politica neo-liberista che, pur non lasciando molto spazio alle politiche sociali, tra il
2002 e il 2007, ha permesso di capovolgere la posizione del Brasile, passato da un
debito pari al 13% del PIL a un credito pari all’8% del PIL, e di ridurre il debito
pubblico netto dal 50% al 44% del PIL. Anche se dal 2000 al 2008 incluso il tasso
medio di crescita non è stato più del 3,4% l’anno, Neri (2009: 225-26) ci ricorda,
però, che nel periodo 2004-07 sono stati creati circa 10 milioni di nuovi posti di la-
voro, 1,6 milioni nel solo 2007.
Dal 2003, il tasso di cambio brasiliano si è costantemente apprezzato, salvo
la caduta nel 2008 causata dalla crisi e poi dalle turbolenze dei mercati finanziari.
L’afflusso di capitali ha però sostenuto il real, la cui rivalutazione con il conseguen-
te impatto negativo sulla competitività del paese destano però preoccupazioni, per-
ché sembra che a tale rivalutazione stiano contribuendo le scoperte petrolifere e
l’aumento dei prezzi delle materie prime esportate, il che potrebbe comportare un
radicale cambiamento dei fondamentali. L’aumento del credito privato ha fatto ri-
conquistare al tasso di cambio i livelli pre crisi, tuttavia gran parte dell’aumento è
dovuto all’espansione del credito immobiliare, mentre la crescita di quelli industria-
le, commerciale e dei servizi è stata più moderata (OCSE, 2011: 56 e 59).
Una volta eletto, Lula ha agito con molta prudenza perché voleva essere accet-
tato come un governante responsabile per poter poi introdurre le riforme strutturali a
cominciare dalla lotta alla fame – ma al programma Fome mancarono i fondi per paga-
re i sussidi – e dal diritto a un reddito minimo. Considerando la rapida crescita econo-
mica e la competitività internazionale come condizioni necessarie per lo sviluppo so-
ciale, si cominciava a credere che crescita economica ed equità potessero essere pro-
mosse simultaneamente (Baer, 2008: 151-53), ma l’amministrazione Lula ha preferito
la continuità dell’assistenzialismo, riprendendo anche quei programmi introdotti da
Cardoso che durante la campagna elettorale il PT aveva bollato come “elettoralistici”.
***
Durante la prima presidenza Lula il tasso annuale medio di crescita è stato legger-
mente inferiore al 3%, anche se quello dell’industria e delle esportazioni è stato mol-
to più alto e ha raggiunto quasi il 5% nel secondo mandato, nonostante la crisi. Il
livello degli investimenti esteri di portafoglio non è mai tornato a essere quello degli
59
. Il Sistema Especial de Liquidação e Custodia (SELIC) è lo strumento con il quale il BCB conduce
operazioni di mercato aperto per attuare la politica monetaria. Il tasso d’interesse SELIC è quello ap-
plicato dal BCB ai depositi overnight e corrisponde alla media dei tassi d’interesse interbancari cal-
colati per lo scambio di titoli di stato con la durata di 1 giorno.
119
Il Brasile e gli altri
anni ’90 (Baer, 2008: 156, 157 Tab. 8.3 e 160) ed esistono dubbi sulla sostenibilità
fiscale. E questo malgrado Lula abbia preso molto seriamente la responsabilità fisca-
le e dal 2002 al 2010 abbia continuato a mantenere l’avanzo primario sempre sopra
il 3% del PIL, salvo nel 2009 quando scese al 2,1%, permettendo così al debito pub-
blico netto di passare da 60% a 40% del PIL e al disavanzo pubblico di diminuire da
4,4% a 1,9%. Preoccupa, infatti, la qualità del risanamento di bilancio, perché “gli
avanzi primari vengono generati grazie a un elevato livello delle entrate fiscali, che
riflettono in parte il dinamismo dell’economia negli ultimi anni, ma soprattutto una
pressione fiscale elevata, che si stima sia circa al 37% del PIL” (Mori, 2011: 54 e
OCSE, 2009), quando a metà degli anni ’80 era 32% (Erber, 2008: 13)*. Dopo aver
rappresentato “una delle debolezze strumentali” dell’economia brasiliana durante gli
anni ’90, “il debito estero totale è passato dal 19,2% del PIL nel 2005 al 12,3% nel
2010…, un miglioramento della solvibilità della posizione estera del Brasile” cui
hanno contribuito anche la crescita economica stabile e l’apprezzamento del tasso di
cambio reale. Di conseguenza, le riserve ufficiali in valuta estera sono aumentate e
“dal 2007 il Brasile è diventato un creditore netto nei confronti del resto del mondo”
(Mori, 2011: 61). Nel 2009, la rivalutazione del real, accompagnata dalla riduzione
del costo del denaro e dal contenimento dell’inflazione, evidenziava la forza
dell’economia brasiliana, come lo dimostrano i 2,7 miliardi entrati nel paese a mag-
gio per essere investiti in attività produttive (Giappichini, 2009: 507).
Nella seconda metà del 2011 l’economia si è raffreddata, particolarmente nel set-
tore manifatturiero la cui produzione nell’ultimo trimestre dell’anno è scesa dell’1,7%,
mentre è restata elevata l’inflazione che nel quarto trimestre è stata pari al 6,7% (BCE,
marzo 2012: 14) Il debito pubblico non preoccupa molto – vedi Tab. 2.6 –, ma la spesa
pubblica è alta e i tassi d’investimento e di risparmio restano modesti. Nel 2006, il ri-
sparmio pubblico era negativo, compensato da quello delle imprese e delle famiglie che
era rispettivamente 16% e 5% del PIL (OCSE: 2011: 69 e 71). La scarsità del risparmio
interno rappresenta un serio ostacolo per gli investimenti. Se a questo si aggiunge che
anche il risparmio pubblico è negativo a causa della forte spesa, particolarmente quella
pensionistica60, inesorabilmente il tasso potenziale di crescita del paese sarà spinto in
basso. Per di più, il sistema pensionistico non solo assorbe risorse, ma ridistribuisce il
reddito a persone la cui propensione al risparmio è già relativamente bassa, il che com-
prime ulteriormente il tasso di risparmio privato. Secondo un recentissimo studio di Se-
gura-Ubiergo (2012: 14) del FMI, l’aumento del risparmio privato, cioè delle famiglie e
delle imprese, e di quello pubblico, per ora negativo, è strettamente associato con la ridu-
zione dei tassi reali d’interesse. In Brasile, la crescita del risparmio privato dall’attuale
media del 16,5%, al 22,6%, che è la media messicana, comporterebbe quindi una dimi-
nuzione del tasso reale d’interesse di almeno il 2%.
Inoltre, un rapporto della McKinsey (Roxburgh et al., 2010, 26) mostra che
l’indebitamento totale del Brasile rappresenta il 142% del PIL, mentre quello degli
USA il 296% e anche il debito esterno è di molto inferiore a quello statunitense.
Nonostante gli alti tassi reali d’interesse e il pericolo di un crescente indebitamento
dei consumatori, il Brasile è ancora scarsamente indebitato, perché finora c’è stato
60
. Nonostante che il paese sia ancora giovane, la spesa pubblica assistenziale e previdenziale rag-
giunge l’11% del PIL. A marzo 2012 è stata finalmente approvata una parziale riforma delle pensioni
dei nuovi impiegati del settore pubblico. Nonostante che le riforme del 1999 e del 2003 si stima ab-
biano più che dimezzato i costi pensionistici, le pensioni pubbliche brasiliane continuano ad essere
più del 60% del salario medio, mentre in molti paesi OCSE sono meno del 40% (BM, 2011: 27).
120
Un gigante economico?
un aumento reale del reddito, piuttosto che una semplice espansione del credito. Per
questo, insiste Davidson (2012: 193-94), nel ciclo della leva (leverage cycle) esso si
colloca al polo opposto degli USA, con un debito ipotecario inferiore al 2% del PIL,
contro il 75% statunitense e un debito medio con carta di credito 41 volte più basso,
anche se entrambi i tipi di debito tendono ad aumentare sotto la spinta
dell’“americanizzazione” con tutti i rischi che l’eccessivo indebitamento comporta
da un punto di vista economico e sociale.
D’altra parte, la proprietà pubblica delle maggiori istituzioni finanziarie riduce la
pressione del mercato per il taglio dei costi mentre gli investimenti sono ostacolati dal
fatto che le banche commerciali non possono finanziare quelli a lunga scadenza, perché è
il BNDES l’unico autorizzato a farlo. Altro ostacolo è il frammentato sistema fiscale che
fa aumentare i costi d’adempimento che si sommano a una già alta tassazione.
Ad ogni modo, sotto Lula la crescita è stata notevolmente più alta di quella
osservata durante la presidenza Cardoso – una media del 4,4% nel 2002-09, contro
l’1,8% del 1995-2001 –, che dovette affrontare tre crisi esterne e lottare contro
l’iperinflazione (Franco e Vieira, 2010: 7).
Subito dopo la fine della seconda Guerra mondiale, il Brasile abbassò tutte le barriere
tariffarie – vedi Tab. 2.7. Ma poiché le esportazioni si ridussero a meno del 10% del
PIL – i manufatti a meno del 3% delle vendite esterne – e le importazione esplosero, le
riserve estere accumulate si esaurirono rapidamente e dal 1947 ai primi anni ’60 si tor-
nò alle alte tariffe e alle restrizioni cambiarie. La politica commerciale fu messa inte-
ramente al servizio della strategia ISI per continuare il processo d’industrializzazione
iniziato negli anni ’30. Il cambio, quello reale, che nel 1952 si era quasi dimezzato,
cessò di essere lo strumento per proteggere la bilancia dei pagamenti e divenne quello
per promuovere un’ISI fortemente “inward-looking” che, in effetti, discriminava le
esportazioni, perché spesso il tasso di cambio era sopravvalutato, limitando così le
esportazioni delle merci che per il 90% continuavano a essere materie prime. I dazi sui
manufatti arrivarono a superare il 250% e furono introdotti molti incentivi per attrarre
investimenti esteri. Crescevano, però, i disavanzi della bilancia corrente finanziati da
“indebitamento forzato”, cioè dai crediti dei fornitori.
121
Il Brasile e gli altri
Export Import Bilancia Interessi Servizi Conto Ammor- Conto Bilancia Debito
comm. netti corrente tizzazioni capitale pagamen. lordo
1950 1,4 0,9 0,4 - -0,2 -0,3 0,1 - -0,1 - -0,1 0,6
1960 1.3 1,3 0,0 -0,3 0,0 -0,5 -0,4 0,1 -0,4 2,4
1970 2,7 2,5 0, 0,5 -0,8 -0,6 -0,7 1,0 0,5 5,3
1980 20,1 23,0 -2,8 -6,3 -10,1 -12,8 -5,0 9,7 3,5 53,8
1990 31,4 20,7 10,8 -11,6 -15,4 -3,8 -8.7 -5,6 -4,8 123,4
1995 46,5 50,0 -3,4 -10,9 -18,5 -18, -11,0 29.4 13,5 159,3
2000 55,1 55,9 -0,8 -18,0 -25,0 -24,2 -35,0 19,3 - -2,3 216,9
2005 118,3 73,6 44.8 -26,2 -34,1 14,2 -15,3 -8,8 4,3 169,5
2010* 201,9 181,8 20,1 -45,8 -30,8 -47,3 - - - -
Fonte: Baer 2008, Appendice A4; *EIU, 2012 dic: 9.
122
Un gigante economico?
123
Il Brasile e gli altri
$181 miliardi nel 2010. Nel 2012 il commercio estero ha toccato $466 miliardi, con
una diminuzione del 3,4% rispetto all’anno precedente. Dal 1995 la bilancia com-
merciale divenne ampiamente negativa, nel 1997 il disavanzo raggiunse $6,8 miliar-
di, per poi dal 1999, anno della svalutazione del real, diminuire e dal 2001 al 2010
tornare positivo e crescente fino a toccare i $47 miliardi nel 2006, quando tornò a
ridursi lentamente fino ai $20 miliardi del 2010, per balzare di nuovo a $30 miliardi
l’anno successivo (EIU, 20012 novembre: 9). Anche la quota del commercio mon-
diale aumentò leggermente, restando, però, a un modesto 1,26% nel 2009. La som-
ma dell’export più l’import raggiunse nel 2008 $371 miliardi, pari a quasi il 30% del
PIL. Il rapporto dell’export di beni e servizi sul PIL salì da meno del 10% degli anni
’80 e ’90 al 13% del periodo 2003-08 per poi ridiscendere, a causa della crisi, al
9,7% del 2009.
Nel 2000 circa la metà delle esportazioni brasiliane furono materie prime e
prodotti ad alta intensità di risorse naturali, mentre i manufatti ad alta, media e bassa
tecnologia furono rispettivamente 12%, 26% e 13%. Nel 2009, invece, materie pri-
me e prodotti ad alta intensità di risorse naturali costituirono 2/3 delle esportazioni,
l’altro terzo rappresentato dai manufatti che utilizzavano tecnologia di vari livelli.
Per quanto concerne le importazioni, tra il 2000 e il 2009 la quota di quelle a bassa
tecnologia aumentò dal 5% al 10% e quella di media tecnologia da 34% a 37%,
mentre diminuì da 24% a 20% la quota di quelle di alta tecnologia e da 37% a 33%
la quota delle importazioni di materie prime e prodotti ad alta intensità di risorse na-
turali (Acioly, et al., 2011: 27-28). Il Brasile continua, quindi, a dipendere fortemen-
te – 58% nel 2000 e 57% nel 2010 – dalle importazioni di alta e media tecnologia e
anche il saldo positivo dello scambio di prodotti di bassa tecnologia tende a ridursi e
potrebbe presto diventare negativo.
Anche per la CEPAL (2007a: 7- 8 e 35), la struttura dell’intercambio di pro-
dotti industriali del Brasile con il resto del mondo presentava forti squilibri in quanto
a contenuto tecnologico, poiché i prodotti a media e specialmente quelli ad alta tec-
nologia erano poco presenti nelle esportazioni. Lo squilibro appariva minore per i
beni di bassa tecnologia, che in proporzione il Brasile esportava più di quanti ne im-
portasse. Ad ogni modo, la diversificazione e competitività dovrebbero permettere
in futuro al paese di seguitare a esportare senza problemi ai suoi partner sudameri-
cani. Cresce, frattanto, la decentralizzazione geografica del commercio brasiliano
per cui tra il 2000 e il 2010 la quota delle esportazioni alle 10 maggiori destinazioni
si riduce dal 66% al 55% del suo export.
Nello scorso decennio si è prodotta un’inversione di tendenza nei conti con
l’estero, grazie a una moneta competitiva, relativamente bassa domanda interna nei
primi anni e miglioramento delle ragioni di scambio dovuto alla crescita della do-
manda cinese, che ha causato un aumento del prezzo delle materie prime e una di-
minuzione di quello dei beni manufatti. Queste favorevoli circostanze hanno messo
fine al lungo ciclo dell’indebitamento estero che tra il 2003 e il 2007 crollò da 33%
a 3% del PIL fino a che nel 2008 il paese per la prima volta divenne un modesto
creditore dell’economia mondiale (Barros de Castro, 2007: 19). Sempre negli ultimi
anni ha avuto luogo una diversificazione, sia della composizione che dei mercati,
delle esportazione.
Per quanto concerne la composizione, gli ultimi venti anni hanno visto un
drammatico declino del caffè e la crescita di materie prime non tradizionali, come
soia e succhi d’arancia, e dei manufatti che nel 2005 rappresentavano il 55%
dell’export brasiliano, dal misero 5% del 1964 (Baer, 2008: 185 Tab. 9.1). Ma poi la
124
Un gigante economico?
Cina è diventata la fabbrica del mondo e in Brasile, “per la prima volta nella storia
moderna, il settore manifatturiero piuttosto che guidare il processo di crescita è re-
stato indietro”, e ha ridotto la crescita economica del paese (Barros de Castro,
2007: 19 e 2008: 15)61. La situazione evidenziata da Barros de Castro riguardava la
metà degli anni 2000 e l’arrivo della crisi la ha ulteriormente aggravata. Se il Brasile
avesse veramente imbroccato la strada della deindustrializzazione e della dipenden-
za, difficilmente potrebbe realizzare il sogno di diventare una grande potenza.
Per quanto riguarda la diversificazione geografica, appare terribilmente im-
portante la riduzione del peso degli USA nell’export come nell’import brasiliano
(Baer, 2008: 186 Tab. 9.2), rimpiazzati nel 2009 dalla Cina come maggiore singolo
partner commerciale, dopo l’UE. Al momento il commercio brasiliano è distribuito
come segue: 25% con l’UE, 25% con l’AL, 25% con l’Asia, 14% con gli USA e
11% con il resto del mondo. Tra il 2002 e il 2010, il commercio mondiale brasiliano
è cresciuto più del 350%; quello con Africa e ALC di quasi il 400%; con l’India ol-
tre il 600%; e con la Cina di 1.400% circa, per un valore di quasi $57 miliardi. Oltre
che nel campo commerciale, l’importanza della Cina è cresciuta notevolmente anche
nel campo degli investimenti di tutto il Sudamerica, tanto che si stanno modificando
le aspettative dei paesi della regione (Vigevani e Ramanzini, 2009: 87-89). Nono-
stante la forte crescita, modestissimo resta lo scambio con l’India anche dopo la
formazione nel 2003 dell’IBSA62.
Per l’import è interessante notare la drastica diminuzione dei beni strumentali
e intermedi e del petrolio. La maxi-svalutazione all’inizio del 1999 chiuse “cinque
anni di forte spesa per le importazioni … rimasta sotto il suo livello dal 1998 al
2003, prima di aumentare nel periodo 2004-08 a causa della forte domanda interna e
del tasso di cambio reale apprezzato” (Mori, 2011: 60), alimentando il disavanzo del
conto corrente che dal 2008 al 2012 è passato da -$28,2 miliardi a -$54,3 miliardi
(EIU, 2012 feb.: 9).
Ad ogni modo, se all’inizio degli anni ’50 più del 90% delle esportazioni bra-
siliane consisteva di prodotti primari di origine agricola o mineraria, alla fine degli
anni ’70 le esportazioni manifatturiere superarono per la prima volta la soglia del
50%, percentuale scesa di nuovo al 35,2% nel 2010, mentre si è rafforzata la specia-
lizzazione nei beni primari ed “è cresciuta la vulnerabilità del Brasile alla concor-
61
. Negli anni ’70 il Brasile fu uno dei maggiori Newly Industrializing Countries (NIC) ed è tornato a
quella posizione all’inizio degli anni 2000 quando è diventato il maggiore fornitore di manufatti
all’AL, ma poi è arrivata la Cina, sempre più competitiva grazie anche alla costante manipolazione
del tasso di cambio (Barros de Castro, 2007: 19). Tra il 2004 e il 2006, la moneta cinese si svalutò
del 29% rispetto a quella brasiliana, per cui le importazioni brasiliane dalla Cina “esplosero ad un
tasso annuo del 47% e l’economia brasiliana cominciò a pagare il prezzo di aver sviluppato e ad ogni
modo consolidato (negli anni ‘90), un sistema industriale altamente diversificato”, ma che non riuscì
a far fronte alla nuova sfida (Barros de Castro, 2008: 23). Nel periodo 2005-06 c’è stato un notevole
cambiamento del profilo della crescita industriale, nel senso che i settori responsabili del 75-80% di
questa crescita si sono ridotti da 10 a 7 e, cosa anche più importante, la lavorazione delle risorse na-
turali ha aumentato di molto il suo peso. Risultò, invece, fortemente ridimensionato il ruolo di auto-
vetture e macchinari, le due produzione che avevano generato più del 40% della crescita industriale
del paese e avevano rappresentato “le pietre angolari della fortezza industriale brasiliana” (Barros de
Catro, 2008: 16).
62
. L’IBSA, o G3, fu creata nel 2003, al margine della riunione del G8 a Evian, dalle tre maggiori
economie emergenti di paesi democratici per proporre la propria visione di una nuova architettura
mondiale basata sulla solidarietà collettiva, ma anche per rafforzare i propri rapporti economici e
coordinarsi in modo da far sentire meglio la propria voce nei negoziati commerciali mondiali, parti-
colarmente nell’ambito del Doha Round.
125
Il Brasile e gli altri
renza di paesi a basso costo del lavoro … Questa ricomposizione settoriale è legata
al riposizionamento geografico dei flussi commerciali” brasiliani, cioè all’emergere
della Cina come il principale partner commerciale del Brasile. Tra il 2000 e il 2010
la composizione percentuale dell’export brasiliano è cambiata: i prodotti agricoli so-
no passati da 28% a 34%, gli idrocarburi e i prodotti primari da 12% a 28%, i manu-
fatti da 57,5 a 35%, di cui macchinari e mezzi di trasporto da 28% a 27%. Ma è la
struttura dell’export con la Cina che più preoccupa, perché la somma di prodotti
agricoli e idrocarburi è passata dal 79% al 93% mentre i manufatti sono crollati da
21% a 7% (Goldstein e Trebeschi, 2012: 104-107, Tab. 4.3).
Il commercio internazionale dei servizi è cresciuto rapidamente: tra il 2000 e il
2010 le importazioni brasiliane sono passate da $16,7 miliardi a $62,6 miliardi e le
esportazioni da $9,5 miliardi a $31,8 miliardi. Al crescente disavanzo – da $7,2 mi-
liardi a $30,8 miliardi – contribuiscono molto i costi di trasporto. Infatti, il 95% del
commercio brasiliano avviene via mare, ma poiché solo il 3% delle navi commerciali
battono bandiera nazionale, il costo dell’utilizzo di mercantili stranieri è stimato pari a
circa $7 miliardi l’anno (Gefter, 2011: 93). Per quanto riguarda i servizi governo, opi-
nione pubblica e produttori locali continuano a contrastare una maggiore apertura, te-
mendo di non poter competere nel settore dei servizi finanziari e assicurativi.
***
126
Un gigante economico?
superare quello delle esportazioni. Si tornerebbe così al vincolo del commercio este-
ro ipotizzato da Prebisch-Singer, un problema alla cui risoluzione mirava proprio
una riforma strutturale come l’ISI. Tuttavia, Cardoso accelerò l’abbandono del mo-
dello protezionista dell’ISl per un approccio più liberale all’economia e agli scambi
internazionali, approccio che mirava a guadagnare l’accesso al mercato internazio-
nale e a migliorare la competitività nazionale. Anche Lula ha riconosciuto che il
commercio internazionale è un “forte fattore di sviluppo ,.. ma solo se i negoziati
elimineranno le situazioni di dipendenza, compensando le asimmetrie tra i paesi”.
La riduzione di queste asimmetrie è certamente una condizione molto importante per
assicurare stabilità e pace al Sudamerica. Tale compito potrebbe essere uno dei
maggiori obiettivi della presidenza Rousseff, insieme alla rivitalizzazione del
MERCOSUL.
***
63
. Un’economia chiusa fa aumentare il prezzo dei beni di capitale e quindi deprime gli investimenti
(Barros, 2009: 93-95). Tuttavia, considerato che l’economia brasiliana non è molto orientata al com-
mercio estero e che il mercato interno è di gran lunga più grande e più importante di quello estero,
essa è meno sensibile ai cambiamenti della struttura tariffaria e della domanda per le sue esportazio-
ni. Quindi, secondo i calcoli di Ferreira Filho e Horridge (2006: 377-78 e 380-81), una completa li-
beralizzazione globale non farebbe crescere il PIL brasiliano più dello 0,68%, ma riducendo la disoc-
cupazione, avvantaggerebbe le famiglie più povere, così come avvantaggerebbe le regioni del sud e
del sud-est.
127
Il Brasile e gli altri
con Lula è tornato in auge quello “sviluppismo nazionale” che ha sempre caratteriz-
zato la politica estera brasiliana, con conseguente ritorno alla tradizionale subordi-
nazione della strategia dei negoziati commerciali a un riscoperto “autonomismo”
della politica estera – vedi cap. 3.
Inoltre, il governo di Lula ha deciso di ridurre le tariffe solo tramite negoziati
multilaterali nell’ambito del Doha Round, mentre ulteriori aperture tramite accordi
regionali come l’FTAA e l’accordo UE-MERCOSUL diventavano sempre meno
probabili, a causa dall’intransigenza di tutti i partner coinvolti. In effetti, le tariffe di
“nazione più preferita” (MFN) tendono a sottostimare il livello relativo della prote-
zione brasiliana rispetto a paesi come Messico e Cina che hanno un importante ac-
cordo preferenziale rispettivamente con i paesi NAFTA e con l’UE. La politica
commerciale di Lula, ma in parte anche di Cardoso, è stata semplicemente diretta a
sfruttare al massimo i settori maggiormente competitivi (principalmente agricoltura
e minerali) e a concedere il minimo possibile per i settori nei quali i costi
d’adattamento sarebbero più severi (alcuni settori manifatturieri e i servizi). Questi
obiettivi sono stati perseguiti in maniera veramente efficace (Daudelin, 2008: 58),
anche a costo di ostacolare la partecipazione del paese alle catene di valore globali,
che richiedono anche scambi a basso costo.
In ogni modo, le esportazioni brasiliane sono cresciute molto più rapidamente
durante le due amministrazioni Lula che durante quelle di Cardoso. Per stimolare le
esportazione messe in pericolo dalla crisi finanziaria internazionale, nel 2009 Lula
ha firmato la legge che regola le Zonas de Processamento de Exportação (ZPE) che,
grazie all’esenzione fiscale e altre facilitazioni mirate alla riduzione dei costi di pro-
duzione, dovrebbero essere più competitive sui mercati internazionali. Attualmente,
l’Asia con il 31,1% è di gran lunga la maggiore destinazione delle esportazioni bra-
siliane, seguono l’AL con il 20.8% e l’UE con il 20.1%. Causa una serie di misure
protezioniste le esportazioni all’Argentina sono crollate del 21% e la crisi ha ridotto
quelle di manufatti verso gli altri paesi vicini (EIU, 2013 feb.: 23).
Al Brasile, suggerisce Mesquita (2009: 155), “non resta che introdurre una
politica che rapidamente ed efficacemente riduca tutti i costi che gravano sul com-
mercio”, ma non è affatto chiaro se questo sia sufficiente a sventare il pericolo che
nel XXI° secolo il paese diventi essenzialmente il fornitore di materie prime per un
gigante industriale come la Cina che, dopo averle lavorate, mini con le proprie
esportazioni a buon prezzo la produzione manifatturiera brasiliana, a cominciare da
quella del tessile e delle calzature.
Per quanto concerne gli accordi Sud-Sud firmati dal paese, in realtà neppure
tanti, essi non comportano necessariamente maggiori vantaggi di quelli Nord-Sud
che chiaramente riguardano mercati molto più grandi e sicuramente presentano una
gamma maggiore di vantaggi comparati e hanno “lasciato il Brasile senza un acces-
so preferenziale ai maggiori mercati mondiali” (Mesquita, 2009: 137-40, 147-48 e
155). Evidentemente, la visione brasiliana del mondo secondo una prospettiva Sud-
sud e secondo affinità ideologiche ha mostrato i propri limiti. Infatti, sono state la
Cina e l’Africa, e non gli USA o l’UE a bloccare i tentativi di ottenere un seggio
permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU (CS), obiettivo principale della di-
plomazia brasiliana, obiettivo che inoltre non ha mai ricevuto un vero appoggio dal-
le altre nazioni dell’AL; è stata Cuba a mettere l’etanolo sotto accusa all’ONU; è
stato Evo Morales che ha occupato militarmente e poi nazionalizzato gli impianti di
Petrobrás in Bolivia (Amaral, 2007: 27). I rapporti con il nord sono, invece, più faci-
li e promettenti e, infatti, è specialmente nel nord che il Brasile trova l’appoggio per
128
Un gigante economico?
***
Le politiche neoliberali degli anni ’90 attrassero un crescente flusso di capitali esteri
e gli IDE aumentarono rapidamente, specialmente nella seconda metà del decennio,
fino a toccare $33 miliardi nel 2000 e $36,3 miliardi nel 2007, di cui oltre un terzo
diretto al settore manifatturiero e all’edilizia, tradizionalmente finanziata dal merca-
to interno, e naturalmente ai servizi. Nel 2009 sono scesi invece a $29,5 miliardi, ma
già nel 2010 sono risaliti a $48,5 miliardi, un massimo storico (Mori, 2011: 60). Il
debito estero brasiliano è passato dai $123 miliardi del 1990 al massimo raggiunto
nel 2003 di $215 miliardi – vedi Tab. 2.8 –, per poi gradualmente diminuire fino ai
$157 miliardi del 2006, pari al 9,6% del PIL, mentre l’intero debito pubblico era il
58,6% del PIL. Nel 2005 tutto il debito con il FMI era stato ripagato (Baer, 2008:
189-91).
Nel 2007 la rimessa di lucri e dividendi ha raggiunto i $21,2 miliardi, un in-
cremento del 30% rispetto all’anno precedente, il che non ha mancato di risollevare
dubbi sulla privatizzazione e proteste per il supposto “saccheggio legalizzato” gene-
64
. Stime leggermente più alte sono quelle di Acioly (et al., 2011: 40) secondo il quale nel periodo
2001-05 l’afflusso annuale medio degli IDE ammontò a $20,3 miliardi e nel periodo 2006-10 a quasi
$34 miliardi.
129
Il Brasile e gli altri
65
. Su 141 paesi analizzati, il Brasile è al 58° posto nel Global Innovation Index 2012 pubblicato
dall’INSEAD. L’unico paese dell’AL che lo precede è il Cile (39°), mentre l’Argentina segue al 70°
posto. Il Brasile spende per R&S molto meno di altri paesi e nel 2005 aveva meno ricercatori e meno
studenti d’ingegneria e scienze di altre economie emergenti. Poiché il paese ha bisogno di ingegneri
civili, chimici, architetti, ma anche di medici e infermieri, Marcelo Neri – da Rousseff posto alla gui-
da della segreteria per i temi strategici del governo – sta studiando misure per attrarre cervelli in un
paese che attualmente è relativamente chiuso, dato che gli stranieri rappresentano solo lo 0,2 della
popolazione. Neri suggerisce di portare gradualmente questa percentuale al 3%.
130
Un gigante economico?
131
Il Brasile e gli altri
66
. Pur concordando con Neri, Ferreira et al. (2013: 140-41) aggiungono due considerazioni: (i) la
dimensione della classe C deriva da fatto che essa include persone con reddito pro capite giornaliero
entro $6,1 e $26,1, ovvero persone “vulnerabili”, con redditi pro capite giornalieri tra $4 e $10, e
membri della “classe media” come definita da Ferreira et al., cioè persone con reddito pro capite tra
$10 e $50. Di conseguenza nella definizione di Neri molte famiglie della classe media sono vicine al-
la povertà nella quale possono facilmente ricadere al peggiorare delle condizioni macroeconomiche;
e (ii) una parte rilevante del loro potere d’acquisto è finanziata dal credito, per cui crescono i dubbi
sulla sostenibilità dell’attuale boom dei consumi. Inoltre, molti dei brasiliani inclusi nella classe me-
dia hanno lavori informali, poca istruzione (il 9% dei capifamiglia di classe media sono analfabeti),
alloggi inadeguati (400 mila non hanno il bagno in casa) e nessuna copertura previdenziale.
67
. Sebbene il lavoro femminile domestico sia sempre stato caratterizzato da un alto grado
d’informalità, secondo l’ILO si è registrata una tendenza alla formalizzazione negli ultimi anni. Inolt-
re, durante il periodo 2003-08 la remunerazione di questo lavoro è aumentata del 34%, il doppio ris-
petto a quella media ricevuta da tutti i lavoratori occupati, e in più le ore lavorative si sono ridotte del
5%.
132
Un gigante economico?
passato dal 10% circa a più del 20%, il record è stato raggiunto nel settore manifat-
turiero, dove è aumentato in 24 dei 27 settori considerati. Di conseguenza, i manu-
fatti brasiliani hanno perso terreno sia nei mercati globali che in quello interno.
***
Ma procediamo per ordine. Secondo Hoffman (2001: 104), negli anni ’70, grazie al
forte aumento del reddito pro capite, ci fu una riduzione sostanziale della povertà
assoluta e una relativa stabilità dell’ineguaglianza nella distribuzione del reddito. La
povertà assoluta tornò ad aumentare nel 1980-93, data la scarsa crescita del PIL.
La legislazione salariale per migliorare l’equità fu introdotta alla fine degli
anni ’70, proprio quando la crisi dell’inflazione e della bilancia dei pagamenti era
peggiorata, per cui si discusse aspramente se questa legislazione stesse ridistribuen-
do il reddito o invece stesse accelerando l’inflazione (Baer, 2008: 91-92). Quadru-
plicando il prezzo del petrolio, lo shock petrolifero alla fine del 1973 pose il paese –
che importava l’80% del petrolio consumato – di fronte a due opzioni: ridurre note-
volmente la crescita in modo da diminuire tutte le importazioni, salvo quelle petroli-
fere, oppure continuare a crescere finanziando le importazioni di petrolio con le ri-
serve e/o indebitandosi. Il governo del nuovo Presidente Ernesto Geisel (1974-79)
decise per la seconda, perché senza crescita era sia impossibile giustificare il regime
militare e la repressione che era stata particolarmente severa durante gli anni del
“miracolo economico”, sia migliorare la distribuzione del reddito e il benessere delle
masse che finora il miracolo aveva continuato a marginalizzare, tanto è vero che una
sostanziale parte della forza lavoro percepiva meno del salario minimo.
In effetti, dopo esser aumentato negli ’70 e ’80 e restato più o meno stabile
negli anni ’90, il coefficiente di Gini relativo alla distribuzione del reddito pro capite
delle famiglie dal 1998 cominciò a diminuire gradualmente, specialmente dopo il
2001. Quindi, se tra il 1985-98 era aumentato del 4,1%, tra il 1998-09 il coefficiente
di Gini si ridusse del 5,4%. In quest’ultimo periodo il reddito del decile più basso
aumentò di circa il 7% l’anno, quasi tre volte più del reddito medio nazionale
(2,5%), mentre quello del decile più alto cresceva annualmente dell’1,1% (Lustig et
al, 2012: 6). Secondo gli indicatori della BM, la quota del reddito del decile più bas-
so della popolazione era 0,7% alla fine degli anni ’80, leggermente diminuita negli
anni ’90 raggiungendo lo 0,5% nel 2002 quando ha cominciò lentamente a risalire
fino a toccare lo 0,8% nel 2008-09. La quota del quintile più povero è passata dal
27-28% del periodo 1981-86 al 22-23% del 1987-2001 quando ha iniziato a crescere
133
Il Brasile e gli altri
per arrivare al 29% nel 2008-09. Al decile più ricco della popolazione, che aveva
sempre posseduto tre quarti della ricchezza, andava ancora il 47,7% nel 2001 e il
42,9% nel 2009. Nel 2004, mentre il 20% più povero della popolazione ricevette
meno del 3% del redito nazionale, il 50% della popolazione quasi il 14% e il 10%
più ricco il 45,3% (Baer, 2008: 160-61).68 Va poi considerato che la povertà tra i
bambini69 è dieci volte maggiore di quella tra gli anziani, per cui mentre la povertà
nel suo insieme è diminuita, quella tra i giovani è relativamente aumentata (Fishlow,
2011: 138).
Secondo l’IBGE 16,3 milioni di persone – 8,5% della popolazione – vivono
con meno di R70 al mese (circa $1,30 al giorno), situazione che il governo considera
d’estrema povertà. Di questi, 4,8 milioni sopravvivono senza alcun reddito. Frattan-
to, il salario minimo, aumentato del 14% all’inizio del 2011, è appena di R622
($361) al mese. Inoltre, difficilmente i più bisognosi ottengono gli aumenti del sala-
rio minimo che quindi sono poco utili per la riduzione della povertà, particolarmente
quella più estrema, cosa che invece fanno i trasferimenti operati con il PBF (OCSE,
2011: 30). Impressiona è, quindi, la costante presenza del “binomio appropriazione
spogliatrice/povertà di massa, frutto di un cammino politico che ha conservato il po-
tere nelle mani di un’élite molto ristretta”. Se al quartile più povero della popolazio-
ne fosse trasferito il 5% del reddito del quartile più ricco, 26 milioni di persone usci-
rebbero dalla povertà nella quale resterebbe solo il 7% della popolazione (Isenburg,
2006: 98-99 e 102).
Tra le cause della notevole diseguaglianza si trovano i vari tentativi fatti per
ridurre e stabilizzare i prezzi sia le politiche regressive del reddito. Solo con Cardo-
so si è tentato d’intervenire su questa situazione utilizzando politiche del reddito,
con le quali lo stato ha cominciato a trasferire reddito direttamente ai bisognosi.
Dall’inizio degli anni 2000, i segmenti più poveri della popolazione hanno
sperimento tassi di crescita pari a quelli della Cina. Infatti, dal 2001 al 2006 la varia-
zione cumulativa del reddito pro capite del decile più povero è stata del 57%, mentre
quella del decile più ricco è aumentata solo del 6,7%. Secondo Neri (2009: 221-22 e
229) “all’inizio degli anni 2000 la popolazione più povera brasiliana ha sperimentato
una crescita di tipo cinese … un boom quello brasiliano di migliore qualità di quello
cinese, perché si combina con una maggiore equità, mentre in Cina la disuguaglian-
za è aumentata … ed è assente la libertà politica”.
Dall’inizio della stabilizzazione, dal 1994 al 2010 la povertà estrema è dimi-
nuita del 67,3% (Neri, 2011: 13), ciononostante il Brasile resta una società diseguale
con un significativa incidenza di povertà. La diminuzione della povertà è stata pos-
sibile grazie alla crescita economica del paese e in egual misura a una reale ridistri-
buzione del reddito da lavoro e non (Lustig et al., 2012: 20 Fig.3). Tuttavia, gli au-
menti del salario minimo non interessano coloro che rientrano nel 5% più basso nel-
la distribuzione del reddito, perché difficilmente hanno un lavoro nel settore formale
o ricevono una pensione (OCSE, 2011: 141-42). Due sono i fattori principali che
68
. Quando si parla di povertà, normalmente, si considerano sia gli indigenti, cioè quelli che sono sot-
to la linea di povertà, sia quelli con reddito inadeguato.
69
. Molto diffusa è la prostituzione minorile e una ricerca dell’Università di Brasília ha trovato bam-
bini/e e adolescenti che vendevano sesso in quasi 1000 municipi, ma particolarmente nelle città di
mare e nelle aree turistiche. Dal 2009 l’età del consenso è stata portata a 14 anni, ma secondo una re-
cente sentenza sesso con minori non presuppone necessariamente violenza e quindi questa deve esse-
re provata anche quando ci tratta di sesso con minori di 14 anni (TE. 07.04.2012).
134
Un gigante economico?
***
70
. La situazione è particolarmente critica per l’immondizia, in quanto solo il 47% della popolazione
– concentrata nel Sul e nel Sudeste – beneficia della raccolta d’immondizia, che viene trattata solo
per un 20% (OCSE, 2011: 28).
71
. Dal punto di vista igienico, l’accesso all’acqua potabile non è adeguato né quantitativamente né
qualitativamente. La distribuzione regionale mostra che solo nel Sudeste la percentuale dell’acqua di-
sponibile (60%) supera quella della sua popolazione sul totale (43%). La regione più penalizzata è quella
del Nordeste insieme alle aree “rurali, disperse, isolate, difficili da raggiungere”. Benché il 98% dei mu-
135
Il Brasile e gli altri
cellulari e dell’uso d’internet72 e inoltre acquisizione dei titoli di proprietà della ter-
ra, cosa che dovrebbe facilitare l’accesso al credito. Va notato, però, che “tutti gli
indicatori mostrano un peggioramento degli adempimenti lavorativi da parte degli
individui adulti eleggibili per i benefici del PBF”, che diventa un disincentivo e sca-
tena un “effetto pigrizia”.
Inoltre, nel periodo 1994-2005, e particolarmente tra il 2001-2004, vi è stato,
nonostante la stagnazione economica, un alleviamento della povertà, grazie
all’introduzione di politiche del reddito meglio mirate. La notevole crescita econo-
mica degli anni successivi “non ha interrotto il processo di riduzione
dell’ineguaglianza, ma questo sta procedendo più lentamente” (Neri, 2009: 223,
252-55 e 257). Il vantaggio, si fa per dire, di una forte ineguaglianza è che la povertà
può essere eliminata tramite piccoli trasferimenti di reddito dai ricchi, come dimo-
stra il basso costo del PBF che nel 2008 ha rappresentato solo lo 0,4% circa del PIL.
Chiaramente, le tasse dirette facilitano l’eguaglianza, mentre quelle indirette accen-
tuano l’esistente diseguaglianza. Attualmente, la spesa pubblica e privata per l’area
sociale rappresenta un 30% del prodotto totale, superiore a quella di molti paesi svi-
luppati, spesa che però non sembra sostenibile dato che con i mutamenti demografici
quella sanitaria e quella pensionistica continueranno sicuramente ad aumentare
(Fishlow, 2011: 139). Come molte altre economie emergenti, il Brasile tenderà a in-
vecchiare molto più rapidamente delle economie più sviluppate, per cui la crescita a
lungo termine della produzione dovrebbe ridursi in linea con il rallentamento della
popolazione in età lavorativa. L’invecchiamento probabilmente ridurrà il tasso di
risparmio e peserà sempre più sul bilancio pubblico a causa dell’aumento della spesa
pensionistica e sanitaria (OCSE, 2011: 129).
Negli otto anni dell’amministrazione Lula “sono stati creati 15 milioni di
nuovi posti di lavoro e 32 milioni di persone sono uscite dalla situazione di indigen-
za e povertà. L’effetto politico di questi programmi è confermato dai risultati delle
urne nel 2006 e nel 2010: laddove più vasta è la portata dei programmi sociali, come
nel Nordeste, maggiore è la percentuale di voti per i candidati del PT”. In effetti.
“grazie soprattutto alle esportazioni e ai consumi interni, Lula ha potuto in buona
misura coniugare l’obiettivo dell’inclusione sociale attraverso la redistribuzione del
reddito con quello dello sviluppo e della stabilità monetaria” (Gefter, 2011: 47-48).
A giugno 2011 la Presidente Rousseff si è affrettata a creare il programma
Brasil sem Miséria per eliminare la povertà estrema entro il 2014. Il programma
punta a raggiungere già nel 2012 altre 320 mila famiglie non ancora incluse nei pre-
cedenti Fome Zero e PBF e a raggruppare in un singolo programma una serie di
schemi che riguardano salute, istruzione e infrastrutture. Tramite una Busca Ativa
(ricerca attiva) si cerca di raggiungere le unità familiari geograficamente isolate e
quelle non informate o ignorate per carenze amministrative.
Nonostante le gravi conseguenze per una parte rilevante della popolazione,
“il problema dell’esclusione sociale in Brasile continua ad essere presente” e risulta
nicipi sia fornito di rete di distribuzione, “solo il 64% delle abitazioni è collegato ad essa”, percentuale
che “scende al 46% per i centri con meno di 2.000 abitanti” (Isenburg, 2006: 54 Tab. 1).
72
. Rispetto agli standard internazionali, le connessioni telefoniche su rete fissa sono costose e poco
sviluppate, mentre è diffusa la telefonia cellulare, che nel 2009 interessava più del 90% della popola-
zione. La penetrazione dei computer riguardava, però, solo un quarto della popolazione, per cui nel
2010 il governo ha elaborato un piano nazionale di R11 miliardi per triplicare l’accesso ai servizi a
banda larga entro il 2014, in modo da raggiungere 90 milioni di connessioni, cioè più di metà delle
case brasiliane (Mori, 2011: 53).
136
Un gigante economico?
impossibile, come già mostrato da Celso Furtado, Milton Santos e Fernando Faj-
nzylber, “separare la profondità delle diseguaglianze sociali e regionali che afflig-
gono il popolo brasiliano dalla forma dipendente con cui il paese s’inserisce nella
divisione internazionale del lavoro” (M. Pochmann e R. Amorim Atlante, citati da
Isenburg (2006: 93)). Inoltre, continua Isenburg (2006: 94-95), “le mancate riforme,
in particolare quelle agraria, tributaria e di tutele sociali, hanno fatto del sistema bra-
siliano una macchina di produzione e riproduzione di diseguaglianze”. L’esplicito
principio dell’“accaparramento predatorio di una percentuale prossima alla totalità
delle risorse” del periodo coloniale è diventato il “paradigma, non più dichiarato, ma
applicato alla nazione” che “ha continuato ad orientare la gestione politico-
amministrativa dopo l’indipendenza, intrecciandosi con una forte e complementare
dipendenza economica da alcuni paesi esteri, dando via ad un blocco di potere so-
stenuto da sistemi di alleanze diversificate a seconda dei momenti storici, molto dif-
ficili da scalzare nonostante coraggiose lotte e organizzazioni di cittadini”. In effetti,
alla vecchia esclusione del Norte e Nordeste, si è aggiunta la nuova esclusione lega-
ta alle trasformazioni economico-produttive degli ultimi decenni, “con milioni di
disoccupati scolarizzati e famiglie monoparentali senza reddito”.
Le nuove forme di esclusione che generano povertà sono la marginalizzazio-
ne della popolazione indigena; la spartizione del potere tra oligarchie ed élite bian-
che; lo “stato parziale”, perché incapace di controllare l’intero territorio nazionale; e
lo “stato di diritto limitato”, perché il sistema legale non garantisce l’uguaglianza di
tutti i cittadini di fronte alla legge (Lagos, 2009: 46). Inoltre, come spiega Motta
(2009: 135), “in Brasile la politica industriale e le misure per affrontare gli effetti
strutturali e distributivi della liberalizzazione commerciale sono scollegate”, ma col-
legarle è assolutamente necessario se si vuole continuare a rafforzare l’integrazione
del paese nell’economia mondiale e dare veramente assoluta priorità alla crescita
inclusiva. Un collegamento che al neoliberismo imperante riesce difficile operare,
perché non considera necessario sostenere in qualche modo il destino dei perdenti.
***
Nonostante i progressi fatti negli ultimi trent’anni dal sistema scolastico, nel 2005
l’analfabetismo della popolazione superiore ai 15 anni era ancora l’11%, il più alto
in AL dopo quello della Bolivia, ma l’analfabetismo funzionale (cioè popolazione
con meno di quattro anni di scuola) era il doppio. La scolarità media della popola-
zione rurale superiore ai 15 anni è di 4,3 anni (7,7% quello della popolazione urba-
na), per cui l’analfabetismo raggiunge il 30% e sale al 44% quando vi si aggiunge
quello funzionale. Solo il 27% dei giovani di 15-17 anni frequenta la scuola (Barros,
2009: 99)73. Va ricordato che la prima università brasiliana fu creata da Vargas.
Durante gli ultimi due decenni del secolo passato, più di 15 milioni di studen-
ti addizionali sono entrati nella scuola primaria – dove il numero totale d’iscritti
raggiunse 32 milioni nel 1994 –, ma anche in questo caso esistono differenze regio-
nali – più dell’80% le frequenze nel Sul e Sudeste e meno del 60% nel Nordeste.
73
. Il sistema scolastico brasiliano è strutturato in due distinti livelli: (i) educazione básica, a sua volta
suddivisa in insegnamento infantile (per i bambini fino a 6 anni, di cui i primi 3 negli asili nido e altri
tre nelle pre-scuole), fondamentale (durata 8 anni) e medio (durata 3 anni); e (ii) educazione superio-
re che comprende laurea (durata media 5 anni) e post-laurea, cioè master (durata 2,5 anni) e dottorato
(durata quattro anni).
137
Il Brasile e gli altri
74
. In una dichiarazione riportata da Giappichini (2011: 320) Fishlow sostiene che “metà degli allievi
che termina l’insegnamento básico è semi-analfabeta”, per cui la preparazione per il mercato del la-
voro che l’istruzione secondaria dovrebbe fornire è in genere molto scarsa.
75
. Sweig (et al, 2011: 82 nota 11), fa notare che mentre in Brasile le imprese impiegano mediamente
poco meno di sei settimane per trovare un operaio specializzato, in Sudafrica ne impiegano quattro e
in Cina e India solo due.
138
Un gigante economico?
***
139
Il Brasile e gli altri
una percentuale crescente dei fondi per la salute spiega, almeno in parte, “perché le
diseguaglianze regionali del sistema sanitario non siano molto cambiate”. In Brasile,
conclude Fishlow (2011: 113, 114 Tab. 4.10 e 115), “la dualità,resta una realtà”, tan-
to che nonostante una notevole diminuzione, la mortalità infantile (14‰ delle nasci-
te nel 2010) e materna (86 per 100 mila nascite) restano molto alte se paragonate a
quelle di altri paesi. Infatti, la prima è 8‰ in Cile, 9‰ in Uruguay, 13‰ in Argenti-
na e 3‰ in Italia e la seconda 77‰, 25‰, 29‰ e 4‰. A questi dati bisogna ag-
giungere gli aborti clandestini, le cui stime oscillano tra 750 mila e 1,4 milioni
l’anno76.
Ma c’è un’altra emergenza poco nota e poco discussa. Il Brasile è, infatti, al
secondo posto, dopo l’India, per numero assoluto di malati di lebbra (meglio detta
hanseniasi), che però si sono ridotti notevolmente, nel 2004 ammontavano ancora a
quasi 30 mila, una diminuzione dal 4,6 a 1,6 per ogni diecimila persone, una percen-
tuale non lontana da un malato per ogni dieci mila persone che è l’obiettivo raccoman-
dato dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il cronico ritardo con il quale è stata
affrontata questa malattia è dovuto, secondo Giappichini (2011: 159-61), a un pre-
concetto che genera “quell’esclusione sociale che molto di frequente va a colpire pa-
zienti ed ex pazienti” e spinge molti a nascondere “il più possibile il proprio stato di
salute, ricevendo le opportune cure solo in fase tardiva ... Secondo alcune ricerche sa-
rebbero infatti almeno diecimila all’anno i nuovi contagi non notificati da aggiungere a
quelli conosciuti”. Ai danni causati dal pregiudizio, si sommano quelli dovuti
all’assenza di personale per la diagnosi, alla persistente ignoranza sulla sintomatologia
e “alle pessime condizioni degli ospedali-colonie”. Per cui, anche se la lebbra “può
teoreticamente contagiare chiunque …, di fatto è direttamente associata alla miseria”.
L’epidemia di febbre dengue, o febbre perniciosa, diffusasi nel 2008, causò
250 morti ed è considerata una delle peggiori degli ultimi anni. L’ultima si è manife-
stata all’inizio del 2012 e a fine aprile aveva già causato 13 decessi. L’epidemia del
2008 aveva ulteriormente evidenziato l’impreparazione del sistema sanitario pubbli-
co, ma questa volta è apparsa molto carente anche la sanità privata.
Va, infine, ricordato che in Brasile esiste ancora il lavoro schiavo (trabalho
escravo), o lavoro forzato o lavoro da indebitamento, un fenomeno che riguarda varie
migliaia di lavoratori convinti, con promesse d’un impiego regolare e una vita miglio-
re, ad andare a lavorare in fazendas all’interno del paese o nell’Amazzonia, dove sono
invece costretti a lavorare in condizioni disumane. Essi, e anche i familiari che devono
tutti lavorare, non ricevono il salario promesso che resta vincolato al pagamento del
debito contratto con i padroni per il trasporto e per l’acquisto di alimenti, vestiario e
spesso anche di strumenti di lavoro. Le vittime sono generalmente analfabete e sono
utilizzate soprattutto nel disboscamento di aree forestali e nella successiva preparazio-
ne dei terreni per la semina o l’allevamento. Questi operai non solo si vedono negato
ogni diritto, ma non possono nemmeno abbandonare il lavoro senza rischiare di essere
76
. In Brasile l’aborto è considerato un reato, salvo due eccezioni: concepimento da stupro e rischio di
vita per la madre, e, dall’inizio degli anni ’90, nel caso il feto sia incapace di vivere al di fuori
dell’utero materno a causa di una malformazione. Le strutture pubbliche, però, dove vanno le donne
povere, richiedono l’autorizzazione giudiziaria prima di intervenire, mentre le private procedono a
propria discrezione. Appare così evidente la discriminazione delle donne meno abbienti e appare an-
che strana la furiosa crociata degli anti aborzionisti in un paese dove l’aborto cladestino è responsabi-
le di circa il 20% delle morti da parto (Giappichini, 2011, 64-67).
140
Un gigante economico?
picchiati o anche eliminati fisicamente. Nel solo 2005 le forze dell’ordine hanno libe-
rato più di 4 mila persone da questa nuova forma di schiavitù77.
La Comissão Pastoral da Terra, che aveva fissato il 2008 come l’anno entro il
quale eliminare definitivamente il fenomeno del lavoro schiavo, ha segnalato che nei
primi sette mesi del 2011 dei 218 casi di conflitti di lavoro avvenuti nelle campagne,
molti hanno riguardato proprio il lavoro schiavo. Nel solo Centro-Oeste, i lavoratori
trovati in stato di schiavitù sono stati 1914 e la Comissão sostiene che il loro numero
totale sta crescendo. La proposta di legge, presentata nel 2004, di confiscare le terre
nelle quali sia stato utilizzato lavoro schiavo per destinarle al programma di riforma
agraria è stata definitivamente approvata a maggio 2012, ma manca ancora il proget-
to di legge di attuazione.
***
La Costituzione del 1988 estese la copertura della sicurezza sociale rendendola uni-
versale e aumentò i benefici del pensionamento. Si stabilirono due sistemi: il regime
della sicurezza sociale generale (RGPS) per tutti i lavoratori nel settore privato e il
regime del servizio pubblico (RJU) per gli impiegati pubblici che ottennero un au-
mento notevole dei benefici perché l’entità della pensione venne a dipendere dal sa-
lario dell’ultimo mese di lavoro. Di conseguenza, a metà degli anni ’90, il saldo ne-
gativo, tra entrate e uscite dell’RJU ammontava al 3% del PIL. E poiché il numero
dei pensionati aumentava mentre il tasso di crescita della popolazione diminuiva, il
rapporto popolazione attiva/pensionati tendeva a diminuire drammaticamente men-
tre si allungava la vita media, per cui peggiorava il deficit della sicurezza sociale.
All’inizio del 1995, Cardoso sottomise al Parlamento un emendamento costituziona-
le per cambiare il sistema pensionistico che solo alla fine del 1998 ricevette il voto
positivo. Occorsero poi ancora vari anni perché la legislazione necessaria alla sua
attuazione venisse approvata. Ma alla fine il risultato fu deludente.
Anche Lula tentò di riformare il sistema pensionistico, ma dopo una lunga
battaglia si riuscì solo a stabilire un minimo di 10 anni di servizio, gli ultimi 5 dei
quali nella stessa posizione, per aver diritto alla pensione e fissare dei limiti alle
pensioni dei massimi gradi del sistema giudiziario. Di conseguenza, il debito attua-
riale si ridusse solo dell’8%. Chiaramente, conclude Fishlow (2011: 115-06, 117
Tab. 4.11, 118-20, 124 e 127-28), il Brasile “ha sviluppato un sistema sui generis:
abbastanza consistente e dipendente da sussidi pubblici notevoli, ma a stento uguali-
tario. Nel 2000 meno dell’1% dei benefici arrivarono al 10% della popolazione più
povera, mentre il 50% furono catturati dal 10% più ricco, per cui l’effetto reddito è
negativo”, risultati che naturalmente derivano dalla dualità del sistema pensionistico.
Nel 2005, l’OCSE (2005) mostrava che gli indicatori sociali si mantenevano a livelli
inferiori a quelli raggiunti da paesi con redditi simili, malgrado che il Brasile per i
programmi sociali avesse speso quanto, o anche più, di quanto speso da questi. Leg-
germente più equa si presentava la distribuzione dei benefici non monetari (Baer,
2008: 165 Tab. 8.9). La riforma di Lula avrebbe dovuto ridurre sensibilmente nel
77
. Questa “forma contemporanea di schiavitù” risulta più redditizia rispetto a quella antica che com-
portava spese per l’acquisto e la manutenzione degli schiavi che rappresentavano capitale umano,
mentre il nuovo schiavo lo si ottiene a costo zero e se si ammala o s’infortuna viene semplicemente
buttato fuori e sostituito con un altro (Giappichini, 2011: 216).
141
Il Brasile e gli altri
tempo il deficit del settore, anche se l’aumento del salario minimo faceva automati-
camente levitare i pagamenti della sicurezza sociale.
***
142
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Il Brasile e gli altri
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144
Un gigante economico?
bassa crescita e dell’aumento del costo del servizio del debito, riducono seriamente
le risorse necessarie per realizzare programmi sociali.
Questo “circolo vizioso” può essere rotto da riforme strutturali che, facilitan-
do la crescita, generano maggiori entrate e quindi le risorse per un incisivo processo
redistributivo. Tuttavia, le riforme strutturali necessitano forte volontà politica e
molto tempo, il che rende poco probabile, almeno in Brasile, che le politiche orto-
dosse riescano a creare la base necessaria per passare a una consistente ridistribu-
zione del reddito che richiede una sostenibile e accelerata crescita – in modo che la
ridistribuzione non peggiori la situazione di alcun gruppo – che a sua volta richiede
grandi investimenti per le infrastrutture e per l’istruzione e formazione. Una rapida
crescita, quindi, non garantisce un automatico miglioramento della distribuzione del
reddito.
Il caso del Brasile pone, quindi, un importante problema per la teoria dello
sviluppo economico. Erber (2008: 33-34) sostiene che l’indiscussa fede nei “sound
fundamentals” su cui si basa l’approccio neoliberista è un’espressione con un distin-
to potere retorico (come rational expectations), perché è difficile essere contro fon-
damentali “unsound”. Importante è la definizione che si adotta per “soundness” e
quella attualmente in voga comprende equilibrio fiscale, bassa inflazione, cambio
flessibile, funzionante meccanismo dei prezzi e Banca centrale libera e indipenden-
te78. Una volta assicurati questi presupporti, la crescita dovrebbe seguire e se per ca-
so questo non succede, significa che qualche istituzione non funziona oppure che, a
causa della “path dependency”, gli agenti economici si aspettano l’inflazione. Un
ostacolo questo che l’approccio neoliberista pensa di superare insistendo con la stes-
sa politica fino a far cambiare le aspettative e far emergere una nuova traiettoria. Ed
è per questo che ci vuole tempo ma, come ha spiegato un umorista, “in the end all
will be well and if it is not well yet it is because it has not ended”. Non sembra quin-
di che così definita questa “soundness”, argomenta Erber, sia una valida strategia di
sviluppo, se per sviluppo s’intendono cambiamenti strutturali e prospettiva di lungo
periodo. In altri termini, mentre la convenzionale definizione di sviluppo è centrata
sui cambiamenti della struttura produttiva, quella neoliberista si limita ai cambia-
menti istituzionali e alla stabilità e non guarda oltre. Per questa essa è essenzialmen-
te conservatrice, specialmente quando gli interessi che serve sono ben protetti, come
illustra il caso brasiliano. Anche Lula sembra essere di quest’avviso, quando insiste
che bisogna “lavorare con un nuovo concetto di sviluppo, ove la distribuzione del
reddito non sia mera conseguenza della crescita, ma la sua leva fondamentale. Com-
pete allo Stato, in dialogo con la società, tracciare le politiche per ridurre il fossato
tra l’opulenza e la miseria”. Forse la sua politica non è sempre restata all’altezza di
queste parole, ma aver sostenuto che migliorare la condizione dei poveri non fosse
78
. La sinistra accusa il BCB di favorire i rentiers (ovvero quanti – risparmiatori brasiliani o investito-
ri stranieri – lucrano con gli altissimi interessi che prevalgono nel paese) e la destra di rallentare gli
investimenti, mentre la politica monetaria perseguita dal BCB in realtà mira anche ad attrarre capitali
dall’estero in modo da accrescere le riserve valutarie. Il risultato sono altissimi tassi d’interesse; un
cambio così sopravvalutato da inquietare notevolmente il settore industriale; riserve valutarie inter-
nazionali che a novembre 2012 hanno raggiunto quasi $380 miliardi – più del doppio di quelle italia-
ne pari a $144 miliardi (Di Franco, 2011). Quando, però, a maggio 2013 Washington ha indicato che
il quantitative easing stava per terminare, il dollaro ha cominciato ad apprezzarsi e conseguentemen-
te il real si è indebolito, Brasília ha smesso di denunciare la currency war e ha cominciato a preoccu-
parsi degli effetti della crescente inflazione interna.
145
Il Brasile e gli altri
una mera azione sociale, ma un valore per l’economia in sé, è certamente corretto e
stimolante.
Nonostante la grande popolarità di Lula, non sono mancate, specialmente da
sinistra, le critiche al suo operato, a cominciare da quelle espresse da Erber (2008:
597-98) secondo il quale la crescita dell’economia brasiliana durante la presidenza
Lula “è stata limitata e irregolare, molto al di sotto della media dell’AL e ancor più
della media degli altri paesi emergenti”. Un risultato che non potendo “essere attri-
buito alle condizioni esterne, che invece sono state estremamente favorevoli, va
spiegato con cause interne”. La principale conclusione raggiunta da Eber è che “la
politica economica è stata dominata da una coalizione d’interessi … che ha posto la
stabilità dei prezzi come precondizione per qualsiasi progetto di sviluppo”. Inoltre,
le differenti definizioni attribuite all’annunciato progetto di sviluppo hanno generato
“l’ambiguità che ha precluso la pianificazione strategica” promessa da Lula nel suo
discorso inaugurale. Lula ha presentato vari progetti di sviluppo, realizzandone solo
parte e ha perseguito una politica di cui hanno beneficiato principalmente i più ricchi
e i più poveri. La sua politica macroeconomica ha escluso tutti i progetti per lo svi-
luppo di lungo periodo e ha creato un insito pregiudizio contro il cambiamento strut-
turale. Infine, Lula ha puntato alla prosperità economica generale per favorire
l’inclusione e il riequilibrio sociale e ha dovuto necessariamente puntare alla stabili-
tà per permettere lo sviluppo degli affari, del mercato e degli investimenti interni ed
esteri, stabilità che la crisi globale sta ora mettendo a dura prova.
L’economia brasiliana mostrò i primi segni della crisi nel quarto trimestre 2008
quando, a causa della forte caduta della domanda, si contrassero gli investimenti, e
aumentò il tasso di disoccupazione. Ma è nel 2009 che gli effetti negativi della crisi
globale, che inizialmente sembrava aver solo sfiorato l’economia brasiliana79, sono
apparsi in modo evidente e il tasso di crescita è diventato negativo (-0,3%). Nel
2010 c’è stata, però, una splendida ripresa (con un tasso di crescita del 7,5%, il più
alto dal 1986, e uno dei più alti tra le economie dei paesi G20) seguita poi da due
anni di bassa crescita (2,7% nel 2011 e 1,0% nel 2012 (EIU, 2013 feb.: 9). Ad ogni
modo, il tasso medio di crescita per tutto il periodo 1995-2009 è stato solo poco più
del 2%. Wolf (2010) fa anche notare che nel 1980 il reddito pro capite (ppp) cinese
era solo il 7% di quello brasiliano e quello indiano l’11%; nel 1995 queste percen-
tuali erano rispettivamente 23% e 17% e nel 2009 avevano raggiunto 63% e 28%. In
effetti, tra il 1995 e il 2009 l’aumento del PIL pro capite brasiliano era stato solo
22%, mentre quello cinese era cresciuto del 226% e quello indiano del 100%.
Nel 2011 l’economia brasiliana si è di nuovo arenata al peggiorare degli indi-
catori di produzione, domanda e mercato del lavoro. Della contrazione dei crediti
79
. Di Franco (2011) avanza l’ipotesi che “quando la domanda estera è calata a causa della crisi inter-
nazionale: il sistema economico brasiliano non ne ha sofferto in forma drammatica, … grazie anche
ai programmi sociali e di ridistribuzione del reddito … e agli aumenti del salario minimo (nominal-
mente +132% in questi otto anni di presidenza [Lula]) volti a sostenere consumo e domanda interna
oltre che a ridurre gli squilibri sociali: l'aumento del salario minimo relativo al 2010 ha iniettato
€10,7 miliardi nella classe D”. In sintesi, sarebbero stati “i consumi e il lavoro spesso informale delle
classi C e D ad aiutare a risollevare celermente l’economia brasiliana dalla crisi”.
146
Un gigante economico?
operata dalle banche in difficoltà hanno risentito specialmente le vendite di beni du-
revoli, e in particolar modo delle auto, le cui vendite sono crollate d’un 30% rispetto
all’anno precedente. Di conseguenza, nel terzo trimestre del 2011 si è contratto an-
che l’indice di produzione industriale. Frattanto, il sistema bancario è ricorso a vari
consolidamenti e ha visto la fusione tra le due principali banche private, Itaú e Uni-
banco, mentre il Banco do Brasil, pubblico, ha acquistato Nossa Caixa e, per circa
$740 milioni, il Banco Patagonia argentino.
Il preoccupante aumento del tasso di disoccupazione a 7,9% nel 2008 e 8,1%
nel 2009 ha indotto all’elaborazione di un Plan de Aceleración de Crecimiento
(PAC2) coordinato da Dilma Rousseff che prevede per il periodo 2011-14 investi-
menti pubblici e privati destinati a sei aree: energia ($260 miliardi); rinnovamento
urbano ($30 miliardi); programmi sociali urbani e rurali ($13 miliardi); programma
nazionale della casa (Minha Casa, Minha Vida) ($150 miliardi); acqua, servizi igie-
nici ed elettrificazione ($15 miliardi); e trasporto stradale e ferroviario ($60 miliar-
di). La modernizzazione delle strutture portuali e del sistema dei trasporti è essenzia-
le per l’agricoltura, “uno dei pochi settori economici, scrive TE (2013 gennaio 12:
42), che al momento vanno bene”. Gli $80 miliardi di investimenti previsti dal go-
verno ammontano annualmente all’2,2% del PIL, ma secondo un rapporto della
Morgan Stanley (2010: 5) questo livello sarebbe solo sufficiente a mantenere le at-
tuali infrastrutture, mentre per una crescita annuale del PIL del 5% occorre che il
livello degli investimenti raggiunga almeno il 4% del PIL per i prossimi 20 anni, per
raggiungere il Cile, mentre per raggiungere la Corea del Sud il Brasile avrebbe biso-
gno di investire ad un ritmo annuo del 6-8% del PIL.
A metà del 2012, il Brasile aveva completato quasi un terzo degli investimen-
ti programmati dalla PAC2, ma è ancora difficile dire se tutti gli sforzi fatti dalla
metà del 2011 per stimolarla siano riusciti a rimettere l’economia su uno stabile sen-
tiero di crescita. Ad ogni modo, la disoccupazione è tornata, secondo un rapporto
della Morgan Bank, al 6,7% nel 2010 ed è scesa al 6,0% e a 5,3% nei due anni suc-
cessivi (EIU, 2013 feb.: 9). Intanto, per evitare eccessive fluttuazioni monetarie e
proteggere la stabilità finanziaria, inizialmente il governo aumentò tassi d’interesse e
riserve obbligatorie80, intervenne sui cambi e introdusse una tassa temporanea sugli
afflussi di capitali a breve.
Il peggioramento della crisi globale convinse il governo a mutare politica ri-
ducendo i tassi d’interesse, tagliando le spese e fissando il surplus primario a livelli
consistenti con la riduzione del debito pubblico. Grazie alla rapida normalizzazione
dei canali di credito diretti ai produttori di auto e di manufatti durevoli, gli effetti
positivi dei ridotti tassi d’interesse – è la prima volta dal 1965, quando fu fondato il
BCB, che si sono visti tassi d’interesse nominali a una cifra – cominciarono a farsi
sentire. Anzi, l’economia reagì benissimo “a tassi d’interesse vicini a quelli civiliz-
zati”, ma simultaneamente il governo aumentò la spesa fiscale, presentandola come
una politica anticiclica che subito sviluppò i sintomi di crowding out e riscaldamen-
80
. Anche dopo la riduzione, il livello delle riserve obbligatorie (31%) era straordinariamente alto e
difficilmente giustificabile dal punto di vista della politica monetaria. Per quanto concerne la politica
fiscale, questa era già in fase espansiva prima della crisi, ma fu ulteriormente ampliata con la scusa
che c’era bisogno di una supposta politica anticiclica. In realtà, introdurre tale politica non era molto
prudente, considerate le tante promesse non mantenute nel campo fiscale, mentre restava discutibile
la sua necessità (Franco e Vieira, 2010: 18). In realtà, però, il tasso di crescita dei consumi è aumen-
tato solo nel 2010 (6,9%), mentre era diminuito nel 2009 (4,4% dal 5,7% del 2008) e ancora nel 2011
e 2012 (rispettivamente 4,1% e 2,8%).
147
Il Brasile e gli altri
to economico (Franco e Vieira, 2010: 17). Infatti, se dal 2006 l’economia aumentò
in media solo del 4,2%, questo fu dovuto alla debole crescita della produttività – non
più dello 0,9% annuo, in gran parte dovuto a quella agricola – e dei tassi di rispar-
mio – 16,5% circa del PIL – e d’investimento – 19% circa del PIL –, ma anche al
crescente costo del lavoro.
Giustamente Goldstein e Trebeschi (2012: 49-51) fanno notare la maturità
raggiunta da questo paese nel quale “in passato qualsiasi shock esterno innescava un
circolo vizioso: deprezzamento del cambio, aumento del debito pubblico, per la par-
te denominata in valuta o indicizzata ai tassi di interesse a breve, aggravamento ulte-
riore della crisi e adozione di politiche restrittive”. Questa volta, “tra il settembre e il
dicembre 2008 il real perse un terzo del proprio valore ma il debito pubblico netto,
invece che schizzare verso l’alto, come sarebbe accaduto fino a pochi anni prima si
ridusse di 2,4 punti al 38,5% del PIL. A differenza dal passato, le autorità furono in
grado di attuare le necessarie politiche economiche anticicliche”. Detto questo, i due
autori riconoscono che “i mercati considerano tuttavia ancora alti i rischi dell’attuale
quadro macroeconomico e si mostrano scettici sulla capacità della banca centrale di
riportare l’inflazione, che ha raggiunto il 6,5 nel 2011, verso l’obiettivo previsto del
4,5% entro il 2012”. In effetti, nel 2012 l’inflazione è scesa solo al 5,8% e l’avanzo
commerciale si è ridotto a $19,4 miliardi. Considerate le condizioni esterne – parti-
colarmente deboli prezzi delle commodities e crescita ridotta dell’economia cinese –,
una riduzione dell’avanzo era attesa, ma il 35% meno del 2011 rappresenta il risulta-
to peggiore degli ultimi dieci anni. Inoltre, all’inizio del 2013 l’inflazione ha comin-
ciato a crescere di nuovo (EIU, 2013 febr.: 9, 23 e 32).
Indubbiamente la crescita economica degli anni 2000 ha permesso un miglio-
ramento del contratto sociale perché ha generato maggiori entrate fiscali per finanziare
la spesa sociale e i trasferimenti ai più poveri senza dover aumentare la pressione fi-
scale. Grazie al boom anche l’aumento dei salari minimi è avvenuto senza necessaria-
mente contrarre l’occupazione. La situazione diventa, però, insostenibile quando la
crescita diminuisce e il valore reale dei salari minimi aumenta e diventa anche difficile
mantenere la riduzione delle ineguaglianze. Sharma (2012: 80-87) e altri analisti so-
stengono che, poiché la caduta della crescita dipende in buona parte dai problemi strut-
turali del paese, il governo dovrebbe adottare politiche dirette all’aumento degli inve-
stimenti, piuttosto che quelle per sostenere la domanda interna.
***
Il basso livello del risparmio, sia pubblico che privato, continua a ostacolare il ne-
cessario aumento degli investimenti (OCSE, 2011: 8 e 11), il che spiega, in parte, la
debole crescita dopo il 2010. Preoccupato anche per l’eccessiva liquidità creata dalle
banche centrali dei maggiori paesi sviluppati e per la competitività della sua econo-
mia, particolarmente per quella del settore industriale, il governo ha accettato un in-
flation-targeting più flessibile, permettendo ai tassi d’interesse di scendere a livelli
storicamente bassi81 e intervenendo pesantemente sul regime di cambi flessibili. Per
rafforzare la competitività sono state adottate misure per rimuovere colli di bottiglia
81
All’inizio del 2013 il BCB per la seconda volta ha mantenuto il tasso SELIC a 7,25%, dopo che il ciclo
di easing messo in moto ad agosto 2011 era stato chiuso ad ottobre 2012.
148
Un gigante economico?
***
82
. Secondo la BM l’importazione di un container in Brasile costa in media il doppio della media dei
paesi OCSE. Il cattivo stato delle infrastrutture, comprese le tangenti, causa all’agrobusiness brasilia-
no danni stimati pari a $3,3 miliardi l’anno.
149
Il Brasile e gli altri
A metà 2012 Ruchir Sharma (2012: 81-82) ha proclamato “la fine del momento ma-
gico” del Brasile, sostenendo che questo momento era fondato “su una premessa
estremamente fragile: il prezzo delle commodities” e ora che la loro domanda sta
diminuendo “il Brasile potrebbe subire la stessa sorte”. Per affrontare le crisi eco-
nomiche che l’hanno afflitto nell’ultima parte del secolo passato, il governo brasi-
liano è ricorso ad alti tassi d’interesse per controllare l’inflazione e ha introdotto un
sistema di welfare per creare una rete di sicurezza sociale, due misure che hanno
impedito un’elevata espansione economica. Infatti, dall’inizio degli anni ’80 il tasso
di crescita dell’economia del paese ha oscillato attorno al 2,5% l’anno ed è aumenta-
to oltre il 4% solo quando si sono impennati i prezzi delle commodities, ma è restato
sempre molto sotto i tassi di crescita degli altri BRIC. Frattanto la spesa pubblica è
passata da circa il 20% del PIL negli anni ’80 a quasi il 40% nel 2010, per cui la tas-
sazione ha quasi raggiunto il 38% del PIL. D’altra parte, gli alti tassi d’interesse
hanno limitato fortemente gli investimenti – restati al di sotto del 19% del PIL, per-
centuale molto più bassa di quella degli altri BRIC –, mentre l’afflusso di capitali
esteri che hanno generato ha spinto molto in alto il valore della moneta brasiliana e
conseguentemente ridotto la competitività delle esportazioni, tanto che la quota del
PIL dei manufatti dal massimo 16,5% raggiunto nel 2004 si è ridotta a 13,5% alla
fine del 2010.
Negli ultimi due decenni del secolo passato la competitività brasiliana è cre-
sciuta solo dello 0,2% l’anno, rispetto al 4% di quella cinese. Avendo investito “in
welfare piuttosto che in strade e ponti”, conclude Sharma (2012: 83), il Brasile “ha
ridotto l’ineguaglianza, ma a scapito della crescita”. Sempre su Foreign Affairs,
O’Neil Shannon (2012: 159) fa notare che anche “la stabilità economica ha contri-
buito alla crescita brasiliana” e che “per una crescita sostenibile, i governi devono
aver cura dei giovani, dei vecchi e dei meno fortunati”. Inoltre la stessa BM ricono-
sce che, nei paesi di reddito medio come il Brasile, la riduzione dell’ineguaglianza
in realtà facilita il progresso economico. Lapper (2012: 161) ricorda che dal 2007 la
spesa pubblica in infrastrutture è più che triplicata e che il BCB sta gradualmente
abbassando il tasso d’interesse e i coefficienti di riserva obbligatoria.
***
Non manca chi, invece, pensa che la crisi abbia solo drammaticamente rinforzato il
punto di vista “mercantilistico” secondo il quale i saldi delle partite correnti e
l’accumulazione delle riserve – pari a $378 miliardi all’inizio del 2013, quasi il dop-
pio di quelle alla vigilia della crisi – rappresenta il modo più rapido per prevenire
che gli shocks esterni riducano la crescita interna. Franco e Vieira (2010: 20) consi-
derano questa posizione una riprova di quanto l’esempio cinese sia diffuso e in-
fluenzi la guida del paese.
Questi due autori hanno esplorato le similarità tra Cina e Brasile, partendo
dal “miracolo economico” che si materializzò durante il regime militare e arrivando
ai giorni nostri. Da lato della domanda, il motore della crescita brasiliana non sono
stati solo gli investimenti pubblici, ma anche la “financial repression”, essenziale
per mobilizzare il risparmio forzato, contenendo i consumi e i prezzi relativi dei beni
d’esportazione e mantenendo tassi di cambio competitivi. Fin qui le strategie dei due
paesi sono molto simili, le differenze emergono dal lato dell’offerta, nella quale
quella cinese si distingue per un surplus di manodopera e un deficit di democrazia
che facilitando il contenimento della spesa pubblica per la sicurezza sociale, per-
150
Un gigante economico?
mette di mantenere bassi i prezzi dei beni d’esportazione, come avveniva nel Brasile
degli anni ’70. L’effetto della combinazione cinese di domanda e offerta genera bas-
si tassi d’interesse e alti tassi di risparmio e quindi d’investimento, più un molto
competitivo, o sottovalutato, tasso di cambio. Così interpretato, il modello cinese
somiglia abbastanza a quello di Arthur Lewis (“disponibilità illimitata di lavoro”,
1954) secondo il quale i salari restano permanentemente al livello di sussistenza,
l’accumulazione di capitale accresce solo i profitti e, quindi, l’ineguaglianza aumen-
ta. Poiché il risparmio proviene esclusivamente dai profitti, la loro crescente quota
nel PIL implica anche un crescente tasso di risparmio, cioè risparmio forzato, com-
patibile con un avanzo delle partite correnti.
Contrariamente all’esperienza cinese, dal tempo della riforma monetaria del
1994 il real ha costantemente mostrato, salvo durante i peridi di crisi, una spiccata
tendenza a rivalutarsi. In effetti, in Brasile, ma non in Cina, operano altri meccani-
smi, in definitiva attività “para-fiscali”, che impattano sul debito pubblico, aggra-
vando il crowding out. Di conseguenza, l’iperinflazione è “la dimostrazione che il
Brasile non poteva permettersi investimenti pubblici a livelli paragonabili a quelli
cinesi e consumi governativi, come la protezione sociale, ai livelli dell’Europa Me-
ridionale”. Inoltre, dal lato dell’offerta il Brasile non possiede il vantaggio demogra-
fico della Cina per cui diventa necessario il crowding out della spesa privata, molto
probabilmente degli investimenti, proprio per far posto ai programmi governativi. In
effetti, la situazione sociale ed economica brasiliana non sembra permettere una re-
plica della politica cinese, una replica che proprio le limitazioni fiscali dovrebbero
sconsigliare. Franco e Vieira (2010: 22-23) suggeriscono, invece, ulteriori restrizioni
fiscali che, abbandonando l’assurda pratica “loose fiscal & tight money”, dovrebbero
ridurre il costo del capitale. Il breve periodo durante il quale, per la prima volta negli
ultimi 40 anni, il Brasile ha un tasso d’interesse sotto il 10%, “offre uno sguardo su
una nuove realtà per quanto concerne prendere a prestito, leveraging, mercati di ca-
pitale e valutazioni azionarie che sta catturando l’immaginazione della gente”.
Tra le cause della crisi, però, bisogna sicuramente annoverare quella “euforia
finanziaria” che ha spinto a ignorare che la liberalizzazione doveva essere accompa-
gnata da una migliore regolamentazione e da un’efficiente e prudente supervisione e
che l’abolizione della distinzione tra banche commerciali e banche d’investimento
avrebbe duplicato i livelli di prestito. Fortunatamente, continua Galano (2011: 117 e
124), in Brasile, come in Cina, la massiccia presenza dello stato nel sistema finan-
ziario ha permesso “non solo di mitigare gli effetti della crisi sul mercato del credito,
ma anche di elaborare piani settoriali di sviluppo, orientando il credito verso i settori
considerati di maggior interesse”. Inoltre, per stimolare la domanda interna e riatti-
vare l’economia, il governo ha gradualmente ridotto il tasso ufficiale di sconto e al-
cune tasse, immesso liquidità e aumentato la spesa pubblica. Tali misure “ora, però,
sembrano avere scarso effetto” a causa di un globale pessimismo economico, perché
i consumatori brasiliani, come quelli del resto del mondo, stanno ripagando i debiti
e, infine, perché il paese è diventato terribilmente caro e la tassazione ha raggiunto il
36% del PIL. Quindi, il tasso d’interesse dovrà salire ancora per “incoraggiare gli
afflussi monetari e contrastare l’indebolimento del real che contribuisce all’aumento
dell’inflazione facendo salire il prezzo delle importazioni”. Il ritorno dell’inflazione,
nonostante la bassa crescita, “suggerisce che il problema principale non è rappresen-
tato dalla debole domanda estera ma dalle rigidità interne” (TE, 2013: 8.06).
La combinazione di burocrazia, tasse eccessive e credito caro, infrastrutture
povere e costose, legislazione del lavoro penalizzante, una moneta spesso sopravalu-
151
Il Brasile e gli altri
tata, tassazione e tassi d’interesse troppo alti e una complicata e corrotta burocrazia
costituisce il “custo Brasil” (il costo del Brasile), a causa del quale il 2011-12 Glo-
bal Competitiveness Report assegna al Brasile il 104° posto, rispetto al 32° del Cile
e 73° del Messico. Bisogna, quindi, decidere come ridurre gli alti costi dell’offerta
(TE, 2012 agosto 18: 9), a cominciare dal prezzo dell’elettricità che è il terzo al
mondo, come adeguare le infrastrutture e come ridurre e ristrutturare una burocrazia
che dal 2003 è cresciuta da 900 mila a più di 1,1 milioni di persone, anche per
l’apertura di almeno 37 nuove imprese o agenzie pubbliche. Inoltre, una parte signi-
ficativa dell’economia continua a operare informalmente, un settore che secondo
alcune stime produce circa il 40% del PIL e occupa quasi la metà della manodopera
(Diaz e de Almeida, 2008: 7).
La gran quantità di capitali esteri che si sono riversati sul Brasile, e su altri
PVS, a causa della diminuita possibilità d’investire in Europa e negli USA a seguito
della crisi globale, ha contribuito a una considerevole rivalutazione del real. Tra la
fine del 2008 e la metà del 2011 il real si era sopravvalutato di quasi il 50% rispetto
a dollaro e sebbene tale sopravvalutazione si sia poi ridotta da R1,6 a R2,0 per dolla-
ro da metà 2011 a metà 2012 – così com’è diminuito al 9% il tasso d’interesse (TE,
19.05.2012) –, questa congiuntura ha fatto aumentare il potere d’acquisto interno,
ma ha anche reso meno competitive le esportazioni del paese, già in difficoltà a cau-
sa della depressa domanda statunitense ed europea, con il conseguente rallentamento
della crescita dell’economia. Il governo ha reagito tagliando i tassi d’interesse e pre-
parandosi a ridurre la pressione fiscale e a introdurre misure di sostegno delle impre-
se e dei consumatori nel caso l’economia globale dovesse continuare a deteriorarsi.
Tuttavia, Lemos (2012: 163) teme che i $35 miliardi stanziati ad aprile 2012
per aiutare la base industriale, serviranno solo a rafforzare un modello industriale
sorpassato, invece che a promuovere le riforme strutturali necessarie per creare in-
novazione e quindi ridurre il tristemente famoso “custo Brasil”.
***
Il successo economico ottenuto dal Brasile durante il passato decennio l’ha messo in
condizione, scrive Guerrieri (2009: 5), “di condividere la responsabilità per la ge-
stione globale della crisi nel contesto delle esistenti istituzioni mondiali” e di proce-
dere internamente con una serie di politiche anticicliche, particolarmente monetarie
e creditizie. Il che implicitamente costituisce l’accettazione di una gestione globale
basata sulle regole, mentre il successo dell’agrobusiness e la diffusione delle multi-
nazionali brasiliane tendono “a controbilanciare e ridurre la forza della tradizionale
lobby protezionista”. Tutto ciò fa sperare bene per il processo d’integrazione globale
del paese – vedi cap. 9.
Per ottenere il potere commerciale e diplomatico che esercita su molte regio-
ni del mondo. il Brasile ha fatto leva sul proprio successo economico. In effetti, con
il PIL che nel 2011 ha raggiunto $2,5 trilioni, il Brasile non solo è la maggiore eco-
nomia dell’AL, ma anche la sesta al mondo. Certamente le condizioni per questa
crescita sono state create dalle riforme messe in atto negli ultimi venti anni che han-
no ridotto l’inflazione e introdotto stabilità, ma la crescita brasiliana è dipesa anche
dal boom della domanda internazionale per i beni primari del paese e dall’aumento
del potere d’acquisto, in gran parte però frutto d’indebitamento, di una classe media
in rapida espansione.
152
Un gigante economico?
83
. Sempre TE (2013, 20 aprile:46) suggerisce che probabilmente la resistenza del BCB ad aumentare
i tassi d’interesse fosse dovuta alle pressioni esercitate dal governo per sostenere la debole economia
brasiliana.
84
. Nel precedente decennio la ragione di scambio brasiliana era migliorata del 25%.
153
Il Brasile e gli altri
APPROFONDIMENTO 2.1.
L’AMAZZONIA
Con un territorio più grande dell’Europa, il 65% del quale appartiene al Brasile, la fo-
resta amazzonica è fonte di quasi un quarto dell’acqua dolce85 del pianeta e ospita la
maggiore concentrazione di pesci, piante (25 mila), specie animali del globo e solo il
10% circa della popolazione brasiliana. La straordinaria biodiversità – con circa 2 mi-
lioni di specie, la metà delle specie animali e vegetali esistenti, molte delle quali vi-
vono solo in quest’ambiente – ne fa la più grande riserva ecologica del pianeta.
L’Amazzonia trattiene il 10% delle riserve di carbonio e assorbe annualmente 2 mi-
liardi di tonnellate di anidride carbonica, il che la rende una sentina delle emissioni di
carbonio globali e un importante strumento per prevenire il cambiamento climatico.
Inoltre, riciclando anidride carbonica, produce il 20% dell’ossigeno mondiale. Il di-
sboscamento dell’Amazzonia comporta, quindi, un aumento dell’emissione dei gas
che provocano l’effetto serra. Con il 4% delle emissioni globali di carbonio il Brasile
resta uno dei maggiori generatori di gas serra al mondo.
La penetrazione della foresta amazzonica da parte dei brasiliani iniziò nel secolo
XIX°, con la ricerca d’oro e spezie e sfruttamento del caucciù nella seconda metà del
secolo e inizio del XX. Negli anni ’60 il governo militare, per ragioni di sicurezza na-
zionale, cominciò a sussidiare l’insediamento nella regione (CdS, vol. 4: 300). Venne-
ro così costruite la Transamazônica e altre infrastrutture, come la Transoceanica (2600
km) da Porto Velho nell’estremo occidente brasiliano al porto di San Juan de Marco-
na nel Perù meridionale e la Manaus-Boa Vista (capitale di Roraima) che, insieme al-
lo stato Amazonas, è connessa al Venezuela dalla strada BR-17486. Lo stato si è riser-
vato il diritto di concedere le terre entro i 100 km ai lati delle grandi strade.
Senza alcuna considerazione per l’impatto ambientale degli interventi infrastruttu-
rali e produttivi – strade, ferrovie, piantagioni di semi di soia, stabilimenti siderurgici
e di legname, progetti idroelettrici, miniere e campi petroliferi e di gas, allevamenti di
bestiame e agricoltura sia di sussistenza che commerciale, e con una popolazione che
ha superato i 20 milioni – è andato distrutto circa il 15% dell’Amazzonia brasiliana.
Negli anni ’80, si è sostenuto che la deforestazione sarebbe diminuita se il governo
avesse eliminato gli incentivi fiscali e i sussidi creditizi agli insediamenti e alla pro-
duzione agricola, ma questo non è successo, perché nel frattempo le complesse e in-
terrelate cause della deforestazione si sono moltiplicate invece di ridursi. Infatti, negli
anni ’90 il Brasile ha perso circa 181,000 km2 di foresta. Dopo aver toccato il massi-
85
. A metà 2011 scienziati brasiliani hanno annunciato la scoperta di un grande fiume sotterraneo, il
Rio Hamza, che scorre sotto il fiume delle Amazzoni e riversa nell’Atlantico un volume di acqua 46
volte quella del Tamigi.
86
. Dopo che questa strada è stata completata nel 2000, gli scambi commerciali per terra con il Vene-
zuela sono aumentati da meno di $1 milioni nel 1996 a quasi $50 milioni nel 2002. Questa strada non
fu completata solamente per trasportare merci da Manus al porto di Caracas e da lì esportarle, ma an-
che per facilitare l’accesso agli impianti idroelettrici venezuelani della diga di Guri e rifornire i brasi-
liani del Norte (Burges, 2009: 116-17).
154
Un gigante economico?
87
. Nell’Amazzonia, la schiavitù non presenta le stesse caratteristiche del modello classico, perché i
contadini firmano un contratto prima di essere trasportati nei campi di lavoro in mezzo alla giungla,
dove ricevono solo una parte del salario pattuito, pagano prezzi esorbitanti per il cibo e l’alloggio che
ricevono e spesso devono non solo acquistare gli arnesi per lavorare, ma devono farlo negli spacci di
proprietà dell’impresa, per cui si ritrovano rapidamente indebitati. Poiché è loro impedito di lasciare i
campi prima di aver estinto il debito, questo continua a crescere quanto più a lungo essi restano
(Rohter, 2010: 213).
155
Il Brasile e gli altri
hanno acquistato notevoli quantità di terra per piantarci canna da zucchero ed eucalip-
to, riducendo così il potere dei movimenti contadini e intensificando la dinamica
dell’agrobusiness. Lo stesso è avvenuto in Roraima, vicino alla frontiera con il Vene-
zuela, mettendo a rischio i territori indigeni.
I tentativi dei gruppi indigeni di proteggersi dalla crescente intrusione nelle loro
terre – di cui sono ufficialmente proprietari – sono considerati con grande sospetto dai
militari e dai nazionalisti, anche perché queste popolazioni, dopo essersi ridotte a qua-
si 200 mila unità nel 1970, hanno ripreso a crescere – nel 2000 erano già triplicate – e
si stanno sempre più organizzando (Rohter, 2010: 211). Il governo non ha i mezzi ne-
cessari per proteggere l’Amazzonia e la gente che ci vive, ma poiché teme che la so-
vranità sulla regione si indebolisca ulteriormente, si oppone a che attori esterni vi ab-
biano un ruolo e rifiuta anche l’assistenza finanziaria. Il che rafforza i potenti interessi
economici che già dominano l’Amazzonia e i loro alleati nel Congresso.
Riconoscendo che il disboscamento minaccia la biodiversità della regione amazzo-
nica, il governo ha ampliato le aree protette e introdotto nuove politiche ambientali. A
marzo 2004 Lula presentò il “Piano d’azione per la prevenzione e il controllo del disbo-
scamento in Amazzonia”, un piano che ha “dato risultati non disprezzabili, e modesta
soddisfazione è stata espressa anche da esponenti di ONG ambientaliste, in passato mol-
to critiche verso l’operato dell’esecutivo” (Giappichini, 2011: 205). L’amministrazione
Lula creò inoltre più di 60 nuove riserve naturali, portando così l’area amazzonica pro-
tetta a 285,000 km2 e firmò la Lei de Gestão de Florestas Públicas che, per incoraggia-
re lo sviluppo sostenibile, sospese la coltivazione della soia e l’allevamento del bestiame
nell’Amazzonia e, per ridurre il tasso di disboscamento dell’80% entro il 2020, aumentò
il pattugliamento federale, rimboschendo e finanziando progetti sostenibili dove l’intera
economia dipende dalla produzione di legname.
Dopo 13 anni di discussioni e una forte opposizione del potentissimo gruppo in-
terpartitico dei ruralistas che dominano il Parlamento, . nell’aprile 2012 fu approvata
una revisione del codice forestale – voluto dal regime militare nel 1965 e abbastanza
all’avanguardia – però, ancora molto lontana da quanto sperato dagli ambientalisti.
Sotto la pressione del moltiplicarsi delle accuse di favorire gli interessi degli agricol-
tori più che la conservazione della foresta, il Presidente Rousseff ha rinviato il codice
al Parlamento proponendo alcune modifiche minori, non essendoci alcuna possibilità
di ottenerne di più sostanziali (TE, 02-06.2012). Il nuovo codice concede una parziale
amnistia per precedenti disboscamenti, riduce l’ammontare di foresta che ogni agri-
coltore dovrebbero lasciare intatta e limita gli obblighi rispetto ad aree ambientalmen-
te sensibili come le cime di colline e gli argini fluviali, con il rischio che la speranza
di nuove amnistie possa accelerare il disboscamento.
Dal 1970 la deforestazione procede con una media annua di più di 20 mila km2,
mentre continua la diffusione dell’allevamento bovino, l’indiscriminata diffusione
delle piantagioni di soia e l’intensificarsi dello sfruttamento del legname (60% del
quale, diretto principalmente a USA, UE e Cina) considerato “illegale” dal governo
brasiliano. Nel 2012 l’Amazzonia brasiliana ha raggiunto il livello più basso di defo-
restazione da quando il governo ha iniziato il monitoraggio via satellite, cioè 24 anni
fa, ma le organizzazioni ambientaliste temono un’inversione di tendenza perché con-
siderano la recente riforma del codice forestale favorevole alla lobby agricola. Secon-
do il pensatoio Climate Policy Initiative, tre quarti di questa diminuzione sono dovuti
al minore prezzo mondiale di carne e soia e all’apprezzamento del real, per cui si so-
no ridotti gli incentivi a disboscare. Frattanto, nel 2007 è stata creata la Fundação
Amazonas Sustentável , un partenariato tra la banca Bradesco e lo stato
dell’Amazonas con l’obiettivo di conservare la foresta amazzonica migliorando la
qualità della vita delle comunità rivierasche. Tramite quest’organizzazione le autorità
stanno creando posti di lavoro reclutando la popolazione locale per controllare il fe-
nomeno di deforestazione illegale in zone altrimenti difficilmente monitorabili.
156
Un gigante economico?
Già alla fine del 2008 era stato varato il Plano Nacional sobre Mudança do Clima
(PNMC) che punta a eliminare la perdita netta del manto forestale entro il 2015, a ri-
durre il disboscamento del 70% entro il 2017, a limitare del 10% il consumo annuo di
elettricità entro il 2030 e ad abbassare del 36-39% le emissioni di gas serra entro il
2020. Frattanto il BNDES ha creato un fondo di $1 miliardo per preservare e sostene-
re lo sviluppo dell’Amazzonia. La resistenza del governo brasiliano al coinvolgimento
di organismi internazionali e ONG estere è dettato dal timore che in questo modo si
proceda alla “denazionalizzazione” della questione amazzonica, una regione che è, e
deve restare, brasiliana.
Chiaramente, la politica governativa non può continuare a promuovere
l’espansione economica nell’Amazzonia sacrificando i piccoli coltivatori e gli ame-
rindi che nella foresta abitano da sempre e sono i primi a subire l’impatto negativo
dello sfruttamento dell’area. Malgrado questa politica sia stata fonte solo di conflitti,
probabilmente l’Amazzonia continuerà ancora per parecchio tempo a essere conside-
rata “una cassa piena di tesori da estrarre per il beneficio del paese” o forse di interes-
si privati interni o esteri, che anche delle ONG straniere, che rispondono agli interessi
geopolitici dei paesi più sviluppati che le finanziano, potrebbero appoggiare.
Infine, al moltiplicarsi delle strategie straniere, cioè dei paesi andini e delle orga-
nizzazioni internazionali, che guardano al bacino amazzonico nella sua interezza, bi-
sogna aggiungere la trans-nazionalizzazione di fatto che sta realizzando la potente e
ben ramificata criminalità internazionale che controlla il traffico della coca, di armi e
di altre merci e che per riciclare i guadagni illegali, alimenta un’urbanizzazione incon-
trollata lungo le frontiere agricole amazzoniche, dove l’instabilità dei diritti di pro-
prietà è un elemento sempre presente, anche se la popolazione “legale” è triplicata ne-
gli ultimi due decenni.
APPROFONDIMENTO 2.2.
IL RUOLO DELLE FORZE ARMATE IN BRASILE E
L’INDUSTRIA MILITARE
Dalla fine dell’impero, che esse aiutarono a rimuovere, le forze armate brasiliane han-
no esercitato svariate volte un “ruolo moderatore”, ovvero sono intervenute per “mo-
derare” la politica o fermare governi88 che tendevano a diventare troppo radicali, cioè
di sinistra, ma non avevano mai assunto il ruolo di governo prima del 1964, anche se
avevano fortemente appoggiato l’Estado Novo di Vargas e avuto “una influenza deci-
siva su molte crisi politiche nazionali durante il periodo 1945-64”. Nel 1964 con un
vero coup d’etat conquistarono il governo che poi mantennero per 21 anni (Stepan,
1971: 258-59; Hunter, 1996: 21).
I militari sono stati sempre molto attivi nel campo della sicurezza interna e nel
complessivo sviluppo del paese. All’inizio del XX secolo sono diventati la punta
avanzata dell’esplorazione delle regioni all’estrema periferia del territorio nazionale,
hanno pianificato e supervisionato la costruzione delle infrastrutture, specialmente il
sistema stradale e quello delle telecomunicazioni e hanno creato e gestito imprese di
stato in settori strategici come quello energetico e minerario. Tutto ciò è servito a sta-
bilire un’immagine delle forze armate quali “agenti indispensabili per lo sviluppo e il
88
. Dal 1889 i militari brasiliani hanno eseguito quattro colpi di stato: (i) 1898: fine dell’impero e
proclamazione della Repubblica; (ii) 1930: rovesciamento del governo e sostituzione del Presidente
Washington Luis con Getulio Vargas come Presidente provvisorio; (iii) 1945: deposizione di Vargas,
seguita dall’elezione a Presidente del generale Enrico Dutra; e (iv) 1964: rimozione del Presidente
João Goulart e istallazione di un regime militare durato fino al 1985.
157
Il Brasile e gli altri
progresso del paese”, quindi campioni dell’idea che una nazione vasta e ricca di risor-
se come la loro, fosse destinata ad assurgere al ruolo di grande potenza mondiale. I
militari brasiliani continuano a esercitare la lobbying per promuovere i propri interes-
si, “ma non sono sufficientemente influenti da poter scegliere quali missioni vorreb-
bero svolgere”89. In effetti, la Costituzione del 1988 mantiene i ruoli esterni e interni
delle forze armate, che però sottopone all’autorità presidenziale, cambiando così il
modo con il quale possono esercitare il loro potere “moderatore” e assicurando che
siano le autorità civili a decidere i termini del coinvolgimento dei militari nelle attività
interne, cioè garantire “law and order” nel paese (Hunter, 1996: 20-21). Oltre la con-
venzionale difesa esterna, l’istituzione militare ha, così, varie altre missioni – peace-
keeping internazionale, sicurezza interna (contro-insurrezione negli anni ’70) e azione
civile – una pluralità di ruoli che si spiega con la sua storia e con la sua recente espe-
rienza al potere, ma anche con la debolezza dell’autorità civile e i problemi della go-
vernance del Brasile.
Nonostante la repressione inflitta al paese, i militari “mantennero un impressio-
nante grado di sostegno popolare”90 e quando decisero di lasciare il potere, riuscirono
a controllare molto bene la transizione alla democrazia, preservando importanti prero-
gative istituzionali, ma di gran lunga minori di quelle ottenute dai militari cileni alla
fine della dittatura di Pinochet, e conservando anche il rispetto popolare. Con il go-
verno Collor de Melo la loro influenza iniziò, però, a declinare e nacque il problema
della ridefinizione della missione militare, processo ancora in corso d’opera, dato che
erano ormai quasi inesistenti le minacce da parte di nemici esterni91, specialmente do-
po la risoluzione delle dispute territoriali con l’Argentina (Hunter, 1996: 20-21). Per
questo, commenta Rohter (2010: 240), i militari “sono diventati una forza in cerca di
una missione, qualunque missione, pur di giustificare la loro esistenza”.
Nel 1985 si mise in campo il progetto “Calha Norte”, una regione pari al 14% del
territorio nazionale, per rafforzare la sicurezza lungo la frontiera settentrionale tramite
un sistema di basi militari, piste d’atterraggio e guarnigioni, strade, più “progetti di
colonizzazione”. In questo modo 4 mila km di frontiera sono passati sotto la giurisdi-
zione militare. Incorporato nel progetto, c’era il compito di provvedere alcuni dei ser-
vizi sociali di base, come cure mediche e istruzione, un modo per rafforzare il senso
di appartenenza alla nazione e di partecipazione alla costruzione dello stato (state-
building). Altro compito dei militari era la lotta al narco-traffico, ma il controllo del
territorio di Calha Norte era così poroso da essere facilmente aggirato da piccoli aerei
che si servivano di piste sterrate nascoste nella foresta. Nel 1992 i militari stabilirono
il quartiere generale di un nuovo comando nello stato meridionale del Pará e nello
89
. I principali fattori che spiegano la ridotta influenza politica dei militari sono stati proprio il fun-
zionamento della democrazia, il modo con il quale gli stessi militari hanno percepito la situazione e,
infine le influenze esterne provenienti dalla scena internazionale e il “trauma” lasciato in eredità dal
regime militare (Castro, 2000: 29-28).
90
. Un sondaggio d’opinione dell’Instituto de Pesquisa Economica Aplicada mostra che il 50% dei
brasiliani ha una grande o totale fiducia nelle forze armate e il 32% una “ragionevole” fede. Più
dell’80% considera le forze armate importanti per il Brasile in caso di guerra, ma anche quando regna
la pace. Però, secondo Latinobarómetro (2011: 49) il 67% della popolazione brasiliana “in nessuna
circostanza appoggerebbe un governo militare”, posizione che quasi coincide con il 66% della media
per tutta l’AL.
91
. Il Sudamerica è un continente relativamente pacifico e il Brasile non ha subito un’invasione dal
1865, durante la guerra contro il Paraguay. Inoltre, il Brasile non ha dispute territoriali contestate o
grande rivalità con nessuno dei suoi tanti vicini, salvo forse, ma in forma minore, con l’Argentina.
Dalla fine dell’impero, le forze armate brasiliane hanno combattuto solo nella prima Guerra mondiale
– a lato della Triplice Intesa, partecipando specialmente nella campagna atlantica e, in minore misu-
ra, nelle operazioni di terra – e nella seconda guerra mondiale, contro la Germania, con un contingen-
te di 25 mila soldati impegnati nella campagna d’Italia.
158
Un gigante economico?
92
. Alcuni hanno accusato il governo brasiliano di complicità con quello che viene descritto come il
golpe franco-americano contro il democraticamente eletto Jean Bertrand Aristide (Daudelin, 2008:
67).
93
. Questa fu la “dottrina” che giustificava l’assoluto potere assunto dalle forze armate in molti paesi
dell’AL e, in ultima analisi, la responsabilità per la sicurezza e lo sviluppo economico, senza il mi-
nimo controllo democratico, ma con il sostegno dell’Occidente che così si difendeva dal pericolo
comunista.
94
. Nel 2003, in tutto il paese si registrarono 51 mila omicidi, scesi a circa 46 mila nel 2006, vale a di-
re circa 25 per ogni 100 mila abitanti, quattro vote la percentuale americana, pari a 5,7. Dal 1979 al
2008 il totale degli omicidi si avvicinò a un milione, quasi la metà commessi nel periodo 1997-2006.
Dal 1991,il tasso di omicidi è cresciuto del 51%. La riduzione verificatesi a metà degli anni 2000 di-
pese essenzialmente dal calo avvenuto in São Paulo, dove nel 2006 ci furono 31 omicidi per ogni 100
mila persone, il livello più basso tra le 13 città brasiliane con più di un milione di abitanti. Di queste,
la più pericolosa è Recife (90,5 per 100 mila),seguita da Belo Horizonte (56,6), Rio de Janeiro (44,8),
Curitiba (44,7) e l’area metropolitana di Brasilia (33,3). (Wikileaks: testo inviato dall’Ambasciata
americana di Brasilia a Washington a luglio del 2008 , www.scribd.com/doc/61814077/Cable-405-
The-Role-of-the-Military-in-Law-Enforcement-in-Brazil). Infine, il numero di adolescenti detenuti
per reati contro la vita è aumentato dell’85% e la probabilità che un omicida venga catturato e sconti
la pena è solo dell’1%.
95
. Va rilevato che a novembre 2012 la polizia, con l’appoggio dei militari e senza sparare un colpo
ha ripreso il controllo della Rocinha, la favela più problematica di Río de Janeiro, da decenni domi-
nata da bande di narcotrafficanti.
159
Il Brasile e gli altri
delle proprie funzioni, le forze armate sono combattute tra impulsi professionali a
guardare solo all’esterno e prammatiche considerazioni politiche che le spingono a
continuare a contribuire alla sicurezza interna e al nation-building (Hunter, 1996: 28).
Questa indecisione ha reso difficile la creazione di un ministero della Difesa, poiché
le tre armi, che preferivano restare separate, la osteggiavano. Solo nel 1999 la sua rea-
lizzazione è stata possibile, per cui ora a questo ministero rispondono i comandi delle
tre armi, più l’Agenzia nazionale dell’aviazione civile e la Scuola superiore di guerra.
Con 713,5 mila effettivi – di cui 190 mila nell’esercito, 59 mila nella marina, 69,5
mila nell’aeronautica e 395 mila nelle forze paramilitari – e 1,3 milioni di riservisti
(IISS, 2012: 376), le forze armate brasiliane sono le maggiori dell’AL. Nel 2008 il
ministero della Difesa ha formulato la Estratégia de Defensa Nacional (che fa seguito
a Política Nacional de Defensa de Brasil del 2005), con la quale si intende costruire
una forte industria nazionale e stabilire partenariati strategici con paesi alleati per lo
sviluppo congiunto di tecnologia, due dei quali subito sottoscritti con Francia e Rus-
sia. Con la prima è cominciata la negoziazione per la costruzione da parte di EM-
BRAER di 120 aerei Rafale e da essa, nel 2009, il Brasile ha acquistato 36 jet caccia
d’attacco, 50 elicotteri da trasporto, carri armati, quattro sottomarini convenzionali e
uno nucleare, per un totale di $12 miliardi. Frattanto, EMBRAER ha presentato
l’aereo militare da trasporto EMBRAER KC-390 al quale vari paesi si sono mostrati
interessati e Parigi ha anche piazzato ordini d’acquisto. Sempre nel 2009, il Brasile ha
acquistato dalla Russia 4 sottomarini Scorpène per quasi $10 miliardi e con Mosca ha
firmato un accordo per un massiccio trasferimento tecnologico. Con un secondo ac-
cordo, la Francia si è impegnata ad assistere tecnologicamente il Brasile perché dise-
gni e produca sottomarini nucleari in casa. A metà 2009, il ministro della Difesa ha
annunciato il piano ventennale per la modernizzazione militare, con una spesa annuale
di circa $13 miliardi, pari allo 0,7% del PIL, naturalmente in aggiunta al 2,6% del bi-
lancio della difesa. Un tratto comune delle amministrazioni Cardoso e Lula è stato,
però, lo scarso interesse dimostrato per lo sviluppo della capacità difensive, per cui
economicamente il Brasile si situa tra le potenze regionali come India, Indonesia ed
Egitto, ma militarmente resta un paese molto più fragile (Herz, 2007: 17).
La difesa delle frontiere amazzoniche è il progetto “esterno” che ha attratto mag-
giormente l’attenzione e le risorse e che ha continuato a rappresentare la principale
preoccupazione dei militari, almeno fino a quando è arrivata l’“Amazônia Azul”. Il
boom del petrolio che si prospetta ha spinto il governo a creare il Blue Amazon Ma-
nagement System, un complesso sistema di satelliti, radar, sensori e apparecchiature
fotografiche per monitore la linea costiera. Indubbiamente, da un punto di vista mili-
tare, l’Amazzonia è una regione molto vulnerabile, perché scarsamente popolata e con
una frontiera di 9 mila chilometri mal definita e poco difesa, che infatti è regolarmen-
te violata da trafficanti di droga, da guerriglieri dei paesi vicini, da cercatori d’oro, da
contrabbandieri e da gruppi delle popolazioni indigene dell’area, ma anche, come al-
cuni sostengono, da truppe degli USA (Hunter, 1996: 22-23). Infatti, tra gli obiettivi
principali della Estratégia de Defensa Nacional del 2008 c’è la dislocazione delle for-
ze armate dalla costa verso l’Amazzonia, per evitarne l’internazionalizzazione e pro-
teggere gli indigeni, e verso l’Atlantico meridionale per la difesa dei pozzi petroliferi
marini. A metà 2011 Rousseff ha varato un Plan Estratégico de Fronteras per com-
battere il traffico di droghe e di persone, il contrabbando di armi e altre attività ille-
gali che si sono sviluppate a causa delle frontiere scarsamente controllate, un piano
che viene a integrare l’Operazione sentinella messa in atto nel 2010.
Secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI), il
bilancio della Difesa brasiliano (in dollari costanti con base 20l0) è stato di $20,4 mi-
liardi (1,9% del PIL) nel 1995, è arrivato a $22,5 miliardi (1,8% del PIL) nel 2000 per
poi balzare a $34,4 (1,6% del PIL) nel 2010 e diminuire a $31,6 miliardi nel 2011 a
causa del rallentamento della crescita del paese. Il notevole aumento registrato nella
scorsa decade riflette gli obiettivi fissati dalla Estrategia Nacional de Defensa del
160
Un gigante economico?
2008. Scopo di questa profonda riforma delle forze armate – comprendente un riposi-
zionamento di decine di unità e la sostituzione di equipaggiamenti ormai vetusti con
mezzi moderni – è quello di fornire uno strumento all’avanguardia a uno stato che
ambisce a essere una potenza in un mondo multipolare. Ed è per questo che la nuova
strategia nazionale di difesa per la prima volta considera esplicitamente la “proiezione
di potere nelle aree d’interesse strategico” tramite l’aumento della potenza navale e
l’acquisizione di mezzi di superficie e sottomarini a propulsione nucleare per proteg-
gere interessi strategici, come piattaforme petrolifere in alto mare, isole e arcipelaghi,
porti e vie di comunicazione marittime.
L’esercito brasiliano ha iniziato nel 2008 un intenso programma di modernizza-
zione e meccanizzazione volto a migliorare mobilità e potenza di fuoco. Brasilia ha
completamente sostituito i suoi vecchi carri armati M-41 e sta sostituendo gli M-
60: principale beneficiaria è la Germania, vincitrice della fornitura dei suoi Leopard 1
nella versione migliorata A5. Il Brasile ha anche predisposto un piano per acquisire
2044 veicoli corazzati da combattimento – APC – dell’italiana Iveco. Questi dovran-
no non solo sostituire 800 vecchissimi M113 ed EE-11 Urutu, ma anche portare alla
completa meccanizzazione altre divisioni di fanteria. A margine delle acquisizio-
ni, Brasilia sta implementando il programma “Protected Amazon”, che porterà ad
un raddoppio del numero di soldati che compongono gli Special Border Platoons – da
25.000 a 48.000 unità. Scopo finale è quello di aumentare la presenza delle forze ar-
mate in un’area difficilmente controllabile ma ricca d’idrocarburi. Più significativo è
il dispiegamento che l’esercito sta realizzando in Amazzonia, decisione che modifica
profondamente lo scacchiere militare e che probabilmente tiene in considerazione la
costruzione delle nuove basi statunitensi in Colombia.
Parte del programma ricade anche sulle forze aeree: per rimpiazzare i caccia,
il Brasile ha aperto una gara d’appalto alla quale partecipano il Gripen della SAAB, il
Rafale della Dassault e l’F-18E della Boeing. La marina segue a ruota, con un pro-
gramma volto allo sviluppo e alla costruzione di 15 sottomarini convenzionali entro il
2037 e sei a propulsione nucleare entro il 2047. Partner privilegiato in questo pro-
gramma è la Francia, che ha fornito i progetti dei suoi diesel-elettrici Scorpène – con
la cooperazione della francese DCNS a luglio 2011 è iniziata la costruzione dei primi
quattro sottomarini di questo tipo – e che fornirà assistenza per lo sviluppo e la ge-
stione dei reattori nucleari. Anche in questo caso si vuole aumentare la capacità di
proteggere da minacce o interferenze le aree dove si trovano le risorse d’idrocarburi,
in questo caso i vasti giacimenti off-shore non ancora sviluppati (Bizzarri, 2012).
***
161
Il Brasile e gli altri
cominciarono ad esportare armi su larga scala. Nel 1980 il Brasile divenne un esporta-
tore netto di armamenti e l’ottavo paese esportatore al mondo per un valore che nel
1987 raggiunse un miliardo di dollari. Negli anni ’80 e parte dei ’90, paesi in guerra
come Iraq, Libia, Angola, Pakistan e Colombia furono tra i maggiori importatori di
armi brasiliane.
Le esportazioni del Brasile sono armamenti di medio calibro, spesso disegnati per
i PVS dove sono principalmente diretti e dove il paese è rapidamente diventato uno
dei maggiori esportatori. Nota per l’alta qualità, la facile manutenzione, la buona per-
formance in condizioni difficili e il basso costo, l’offerta brasiliana è abbastanza am-
pia e include munizioni, granate, mine, veicoli corazzati, battelli di perlustrazione, ae-
rei per navi da perlustrazione, aeri scuola a turboelica, carri armati, e aeri da caccia
subsonici. Per lo “Small Arms Survey”, dell’IHEID di Ginevra, il Brasile è il quarto
esportatore mondiale di armi leggere e secondo dati del ministero di Sviluppo, Indu-
stria e Commercio Internazionale il loro valore è triplicato tra il 2005 e il 2010, pas-
sando da $110 milioni a $322 milioni. Tra il 1999 and 2009, il Brasile ha esportato
armi ai seguenti paesi: Sudafrica, Algeria, Angola, Egitto, Botswana, Burkina Faso,
Costa d’Avorio, Ghana, Madagascar, Malawi, Mauritania, Marocco, Namibia, Niger,
Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Senegal, Tanzania, Uganda,
Zambia e Zimbabwe, più Trinidad e Tobago considerato uno snodo centrale per il
traffico di droga e armi nei Caraibi, e le Filippine dove il governo combatte la ribel-
lione mussulmana.
Con la fine prima del regime militare nel 1985 e poi della guerra Iran-Iraq nel
1988, l’industria quasi collassò – Engesa e Avibrás dichiararono bancarotta – ma già
verso la fine del 1994 si capì che l’industria militare brasiliana non sarebbe scompar-
sa. EMBRAER fu privatizzata e nonostante le notevoli difficoltà finanziarie nel 1955
presentò il prototipo del suo nuovo commuter jet EMB-145.
Ai problemi dell’export si aggiunsero quelli dell’economia brasiliana e la conse-
guente riduzione degli investimenti. Il tutto contribuì all’“obsolescenza” delle forze
armate, una situazione cui solo nell’ultima decade si è cominciato a mettere riparo. In-
fatti, come visto sopra, la spesa per la difesa nel 2010 ha raggiunto $33,5 miliardi,
cioè 1,6% del PIL, un aumento del 30% rispetto al 2001. La spesa militare è, quindi,
la maggiore in AL, seguita da quella di Colombia e Cile. Nel 2005, il bilancio mili-
tare brasiliano fu il doppio di quello della Colombia, il triplo di quello del Cile, il
quadruplo di quello del Messico, otto volte quello dell’Argentina e dieci volte quello
del Venezuela (IISS, 2006). Nel 2007, superò quello di tutti i paesi sudamericani in-
sieme (CEUNM 2008: 25), ma con il diffondersi dell’impatto della crisi globale, il
governo potrebbe dover moderare il budget militare. Per questo nel 2011 sono state
introdotte misure per sostenere l’industria militare nazionale e renderla più competiti-
va internazionalmente96.
A questa produzione oggi partecipano, direttamente o indirettamente, circa 350
imprese, ma nell’ultima decade, le importazioni di armi sono costate $2,37 miliardi,
mentre le esportazioni hanno raggiunto solo $470 milioni, con un disavanzo di $1,9
miliardi che il governo di Rousseff intende ridurre sostenendo con varie misure la
competitività della produzione domestica. La spesa per la difesa si è stata ridotta nel
2010 a causa dei tagli inferti al bilancio statale, ma è previsto che nel 2012 torni a cre-
scere del 5,8% e già a gennaio 2012 la marina ha acquistato in Inghilterra tre imbarca-
96
. Per espandere la produzione militare, nel 2010 EMBRAER ha creato la sussidiaria EMBRAER
Defesa e Segurança, ma anche Odebrecht sta entrando nel campo della produzione militare che si sta
diversificando. Ad agosto del 2011 è stato introdotto il Plano Brasil Maior che contiene una serie di
misure specifiche per il settore della difesa tra cui la possibilità di acquistare prodotti nazionali anche
quando costano un 25% in più di quelli ottenibili all’estero. Ad ogni modo, obiettivo principale del
Plano Maior è rafforzare la competitività del paese sul mercato globale.
162
Un gigante economico?
zioni per il pattugliamento armato per $172 milioni, sta per concludere un contratto di
$2 miliardi per aeri da caccia di nuova generazione e sta studiando un progetto di lun-
go termine ancora più grande per il graduale rinnovo delle vecchie navi97.
Lo sviluppo del “complesso militare industriale” deriva dal desiderio di ridurre la
dipendenza dall’estero per attrezzature, munizioni e tecnologia, e di cominciare a
soddisfare la domanda interna e anche di esportare all’AL o altrove, malgrado che
questo aumenti l’insicurezza dei paesi importatori, strategicamente svantaggiati. Può
sembrare strano che un paese apparentemente senza nemici e con tanti problemi so-
ciali da risolvere sia interessato ad accrescere la spesa militare, ma l’aspirazione a di-
ventare una grande potenza e a conquistare un seggio al CS dell’ONU, quindi di ac-
crescere il profilo internazionale, impone l’espansione della spesa per la difesa e il
rafforzamento dell’industria militare.
Il Brasile cerca, quindi, con determinazione una via nazionale, che renda il paese
completamente indipendente, tanto tecnologicamente quanto per la capacità industria-
le, anche nell’intero ciclo di produzione del combustibile nucleare, ed è fortemente in-
teressato a sviluppare programmi nucleari per fini militari, come dimostra quello av-
viato nel 2007 per creare una flotta di sommergibili nucleari da cominciare a varare
nel 2020. In altri termini, le motivazioni del governo non sono esclusivamente eco-
nomiche, ma anche strategiche e militari98. Infatti, il Vicepresidente della Repubblica
José Alencar ha posto l’accento sull’importanza dell’arma nucleare come strumento
dissuasivo per un paese con 15 mila km di frontiere ed una piattaforma continentale
ricca di petrolio di quattro milioni di km2.
Per il programma atomico iniziato nel 1952 il paese, privo delle tecnologie neces-
sarie “ha cercato e ottenuto forme di cooperazione internazionale soprattutto con gli
Stati Uniti tra gli anni Cinquanta e Settanta, e con Francia e Germania a più riprese
partner del Brasile dagli anni Cinquanta”. Nel 1969 firmò a Washington “un impor-
tante contratto per la fornitura di un reattore e del combustibile”, una collaborazione
interrotta nel 1974, quando gli USA si trovarono nell’impossibilità di soddisfare la
domanda internazionale. L’anno dopo la Germania s’impegnò a trasferire al Brasile
tutte le tecnologie e le conoscenze per dominare il ciclo di produzione del combustibi-
le nucleare, ma anche in questo caso il Brasile non riuscì ad acquisire materiali e tec-
nologie necessari al programma nucleare a causa dell’opposizione del Nuclear Sup-
pliers Group e del Nuclear Non Proliferation Act statunitense del 1978. Il governo di
Brasilia decise allora “di dare avvio a un programma nucleare autonomo, parallelo a
quello civile”, che sarebbe stato portato avanti dalle forze armate, insieme alla Co-
missão Nacional de Energia Nuclear (CNEN). “Nel giro di pochi anni, il Brasile riu-
scì a dominare in maniera indipendente la tecnologia di arricchimento dell’uranio at-
97
. Quello che irrita maggiormente i brasiliani è la segretezza inerente la spesa militare. Il gruppo dei
diritti umani Reporter Brasil insiste sulla difficoltà di ottenere informazioni affidabili sulla produzio-
ne e vendita di armi. In effetti, il ministero della Difesa non divulga nemmeno la quantità di armi
prodotte.
98
. Negli anni ’50, grazie ad un accordo di cooperazione nucleare con gli USA, il Brasile ottenne due
reattori di ricerca e poi, nel 1971, il suo primo reattore di potenza, l’Angra 1. Deciso a dotarsi di pie-
na capacità nucleare, nel 1975 strinse un accordo multimiliardario di cooperazione con la Germania
per la realizzazione in 15 anni di otto reattori e il trasferimento del completo ciclo industriale del
combustibile, trasferimento che non si realizzò a causa della forte opposizione statunitense. Il Brasile
perse così circa $100 milioni e dovette rimandare l’inaugurazione di Angra 2. Il governo militare
avviò allora un altro programma nucleare – il cosiddetto “programma parallelo” – che non dipendeva
da tecnologie straniere e mirava principalmente a finalità civili. A questo programma parteciparono
le varie armi, ma fu l’ultracentrifugazione perfezionata dalla Marina che incontrò maggior successo. I
militari si convinsero della necessità di produrre sottomarini a propulsione nucleare e crearono un
programma per la costruzione di armi nucleari, per testare le quali fu allestito un sito in Amazzonia.
Questo programma restò segreto fino al 1985 quando si tornò al governo civile.
163
Il Brasile e gli altri
164
3. La politica estera brasiliana
3.1 INTRODUZIONE
1
. A questi due principi Wehner (2011: 245) ne aggiunge un terzo: la grandeur, considerata parte del
“destino manifesto” (manifest destiny) brasiliano.
165
Il Brasile e gli altri
2
. L’influenza che un paese riesce a esercitare nel sistema internazionale, ovvero l’autonomia, tema
centrale del libro di Tullo Vigevani e Gabriel Cepaluni, è esattamente quella libertà alla quale
presumibilmente la politica estera dei paesi periferici, incluso il Brasile – gigante in AL, leader tra i
PVS, eminente membro dei BRIC e, ormai, attore globale – non può aspirare.
166
La politica estera brasiliana
Le radici della politica estera contemporanea del Brasile vanno ricercate in quella di
Rio Branco che riuscì a presentare il paese come un leader pronto a contribuire alla
costruzione del nuovo ordine mondiale, portando a Rio de Janeiro la terza Conferen-
za dell’Unione Panamericana nel 1906, partecipando alla Conferenza dell’Aja nel
1907 e ai negoziati del Trattato di Versailles e entrando nella Lega delle nazioni do-
ve divenne uno dei primi membri non permanenti del Consiglio Esecutivo. Per pro-
teggere il paese da interventi esterni Rio Branco strinse un’alleanza strategica con
gli USA, con i quali si stavano ormai concentrando i rapporti commerciali, princi-
palmente caffè e gomma, e ai quali il Brasile si offriva come interlocutore in Suda-
merica. Nasceva così, all’ombra della Dottrina Monroe, l’idea della leadership re-
gionale brasiliana, che implicitamente comportava la neutralizzazione della minac-
cia argentina.
Il primo importante cambio nella politica estera brasiliana si ebbe quando il
collasso dell’economia a seguito della caduta delle esportazioni di caffè causata dal-
la depressione generata dalla grande crisi, convinse Vargas a mettere in moto un
processo nazionale di sviluppo e industrializzazione che richiedeva diversificazione
delle esportazioni, accesso a nuovi mercati e importazioni di tecnologia. Da qui il
bisogno di una politica estera desenvolvimentista (sviluppista) che guardasse di più
all’Europa, anche se questo non si tradusse in un abbandono dell’alleanza con gli
USA, perché nel secondo dopoguerra il Brasile si adoperò per convincere i paesi del
Sudamerica a firmare l’Inter-American Reciprocal Assistance Treaty alla conferenza
di Rio de Janeiro nel 1947 e presenziò alla nascita dell’Organizzazione degli stati
americani (OAS) nel 1948. Frattanto, però, i paesi dell’AL scoprivano di non essere
attivi alleati degli USA, ma supini sostenitori delle politiche americane e semplici
fornitori di materie prime e il Brasile cominciò a sentirsi marginalizzato da Wa-
shington che, per di più, sembrava preferire l’Argentina e chiaramente era poco inte-
ressato ad assisterlo nel processo di sviluppo economico.
167
Il Brasile e gli altri
3
. L’ALALC fu veramente un’idea della CEPAL che per sostenere l’industrializzazione considerava
necessari l’apertura dei mercati della regione e lo sviluppo di meccanismi che facilitassero gli scambi
e i trasferimenti dei pagamenti. L’ALALC fallì nei suoi intenti e nel 1980 fu sostituita da un accordo
più flessibile, l’Asociacíon Latino Americana de Integración (ALADI). Anche in ambito UNASUR –
vedi 4.4 – si è cominciato a parlare di un sistema multilaterale di pagamenti in moneta locale (Siste-
ma de Pagos en Moneda Local) e di meccanismi regionali per stabilizzare le bilance dei pagamenti e
affrontare eventuali attacchi speculativi contro una di esse.
4
. Il Tratado de Cooperação Amazônica fu firmato a luglio del 1978 e l’Organização do Tratado de
Cooperação Amazônica fu creata nel 1995 per promuovere lo sviluppo sostenibile del bacino amaz-
zonico. I paesi membri sono: Bolivia, Brasile,Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Vene-
zuela. La Segreteria permanente è a Brasília dal 2002.
168
La politica estera brasiliana
mitrofi, ma solo di stabilire un quadro di riferimento nel cui ambito il governo pote-
va perseguire le relazioni bilaterali necessarie per lo sviluppo dell’Amazzonia,
creando nuove opportunità tramite azioni coordinate sulle più importanti questioni
regionali.
Con il ritorno alla democrazia, alla fine degli anni ’80 il Brasile tornò a com-
petere sulla scena internazionale, stimolando allo stesso tempo lo sviluppo della cre-
scente industria nazionale. Questa scelta portò a ristabilire buone relazioni politiche
bilaterali con l’Argentina, anche se la crisi del debito che cominciò a manifestarsi
all’inizio degli anni ’80 portò alla contrazione degli scambi commerciali che invece
erano prosperati nella decade precedente (Burges, 2009: 25-28). In effetti, l’afflusso
d’importazioni causato dalla rapida liberalizzazione stava causando forti disagi
all’industria brasiliana per cui appariva necessario trovare delle alternative. A fine
1985, Argentina e Brasile adottarono l’“Acta para la Integración Argentina-
Brasileña” per espandere gli scambi commerciali bilaterali secondo un approccio
settoriale. Intensificati i negoziati, a giugno 1986 venne firmato il Programa de Inte-
gração e Cooperação Econômica (PICE) che consolidò la strategia della partecipa-
zione e dell’integrazione economica. Il PICE fu seguito nel 1989 dal “Tratado de
Integración” e nel luglio 1990 dall’Acta de Buenos Aires che fissò al 31 dicembre
1994 il completamento del mercato unico tra i due paesi. A marzo del 1991 venne
concluso il Tratado de Asunción tra Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. Alla
fine del 1994 i presidenti dei quattro paesi membri si riunirono a Ouro Preto in Bra-
sile e stabilirono di applicare dal 1° gennaio 1995 la tariffa esterna comune (TEC)
del 35% sull’85% dei prodotti importati provenienti da paesi terzi, per evitare che
questi dovessero pagare il dazio più di una volta.
Preoccupato di perdere la propria influenza in AL, nel 1990 Washington pro-
pose l’Enterprise for the Americas Initiative, ma poiché la quantità di risorse messe
a disposizioni per questo programma restava molto vaga, il Presidente Collor propo-
se subito all’Argentina di procedere rapidamente a porre le basi di quello che poi
venne chiamato il MERCOSUR.
Il PICE fu parte di una più ampia strategia per prevenire il rischio del ritorno
all’autoritarismo nel Cono sud, una sorta di sicurezza democratica collettiva, ma fu
anche il riconoscimento della preeminenza del Brasile nella regione. L’integrazione
regionale fu usata “come una leva per favorire lo sviluppo nazionale e aumentare
l’influenza ai livelli continentali e internazionali” (Burges, 2009: 30-31). Alle stesse
ragioni rispose la partecipazione del Brasile al Grupo Contadora5 e alla sua succes-
siva trasformazione in Grupo de Rio6.
5
. Il Gruppo Contadora fu un’iniziativa presa nel 1986 dai ministri degli esteri di Colombia, Messico,
Panama e Venezuela per far fronte ai conflitti armati in El Salvador, Nicaragua e Guatemala che
stavano mettendo a rischio la stabilità dell’AC. Nel 1990 assunse il nome di Grupo de Río – vedi no-
ta seguente.
6
. Il Mecanismo Permanente de Consulta y Concertación Política, conosciuto come Grupo de Río, fu
creato nel 1990 e ai membri originali del 1986 – Argentina, Brasile, Colombia, Messico, Panama,
Perú, Uruguay e Venezuela – si aggiunsero Belice, Bolivia, Cile, Costa Rica, Cuba, El Salvador,
Ecuador, Guatemala, Guyana, Haiti, Honduras, Paraguay, Nicaragua, Rep. Dominicana, Comunidad
del Caribe (Caricom) e Mercado Común Centroamericano. Il Grupo de Río ha sviluppato un infor-
male e permanente processo di consultazione, a livello anche ministeriale o presidenziale, per concer-
tare posizioni comuni su questioni internazionali. Inoltre, esso realizza annualmente un vertice, in
una città predeterminata dell’AL, al quale partecipano i Capi di stato e di governo e i ministri degli
Esteri dei paesi membri. Le loro decisioni sono adottate consensualmente. I ministri degli Esteri del
169
Il Brasile e gli altri
***
Itamaraty (il nome del vecchio palazzo che ha ospitato il ministero degli Esteri fino
al suo trasferimento a Brasília) ha portato avanti gli obiettivi di sempre della politica
estera brasiliana, salvaguardia dell’autonomia nazionale e rifiuto di interferenze
esterne, e ha attuato per far avanzare l’agenda internazionale del paese, nella quale
verso la fine del secondo mandato di Cardoso guadagnò spazio strategico il concetto
di Sudamerica7, ripreso e approfondito dal governo successivo, che rappresenta uno
Grupo de Río e dell’UE si riunirono per la prima volta nel 1990 e da allora lo fanno ogni due anni,
alternandosi agli anni nei quali cade il vertice UE-ALC.
7
. In realtà è durante la presidenza di Itamar Franco che la diplomazia brasiliana cominciò ad abban-
donare la tradizionale espressione geografica “America Latina”, rimpiazzandola con “Sudamerica”,
espressione che è stata ampliamente utilizzata nei ripetuti tentativi di creare un accordo di associazi-
one e di liberalizzazione commerciale tra il MERCOSUR e i suoi vicini. Il nuovo termine fu anche
usato quando il Brasile, per reazione all’FTAA promossa da Washington, presentò la South America
Free Trade Area (SAFTA o ALCSA – vedi 4.4). Andrés Malamud (2011: 6) fa, però, notare che il
170
La politica estera brasiliana
degli elementi di continuità nella politica estera dalla fine degli anni ’908. Il che ren-
de il progetto brasiliano concernente il Sudamerica un’iniziativa di lungo respiro,
con un ruolo centrale nella politica estera del paese. In effetti, le principali ragioni
che spiegano la stabilità della politica estera brasiliana dal tempo
dell’industrializzazione del paese sono, secondo Rodríguez (2010: 8), la natura strut-
turale del progetto di sviluppo del paese9 e la notevole componente istituzionale, ov-
vero il preponderante ruolo del ministero degli Esteri nella sua elaborazione ed ese-
cuzione, per cui questa è una politica di stato e non di governo.
L’attenzione per il Sudamerica cominciò a manifestarsi con
l’amministrazione Kubitschek, parallelamente all’aumento in tutta l’AL dell’anti-
americanismo, dovuto anche all’ascesa al potere di Castro a Cuba. L’integrazione,
ricercata specialmente con l’Argentina, presupponeva il superamento dei conflitti
che tradizionalmente avevano turbato i rapporti tra i due paesi e che si erano riaccesi
negli anni ’70 a causa della centrale elettrica di Itaipú sul fiume Paraná, questione
conclusasi con la firma del Trattato trilaterale del 1979 che inaugurò una nuova tap-
pa delle relazioni bilaterali. Questa integrazione divenne ancor più importante per
entrambi quando i due paesi tornarono alla democrazia e l’impatto della guerra
fredda divenne meno rilevante, mentre cresceva, invece, l’importanza dei problemi
sociali e del contributo che gli scambi commerciali internazionali avrebbero potuto
apportare alla loro soluzione.
L’interesse per l’integrazione regionale cominciò a manifestarsi nel 1986 –
subito dopo la fine del regime militare che aveva scelto l’“autonomia tramite la di-
stanza” per portare avanti un modello di sviluppo autarchico all’ombra del protezio-
nismo proprio dello stato corporativo – quando il Presidente Sarney (1985-90) mise
in moto il programma d’integrazione e cooperazione economica con l’Argentina, da
cui sarebbe nato poi il MERCOSUR – vedi 4.3. Grazie al MERCOSUR nel periodo
1994-98 si verificarono una rapida espansione del commercio tra il Brasile e
l’Argentina e un crescente saldo attivo della bilancia dei pagamenti di quest’ultima.
Quando, però, il saldo si ridusse e poi divenne negativo, l’Argentina non esitò a
reintrodurre dazi e altre barriere alle importazioni. Chiaramente, i due paesi avevano
differenti concezioni dell’integrazione: il primo la vedeva come uno strumento stra-
tegico per rafforzare il proprio potere decisionale nelle negoziazioni internazionali,
mentre la seconda la considerava uno strumento per aumentare il volume delle pro-
Brasile, usando il termine Sudamerica, riconosceva la propria incapacità a esercitare una forte in-
fluenza su tutto il continente, ma escludeva il Messico, l’altro potenziale contendente, e i paesi più
dipendenti dagli USA. In questo modo cercava di facilitare la propria assunzione della leadership.
8
. Fu durante i negoziati per uscire dalla crisi del 1998 che il Brasile si rese conto che considerandolo
parte dell’AL gli investitori perdevano fiducia nei suoi confronti. Rapidamente prese corpo l’idea che
“il Brasile dovesse dissociarsi dall’AL e definire invece la sua ‘naturale’ regione come ‘Sudamerica’,
… un’operazione di marketing con un notevole significato strategico”. Inoltre, il cambio fu conside-
rato uno strumento per guadagnare più spazio di manovra politica ed economica e per dare una
scossa a un MERCOSUR moribondo”. Tuttavia, la nuova definizione dei confini regionali “non rif-
letteva nuove identità ma era solo strumentale a calcoli di politica della forza”, anche se il Brasile
non ha mai articolato la richiesta di uno status speciale giustificandola con la sua posizione di po-
tenza regionale (Spektor, 2008: 8-10).
9
. Dal 1930, la trasformazione della diplomazia brasiliana in strumento dello sviluppo nazionale si
concretò su cinque dimensioni: integrazione fisica ed energetica con i vicini dell’area dei fiumi Rio
Plata e Rio delle Amazzoni; negoziazione di migliori condizioni per la cooperazione e le interazioni
economico-commerciali con i principali partner; presenza in tutti gli organi di natura economica e di
promozione dello sviluppo; integrazione regionale; e sostegno alla stabilizzazione economica del
paese nella sua dimensione internazionale (Rodríguez, 2010: 13).
171
Il Brasile e gli altri
prie esportazioni (Bueno, 2010: 47). In realtà, l’integrazione regionale non è poi ser-
vita al Brasile per diventare una potenza regionale, accettata come tale dalla maggior
parte dei paesi vicini, a cominciare dall’Argentina che non ne ha mai appoggiato la
candidatura a un seggio permanente del CS. In altre parole, “la leadership brasiliana
è ignorata” e la sua “diplomazia della generosità” è “abusata dagli sciovinisti gover-
ni dei paesi che lo circondano” (Bueno, 2010: 50). Infine, sostiene Bueno (2010:
49), rincorrere “l’illusione della leadership alimenta equivoci nella strategia di lungo
periodo”, che poi è quella che in politica estera conta davvero. Tuttavia, “capire le
tecniche e le strategie utilizzate da Itamaraty per posizionare il Brasile come il lea-
der del Sudamerica è essenziale per comprendere l’azione brasiliana nel contesto
extra-emisferico globale”, dato che gli sforzi per assicurarsi e consolidare la leader-
ship in Sudamerica sono stati il banco di prova per perfezionare tattiche e strategie
poi impiegate a livello globale. L’elaborazione del Sudamerica come attivo e fattibi-
le spazio economico, cioè come un’entità più reale dell’AL che appare invece una
costruzione artificiale impostasi principalmente per convenienza analitica, è un con-
tributo importante di Cardoso alla riformulazione della politica estera brasiliana, alla
quale ha contribuito anche con l’egemonico progetto del regionalismo (Burger,
2009: 2, 71 e 92-93).
La fine della guerra fredda e il ritorno alla democrazia spinsero il Brasile a
rivedere i principi guida per la formulazione e l’attuazione della politica estera del
paese, cominciando col decidere se avvicinarsi agli USA o cercare una propria auto-
nomia. Si decise per un approccio pragmatico basato su un attivo e positivo impegno
regionale che potesse sfruttare il potenziale interno del paese, cioè su un creativo
uso del regionalismo10. In effetti, il Brasile rischiava di uscire marginalizzato dal
riallineamento delle relazioni emisferiche che seguì la fine della guerra fredda e la
nascita del NAFTA (dicembre 1992), per cui apparve abbastanza naturale tornare a
guardare al regionalismo sudamericano come avevano già tentato, con scarso suc-
cesso, Rio Branco e Kubitschek.
Con l’arrivo alla presidenza di Fernando Collor de Mello (1990-92) in Brasi-
le e Carlos Menem in Argentina, entrambi i paesi cercarono d’inserirsi con maggior
forza nel sistema internazionale e propugnarono drastiche riforme neoliberiste, met-
tendo in moto un processo di liberalizzazione che portò ad una maggiore apertura
dei mercati, ma ridusse l’interesse per l’integrazione regionale. A metà degli anni
’90, in Brasile di cominciò ad affermare l’idea che il MERCOSUR potesse limitare
la capacità universalista del paese – tesi sostenuta da alcuni settori della Federación
de Industriales del Estado de São Paulo, dalla Confederación Nacional de la Indu-
stria, dai rappresentanti dell’agrobusiness e anche da una parte della stampa (Vige-
vani e Ramanzini, 2009: 82-83). Con Celso Amorim ministro degli Esteri (1993-94)
cominciò a prender forma quella che poi con Lula verrà chiamata “autonomia trami-
te diversificazione”, in quanto il MERCOSUR fu visto “come lo strumento per bi-
lanciare l’influenza degli USA nel Cono sud, ma anche per preparare il Brasile a una
10
. L’importanza della regione nell’orizzonte strategico del Brasile è spiegata in tre modi differenti.
L’interazione regionale (i) può facilitare una certa stabilità regionale, per cui “si può essere una gran-
de potenza nelle relazioni internazionali senza necessariamente essere un potenza regionale”; (ii) può
servire da scudo, aiutando a controllare la globalizzazione e a proteggere l’economia da shock es-
terni, il che implica che il regionalismo serve a difendere gli obiettivi del paese dominante e non
quelli condivisi; e (iii) sempre per il paese dominante, può essere una non indifferente fonte di potere
(Spektor, 2008: 11-12).
172
La politica estera brasiliana
***
11
. Sono questi i ‘costi strutturali’ della leadership regionale che secondo Agostinis (2011) non hanno
permesso al Brasile di esercitare una leadership credibile agli occhi dei vicini, perché cronicamente
“privo delle risorse economiche e militari necessarie a tal fine”.
12
. Questa revisione prendeva in considerazione i cosiddetti “soft issues” della teoria
dell’interdipendenza: ambiante, diritti umani, minoranze, popolazioni indigene e traffico di droghe.
Al crescere dell’importanza di questi issues nell’arena internazionale, la relativa importanza di cias-
cun paese viene a dipendere non tanto dalla sua potenza militare, ma dalla sua proiezione economica,
commerciale, scientifica o culturale.
173
Il Brasile e gli altri
date dalle agenzie finanziarie internazionali e dai mercati di capitale; (iv) la nozione
strutturalista dell’asimmetria nelle relazioni internazionali politiche ed economiche,
cioè l’idea che gli stati non sono tutti forniti della stessa capacità di competere in un
mercato globale sempre più vibrante, considerato anche il ruolo determinante assun-
to dal progresso tecnologico con il conseguente problema dell’accesso alle nuove
tecnologie per l’inserzione internazionale di ciascun paese, il che significa che il
cambiamento, o la trasformazione, può aver luogo solo alterando l’attuale modello
di dominio e subordinazione; (v) il contributo della tecnologia e della democrazia
per trasformare radicalmente la dinamica della relazione centro-periferia; e, infine,
(vi) la concezione del regionalismo come strumento per ottenere l’influenza neces-
saria per guidare l’area dal suo interno e simultaneamente isolarla da potenziali in-
terferenze emisferiche o globali. La parte pragmatica dell’approccio sviluppato da
Cardoso fu il concetto di “global trader”, cioè “l’interpretazione del MERCOSUR
come una piattaforma per un’inserzione competitiva a livello globale” che dava la
possibilità di “adottare diverse agende e posizioni, cercando mercati e rapporti
commerciali senza legarsi a nessun paese o regione”. In essenza, la politica estera
diventava un fattore “che contribuisce alla crescita economica, allo sviluppo e alla
soluzione di problemi sociali” e, quindi, autonomia veniva a significare “essere con-
nessi alla situazione internazionale piuttosto che esserne isolati (Vigevani e Cepalu-
ni, 2009: 56 e 58-59).
Il Brasile dovette, quindi, rimodellare la propria immagine e alterare la pro-
pria inserzione nel sistema egemone con una strategia per la quale azioni apparen-
temente indipendenti in aree quali infrastrutture, sicurezza e integrazione economica
potessero promuovere la leadership di un progetto regionale utilizzando i principi di
quella che Burges (2009: 4 e 8) chiama “egemonia consensuale”. Partendo dal “po-
tere strutturale” di Susan Strange (1994) – per cui lo stato egemonico, avendo il po-
tere di formulare le regole del gioco, può limitare i costi per il mantenimento del si-
stema convincendo gli altri stati che è nel loro interesse assorbire una parte del costo
e che le regole non vanno cambiate – Burges giunge ad un approccio quasi-
gramsciano secondo il quale l’egemonia è veramente e completamente realizzata
solo quando l’apparato coercitivo diventa virtualmente inutile, perché tutti gli altri
stati pensano di essere parte del sistema e di trarne vantaggio. In questo modo
l’egemonia cessa di essere una manifesta relazione di potere impositivo e diventa un
sistema organizzativo, o almeno così è percepita. In altre parole, l’egemonia diventa
consensuale quando è accettata, o meglio internalizzata, dagli altri, per cui il paese
leader può anche evitare i costi economici e di sicurezza che la leadership normal-
mente comporta.
Ed è proprio quello che il Brasile ha fatto presentando il regionalismo come
lo strumento “per rispondere meglio alle nuove pressioni generate dall’accelerazione
della globalizzazione” e allo stesso tempo imponendo costi sui paesi dell’area che
non partecipano al disegno regionale. Il collante di questo disegno è la coesione re-
gionale, cioè l’armonia raggiunta tra i quattro aspetti del potere strutturale, come de-
finito dalla piramide quadrata di Strange (1994: 37), e cioè finanza, produzione, si-
curezza e idee, quattro elementi importanti e strettamente interdipendenti. In linea
con l’approccio gramsciano sono questi che “generano una moneta intellettuale che
può essere usata per tenere uniti paesi che condividono identità e ideologia”. In que-
sto caso il legame dovrebbe essere costituito dall’“articolazione del Sudamerica co-
me un distinto spazio geoeconomico e geopolitico”, spazio che diviene “una fattibile
unità regionale” quando il regionalismo è presentato come lo strumento atto a pro-
174
La politica estera brasiliana
13
. Karl Deutsch (in E. Adler and M. Barnett (a cura di), Security Communities, Cambridge Universi-
ty Press, 1998), definisce una security community un gruppo di stati così integrati da escludere che
possano combattersi fisicamente l’un l’altro, e quindi pronti a risolvere le loro dispute in altro modo.
14
. Questa decisione è la prova del proceso di latino-americanizazione dell’OAS che secondo Car-
magnani (2003: 333) era iniziato nel novembre del 1980, “quando l’istituzione incomincia a pronun-
ciarsi a favore della democratizzazione politica… per la prima volta nella sua storia” e a condannare
“i regimi autoritari argentino, cileno, salvadoregno, haitiano, paraguaiano e uruguaiano per la loro
costante violazione dei diritti umani e solo la minaccia dell’Argentina di ritirarsi dall’organizzazione
bloccò la risoluzione favorevole a considerare detti paesi fuori dell’ordine interamericano”.
175
Il Brasile e gli altri
176
La politica estera brasiliana
estera e ha creato le condizioni perché il Brasile potesse, per la prima volta, e a ra-
gione, chiedere di sedere tra le maggiori potenze globali.
Rafforzando la linea autonomista, Lula spinse la diplomazia brasiliana a fare
meno affidamento sui regimi internazionali e a lavorare più attivamente per modifi-
carli a favore dei PVS e a proprio beneficio, difendendo la sovranità nazionale, so-
stengono Vigevani e Cepaluni (2009: 91), più del precedente governo. Differente fu
anche l’atteggiamento di Lula verso il MERCOSUR, atteggiamento che rifletteva le
correnti di pensiero progressista che circolavano nel suo governo e che puntavano
all’approfondimento del processo d’integrazione in termini politici e sociali, come
testimoniano il Protocolo de Olivos15 e la creazione del Parlamento do MERCOSUR
(Saraiva Miriam, 2009: 91 e 88).
Il Presidente Lula capì anche che l’unico modo per assicurare la salute di
quell’economia nazionale indispensabile al raggiungimento dei suoi obiettivi era
prevenire un collasso economico rassicurando i mercati e accettando quindi quel ca-
pitalismo internazionale che il suo PT aveva sempre combattuto, ma che ora stava
cambiando radicalmente il paese e le sue prospettive future. Un dilemma che ha per-
corso i suoi due mandati e ha portato Lula a lasciare alla sinistra solo la politica este-
ra, un settore che “mancava di presa sull’immaginazione pubblica e offriva scarse
opportunità per quelle rendite che sono il pane e il burro della politica brasiliana”.
Ma anche qui, non vi è stato nessun radicale mutamento, oltre l’espansione della ri-
levanza della cooperazione Sud-Sud – vedi il Dialogue Forum IBSA –,
l’allargamento del CS dell’ONU e la trasformazione dell’Iniciativa para la Integra-
ción de la Infrastrutura Regional Suramericana (IIRSA) – vedi oltre e 4.4. – in CA-
SA, la prevalenza dell’imperativo politico su quello economico, preferito da Cardo-
so, e l’abbandono della tradizionale esitazione di Itamaraty a parlare da paese leader,
“a volte con un non troppo mascherato taglio mercantilista”. La dichiarata ricerca
della leadership da parte di un paese che aveva sempre e solo molto discretamente
trattato quest’argomento, ha naturalmente creato aspettative, almeno a livello conti-
nentale, relative all’offerta di beni pubblici, aspettative che la situazione economica
del paese – assenza di flussi commerciali e finanziari tali da sostenere una regione
di dimensioni continentali – non permetteva di soddisfare, mentre la strategia
dell’egemonia consensuale poneva serie limitazioni anche al ricorso allo strumento
militare (Burges, 2009: 160-63).
A differenza del governo precedente che aveva puntato all’istituzionalismo
pragmatico, Lula abbracciò la corrente autonomista, per cui attribuì la massima prio-
rità alla rivendicazione di un seggio permanente al CS dell’ONU (Saravia Miriam,
2009: 88). Questa politica estera autonoma e attiva nella ricerca di mercati di sbocco
e di approvvigionamento, ha portato le esportazioni da $55 miliardi nel 2000 a $202
miliardi nel 2010, ha ridotto la dipendenza dal mercato USA – la cui quota delle
esportazioni brasiliane è scesa dal 25% al 10% nello stesso periodo – e ha aumentato
i contatti con il mercato cinese e di altri paesi asiatici e africani. Questa diversifica-
zione è risultata molto utile durante la presente crisi, infatti quando nel 2008 gli IDE
si contrassero globalmente del 14%, quelli in Brasile aumentarono del 30%.
Quella di Lula è stata una forma di “diplomazia presidenziale”, non del tutto
nuova nella storia brasiliana, perché introdotta da Cardoso e nel complesso non in
15
. Firmato a febbraio 2002 a Olivos, provincia di Buenos Aires, l’accordo rappresentava un nuovo
strumento per regolare la risoluzione di controversie nel Mercosur.
177
Il Brasile e gli altri
contrasto con Itamaraty, con il suo tradizionalmente preparato e solido corpo diploma-
tico, il migliore dell’AL. Nemmeno nuova è la cooperazione Sud-Sud, perché dal 1961
era parte della cosiddetta PEI ed era stata molto utile ai governi militari, specialmente
nei rapporti con il MO e l’Africa16. Tuttavia questo tipo di cooperazione non era un
ritorno al terzo-mondismo degli anni ’60 e ’70, ma “teneva conto del liberale ordine
internazionale” che si stava imponendo e mirava ad “accrescere il potere negoziale
brasiliano nei negoziati multilaterali con i paesi sviluppati” e ad “alterare la struttura
egemonica esistente dalla fine della seconda guerra mondiale”. In effetti, la politica
verso i PVS differiva da quella terzomondista per “l’importanza che ora il Brasile at-
tribuiva all’universalità della democrazia e per l’accelerazione del processo di globa-
lizzazione che rendeva impossibile mantenere una politica con un livello
d’interdipendenza più basso di quello degli altri paesi” (Vigevani e Cepaluni, 2009:
xviii e 88). È da notare, però, che la cooperazione Sud-Sud può facilmente costituire
uno svantaggio per il paese ricevente se i rapporti che sviluppa non sono mutuamente
vantaggiosi. Questa cooperazione potrebbe, infatti, consentire all’economia più forte,
come quella brasiliana, di accrescere la sua influenza e sicurezza economica, riprodu-
cendo il modello di relazioni Nord-Sud sulle economie africane.
Mônica Herz (2007: 16) sostiene che il Presidente Lula, assumendo un qua-
dro temporale molto più ampio di quello di Cardoso, fece sua una visione basata sul
destino del paese, nel senso di destino non realizzato che per essere realizzato ri-
chiedeva una pianificazione strategica che nel caso specifico significava multilatera-
lismo. Lula pose l’accento sul fatto che il Brasile non era un PVS, ma un paese dise-
guale e che questa diseguaglianza, come quella di tutti i PVS, derivava in gran parte
da decisioni interne. Da qui fece discendere il concetto di autostima, nel senso che il
Sud del mondo aveva il potere di sviluppare autonomamente il proprio potenziale e
le proprie capacità per fare le proprie scelte, un potere che doveva solo reclamare,
anche aumentando i flussi commerciali e finanziari Sud-Sud e ampliando il ruolo del
G20 e dell’IBSA. In effetti, Lula “propugnava una nuova geografia che esplorando
le opportunità non realizzate degli scambi intra-Sud, avrebbe tracciato nuove rotte
commerciali globali”. In questo modo, la cooperazione Sud-Sud era vista come uno
strumento con il quale i paesi periferici potevano acquistare più voce su una scena
internazionale che da bipolare, dopo la fine della Guerra fredda, stava diventando
multipolare. Questo implicava, quindi, l’internazionalizzazione e, infatti, Lula spin-
geva le imprese nazionali a globalizzare le loro operazioni (Burges, 2009: 169-71),
mentre aprendo nuovi mercati con i paesi di più recente sviluppo, puntava a raffor-
zare il potere negoziale brasiliano nelle trattative multilaterali, evitando una rottura
con i paesi più sviluppati.
Sulla base di un riconquistato orgoglio da parte dei PVS è stato così possibile
creare una rete d’interazioni che permette di “cominciare a evitare il nord e moltipli-
care opportunità per cooperare nelle maggiori istituzioni economiche internazionali,
come l’OMC” (Burges, 2009: 172). Grazie al sistema di alleanze Sud-Sud, il Brasile
ha “consolidato la propria posizione in un mondo multipolare più equilibrato” (Vi-
gevani e Cepaluni, 2009: 3, 7 e 86) e spostando l’enfasi dai fattori economici a quel-
16
. Con il regionalismo e il multilateralismo, la cooperazione Sud-Sud è una delle principali compo-
nenti della politica estera brasiliana.
178
La politica estera brasiliana
***
17
. Anche il G4 (Germania, Giappone, India e Brasile) ha proposto una riforma del CS e auspica la
creazione di altri sei seggi permanenti di cui quattro per i membri del gruppo.
179
Il Brasile e gli altri
peso politico, attraverso un attivismo prima sconosciuto alla sua politica estera è sta-
ta una delle caratteristiche delle due presidenze Lula.
Il Brasile sta cercando di occupare una posizione centrale nelle relazioni Nord-Sud,
un’ambizione particolarmente evidente nei campi commerciale e finanziario nei cui
processi decisionali tutti i BRICS domandano un ruolo maggiore18. Resta però aper-
ta, specialmente riguardo al regionalismo perseguito dal paese, la questione della
sicurezza, perché evidentemente la sua capacità di proteggere il continente da attac-
chi esterni è molto limitata né appare fattibile che esso possa promuovere una sicu-
rezza continentale lasciando fuori Washington. Infine, lo stretto rispetto della sovra-
nità nazionale, che finora ha fortemente caratterizzato la politica estera brasiliana,
restringe molto il campo delle strategie che si possono usare per contrastare minacce
non tradizionali19 come narco-traffico, terrorismo e insurrezione. Ma in Brasile è
molto diffuso il timore che un regionalismo più “profondo” possa comportare una
perdita di sovranità e d’autonomia rispetto al resto del mondo, per cui non sono mai
state prese veramente in considerazione opzioni che possono limitare i movimenti
internazionali del paese e minarne l’universalismo. Questo timore spiega l’attrazione
che dal 1993 il Brasile ha sviluppato per l’integrazione del Sudamerica, una strategia
che dovrebbe permettere al paese di attuare nel sistema internazionale come leader
regionale (Vigevani e Ramanzini, 2011: 150).
18
. Al loro quarto vertice a marzo 2012, i BRICS ( insieme rappresentano un quarto del PIL globale e
poco più del 40% della popolazione mondiale) si sono accordati su misure per facilitare gli scambi
commerciali, tra esse l’estensione di facilitazioni creditizie nella moneta interna di altri BRICS. Essi
hanno anche proposto la creazione di una comune banca di sviluppo che, però, difficilmente sarà realiz-
zata perché questi paesi sono uniti solamente dall’aspirazione di ottenere parte dell’influenza e del pote-
re delle esistenti potenze dominanti. I principali obiettivi sull’agenda dei BRICS sono la riduzione del
ruolo del dollaro come moneta di riferimento e la democratizzazione delle organizzazioni internazionali
in modo che riflettano un sistema mondiale multilaterale. I BRICS hanno protestato contro il ricorso al
monetary easing da parte degli USA, e ora anche del Giappone, perché temono che scateni una global
currency war. Molti sono poi i conflitti tra loro, a cominciare dalla preoccupazione del Brasile per come
la Cina manipola la propria moneta per tenerla sottovalutata e mantenere competitivo il proprio export.
La limitata complementarità tra le economie dei BRICS spiega i modesti flussi commerciali che ci sono
stati tra loro fino agli ultimi anni. Rispetto agli altri paesi BRICS, negli anni ’90 il Brasile ha mostrato un
minor grado di dipendenza dal commercio estero e una maggiore diversificazione delle esportazioni, una
tendenza che si è ridotta nella decade seguente, mentre l’apertura multilaterale nella seconda metà degli
anni ’90 ha permesso che la diversificazione delle importazioni continuasse. Di conseguenza, la compo-
sizione delle importazioni brasiliane è molto più vicina a quella della media mondiale di quanto lo sia
quella degli altri BRICS. Nel caso del Brasile, le sue esportazioni bilaterali con i BRICS hanno visto
prevalere i prodotti scarsamente lavorati. Correttamente Baumann (2009: 26-27) conclude che prima che
il gruppo dei BRICS diventi la locomotiva della crescita mondiale occorre che le interazioni tra queste
economie raggiungano un livello superiore.
19
. Il processo di cooperazione dipende anche da come le minacce non tradizionali vengono affronta-
te, cioè militarizzando o meno la risposta alle richieste di sicurezza. Generalmente i governi cercano
di evitare la militarizzazione, ma in pratica, specialmente se le minacce sono gravi, il settore militare
viene coinvolto. Di conseguenza, il ruolo delle forze armate sudamericane o latinoamericane, tende
ad ampliarsi. Questo crea una crescente contaminazione tra le funzioni di sicurezza esterna e il man-
tenimento dell’ordine interno (Calderón, 2011: 108).
180
La politica estera brasiliana
20
. Mentre il Plan Colombia prevedeva la partecipazione attiva delle forze armate statunitensi nel mo-
nitoraggio delle attività connesse alla droga e nelle missioni dirette a distruggere i campi di coca e re-
lative raffinerie, l’approccio brasiliano rifiutava in modo categorico il coinvolgimento delle forse ar-
mate e la violazione della sovranità nazionale di altri paesi per timore che tali azioni potessero in fu-
turo essere usate per interventi esterni nei propri affari. Inoltre, il Brasile riteneva che per combattere
la droga fosse necessario ridurre la domanda piuttosto che controllare esclusivamente l’offerta e che
quindi, essendo il problema globale, richiedesse un approccio cooperativo.
21
. L’ARI nacque nel 2001 per sostenere il Plan Colombia con maggiori fondi per i programmi di svi-
luppo sociale ed economico per la Colombia e i paesi vicini che subiscono l’impatto della lotta cont-
ro i guerriglieri delle FARC e i trafficanti di droga.
181
Il Brasile e gli altri
***
22
. I governi di Brasile, Argentina e Uruguay hanno considerato quest’impeachment un golpe e quindi
hanno sospeso il Paraguay dal Mercosur e hanno sostenuto questa tesi anche nell’OAS. È tuttavia
probabile che l’impeachment di Lugo abbia fornito loro un’ottima scusa per sospendere il paese che
si ostinava a negare l’accesso del Venezuela nel Mercosur e inoltre concludere un trattato commerci-
ale Mercosur-Cina finora reso difficile dalle relazioni diplomatiche che il Paraguay continua a man-
tenere con Taiwan. Ad ogni modo, la reazione dei tre paesi ha risvegliato in Paraguay il ricordo di
quella Triplice Alleanza da essi formata e che portò alla guerra negli anni 1865-70) nella quale il Pa-
raguay perse quasi due terzi della popolazione e circa un terzo del suo territorio.
23
. Una crescita mondiale dei prezzi alimentari mette in discussione il concetto di sicurezza alimenta-
re e spinge molti PVS a cercare l’autosufficienza che riduce la dipendenza dal mercato mondiale. Na-
turalmente l’aumento dei prezzi stimola quello delle quantità prodotte, ma nel caso del Brasile la ris-
posta della produzione non è stata abbastanza rapida a causa degli alti costi di trasporto e condizio-
namenti finanziari dovuti all’indebitamento del settore. Inoltre in Brasile l’espansione della produzi-
one di carne bovina dipende da tre fattori: espansione della produzione di cereali e canna da zucche-
ro; concorrenza: e quantità di terra disponibile nella frontiera agricola (Meloni, 2009: 55-57 e 62).
182
La politica estera brasiliana
sile deve rendere compatibile il suo orientamento Sud-Sud con gli stretti rapporti
che il paese continua ad avere con gli USA e con l’UE.
Il fatto che il Brasile sia entrato a far parte dell’agenda diplomatica globale è
tutto merito del Presidente Lula da Silva24 che però, va aggiunto, come fa de Almei-
da (2010: 1649, si è scostato dalla tradizionale prassi diplomatica, per seguire prin-
cipalmente le scelte ideologiche e i contributi politici del PT, un’innovazione che ha
messo in secondo piano le considerazioni dello stato e gli interessi nazionali, per
privilegiare invece quelli del PT e la ricerca del successo personale. Per la prima
volta, la politica estera è stata definita e condotta da diplomatici non professionisti,
spesso influenzati da uno stereotipato sinistrismo latinoamericano venato di vecchio
nazionalismo e anti-imperialismo, sindacalismo alternativo, teologia della liberazio-
ne e comunità ecclesiali. Inoltre, l’influenza che il Brasile può esercitare sull’attuale
sistema d’interdipendenza globale è limitata a causa dei suoi contrastanti sentimenti
circa la globalizzazione, un atteggiamento rafforzato dal ruolo guida assunto dal PT,
che combina un nazionalismo vecchio stile con politiche difensive per il settore in-
dustriale e gli investimenti, inclusa la nostalgia per l’ISI. Nel paese, infatti, molti
considerano la globalizzazione semplicemente come un altro nome per americaniz-
zazione, che è rigettata e disprezzata (de Almeida, 2010: 163-65 e 168). Vie è, quin-
di uno squilibrio tra “la politica estera dominata dall’ideologia del PT con la sua ob-
soleta visione del mondo e il modello economico capitalista basato sulla certezza del
diritto e il libero commercio”, che, nell’attuale scenario, certamente riduce il peso
del Brasile che non può presentarsi come il leader che garantisce l’ordine di una re-
gione instabile, specialmente nella parte andina, non avendo i mezzi economici e
militari per esercitare una politica assertiva, in altre parole “non essendo una potenza
egemone” (Bueno, 2010: 50).
È anche vero, però, che la politica estera del Presidente Lula non è stata unica-
mente regionale, ma anche mondiale nel senso più ampio, ha riconfigurato il quadro
geografico nel quale operare e ha guardato ad altre regioni con le quali formare parte-
nariati (Brookings/Wilson, 2007: 10). Da notare, però, che la presidenza Lula presenta
un’altra “azione esterna”, quella che de Almeida (2010: 173-75) chiama “diplomazia
di partito”, fatta di rapporti privilegiati e di alleanze con i movimenti progressisti e di
sinistra che prima erano all’opposizione – ovvero i partiti marxisti dell’AL, raggruppa-
ti nel Forum di São Paulo e i movimenti sociali – politica impersonata dal professore
Marco Aurélio Garcia, ex segretario per le relazioni internazionali e poi presidente del
PT, che Lula pose a capo della gruppo di consiglieri del Presidente per la politica este-
ra ed è tuttora consigliere speciale di Rousseff. Anche i sindacati e i movimenti sociali
si fanno attori di politica estera sostenendo o opponendosi a certi temi dell’agenda in-
ternazionale del paese – come negoziati commerciali emisferici, integrazione sudame-
ricana e rapporti Sud-Sud – spesso seguendo strade politico-diplomatiche differenti da
quelle tradizionali del ministero degli Esteri. Da notare che la “diplomazia della gene-
24
. Alla diplomazia di Lula da Silva va sicuramente riconosciuto il merito di aver proiettato nel mon-
do intero un’immagine dinamica del Brasile e aver fatto del paese un attore a pieno titolo in molti dei
più importanti organi dove si dibattono le questioni economiche e politiche mondiali,ma bisogna an-
che ammettere che il vero successo di questa diplomazia è stato quello di proiettare l’immagine di
Lula come la personificazione del Brasile, rendendo così difficile il compito del nuovo Presidente.
183
Il Brasile e gli altri
rosità”25 che Lula ha preso dalla visione internazionale del PT, imperniata sulla coope-
razione Sud-Sud e “sulla centralità di un’integrazione tra i paesi sudamericani di stam-
po solidaristico e cooperativo”, è un approccio “alternativo alla visione ideologizzata e
clientelare dell’integrazione propugnata da Hugo Chávez e alimentata dal boom delle
rendite petrolifere venezuelane” (Agostinis, 2011).
***
25
. La “diplomazia della generosità” si basa sulla dimensione e forza industriale del Brasile e rac-
comanda agli importatori domestici di comprare di più dai paesi vicini, anche a prezzi poco vantag-
giosi, per bilanciare i flussi commerciali e contribuire alla comune prosperità della regione. Tuttavia,
tutte le promesse fatte ai paesi vicini non si sono materializzate e sono stati finanziati solo i progetti
ingegneristici delle imprese brasiliane operanti in essi (de Almeida, 2009: 171).
26
. La strategia del global player, o universalista, riduce, relativamente, per il Brasile il ruolo del
MERCOSUR e del Sudamerica, mentre accresce l’interesse dei vicini per il Brasile.
184
La politica estera brasiliana
energetico dovrebbe permettere al Brasile una sempre più assertiva presenza eco-
nomica e politica nel mondo.
La stabilità interna e la crescita economica hanno permesso a Lula di parteci-
pare attivamente al processo di creazione di un nuovo ordine mondiale, nel quale il
Brasile dovrebbe avere un peso rilevante. Stringendo alleanze strategiche con le al-
tre economie emergenti e rinsaldando i rapporti con l’Africa e i PVS, il Brasile si è
attribuito il ruolo di ponte con l’Occidente, più che di polo a esso contrapposto. In
questo modo, è aumentata la sua affidabilità internazionale e con essa la possibilità
di ottenere un seggio permanente al CS dell’ONU.
La decisione di Lula di stringere accordi diplomatici con molti paesi conside-
rati periferici o minori, i quali avranno solo un impatto minimo sulla bilancia com-
merciale brasiliana, può anche non essere corretta, ma certamente sta rafforzando
quella diversificazione che potrebbe limitare gli effetti negativi della crisi mondiale
e cambiare veramente la geografia commerciale del mondo.
Pur avendo mostrato un forte interesse per il Sudamerica in sé e come parte
della proiezione globale del Brasile, la politica estera del paese ha puntato a costrui-
re rapporti politici ed economici con altre potenze emergenti, quali Cina, India e Su-
dafrica; ad assumere una chiara vocazione “sudista” sia per gli obiettivi scelti come
per i valori proclamati; a stabilire una certa distanza dagli USA come dall’Europa; e
a perseguire non solo un multilateralismo tradizionale, ma anche mirare a che i vari
gruppi formali e non27 emersi al centro del nuovo ordine globale siano accettati da
tutti (Hurrell, 2010: 60). È nata così una nuova autostima, una determinazione a ela-
borare una più coraggiosa e innovativa politica estera e si è affermata la sensazione
che il tempo del Brasile sia arrivato. Per questo, è difficile che il Presidente Rousseff
decida di cambiare la direzione della politica estera, anche se dall’inizio il suo ap-
proccio è apparso molto controllato, evitando scontri aperti e colpi di scena.
Il dinamismo impresso da Lula alle relazioni globali e regionali non sembra,
però, essere completamente accettato dai paesi vicini, perché, commenta Gefter
(2011: 71-72) “in realtà il Brasile manca ancora di quel mix di hard e soft power,
superiorità tecnologica e capacità di seduzione socio-culturale in grado di far sì che
gli altri Paesi colgano nella proiezione internazionale del Brasile dei chiari vantaggi
per la loro sicurezza interna”.
Infatti, pur avendo quasi tutti i criteri oggettivi d’una potenza regionale – di-
mensione territoriale, economica e demografica; presenza sui mercati esteri; concen-
trazione e diversificazione degli investimenti; la più avanzata base tecnologica del
continente; un sostanziale afflusso di IDE nei paesi vicini e capabilities militari –
tale ruolo non gli è ancora volontariamente riconosciuto dagli altri paesi del Suda-
merica. Non solo i più grandi, come Argentina e Colombia, ma anche quelli minori
non sembrano ancora pronti ad accettare il Brasile come loro rappresentante regio-
nale (Bueno, 2010: 49-50).
Lo scarso entusiasmo che raccoglie la leadership regionale brasiliana deriva
non solo da ragioni storiche, ma anche dal fatto che il Brasile ha mantenuto nel tem-
po legami più stretti con gli USA e l’Europa che con i paesi sudamericani, imposta-
zione che solo recentemente sembra cambiata, mentre restano insufficienti le risorse
che il paese può, o vuole, sacrificare per coprire i cosiddetti costi dell’integrazione,
27
. Questi raggruppamenti nascono dai mutamenti nel potere globale, riflettono i principali interessi
delle potenze maggiori e sono strutturati in modo chiaramente gerarchico ed escludente.
185
Il Brasile e gli altri
3.6 CONCLUSIONI
La differenza essenziale tra Cardoso e Lula è la differente prospettiva che hanno avuto
dell’ordine internazionale. Cardoso si confrontò con un ordine mondiale segnato dalla
globalizzazione, dove la superiorità militare, economica e tecnologica degli USA era
indiscutibile, per cui puntò al consolidamento delle relazioni con le grandi potenze,
ovvero USA, UE e Giappone, senza alcuna preoccupazione terzomondista. Natural-
mente, era chiaro l’interesse degli USA a creare e consolidare istituzioni multilaterali
funzionali alla gestione internazionale e al mantenimento della loro egemonia.
Anche Lula ha riconosciuto il predominio militare statunitense, ma ha presta-
to maggiore attenzione al nuovo equilibrio che si stava stabilendo nel campo eco-
nomico con la nascita dell’euro, una moneta che indeboliva il ruolo del dollaro e raf-
forzava il peso dell’UE. Questa nuova situazione forniva al Brasile la possibilità di
una maggiore diversificazione delle sue relazioni bilaterali e di nuovi alleati, come
India, Cina, Russia e la stessa UE, per controbilanciare i rapporti con gli USA, con-
tenerne gli impulsi unilaterali e attenuarne la superiorità. Rispetto all’UE, la princi-
pale differenza tra Cardoso e Lula sta nel fatto che per il primo l’UE era il partner
più importante del MERCOSUR, per il secondo era solo un partner importante. Ma
mentre Cardoso non arrivò a concepire l’UE come una leva strategica, Lula ne fece
un partner strategico per frenare l’unilateralismo egemonico degli USA. Nel piano
regionale Cardoso cercò di approfondire l’inserimento del Brasile, mentre Lula pun-
tò all’esercizio della leadership in Sudamerica. Infine, se per Cardoso il paese do-
veva essere riconosciuto a livello internazionale come “el último entre los prime-
ros”, per Lula doveva essere come “el primero entre los últimos” (Rodríguez, 2010:
23). Ad ogni modo, anche per Lula la ricerca del riconoscimento non va condotta
tramite il confronto diretto e aggressivo ma con una politica estera assertiva e attiva,
in altre parole impegnandosi e negoziando nei mutevoli circuiti dove si prendono le
decisioni globali. Naturalmente, si può appartenere alle istituzioni globali e contem-
186
La politica estera brasiliana
poraneamente sfidare lo status quo, contrastare gli interessi degli USA, favorire la
governance globale e accettare un’integrazione economica liberale.
Poiché la politica estera brasiliana è volta a riposizionare il paese all’interno
del sistema internazionale, il ruolo globale del Brasile deve essere sostenuto da una
base regionale ben articolata fisicamente, economicamente e politicamente, sulla
quale esercitare la leadership. Il che significa riconoscere che il Sudamerica, questo
suo vicino obbligato, è d’importanza capitale e che la ricerca della leadership regio-
nale passa attraverso la sicurezza regionale, come dimostra la creazione del CSD –
vedi 4.4. In questo modo la politica estera a livello regionale diventa funzionale ai
requisiti della politica estera a livello globale (Calderón, 2011: 110). Come spiega
Gamboa (2011: 2), puntando a diventare una potenza mondiale, il Brasile, con Car-
doso come con Lula, ha stretto buoni rapporti con distinte potenze intermedie28 e
dopo essere stato incluso tra i BRIC ha assunto la leadership in vari negoziati inter-
nazionali. Inoltre, ha messo in campo diverse iniziative per creare e rafforzare la sua
posizione di leader e si è adoperato come mediatore in differenti conflitti che si sono
sviluppati nella regione. Lula ha rafforzato la strategia di mediazione e si è assunto il
compito di dirimere i conflitti interni di alcuni paesi e a farsi principale promotore di
nuove iniziative di integrazione, in particolare l’UNASUR.
In questo modo, il Brasile è stato capace di mantenere il principio di non in-
gerenza intervenendo quando la sua capacità di mediazione è accettata senza dover
ricorre alla forza, come nel caso del tentato colpo di stato in Venezuela (2002), delle
crisi costituzionali in Bolivia ed Ecuador e nel caso delle tensioni tra Colombia-
Ecuador e Venezuela (2008). Esempi questi di quella che è chiamato la “entrepre-
neurial leadership”, ovvero l’abilità di convincere e portare la controparte ad accet-
tare l’accordo, come avvenuto anche con l’UNASUR. Per evitare di usare troppo la
parola leadership e per non tradire il principio di non interferenza per questi inter-
venti di gestione di crisi, il Brasile ha introdotto il principio di “non indifferenza”
per definire la sua politica estera (Wehner, 2011: 148).
Per spiegare l’approccio diplomatico sviluppato dal Brasile nell’ultimo de-
cennio, Cristina Pecequilo (2008) distingue la politica estera in verticale e orizzonta-
le. In quella verticale il Brasile ha mantenuto tradizionali legami commerciali con
gli USA, l’UE e il Giappone. Malgrado l’asimmetrica relazione con gli USA non sia
molto cambiata, il Brasile non è più l’attore premiato per il “buon comportamento”,
basato sulla propria affidabilità politica, ma è diventato un paese che ha l’abilità di
“trattare” nell’arena internazionale, un’abilità che deriva dalle vittorie ottenute in
campo politico ed economico, come la riduzione della povertà e il successo nel set-
tore energetico Orizzontalmente, il Brasile ha stretto rapporti con i paesi emergenti,
come India, Cina, Russia e Sudafrica, strategia esemplificata dal fatto che la Cina è
diventata il suo primo partner economico. Anche la Turchia può essere considerata
parte di questa politica che, in effetti, porta avanti la cooperazione Sud-Sud che im-
plica una divisione del mondo in un nord economicamente più sviluppato e un sud
28
. L’espressione potenza intermedia o media va intesa come una categoria sociale che dipende dal rico-
noscimento altrui. Leadership indica, quindi, la capacità di conquistare e influenzare seguaci, cioè
l’abilità di convincere stati subordinati a fare propri gli obiettivi dello stato leader. Chiaramente, dominio
e coercizione non fanno parte di questo concetto.. Leadership è, quindi, quello che Burges (2009) chia-
ma “egemonia consensuale”. Inoltre, la leadership è poliedrica in quanto può essere esercitata in vari
modi e, sotto certe condizioni, può essere anche condivisa, e può essere definita come l’abilità a scoprire
e mettere in moto azioni comuni per il raggiungimento di obiettivi esistenti. L’egemonia è, invece, la ca-
pacità di uno stato potente di dettare le politiche ad altri stati (Wehner, 2011: 141-43).
187
Il Brasile e gli altri
sottosviluppato parallela a quella centro-periferia che deriva dalla teoria dello svi-
luppo di Prebisch e Wallerstein29. Ed è tramite la cooperazione Sud-Sud che i PVS
chiedono più voce in un sistema internazionale che da bipolare sta diventando mul-
tipolare e il Brasile insiste per un seggio permanente nel CS dell’ONU.
In questa cooperazione Sud-Sud30, il Brasile ha assegnato la massima priorità
politica ed economica alla propria regione, dove ha svolto un ruolo centrale nel co-
struire una struttura cooperativa, riservando grande attenzione al MERCOSUR e alle
relazioni con l’Argentina. Tuttavia, i suoi vicini non hanno chiaramente accettato
che il Brasile sia il rappresentante ufficiale della regione, rifiutandosi perfino di so-
stenerlo nella campagna per ottenere un seggio permanente nel CS. L’esperto di
scienze politiche argentino Andrés Malamud (2011: 1) sostiene che, a causa di que-
ste rivalità, è più facile per il Brasile diventare una “potenza media globale” che il
leader incontrastato della regione, mentre nel 2009 l’esperto di globalizzazione Ste-
fan Schirm argomentava che il paese avrebbe potuto ottenere la leadership della re-
gione solo se fosse riuscito a rappresentare in campo internazionale non solo gli in-
teressi propri, ma anche quelli dei paesi vicini.
Assumendo sempre più un ruolo attivo nel campo internazionale, il Brasile
concentra la propria politica estera non solo sullo sviluppo economico, ma anche
sulla promozione della democrazia e dei diritti umani. Infatti, sostiene che un mondo
più democratico permetterebbe una maggiore partecipazione di tutti gli attori alle
organizzazioni internazionali. In effetti, il concetto di democrazia ha permesso al
Brasile di adattare la sua politica al sistema internazionale post guerra fredda e di
affermarsi come attore regionale e internazionale, evitando allo stesso tempo di dare
l’impressione di voler dominare i paesi della regione. Per Nima Khorrami Assl
(2010) il Brasile è entrato nel XXI° secolo come una potenza emergente a livello
globale, un’ascesa che “ha le sue radici nel modo in cui viene condotta la politica
estera brasiliana”. Il paese avrebbe, infatti, “una lunga storia di iniziative nascoste
volte a proteggere i propri interessi sotto le sembianze del multilateralismo e delle
relazioni Sud-Sud” e dai primi anni ’90 avrebbe posto la politica estera al servizio
del proprio sviluppo economico e sociale.
L’acquistata autostima, cui si accennava sopra, deriva dal mutamento della
posizione del paese nel sistema globale dovuta a: l’aumento del tasso di crescita; la
riduzione della povertà, il raggiungimento dell’autosufficienza energetica e possibi-
lità di diventare presto un importante esportatore di petrolio; il successo dell’export
29
. Secondo questa teoria, la tradizionale divisione del lavoro che avrebbe generato un sistema inter-
nazionale asimmetrico, alla lunga avrebbe anche creato una crescente divergenza tra economie
centrali e periferiche, causando a queste ultime un ritardo produttivo e tecnologico e un deteriora-
mento delle ragioni di scambio. L’esperienza della Cina, ma anche di altri BRIC e di varie economie
asiatiche, sembra invece dimostrare la convergenza dei loro redditi con quelli dei paesi centrali (Ga-
leno, 2011: 128).
30
. L’avvicinamento del Brasile ai PVS si è concentrato in AL e in Africa e si realizza anche tramite il
“Centro para la cooperación al desarrollo” creato con l’IBSA nell’ambito del programma dell’UNDP
per la cooperazione Sud-Sud. Il 38% dei fondi per i suoi programmi bilaterali di sviluppo sono desti-
nati ai paesi sudamericani meno sviluppati, soprattutto al Paraguay e alla regione andina, con progetti
per il miglioramento delle infrastrutture, per l’istruzione e per la salute. Importanti sono i programmi
di cooperazione triangolare, come quelli con il Canada per l’immunizzazione, la salute e l’istruzione
realizzati a Haiti; con la Spagna per il recupero ambientale e lo sviluppo agroforestale; o con il BM
per la distribuzione di merendine scolastiche. I paesi africani di lingua portoghese ricevono un terzo
degli aiuti bilaterali brasiliani tramite progetti di miglioria agricola, investimenti al settore minerario
e alla lotta al VIH (Rodríguez, 2010: 22).
188
La politica estera brasiliana
di commodities; la sostituzione degli USA da parte della Cina come primo partner
commerciale; e lo sviluppo delle imprese multinazionali e i crescenti investimenti
brasiliani all’estero.
***
189
Il Brasile e gli altri
interesse per costruire vantaggiose strategie commerciali – vedi cap. 5. Per il Brasi-
le, il significato strategico dell’integrazione sudamericana è quello di rinforzare la
sua sfera d’influenza posizionandosi come un importante mediatore nella regione,
ruolo riconosciutogli anche da Washington.
Finora, il Brasile è riuscito ad acquistare maggior peso e a stabilire rapporti
più intensi che nel passato anche con paesi degli altri continenti, senza danneggiare
le relazioni con i partner più sviluppati tradizionali, anzi nel 2007 è diventato partner
strategico dell’UE, il primo paese dell’AL a essere incluso in questa categoria, se-
guito dal Messico nel 2008. La politica estera riflette l’ambiguità di un paese la cui
identità continua a oscillare tra primo e terzo mondo, tanto che si parla di una sua
doppia inserzione internazionale (Rodríguez, 2010: 13), ambiguità che verrebbe ri-
solta, come suggerisce Daudelin (2008: 74), accettando che il fato del Brasile non
sta tanto nel guidare la periferia, ma nell’uscirne. Proprio quello che sembra essere
l’obiettivo della Presidente Rousseff quando spiega – come ha fatto con il pubblico
americano durante la sua visita a Washington ad aprile 2012 – che intende creare le
condizioni perché l’emergente classe media brasiliana lavori in un sistema industria-
le ad alto valore aggiunto che richiede un capitale umano ben istruito e addestrato.
Un obiettivo per raggiunger il quale, nota Sweig, su un giornale brasiliano
(11.04.2012), il Brasile ha un periodo di circa tre decadi durante il quale la popola-
zione in età lavorativa continuerà a superare quella dei pensionati.
In politica estera, il Brasile sembra cercare un fragile equilibrio tra vari desi-
derata: contrastare le forze politiche antidemocratiche in ambito multilaterale, pro-
teggere i propri considerevoli interessi economici e affermare il proprio peso diplo-
matico in Sudamerica. Queste posizioni difendono dei principi, ma allo stesso tempo
pretendono profitti e potere, per cui cresce il sospetto che sotto l’approccio consen-
suale alla leadership si celi la nuda affermazione dell’egemonia e conseguentemente
l’accettazione dell’asimmetria economica.
Tuttavia, per ora il Brasile deve accettare la discrepanza che esiste tra
l’aspirazione a esercitare un ruolo globale e la sua modesta capacità di proiezione
sulla scena globale, anche se sembra che la sua voce sia sempre più ascoltata. Inol-
tre, negli ultimi anni il Brasile ha usato la sua crescente ricchezza per mettere in
campo una politica estera di vasta portata nella quale la cooperazione Sud-Sud è uno
dei principali strumenti. Un ruolo che ha dovuto cercare di coniugare con quello di
paese sviluppato, chiedendo un seggio permanente nel CS dell’ONU, mediando nei
conflitti del MO, diventando un donatore di aiuti allo sviluppo – anche se, essendone
ancora un ricettore netto, preferisce essere considerato un socio allo sviluppo – e as-
sumendo il comando delle forze di ricostruzione a Haiti. È questa, tornando a Rodrí-
guez (2010: 13), l’altra dicotomia brasiliana, quella interna che deriva dalla convi-
venza di democrazia, risorse naturali, unità nazionale, identità multiculturale con
un’inaccettabile distribuzione del reddito, una giustizia lenta, corrotta e inefficiente,
e un’estrema violenza.
Ultimamente, “uno scenario multidimensionale sta imponendo cambiamenti
qualitativi alla politica estera e alla prospettiva internazionale del paese”, sviluppo al
quale hanno contribuito vari fattori. Da qualche anno il Brasile gode di un solido e
stabile contesto macroeconomico in quanto ha una positiva bilancia dei pagamenti e
per la prima volta riserve superiori al debito estero. Molti elementi hanno contribuito
a fare del paese, dal 2006, un esportatore di capitale liquido. Il boom delle materie
prime ha fatto crescere fortemente il settore agroalimentare e il processo
d’internazionalizzazione di svariate grandi e fiorenti imprese nazionali ha contribui-
190
La politica estera brasiliana
to a creare la categoria delle ‘trans-latine’, generando per il paese una leva regionale
e internazionale senza precedenti. Infine, non va dimenticato il notevole consolida-
mento politico delle istituzioni domestiche e l’accresciuta presenza del paese nella
regione (Ubiraci e Narciso, 2009: 17). Non è chiaro, tuttavia, se questi cambiamenti
hanno profondità e forza tali da assicurarne l’irreversibilità.
***
191
4. Brasile, America Latina e Caraibi
4.1. INTRODUZIONE
Dopo il 2010, quando il suo PIL era aumentato del 6,2%, il tasso di crescita
dell’economia dell’ALC ha cominciato a ridursi – 4,5% nel 2011, 3,2% nel 2012 e
meno del 4% è la stima per il 2013 – a causa principalmente della decelerazione del-
la domanda interna – vedi l’inasprimento monetario attuato da molti paesi della re-
gione – solo parzialmente compensata dalla domanda estera, particolarmente debole
quella dell’area euro e in diminuzione quella cinese. Gli investimenti, compresi gli
IDE, hanno rappresentato la componente più dinamica della domanda interna e in-
sieme alle economie esportatrici di materie prime che hanno continuato a mostrare
un maggior dinamismo. L’aumento dei prezzi alimentari ha contribuito a riaccende-
re le fiamme inflazionistiche – con punte del 6,7% nel 2011 – spingendo le banche
centrali ad alzare i tassi di riferimento. Nella seconda metà del 2011 le condizioni
esterne sono deteriorare rapidamente ed è iniziata una significativa inversione dei
flussi di capitale dall’AL verso l’esterno, con conseguente forte deprezzamento delle
monete locali e di un peggioramento degli indicatori finanziari quali i corsi azionari
e i differenziali del debito sovrano. Questo ha ulteriormente indebolito l’attività
economica, mentre le spinte inflazionistiche si sono moderate, pur restando piuttosto
elevate. L’attività produttiva nel 2011 è diminuita a causa dell’impatto delle condi-
zioni esterne e degli effetti ritardati dell’inasprimento delle politiche interne volte a
fronteggiare la crisi globale. Le banche centrali hanno ridotto l’inasprimento mone-
tario, a cominciare da quella brasiliana che nella seconda metà del 2011 ha comin-
ciato ad abbassare il tasso di riferimento principale, che nel primo semestre del
2011 aveva innalzato di 175 punti (BCE, 2012: 23-24).
Allo stesso tempo, il mutamento nella costellazione internazionale di potere,
vale a dire il ridimensionamento dell’egemonia statunitense nella regione, ha facili-
tato l’ascesa del Brasile he non doveva più preoccuparsi troppo del punto di vista di
192
Brasile, America Latina e Caraibi
193
Il Brasile e gli altri
cio tra i partner sudamericani mostra un maggior grado d’integrazione tra loro di
quello che risulta nella regione come un insieme (CEPAL, 2007a: 4-6).
Nel frattempo, le imprese brasiliane hanno acquistato imprese nei paesi vicini
concentrandosi nei seguenti settori: cemento, servizi finanziari, acciaio, idrocarburi,
alimenti, ricambi d’auto, linee aeree, gas naturale, tessile e calzature (CEPAL, 2007:
6). I principali progetti nel settore del gas sono il Gran Anillo del Gas, la proposta
del Gasoduto do Sul e il Gasoduto Transguajiro-Trasandino-Transcaribenho.
Finora, l’ascesa brasiliana ha avuto luogo un po’ alla volta, a partire dal ten-
tativo del Presidente Sarney, alla fine degli anni ’80. di migliorare i rapporti con
l’Argentina dopo anni di continue frizioni, creando un’unione doganale tra i due
paesi, unione doganale che subito si allargò per accogliere Uruguay e Paraguay. La
nascita, a maggio 2008, dell’UNASUR ha rappresentato il punto d’arrivo di questo
sforzo.
Tra il Brasile e l’Argentina i rapporti sono stati altalenanti a causa della costante ri-
valità per l’egemonia regionale e del timore che l’ingombrante vicino ha sempre su-
scitato nell’ambiziosa e supponente Argentina. Ai molti periodi di tensione ed estra-
niamento sono seguiti quelli di ravvicinamento e cooperazione. Negli anni ’50, il
Presidente Getúlio Vargas incoraggiò lo sviluppo di una capacità nucleare nazionale
e tra la metà degli anni ’70 e quella degli anni ’80, il governo militare, in competi-
zione con l’Argentina per il dominio politico e militare del Cono sud, cercò di co-
struire armi nucleari. Ottenuta la necessaria tecnologia dalla Germania Occidentale,
che non richiedeva le salvaguardie dell’IAEA, portò avanti un programma segreto,
per evitare d’incorrere nelle sanzioni statunitensi, conosciuto come Programa Para-
lelo, per la costruzione di armi atomiche – in piccoli impianti con centrifughe
d’arricchimento e una limitata capacità di riprocessamento del’uranio – e un pro-
gramma missilistico.
Nel 1986, dopo la visita di Sarney alla istallazione nucleare segreta argentina
di Pilcaneyeu i due paesi firmarono un protocollo per la condivisione d’informazioni
sul nucleare e mutua assistenza in caso di disastri nucleari e cinque anni più tardi
accettarono i controlli dell’ONU sulle loro attività in questo settore. La nuova Costi-
tuzione brasiliana del 1988 limitò l’attività nucleare ad attività pacifiche e nel 1991 i
due paesi firmarono l’Accordo Quadripartito e crearono l’Agência Brasileiro-
Argentina de Contabilidade e Controle de Materiais Nucleares (ABACC),
un’istituzione bi-nazionale, la prima al mondo, per verificare e garantire ai due paesi
e alla comunità internazionale l’uso pacifico del material nucleare1. Sweig (2010:
179) sottolinea che, però, la frustrazione del Brasile per la scarsa efficacia e ingiusti-
zia dell’esistente regime di non proliferazione che tenta senza successo di riformare,
è un aspetto destinato a perdurare nel tempo.
***
1
. A metà 2011 il Nuclear Suppliers Group “ha approvato temporaneamente il sistema bilaterale di
salvaguardia e controllo dell’ABACC come misura sostitutiva del protocollo addizionale dell’IAEA,
ai cui ispettori viene negato l’accesso visivo alle centrifughe degli impianti di arricchimento,
considerate segreto industriale brasiliano” (Patti, 2012: 182).
194
Brasile, America Latina e Caraibi
L’interesse del Brasile per l’integrazione economica del Sudamerica nasce dalla vo-
lontà di regolamentare in qualche modo i suoi rapporti con l’Argentina, volontà che
cominciò a manifestarsi apertamente a metà degli anni ’80 e a novembre 1988 portò
alla firma del Trattato de Integração, Cooperção Econômica e Desenvolvimento
Brasil-Argentina, ratificato l’anno successivo, per creare in dieci anni un’area di li-
bero scambio di merci e servizi tramite la rimozione di dazi.
Con la fine dei rispettivi regimi militari, 1993 in Argentina e 1985 in Brasile,
i rapporti bilaterali si sono intensificati. A dicembre 1990 ci fu la firma dell’Acuerdo
de Complementación Económina no. 14 (ACE14)2 da parte di Argentina e Brasile e
poi rapidamente la creazione del Mercado Comun do Sul (MERCOSUL in porto-
ghese o MERCOSUR in spagnolo) con la firma del Trattato di Asunción a marzo
del 1991 tra Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay, al quale in seguito hanno ade-
rito come associati Cile, Bolivia, Perù, Colombia ed Ecuador. La più importante fu,
però, l’associazione del Cile e non solo per gli scambi commerciali, ma soprattutto
perché rappresenta la via più rapida per arrivare ai grandi mercati asiatici.
Nemmeno le pur notevoli differenze strutturali tra i paesi membri riuscirono
a prevalere sulla necessità impellente d’invertire la stagnazione che caratterizzava
queste economie e tentare d’ottenere, mediante l’integrazione, una più significativa
presenza internazionale. Il Brasile si convinse che invece di ridurlo, il regionalismo
avrebbe accresciuto il paradigma universalista della inserzione internazionale e
avrebbe rafforzato la sua autonomia. Anche altri paesi della regione conclusero che
il regionalismo poteva contribuire sia a evitare i rischi d’isolamento che la fine della
Guerra fredda poteva comportare sia a ridurre il pericolo che le debolezze interne
minassero le rispettive posizioni internazionali. La creazione del MERCOSUR mi-
rava proprio a “riformulare gli interessi strategici dei paesi del Cono Sur in un con-
testo internazionale in trasformazione” (Vigevani e Ramanzini, 2009: 82). In effetti,
la loro cooperazione economica, particolarmente quella tra Argentina e Brasile, più
che al solo libero scambio, puntava alla creazione graduale di uno spazio economico
comune. Basato su ragioni strategiche e politiche, il MERCOSUR mirava a costruire
in maniera evolutiva uno spazio comune tra i quattro paesi che andasse oltre gli
aspetti commerciali, il che presupponeva un saldo e bilanciato rapporto tra Brasile e
Argentina e una solidarietà che arrivasse a creare fitte reti sociali transfrontaliere.
Naturalmente all’apertura al mondo, doveva accompagnarsi la stabilizzazione delle
variabili macroeconomiche e la modernizzazione delle strutture produttive interne.
Secondo Rodríguez (2010: 29), il Brasile assegnava al MERCOSUR tre
compiti: (i) porre le basi per creare un’area di libero scambio che doveva intensifica-
re la cooperazione con la sua principale e tradizionale competitrice, la vicina Argen-
tina, evitando che finisse completamente nell’orbita statunitense; (ii) contrastare il
piano Bush per la creazione di un’area di scambio per l’intero emisfero; e (iii) crea-
re un interlocutore collettivo con carattere istituzionale per negoziare alla pari con
l’UE. Rinsaldando l’asse transatlantico, il Brasile avrebbe così accresciuto la propria
autonomia rispetto a Wahington.
***
2
. Obiettivo dell’ACE14 era preservare la serie di accordi commerciali preferenziali esistenti tra Ar-
gentina e Brasile, accordi raggiunti sia in ambito ALADI sia con il PICE bilaterale del 1986, sulla
base di quanto stabilito dall’Acta de Iguazú del 1985.
195
Il Brasile e gli altri
196
Brasile, America Latina e Caraibi
***
Negli anni ’90 l’economia argentina divenne sempre più dipendente dal mercato del
MERCOSUR, e particolarmente da quello brasiliano, e le sue esportazioni tra il
1990 e il 1997 aumentarono dell’83%. Quando a gennaio 1999, sotto l’impatto della
crisi asiatica e di quella russa, il real fu svalutato e gli scambi commerciali del grup-
po si contrassero bruscamente, l’Argentina reagì subito con misure protezioniste.
Questo dimostrava, però, l’avvenuta formazione di un primo livello
d’internazionalizzazione delle imprese dei paesi membri, per cui il Brasile decise di
non ricorrere a ritorsioni, ma di continuare con una politica conciliatoria. Un mese
dopo la svalutazione Cardoso firmò con il Presidente argentino Menem la dichiara-
zione di São José con la quale accettava d’interrompere il finanziamento, tramite
BNDES, delle esportazioni di beni di consumo diretti all’Argentina. Burgess (2009:
103-07), trae le seguenti considerazioni dalla controversia commerciale intra-
MERCOSUR innescata dalla svalutazione del real: (i) riconoscimento della trasfor-
mazione indotta dal MERCOSUR nel modus operandi delle economie dei paesi
membri, il che incoraggiava il mantenimento del blocco; (ii) disponibilità brasiliana
a farsi carico di alcuni dei costi generati dalla svalutazione del real, principalmente
non applicando le ritorsioni o contromisure permesse dai trattati ALADI o MER-
COSUR; e (iii) pronta reazione della comunità degli affari perché la controversia
fosse rapidamente risolta, una dimostrazione di quanto molte imprese argentine e
brasiliane fossero interessate allo spazio economico regionale.
Carente di istituzioni sopranazionali, il MERCOSUR è governato da tre corpi
intergovernamentali: il Consejo (CMC) per la direzione politica; il Gruppo Mercado
Común (GMC) come agenzia esecutiva; e la Comisión de Comercio del MERCO-
SUR (CCM) con ruolo tecnico. L’assenza di organi sopranazionali ha comportato
che le dispute economiche interne diventassero rapidamente contenziosi politici la
cui soluzione richiedeva interventi dei presidenti dei paesi membri, generando così
un processo decisionale altamente politicizzato, incapace di arginare le spinte unila-
terali e di far rispettare gli accordi raggiunti nei tre corpi intergovernamentali.
Nemmeno la successiva creazione della Segreteria tecnica e della Presidencia del
Comité de Representantes ha fornito gli organi per elaborare e difendere nei vari
punti decisionali una prospettiva indipendente da quelle dei paesi membri che, oltre-
tutto, date le differenti dimensioni economiche e la diversa capacità d’influenzare,
con difficoltà riescono ad avere una visione congiunta e a raggiungere il consenso
necessario per l’adozione di decisioni che vengano poi effettivamente applicate. Per
ridurre le asimmetrie strutturali esistenti tra le varie regioni dei paesi membri3, nel
3
. Problema questo, però, di non facile soluzione quando approssimativamente il 68% dei territori
subnazionali della regione presentano redditi pro capite annui inferiori alla media, e che quindi dovr-
ebbere ricevere finanziamenti compensativi (Esparza, 2008: 91).
197
Il Brasile e gli altri
***
Grazie all’integrazione regionale, tra il 1991 e il 1996 gli investimenti esteri del Pa-
raguay aumentarono del 250% e quelli dell’Uruguay del 500%. I flussi di IDE tra i
paesi del blocco cominciarono a crescere solo dopo la svalutazione del 1999 e il ra-
pido declino dell’economia argentina, la loro modesta presenza iniziale spiegabile
con le difficoltà interne del Brasile alle prese con il problema dell’inflazione e,
quindi, con il bisogno di attrarre investimenti, piuttosto che esportarli.
Il MERCOSUR nel 2008 rappresentava il quarto gruppo economico al mon-
do con un PIL di quasi $2 trilioni e una popolazione di più di 240 milioni.
L’economia del Brasile costituisce il 79% del MERCOSUR, seguita da quella ar-
gentina con il 18%, Uruguay con il 2% e Paraguay con l’1%. Offrendo una leggera
protezione dalle forze extra continentali e l’accesso al grande mercato brasiliano, il
MERCOSUR doveva preparare l’area di libero scambio sudamericana, un obiettivo
che poteva essere facilmente realizzato associandosi alla Comunidad Andina de Na-
ciones (CAN)5.
Un problema del MERCOSUR è che al centro dell’accordo vi è la Tariffa
esterna comune (TEC) che “riflette molto bene gli interessi industriali brasiliani e
promuove un’iniqua distribuzione di costi e benefici. Scaricando parte del costo del-
la protezione sui partner minori del MERCOSUR, ne mette in dubbio la futura tenu-
ta”. Per questo la TEC non è stata completamente attuata ed è stato necessario intro-
durre costose regole di origine per cui i paesi membri non possono beneficiare al
massimo del mercato comune (Mesquita, 2008: 151). Per il Brasile la TEC rappre-
4
. Adducendo gli scarsi vantaggi economici finora ottenuti col MERCOSUR, l’Uruguay ha cercato di
concludere un accordo di libero scambio con gli USA, cosa però impossibile restando nel MERCO-
SUR. Nel 2007 ha tuttavia firmato con Washington un Trade and Investment Framework Agreement
(TIFA) che non considera nessun trattamento preferenziale, seguito verso la fine del 2008, però, da
vari Protocolli che sembrano preludere ad un vero e proprio accordo di libero scambio, che, però,
potrebbe portare all’estromissione di Montevideo dal MERCOSUR.
5
. Il Patto Andino, o Gruppo Andino, creato nel 1969 con l’Accordo di Cartagena e diventato la CAN
nel 1997, ha subito varie modifiche passando dal regionalismo protezionista a quello aperto. La CAN
è attualmente composta da Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia. Il Venezuela è uscito dall’organismo
di integrazione regionale nel 2006, mentre il Cile, che si ritirò nel 1976, è dal 2006 membro
associato.
198
Brasile, America Latina e Caraibi
***
6
. Infatti, il Brasile ha esercitato un commercio equo e solidale acquistando riso dall’Uruguay a un
prezzo maggiorato.
199
Il Brasile e gli altri
***
7
. Nel risolvere il conflitto politico e sociale scatenato dagli oppositori del Presidente Morales, la me-
diazione brasiliana ha imposto sia il consolidamento del processo democratico, sia il rispetto della
Costituzione, due chiari messaggi: il primo per Washington e il secondo per Caracas. Difesa, quindi,
contro ogni ingerenza esterna, moderazione nei rapporti internazionali e rispetto reciproco.
200
Brasile, America Latina e Caraibi
***
201
Il Brasile e gli altri
***
8
. Una promettente iniziativa potrebbe essere il Parlamento do MERCOSUR, istituito alla fine del
2005, che ha tenuto la prima seduta a giugno del 2008 a San Miguel de Tucumán in Argentina. I par-
lamentari sono 81 – 18 per ciascun dei quattro paesi membri e 9 per il Venezuela. Anche i paesi as-
sociati possono avere dei seggi, ma senza diritto di voto.
202
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203
Il Brasile e gli altri
l’esterno, ostacolate, però, dalla struttura istituzionale per cui tutto diventa più com-
plesso (de Almeida e Leitão, 2009: 36). Ora, poi il MERCOSUR deve competere
con la nascente Allenza del Pacifico – vedi nota 25.
L’affermarsi del regionalismo in AL, come in molte altri parti del mondo, deriva
dalla necessità di andare oltre lo stato-nazione per trovare risposte adeguate alle sfi-
de della globalizzazione. L‘idea d’integrazione regionale non è nuova in AL, perché
è insita in quella della “patria grande” elaborata da Simon Bolivar9 con la quale si
scontra però l’idea del panamericanismo, che implica l’interventismo statunitense
nella regione (Carmagnani, 2003: 222), codificato nella dottrina Monroe10. Bisogna
arrivare ai nostri giorni perché si realizzi un progetto integrazionista tutto sudameri-
cano, che esclude il resto dell’emisfero e particolarmente gli USA con i quali si pre-
para a negoziare come un tutto. Infatti, la “Declaración del Cuzco” del 2004 dalla
quale origina l’ANASUR, si apre “proprio con un riferimento all’eredità di Bolívar”
che viene così riconosciuto come il “padre putativo” di questo nuovo corso (San-
chini , 2010: 192).
D’altra parte, il regionalismo che si afferma nelle ultime decadi è anche una
risposta, essenzialmente difensiva, alle crisi degli anni ’80, alla fine della Guerra
fredda e, principalmente, all’avvento della globalizzazione. È una strategia che
emerge dai paesi periferici o semi-periferici che pur di evitare la marginalizzazione
economica sono disposti a cedere parte della loro sovranità per organizzare una più
forte risposta regionale alle pressioni globali. Questa riconfigurazione degli spazi
geoeconomici sia per reagire collettivamente alle sfide sia per cogliere insieme le
opportunità della globalizzazione è un costrutto artificiale elaborato a livello gover-
nativo per riordinare le relazioni internazionali.
Questo regionalismo vuole “trasferire la proprietà (ownership)
dell’integrazione regionale dai politici (policymakers) nazionali agli attori economi-
ci e alla società civile, perché generino le pressioni politiche interne necessarie per
trasformare vaghi accordi in concreta realtà (Burges, 2009: 94-95) e tenta di ricali-
brare l’integrazione dell’emisfero. Il suo limite è dato dal fatto che qualunque forma
d’integrazione, per essere effettiva, deve basarsi su un processo di convergenza di
valori e fini, il che non è sempre il caso in questo continente. Anzi, dall’inizio di
questo secolo si è sviluppato “un nuovo ciclo di divergenza dovuta sostanzialmente
a due fattori: le modalità d’inserimento nell’economia globale e l’evoluzione politi-
9
. In realtà, la storia nazionale di Brasile, Messico, Paraguay, Uruguay e di quasi tutti i paesi dell’AC
ha avuto a vedere poco o niente con Bolivar. “L’idea di vincolare l’integrazione regionale con la fi-
gura di Bolívar e con la storia degli inizi del secolo XIX° mira a dare una qualche legittimità ideolo-
gica al processo, anche se in verità di tratta di un anacronismo, perché l’idea di ricostruire l’unità del
vecchio impero spagnolo non ha assolutamente niente a vedere con l’attuale situazione del continen-
te” (Carlos Malamud, 2009: 108).
10
. “La dottrina Monroe, che doveva mantenere le Americhe lontano dalle politiche di potenza euro-
pee, finì con l’essere rielaborata sul finire del XIX° secolo per garantire agli Stati Uniti la possibilità
dì intervento nel sottocontinente” (Carmagnani, 2003: 222). Se questo ha permesso al potere statuni-
tense di dominare la regione, ha però reso difficile a Washington di sviluppare sane relazioni bilate-
rali con l’AL, dove l’anti-americanismo sopravvive e resta una forza politica da non sottovalutare
(Kaplan, 2012: 2).
204
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***
11
. Per questo fenomeno vedi Giorgio Alberti, “Il ‘chavismo’: la politica come movimento”, Politica
internazionale, 34, 4/5, 2009.
205
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12
. Stranamente, Sanchini (2010: 50) attribuisce l’etichetta di regionalismo multiscopo anche ad AL-
BA – vedi dopo – che è contro globalizzazione, mercato e settore privato.
13
. “Le asimmetrie strutturali nascono da fattori quali dimensione dell’economia, localizzazione geo-
grafica, accesso all’infrastruttura regionale, qualità istituzionale e livello di sviluppo. Questi fattori
condizionano la capacità di un’economia di beneficiare dell’integrazione del mercato. Le asimmetrie
politiche nascono invece dalle differenze delle preferenze sociali di un paese rispetto all’offerta di
beni pubblici e “possono propagarsi all’interno di una regione economicamente integrata per mezzo
di spillovers” macroeconomici. Naturalmente, queste asimmetrie strutturali e le differenze macro-
economiche dei paesi membri “creano rilevanti disparità nella distribuzione dei vantaggi
dell’integrazione – vantaggi che non riflettono le aspettative dei paesi che ne beneficiano meno – e
conseguentemente alimentano disaccordi”, mettendo così a rischio la sopravvivenza del progetto in-
tegrativo oppure indebolendo il consenso necessario per migliorarlo (Blyde et al., 2008: 7-8 e 25).
Per le asimmetrie del MERCOSUR vedere specialmente il secondo capito di questo libro ed Esparza
(2008) .
206
Brasile, America Latina e Caraibi
***
Il vertice dei Capi di stato dei paesi del Sudamerica, nato nel 2000, dimostrava che il
sogno di Simón Bolívar di unificare il continente era ancora vivo e il fatto che a
ospitare il primo di questi vertici fosse il Brasile ne rivelava il desiderio di puntare
alla leadership continentale. Con questo vertice il Sudamerica si presentava come
un’effettiva entità geopolitica, capace di trovare l’accordo su aree cruciali, come
promozione della democrazia, incoraggiamento degli scambi, lotta alla droga, coo-
perazione tecnologica, ma anche integrazione delle infrastrutture fisiche tramite
l’IIRSA. Quest’ultimo punto riprendeva l’idea brasiliana di costruire “assi di svilup-
po” per promuovere la creazione di catene di produzione regionalmente integrate, In
questo modo l’inserzione del Sudamerica nell’economia internazionale veniva a di-
pendere dall’accresciuta coesione e unità regionale. Infatti, fallito il tentativo
d’espandere il MERCOSUR per formare l’Área de Livre Comércio Sul-Americana
(ALCSA), si puntava ora a formulare un programma di sviluppao per le infrastruttu-
re fisiche colleganti i vari paesi che avrebbe dovuto generare la necessaria pressione
politica per creare un integrato spazio economico continentale (Burges, 2009: 60 e
94). Infatti, la creazione di catene produttive è chiaramente impossibile senza le ne-
cessarie reti di trasporto e comunicazione. La conversione del Brasile
all’integrazione tecnocratica infrastrutturale nasceva dal fallimento degli sforzi poli-
tici e dei negoziati diplomatici evidenziato dalle continue crisi del MERCOSUR.
Quest’approccio sembrava particolarmente efficace per i corridoi bi-oceanici. Quel-
lo che attraversa Cile, Bolivia e Brasile – lungo 4000 km collega il porto di Santos
con quelli di Iquique e Arica – è stato inaugurato alla fine del 2010 e la costruzione
del tunnel di 52 km tra Luján de Cuyo (Mendoza) e Los Andes (Cile) è iniziata nel
2012. Chiaramente, l’IIRSA, più l’espansione dei finanziamenti dei progetti infra-
strutturali in altri paesi da parte del BNDES, rappresenta un importante tentativo di
207
Il Brasile e gli altri
14
. A Cuzco erano presenti, però, solo cinque Presidenti, tra i quali solo il brasiliano proveniva da un
paese del MERCOSUR e solo tre (Brasile, Cile e Perù) avevano firmato il protocollo di fondazione
della CAN, documento che non presenta nessun preciso obiettivo, salvo un’astratta promessa di
completare l’integrazione entro 15 anni. Vi si parla anche d’integrazione energetica e infrastrutturale
dell’area, ma si specifica che in una prima fase, di durata indefinita, la CNS non avrà istituzioni e fi-
nanza proprie.
208
Brasile, America Latina e Caraibi
Brazil Framework Cooperation Agreement firmato alla fine del 1995 – anche per
mostrare l’esistenza d’una possibile alternativa all’FTAA proposto dagli USA. Sfor-
tunatamente, i negoziati del MERCOSUR con l’UE del 1999 avvennero mentre la
svalutazione del real metteva in crisi il raggruppamento regionale e il Brasile si ren-
deva conto di poter proseguire in maniera indipendente, perché l’UE più che al
MERCOSUR era interessata al mercato brasiliano (Burges, 2009: 55-56).
Al terzo vertice del CNS a Brasília a maggio 2008 fu firmato il trattato costi-
tutivo dell’UNASUR, che sostituisce il CNS e dovrebbe gradualmente evolvere
nell’UE sudamericana. Rispetto alle organizzazioni preesistenti nella regione
l’UNASUR raccoglie tutte le nazioni del Sudamerica, ha una vocazione soprattutto
politica e deve trovare una formula che permetta a due blocchi differenti, come
CAN e MERCOSUR – al cui PIL il Brasile contribuisce con l’82%, l’Argentina con
il 16% e gli altri due ciascuno con l’1% –, di convergere. Il processo d’integrazione
serve a utilizzare al meglio le risorse della regione e a rafforzare le capacità di nego-
ziazione e proiezione internazionale, mentre il miglioramento dell’infrastruttura re-
gionale favorisce la creazione di un mercato interno. Questo nuovo processo
d’integrazione mira, quindi, a risolvere le asimmetrie che contraddistinguono la re-
gione, potenziando l’inclusione e la giustizia sociale, in modo da aggregare popoli,
oltre che economie (Sanchini, 2010: 82-83, 99-102)15.
L’accordo per l’UNASUR ha fissato gli obiettivi per l’integrazione energeti-
ca, che potrebbe arrivare a costituire il pilastro fondamentale dell’integrazione su-
damericana, e per l’infrastruttura dei trasporti. È stato creato un Segretariato e sotto
l’ombrello UNASUR sono stati istituiti un “Parlamemto Suramericano”, con sede a
Cochabamba in Bolivia, e il Consejo Suramericano de Defensa (CSD).
Essenzialmente organo politico, l’UNASUR ha funzionato come strumento
per risolvere le dispute e per elaborare posizioni politiche comuni. Infatti,
quest’organo, con l’influente contributo del Brasile, ha risolto conflitti politici in
Bolivia nel 2008 e in Ecuador a settembre del 2010, e ha bloccato l’estromissione
del Presidente dell’Honduras nel 2009. Nonostante questi successi, i paesi membri
sono riluttanti a cedere maggiore autorità all’UNASUR che quindi, in mancanza di
consenso regionale, risulta incapace di mediare dispute e, non essendo provvisto di
forti istituzioni, deve contare troppo sulla diplomazia presidenziale
Il CSD nasce per incoraggiare la cooperazione regionale nel campo della si-
curezza regionale16, migliorare la trasparenza della spesa militare e offrire assistenza
per missioni militari o disastri naturali. Riunitosi per la prima volta a Santiago a
marzo del 2009 il CSD ha cominciato ad adottare un metodo standard per misurare
l’acquisto di armi di ciascun paese membro, coordinare le attività delle loro forze
armate in tempo di pace e le missioni umanitarie e rafforzare la capacità regionale
per la produzione di sistemi di difesa, promuovendo investimenti bilaterali e multila-
terali nell’industria militare della regione. La spesa militare totale dei paesi
dell’UNASUR per il periodo 2006-2010 è ammontata a $126 miliardi, essendo au-
mentata da $17.6 miliardi del 2006 a $33.2 miliardi nel 2010, ma è solo lo 0,91%
del loro PIL, la più bassa al mondo.. La spesa brasiliana rappresenta il 43% del tota-
15
. L’art. 2 del trattato costitutivo presenta l’UNASUR come “uno spazio d’integrazione e unione
negli ambiti culturale, sociale, economico e politico”.
16
. Da notare che secondo B. Buzan e O. Waever (Regions and Powers: The Structure of Internatio-
nal Security, Cambridge University Press, 2004), il Sudamerica è composto di due sub-sistemi di si-
curezza regionale: il Cono sud e l’area andina.
209
Il Brasile e gli altri
le, seguita da quella colombiana con il 17% e finire con il 4% del Perú. Malgrado il
CDS non sia una NATO latinoamericana, il Brasile è riuscito a legare il futuro di
quest’organismo all’industria regionale degli armamenti, che risulta essere princi-
palmente brasiliana (Rodríguez, 2010: 21). A maggio del 2010 è stato creato il Cen-
tro de Estudios Estratégicos y de Defensa. Oltre a controllare le spese militari dei
paesi membri, il CSD ha esaminato gli accordi di difesa conclusi con potenze extra-
regionali, come la proposta di concedere agli USA accesso a sette basi militari co-
lombiane e l’Accordo Colombia-USA per la cooperazione contro i narco-guerrillas.
Per questo Washington teme che il Consiglio possa diventare un’alternativa
all’OAS17.
Il CSD rappresenta il primo tentativo di avviare un processo di regionalizza-
zione della sicurezza e offre un favorevole contesto istituzionale regionale nel quale
il Brasile potrà cercare la propria leadership. L’interesse del Brasile a proporre e
promuovere la creazione del Consiglio deriva dalle linee guida della sua politica
estera e dai dettami della sua politica nazionale di difesa La creazione di questo
Consiglio è spiegata anche dallo spostamento a sinistra di molti governi della regio-
ne, dall’allontanamento degli USA, assorbiti dalle problematiche di MO e Asia Cen-
trale, e dal moltiplicarsi delle situazioni di tensione che negli ultimi anni si sono svi-
luppate nella regione (Calderón, 2011: 97 e 102-03).
***
I paesi vicini chiedono al Brasile una maggiore apertura del mercato interno, la ridu-
zione dei finanziamenti pubblici alle imprese e l’incremento degli investimenti in
progetti infrastrutturali regionali. Per soddisfare queste richieste, il paese dovrebbe
però sacrificare parte della crescita nazionale scontentando sia gli industriali sia i
destinatari delle misure anti povertà.
Inoltre, la visione brasiliana dell’integrazione regionale avvita con il MER-
COSUR, che poggiava sulla graduale espansione della liberalizzazione dei mercati
in modo da facilitare uno sviluppo sostenibile e consolidare la democrazia, non po-
teva certo riscuotere il favore di Washington che, invece, perseguiva la liberalizza-
zione emisferica, che avrebbe avvantaggiato le imprese e gli investitori americani, e
mirava all’instaurazione globale dell’ordine neoliberale.
Nonostante la disponibilità dell’IDB a finanziare la costruzione di autostrade
e altri progetti che la facilitassero, l’unificazione tra MERCOSUR e CAN non ha
ancora avuto luogo, sostituita gradualmente da UNASUR. Inoltre, a dicembre del
17
. Come parte del tentativo di isolare gli USA nella regione e ampliare la sfera di auto-coordinazione
tra i paesi dell’AL o del Sudamerica, il Brasile si è opposto, insieme ad Argentina e Venezuela, al
FTAA e ha avanzato una serie di proposte volte alla creazione di nuovi organismi i cui membri de-
vono essere esclusivamente i paesi dell’AL o del Sudamerica, come sono la Comunidade de Estados
Latino-Americanos e Caribenhos (un blocco regionale di 33 paesi dell’Al e dei Caraibi creato
all’inizio del 2010 al vertice del Rio Group-Caribbean Community (CARCOM) tenutosi a Playa del
Carmen in Messico e di cui non sono membri il Canada, gli USA, la Groenlandia e i territori nelle
Americhe di Francia, Olanda e Regno Unito) e la Cumbre Iberoamericana (creata a luglio del 1991 a
Guadalajara in Messico, ha tenuto la XXIIa riunione a Cadíz in Spagna a novembre del 2012). Chia-
ramente, la frammentazione di vecchie alleanze, per ragioni regionali o ideologiche, sta riducendo il
peso e la rilevanza dell’OAS. Secondo EIU (2012 dic.: 25) in questo vertice è apparso chiaro come
stia cambiando la natura dei rapporti tra Spagna e Portogallo e con le rispettive controparti latinoa-
mericane, la cui potenza economica e politica continua a crescere, insieme ai loro interessi in altre
regioni del mondo, particolarmente in Asia.
210
Brasile, America Latina e Caraibi
2008 il Brasile riunì a Costa do Sauípe, nel Bahia, i leader di 33 stati dell’America
Latina e dei Caraibi (ALC), compresa Cuba ma non gli USA e l’UE, per la prima
Cumbre de América Latina y el Caribe (CALC) per discutere l’accelerazione
dell’integrazione e dello sviluppo di queste economie. A febbraio 2010 a Cancún alla
riunione dell’UNASUR fu deciso di creare la “Comunidad de Estados de Latinoa-
mérica y el Caribe” (CELAC) – erede del vertice dell’America Latina e dei Caraibi
e del Gruppo di Rio (1986), ma con un non ben definito rapporto con la CALC. La
CELAC si aggiunge così ai tanti altri enti proliferati in AL: MERCOSUR e PAR-
LASUR (Parlamento del MERCOSUR)18, CAN, CARICOM (Comunidad del Cari-
be), OEA, UNASUR, ALBA – vedi oltre –, SICA19 e PARLACEM (Parlamento del
SICA)20, Banco Sudamericano de Naciones, o BancoSur, etc.
Tutte queste strutture regionali non hanno, però, affrontato le sperequazioni
economico-produttive e le distorsioni tariffarie di stampo protezionistico che stanno
alla base della paralisi di gran parte degli accordi economici regionali. Anzi, la crisi
economica globale iniziata nel 2008 sta spingendo all’intensificazione delle barriere
protezionistiche, in particolare quelle relative al commercio bilaterale tra Argentina
e Brasile (Agostinis, 2012).
La nascita della CALC fu salutata come l’evento che per la prima volta negli
ultimi 200 anni vedeva riuniti tutti i paesi dell’AL, compresa Cuba, senza nessuna
presenza “imperiale”, a dimostrazione della nuova capacità della regione a “dire
no”. Esiste, però, il Tratado Interamericano de Asistencia Recíproca (TIAR) di Rio
de Janeiro, sottoscritto nel 1947 da tutti i paesi latinoamericani, con il quale gli ade-
renti sì impegnavano al mutuo appoggio in caso di attacco a qualunque di essi. Ma a
giugno 2012 i paesi dell’Alianza Bolivariana, membri dell’ALBA-TCP, hanno co-
municato la decisione di denunciare il TIAR durante la 42a Asamblea General de la
Organización de Estados Americanos (OEA) tenutasi a Cochabamba, in Bolivia. Ma
nonostante che le dichiarazioni di unità bolivariana abbondino, il Venezuela sembra
sempre meno capace di giocare un importante ruolo regionale, mentre la posizione
del Brasile continua a rafforzarsi, E se è vero che la cosiddetta iniziativa bolivariana
è una delle ragioni dello stallo del processo d’integrazione in Sudamerica (B/W,
2007: 27)21, ben più importante è l’effetto negativo che le evidenti disparità o asim-
metrie tra i paesi creano per l’armonizzazione delle politiche, ostacolando così la
coordinazione necessaria per approfondite il processo integrativo.
Finora, la diplomazia brasiliana si è impegnata, con buoni risultati, a intrec-
ciare rapporti coordinati da spendere in sedi internazionali, come l’OMC. Le varie
iniziative non sono necessariamente anti-USA, ma chiaramente dimostrano il cre-
scente interesse del Brasile, finora concentrato sul Sudamerica, per il resto del con-
tinente che, una volta coinvolto in un comune processo d’integrazione, potrebbe
eventualmente partecipare all’ampliamento del MERCOSUR. Questo, infatti, è cer-
18
. Per ora il Palamento del MERCOSUR è formato da parlamentari eletti nelle elezioni nazionali –
18 per ogni paese membro – che dal 2014 dovrebbero essere eletti direttamente.
19
. Il Sistema de la Integración Centroamericana (SICA) fu creato alla fine del 1991 tra Belice, Costa
Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama, con sede a El Salvador.
20
. Considerando i parlamenti esistenti in AL, questa dovrebbe essere la regione più integrata al mon-
do. Infatti, l’AL conta il Parlatino (Parlamento Latinoamericano, con sede in Panama, creato ne
1964), il Parlamento Andino (organo della CAN con sede a Bogotá, creato ne 1979), il Parlamento
Centroamericano, o PARLACEN, (con sede a Guatemala, creato nel 1987) e il Parlamento del Mer-
cosur, o PARLASUR, (creato nel 2005, con sede a Montevideo).
21
. In effetti, la creazione di ALBA rivela la vocazione divisionistica del “chavismo”.
211
Il Brasile e gli altri
tamente un utile strumento politico per le relazioni del Brasile con il Cono Sur, ma
appare meno efficace per la sua proiezione globale (Roett, 2010: 132). La proposta
venezuelana di creare un BancoSur che si sostituisca al FMI fu approvata nel 2007 a
Quito e istituito come fondo monetario e di credito a settembre 2009 da Argentina,
Brasile, Paraguay, Uruguay, Ecuador, Bolivia e Venezuela con un capitale iniziale
di $20 miliardi, $12 dei quali forniti da Argentina, Venezuela e Brasile. Il BancoSur
dovrebbe fare prestiti ai paesi del Sudamerica per finanziare programmi sociali e co-
struire infrastrutture. L’iniziativa, però, continua a causare discussioni e a trovare
resistenze, per cui il suo futuro resta incerto. Anche la decisione dell’Argentina e del
Brasile di commerciare usando le proprie monete in realtà non è stata mai applicata.
***
212
Brasile, America Latina e Caraibi
***
Considerazioni energetiche sono state rilevanti per rafforzare i legami con il Para-
guay che, grazie alla costruzione della diga di Itaipú come una joint venture tra i due
paesi, è diventato il maggiore esportatore al mondo di energia elettrica, soddisfacen-
do così una parte sostanziale della domanda dell’area più industrializzata del Brasile
(Baer, 2008: 189). La recente crisi istituzionale, però, ha messo alla prova la spesso
ripetuta affermazione che il Sudamerica sia l’ancora strategica che ha permesso al
Brasile di formulare una politica estera veramente globale, perché la confusa situa-
zione paraguaina ha offerto al Brasile e all’Argentina solo l’occasione per ottenere
la formale ammissione del Venezuela nel MERCOSUR, ammissione che dovrebbe
imbrigliarlo in un sistema giuridico, commerciale e finanziario già definito, renden-
do più facile il controllo e il ridimensionamento della carica eversiva di Chávez.
Tuttavia va notato che ALBA, che alcuni considerano complementare ad al-
tre iniziative d’integrazione, risulta piuttosto alternativa ad esse e lo è certamente
rispetto all’UNASUR, perché “il progetto ALBA affonda le sue radici nella critica al
modello neoliberale sperimentato in vari paesi dell’America Latina nel corso degli
anni Novanta”. La gestazione dell’ALBA inizia con la reazione all’ALCA, o FTAA,
la proposta statunitense del 1994 per integrare tutte le economie dell’emisfero occi-
dentale, cui “veniva soprattutto rimproverato il fatto di concentrare l’attenzione dei
governi sulla produttività e sulla competitività”, piuttosto che “sulle conseguenze
sociali del liberismo” e di non ipotizzare alcune misure necessarie “per la riduzione
delle asimmetrie, che si sarebbero senza dubbio accentuate in un contesto di libero
scambio. Il segno distintivo dell’ALBA è, quindi, la sua concezione ideologica che
certamente può assicurare maggiore coesione tra alcuni paesi membri, ma tende ad
allontanarne molti altri, per cui è condannata a restare di modeste dimensioni.
Altra importante limitazione dell’ALBA è lo spregiudicato uso del petrolio
come strumento di politica estera da parte del paese fondatore, ovvero il Venezuela
di Chávez, promotore di quest’iniziativa presentata, insieme a Fidel Castro, a
L’Avana il 14 dicembre 2004. L’impostazione politica cubano-venezuelana, con an-
213
Il Brasile e gli altri
***
22
. Nel 2011, sono state effettuate 431 transazioni in SUCRE per un valore complessivo di $216 mi-
lioni.
23
. Il Proyecto de Integración y Desarrollo de Mesoamérica nasce nel 2008, dalla trasformazione del
Plan Puebla-Panamá che era stato lanciato nel 2001, per accelerare l’integrazione e lo sviluppo
sostenibile di dieci paesi inclusi tra Messico e Colombia, favorendo azioni congiunte di cooperazio-
ne, sviluppo e integrazione e per trarre vantaggio dal libero scambio con i mercati asiatici.
24
. Questo blocco di paesi latinoamericani bagnati dal Pacifico è stato creato a giugno 2012 da Cile,
Colombia e Messico, con Costa Rica, Panama e Perú come osservatori. Il PIL pro capite
dell’Alleanza è pari a $13 mila, mentre il PIL totale rappresenta il 34% di quello dell’AL e le sue
esportazioni sono il 55% di quelle della regione. Oltre la propria integrazione economica, l’Alianza
del Pacífico è interessata a creare o rafforzare i rapporti con l’Asia. Guardando sempre più oltre i loro
214
Brasile, America Latina e Caraibi
partner commerciali tradizionali, inclusa l’Europa, i membri dell’Alleanza mirano, come attori globa-
li, a sviluppare legami asiatici e intra-latinoamericani – vedi anche 4.5.1. e 4.5.6. Il 23 maggio 2013
Cile, Colombia, Messico e Perù hanno firmato un accordo che rimuove i dazi per il 90% dei loro
scambi commerciali e stabilisce un calendario per la rimozione dei dazi sul restante 10% entro i pros-
simi sette anni. Essi stanno inoltre lavorando alacremente per standardizzare tutte le regolamentazio-
ni relative agli scambi commerciali, la cosiddetta regulatory convergence, mentre Cile, Colombia e
Perù hanno creato un’unica borsa regionale. Non meno interessante è il Trans-Pacific Partnership
(TPP), nato nel 2005 per liberalizzare le economie di Brunei,Cile, Nuova Zelanda e Singapore.
All’ultima riunione del maggio 2013 i paesi membri sono diventati 12 – ai primi 4 si sono infatti ag-
giunti USA, Canada, Messico, Giappone, Australia, Vietnam, Malaysia e Perù – che insieme rappre-
sentano il 40% del PIL mondiale. Assente è la Cina. Sembra che Washington sia intenzionato a usare
il commercio per aumentare la propria influenza nella regione e contenere la forza economica e di-
plomatica della Cina.
215
Il Brasile e gli altri
dera tutta l’AL. Nel caso del Sudamerica bisogna però riconoscere che per quanto
concerne la leadership, il Brasile la sta certamente tentando. Resta da capire se il
Brasile sarà “capace di riconciliare i propri interessi regionali e globali … con quelli
geopolitici ed economici”, problema non facilmente risolvibile, così come non è fa-
cile rispondere al quesito sollevato da Frechette e Samolis (2012: 10-11), ossia se il
MERCSUR comprenderà l’intero Sudamerica o invece resterà intrappolato, insieme
alla CAN, entro l’UNASUR. Il fatto che il Brasile sia diventato membro di CELAC,
che include l’intera AL e i Caraibi, accresce l’incertezza.
In AL, però, gli accordi commerciali non sembrano incidere in modo signifi-
cativo sulla direzione dei flussi di merci; l’integrazione regionale continua a restare
indietro, sia in termini di profondità che di qualità, rispetto a quella degli emergenti
paesi asiatici; e manca quello scambio intra-industriale che potrebbe fornire le eco-
nomie di scala necessarie per aumentare la produttività dei settori industriali. Situa-
zione che potrebbe dipendere dalle somiglianze intra-regionali, in quanto i paesi
dell’AL presentano dotazioni fattoriali relativamente poco differenziate, mentre
l’assenza di scambi intra-industriali è in parte il risultato proprio della crescente
“primarization” delle loro esportazioni, specialmente verso il resto del mondo (Levy
Yeyaty, 2012: 8 e 22-23).
Per quanto concerne il Brasile, l’impossibilità di accordarsi su una lista co-
mune di priorità, la presenza di interessi nazionali non coincidenti, la storica sfiducia
rispetto alle sue intenzioni e al suo ruolo, più il suo protezionismo, hanno reso molto
difficile l’esercizio di una sua leadership regionale. Oltre che da questi problemi,
l’integrazione cui aspira il Brasile è ostacolata dalla scarsa integrazione fisica, dagli
ostacoli geografici, che in alcune aree sono veramente insormontabili, e dalle note-
voli disparità economiche. È anche vero, però, che paragonata al dinamismo che ha
distinto la diplomazia brasiliana sullo scacchiere internazionale e al numero di
partnership strategici raggiunti con alleati non-tradizionali come Cina, India e Suda-
frica, “la politica regionale del governo Lula è dunque stato a dir poco ‘cauta’, con-
centrandosi sulla conservazione di un equilibrio di potenza favorevole agli interessi
economici del Brasile” (Agostinis, 2012).
Chiaramente, la politica estera brasiliana sembra essere sempre più orientata
fuori del Sudamerica, viste le continue difficoltà causate da un turbolento vicinato e
il trattamento preferenziale invece ricevuto dalle potenze mondiali e dalle istituzioni
globali. Recupero (2009: 26-27) sostiene che non si tratta di un abbandono dell’idea
di integrazione, ma di “un ritiro strategico” per “adattare i mezzi e i fini
dell’integrazione … al processo di divisione e divergenza che oggi caratterizza
l’America Latina”.
4.5.1. INTRODUZIONE
Il Brasile ha concluso accordi commerciali bilaterali con ciascuno dei paesi limitro-
fi, salvo Guyana e Suriname. Ma il fatto che abbia mantenuto per anni un surplus
commerciale con tutti i paesi dell’AL, salvo la Bolivia, può essere interpretato da
questi paesi come un segno d’insensibilità politica, se non proprio di una sconsidera-
ta ipocrisia.
216
Brasile, America Latina e Caraibi
Il Brasile deve anche tenere conto della rapida crescita che negli ultimi anni
distingue i paesi andini e della nascita dell’Alianza del Pacífico – vedi 4.4. – sulla
quale in pochi avrebbero scommesso e che potrebbe condizionare profondamente le
relazioni MERCOSUR-CAN.
4.5.2. CILE
Nonostante che dall’inizio degli anni ’60 nei rapporti tra Brasile e Cile si siano al-
ternati precisi periodi di avvicinamento e di allontanamento, nel complesso essi sono
sempre restati caratterizzati dalla volontà di costruire un’amicizia solida e stabile,
continuando, però, ciascuno a preservare la propria autonomia decisionale. Il Cile
guarda con scetticismo ai raggruppamenti regionali. Infatti, è solo un membro asso-
ciato del MERCOSUR e per bilanciarne la possibile influenza ha stretto accordi di
libero scambio con vari paesi in AL e fuori. Considera il Brasile un importante allea-
to in Sudamerica, ne sostiene la candidatura ad un seggio nel CS, ma si oppone a
che ottenga anche il diritto di veto.
Dalla fine degli anni ’80, le posizioni del Brasile e del Cile, due paesi caratte-
rizzati dal consolidamento del regime democratico, tendono sempre più a coincidere
o a essere molto vicine. Entrambi i paesi si ritrovano a partecipare attivamente al
sistema regionale che considerano necessario rafforzare, assumendo spesso posizio-
ni comuni. Di conseguenza, i due paesi hanno sviluppato una serie di meccanismi di
consultazione che operano regolarmente e trattano sia aspetti della relazione bilate-
rale sia la posizione di ciascuno e una eventuale possibile coordinazione per affron-
tare i diversi problemi internazionali che si presentano.
Tra le varie iniziative per rafforzare la loro cooperazione, i due paesi hanno
istituito una Comisión Técnica Bilateral Chile-Brasil che analizza i problemi
dell’integrazione fisica, ovvero le questioni relative alla loro connettività all’interno
del quadro dell’IIRSA e dell’UNASUR, e le questioni relative a trasporto, dogana e
infrastrutture. In quest’ultimo settore è importante l’accordo, sottoscritto da Brasile,
Bolivia e Cile a La Paz a dicembre 2007, per la costruzione del Corridoio Bioceani-
co di 4.700 chilometri che dal porto di Santos, attraversando la Bolivia, raggiunge i
porti d’Iquique e Arica. Notevole è anche la loro cooperazione scientifica e tecnolo-
gica. Infatti nel 2008 l’impresa aeronautica brasiliana Embraer e quella cilena Enaer
hanno raggiunto un accordo per il valore di $250 milioni che, oltre il commercio di
aerei, include la produzione di componenti e ricambi in Cile e la costruzione con-
giunta di un nuovo aereo. La collaborazione si estende anche alle telecomunicazioni
digitali, con trasferimento di tecnologia e IDE nell’industria di apparecchi televisivi.
Infine, il Brasile è diventato il maggiore fornitore di petrolio al Cile, dove ha comin-
ciato a trasferire la propria conoscenza in materia di biocombustibili e, grazie alla
presenza di Petrobras, a distribuirvi auto flex-fuel e a vendervi l’etanolo in tutte le
stazioni di servizio.
Naturalmente, non sono mancati alcuni casi di tensione e conflitti, vedi la de-
cisione del Cile di non diventare membro a tutti gli effetti del MERCOSUR, nono-
stante che la sua presenza come membro associato (1996) abbia molto contribuito a
sviluppare i rapporti economici tra i due paesi. Infatti, il loro intercambio commer-
ciale è cresciuto da $2,1 miliardi del 2002 a $8,8 miliardi del 2010 e $10,7 nel 2011
(esportazioni brasiliane $6,7 miliardi, contro $4,5 miliardi d’importazioni dal Cile).
Al Brasile si dirige anche il 20% degli investimenti esteri cileni, pari a $11,4 milio-
217
Il Brasile e gli altri
ni, mentre $594 milioni sono quelli brasiliani, che però rappresentano meno dell’1%
del totale ricevuto dal Cile fino al 2010. Data l’importanza di questi rapporti econo-
mici, particolarmente per il Cile, i due paesi stanno costruendo un quadro istituzio-
nale con accordi per la doppia tassazione (2003) e per il trasporto aereo (2008), e
negoziando un Acuerdo Bilateral de Inversiones. È stata anche costituita una Comi-
sión de Comercio Bilateral, con diversi gruppi tecnici di lavoro che analizzano lo
sviluppo delle diverse aree del commercio bilaterale per trovare soluzioni a eventua-
li differenze o difficoltà (Gamboa, 2011: 11-12).
Come spiega Gamboa (2011: 12 e 14), il “Cile ha adottato una politica di
relativa vicinanza al Brasile”, privilegiando però i rapporti commerciali, vicinanza
che è stata estesa anche alla politica regionale e nonostante ci creda poco, ha soste-
nuto l’iniziativa brasiliana che ha portato alla creazione dell’’UNASUR. Questo so-
stegno a un progetto che dovrebbe rafforzare la leadership regionale brasiliana sa-
rebbe stato offerto dal Cile per ragioni varie, ovvero perché il Presidente cileno Ba-
chelet desiderava priorizzare l’AL, per contrastare quell’ALBA che il Cile non ap-
prova e considera contraria ai propri interessi e, infine, per evitare i potenziali costi
di escludersi da un’iniziativa brasiliana, compreso il rischio di restare confinato in
una posizione periferica. In effetti, se per gli interessi economici cileni, l’aiuto del
Brasile risulta molto rilevante, a quest’ultimo il Cile offre quella via d’accesso al
Pacifico di cui ha tanto bisogno.
4.5.3. BOLIVIA
Nel 1903 la Bolivia fu costretta a cedere, con indennizzo, al Brasile l’area che oggi
costituisce lo stato di Acre e dalla seconda metà degli anni ’70 ha subito un continuo
arrivo di coltivatori che hanno di fatto “brasilianizzato” la regione di Santa Cruz de
la Sierra dove la moneta corrente è quella brasiliana e si parla lo spagnolo come il
portoghese. Non stupisce, quindi, che la Bolivia consideri i rapporti con il Brasile
più di predominio che di collaborazione.
Durante gli anni ’90, il tema principale nelle loro relazioni fu l’esportazione
del gas naturale boliviano, di cui il Brasile era il principale acquirente. Con
l’apertura del gasdotto Santa Cruz-São Paulo, tra i due paesi si è stabilita
un’associazione strategica, anche se, in effetti, il gasdotto “lega e addirittura integra
una porzione del territorio boliviano alla realtà del potente vicino” (Isenburg, 2006:
70-71). Nel 2001, furono firmati nuovi accordi d’integrazione fisica ed energetica,
quali la costruzione della strada Santa Cruz-Puerto Suárez-Corumbá, di un ponte tra
Brasilea e Cobija e di aeroporti per uso comune in Cobija e Guayaramerin. Sempre
nel 2001 fu firmato un MOU per la realizzazione di un programma di cooperazione
scientífica e tecnologica tramite l’Agência Brasileira de Cooperação (ABC).
Sempre per ragioni energetiche, il Brasile ha fatto investimenti su larga scala
in Bolivia per accedere alle ampie risorse di gas naturale e di minerali che il paese
contiene. Le tensioni che si svilupparono tra i due paesi allorquando nel 2006 il go-
verno boliviano nazionalizzò le istallazioni brasiliane nell’area produttrice di gas,
sono state poi risolte da lunghi negoziati, anche se la Bolivia non ha altre possibilità
di esportare questo prodotto che al Brasile serve, almeno per ora.
218
Brasile, America Latina e Caraibi
Nel 2006, il rapporto tra i due paesi si fece nuovamente molto teso a causa
dell’espropriazione dell’impresa di gas naturale della Petrobras25 che, però, continuò
ad amministrare le attività estrattive ed è attualmente il maggiore contribuente boli-
viano. Ma il caso boliviano è interessante perché, come fa notare Burges (2009:
183), per la prima volta una questione di politica internazionale entrò a far parte del-
la campagna per l’elezione presidenziale di quell’anno. Inoltre, la dipendenza del
Brasile dal gas boliviano finì subito dopo, con l’annuncio della scoperta in Brasile
dei grandi depositi di Bacia dos Santos e Campos e fu la volta della Bolivia a dover
dipendere dall’importazione di diesel brasiliano. Il contratto tra i due paesi per la
compravendita del gas naturale boliviano, contratto molto favorevole per il fornito-
re, stabilisce che il Brasile ne acquisti giornalmente tra 24 e 31 milioni di metri cubi.
Dai $1,2 miliardi che fruttano annualmente le vendite di gas al Brasile dipende gran
parte della sua economia, ma il contratto scade nel 2019.
L’intercambio commerciale tra i due paesi ammontò a $644 milioni nel 2002,
$2,1 miliardi nel 2006 ($0,7 miliardi le esportazioni del Brasile e $1,4 miliardi le sue
importazioni) e $4,3 miliardi nel 2011 ($1,3 miliardi esportati dal Brasile e $3,0 mi-
liardi importati). La gamma delle importazioni boliviane è abbastanza varia, in
quanto nessun prodotto rappresenta, nel 2006, più del 15% sul totale e va da mac-
chinari (15%) a materiali da trasporto (14%) e sostanze chimiche per uso industriale
(11%). I manufatti rappresentano più del 95%, il resto è rappresentato da prodotti
agricoli e zootecnici. Le principali esportazioni boliviane sono petrolio e gas natura-
le che aumentano rapidamente a partire dal 1999. Altri prodotti sono alimentari
(11%) e minerali metallici (21,48%). Più di due terzi delle esportazioni boliviane
sono prodotti minerari e solo il 28% manufatti.
Ultimamente, i rapporti diplomatici tra i due paesi sono attraversati da cre-
scenti tensioni, ma il governo boliviano sembra non capire che con un vicino così
potente e dal quale dipende, è necessario avere buone relazioni. Frattanto, il Brasile
insiste per accedere al territorio boliviano con la propria polizia per migliorare la
lotta al narcotraffico. La Bolivia ha infine accettato l’invito, esteso anche
all’Ecuador, a entrare nel MERCOSUR e il processo d’ammissione dovrebbe con-
cludersi presto.
4.4.4 ECUADOR
Per migliorare i rapporti con l’Ecuador, dopo la disputa del 2008 relativa alla co-
struzione di un impianto idroelettrico, alla fine del 2012 il Brasile ha deciso di fi-
nanziarvi un nuovo progetto e il BNDES ha approvato un prestito di $90,2 milioni
per la realizzazione dell’impianto elettrico di Manduriacu a nord del paese. Frattan-
to, nel periodo 2004-2011 gli scambi commerciali tra i due paesi sono quasi raddop-
piati, passando da $575 milioni a un miliardo di dollari, ma restano modesti perché
le esportazioni dell’Ecuador sono principalmente petrolio e ultimamente fiori recisi.
25
. Secondo Burgess (2009: 165), l’industria petrolifera boliviana sarebbe stata nazionalizzata solo
perché era l’unica speranza per stabilizzare la politica del paese. Ad ogni modo, fu Chávez a con-
sigliare e assistere la Bolivia in quest’operazione, cosa che il Brasile difficilmente ha dimenticato. .
219
Il Brasile e gli altri
4.4.5. COLOMBIA
26
. Il documento del BID fa anche notare che la distanza tra le maggiori città dei due paesi è 4.100 chi-
lometri , mentre quella con tra Brasile e Argentina è 2.376 e tra Colombia e Venezuela 960 chilometri.
220
Brasile, America Latina e Caraibi
35% di quelli provenienti dal Brasile. Nel 2001 il dazio preferenziale medio colom-
biano per i prodotti brasiliani era sceso a 5,8%, mentre quello brasiliano sui prodotti
colombiani era 2,4%, anche se entrambi i paesi hanno mantenuto importanti picchi
tariffari sia sui manufatti sia sui prodotti agricoli. Inoltre, continua il BID (2011:
15), l’equivalente ad valorem delle barriere non tariffarie sul commercio bilaterale
arriva al 34% in Colombia e al 47% in Brasile.
Gli investimenti brasiliani nel paese sono invece aumentati notevolmente,
passando da $93 milioni nel 2005 a $975 milioni nel 2010, concentrati su manufatti,
minerali e costruzione. I principali investitori sono Petrobras, l’impresa mineraria
Vale, produttori d’acciaio come Gerdau e Votorantim, l’impresa di costruzione Ca-
margo Correa e il produttore di auto Marcopolo. Petrobras ha annunciato di voler
investire $430 milioni per aprire pozzi nelle acque caribiche dove già sfrutta 16
blocchi, 8 dei quali in alto mare, producendo 40 mila barili al giorno.
Gli investimenti colombiani in Brasile hanno raggiunto $605 milioni e si so-
no diretti al settore elettrico, a quello petrolifero, plastica, resine e a quello dei servi-
zi finanziari. Dal 2010, la Colombia sta collaborando con Embraer per sviluppare un
aereo da trasporto militare, il KC-390, che dovrebbe rivaleggiare con l’Hercules. Da
questa collaborazione potrebbe venire l’installazione di una fabbrica di pezzi di ri-
cambio in Colombia e l’acquisto di 12 aerei. Si teme però che l’alleanza della Co-
lombia con gli USA possa finire per “destabilizzare l’intera area, rafforzando il ruo-
lo della Colombia come avamposto USA in Sudamericana” (Sanchini, 2010: 282).
La destra conservatrice colombiana e la Casa Bianca continuano a ostacolare il
rafforzamento delle relazioni del paese con il Brasile e l’entrata in funzione a metà mag-
gio 2012 dell’accordo di libero scambio con gli USA permette al Presidente Santos di
continuare con la politica di “sicurezza democratica”27 e con il “Plan Colombia”28, il che
non impedisce a Bogotà di stabilire solidi legami con la nuova potenza regionale.
4.5.6. PERÚ
Già all’inizio del secolo passato lo sfruttamento del caucciù in Brasile e in Perú e la
necessità di definire le comuni lunghe frontiere (2,822 chilometri) spinsero i due
paesi a firmare nel 1909 un trattato ancora vigente. Anche per il Rio delle Amazzoni
i due paesi col tempo sono passsati dal confronto all’intesa, malgrado che in Brasile
prevalesse una visione trionfalista dell’espansione verso est, mentre nel Perú preva-
lesse il rammarico per la perdita di territori.
27
. Nel 2003, in Colombia è stata introdotta la politica di sicurezza democratica, risposta anche militare
al conflitto finanziario generato dal traffico di droga che coinvolge guerriglieri di sinistra, paramilitari di
estrema destra e governo. Questa politica comporta il raddoppio delle forze di sicurezza, un loro mag-
giore dispiegamento tra la popolazione, la pratica di pagare le informazioni ricevute dai cittadini e la ne-
goziazione per la smobilitazione delle bande paramilitari favorevoli al governo. In questo modo, cresce
molto il rischio di una pericolosa escalation del potere esecutivo e militare e che si finisca per rafforzare
i gruppi paramilitari e le reti della criminalità organizzata fuori delle città principali. Dal 2007, però,
questa politica è sempre più concentrata sul nation-building. Questa fase di consolidamento, chiamata
Acción Integral, è finanziata dall’assistenza statunitense con un miliardo di dollari.
28
. Plan Colombia viene chiamato l’insieme di leggi statunitensi dirette a ridurre il traffico di droga e
a combattere la guerriglia colombiana di sinistra. Il Plan Patriota introdotto dal Presidente Uribe mira
a eliminare alla radice il movimento di guerriglia, ovvero le FARC.
221
Il Brasile e gli altri
Negli ultimi anni, il felice intervento brasiliano per la conclusione del proces-
so di pace con l’Ecuador a fine anni ’80 e la costruzione della strada interoceanica
hanno contribuito ad accelerare il ravvicinamento. Nel 1996 venne istituita la Comi-
sión de Vecindad, ovvero il meccanismo di più alto livello per questa relazione bila-
terale, seguita dalla visita del Presidente Cardoso nel 1999 a Lima, dove vennero
firmati vari accordi, tra i quali il Plan de Acción de Lima per il miglioramento dei
rapporti reciproci. Il Perú ha applaudito la nascita dell’IIRSA che, creando le inter-
connessioni fisiche tra i due paesi, può dinamizzare il commercio bilaterale e stimo-
lare lo sviluppo delle regioni di frontiera.
La scelta peruviana di vincolarsi sempre più al Brasile spinge i due paesi ad
ampliare e approfondire la loro relazione diventata ormai un’alleanza strategica ba-
sata sulla condivisione di democrazia, agenda sociale, lotta alla povertà e afferma-
zione del multilateralismo. È nata così la Zona de Integración Fronteriza Perú-Brasil
per facilitare i movimenti di persone e veicoli e promuovere l’intercambio commer-
ciale e turistico.
Negli ultimi anni l’intercambio commerciale, che era passato da $525 milioni
nel 2001 a $3.167 milioni nel 2008, a causa della crisi globale nel 2009 ha cominciato
a declinare. La bilancia commerciale peruviana è stata, però, periodicamente negativa,
il deficit passato da $71 milioni nel 2001 a $1,4 miliardi nel 2008, quando le esporta-
zioni dirette al Brasile ammontarono a $895 milioni, ripartiti come segue: 75% prodot-
ti tradizionali, ovvero minerari (73%) e petrolio (2%), e 25% prodotti non tradizionali,
principalmente prodotti siderurgici e metallurgici (9%); chimici (6%) e agricoli e zoo-
tecnici (4%). Sempre nel 2008, il Brasile è risultato all’11º posto tra i destinatari delle
esportazioni peruviane, mentre il valore delle importazioni dal Brasile ha toccato quasi
$2,3 miliardi. I cinque principali prodotti brasiliani importati furono petrolio greggio
(14%), telefoni mobili (7%), auto (6%), autocarri (4%) e trattori (4%).
Alla fine del 2008 lo stock degli investimenti brasiliani in Perù ammontava a
$342 milioni, così distribuito: $273 milioni nel settore minerario, $30 milioni in
quello petrolifero, $27 milioni nelle costruzioni, $9 milioni nel settore commerciale,
$3 nel finanziario, $1,1 milioni nell’industriale. All’inizio del 2013 l’ambasciatore
brasiliano in Lima Carlos Lazary Teixeira ha stimato gli investimenti brasiliani in
Perù pari a $6 miliardi circa, contro $1 miliardo di quelli peruviani in Brasile. Le
maggiori imprese brasiliane operanti in Perù sono Vale (estrazione di fosfati dalla
miniera di Bayóvar nel deserto di Sschura in Piura) e il gruppo Gerdau con la sussi-
diaria Siderperu. Inoltre, le imprese brasiliane sono interessate a numerosi progetti
energetici, incluso quello di $1,3 miliardi per il Gasducto Andino del Sur per tra-
sportare gas da Camisea al porto de la Ciudad de Ilo nel quale operano Petrobrás e
Odebrecht e quello ancora più grande per l’impianto idroelettrico di Inambari loca-
lizzato nella regione di confine del Cusco, Puno e Madre de Dios, un progetto mo-
mentaneamente sospeso a causa delle proteste dei residenti.
Frattanto, l’elezione del Presidente Ollanta Humala in Perú ha rappresentato
un fallimento non solo per gli USA, ma anche per la Alianza del Pacífico – vedi 4.4.
La nascita di questo raggruppamento era già stata preceduta ad aprile 2012
dall’accordo tra i quattro membri per promuovere tra loro il libero scambio, e rap-
presentava in pratica un’alternativa al MERCOSUR e all’UNASUR, dove Brasile e
Argentina esercitano una notevole influenza. Inoltre, questi quattro paesi hanno tutti
già accordi di libero scambio con gli USA. D’altra parte, il paese che maggiormente
beneficia della vittoria di Humala è il Brasile che vede avvicinarsi il momento di ot-
222
Brasile, America Latina e Caraibi
4.5.7. VENEZUELA
Il Brasile firmò un primo accordo di cooperazione con il Venezuela nel 1978 aven-
done fin dall’inizio sostenuto la politica dell’alto prezzo per il petrolio, perché in li-
nea con la tesi della necessaria rivalutazione dei prezzi delle materie prime. Subito
dopo il Venezuela firmò il Tratado de Cooperación Amazónica, voluto dal Brasile
che nel 1981 aderì, insieme al Messico, alla proposta di Caracas per la creazione di
un’impresa multinazionale latinoamericana, un progetto che restò sulla carta per es-
sere rispolverato solo con l’arrivo al potere di Chávez nel 1999. Frattanto, i due pae-
si firmarono un Protocolo de Cooperación nel 1987 e gettarono le prime basi del
progetto d’integrazione sudamericana. Per la parte riguardante la comune frontiera
amazzonica, il progetto Brasile-Venezuela presentava tre obiettivi principali: (i) svi-
luppare la zona di frontiera e l’integrazione energetica; (ii) favorire l’interscambio e
creare una zona sudamericana di libero scambio; e (iii) aumentare gli investimenti
tra i due paesi. In effetti, dal 1995 l’interscambio si è notevolmente intensificato e il
Brasile è diventato un investitore nella Corporación Andina de Fomento (Vigevani e
Cepaluni, 2009: 123-24). Poi è arrivato Chávez che mirava a creare, con i soldi del
petrolio, un’integrazione regionale “socialista” con tre obbiettivi: (i) opporsi agli
USA con un movimento anti-egemonico; (ii) rafforzare i legami regionali per co-
struire un’interazione latinoamericana; e (iii) creare ALBA – vedi sopra 4.4.
Tra le varie iniziative del Brasile concernenti il Venezuela, quella di portarlo
nel MERCOSUR è stata forse la più importante. Lo scopo principale di questo in-
gresso era quello di offrire a Chávez una sede dove, in modo moderato e controllato,
dar voce alle sue frustrazioni con gli USA e perseguire il suo sogno boliveriano per
il Sudamerica, con progetti che “il Brasile avrebbe silenziosamente insabbiate e mi-
nate quando non avessero favorito i propri interessi” (Burges, 2009: 181-82). Un
esempio illuminante di questa tattica è stato l’accordo trilaterale tra Argentina, Bra-
sile e Venezuela del novembre 2005 che doveva servire a rassicurare Washington
che le ambiziose iniziative di Chávez e il suo accelerato riarmamento non avrebbero
causato la proliferazione nucleare in Sudamerica. Lula non ha ceduto però alle pres-
sioni americane perché riconoscesse che il governo di Chávez era una dittatura, per
cui potevano essere applicate le misure previste da MERCOSUR, Gruppo di Rio,
OAS e CASA. Pressioni alle quali non cedette nemmeno dopo che l’accordo sui
biocombustibili con gli USA aveva creato le prime frizioni tra Brasília e Caracas.
Insieme i due paesi stanno spingendo per la creazione di una nuova banca per
lo sviluppo del Sudamerica che dovrebbe rimpiazzare il FMI, per un progetto
d’integrazione politica in modo da sostituire l’OAS, e per un piano per la difesa re-
gionale che mira a eliminare il TIAR. Malgrado che la realizzazione di questi pro-
getti non sia assicurata, particolarmente dopo la morte di Chávez, i due paesi certa-
mente dimostrano la capacità di lavorare insieme su una varietà di soggetti, tutti di-
retti a ridurre l’influenza statunitense nel Sudamerica e a rafforzare l’abilità della
regione a risolvere i propri problemi autonomamente (Bulmer-Thomas, 2010: 21).
Naturalmente, Brasília non vede di buon occhio gli stretti rapport che il Ve-
nezuela ha intessuto con la Russia, e particolarmente l’alleanza militare che sta na-
scendo tra i due, con le esercitazioni navali congiunte realizzate a fine 2008. A di-
223
Il Brasile e gli altri
cembre 2011, Caracas e Mosca hanno firmato nuovi accordi secondo i quali la Rus-
sia apre un’altra linea di credito di $4 miliardi e s’impegna a partecipare alla costru-
zione di 30 mila unità abitative e all’industrializzazione del settore costruzione del
Venezuela. Un altro accordo riguarda il continuo sviluppo del Banco Binacional29
con l’aumento della sua capacità e del capitale. L’impresa di stato petrolifera vene-
zuelano PDVSA e la Gazprom russa hanno firmato un MOU per creare un’impresa
mista per l’esplorazione e lo sfruttamento del deposito di gas Robala nel Golfo de
Venezuela. Frattanto, sono cresciuti rapidamente i rapporti commerciali tra i due.
Nonostante le pressioni di Washington perché il Brasile criticasse pubblica-
mente gli abusi del potere esecutivo e dei diritti umani perpetrati da Chávez, Lula ha
preferito la discreta diplomazia, e in questo modo “la diplomazia brasiliana è riuscita
a neutralizzare l’influenza ideologica di Chávez nella regione” (Sweig, et al., 2011:
54). Anche la creazione del CSD è stato considerato uno strumento per contenere
Chávez, ma ora che è deceduto continuare a isolare il Venezuela potrebbe indebolire
la posizione del suo successore, col rischio di causare una grave crisi nella regione,
cosa che la diplomazia brasiliana certamente vuole evitare.
Ad ogni modo, la precarietà dei rapporti tra Brasile e Venezuela ha radici pro-
fonde, vedi la fondamentale differenza delle loro idee di regionalismo, perché mentre
il Brasile non guarda gli orientamenti politici dei paesi membri ma mira a risolvere i
problemi concreti e a un cauto e progressivo inserimento regionale e globale da rag-
giungere tramite una leadership pragmatica, la visione di Chávez era populista ed
egemonica e il suo approccio ideologico era critico del modello economico neoliberale
e fortemente anti-mercato e anti-USA (Sanchini, 2010: 218-23). Vigevani e Cepaluni
(2009: 127) sostengono che gli stretti rapporti tra i due paesi non sono dettati da affini-
tà politiche temporaneamente coincidenti, ma invece da “una tendenza storica che ori-
gina da una convergenza d’interessi che va oltre gli attuali due governi”.
***
29
. Fondata alla fine del 2008, questa banca è finalizzata alla promozione della cooperazione tra i due
paesi tramite il finanziamento di progetti congiunti di sviluppo.
224
Brasile, America Latina e Caraibi
to a esportare negli USA poco meno di un milione di bpd, il 40% della propria pro-
duzione petrolifera, pari al 90% delle esportazioni totali del paese, e a importare da-
gli USA macchinari e auto e perfino gas naturale e prodotti petroliferi.
***
Ottime anche le relazioni del Brasile con Suriname per quanto concerne la cooperazione
nel settore energetico, agrario, politiche governative e sviluppo sociale. Un recente ac-
cordo per l’agricoltura mette a disposizione del Suriname gli strumenti per localizzare al
meglio le varie culture agricole e apre a quel piccolo paese le porte degli istituti di ricer-
ca brasiliani. Il che migliorerà la qualità dei professionisti surinamesi, permettendo così
al paese di diventare il fornitore alimentare dei Caraibi. I ministeri degli Affari sociali
dei due paesi stanno intanto studiando come cooperare al meglio.
***
225
Il Brasile e gli altri
4.7. MESSICO
Il Brasile e il Messico sono due vasti paesi, che hanno grandi economie e trend de-
mografici positivi e per questo sono stati spesso considerati rivali naturali, gareg-
giano per ottenere influenza regionale e prestigio internazionale, ma che negli anni
hanno cercato di offrire un’immagine di interessi convergenti e di crescenti legami
economici, sperando di mascherare la fiera competizione che li divide.
226
Brasile, America Latina e Caraibi
30
. Ogni 3-4 anni tutti i Capi di Stato o Primi ministri eletti dell’emisfero occidentale si riuniscono per
discutere le sfide più urgenti che vanno affrontate.
227
Il Brasile e gli altri
esportazioni di auto messicane sono aumentate del 40% – dalle 53 mila unità del
2009 alle 134 mila unità per un valore di $2,1 miliardi – e il deficit brasiliano ha
quasi toccato $1,7 miliardi. Il costo più alto delle auto brasiliane dipendeva da tasse
più alte, un real sopravalutato e minori economie di scala delle imprese brasiliane.
Per questo, il Brasile è stato costretto all’inizio del 2012 ad annunciare l’intenzione
di rescindere l’ACE55 che a marzo il Messico ha accettato di modificare in modo
da limitare le crescenti esportazioni di auto in Brasile a un valore medio annuo di
circa $1,55 miliardi nei prossimi tre anni. Fissando un limite quantitativo agli
scambi, l’ACE55 si configura come un accordo di “managed trade”, piuttosto che
uno di libero scambio al quale il Messico è più abituato del Brasile. Questa limita-
zione quantitativa dovrebbe durare fino a marzo 2015 quando il libero scambio di
auto dovrebbe riprendere.
Poiché né il Brasile né il Messico hanno una propria industria automobilistica,
per l’assemblaggio di veicoli essi dipendono da multinazionali che prendono tutte le
decisioni, malgrado entrambi abbiano imprese manifatturiere locali per le componen-
tistica. Inoltre, mentre il settore automobilistico messicano è destinato all’export – più
della metà della sua produzione è esportata nell’America settentrionale – gran parte
della produzione brasiliana è venduta nel paese. Proprio per non venire esclusa da un
enorme mercato in rapida crescita come quello brasiliano l’industria automobilistica
messicana ha dovuto accettare limitazioni quantitative e maggiori local content requi-
rements per le proprie esportazioni. L’evidente vantaggio competitivo del Messico
deriva dall’essere in condizione di esportare al nord e al sud dell’emisfero e al resto
del mondo. Il Brasile, invece, nel 2011 ha prodotto 3,4 milioni di veicoli, ma ne ha
esportato solo 540 mila, tre quarti dei quali in Argentina.
Oltre ai problemi presenti nel settore automobilistico, anche gli scambi
commerciali tra il Brasile e il Messico non sono molto sviluppati. Infatti, nel 2011,
le esportazioni messicane dirette al Brasile sono ammontate a $4,9 miliardi e le im-
portazioni dal Brasile a $4,3 miliardi, entrambe meno del 2% dei flussi totali. Non è
ancora molto, ma certamente l’intercambio è aumentato rispetto al 2001, quando
toccò appena $2,7 miliardi. La bilancia commerciale messicana è stata sempre ne-
gativa, ma in modo decrescente, e nel 2011 per la prima volta ha registrato un
avanzo positivo di $330 milioni. In realtà, i due paesi non sono complementari e
infatti il Mexico ha puntato tutto sulla totale integrazione con gli USA, mentre il
Brasile non è disposto a sottoscrivere un patto di libero scambio con essi e preferi-
sce andare avanti da solo. E poiché il Messico non è un suo importante partner
commerciale, il Brasile, che è il suo settimo fornitore e il quinto acquirente, non lo
considera strategicamente rilevante. Il 99% delle esportazioni messicane al Brasile
sono manufatti, principalmente auto (44%), cellulari, componenti di auto, prodotti
chimici e elettronici, elettrodomestici e medicine. Anche per il Brasile le esporta-
zioni di auto sono la voce maggiore, ma quelle dirette al Messico rappresentano so-
lo l’8% del suo export totale di auto.
Per quanto concerne l’accordo di libero scambio che i due paesi stanno ne-
goziando, molti sono i fattori che ne impediscono la rapida conclusione, a comin-
ciare dal fatto che un tale accordo necessariamente complicherebbe la relazione del
Messico con gli USA, perché il Brasile insiste che questi ultimi aboliscano i loro
sussidi agricoli. Forse sarebbero più facilmente negoziabili alcuni modesti accordi
reciproci, come quello concernente il settore dell’auto.
Nel 2009, mentre gli investimenti messicani in Brasile erano stimati a $3,5
milioni, quelli brasiliani ammontavano a $1,1 miliardi. In un promettente esempio
228
Brasile, America Latina e Caraibi
5.8 CONCLUSIONI
229
Il Brasile e gli altri
brano sempre più interessati“ (Sotero, 2007: 18). In questo modo, il Brasile conver-
te gli investimenti e la forza economica in influenza a livello globale.
D’altra parte, i nuovi processi politici, influenzati dalla crisi del modello neo-
liberale nell’area andina e dall’ascesa al potere di Hugo Chávez in Venezuela, hanno
conferito una dinamica nuova anche all’integrazione. Il Sudamerica, come tutta l’AL,
resta, quindi, profondamente diviso sul concetto di democrazia, sul modello econo-
mico, sulle relazioni con gli USA e su quale atteggiamento prendere rispetto alle
norme internazionali. E benché i governi di Cardoso e Lula abbiano entrambi puntato
alla regione, condizioni sistemiche e interne non hanno permesso di compensare ade-
guatamente i paesi membri più piccoli e costruire le istituzioni, interventi entrambi
indispensabili per creare una salda base regionale (Herz, 2007: 18).
Agostinis (2011) è forse troppo critico, ma se si considerano gli interessi
geopolitici e gli orientamenti strategici della proiezione esterna del Brasile e le sue
priorità di svilppo interno, ne deriva che per un paese che si è trasformato “in un
global trader con interessi economici e finanziari che vanno ben oltre i confini del
Sudamerica ... il raggiungimento della leadership regionale è via via divenuto un
obiettivo strategico meno indispensabile”
La crisi economica globale ha ulteriormente evidenziato l’importanza del
commercio e dell’integrazione economica per la crescita e lo sviluppo dell’emisfero
americano, dove, in effetti, le importazioni stanno agendo come una forza anticicli-
ca. Sembra, quindi, ipotizzabile che, insistendo sull’integrazione economica, il li-
vello di prosperità dovrebbe continuare ad aumentare e la cooperazione a estendersi
ad altre aree, anche se alcuni governi, messi sotto pressione da un crescente rigetto
della globalizzazione da parte dei cittadini, sono tentati di ricorrere a misure prote-
zionistiche. È probabile, quindi, che la situazione attuale porterà a ripensare i mo-
delli di crescita economica, l’inserzione nel sistema globale e i rapporti tra paesi.
Frattanto, il Brasile, spinto dal suo protagonismo, insiste nel presentarsi co-
me l’artefice e il possibile garante della governabilità dello spazio sudamericano e
la stessa Rousseff sembra che continui a porre al centro della politica estera brasi-
liana la sua non facile integrazione. Correttamente Khanna (2009: 212) sostiene che
“le ambizioni geopolitiche dell’America Latina … dipendono quasi per intero dal
Brasile”. Agostinis (2012) invece reputa che “le distanze tra gli interessi del Brasile
e quelli degli altri paesi sudamericani sono aumentate” e che “l’esponenziale cre-
scita delle esportazioni e dei capitali brasiliani nei paesi vicini” stia moltiplicando
“le tensioni commerciali e l’insofferenza per una presenza economica percepita
come predatoria”.
Le relazioni bilaterali tenute dall’amministrazione Lula con Venezuela, Bo-
livia e Argentina svelano come la vera priorità della politica regionale brasiliana sia
stata quella di evitare destabilizzazioni che potessero mettere a rischio lo status quo
e i propri interessi economici nei paesi vicini, adoperando la forza del proprio appa-
rato diplomatico e la “carota” degli investimenti per ricomporre le eventuali fratture
(Agostinis, 2012). Ma mentre i paesi dell’AL sono abbastanza riluttanti a seguire il
Brasile, nessuno di essi al momento può aspirare a quel ruolo globale, che invece
sembra essere alla sua portata.
I politici e gli accademici brasiliani hanno a lungo considerato la leadership
regionale come un trampolino di lancio verso il riconoscimento dell’influenza glo-
bale. Andrés Malamud (2011: 1 e 4) reputa che mentre l’obiettivo strategico di di-
ventare un legittimo leader regionale non è stato ancora raggiunto, procede meglio
il tentativo di diventare una media potenza mondiale, per cui sostiene che, contra-
230
Brasile, America Latina e Caraibi
riamente a quanto pensano molti in AL, guidare una regione non sia una precondi-
zione per diventare potenza globale. Di conseguenza, si sta verificando un crescen-
te divario tra questi due obiettivi della politica estera brasiliana, divario che può es-
sere dovuto al fatto di essere una grande e crescente economia rispetto a piccoli e
lenti vicini, oppure a un calo d’interesse per la regione al crescere delle opportunità
globali. Se si guarda invece alle potenziali conseguenze del divario o il Brasile
mantiene la rotta e cerca di unire e sostenere la regione in modo da parlare al mon-
do con un’unica voce oppure va avanti da solo. Sono sempre più numerosi, però,
quelli che considerano che la politica estera brasiliana sia gradualmente passata
dall’orientamento regionale a quello globale.
APPROFONDIMENTO 4.1.
IL REGIONALISMO ENERGETICO
231
Il Brasile e gli altri
232
Brasile, America Latina e Caraibi
233
Il Brasile e gli altri
31
. Al momento, il Brasile ha solo due centrali elettriche nucleari, ma il settore è destinato a crescere.
La costruzione di una terza centrale è stata approvata dal governo Lula e il ministro di Miniere ed
234
Brasile, America Latina e Caraibi
una volta ristabilita la vita democratica, hanno continuato a sviluppare tecnologie pa-
cifiche dell’energia nucleare e forse un giorno decideranno di emulare il trattato Eura-
tom dell’UE e creeranno una comune autorità atomica. Per ora, Brasile e Argentina
nel 2001 hanno creato l’Agencia Argentino-Brasileña de Aplicaciones de la Energía
Nuclear.
Non va, infine, trascurata l’energia geotermica. Con una possente catena mon-
tuosa che si estende dal Messico alla Terra del Fuoco, l’AL possiede un immenso po-
tenziale geotermico che finora è stato scarsamente utilizzato. Gli unici paesi che han-
no cercato di farlo sono Messico, El Salvador, Nicaragua e il Cile che solo ultima-
mente ha mostrato un qualche interesse. Bisogna, quindi, creare un centro di ricerca
latinoamericano, aperto anche alla partecipazione dei paesi industriali, per sviluppare
questa fonte pulita e rinnovabile d’energia.
Infatti, l’energia appare un tema troppo importante per il futuro economico e
industriale, perché possa essere trattato isolatamente da ciascun paese. È quindi auspi-
cabile che alcune delle reti energetiche si colleghino in modo da comporre una catena
che contribuisca all’integrazione latinoamericana. Per questo, l’UNASUR ha incorpo-
rato il Consejo Energético Suramericano, creato nel 2007, per offrire una chiara visio-
ne geopolitica sulla quale basare la gestione dell’energia, combinando al meglio dota-
zione di risorse e approvvigionamento energetico in modo da facilitare il raggiungi-
mento dell’autosufficienza della regione e la costruzione di una coesione interna che
sia evidente anche agli attori extraregionali. Tra i maggiori ostacoli alla realizzazione
della più promettente area d’’integrazione fisica, ovvero quella energetica, certamente
si trovano il Venezuela di Chávez e la Bolivia di Morales, ma forse ora le cose po-
trebbero cambiare.
L’integrazione energetica resta un obiettivo fondamentale dei governi dell’AL
e una delle aree prioritarie nella costruzione di CASA e nella regione dell’AC, inte-
grazione per la quale allo stato viene sempre più riconosciuto un ruolo centrale, come
dimostrato dalla Declaración de Caracas, ratificata al primo vertice di CASA tenutosi
a Brasília a settembre del 2005.
APPROFONDIMENTO 4.2.
ANTÁRTIDA BRASILEIRA
Energia in carica ha annunciato i piani per l’approvazione di altre quattro centrali. Il ministro ha asse-
rito che espandere il nucleare è l’unico modo per il Brasile di far fronte alla crescente domanda
d’elettricità ed evitare massicce emissioni di carbonio. Considerando che il paese ha 310 mila tonnel-
late di riserve di uranio accertate, le seste al mondo, che potrebbero diventare le seconde o addirittura
le prime quando sarà mappato tutto il territorio nazionale, il governo non intende rinunciare alle op-
portunità derivanti dallo sviluppo di un’industria nazionale dell’arricchimento di questo minerale.
L’alto livello tecnologico già raggiunto, potrebbero fare del Brasile un grande esportatore di materia-
le fissile e di tecnologia.
235
Il Brasile e gli altri
236
5. Brasile e USA
5.1. INTRODUZIONE
Dalla fine della Guerra fredda gli USA, sempre più coinvolti in altre parti del mon-
do, guardano con meno interesse l’AL, anche se scambio commerciale con questa
regione è aumentato passando nell’ultima decade dal 18,9% al 21,6% del commer-
cio totale statunitense, mentre si è drammaticamente ridotto, in percentuale, quello
con le maggiori economie, cioè Messico, Colombia, Venezuela, Brasile e Argentina.
Con il Brasile, con il quale gli USA hanno cercato un partenariato strategico, la quo-
ta del commercio è passata da circa un quarto nel 2002 al solo 12,5% nel 2011.
I paesi dell’ALC sono diventati molto più assertivi, meno arrendevoli e più
determinati a stabilire nuovi tipi di rapporti con i paesi sviluppati, a cominciare dagli
USA, il cui potere di persuasione sta declinando. Nonostante che in termini geogra-
fici i paesi a sud del Rio Grande siano ancora nella sfera d’influenza di Washington,
“la geografia non ne determina più il destino”. La regione commercia con tutto il
mondo, riceve investimenti da un numero crescente di paesi e ha firmato molti ac-
cordi preferenziali anche fuori dell’emisfero. E finalmente, per buona parte degli
anni 2000, l’AL ha goduto un periodo di rapida crescita, bassa inflazione e avanzi
nelle bilance correnti (Blumer-Thomas, 2010: 18). Per questo, decider la strategia da
adottare con gli USA e, per differenti ragioni con la Cina, è questione di primaria
importanza nell’agenda di politica estera del Brasile.
Sotto molti aspetti il Brasile e gli USA sono straordinariamente simili: mul-
tietnici e multirazziali, ricchi di risorse naturali, paesi d’immigranti la cui identità si
è formata in opposizione al mondo di lingua spagnola che si affaccia alle loro fron-
tiere, relativamente giovani democrazie caratterizzate dall’ottimismo che ha prodot-
to una visione “eccezionalista” della loro storia, una storia segnata da un “destino
manifesto”. Malgrado questi tratti comuni, spesso la loro relazione è stata contrasse-
gnata da incomprensioni e malintesi, a dimostrazione che in politica estera espres-
sioni d’amicizia non si traducono sempre e facilmente in azioni coordinate. Inoltre, a
molti brasiliani l’enorme successo statunitense ricorda le proprie sfortune e/o le pro-
prie incapacità, anche se non mancano quelli convinti che il successo statunitense sia
stato ottenuto a spese del Brasile. “Se i brasiliani tendono a essere ossessionati dagli
USA, per gli americani è vero l’opposto” e anche questo non aiuta a migliorare i
rapporti tra i due paesi (Rohter, 2010: 228-30). Frattanto la politica emisferica di
Washington si è ridotta a una semplice politica di vicinato concentrata su Messico,
AC e Caraibi. Non avendo prodotto nessuna importante iniziativa, il partenariato
strategico appare privo di contenuto e nei due paesi tende ad affermarsi, sostiene
Gratius (2012: 10), sempre più una “percezione di mutua indifferenza”.
237
Il Brasile e gli altri
Quando nel 1822 il Brasile si dichiarò indipendente dal Portogallo, gli USA furono i
primi a riconoscere la nuova situazione. Nel XIX secolo e nella prima metà del XX,
i rapporti fra i due si limitarono a quelli che si tenevano nelle sedi multilaterali, co-
me le Conferences of American States (o Pan-American Conferences), ma aumenta-
rono durante la Seconda guerra mondiale quando Vargas concesse temporaneamente
agli USA l’uso di alcuni aeroporti nel Nordeste e nel 1944 inviò truppe a combattere
in Europa sotto il comando americano. L’amministrazione Dutras allineò completa-
mente la propria politica estera a quella statunitense, ma con il ritorno al potere di
Vargas, che accusava Washington di aver contribuito alla sua caduta nel 1945, e a
causa del suo nazionalismo, condiviso sempre più da molti settori anche militari, i
rapporti con gli USA tornarono a raffreddarsi.
Con l’arrivo al potere dei militari la relazione con Washington tornò a rinsal-
darsi e la giunta assunse una serie di posizioni filo-americane sia in politica estera sia
interna, come la rottura dei rapporti con Cuba e con la Cina (1964); l’invio di truppe
per occupare Santo Domingo insieme a quelle statunitensi (1965); l’opposizione alla
creazione, proposta dal Cile, di un’area commerciale latinoamericana che escludeva
gli USA; e il sostegno invece alla creazione di un’“Inter-American Peace Force”, una
forza pan-americana formata da contingenti militari provenienti da tutti i paesi delle
Americhe, per intervenire, agli ordini dell’OAS, in qualsiasi paese della regione per
reprimere eventuali tentativi rivoluzionari di sinistra.
A metà degli anni ’70 il Brasile si rifiutò, però, di firmare il TNP sostenendo
che fosse discriminatorio, in quanto divideva il mondo in due tipi di nazioni e limi-
tava la sovranità brasiliana. Il raffreddamento dei rapporti tra i due paesi divenne
ancora più marcato durante l’amministrazione Geisel. Washington aumentò i dazi
sui manufatti e restrinse l’accesso del Brasile a certe tecnologie e Geisel cominciò a
cercare nuovi partner commerciali.
Salvo un breve periodo dopo la presa del potere da parte dei militari, il Brasile
ha così complessivamente “evitato una ‘relazione speciale’ con gli USA” (Sweig, et
al. 2011: 64-65). Con Cardoso i rapporti tornarono buoni e Washington accolse con
entusiasmo la modifica costituzionale che apriva l’economia brasiliana alla partecipa-
zione internazionale. Di conseguenza, l’amministrazione Bush cominciò a vedere nel
Brasile un partner importante la cui cooperazione poteva tornare molto utile per la ri-
soluzione di problemi regionali e globali. Tra le questioni che preoccupavano entram-
bi, c’erano lotta alla droga e al terrorismo, energia, sicurezza, commercio, ambiente,
diritti umani e HIV/AIDS. Anche con Lula le relazioni tra i due paesi si sono mantenu-
te buone e nel 2007 è stato firmato un accordo per promuovere la produzione e l’uso
dell’etanolo nel mondo. Le loro relazioni, però, “continuano a essere caratterizzate da
un approccio schizofrenico nel quale Lula e i suoi consiglieri non solo assumono posi-
zioni differenti da quelle di Washington, ma spesso adottano toni anti-americani …
mentre professano di essere amici degli USA” (Rohter, 2010: 233).
Nel 2011, in occasione della visita di Obama in Brasile sono stati firmati die-
ci accordi bilaterali relativi a biocarburanti, uso dello spazio, scambi educativi e, più
significativamente, un accordo quadro per la negoziazione di nuovi accordi econo-
mici e commerciali. Altri dieci accordi sono stati firmati durante la visita del Presi-
dente Rousseff a Washington ad aprile 2012.
Dal 2011 sono stati creati, o spinti a un livello superiore, una serie di dialo-
ghi, inclusi quattro presidenziali, come partenariato globale, economia e finanza,
238
Brasile e USA
1
. Organizzando e lavorando con altri paesi sudamericani, Brasília molto abilmente portò avanti la
propria agenda in maniera apparentemente disinteressata.
239
Il Brasile e gli altri
***
2
. Washington sostiene invece ufficialmente l’India che, contrariamente al Brasile, non ha mai rinun-
ciato al suo programma nucleare militare.
240
Brasile e USA
sile non costituiscano una diretta minaccia per gli USA, esse rappresentano
un’emergente sfida a una serie d’interessi statunitensi, per cui Washington deve ri-
considerare il proprio atteggiamento verso un emisfero in rapida mutazione. Forse la
visita ad agosto 2012 del Presidente Rousseff negli USA ha definitivamente convin-
to Washington ad abbandonare un’antiquata visione del Brasile, per un approccio
più realistico e cooperativo.
Le differenze tra i due paesi restano, però, un serio ostacolo per una relazione
strategica. Una situazione che “dipende non solo dai loro conflitti d’interesse, ma
dalla strategia brasiliana di integrazione globale Sud-Sud tramite l’alleanza con la
Cina e l’India” (Gratius, 2012: 11).
241
Il Brasile e gli altri
***
242
Brasile e USA
(Meyer, 2012: 24). Nonostante che il Congresso non sia ancora riuscito a varare la
riforma dei sussidi, il Brasile continua a posporre l’imposizione delle contromisure
autorizzate dall’OMC. Poiché solo a maggio 2013 i comitati del Senato e del Con-
gresso americano dovrebbero iniziare la discussione della legge di sostegno
all’agricoltura (farm bill), anche importanti produttori di cotone temono che la pa-
zienza del Brasile abbia raggiunto il limite e il presidente del National Cotton Coun-
cil Jimmy Dodson ha ammesso che “il 2013 è l’anno critico per la politica agricola”
americana. Indubbiamente se il governo americano decidesse di non volere o di non
potere accettare le sanzioni dell’OMC, il partenariato tra i due paesi si deteriorereb-
be, rendendo sempre più difficile affrontare problemi e questioni che interessano en-
trambi.
Molto intricata è poi la questione del dazio imposto dagli USA
sull’importazione di etanolo, un dazio diretto a escludere principalmente le esporta-
zioni brasiliane di questo prodotto. Alla fine del 2011 questo dazio è scaduto perché
il Congresso americano si è aggiornato senza estenderne la validità. Di conseguenza,
da gennaio 2012 il mercato statunitense è finalmente aperto all’importazione di eta-
nolo dal Brasile, ma in realtà l’industria della canna da zucchero di quest’ultimo po-
trebbe non essere in grado di soddisfare nemmeno la domanda interna, a causa di
una forte riduzione del raccolto, cosa che si era già verificata nel 2011, quando il
Brasile divenne il maggiore importatore di etanolo statunitense, una situazione im-
pensabile qualche anno addietro. È nata così, scrive Sotero (2007: 18) la diplomazia
dell’etanolo e questo partenariato “ha la peculiarità di mettere in risalto un’attività
economica nella quale il Brasile, il partner meno sviluppato, ha più esperienza e tec-
nologia più avanzata”. Ma, il partenariato “ha anche l’obiettivo globale più ambizio-
so di trasformare l’etanolo in commodity ... Per questo, il primato dell’industria bra-
siliana dell’etanolo rende la cooperazione con gli USA un’interessante opportunità
geopolitica di proiezione della leadership brasiliana su scala regionale e mondiale”.
Infine, periodicamente al centro di acerbi contrasti tra i due paesi son stati i
DPI, anche se “oggi la legislazione brasiliana relativa a brevetti, copyright e marchi
di fabbrica è in linea con quelle di altre grandi nazioni” (TE, 03.11.2012). Di parti-
colare preoccupazione per gli USA sono state le minacce brasiliane di concedere li-
cenze obbligatorie per prodotti farmaceutici brevettati3. Avendo istituito uno dei più
3
. Il Trade and Tariff Act statunitense del 1984 legava la protezione dei DPI agli scambi commerciali
con possibile ricorso all’azione legale – secondo la Sezione 301 – e stabiliva il mantenimento o
l’estensione dei benefici del Sistema generalizzato delle preferenze in caso di mancata protezione di
tali diritti. Il Trade Act del 1988 conteneva l’intenzione di Washington di creare un nuovo regime in-
ternazionale in ambito GATT che potesse severamente sanzionare i paesi che non rispettavano le re-
gole stabilite. Il Brasile era il caso più emblematico, in quanto non proteggeva i brevetti farmaceutici
né di prodotto né di processo. Il Presidente Sarney si mostrò disposto ad adottare i brevetti per pro-
cessi ma gli USA non furono soddisfatti e nel 1988 applicarono al Brasile alcune sanzioni commer-
ciali, il quale però ottenne il sostegno dell’UE e dalla comunità internazionale. L’insistenza statuni-
tense per la creazione dei TRIPS costrinse il Brasile ad adottare leggi più flessibili relative ai DPI e
ad ammorbidire la propria posizione nei negoziati in ambito Uruguay Round. Frattanto, si moltipli-
carono le pressioni di Washington perché il Brasile eliminasse completamente le restrizioni alle im-
portazioni di computer e relativi prodotti, restrizioni che molti in Brasile difendevano nel tentativo di
ridurre la dipendenza del paese tramite l’autonomia tecnologica. Non meno combattuta fu la contro-
versia per una maggiore protezione del software importato e alla fine del 1986 il Brasile adottò una
legge per soddisfare le richieste statunitensi. Chiaramente, puntualizzano Vigevani e Cepaluni (2009:
21-32) nel mezzo di una grave crisi economica, fu difficile al governo brasiliano resistere alle pres-
santi richieste di Washington. “La strategia orientata dalla logica dell’autonomia tramite distanza
aveva cominciato a cedere il passo a quella dell’autonomia tramite partecipazione”.
243
Il Brasile e gli altri
riusciti programmi al mondo per contrastare HIV/AIDS, il Brasile dal 1996 ha con-
cesso ai suoi cittadini un universale libero accesso alla terapia antiretrovirale (ART)
e nel 2001 ha deciso di sviluppare medicine ART generiche tramite emissione di li-
cenze obbligatorie, diritto riconosciuto dalla sua legge sui brevetti, per cui il costo
del trattamento si riduce dell’80%. Gli USA hanno fatto ricorso all’OMC, richiesta
poi ritirata, sostenendo che così facendo il Brasile violava l’accordo Trade-Related
Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS). In effetti, mentre per l’industria
farmaceutica il TRIPS è uno strumento essenziale per difendere i DPI, per i PVS
quell’accordo rende ancor più difficile migliorare la salute della popolazione e com-
battere le emergenze sanitarie a costi abbordabili. Alla riunione dei ministri degli
esteri d’India, Brasile e Sudafrica riuniti a Brasília nel giugno 20034 fu approvata la
Dichiarazione di Brasília relativa a varie questioni, compresa quella dei brevetti
farmaceutici, che convinse l’OMC a sospender temporaneamente parte dei TRIPS
per permettere l’esportazione di generici a paesi minacciati da gravi emergenze sani-
tarie, come HIV/AIDS, tubercolosi e malaria. Nel 2005 la sospensione divenne per-
manente e da allora, in varie occasioni, il Brasile ha emesso, o minacciato di emette-
re, licenze obbligatorie relative a medicine brevettate risparmiando così, secondo il
ministero della Salute, più di $1,1 miliardi tra il 2001 e il 2005.
Malgrado persistano significativi livelli di pirateria e contraffazione, il go-
verno americano ha riconosciuto che negli ultimi anni il Brasile ha migliorato la pro-
tezione dei DPI5 e a marzo del 2011 i due paesi hanno raggiunto un Agreement on
Trade and Economic Cooperation proprio su questi diritti.
***
Gli USA sono i maggiori investitori nell’ALC e i primi in Brasile dove, secondo dati
del BCB, alla fine del 2010 gli IDE statunitensi raggiungevano $105 miliardi, contro
gli $8 miliardi della Cina, che era superata anche da Canada e Messico (Frachette e
Samolis, 2012: 21). Tuttavia la quota di questi IDE sul PIL brasiliano è venuta di-
minuendo e manca un trattato bilaterale sulla tassazione.
Durante la visita di Obama in Brasile a marzo 2011 si è dato l’avvio alla Joint
Initiative on Urban Sustainability (JIUS), come stabilito con l’Environmental Pro-
tection Agency degli USA, un’iniziativa che dovrebbe identificare e sostenere gli
investimenti infrastrutturali in specifici settori.
***
Circa 150 mila cittadini americani – il gruppo maggiore dopo quello degli argentini
– visitano annualmente il Brasile, mentre nel solo 2011 1,5 milioni di brasiliani si
sono recati negli USA, spendendo quasi $7 miliardi, un flusso che negli ultimi anni
4
. Fu da questa riunione che nacque l’IBSA – vedi 2.4.
5
. Forse vale la pena ricordare casi anteriori di pirateria commessi a danno del Brasile, come quello
portato a termine dal botanico inglese Alexander Wicklam che nel 1876 imbarcò clandestinamente su
una nave diretta all’Inghilterra semi di seringueira (Hevea brasiliensis), una pianta da cui si estrae il
caucciù per la produzione della gomma. Dall’Inghilterra i semi furono inviati rapidamente nelle co-
lonie britanniche del sud-est asiatico, dove vennero create delle grosse piantagioni che all’inizio del
XX secolo riversarono sul mercato crescenti quantità di questo prodotto a prezzi più bassi, ponendo
così fine all’“economia della gomma” brasiliana, la cui produzione nel 1926 si ridusse al 5% di quel-
la mondiale (Giappichini, 2011: 115-16).
244
Brasile e USA
***
245
Il Brasile e gli altri
Nel 1947, due anni prima della creazione della NATO, fu firmato a Rio de Janeiro il
TIAR che garantiva a ogni paese dell’emisfero l’assistenza di tutti gli altri paesi in
caso di aggressione da parte dell’URSS6. Con l’aggravarsi delle tensioni dovute alla
Guerra fredda, Washington concesse crediti e assistenza finanziaria ai paesi dell’AL,
anche tramite l’Alleanza per il Progresso, in cambio dell’impegno a sostenere la si-
curezza internazionale e della subordinazione politica (Carmagnani, 2003: 326). La
fine della Guerra fredda ha ridotto l’interesse statunitense per l’AL con la quale ora
Washington punta essenzialmente a sviluppare scambi commerciali e tecnologici.
Ad aprile 2010 il Brasile ha firmato con Washington un importante Defence
Coperation Agreement, il primo accordo di questo tipo tra i due paesi dal 1977, un
“accordo ombrello” per facilitare maggiore cooperazione in ricerca e sviluppo, ap-
poggio logistico, sicurezza tecnologica e acquisizione di armamenti e servizi, scam-
bio d’informazioni ed esperienze acquisite in missioni di peacekeeping e
nell’utilizzo di sistemi d’arma, esercitazioni e addestramenti militari congiunti.
Infine, gli USA sono interessati a cooperare con il Brasile per garantire la si-
curezza dei suoi pozzi petroliferi in alto mare, mentre sembra che Brasília preferisca
rafforzare il proprio apparato militare per proteggere questa nuova ricchezza.
***
Per quanto concerne l’energia, i due paesi hanno aperto su questo tema un Dialogo
strategico per affrontare una vasta serie di questioni, quali lo sfruttamento sicuro e
sostenibile delle risorse brasiliane sottomarine di energia fossile e la cooperazione
per il biocarburante e l’energia nucleare civile.
Il Brasile considera il riscaldamento globale come un’opportunità per sfrutta-
re il proprio vantaggio comparato esportando etanolo e proteggendo, allo stesso
tempo, la foresta amazzonica. Ma è proprio l’espansione della produzione di etanolo
nell’Amazzonia che preoccupa gli ambientalisti americani a causa dei danni che può
procurare alla foresta pluviale, per cui è cresciuta la resistenza a eliminare i dazi sul-
le importazioni di etanolo.
6
. Benché nate nello stesso periodo e nello stesso contesto della Guerra fredda, queste due istituzioni
produssero risultati totalmente distinti: mentre la NATO esercitò un notevole impulso alla crescita
economica e alla creazione del welfare state europeo, il TIAR non ebbe nessuno di questi effetti,
principalmente a causa del profondo sentimento anti-americano molto diffuso in AL.
246
Brasile e USA
7
. L’accordo non rendeva più trasparenti le segrete attività nucleari dell’Iran né eliminava il fallimen-
to della cooperazione con l’IAEA e la mancata interruzione dell’arricchimento nonostante tutte le
pressioni internazionali, ma era pur sempre una misura di trust-building diretta a facilitare la discus-
sione per la ricerca di una soluzione pacifica e cooperativa.
8
. La situazione divenne tesa quando nell’aprile 2004 il governo brasiliano concesse all’IAEA solo un
accesso limitato alla nuova area per l’arricchimento dell’uranio costruita a Resende.
247
Il Brasile e gli altri
***
9
. Al vertice delle Americhe a Mar del Plata (novembre 2005) le relazione tra gli USA e l’AL hanno
raggiunto il loro punto più basso dalla fine della Guerra fredda, perché Washington è meno interessa-
to all’AL e questa è economicamente meno dipendente dagli USA (Aparicio-Otero, 2012: 99).
248
Brasile e USA
l’anno seguente, subito dopo le nuove sanzioni imposte all’Iran dall’ONU, quando il
Brasile propose, con la Turchia, un accordo trilaterale – vedi 5.4. – per salvare il piano
nucleare iraniano, un’iniziativa che contraddiceva direttamente l’obiettivo strategico
statunitense, e israeliano, di frenare le ambizioni nucleari iraniane.
Inoltre, l’insistenza brasiliana, condivisa da tutti gli altri paesi membri, salvo
USA e Canada, sulla partecipazione di Cuba al SOA ha contribuito al fallimento
dell’ultimo vertice tenutosi a Cartagena (Colombia, il 12-14 aprile 2012). Infine,
quando la divisione dei diritti umani dell’OAS decise di bloccare la costruzione di
una centrale elettrica perché la comunità indigena interessata non era stata consulta-
ta, il Brasile ritirò il suo ambasciatore dall’OAS e minacciò di non pagare la quota
dovuta. Naturalmente, gli USA sono sempre più convinti che il Brasile, per afferma-
re la propria autonomia, abbia deciso di minare la tradizionale capacità di Washing-
ton di fissare l’agenda emisferica tramite l’OAS. Infatti, lo scontro sulla questione di
Cuba è solo un sintomo di un più importante fenomeno rappresentato dalla nuova
dinamica del potere che anima il continente e sta usurando l’influenza che su di esso
ha a lungo esercitato l’OAS.
Difficoltà e differenze esistono anche per la cooperazione dei due paesi a li-
vello globale e se le loro politiche su non proliferazione, controterrorismo, sicurezza
nucleare, democrazia, diritti umani e stato di diritto hanno molto in comune, le diffe-
renze emergono quando si considera la realizzazione di questi obiettivi nel mondo,
come dimostrato dal caso libico e siriano. Brasília ha votato a favore del rinvio di
Gheddafi alla Corte criminale internazionale, ma si è astenuta sull’autorizzazione
all’uso della forza per proteggere i civili e ha proposto invece il principio della re-
sponsability while protecting – vedi 3.3. –, una continuazione della politica di non
interferenza seguita da Lula che si oppone a sanzioni e a interventi militari e mostra
una certa resistenza a sostenere risoluzioni preparate dalle potenze occidentali. Nel
periodo 2010-11 durante il quale ha avuto un seggio temporaneo nel CS dell’ONU,
il Brasile ha sostenuto, ricorda Meyer (2013: 15), l’opportunità di ampliare i contatti
con paesi isolati, come Iran, Libia e Siria, invece di ricorrere a sanzioni che spesso
sfociano in conflitti armati.
Tutto ciò dimostra quanto complessa sia l’interdipendenza tra Brasile e USA
e perché il primo può “stringere alleanze con diverse potenze emergenti, ma non può
prescindere dagli Stati Uniti né per creare nuovi equilibri di potere né per rafforzare
la propria leadership regionale” (Gefter, 2011: 71).
***
Le connessioni più ricche e profonde tra il Brasile e gli USA non sono necessariamen-
te quelle che hanno luogo nei loro diretti rapporti bilaterali tra governi, ma quelle che
coinvolgono altri paesi, collaborazioni subnazionali e partenariati con privati. Alcune
delle più promettenti collaborazioni tra questi due paesi avvengono fuori dei loro con-
fini, come la lotta alla droga, o perseguono obiettivi sanitari e di sviluppo e promuo-
vono decenti condizioni di lavoro e cooperazione per i biocarburanti. Ed è proprio “la
crescita di queste interazioni di secondo o terzo livello che offre un’opportunità per
costruire fiducia e dimostrare la comunità d’interessi delle due società e, simultanea-
mente, gettare le basi per maggiori rapporti strutturati bilaterali che si avvantaggino
della fiducia e partenariato già esistenti”(Sweig et al., 2011: 69).
Per la lotta alla droga è interessante il caso della Bolivia. Il Brasile che, a fine
2008, aveva firmato un accordo per aiutare questo paese a combattere il narcotraffi-
249
Il Brasile e gli altri
co, ora è disposto ad accettare la collaborazione USA, perché un’azione trilaterale può
risultare più efficace. Brasile e USA cooperano su problemi sanitari e di sviluppo in
America Centrale e nei Caraibi, nell’Africa lusitana, dove hanno raggiunto un accordo
trilaterale di cooperazione e assistenza tecnica con il Mozambico, così come stanno
cooperando strettamente in Haiti. Il MOU del 2007 includeva lo sviluppo di program-
mi di assistenza per la diffusione dell’utilizzo di biocarburanti nell’emisfero nei quali
finora sono stati coinvolti principalmente i paesi dell’AC e dei Caraibi.
***
10
. Il “Trans-Pacific Strategic Economic Partnership Agreement” è un accordo di libero scambio mul-
tilaterale sottoscritto nel 2005 da Brunei, Cile, Nuova Zelanda e Singapore, accordo che mira a
un’ulteriore liberalizzazione economica della regione dell’Asia-Pacifico. Dal 2007 altri paesi stanno
negoziando l’accesso al TPP.
250
Brasile e USA
251
6. Brasile ed Europa
6.1. INTRODUZIONE
252
Brasile ed Europa
6.2. BRASILE E UE
1
. Nel 1975, alla CECLA si sostituì il Sistema Econômico Latino-Americano (SELA).
253
Il Brasile e gli altri
La politica regionale seguita dal Brasile influenza le relazioni con l’UE, che
verranno condizionate dalle scelte che il paese farà. Se deciderà di promuovere nel
lungo periodo l’integrazione con i suoi vicini, il legame con l’UE dovrà svilupparsi
necessariamente in un quadro multilaterale. Se invece, considerate le difficoltà che
incontra l’integrazione sudamericana, il Brasile preferirà procedere da solo, il lega-
me da stabilire sarà bilaterale. Secondo Gratius (2009: 49), al momento il Brasile sta
scommettendo su entrambe le opzioni. Altra scelta difficile è quella tra sviluppo e
commercio. Il governo Lula, da un lato mise sviluppo, autonomia e cooperazione
Sud-Sud2 al centro della sua politica estera, dall’altro bloccò l’accordo nel Doha
Round dal quale avrebbero tratto vantaggio molti suoi impresari e la maggioranza
dei PVS.
***
2
. I motivi alla base di questa cooperazione sono così identificati da Marco Antonio Vieira e Chris
Alden (2012): (i) l’importanza attribuita a sovranità e non-intervento; (ii) la mancanza di
un’aggiornata governance globale e, quindi, la necessità di riformare le istituzioni internazionali; (iii)
la sostituzione del consenso di Washington con quello di Beijing, la cui influenza sta crescendo tra i
BRICS e in Africa; (iv) la resistenza al richiamo dei valori occidentali e,di conseguenza, quindi,
l’opposizione ai diritti umani universali – punto questo che il Brasile non condivide; e, infine (v) la
cooperazione Sud-Sud che deve essere accompagnata dallo sviluppo di legami economici.
3
. I vertici – che hanno luogo annualmente e sono stati cinque finora, l’ultimo a Bruxelles il 4 ottobre
2011 – si concentrano sulle sfide globali più rilevanti, come il cambiamento climatico, la crisi finan-
ziaria internazionale, oppure sull’analisi delle rispettive situazioni regionali.
4
. Il secondo paese latinoamericano che ha avuto lo stesso trattamento è stato il Messico che, a diffe-
renza del Brasile, ha già firmato un accordo di libero scambio con l’UE. Inoltre, l’UE definisce il
partenariato strategico col Brasile come complementare alle relazioni UE-MERCOSUR. Il ragiona-
mento dell’UE circa la complementarietà dell’approccio biregionale con il MERCOSUR e di quello
bilaterale con il Brasile sembra basarsi sull’ipotesi che il Brasile rappresenti una potenza regionale
nel blocco (Hoffmann, 2009: 55 e 58).
254
Brasile ed Europa
255
Il Brasile e gli altri
“Per tropo tempo, la relazione bilaterale Brasile-UE è stata di basso profilo, quasi
negletta da entrambi e in contrasto con il gran peso economico che il Brasile occupa
nei rapporti euro-latinoamericani e come destinatario di IDE europei. Naturalmente,
l’UE è molto importante per il Brasile, perché rappresenta il suo principale mercato
agricolo, riceve un quinto delle sue esportazioni, è il suo maggiore investitore e uno
dei primi soci per proteggere i boschi tropicali” (Gratius, 2009: 46).
L’accordo di terza generazione del 1992 (entrato in vigore nel 1995) ha com-
portato un approfondimento delle relazioni industriali e finanziarie e un maggior
grado di cooperazione politica e scientifica, oltre alla promozione del settore com-
256
Brasile ed Europa
5
. Per diffondere la conoscenza dell’Europa, l’UE finanzia gli scambi accademici e ha creato in Bra-
sile un Instituto de Estudios Europeos.
6
. Nel 2009 la tariffa media consolidata del Brasile è stata 31,4%, quella media applicata 13,6% e
quella media ponderata 8,8%.
257
Il Brasile e gli altri
Nel 2005 l’UE e il Brasile hanno concluso un accordo tematico per aumentare la
cooperazione nel campo della scienza e della tecnologia. Anche l’Euratom e il Bra-
sile hanno firmato nel novembre 2009 un Accordo di cooperazione nella ricerca
sull’energia da fusione. I risultati ottenuti dal Brasile col settimo EU Research and
Development Framework Programme sono estremamente positivi: sono state ricevu-
te 855 proposte con 1231 partecipanti brasiliani, 186 delle quali, con 266 candidati
brasiliani, sono state finanziate con contributi dell’UE per €24 milioni. Sono state
concesse, inoltre, borse di studio a 119 brasiliani. Le principali aree di ricerca nelle
quali partecipano gruppi di ricercatori brasiliani sono trasporti, alimenti e biotecno-
logie, Information and Communication Technology (ICT), energia e ambiente, più
biocarburanti e nuovi approcci terapeutici. Da notare che molti paesi europei hanno
generosamente contribuito al Fondo Amazonia creato nel 2008 dal governo brasilia-
7
. Naturalmente, il Brasile chiede la riduzione di questi dazi, ma nell’UE molti si interrogano sugli
effetti negativi della produzione di questo biocarburante, produzione che non sarebbe così sostenibile
come sostiene il Brasile, ma comporterebbe una notevole deforestazione.
258
Brasile ed Europa
6.3. UE e MERCOSUR
L’UE aprì subito il dialogo con il MERCOUR e nel 1991 i ministri degli Esteri dei
paesi membri di questa nuova entità furono ricevuti dalla Commissione europea.
L’anno seguente fu firmato l’Acuerdo de Cooperación Interinstitucional, con il qua-
le, nella prospettiva del “corregionalismo”, l’UE s’impegnava a fornire sostegno
tecnico e istituzionale al processo d’integrazione. Alla fine del 1995, venne firmato
l’Acuerdo Marco Interregional de Cooperación (AMIC) con il MERCOSUR, desti-
nato a preparare un’associazione strategica tra le due regioni intensificare la coope-
razione politica ed economica, liberalizzando progressivamente tutti i reciproci
scambi commerciali e promovendo gli investimenti. Nel 1999, con il vertice dei Ca-
pi di Stato e di Governo UE-MERCOSR – un altro strumento con il quale il Brasile
sperava di ritardare o abortire i negoziati in corso per la creazione di quell’ALCA
voluta principalmente dagli USA – iniziarono i negoziati tra i due blocchi per un
Accordo di associazione (AA) UE-MERCOSUR che si basava su tre aree di comune
interesse: dialogo politico, cooperazione e commercio. Mentre per le prime due aree
i negoziati si stavano concludendo rapidamente, quelli per il libero scambio stenta-
vano a procedere, bloccati dal problema dei sussidi all’agricoltura europea e dalla
resistenza dei paesi del MERCOSUR a concedere un migliore accesso ai prodotti
industriali, ai servizi e agli acquisti pubblici; maggiore protezione di brevetti, inve-
stimenti esteri, indicazioni geografiche dei prodotti agricoli, aspetti sanitari e fitosa-
nitari; riduzione delle barriere tecniche al commercio; e, infine, promozione dello
sviluppo sostenibile. A settembre del 2002 la Commissione europea adottò un pro-
gramma regionale di sostegno al MERCOSUR del valore di €48 milioni, destinati al
consolidamento del mercato interno e appoggio alla società civile. Due anni dopo,,
al terzo vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE e dell’ALC tenuto a Guadala-
jara a maggio 2004. i negoziati si arenarono e i negoziati furono sospesi.
Frattanto, nel 2006 fu costituita un’Asamblea Parlamentaria Euro-
Latinoamericana (EUROLAT) alla quale nel 2009 si sommarono parlamentari del
MERCOSUR. Nello stesso anno, per la prima volta, un Presidente della Commis-
259
Il Brasile e gli altri
sione, José Manuel Barroso, visitò il Brasile e l’anno seguente, al primo vertice UE-
Brasile a Lisbona, la relazione UE-Brazil fu consolidata dall’offerta dell’UE di un
partenariato strategico al Brasile. Nel 2010 il vertice a Rio de Janeiro adottò un Joint
Action Plan quinquennale che fissava nuove aree di cooperazione e proponeva
scambi più intensi tra attori non governativi. Bisognò, però, attendere il vertice UE-
ALC del 2008 perché fosse presa la decisione di riaprire i negoziati per concludere
accordi regionali d’associazione e il vertice UE-MERCOSUR del maggio 2010 per-
ché venissero rilanciati quei negoziati che dal 2004 erano paralizzati. Dopo vari ten-
tativi di rivitalizzare i negoziati, sostenuti anche dal vertice UE-Brasile del 2007 e
dal secondo EU-Brazil Joint Action Plan per il periodo 2012-14, la necessità di
completare l’AA UE-MERCOSUR è stata discussa al vertice UE-LAC tenutosi a
Madrid a maggio 2010 e i negoziati sono ripresi a marzo del 2012. Oltre ai vecchi
ostacoli, sono però emersi altri problemi che complicano i rapporti tra i due blocchi:
la sospensione del Paraguay dal MERCOSUR8 – dovuta all’impeachment a luglio
2012 del suo Presidente Fernando Lugo; l’ingresso ufficiale del Venezuela in
quest’organismo; le presunte misure protezioniste introdotte da alcuni dei paesi
membri, come le controverse restrizioni imposte dall’Argentina e la nazionalizza-
zione della sussidiaria argentina dell’impresa petrolifera spagnola della Repsol YPF
– la Spagna essendo il maggiore investitore estero in Argentina. Motivi sufficienti
perché il negoziato appena riaperto stenti a decollare.
Nel 2012 l’UE ha importato merci per €49,2 miliardi dal MERCOSUR al
quale ha esportato per €50,3 miliardi. Entrambi i flussi non sono stati superiori al
3% di quelli totali dell’UE che dal MERCOSUR importa principalmente prodotti
agricoli e per i quali rappresenta il maggiore mercato di sbocco. Lo squilibrio setto-
riale e la politica agricola comune dell’UE continuano a costituire insormontabili
ostacoli alla creazione di un accordo di associazione tra i due blocchi e a mantenere
fermo il Doha Round.
Per il MERCOSUR l’UE è il maggiore mercato per le esportazioni agricole,
che nel 2009 hanno costituito il 20% di tutti i prodotti agricoli importati, e il mag-
giore fornitore di assistenza. Con il Programma regionale 2007-2013, l’UE assiste il
MERCOSUR con sostanziali finanziamenti di progetti mirati a rafforzare le istitu-
zioni, preparare l’attuazione dell’accordo di associazione e promuovere la partecipa-
zione della società civile nel processo d’integrazione.
Gli ostacoli che continuano a rendere difficile il negoziato dell’accordo di as-
sociazione (AA) UE-MERCOSUR sono vari e non facilmente superabili: molti pae-
si europei temono il potenziale impatto negativo di un accordo commerciale con il
MERCOSUR sulle proprie produzioni; la maggior parte di quelli dell’Est non ha al-
cun interesse politico nell’area. In AL, d’altra parte, si sta indebolendo l’interesse
per il libero scambio mentre cresce il ricorso al protezionismo, poiché i paesi del
MERCOSUR temono sempre più l’impatto negativo della crisi economica globale e
la deindustrializzazione delle proprie economie, perché l’accordo commerciale con
l’UE potrebbe favorire le esportazioni dei manufatti europei. Infine, è probabile che
il partenariato UE-Brasile abbia peggiorato il clima tra i membri del MERCOSUR
minando così gli effetti dello stesso processo d’integrazione regionale e abbia creato
8
. Dato che un nuovo Presidente è stato eletto ad aprile 2013, il Paraguay dovrebbe essere riammesso
a pieno titolo nel MERCOSUR.
260
Brasile ed Europa
un’immagine della politica estera dell’UE simile a quella degli USA, ovvero basata
su accordi bilaterali e non più interessata a sostenere l’integrazione regionale.
La crescente proiezione globale del Brasile ne condiziona molto il ruolo tanto
in AL che rispetto all’UE, poiché “la relazione con entrambe oscilla tra le opzioni
unilaterale, bilaterale e multilaterale. Allo stesso tempo, la dimensione della sua po-
litica estera è strettamente vincolata, dato che il suo comportamento in Sudamerica
condiziona la relazione con l’UE, come quella con l’UE condiziona la sua posizione
regionale”. Le relazioni tra Brasile e UE si svolgono a tre livelli: bilaterale, interre-
gionale e multilaterale. “Nell’asse bilaterale, il Brasile è socio privilegiato dell’UE
che dal 2007 lo considera ‘socio strategico’; sul piano interregionale è il principale
negoziatore di un accordo d’associazione con il MERCOSUR; e nel campo multila-
terale, è uno dei protagonisti del G20 e del Doha Round dell’OMC”. Sfortunatamen-
te, la tridimensionalità delle relazioni contrasta con gli scarsi risultati finora ottenuti
(Gratius, 2009: 41-43).
Il Brasile ha concluso accordi bilaterali con vari paesi europei, membri e non
dell’UE.
Con la Francia ha accordi di natura militare – navi, sommergibile e aerei – e
converge sui temi del clima e dell’ambiente. Per quanto concerne la cooperazione
culturale, scientifica e tecnologica il Brasile è il maggiore partner della Francia in
AL e perciò gli importanti trasferimenti tecnologici francesi stanno contribuendo a
farne una potenza mondiale nei settori militare, spaziale ed energetico. Nel 2008 i
due paesi hanno stretto un partenariato strategico. Il valore dei loro scambi commer-
ciali nel 2009 è stato pari a $6,5 miliardi, con un saldo negativo di $0,7 miliardi per
il Brasile.
***
I rapporti commerciali, economici e culturali del Brasile con la Spagna sono attual-
mente buoni e importanti sono gli investimenti spagnoli in molti settori del paese,
tanto che nel 2000 la Spagna è diventato il maggiore investitore, partecipando atti-
vamente al programma di privatizzazioni. Nel 2010 il Brasile ha esportato alla Spa-
gna merci per €3,0 miliardi e importato per €1,3 miliardi.
Recentemente sono sorti problemi relativi ai movimenti di persone tra i due
paesi9 e l’accordo bilaterale di associazione strategica firmato nel 2003 è risultato
9
. Più di 15 milioni di brasiliani discendono direttamente da spagnoli. La colonia spagnola in Brasile
conta circa 80 mila persone e quella brasiliana in Spagna circa 15 mila. Particolarmente interessante
è che Jesús Gracia, sottosegretario alla Cooperazione e per l’Iberoamerica nel governo Rajoy, ha
chiesto di “rendere più facile l’emigrazione dei giovani spagnoli nell’Iberoamerica”, perché “di fron-
te alla crisi spagnola, molti ibero-americani stanno tornando ai loro paesi, con alcune capacità che
prima non avevano, accompagnati da giovani spagnoli con buona formazione che cercano un'oppor-
tunità di impiego … C’è un deficit di tecnici specializzati in paesi come Colombia, Perù o Brasile
dove possono essere i benvenuti” (Stefanini, 2012).
261
Il Brasile e gli altri
***
Fino a tempi molto recenti, il passato coloniale e le restanti affinità culturali tra Bra-
sile e Portogallo non sono stati sufficienti a promuovere i loro rapporti commerciali,
lo scambio è restato modesto e concentrato su prodotti a bassa densità tecnologica e
di scarso valore aggiunto, come alimentari e petrolio grezzo. Negli ultimi anni la si-
tuazione è cambiata, tanto che a gennaio 2011 l’interscambio è aumentato del 223%
rispetto allo stesso periodo del 2010, per un totale di quasi $270 milioni. L’aumento
è dovuto principalmente alla crescita delle esportazioni brasiliane, aumentate del
328%, pari a quasi $220 milioni, mentre le esportazioni portoghesi sono aumentate
del 59%, pari a $50 milioni. Per l’intero anno 2010 l’interscambio ha raggiunto $2,1
miliardi, contro $1,7 dell’anno precedente. Anche gli investimenti portoghesi in
Brasile, fino all’inizio degli anni ’90 ampiamente superati da quelli brasiliani in Por-
togallo, sono poi cresciuti notevolmente, così come sono cresciuti i rapporti com-
merciali. È stata la privatizzazione delle imprese di stato brasiliane ad attrarre gli
investimenti portoghesi, mentre il Brasile aumentava la propria presenza nell’Africa
lusofona e non, tramite le missioni di peacekeeping e gli interventi dell’Agencia
Brasileña de Cooperación (ABC) per combattere l’HIV/AIDS e addestrare il perso-
nale sanitario.
***
10
. I rapporti tra il Brasile e la Spagna come stati sovrani cominciarono a svilupparsi dopo che il pri-
mo ottenne l’indipendenza, ma il suo riconoscimento ufficiale avvenne solo nel 1834 quando il Bra-
sile divenne un impero.
262
Brasile ed Europa
ca. Le imprese inglesi sono partner importanti nel settore brasiliano del petrolio e
del gas nel quale la Shell è attualmente il maggiore produttore straniero.
6.4.1. RUSSIA
I legami del Brasile con la Russia – i primi rapporti rimontano al 1828 – sono stati
sempre scarsi e raramente sono andati oltre modesti scambi commerciali, Solo negli
anni ’70 il governo brasiliano mostrò un qualche interesse per l’Unione Sovietica,
anche se il Partito comunista restava illegale. Si arrivò così al primo accordo di coo-
perazione tra i due paesi e il Brasile cominciò a importare petrolio russo. Nel 1976 i
loro scambi si aggirarono sui $450 milioni, di molto inferiore a quelli tra Russia e
Argentina.
Gli accordi di cooperazione economica firmati nel 1997 furono il frutto della
convinzione del Presidente Cardoso che il Brasile dovesse diversificare i propri rap-
porti per meglio affrontare l’incerto scenario causato dalla fine della Guerra fredda e
dalla rapida globalizzazione. Allo stesso tempo la Russia, che aveva intrapreso uno
storico processo di liberalizzazione, era ansiosa di ampliare i propri rapporti econo-
mici. Il livello delle relazioni bilaterali fu elevato a “collaborazione strategica” con il
primo Trattato per la Cooperazione Russo-Brasiliana firmato nel 1997 e gradual-
mente la cooperazione si è ampliata fino a diventare multilaterale. Nel 2001 fu con-
clusa una serie di trattati bilaterali di lungo periodo che crearono un partenariato
strategico e l’istituzione della Commissione governativa russo-brasiliana.
Con l’arrivo del Presidente Lula le relazioni tra Russia e Brasile migliorarono
ulteriormente. A settembre del 2003 fu firmato un importante patto per il trasferi-
mento di tecnologia spaziale e missilistica difensiva e per gli armamenti e verso la
fine del 2005 una “alleanza strategica” e l’accordo che permise all’Agenzia spaziale
brasiliana di mettere un suo astronauta su un razzo Soyuz russo. A giugno del 2010,
i due paesi hanno eliminato i visti, cosa che forse non farà crescere di molto i viaggi
d’affari e il turismo, ma poiché questo trattamento è riservato a pochi paesi fuori del
ex blocco sovietico, esso dimostra la chiara volontà di entrambi i governi di miglio-
rare i reciproci rapporti. Importante è la loro crescente collaborazione per produrre
rettori e migliorare la tecnologia per l’esplorazione dell’uranio, perché in questo
modo la Russia potrebbe aiutare il Brasile a sviluppare la propria industria
dell’uranio, di cui possiede depositi che per dimensione sono tra i maggiori al mon-
do. Inoltre, promettenti aree per la cooperazione bilaterale sono costruzione d’aerei e
trasporto aereonautico, energia, tecnologia satellitare, infrastrutture e medicina. Frat-
tanto, gli scambi commerciali sono aumentati e nel 2008 le esportazioni russe al
Brasile hanno raggiunto $2 miliardi, contro importazioni pari a $4,7 miliardi .
L’eccellente stato delle relazioni politiche russo-brasiliane è dimostrato
dall’appoggio di Mosca alla richiesta brasiliana di un seggio permanente al CS, ma
non è chiaro cosa i due paesi possano fare insieme, anche se sotto certi aspetti sem-
brano simili. Le prospettive russe di lungo periodo sono abbastanza desolanti, per-
ché il paese non è capace d’innovare e diversificarsi. La sua quasi completa dipen-
denza dal petrolio e dal gas pone la Russia alla mercé dei prezzi globali di queste
materie prime, mentre il declino demografico rende perfino difficile popolare il pro-
prio Lontano oriente. Il Brasile non ha un grande esercito e armi nucleari, ma le sue
istituzioni democratiche sono abbastanza solide, l’economia è in crescita, la popola-
zione giovane e la società civile sviluppata e aperta.
263
Il Brasile e gli altri
Infine, i due paesi non sono ugualmente interessati alle più importanti sfide
globali, come cambiamento climatico, non-proliferazione nucleare, povertà e demo-
cratizzazione, sulle quali hanno idee e interessi differenti. Mentre in Russia il pro-
blema climatico è scarsamente sentito, in Brasile è percepito come una questione
urgente da affrontare pragmaticamente. Per la proliferazione, invece, non è la Rus-
sia, ma il Brasile a essere poco disposto ad accettare un più stretto monitoraggio da
parte dell’IAEA. Nel campo della diplomazia degli aiuti allo sviluppo, il Brasile so-
lo ora sta diventando un “emerging donor”11, mentre la lotta alla povertà nel mondo
non è certo una priorità per Mosca. Infine, nonostante la sua retorica, la Russia non è
disposta a sostenere attivamente una riforma della governance globale, il che è ab-
bastanza comprensibile dato che possiede armi nucleari, e quindi ha firmato il TNP,
è membro permanente del CS e del G8. Classica potenza dello status quo, la Russia
ha scarso interesse ad aiutare il Brasile a cambiare le strutture internazionali esisten-
ti.
6.4.2. ITALIA
Le relazioni tra Italia e Brasile sono state sempre molto intense, grazie anche alla
presenza nel paese sudamericano di una consistente collettività italiana che vi
s’insidiò sin dalla fine del XIX° secolo. Nelle relazioni tra questi due paesi, il Pro-
fessore Amado Luiz Cervo (2011) individua – a partire dal 1861 quando nasce lo
stato italiano e arriva in Brasile il primo ambasciatore – tre fasi così distinte:
(i) arrivo (1861-1918): la pesante immigrazione italiana alla fine del secolo
XIX stimolò le relazioni diplomatiche e commerciali e favorì la partecipa-
zione del Brasile alla prima Guerra mondiale;
(ii) conoscenza (1919-49): periodo di accordi e divergenze, ma anche
d’approfondimento delle relazioni al manifestarsi di nuovi interessi nel
commercio bilaterale, particolarmente per l’industria pesante e degli arma-
menti da parte italiana e per il caffè da parte brasiliana. Nello stesso perio-
do, però, si ebbe la diffusione in Brasile del fascismo italiano, il che, però,
non fece desistere il paese, dopo un primo periodo di dichiarata neutralità,
dal partecipare alla seconda Guerra mondiale a lato degli Alleati, e quindi
contro l’Italia;
(iii) cooperazione (1949-oggi): grazie alla stretta cooperazione sono cresciuti sia
il commercio bilaterale sia i flussi degli IDE. Ma se fino all’inizio degli an-
ni ’90 lo sviluppo e l’inserimento dell’Italia nell’economia mondiale sono
andati avanti più speditamente di quelli brasiliani, successivamente questa
tendenza si è invertita e il declino italiano è stato accompagnato dall’ascesa
brasiliana, anche se, nonostante tutto, resta rilevante la presenza delle im-
prese italiane e l’influenza culturale italiana. Tuttavia, la cosiddetta
11
. Poiché il Brasile si è trasformato da ricettore a donatore di aiuti allo sviluppo ed è entrato a far
parte della categoria di paese a reddito medio alto, l’UE ha deciso che dall’inizio del 2014 non ri-
ceverà più aiuti e non potrà più usufruire del sistema generalizzato delle preferenze. Le risorse di cui
può disporre il Brasile sono ancora modeste, per cui nel periodo 2005-09 gli aiuti sono ammontati a
circa R3 miliardi (approssimativamente $1,2 miliardi) e nel 2010 sono stati pari allo 0,02% per 475
progetti portati avanti dall’ABC.
264
Brasile ed Europa
***
***
12
. In verità, l’“italianidade” in Brasile non è mai esistita, per la semplice ragione che gli immigrati
italiani sono stati quelli che più facilmente si sono integrati nel paese. Essi non hanno mai resistito al-
la naturalizzazione promossa in massa dalla Repubblica brasiliana, né, salvo qualche eccezione, pre-
starono ascolto agli appelli nazionalisti di Mussolini. La richiesta della nazionalità italiana da parte
dei discendenti d’immigrati italiani (circa 300 hanno il doppio passaporto rispetto ai 25 milioni di
oriundi) è un fenomeno nuovo, legato alla possibilità di entrare e restare indisturbati in Italia e, quin-
di, in Europa. Ad ogni modo, in Brasile si trova la maggiore comunità italiana all’estero.
265
Il Brasile e gli altri
Gli scambi commerciali tra Italia e Brasile risultano complessivamente positivi. Dal
2004 al 2011 le esportazioni italiane sono aumentate da €1,8 miliardi a €4,8 miliardi
e le importazioni dal Brasile da €2,7 miliardi a €4,2 miliardi, per cui il saldo italiano
di -€0,9 miliardi dal 2009 è diventato un avanzo, pari a €141 milioni, nel 2011 e
€381 milioni nel primo trimestre 2012 (ISTAT-ICE, 2012: 103-04 Tab. 2.1.2 e 105-
06 Tab. 2.1.3). Ormai il Brasile è il primo partner commerciale dell’Italia in AL.
Con l’1,3% del proprio export totale andato al Brasile, l’Italia resta il secondo forni-
tore europeo di quel paese, dietro la Germania, ma è scesa da sesto all’ottavo posto
tra tutti i fornitori del Brasile. Le importazioni provenienti dal Brasile – vedi anche
la Tabella 6.1 – sono rappresentate per circa il 90% da materie prime e prodotti se-
mimanufatti, e solo per un 10% da manufatti. Le esportazioni italiane continuano a
essere dominate dai prodotti della meccanica e delle medie tecnologie, principal-
mente attrezzature e macchinari per l’industria manifatturiera leggera, come mac-
chine tessili, macchine per la lavorazione dei metalli, della ceramica, del legno e
della pietra. Seguono i comparti lusso, tecnologie ospedaliere, energie alternative,
telecomunicazioni, nautica, due ruote, infrastrutture, servizi all'industria petrolifera e
alla sicurezza. Tra i prodotti più venduti si segnalano accessori per trattori e autovei-
coli, oli lubrificanti, valvole a sfera, macchine per imballaggi, elicotteri e barche a
motore.
Esportazioni % Importazioni %
Macchinari e apparecchiature 36,1 Altri prodotti 20,7
Altri prodotti 24,4 Prodotti di miniere e cave 20,5
Autoveicoli e altri mezzi di trasporto 17,0 Prodotti agricoli, ittici e fo- 19,8
restali
Prodotti chimici 7,9 Articoli in pelle 12,2
Computer e prodotti di elettronica 5,9 Prodotti alimentari 10,5
Apparecchiature elettriche 5,2 Carta e prodotti di carta 9,1
Prodotti farmaceutici 3,4 Prodotti della metallurgia 7,2
100,0 100,0
Fonte: Istat
***
266
Brasile ed Europa
tempo seguita da altre sempre più grandi. Alla Pirelli fece seguito l’Olivetti che nel
1952 aprì una sede commerciale, subito dopo una fabbrica di montaggio e nel 1959
inaugurò un’importante fabbrica, in seguito travolta dalla crisi dell’industria infor-
matica italiana. All’inizio degli anni ’70 fu creata la Fiat Automóveis, una joint ven-
ture con lo stato di Minas Gerais, che invece che a São Paulo scelse d’insediarsi a
Belo Horizonte. Dopo anni difficili l’impresa fu rilevata interamente dal Gruppo
Fiat, che operava nel paese anche Iveco, Teksid, Magneti Marelli, Cnh e altre impre-
se minori. Nell’area di Belo Horizonte, dove si trova il quartiere generale di Fiat do
Brasil, sono localizzate le fabbriche di Fiasa-Auto a Betim, Iveco a Sete Lagoas,
Cnh-trattori a Contagem dove, nei dintorni, si trova la Marelli. Nel 2010, il contri-
buito del Brasile alla produzione mondiale della Fiat è quasi raddoppiato, toccando
il 33%, e quello alle vendite è arrivato al 34%. Inoltre, tra il 2005 e il 2009 la Fiasa
ha contribuito la metà dei €10,6 miliardi di profitti operativi della Fiat (Goldestein e
Trebeschi, 2012: 161). Il fatto che il fatturato della Fiasa sia ormai superiore a quel-
lo che la Fiat realizza in Italia illustra l’importanza che il Brasile, diventato un cen-
tro di competenze per tutto il Gruppo Fiat. ha per l’impresa italiana13-
Chiaramente, la notevole crescita sta attraendo nuovi investimenti italiani,
compresi quelli delle PMI, in Brasile, dove negli ultimi anni anche alcune grandi
aziende hanno annunciato nuovi piani d’investimento. La TIM intende investire $2,5
miliardi per servizi interni a banda larga; la Pirelli14 ha stanziato $400 milioni. In Bra-
sile vi sono 286 filiali commerciali, 11 imprese di costruzione, 83 imprese di servizi
201 stabilimenti industriali e 4 banche15. Oltre Pirelli e Fiat16, gli altri grandi gruppi
italiani che arricchiscono il panorama industriale brasiliano con l’effetto “made in Ita-
ly” sono Ferrero, Finmeccanica, TIM, Azimut Benetti, Ternium Techint, Eni, Enel,
Mossi&Ghisolfi, Impregilo, Atlantia, Luxottica, Generali, Marcegaglia, Danieli, Maire
Tecnimont, Campari, Alitalia, Almaviva, Ghella, Natuzzi, Maccaferri, Bomi Group,
Prysmian. Molto ridotta, invece, la presenza del settore bancario che a fine 2011 con-
13
. A settembre 2012, a 60 chilometri da Recife sono iniziati i lavori per la costruzione del nuovo sta-
bilimento della Fiat, un impianto che produrrà 250 mila utilitarie l’anno, con un investimento di quasi
$2 miliardi, e impiegherà direttamente 4,5 mila addetti. Questa fabbrica entrerà in funzione nel 2014
e dovrebbe rifornire il Brasile e tutta l’AL. Nel 1976 la Fiat costruì a Belo Horizonte quello che è an-
cora il suo maggiore stabilimento nel mondo per numero di auto prodotte. Dopo l’Italia, il Brasile è
ora il principale mercato della Fiat.
14
. Con oltre 80 anni di presenza commerciale, la Pirelli ha in Brasile cinque fabbriche per la produ-
zione di pneumatici con circa 9 mila dipendenti e un proprio campo prove a Sumaré per le attività di
R&S. La struttura commerciale è composta, oltre che dai rivenditori ufficiali Pirelli, anche dalla rete
di rivendite Pneuac che conta 48 punti di vendita in 14 stati brasiliani.
15
. Secondo questa recente mappatura (Ambasciata d’Italia, 2011: 24) della presenza italiana in Brasi-
le, al 16 settembre 2011 gli stabilimenti produttivi erano passati da 392 a 585. Tuttavia, il rapporto
dell’Ambasciata puntualizza che esistono inoltre partecipazioni di aziende italiane in omologhe brasi-
liane oppure investimenti veicolati tramite controllate in paesi terzi che sfuggono a tale mappatura.
Qualora fossero contate solo le aziende holding o entità uniche di ogni gruppo o azienda italiana, il
numero delle aziende salirebbe a 448.
16
. Dal 2007 la Fiat ha conquistato la leadership nel mercato automobilistico brasiliano. Infatti, la
propria quota del mercato sfiora il 26% e sono Fiat quattro dei dieci modelli più venduti nel paese. La
produzione Fiat in Brasile ha rappresentato nel 2006 il 28% delle vetture prodotte dalla Fiat nel mon-
do intero. Ed è in Brasile che la Fiat intende costruire un centro per lo sviluppo delle tecnologie rela-
tive alla sicurezza. Nel 2012 la Fiat ha venduto più di 600 mila veicoli, compresi i commerciali, su-
perando la Volkswagen e la GM. Al momento, sta investendo €3,8 miliardi nella costruzione di una
nuova fabbrica a Suape, alla quale il governo brasiliano contribuisce per l’85%. La Fiat sta inoltre
ammodernando l’impianto storico a Betim. Con questi due interventi la capacità produttiva annuale
dovrebbe salire a un milione di vetture.
267
Il Brasile e gli altri
sisteva solo degli uffici di rappresentanza di Unicredit, Intesa San Paolo, Ubi Banca e
di un ufficio di consulenza della Banca Popolare di Vicenza. Si contano anche 1414
filiali di imprese di costruzione e progettazione, circa 550 filiali di PMI produttive e/o
commerciali e di un numero ancora più ampio di investimenti da parte di imprenditori
non vincolati a una casa madre in Italia. L’Enel ha vinto importanti gare per costruire e
gestire centrali eoliche. Mentre hanno lasciato il Brasile la Parmalat, che negli anni ’90
vi aveva costruito il suo secondo mercato, dopo quello italiano, e altre imprese nel set-
tore dell’elettronica, della raffinazione e nella distribuzione all’ingrosso, cresce il nu-
mero delle imprese italiane interessate ad accedere in qualche modo a questa mercato
in rapidissima espansione.
I settori di punta sono principalmente quelli legati alla meccanica (automobi-
li, macchinari, componentistica, trasformazione di metalli) che per numero di filiali
rappresenta il 55% della presenza italiana, seguita da beni di consumo 10%, alimenti
5%, chimica 5%. costruzioni civili 5%, telecomunicazioni 4%, energia 3% e servizi
13% e da prodotti farmaceutici, arredamento e moda. Vanno inoltre citati casi di
successo nei servizi, specialmente informatica, consulenza, progettazione, turismo e
assicurazioni.
Se, inizialmente, le aziende italiane si sono concentrate negli stati economi-
camente più sviluppati del sud del paese (oltre la metà sono concentrate nello stato
di São Paolo e un altro 30% è situato tra Rio, Minas Gerais, Santa Catarina, Paraná e
Rio Grande do Sul), negli ultimissimi anni si stanno affacciando nel Nordeste e nel
Norte (Pernambuco, Maranhão, Bahia, Parà e Amazonas), e anche nel centro (Goias,
Mato Grosso, Mato Grosso do Sul). Questi stati sono relativamente meno sviluppati,
ma presentano tassi di crescita più elevati rispetto al resto del paese, per cui offrono
maggiori opportunità. Dall’approccio “ Sanpaolocentrico” si sta così passando a un
approccio policentrico che, senza trascurare quello che continua a essere il maggior
polo industriale, abbraccia tutto il paese.
Nel complesso, lo stock (1992-2010) degli investimenti italiani in Brasile
sfiora i €5 miliardi, mentre quello degli investimenti brasiliani in Italia è pari a €662
milioni. In effetti, per i flussi arrivati in Brasile nel 2010 l’Italia risulta essere solo il
15° ($21 miliardi) investitore e il 16° ($9,4 miliardi) per quelli in uscita dal Brasile
(Ambasciata d’Italia, 2011: 106). Tuttavia, il Brasile è certamente la principale piat-
taforma produttiva per le aziende italiane in AL.
***
Benché il Brasile non sia più considerato un paese prioritario, la cooperazione italiana
allo sviluppo è presente nel paese con programmi e progetti di cooperazione bilaterale
e multilaterale. Anche enti locali italiani, ONG e ONLUS realizzano, con finanzia-
menti autonomi e con co-finanziamenti del MAE e dell’UE, importanti e molteplici
iniziative in collaborazione con enti, associazioni e autorità locali. Il paese è, inoltre,
destinatario di notevoli iniziative nel settore ambientale e nel triennio 2010-2012 sono
stati realizzati progetti in questo settore, specialmente di capacity building, e di lotta
alla povertà urbana. Inoltre, tramite cooperazione triangolare sono stati realizzati inter-
venti concordati tra Italia e Brasile a favore di Bolivia e Mozambico.
Dato il suo livello di sviluppo, in Brasile sta emergendo una cooperazione più
innovativa, particolarmente quella decentrata alla quale contribuiscono regioni, pro-
vince e comuni italiani, come il programma triennale Brasil Proximo, nato dalla col-
laborazione di cinque regioni (Emilia Romagna, Liguria, Marche, Toscana e Um-
268
Brasile ed Europa
bria) con la Presidenza brasiliana per contribuire al rafforzamento delle politiche fe-
derative brasiliane. Il progetto prevede interventi di sviluppo locale integrato e di
sostegno ai piccoli produttori. Per questo, nello stato di São Paulo è nato il Centro
Paulista, una struttura permanente di assistenza alle PMI per coordinare l’azione
pubblica con i soggetti economici dell’area (Mori, 2011a: 80).
269
7. Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
7.1. INTRODUZIONE
1
. La Cina ha rafforzato gli accordi multilaterali, per cui oltre a essere membro dell’Asia-Pacific Eco-
nomic Cooperation (APEC) e avere lo status di osservatore nell’OAS, è anche coinvolta in organismi
regionali come il China-Latin America Forum, il China-South American Common Market Dialogue,
le consultazioni Cina-Comunità Andina e nel 2008 è diventata membro del BID, al quale ha contri-
buito $350 milioni per progetti pubblici e privati. Chiaramente, la presenza cinese è destinata a
estendersi e a radicarsi profondamente, come dimostra l’ingresso al BID dove alla fine del 2008. Dal
2004 la Cina è stata accettata come osservatore permanente nell’OAS, il che l’ha aiutata moltissimo a
sviluppare ed espandere i contatti nella regione. Partecipa anche al Rio Group e ha stabilito una serie
di dialoghi con il MERCOSUR, con la Comunità dei Caraibi e con la Conferencia Latinoamericana
ed è membro della Caribbean Development Bank che ha sede a Barbados.
270
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
rischio di restare intrappolati nella dipendenza da materie prime non rinnovabili che
rende difficile portare avanti la diversificazione delle proprie economie – vedi “la
maledizione del petrolio” – e difendere i propri settori industriali dalla concorrenza
cinese (Sideri, 2011: 221).
7.2. CINA
I primi contati tra il Brasile e la Cina rimontano al 1812, quando fu importata mano-
dopera cinese per sviluppare una piantagione di tè presso Rio de Janeiro. Una nuova
ondata di lavoratori cinesi arrivò a São Paulo nel 1900, ma le relazioni economiche
tra i due paesi restarono saltuarie fino al 1949, quando i rapporti bilaterali con la
Repubblica Popolare Cinese furono completamente interrotti. I rapporti diplomatici
furono ristabiliti nel 1974, ma solo dopo l’ingresso della Cina nell’OMC si sono svi-
luppati quelli economici, tanto che la quota del mercato cinese per le esportazioni
brasiliane, quota che si aggirò sul 2% fino al 2000, ha superato l’8% nel 2008.
Il partenariato strategico con la Cina, che risale a metà degli anni ’90, ha
creato un complesso sistema relazionale nel quale è possibile trovare svariate com-
plementarietà, ma anche nuove sfide. La Cina è ormai il principale partner commer-
cial del Brasile e, simultaneamente, è il paese col quale quest’ultimo ha sviluppato il
più ambizioso progetto di cooperazione Sud-Sud in scienza e tecnologia e grazie al
quale ha già messo nello spazio due satelliti e a ottobre 2013 dovrebbe lanciare il
CBERS-3 (Satélite Sino-Brasileiro de Recursos Terrestres). Quest’accordo di coope-
razione ha permesso al Brasile di entrare a far parte di quel ristretto numero di paesi
che possiedono satelliti di sensoriamento remoto propri.
Durante la visita del Presidente cinese Hu Jintao a Brasilia per la riunione dei
BRIC il 15 aprile 2010, i due paesi hanno firmato un ambizioso Piano d’azione
quinquennale e alla conferenza dell’ONU sullo sviluppo sostenibile (Rio+20, giugno
2012) si sono accordati perché nei prossimi tre anni gli scambi commerciali possano
essere saldati in moneta nazionale fino a un totale di $30 miliardi. Il primo di questi
swap è stato eseguito a maggio 2013.
La Cina, però, è molto più importante per il Brasile e per l’AL di quanto essi
lo siano per la Cina. Infatti, il Brasile, il maggiore esportatore della regione alla Ci-
na, è solo il 14° fornitore di quel paese e nessun’altra economia dell’AL appare tra i
primi venti esportatori. Tra il 2000 e il 2010 le esportazioni brasiliane alla Cina sono
aumentate da $1,9 miliardi a $30,8 miliardi, cioè dal 2% al 15% dell’export totale
brasiliano, principalmente minerale ferroso e soia, mentre le importazioni brasiliane
dalla Cina sono passate da $1,3 miliardi a $ 25,6 miliardi, dal 2% al 14% dell’import
totale brasiliano, inferiore solo al 21% dell’intera UE, percentuale che nel 2007 era
ancora 25%. Se nel 2002 il mercato degli USA assorbiva il 26% delle esportazioni
brasiliane, nel 2010 questa percentuale era scesa al 10% per cui già nel 2009 la Cina
aveva sorpassato gli USA. Sempre nel periodo 2000-10, l’interscambio tra i due
paesi è passato da $3,2 miliardi a $56,4 miliardi, mentre quello con gli USA non ha
superato i $45 miliardi. Nel 2012 quest’interscambio ha raggiunto $75,5 miliardi,
$41,3 miliardi di esportazioni e $34,3 miliardi di importazioni.
La bilancia commerciale brasiliana, salvo per il 2007 e 2008, è restata positi-
va e nel 2012 ha toccato i $7 miliardi, ma il Brasile è sempre più preoccupato per le
crescenti importazioni di manufatti cinesi a buon mercato, 60% nel 2010, e per un
deficit record in questo settore passato a $23.5 miliardi, dai $600 milioni del 2005.
271
Il Brasile e gli altri
272
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
tazioni di carne bovina, perché dal 2005, quando si scoprì la presenza della malattia
alfa epizootica (foot and mouth disease), vengono accettate solamente se provenienti
da Rio Grande do Sul, Santa Catarina, Rondónia e Acre.
Sempre tra il 2000 e il 2010, le importazioni brasiliane dalla Cina hanno visto
crescere la quota dei prodotti d’alta tecnologia – da $487 milioni a quasi $10 miliar-
di, mai meno del 36% del valore totale dell’import brasiliano – e di quelli di media
intensità – passati dal 16% al 44% nel 2009. I principali prodotti cinesi importati dal
Brasile sono macchine e strumenti elettrici (33%), caldaie e apparecchiature mecca-
niche (20%) e prodotti chimici organici (Acioly, et al., 2011: 29-30).
Fortemente cresciuto è il valore delle importazioni dalla Cina, un aumento
che praticamente riguarda tutti i prodotti (Baumann, 2009a: 6-7). Infatti, dal 1994 al
2008 il 38% di queste importazioni consiste di apparecchi elettronici, quasi il 10%
di apparecchiature elettriche e il resto di prodotti di almeno altri 16 settori industria-
li. In altre parole, l’export cinese è molto più diversificato di quello brasiliano e
quindi la penetrazione del mercato brasiliano da parte dei prodotti cinesi è molto più
significativa di quella dell’export brasiliano in Cina. In questo modo, la competitivi-
tà dei produttori brasiliani è messa a dura prova dai prodotti cinesi sia nei mercati
terzi che nel mercato interno. La perdita di quote di mercato subita dalle esportazio-
ni brasiliane nel periodo 2007-08 in tre importanti mercati terzi – USA, Argentina e
Messico – riguarda 15 dei 19 gruppi di prodotti per i quali le esportazioni cinesi in
questi mercati hanno invece accresciuto la propria partecipazione.
Infatti, la rivalutazione dei tassi nominali e reali di molti paesi dell’ALC, a
causa della forte domanda cinese di materie prime, tende a ridurre la competitività
dei loro settori manifatturieri. Secondo uno studio del Brazil-China Council la con-
correnza cinese è responsabile della perdita di più del 60% del mercato americano
per le calzature brasiliane. Inoltre, in Brasile sono arrivati dalla Cina vestiti completi
per un dollaro, con effetti sul settore tessile nazionale facilmente immaginabili. Da
uno studio dell’OECD (The Visible Hand of China in Latin America, Parigi, 2007)
sulla concorrenza nel mercato americano risulta che quella cinese crea pochi danni a
Venezuela, Bolivia e Cile, ha un impatto negativo su Messico e i paesi centroameri-
cani, mentre Brasile, Colombia e Perù sono in posizione intermedia. Chiaramente
sono i paesi che esportano essenzialmente materie prime quelli che subiscono meno
la concorrenza cinese.
Ad ogni modo, la quota del Brasile nelle importazioni totali cinesi è abba-
stanza limitata anche se è passata dallo 0,5% nel 1999 al 2,6% circa nel 2008 (Bau-
mann: 2009a: 3-4), mentre nel 2010 la Cina, contribuendo il 14,% dell’import brasi-
liano, era al terzo posto dopo UE e USA, ma al secondo posto, dopo l’UE, con il
15,5% nell’export brasiliano (UE, DG Trade 21.03.2012). Nel periodo 1988-2000 la
bilancia commerciale bilaterale è stata quasi sempre positiva per il Brasile, è poi di-
ventata negativa, per tornare di nuovo attiva nel 2009 e nel 2010.
La concorrenza cinese sta avendo un impatto negativo sul commercio brasiliano con
altre economie latinoamericane. Il commercio tra Brasile e Argentina rappresenta
l’asse portante del processo d’integrazione del MERCOSUR. Ma nonostante che
gran parte di questo commercio si svolga con notevoli trattamenti preferenziali, per
cui nel 2004-05 la quota di mercato argentino del Brasile superava del 30% quella
della Cina, nel 2008 tale differenza si era ridotta al 18%. In effetti, la partecipazione
dei prodotti brasiliani nel mercato argentino raggiunse un massimo del 37% nel
2005, ma era già scesa al 31% nel 2008. Simultaneamente, la presenza cinese passò
da 5,3% a 12,4%. Anche in Messico nel 2008 la quota di mercato del Brasile si è
273
Il Brasile e gli altri
ridotta all’1,7% del totale delle importazioni messicane, mentre quella cinese ha
raggiunto l’11,2% subentrando ai tradizionali fornitori brasiliani (Baumann, 2009a:
13-14). Inoltre, il Brasile presenta nel 2008 un indice Grubel-Lloyd di commercio
intra-industriale dell’0,36 con l’AL, 0,08% con l’Asia, 0,36% con gli USA e 0,30
con l’UE, ma quello con la Cina è passato tra il 2000 e il 2009 da 0,06% a 0,04% e
quello con il Giappone da 0,09 a 0,06% (Rosales e Kuwayama, 2012: 144 Tab.
III.11 e 148-49 Tab. III.13). Le relazioni economiche con la Cina costituiscono una
vera sfida per la diversificazione a lungo termine dell’economia brasiliana, ma non
manca chi come Barros de Castro (2007: 19), sostiene che la concorrenza cinese,
che inizialmente sembrava devastante per l’industria brasiliana, in effetti, stia stimo-
lando la crescita del mercato brasiliano, creando “un’eccezionale opportunità per
approfondire e sviluppare vecchie e nuove soluzioni”. Naturalmente, è necessario
non tanto concentrarsi su specifici prodotti, quanto cercare “più ampi campi di spe-
cializzazione”, cioè insiemi di produzioni interconnesse e tecnologicamente interre-
late. Un esempio di questo “fronte strategico” potrebbero essere le catene di produ-
zione relative alla bioenergia.
Un’altra area problematica riguarda le misure di difesa commerciale. Il Brasi-
le ha circa 22 misure anti-dumping che si applicano ai prodotti cinesi e anche la Ci-
na ha barriere tariffarie2.
***
2
. Nel 2009 la tariffa media consolidata cinese era pari a 10% (15,7% per i prodotti agricoli), quella
media applicata 9,6% (15,6% per i prodotti agricoli) e quella media ponderata 4,3% (10,3% per i
prodotti agricoli). Le tariffe più alte sono quelle applicate ai cereali (65%), bibite e tabacco (65%),
zucchero (50%) e prodotti chimici (47%) (Acioly, et al., 2011: 32).
3
. Secondo il professor A. Correa de Lacerda gli IDE cinesi nel 2010 sarebbero tra i $13 e $17 mili-
ardi (altre stime arrivano a $19 miliardi), La grande differenza con le stime del Banco Central sareb-
be dovuta al fatto che questo considera solo i flussi provenienti direttamente dalla Cina, mentre molti
IDE cinesi sono arrivati dal Lussemburgo e da altri paesi che offrono facilitazioni fiscali. Questa sti-
ma è corroborata dalle acquisizioni cinesi che nel 2010 sono ammontate a circa $15 miliardi.
274
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
gini Britanniche), mentre gli IDE brasiliani in Cina ammontavano a $35 milioni nel
2008-09 (Rosales e Kuwayama, 2012: 108 Tab. II.11 e 113 Tab. II.13). Inizialmen-
te, i principali settori cui si erano diretti gli IDE cinesi in Brasile riguardavano le se-
guenti produzioni: fertilizzanti e altri prodotti per l’agricoltura (37%); semi-lavorati
d’acciaio (14%); malto e birra (14%), ma ultimamente i settori più importanti sono
esplorazione petrolifera4, finanza, miniere, energia elettrica. Ad ogni modo, le com-
modities continuano ad assorbire l’80-85% degli IDE cinesi in Brasile. Intanto, però,
imprese cinesi cominciano anche ad acquisire vaste proprietà rurali, una quantità
stimata a 5,5, forse già 7,1 milioni di ettari, il che non può non preoccupare il gover-
no che ha quindi introdotto una serie di misure per regolare e controllare l’acquisto
da parte di stranieri di significative quantità di territorio nazionale.
Le produzioni di beni di consumo da parte d’imprese cinesi stabilite in Brasi-
le, come i computer di Lenovo, schermi per computer e televisori LCD di AOC,
condizionatori d’aria di Gree, motociclette di Jialing e alcune altre sono concentrate
in pochi stabilimenti. Inoltre, la presenza cinese è notevole anche per l’offerta di
macchinari e attrezzature. Prodotte dal gruppo Citic, queste ultime sono state usate
nel paese in varie fabbriche d’acciaio, compresa la Companhia Siderúrgica do At-
lântico di ThyssenKrupp, in Rio de Janeiro5. Attrezzature cinesi sono state usate an-
che per la costruzione di gasdotti, come Sinopec, e da imprese telefoniche, come
Huawei e ZTE. La Cina ha fondato decine di fabbriche in Brasile che ha, a sua volta,
investito in centinaia di progetti in Cina. Mentre le imprese cinesi sono interessate
principalmente agli elettrodomestici, assemblaggio di microscopi, lavorazione del
legno, trasporto, salute e catering, quelle brasiliane si concentrano su progetti
d’ingegneria per la conservazione dell’acqua, ferrovie e catering.
La prima impresa manifatturiera cinese a produrre in Brasile fu la Greeche
che nel 1998 costruì nella zona franca di Manaus una fabbrica di condizionatori finan-
ziandola con i guadagni ricavati dalla vendita di quelli fino a quel momento importati
dalle sue fabbriche in Cina. Ora è uno dei maggiori produttori del Brasile e impiega
più di 500 persone. Inizialmente fu solo una fabbrica d’assemblaggio, ma oggi produ-
ce in loco l’80% circa dei componenti necessari e vende esclusivamente nel mercato
interno. Lenovo e AOC cominciarono a operare in Brasile nel 2005, e ora l’AOC è il
maggiore produttore di schermi per computer del paese (CEPAL, 2011: 129). Alla fine
del 2009, la China Development Bank concesse $10 miliardi alla Petrobrás in cambio
di una fornitura decennale di 150 mila bpd nel primo anno, e 200 mila negli anni suc-
cessivi. Nel periodo 2001-07 ci sono state svariate operazioni di M&A tra imprese dei
due paesi, ma mentre sei imprese brasiliane sono passate in mano cinese, solo tre di
quelle cinesi sono state acquisite da imprese brasiliane.
Nonostante che il Brasile sia il maggiore investitore latinoamericano in Cina,
nel periodo 2006-10 gli IDE brasiliani in quel paese non hanno superato i $54 mi-
lioni, pari allo 0,6% di tutti gli IDE brasiliani (dati sempre del BCB e probabilmente
sottostimati). Questo modesto volume si spiega con il ristretto numero d’imprese
4
. Jacoboni (2013: 21) ci ricorda che già venti anni fa Henry Kissinger disse che per la Cina “il con-
trollo delle fonti di petrolio è una necessità per la sua economia, ma allo stesso tempo un espediente
tattico per accelerare il declino della potenza militare statunitense e della sua supremazia geopoliti-
ca”.
5
. Questa è la fabbrica siderurgica più moderna del paese. Inaugurata a giugno 2010 dovrebbe produr-
re, una volta a regime, cinque milione di tonnellate di lastre d’acciaio l’anno, aumentando così del
40% la capacità d’esportazione del paese.
275
Il Brasile e gli altri
***
Franco e Vieira (2010: 19) sostengono che “data la complementarietà tra le due eco-
nomie, benché non siano mancate le normali tensioni commerciali, avere un partner
come la Cina ha rappresentato per il Brasile un’esperienza molto gratificante”, ma
aggiungono subito che tutt’altra impresa sarebbe emulare la Cina. Infatti, la compe-
tizione tra la struttura produttiva cinese e quella brasiliana influenza il dinamismo
del commercio e degli investimenti, ma l’aumento degli scambi commerciali fa cre-
scere la pressione competitiva dei manufatti cinesi sul settore industriale brasiliano.
Questo “effetto Cina” causa per il Brasile l’aumento della partecipazione relativa dei
prodotti di base nell’esportazione, un significativo disavanzo negli scambi di prodot-
ti ad alta intensità tecnologica e, infine, una riduzione della quota delle esportazione
dei suoi prodotti ad alta intensità tecnologica nei mercati terzi, sostituiti da quelli
cinesi. La notevole competizione dei manufatti cinesi tende così a creare un proces-
so di specializzazione regressiva della struttura industriale – l’allentarsi della catena
produttiva domestica – e una forte espansione degli IDE cinesi al di fuori delle prio-
rità stabilite dalla politica industriale e senza negoziare la forma di accesso al merca-
to (joint ventures, alleanze tecnologiche ecc.). Tutto ciò, concludono Acioly et al.
(2011: 51-52), può generare una perdita del controllo da parte del governo brasiliano
sulle fonti d’energia e di risorse naturali senza che si verifichi un maggiore trasferi-
mento tecnologico, oppure con il pericolo che esso resti confinato ai settori produt-
tori di commodities, specialmente quelle che interessano la Cina.
Malgrado che attorno al rapporto Brasile-Cina si siano create molte aspettati-
ve, non mancano le perplessità e cresce il timore che questo rapporto possa consoli-
dare una specializzazione produttiva di tipo centro-periferia, un rischio che esiste sia
se la crescita dell’economia mondiale continua, in particolare quella della Cina con
il suo enorme bisogno di commodities, sia se arriva una recessione mondiale, come
quella in atto. In effetti, importanti settori impresariali brasiliani, come le associa-
zioni dei produttori di calzature, mobili e abbigliamento, temono che i produttori ci-
276
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
nesi cerchino nuovi mercati per i propri prodotti la cui domanda nei paesi sviluppati
si è ridotta a causa della crisi.
Il rallentamento della crescita cinese – il tasso di 7,8% realizzato nel 2012 è il
più basso degli ultimi 13 anni, sceso nel primo trimestre 2013 a 7,7% – sta certa-
mente riducendo la domanda del paese per le materie prime brasiliane. Naturalmente
non manca chi teme che se al raffreddamento delle esportazioni si sommano la scar-
sità d’investimenti nelle infrastrutture e la crescente spesa per servizi pubblici socia-
li, anche il tasso di crescita del Brasile potrebbe deprimersi, evidenziando così
l’“insalubre” dipendenza dall’esportazione di materie prime in generale e dalla Cina
in particolare. Che poi è la stessa questione posta in 2.2.2, cioè la crescita brasiliana
è dovuta a un instabile boom di commodities o è sostenuto da una crescente e dina-
mica classe media?
Il fatto che l’asse centrale dell’economia mondiale si stia rapidamente spo-
stando verso l’Asia, presenta grandi opportunità ma anche nuove sfide sia ai paesi
sviluppati che a quelli emergenti, come chiaramente dimostra il Brasile. L’apparente
complementarità tra il vantaggio comparato cinese nel settore manifatturiero e quel-
lo del Brasile nelle commodities, pone a quest’ultimo il difficile compito di evitare
che tale vantaggio causi la deindustrializzazione dell’economia. La riduzione del
prezzo dei manufatti ad alta intensità di lavoro e l’aumento dei prezzi delle commo-
dities causato dall’ingresso della Cina nell’economia mondiale hanno alterato la
struttura degli scambi globali e della produzione. Nel caso del Brasile, la composi-
zione dei suoi scambi commerciali tende sempre più a somigliare a quella di
un’economia meno sviluppata, per cui il rapporto con la Cina sta assumendo gli
aspetti di una relazione Nord-Sud.
Inoltre, la Cina influisce sul commercio estero brasiliano anche tramite gli in-
terventi del governo sul valore dello yuan che sviano verso altre economie emergen-
ti, incluso il Brasile, l’impatto dei flussi finanziari generati dai bassi tassi d’interesse
dei paesi sviluppati, interventi definiti nel 2010 da Guido Mantega, ministro delle
Finanze brasiliano, una “guerra monetaria internazionale”. Infatti, tra maggio 2004 e
aprile 2011, il tasso reale di cambio (ponderato su base commerciale) del Brasile
s’apprezzò del 119%, mentre quello cinese solo del 20%. La Cina avrebbe, infatti,
contribuito a cambiare la composizione e direzione del commercio internazionale
del Brasile migliorando la propria ragione di scambio e facendo apprezzare il pro-
prio tasso reale di cambio. Poiché il Brasile difficilmente potrà competere con la Ci-
na come esportatore di manufatti ad alta intensità di lavoro, dovrà cercare, conclude
Martin Wolf (2011), di espandere la propria produzione di manufatti più sofisticati,
in aspra concorrenza con la Cina ora, e poi, eventualmente anche con l’India, per cui
la relazione tra i due paesi sarà sempre più competitiva. Anche Pereira e Castro Ne-
ves (2011: 16-17) concordano che l’impatto cinese sull’economia brasiliana è pro-
fondo e avrà effetti negativi anche in futuro a causa della notevole perdita di compe-
titività che produce e di conseguenza, “l’idea di un partenariato strategico dovrebbe
essere considerata in una prospettiva più realistica”. Inoltre, essi reputano probabile
che questi effetti renderanno difficile la cooperazione multilaterale tra Cina e Brasi-
le, specialmente quando gli interessi economici non coincideranno.
Più ottimista appare l’analisi di Khanna (2009: 217), secondo il quale
l’“alleanza strategica” dimostra che i due paesi hanno interessi similari – sviluppo
economico, sicurezza e prestigio internazionale – e che entrambi mirano a fare da
contrappeso agli USA, per cui dovrebbero essere “in grado di cooperare per la con-
servazione di un certo equilibrio reciproco anche quando sono concorrenti diretti”.
277
Il Brasile e gli altri
Anzi, “le economie del ‘gigante dell’Asia’ e del ‘gigante dell’America meridionale’
si sono dimostrate notevolmente complementari”, tanto che entrambi sono cresciuti
fortemente. E anche se “i legami del Brasile con la locomotiva cinese hanno spazza-
to via l’industria calzaturiera e quella dei giocattoli”, vanno riconosciute la centralità
e la competizione che Beijing rappresenta per l’economia brasiliana.
Nonostante le asimmetrie e tutti gli altri problemi, il rapporto con la Cina sta
contribuendo a rafforzare la tendenza brasiliana a dare poca importanza al punto di
vista degli USA e degli altri paesi dell’emisfero occidentale. La portata della cre-
scente relazione tra questi due paesi è molto vasta e non solo da un punto di vista
economico, ma anche da quelli politico, strategico e scientifico. In effetti, per il Bra-
sile questa relazione rappresenta un notevole passo avanti nella realizzazione di
quell’universalismo che guida la sua politica estera e del suo desiderio di diventare
un attore globale.
7.3. GIAPPONE
Con 1,5 milioni di persone, la comunità giapponese in Brasile, la maggiore fuori del
territorio nazionale, esercita una grande influenza nel paese, ma specialmente nello
stato di São Paulo dove è concentrata. Le relazioni diplomatiche erano già state sta-
bilite col Trattato di amicizia, commercio e navigazione firmato nel 1895, ma questa
comunità nacque da un accordo del 1907 tra il governo di Tokyo e di São Paulo
quando il governo imperiale, che mirava all’espansione dell’etnia giapponese nel
mondo e in particolar modo al “radicamento della cultura giapponese nell’intero
continente americano”, favorì l’emigrazione di poveri e disoccupati. L’integrazione
di questi immigrati è stata, però, lenta e difficoltosa, perché essi hanno avuto diffi-
coltà a uscire dalla propria comunità e accettare la mescolanza razziale sulla quale la
società brasiliana è fondata e a causa delle enormi differenze culturali, dei pregiudizi
e della discriminazione.
Quando all’inizio degli anni ’40 il Brasile si schierò con gli Alleati e dichiarò
guerra al Giappone, la comunità nipponica fu severamente perseguitata dalle autorità
e subì forse maggiori angherie di quelle italiana e tedesca. I rapporti tra i due paesi si
normalizzarono solo nel 1949, mentre il flusso migratorio riprese nel 1952. Il raffor-
zarsi delle relazioni istituzionali e commerciali fu segnato dall’apertura delle linee
aeree di Varig con il Giappone nel 1958. L’integrazione ha accelerato negli anni ’70,
ma “ancor oggi i matrimoni interni alla comunità sono certamente più numerosi ri-
spetto a quanto è dato osservare tra i discendenti italiani, tedeschi o portoghesi”, per
cui solo il 30% dei nippo-brasiliani proviene da unioni miste e solo il 10% di essi
conosce il giapponese (Giappichini, 2011: 337-340).
Negli anni ’80, continua Giappichini, si è sviluppato il fenomeno inverso,
quello dei “dekasseguis”6, ovvero l’emigrazione brasiliana verso il Giappone dove si
è creata una comunità di quasi 300 mila unità, il terzo contingente all’estero, frutto
della crisi economica brasiliana, ma anche dei forti legami tra le due nazioni creati
proprio dall’immigrazione giapponese. Se inizialmente gli immigrati brasiliani erano
6
. Espressione giapponese che letteralmente significa “lavorare lontano da casa” e che inizialmente si
riferiva agli immigrati giapponesi in Brasile, ma che ora è usata specialmente per i nippo-brasiliani
che emigrano in Giappone.
278
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
principalmente dediti ai lavori che i giapponesi rifiutavano, “negli ultimi anni si re-
gistra un lento ma costante miglioramento della loro condizione economica”.
Nel 2009 il valore delle esportazioni brasiliane dirette al Giappone, costituite
specialmente da minerale ferroso, prodotti petroliferi, semi di soia, polli e veicoli,
ammontò a $4,3 miliardi. Le importazioni dal Giappone, soprattutto agenti chimici,
minerali metallici e parti industriali, ammontarono a $5,4 miliardi. Dal 2004 al 2012
le importazioni del Brasile dal Giappone sono passate da $2,3 miliardi a $6 miliardi,
mente le esportazioni da $3,6 miliardi a $12 miliardi. Sembra, quindi, che i buoni
rapporti che corrono tra Brasília e Tokyo stiano già facendo crescere gli scambi
commerciali, ma le possibilità di ulteriori ampliamenti sono ancora notevoli.
Tra il 2000 e il 2011 lo stock degli IDE giapponesi arrivati in Brasile è au-
mentato da $4 miliardi a $34 miliardi e nel 2008 il Brasile ha ricevuto dal Giappone
in regalo (grants) 370 milioni di yen e 1,4 miliardi di yen come cooperazione tecni-
ca. Molti degli investimenti giapponesi si sono concentrati in progetti riguardanti lo
sviluppo di combustibili eco-compatibili per le auto.
I rapporti diplomatici tra il Brasile e la Corea del Sud (CDS) furono stabilite nel
1959 e nel 1962 quest’ultima aprì l’ambasciata a Rio de Janeiro. Le relazioni politi-
che ed economiche s’intensificarono solo negli anni ’90, specialmente con la prima
visita di un Presidente coreano, Kim Young Sam, al Brasile nel 1996 e furono poi
ulteriormente rafforzate dalla visita del Presidente Cardoso alla CDS nel 2001 e da
quella dell’ex Presidente coreano Roh Moo-hyun, in occasione della riunione
dell’APEC in Cile nel 2004. Proprio in quest’occasione furono raggiunti accordi
concernenti cooperazione economica, commercio, energia e informatica, e si sottoli-
neò l’importanza avuta dall’Alianza Especial de Brasil y Corea hacia el Siglo XXI
che era stata sottoscritta nel 2001. Quest’accordo aveva permesso di rafforzare le
aree d’informatica, biotecnologia, industria spaziale, elettrotecnologia, metallurgia e
tecnologie pulite, e in più aveva permesso l’esenzione dei visti tra i due paesi. In
quell’occasione si decise anche di creare un centro per la cooperazione riguardante
l’informatica, il Brasile reiterò il proprio appoggio per l’ammissione della Corea al
BID, cosa che si realizzò nel 2005, e si firmarono accordi di cooperazione relativi a
risorse naturali, risorse energetiche e scienza e tecnologia. Infine, i due Presidenti
promisero di incoraggiare le imprese sudcoreane a partecipare a progetti brasiliani,
pubblici e privati, concernenti esplorazione petrolifera, energia, autostrade, ferrovie
e porti. Nel 2005, fu Lula a visitare la CDS.
Gli scambi commerciali tra i due paesi si sono sviluppati gradualmente: circa
$630 milioni nel 1990, oltre $4 miliardi nel 2005 e $13,6 miliardi nel 2010, quando
la CDS è risultata il settimo partner commerciale del Brasile che, però, sta accumu-
lato un crescente disavanzo commerciale con questo paese. Il Brasile occupa solo il
10° posto nelle esportazioni della CDS e il 19° nelle sue importazioni, ma ne è il
maggiore partner commerciale in Sudamerica. I principali prodotti esportati dal Bra-
sile nel 2009 sono stati la soia e i suoi derivati (21%), prodotti minerari (20%) e al-
cuni semi-fatturati di ferro e acciaio (12%), mentre quelli provenienti dalla CDS so-
no stati automobili (17%), carburante diesel (7%) e parti di apparecchi TV (6%).
In Sudamerica il Brasile costituisce la principale destinazione degli investimenti del-
la CDS, molti dei quali diretti a progetti di grande scala nel settore automobilistico,
279
Il Brasile e gli altri
***
Con la Corea del Nord (CDN) i rapporti diplomatici furono stabiliti da Cardoso nel
2001, ma Pyongyang ha aperto un’ambasciata a Brasília solo nel 2005, dopo che le
relazioni tra i due paesi si erano maggiormente sviluppate con la presidenza di Lula,
secondo alcuni il migliore alleato della CDN fuori dell’Asia. In AL, oltre al Brasile,
solo Cuba mantiene un ambasciatore a Pyongyang. Nel 2006 i due paesi hanno fir-
mato un accordo commerciale e nel 2010 il Brasile è stato il 2° mercato
d’esportazione della CDN ($121 milioni) e il 10° importatore ($22 milioni) (Stanga-
rone e Hamisevicz, 2011: 192-93).
Dopo la morte di Kim Jong-il, il Brasile ha cercato di ampliare le relazioni
con la CDN, convinto più che mai della propria politica di “non isolamento” e quin-
di disposto ad “aiutare la Corea del Nord ad aprirsi politicamente”, esplorare le pos-
sibilità di sviluppare il commercio bilaterale ed eventualmente stabilire un partena-
riato per i biocarburanti. L’ambasciatore brasiliano a Pyongyang sostiene che con la
sua indipendente politica estera il Brasile è nella posizione migliore per accompa-
gnare il processo di liberalizzazione politica della CDN. Inoltre, per la CDN com-
merciare con un’economia in ascesa come il Brasile, che per di più non è coinvolto
nella questione nucleare, rappresenta una promettente alternativa alla dipendenza
dalla Cina.
La bancarotta economica e l’isolamento politico della CDN continuano, però,
a influenzare negativamente l’interscambio commerciale tra i due paesi, interscam-
bio il cui valore nel 2011 non ha raggiunto i $60 milioni, il peggiore risultato degli
280
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
ultimi 15 anni durante i quali non era mai stato inferiore a $110 milioni (Montene-
gro e Fleck, 2011).
Il Brasile e l’India stabilirono rapporti diplomatici solo nel 1974, non essendo stato
possibile farlo prima a causa delle forti tensioni generate dal processo di decoloniz-
zazione delle enclavi portoghesi in India, principalmente Goa, che il Brasile si osti-
nava a considerare colonie portoghesi. La posizione brasiliana cambiò quando, nel
1961, divenne evidente che l’India era decisa a riprendersi militarmente quei territo-
ri e che il Portogallo non era più in condizione di difenderli. Quando Goa fu occupa-
ta dalle truppe indiane, il governo brasiliano non esitò ad accusare l’India di viola-
zione del diritto internazionale. A sua volta, il governo indiano non poteva accettare
che un paese democratico come il Brasile, che era stato colonia portoghese, soste-
nesse le pretese proprio della dittatura portoghese contro la democratica India che da
poco aveva ottenuto l’indipendenza.
Per i primi cinquant’anni dopo l’indipendenza, l’India è stata per i paesi
dell’ALC, che essa considerava una regione instabile dove periodicamente ricorre-
vano terremoti, inflazione e colpi di stato, un luogo di conflitti interni e diffusa po-
vertà. Quindi i rapporti, vista la notevole distanza geografica e l’appartenenza
dell’India al British Commonwealth e al Non-Aligned Movement (NAM), al quali il
Brasile, come la maggior parte dei paesi dell’AL ha mai aderito, restarono limitati.
I rapporti cominciarono a migliorare nel 1964, quando la creazione
dell’UNCTAD e del G77 facilitò i contatti e i due paesi scoprirono, a cominciare dai
dibattiti in seno al GATT, di condividere molte posizioni. Finalmente, nel 1968 Indi-
ra Gandhi visitò il Brasile e si mostrò disposta a una più stretta cooperazione. Sfor-
tunatamente, però, le posizioni geopolitiche dei due paesi erano molto differenti,
perché mentre il Brasile era legato agli USA, l’India lo era anche di più all’Unione
Sovietica. Quando più tardi l’India invitò non ufficialmente il Brasile a diventare
membro del NAM, questi rifiutò, preferendo restare un osservatore. Naturalmente, i
loro rapporti restarono molto limitati fino alla fine della Guerra fredda quando i
cambiamenti fondamentali avvenuti nel panorama geopolitico, permisero al Brasile
e all’India di rivederli, visto che entrambi si stavano inserendo nell’economia mon-
diale dopo aver intrapreso liberalizzazione e diversificazione economica. Nonostante
la vasta comunanza di vedute, gli scambi commerciali non sono però cresciuti mol-
to, a dimostrazione delle oggettive difficoltà che i PVS incontrano a commerciare tra
loro, a causa della limitata complementarità delle loro economie.
Anche tra i paesi dell’AL è gradualmente cresciuto l’interesse per l’India che,
da parte sua, negli ultimissimi anni ha cominciato a impegnarsi in questo continente
dove ha già conquistato una riconoscibile presenza economica con variegati e distin-
ti interessi e dove dal 2000 le sue imprese hanno investito circa $12 miliardi in IT,
farmaceutica, agrochimica, miniere, energia e manifattura.
Al centro delle relazioni tra l’India e l’AL c’è il legame nato tra India e Bra-
sile – entrambi membri dei BRIC – che, benché abbiano interessi agricoli differenti,
hanno assunto insieme il ruolo di guida dei PVS con iniziative come l’IBSA Dialo-
gue Forum e il G20+, iniziative culminate a novembre 2008 con la creazione del G-
20, il cosiddetto “steering committee of the world economy”. La novità di questo
281
Il Brasile e gli altri
282
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
ricevono dalla crescita cinese”. È anche vero che le esportazioni indiane coprono il
70% delle voci di manufatti importati dall’AL, quindi il loro livello di copertura re-
sta molto più basso di quello della Cina, che è 92%. Inoltre, salvo per prodotti come
pietre preziose, farmaci, prodotti chimici e filo, il volume delle esportazioni indiane
è modesto.
***
Mesquita Moreira (2009: 115, 129-132) evidenzia che malgrado l’India non rappre-
senti ancora un pericolo per il settore manifatturiero dell’AL, le recenti esportazioni
indiane sembrano indicare il decisivo tentativo del paese di diventare un importante
esportatore di manufatti e quindi un eventuale competitore anche dell’AL. È proba-
bile che l’India possa aumentare il proprio ruolo nel settore delle cosiddette tecnolo-
gie medie – particolarmente in quello dell’auto acquistando marchi consolidati per
penetrare i mercati mondiali – soprattutto diventando un grande esportatore di merci
con un alto contenuto di lavoro. Se questo dovesse accadere, il sentiero di sviluppo
centrato sul settore manifatturiero diventerebbe veramente congestionato e partico-
larmente difficile da percorrere per economie con relativa scarsità di lavoro specia-
lizzato, come quelle dell’AL7, ma abbondanza di persone scarsamente specializzate
che sempre meno potranno essere utilizzate. Per questi paesi, l’ascesa della Cina e
dell’India sembrerebbe precludere una progressiva crescita economica tramite
l’esportazione di manufatti con un alto contenuto di lavoro non qualificato e a buon
prezzo.
Più ottimisticamente, lo studio della BM (Lederman et al., 2009: 5) conclude
che le esportazioni indiane in questa regione non rappresentano una minaccia alle
industrie dell’AL, perché circa la metà sono manufatti derivati da materie prime
(commodity-based manufactured goods) e beni intermedi, come farmaci prodotti in
massa (bulk drugs), filo, tessuti e parti per macchinari e apparecchiature che posso-
no aiutare le industrie dell’AL a ridurre i costi di produzione e diventare competitive
a livello globale. L’IT e le imprese indiane di BPO (Business process outsour-
cing) stanno spingendo l’AL nell’era dell’informazione e della formazione di risorse
umane per l’economia della conoscenza. Si spera, quindi che il potenziale commer-
cio tra l’India e l’AL si sviluppi rapidamente e sia accompagnato dai flussi di IDE.
Conseguentemente, il futuro dinamismo economico della regione dipenderà
principalmente dalla capacità di trasformare le sue risorse naturali migliorando il
capitale umano e le infrastrutture, e innovando e aumentando il contenuto di cono-
scenza delle produzioni, sempre che i processi politici e istituzionali interni saranno
in grado di sostenere politiche economiche compatibili con tale trasformazione. Per
ora, le materie prime rappresentano il 41% delle esportazioni dell’AL all’India e so-
lo il 32% sono manufatti derivati da materie prime (SELA, 2009: 20 Tab. 3) Inoltre,
l’espansione del mercato indiano non è solo dovuta all’alto tasso di crescita e al nu-
mero degli abitanti, ma anche al rapido aumento di una classe media che sta adot-
tando modelli di consumo occidentali, per cui la domanda indiana per materie prime
e altre esportazioni dell’AL potrebbe crescere notevolmente. Con una tale domanda,
normalmente le possibilità di scambio tendono ad aumentare, specialmente quelle
7
. Secondo la CEPAL (2007a: 34) starebbe aumentando la già elevata disparità di produttività della
manodopera sudamericana così come la distanza tra sviluppo scientifico e tecnologico e capacità
d’innovazione della regione rispetto agli USA.
283
Il Brasile e gli altri
per manufatti diretti alle fasce di popolazioni con reddito basso o medio (Mesquita
Moreira, 2009: 124).
Va infine notato che l’India finora, per varie ragioni, non ha riservato all’AL
la stessa attenzione che questa ha ricevuto dalla Cina. Infatti, la Cina offre a tutti
consistenti linee di credito a basso costo, che invece, da parte indiana, restano mode-
ste e riguardano solo pochi paesi dei Caraibi e dell’AC. Per l’AL, l’India rappresenta
non solo un prezioso partner commerciale, ma anche un esempio di come un paese
con profonde radici culturali possa costruire una stabile democrazia coniugandola
con una rapida crescita economica. Questo vale anche per il Brasile, che, però, deve
accettare che i propri legami con l’India abbiano una minore importanza strategica
di quelli che legano quel paese alla Russia, alla Cina o agli USA, e che così sarà an-
cora per qualche decennio a venire. Tuttavia, entrambi condividono l’interpretazione
geopolitica del mondo, per cui possono facilmente collaborare alla ricerca di una più
democratica governance globale. Alla comune aspirazione a cambiare la distribu-
zione del potere nelle istituzioni internazionali fortunatamente sembra accompa-
gnarsi l’accettazione di responsabilità e di un più attivo ruolo nell’affrontare le sfide
globali. Tuttavia, conclude Stuenkel (2010: 295, 300 e 291) solo “se il Brasile e
l’India saranno capaci di un’effettiva collaborazione per creare un durevole partena-
riato, potranno avere un ruolo importante nel rimodellare il secolo XXI°”.
7.6. IRAN
I rapporti del Brasile con l’Iran datano dal 1903, ma cominciarono a svilupparsi nel
1957 con la firma dell’accordo culturale che entrò in vigore alla fine del 1962,
quando il valore del loro interscambio era circa $54-55 milioni. Dopo la vittoria del-
la rivoluzione islamica in Iran, il governo brasiliano, durante la guerra tra Iran e Iraq
(1980-1988), vendette armi a Saddam Hussein e offrì assistenza tecnica al progetto
nucleare dell’Iraq. Con il ritorno alla democrazia, particolarmente durante la presi-
denza Lula, i rapporti con la Repubblica Islamica Iraniana migliorarono e all’inizio
degli anni ’90 il Brasile cominciò ad appoggiare le aspirazioni nucleari dell’Iran of-
frendo la fornitura di alcune componenti del proprio vecchio programma nucleare,
ma gli USA riuscirono a impedire che i due paesi raggiungessero un accordo.
Le relazioni economiche bilaterali tra i due paesi cominciarono ad aumentare
all’inizio degli anni ’90, con la crescita dei prodotti alimentari scambiati e la coope-
razione in comuni progetti infrastrutturali. Nel 2003, la National Iranian Oil Compa-
ny concesse alla Petrobrás diritti d’esplorazione d’alto mare, nel Golfo Persico. Un
altro accordo di $34 milioni per l’esplorazione nel Mar Caspio, Petrobrás l’ottenne
nel 2004 e d’allora i due paesi hanno continuato a cooperare nel settore energetico
sempre tramite imprese di stato. Inoltre, il MOU del 2004 auspicava proprio
l’intensificazione delle comunicazioni e degli scambi commerciali.
Le imprese brasiliane hanno trovato modo di aggirare le sanzioni commercia-
li imposte all’Iran dall’ONU facendo transitare le merci per Dubai, prima di arrivare
a destinazione (Brigida, 2010: 3). Zucchero e carne sono due dei prodotti più impor-
tanti esportati dal Brasile, ma il volume di questi traffici è difficilmente calcolabile.
Tra scambi triangolari e diretti, il commercio tra i due paesi superò $1,5 miliardi nel
2007, costituito in massima parte dalle esportazioni brasiliane, essendo scarse le
esportazioni iraniane. Tra il 2000 e il 2010 le esportazioni brasiliane all’Iran, diven-
tato il maggior mercato al mondo per la carne brasiliana, hanno raggiunto $2,12 mi-
284
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
liardi e dal 2002 la bilancia commerciale del Brasile con questo paese presenta un
notevole avanzo positivo. Il Brasile è il maggiore partner commerciale in AL
dell’Iran con quale, però, anche il resto della regione ha sviluppato ottimi rapporti.
La cooperazione economica ha contribuito a sviluppare le relazioni diploma-
tiche tra i due paesi, per cui il Brasile a livello internazionale ha insistito sulla neces-
sità di affidare solo all’AIEA – e non al CS dell’Onu o all’iniziativa di singole po-
tenze – il compito di dissipare ogni dubbio circa il carattere pacifico del programma
nucleare di Teheran. La posizione del Brasile rispetto all’Iran è rimasta coerente ne-
gli anni e prima di arrivare, insieme alla Turchia, al voto contrario alle sanzioni del
CS, l’amministrazione Lula ha sempre rifiutato l’applicazione di sanzioni unilaterali.
Nel 2010, il governo brasiliano accettò, insieme alla Turchia e alla Russia, di
cercare una soluzione diplomatica al problema creato dal programma nucleare ira-
niano, in opposizione alla posizione di Washington decisa ad impedire a ogni costo
il proseguimento del progetto. Per questo, l’accordo tra Brasile, Turchia e Iran, volto
a consentire a quest’ultimo di scambiare 1.200 chilogrammi di uranio, leggermente
arricchito al 3,5%, con 120 chilogrammi di combustibile arricchito al 20% per il
reattore nucleare di ricerca medica, venne considerato una sfida alla politica degli
USA. In realtà, però, l’accordo negoziato dal Brasile e dalla Turchia “era abbastanza
simile a quello presentato dall’IAEA a ottobre 2009”. I brasiliani consideravano
l’accordo come una forma di confidence building per riportare l’Iran al tavolo nego-
ziale, ma l’amministrazione Obama e i paesi europei lo respinsero considerandolo
una semplice tattica dilatoria e decisero di procedere con le sanzioni. Coerentemen-
te, il Brasile mantenne la sua opposizione e continuò a difendere l’Iran votando con-
tro le sanzioni nel CS dell’ONU, dove in quel momento occupava uno dei seggi a
rotazione, perché, come si espresse il ministro degli Esteri Celso Amorim, “ignorare
l’accordo è disprezzare la ricerca di una soluzione pacifica e negoziata … Tuttavia il
Brasile, riconosce Meyer (2012: 15-16), ha deciso di rispettare le sanzioni”.
A novembre 2009, Ahmadinejad e Lula da Silva annunciarono di voler porta-
re i loro scambi commerciali a $25 miliardi e di voler aumentare la cooperazione e i
rapporti tra i loro due paesi, particolarmente nei campi industriale, commerciale,
energetico e tecnologico. Subito dopo, però, Petrobrás dichiarò che stava conside-
rando, malgrado investimenti di circa $30 milioni, di porre fine alle sue operazioni
in Iran, perché le scoperte fatte non erano sfruttabili commercialmente. Ad aprile
2010 il presidente di Petrobrás ha annunciato che ad ogni modo l’impresa brasiliana
avrebbe mantenuto gli uffici in Iran.
Il Presidente Rousseff continua, sulla linea del predecessore, a invocare una so-
luzione pacifica per il conflitto tra arabi e Israele e ad appoggiare il diritto iraniano
di sviluppare il proprio programma nucleare. Ma, al contrario di Lula, non sembra
voler prendere impegni politici senza l’assenso dei maggiori attori internazionali,
come è apparso quando, all’ultima conferenza del Rio20 sullo sviluppo sostenibile
tenutasi a giugno 2012, si è rifiutata di incontrare Mahmoud Ahmadinejad. Un rifiu-
to che, però, non necessariamente implica un cambiamento di strategia nei confronti
del MO, considerando che i buoni rapporti che il Brasile ha continuato a mantenere
con l’Iran hanno rafforzato il suo ruolo nel dibattito Sud-Sud e il multilateralismo
della sua politica estera. Inoltre, i due governi sono convinti che, grazie al ruolo che
il Brasile esercita in AL e l’Iran in Asia, i legami esistenti siano utili per risolvere i
problemi tra AL e MO.
285
Il Brasile e gli altri
L’impegno del Brasile in MO, da molti criticato, appare abbastanza logico se si con-
sidera la determinazione del paese a diventare un attore globale, quindi la necessità
della sua presenza in molti posti dove esistono situazioni, quali il conflitto tra Israele
e Palestina, che devono essere affrontate con un approccio innovativo, sperando così
di proiettare il potere recentemente acquisito, ottenere una grande visibilità e dettare
l’agenda del discorso internazionale.
Ad ogni modo, è solo negli anni ’70, a causa della crisi petrolifera, che il MO
cominciò ad attrarre l’attenzione della diplomazia brasiliana, ma fu la visita alla re-
gione del Presidente Lula nel 2003 – il primo presidente brasiliano a visitare in via
ufficiale i paesi arabi dai tempi dell’imperatore Pedro II – che stabilì l’importanza
per la politica estera brasiliana delle relazioni con una regione che durante gli anni
’90 era stata ignorata. Seguì, nel 2007, la visita del ministro degli Esteri Celso Amo-
rim che in un secondo tempo organizzò il primo vertice tra i paesi arabi e quelli del
Sudamerica. Dal 2008, il MO è diventato un’area prioritaria nella politica estera bra-
siliana, come dimostra anche la conclusione, proprio con la regia brasiliana,
dell’accordo di libero scambio tra il MERCOSUR e il Consiglio di Cooperazione
del Golfo (CCG) (Silva Preiss, 2011: 51). I frutti dell’attivismo del Brasile si sono
visti subito. Stando ai dati diffusi dalla Camera di Commercio arabo-brasiliana, nel
2011 il valore complessivo degli scambi commerciali tra il Brasile e i paesi arabi ha
raggiunto i $25 miliardi, con un incremento di quasi il 29% rispetto all’anno prece-
dente, valore che si stima, dovrebbero continuare a crescere del 10-15% nel 2012,
apparentemente poco influenzato dall’instabilità provocata dalle Primavere Arabe.
Nel 2011 il Brasile ha esportato al MO per $15,3 miliardi e importato per circa $5
miliardi, con un saldo positivo pari a quasi $10 miliardi. La scarsa importanza attri-
buita dal Brasile agli sforzi occidentali per sostenere i valori democratici nei paesi
arabi forse non dipende solo dal desiderio di ottenere da essi il sostegno per la corsa
al seggio del CS dell’ONU, ma anche da semplici considerazioni commerciali.
Il Brasile è diventato un importante partner commerciale dei paesi CCG. Il
totale delle esportazioni brasiliane verso Bahrain, Qatar, Kuwait, Oman, Arabia
Saudita ed Emirati Arabi Uniti (EAU) ha raggiunto $7,9 miliardi nel 2011, mentre le
esportazioni da questi paesi sono ammontate a $4,3 miliardi. Un partner commercia-
le particolarmente importante sono gli EAU, le cui esportazioni al Brasile nel 2011
sono state pari a $2,2 miliardi, contro importazioni per $479 milioni.
Frattanto, anche il MERCOSUR e Israele hanno concluso, con il determinan-
te appoggio brasiliano, un accordo di libero scambio, accordo che è stato proposto
anche alla Giordania, mente si rafforzano, come visto sopra, i rapporti economici tra
Iran e Brasile. In effetti, caffè, etanolo, zucchero e carne sono prodotti molto richie-
sti nella regione, ma il governo brasiliano spera inoltre che la propria esperienza nel
campo dei biocarburanti possa offrire soluzioni alternative ai paesi del MO.
Sempre a Lula si deve la spinta decisiva per realizzare il primo vertice Amé-
rica del Sur y los Paises Arabes (ASPA) nel 2005, un altro tassello nel progetto bra-
siliano per la creazione di un compatto blocco regionale in modo da ottenere mag-
gior peso e riconoscimento sulla scena internazionale, ma anche per aumentare e di-
versificare i rapporti economici. Infatti, negli ultimi anni il valore degli scambi
commerciale tra i paesi delle due regioni, con il Brasile alla testa dei paesi sudame-
ricani, ha superato i $21 miliardi e a dicembre 2010 il MERCOSUR ha firmato un
accordo di libero scambio proprio con la Palestina (Di Ricco, IAI, 26.01.11). Al ver-
286
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
***
Molto interessante è il rapporto che si è creato tra il Brasile e la Turchia9. Fino a po-
chi anni fa i loro legami economici erano insignificanti, e non tanto a causa della di-
stanza geografica, ma più semplicemente perché i due paesi si trovavano ad affron-
tare problemi troppo differenti, il che rendeva difficile instaurare un serio dialogo.
8
. Il ministero degli Esteri si limitò a esprimere “profonda preoccupazione”, chiedendo “l’immediata
restaurazione dell’ordine costituzionale e della democrazia”, “moderazione nel dialogo politico e ri-
fiuto dell’uso della forza”.
9
. I primi contatti rimontano alla visita dell’Imperatore Pedro II e sua moglie a İstanbul a metà del
XIX. Ne nacque un’amicizia che ora si sta trasformando in alleanza.
287
Il Brasile e gli altri
Dopo la fine della Guerra fredda, l’avanzare della globalizzazione ha costretto entram-
bi a diversificare le proprie relazioni economiche e politiche, per cui hanno cominciato
a considerarsi potenziali partner. Gli approcci iniziali furono seguiti, nel 1995, dalla
prima visita ufficiale in Brasile di un Presidente turco, Süleyman Demirel.
Le posizioni occupate dal Brasile e dalla Turchia nelle rispettive regioni sono
paragonabili così come sono abbastanza simili le loro ambiziose agende di politica
estera. Entrambi i paesi hanno lottato con militari che non hanno esitato a rovesciare
governi per assumere il potere. seguito sentieri di sviluppo similari, combattuto con-
tro un’alta inflazione, affrontato varie crisi della bilancia dei pagamenti e
l’inefficienza burocratica, prima di emergere rispettivamente come la 6a (o 7a) e la
17a economia mondiale con dinamici settori d’esportazione.
Dal 2000, per iniziativa di Lula, le relazioni si sono rafforzate politicamente
ed economicamente, l’interscambio è aumentato e i due paesi cooperano nel settore
energetico. Il loro comune tentativo di raggiungere con l’Iran un accordo sul nuclea-
re non è stato accolto positivamente dalla comunità internazionale, o meglio dalla
sua parte più importante, tuttavia ha mostrato che ci sono altri paesi pronti ad assu-
mere la leadership internazionale. In un contesto nel quale la Cina è un esempio per
i leader nazionali di molti PVS, appare opportuno mostrare che la libertà politica
non necessariamente impedisce la crescita economica.
Il coinvolgimento del Brasile nel MO è stato criticato, benché non sia così il-
logico che questo paese cerchi sinceramente di diventare un attore globale. Indub-
biamente, “potenze emergenti hanno bisogno di progetti emergenti”, per cui non de-
ve stupire se il Brasile è attivo in posti inaspettati e come la Turchia ora è presente
non solo in Siria e Palestina, ma anche in Africa, dove sta cercando di allargare la
propria sfera d’influenza a tutto il territorio che una volta formava l’Impero Ottoma-
no10 (Stuenkel 2012b). Collaborare all’elaborazione di proposte comuni aiuterebbe il
Brasile e la Turchia a gestire al meglio il potere che stanno ritrovando e a dare visi-
bilità al loro contributo all’agenda internazionale (Stuenkel, 2012a). Inoltre, il tenta-
tivo di risolvere il problema dell’Iran ha dimostrato che le strutture vigenti non rie-
scono a influenzare positivamente quel paese e che non ci sono molti attori pronti ad
assumere la leadership internazionale. Infatti, “la crescente affinità tra i due paesi,
spiega Lazarou (2011: 3-4), coincide con l’aumento senza precedenti dell’attrazione
che proiettano sulla scena internazionale dove il loro modo d’intervenire e mediare
per risolvere le controversie è stato presentato come un modello alternativo a quello
tradizionalmente usato dalle potenze mediatrici, ma troppo spesso percepito egemo-
nico e imperialista”. Il Brasile e la Turchia sembrano invece “capaci di produrre so-
luzioni che conciliano le parti in conflitto, senza mirare a trasformarle”.
Il partenariato Brasile-Turchia costituisce, quindi, un importante elemento
delle strategie di entrambi per rafforzare la loro presenza globale sia dal punto di vi-
sta economico che politico. Per il Brasile, la Turchia rappresenta il partner preferito
e la piattaforma per sviluppare la propria presenza nel MO. Il Brasile è
l’incontestato leader del Sudamerica e la Turchia è membro della NATO, per cui
Washington, anche se non sempre in sintonia con questi due paesi, si sta convincen-
do di non avere sempre tutte le risposte, o tutte le risorse necessarie, per imporre la
10
. L’apertura della Turchia al continente nero ebbe inizio nel 2003, quando annunciò l’Anno
dell’Africa. Nel 2008, il Presidente turco Abdullah Gül ospitò a Istanbul il primo vertice della Coo-
perazione Turchia-Africa al quale parteciparono i rappresentanti di quasi tutti i paesi africani. Quello
stesso anno l’Unione Africana (UA) dichiarò la Turchia un partner strategico.
288
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
propria volontà. Entrambi sono cruciali per mantenere la stabilità nelle rispettive re-
gioni, ruolo che per la Turchia è cresciuto enormemente dopo la cosiddetta “Prima-
vera araba” e l’inizio della guerra civile in Siria.
L’Action Plan for a Strategic Partnership – firmato a maggio 2010 durante la
visita del Primo ministro Recep Tayyip Erdoğan a Brasília – rappresenta un comple-
to quadro di riferimento che nasce da una serie d’iniziative concrete realizzate dal
2004 ed è un documento politico che istituzionalizza e specifica la cooperazione tra i
due paesi, seleziona le aree d’intervento e indica la particolare importanza che en-
trambi riservano al loro partenariato. La realizzazione del Piano dovrebbe servire a
mantenere i legami tra i due paesi, che sicuramente potrebbero anche rafforzarsi se
essi provassero a cimentarsi con alcune delle più complesse questioni che in questo
periodo agitano la scena mondiale. In effetti, Lula e il Primo ministro Erdoğan han-
no subito sottolineato che per affrontare più efficacemente i problemi globali è ne-
cessario contestare e mettere in discussione gli esistenti paradigmi geopolitici e
coinvolgere nuovi attori. L’alleanza tra questi due paesi potrebbe, infatti, contribuire
alla ristrutturazione della governace globale. Durante la visita in Turchia a ottobre
2011 del Presidente Dilma Rousseff sono stati firmati una dichiarazione comune –
Turkey-Brazil: A Strategic Perspective for a Dynamic Partnership – e accordi relati-
vi a istruzione, trasporti e vari problemi riguardanti la criminalità. Durante questa
visita Rousseff ha caratterizzato le crescenti relazioni economiche e politiche tra i
due paesi come una “nuova geopolitica del mondo”, nel quale essi sono alla ricerca
di un nuovo ruolo nel processo decisionale internazionale. Ha quindi insistito
sull’opportunità che i due paesi coordinino le loro politiche per spingere gli attori
più importanti del G20, e soprattutto l’UE, a risolvere l’attuale crisi economica glo-
bale e ad accettare, in linea con la “nuova geopolitica”, l’ammissione delle potenze
emergenti nel processo decisionale.
Il Brasile e la Turchia hanno firmato svariati accordi economici, a partire dal
Trade, Economic and Industrial Cooperation Agreement del 1995 fino al Double
Taxation Prevention Treatment del 2010. I loro legami commerciali sono cresciuti
notevolmente, passando da circa $665 milioni nel 2005 a $2,9 miliardi nel 2011, per
raggiungere presto, si spera, $10 miliardi. Tra il 2001 e il 2011 le esportazioni brasi-
liane alla Turchia sono passate da $212 milioni a $2 miliardi e le importazioni da
$90 milioni a $884 milioni, con un saldo positivo della bilancia commerciale brasi-
liana del 2011 di circa $1,1 miliardi. Le principali esportazioni brasiliane sono state
metalli ferrosi e rottami ($630 milioni), olio di semi e frutti oleaginosi ($169 milio-
ni), fibre tessili e scarti ($147 milioni), veicoli da trasporto ($132 milioni), e cereali
preparati ($97 milioni). Le importazioni maggiori sono state: ferro e acciaio ($228
milioni), veicoli stradali ($209 milioni); fili, tessuti e prodotti lavorati ($87 milioni),
manufatti di minerali non-metallici (450 milioni), e vegetali e frutta ($39 milioni).
Secondo dati ufficiali turchi, nel 2011 lo stock degli IDE turchi in Brasile
ammontava a $56 milioni e cinque erano le imprese che vi operavano. Gli IDE bra-
siliani ammontavano invece a $539 milioni con 14 imprese attive in settori differen-
ti, come energia, immobiliare, manifattura, servizi, commercio al dettaglio e
all’ingrosso.
Molto promettente appare la loro collaborazione nel settore energetico. Infat-
ti, per ridurre la dipendenza dalle importazioni, la Turchia spera di potere utilizzare
le riserve d’idrocarburi nel Mar Nero e proprio la Petrobrás brasiliana possiede una
delle più sofisticate tecnologie per la trivellazione in mare aperto. Infatti, i due paesi
hanno firmato nel 2009 un accordo per l’esplorazione petrolifera nel Mar Nero, pro-
289
Il Brasile e gli altri
getto sul quale Petrobrás ha finora investito parecchie centinaia di milioni di dollari.
L’accordo TPAO-Petrobras (TPAO è la Compagnia petrolifera turca) per
l’esplorazione nel Mar Nero, valore stimato $800 milioni, concerne sia la coopera-
zione nel campo energetico sia il trasferimento tecnologico dal Brasile alla Turchia.
Nello stesso anno è stato creato un Consiglio turco-brasiliano. Chiaramente, il Brasi-
le “cerca un posizionamento nuovo, in prossimità dei mercati d’estrazione e di di-
stribuzione. In particolare in Iraq, dove, la compagnia di bandiera aveva già scoperto
il megagiacimento di Magnum” (Ansalone, 2008: 109).
I rapporti militari tra i due paesi sono ancora modesti, ma nel 2003 essi hanno
firmato un accordo per collaborare su questioni militari, campo potenzialmente aper-
to a una più intensa cooperazione tra le industrie della difesa dei due paesi, compresi
trasferimenti tecnologici e progetti congiunti. Dopo che nel 2010 la Turchia aveva
proposto a un’impresa brasiliana di collaborare alla produzione di aerei, all’inizio
del 2011 la stessa impresa è stata indicata come potenziale partner per la costruzione
del primo caccia turco. Indubbiamente, la cooperazione può aiutare entrambi a mo-
dernizzare le proprie forze armate. Oltre che al settore militare, la cooperazione si
sta muovendo anche a quello delle science, della tecnologia e dell’istruzione.
Entrambi i paesi preferiscono il soft power come strumento per guadagnare
influenza sulla scena mondiale e cercano di intrattenere relazioni amichevoli con
tutti i vicini, anche quando alcuni di essi non si comportano allo stesso modo, perché
la stabilità di queste zone è condizione necessaria perché i loro più dinamici e capaci
settori vi possano operare liberamente. Infine, il Brasile cerca anche il riconoscimen-
to e il rispetto degli USA, essenziale per realizzare la riforma del CS dell’ONU dove
vuole ottenere un seggio permanente, mentre la Turchia vuole essere riconosciuta
come il principale alleato degli USA nella propria regione, sebbene con ampio grado
di libertà.
Per concludere, la relazione tra questi due paesi rappresenta, sostiene Laza-
rou (2011: 1), “un caso particolarmente interessante del rimescolamento del potere
nell’ordine internazionale”.
I rapporti del Brasile con l’Australia sono gradualmente cresciuti, l’apertura di quelli
diplomatici rimonta al 1945, e l’intercambio commerciale è diventato consistente.
La politica estera e quella commerciale di entrambi i paese sono abbastanza simili, i
loro interessi coincidono in molte aree importanti ed essi cooperano su svariate que-
stioni d’interesse multilaterale come il cambiamento climatico e la riforma del
commercio agricolo nell’OMC tramite il gruppo Cairns e il gruppo dei “cinque paesi
interessati” (FIPs), di cui sono membri con l’UE, gli USA e l’India.
I due paesi collaborano anche nel G20 e nelle istituzioni finanziarie interna-
zionali affinché le istanze dei PVS possano esservi più ascoltate. Nel 2010 hanno
approvato un MOU che li lega in un partenariato strategico e trasforma i loro incon-
tri annuali o biennali d’alto livello in un dialogo strategico per uno scambio di idee
su importanti questioni regionali e multilaterali. Nel 1998 firmarono un MOU per
facilitare gli scambi bilaterali di prodotti agricoli. A questo ne seguì un altro nel
2001 per un programma di cooperazione nel campo della scienza e della tecnologia
e nel 2005 un altro ancora per la cooperazione nel campo dell’’istruzione. Nel 2011
più di 15 mila studenti brasiliani erano iscritti in università, scuole professionali e
290
Brasile e Asia, Medio Oriente e Oceania
d’inglese australiane. Nel 2009 quasi 26 mila brasiliani hanno visitato l’Australia e
circa 13 mila australiani sono stati in Brasile.
Nel 2001, il governo australiano decise di creare un Council on Australia-
Latin America Relations (COALAR) che dall’inizio è stato molto attivo nel pro-
muovere l’AL come un mercato per gli esportatori australiani e in Brasile ha soste-
nuto una serie di attività culturali ed eventi di promozione commerciale. L’Australia
partecipa anche al dialogo CER-MERCOSUR, un meccanismo istituito nel 1996 per
rafforzare la cooperazione su questioni commerciali globali e promuovere scambi di
merci e investimenti inter-regionali. Entrambi sono membri del Forum for East
Asia-Latin America Cooperation (FEALAC) che mira a migliorare la mutua com-
prensione, il dialogo politico e la cooperazione tra i paesi delle due regioni. Dagli
anni ’70 un piccolo ma crescente numero di brasiliani è emigrato in Australia, dove
la comunità brasiliana è composta da circa 7.500 nati in Brasile e circa 6.500 di-
scendenti da brasiliani.
Dalla metà degli anni ’90 i rapporti commerciali tra i due paesi sono costan-
temente cresciuti, specialmente nei settori minerario, agrobusiness e servizi. Nel
2011 il loro interscambio ha raggiunto 2,2 miliardi di dollari australiani: 1,4 miliardi
le importazioni e 0,8 miliardi le esportazioni del Brasile, la cui bilancia commerciale
presenta quindi un disavanzo. Le principali importazioni brasiliane sono carbone
(40%), petrolio greggio (16%), nastri arrotolati di ferro e acciaio e apparecchiature
elettriche, mentre le principali esportazioni sono minerali ferrosi e concentrati
(26%), caffè e sostituti, apparecchiature d’ingegneria civile e medicine. L’Australia
occupa il 46° posto nelle esportazioni e il 25° nelle importazioni del Brasile che ad
ogni modo risulta il maggiore partner commerciale dell’Australia in Sudamerica.
Tra il 2004 e il 2008 la tariffa media applicata dal Brasile è aumentata da 10,4% a
11,5%, ma nello stesso periodo la tariffa più alta è passata da 55% a 35%.
Nel 2011 gli investimenti australiani in Brasile sono risultati pari a 16,5 miliardi di
dollari australiani, mentre quelli brasiliani pari a 1,1 miliardi. Le maggiori imprese
australiane presenti in Brasile includono BHP Billiton, Macquarie, Pacific Hydro,
Rio Tinto and Westfield, quelle brasiliane in Australia sono JB Swift e Vale, ma
l’espansione dei loro investimenti è ostacolata dalla scarsa reciproca consapevolezza
e dalla mancanza di voli diretti tra i due paesi.
***
Anche i rapporti diplomatici del Brasile con la Nuova Zelanda sono decennali ma le
relazioni bilaterali si sono rafforzate dopo che il governo neozelandese presentò ad
agosto 2001 la Latin American Strategy e aprì, come indicato dalla strategia, una sua
ambasciata in Brasile che invece ne aveva una a Wellington dal 1997. I due paesi
collaborano in svariati processi multilaterali, particolarmente nell’OMC e nei nego-
ziati sul cambiamento climatico e alla fine del 2001 firmarono un MOU per regolare
la cooperazione scientifica e tecnologica
Il loro interscambio resta modesto, ma la relazione economica è fortemente
basata su investimenti, accordi per le licenze tecnologiche e scambio di servizi. Nel
2001, il valore delle importazioni brasiliane dalla Nuova Zelanda non ha superato i
$57 milioni di dollari neozelandesi – principalmente radio-telefoni elettrici, appa-
recchi agricoli, macchine per la mungitura e per i prodotti caseari, lavastoviglie e
altri macchinari – e quello delle esportazioni 156 milioni neozelandesi – soprattutto
zucchero, pizze di soia, olio di semi e altri derivati della soia, succhi di frutta, caffè,
291
Il Brasile e gli altri
292
8. Brasile e Africa
8.1 INTRODUZIONE
L’interesse brasiliano per l’Africa affonda le radici nella tratta degli schiavi, dalla
quale nasce il “debito storico” del paese con il continente nero – vedi Approfondi-
mento 1.1. – cui accennò Lula introducendo la nuova politica estera per quella re-
gione, quando visitò 27 paesi durante il suo primo tour africano del 2003 e dove è
tornato anche a febbraio 2011 come ex Presidente per partecipare al World Social
Forum in Senegal.
In effetti, Lula operò una completa revisione di questa storica eredità accol-
landosene il debito e allo stesso tempo riaffermando il contributo dell’Africa e dei
discendenti degli africani alla formazione sociale brasiliana. Poiché nell’emisfero
occidentale il Brasile ha ricevuto il numero maggiore di schiavi, maggiore perfino di
quello avuto dagli USA, forte e irreversibile è il legame culturale del paese con
l’Africa. Assegnando priorità a quel continente, come parte della più ampia strategia
volta a rafforzare la cooperazione Sud-Sud e a ottenere la leadership del terzo mon-
do, Lula ha valorizzato la componente africana della società brasiliana e il contribu-
to di tale componente all’affermazione della sua cultura. In questo modo, l’Africa ha
guadagnato un valido alleato per conquistare autonomia e superare l’attuale dipen-
denza e marginalizzazione. Sono state sviluppate, quindi, relazioni bilaterali e multi-
laterali relative a commercio, investimenti, petrolio, minerali, infrastrutture, sanità,
scienze e tecnologia, diplomazia e sicurezza.
Quando, invece, nella seconda metà del secolo passato il Brasile cominciò a
riscoprire l’Africa, il paese non era ancora venuto a patti con i suoi discendenti afri-
cani e non ne aveva ancora accettato l’eredità, cioè i legami storici e culturali ed era
quindi completamente impreparato a costruire un rapporto con il continente nero1
(Stuenkel, 2012: 30). Nei primi anni ’60 il Presidente Quadros, riprendendo le idee
del secondo governo Vargas sulla dimensione strategica del rapporto con l’Africa,
immaginò la costruzione di una “Comunità atlantica”, basata sul principio di libertà
e democrazia per tutti, per cui quel continente veniva ad assumere un posto rilevante
nella politica estera brasiliana2. In effetti, fu l’amministrazione Quadros a definire
con la PEI un’alternativa al sostegno dato al colonialismo portoghese dalle prece-
denti amministrazioni e lo fece proprio quando nelle colonie portoghesi in Africa
cominciavano le violente sollevazioni per l’indipendenza. Con la PEI il Brasile
1
. In quel periodo, il Brasile non aveva nemmeno un diplomatico di discendenza africana per attuare
questa politica, così come le università scarseggiavano di esperti in storia e cultura africana.
2
. Nel 1961 al ministero degli Esteri, o Itamaraty, fu creata una nuova unità amministrativa, la
Divisione dell’Africa.
293
Il Brasile e gli altri
294
Brasile e Africa
Oggi, il Brasile è il solo paese latinoamericano con una politica estera specifi-
camente diretta all’Africa e le attività che vi svolge ricevono sempre più attenzione,
qualunque sia il suo interesse per quel continente. Con la sua politica estera il Brasile
si augura di ripagare il debito storico tramite accordi di cooperazione che riguardano
l’agricoltura, la medicina tropicale, l’addestramento tecnico, l’energia e la protezione
sociale, e le multinazionali brasiliane e le ONG sono state spinte a includere l’Africa
nei loro piani. Frattanto, l’Africa sta dimostrando di poter affrontare la crisi globale e
molti dei suoi paesi presentano sostenuti tassi di crescita. Se questo spiega gli investi-
menti nelle infrastrutture e nella cooperazione in capacity-building, dimostra anche
che l’interesse per l’Africa non è dettato esclusivamente da solidarietà politica e cultu-
rale ma da solide ragioni economiche. Ragioni che sono dettate dal fatto che il paese
ha ormai adottato un modello di sviluppo che dà grande importanza a un ristretto
gruppo d’imprese, come Petrobrás e Vale, con portata multinazionale.
Dall’inizio, il governo Lula assegnò un posto privilegiato all’Africa e con
una visione strategica e una coerente prospettiva gettò le basi del rapporto Brasile-
Africa, rapporto che poi divenne il punto focale della cooperazione Sud-Sud. Com-
binando elementi idealistici e realistici, l’approccio di Lula mirava a rafforzare le
relazioni Sud-Sud, bilaterali e multilaterali, per bilanciare l’eccessivo potere delle
grandi potenze tradizionali, allo stesso tempo riconoscendo che il mercato africano
era potenzialmente importante per le imprese brasiliane. Ad ogni modo, più della
metà degli interventi di cooperazione tecnica del Brasile è realizzata in Africa.
La politica brasiliana di rapprochement con l’Africa presenta almeno tre
elementi innovativi: (i) l’abbandono di atteggiamenti culturalmente discriminatori
per un approccio più strutturale e pragmatico alla cooperazione con le nuove elite
africane; (ii) l’attivismo della società civile sia in Brasile che in Africa, tanto che le
ONG stanno sviluppando nuovi canali per la cooperazione allo sviluppo; e (iii) la
preeminenza assegnata a commercio, cooperazione e contatti politici tra stabili stati
democratici non deve far dimenticare il debito politico ed emozionale accumulato
dal Brasile con la tratta degli schiavi esercitata per vari secoli (Stuenkel, 2012: 31).
Nonostante la presenza di legami storici e culturali, che rappresentano un
vantaggio comparato, in realtà la politica africana del Brasile è in gran parte volta ad
assicurare materie prime e mercati d’esportazione per sostenere la sua crescita eco-
nomica. Inoltre, stringendo i rapporti con i paesi del continente nero il Brasile mira a
ottenere il sostegno dei governi africani per le proprie ambizioni politiche, in parti-
colare il seggio permanente nel CS. D’altro canto gli interessi brasiliani e africani
coincidono quando si tratta di sussidi agricoli e protezionismo, per cui il Brasile può
essere utile al continente nei futuri negoziati commerciali internazionali.
Il governo di Dilma Rousseff – che già nel suo primo anno da Presidente ha
visitato Angola, Mozambico e Sudafrica e tre visite si sono susseguite nella prima
metà del 2013 – sembra fermamente deciso non solo a continuare, ma anche a mi-
gliorare e approfondire i rapporti esistenti con i paesi africani, rapporti che Fernando
Pimental, ministro di Sviluppo, Commercio e Industria, ha definito “strategici”. Per
aumentare i legami economici, nelle sue ultime visite al continente nero, Rousseff
ha cancellato quasi $900 milioni di debiti, risalenti agli anni ’70, a vari paesi africa-
ni, tra i quali Congo-Brazzaville, Tanzania e Zambia.
295
Il Brasile e gli altri
Le relazioni economiche del Brasile con l’Africa non sono una novità, ma erano re-
state sempre insignificanti, tanto che all’inizio degli anni ’70, il continente nero rap-
presentava appena il 2% circa dell’intercambio brasiliano. A metà degli anni ’80
questa percentuale era salita al 10% circa, maggiore anche di quella dei paesi vicini
(Saraiva, 20120: 21). Cresceva intanto l’interesse delle imprese esportatrici brasilia-
ne che consideravano l’Africa il passaggio necessario per l’inserzione commerciale
nel Terzo mondo, un progetto per il quale interagivano le agenzie statali e le imprese
pubbliche e private.
Come visto sopra, dalla seconda metà degli anni ’80 e tutti i ’90 l’interesse
del Brasile per l’Africa si raffreddò: le relazioni politiche subirono un declino e la
quota dell’intercambio sul commercio totale brasiliano tornò al 2% degli anni ‘703.
In realtà, il Brasile stava inseguendo altre priorità, specialmente l’integrazioniste in
Sudamerica, che lo portarono a limitare la partecipazione allo sviluppo africano, de-
cisione influenzata anche dall’“afro-pessimismo” che segnò la decade, quando si
riteneva inutile continuare a cercare un dialogo produttivo con un continente sempre
più povero e incapace di partecipare attivamente alla vita internazionale di fine mil-
lennio (Saraiva José, 2012: 23). Il Presidente Collor (1990-92) era solamente inte-
ressato a rafforzare i legami con gli USA e il Presidente Cardoso non assegnò a quel
continente nessuna priorità nell’ambito del nuovo scenario post Guerra fredda che si
stava sviluppando. Tuttavia, durante il suo secondo mandato, Cardoso intraprese al-
cune azioni, in seguito migliorate dall’amministrazione Lula. Dal 1995 le forze ar-
mate brasiliane presero parte in varie missioni di peacekeeping dell’ONU in Angola
e in altri paesi africani e l’anno seguente, il Presidente Cardoso visitò l’Angola e il
Sudafrica, dove firmò vari accordi di cooperazione. Quando Mandela ricambiò la
visita fu chiaro che il Sudafrica stava diventando un importante partner del Brasile.
Un nuovo capitolo nelle relazioni del Brasile con l’Africa, che rifletteva un
mutato posizionamento del paese rispetto all’ordine internazionale e alle riforme so-
ciali interne, fu aperto dal Presidente Lula che all’inizio del suo primo mandato
identificò l’Africa come una priorità, conscio delle opportunità per la diversificazio-
ne del commercio del paese che il continente nero offriva (Visentini, 2009: 3-4)4. Di
conseguenza, nel periodo 2000-08 l’interscambio Brasile-Africa si è più che sestu-
plicato, passando da $4,2 miliardi a $25,9, raggiungendo infine $27,6 miliardi nel
2011 – dopo che la crisi l’aveva notevolmente ridotto nel 2009-10. Per l’Africa, pe-
rò, il primo partner commerciale in assoluto è la Cina, seguita a distanza dall’India,
per cui il Brasile occupa solo il terzo posto.
Gli scambi commerciali sono aumentati notevolmente, ma le esportazioni
africane restano confinate a un numero limitato di prodotti, mentre le importazioni
sono passate da $1,4 miliardi nel 2001 a ben $12 miliardi nel 2011, pari al 4,7%
dell’export totale brasiliano. I manufatti costituiscono tre quarti delle esportazioni
brasiliane in Africa. Se negli anni ’90 le esportazioni brasiliane superarono le impor-
3
. Tra il 1985 e il 1990, la quota africana nelle esportazioni brasiliane si ridusse dal 7,9% al
3,2%, quella nelle importazioni dal 13,2% al 2,8% mentre la quota africana nel commercio totale
brasiliano tornò al livello degli anni ’50 e ’60.
4
. Accogliendo le richieste del Movimento Negro e rispondendo al crescente interesse del pub-
blico brasiliano per l’Africa, Lula conquistò il voto afro-brasiliano che contribuì non poco alla
sua vittoria elettorale del 2002.
296
Brasile e Africa
tazioni, dal 2000 la situazione si è invertita, salvo nel 2009, e il deficit brasiliano è
diventato consistente e, negli ultimi anni, crescente, toccando un massimo di $5,6
miliardi nel 2008. Più dell’80% delle esportazioni africane sono minerali, petrolio e
gas, mentre le importazioni dal Brasile sono prodotti agricoli, come zucchero, latti-
cini, carne e cereali, più auto e pezzi di ricambio (AfDB, 2012: 2). Nel 2010 la quota
dell’Africa nel totale delle esportazioni brasiliane è stata 4,6%, mentre quella delle
importazioni 6,2%. Nell’ultima decade, la bilancia commerciale brasiliana è stata
costantemente attiva per quanto concerne gli scambi con l’Angola, il Sudafrica e
l’Egitto, mentre è stata sempre più passiva con la Nigeria e l’Algeria a causa delle
crescenti importazioni di petrolio (Seibert, 2012: 11-13). I maggiori partner com-
merciali del Brasile sono Nigeria (32%), Angola, (16%), Algeria (12%), Sudafrica
(10%) e Libia (7%), con le esportazioni dei primi tre paesi rappresentate essenzial-
mente da petrolio.
All’aumento dell’interscambio ha probabilmente contribuito la maggiore sta-
bilità politica di molti paesi africani, che ha permesso la crescita del loro reddito,
grazie principalmente allo sfruttamento delle risorse naturali. Gli scambi commer-
ciali del Brasile continuano a essere concentrati, però, su alcuni paesi africani, la
maggior parte esportatori di petrolio e dal 2007 la quota dell’Africa nel commercio
totale brasiliano è diminuita. Le esportazioni brasiliane potrebbero crescere ulte-
riormente se oltre alle ex colonie portoghesi, il Brasile puntasse ad altri paesi come
l’Egitto o l’Etiopia. Il Brasile deve, però, rendere sostenibili gli scambi con l’Africa,
riducendo il notevole disavanzo africano tramite maggiori linee di credito e garanzie
per le esportazioni. Purtroppo, però, il notevole aumento delle riserve brasiliane
comporterà una riduzione delle importazioni di petrolio appena saranno costruite le
raffinerie per trattare il pesante greggio nazionale.
Tuttavia, la ricerca di nuovi mercati e di opportunità d’investimento spingerà
le imprese brasiliane a espandere le attività in Africa. Infatti, usando i paesi lusofoni,
cioè Angola e Mozambico, come teste di ponte, le imprese brasiliane, private e sta-
tali, si stanno diffondendo sul continente, operando specialmente in settori strategici
come infrastrutture, miniere ed energia. Ora ci sono più di 500 imprese brasiliane
attive, da 13 che erano nel 1995, molte delle quali considerano l’Africa non solo una
importante destinazione per le loro esportazioni e per i loro investimenti, ma anche
un luogo dove utilizzare le conoscenze e la competenza in campi quali idroelettrici-
tà, produzione d’energia e costruzioni. Più specificamente, Nigeria, Algeria e Ango-
la richiedono merci e prodotti alimentari, il cui valore è cresciuto da $1 miliardo nel
2000 a $8 miliardi nel 2008. Frattanto, gli investimenti brasiliani hanno raggiunto
gli $8 miliardi, concentrati nella produzione di cemento in Angola e Mozambico.
All’Angola sono state inoltre concesse linee di credito per $2 miliardi. Nel 2010, le
entrate dell’impresa brasiliana Odebrecht in Angola hanno superato $3 miliardi, do-
vute a operazioni centrate specialmente nell’ingegneristica, costruzioni industriali e
commerciali, biocarburanti ed estrazione di diamanti. Inoltre l’Odebrecht ha recen-
temente iniziato la costruzione di un aeroporto per il trasporto di merci a Nacala, nel
centro-nord del Mozambico, e ha firmato un accordo di $1 miliardo per costruire
una ferrovia nel Malawi per il trasporto di carbone in Mozambico, paese al quale
recentemente sono stati concessi $300 milioni per la produzione di biocarburanti. La
stessa impresa partecipa con Vale all’esplorazione di carbone, un investimento di
$1,6 miliardi. Quest’ultima ha in programma investimenti, entro il 2015, per $15-20
miliardi nel rame, nel minerale ferroso, nel sistema ferroviario e in una centrale elet-
trica. Ottimi sono i rapporti economici e politici con il Sudafrica, con il quale sin dal
297
Il Brasile e gli altri
gennaio 1948 esistevano relazioni, ma che l’arrivo della democrazia, Cardoso decise
di sviluppare in tempi brevi relazioni bilaterali – vedi 8.4.
Negli ultimi anni, gli scambi commerciali dell’Algeria con il Brasile sono
cresciuti in forma esponenziale. Il valore delle esportazioni energetiche al Brasile è
aumentato da circa €797 milioni nel 2001 a €2,3 miliardi nel 2011, mentre le espor-
tazioni brasiliane, specialmente quelle alimentari, durante lo stesso periodo sono
passate da circa €150 milioni a quasi €1,3 miliardi. Così il Brasile occupa ora il 4°
posto tra i paesi ai quali sono dirette le esportazioni algerine e il 5° tra quelli che ri-
forniscono l’Algeria. Questo commercio dovrebbe continuare a espandersi grazie
all’accordo di libero scambio che i due paesi hanno firmato all’inizio del 2012. Il
gas algerino dovrebbe aiutare il Brasile a far fronte alla domanda interna, riducendo
così la dipendenza dalla Bolivia di cui il paese si sente ostaggio.
Molti sono gli interessi comuni tra il Brasile e l’Africa. Quest’ultima ha biso-
gno di infrastrutture e il Brasile ha molte imprese di costruzione; ha vaste risorse pe-
trolifere e minerarie e imprese per estrarle, mentre la crescente domanda alimentare
delle classi medie emergenti in Africa attira i giganti dell’agrobusiness brasiliano. Il
notevole interesse della comunità degli affari brasiliana per l’Africa è dimostrato dai
crescenti investimenti effettuati – che nel 2009 hanno superato i $10, pari al 6,4%
degli IDE brasiliani – e che dopo essersi concentrati nei paesi lusofoni ora spaziano
su tutto il continente. Sei delle 20 maggiori imprese multinazionali brasiliane hanno
investito in Africa e operano in pochi settori strategici come energia, miniere, co-
struzioni e infrastrutture.
Il colosso petrolifero di stato Petrobrás è particolarmente interessato a ottenere
l’accesso ai consistenti giacimenti di petrolio in Angola, dove “era già presente con le
sue antenate dal 1979”, così come dal 1988 è in Nigeria, nel delta del Niger, e, più di
recente, in Guinea Equatoriale (Ansalone, 2008: 109). La Petrobrás è al momento pre-
sente in sette paesi della regione – Nigeria, Angola, Guinea Equatoriale, Libia, Tanza-
nia, Mozambico e Senegal –, lavorando con imprese locali e straniere. Il Brasile è
convinto del grande potenziale offerto dai biocarburanti, come etanolo e biodiesel, per
la trasformazione economica e sociale africana e per la riduzione contemporaneamente
del riscaldamento globale. Inoltre, nei paesi senza idrocarburi i biocarburanti potrebbe-
ro rappresentare un’importante alternativa per la produzione d’energia.
Vale – la maggiore impresa di minerale ferroso al mondo con $7,7 miliardi
già investiti in nove paesi africani – ha recentemente speso $2,5 miliardi per acquisi-
re la quota di maggioranza in una divisione dell’impresa mineraria BSG Resources
in Guinea. Inoltre, sempre Vale sta pianificando investimenti per più di $8 miliardi
in Mozambico, il paese dove si concentra il maggior numero d’investimenti brasi-
liani, in miniere di carbone e ferrovie, e nel 2011 ha annunciato piani di investimenti
per più di $20 miliardi nei prossimi 5 anni. Simandou, il maggiore progetto di Vale
per il minerale ferroso in Guinea è fermo, però, perché nel 2011 il governo locale ha
aumentato notevolmente le tasse sulla produzione mineraria (Selvanaygam, 2011).
Gli investimenti brasiliani sono sempre più attratti dal Ghana, Petrobrás e la Centrais
Eletricas Brasileiras (Eletrobras) stanno considerando nuovi progetti in Africa e
quest’ultima sta progettando la costruzione di una centrale idroelettrica di $6 miliar-
di in Mozambico, possibilmente con il finanziamento di BNDES. Al momento, Pe-
trobrás produce 2 mila barili di petrolio al giorno in Angola e 58 mila in Nigeria, ma
ha anche progetti per biocarburanti in Mozambico e per esplorazioni petrolifere in
Benin e Gabon. Al Kenya sono stati prestati $150 milioni per costruire strade e ri-
durre la congestione nella capitale, Nairobi; un nuovo accordo per la sicurezza pre-
298
Brasile e Africa
299
Il Brasile e gli altri
Le intense relazioni che il Brasile intrattiene con i paesi africani. sono diffe-
renziate e vanno oltre gli aspetti commerciali ed economici. Infatti, il governo sta
mettendo a disposizione di vari paesi africani l’esperienza acquisita nella lotta alla
povertà e nel trattamento di HIV, così che essi, a cominciare da Guinea Bissau, Mo-
zambico e Angola, possano sviluppare o migliorare i propri programmi.
Questa cooperazione ha anche l’obiettivo di accrescere la produzione alimen-
tare utilizzando i terreni sui quali prima si coltivava il cotone, il che rinforza la posi-
zione africana e aiuta il Brasile a portare avanti nell’OMC la battaglia contro i sussi-
di che i paesi sviluppati concedono ai propri produttori di cotone. Contando sulla
notevole esperienza maturata in Brasile, EMBRAPA coltiva il riso in Senegal, che
dovrebbe diventare un modello per il resto del continente, e insieme alla giapponese
ProSavana lavora per sviluppare le vaste praterie del Mozambico. Inoltre, EMBRA-
PA collabora per migliorare capacità, perizia tecnica e sicurezza agricola, come ha
fatto con il “Cotton 4” (C4), ovvero il gruppo dei quattro produttori di cotone
dell’Africa occidentale – Benin, Burkina Faso, Ciad e Mali, paesi molto poveri che
dipendono dall’esportazione di questo prodotto – dove sta investendo $4 milioni per
creare una fattoria modello. Infine, l’organizzazione brasiliana Serviço Nacional de
Aprendizagem Industrial (SENAI) è sempre più attiva su tutto il continente e ha an-
che un programma di $20 milioni per l’istruzione, una scuola di polizia, e strutture
scolastiche in Guinea Bissau (Selvanayagam, 2001). Esempio significativo di una
cooperazione alla quale partecipano anche istituzioni private è il progetto della Fun-
dação Oswaldo Cruz (Fiocruz) per produrre il trattamento di HIV in Mozambico,
dove nel 2002 quasi il 12% della popolazione risultava contagiata.
Secondo l’ONU, le iniziative brasiliane sono attualmente circa 300, distribui-
te su 37 nazioni africane, contro le 21, su sette paesi, del 2002. Il Brasile combatte la
malaria in Guinea Bissau, ha accordi di partenariato per il trattamento dell’AIDS
con l’Angola e il Mozambico e fornisce medicinali a basso prezzo a molti altri paesi.
È in questo continente che la sua cooperazione è più forte e in Ghana, Mo-
zambico, Senegal e Mali EMBREPA mantiene, insieme all’ABC, personale per
coordinare i programmi di sicurezza alimentare. Per questo il Brasile ha portato a 37
il numero delle proprie ambasciate su questo continente – dove si trovano sei dei
suoi 21 centri culturali (Centros Culturais Brasileiros) nel mondo –, mentre quelle
africane a Brasília sono 34. Il Brasile è poi un attore centrale nella diffusione di atti-
vità concernenti i biocarburanti e insieme all’UE ha lanciato un’associazione per
produrre in Africa bioetanolo da esportare in Europa. Nel complesso, l’Africa assor-
be il 54% circa dei fondi sborsati dall’ABC, più di quanto vada ai paesi dell’AL5.
Tra scambi culturali6 e crescenti prestiti, la spesa annuale dell’assistenza brasiliana
supera $1 miliardo. Dal 2003 al 2009 il numero degli accordi di cooperazione tecni-
ca è passato da 23 a 413. In sintesi, il Brasile ha cercato di conquistare alleati con
crediti, aiuti, scambi commerciali e investendo molto in petrolio e infrastrutture, ma
per questo è stato a volte criticato e accusato di appoggiare governi che violano i di-
ritti umani o di vendere armi.
5
. Cominciano, però, a sorgere problemi circa la trasparenza dei fondi trasferiti, come dimostra
l’inchiesta recentemente aperta sulla sparizione di $ 300 mila passati attraverso l’ambasciata
brasiliana di Harare, Zimbabwe.
6
. Sfortunatamente numerosi sono i casi di studenti africani in Brasile insultati e aggrediti, il che
rimette in questione ancora una volta quel mito della “democrazia razziale” che pretendeva che il
Brasile, nel complesso, fosse rimasto immune dalla discriminazione così comune in altre società.
300
Brasile e Africa
Il governo brasiliano ha anche attaccato i paesi sviluppati che con le loro pra-
tiche commerciali ostacolano la principale esportazione di Burkina Fasso, il cotone e
ha permesso a un’impresa privata angolana, la Somoil, di partecipare
all’esplorazione di idrocarburi nella Bacia do Recôncavo in Brasile, diventando così
la prima impresa petrolifera angolana a prender la strada dell’internazionalizzazione.
Per integrare Sudamerica e Africa, il Brasile ha poi promosso l’accordo di commer-
cio preferenziale del MERCOSUR con la Southern African Customs Union (SACU)
i cui membri sono Botswana, Lesotho, Namibia, Sudafrica e Swaziland – vedi 8.4.
Le imprese brasiliane cercano di distinguersi da quelle cinesi – che spesso im-
portano dalla Cina tutti, o la gran parte, dei lavoratori di cui hanno bisogno – impie-
gando e addestrando manodopera locale, come fa, per esempio, l’Odebrecht, il mag-
giore datore di lavoro privato in Angola, dove ha costruito l’impianto idroelettrico di
Capanda. Oltre che in Angola, Odebrecht opera in Ghana, Liberia, Libia e Mozambi-
co, ha completato progetti in Botswana, Congo, Gibuti, Gabon e Sudafrica e ha inve-
stito in diamanti, biocarburanti e costruzione di abitazioni e impianti commerciali.
Gli investimenti brasiliani in Africa sono, però, concentrati soprattutto nel
settore minerario, in quello del petrolio e gas e nelle infrastrutture e provengono da
poche grandi imprese, cioè Andrade Gutierrez, Camargo Corrêa, Odebrecht, Petro-
brás, Queiroz Galvão e Vale che, godendo accesso diretto ai governi e maggiore ca-
pacità di superare le difficoltà burocratiche, ostacolano l’ingresso delle piccole e
medie imprese (Stuenkel, 2012). Malgrado che la presenza brasiliana sia di gran
lunga inferiore a quella cinese e che il Brasile sia interessato principalmente a diver-
sificarsi, a causa della concentrazione dei suoi interessi nei settori minerario e petro-
lifero corre il rischio di essere visto come una nuova potenza coloniale.
Fino agli anni ’90 nella logica del conflitto Est-Ovest l’importanza strategica
dell’Atlantico era notevole e l’Occidente considerava la presenza brasiliana essen-
ziale per controbilanciare l’influenza sovietica nella regione, “offrendo
un’opportunità unica al Brasile per occupare il vuoto lasciato dalle potenze colonia-
li”. La stessa PEI considerava la dimensione della sicurezza nella politica africana
del Brasile. Dopo il golpe del 1964, “i militari, e specialmente la Marina, elaboraro-
no una dimensione geopolitica dell’Atlantico che dava priorità all’Atlantico ‘bian-
co’, cioè Sudafrica e colonie portoghesi, giacché l’Africa nera era vulnerabile
all’influenza comunista”. Nasceva così “l’idea della comunità afro-luso-brasiliana
per accrescere il potere del Brasile”, benché il mantenimento dell’influenza brasilia-
na nell’Atlantico dovesse avvenire con mezzi pacifici – senza interferenze esterne e
patti collettivi di sicurezza – ed economici (Lechini, 2006: 132-33).
L’interesse per il Sud, ampiamente manifestatosi con il riconoscimento
dell’indipendenza delle colonie portoghesi nel 1975, fece del Brasile un paese “ami-
co dell’Africa”. Di conseguenza, Itamaraty e la Scuola superiore di guerra rividero
lo schema di difesa e sicurezza dell’Atlantico. Nel 1986, su iniziativa brasiliana, fu
creata la Zona de Paz y Cooperación del Atlántico Sur (ZPCAS)7, per prevenire la
7
. Oltre a Brasile, Argentina e Uruguay, i membri della ZPCAS sono tutti i paesi africani bagnati
dall’Atlantico, salvo il Marocco.
301
Il Brasile e gli altri
8.4. SUDAFRICA
Il Sudafrica ha avuto un ruolo importante nella politica brasiliana verso i paesi afri-
cani, come dimostrato dal fatto che a metà del XX° secolo il 90% del commercio
brasiliano con il continente aveva luogo proprio con questo paese. Con la fine del
regime dell’apartheid i rapporti economici tra i due si sono rafforzati e successiva-
mente la crescita economica del Sudafrica e il suo emergere come potenza regionale
hanno portato a un sostanziale aumento delle relazioni sia politiche che economiche.
Essendo non solo la maggiore economia africana, ma anche un privilegiato
punto di connessione con il continente, il Sudafrica costituisce un potenziale grande
mercato per le esportazioni brasiliane. Infatti, lo sviluppo dell’economia sudafricana
ha aumentato la domanda per le merci brasiliane il cui valore nel 2011 ha raggiunto
$1,6. Ancora più importante è la composizione di queste esportazioni: solo il 13%
sono prodotti di base, il 5% semi-manifatturati e il resto manufatti. Invece il Brasile
importa grandi quantità dei vari minerali di cui il Sudafrica è ricco, per cui sempre
8
. Espressione usata dal Presidente colombiano Marco Fidel Suárez (1918-21) per definire una
politica estera volta a legare strettamente le fortune del paese agli USA.
302
Brasile e Africa
nel 2011 le sue importazioni sono ammontate a $0,9 miliardi, principalmente mac-
chinari e prodotti minerali e chimici.
I rapporti economici dei due paesi contribuiscono a rafforzare gli scambi com-
merciali trilaterali dell’IBSA, nel 2007 ammontati a $10 miliardi e creano molte op-
portunità per esplorare sinergie tra i membri e quindi aumentare flussi commerciali e
investimenti. Per esempio, ad aprile 2009, con l’aiuto del Brasile, i paesi del SACU
hanno firmato un Accordo commerciale preferenziale con il MERCOSUR, uno dei
pochi accordi extra-regionali firmati da quest’ultimo. Il principale obiettivo
dell’accordo è facilitare l’accesso ai mercati da parte di entrambi i gruppi in modo da
aumentare gli scambi commerciali e i flussi d’investimenti. L’accordo ha, inoltre, un
ruolo strategico, in quanto costituisce una concreta base di partenza per futuri negozia-
ti relativi a un accordo di libero scambio tra i due blocchi e potrebbe servire come piat-
taforma per un eventuale accordo trilaterale di libero scambio tra i membri dell’IBSA.
Infine, il fondo per combattere la povertà creato da Sudafrica e Brasile, in-
sieme all’UNDP, ben rappresenta l’approccio brasiliano che considera la coopera-
zione cruciale per trasformare affinità e interessi comuni in concreti benefici per i
poveri di entrambi i paesi (Visentini, 2009: 9-10).
I brasiliani sembrano essere ben accetti in tutta l’Africa, ma la vera sfida è far sì che
questa situazione non muti al crescere degli investimenti e che il Brasile continui ad
esser visto come un partner e non come un nuovo colonizzatore o, peggio, torni a esse-
re considerato schiavista come in passato. Inoltre, il fatto che in Brasile la razza sia
ancora fonte di discriminazione sociale può influire negativamente sulla costruzione di
più stretti rapporti con i paesi africani. Infine, il Brasile deve cercare di evitare di ripe-
tere alcuni degli errori commessi dalla Cina, errori che stanno generando il risentimen-
to popolare in vari paesi africani.
Nello stesso Brasile, gli stretti rapporti con l’Africa sono visti in vari modi: di-
mostrazione che la solidarietà era alla base del programma sociale del Presidente Lula;
semplice diplomazia di prestigio; perdita di tempo e denaro; “diplomazia business”; e
anche “imperialismo dolce”, diverso dalla presenza cinese solo per forma e intensità.
Sweig et al. (2011: 61) riconoscono, invece, che “il crescente coinvolgimento
brasiliano in Africa offre un interessante e istruttivo modello di governance demo-
cratica e di sviluppo economico” e Mauricio Cárdenas, direttore della Latin Ameri-
can Initiative della Brookings Institution, reputa che gli interessi delle multinazionali
brasiliane non annullano il significato della genuina buona volontà politica del go-
verno di sviluppare solidi rapporti tra le due regioni. Per i paesi africani, quindi, il
Brasile “non costituisce nessuna minaccia”, anzi viene considerato l’unica potenza
emergente capace di ridurre le diseguaglianze socioe-conomiche, consolidando così
la stabilità sociale. Saraiva (2012: 137) arriva a sostenere che il Brasile “sta diven-
tando la voce degli interessi africani nel sistema internazionale”, il che sembra, però,
non tenere conto che gli interessi del Brasile tendono necessariamente sempre più a
divergere da quelli dei piccoli PVS.
Andando oltre gli aspetti commerciali, il Brasile potrebbe diventare un im-
portante partner dei paesi africani se, sostiene Visentini (2009: 11), riuscisse a supe-
rare alcuni ostacoli interni politici, economici e sociali, così come l’Africa potrebbe
essere estremamente utile al Brasile non solo sul piano economico, ma anche su
303
Il Brasile e gli altri
quello politico e culturale. Infatti, poiché le élites brasiliane sono ancora portate a
credere che il loro sia un paese “bianco, occidentale e cristiano”, per sviluppare la
propria identità i brasiliani, oltre che a ricevere studenti africani, dovrebbero manda-
re i propri studenti in Africa ed andarvi come turisti. Ad ogni modo, per rafforzare la
solidarietà interna nei paesi del Sud e l’affidabilità di questi nuovi rapporti è neces-
sario che vi siano interessi comuni tra le parti e che le loro relazioni internazionali
non ripristino il modello Nord-Sud, ma presentino una maggiore eguaglianza. In-
dubbiamente, però, non mancheranno forti tensioni tra la cooperazione
dell’Atlantico settentrionale che storicamente deriva dell’evoluzione dei rapporti
commerciali internazionali, e quella dell’Atlantico meridionale, collegata
all’integrazione sudamericana.
Con la corrente crisi globale il partenariato Brasile-Africa assume un mag-
giore significato, in quanto i paesi africani sono minacciati dalla riduzione dei prezzi
delle loro materie prime e degli investimenti esteri. In un momento così difficile è
possibile che questo rapporto si consolidi maggiormente, come sembra volere il
nuovo Presidente, o che si rompa definitivamente (Visentini, 2009: 12).
Negli ultimi anni il Brasile sta rafforzando la marina militare per meglio pro-
teggere le proprie risorse naturali offshore e le rotte marittime, vitali per il suo cre-
scente commercio internazionale – vedi Approfondimento 2.2. Di conseguenza, è
drammaticamente aumentata l’importanza strategica dell’Atlantico Meridionale, per
cui il governo brasiliano è interessato a definire una South Atlantic Security Space e
ha assegnato all’Africa una priorità strategica9. Tuttavia resta ancora da chiarire co-
me intenda esattamente utilizzare questa sua nuova forza, ma è chiaro che qualunque
sia la scelta, le relazioni Brasile-Africa ne saranno profondamente influenzate
(Stuenkel, 2012b). Nel caso si dovesse decidere di creare uno spazio di sicurezza
simile a quello della NATO – una “NATO del Sud” – molte e complesse risultereb-
bero le implicazioni.
Allo stesso tempo, la pirateria è diventata un problema globale che, quindi,
richiede uno sforzo concertato. Il traffico di droga lungo le coste africane non può
che aumentare per cui la Guinea Bissau rischia di diventare un narco-stato e altri
“stati falliti”, come la Somalia potrebbero, materializzarsi. Sulla scia delle scoperte
petrolifere nell’Atlantico Meridionale, la sicurezza è entrata anche nell’agenda dei
vertici IBSA, il che dovrebbe permettere di inquadrare in un ambito più ampio la
gestione di queste sfide.
***
9
. Dato che navi sempre più grandi non possono utilizzare il Canale di Panama, esse devono se-
guire la rotta del Capo di Buona Speranza. Questa rotta potrebbe essere controllata dal Brasile e
del Sudafrica, cosa che al momento nessuno dei due è in grado di fare.
304
Brasile e Africa
305
9. Organismi Internazionali e governance
globale
9.1. INTRODUZIONE
Dalla fine del regime militare il Brasile è diventato uno dei paesi che ha maggior-
mente partecipato alle iniziative multilaterali, anche utilizzando il crescente peso
economico per affermare la propria influenza su una serie di questioni globali, come
gli scambi commerciali e le questioni finanziarie, riscaldamento del globo terrestre e
sicurezza internazionale. Ma è stata la ricerca dell’integrazione sudamericana la
piattaforma strategica per ottenere un peso maggiore nelle organizzazioni interna-
zionali e di lì proiettarsi a livello globale. “In altre parole, per esercitare l’influenza
globale alla quale aspira, il Brasile deve fare in modo che la sua leadership naturale
venga riconosciuta prima di tutto nel contesto geografico regionale” (Sanchini,
2010: 197-98), proprio dove, però, è forse più difficile ottenerla.
Per aumentare le possibilità di riuscita, parallelamente al regionalismo suda-
mericano il Brasile sta cercando di coordinare e rappresentare altri PVS con una ri-
visitazione del concetto di cooperazione Sud-Sud sviluppato alla fine degli anni ’70.
Durante la presidenza Lula, il Brasile ha notevolmente esteso la presenza diplomati-
ca nel mondo in via di sviluppo, aprendo 37 nuove ambasciate e 25 nuovi consolati.
È aumentata, di conseguenza, la spesa da affrontare per la cooperazione internazio-
nale allo sviluppo che nel 2009 ha raggiunto in totale $362 milioni (pari a 0.02% del
PIL), con la maggior parte degli aiuti diretta ai paesi dell’ALC e dell’Africa, partico-
larmente i lusofoni.
Reclamando la democratizzazione delle istituzioni della governance globale
e un maggior ruolo per le potenze emergenti nella risoluzione di questioni
d’importanza geopolitica, il Brasile “cerca di rafforzare il multipolarismo e il ruolo
delle organizzazioni internazionali come istanze di ‘ordinamento mondiale’”, ma è
l’integrazione sudamericana “la base strategica di un progetto che punta a proiettare
il Brasile stesso, in quanto leader, oltre le frontiere regionali attraverso un maggiore
protagonismo del Sudamerica nel suo complesso. Si sposano dunque, in quest’ottica,
la ricerca di un peso maggiore nelle organizzazioni internazionali e l’adozione di
iniziative per consolidare l’integrazione regionale” (Sanchini, 2010: 195 e 198). Al-
lo stesso tempo, la costante integrazione nell’economia globale e la crescente demo-
cratizzazione del Brasile hanno aumentato il pluralismo della politica estera e il nu-
mero di voci che chiedono di essere ascoltate.
Durante il governo Lula il concetto di “autonomía por participación” si tra-
sformò in quello di “autonomía por diversificación”, che rifletteva l’intensa parteci-
pazione del Brasile in tanti organismi internazionali, nelle missioni di pace
dell’ONU, nella ricerca di un seggio permanente nel CS dell’ONU e
306
Organismi internazionali e governance globale
Dall’inizio degli anni ’90, i mutamenti avvenuti nel sistema politico ed economico
internazionale hanno rafforzato “l’universalismo come matrice concettuale della po-
litica estera brasiliana”. La strategia del Brasile, oltre ad assicurare al paese un posto
rilevante nella discussione dei temi principali dell’agenda globale, mira a rafforzare
il multipolarismo e il ruolo degli organismi internazionali come istanze dell’ordine
mondiale. Allo stesso tempo, il paese ha tentato di intensificare le proprie relazioni
con i nuovi poli del potere, sempre più importanti nella configurazione del sistema
internazionale.
Forte del suo tradizionale sostegno al multilateralismo negoziale, piuttosto
che al bilateralismo, e del suo più recente coinvolgimento nella cooperazione Sud-
Sud, il Brasile cerca di rafforzare le istituzioni multilaterali adeguandone la rappre-
sentatività alla nuova situazione geopolitica che sta emergendo. Infatti, il Brasile so-
stiene che in un mondo che sta diventando multipolare le istituzioni della governan-
ce globale – cioè FMI, BM, G8 e CS dell’ONU – mancano di legittimità e, quindi,
di efficienza proprio perché non riflettono più il globale equilibrio delle potenze. Per
affrontare questa situazione e promuovere le necessarie riforme, ha così stretto i
rapporti con altre nazioni emergenti per creare un nuovo ordine gerarchico che in-
cluda paesi di crescente importanza relativa.
La politica estera brasiliana è, quindi, caratterizzata da tre principi: multilate-
ralismo, sistema internazionale fondato sulle regole e rispetto della sovranità degli
altri paesi. Per il Brasile l’attuale sistema multilaterale è stato disegnato a immagine
del mondo sviluppato per cui non riflette la realtà del XXI° secolo. L’ascesa del G20
ha accresciuto le speranze di poter rimodellare le istituzioni globali esistenti e il Bra-
sile spinge perché esso resti il foro principale per le questioni economiche anche
dopo la crisi e naturalmente si attribuisce il diritto di seder al tavolo centrale e di
avere un seggio permanente al CS dell’ONU. In risposta all’unilateralismo che era
tornato a dominare la politica estera statunitense, Lula ricorse al multilateralismo
come principio ordinatore della politica internazionale, ovvero per decentralizzare e
regolare il potere nella società internazionale.
Finora, gli sforzi brasiliani hanno prodotto risultati misti Da una parte, la di-
plomazia brasiliana ha contribuito (i) a ridistribuire, anche se di poco, il potere di
voto nell’FMI; (ii) a sostituire il G8 con un più rappresentativo G20 per la coordina-
zione economica internazionale; e (iii) a bloccare i tentativi degli USA e dell’UE di
307
Il Brasile e gli altri
***
1
. Il suo successore è l’ambasciatore brasiliano Roberto Carvalho de Azevêdo, nominato a metà
marzo 2013.
308
Organismi internazionali e governance globale
mercati per le merci brasiliane, riducendo la leva degli USA e dell’UE, mentre
l’aumento dei prezzi agricoli ha incoraggiato il paese insieme ad altri PVS a chiede-
re maggiori concessioni su questioni chiave, come i sussidi all’agricoltura. Per aver
appoggiato il compromesso proposto da Lamy a Ginevra a settembre 2000 il Brasile,
lodato per la leadership esercitata, consolidò la propria reputazione di duro ma
pragmatico negoziatore (Roett, 2010: 138). Ed infatti, la proposta di un programma
mondiale di lotta alla fame, avanzato all’inizio del 2004 da Lula a Ginevra ottenne
subito l’appoggio del Segretario generale dell’ONU Kofi Annan oltre a quello di
Sudafrica, India, Cile e Francia.
L’OMC resta la migliore opzione per gli interessi economici del Brasile per-
ché dovrebbe proteggerlo dagli abusi, risolvendo in modo giusto i conflitti senza ri-
corso alla violenza, tramite un organo di conciliazione (Dispute Settlement Body),
come è accaduto nel caso delle imprese farmaceutiche che hanno dovuto accettare la
violazione dei loro diritti di brevetto per ragioni di salute pubblica da parte dei PVS.
***
Per quanto riguarda la questione ambientale, le emissioni di gas serra del Brasile
non sono una conseguenza della produzione elettrica o delle auto, ma derivano dal
disboscamento della regione amazzonica2, un’area per la quale i militari hanno sem-
pre escluso ogni interferenza esterna, considerando, come attestato da un documento
della Scuola superiore di guerra, “i movimenti a favore degli indigeni e
dell’ambiente agenti delle forze internazionali che stanno cercando di minare la so-
vranità brasiliana sull’Amazzonia”. La decisione del governo Collor di organizzare e
ospitare a Rio de Janeiro a giugno 1992 la prima conferenza mondiale sul cambia-
mento climatico globale dimostrò, però, un ammorbidimento di questa posizione
brasiliana e il desiderio di smorzare le forti critiche che avevano accompagnato certi
suoi comportamenti ambientali. Il Brasile non esitava, però, a insistere sulla sovrani-
tà nazionale e il progresso economico e a dichiararsi pronto a resistere
l’imperialismo ambientale.
Nel 1997, il Trattato di Kyoto, modificato nel 2002, introdusse i crediti per le
emissioni di diossido di carbonio, una quota crescente dei quali vanno ai PVS e al
Brasile. Frattanto sono diminuiti i km2 di foresta disboscati ogni anno grazie al mi-
glioramento della politica federale e dei controlli, ma anche grazie alla pressante
azione degli ONG, all’accordo del 2008 con la Norvegia (“Program on Reducing
Emissions from Deforestation and Forest Degradation in Developing Countries”
(REDD)) e al prestito di $1,3 miliardi concesso nel 2009 dalla BM (Fishlow, 2011:
178-81).
Il Brasile ha inoltre continuato a esercitare un ruolo centrale nella Conferenza
di Copenhagen del 2009 proseguita poi a Cancún l’anno seguente, diventando un
2
. La quota brasiliana delle emissioni globali di CO2 dal 1960 a 2007 è aumentata da 0,5% a
1,2% e quindi è ancora molto bassa. Tale quota cresce, però, parecchio se si considera l’effetto
della “distruzione della foresta amazzonica, che libera immense quantità di CO2 e soprattutto ri-
duce la superficie forestale, che invece le assorbe”. Ad ogni modo, nel 2010 il 25% delle emissi-
oni brasiliane è stato prodotto dall’agricoltura e dall’allevamento, il 32% dalla produzione di
elettricità, un altro 35% è causato da deforestazione e uso della terra e il 5% dall’industria (God-
stein e Trebeschi, 2012: 193-96 Tab. 7.4).
309
Il Brasile e gli altri
leader in questo settore. Negli USA e in Europa, però, molti pensano che stia emer-
gendo un blocco meridionale ostruzionista guidato proprio dal Brasile.
Anche sul nucleare il Brasile ha assunto un ruolo di leader nel gruppo di na-
zioni – la “New Agenda Coalition” (NAC)3 – che alla VIa Conferenza per la Revi-
sione e la Proroga del TNP (2000) chiedeva alle potenze nucleari di dare nuovo im-
pulso alla realizzazione degli obiettivi del TNP, anzitutto quello del disarmo nuclea-
re completo. Infatti, sembra che, fa notare Di Franco (2010), siano proprio “le po-
tenze con arsenali atomici a non adempiere agli obblighi del trattato, creando un
precedente per i paesi che possono avere la tentazione dell’arma nucleare”.
Ormai, la presenza del Brasile è diventata necessaria e inevitabile in tutte le
sedi della governance globale, il che è certamente lodevole, ma, aggiunge Landau
(2010a), se si ottiene una tribuna dalla quale dirigersi a tutto il mondo, bisogna an-
che avere proposte concrete e realizzabili per la pace, la sicurezza e lo sviluppo so-
stenibile. Finora, dalla tribuna conquistata da Lula non si sono udite proposte di que-
sto tipo, per cui resta da vedere se e come l’amministrazione di Dilma Rousseff sarà
capace di approfittare di un’opportunità che il Brasile non aveva mai avuto prima –
vedi l’introduzione dell’RWP in 3.3.
3
. La NAC vide la luce nel 1998 a Dublino con la partecipazione di Brasile, Egitto, Irlanda, Mes-
sico, Nuova Zelanda, Sudafrica e Svezia, per creare un consenso internazionale sulle materie del
disarmo nucleare, così come previsto dal TNP. Il gruppo fu anche una risposta alle divisioni
Nord-Sud che paralizzavano i negoziati sul disarmo nucleare e sulla non proliferazione
all’interno degli incontri previsti dal TNP. Infatti, i paesi non militarmente nucleari non erano
convinti che si stessero compiendo sufficienti progressi in materia e che i cinque paesi ufficial-
mente nucleari stessero adempiendo i loro doveri previsti dall’articolo VI del Trattato stesso.
310
Organismi internazionali e governance globale
leadership è stato ostacolato da vari fattori: (i) la componente strutturale dei progetti,
cioè potenza militare ed economica, non è risultata sufficiente per ottenere il sostegno,
come insufficiente è apparsa la componente strumentale; (ii) l’approccio tecnico ha
mostrato i suoi limiti quando si è scontrato con rivali, come Venezuela, USA e Tai-
wan, disposti a compensare lautamente i possibili alleati; iii) le risorse chiave per isti-
tuzionalizzare la leadership sono state scartate dallo stesso Brasile che temeva che isti-
tuzioni comuni avrebbero rappresentato un legame troppo forte con vicini inaffidabili,
piuttosto che consolidare l’integrazione regionale; e, infine, (iv) la conseguente politi-
cizzazione delle sue strategie regionali sono state percepite come tentativi egemonici
piuttosto che come un’illuminata leadership volta all’interesse comune.
Di conseguenza, le ambizioni brasiliane sono diventate più difensive che of-
fensive. L’obiettivo principale non è più l’integrazione del Sudamerica in un blocco
regionale con una sola voce – incidentalmente quella del Brasile –, ma piuttosto la
ricerca di limitare i danni, cioè stabilizzare la regione prevenendo instabilità politica,
disordini economici e conflitti di frontiera. In altre parole, il regionalismo è diventa-
to il tentativo di “mantenere i vicini quieti” il che rappresenta la condizione neces-
saria perché il Brasile possa continuare a prosperare nell’arena globale. Costretto a
mitigare il rancore e la gelosia che questo genera nel continente, “il Brasile può aspi-
rare a un ruolo da protagonista sulla scena globale, ma deve andarci da solo”
Paradossalmente, anche se la sua ricerca della leadership regionale non è stata
coronata da successo, il Brasile è oggi ampiamente riconosciuto come un’emergente
potenza globale dai membri del G8 e dell’UE e nel paese comincia a essere invocata
una strategia che ne riduca la dipendenza da una regione così complicata.
In effetti, anche l’impatto del Brasile sul resto del mondo, in particolare sul
sistema internazionale appare relativamente meno significativo di quanto suggerito
dalla sua integrazione nell’economia mondiale, Il che è probabilmente dovuto al fat-
to che il suo peso nei rilevanti flussi di merci, servizi, tecnologie e capitali è risultato
realisticamente modesto rispetto al suo ruolo più vocale o abbastanza visibile in al-
cuni dei maggiori organismi mondiali. Allo stesso modo i cambiamenti che si stanno
verificando nell’economia globale a seguito dell’emergere di Cina e India stanno
avendo un impatto su settori produttivi del Sudamerica, con significative implica-
zioni per la strategia regionale del Brasile. Infatti, le importazioni di manufatti brasi-
liani nella regione stentano a restare competitivi con quelle proveniente dall’Asia. E
gli accordi commerciali stretti da alcuni paesi sudamericani con quelli asiatici non
hanno certamente contribuito a migliorare la già difficile posizione del paese (CE-
BRI e CINDES, 2007: 7).
Infine, le sfide che il Brasile deve affrontare derivano dalle iniziative di altri
paesi che mettono a repentaglio la stabilità economica e politica nella regione, come
la nazionalizzazione dell’industria degli idrocarburi in Bolivia; la priorizzazione de-
gli interessi interni rispetto alla cooperazione regionale esemplificata dal conflitto
tra Uruguay e Argentina per delle cartiere; e l’aumento della spesa militare che ri-
schia di scatenare una corsa al riarmo regionale4. Frattanto, però, la capacità brasi-
liana di finanziare l’integrazione regionale resta abbastanza limitata, per cui si sono
aperti ampi spazi per le iniziative diplomatiche bilaterali del Venezuela. E infine
4
. In verità, nel 2011 la spesa militare sudamericana in termini reali si è ridotta per la prima volta
dal 2003, riduzione dovuta, però, interamente al taglio del 25% del bilancio militare provvisorio
eseguito dal governo brasiliano per controllare l’inflazione (SIPRI, 2012: 154) e (IISS, 2012:
364 Tab. 27).
311
Il Brasile e gli altri
l’aumento della spesa militare della regione riduce la capacità di dissuasione del
Brasile e ne influenza la politica estera (CEBRI e CINDES, 2007: 9-10).
Vigevani e Ramanzini (2011: 150-51), sostengono che “i concetti alla base
della politica estera brasiliana, cioè universalismo e autonomia; gli sforzi fatti dal
governo di Lula per indebolire l’unilateralismo degli USA e degli altri paesi svilup-
pati; e le possibilità offerte dal crescente peso di paesi come la Cina, che ormai rap-
presentano nuovi rilevanti poli, hanno contribuito alla fine a ridurre il ruolo
dell’integrazione regionale quale strumento per raggiungere gli obiettivi universali-
sti della politica estera brasiliana”. Si moltiplicano, frattanto, nuovi interessi e do-
mande che, insieme alla trasformazione in atto sempre più veloce, rendono la gover-
nance globale sempre più necessaria, ma anche sempre più complessa.
312
10. Conclusioni
L’interesse del mondo per il Brasile è dovuto al suo successo economico e alle sue
abbondanti risorse naturali. Stabilità macroeconomica, inflation targeting, cambio
fluttuante, indebitamento contenuto, ampie riserve estere, rapida crescita e stabilità
politica – grazie anche al consenso sociale assicurato dalla decisione d’investire en-
trate pubbliche nella popolazione marginale (la cosiddetta “globalizzazione con co-
scienza sociale”), contribuendo così ad ampliare la classe media e quindi i consumi
– sono le caratteristiche che hanno fatto del paese una rispettabile potenza economi-
ca. Se a questo si aggiungono riserve petrolifere che superano abbondantemente i 55
miliardi di barili, con il 60% di terre arabili del mondo non ancora utilizzate e il 25%
di acqua dolce, esso può sembrare un paradiso di opportunità in un’economia globa-
le sempre più in crisi. Il Brasile ha avuto molto successo nei suoi sforzi per ridurre
povertà e disuguaglianza, ma ora dovrebbe concentrarsi sulla modernizzazione del
settore scolastico per migliorare la qualità dell’insegnamento e ridurre il livello di
abbandono (drop-out) nella scuola secondaria. Invece, per ora la spesa per
l’istruzione e per la sanità è ancora di molto inferiore alla media dei paesi OCSE
(OCSE, 2011: 132). Nonostante, quindi, la sua importanza nel contesto regionale e il
crescente ruolo e presenza in molte questioni dell’agenda internazionale – tra le qua-
li, particolarmente politiche commerciali multilaterali, negoziati dell’OMC e pro-
blema ambientale – “potrebbe essere prematuro, scrive de Almeida (2010: 162), col-
locare il Brasile tra le maggiori potenze mondiali”.
Con un’economia che ormai è la sesta, o settima1, al mondo, il Brasile ha
consolidato il proprio potere in Sudamerica di cui sta diventando la locomotiva eco-
nomica, ha influenza su tutta l’AL, è sempre più presente sulla scena mondiale ed è
molto attivo nelle istituzioni multilaterali e internazionali. L’economia continua a
crescere e si comincia a discutere di quanto rapidamente il reddito brasiliano possa
raggiungere quello dei paesi OCSE, mantenendo un modello di sviluppo di lungo
periodo compatibile con una più equa distribuzione del reddito e con la protezione
dell’ambiente (OCSE, 2011: 129).
Avendo ridotto l’apprezzamento della propria moneta e l’indebitamento, il
Brasile inizialmente ha resistito bene alla crisi finanziaria del 2008, perché il notevo-
le aumento della classe media ha permesso all’economia di continuare a crescere
malgrado il turbolento contesto globale e ha ridotto, anche se leggermente, la dise-
guaglianza di reddito in netto contrasto con quanto accaduto in altre parti dell’AL.
Inoltre, è riuscito a limitare drasticamente la deforestazione, per cui raggiungerà i
propri obiettivi d’emissione del CO2 prima della scadenza del 2014 – vedi però
1
. Secondo alcuni profondi conoscitori del Brasile, tra i quali Marcelo Neri, questa economia
dovrebbe presto diventare la quinta al mondo.
313
Il Brasile e gli altri
***
Un decennio di successi ha reso il Brasile una delle economie emergenti più recla-
mizzata, con uno dei due mercati azionari più appetibili nel mondo e un notevole
afflusso di capitali esteri, afflusso che è passato dai $5 miliardi nel 2007 a più di $70
miliardi all’inizio del 2012. Questa brillante immagine poggia, però, su una premes-
sa molto gracile: i prezzi delle commodities, in quanto la crescita del paese è stata in
buona parte dovuta alla crescente domanda delle sue risorse naturali (Sharma, 2012).
Un segnale di quello che potrebbe accadere s’è manifestato a metà 2012,
quando, dopo 12 anni, gli scambi commerciali brasiliani tornati in rosso e
l’apprezzamento del tasso di cambio – usato come strumento di lotta all’inflazione –
hanno evidenziato i problemi impliciti in un modello che riflette quella stessa dota-
zione di risorse che ha seriamente condizionato lo sviluppo economico di molti PVS
e creato la loro dipendenza dalle economie più avanzate. La caduta del tasso di cre-
scita della Cina, sta riducendo drasticamente le esportazioni del Brasile e, quindi, il
suo stesso tasso di crescita che, stima O’Neill (2012), deve superare il 5% per soddi-
sfare i criteri necessari per restare tra i BRIC. Questo è stato possibile nel 2010, ma
dalla seconda metà del 2011 a oggi la crescita brasiliana è stata un disappunto. Inol-
tre aumenta sempre più il pericolo della “malattia olandese” e della perdita di com-
petitività dei manufatti.
314
Conclusioni
2
. L’OCSE (2001: 129) conferma che la crescente produzione di petrolio ha spinto in alto il tasso
reale di cambio – che JP Morgan stima essere stato del 156% tra ottobre 2002 e aprile 2010 – e
causato notevoli aumenti delle ragioni di scambio, il che ha reso improbabile una maggiore aper-
tura dell’economia. Infatti, nel 2008 il rapporto commercio/PIL era solo 28%, contro 51%
dell’India e 65% della Cina.
315
Il Brasile e gli altri
duttività. Inoltre, molte famiglie da poco entrate nella classe media, ma con reddito
da lavori informali e senza alcuna copertura previdenziale, rischiano di esserne
estromesse a causa di questa situazione precaria.
Non va poi dimenticato che fu proprio la crisi del debito degli anni ’80 a se-
gnare la fine del precedente miracolo economico di questo paese. Se inizialmente, la
crisi globale ha inciso poco sulla crescita del Brasile questo è dipeso anche dal fatto
che l’apertura della sua economia è relativamente modesta, poiché la somma
dell’export e dell’import non superao il 20% del PIL. A questo si unisce, però, il
basso tasso di risparmio. Scarsi risparmi e rapida crescita comportano, però, grossi
disavanzi della bilancia corrente, disavanzi che finora sono stati bilanciati da afflussi
di capitale estero, la maggior parte dei quali diretti al settore delle commodities.
All’aumento dei disavanzi contribuisce anche un real forte. Un crollo della domanda
delle commodities, particolarmente da parte della Cina, peggiorerebbe la ragione di
scambio e ridurrebbe l’arrivo di capitali, creando un doppio effetto negativo sulla
bilancia dei pagamenti.
Inoltre, il modello di sviluppo brasiliano pretende di basarsi su solidi fonda-
mentali (sound fundamentals), espressione introdotta dal Consenso di Washington,
cara alle istituzioni internazionali e con un forte potere retorico, perché è difficile
favorire fondamentali che non siano solidi. Bisogna, però, dare una definizione di
“solidità” poiché non è chiaro se quella cui convenzionalmente si fa riferimento sia
anche una “solidità” per lo sviluppo. Mentre questo implica cambiamenti strutturali,
cioè della struttura produttiva, e una prospettiva di lungo termine, la “solidità” con-
venzionale contempla solo cambiamenti istituzionali, si concentra sulla stabilità e
considera al massimo il futuro prossimo. In questo senso, il modello brasiliano può
essere considerato essenzialmente conservatore (Erber, 2008: 34), probabilmente
non molto adatto ad affrontare gli effetti della crisi e ancor meno a generare un “so-
lido” e continuo sviluppo.
Infine, il Brasile deve decidere come conciliare le nuove priorità globali – per
esempio, il cambiamento climatico – con lo sviluppo, la sua storica non-interferenza
con la posizione di stakeholder globale, che per definizione comporta l’intervento
negli affari degli altri, stakeholders o non; e, infine, la sua storica paura di interfe-
renze o interventi esterni nell’Amazzonia, con la sempre minore rilevanza che, con
la globalizzazione, viene attribuita ad una rigida demarcazione dei confini (Diaz e de
Almeida, 2008: 19-20).
***
Anche a livello regionale molti problemi restano irrisolti. Il Brasile non solo “non
esercita il fascino di una società giusta e opulenta”, ma la sua popolazione non per-
cepisce i vantaggi dell’integrazione e della leadership regionale (Bueno, 2010: 51).
Dato che rispetto ai paesi vicini ha una storia atipica e una identità differente, il Bra-
sile esita a caratterizzarsi come latinoamericano e preferisce presentarsi come una
nazione sudamericana, mentre, allo stesso tempo i vicini hanno spesso difficoltà ad
accettare come uno di loro questo gigante lusofono. Frattanto, però, la crescente in-
terdipendenza regionale – alimentata dall’espansione degli investimenti e degli
scambi commerciali del Brasile con il resto della regione, dove inoltre è cresciuto il
numero di brasiliani che vi risiedono – “complica ulteriormente distinzioni e asim-
metrie, come mostrano rapporti caratterizzati allo stesso tempo da ambivalenza, in-
differenza, tensione e deferenza” e dal timore, particolarmente diffuso tra i paesi più
316
Conclusioni
***
3
. La borsa brasiliana ha perso il 9% in termini di dollari, il peggiore risultato delle 18 maggiori
borse seguite da Bloomberg.
317
Il Brasile e gli altri
Poiché non è la prima volta che il Brasile ha generato tante speranze al suo in-
terno e tanto eccitamento nel mondo, è raccomandabile che ora la sua esagerata auto-
stima non lo distolga dal concentrarsi sul difficile compito di bilanciare le limitazioni
interne con le opportunità disponibili fuori, mettendo da parte l’illusione di essere or-
mai una potenza globale per godersi, invece, il posto che si è assicurato. Una più mo-
desta, ma sempre ambiziosa strategia, permetterebbe al Brasile, continua Sweig
(2010), “di modellare e influenzare le istituzioni globali e, investendo nel paese, di
continuare a risolvere i molti problemi interni”. Ma per questo è necessario aumentare
il tasso di risparmio e d’investimento tramite una serie di riforme strutturali previste
dal PBM, come quelle riguardanti istruzione e formazione. In altri termini, invece di
contare su un’abbondante liquidità esterna e alti prezzi per le commodities, il Brasile
dovrebbe trovare fonti interne di crescita. Basato sull’eccessivo stimolo al consumo –
l’erosione del potere d’acquisto causato dal crescente indebitamento delle famiglie e
dall’inflazione continua a ridurre la fiducia dei consumatori – e noncuranza per gli in-
vestimenti, il modello brasiliano ha spinto l’economia a un basso equilibrio caratteriz-
zato da scarsa crescita, forte inflazione e significativa perdita di competitività interna-
zionale, sostiene Albero Barros di Goldman Sachs.
***
Non c’è dubbio che il Brasile è qui per restarci, come attore regionale e globale. Na-
turalmente, non è facile essere sicuri di cosa veramente aspetti il Brasile ed è, quin-
di, prematuro affrettarsi a credere che il paese stia finalmente realizzando quel gran-
de potenziale che gli è stato sempre unanimemente riconosciuto, anche se sarebbe
bello che accadesse. E forse è troppo azzardato affermare che “il Brasile ha raggiun-
to più della stabilità – è ora un’economia affidabile” (Roett, 2010: 151), perché “ci
sono dubbi sulla capacità di sostenere la sua corsa in avanti”, dubbi rafforzati dal
fatto che “la retorica continua ad esagerare i risultati concreti ed esiste il pericolo di
eccessive ambizioni” (Fishlow, 2011: 186 e 191). Invece, per competere su scala
mondiale e nel periodo lungo il Brasile dovrà migliorare la dilapidata infrastruttura
del paese4, alzare la qualità di un deplorabile sistema scolastico che rappresenta una
vera e propria pesante ipoteca sul futuro del paese; accrescere la manodopera specia-
lizzata5 e creare condizioni sostenibili nel campo sociale come in quello ambientale
nel quale possano svilupparsi innovazioni e piccole imprese. Altri seri ostacoli che si
frappongono alla continua e regolare crescita del paese sono la complessità del si-
stema fiscale, l’alta tassazione del lavoro e delle imprese, più la lentezza che caratte-
4
. Il problema delle infrastrutture brasiliane è esemplificato dal porto di Santos, cresciuto fino a
diventare il maggior porto del Sudamerica nel quale passa un quarto dell’export brasiliano e il
95% delle esportazioni dallo stato di São Paulo. Ma oltre ad essere il maggior porto del Sudame-
rica, Santos è anche uno dei più congestionati e farvi passare un container costa due volte e mez-
zo più che a Rotterdam. Di conseguenza, la regione di São Paulo corre il rischio di perdere inve-
stimenti che naturalmente preferiscono localizzarsi dove i costi sono inferiori e le infrastrutture
logistiche migliori. In questo modo, la capacità commerciale e il potenziale economico della più
importante regione del Brasile viene a dipendere da se e come il porto di Santos riuscirà a porta-
re i suoi prodotti sul mercato globale rapidamente e a costi competitivi.
5
. Notevole è la mancanza di personale qualificato, specialmente ingegneri petroliferi, per operare
nell’industria del petrolio e del gas. Petrobrás ha stanziato $100 milioni per addestrare 70 mila nuo-
vi lavoratori da utilizzare nel settore (Landau, 2007: 251 e 270). Anche il notissimo Tata Consultan-
cy Services, che impiega in Brasile più di 1500 persone, dichiara quanto sia difficile trovare profes-
sionisti che, oltre alle conoscenze tecniche, possano usare fluentemente la lingua inglese.
318
Conclusioni
rizza la risoluzione giudiziaria di conflitti contrattuali, tutte cose che incidono nega-
tivamente sull’afflusso d’investimenti esteri.
Non meno importanti sono le intrinseche debolezze del Brasile, come le per-
sistenti diseguaglianze di reddito, rafforzate ed esacerbate dalle differenze razziali
ed etniche6; le arretrate aree rurali; un’economia ancora abbastanza chiusa e con una
forte presenza statale; una tassazione esorbitante per finanziare spese pubbliche a
catena, ma che spesso non producono servizi corrispondenti per la popolazione; e la
cronica insufficienza infrastrutturale, specialmente nei trasporti, dovuta anche alle
dimensioni continentali e alla storica scarsa accumulazione di capitale. Va poi af-
frontato il problema dei costi e dell’inefficienza del settore pubblico – la registrazio-
ne di un’impresa richiede in Brasile, in media, 152 giorni, mentre la media mondiale
è 48 giorni – e l’enorme e crescente deficit nei conti della previdenza sociale, un
“buco” di quasi €20 miliardi dovuto anche al rapido allungamento della vita e quindi
al peggioramento del rapporto pensionati-lavoratori e alla scarsa propensione
dell’industria, salvo i pochi “campioni nazionali”, a investire in R&S (Di Franco,
2011). Infine, la stessa globalizzazione pone seri problemi a un’economia ancora
relativamente chiusa, per cui appare importante la gestione della crescente integra-
zione nell’economia mondiale.
Un’altra sfida da affrontare è la crisi dell’ordine pubblico, particolarmente
grave a Rio de Janeiro. È necessario ridurre un livello di omicidi tra i più altri al
mondo e una violenza criminale, che ora sta aumentando7 e che pervade e debilita le
città brasiliane e danneggia principalmente i poveri. Questo implica anche migliora-
re la difesa dei diritti umani, troppo spesso violati. Indubbiamente, la pacificazione
del paese dipende in maniera cruciale da una riforma del sistema carcerario, che ol-
tretutto è spesso nelle mani delle organizzazioni criminali. Contemporaneamente
bisognerà intensificare la lotta alla corruzione – secondo l’indice di “corruzione per-
cepita” elaborato dal Transparency International, il Brasile occupa il 62° posto sui
158 paesi considerati – che spesso alimenta la criminalità e la violenza.
Naturalmente, far fronte a tutte queste necessità richiede risorse che il paese
non ha a disposizione, salvo, come molti sostengono, le entrate generate dalle vaste
riserve di idrocarburi recentemente scoperte da Petrobrás. Per non alimentare
l’inflazione, il governo, però, non permette l’aumento del prezzo della benzina, per
cui Petrobrás deve vendere in perdita il petrolio importato per far fronte a una cre-
scente domanda e deve impiegare lavoratori e fornitori brasiliani anche se costano di
più. Petrobrás è stata così costretta a ridimensionare le previsioni di produzione.
Inoltre, il basso prezzo della benzina riduce la domanda di etanolo il cui prezzo non
è invece controllato e quindi è aumentato. Un aumento del prezzo della benzina
spingerebbe a consumare più etanolo e quindi Petrobrás non dovrebbe più importare
petrolio (TE, 03.11.2012).
L’economia brasiliana è ormai stabile e relativamente ben gestita, ma la sua
crescita è stata relativamente modesta. Per ottenere le risorse necessarie per risolvere
6
. Quando Cardoso e Bell (2005: 11) scrivevano che se “le grandi differenze di reddito e ricchez-
za dividono e polarizzano le popolazioni di molti paesi, lasciando i cittadini con valori tenua-
mente condivisi e con molti interessi divergenti, i problemi sono esacerbati lì dove differenze
razziali ed etniche rafforzano la diseguaglianza economica e sociale”, certamente avevano pre-
sente il caso del Brasile.
7
. Dopo anni di costante calo, dalla metà del 2012 gli indici di criminalità sono in ascesa nello
stato di São Paulo e nella metropoli.
319
Il Brasile e gli altri
8
. Va notato che una parte significativa degli investimenti previsti dal PBM elaborato
dall’amministrazione Rousseff riguardano impianti sportivi per i Mondiali di calcio e per le Olimpi-
adi, impianti che, a parte lo scarso utilizzo che avranno dopo questi eventi, chiaramente non ser-
viranno a migliorare il sistema infrastrutturale necessario per la crescita economica del paese.
9
. A cominciare dalla distribuzione dei seggi parlamentari che non essendo basata sul principio
“un uomo, un voto” favorisce gli stati del Nordeste che continuano ad essere dominati da oligar-
chie familiari e sacrifica gli stati del Sudeste e del Sul, “dove l’elettorato è maggiore e più istru-
ito e più propenso a porre fine ad abusi e pratiche arretrate”. Ancora più importante sarebbe una
legge per regolare strettamente il finanziamento della campagna elettorale (Rother, 2010: 275).
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