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Paolo Güll

Archeologia preventiva
il codice appalti e la gestione del rischio archeologico

Dario Flaccovio Editore


Paolo Güll
ArcheologiA preventivA

ISBN 9788857903354

© 2015 by Dario Flaccovio Editore s.r.l. - tel. 0916700686


www.darioflaccovio.it info@darioflaccovio.it

Prima edizione: gennaio 2015

Güll, Paolo <1964->


Archeologia preventiva : il codice appalti e la gestione del rischio
archeologico / Paolo Güll. - Palermo : D. Flaccovio, 2015.
ISBN 978-88-579-0335-4
1. Lavori pubblici – Zone archeologiche.
363.69 CDD-22 SBN PAL0276667
CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

Stampa: Tipografia Priulla, Palermo, gennaio 2015

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INDICE

Premessa
Introduzione

1. L’archeologia preventiva: una rivoluzione?


1.1. L’archeologia, strumento di coesione sociale ................................ pag. 20
1.2. L’archeologia, risorsa non rinnovabile .......................................... » 21
1.3. Ottimizzare la tutela ....................................................................... » 23
1.4. Polluter pays, developer pays ......................................................... » 24
1.5. La Legge 163/2006: campo di applicazione .................................. » 26

2. La procedura di verifica preventiva


2.1. Introduzione ................................................................................... » 31
2.2. Fonti legislative .............................................................................. » 31
2.3. Fasi operative ................................................................................. » 34
2.3.1. Valutazione preliminare (D.Lgs. 163/06, art. 95) ............... » 34
2.3.1.1. Il Documento di Valutazione archeologica preventiva » 34
2.3.1.2. Il responsabile della redazione del documento ...... » 37
2.3.1.3. Il documento in pratica .......................................... » 40
2.3.1.3.1. Verso uno standard condiviso ............................. » 40
2.3.1.3.2. Le linee guida e il format .................................... » 42
2.3.1.3.3. La stesura del documento.................................... » 56
2.3.1.3.3.1. Sezione A: relazione introduttiva .................... » 56
2.3.1.3.3.2. Sezione B: elaborati ......................................... » 59
2.3.1.3.3.3. Sezione C. relazione conclusiva e carta
del potenziale archeologico.............................. » 65
2.3.2. La fase 1 (D.Lgs. 163/06, art. 96, comma 1 lett. a) ............ » 76
2.3.2.1. Gli approfondimenti diagnostici ............................ » 76
2.3.2.2. Direzione scientifica e coordinamento operativo .. » 76
2.3.2.3. Verso una strategia ottimale................................... » 78
2.3.3. La fase 2 (D.Lgs. 163/06, art. 96, comma 1 lett. b) ............ » 80
2.3.3.1. Il “momento della verità”....................................... » 80
2.3.3.2. Professionisti fra teoria e prassi ............................ » 83
2.3.3.2.1. L’archeologo progettista ..................................... » 83
2.3.3.2.2. Il direttore tecnico archeologo ............................ » 84
6
Archeologia preventiva

2.3.3.3. Progettare lo scavo ................................................. » 87


2.3.3.3.1. Prescrizioni e progetto ........................................ » 87
2.3.3.3.2. Esecuzione dei lavori .......................................... » 89
2.3.3.3.2.1. Organigramma e quadro economico ................ » 89
2.3.3.3.2.2. Metodo di lavoro .............................................. » 91
2.3.3.3.2.3. Standard di documentazione ............................ » 92
2.3.4. La relazione archeologica definitiva ................................... » 97
2.3.4.1. I tre esiti della verifica ........................................... » 97
2.3.4.2. “Gestire” le prescrizioni ......................................... » 100
2.3.4.3. “Bonifica archeologica” o conservazione dei resti? » 101
2.3.5. Valorizzazione e fruizione .................................................. » 103
2.3.5.1. Un confine incerto.................................................. » 103
2.3.5.2. L’unione fa la forza ................................................ » 104
2.3.5.3. Obiettivo sostenibilità ............................................ » 105
2.3.6. Pubblicazione ..................................................................... » 108
2.3.6.1. Chiudere il cerchio ................................................. » 108
2.3.6.2. Bread and roses ...................................................... » 109
2.3.6.3. Tra problemi e soluzioni ........................................ » 110

3. Oltre la norma
3.1. Rischio archeologico: questo sconosciuto di Eduardo Caliano .... » 113
3.1.1. Infrangere il tabù dei numeri............................................... » 113
3.1.1.1. La formula.............................................................. » 114
3.1.1.2. Il parametro distanza .............................................. » 118
3.1.1.3. La gestione delle varianti: il quadro strategico ...... » 119
3.1.2. L’intelligenza del territorio: la “carta del rischio” .............. » 120
3.2. Etica per un’archeologia sostenibile .............................................. » 126
3.2.1. Un ruolo etico per l’archeologo ........................................... » 126
3.2.2. Professionisti per una gestione ottimale della tutela ............ » 127
3.2.3. Chi più spende meno spende ................................................ » 128

Appendici
Appendice 1. Il decalogo della stazione appaltante ............................ » 135
Appendice 2. Il documento finale della “commissione Carandini” ... » 137
Appendice 3. Il documento finale della “commissione Sassatelli” .... » 145
Appendice 4. La circolare 10/2012 (Linee guida) .............................. » 150
7
Indice

Appendice 5. Campo di applicazione della normativa


(circolare 10/12, allegato 2).......................................... » 167
Appendice 6. Il format “De Caro” ...................................................... » 170
Appendice 7. Schema di relazione...................................................... » 179
Appendice 8. Tracciato essenziale delle schede ................................. » 185
Appendice 9. Estratto della normativa................................................ » 197
Appendice 10. Legge 22 luglio 2014 .................................................... » 240
Appendice 11. Parere MiBACT 16719/2010
(applicabilità ai settori speciali) ................................... » 242
Appendice 12. La circolare 18/2010 (istituzione elenco DM 60) ........ » 244
Appendice 13. La circolare 19/2010
(istituzione elenco DM 60: ulteriori precisazioni) ....... » 245
Appendice 14. La circolare 10/2011
(deposito di materiali archeologici) .............................. » 246
Appendice 15. La circolare 17/2012 (archeologia preventiva. Elenchi) » 250
Appendice 16. Norme per la redazione della scheda SAS ................... » 251
Appendice 17. Norme per la redazione della scheda US ..................... » 256
Appendice 18. Una procedura semplificata di calcolo del rischio ....... » 265
Appendice 19. Associazione Nazionale Archeologi –
Tariffario di riferimento ............................................... » 273
Appendice 20. Associazione Nazionale Archeologi –
Documento fasce professionali .................................... » 284
Appendice 21. Associazione Nazionale Archeologi –
Codice deontologico ..................................................... » 285
19

1. L’archeologia preventiva: una rivoluzione?

Esiste un immaginario comune rispetto al lavoro degli archeologi che lo dise-


gna in modo estremamente lontano dalla realtà. Non penso solo alla comune ed
abusata immagine di Indiana Jones o al pietoso “antico vaso” di un ben noto
spot pubblicitario, ma anche a visioni più evolute che descrivono comunque
l’archeologo essenzialmente come uno studioso del passato. Naturalmente l’ar-
cheologo lo è “anche”, perché l’archeologia nasce sostanzialmente come “studio
del passato”. Ma lo è “anche” rispetto a nuove competenze e professionalità che
è chiamato ad avere per entrare nella partita (molto più complessa rispetto alla
semplice classiicazione di reperti) che gli americani chiamano CRM, Cultural
resource management1.
Il termine “gestione” (management) è vittima in italiano di un sostanziale equivo-
co. Essendo l’Italia un Paese in cui il patrimonio archeologico è presente in ma-
niera estremamente visibile nel territorio, in moltissimi ambiti (persino all’interno
della stessa archeologia), quando si parla di “gestione” si tende a pensare alla “ge-
stione spicciola” del patrimonio noto: siti, musei, aree archeologiche, un aspetto
che può apparire secondario e comunque ausiliario rispetto a quello che sembre-
rebbe essere il cuore della professione di archeologo: la scoperta archeologica. Da
questo punto di vista la gestione risulta essere una attività di serie B e come tale
è sentita ad esempio negli ordinamenti accademici. In realtà, nei Paesi che hanno
un patrimonio meno evidente del nostro (ma non per questo ne sono meno ricchi
qualitativamente e quantitativamente), il concetto di gestione assume una connota-
zione diversa, legata non tanto al patrimonio culturale quanto alla risorsa culturale.
1 La letteratura sul CRM è naturalmente molto vasta. Per il lettore italiano, oltre alla consultazione delle nume-
rose pagine internet disponibili sarà utile rinviare a Ferris N., Always luid: government policy making and stan-
dards of practice in Ontario archaeological resource management, in Willems W., van den Dries M. (a cura di),
Quality Management in Archaeology, Oxbow Books, Oxford 2007, pp. 78-99; Peacock E., Rafferty J., Cultural
resource management guidelines and practice in the United States, in Willems, van den Dries, op. cit., pp. 113-
134 (con ottima bibliograia) e anche Olivier A., Clark K., Changing approaches to the historic environment, in
Z. Kobylinsky (ed.), Quo vadis archaeologia? Whither European archaeology in the 21st century?, Proceedings
of the European Science Foundation Exploratory Workshop (Madralin, 12-13 October 2001), Polish Academy
of Sciences, Warsaw 2001, pp. 92-102.
20
Archeologia preventiva

La differenza fra patrimonio e risorsa sta nella visione del bene oggetto dell’in-
teresse: più carica di signiicati economici nel primo caso e quindi più adatta
alla gestione del patrimonio esistente, più vicina alla materia ambientale, e quin-
di orientata alla gestione del patrimonio potenziale, nel secondo. Questo ultimo
aspetto, meno intuitivo specialmente nella tradizione dell’archeologia italiana,
merita qualche commento ulteriore che esporremo nei paragrai seguenti. Basti
solo qui anticipare che il problema della gestione del patrimonio potenziale, e so-
prattutto della sua protezione (che è parte essenziale della gestione in senso am-
pio), muta sostanzialmente l’approccio all’archeologia all’interno del ciclo delle
opere pubbliche in un modo per il quale la legislazione attuale offre un quadro
giuridico e strumenti operativi utili ma non risolutivi.
Va anche sottolineato, a mo’ di premessa, che la risorsa di cui parliamo è pubblica
e questo concetto sarà sottinteso a tutte le considerazioni che seguiranno. Essa
attiene a diritti collettivi delle comunità interessate e la sua tutela, se usiamo un
lessico tradizionale, o la sua gestione, se guardiamo al nuovo quadro che sarà
delineato nelle pagine seguenti, sono a tutti gli effetti atti che si riferiscono ad un
interesse pubblico (peraltro costituzionalmente garantito). È in questo senso che
vanno lette le norme e indirizzate le politiche volte ad applicarle o migliorarle.

1.1. L’archeologia, strumento di coesione sociale


Per comprendere meglio le prospettive sociali di una archeologia rinnovata ri-
spetto al semplice studio del passato, o peggio alla mera raccolta di manufatti,
è necessario rivolgere lo sguardo fuori del nostro Paese che, fra i mali che lo
afliggono, manca ormai da molti decenni anche di una politica culturale in cui
inscrivere la ricerca archeologica. Una visione molto chiara è espressa invece da
due importanti convenzioni del Consiglio d’Europa, la Convenzione europea per
la salvaguardia del patrimonio archeologico (La Valletta, 19922) e la Conven-
zione quadro sul valore del patrimonio culturale per la società (Faro, 20053). In
esse, emerge in modo evidente il progetto politico su cui la maggior parte dei pa-
esi europei, UE e non, hanno espresso una sostanziale convergenza in materia di
patrimonio culturale, considerato strettamente inerente ai principi fondamentali
espressi dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo4. Particolare atten-
2 Consiglio d’Europa, Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio archeologico (rivista), La Val-

letta, 16 gennaio 1992 (http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/Html/143.htm). Cf. Appendice 9.


3 Council of Europe, Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society, Faro, 27 ottobre

2005 (http://www.conventions.coe.int/Treaty/EN/Treaties/Html/199.htm). Cf. Appendice 9.


4 Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society. Preamble. Cf. Appendice 9.
21
L’archeologia preventiva: una rivoluzione?  cap 1

zione viene dedicata poi ai beni archeologici, qui deiniti “fonte della memoria
collettiva europea”5.
Si tratta di una prospettiva in cui il patrimonio culturale diventa un elemento so-
stanziale dell’identità di un popolo e quindi della sua coesione: cessa di essere un
lusso apparentemente superluo per divenire, al contrario, fondamento di qualsiasi
ricchezza per la comunità. La tutela dei beni culturali non viene più esercitata su
una base astratta, seguendo valori impersonali e lontani dalla maggioranza dei cit-
tadini (coloro che ne sostengono i costi attraverso le tasse), per diventare pratica
identitaria condivisa localmente dalle collettività territoriali che ne sono deposi-
tarie. Il trasferimento degli oneri “in periferia”, determinato da una legge che fa
gravare i costi della tutela sulla realizzazione delle opere, lungi dall’essere consi-
derato un ulteriore balzello, deve essere l’occasione per uno spostamento del po-
tere decisionale lontano dagli ufici dello Stato centrale e verso le comunità locali.
In questo quadro, l’archeologia si trasforma non solo nelle sue pratiche, assumen-
do la condivisione con i cittadini quale strumento prioritario, ma anche nei suoi
contenuti, diventando sempre meno mera attività di raccolta di dati e sempre più
attività continua di creazione di significato e valore.

1.2. L’archeologia, risorsa non rinnovabile


Per raggiungere questi obiettivi, l’archeologia capitalizza il risultato di una lunga
evoluzione in cui ha da tempo cessato di occuparsi di oggetti per passare allo stu-
dio delle relazioni fra essi. Queste relazioni sono riconoscibili attraverso l’analisi
di tracce conservate in due modi tra loro complementari, ma con diverse modalità
di leggibilità e quindi diverse problematiche di conservazione. Le tracce sono an-
zitutto scritte nel paesaggio e possono essere analizzate a partire dall’osservazio-
ne del paesaggio stesso, riconoscendo, ad esempio, assetti viari antichi, nuclei in-
sediativi, divisioni agrarie. Una parte importante di queste, tuttavia, è fossilizzata
nel terreno e, per essere letta, deve essere distrutta attraverso la rimozione isica
della stratiicazione archeologica. Già negli anni Settanta, l’archeologo inglese
Philip Barker, autore di uno dei più fortunati manuali di scavo archeologico6,
scriveva che scavare equivale a trascrivere un manoscritto che viene nello stesso
tempo distrutto, e quindi è un’operazione che può essere condotta una sola vol-
ta. Anzi, a rigore, non si tratta neanche di una trascrizione ma di una traduzione,
cioè della trasformazione della “lingua del terreno” in un linguaggio umano. È
vero quindi che, per quanto tale traduzione possa essere fedele, essa sarà sempre

5 Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio archeologico (rivista). Art. 1. Cf. Appendice 9.
6 Barker Ph., Techniques of Archaeological excavations, Taylor Francis, London 1977.
22
Archeologia preventiva

ininitamente più povera dell’originale e comunque diversa: basti pensare ad una


versione inglese della Commedia di Dante.
Questo è il grande limite della preservation by record: la trasformazione in do-
cumentazione cartacea (giocoforza sempliicata) dell’informazione contenuta
nel terreno. Ciò comporta una perdita, prima ancora che di dati, di conoscenza
potenziale.
Il problema è stato ripreso negli anni da Martin Carver7, in contrapposizione con
l’impostazione rigidamente barkeriana di cui ha messo impietosamente in evi-
denza tutti i limiti di sostenibilità (economica, sociale e perino archeologica).
L’opera dell’archeologo viene in tal modo trasferita su un piano etico, aspetto che
sta assumendo negli anni un rilievo sempre maggiore8.
Il lavoro sul campo dunque, per quanto rigoroso e afidato a “traduttori professio-
nisti” di adeguata formazione ed esperienza, non risolve affatto il problema della
conservazione del deposito archeologico, per il quale la miglior tutela consiste-
rebbe sempre nel rimanere indisturbato: solo questo ne garantisce infatti il più
possibile la trasmissibilità alle future generazioni.
Dal momento che lo scavo è operazione sostanzialmente distruttiva e che l’espe-
rienza sin qui maturata mostra che nel tempo la qualità tecnica dello stesso au-
menta progressivamente, non c’è alcuna ragione di indagare depositi archeologici
se non quando sia strettamente necessario9: nel caso del ciclo delle opere pubbli-
che, oggetto di questo libro, ciò dovrebbe avvenire solo qualora ogni ragionevole
tentativo di trovare una soluzione progettuale che non intacchi il sottosuolo si sia
rivelato infruttuoso. Lo scavo quindi come soluzione estrema: lo stesso Barker lo
paragonava ad una operazione chirurgica, oggi ancor più di ieri, in tempi di me-
dicina preventiva e di metodi poco o per nulla invasivi, vera extrema ratio della
tutela della salute. E ciò va valutato anche sulla base dei costi che questa soluzio-
ne comporta, uno dei temi su cui ha insistito per molto tempo lo stesso Carver10.

7 Carver M., The future of ield archaeology, in Z. Kobylinski, op. cit., pp. 118-132.
8 Non c’è spazio qui per sintetizzare il dibattito che ha accompagnato il percorso che l’archeologia ha intrapreso
dall’uscita, nel 1972, del volume Public archaeology (McGimsey Ch.R., Public Archeology, North America Se-
minar Press, New York 1972) che ha aperto una fase di cui solo recentemente in Italia si è presa consapevolezza.
Parte dei problemi sollevati sono delineati sinteticamente nel capitolo 3 di questo volume ed in particolare nel
paragrafo 3.2. Ma si tratta di una questione molto più complessa, specie in Italia, paese crociano per eccellenza.
Può essere estremamente utile in questo senso però la lettura di Attorno alla nuda pietra, saggio di Andreina
Ricci, una delle colleghe più consapevoli della serietà del problema: Ricci A., Attorno alla nuda pietra. Arche-
ologia e città tra identità e progetto, Donzelli, Roma 2006.
9 Limite riconosciuto dall’archeologo scandinavo O. Olsen già alla ine degli anni Settanta, appena dopo la

pubblicazione del volume di Barker (Olsen O., Rabies archaeologorum, “Antiquity”, 54 (1980), pp. 15-20).
Su questo vedi Güll P., Verso un’archeologia sostenibile. Rilessioni a trent’anni da Rabies archaeologorum,
in Risorse naturali e attività produttive. Ferento a confronto con altre realtà, Atti del II Convegno di Studi in
memoria di Gabriella Maetzke (Viterbo, 27-28 aprile 2010), Viterbo 2011, p. 19-33.
10 Carver, op. cit.
23
L’archeologia preventiva: una rivoluzione?  cap 1

1.3. Ottimizzare la tutela


Il patrimonio archeologico è dunque presupposto necessario per la conservazione
e la trasmissione della memoria collettiva, e la sua tutela rappresenta l’indispen-
sabile passaggio di testimone fra le generazioni. Abbiamo visto anche che la sua
conservazione non è, come comunemente si crede, la semplice conservazione di
resti strutturali, cioè dei “monumenti archeologici”, o di manufatti, cioè dei “re-
perti archeologici”, ma implica, al contrario, la tutela dei depositi stratiicati, cioè
degli “archivi archeologici”, il più possibile indisturbati.
La tutela delle stratificazioni nel loro insieme, che significa quindi essenzialmen-
te la rinuncia alla loro esplorazione, è dunque necessaria per due ragioni:
• una di ordine teorico: le tecniche di indagine si evolvono e oggi siamo in
grado di estrarre più conoscenza a parità di volume di terra scavato rispetto
al passato. È dunque del tutto evidente che in futuro la capacità aumenterà
ancora e quindi il deposito archeologico scavato oggi equivale ad una perdita
di conoscenza potenziale domani11;
• un’altra, di ordine pratico, è ovvia se si riflette sul fatto che attualmente noi
consumiamo il deposito archeologico più in fretta di quanto non ne produ-
ciamo e di conseguenza, continuando con questo ritmo, agli archeologi del
futuro resterà ben poco da scavare. In più, mentre per esempio le foreste pos-
sono essere rimboschite con caratteristiche il più possibile analoghe a quelle
originarie, il deposito che eventualmente produciamo oggi ha caratteristiche
completamente diverse da quello che consumiamo per fargli posto: gli archeo-
logi del futuro avranno a disposizione discariche, centri commerciali, magaz-
zini Ikea e case popolari ma rischiano di non vedere terme romane se non in
fotografia, in aree archeologiche allestite, in musei o, nel caso, in ologrammi
3D. Esattamente come noi oggi possiamo vedere gli animali estinti: anche se
correttamente conservata (cosa che non sempre accade) la documentazione di
uno scavo è poco più del dodo impagliato di un museo di storia naturale.
Si tratta di approcci non del tutto consolidati nella letteratura archeologica:
molto presenti in quella anglosassone, soprattutto americana, sono ancora poco
elaborati dall’archeologia italiana dove la trasformazione del deposito in docu-
mentazione, la preservation by record, è ancora considerata un valido metodo di
tutela. In realtà, come vedremo nei capitoli che seguono, sono molte le soluzioni
possibili per circoscrivere il ricorso a quella che, nel paragone con la medicina,
abbiamo definito la complessa, costosa e distruttiva extrema ratio della tutela:
lo scavo archeologico.

11 Olsen O., op. cit., pp. 16-18.


24
Archeologia preventiva

1.4. Polluter pays, developer pays


Questa diversa impostazione del problema, che guarda alla prevenzione come
ottimale, economico ed ecologico strumento ordinario della tutela dei beni ar-
cheologici, non fa riferimento in maniera casuale a concetti mutuati da quella
ambientale: è evidente infatti la totale equiparazione delle “risorse archeologi-
che” a quelle naturali, in particolare nello status di “non rinnovabilità” che per le
fonti archeologiche è particolarmente delicato. L’ingresso dell’archeologia nella
grande famiglia delle risorse del pianeta, del tutto ovvia e naturale in un ambiente
che quasi ovunque non può essere altro che “paesaggio antropico”, fa accogliere
la fonte archeologica, che ricordiamo non è costituita dai resti monumentali o dai
manufatti in sé, ma dal deposito stratiicato e dall’informazione potenziale in esso
contenuta, tra le risorse tutelate dai principi sanciti dalla Conferenza di Rio de Ja-
neiro del 1992 (United Nations Conference on Environment and Development)12.
Il concetto, deinito Polluter Pays Principle (“chi inquina paga”, comunemente
in acronimo PPP), nasce in seno all’Organizzazione per la Cooperazione Econo-
mica e lo Sviluppo nel 197213 ed è considerato uno dei pilastri della legislazione
internazionale in materia ambientale. Ribadito appunto nel 1992 a al Summit di
Rio14 è accolto in seno allo stesso Trattato costitutivo dell’Unione Europea15. In

12 Sul c.d. “Summit della terra” vedi ad esempio http://www.un.org/geninfo/bp/enviro.html.


13 Recommendation of the Council on Guiding Principles concerning International Economic Aspects of En-
vironmental Policies (1972)
A. Guiding Principles
a) Cost Allocation: the Polluter Pays Principle
(omissis)
4. “The principle to be used for allocating costs of pollution prevention and control measures to encourage
rational use of scarce environmental resources and to avoid distortions in international trade and investment
is the so called “Polluter Pays Principle”. This principle means that the polluter should bear the expenses of
carrying out the abovementioned measures decided by public authorities to ensure that the environment is in an
acceptable state. In other words, the cost of these measures should be relected in the cost of goods and services
which cause pollution in production and/or consumption. Such measures should not be accompanied by subsi-
dies that would create signiicant distortions in international trade and investment”.
(http://acts.oecd.org/Instruments/ShowInstrumentView.aspx?InstrumentID=4).
14 Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo (1992)

Principio 16
Le autorità nazionali dovranno adoprarsi a promuovere l’“internalizzazione” dei costi per la tutela ambientale e
l’uso di strumenti economici, considerando che, in linea di principio, è l’inquinatore a dover sostenere il costo
dell’inquinamento, tenendo nel debito conto l’interesse pubblico e senza alterare il commercio e le inanze
internazionali.
(traduzione del Consiglio Regionale della Toscana)
http://www.consiglio.regione.toscana.it/partecipazione/documenti/Dichiarazione_Rio_92.pdf.
15 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (versione consolidata), Gazzetta uficiale n. C 326 del

26/10/2012.
Art. 191
2. La politica dell’Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della
diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’a-
25
L’archeologia preventiva: una rivoluzione?  cap 1

questo senso, la stessa Convenzione di Malta considera l’archeologia nei suoi


aspetti di non rinnovabilità16 (anche se non totalmente17) e questo concetto è riba-
dito dalla Convenzione di Faro, fortemente orientata al problema della gestione
sostenibile al ine della trasmissione del patrimonio culturale alle future genera-
zioni18. Tuttavia, ai ini di una tutela legale del deposito archeologico attraverso il
PPP, un ruolo essenziale è giocato dalla direttiva CE/97/11 che introduce le pre-
esistenze archeologiche tra gli aspetti da includere nella valutazioni ambientali19.
La Convenzione di Malta, come abbiamo detto, non è stata ratiicata dall’Italia20
e, in conseguenza di ciò, il nostro Paese non ha sentito, a differenza ad esempio
della Francia, l’obbligo di una legislazione ad hoc per la tutela del patrimonio
archeologico. Il principio introdotto dalla direttiva CE/97/11 è comunque accol-
to nella legislazione italiana dal D.Lgs. 20 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei Beni
Culturali e del Paesaggio, c.d. “Codice Urbani”) con l’art. 28 (che limita esplici-
tamente l’obbligo alle sole opere pubbliche)21 e trova un inquadramento normati-
vo suficiente nel D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei Contratti pubblici re-
lativi a lavori, servizi e forniture) con gli artt. 95 e 96. Questi ultimi recepiscono
nel testo unico sui lavori pubblici alcune norme frettolosamente introdotte nella
Legge 25 giugno 2005, n. 109 di conversione di un decreto omnibus dello stesso
anno, il Decreto Legge 26 aprile 2005, n. 63.

zione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente e sul
principio “chi inquina paga”.
16 Convenzione europea per la salvaguardia del patrimonio archeologico (rivista). Art. 2. Cf. Appendice 9.
17 Sebbene le premesse di metodo da cui la Convenzione di Malta muove siano sostanzialmente orientate in

questa direzione, essa non ne accoglie in pieno i principi laddove rimanda alla costituzione di generiche “riserve
archeologiche” il compito di garantire la trasmissione del patrimonio alle generazioni future anziché raccoman-
dare esplicitamente la riduzione del consumo di suolo archeologico.
18 Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society.

Art. 9: Sustainable use of the cultural heritage Cf. Appendice 9.


19 Direttiva CE/97/11

Allegato IV: Informazioni di cui all’art. 5, par. 1


(omissis)
3. Una descrizione delle componenti dell’ambiente potenzialmente soggette ad un impatto importante del
progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, alla fauna e alla lora, al suolo, all’acqua, all’a-
ria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e
all’interazione tra questi vari fattori.
20 La proposta di legge di ratiica C. 2127-A è stata approvata dalla Camere il 23 ottobre 2014 ed è attualmente

all’esame del Senato.


21 D.Lgs. 42/04

Art. 28: Misure cautelari e preventive


(omissis)
4. In caso di realizzazione di lavori pubblici ricadenti in aree di interesse archeologico, anche quando per
esse non siano intervenute la veriica di cui all’articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all’articolo 13,
il soprintendente può richiedere l’esecuzione di saggi archeologici preventivi sulle aree medesime a spese del
committente.
26
Archeologia preventiva

Il trasferimento dei costi della tutela sugli attori delle trasformazioni territoriali
appare dunque perfettamente legittimo ed in linea con la più recente impostazio-
ne teorica e giuridica. Semmai, la carenza di norme in questo senso per le opere
private pone la nostra disciplina non al passo con le legislazioni più aggiornate e
appare quanto mai opportuno che questa estensione, nell’inerzia del legislatore
nazionale, trovi una forma di maturazione all’interno di norme locali come i piani
paesistici e i piani urbanistici.

1.5. La Legge 163/2006: campo di applicazione


Le norme più importanti ed aggiornate in materia di tutela archeologica sono, per
un paradosso, contenute non nel Codice dei Beni culturali (D.Lgs. 42/04), come
sarebbe lecito attendersi, ma nel Codice dei Contratti pubblici (D.Lgs. 163/06),
in particolare con gli artt. 95 (Veriica preventiva dell’interesse archeologico in
sede di progetto preliminare) e 96 (Procedura di veriica preventiva dell’interes-
se archeologico). Malgrado tale singolarità, questa norma, il successivo D.P.R. 5
ottobre 2010 n. 207 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del decreto legi-
slativo 12 aprile 2006, n. 163) e gran parte delle circolari applicative, delineano
una suficiente road map di buone pratiche. Occorre ricordare qui che l’elusione
delle norme in materia rappresenta a tutti gli effetti un caso di grave omissione
progettuale ai sensi dell’art. 56 del Regolamento stesso22. Oltre alle implicazioni
a carico del responsabile del procedimento, va considerato anche il rischio che,
in assenza di tali adempimenti, una qualsiasi opera a qualunque titolo contestata

22 D.P.R. 207/10
Art. 56: Responsabilità
1. Nei limiti delle attività di veriica di cui agli articoli 52 e 53, il soggetto incaricato della veriica risponde a
titolo di inadempimento del mancato rilievo di errori ed omissioni del progetto veriicato che ne pregiudichino in
tutto o in parte la realizzabilità o la sua utilizzazione. Il soggetto incaricato della veriica ha la responsabilità degli
accertamenti previsti dagli articoli 52 e 53, ivi compresi quelli relativi all’avvenuta acquisizione dei necessari
pareri, autorizzazioni ed approvazioni, ferma restando l’autonoma responsabilità del progettista circa le scelte
progettuali e i procedimento di calcolo adottati.
2. Il soggetto incaricato dell’attività di veriica che sia inadempiente agli obblighi posti a suo carico dal
presente capo e dal contratto di appalto di servizi è tenuto a risarcire i danni derivanti alla stazione appaltante
in conseguenza dell’inadempimento ed è escluso per i successivi tre anni dalle attività di veriica. Per i danni
non ristorabili, per tipologia o importo, mediante la copertura assicurativa di cui all’articolo 57, resta ferma la
responsabilità del soggetto esterno incaricato dell’attività di veriica, la quale opera anche nell’ipotesi di inesigi-
bilità, in tutto o in parte, della prestazione contrattualmente dovuta dall’assicuratore. Nel caso in cui il soggetto
incaricato della veriica sia dipendente della stazione appaltante esso risponde nei limiti della copertura assicu-
rativa di cui all’articolo 57, salve la responsabilità disciplinare e per danno erariale secondo le norme vigenti.
3. La validazione del progetto di cui all’articolo 55 non esime il concorrente che partecipa alla procedura
per l’afidamento dell’appalto o della concessione di lavori pubblici dagli adempimenti di cui all’articolo 106,
comma 2, e dalle conseguenti responsabilità.
27
L’archeologia preventiva: una rivoluzione?  cap 1

da chicchessia può essere bloccata attraverso un ricorso con tutte le onerose con-
seguenze del caso.
Per valutare correttamente l’obbligo o meno di sottoporre l’opera alla procedura
dettagliata dagli artt. 95 e 96 del Codice dei Contratti esiste un insieme di norme
concatenate. Rispetto a questi criteri si rende però necessaria qui una distinzione
base che ci accompagnerà per tutti i capitoli che seguono.
Il D.Lgs. 163/06 pone infatti un discrimine fra quello che potrebbe essere deini-
to un “vecchio regime” anteriore alla legge e sostanzialmente deregolato ed un
“nuovo regime” con regole più certe e stringenti. Tuttavia, la transizione tra i due
sistemi non è affatto netta né lineare.
Un primo aspetto di questo limbo è costituito dalle norme transitorie di cui all’art.
253 dello stesso D.Lgs. che con il comma 1823 ha introdotto due severe limitazioni:
• l’applicazione dell’articolo 95 comma 1 (che come vedremo costituisce il
“propulsore” di tutto il procedimento) è esclusa per le opere il cui progetto
preliminare sia anteriore all’entrata in vigore della legge 109/2005 (26 giugno
2005);
• l’efficacia dello stesso art. 95 è rimasta sospesa fino all’emanazione del Re-
golamento (D.P.R. 207/10), in quanto anteriormente a tale data si potevano
utilizzare le più blande disposizioni del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, cioè
il Regolamento della precedente legge quadro in materia, L. 11 febbraio 1994,
n. 109 (la c.d. “Merloni”).
Naturalmente questo secondo punto è venuto meno con l’emanazione del Rego-
lamento stesso D.P.R. 207/10, per cui, da quel momento, la documentazione di
cui all’articolo 95 del Codice dei Contratti deve essere necessariamente prodotta
quando obbligatoria.
L’applicazione ritardata della legge, al di là della dilazione in sé, ha avuto una
conseguenza di natura psicologica avendo rallentato enormemente la presa di
coscienza da parte degli Ufici tecnici, specialmente nelle realtà più piccole,
dell’importanza e della perentorietà di questa norma. Ancora oggi, a svariati anni
di distanza, si sente l’effetto di questa sottovalutazione. Peraltro, ulteriormente
condizionante è il fatto che per svariate ragioni sono ancora in itinere progetti
i cui elaborati preliminari risalgono addirittura agli anni Novanta e per i quali

23 D.Lgs. 163/06
Art. 253: Norme transitorie
(omissis)
18. In relazione all’articolo 95, comma 1, ino all’emanazione del regolamento si applica l’articolo 18, del
citato D.P.R. n. 554 del 1999. L’articolo 95 non si applica alle opere indicate al comma 1 del medesimo articolo
95, per le quali sia già intervenuta, alla data di entrata in vigore della legge 25 giugno 2005, n. 109, l’approva-
zione del progetto preliminare.
28
Archeologia preventiva

è possibile invocare, anche se in maniera sempre meno credibile24, l’eccezione


prevista dalle norme transitorie.
Un secondo aspetto fortemente penalizzante è la mancata emanazione del decreto
interministeriale Beni Culturali - Infrastrutture, previsto al comma 6 dell’art. 96
del D.Lgs. 163/0625 contenente le linee guida per la procedura di veriica pre-
ventiva. In sua assenza, nel giugno del 2012 la Direzione Generale alle Antichità
ha emanato una dettagliata circolare26 che però può solo in parte fare le veci del
decreto previsto dal Codice dei Contratti.
In particolare, la Circolare chiarisce in modo preciso quali sono i settori in cui la
procedura di veriica preventiva dell’interesse archeologico deve essere obbliga-
toriamente attuata27; del resto, per quanto riguarda i c.d. settori speciali, solo il
D.L. 13 maggio 2011 n. 70 aveva chiarito l’annosa questione dell’applicabilità o
meno delle norme di veriica preventiva28.
Altro aspetto che non ha facilitato l’applicazione della norma ha riguardato le vi-
cende relative all’elenco di soggetti abilitati alla stesura della relazione archeolo-
gica, previsto dall’art. 95 comma 1 del D.Lgs. 163/06. Esso è stato regolamentato
con notevole ritardo solo dal D.M. 20 marzo 2009, n. 6029 e comunque vittima
di numerosi malfunzionamenti e contestazioni. Come vedremo oltre, tuttavia, la
norma generale è del tutto chiara per cui nelle more della piena entrata a regime
dell’elenco, completamente rinnovato e messo online nel giugno 2014, è sufi-
ciente rifarsi ai requisiti previsti per legge.
Un ultimo elemento che ritarda la completa transizione al “nuovo regime” è par-
zialmente di natura extragiuridica ed ha a che fare con una diffusa inerzia degli
ufici amministrativi, soprattutto, spiace dirlo, delle Soprintendenze. Queste ulti-
me in particolare, ino agli ultimi chiarimenti degli ufici centrali del Ministero,

24 D.Lgs. 163/06 All. XII, art. 38: Disposizioni in materia di veriica preventiva dell’interesse archeologi-
co. Cf. Appendice 9.
25 Il Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 133 (c.d. “Sblocca Italia”) convertito con Legge 11 novembre 2014,

n. 164 all’art. 25 comma 4 contiene l’impegno a varare il decreto entro il 31 dicembre 2014.
26 Appendice 4.
27 Appendice 4; Allegato 2 e Appendice 5.
28 D.L. 70/11

Art. 4: Costruzione delle opere pubbliche


1. Per ridurre i tempi di costruzione delle opere pubbliche, soprattutto se di interesse strategico, per semplii-
care le procedure di afidamento dei relativi contratti pubblici, per garantire un più eficace sistema di controllo
e inine per ridurre il contenzioso, sono apportate alla disciplina vigente, in particolare, le modiicazioni che
seguono:
(omissis)
2. Conseguentemente, al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 sono, tra l’altro, apportate le seguenti
modiicazioni:
(omissis)
ee) all’articolo 206, comma 1, dopo le parole: “38”; sono aggiunte le parole “46, comma 1bis;” e dopo le parole
“nell’invito a presentare offerte; 87; 88;” sono aggiunte le seguenti: “95; 96;”.
29 Appendice 9.
29
L’archeologia preventiva: una rivoluzione?  cap 1

hanno continuato a non richiedere una rigorosa applicazione degli artt. 95 e 96


del Codice dei Contratti, temendo forse il rischio di commettere un abuso d’ufi-
cio. Questo atteggiamento ha contribuito al propagarsi dell’opinione erronea che
la veriica preventiva vada condotta solo nelle zone già individuate come di inte-
resse archeologico cosa che rappresenta un evidente controsenso.
114
Archeologia preventiva

Abbiamo già dovuto anticipare alcuni problemi (cf. paragrafo 2.3.1.3.3.3). In


ogni caso, analogamente a quanto accade per la tutela ambientale, un “valore”,
cioè il potenziale, subisce una minaccia da parte di un’opera la cui “aggressività”
sarà direttamente proporzionale alla sua invasività1. Le schede e il format recepi-
scono questo contenuto ma sta al professionista sistematizzare i dati in maniera
da raggiungere la massima leggibilità degli elaborati graici e chiarezza espositi-
va della relazione testuale.
Inoltre va tenuto presente che le stazioni appaltanti e i progettisti hanno bisogno
di strumenti che permettano di uscire il più possibile dall’ambito del giudizio
esperto per consentire delle decisioni sulla base di quantiicazioni che possano
essere trasferite in ambiti esterni all’archeologia.
Anche se la base metodologica non è ancora consolidata, diamo di seguito delle
indicazioni di massima sulla maniera di derivare dei coefficienti di rischio in
funzione dei fattori che abbiamo individuato. Soprattutto poiché il metodo non è
unanime, è essenziale che nella relazione del professionista, qualunque sia il cri-
terio seguito (che deve essere esplicitato in un apposito paragrafo), i vari passaggi
siano adeguatamente motivati e soprattutto questionabili, in modo che i funziona-
ri preposti alla tutela, cui spetta in ultima analisi l’onere della decisione, possano
comprendere e fare proprio il processo attraverso cui il dato è stato ottenuto.

3.1.1.1. La formula
Per arrivare a determinare in maniera credibile un vero e proprio “coeficiente
di rischio” prendiamo in prima istanza in considerazione una forma sempliicata
della formula di Caliano, Gerundo, Napoli2 (anteriore alla formula che lo stesso
Caliano ha messo a punto per la valutazione della componente archeologica nel-
le metodologie di valutazione ambientale3). Utilizziamo questa prima versione
perché risulta allo stato attuale più adatta per il nostro caso (essendo, invece, la
seconda più complessa, formulata speciicamente per gli ambiti di VIA) e inizia-
mo da una variante sempliicata perché ci permette di mettere più agevolmente a
fuoco i concetti base suscettibili di essere poi articolati ulteriormente. Preferiamo

1 Come abbiamo accennato nel paragrafo 2.3.1.3.3 il campo PAV delle schede MODI deinisce il potenziale

mentre il rischio viene quantiicato dal campo VRPS in relazione ad una minaccia espressa dai campi VRPR e
(entro certi limiti) VRPO.
2 Caliano E., Gerundo R., Napoli R.M.A., Il Potenziale archeologico nell’ambito della Valutazione Ambientale,

INPUT 2010. Sesta conferenza annuale di Informatica e Pianiicazione Urbana e Territoriale (Potenza, 13-15
settembre 2010), http://www.slideshare.net/input2010/il-potenziale-archeologico-nellambito-della-valutazio-
ne-ambientale-di-eduardo-caliano-roberto-gerundo-rodolfo-m-a-napoli.
3 Caliano E., La componente archeologica nelle metodologie di Valutazione Ambientale, Tesi di Dottorato IX

ciclo (Università di Salerno), Salerno 2011.


115
Oltre la norma  cap 3

inoltre le formule studiate da Caliano ad altre soluzioni più elaborate4 anche per-
ché, al di là di una certa complessità intrinseca, una formalizzazione eccessiva
degli aspetti legati ad un “giudizio di valore” non è ancora spendibile all’interno
del sistema italiano della tutela.
La nostra formula di partenza è dunque la seguente:

R = Pt × Pe

dove
R = rischio archeologico inteso come possibilità di danneggiamento di resti archeo-
logici presunti o accertati (equivale al campo VRPS delle schede MODI5)
Pt = potenziale archeologico (equivale al campo PAV delle schede MODI6)
Pe = grado di invasività (pericolosità) dell’opera (equivale ma solo parzialmen-
te al campo VRPR delle schede MODI7).
Appare quindi evidente che il “grado di invasività” può essere calcolato in base
alle caratteristiche del progetto: rispetto al patrimonio archeologico per lo più
(ma non solo) in relazione alle quote degli scavi e all’entità dei movimenti terra.
La sua traduzione di massima in linguaggio MODI è quindi questa

VRPS = PAV × VRPR

La scala di valori suggerita per Pe (= VRPR) è la seguente:


Pe = 0: assenza di azioni o azioni immateriali;
Pe = 1: bassa (con scarsa incidenza);
Pe = 2: media (con signiicativa incidenza);
Pe = 3: alta (con elevata incidenza).
Naturalmente si tratterà di valori da riempire di contenuto in relazione alle ca-
ratteristiche dell’opera stessa ed alle condizioni locali. In determinate situazioni
anche quote modeste possono avere incidenza notevole. La cosa importante è

4 Ad esempio, Calaon D., Pizzinato C., L’analisi archeologica nei processi di valutazione ambientale. Proposta
metodologica in ambiente GIS. “Archeologia e Calcolatori” 22 (2011), pp. 413-439.
5 VRPS: “Valutazione di sintesi: esprimere un giudizio di sintesi sulla valutazione di rischio archeologico se-

condo un vocabolario chiuso (alto, medio, basso)”.


6 PAV: “Valutazione nell’ambito del contesto: consente di indicare, a testo libero, i fattori (archeologici, am-

bientali, ecc.) che evidenziano la rilevanza culturale e informativa dell’emergenza archeologica/dell’area


nell’ambito del contesto in cui si trova”.
7 VRPR: “Valutazione del rischio rispetto all’opera in progetto: rispetto all’opera prevista in progetto valutazio-

ne del ‘rischio’ archeologico”. La corrispondenza qui non è completa in quanto la scheda chiede di valutare non
l’invasività assoluta dell’opera o del segmento di opera (schedando quindi l’opera stessa o, meglio, segmenti
omogenei di essa) ma l’impatto che l’opera avrebbe in relazione all’area in cui si è evidenziato un potenziale.
116
Archeologia preventiva

che, in assenza di linee guida, le classiicazioni adottate vengano giustiicate pun-


tualmente nel corpo della relazione.
Se dunque il valore di Pe è ottenibile con relativa facilità, l’elemento critico è la
valutazione del potenziale Pt. Infatti, una certa vaghezza metodologica unita alla
complessità dei parametri da gestire non permette ancora, come abbiamo visto a
più riprese, di uscire, nella valutazione del potenziale, da un quadro di expertise
o giudizio esperto, da parte di chi deve svolgere una valutazione complessiva. Le
modalità di deinizione non sono peraltro sempre esplicitabili con chiarezza: chi
valuta questo parametro, infatti, incrociando i dati derivati dalle carte di densità
di manufatti per metro quadro con l’analisi bibliograica delle presenze note e
quella della situazione geomorfologica, deve determinare il potenziale archeo-
logico, cioè l’indicazione della vocazione insediativa delle singole porzioni di
spazio che determina la maggiore o minore possibile presenza di depositi arche-
ologici stratiicati nel sottosuolo.
In realtà esistono due modi di ottenere questo dato: attraverso un metodo di ex-
pertise induttiva (in cui il giudizio esperto dell’operatore è determinante), oppure
deduttivamente attraverso dei modelli interpretativi più complessi anche con va-
lore predittivo. Attualmente siamo costretti ad impiegare il primo procedimento,
anche perché il secondo non è di fatto ancora utilizzato in Italia. Occorre però dire
che, anche nella forma “induttiva”, il giudizio esperto conterrà comunque degli
elementi di deduttività.
In questo caso la scala di valori suggerita è la seguente:
Pt = 0: nullo (eventuale frequentazione già asportata);
Pt = 1: trascurabile (aree con minimi o nulli indicatori);
Pt = 2: basso (aree con scarsi indicatori e geomorfologia sfavorevole o poco
favorevole);
Pt = 3: medio (aree con scarsi indicatori e geomorfologia favorevole);
Pt = 4: alto (aree con consistenti indicatori e geomorfologia favorevole).
La presenza di evidenze archeologiche o di possibili presenze comunque iden-
tiicate non determina di per sé un rischio archeologico, in quanto esso è in
funzione dell’aggressività del progetto. Un’azione di fatto immateriale (Pe = 0)
determina un rischio nullo in quanto il valore del potenziale, quale esso sia, vie-
ne moltiplicato per zero. È interessante invece notare che, nella scala di Pt, il
potenziale zero è limitato al caso in cui il suolo originario sia stato rimosso con
scavi e sbancamenti precedenti. Questo ai ini del risultato inale è importante in
quanto possono esistere “azioni immateriali” (una rete wireless per esempio) ma
di fatto, tranne in pochi casi ben deiniti, non possono esistere zone a “potenziale
zero”. Può apparire un atteggiamento esageratamente drastico ma effettivamente
non esiste alcun modo di escludere a priori che un’area possa contenere testimo-
nianze archeologiche.
117
Oltre la norma  cap 3

Da questo punto di vista, appare estremamente opportuna l’indicazione di segna-


lare, nelle schede e in cartograia, i “vuoti archeologici” che permettono di esclu-
dere con certezza alcune aree assegnando loro la classiica Pt = 0.
Nella formula base questo valore R, derivante dalla formula R = Pt × Pe, è anche
deinito R0, “rischio speciico” in quanto combinazione dell’azione con le ca-
ratteristiche dell’area in esame. I valori ottenuti (tabella 3.1) corrispondono a 8
risultati possibili, più il valore R0 = 0 che non rientra nelle codiiche previste per
il campo VRPS (infatti è indicato in parentesi nella tabella stessa). Essi vanno
quindi raggruppati in ‘alto, medio, basso’ secondo modalità variabili di cui lo
schema presentato nella tabella 3.1 fornisce un esempio. Altri raggruppamenti
sono possibili e comunque vanno giustiicati nel corpo del testo. I relativi valori
generano la legenda della cartograia e conluiscono nel modulo di valutazione
delle aree di rischio per il quale vedi l’appendice.

Tabella 3.1. Scheda dei valori Pt, Pe, R0 e VRPS

Pt (PAV) Pe (VRPR) R0 VRPS

0 0 0 (Nullo)
0 1 0 (Nullo)
0 2 0 (Nullo)
0 3 0 (Nullo)
1 0 0 (Nullo)
1 1 1 Basso
1 2 2 Basso
1 3 3 Medio
2 0 0 (Nullo)
2 1 2 Basso
2 2 4 Medio
2 3 6 Alto
3 0 0 (Nullo)
3 1 3 Medio
3 2 6 Alto
3 3 9 Alto
4 0 0 (Nullo)
4 1 4 Medio
4 2 8 Alto
4 3 12 Alto
118
Archeologia preventiva

3.1.1.2. Il parametro distanza


Come abbiamo peraltro accennato sopra (paragrafo 2.3.1.3.3), un problema è posto
dalla componente introdotta dalle schede MODI con il campo VRPO8 che esprime
un aspetto della “minaccia” legato alla distanza. In realtà la cosa non è così sempli-
ce, poiché, ragionando in termini di pura tutela del deposito archeologico in quanto
“archivio sepolto”, se l’opera non intacca le stratiicazioni, la distanza è irrilevante.
In realtà, la distanza stessa può essere intesa come “buffer di sicurezza” attorno al
deposito archeologico, in base ad un valore che non può che essere issato in modo
arbitrario e che, di fatto, non corrisponde a nessun modello che non sia una vaga
ipotesi di “potenziale decrescente” in relazione alla maggiore o minore prossimità.
Naturalmente nessuna valutazione può basarsi su una visione così asetticamente
settoriale. Il deposito archeologico è parte del paesaggio antropico, stratiicato sto-
ricamente, le cui esigenze di tutela attengono anche a parametri percettivi che de-
vono essere gestiti in maniera appropriata. Essi al limite, se interpretati a loro volta
in modo unilaterale, possono conliggere anche clamorosamente con le esigenze di
tutela archeologica. Vi sono ambiti paesaggistici che prevedono che determinate in-
frastrutture siano interrate e le ragioni sono evidenti a chiunque. Questo impedisce
di fatto la realizzazione di varianti fuori terra per, supponiamo, un elettrodotto in
presenza di stratiicazioni archeologiche. In questo caso gli elementi in gioco sono
tre: l’opera, il paesaggio, il deposito archeologico, ciascuno con i suoi “valori”.
Spesso la cattiva qualità delle scelte territoriali è legata all’incapacità di esercitare
una mediazione o, al limite, un’opzione tra questi fattori.
Al di là di questi aspetti teorici che pure sono essenziali, visto il risultato deluden-
te della tutela territoriale nel nostro Paese, dal punto di vista pratico suggerisco,
in questa fase, di non tener conto, a livello di sintesi cartograica, del parametro
espresso dal campo VRPO delle schede MODI (la distanza) in quanto una sua
quantiicazione incrocerebbe aspetti sui quali si potrebbe sollevare più di un’ec-
cezione formale e sostanziale. Meglio quindi valutare esclusivamente le interfe-
renze dirette dell’opera con le aree di potenziale, riservando al valore “distanza”
una funzione di warning che segnali i casi in cui l’opera è comunque molto vicina
o ha delle caratteristiche di notevole impatto paesaggistico (un viadotto accanto
ad una chiesa rurale ad esempio), in maniera da evidenziare tutti gli elementi di
giudizio agli ufici di tutela.
Viceversa, la gestione appropriata del campo PAV (la rilevanza) per esprimere il
valore di Pt consente di definire, attorno ad un’area di potenziale, una zona “di
sicurezza” con un potenziale inferiore ed estesa per un valore che andrà fissato su
base locale e comunque adeguatamente giustificato nel corpo della relazione stessa.

8 VRPO: “Distanza dall’opera in progetto: distanza dell’emergenza archeologica o dell’area di potenziale ar-
cheologico rispetto all’opera in progetto”.
119
Oltre la norma  cap 3

3.1.1.3. La gestione delle varianti: il quadro strategico


In una fase avanzata della progettazione, quella in cui spesso ancora oggi le va-
lutazioni archeologiche vengono redatte, il calcolo esposto al paragrafo 3.1.1.1 è
suficiente poiché non è di fatto possibile tener conto di quella che, a quel punto,
diventa un evento straordinario, cioè la necessità di considerare delle varianti.
Tuttavia nella formula completa viene preso in esame un ulteriore elemento:

R = Pt × Pe × Lst

dove Lst rappresenta un livello strategico, altrove deinito anche “valore dell’in-
tervento programmato”, e rappresenta una valutazione strategica che tiene conto
degli interessi in gioco, del valore intrinseco dell’opera da realizzare e dei costi
aggiuntivi derivanti da mancata esecuzione, ritardo o variante.
Se in progettazione deinitiva è dificilmente considerabile, in fase di progetta-
zione preliminare invece questo approccio è premiante. Infatti, includendo questo
indice, da un lato sarà possibile valutare le possibili varianti individuate, dall’al-
tro, quando lo spazio per negoziare varianti è ridotto per una serie di costrizioni
geograiche, urbanistiche, politiche, economiche o altro, permetterà di determi-
nare quanto elevata sia la “necessità dell’opera”. Esso permetterà di capire e rap-
presentare se comunque, anche in presenza di testimonianze importanti, ci sia una
spinta a procedere in ogni modo alla sua realizzazione.
In questo caso l’elevato valore di Lst determinerà un elevato valore di R e di con-
seguenza le azioni di tutela compensativa dovranno essere energiche facendo lie-
vitare i costi in termini di “servizi di archeologia” da acquistare. Oltre una certa
misura l’opera può diventare antieconomica oppure usufruire di risorse straor-
dinarie che consentano operazioni altrimenti non fattibili. Un caso limite, come
abbiamo visto, è stato quello della diga di Assuan in Egitto.
In pratica, nelle opere in cui il livello strategico è minore abbiamo una maggiore
libertà mentre, dove è maggiore, il margine di negoziazione tende a ridursi. Nelle
aree urbane ovviamente è già in partenza molto elevato anche solo per i vincoli “i-
sici”, mentre in aree extraurbane dipende da fattori più variabili, che naturalmente
portano ugualmente a valori strategici alti in corrispondenza di vincoli geograi-
ci (come nel caso della TAV in Val di Susa) o di accordi economici già esistenti
(come nel caso del gasdotto TAP in provincia di Lecce). Quando la considerazio-
ne di questi aspetti entrerà stabilmente nelle procedure di valutazione del rischio
archeologico le decisioni saranno più complesse ma probabilmente più eficaci.
Questo punto va però giocato con la massima correttezza e trasparenza per evi-
tare che interessi impropri possano prevalere su quelli collettivi legati alla salva-
guardia di un bene comune costituzionalmente tutelato. Una grande responsabili-
tà è in questo nelle mani degli ufici di tutela: infatti il principio del polluter pays
120
Archeologia preventiva

inisce per essere uno strumento di tutela indiretta attraverso la leva economica.
Non potendo “ingessare” il territorio con un sistema di vincoli troppo rigido, è il
costo degli interventi di archeologia da inanziare che, rendendo eventualmente
antieconomica un’operazione, spinge a studiare varianti che, attraverso la ridu-
zione dell’impatto, riducano conseguentemente i costi che ne derivano.
Ci sono evidentemente alcune condizioni che però devono essere rispettate:
• la componente archeologica deve essere valutata nella sua interezza, senza
privilegiare uno o più periodi cronologici rispetto ad altri, senza quindi fare
“sconti” in base ad una presunta maggiore o minore importanza. L’ente di
tutela deve, in ossequio al Codice, agli orientamenti correnti ed allo “stato
dell’arte” in materia, stendere delle prescrizioni esaustive e ineludibili (e que-
sto già alla fine della prima fase della valutazione);
• i lavori da eseguire devono essere quantificati in modo rigoroso all’interno del
progetto di scavo archeologico: anche qui la legge riconosce all’ente di tutela
la responsabilità di valutare la congruità delle voci di spesa prima di approvare
il progetto stesso;
• l’impresa che si aggiudica il lavoro deve garantire un organigramma adeguato
e soprattutto essere dotata del direttore tecnico archeologo prescritto dalla leg-
ge. Anche in questo caso l’ente di tutela ha ampia facoltà di chiedere il rispetto
di standard professionali adeguati;
• infine i servizi devono essere offerti ad un prezzo che sia concorrenziale
sul mercato ma non tale da non garantire il rispetto di standard qualitativi
adeguati. Anche in questo caso, essendo impossibile stabilire dei prezziari
minimi9, spetta all’ente di tutela richiedere il rispetto di standard formali e
sostanziali, molti dei quali di fatto già inseriti in norme o circolari, tali da non
consentire tariffe inadeguate.

3.1.2. L’intelligenza del territorio: la “carta del rischio”


Come abbiamo annunciato in premessa, evitiamo di entrare qui nel merito della
vera e propria archeologia predittiva, delle sue attuali applicazioni e delle sue no-
tevoli potenzialità, senza far torto per questo ai colleghi che pionieristicamente se
ne occupano preigurando gli orizzonti futuri della ricerca, ma anzi sottolineando
ancora una volta le rigidità del sistema italiano della tutela che rendono impossi-
bile anche solo pensare ad una vincolistica basata su algoritmi statistici.
È chiaro quindi che la cartograia sin qui discussa, quella cioè da allegare alla
documentazione prevista al punto B del format (paragrafo 2.3.1.3.3.3), è uno

9 Sebbene non costituisca un tariffario minimo, è indispensabile fare riferimento al documento rilasciato nel
2012 dall’Associazione Nazionale Archeologi inserito in appendice al volume (cf. Appendice 19).
121
Oltre la norma  cap 3

strumento che si avvicina in misura maggiore o minore, secondo le capacità e


competenza del redattore, ad una carta induttiva del potenziale.
In base a considerazioni di carattere vario può a tratti assumere caratteristiche
deduttive: le voci previste all’interno della scheda MODI infatti permettono nei
campi PAI e PAV10 di deinire delle aree su base ipotetica. L’essenziale sarà giu-
stiicare il “ragionamento” che ha portato al riconoscimento di tale area come
“potenzialmente archeologica” e in che grado. Non ci sono ad oggi “modelli pre-
dittivi” veri e propri e di conseguenza tale carta afida la sua “predittività” so-
stanzialmente ad un giudizio esperto. Inoltre, la normativa ICCD non prevede
l’espressione di un “grado” di potenzialità fattore che invece, come abbiamo vi-
sto, è essenziale per determinare il rischio archeologico in maniera quantitativa.
All’interno di un modulo di valutazione delle aree di interferenza, sarà quindi
necessario afiancare al campo PAV vero e proprio (di tipo testuale) una codiica,
corrispondente al valore di Pt della formula che abbiamo discusso, che consenta
la classiica in cartograia delle zone a maggiore o minore potenziale, come de-
inito in Appendice. Di conseguenza, il primo elaborato graico da produrre sarà
una carta del potenziale11 con classiicazione corrispondente a “nullo, trascura-
bile, basso, medio, alto”.
Le schede MODI prevedono poi la possibilità di inserire dati relativi alle ca-
ratteristiche dell’opera, sebbene le voci che se ne ricavano (VRPD, VRPL e
VRPO12) siano troppo generiche e soprattutto le prime due consistono, sostan-
zialmente, in una mera descrizione delle caratteristiche dell’opera. Tuttavia, se,
come abbiamo detto sopra (paragrafo 2.3.1.3.3), forziamo leggermente l’archi-
tettura delle MODI, possiamo deinire attraverso il sottocampo VRPR13 l’inva-
sività dell’opera. La classiica delle aree in questo campo potrà essere issata
in base a maggiore o minore profondità di scavo o ulteriori parametri, buffer o
altro che possono essere deiniti in diversi modi a condizione che, come sem-
pre, il criterio sia adeguatamente speciicato. Ciò permetterà di ottenere una

10 PAI (Interpretazione) e PAV (Valutazione nell’ambito del contesto) sono campi del paragrafo PA (VALUTA-
ZIONE/ INTERPRETAZIONE EMERGENZE ARCHEOLOGICHE).
11 Cf. igura 3.1 e Appendice 18. La carta induttiva del potenziale può essere preparata tenendo conto di vari fat-

tori, dai risultati della ricognizione, alla geomorfologia del luogo, ino a un modello insediativo regionale più o
meno di massima che si può desumere anche dalla bibliograia eventualmente disponibile, oltre che esaminando
la distribuzione degli insediamenti di tutte le epoche. Si tratta chiaramente di un’operazione in cui l’occhio di
chi esegue la valutazione ha un ruolo determinante e la componente di expertise individuale resta alta. Perché
il modello stesso sia utilizzabile (dai tecnici della Stazione appaltante, dai progettisti e dai funzionari chiamati
ad esprimere il parere) è essenziale che il ragionamento sviluppato sia espresso in modo chiaro e consistente
nella relazione stessa.
12 VRPD (Deinizione/descrizione dell’opera in progetto), VRPL (Speciiche di localizzazione), VRPO (Di-

stanza dall’opera in progetto), sottocampi del campo VRP (ARCHEOLOGIA PREVENTIVA/VALUTAZIO-


NE DI RISCHIO RISPETTO ALL’OPERA IN PROGETTO) appartengono ugualmente al paragrafo PA.
13 VRPR (Valutazione del rischio rispetto all’opera in progetto).
122
Archeologia preventiva

carta dell’invasività dell’opera14 che sarà quindi ricavata dal modulo per la va-
lutazione delle aree di interferenza che proponiamo in Appendice. L’essenziale
in questo caso sarà evitare l’eccessiva moltiplicazione e frammentazione delle
aree sottoposte a codiica.
Anche se sono ancora necessari degli adattamenti, le indicazioni desumibili dalle
istruzioni per la compilazione del MODI sono, qui come altrove, più avanza-
te rispetto al format che invece come elaborato conclusivo suggerisce ancora la
semplice Carta del potenziale archeologico (detta anche, forse impropriamente,
Carta di ine progetto). Invece il tracciato MODI preigura già, attraverso il cam-
po VRPS15, la possibilità di stendere una vera e propria carta del rischio. Per fare
questo occorrerà predisporre una procedura idonea che riclassiichi le aree sulla
base del prodotto fra il valore di Pt espresso nella carta del potenziale e quello di
Pe espresso nella carta di invasività dell’opera.
La cartograia così ottenuta sarà una carta del rischio archeologico speciico16.
Il valore ottenuto dal prodotto tra Pe e Pt (o tra PAV e VRPR)17 raggruppato in
modo idoneo genererà la legenda della carta stessa e, diversamente dagli altri casi
in cui il valore è assegnato dall’archeologo che prepara la documentazione, andrà
a costituire, in maniera automatica, il campo VPRS del modulo di valutazione
delle aree di rischio di cui all’appendice. I sistemi GIS gestiscono agevolmente
questo tipo di operazioni18.
Allo stato attuale non esistono invece indicazioni che prendano in considerazione
l’analisi e la gestione di varianti, sul piano del rapporto costi/beneici. Ovvia-
mente, un calcolo degli aspetti strategici legati a eventuali modiiche dell’opera
richiede capacità analitiche che esulano dalle competenze dirette di un archeolo-
go, almeno per ora, ed andrebbe eventualmente valutato piuttosto nel gruppo di
progetto nel suo insieme.
In ogni caso una carta del rischio così ottenuta, se il processo di individuazione
del potenziale delle singole aree è stato chiaro e lineare, rappresenta un notevole
passo avanti rispetto a qualsiasi altra forma di cartograia sin qui prodotta.

14 Cf. igura 3.2 e Appendice 18.


15 VRPS (Valutazione di sintesi).
16 Cf. igura 3.3 e Appendice 18. La carta consisterà in un nuovo strato informativo che rappresenterà il risultato

per le singole aree di interferenza della formula R = Pt × Pe.


17 Corrispondente al valore R della formula esposta al paragrafo 3.1.1.
0
18 Le modalità di esecuzione della procedura con il sofware ArcGIS 10 sono presentate in Appendice 18.
123
Oltre la norma  cap 3

Figura 3.1. Stralcio della Carta del rischio (potenziale archeologico) su una base CTR (planimetria
alla scala originale di 1:5.000). Da: Comune di Grottole, Variante s.p. 65, serre fotovoltaiche per frut-
teto, maggio 2013 (dott. Paola Tagliente)
124
Archeologia preventiva

Figura 3.2. Stralcio della Carta del rischio (invasività delle opere in progetto) su una base CTR (pla-
nimetria alla scala originale di 1:5.000). Da: Comune di Grottole, Variante s.p. 65, serre fotovoltaiche
per frutteto, maggio 2013 (dott. Paola Tagliente)
125
Oltre la norma  cap 3

Figura 3.3. Stralcio della Carta del rischio (rischio archeologico) su una base CTR (planimetria alla
scala originale di 1:5.000). Da: Comune di Grottole, Variante s.p. 65, serre fotovoltaiche per frutteto,
maggio 2013 (dott. Paola Tagliente)
126
Archeologia preventiva

3.2. Etica per un’archeologia sostenibile


3.2.1. Un ruolo etico per l’archeologo
La nuova normativa, dunque, razionalizza una prassi che si è evoluta nel tempo in
modo disordinato, fornendole, malgrado alcune inerzie e ritardi, una prima base
giuridica. Disporre di una normativa più chiara signiica quindi, per l’archeologo,
disporre dei mezzi per “affrancarsi” da una situazione incerta e precaria ma an-
che dover affrontare per la prima volta nuovi ruoli e nuove responsabilità. All’i-
nizio di questo volume avevamo ripercorso la vicenda dei “collaboratori esterni”
e la nascita di un ibrido in cui un “uomo di iducia” del funzionario archeologo
(quindi una specie di precario della PA) iniva per essere messo “a libro paga”
dell’impresa esecutrice: un ruolo di compromesso chiaramente non sostenibile e
non difendibile indeinitamente.
La normativa oggi consente di uscire da questo equivoco disegnando un quadro
che attribuisce all’archeologo ruoli e obblighi nuovi molto diversi da quelli tradi-
zionali, sin qui considerati secondari rispetto all’attività di ricerca “pura” ma in
realtà molto più proicui se visti in relazione con le necessità pratiche per la società
derivanti dal bisogno di conciliare lo sviluppo (ma talvolta anche la semplice vita
quotidiana) con la tutela del patrimonio culturale e, speciicamente, archeologico.
Per poter svolgere questa funzione in maniera eficace è necessario che il profes-
sionista sia consapevole del proprio ruolo, cessando di essere una “appendice”
del Ministero e delle Soprintendenze e diventando invece un consulente della
stazione appaltante. Chiamato inizialmente a redigere il Documento di valutazio-
ne archeologica preventiva, svolge di conseguenza la funzione cruciale di orien-
tare già la progettazione preliminare verso delle scelte che consentano di ridurre
l’impatto dell’opera sul patrimonio archeologico e quindi di consentire, nelle fasi
successive, un risparmio di tempo e denaro. È quindi importante che l’archeologo
non sia l’estensore di un mero “pezzo di carta”, ma sia ben integrato nella proget-
tazione dell’opera, al ine di inluenzare signiicativamente il progetto, in partico-
lare il tracciato delle opere a rete, riducendo sin dall’inizio l’impatto dell’opera
sul patrimonio archeologico e quindi i costi ulteriori19.
Naturalmente la legge lascia alle Soprintendenze il ruolo di dettare misure di tu-
tela, prescrizioni e quant’altro, ma al professionista autore della valutazione pre-
liminare resta comunque la responsabilità di avere “istruito la pratica”: in molti
casi, al di là di un mero controllo formale, non esiste la possibilità di questiona-
re la bontà di un lavoro che, se adeguatamente confezionato e se non ha palesi
lacune o contraddizioni, a meno che non conligga con conoscenze dirette dei

19 Fatto questo che giustiica ampiamente i costi per la redazione del documento di valutazione. Ciò purtroppo
non accade, mentre troppo spesso vengono ancora commissionate generiche “cartograie” a prezzi esageratamen-
te bassi che giustiicano ulteriormente l’idea del puro adempimento formale.
127
Oltre la norma  cap 3

funzionari, deve essere assunto necessariamente a base della valutazione e delle


successive prescrizioni.
Va quindi evidenziato anche che, qualora i successivi lavori intercettassero con-
testi rispetto ai quali fossero state disposte misure di tutela insuficienti, potrebbe
conigurarsi, in caso di danneggiamenti e di conseguente denuncia, una respon-
sabilità del professionista, sia in termini penali sia verso l’impresa che subisce un
danno quantiicabile in sede di giudizio civile. Si tratta chiaramente di un caso
limite ma che giustiica in qualche misura il costo della consulenza in quanto la
irma apposta sulla relazione equivale ad un’assunzione di responsabilità pari a
quella di un architetto o di un ingegnere.
La fase preliminare è dunque cruciale e per alcuni osservatori acuti forse persino
tardiva rispetto alle valutazioni ambientali strategiche che sono forse l’ambito
in cui si potrebbero indirizzare le scelte di fondo, evitando di sovraccaricare di
opere le aree a maggior potenziale archeologico. Malgrado ciò, essa rappresenta
ancora un livello ragionevole di progettazione per poter operare in maniera da
raggiungere un compromesso efficace fra le diverse componenti.

3.2.2. Professionisti per una gestione ottimale della tutela


Dal punto di vista dell’archeologo si tratta di un rovesciamento rispetto alla prospet-
tiva tradizionale, quella in cui una tutela “astratta” si contrappone a tutti gli interessi
“concreti” (uscendo peraltro sonoramente sconitta dal confronto), ma ancora più
forte è il rovesciamento di metodo che tale nuova prospettiva rende necessario. In-
fatti, se lo scavo archeologico è un’attività complessa e costosa, che peraltro erode
in modo totalmente irreversibile una risorsa non rinnovabile, se l’interesse della
società è preservare tale risorsa per le future generazioni e se l’interesse della sta-
zione appaltante (e, in subordine, della iliera di esecuzione) è quello di risparmiare
tempo e denaro, l’uovo di Colombo consiste nel ridurre il più possibile il ricorso
agli scavi archeologici, facendo sistematicamente appello a tutte le soluzioni che
consentano di andare nella direzione di una riduzione degli scavi necessari.
Si tratta di un rovesciamento di metodo perché nella visione comune del lavoro
dell’archeologo l’attività di scavo sembra essere quella predominante e, di conse-
guenza, ad essa sembrano legate nella pratica le maggiori opportunità professio-
nali. Una simile logica non può essere perseguita ad oltranza, in quanto portereb-
be ad un deinitivo esasperarsi delle contraddizioni fra tutela e sviluppo e ci ricon-
durrebbe a tutti gli usi deteriori che hanno tenuto gli archeologi il più possibile
lontano dalla cabina di regia dei progetti. In questo contesto, il timore di “guai”
derivanti dal patrimonio archeologico si è tradotto peraltro con una notevole fre-
quenza in un blocco lavori al primo rinvenimento di qualche signiicato, talvolta
sottolineato ad arte, sicché qualcuno ha inito per “pagare” anche per gli altri.
Se in tutta la fase preliminare da parte dell’archeologo o degli archeologi inca-
128
Archeologia preventiva

ricati di afiancare l’iter progettuale verrà tenuta ben presente e costantemente


onorata la funzione di consulente di parte, anche in contraddittorio con i colleghi
degli ufici di tutela, si potranno trovare e condividere le soluzioni ottimali da
trasformare poi in progetti di scavo dove necessario.
A quel punto la strada è in discesa: una progettazione ottimizzata porterà un nu-
mero contenuto e prevedibile di interventi sul terreno da sottoporre a progettazio-
ne speciica sulla base delle direttive dei funzionari di tutela. Come abbiamo già
detto e salvo contrario avviso (motivato da peculiarità speciiche dell’intervento),
lo stesso consulente della stazione appaltante che ha curato la relazione prelimi-
nare potrà occuparsi delle successive fasi di progettazione.
I progetti di scavo, certi nei tempi e nei costi, saranno messi a gara e affidati ad
un professionista ulteriore, il direttore tecnico dell’impresa che eseguirà i lavori.
Anche qui la funzione di consulente di parte del professionista incaricato dalla
stazione appaltante non dovrebbe cessare in quanto le sue competenze possono
essere utilizzate per giudicare in corso d’opera la correttezza dell’esecuzione da
parte della ditta appaltatrice, operazione che deve fare ricorso a parametri quali-
tativi che non sono padroneggiati da ingegneri o architetti, ma la cui valutazione
non può comunque essere demandata in bianco all’ente di tutela.

3.2.3. Chi più spende meno spende


Il riferimento alla “resa economica” della valutazione preliminare pone il proble-
ma dei suoi costi che possono essere non indifferenti, specie nelle opere a rete
dove la ricognizione lungo il tracciato impone l’esame di svariati ettari di ter-
reno. Inoltre, sempre ad integrazione della progettazione preliminare, potranno
essere prescritti come abbiamo visto carotaggi, prospezioni geoisiche e sondaggi
archeologici. Tutto questo, solo in fase di progettazione preliminare, prima cioè
dell’approvazione del progetto stesso. Si tratta quindi di un’esposizione economi-
ca notevole a fronte di un risultato in apparenza incerto, nel senso che, di fronte a
problemi molto complessi, l’opera potrebbe risultare di fatto irrealizzabile. Inol-
tre, considerando che molte opere vengono sottoposte a richiesta di inanziamen-
to con un progetto preliminare sommariamente redatto a costo zero dagli ufici
tecnici, quest’ultimo non può materialmente contenere un elaborato impegnativo
come quello di cui stiamo parlando. In questo caso il documento viene sollecitato
in un secondo momento dagli ufici di tutela, ma il suo slittamento in una fase più
avanzata della progettazione non è un fatto senza conseguenze.
Saltare un livello di progettazione, passando direttamente al progetto deiniti-
vo signiica infatti ridurre la possibilità di apportare in modo indolore varianti
all’opera che tengano conto, in modo adeguato, della componente archeolo-
gica. Di conseguenza, la lessibilità molto minore induce a cercare soluzioni
di compromesso al ribasso, con operazioni pasticciate e sottocosto oppure col
129
Oltre la norma  cap 3

sacriicio, più o meno consapevole, di pezzi di patrimonio archeologico. Tutta-


via, il risparmio è solo apparente: al di là del danno non quantiicabile causato
dalla stessa “distruzione controllata” dei depositi archeologici cui si riducono
le soluzioni raccogliticce, una progettazione non integrata sotto questo aspetto
può portare in fase esecutiva a sorprese che mettono inevitabilmente in crisi il
quadro economico, causando un rallentamento dei lavori che conduce a mag-
giori costi non prevedibili.
A fronte della certezza, quasi matematica in gran parte del territorio nazionale, di
imbattersi in ritrovamenti occasionali o in situazioni molto più complesse di quel-
le oggi ottimisticamente quantificate nel quadro economico, un buon documen-
to di valutazione archeologica preliminare e un programma di approfondimenti
diagnostici (fase 1) adeguatamente dimensionato possono invece costituire una
valida “polizza assicurativa” contro gli imprevisti. Ciò ad almeno due condizioni
concatenate:
• che il lavoro del o degli archeologi incaricati integri realmente quello dei pro-
gettisti sviluppando un elaborato che, già in fase iniziale, prima ancora che gli
uffici di tutela abbiano avuto la necessità di esprimersi, presenti un impatto sul
patrimonio archeologico minimo;
• che gli ulteriori approfondimenti diagnostici, indubbiamente più impegnativi
dal punto di vista economico, al momento dell’espressione del parere, possa-
no essere ridotti quindi all’essenziale.
Inoltre, con un encomiabile intento ma con una certa mancanza di senso prati-
co, la legge prevede che le attività di scavo in estensione, previste alla succes-
siva fase 2, siano considerate integrative della progettazione definitiva ed ese-
cutiva. Di conseguenza, tutte queste complesse e costose operazioni precedono
l’effettivo inizio dei lavori. In aggiunta, come è ovvio, finiscono anche per
contemplare l’ipotesi, ancorché remota, che, al termine di tutto l’iter, l’opera
non si possa realizzare.
Per quanto sia chiaro che il valore rappresentato dalla testimonianza archeolo-
gica sepolta sia un aspetto che occorre cercare di salvaguardare in ogni modo, è
anche ovvio che queste attività, se eseguite in fase di progettazione deinitiva ed
esecutiva, comportano un aggravio di costi che per molte opere rischia di essere
dificilmente sostenibile.
Eppure, anche in questo caso, un’attività accurata di progettazione riduce l’im-
patto sul patrimonio archeologico diminuendo quelle particolari opere compen-
sative, quali sono gli scavi estensivi, in modo che, in progettazione deinitiva, le
opere possano assumere le caratteristiche maggiormente compatibili col patri-
monio archeologico.
130
Archeologia preventiva

3.2.4. Tutela della qualità, qualità della tutela


Questo nuovo assetto modiica anche radicalmente le funzioni degli ufici di tu-
tela, rafforzandone di molto le funzioni di controllo anche con l’individuazione
di interlocutori chiari con cui sia possibile parlare lo stesso linguaggio e rispetto
ai quali il potere di sanzione indiretto, derivante da una loro cattiva gestione del
progetto, possa essere realmente eficace.
In passato le Soprintendenze avevano inteso controllare la qualità del lavoro at-
traverso la gestione di liste di “collaboratori di iducia”, cioè di giovani archeo-
logi che godevano di una certa considerazione presso il funzionario responsabile
di un determinato territorio. Il collaboratore era quindi solidale in toto con il fun-
zionario ed entrambi avevano come controparte l’impresa appaltatrice e l’uficio
tecnico che commissionava i lavori (sebbene come già detto il collaboratore fosse
pagato da uno di questi due soggetti).
Al di là della natura primitiva del meccanismo, dichiarato peraltro illegittimo da
una recente circolare della direzione generale alle antichità20, esso derivava da un
sistema in cui:
• l’attività consisteva essenzialmente in scavi d’urgenza a seguito di scoperte
fortuite;
• i lavori avrebbero dovuto esser condotti direttamente dal funzionario archeo-
logo che, non potendo per ragioni di ufficio, cedeva parte della sua sovranità
al collaboratore, mantenendo la direzione in modo per lo più formale.
Con l’ingresso dell’archeologo professionista nel gruppo di progettazione, la
situazione cambia sostanzialmente in quanto il progetto subisce una prima
“istruttoria”, seppur di parte, che, se ben condotta, può prefigurare un iter più
snello in quanto dovrebbe, da un lato, contenere già a monte tutti gli adempi-
menti che ancor oggi spesso vengono faticosamente richiesti in itinere dagli
uffici di tutela, dall’altro, essere realmente dimensionato in funzione di un im-
patto ridotto.
Questa igura professionale, provvista di requisiti abilitanti deiniti per legge, non
subisce un potere sanzionatorio diretto da parte delle strutture centrali o perife-
riche del ministero ma viene valutata in base alla qualità del proprio lavoro mi-
surata in termini di risultati, cioè di linearità e di rapidità dell’iter del progetto.
Di conseguenza, la libera concorrenza sul mercato di questi servizi sarà tanto più
corretta e virtuosa quanto più uniformemente rigorosa sarà la valutazione da parte
degli ufici (e dei singoli funzionari) del lavoro dei professionisti, in termini di
aderenza ai format, alle circolari e alle disposizioni normative.

20 DG Ant. Circolare del 10 settembre 2012, n. 17 (Appendice 15).


131
Oltre la norma  cap 3

Di poco differente è il potere di controllo sull’archeologo progettista in quanto


la circolare 10/2012 attribuisce una certa discrezionalità agli ufici, anche se le
scelte devono essere sempre motivate e comunque l’ipotesi che possa prodursi un
qualsiasi atto che escluda ingiustiicatamente un professionista da un incarico è
stata appunto stigmatizzata dalla Direzione Generale.
Diversa è a sua volta la situazione delle ditte esecutrici che, operando material-
mente sul sito archeologico, sono sottoponibili al rischio di una duplice sanzione:
quella indiretta, in cui una cattiva conduzione dei lavori porta a ritardi e maggiori
oneri, l’altra diretta in caso di gravi errori nei quali potrebbe essere ravvisabile
il proilo di distruzione del patrimonio archeologico e la conseguente denuncia
penale (art. 733 del Codice Penale).
È dunque ingiustiicato temere che un sistema così articolato porti ad uno scadi-
mento dell’azione di tutela. La bontà del risultato sta nella corretta interpretazione
del proprio ruolo da parte di ciascun attore ed in particolare dall’uniformità di di-
rettive da parte degli ufici di tutela e di costante impegno a pretenderne il rispetto.
Pur se alleggerito di buona parte delle prerogative attive, l’ente di tutela è infatti
chiamato a svolgere un ruolo determinante di vigilanza sul rispetto delle regole,
stabilendo a monte prescrizioni non aggirabili e veriicando a valle il rispetto di
requisiti rigorosi di qualità. Si tratta di un compito diverso da quello tradizional-
mente svolto dalle Soprintendenze, che orienta la loro autorità (essenzialmente
intatta), in una direzione che, anziché agitare cartellini rossi, funga da stimolo
all’utilizzo di pratiche virtuose.
Naturalmente la decisione eccezionale di natura politica che infrange le regole
normali della tutela sarà sempre possibile e, in ultima analisi, anche legittima ma
resterà coninata nella sua dimensione di eccezionalità e soprattutto la sua natura
di “infrazione alle regole” sarà evidente e, come tale, sarà politicamente giudicata
in seno ad una società democratica e sanzionata elettoralmente, se invece si rive-
lerà un cedimento dinanzi a interessi impropri. Ciò sarà tanto più chiaro quanto
meglio riusciremo a percepire il carattere politico degli stessi strumenti di tutela,
carattere che ino ad oggi è stato celato dietro l’autorità dei funzionari.
Attraverso la generalizzazione di processi partecipativi all’interno delle comu-
nità territoriali, l’aspetto “politico” dell’azione di tutela sta ora progressiva-
mente emergendo e di conseguenza il valore “relativo” di concetti ritenuti trop-
po a lungo assoluti sta lentamente facendosi strada. Tuttavia, è ancora presto
per prendere in considerazione il problema della valutazione del “valore” dei
resti archeologici che attualmente viene risolto considerando tutti i resti essen-
zialmente allo stesso livello, nascondendo le componenti decisionali dietro un
modello di tipo tecnico-scientiico21.

21 Caliano, op. cit. p. 55.


132
Archeologia preventiva

Questo non solo non ci permette di introdurre in questa sede formule per il cal-
colo del rischio basate su aspetti qualitativi che non sarebbero accettabili all’in-
terno di una procedura di valutazione archeologica, ma in generale rende ancora
a tratti dificile il rapporto sul territorio tra funzionari periferici del MiBACT e
comunità locali.

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