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“Carpe diem”, “afferra il giorno”: in questa frase si compendia la visione della vita del poeta Orazio, vissuto

all’epoca dell’imperatore Augusto, contemporaneo di Virgilio (di cui fu grande amico) e compreso in quel
gruppo di artisti e poeti che fu protetto e sostenuto da Mecenate. La frase oggi è spesso banalizzata e
utilizzata in modo inappropriato nel senso di “approfitta dell’attimo fuggente, goditi la vita, non lasciarti
sfuggire nessuna occasione di appagamento”, ma nel suo contesto originale non è un semplice invito a
godere spensieratamente l’effimero: essa ha un valore più sfumato e sottintende un orizzonte culturale
complesso. Cercheremo qui di precisarne il senso.
Innanzitutto è opportuno collocare la frase nel suo contesto originario, un breve componimento dedicato a
una donna, Leuconoe (nome chiaramente fittizio: in greco significa ‘mente candida’) e contenuto nel primo
libro delle Odi (Carmina). Se ne fornisce di seguito una versione fedele:
«Tu non chiederti, non è lecito saperlo, quale fine abbiano riservato gli dèi a me e quale a te, o Leuconoe, e
non tentare gli oroscopi babilonesi. Come sarà meglio accettare tutto ciò che verrà! Che Giove ci doni molti
inverni o che ci conceda come ultimo quello che ora fiacca il mare Tirreno su opposti scogli, sii saggia
(sapias), filtra i vini, e, nel breve spazio della vita, tronca una speranza lunga. Mentre stiamo parlando, il
tempo invidioso sarà già trascorso: cogli il giorno, affidandoti il meno possibile al successivo». (Carmina I
11).
Il verbo carpo significa ‘afferrare, strappare’, e si usa primariamente per indicare l’atto di cogliere un fiore:
viene poi usato in senso traslato in un numero elevato di contesti nel senso di ‘cogliere, non lasciarsi
sfuggire’ (cogliere un ricordo, per esempio): e siccome i fiori vengono colti per assaporarne il profumo e in
sostanza per provare una sensazione piacevole, il verbo si presta anche a un uso metaforico, e assume il
valore di ‘provare una sensazione di benessere, di gioia’, non necessariamente momentanea: Catullo, un
poeta di poco precedente a Orazio, usa l’espressione carpere aetatem nel senso di ‘trascorrere la vita’ (illic
mea carpitur aetas, ‘lì si svolge la mia vita’) e Virgilio scrive mollis sub divo carpere somnos, ‘abbandonarsi
a placidi sonni sotto il cielo’.
Se l’invito carpe diem costituisce la conclusione dell'ode, non si deve dimenticare né che esso è completato
da una frase che richiama la precarietà umana né che il centro ideale del componimento non è qui, ma
nel sapias collocato circa a metà. Si potrà poi notare dal testo originale che l'invito finale è preceduto da due
altri inviti: il 'non chiederti' iniziale e un invito più sfumato al centro del componimento (sapias, congiuntivo,
con un’espressione quindi meno forte dell'imperativo carpe), seguito da due precisazioni: la prima riguarda il
comportamento pratico e immediato (mesci i vini), la seconda una regola di vita (non coltivare speranze
eccessive). Dunque un invito negativo ('non pretendere di sapere'), un richiamo a una ripresa di coscienza
('sii saggia') e infine l'invito finale, che ha bisogno però di una spiegazione: non porre aspettative nel domani,
perché il futuro non è condizionato dai tuoi desideri.
Poste queste premesse, carpe diem non è un mero invito al godimento momentaneo o (peggio) al piacere
sfrenato, ma un richiamo alla valorizzazione di quanto di positivo vi può essere nell'attimo che stiamo
vivendo, senza trasferire le nostre aspettative e i nostri desideri su un futuro che nessun essere umano può
conoscere.
Pensiamo all’indimenticabile film con Robin Williams, “L’attimo fuggente” (il titolo originale è “Dead
poets society”, ossia “la setta dei poeti estinti”) che fa del Carpe diem, nel senso profondo dell’espressione, il
nodo attorno al quale tutti i protagonisti costruiscono la propria storia. Il professor Keating non si accontenta
di un tipo di insegnamento didattico e convenzionale, ma incita i propri studenti a trovare il senso profondo
della propria vita, il verso che completa la loro poesia, a vivere pienamente e intensamente ogni momento,
ma anche a costruire il futuro, senza temerlo.
“Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza e in profondità e succhiare tutto il midollo della vita,
sbaragliare tutto ciò che non era vita e non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”; su questo passo
letterario di Henry David Thoreau alcuni studenti del professor Keating fondano lo statuto della loro setta dei
poeti estinti.
Vivere quindi, correndo il rischio di essere anticonformisti e di sperimentare, per non lasciarsi
sopravvivere, per non lasciar scorrere i giorni come se fossero tutti uguali, senza nemmeno accorgersi di
quale direzione stia prendendo la vita.
Bisogna fare attenzione a non confondere questo messaggio con il mero godimento del presente, con
l’invito a buttarsi nelle situazioni senza pensare alle conseguenze, ad essere impulsivi, a non discriminare tra
occasioni buone e fruttuose e occasioni superficiali ed effimere.
Talvolta, non è così facile saltare sul treno che passa una volta sola, battere il ferro finché è caldo,
succhiare il midollo della vita, prendere il toro per le corna: quante volte siamo consapevoli dell’importanza
di osare, di fare una telefonata, di presentarci ad un appuntamento, di lasciarci andare, di alzare la mano per
fare una domanda? Eppure qualcosa ci blocca, ci fa rimandare, in alcuni casi ci fa addirittura rinunciare.
Adduciamo una serie di motivazioni razionali al nostro comportamento: ho tante cose da fare, non è il
momento, non sono ancora sicuro, ci penso ancora un po’, non è così necessario: il risultato quindi è quello
della procrastinazione cosi “ripetitiva” che l’occasione svanisce, oppure ci convinciamo che sia meglio
rinunciare a fare ciò che avevamo pensato. Diversi fattori possono influenzare questo tipo di comportamento.
Un pensiero eccessivamente rivolto al futuro, ad esempio, e soprattutto a vedere il futuro in modo
pessimistico, ci porta ad essere costantemente proiettati verso ciò che accadrà domani, senza che riusciamo a
goderci l’oggi, perché le nostre energie sono talmente impegnate a pensare a possibili scenari, a preoccuparci
di ciò che ancora accadrà, che non rimane spazio mentale focalizzato sul momento che stiamo vivendo.
Talvolta abbiamo la convinzione che le conseguenze di ciò che facciamo ora non potranno che essere
negative, anche se razionalmente non possiamo saperlo, e così rischiamo di vivere sempre con il freno a
mano tirato, osservando i giorni che trascorrono tutti uguali, sempre nell’attesa che accada qualcosa che
puntualmente non accade, perché questo pensiero così rivolto al futuro impedisce di investire sul presente.
Altre volte, alla base del procrastinare c’è l’idea che le occasioni debbano venire dall’esterno “se è destino
che mi succeda, succederà”, “se questa persona tiene a me, sta a lei dimostrarmelo”, “se è il momento giusto,
saprò riconoscerlo”, come se non ci fosse alcuna responsabilità rispetto alla direzione che sta prendendo la
propria vita, come se si fosse in balia degli eventi esterni e si dovesse attendere che le cose accadano e il
nostro unico compito fosse rispondere a ciò che ci si presenta davanti.
Ad un livello più profondo, ci sono l’idea e la concezione che ognuno ha di sé stesso. Se una persona si
sente inadeguata, ha scarsa fiducia nelle proprie capacità, crede di non poter piacere a nessuno, pensa che,
nonostante il proprio impegno, non ce la farà, sente di avere poca influenza su ciò che le accade intorno,
come potrà rendersi protagonista delle proprie scelte, avere fiducia nel proprio istinto, nell’essere capace di
agire, di prendere in mano la situazione?
Così si aspetta, si rimanda, perché l’idea sottostante è che tanto non si è in grado, che nulla potrà cambiare
la propria condizione. Vi è scarsa fiducia nella possibilità di cambiamento, desiderato ma
contemporaneamente temuto, e ogni spinta a prendere l’iniziativa e a fare dei movimenti per spostarsi dalla
situazione in cui ci si trova, sembra uno sforzo molto faticoso e vano.
Questa è la profezia che si auto avvera: se ci si sente inadeguati e incapaci, se si pensa di non poter mai
cogliere le occasioni, di arrivare sempre troppo tardi, l’atteggiamento e il comportamento che si assumeranno
non potranno che portare a conseguenze che confermeranno la convinzione iniziale. È utile quindi superare
l'idea, diffusa, che le nostre difficoltà e le motivazioni del nostro comportamento dipendano solo da eventi o
persone esterni e che la nostra sia solo una reazione a ciò che succede, è necessario invece riflettere su stessi,
essere introspettivi e pensare che ciò che ci blocca, o ci fa rimandare, o non ci permette di rimanere nel
momento presente, spesso dipende da noi ed è dentro di noi, così come dentro di noi ci sono anche le risorse
per vivere meglio e per sentirci protagonisti della nostra vita.
Nell’ottica di questa riflessione sul motto oraziono, su un ulteriore elemento ci si deve soffermare: il
futuro. Quello che Orazio può insegnare a noi che viviamo nel Terzo Millennio è che, per cogliere
l’importanza del presente, occorre saperlo considerare ed osservare. I ritmi frenetici delle nostre giornate ci
fanno vivere proiettati nel futuro, in corsa verso la realizzazione di progetti, piani a lungo termine, strategie
complesse che ci coinvolgono e ci legano per anni. Si pensi a quelle famiglie che progettano la carriera
scolastica dei figli fin dall’asilo, senza considerare le aspirazioni e i talenti che questi potrebbero manifestare
crescendo. Spesso siamo così coinvolti in queste complesse pianificazioni da dimenticarci di attribuire a ogni
giornata il suo singolo valore e persino di gustare i momenti piacevoli che può regalarci, magari a sorpresa.
Dinnanzi a tutto questo quello che allora effettivamente si deve fare è rallentare. Si pensi ad esempio a
quando si viaggia, a velocità ridotte, in bicicletta o a piedi e a quanti dettagli del paesaggio circostante si
possono osservare anziché spostandosi in automobile. Quindi, l’ultima e conclusiva parole chiave di questa
riflessione sul concetto di “carpe diem” è: rallentare il ritmo della nostra vita quotidiana, per viverla con più
consapevolezza e con minore frenesia. Basta fare le cose una per volta e prendersi un istante di tempo tra
un’azione e l’altra per constatare con soddisfazione che il lavoro, di qualsiasi cosa si tratti, è venuto bene,
oppure fare una pausa ogni tanto allontanando tutti i pensieri e godendo semplicemente del buon sapore del
caffè che stiamo prendendo, o del silenzio che c’è intorno, o ancora del colore del cielo fuori dalla finestra.

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