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Benvenuto Cellini
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Benvenuto Cellini (Firenze, 3 novembre 1500 – Firenze, 13


febbraio 1571) è stato uno scultore, orafo e scrittore italiano,
considerato uno dei più importanti artisti del manierismo.

Durante la sua vita scrisse anche poesie e una celebre


autobiografia. Di indole inquieta, nel 1523 dovette fuggire a Roma
dopo essere rimasto coinvolto in una rissa. Partecipò attivamente
alla difesa armata della città eterna durante il sacco del 1527 ad
opera dei lanzichenecchi. Nel 1540 raggiunse la corte di Francia
del re Francesco I rimanendovi per circa 5 anni. Tra le sue opere
più importanti la Saliera di Francesco I di Francia e la statua
Perseo con la testa di Medusa.

Indice
Biografia Ritratto di Benvenuto Cellini alla
Giovinezza Biblioteca Nazionale di Vienna

Botteghe d'orafi e tafferugli


Il pontificato di Clemente VII
Il pontificato di Paolo III
Il periodo francese
Al servizio dei Medici
Produzione artistica
Cellini scultore e orefice
Cellini scrittore
L'uomo Cellini
Omosessualità
Accuse di sodomia
Opere
Nella cultura di massa
Nella letteratura
Opere teatrali e musicali
Al cinema
Note
Bibliografia
Voci correlate
Altri progetti
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Collegamenti esterni

Biografia

Giovinezza

Benvenuto Cellini nacque nella notte tra il 1º e il 2 di novembre


1500 a Firenze; una lapide dettata da Giuseppe Mellini indica il
luogo preciso dove il Cellini ebbe i natali, al n. 4 di via Chiara,
oggi diventato un tratto di piazza del Mercato Centrale. La
madre era la fiorentina Elisabetta Granacci; il padre era
Targa commemorativa sulla casa Giovanni Cellini, un suonatore di strumenti musicali e
natale del Cellini (Firenze) intagliatore d'avorio che si cimentava nella costruzione di viole,
arpe e liuti, a detta del figlio «bellissime et eccellentissime», e
di «maravigliosi» organi e clavicembali, ricordati sempre da
Benvenuto come «i migliori e più belli che allora si vedessino».[1]

Già in «tenerissima» età il padre, che tra l'altro faceva parte del gruppo dei pifferi di Firenze, cercò
di avviare il figlioletto allo studio della musica, affinché divenisse «gran sonatore». Grazie agli
insegnamenti del babbo Giovanni, e soprattutto dell'organista fiorentino Francesco dell'Aiolle,
Cellini - nonostante la malavoglia - rivelò doti musicali notevoli, in particolare nel flauto e nel
cornetto. Questa, tuttavia, era una dedizione indotta più che spontanea, tanto che le ambizioni del
giovane Benvenuto non erano rivolte ad eccellere in quello che ormai definiva il «maledetto
sonare»[2], bensì a divenire «primo homo del mondo» nel campo dell'arte orafa. Per questo motivo,
a partire dal 1513, il giovane Cellini frequentò nella sua città natale la bottega dell'orafo e armaiolo
Michelangelo Bandinelli[3], per poi passare due anni dopo sotto la guida di Antonio di Sandro, detto
Marcone, «bonissimo praticone, e molto uomo dabbene, altiero e libero in ogni cosa sua»[4].

Botteghe d'orafi e tafferugli

Cellini manifestò bruscamente la propria indole irrequieta e violenta già a sedici anni, nell'anno
1516: in seguito a una rissa, infatti, fu esiliato insieme al fratello Cecchino a Siena, dove soggiornò
per «molti mesi» studiando oreficeria nella bottega di Francesco Castoro[5].

Ritornato a Firenze per desiderio del padre, Benvenuto si recò a Bologna per perfezionare «il
sonare»; pur assecondando le volontà paterne, nella città emiliana Cellini riuscì ad attendere
all'amata oreficeria, lavorando dapprima con Ercole del Piffero, quindi con un israelita, tale
Graziadio, e infine con il miniatore bolognese Scipione Cavalletti[6]. Dopo un'affrettata sosta a
Firenze, donde fuggì a causa delle insistenze del padre per la musica, nel 1517 Cellini proseguì la
sua formazione nella bottega dell'orafo Ulivieri della Chiostra, a Pisa, dove si applicò anche allo
studio di opere antiche, copiose nel campo santo[7].

Dopo un accesso di febbre, Cellini si recò «Voltomi subito e veduto che lui [Gherardo
nuovamente a Firenze, dove ritornò a lavorare Guasconti] se ne rise, gli menai sì grande il
per Antonio di Sandro, grazie al quale conobbe pugnio in una tempia, che svenuto cadde come
morto; di poi voltomi ai sua cugini, dissi: "Così si
anche lo scultore Pietro Torrigiano; in seguito, si trattano i ladri poltroni vostri pari"; e volendo lor
legò di stretta amicizia con un altro orafo, fare alcuna dimostrazione, perché assai erano, io,
Francesco Salimbene, con il quale «molto bene che mi trovavo infiammato, messi mano a un
piccol coltello che io avevo, dicendo così: "Chi di
guadagnava, e molto si affaticava a 'mparare».
voi esca della sua bottega, l’altro corra per il
confessoro, perché il medico non ci arà che fare".
Furno le parole a loro di tanto spavento, che
nessuno si mosse a l’aiuto del cugino»

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È stato poi riportato come l'uomo non avesse — Benvenuto Cellini, Vita
occhi che per un «gentil giovanetto di mia età»,
ossia Francesco, per il quale Cellini stesso narrò un vero e proprio attaccamento, forse legato anche
a una storia omosessuale tra i due: «Nel praticare insieme generò in noi un tanto amore, che mai
né dì né notte stavamo l’uno senza l’altro» (dall'autobiografia Vita); amore in questo caso si può
intendere anche come amore di fratellanza e amicizia, secondo l'italiano dell'epoca.

Nuove risse e tafferugli costrinsero Cellini a spostarsi nuovamente: cercò rifugio dapprima a Siena
e poi a Roma, dove lo si ritrova dal 1519 al 1520 a lavorare come garzone presso Firenzuola de'
Georgis e, successivamente, con Paolo Arsago. Dal 1521 al 1523 per i richiami del padre Cellini
rimpatriò a Firenze, dove lavorò dapprima con Salimbene e poi con Giovanni Antonio Sogliani, che
«piacevolmente [gli] accomodò di una parte della sua bottega, quale era in sul canto di Mercato
Nuovo».

Alla fine del 1523 il temperamento impetuoso del Cellini si manifestò di nuovo: a questo periodo,
infatti, risalgono i dissapori con i Guasconti, una famiglia fiorentina di orafi a lui ostile per pura e
semplice invidia. «Non conoscendo di che colore la paura si fosse», Cellini ferì con un pugnale
Gherardo Guasconti e Bartolomeo Benvenuti, che ne prese le difese. Questa rissa procurò al Cellini
la condanna a morte in contumacia, a causa della quale fuggì a Roma; nell'Urbe il giovane
Benvenuto venne accolto nella bottega di Lucagnolo da Jesi, dove iniziò a produrre gioielli
autonomamente (notevoli i due candelieri per il vescovo di Salamanca e il gioiello per la moglie di
Sigismondo Chigi), per poi passare nel 1524 presso Giovan Francesco della Tacca.[8]

Il pontificato di Clemente VII

Nel 1524 Benvenuto Cellini aprì una bottega propria ed entrò a far parte della fanfara di papa
Clemente VII, dove prestò servizio in qualità di «cornetto»[9]. Tra le opere d'arte espressamente
ricordate nella Vita, agli anni romani risalgono delle acquerecce per il cardinale Cybo-Malaspina e
per altri prelati, un boccale e vaso d'argento per Berengario da Carpi, medaglie d'oro da berretto
maschile per il gonfaloniere Cesari e infine pugnali e anelli d'oro e d'acciaio. Si trattano queste di
realizzazioni in cui egli si mostrò assai sensibile alla maniera del medaglista Caradosso, dello
smaltatore Amerigo Righi e di Lautizio Rotelli, «unico» nella fabbricazione di sigilli; frequentò
inoltre Giulio Romano e altri artisti della cerchia di Raffaello, grazie ai quali l'apprendista orefice
poté ampliare la propria cultura figurativa e cominciare a informare personali orientamenti di
gusto[10]. Intanto, il suo carattere rissoso conobbe nuove esplosioni, per le quali egli fu spesso
protagonista di diverbi e duelli[11]; colpito dal riacuirsi della peste, inoltre, trascorse un mese di
convalescenza nella dimora del conte dell'Anguillara a Cerveteri, dove strinse amicizia con il
pittore manierista Rosso Fiorentino[12].

Nel 1527, con l'affacciarsi alle porte dell'Urbe dei lanzichenecchi al soldo di Carlo V d'Asburgo,
Cellini riparò insieme a papa Clemente VII nel castel Sant'Angelo, partecipando attivamente alla
sua difesa nella duplice veste di archibugiere e bombardiere: il sacco di Roma vide infatti Cellini
uccidere il comandante degli assedianti, Carlo III di Borbone-Montpensier, e ferire il suo
successore principe d'Orange, come egli stesso riporta nella Vita (sono quindi informazioni non
accertabili, seppur mai smentite)[13]. Terminato il Sacco, Cellini, come gran parte degli artisti,
lasciò Roma e si recò dapprima a Firenze e poi a Mantova, ove giunse nel 1528. Qui lo ritroviamo
nella bottega di «un certo maestro Nicolò milanese»; a Mantova, inoltre, Cellini, ben introdotto a
corte dall'amico Giulio Romano eseguì un cospicuo numero di opere per i Gonzaga, tra le quali si
segnalano un sigillo d'argento per il cardinale Ercole, un sigillo d'oro per il marchese Federico e un
reliquiario del sangue di Cristo, da collocare nella cripta della Basilica concattedrale di
Sant'Andrea, reliquiario che restò allo stato di abbozzo[14].

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Dopo un breve soggiorno a Firenze, tuttavia, Cellini già nel


1529 ritornò a Roma, ospite dell'orafo Raffaello del Moro[15];
nell'Urbe egli riprese il servizio per papa Clemente VII,
venendo nominato dal pontefice stesso maestro delle stampe
della zecca romana, per la quale realizzò il due carlini d'argento
e il doppione d'oro con due rovesci differenti[16]. L'anno dopo
eseguì altre monete ed elaborò il razionale di Clemente VII, per Doppio carlino di Clemente VII
il quale iniziò anche un calice d'oro, lasciato incompiuto[17]. Medici inciso da Cellini
Intanto ammazzò anche l'uccisore di suo fratello Cecchino,
assassinato a Roma in una rissa; il papa non fece altro che
rimproverare molto aspramente il Cellini, concedendogli poco dopo anche una sinecura di
mazziere[18]. Nel 1534, quando ormai da un biennio aveva aperto una bottega nell'attuale via dei
Banchi Nuovi, Cellini iniziò a non godere più dell'appoggio pontificio; la situazione precipitò
quando, in seguito a un diverbio, ferì un ser Benedetto notaio, aggressione per la quale fu costretto
a rifugiarsi a Napoli, dove fu ben accolto dal viceré[19].

Il pontificato di Paolo III

Di ritorno a Roma, Cellini presentò all'ormai moribondo Clemente VII una medaglia che aveva
eseguito tempo addietro per lui, ottenendo dallo stesso la commissione di dotarla di un nuovo
rovescio per celebrare il pozzo di Orvieto[20]. Alla morte di Clemente VII, Cellini uccise un orafo
rivale, Pompeo de' Capitaneis; il neopontefice Paolo III Farnese, tuttavia, assolse immediatamente
l'uccisore e, anzi, gli commissionò una moneta da uno scudo con la propria effigie[21]. L'anno
successivo, preoccupato dall'inimicizia con Pier Luigi Farnese, figlio del pontefice, Cellini decise di
trasferirsi a Firenze, dove eseguì quattro monete per Alessandro Farnese; dalla sua città natale poi
si recò affrettatamente a Venezia insieme a Jacopo Sansovino. Urtatosi con Ottaviano de' Medici,
l'orefice assecondò l'invito del papa e ritornò a Roma; dopo una grave malattia, per la quale ebbe
visioni da Inferno dantesco, e dopo un ulteriore viaggio a Firenze, eseguì su incarico del papa la
copertina di un «uffiziolo di Madonna», che poi presentò nel 1536 all'imperatore Carlo V.[22]

Nel 1537, per sottrarsi alle ostilità sempre più allarmanti di Pier Luigi Farnese, Cellini si recò
improvvisamente a Parigi, ospite del pittore Andrea Sguazzella; qui probabilmente eseguì una
medaglia per re Francesco I, che incontrò a Lione. Il soggiorno francese fu tuttavia di breve durata,
tanto che dopo pochissimo tempo l'orefice fece ritorno a Roma, dove aprì una nuova bottega
«molto più grande» di quella ai Banchi Nuovi. Questi, tuttavia, furono anni assai burrascosi: Pier
Luigi Farnese, infatti, riuscì a imprigionare il Cellini a Castel Sant'Angelo sotto l'accusa di furto di
alcuni beni di Clemente VII durante il Sacco. Cellini riuscì ad evadere quasi subito dal carcere,
sebbene fratturandosi una gamba, e una volta fuori trovò rifugio presso il cardinal Cornaro[23], che
però lo consegnò al Papa; quest'ultimo, infine, fece imprigionare l'orefice dapprima in Tor di Nona
e poi nuovamente a Castel Sant'Angelo[24]. Qui egli rimase fino al dicembre del 1539, quando,
ormai libero, venne accolto dal cardinale Ippolito d'Este, per il quale eseguì un sigillo e due ritratti
in stucco.

Il periodo francese

A questo punto, dopo essersi ripreso dai postumi della prigionia, Cellini si incamminò verso la
Francia; dopo aver fatto tappa a Siena, dove uccise un maestro di posta[25], e a Ferrara, giunse a
Fontainebleau nel settembre 1540, dove venne benevolmente ricevuto da re Francesco I di Francia,
per poi raggiungere Parigi con la corte del monarca. Quest'ultimo gli garantì una provvisione
annua di settecento scudi e gli offrì dimora al Petit-Nesle, sulla riva sinistra della Senna, a patto
che si impegnasse nella realizzazione di dodici gigantesche statue-torciere raffiguranti altrettante
divinità dell'Olimpo (venne realizzato solo Giove, mentre Giunone venne forse fusa ma
sicuramente non terminata). Nel 1542 Francesco I concesse al suo protégé la naturalizzazione
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francese, mentre nel 1543 risultano compiuti la famosa Saliera,


già abbozzata in Italia per il cardinale d'Este, e i modelli per la
Porte Dorée, detta di Fontainebleau, della quale vennero
eseguiti alla fine solo la Ninfa e due Vittorie. Cellini, d'altronde,
non trascurò affatto i piaceri carnali, invaghendosi di una delle
modelle che posavano per la Porte Dorée, Jehanne: con
quest'ultima generò una bambina, Costanza, nata il 7 giugno
1544[26].

Questi furono insomma anni percorsi da un fervore artistico


che non conosceva soste: Francesco I era infatti un
committente munifico e colto, sempre disposto a concedergli La Saliera di Francesco I di Francia
l'oro e l'argento necessari per soddisfare i suoi bisogni artistici. (1540-1543)
Eppure, nel 1545, Cellini decise di lasciare Parigi per via di
alcuni dissapori sorti con vari cortigiani, ma soprattutto a causa
di «certe magagne che a torto m'erano aposte» (espressamente taciute sia nella Vita che altrove).
Per questo motivo, dopo una breve sosta a Lione, Cellini valicò le Alpi e ritornò a Firenze[27].

Al servizio dei Medici

Cellini venne calorosamente accolto dalla corte medicea. Cosimo I de' Medici, infatti, lo elevò a
scultore di corte, assicurandogli un signorile soggiorno in una casa a via della Pergola, dove lo
scultore impiantò la propria fonderia[28], assegnandogli uno stipendio annuo di duecento scudi; gli
commissionò, inoltre, la realizzazione di due importanti sculture bronzee: il proprio busto e il
gruppo del Perseo con la testa di Medusa, da collocare nella loggia della Signoria.

Cellini fuse il busto di Cosimo de' Medici nel 1546, dopo essersi
momentaneamente allontanato da Firenze per sfuggire
all'accusa di sodomia (riparò a Venezia, ove incontrò
Tiziano)[29]. La gestazione del Perseo, invece, fu molto più
ardua, a causa di numerose difficoltà incontrate durante la
fusione del metallo, ma Cellini riuscì comunque a inaugurare la
statua nell'aprile 1554, suscitando un'accoglienza molto
calorosa. Tra gli altri interventi celliniani di questo periodo, si
citano il restauro di un antico Ganimede e l'avvio del Narciso
in marmo (1548-49), l'esecuzione delle statuette bronzee di
Giove, Danae con Perseo fanciullo, Minerva, Mercurio,
collocate nella base del Perseo (1552)[30] e la fortificazione di
due porte della cerchia di Firenze (1553-54)[31].

«Tutti gli uomini di ogni sorte, che hanno fatto


qualche cosa che sia virtuosa, doverieno,
essendo veritieri e da bene, di lor propria mano
Il Perseo con la testa di Medusa
descrivere la loro vita»
(1554)
— Benvenuto Cellini, Vita, proemio
Dopo il trionfo del Perseo, tuttavia, Cellini fu costretto
all'inoperosità, a causa della posizione di preminenza assunta dai rivali Baccio Bandinelli e
Bartolomeo Ammannati nella scena artistica fiorentina; questi ultimi si erano recentemente
imposti non per particolari meriti scultorei, bensì perché maggiormente sottomessi alla rigorosa
etichetta medicea. Furono queste le circostanze che portarono alla gestazione della Vita: non
potendo più «fare», infatti, Cellini iniziò a «dire», mettendo per iscritto la propria concezione
dell'arte ma, soprattutto, il proprio vissuto esistenziale, così da segnalare a Cosimo de' Medici il
valore di quell'artista impedito a operare. Fu così che Cellini iniziò nel 1558 la stesura della Vita,
opera letteraria che - dopo una breve interruzione nel 1562, dovuta alla rinunzia degli ordini
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ecclesiastici, alle nozze con Piera de' Parigi e alla nascita di un figlio - venne terminata nel 1567.
Questa cocente delusione venne inasprita ulteriormente dalle diverse disavventure giudiziarie: nel
1556, infatti, venne incarcerato per aver percosso Giovanni di Lorenzo, mentre l'anno successivo
venne condannato a cinquanta scudi di multa e a quattro anni di carcere (commutati poi in quattro
anni di arresti domiciliari) perché durante «cinque anni [...] ha tenuto [...] Fernando di Giovanni di
Montepulciano [...] in letto come sua moglie».

A lato della Vita, in ogni caso, nel suo ultimo decennio di vita si cimentò anche nella stesura del
Trattato dell'oreficeria e del Trattato della scultura, iniziata nel 1565 e terminata tre anni dopo,
quando le due opere vennero date alle stampe.

Benvenuto Cellini, infine, morì a Firenze il 13 febbraio 1571; poco prima del decesso, fece dono di
tutte le sue sculture «finite et non finite» a Francesco I de' Medici. Fu sepolto nella Cappella di San
Luca.

Produzione artistica

Cellini scultore e orefice

Seguendo l'iter proprio degli apprendisti artisti del tempo, Cellini ebbe modo di entrare in contatto
con l'orafo lombardo Caradosso, con la cerchia dei «gioveni» di Raffaello e con gli affreschi di
Michelangelo in Vaticano, dove passò a condurre i suoi studi giornalieri. Il modello tardo-
raffaellesco e michelangiolesco, in effetti, risultò decisivo per la sua formazione; ne testimonia il
sigillo Gonzaga, dove si segnalano «l'agile prestanza delle figure [...] il loro inserimento, in moti
vorticosi e drammatici, l'ampiezza dell'ambiente pur entro gli angusti limiti dell'operina»
(Treccani).[30]

Superati gli esordi Cellini assorbì i suggerimenti più efficaci dai dipinti di Sebastiano del Piombo e,
soprattutto, dall'esempio di Michelangelo Buonarroti, che ebbe modo di ammirare ulteriormente
visitando le tombe medicee in San Lorenzo, a Firenze. Desinenze michelangiolesche, ad esempio, si
avvertono nei due rovesci per la medaglia di papa Clemente VII, specie nel secondo, recante un
Mosè animato da un energico dinamismo dapprima sconosciuto al Cellini. Il pensiero del «gran
Michelagnolo», che beneficiò dell'appassionata devozione dello scultore («[da lui] e non da altri io
ho imparato tutto quel che io so», avrebbe poi scritto), venne tuttavia recepito da Cellini filtrato
attraverso quello dei manieristi, ispirati al desiderio urgente di una rinascita del Quattrocento, e
soprattutto dell'arte di Donatello; numerose opere celliniane, quali le Storie di sant'Ambrogio e del
Battista nel sigillo per il cardinale d'Este e nelle monete per il duca Alessandro, sono imbevute di
elementi donatelliani.[30]

Il secondo soggiorno francese costituì una svolta decisiva per lo stile artistico del Cellini. Fu in
quell'occasione, infatti, che venne eseguita la Saliera, dove Cellini fuse in un'unica opera la
preziosità dell'arte orafa con il virtuosismo della scultura. Dal fervido cantiere di Fontainebleau, in
particolare, Cellini assorbì svariate influenze, avvertibili nell'esuberanza decorativa della Saliera, a
sua volta vivificata dalla contrapposizione tra l'agile flessuosità delle figure principali e la
robustezza massiccia, quasi caricaturale, dei Venti. Durante il soggiorno a Fontainebleau, inoltre,
Cellini sviluppò un certo gusto per il gigantesco, come testimoniato dal Marte di sedici metri
progettato per la fontana della reggia; l'improvviso ritorno in Italia, tuttavia, fece sì che Cellini si
orientasse nuovamente verso Michelangelo e il «ritorno» manieristico al Quattrocento.[30]

L'esempio più cospicuo della plastica celliniana dopo il rimpatrio è costituito dal Perseo con la
testa di Medusa della Loggia della Signoria, dove rappresenta la scultura più importante «fra le
costruzioni classicamente rinascimentali del Sansovino e la figura serpentinata del Giambologna».
La fortuna dell'opera fu immediata: il Perseo, infatti, al di là del significato politico (in riferimento

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a Cosimo de' Medici che stronca ogni velleità repubblicana, così


come l'eroe greco decapita la Gorgone), riflette perfettamente
l'ideale di bellezza maschile secondo i canoni manieristici,
presentando una figura «agile, raffinata, languida, sensuale […]
altamente aristocratica che non incarna né l'eroismo né la
spiritualità» (Giuseppe Nifosì). Ad alimentare la fama
dell'opera vi furono anche le circostanze straordinarie della
fusione.[30]

Cellini scrittore

Dal 1558 al 1567 Cellini fu impegnato nella stesura della sua


autobiografia, La Vita di Benvenuto di Maestro Giovanni
Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze, poi
stampata postuma a Napoli nel 1728.[32]

Ricorrendo a un linguaggio schietto e spontaneo e attingendo a


piene mani dal potere espressivo della lingua fiorentina, Cellini
con quest'opera consegnò ai posteri un valente documento
biografico dove narra della genesi delle sue opere e dei vari
episodi che hanno caratterizzato la sua irregolare esistenza,[33] Statua di Benvenuto Cellini,
con passi destinati a divenire celebri (l'esorcismo nel Colosseo, Loggiato degli Uffizi, Firenze
la visita di Francesco I all'atelier a Parigi, la fuga da Castel
Sant'Angelo).[32] Altrettanto prezioso è anche il valore
storiografico dell'opera, che si propone come un affresco della società del Cinquecento, come
osservato dal critico letterario Carlo Cordié:

«Così Benvenuto finì per diventare un modello, anzi un eroe e forse anche un mito: era un
po', per intendersi, il rappresentante di un'Italia dei pugnali, dei veleni e degli intrighi
quale poté vagheggiarla uno spirito lucidissimo eppur romanticamente inquieto come
Stendhal. Non senza ragione il suo Fabrizio del Dongo evade - nella Chartreuse de Parme -
dalla Torre Farnese come il Cellini aveva fatto da Castel Sant'Angelo!»

(Carlo Cordié[32])

L'uomo Cellini
Lo stesso argomento in dettaglio: Ritratti di Benvenuto Cellini.

Cellini nella sua vita ebbe un carattere sanguigno ed iroso, inguaribilmente arrogante, non
mancando di rimanere implicato in liti e risse con orafi rivali o mecenati meschini e taccagni: si
macchiò perfino di diversi omicidi (spesso mosso da motivi futili), in maniera analoga a come farà
l'ancor più famigerato Caravaggio nel Seicento.[32] Un ritratto caratteriale assai vivido di Benvenuto
Cellini ci viene offerto da Giuseppe Baretti, critico letterario del XVIII secolo, che scrisse:

«… Noi non abbiamo alcun libro della nostra lingua tanto dilettevole a leggersi quanto la
Vita di quel Benvenuto Cellini scritta da lui medesimo nel puro e pretto parlare della plebe
fiorentina. Quel Cellini dipinse quivi se stesso con sommissima ingenuità, e tal quale si
sentiva di essere […] cioè animoso come un granatiere francese, vendicativo come una
vipera, superstizioso in sommo grado, e pieno di bizzarria e di capricci; galante in un
crocchio di amici, ma poco suscettibile di tenera amicizia; lascivo anzi che casto; un poco
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traditore senza credersi tale; un poco invidioso e maligno; millantatore e vano, senza
sospettarsi tale; senza cirimonie e senza affettazione; con una dose di matto non mediocre,
accompagnata da ferma fiducia d'essere molto savio, circospetto e prudente. Di questo bel
carattere l'impetuoso Benvenuto si dipinse nella sua Vita senza pensarvi su più che tanto,
persuasissimo sempre di dipingere un eroe …»

(Giuseppe Baretti[32])

Omosessualità
L'omosessualità di Benvenuto Cellini è fra le meglio documentate della storia rinascimentale, sia a
causa delle condanne che egli subì (minuziosamente ricostruite dal 1930 dallo studio di Luigi
Greci), sia per gli accenni che egli stesso aggiunge nella sua autobiografia: Vita.

Uno dei momenti più lampanti di quest'aspetto di Cellini è sicuramente l'amore da lui provato per
il giovane orafo Francesco Salimbene.

Accuse di sodomia

Le accuse ufficiali di sodomia che gli furono rivolte contro furono ben tre:

14 gennaio 1523: Cellini fu condannato, assieme al secondo condannato, tale Giovanni


Rigogli, dall'artista citato come "amicissimo" e "carissimo amico" (libri XXIX e XL nella Vita),
dodici volumi di farina come multa per un atto di sodomia con un ragazzo di soli 15 anni di
nome "Domenico di ser Giuliano da Ripa".[34] In questo caso lo scultore, appena 23enne,
rischiò molto: infatti, la legge prevedeva una multa fino a trenta fiorini d'oro (cifra pari a circa
1000 euro di oggi), per codesti "atti osceni e\o blasfemi"; probabilmente Benvenuto fu rilasciato
proprio grazie alla sua giovane età inferiore ai 25 anni (età della maturità stabilita all'epoca),
che venne considerata come "attenuante generica";[35]
1548: una nobile di nome Margherita (di cui è sconosciuto il cognome) denunciò di stupro
Cellini per via di suo figlio Vincenzo, che diceva fosse stato "violentato" dall'artista; tuttavia con
codesta denuncia quest'ultimo non venne mai citato in tribunale, e non si giunse mai a
processo;
1556: in questo periodo Cellini ebbe un'accesa lite col suo garzone Fernando (o Ferrando) di
Montepulciano, che si concluse con il licenziamento di quest'ultimo, che per ripicca lo denunciò
per sodomia.

Opere
Medaglia da berretta con Leda e il cigno, 1528-1530 circa, oro su lapislazzuli, Firenze, Museo
nazionale del Bargello
Fermaglio del piviale di Clemente VII, 1529, oro, smalti e pietre preziose (perduto)
Sigillo del cardinale Ercole Gonzaga, argento, 1528 (perduto), e impronta su cera, 1540,
Mantova, Curia vescovile
Medaglia di Clemente VII, 1533-1534, argento dorato, diam. 4 cm, Firenze, Museo nazionale
del Bargello
Testone da quaranta soldi di Alessandro de' Medici, 1535, argento, diam. 2,9 cm, Firenze,
Museo nazionale del Bargello
Medaglia di Alessandro de' Medici, 1535-1537, argento, diam. 3,5 cm, Firenze, Museo

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nazionale del Bargello


Medaglia di Pietro Bembo, 1537 circa, argento, diam 5,6 cm, Firenze, Museo nazionale del
Bargello
Medaglia di Francesco I di Francia, 1537 circa, bronzo, diam. 4,2 cm, Firenze, Museo
nazionale del Bargello
Sigillo del cardinale Ippolito d'Este, 1540, impronta su piombo, 11 x 8 cm, Lione, Musée des
beaux-arts
Modello per una statua di Giunone, 1540 circa, bronzo, collezione privata
Saliera di Francesco I di Francia, 1540-1543, ebano, oro e smalti, 26x33,5 cm Vienna,
Kunsthistorisches Museum
Satiro, 1542-1543, bronzo, h 56 cm, Los Angeles, Getty Museum
Ninfa di Fontainebleau, 1542-1543, bronzo, 205x409 cm, Parigi, Museo del Louvre
Vittorie, 1542-1545, calchi in gesso di originali bronzei perduti, 137x139 cm, Parigi, Museo del
Louvre
Levriero (Saluki), 1545-1546, bronzo, 18x27,8 cm, Firenze, Museo nazionale del Bargello
Busto bronzeo di Cosimo I de' Medici, 1545-1547, bronzo, altezza 110 cm, Firenze, Museo
nazionale del Bargello
Busto marmoreo di Cosimo I de' Medici, 1549-1571, marmo, altezza 96,5 cm, San Francisco,
California Palace of the Legion of Honor
Perseo che decapita Medusa, 1545-1553, bronzo, altezza 320 cm, con piedistallo 601 cm,
Firenze, Loggia della Signoria
Basamento del Perseo, 1545-1552, marmo e bronzo, Firenze, Museo nazionale del Bargello
Perseo che libera Andromeda, 1545-1553, bronzo, 80x90 cm, Firenze, Museo nazionale del
Bargello
Busto di Bindo Altoviti, 1546-1550 circa, bronzo, altezza 82,5 cm (senza base), Boston,
Isabella Stewart-Gardner Museum
Alessandro e Bucefalo, 1548 (con parti antico-romane), bronzo, h 21 cm, Firenze, Museo
archeologico nazionale
Ganimede, 1548-1550, marmo, altezza 105,5 cm, Firenze, Museo nazionale del Bargello
Apollo e Giacinto, 1548-1557 circa, marmo, altezza 191 cm, Firenze, Museo nazionale del
Bargello
Narciso, 1548-1557 circa, marmo, altezza 149 cm, Firenze, Museo nazionale del Bargello
Fiaschetta, 1550 circa, ferro ageminato in oro e in argento, altezza 33 cm, Novara, Collezione
Urbano Quinto
Chiave da segreto di forziere, 1550-1555, ferro scolpito in monoblocco, cesellato, bulinato e
traforato a giorno, altezza 11 cm, Novara, Collezione Urbano Quinto
Crocifisso, 1556-1562, marmo, altezza 185 cm, Monastero dell'Escorial
Nettuno con due cavalli marini, 1562 circa, bronzo, h 24,1 cm, Raleigh, Museo d'arte della
Carolina del Nord
Francesco I de' Medici, 1568-1570 circa, cera, 7,7x5,4 cm, Firenze, Museo nazionale del
Bargello

Nella cultura di massa


A sottolineare come l'evoluzione della civiltà contiene anche aspetti non sempre commendevoli,
cose di metallo tanto nobile che vile, Nietzsche[36] fa ricorso a una similitudine che richiama il
famoso episodio di cui fu protagonista il Cellini durante la fusione del Perseo: «Il genio della civiltà

https://it.wikipedia.org/wiki/Benvenuto_Cellini 9/13
13/02/24, 15:37 Benvenuto Cellini - Wikipedia

si comporta come si comportò Cellini allorquando lavorava alla fusione del suo Perseo: la massa
fluida minacciava di non bastare… egli vi gettò dentro piatti e stoviglie e quant'altro gli venne
sottomano. E così anche quel genio getta dentro errori, vizi, speranze, chimere...»

Nella letteratura
L'Orfèvre du roi, ou Ascanio di Alexandre Dumas (1843)

Opere teatrali e musicali


Benvenuto Cellini, opera di Hector Berlioz su libretto di Léon de Wailly e Henri Auguste Barbier
(1838)
Benvenuto Cellini, opera di Franz Lachner su libretto di Léon de Wailly e Henri Auguste Barbier
(1849)
Benvenuto Cellini di Paul Meurice (1852)
Benvenuto Cellini, opera di Emilio Bozzano su libretto di Giuseppe Perosio (1877)
Ascanio, opera di Camille Saint-Saëns su libretto di Louis Gallet (1890)
A Man of His Tim, di Helen de Guerry Simpson (1923)
The Firebrand of Florence, operetta di Kurt Weill su libretto di Edwin Justus Mayer e Ira
Gershwin (1945)
Cellini di John Patrick Shanley (2001)

Al cinema
Benvenuto Cellini ou Une curieuse évasion, regia di Georges Méliès (1904)
Benvenuto Cellini, regia di Albert Capellani e Camille de Morlhon (1908) - cortometraggio
Benvenuto Cellini, regia di Étienne Arnaud e Louis Feuillade (1910) - cortometraggio
Gli amori di Benvenuto Cellini (The Affairs of Cellini), regia di Gregory La Cava (1934)
Il magnifico avventuriero, regia di Riccardo Freda (1963)
Cellini - Una vita scellerata, regia di Giacomo Battiato (1990)

Note
1. ^ Cellini, p. 8.
2. ^ Cellini, p. 19.
3. ^ Cellini, I 6, 7.
4. ^ Cellini, I 7.
5. ^ Cellini, I 8.
6. ^ Cellini, I 9.
7. ^ Cellini, I 10, 11.
8. ^ Cellini, I 19-21.
9. ^ Cellini, I 23.
10. ^ Cellini, I 26, 30, 31.
11. ^ Cellini, I 24-26.
12. ^ Cellini, I 29.
13. ^ Cellini, I 34-37.
14. ^ Cellini, I 40.
15. ^ Cellini, I 41-43.

https://it.wikipedia.org/wiki/Benvenuto_Cellini 10/13
13/02/24, 15:37 Benvenuto Cellini - Wikipedia

16. ^ Cellini, I 45.


17. ^ Cellini, I 56-58.
18. ^ Cellini, I 55.
19. ^ Cellini, I 66, 67.
20. ^ Cellini, I 70, 71.
21. ^ Cellini, I 74, 75.
22. ^ Cellini, I 91, 93.
23. ^ Cellini, I 108-110.
24. ^ Cellini, I 114, 116.
25. ^ Cellini, II 4.
26. ^ Cellini, II 37.
27. ^ Cellini, II 51, 52.
28. ^ Cellini, II 54.
29. ^ Cellini, II 62.
30. Camesasca.
31. ^ Cellini, II 85, 86.
32. Carlo Cordié, Benvenuto Cellini: La Vita - Introduzione, in I Classici Ricciardi: Introduzioni,
Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1996. URL consultato il 3 novembre 2018.
33. ^ (DE) Straightwashing von Künstlern - Die historische Forschung tut sich schwer mit
Homosexualität, su Schweizer Radio und Fernsehen (SRF), 6 marzo 2022. URL consultato il 22
aprile 2022.
34. ^ Accedi a Facebook, su Facebook. URL consultato il 20 novembre 2022.
35. ^ Visegrad Literature :: The page of Cellini, Benvenuto, English biography, su
www.visegradliterature.net. URL consultato il 20 novembre 2022.
36. ^ Umano, troppo umano, aforisma 258

Bibliografia
Ettore Camesasca, CELLINI, Benvenuto, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 23, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1979, SBN IT\ICCU\RAV\0018939. URL consultato il 29 agosto
2016.
Benvenuto Cellini, La Vita (PDF), Torino, Giunti, 1973 [1728].
Costantino Porcu, Cellini, Milano, RCS, 2005.
Igino Benvenuto Supino e Mario Chini, CELLINI, Benvenuto, in Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. URL consultato il 28 settembre 2015.
Ivan Arnaldi, La vita violenta di Benvenuto Cellini, Bari-Roma, Laterza Editore, 1986, ISBN 88-
420-2752-9.
Luigi Greci, Benvenuto Cellini nei delitti e nei processi fiorentini ricostruiti attraverso le leggi del
tempo, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1930, SBN IT\ICCU\TO0\0576412.
Benvenuto Cellini, Dell'oreficeria, Milano, dalla Societa Tipografica de' classici italiani, contrada
di S. Margherita, n° 1118, 1811.
Andreas Beyer: "Benvenuto Cellini: VITA/Mein Leben", in Markus Krajewski/Harun Maye (Ed.):
Böse Bücher. Inkohärente Texte von der Renaissance bis zur Gegenwart, Wagenbach Verlag,
Berlin 2019, pp. 29–38. ISBN 978-3-8031-3678-7

Voci correlate
Casa di Benvenuto Cellini
Monumento a Benvenuto Cellini

https://it.wikipedia.org/wiki/Benvenuto_Cellini 11/13
13/02/24, 15:37 Benvenuto Cellini - Wikipedia

Accademia delle arti del disegno

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Collegamenti esterni

Cellini, Benvenuto, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.


(EN) John Pope-Hennessy, Benvenuto Cellini, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc.
Ettore Camesasca, CELLINI, Benvenuto, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 23, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1979.
Benvenuto Cellini, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.
(EN) Benvenuto Cellini, su Dictionary of Art Historians, Lee Sorensen.
Opere di Benvenuto Cellini, su Liber Liber.
Opere di Benvenuto Cellini, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.
(EN) Opere di Benvenuto Cellini, su Open Library, Internet Archive.
(EN) Opere di Benvenuto Cellini, su Progetto Gutenberg.
(EN) Audiolibri di Benvenuto Cellini, su LibriVox.
(EN) Bibliografia di Benvenuto Cellini, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.
(EN) Benvenuto Cellini, su Discogs, Zink Media.
(EN) Benvenuto Cellini, su IMDb, IMDb.com.
Benvenuto Cellini, su scultura-italiana.com, La scultura italiana. URL consultato il 28 settembre 2015
(archiviato dall'url originale il 24 settembre 2015).
Benvenuto Cellini, Busto di Cosimo I, su museoradio3.rai.it. URL consultato il 7 marzo 2017.
VIAF (EN) 56629983 (https://viaf.org/viaf/56629983) · ISNI (EN) 0000 0001 2101 539X
(http://isni.org/isni/000000012101539X) · SBN CFIV000480 (https://opac.sbn.it/risultat
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05171) · NDL (EN, JA) 00435594 (https://id.ndl.go.jp/auth/ndlna/00435594) ·
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