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Benvenuto Cellini
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(disambigua).
Indice
Biografia Ritratto di Benvenuto Cellini alla
Giovinezza Biblioteca Nazionale di Vienna
Collegamenti esterni
Biografia
Giovinezza
Già in «tenerissima» età il padre, che tra l'altro faceva parte del gruppo dei pifferi di Firenze, cercò
di avviare il figlioletto allo studio della musica, affinché divenisse «gran sonatore». Grazie agli
insegnamenti del babbo Giovanni, e soprattutto dell'organista fiorentino Francesco dell'Aiolle,
Cellini - nonostante la malavoglia - rivelò doti musicali notevoli, in particolare nel flauto e nel
cornetto. Questa, tuttavia, era una dedizione indotta più che spontanea, tanto che le ambizioni del
giovane Benvenuto non erano rivolte ad eccellere in quello che ormai definiva il «maledetto
sonare»[2], bensì a divenire «primo homo del mondo» nel campo dell'arte orafa. Per questo motivo,
a partire dal 1513, il giovane Cellini frequentò nella sua città natale la bottega dell'orafo e armaiolo
Michelangelo Bandinelli[3], per poi passare due anni dopo sotto la guida di Antonio di Sandro, detto
Marcone, «bonissimo praticone, e molto uomo dabbene, altiero e libero in ogni cosa sua»[4].
Cellini manifestò bruscamente la propria indole irrequieta e violenta già a sedici anni, nell'anno
1516: in seguito a una rissa, infatti, fu esiliato insieme al fratello Cecchino a Siena, dove soggiornò
per «molti mesi» studiando oreficeria nella bottega di Francesco Castoro[5].
Ritornato a Firenze per desiderio del padre, Benvenuto si recò a Bologna per perfezionare «il
sonare»; pur assecondando le volontà paterne, nella città emiliana Cellini riuscì ad attendere
all'amata oreficeria, lavorando dapprima con Ercole del Piffero, quindi con un israelita, tale
Graziadio, e infine con il miniatore bolognese Scipione Cavalletti[6]. Dopo un'affrettata sosta a
Firenze, donde fuggì a causa delle insistenze del padre per la musica, nel 1517 Cellini proseguì la
sua formazione nella bottega dell'orafo Ulivieri della Chiostra, a Pisa, dove si applicò anche allo
studio di opere antiche, copiose nel campo santo[7].
Dopo un accesso di febbre, Cellini si recò «Voltomi subito e veduto che lui [Gherardo
nuovamente a Firenze, dove ritornò a lavorare Guasconti] se ne rise, gli menai sì grande il
per Antonio di Sandro, grazie al quale conobbe pugnio in una tempia, che svenuto cadde come
morto; di poi voltomi ai sua cugini, dissi: "Così si
anche lo scultore Pietro Torrigiano; in seguito, si trattano i ladri poltroni vostri pari"; e volendo lor
legò di stretta amicizia con un altro orafo, fare alcuna dimostrazione, perché assai erano, io,
Francesco Salimbene, con il quale «molto bene che mi trovavo infiammato, messi mano a un
piccol coltello che io avevo, dicendo così: "Chi di
guadagnava, e molto si affaticava a 'mparare».
voi esca della sua bottega, l’altro corra per il
confessoro, perché il medico non ci arà che fare".
Furno le parole a loro di tanto spavento, che
nessuno si mosse a l’aiuto del cugino»
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13/02/24, 15:37 Benvenuto Cellini - Wikipedia
È stato poi riportato come l'uomo non avesse — Benvenuto Cellini, Vita
occhi che per un «gentil giovanetto di mia età»,
ossia Francesco, per il quale Cellini stesso narrò un vero e proprio attaccamento, forse legato anche
a una storia omosessuale tra i due: «Nel praticare insieme generò in noi un tanto amore, che mai
né dì né notte stavamo l’uno senza l’altro» (dall'autobiografia Vita); amore in questo caso si può
intendere anche come amore di fratellanza e amicizia, secondo l'italiano dell'epoca.
Nuove risse e tafferugli costrinsero Cellini a spostarsi nuovamente: cercò rifugio dapprima a Siena
e poi a Roma, dove lo si ritrova dal 1519 al 1520 a lavorare come garzone presso Firenzuola de'
Georgis e, successivamente, con Paolo Arsago. Dal 1521 al 1523 per i richiami del padre Cellini
rimpatriò a Firenze, dove lavorò dapprima con Salimbene e poi con Giovanni Antonio Sogliani, che
«piacevolmente [gli] accomodò di una parte della sua bottega, quale era in sul canto di Mercato
Nuovo».
Alla fine del 1523 il temperamento impetuoso del Cellini si manifestò di nuovo: a questo periodo,
infatti, risalgono i dissapori con i Guasconti, una famiglia fiorentina di orafi a lui ostile per pura e
semplice invidia. «Non conoscendo di che colore la paura si fosse», Cellini ferì con un pugnale
Gherardo Guasconti e Bartolomeo Benvenuti, che ne prese le difese. Questa rissa procurò al Cellini
la condanna a morte in contumacia, a causa della quale fuggì a Roma; nell'Urbe il giovane
Benvenuto venne accolto nella bottega di Lucagnolo da Jesi, dove iniziò a produrre gioielli
autonomamente (notevoli i due candelieri per il vescovo di Salamanca e il gioiello per la moglie di
Sigismondo Chigi), per poi passare nel 1524 presso Giovan Francesco della Tacca.[8]
Nel 1524 Benvenuto Cellini aprì una bottega propria ed entrò a far parte della fanfara di papa
Clemente VII, dove prestò servizio in qualità di «cornetto»[9]. Tra le opere d'arte espressamente
ricordate nella Vita, agli anni romani risalgono delle acquerecce per il cardinale Cybo-Malaspina e
per altri prelati, un boccale e vaso d'argento per Berengario da Carpi, medaglie d'oro da berretto
maschile per il gonfaloniere Cesari e infine pugnali e anelli d'oro e d'acciaio. Si trattano queste di
realizzazioni in cui egli si mostrò assai sensibile alla maniera del medaglista Caradosso, dello
smaltatore Amerigo Righi e di Lautizio Rotelli, «unico» nella fabbricazione di sigilli; frequentò
inoltre Giulio Romano e altri artisti della cerchia di Raffaello, grazie ai quali l'apprendista orefice
poté ampliare la propria cultura figurativa e cominciare a informare personali orientamenti di
gusto[10]. Intanto, il suo carattere rissoso conobbe nuove esplosioni, per le quali egli fu spesso
protagonista di diverbi e duelli[11]; colpito dal riacuirsi della peste, inoltre, trascorse un mese di
convalescenza nella dimora del conte dell'Anguillara a Cerveteri, dove strinse amicizia con il
pittore manierista Rosso Fiorentino[12].
Nel 1527, con l'affacciarsi alle porte dell'Urbe dei lanzichenecchi al soldo di Carlo V d'Asburgo,
Cellini riparò insieme a papa Clemente VII nel castel Sant'Angelo, partecipando attivamente alla
sua difesa nella duplice veste di archibugiere e bombardiere: il sacco di Roma vide infatti Cellini
uccidere il comandante degli assedianti, Carlo III di Borbone-Montpensier, e ferire il suo
successore principe d'Orange, come egli stesso riporta nella Vita (sono quindi informazioni non
accertabili, seppur mai smentite)[13]. Terminato il Sacco, Cellini, come gran parte degli artisti,
lasciò Roma e si recò dapprima a Firenze e poi a Mantova, ove giunse nel 1528. Qui lo ritroviamo
nella bottega di «un certo maestro Nicolò milanese»; a Mantova, inoltre, Cellini, ben introdotto a
corte dall'amico Giulio Romano eseguì un cospicuo numero di opere per i Gonzaga, tra le quali si
segnalano un sigillo d'argento per il cardinale Ercole, un sigillo d'oro per il marchese Federico e un
reliquiario del sangue di Cristo, da collocare nella cripta della Basilica concattedrale di
Sant'Andrea, reliquiario che restò allo stato di abbozzo[14].
https://it.wikipedia.org/wiki/Benvenuto_Cellini 3/13
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Di ritorno a Roma, Cellini presentò all'ormai moribondo Clemente VII una medaglia che aveva
eseguito tempo addietro per lui, ottenendo dallo stesso la commissione di dotarla di un nuovo
rovescio per celebrare il pozzo di Orvieto[20]. Alla morte di Clemente VII, Cellini uccise un orafo
rivale, Pompeo de' Capitaneis; il neopontefice Paolo III Farnese, tuttavia, assolse immediatamente
l'uccisore e, anzi, gli commissionò una moneta da uno scudo con la propria effigie[21]. L'anno
successivo, preoccupato dall'inimicizia con Pier Luigi Farnese, figlio del pontefice, Cellini decise di
trasferirsi a Firenze, dove eseguì quattro monete per Alessandro Farnese; dalla sua città natale poi
si recò affrettatamente a Venezia insieme a Jacopo Sansovino. Urtatosi con Ottaviano de' Medici,
l'orefice assecondò l'invito del papa e ritornò a Roma; dopo una grave malattia, per la quale ebbe
visioni da Inferno dantesco, e dopo un ulteriore viaggio a Firenze, eseguì su incarico del papa la
copertina di un «uffiziolo di Madonna», che poi presentò nel 1536 all'imperatore Carlo V.[22]
Nel 1537, per sottrarsi alle ostilità sempre più allarmanti di Pier Luigi Farnese, Cellini si recò
improvvisamente a Parigi, ospite del pittore Andrea Sguazzella; qui probabilmente eseguì una
medaglia per re Francesco I, che incontrò a Lione. Il soggiorno francese fu tuttavia di breve durata,
tanto che dopo pochissimo tempo l'orefice fece ritorno a Roma, dove aprì una nuova bottega
«molto più grande» di quella ai Banchi Nuovi. Questi, tuttavia, furono anni assai burrascosi: Pier
Luigi Farnese, infatti, riuscì a imprigionare il Cellini a Castel Sant'Angelo sotto l'accusa di furto di
alcuni beni di Clemente VII durante il Sacco. Cellini riuscì ad evadere quasi subito dal carcere,
sebbene fratturandosi una gamba, e una volta fuori trovò rifugio presso il cardinal Cornaro[23], che
però lo consegnò al Papa; quest'ultimo, infine, fece imprigionare l'orefice dapprima in Tor di Nona
e poi nuovamente a Castel Sant'Angelo[24]. Qui egli rimase fino al dicembre del 1539, quando,
ormai libero, venne accolto dal cardinale Ippolito d'Este, per il quale eseguì un sigillo e due ritratti
in stucco.
Il periodo francese
A questo punto, dopo essersi ripreso dai postumi della prigionia, Cellini si incamminò verso la
Francia; dopo aver fatto tappa a Siena, dove uccise un maestro di posta[25], e a Ferrara, giunse a
Fontainebleau nel settembre 1540, dove venne benevolmente ricevuto da re Francesco I di Francia,
per poi raggiungere Parigi con la corte del monarca. Quest'ultimo gli garantì una provvisione
annua di settecento scudi e gli offrì dimora al Petit-Nesle, sulla riva sinistra della Senna, a patto
che si impegnasse nella realizzazione di dodici gigantesche statue-torciere raffiguranti altrettante
divinità dell'Olimpo (venne realizzato solo Giove, mentre Giunone venne forse fusa ma
sicuramente non terminata). Nel 1542 Francesco I concesse al suo protégé la naturalizzazione
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Cellini venne calorosamente accolto dalla corte medicea. Cosimo I de' Medici, infatti, lo elevò a
scultore di corte, assicurandogli un signorile soggiorno in una casa a via della Pergola, dove lo
scultore impiantò la propria fonderia[28], assegnandogli uno stipendio annuo di duecento scudi; gli
commissionò, inoltre, la realizzazione di due importanti sculture bronzee: il proprio busto e il
gruppo del Perseo con la testa di Medusa, da collocare nella loggia della Signoria.
Cellini fuse il busto di Cosimo de' Medici nel 1546, dopo essersi
momentaneamente allontanato da Firenze per sfuggire
all'accusa di sodomia (riparò a Venezia, ove incontrò
Tiziano)[29]. La gestazione del Perseo, invece, fu molto più
ardua, a causa di numerose difficoltà incontrate durante la
fusione del metallo, ma Cellini riuscì comunque a inaugurare la
statua nell'aprile 1554, suscitando un'accoglienza molto
calorosa. Tra gli altri interventi celliniani di questo periodo, si
citano il restauro di un antico Ganimede e l'avvio del Narciso
in marmo (1548-49), l'esecuzione delle statuette bronzee di
Giove, Danae con Perseo fanciullo, Minerva, Mercurio,
collocate nella base del Perseo (1552)[30] e la fortificazione di
due porte della cerchia di Firenze (1553-54)[31].
ecclesiastici, alle nozze con Piera de' Parigi e alla nascita di un figlio - venne terminata nel 1567.
Questa cocente delusione venne inasprita ulteriormente dalle diverse disavventure giudiziarie: nel
1556, infatti, venne incarcerato per aver percosso Giovanni di Lorenzo, mentre l'anno successivo
venne condannato a cinquanta scudi di multa e a quattro anni di carcere (commutati poi in quattro
anni di arresti domiciliari) perché durante «cinque anni [...] ha tenuto [...] Fernando di Giovanni di
Montepulciano [...] in letto come sua moglie».
A lato della Vita, in ogni caso, nel suo ultimo decennio di vita si cimentò anche nella stesura del
Trattato dell'oreficeria e del Trattato della scultura, iniziata nel 1565 e terminata tre anni dopo,
quando le due opere vennero date alle stampe.
Benvenuto Cellini, infine, morì a Firenze il 13 febbraio 1571; poco prima del decesso, fece dono di
tutte le sue sculture «finite et non finite» a Francesco I de' Medici. Fu sepolto nella Cappella di San
Luca.
Produzione artistica
Seguendo l'iter proprio degli apprendisti artisti del tempo, Cellini ebbe modo di entrare in contatto
con l'orafo lombardo Caradosso, con la cerchia dei «gioveni» di Raffaello e con gli affreschi di
Michelangelo in Vaticano, dove passò a condurre i suoi studi giornalieri. Il modello tardo-
raffaellesco e michelangiolesco, in effetti, risultò decisivo per la sua formazione; ne testimonia il
sigillo Gonzaga, dove si segnalano «l'agile prestanza delle figure [...] il loro inserimento, in moti
vorticosi e drammatici, l'ampiezza dell'ambiente pur entro gli angusti limiti dell'operina»
(Treccani).[30]
Superati gli esordi Cellini assorbì i suggerimenti più efficaci dai dipinti di Sebastiano del Piombo e,
soprattutto, dall'esempio di Michelangelo Buonarroti, che ebbe modo di ammirare ulteriormente
visitando le tombe medicee in San Lorenzo, a Firenze. Desinenze michelangiolesche, ad esempio, si
avvertono nei due rovesci per la medaglia di papa Clemente VII, specie nel secondo, recante un
Mosè animato da un energico dinamismo dapprima sconosciuto al Cellini. Il pensiero del «gran
Michelagnolo», che beneficiò dell'appassionata devozione dello scultore («[da lui] e non da altri io
ho imparato tutto quel che io so», avrebbe poi scritto), venne tuttavia recepito da Cellini filtrato
attraverso quello dei manieristi, ispirati al desiderio urgente di una rinascita del Quattrocento, e
soprattutto dell'arte di Donatello; numerose opere celliniane, quali le Storie di sant'Ambrogio e del
Battista nel sigillo per il cardinale d'Este e nelle monete per il duca Alessandro, sono imbevute di
elementi donatelliani.[30]
Il secondo soggiorno francese costituì una svolta decisiva per lo stile artistico del Cellini. Fu in
quell'occasione, infatti, che venne eseguita la Saliera, dove Cellini fuse in un'unica opera la
preziosità dell'arte orafa con il virtuosismo della scultura. Dal fervido cantiere di Fontainebleau, in
particolare, Cellini assorbì svariate influenze, avvertibili nell'esuberanza decorativa della Saliera, a
sua volta vivificata dalla contrapposizione tra l'agile flessuosità delle figure principali e la
robustezza massiccia, quasi caricaturale, dei Venti. Durante il soggiorno a Fontainebleau, inoltre,
Cellini sviluppò un certo gusto per il gigantesco, come testimoniato dal Marte di sedici metri
progettato per la fontana della reggia; l'improvviso ritorno in Italia, tuttavia, fece sì che Cellini si
orientasse nuovamente verso Michelangelo e il «ritorno» manieristico al Quattrocento.[30]
L'esempio più cospicuo della plastica celliniana dopo il rimpatrio è costituito dal Perseo con la
testa di Medusa della Loggia della Signoria, dove rappresenta la scultura più importante «fra le
costruzioni classicamente rinascimentali del Sansovino e la figura serpentinata del Giambologna».
La fortuna dell'opera fu immediata: il Perseo, infatti, al di là del significato politico (in riferimento
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13/02/24, 15:37 Benvenuto Cellini - Wikipedia
Cellini scrittore
«Così Benvenuto finì per diventare un modello, anzi un eroe e forse anche un mito: era un
po', per intendersi, il rappresentante di un'Italia dei pugnali, dei veleni e degli intrighi
quale poté vagheggiarla uno spirito lucidissimo eppur romanticamente inquieto come
Stendhal. Non senza ragione il suo Fabrizio del Dongo evade - nella Chartreuse de Parme -
dalla Torre Farnese come il Cellini aveva fatto da Castel Sant'Angelo!»
(Carlo Cordié[32])
L'uomo Cellini
Lo stesso argomento in dettaglio: Ritratti di Benvenuto Cellini.
Cellini nella sua vita ebbe un carattere sanguigno ed iroso, inguaribilmente arrogante, non
mancando di rimanere implicato in liti e risse con orafi rivali o mecenati meschini e taccagni: si
macchiò perfino di diversi omicidi (spesso mosso da motivi futili), in maniera analoga a come farà
l'ancor più famigerato Caravaggio nel Seicento.[32] Un ritratto caratteriale assai vivido di Benvenuto
Cellini ci viene offerto da Giuseppe Baretti, critico letterario del XVIII secolo, che scrisse:
«… Noi non abbiamo alcun libro della nostra lingua tanto dilettevole a leggersi quanto la
Vita di quel Benvenuto Cellini scritta da lui medesimo nel puro e pretto parlare della plebe
fiorentina. Quel Cellini dipinse quivi se stesso con sommissima ingenuità, e tal quale si
sentiva di essere […] cioè animoso come un granatiere francese, vendicativo come una
vipera, superstizioso in sommo grado, e pieno di bizzarria e di capricci; galante in un
crocchio di amici, ma poco suscettibile di tenera amicizia; lascivo anzi che casto; un poco
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traditore senza credersi tale; un poco invidioso e maligno; millantatore e vano, senza
sospettarsi tale; senza cirimonie e senza affettazione; con una dose di matto non mediocre,
accompagnata da ferma fiducia d'essere molto savio, circospetto e prudente. Di questo bel
carattere l'impetuoso Benvenuto si dipinse nella sua Vita senza pensarvi su più che tanto,
persuasissimo sempre di dipingere un eroe …»
(Giuseppe Baretti[32])
Omosessualità
L'omosessualità di Benvenuto Cellini è fra le meglio documentate della storia rinascimentale, sia a
causa delle condanne che egli subì (minuziosamente ricostruite dal 1930 dallo studio di Luigi
Greci), sia per gli accenni che egli stesso aggiunge nella sua autobiografia: Vita.
Uno dei momenti più lampanti di quest'aspetto di Cellini è sicuramente l'amore da lui provato per
il giovane orafo Francesco Salimbene.
Accuse di sodomia
Le accuse ufficiali di sodomia che gli furono rivolte contro furono ben tre:
Opere
Medaglia da berretta con Leda e il cigno, 1528-1530 circa, oro su lapislazzuli, Firenze, Museo
nazionale del Bargello
Fermaglio del piviale di Clemente VII, 1529, oro, smalti e pietre preziose (perduto)
Sigillo del cardinale Ercole Gonzaga, argento, 1528 (perduto), e impronta su cera, 1540,
Mantova, Curia vescovile
Medaglia di Clemente VII, 1533-1534, argento dorato, diam. 4 cm, Firenze, Museo nazionale
del Bargello
Testone da quaranta soldi di Alessandro de' Medici, 1535, argento, diam. 2,9 cm, Firenze,
Museo nazionale del Bargello
Medaglia di Alessandro de' Medici, 1535-1537, argento, diam. 3,5 cm, Firenze, Museo
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si comporta come si comportò Cellini allorquando lavorava alla fusione del suo Perseo: la massa
fluida minacciava di non bastare… egli vi gettò dentro piatti e stoviglie e quant'altro gli venne
sottomano. E così anche quel genio getta dentro errori, vizi, speranze, chimere...»
Nella letteratura
L'Orfèvre du roi, ou Ascanio di Alexandre Dumas (1843)
Al cinema
Benvenuto Cellini ou Une curieuse évasion, regia di Georges Méliès (1904)
Benvenuto Cellini, regia di Albert Capellani e Camille de Morlhon (1908) - cortometraggio
Benvenuto Cellini, regia di Étienne Arnaud e Louis Feuillade (1910) - cortometraggio
Gli amori di Benvenuto Cellini (The Affairs of Cellini), regia di Gregory La Cava (1934)
Il magnifico avventuriero, regia di Riccardo Freda (1963)
Cellini - Una vita scellerata, regia di Giacomo Battiato (1990)
Note
1. ^ Cellini, p. 8.
2. ^ Cellini, p. 19.
3. ^ Cellini, I 6, 7.
4. ^ Cellini, I 7.
5. ^ Cellini, I 8.
6. ^ Cellini, I 9.
7. ^ Cellini, I 10, 11.
8. ^ Cellini, I 19-21.
9. ^ Cellini, I 23.
10. ^ Cellini, I 26, 30, 31.
11. ^ Cellini, I 24-26.
12. ^ Cellini, I 29.
13. ^ Cellini, I 34-37.
14. ^ Cellini, I 40.
15. ^ Cellini, I 41-43.
https://it.wikipedia.org/wiki/Benvenuto_Cellini 10/13
13/02/24, 15:37 Benvenuto Cellini - Wikipedia
Bibliografia
Ettore Camesasca, CELLINI, Benvenuto, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 23, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1979, SBN IT\ICCU\RAV\0018939. URL consultato il 29 agosto
2016.
Benvenuto Cellini, La Vita (PDF), Torino, Giunti, 1973 [1728].
Costantino Porcu, Cellini, Milano, RCS, 2005.
Igino Benvenuto Supino e Mario Chini, CELLINI, Benvenuto, in Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. URL consultato il 28 settembre 2015.
Ivan Arnaldi, La vita violenta di Benvenuto Cellini, Bari-Roma, Laterza Editore, 1986, ISBN 88-
420-2752-9.
Luigi Greci, Benvenuto Cellini nei delitti e nei processi fiorentini ricostruiti attraverso le leggi del
tempo, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1930, SBN IT\ICCU\TO0\0576412.
Benvenuto Cellini, Dell'oreficeria, Milano, dalla Societa Tipografica de' classici italiani, contrada
di S. Margherita, n° 1118, 1811.
Andreas Beyer: "Benvenuto Cellini: VITA/Mein Leben", in Markus Krajewski/Harun Maye (Ed.):
Böse Bücher. Inkohärente Texte von der Renaissance bis zur Gegenwart, Wagenbach Verlag,
Berlin 2019, pp. 29–38. ISBN 978-3-8031-3678-7
Voci correlate
Casa di Benvenuto Cellini
Monumento a Benvenuto Cellini
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