Indice
L'ALFA
La nascita del marchio Alfa Romeo
Il primo dopoguerra e gli anni venti
Gli anni trenta e quaranta
Gli anni cinquanta
Gli anni sessanta
Gli anni settanta
Gli anni ottanta
Gli anni novanta
Gli anni duemila e duemiladieci
Note
Bibliografia
Voci correlate
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L'ALFA
Le origini dell'Alfa Romeo hanno ascendenze francesi e napoletane. La genesi del marchio è infatti
collegata alla fondazione della Società Italiana Automobili Darracq, che fu aperta a Napoli il 6
aprile 1906[10][11]. L'avventura imprenditoriale si rivelò però subito irta di difficoltà soprattutto a
causa dell'elevata lontananza di Napoli dalla Francia[12]. Per questo motivo, già alla fine del 1906,
la società fu trasferita a Milano con la costruzione di uno stabilimento in zona Portello[12]. Il primo
insediamento industriale che fu all'origine dell'Alfa Romeo, e che rimase attivo fino al 1986, fu
edificato su un vasto piazzale confinante con le aree che avevano ospitato l'Expo 1906[13][14]. Le
difficoltà però continuarono e le vendite si dimostrarono insufficienti a garantire la sopravvivenza
dell'attività produttiva[12]. A causa di questi problemi, già alla fine del 1909 la società fu posta in
liquidazione[12] e fu poi rilevata da alcuni imprenditori lombardi, che la acquistarono nel 1910
insieme a Ugo Stella, che partecipò alla transazione[2].
Il nuovo modello fu lanciato già nello stesso anno in cui venne effettuato il cambio di proprietà[2].
Progettata da Merosi, l'ALFA 24 HP, questo il suo nome, possedeva un motore in linea a quattro
cilindri e valvole laterali da 4.084 cm³ di cilindrata che erogava 42 CV di potenza (i 24 HP nel
nome del modello si riferivano invece alla potenza fiscale[16])[17][18]. La 24 HP venne progettata
considerando i difetti dei modelli Darracq, e pertanto fu dotata di una struttura molto robusta e di
un motore potente che permetteva alla vettura di raggiungere la ragguardevole velocità (per
l'epoca) di 100 km/h[16][17]. Il modello garantì l'affidabilità grazie ai collaudi preliminari che furono
effettuati prima del lancio per volere di Giuseppe Merosi, e quindi le vendite dell'ALFA
cominciarono gradualmente a crescere[19]. La 24 HP era però commercializzata con telaio "nudo",
cioè privo della carrozzeria; all'epoca, infatti, era comune vendere i modelli prodotti senza il corpo
vettura, così da dare agli acquirenti la possibilità di completarli secondo i propri gusti personali
portandoli dal carrozziere di fiducia[16][19].
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Dalla 24 HP fu derivato il primo modello di autocarro costruito dall'Alfa Romeo. Realizzato nel
1914, fu ottenuto tramite una sostanziale modifica della struttura della vettura[20]. Questo
autocarro inaugurò una tradizione che segnò la casa del Biscione per decenni. L'Alfa Romeo ha
infatti prodotto veicoli commerciali fino al 1988 ed è stata, dopo la FIAT, l'azienda italiana che ha
costruito questa tipologia di mezzi di trasporto per più tempo[21].
La 24 HP ebbe successo e quindi, nello stesso anno, fu lanciata una vettura più piccola, la 12 HP,
che era dotata di un motore in linea a quattro cilindri da 2.413 cm³ e 22 CV[16][19]. Sia il propulsore
sia il telaio della 12 HP derivavano da quelli della 24 HP[19]. Nel 1911 la 12 HP fu aggiornata con
l'installazione di una versione potenziata del motore, che ora erogava 24 CV; per tale motivo, il
modello mutò nome in 15 HP, dato che cambiarono anche i cavalli fiscali nonostante la cilindrata
fosse rimasta la stessa[19]. La 15 HP nel 1914 subì un aggiornamento analogo a quello che aveva
portato alla sua nascita. Questi mutamenti coinvolsero infatti principalmente il motore: la
cilindrata fu mantenuta inalterata a fronte di un aumento della potenza erogata, che crebbe fino a
28 CV[22]. Da queste modifiche nacque la 15-20 HP[22]. L'anno precedente (1913) era stato invece
lanciato il modello successore della 24 HP, la 40-60 HP[16]. Questa nuova vettura rappresentava
sostanzialmente il frutto dello sviluppo del modello precedente e segnò un punto di svolta per la
progettazione delle autovetture della casa automobilistica, grazie all'elevato livello ingegneristico
della sua meccanica[16][23]. Il nuovo modello aveva montato un motore a sei cilindri da 6.082 cm³ e
70 CV[16][17] che si differenziava dai propulsori precedenti per la presenza di valvole in testa in
luogo di quelle in posizione laterale[24].
avere queste caratteristiche e fu pertanto l'antesignano del propulsore bialbero Alfa Romeo e del
sistema di accensione Twin Spark, che furono prodotti qualche decennio dopo[26]. A causa dello
scoppio della prima guerra mondiale, a cui inizialmente l'Italia non prese parte, l'organizzazione
delle competizioni internazionali fu sospesa e quindi l'ALFA Grand Prix ebbe un'attività agonistica
piuttosto breve[25].
importarono motori a olio pesante Bolinder per imbarcazioni da pesca.[32]. Romeo, che era a
conoscenza del valore del marchio ALFA nella commercializzazione di modelli di autovettura,
decise di cambiare il nome della società in "Alfa Romeo"[3]. L'atto ufficiale della nascita dell'Alfa
Romeo è datato 3 febbraio 1918 e venne firmato dal notaio Federico Guasti di Milano[17]. Nello
stesso anno Merosi tornò in azienda in seguito all'appianamento dei conflitti con Romeo[31]. Ciò fu
ottenuto anche grazie alla revisione del contratto che legava Merosi alla casa automobilistica del
Portello[31], includendo un pagamento straordinario in funzione del numero di vetture vendute[31].
La liquidità finanziaria era stata anche precedentemente impiegata, dal gruppo di Romeo, per
l'acquisto di altre società meccaniche: le Costruzioni Meccaniche di Saronno, le Officine
Ferroviarie Meridionali di Napoli e le Officine Ferroviarie Romane[30]. Con esse Romeo costruì
materiale rotabile fino al 1925[33]. Romeo però non possedeva la maggioranza azionaria delle
aziende del suo gruppo: ulteriori soci erano infatti la Banca Italiana di Sconto e altri finanzieri[34].
Nonostante non possedesse la maggioranza, Romeo riusciva però ad avere il controllo assoluto
delle aziende da lui guidate[35]. Dal 1918 al 1921 la società guidata da Romeo produsse un modello
di trattore agricolo su licenza dell'International Harvester, il Romeo[36]. Il Romeo ebbe uno scarso
successo commerciale, soprattutto sulla scorta delle sue caratteristiche tecniche, che erano
obsolete già da qualche anno[36]. Un esemplare di Romeo è conservato al museo storico Alfa
Romeo di Arese[36]. Questo fu l'unico modello di trattore agricolo commercializzato dalla casa del
Portello[36].
Nel 1921 fu lanciato un nuovo modello progettato da Merosi, la G1[38][39]. La 40-60 HP era
diventata infatti obsoleta e quindi l'offerta dell'Alfa Romeo necessitava di un modello d'alto livello
completamente nuovo[40]. La G1, per le sue dimensioni imponenti, era la più grande Alfa Romeo
mai costruita fino ad allora[38][40]. Il modello, però, non aveva mercato in Italia anche a causa
dell'imposizione fiscale elevata che, essendo calcolata in funzione della cilindrata, penalizzava i
modelli con motore di grande cubatura[40]. I 50 costosi esemplari prodotti furono pertanto venduti
tutti in Australia[38].
Gli affari peggiorarono a causa delle basse vendite[38]. I motivi di questo scarso successo
risiedevano nell'assenza quasi totale di una rete di concessionari e nella disorganizzazione
societaria che era originata dalla gestione di Romeo[38] che, di conseguenza, iniziò a indebitarsi con
le banche[38]. Gli affari non migliorarono neppure con il lancio di una nuova vettura che era dotata
di un motore a sei cilindri progettato da Merosi, la RL[41]. Il nuovo modello venne accolto
tiepidamente dal mercato proprio a causa del motore, caratterizzato da un potenza relativamente
bassa[42]. Comunque, la RL fu lanciata sui mercati per completare la gamma con un modello da
strada la cui versione da competizione avrebbe dovuto soddisfare i nuovi regolamenti dei Gran
Premi[41], che prevedevano una riduzione della cilindrata massima delle vetture partecipanti[41]. La
RL fu però importante per la storia della casa del Biscione: su un esemplare della versione da
competizione esordì infatti il simbolo del quadrifoglio Alfa Romeo che, da allora, sarebbe
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L'appannamento del marchio Alfa Romeo causato dalla scarso successo commerciale dei modelli
da strada fu mitigato dai successi nelle competizioni, e in particolare dal trionfo dell'Alfa Romeo
P2 nel primo campionato del mondo di automobilismo organizzato nella storia (1925), che venne
conquistato grazie alle vittorie di Antonio Ascari e Gastone Brilli-Peri[38][51]. I due sconfissero i
piloti delle case automobilistiche che dominavano i Gran Premi dell'epoca e che erano pertanto
favorite per il titolo (Bugatti, Fiat, Delage, Sunbeam e Miller)[52]. Per celebrare la vittoria, sul bordo
dello stemma della casa automobilistica milanese venne aggiunta una corona d'alloro[38]. La P2 fu
la prima Alfa Romeo progettata da Vittorio Jano, che nel frattempo aveva sostituito Merosi alla
guida tecnica della società; quest'ultimo, infatti, aveva lasciato l'Alfa Romeo a causa di contrasti
con Gallo[53]. In particolare, la scelta di sostituire Merosi con Jano fu presa il giorno successivo alla
morte di Sivocci su una P1 durante alcuni collaudi[54]. La proprietà individuò nel direttore tecnico
piacentino il principale responsabile della tragedia, e quindi decise di sostituirlo[54]. La scelta del
successore cadde poi su Jano, che all'epoca lavorava in Fiat[54]. Essendo però evidente l'affinità tra
il modello Alfa Romeo campione del mondo e la Fiat 805, Giovanni Agnelli si convinse che Jano
avesse utilizzato come base per la P2 alcuni disegni provenienti dalla Fiat e quindi si rivolse alle
autorità competenti[54]. Le successive indagini scagionarono Jano: le due vetture, nonostante la
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somiglianza estetica, erano infatti meccanicamente molto differenti[49]. Con Jano per l'Alfa Romeo
iniziò un periodo di grandi successi sportivi e di avanzamenti tecnologici che avrebbero in seguito
portato al rilancio dell'azienda[17].
Nell'aprile del 1936 l'Alfa Romeo costituì un dopolavoro aziendale del proprio stabilimento
milanese[77]. La sezione calcistica esordì nel campionato lombardo di Prima Divisione 1936-1937
terminando la stagione al primo posto e guadagnando così l'accesso alla Serie C. A partire dalla
stagione 1937-1938 si costituì il Gruppo Calcio Alfa Romeo, autonomo rispetto al dopolavoro
aziendale seppur collegato ad esso.[78] La stagione seguente l'Alfa Romeo ingaggiò — grazie anche
alla prospettiva di un'occupazione stabile come meccanico[79][80] — il diciottenne Valentino
Mazzola, futuro capitano del Grande Torino, che rimase in maglia rossa solamente una stagione
prima di passare al Venezia. Il club disputò cinque stagioni in terza serie fino alla stagione 1941-
1942, dopo la quale rinunciò all'iscrizione; disputò inoltre quattro edizioni della Coppa Italia senza
mai superare il primo turno eliminatorio.
In questo contesto, nel 1933 Gobbato decise di ritirare l'Alfa Romeo dalla partecipazione ufficiale e
diretta alle competizioni, cedendo le sue vetture alla Scuderia Ferrari, nata qualche anno prima e
già da diverso tempo utilizzatrice di auto della casa del Biscione[74][81]. Nel 1937 Jano fu però
allontanato dall'Alfa Romeo a causa di dissapori con la dirigenza, che lo criticò per i mancati
successi nelle gare (in questi anni ci fu infatti una supremazia delle auto tedesche[82])[74]. Il tecnico
si difese adducendo come scusante il mancato sostegno da parte della direzione, considerato
necessario da Jano per lo sviluppo dei suoi progetti[74]. Jano fu sostituito, in primo momento, da
Bruno Trevisan, il quale, a sua volta, fu rimpiazzato nel 1936 dallo spagnolo Wifredo Ricart[74].
Ricart lasciò un segno indelebile nella storia dell'Alfa Romeo, dato che fu opera sua l'introduzione
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del ponte De Dion sulle vetture del marchio; questa peculiarità tecnica avrebbe poi caratterizzato
per decenni i modelli della casa automobilistica milanese[74]. Per quanto riguarda invece
l'amministrazione di Gobbato, è indubbio che sia stata fondamentale per il marchio il quale
divenne, sotto la sua direzione, celebre e stimato in tutto il mondo anche per le auto prodotte in
serie[83]. La fama internazionale conquistata dall'Alfa Romeo fece dire a Henry Ford, in un
colloquio che avvenne nel 1939 proprio con Gobbato, «quando vedo passare un'Alfa Romeo, mi
tolgo il cappello»[83]. Questa fama mondiale si consolidò grazie anche alle corse e ai piloti che,
nonostante la supremazia tedesca, ottennero comunque successi rilevanti[83]. Tra coloro che
contribuirono a scrivere pagine importanti della storia dell'Alfa Romeo di questo decennio ci
furono Giuseppe Campari, Tazio Nuvolari, Achille Varzi, Louis Chiron e Mario Umberto Baconin
Borzacchini[84][85].
Verso la fine degli anni trenta la situazione politica in Europa stava però mutando. I venti di guerra
portarono le varie nazioni, Italia compresa, verso la corsa agli armamenti[75][93]. La produzione
industriale dell'Alfa Romeo fu orientata verso l'assemblaggio di motori aeronautici e autocarri, che
sarebbero stati più utili all'Italia in caso di conflitto armato[71]. L'assemblaggio di autovetture civili
si ridusse quindi drasticamente a favore soprattutto della produzione aeronautica, che negli anni
precedenti alla seconda guerra mondiale generava quasi l'80% del fatturato dell'Alfa Romeo[71]. La
tradizione dell'Alfa Romeo in campo aeronautico affondava le sue radici negli albori della storia
del marchio[94]. Con il passare dei decenni, i motori aeronautici dell'Alfa Romeo diventarono
celebri per la loro partecipazione vittoriosa ai vari tentativi di infrangere i record mondiali in
campo aeronautico e per i loro trionfi sportivi, dove dimostravano una certa supremazia tecnica[94].
I motori aeronautici della casa del Biscione furono quindi montati su un numero ragguardevole di
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aerei della Regia Aeronautica, contribuendo a scrivere pagine importanti della storia dell'aviazione
italiana[95][96]. Nel campo dei motori militari, molti vennero derivati da modelli, come il Jupiter[97],
prodotti su licenza e caratterizzati da potenze che se negli anni trenta erano adeguate, con la
rapida evoluzione della tecnologia si dimostrarono in seguito troppo basse per l'impiego bellico,
mentre sempre alta rimase la affidabilità e la robustezza. I motori militari erano quasi tutti radiali
e raffreddati ad aria; fece eccezione l'RA 1000 RC.41 che era una produzione su licenza del famoso
Daimler-Benz DB 601 ed equipaggiò i caccia Macchi M.C.202 e Reggiane Re.2001.
La seconda guerra mondiale lasciò molti segni anche nello stabilimento del Portello, considerato
molto importante per l'approvvigionamento bellico[100]. Già durante la guerra fu deciso di spostare
alcuni reparti nell'hinterland milanese e di trasferire parte del magazzino nei dintorni di Vicenza,
per difendere queste risorse dai bombardamenti[101]. Inoltre Gobbato predispose un piano di
occultamento dei componenti delle vetture, piano che si sarebbe rivelato fondamentale per la
ripresa delle attività produttive a conflitto terminato[101]. A causa della sua importanza strategica, il
14 febbraio ed il 13 agosto del 1943 lo stabilimento milanese subì due pesanti bombardamenti[101].
Il colpo di grazia venne il 20 ottobre del 1944, quando il più violento bombardamento che avesse
subito Milano fino ad allora causò l'abbattimento di oltre il 60% della struttura, cagionando la
chiusura del sito produttivo[75][100][102]. Lo stabilimento di Pomigliano d'Arco subì la medesima
sorte il 30 maggio 1943, con la distruzione del 70% delle strutture operative[101].
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Sin dalla fine della guerra, l'azienda cercò di rimettere in funzione gli impianti danneggiati
dedicandosi inizialmente alla costruzione di cucine elettriche e a gas, infissi metallici, motori
elettrici, respingenti per carrozze ferroviarie, mobili e altri manufatti.[100][103][107] La strategia
produttiva impostata da Gallo, infatti, era ispirata al modello svizzero del cd "artigianato
organizzato", nel proseguimento della costruzione di autovetture sportive fortemente elitarie,
aiutandosi economicamente con la produzione di altri manufatti anche di settori non motoristici,
sfruttando la grande elasticità consentita da un sistema artigianale, ed evitando la produzione di
massa, secondo Gallo destinata a soccombere contro l'imponente industria statunitense.[108]
Già alla fine del 1945 l'Alfa Romeo ritornò alla tradizionale
attività di produzione di automobili con la realizzazione di due
esemplari di una vettura prebellica, la 6C 2500[100]. L'anno
seguente, grazie alla grande disponibilità di manodopera e alle
cospicue giacenze nei magazzini di componenti automobilistici
che si erano salvati dai bombardamenti, la produzione
automobilistica riprese con costanza, sempre grazie
all'assemblaggio di esemplari di 6C 2500[71][109][110]. Non fu
messa in produzione la 6C 2000 "Gazzella", un prototipo che
era stato progettato da Ricart durante gli ultimi anni della
Una delle 6C 2500 post belliche
guerra e che era dotato di una meccanica all'avanguardia (ad
esempio, il modello anticipò la trasmissione transaxle che fu
poi montata trent'anni dopo sull'Alfetta)[102].
La dirigenza Alfa Romeo operò questa scelta perché la messa in produzione di un modello
completamente nuovo implicava un cospicuo investimento di fondi[102]. Nonostante l'auto
rientrata in produzione risalisse a prima della guerra, la risposta del mercato fu buona[110]: grazie
alla crescente domanda di vetture che derivava dai primi accenni di ripresa economica, questi
esemplari, appena completati, lasciavano la fabbrica destinati agli acquirenti[110]. Oltre alla ripresa
del mercato, anche l'abbondanza della manodopera contribuì a far ripartire l'Alfa Romeo, dato che
era interesse del governo far riassorbire i disoccupati nelle fabbriche[110]. Una versione speciale
della 6C 2500 denominata "Freccia d'Oro" venne molto apprezzata dal pubblico e fu acquistata
anche dal re Fārūq I d'Egitto, da Rita Hayworth e da Tyrone Power[103]. Invece, sul fronte delle
competizioni, nel 1947 l'Alfa Romeo conquistò con una 8C 2900B del 1938 la prima edizione della
Mille Miglia organizzata dopo la fine della guerra[111].
queste due vittorie, nonostante le lamentele degli appassionati, degli addetti ai lavori e di parte
degli esponenti politici più in vista, l'Alfa Romeo si ritirò momentaneamente dalla Formula 1 a
causa degli alti costi che erano necessari per proseguire la partecipazione al campionato[71][122].
Un altro modello prodotto in questi anni fu la Matta, cioè un fuoristrada che nacque in seguito
all'adesione dell'Alfa Romeo ad un bando dell'Esercito Italiano per la fornitura di vetture da
ricognizione; di questo modello, però, le Forze armate italiane acquistarono pochi esemplari a
causa del costo, che era superiore a quello della vettura concorrente, la Fiat Campagnola[123]. La
Matta non ebbe un riscontro positivo neppure dal mercato privato[123]. Sempre in ambito di
fornitura allo Stato, fu invece la 1900 ad aprire la strada alla vendita di auto Alfa Romeo alla
polizia: fu il modello che inaugurò la celebre serie delle "Pantere", ovvero delle vetture in dotazione
alla squadra volante il cui soprannome derivava dal colore nero, dalle forme aggressive e dalle
prestazioni scattanti[123]. Nel 1954 fu invece introdotto il primo furgone costruito dall'Alfa Romeo,
il Romeo, che fu in produzione fino al 1967[124]. Successivamente vennero prodotti l'F11/A11 (tra il
1967 e il 1971) e l'F12/A12, che fu assemblato tra il 1967 e il 1983[124].
Alla Giulietta seguì nel 1958 la poco fortunata 2000, che non raggiunse le quote di mercato sperate
a causa della concorrenza della più riuscita Lancia Flaminia, dell'arretratezza della meccanica e del
prezzo troppo alto[129]. Nel 1959 l'Alfa Romeo introdusse invece la Dauphine, un'utilitaria prodotta
su licenza Renault che fu lanciata sui mercati per saturare le linee produttive dello stabilimento del
Portello[130]. Dato che in Italia la fascia di mercato delle utilitarie era controllata in modo quasi
assoluto dalla Fiat, la direzione dell'Alfa Romeo decise di non investire risorse nello sviluppo di un
modello completamente nuovo, ma di appoggiarsi a un altro marchio automobilistico che avesse
più esperienza su questo tipo di vetture[130]. La Dauphine non ebbe però il successo sperato[131].
Comunque, grazie al lancio della 1900 e della Giulietta, le vendite dell'Alfa Romeo dal 1951 al 1957
ebbero un incremento del 187%, e ciò garantì la salvezza del marchio[132].
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[134]
Giulietta . Ciò che cambiò fu la linea, che venne completamente ridisegnata per volere di Satta
Puliga[134]. Il risultato fu una carrozzeria molto particolare, che non assomigliava a quella di
nessun'altra vettura contemporanea e che possedeva, grazie all'uso della galleria del vento, una
forma particolarmente aerodinamica[134]. Per il suo bassissimo Cx fu infatti coniato lo slogan «la
Giulia, l'auto disegnata dal vento»[140]. Il nuovo motore bialbero Alfa Romeo da 1,6 L, che debuttò
sul modello, permise alla Giulia di collocarsi al primo posto nella classifica delle berline europee
stilata in base alle prestazioni[140]. Negli anni seguenti furono lanciate sul mercato molte varianti
della Giulia, che completarono la gamma anche con versioni spiccatamente sportive come la Giulia
GT (in seguito commercializzata semplicemente come "GT")[141][142][143]. Grazie al benessere che
iniziava a diffondersi in Italia in seguito al boom economico, sempre più italiani potevano
permettersi un'Alfa Romeo[144]. La Giulia, anche grazie al motore da 1,3 L che si era affiancato al
citato propulsore da 1,6 L, fu l'emblema di questo periodo[144]. Infatti, le Giulia con motore da 1,3 L
erano ad appannaggio dello borghesia medio-alta, mentre i modelli con propulsore da 1,6 L erano
acquistati generalmente da clienti più abbienti[144].
Nel 1963, sempre per volere di Luraghi e grazie all'impegno di Carlo Chiti, nacque invece
l'Autodelta, che l'anno successivo si tramutò nella sezione corse dell'Alfa Romeo[139][148]. Questo
reparto corse esterno fu voluto da Luraghi per dotare l'Alfa Romeo di una struttura snella e
indipendente che sollevasse la casa madre dal cospicuo lavoro connesso alle competizioni[149]. Nel
1966 l'Alfa Romeo acquistò l'Autodelta, che divenne quindi il nuovo reparto corse ufficiale della
casa sostituendo quello interno all'azienda[150]. Uno dei modelli preparati dall'Autodelta in questo
periodo, la Giulia GTA, vinse, tra gli anni sessanta e settanta, sei Campionati Europei
Turismo[151][152][153].
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All'epoca il dominio dell'Alfa Romeo nel categoria delle vetture medio-grandi era incontrastato e
quindi la casa automobilistica milanese decise di progettare un modello che avrebbe sostituito la
poco fortunata 2600 collocandosi nella fascia delle auto di grande cilindrata[154]. Questa volta si
optò per un modello più piccolo e meno costoso, utilizzando come base la Giulia per limitare i costi
di progettazione[154]. Nacque così, nel 1967, la 1750[154]. La nuova vettura, che piacque al mercato,
fu però anche la prima "vittima" dell'autunno caldo visto che, a causa delle agitazioni sindacali,
furono registrati, a partire dal 1969, rallentamenti nell'attività produttiva ed episodi di
sabotaggio[154].
Sul fronte delle strategie aziendali, già alla fine degli anni
sessanta venne deciso il rifacimento dello stabilimento di
Pomigliano d'Arco, che prevedeva la sua trasformazione da
centro produttivo di motori aeronautici a stabilimento
automobilistico a tutti gli effetti[157]. Il progetto di assemblare
un modello di piccole dimensioni in Italia meridionale risaliva
comunque agli anni cinquanta anche se, per varie vicissitudini,
fu reso operativo solo negli anni settanta[158]. Uno dei motivi Un'Alfa Romeo Alfasud
che spinse Luraghi a investire nel Sud Italia fu il tentativo di
limitare l'emigrazione meridionale verso le fabbriche del Nord,
portando quindi il lavoro nelle zone di origine del fenomeno[89]. In questo modo, secondo Luraghi,
si sarebbe limitata la nascita di quei problemi sociali e di integrazione che scaturivano dal
massiccio esodo di migranti verso le regioni settentrionali[89].
La prima vettura che venne prodotta a Pomigliano d'Arco fu l'Alfasud, cioè un modello medio-
piccolo che segnò l'esordio della casa del Biscione in questo segmento e che venne assemblata a
partire dal 1972[159]. L'Alfasud era dotata di una carrozzeria che nacque dalla matita di Giorgetto
Giugiaro[159] e di un piccolo motore da 1,2 l che però non pregiudicava, per le sue dimensioni, le
brillanti prestazioni del modello[160]. Il modello ebbe due primati: fu la prima Alfa Romeo a
trazione anteriore ed il primo modello della casa del Biscione ad aver installato il motore boxer
Alfa Romeo[152][161]. Già al momento del lancio, l'Alfasud ebbe un buon successo commerciale
anche grazie all'ampliamento verso il basso della potenziale clientela[160]. Quest'ultima, infatti, ora
comprendeva anche possibili acquirenti che in precedenza non avrebbero mai potuto permettersi
un modello Alfa Romeo nuovo[160]. Dato che ora la produzione non era realizzata solo in provincia
di Milano ma anche in Campania, al marchio Alfa Romeo venne rimosso il riferimento al
capoluogo meneghino[89].
All'Alfasud, sempre nel 1972, fu affiancato un nuovo modello, l'Alfetta, ovvero una berlina di fascia
medio-alta che si collocò - nella gamma Alfa Romeo - tra la Giulia e la 2000[89]. L'Alfetta era mossa
dalla versione da 1,8 litri del motore bialbero Alfa Romeo che aveva fatto il suo debutto nel 1968
sulla 1750[152]. L'Alfetta presentava una meccanica completamente nuova che fu sviluppata per
modernizzare la trasmissione, le sospensioni e il telaio, i cui schemi risalivano ormai alla 1900[162]
ed erano diventati obsoleti, soprattutto alla luce del progresso tecnologico fatto dalla
concorrenza[162]. Il nome della nuova vettura derivava invece dal soprannome del modello da
competizione che aveva vinto il primo campionato del mondo di Formula 1, la 158[162]. La scelta del
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Per quanto riguarda i modelli da strada, la seconda parte degli anni settanta fu segnata dall'avvio
di una fase di gravi difficoltà che si tradusse in una sostanziale passività nei confronti
dell'aggiornamento dei modelli più datati e del lancio di nuove vetture[7]. La Giulia, che era
obsoleta già da anni[7], fu sostituita solo nel 1977 dalla nuova Giulietta[170], che riprese la meccanica
dall'Alfetta ma si posizionò in una fascia di mercato inferiore dato che fu proposta con due
motorizzazioni più piccole, 1300 e 1600 cm³[170]. La carrozzeria era però completamente diversa
da quella della Giulia, poiché era caratterizzata da linee squadrate[170][171]. Nel contempo fu
introdotta l'Alfetta con motore da 2 litri, il cui debutto seguì di qualche anno la versione con
propulsore da 1,6 litri[172].
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Alla fine degli anni settanta l'Alfa Romeo tornò a gareggiare in Formula 1. Il preludio risaliva al
decennio precedente, quando la casa del Biscione aveva fornito il propulsore a scuderie minori[174],
e alla prima parte degli anni settanta, quando i motori Alfa Romeo erano stati montati, dal 1970 al
1971, su vetture McLaren e March[175]. Con l'intenzione di far esperienza nei Gran Premi
preparandosi nel contempo a una partecipazione diretta come costruttore, nel 1975 l'Alfa Romeo
stipulò un accordo con la Brabham sempre per la fornitura di motori[175]. L'Alfa Romeo prese poi
parte al campionato di Formula 1 come costruttore dal 1979 al 1985, ma senza ottenere grandi
successi[176]. Questo ritorno in Formula 1 fu funestato dalla morte del pilota Patrick Depailler, che
si schiantò, durante alcune prove in Germania nel 1980, sulla sua Alfa Romeo[176].
Un avvenimento che migliorò temporaneamente la situazione fu il lancio, nel 1983, del nuovo
modello che sostituì l'Alfasud, la 33[179]. La 33 si basava sull'autotelaio e sulla meccanica del
modello che rimpiazzava, ma presentava una carrozzeria dalle linee moderne[179]. La 33 ebbe un
ottimo riscontro commerciale e diede quindi un po' di respiro alle casse dell'azienda[152][179]. Il
successo fu anche decretato dalla versione 4x4 e da quella familiare; quest'ultima, in particolare,
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A questo punto l'Alfa Romeo si trovò priva della liquidità necessaria per rinnovare in modo
radicale la gamma con la sostituzione delle vetture più vecchie e quindi la dirigenza decise di
lanciare sui mercati una nuova ammiraglia che si sarebbe dovuta basare sui modelli precedenti[182].
La 90, questo il suo nome, debuttò sui mercati nel 1984 e sostituì sia l'Alfetta che l'Alfa 6[183]. Fu
dotata della meccanica della prima e di un moderno corpo vettura disegnato dalla Bertone[182].
Sul fronte delle competizioni, questi anni furono ricchi di soddisfazioni soprattutto grazie alla GTV
6, che si aggiudicò il Campionato Europeo Turismo nelle stagioni 1982, 1983, 1984[188]. Sempre in
riferimento alle gare, nel 1985 venne deciso di liquidare l'Autodelta[189]; dall'anno successivo, le
gare tornarono a essere gestite dall'Alfa Corse, il cui nome era già stato associato a una struttura
che si era occupata delle competizioni della casa automobilistica del Biscione[150][189].
Romeo grazie all'intercessione di Prodi che impedì, non senza polemiche, l'acquisto da parte del
gruppo automobilistico statunitense[8][191]. Dopo l'acquisizione, la Fiat decise di accorpare l'Alfa
Romeo a un'altra azienda del gruppo, la Lancia, dando vita alla "Alfa-Lancia Industriale", alla cui
presidenza venne nominato Vittorio Ghidella[8][192]. Nel contempo, la nuova proprietà decise di
ottimizzare la gamma delle vetture con l'uscita di scena dell'Arna e della 90 e con l'aggiornamento
degli altri modelli rimasti in listino[8].
Nel 1987 venne introdotta la 164, l'ammiraglia nata sullo sviluppo del pianale Tipo4 di origine Fiat,
insieme a Lancia e SAAB. Ciò fu possibile grazie a un accordo tra l'Alfa Romeo e i due gruppi
automobilistici concorrenti prima dell'acquisto da parte della Fiat, il cui scopo era quello di
contenere i costi di progettazione e sviluppo dei modelli[8]. La 164 presentava però un disegno
stilistico particolare, opera della Pininfarina[8]. Il modello rappresentò una pietra miliare nella
storia della casa, dato che fu la prima ammiraglia Alfa Romeo a trazione anteriore[193]. Nel
frattempo, prima del lancio dei nuovi modelli che si sarebbero basati su pianali del gruppo Fiat,
nel 1988 e nel 1989 erano state riviste, rispettivamente, la 75 e la 33[193]. Sempre nel 1989 venne
presentata una coupé in serie limitata che aveva lo scopo di rinverdire la fama sportiva dell'Alfa
Romeo[193]. Alla SZ, questo il suo nome, venne poi affiancata nel 1991 la RZ, ossia la sua versione
cabriolet[194]. La SZ fu il primo modello Alfa Romeo interamente progettato e prodotto sotto la
guida del gruppo Fiat, pur mantenendo architetture meccaniche derivanti dall'Alfetta[195]. Nel 1988
terminò invece la produzione dei furgoni[196]. Gli ultimi due modelli realizzati, l'AR6 e l'AR8,
traevano origine da un accordo con l'Iveco ed erano, rispettivamente, dei Fiat Ducato e degli Iveco
Daily rimarchiati[197][198]. Con essi, si concluse la produzione di veicoli commerciali marchiati Alfa
Romeo[21].
Poco dopo furono lanciati i due modelli che sostituirono la 33, la 145 e la 146, che debuttarono,
rispettivamente, nel 1994 e nel 1995[201][205]. Entrambe le vetture erano berline basate sul pianale
della 155 e erano caratterizzate da una carrozzeria dai tratti innovativi: la 145 aveva dimensioni
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Nel 1998 terminò la produzione della 164, che cedette il posto alla nuova ammiraglia della casa, la
166[209]. La 166 si presentò con dimensioni ancor più generose della progenitrice ma conservando
la trazione anteriore[209]. Quest'ultimò aspetto generò malumori da parte tra gli alfisti, anche alla
luce della tendenza seguita dai marchi rivali, indirizzata alla commercializzazione di modelli a
trazione posteriore[209]. La 166 era però dotata di un abitacolo molto comodo e di un
equipaggiamento particolarmente ricco che rendeva il modello adatto, tra l'altro, agli itinerari
lunghi[211]. La 166 venne ritirata dal mercato nel 2007 dopo aver riscosso un buon successo
commerciale[212][213].
Per quanto riguarda le competizioni, in questo periodo l'Alfa Romeo conquistò con la 156 quattro
titoli europei turismo piloti (dal 2000 al 2003) grazie a Fabrizio Giovanardi e Gabriele Tarquini, e
tre campionati europei turismo marche (dal 2000 al 2002)[201][214][215].
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Il 2003 fu caratterizzato
dall'aggiornamento
dell'intera gamma, che
venne ottenuto attraverso
un radicale facelift[216].
Furono rinnovate infatti la
156, la Spider, la GTV e la
166[216]. Sempre nel 2003
avvenne la presentazione Un'Alfa Romeo MiTo
del modello GT, che l'anno
Un'Alfa Romeo 147
successivo vinse il premio
di "Automobile più bella del mondo"[219][220]. Nel 2004 venne
invece aggiornata la 147 e furono lanciate sui mercati due
nuove versioni della 156, la Q4 e la GT[216].
Nel 2005 debuttò la 159, ovvero il modello di gamma medio-alta che sostituì la 156[221]. Disegnata
dalla Giugiaro, la 159 era sostanzialmente un'evoluzione del modello che rimpiazzava nonostante
fosse dotata di dimensioni e peso maggiori[221]. La vettura venne realizzata in collaborazione con il
gruppo General Motors; il pianale, infatti, era frutto di una cooperazione con il marchio Opel che
però non ebbe seguito[221]. La 159 era dotata di un'ampia gamma di motori tra cui i clienti
potevano scegliere, e fu offerta sia in versione berlina sia familiare Sportwagon[221]. Nello stesso
anno debuttò la nuova coupé sportiva, nata sempre dalla matita di Giorgetto Giugiaro e che prese
il posto della GTV: la Brera[222].
Nel giugno 2008 è avvenuto invece il lancio commerciale della compatta MiTo ("Mi" per Milano,
dove nacque l'Alfa Romeo, e "To" per Torino, dove viene costruita), che è stata concepita per
tentare di incrementare le vendite estendendo la gamma verso il basso[224]. Si è posizionata al di
sotto della 147 e - grazie alla sua immagine sportiva e dinamica - è stata pensata per attrarre il
pubblico giovanile[224]. La MiTo è basata sul Pianale FGA Small ed è stata la prima Alfa Romeo a
essere assemblata nello stabilimento Fiat di Mirafiori[224]. La MiTo è disponibile con una ricca
scelta di motori e presenta un Cx decisamente basso (0,29), conseguenza di un approfondito studio
sull'aerodinamica[225].
Nel 2010, in occasione del centenario di fondazione della casa, l'Alfa Romeo ha presentato il
modello che ha sostituito la 147, la Giulietta[226]. La vettura è basata sul nuovo pianale FGA
Compact e presenta caratteristiche meccaniche ricercate come il cambio a doppia frizione[226]. La
Giulietta, inoltre, è dotata del sistema start e stop, dell'Alfa Romeo DNA (introdotto sulla MiTo nel
2008[227]), del controllo elettronico della stabilità e del differenziale Q2[226]. Sempre nel 2010 la
Zagato ha presentato la TZ3, che è stata assemblata in dieci unità (compreso l'esemplare one-
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell%27Alfa_Romeo 22/29
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[228][229]
off) . In occasione del centenario si è avuta anche una
razionalizzazione della gamma, con l'uscita di scena della GT,
della Brera e della Spider[230][231].
A fine luglio del 2018 è cessata la produzione della MiTo, che non ha avuto una immediata
sostituzione nel suo segmento[235]. La programmata sostituzione della Giulietta è diventato un
aggiornamento di mezza vita, figurante nel piano industriale come Giulietta MCA (Mid Cycle
Action), rimandando al 2022 il nuovo modello[236].
Note
1. ^ Tabucchi, pp. 18 e 20.
2. Sannia, p. 14.
3. Owen, p. 13.
4. Owen, p. 32.
5. Owen, p. 45.
6. Sannia, p. 87.
7. Sannia, p. 110.
8. Sannia, p. 142.
9. Sannia, p. 156.
10. ^ Sannia, p. 8.
11. ^ Tabucchi, p. 14.
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14. ^ Sannia, p. 9.
15. Owen, p. 8.
16. Sannia, p. 15.
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18. ^ Owen, pp. 8-9.
19. Owen, p. 9.
20. ^ Tabucchi, p. 34.
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originale il 25 ottobre 2010).
22. Owen, p. 10.
23. Tabucchi, p. 22.
24. Owen, p. 11.
25. Owen, p. 12.
26. Sannia, p. 16.
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Voci correlate
Alfa Romeo
Alfa Romeo Avio
Reparto Corse Alfa Romeo
Alfa Romeo (automobilismo)
Alfa Romeo (Formula 1)
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