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@MsKingBean89

ALL THE YOUNG


DUDES
La Guerra
Dopoguerra
Storie extra

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LA GUERRA

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INDICE
1. Luglio 1978 7
2. Infiltrati 21
3. Fronte domestico 38
4. Autunno 1978 50
5. Inverno 1978-1979 63
6. Quartier Generale degli Auror 87
7. Il Branco 100
8. Prigioniero 115
9. Sottomissione 128
10. Soldati 139
11. Luna di sangue 156
12. La storia di Moony 167
13. Fine primavera 1979 178
14. Estate 1979 195
15. Dulce et Decorum est 208
16. Autunno 1979 219
17. Inverno 1979 231
18. Primavera e Estate 1980 253
19. Autunno e Inverno 1980 272
20. Inverno 1980 e Primavera 1981 292
21. Triage 309
22. Estate 1981 322
23. Autunno 1981 335

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Luglio 1978
All our times have come
Here but now they’re gone
Seasons don’t fear the reaper
Nor do the wind, the sun or the rain,
(We can be like they are)
Come on baby, (don’t fear the reaper)
Baby take my hand, (don’t fear the reaper)
We’ll be able to fly, (don’t fear the reaper)
Baby I’m your man.

Sabato 2 luglio 1978


«Sbrigati, Potter!» Remus picchiò sul vetro della porta della cabina
del telefono. «Altre persone devono fare telefonate, sai!»
James voltò le spalle piuttosto sgarbatamente, incurvando le spalle
e parlando furtivamente nel ricevitore.
«Lascialo stare, Moony.» Mormorò Sirius appoggiandosi
pesantemente alla staccionata. Indossava occhiali da sole molto
scuri e sembrava più pallido del normale. «E smettila di sbattere,
eh?!»
«Prendi un’altra pastiglia antidolorifica.» Disse Remus. «Hai solo i
postumi di una sbornia, è colpa tua se sei così distrutto.»
«Ero la vita e l’anima della serata, vorrei che tu te ne renda conto.»
Sirius ribatté incrociando le braccia mentre Remus andava a sedersi
accanto a lui.
I Potter avevano organizzato la festa di fine scuola la sera prima
per tutti i diplomati di Hogwarts e per i loro amici. Yaz e Chris
erano venuti, anche se avevano entrambi un altro anno prima della
fine. C’erano anche alcuni membri dell’Ordine della Fenice; non

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Silente, ma Ferox, Moody, Frank Paciock e la sua bella ragazza
bionda (ora fidanzata, a quanto pare). Moody aveva chiamato
Remus da loro un paio di volte, solo per poi essere salvato dalla
signora Potter.
«È la sua festa per i diplomati, Alastor!» Sibilò dopo la quarta volta.
«Lascia che si diverta per cinque minuti prima di formare un
consiglio di guerra ribelle!»
Lo disse così bruscamente che lo lasciarono in pace, anche Remus
era un po’ scioccato. Quello era il massimo che avesse mai sentito
dire dalla signora Potter.
Durante il resto della festa si era sentito proprio come nella Sala
Comune dei Grifondoro, mentre allo stesso tempo non aveva
niente a che fare con la Sala Comune dei Grifondoro. Remus cercò
di non essere così triste. Cercò di immaginare che un giorno
avrebbe trovato un altro posto dove sentirsi a casa come si sentiva
ad Hogwarts.
Lily, Mary e Marlene dovettero andarsene tutte a mezzanotte:
avevano promesso ai loro genitori che avrebbero passato la notte
da Lily. Il che riportò Remus al presente, guardando James
attraverso la porta della cabina telefonica che parlava con la sua
ragazza. Che aveva letteralmente salutato otto ore prima.
«È così ingiusto, lui ci ha costretti a correre quaggiù. Come se
potessi mai battere James libero-dalla-sbornia Potter.» Borbottò
Remus. «In più è stato antisportivo. Sa che ho un handicap.»
«Pensavo che il tuo fianco fosse migliorato da quando prendi quella
roba da Marls?» Sirius aggrottò la fronte, facendosi scivolare gli
occhiali da sole sul naso.
«È così.» Rispose Remus. «Intendevo il mio fumare.»
Ci fu un basso rombo da qualche parte in lontananza. Sirius si mise
a sedere, all’improvviso, strappandosi gli occhiali. «È quello che
penso?!»
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Remus sospirò. «Sembrerebbe proprio così, sì...»
In pochi istanti, la moto del vicino arrivò sfrecciando per il
villaggio, ringhiando per tutto il percorso. Sirius la guardò,
sbalordito. Una volta che in lontananza non era altro che un
puntino cromato lucido, si appoggiò con la schiena sorridendo tra
sé. «Ah, mi era mancata.»
«Sarebbe una “lei”.» Mormorò Remus, incrociando le braccia.
«Potter!» Sirius ora si alzò per bussare alla porta della cabina del
telefono. «Esci subito qui!» Si voltò verso Remus. «Rallegrerai il tuo
cazzo di umore dopo aver fatto la tua telefonata?!»
«Sì.» Disse Remus petulante, guardandosi i piedi.
Ci vollero altri cinque minuti di “arrivederci” e “ci sentiamo
presto” prima che Remus avesse il suo turno.
Compose il numero con impazienza e si avvolse il cordoncino di
plastica intorno alle dita mentre lo ascoltava squillare.
«Sì?»
«È così che rispondi al telefono?!»
«Remus?»
«Ciao!»
«Caspita! Non ti aspettavo, ci eravamo messi d’accordo?»
«No.» Remus scosse la testa, sorridendo follemente. «Ho finito la
scuola. Ora posso chiamare quando voglio!»
«Fantastico!»
Sentì un fruscio all’altro capo del telefono e pensò che Grant si
stesse mettendo a proprio agio. Bene, Sirius e James potevano
anche aspettare a lungo.
«Allora quando vieni a trovarmi, eh?» Ora stava chiedendo Grant.
«Presto!» Disse Remus, automaticamente. Poteva materializzarsi a
Brighton in pochi secondi, ora il pensiero lo colpì. Ma sarebbe stato
difficile da spiegare. «La prossima settimana?»
Almeno tra le lune piene avrebbe raggiunto il punto giusto.
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«Sabato lavoro fino a tarda notte al pub.» Rispose Grant. «Devo
risparmiare per una vacanza... Ehm ... agosto?»
«Oh. Uhm. Beh, okay.» Disse Remus, un po’ scoraggiato.
«Mi dispiace, solo che stavo aspettando una vera vacanza estiva da
secoli, salire su un aereo e tutto il resto ...»
«No, no. Agosto va bene!»
«Bene. Allora dove vivi adesso?»
«Dal mio amico James. I suoi genitori sono davvero gentili.»
«Non ti sei trasferito con il ragazzo-amante, allora?»
«Anche lui è qui.» Remus spiegò, sapendo che suonava un po’
strano. «Tuttavia, presto inizieremo a cercare un posto dove vivere.
Londra, si spera.»
«È ricco, allora?» Grant sbuffò. «Avrei dovuto immaginarlo.
Sembra perfetto, vero?»
«Suppongo.»
«Lo è. Ha quella buona postura. Oi, lascia che ti parli di questo tizio
che ho visto l’altra sera...» Disse Grant, e iniziò una storia molto
lunga e quasi incredibile su un incontro che aveva avuto con un
pescatore («Un pescatore genuino, onesto come Gesù, cazzo.») che aveva
fatto qualcosa di molto strano nella vasca da bagno di Grant prima
di uscire frettolosamente nelle prime ore del mattino.
Alla fine, Remus era ingobbito nella cabina del telefono e stava
ansimando dalle risate, le lacrime gli rigavano le guance.
«Cosa c’era di così divertente?!» James e Sirius erano ansiosi di
sapere, quando finalmente era uscito.
«Non capireste.» Rispose Remus singhiozzando. «Umorismo
babbano.»
«Pensi che dovremmo vedere come sta Pete?» Chiese James mentre
tornavano a casa.
«Nah, sai com’è con i postumi della sbornia.» Rispose Sirius.

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«Va bene, ma dobbiamo assicurarci di non lasciarlo fuori.» Disse
James aprendo il cancello del giardino «Penso che sia
preoccupato...»
«Sì sì.» Sirius sbadigliò. «Oi, Quidditch?»
«Sì!» James sorrise. «Lasciami cambiare...»
«Prenderò un libro, allora.» Remus alzò gli occhi al cielo, anche se
non gli importava davvero. Avrebbero considerato il fine settimana
come una vacanza, aveva deciso. La vita reale sarebbe iniziata
lunedì.
I tre ragazzi salirono rumorosamente le scale, James sbattè la porta
della sua camera da letto mentre andava alla ricerca di uno dei suoi
tanti kit da Quidditch. Remus e Sirius furono un po’ più lenti.
«Brighton ad agosto?» Chiese Remus piano, ora erano soli.
Il viso di Sirius si illuminò e si tolse gli occhiali. «Allora vuoi che
venga anche io? Sì! Figo!»
«Ovviamente.» Remus annuì, raggiungendo la cima delle scale.
«Ciao, ragazzi.» Trillò la signora Potter, uscendo dalla stanza di
Remus.
Si dovette riprendere velocemente da questo: non era abituato agli
adulti che entravano nella sua camera da letto senza invito, anche
se non era proprio la sua stanza, solo una camera per gli ospiti.
«Salve, signora Potter.» Rispose educatamente, sperando di
mascherare il suo disagio.
Portava una pila del suo bucato, il che era orribilmente
imbarazzante: a St Edmund’s si lavava le cose da solo da quando
aveva dieci anni.
«Vedo che Sirius era così ubriaco che è finito nella tua camera,
Remus.» Rise la signora Potter, piegando i jeans di Sirius sul
braccio. «Onestamente caro, avresti dovuto cacciarlo fuori.»
«Oh!» Remus sentì le sue orecchie diventare rosso vivo mentre la
guardava a bocca aperta dal pianerottolo.
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«In realtà...» Sirius salì le scale dopo di lui. «Remus e io preferiamo
condividere. Se è... ehm. Beh, preferiremmo così. È okay?»
La signora Potter guardò prima Sirius e poi Remus, che stava
ancora arrossendo e riuscì a balbettare solamente «Sì!»
«Be’, se è quello che volete.» Annuì lentamente. «Suppongo che il
letto sia abbastanza grande per due. Qualunque cosa vi renda felici,
miei cari.» Accarezzò delicatamente Remus sulla spalla, e baciò la
guancia di Sirius mentre gli passava accanto mentre scendeva le
scale.
E questo era più o meno tutto.

Mercoledì 5 luglio 1978


Era stata loro concessa una vacanza più lunga del previsto, due
giorni in più, in effetti. Gli inviti arrivarono nella tarda serata di
martedì; una nota per ciascuno da parte di Silente, che richiedeva
la loro presenza in un luogo segreto noto solo al padre di James,
raggiungibile solo tramite passaporta. Le note svanirono non
appena furono lette, semplicemente dissolvendosi nelle loro mani.
Si aspettavano tutti qualcosa del genere, ma Remus fu sorpreso di
quanto fosse improvvisamente diventato nervoso. Non era l’unico.
Lui e Sirius si spogliarono per andare a letto in silenzio, e non
appena furono sotto le coperte Sirius si aggrappò a lui, il viso
sepolto sotto il braccio di Remus.
«Dimmi qualcosa.» Borbottò. «Qualsiasi cosa.»
«Ho davvero paura per domani.» Sussurrò Remus. «Sembra così
reale ora. Ma penso sia normale avere paura. Penso che chiunque
l’avrebbe.»
Sirius fece solo una specie di grugnito scontento.
Remus lo strinse e provò un approccio diverso. «Ma sai cosa mi
spaventa di più?»
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«Mh?»
«Il fatto che abbiamo intenzione di trasferirci insieme e nessuno di
noi riesce a cucinare.»
Sirius iniziò a ridere, e alla fine si addormentarono entrambi.
Quando si svegliarono erano ancora avvolti l’uno intorno all’altro,
il sudore si era accumulato dove la loro pelle nuda premeva
insieme, e Remus aveva grandi macchie rosse dappertutto che
rimasero fino a quando non si era fatto la doccia.
Dovettero camminare un po’ fino alla passaporta, che si era rivelata
una papera di gomma giallo brillante, lasciata sull’erba alta alla fine
di uno dei campi che circondano il villaggio. A Remus non
importava, gli piaceva sgranchirsi le gambe ora che non faceva più
così male.
«Non riesco a credere che siamo solo a poche miglia da Londra.»
Si meravigliò, guardando il cielo estivo senza nuvole e le verdi
colline ondulate.
«Giardino d’Inghilterra.» James sorrise.
Fleamont tese solennemente l’anatra perché tutti mettessero le
mani sopra.
«Avete tutti le vostre bacchette?» Chiese bruscamente, ciascuno di
loro annuì deglutendo a fatica.
Peter sudava e sembrava leggermente malato, Remus sperava di
non iniziare a vomitare fino all’arrivo a dovunque stavano
andando.
Toccarono tutti l’anatra e all’improvviso si trovarono a volteggiare
nello spazio e nel tempo a una velocità incredibile. Era peggio che
smaterializzarsi ma meglio della polvere volante, decise Remus.
Qualche istante dopo, tutti e cinque gli uomini atterrarono in un
soggiorno molto piccolo e pacchiano. Il tappeto era spesso, di un
rosa tenue, i divani di una brutta finta pelle color crema giallastra e

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la carta da parati aveva un orribile motivo floreale con striature
metalliche che catturavano la luce.
«Fleamont?» Un uomo alto, magro e dai capelli rossi entrò proprio
mentre si stavano rialzando.
Remus aveva mancato di poco l’atterraggio sul tavolino di vetro,
che era adornato con una ciotola di pot-pourri profumato di
sapone.
«Arthur!» Il padre di James rispose allegramente, allungando la
mano per stringere quella dell’uomo.
«Scusa, Monty.» Arthur alzò un dito. «Ma Moody non mi
perdonerebbe mai se non avessi seguito il protocollo. Ora, dimmi...
qual era la natura dell’ultimo gufo che ti ho mandato?»
«Era un biglietto di ringraziamento.» Rispose prontamente il signor
Potter. «Effie aveva mandato a Molly alcune delle vecchie cose di
James per Bill e Charlie.»
«Bene.» Arthur sorrise e alla fine ricambiò la stretta di mano del
signor Potter.
«Ragazzi, vi ricordate di Arthur Weasley?» Disse Fleamont,
spingendoli tutti avanti per farli stringere anche a loro la mano
dell’uomo. «Questo è il mio ragazzo James, Sirius Black, Peter
Minus e Remus Lupin.»
«Ciao, cos’è questo?» Arthur stava guardando la passaporta a forma
di papera, che Remus stava ancora stringendo.
«Ehm. Una papera di gomma.» Remus rispose, guardandolo.
«Vedo, vedo. E a cosa serve?» Arthur gli si avvicinò, fissando il
giocattolo di plastica gialla con sincera curiosità.
«Ehm... è solo una papera di gomma.» Remus scrollò le spalle. «La
vuole?» Lui gliela porse.
Arthur gli sorrise raggiante, prendendola. «Meglio non dirlo a
Molly! Pensa già che io sia pazzo.»

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Remus sorrise educatamente, pensando in privato che Molly avesse
ragione.
«Come sta Molly?» Fleamont chiese. «E i ragazzi? Gemelli, ho
sentito?»
«Sì, ormai hanno tre mesi.» Arthur annuì felice. «Mi chiedevo se
dovessimo fermarci a cinque, ma Molly è ansiosa di provare per
una ragazza; poverina è piuttosto in inferiorità numerica, per come
stanno le cose adesso.»
Mentre parlava, li condusse fuori dal soggiorno iperfemminile, in
un corridoio stretto e in una minuscola cucina, che aveva un
giardino d’inverno costruito sul retro. Frank e Alice erano in
cucina, in fila sul bancone di una fila di tazze.
«Ciao!» Alice sorrise. «Tè?»
Prese gli ordini di tutti, mentre Frank divideva le foglie di tè in varie
teiere, e fu detto a tutti di andare nella veranda per la riunione.
«Di chi è questa casa, papà?» James aveva chiesto.
«Meglio che non sappiamo troppo.» Rispose il signor Potter. «Dai,
ora, staranno tutti aspettando.»
Dopo l’oscurità della stretta cucina degli anni Trenta, il giardino
d’inverno era straordinariamente luminoso ed estremamente caldo.
Aveva un pavimento di piastrelle di terracotta pulito, coperto da
un tappeto di stracci fatti in casa. Le finestre circostanti erano di
vetro e mostravano un giardino perfettamente curato che aveva
una doppia altalena e uno scivolo; il tetto era di perspex trasparente
e macchiato di vecchie foglie morte rimaste dall’inverno. C’era un
forte odore di fertilizzante e geranio, piante in vaso erano
punteggiate dappertutto sugli scaffali e sui tavolini.
Remus all’inizio non si accorse di nessuna di queste cose perché la
stanza era piena di gente. Dovevano esserci venti o trenta streghe
e maghi, riuniti solennemente attorno a un grande tavolo di legno,
oppure in piedi, o stipati sui mobili da giardino di vimini
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nell’angolo. Hagrid sembrava più grande, Remus non aveva mai
visto Hagrid da nessuna parte tranne Hogwarts, che era così grande
da compensare le proporzioni gigantesche del guardacaccia. In
quella calda stanzetta solare sembrava a malapena reale. C’erano
altri volti riconoscibili; i gemelli Prewett, Malocchio Moody, il
professor Ferox, Ted Tonks, Emmeline Vance e Dorcas
Meadowes. Niente Silente, ma per la gioia di Remus, Lily, Mary e
Marlene erano rannicchiate lì in un angolo, avevano un’aria
terribilmente giovane e timida in una tale folla. Accolsero i ragazzi
con un entusiasta tipo di sollievo.
Mary si aggrappò molto strettamente al collo di Remus.
«Sei qui!» Disse Remus sorpreso.
«Non sono mai stata così intelligente.» Sorrise mestamente lei.
«Remus!» Marlene lo raggiunse. «Questo è Danny!»
Un uomo alto stava proprio dietro di lei. Aveva il sorriso di
Marlene, le sue guance rossicce e i capelli color paglia.
«Oh, ciao.» Annuì Remus, improvvisamente timido.
Sirius fece un passo di lato più vicino, in modo che fossero spalla
a spalla,
«Ciao!» Danny disse sorridendo. Aveva una cicatrice fresca che gli
usciva da sotto il bavero della veste, ma niente sul viso; non ancora.
Tese una mano a Remus per stringere la sua. «Non vedevo l’ora di
incontrarti, ti devo un tale fav-»
«Danny McKinnon!» James scoppiò all’improvviso. Dopo aver
finalmente salutato Lily a sufficienza, aveva appena intravisto
questo imbarazzante incontro. Fece un passo avanti. «Posso solo
dire che sei assolutamente e senza dubbio il miglior Battitore che i
Cannon abbiano mai avuto?!»
Danny rise amabilmente. «Grazie. Ho sentito che sei
maledettamente bravo come Cacciatore, sei James Potter giusto?»
«Sì, e mi piacereb-»
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«Odio interrompere il club sociale, signori.» Abbaiò Moody. «Ma
abbiamo degli affari a cui dedicarci.»
Questo zittì tutti e tutti si riunirono intorno al tavolo con aria molto
seria. Cominciarono con alcune presentazioni, anche se in un
modo o nell’altro la maggior parte delle persone si conosceva.
Quando il nome di Sirius fu pronunciato ci fu un mormorio
sommesso, ma lui si limitò a fissarli tutti con aria di sfida. Remus
era orgoglioso di lui: lascia che tutti vedano che non potresti mai
giudicare un libro dalla copertina o un uomo dal suo nome.
Dopodiché, qualcuno disse i verbali dell’ultimo incontro, Remus
non ne aveva capito neanche uno. Sembravano tutti parlare in una
sorta di codice strano, adulto, e nessuno si fermava a spiegare le
cose come facevano a scuola. Erano stati menzionati molti nomi;
persone in diversi angoli del paese che erano dalla loro parte o che
erano passate dall’altra parte. Varie politiche promosse attraverso
il Wizengamot, modi per influenzare i voti; come convincere le
persone ad avvicinarsi al modo di pensare dell’Ordine. Remus osò
lanciare un’occhiata a Sirius, James e Peter, e fu sollevato nel vedere
che erano perplessi quanto lui. Poi l’elenco dei dispersi venne letto
e tutti lo avevano ascoltato bene. Alice propose un minuto di
silenzio, che tutti accettarono e fecero.
C’erano altri aggiornamenti: tutti volevano sapere cosa stava
combinando Silente, quali progressi aveva fatto. Progressi con
cosa, esattamente, Remus non aveva idea. Furono anche distribuiti
gli incarichi: Frank e Alice dovevano essere ad Anglesey ogni sera
della prossima settimana alle 18:00 esatte. Un uomo di nome
Shacklebolt doveva incontrare il “nostro comune amico” “lui
sapeva dove” venerdì. I gemelli Prewett erano in procinto di
sorvegliare questo o quello. Tutti annuirono mentre Moody li
consegnava gli incarinchi.
Alla fine, Moody mise fine alla discussione.
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«Quelli che devono andare, vadano.» Aveva detto burbero.
«Manderò la parola tramite i canali abituali per il nostro prossimo
incontro. Se qualcuno ha bisogno di parlarmi adesso, dovrà
aspettare un po’.» Si alzò in piedi, le mani sul tavolo.
All’improvviso, il piccolo giardino d’inverno non fu più silenzioso
e solenne, poiché tutti iniziarono a chiacchierare con la persona
accanto a loro, concordando furtivamente le cose, o mettendosi
semplicemente in pari.
Remus sbatté le palpebre. Era così?! Si accigliò e cercò il signor
Potter, che si stava facendo strada per la stanza verso di loro.
«Venite con me e Hagrid.» Disse al loro gruppo. «Anche voi,
signore, vi metteremo tutti al passo, eh?»
Remus si rilassò, finalmente. Grazie a Dio. Era profondamente
spiacevole, sentirsi così fuori dal giro. Si sentiva incredibilmente
giovane e ingenuo.
«Non tu, ragazzo.» Alastor Moody aveva raggiunto anche loro, e
aveva battuto una mano callosa e screpolata sulla spalla di Remus.
«Ferox e io abbiamo bisogno parlarti. E tu, McKinnon. Daniel.»
Aggiunse, per rispondere all’espressione sorpresa di Marlene.
Gli occhi di Remus si spalancarono e pregò silenziosamente Sirius
di chiedere aiuto, solo che Ferox si unì a tutti loro, ridendo. «Non
essere nervoso, Lupin. Ti prometto che non ti tortureremo.»
Remus rise debolmente, accettando il suo destino. Lui e Danny
seguirono Moody e Ferox fuori dal giardino d’inverno per rientrare
in casa; attraverso la cucina angusta e lungo il corridoio, su per la
scala ricoperta di moquette marrone, che scricchiolava
pesantemente sotto i piedi.
Entrarono in un piccolo ripostiglio, evidentemente la cameretta di
un bambino. C’era un piccolo letto in un angolo con un motivo a
stelle e astronavi sul piumone. I mobili erano piccoli e dipinti di
azzurro pallido, e c’erano bagliori nelle stelle scure sul soffitto.
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«Sedetevi, ragazzi.» Ferox accennò al lettino. Danny e Remus
obbedirono.
Moody si alzò. Torreggiando su entrambi, il suo bulbo oculare blu
elettrico ronzava nella sua presa. «Nessun premio per aver
indovinato di cosa vogliamo parlare.» Egli disse.
Remus non disse nulla, perché non pensava che fosse necessaria
una risposta, ma Danny lo fece.
«I lupi mannari.»
«Giusto.» Disse Ferox, seduto su una piccola sedia da scrivania,
piegandosi in avanti sulle ginocchia.
Era bello come non lo era mai stato, secondo l’opinione di Remus.
Ancora un ampio e amabile “uomo d’azione”. La sua chioma
bionda dorata era lucente come quando Remus aveva quattordici
anni, solo forse con alcune striature grigie ora. Un vecchio
confortevole calore ribollì alla bocca dello stomaco di Remus; una
cotta che non aveva mai nemmeno riconosciuto all’epoca, che
sembrava così innocente ora. Sorrise, finalmente, sentendosi un
po’ più a suo agio.
«Non sono sicuro di come posso aiutare.» Stava dicendo Danny.
«Non ne avevo mai incontrato uno fino a quella notte.» Rabbrividì
leggermente.
«Ma Lupin qui l’ha fatto.» Disse Moody, fissando entrambi gli
occhi su Remus.
«Veramente?» Gli occhi di Danny si spostarono su Remus,
guardandolo tutto con sorpresa.
Remus sapeva quello che vedeva Danny, ovviamente, era quello
che vedevano tutti: un diciottenne magro e goffo con un collo
troppo lungo, riccioli biondi e arruffati, ginocchia nodose e tante
cicatrici. Deglutì, sentendosi come uno stupido ragazzino in una
stanza piena di uomini.

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«Sì, veramente.» Disse guardandosi le mani. «Due membri del
branco di Greyback; Livia e Castor.»
«Greyback?!» Danny disse in soggezione. «Accidenti.»
«Remus non è nuovo a questo tipo di operazione.» Disse Ferox.
Sembrava orgoglioso ma Remus lo guardò implorandolo, perché
sì, lo era, era assolutamente nuovo a tutto questo spionaggio,
incontri segreti e guerre. Non gli piaceva questa sensazione. Tutti
si aspettavano molto.
«Ho parlato con loro poco tempo fa.» Egli disse. «Non mi fanno
male perché Greyback ha detto loro di non farlo, credo. Fanno
tutto quello che dice, sono leali.»
«Come un esercito.» Disse Ferox annuendo, come se avesse capito.
Remus gli diede una lunga occhiata. «No.» Disse. «Come una
famiglia.»
«Sono una setta pericolosa.» Disse Moody, bruscamente. «Non mi
interessa come lo chiamiamo. Dobbiamo tenerli d’occhio.
Dobbiamo avere una panoramica.»
«Allora cosa vuoi che facciamo?» Chiese Remus, raddrizzando la
schiena.
Si sentiva di più sé stesso. Ferox lo stava ancora guardando, ma ora
con vero rispetto.
«Sì, cosa possiamo fare?» Chiese Danny.
La faccia smunta e bucherellata di Moody si curvò in un ghigno
malvagio. «Mai sentito parlare di Notturn Alley?»

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Infiltrati
Whatever happened to
All of the heroes?
All the Shakespeare-os?
They watched their Rome burn.
Whatever happened to the heroes?
Whatever happened to the heroes?
No more heroes any more
No more heroes any more

Lunedì 17 luglio 1978


Remus si recò a Diagon Alley da solo per la prima volta tramite un
trasporto babbano. Beh, in realtà si era materializzato dappertutto,
ma aveva preso la metro per due fermate solo per farlo sembrare
convincente. Moody gli aveva proibito di usare la connessione del
camino dei Potter nel caso fosse seguito, Remus acconsentì.
Entrò nel vicolo attraverso il muro di mattoni vicino del Paiolo
Magico e si diresse dritto verso il pub. Danny era dentro ad
aspettarlo, mentre prendeva un bicchiere di Whisky Incendiario.
Sorrise imbarazzato a Remus, «Serve un po’ di coraggio olandese.»
«Conosco la sensazione.» Remus annuì cupo ed ordinò lo stesso al
locandiere gobbo.
Si allontanarono dal bancone e trovarono un angolo tranquillo.
Remus aveva lanciato il muffliato per buona misura. Si scambiarono
dei convenevoli, brevemente: Marlene aveva iniziato ad allenarsi al
San Mungo e si stava divertendo, Danny non stava facendo niente.
«Ho dei risparmi ovviamente, non sono esattamente a pezzi.»
Sospirò. «I Cannon mi hanno pagato abbastanza bene, potrei

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ritirarmi se volessi. Solo che non mi aspettavo che sarebbe
accaduto così presto.»
Remus non sapeva cosa dire, perché l’idea di avere un lavoro
sembrava ancora troppo distante per lui. Anche l’uomo più
anziano continuava a lanciare occhiate alle cicatrici di Remus.
«Scusa.» Disse, quando fu sorpreso a fissarlo. «Solo che io... Sai,
non ho mai visto...»
«Lo so.» Remus rispose, cercando di rilassarsi un po’. Ingoiò
l’ultimo sorso di whisky e tirò fuori il portasigarette. «Va bene.
Hai...?»
«Solo una o due.» Rispose Danny. «Suppongo che aumenteranno.
Oh, anche il morso ovviamente.» I suoi occhi guizzarono mentre
diceva questo, nel caso qualcuno stesse ascoltando.
«Ovviamente.» Remus annuì, accendendosi la sigaretta e
inspirando disperatamente. «Sai chi è stato?»
«Che importa?»
«Potrebbe importare.» Remus alzò le spalle. «Penso che sia
importante per loro, comunque. Penso che colui che ti trasforma...
abbia una connessione con te, dopo. Potresti riconoscere il suo
profumo e lui potrebbe riconoscere il tuo.»
Danny arricciò il naso disgustato. «Come hai imparato tutte queste
cose?»
«In parte è solo esperienza. Alcune cose dai libri. Hai letto qualcosa
a riguardo?»
«No.» Danny distolse lo sguardo. «Non sono mai stato un gran
lettore. Al San Mungo hanno detto di non preoccuparmi. Non
come se ci fosse una cura.»
«No.» Remus si accigliò, in qualche modo infastidito da questo
ragionamento. «No, non c’è una cura ma... beh, ci sono ancora cose
da imparare. Non è solo una malattia sai, è quello che siamo.»

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«Non è quello che sono.» Danny disse ferocemente, il pugno
chiuso sul tavolo.
Anche Remus distolse lo sguardo imbarazzato, Danny non era
pronto per questo, si rese conto. Stava ancora negando.
Danny alzò un braccio, facendo cenno a Tom al bar per un altro
drink. Remus si chiese quanti ne avesse già presi. Sembrava
scortese chiedere; Danny era più vecchio di lui ed era nell’Ordine
più a lungo.
«Così qual è il piano?» Danny disse. «Entrare e fare domande?»
«Non credo proprio...» Disse Remus attento. Dio, Danny
sicuramente non era pronto. «Penso che dovremmo essere più...
uhm... sottili.»
«Vogliamo che sappiano chi siamo.»
«Sapranno chi siamo nel momento in cui entreremo. Il profumo.»
«Uff.» Danny arricciò di nuovo il naso e bevve il bicchiere
successivo.
«Guarda, perché non rimani qui?» Remus provò. «Onestamente,
ho già fatto questo genere di cose prima, starò bene. Posso inviarti
un segnale, se mi metto nei guai.»
Danny scosse la testa. «Ho promesso a Ferox e Moody che l’avrei
fatto.»
«Non lo sapranno. Non glielo dirò.» Remus insistette. «Davvero,
va bene se non ti senti a tuo agio. Non dovrebbero farti-»
«Ho detto che posso farlo!» Danny sbatté il pugno sul ripiano del
tavolo.
Remus aveva uno strano desiderio di iniziare a ringhiare. Sarebbe
stato molto più facile risolvere il problema come i lupi; poteva
semplicemente affermarsi come leader e Danny avrebbe dovuto
sottomettersi. Si accontentò di incontrare lo sguardo di Danny e di
tenerlo, severamente. Questo aveva avuto l’effetto desiderato.

23
«Scusa.» Disse il giocatore di Quidditch sospirando, le spalle tese
ora si abbassavano stancamente. «Sono solo stanco, con la luna in
arrivo giovedì.»
«Capisco.» Disse Remus, in modo uniforme. «Ma devi tenerlo
nascosto, okay?»
«Sì. Okay.» Danny annuì. Fece una pausa, dando a Remus uno
sguardo di apprezzamento. «Marls aveva detto che eri il ragazzo
più intelligente dell’anno.»
Remus sentì le sue orecchie diventare rosse. «Difficile da dire.»
«Si fida di te, comunque. Penso di stare meglio anch’io.» Danny si
era sottomesso.
Remus raddrizzò la schiena, una vampata di orgoglio animale lo
attraversò. «Grazie.» Annuì. «Okay, quindi ci riconosceranno
appena entreremo. Il profumo è importante. So che non ti piace
ma è una delle abilità più utili che hai ora, quindi non ignorarlo va
bene?»
«È fonte di confusione, però.» Danny disse, sembrando frustrato.
«La metà delle volte non so cosa sia quello che posso... annusare.»
«Che dire di me?» Remus chiese. «Mi potresti identificare?»
Danny lo guardò in silenzio, concentrato. Le sue narici si
contrassero leggermente. Annuì.
«Bene!» Remus disse un po’ eccitato ora, non aveva mai avuto
nessun altro con cui parlare di questo prima. «È come... Come
qualcosa di familiare, non è vero? Qualcosa che conosci molto
bene. Migliorerai e distinguerai i diversi profumi, a patto che tu
smetta di cercare di ignorarlo. Trovo che se mi rilasso è molto più
facile, non devo fare quasi nessun impegno davvero, dopo un po’
mi viene naturale.» Poi si ricordò di qualcos’altro che Danny
avrebbe dovuto sapere, sebbene non fosse sicuro di come
esprimerlo. «Uhm... Potresti notare che uhm... Che le femmine
hanno un odore diverso. Ehm. Più attraente.»
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«Giusto.» Danny annuì di nuovo, impallidendo un po’.
Remus abbassò lo sguardo, si schiarì la gola e riprese. «E quelli che
ho incontrato? Quelli nel branco di Greyback? Sono forti. Hanno
una magia davvero potente, non hanno nemmeno bisogno delle
bacchette. Quindi è meglio non fare nessuna mossa azzardata,
perché non sarà come un duello: è difficile prevedere le loro
mosse.»
«Merlino.» Danny respirò.
«Non preoccuparti.» Remus disse vivacemente. «Non cercheranno
di combatterci. Non credo che lo faranno. Non avrebbe senso;
vogliono reclutarci.»
Danny sbuffò in modo derisorio. «Che grande opportunità.»
«Cerca di essere comprensivo, però.» Remus disse. «Ascoltali.
Vogliamo che pensino che siamo interessati, giusto?»
«Giusto. Ovviamente. Tranne che non lo siamo.» Danny lo stava
guardando di nuovo in modo strano.
«Ovviamente no.» Remus scattò. «Ma siamo lì per fare amicizia.
Siamo lì per parlare, il che significa che prima dobbiamo ascoltare.»
«Non è questa l’impressione che ho avuto da Moody.» Danny disse.
«Questa è una ricognizione, non una missione di pace.»
«Be’, Moody non ne sa niente.» Remus disse. «Danny, ascoltami.
Smettila di pensare che siano tuoi nemici, perché non lo sono.
Quello che ti ha morso aveva torto, okay? Dovrebbe essere
arrestato e dovrebbe essere punito. Ma qualcuno lo ha morso a sua
volta e, a causa di ciò, tutta la sua vita è cambiata e nessuno lo
guardava più come se fosse la stessa persona. Lo capisci, vero?»
Danny stava fissando il fondo del suo bicchiere vuoto. Non
rispose, ma Remus sapeva che stava prestando attenzione.
«Sono come noi.» Disse Remus fermamente. «Tranne che non
sono stati così fortunati. Io e te abbiamo persone che si prendono
cura di noi, che vogliono tenerci al sicuro e che sanno che siamo
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più che solo... solo mostri. Quelli che stiamo per incontrare, forse
non l’hanno mai avuto. Forse Greyback è stata la prima persona a
cui importava.»
«Persona...» Danny sputò. «Come puoi parlare in quel modo. Come
può fregarti quello che succede a loro? Come puoi essere così
calmo?!»
«Sono stato arrabbiato abbastanza a lungo.» Remus rispose
freddamente. «Ora sono pronto a fare qualcosa al riguardo.»
Ordinarono ancora un drink e poi se ne andarono.
Danny aveva detto che non era mai stato a Notturn Alley prima e
Remus la conosceva solo di vista e di profumo.
L’odore della magia oscura era ancora lì: fumo acre, latte acido. Era
una strada buia e acciottolata con vicoli tortuosi che si snodavano
in direzioni diverse. Le vetrine dei negozi erano sporche e
mostravano diabolici assortimenti di manufatti oscuri e pericolosi.
Il pub era stato facile da trovare. La Testa della Manticora aveva
un orribile cartello oscillante appeso a una staffa all’esterno che
recava l’immagine della testa mozzata insanguinata di una
manticora su un piatto. La creatura aveva la testa di un uomo, ma
una folta criniera di leone. I suoi occhi si alzarono e la sua bocca si
spalancò in un silenzioso gemito di sofferenza.
Remus rabbrividì. Sembrava Ferox.
Entrò per primo, Danny era più felice di seguire che di guidare.
Aprì la porta e nel momento in cui varcò la soglia ne percepì
l’odore. Lo colpì come un muro, incendiandolo, facendo rizzare
ogni capello in modo delizioso. Cerano cinque lupi mannari, li
percepiva tutti ancor prima di posare gli occhi su di loro: tre erano
radunati attorno a un tavolo nell’angolo più lontano, mentre due
erano al bancone. C’erano anche altre creature lì, creature di cui
Remus aveva solo sentito parlare ma non aveva mai visto: un
vampiro, due banshee e un’intera banda di goblin.
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Danny era teso dietro di lui, Remus avrebbe voluto che si calmasse;
in quel modo dava nell’occhio e adesso non potevano fare altro
che entrare. Remus sentì la porta sbattere dietro di loro.
Dentro era abbastanza buio, le finestre erano coperte da logore
tende di velluto. I pannelli delle pareti di mogano e i controsoffitti
erano sporchi, coperti da una strana polvere appiccicosa che
luccicava in punti come luccichio. Dietro il bancone c’erano
enormi specchi ricoperti di scaffali e scaffali di bottiglie, ciascuno
di dimensioni, forma e colore diversi, che risplendevano alla luce
del fuoco come un muro di gioielli. Il fuoco scoppiettava, ma era
stranamente freddo.
Remus si avvicinò al bancone, nel modo più casuale che poteva.
La figura in piedi dietro ad esso era pesantemente vestita, il
cappuccio abbassato, così che Remus non poteva vederne il viso.
«Due Whisky Incendiario, per favore.» Disse rimpiangendo
immediatamente la gentilezza; aveva passato troppo tempo dai
maledetti Potter.
Il barista si voltò e prese una bottiglia, Danny lo raggiunse
rimanendogli vicino e guardandosi attorno furtivamente.
I due lupi mannari al bar li stavano guardando entrambi. C’era da
aspettarselo ovviamente; era quello che volevano. Tutto faceva
parte del piano di Moody; Remus e Danny erano inestimabili per
l’Ordine, così aveva detto. Un ragazzo che era stato trasformato
dallo stesso Greyback, e a cui Greyback era interessato, e un uomo
che era stato trasformato di recente, gli altri lo avrebbero visto
come vulnerabile.
Remus annuì loro con attenzione mentre Danny non muoveva un
muscolo, andava bene anche così era chiaro che Remus era il
leader. Gli altri due annuirono in risposta. Remus percepì la
curiosità, ma non il pericolo. Si raddrizzò, più sicuro di sé.

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Erano entrambi maschi, più o meno della stessa altezza e solo poco
più bassi di Remus. Uno era tozzo con i capelli biondo sporco, una
mascella squadrata e piuttosto bello in qualsiasi altra circostanza.
L’altro era uno di Greyback: i suoi capelli erano rasati vicino al
cranio, aveva una spessa cicatrice su una guancia e, naturalmente, i
tatuaggi che gli coprivano le braccia e la gola, le fasi lunari a spirale.
Guardando oltre le spalle di questi due uomini, Remus cercò di
vedere i tre nell’angolo. Due di loro erano femmine, l’altro era un
maschio, tutti di Greyback. Niente Livia o Castor, il che era un
sollievo.
I whisky arrivarono e Remus lo bevve mantenendo il contatto
visivo con i due lupi mannari al bar, o almeno quello che
apparteneva a Greyback. Danny seguì l’esempio.
L’uomo di Greyback inclinò leggermente la testa riflettendo, e poi
tese una mano. Aveva unghie lunghe e spesse, nere per la sporcizia.
Remus la scosse.
«Benvenuti, fratelli.» Disse l’uomo, stringendo anche la mano di
Danny. Danny era visibilmente inorridito da questo, ma Remus
pensava che probabilmente fosse solo nervoso. «Sono Gaius.
Venite a sedervi con noi.»
Remus lanciò un’occhiata a Danny che annuì, ed entrambi
seguirono Gaius al tavolo nell’angolo. I sedili sembravano antichi
banchi di chiesa ed erano altrettanto scomodi. Remus cercò di
manovrare sottilmente sé stesso accanto a Danny, ma Gaius
scivolò tra loro, dividendoli. Non c’era niente da fare, Remus
sperava solo che Danny sapesse quando smaterializzarsi.
Il profumo di tutti loro riuniti era travolgente ed eccitante. Remus
si sentiva vigile e pieno di energia, ma anche molto sicuro e quasi
a suo agio. Non c’era da meravigliarsi che i lupi mannari fossero
così facili da reclutare, pensò. La gente passava tutta la vita alla
ricerca di un sentimento come quello; era una sensazione che
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conosceva bene. L’aveva provata da quando i Malandrini erano
diventati animagi. Branco. Famiglia. Casa.
«Fratello, sorelle.» Stava dicendo Gaius. «Questo è Jeremy.» Indicò
l’uomo biondo e bello con cui aveva parlato al bar. «E questi due
sono...»
«Daniel.» Disse Danny, rigido. Bevve dal suo bicchiere, gli occhi
che saettavano intorno. Continuava a guardare le donne, e Remus
sapeva perché.
Gaius annuì amabilmente, poi guardò Remus in attesa.
«Remus Lupin.» Rispose con fermezza.
L’atmosfera cambiò; le due donne si avvicinarono, gli occhi
luccicanti, i denti scoperti in quello che poteva sembrare un sorriso.
«Remus Lupin.» Gaius disse. «Il cucciolo che ha attaccato nostro
fratello Castor e nostra sorella Livia.»
«Mi sono difeso.» Disse Remus, alzando il mento. Ogni segno di
debolezza sarebbe stato sfruttato.
«Avevamo l’impressione che Remus Lupin avesse fatto la sua
scelta.» Disse una delle donne, la sua voce bassa e roca.
«Volevo completare i miei studi. Ho finito la scuola, adesso.» Disse
Remus ragionevolmente. «Sto esplorando le mie opzioni.»
Le due donne continuarono a fissarlo, chiaramente non credendo
alla parola che aveva detto ma Gaius alzò la mano.
«Nostro padre è clemente e generoso.» Disse sorridendo. «Accoglie
tutti i suoi figli.»
«Fratello.» Disse una delle donne. «Non ci si deve fidare di lui! È il
cagnolino di Silente!»
«È stato elevato da Greyback personalmente.» Gaius scattò
bruscamente, girando la testa e contraendo la mano sinistra,
girando il polso.
La donna che aveva parlato si irrigidì all’improvviso, gli occhi
spalancati come se fosse presa da un dolore enorme.
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«Quindi tieni a freno. La tua. Lingua.» Continuò Gaius, girando di
nuovo il polso.
La donna si rilassò, respirando affannosamente. Tutti potevano
sentire il suo cuore battere forte. Remus si sentì male.
Gaius sorrise intorno al tavolo. «Fratelli.» Disse alle tre nuove
reclute. «Nostro padre, Fenrir Greyback, vi dà il benvenuto nel suo
branco. Siamo stati esclusi. Ci è stato negato rifugio, amicizia,
protezione. Nostro padre restituisce queste cose e molto altro.»
«Come?» Chiese Remus, sperando che la sua voce suonasse
piacevole e curiosa.
Gaius gli diede un’occhiata e Remus la restituì.
Era strano. Sapeva che la cosa da fare, la cosa corretta da fare per
la missione, per la sua sicurezza e per gli altri lupi mannari, era
abbassare la testa e apparire sottomesso. Doveva convincerli a
fidarsi di lui, ma non poteva farlo. Forse erano i nervi o la forza del
loro profumo e il loro potere così vicini a lui, o forse era solo quella
bellicosità del vecchio Lyall Lupin, ma Remus si ritrovò a fare
esattamente l’opposto. Teneva la testa alta più che mai,
approfittando di quanto fosse più alto degli altri, anche da seduto.
Stabilì un chiaro contatto visivo.
«Volevo solo sapere come Greyback intende fornirci rifugio,
amicizia e protezione.»
«Vedrai, a tempo debito.»
«Giusto, beh. Non è molto convincente.» Remus scrollò le spalle.
«Mi sembrano tante promesse, ma non un gran piano. Cosa ne
pensate voi due?» Guardò Danny e Jeremy, l’uomo biondo.
Danny si limitò a fissare Remus, con aria sgomento.
Jeremy, ignaro di quello che stava succedendo, alzò le spalle. «Non
mi interessa come lo fa, basta che lo fa veramente. Non ho nessun
altro posto dove andare, i miei genitori mi hanno cacciato.»

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«E se tu avessi un posto dove andare, però?» Remus disse,
velocemente. «E se ci fosse un posto sicuro e non dovessi prendere
nessuna parte nella guerr-?»
«Remus Lupin, sei confuso.» Disse Gaius, alzando la voce. «Non
esiste un posto simile per noi. Gli umani lo hanno reso
perfettamente chiaro.»
«Gli... Gli umani.» Disse Remus attentamente, pensando
velocemente. «Hanno torto, sono d’accordo con te. Il Ministero
della Magia ha bisogno di essere riformato. Il cambiamento però
può avvenire se solo-»
«Non sono interessati. Si preoccupano solo di uccidere i nostri
fratelli e sorelle. Di rinchiuderci, sopprimendo il lupo.»
«E cosa farà esattamente Greyback al riguardo?» Remus insistette.
Sapeva perché il polso di Danny stava accelerando e perché
continuava ad alzare disperatamente le sopracciglia verso Remus
oltre la spalla di Gaius, ma Remus non poteva pensarci ora.
Sembrava una follia, spingere Gaius in quel modo quando stava
chiaramente emettendo segnali di pericolo, ma era quasi come se
Remus non potesse fermarsi.
«Quando incontrerai mio padre.» Gaius ringhiò. «Capirai.»
«Mi piacerebbe conoscerlo.» Disse Remus acutamente.
Le labbra di Gaius si arricciarono. «Ci sarà tempo anche per quello.
Quando avrai dato prova di te stesso.» Guardò gli altri. «Quando
tutti voi avrete dato prova di voi stessi. Allora guadagnerete il
diritto di chiamarlo padre.»
«E come lo dovremmo fare?» Chiese Remus sporgendosi in avanti,
desideroso di mantenere l’attenzione di Gaius su di lui. Sapeva che
Danny non si sarebbe mai unito ai lupi mannari, ma questo
ragazzo, Jeremy, era in serio pericolo.
L’intera postura di Gaius era cambiata; sembrava più grosso, le sue
spalle più larghe. Guardò Remus accigliato. «Si devono passare tre
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lune piene assieme al branco.» Disse con gli occhi accesi di
intensità.
«Fantastico.» Remus annuì. «Sì, okay. Mi piacerebbe conoscerlo,
possiamo farlo? Puoi dirmi dove-»
Il dolore lo attraversò straziante e bruciante: le sue ossa si stavano
sciogliendo, la sua pelle ribolliva; avrebbe voluto gridare, ma la sua
mascella si bloccò. Gli occhi di Gaius si fissarono in quelli di
Remus, e improvvisamente Remus poté sentirlo; sentire la voce di
Gaius nella sua testa.
Remus Lupin sei uno stupido. Fece le fusa. Mio padre
desidera che tu viva, ma solo tu. Sarai obbediente o ucciderò
tutti in questa stanza. Ucciderò...
Remus sentì una strana sensazione vagliante nella sua mente, e
sapeva cosa stava facendo Gaius. Cercò di resistere, ma il dolore
era una tale distrazione che non trovava la forza. Gaius si posò su
qualcosa che aveva trovato, i suoi occhi si accesero
maliziosamente.
Ucciderò... James Potter e Lily Evans... Peter, Marlene e
Mary. Ucciderò Sirius Black...
Un’ondata di furia si levò in Remus e fu sufficiente, bastò per
staccarsi dalla feroce presa di Gaius sulla sua mente e sul suo corpo.
Ruggì, sferzando braccia e gambe, perché i suoi pensieri erano
troppo confusi per fare qualsiasi altra cosa. Scuotendo la testa,
come per sbarazzarsi della voce malvagia di Gaius, si lanciò contro
l’altro lupo mannaro costringendolo contro il banco. Remus era
mezzo sopra di lui, avvolgeva le mani intorno alla gola e gli
stringeva il collo.
Gli altri tre lupi mannari, i lupi mannari di Greyback, cercarono
tutti di muoversi ma Remus era così pieno di rabbia ed emozione
violenta che aveva a malapena bisogno di pensare, tutti furono
bloccati sul posto.
32
«È questo che intendi con “dimostrare me stesso”, Gaius?» Sibilò
stringendo più forte, il viso dell’altro diventò rosso, le vene gonfie
nelle tempie. «Mi sono guadagnato il tuo fottuto rispetto adesso?!»
Gaius artigliò Remus disperatamente, ma solo quando il battito
stava iniziando a rallentare e svanire Remus lo lasciò andare.
«Danny! Dobbiamo andare.» Disse Remus facendo un passo
indietro.
Dovevano andarsene; non potevano essere cacciati, sarebbe
sembrato che stessero scappando.
Oh cazzo. Pensava. Oh cazzo, perché l’ho fatto?!
Cosa avrebbe detto a Ferox? Moody lo avrebbe ucciso! L’ultima
cosa che Remus vide prima che lui e Danny si smaterializzarono
era stata la faccia inorridita di Jeremy.

«Merlino!» Gridò Danny, non appena furono lontani da lì. «Ma che
cazzo?!»
Erano in un campo, miglia e miglia fuori Londra. Dovevano andare
a piedi da lì a una pensilina dell’autobus, dove Moody avrebbe
aspettato un rapporto.
«Mi dispiace.» Ansimò Remus scuotendo la testa. «Io ho... Ho
perso il controllo.»
«Direi proprio di sì!» Danny sbraitò. «Non ti avrei permesso di bere
tutto quel Whisky Incendiario se avessi saputo che avresti rigirato
la tua merda e provato ad affrontare l’intero esercito di Greyback
da solo!»
«Quello non era tutto il suo esercito.» Remus rispose aspro,
asciugando il sudore dalla fronte. Stava ancora ronzando per
l’agonia che Gaius gli aveva fatto passare.
«E quella non era la dannata missione, vero?!» Danny ribatté.
«Dobbiamo essere sottili, avevi detto! Ascoltali e basta, avevi
detto!»
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«Ho capito che non avrebbe funzionato.» Cercò di spiegare Remus.
«Sono un branco; devi dominare il leader, devi mostrare lor-»
«Parli come loro!» Disse Danny all’improvviso.
«Che cosa?»
«Tu! Tutte le tue “abilità speciali” da schifo. Vuoi essere così, vero?
Non meglio di un animale da branco? Una fottuta bestia?!»
Remus lo fissò. Non sapeva cosa dire, era troppo stordito, i suoi
pensieri erano un disastro. «Guarda.» Disse tremando. «Troviamo
Moody.»
«Giusto.» Danny disse ancora rosso in volto. «Prima lo troviamo,
prima potrò allontanarmi da te.»
Remus non rispose ed iniziò solo a camminare.
La testa gli faceva così male, un’emicrania cresceva dietro i suoi
occhi e il luminoso sole estivo era come un pugnale dopo l’oscurità
che c’era alla Testa della Manticora. La sua mente correva per un
miglio al minuto. Come avrebbe fatto a spiegare tutto questo?
Come avrebbero potuto ascoltarlo e fidarsi ancora di lui? Ciò che
lo preoccupava di più era che il suo primo istinto fosse quello di
mentire.
Danny camminava più veloce di lui, ma effettivamente non gli
avevano appena distrutto la mente con il... Oh cazzo. Danny aveva
ragione? Remus era proprio come loro, nel profondo?
Raggiunsero la pensilina dell’autobus, abbandonata da tempo,
coperta di polline giallo e spruzzata dai graffiti. Moody aspettava,
puntuale come sempre. Li guardò entrambi, gli occhi azzurri che
ronzavano selvaggiamente tra di loro.
«Cosa è andato storto?» Chiese, subito.
Remus guardò Danny e Danny guardò Remus, poi i suoi piedi.
Remus deglutì e si morse il labbro.
«Ho fatto un errore.» Disse lui. «Ho lasciato che il mio carattere
avesse la meglio su di me.»
34
Moody lo guardò a lungo. Era completamente imperscrutabile, e
sebbene Remus sapesse che Moody non gli stava davvero leggendo
nella mente, sapeva cosa si provava ora, si sentiva come se lo stesse
facendo lentamente a pezzi lo stesso.
«Dimmi tutto, ragazzo.» Disse infine Moody.
Remus aveva fatto del suo meglio. Non menzionò il whisky e non
menzionò la perdita di controllo che aveva provato, anche prima
che Gaius lo ferisse. Sicuramente non aveva ripetuto nulla di quello
che Gaius gli aveva sussurrato nel cervello. Raccontò solo la storia
che Danny avrebbe potuto raccontare e funzionò.
«Sembra che tu abbia agito per legittima difesa.» Moody disse,
come se questo genere di cose accadesse tutto il tempo.
«Sono andato troppo oltre.» Disse Remus. Era facile essere
sottomessi adesso, essere educati e deferenti verso qualcun altro.
«Ho agito... Mi sono comportato male. Ho messo Danny in
pericolo.»
«Non essere così duro con te stesso, Lupin.» Disse Moody,
suonando quasi gentile. «Eri in una situazione difficile. Ne siete
usciti entrambi. Hai bisogno di vedere un guaritore? Sai che
maledizione era?»
«Era magia senza parole.» Remus scosse la testa. «E sto bene. Non
era nemmeno brutto come una luna piena.»
Questa era una bugia. Poteva ancora sentire i resti della magia, la
sua testa pulsava ed i suoi nervi vibravano ma la sensazione stava
andando via. Il dolore lo faceva spesso, oppure imparavi a
superarlo.
Moody rise burbero. «Bravo ragazzo. Bene, McKinnon, c’è
qualcosa che vuoi aggiungere?»
Danny scosse la testa. Non aveva detto molto mentre Remus si
stava spiegando, aveva fatto solo un intervenuto o due per
confermare che era la verità. Non guardava ancora Remus, e
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Remus non lo biasimava. Moody, se l’aveva notato, non aveva
commentato questa strana atmosfera. Battè le mani insieme.
«Ebbene, dovrei dire che possiamo smaterializzarci adesso. Lupin,
vengo con te, ho un altro incontro. McKinnon, starai bene se
tornerai da qualche parte al sicuro?»
«Sì. Nessun problema.» Danny rispose, con voce vuota. «Ci
vediamo.» E cominciò ad allontanarsi, di nuovo nel campo.
Remus guardò Moody. «È arrabbiato con me. Non credo che
dovremmo fare coppia di nuovo.»
«Non lo farete.» Disse Moody vivacemente.
Il cuore di Remus sprofondò; quindi era così, Moody non si fidava
più di lui.
L’Auror iniziò a camminare nella direzione opposta rispetto a
Danny, attraverso la tranquilla strada di campagna. Remus si
affrettò a tenere il passo.
Il terreno era strano sotto i suoi piedi, come una spugna. Moody si
fermò bruscamente, avendo apparentemente giudicato il boschetto
ombroso di alberi in cui si trovavano ora in un luogo adatto per
smaterializzarsi. Lanciò un’occhiata a Remus. «McKinnon non può
farcela, questo è chiaro. Lo metteremo in comunicazione o a
guardia di un rifugio. Sarai pronto ad affrontarlo da solo, la
prossima volta?»
«Io cosa?!»
«Hai mostrato loro chi sei, oggi.» Disse Moody, entrambi i suoi
occhi si concentrarono su Remus. «Questo è un bene. Questo
arriverà al branco. Separali. Vogliamo che Greyback sia distratto.»
«Non sono sicuro di capire.» Remus aggrottò la fronte.
«No?» Moody inarcò un folto sopracciglio. «Penso che tu sia più
astuto di quanto dici, Lupin. Bene, andiamo. Ho un appuntamento
con Fleamont.»
Quello era tutto. Basta domande.
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In pochi secondi erano sulla soglia di casa dei Potter e stavano
rispondendo alle domande identificative di Euphemia, e poi tutto
era normale; erano tornati nella realtà, circondati dalla dolce e calda
familiarità della cucina. Era come svegliarsi di soprassalto da un
incubo, e dovevi solo continuare a ricordare a te stesso che ora era
tutto okay.
Moody scomparve verso lo studio del signor Potter, e James e
Sirius corsero attraverso il corridoio per incontrare Remus. Sirius
sembrava mezzo matto e rimasero uno di fronte all’altro per un
momento, gli occhi spalancati pieni di parole. Alla fine Sirius venne
verso di lui, avvolgendo Remus in un abbraccio e seppellendogli la
testa nel collo.
«Stai bene.» Lui sussurrò.
«Sto bene.» Disse Remus ferocemente, stringendolo forte. E
voleva dirlo, Dio se lo voleva davvero, ma non aveva più energia e
quindi lo baciò. James era proprio lì e anche la signora Potter, era
l’unica cosa che Remus sapeva che poteva dire a Sirius, quello che
aveva bisogno di dirgli.
Mise via la rabbia, il terrore, il senso di colpa e il feroce bisogno di
vendetta. Ci sarebbe stato un tempo anche per questo. Ma non
ancora.

37
Fronte domestico
Fine estate, 1978
Si girò per la centesima volta, le lenzuola erano attaccate alla sua
pelle calda. Non si sentiva bene dalla luna piena. Forse anche da
prima di allora. Dormiva solo poche ore ogni notte, e ora erano
quasi le quattro del mattino e non si era ancora addormentato.
«Non riesci a dormire?» Anche Sirius si girò.
«No.» Remus sospirò, mettendosi a sedere. «Scusa. Dovrei andare
nell’altra stanza.»
«Per favore, no.» Disse Sirius stropicciandosi gli occhi. «Va bene,
anche io adesso sono sveglio, ti terrò compagnia.»
«Non ho proprio voglia di parlare.»
«Va bene. Posso parlare io, ho sempre voglia di parlare.»
Remus sorrise, anche se non voleva. Maledetto Black.
«Forza, allora.» Mormorò, sdraiandosi di nuovo lentamente.
La schiena gli faceva male per l’ultima luna piena e aveva strofinato
un po’ dell’unguento di Marlene prima di andare a letto, il problema
era che l’effetto stava già svanendo.
Sirius rotolò su un fianco, allungando un braccio sul corpo di
Remus e parlò assonnato al suo orecchio.
«Non vedo l’ora che arrivi domani.» Mormorò. «Non vedo l’ora
che tu veda finalmente l’appartamento. Non ho mai avuto un posto
che fosse solo mio prima.»
«Neanche io.» Remus rispose, chiudendo gli occhi.
Sirius aveva comprato l’appartamento la settimana prima mentre
Remus si stava riprendendo dalla luna piena. Era stato ovviamente
un acquisto d’impulso, ma Remus pensava che andasse bene, aveva
troppe cose in mente per essere di grande aiuto, ed erano i soldi di
Sirius dopotutto.

38
Era a Londra in un quartiere babbano. Dopo la sorpresa iniziale
dei Potter per la decisione dei ragazzi, Fleamont aveva insistito per
assicurarsi che tutti gli incantesimi e gli allarmi di sicurezza standard
fossero a posto prima che gli fosse permesso di trasferirsi, quindi
Remus non l’aveva ancora visto.
«Dimmi com’è.» Disse Remus avvicinandosi corpo di Sirius e
raggomitolandosi. Non si faceva piccolo molto spesso, dopotutto
era più grande di Sirius e gli sembrava sciocco come gesto. Ma
proprio ora, privato del sonno e pieno di ansia, era bello seppellire
il viso nella camicia da notte di Sirius.
«È piccolo.» Disse Sirius, appoggiando il mento sulla testa di
Remus. «Solo una camera da letto, un bagno e una cucina.»
«Sembra enorme.» Rispose Remus.
Lo pensava. Non avrebbe mai immaginato di vivere da qualche
parte in quel modo, nemmeno tra un milione di anni.
«Possiamo arredarlo come vogliamo: mobili, carta da parati...
Qualsiasi cosa.»
«Lascio a te il design degli interni.»
«Bene. Puoi costruire le librerie.»
«Librerie?» Remus alzò la testa. Non ci aveva pensato.
«Sì, librerie.» Rispose Sirius, un sorriso nella voce. «Spazio anche
per la collezione di dischi, ovviamente. E ci sono dei garage nelle
vicinanze che potrei essere in grado di affittare...»
«Stiamo prendendo una macchina?!» Remus era un po’ allarmato
da questo, aveva appena acconsentito a tenere la vecchia scopa di
James per i viaggi e affari legati all’ordine, non aveva voglia di
imparare a guidare anche lui.
«Non una macchina...» Disse Sirius evasivo. «Ma stavo solo
pensando... Voglio dire, sarebbe davvero utile avere un altro mezzo
di trasporto.»

39
«C’è la metropoitana.» Remus disse. «Gli autobus. Londra è
davvero famosa per quelli, sai.»
«Sì...»
«L’hai già comprata?» Remus si allontanò per vedere la faccia di
Sirius.
«Ehm...»
«Sirius!»
«Che cosa?!» Sirius stava sorridendo maliziosamente. «È un regalo
di compleanno in anticipo che ho fatto a me stesso.»
«Il tuo compleanno è tra mesi!»
«Per l’inaugurazione della casa, allora. Prendo qualcosa anche per
te!»
«Onestamente sei da tenere sotto controllo.» Rise Remus,
avvolgendo di nuovo le braccia intorno a Sirius. «Moccioso
viziato.»
«Zoticone istituzionale.» Sirius rispose ridendo, la sua voce attutita
dalla spalla di Remus.
Rimasero immobili e in silenzio per un po’, proprio così. Remus si
rilassò un po’, ma non stava ancora per addormentarsi. Sarebbe
stato chiaro presto, sicuramente. Ogni tanto gli sembrava di sentire
un uccellino cantare in giardino. Non l’avrebbe sentito a Londra,
si sarebbero sentiti solo fattorini del latte sferraglianti, camion della
spazzatura e autobus che sibilavano e forse uno strano piccione.
Non poteva aspettare.
Strinse Sirius un po’ più stretto. Si erano abbracciati molto,
ultimamente. Il contatto sembrava vitale, ricordava a Remus che
era umano.
«Tutto okay?» Chiese Sirius piano.
«Bene. Non riesco a dormire.»
«Non hai ancora voglia di parlarne?»
«No.»
40
«Okay.» Sirius sospirò un po’. Poi mosse la testa contro la spalla di
Remus, girandosi per baciargli la parte più morbida del collo. La
mano di Sirius scivolò sul fianco di Remus, lentamente. «In vena
di qualcos’altro?»

Remus si era aspettato di vedere il suo nuovo appartamento per la


prima volta da solo con Sirius. Era stato sciocco da parte sua; aveva
dimenticato che anche fuori di Hogwarts Sirius e James erano una
coppia, e ovunque andasse James di solito andavano Peter e Lily.
Così finirono per essere loro cinque a prendere il treno per Londra
la mattina successiva.
Sirius stava ronzando per l’eccitazione, incapace di stare fermo per
tutto il tempo. Saltellò sulla carrozza, corse giù per le scale mobili
a Waterloo e saltò da un piede all’altro sulla piattaforma
sotterranea. Indossavano tutti abiti babbani e lui indossava la sua
giacca di pelle, jeans neri e stivali da combattimento. A Remus
piaceva concentrarsi su questi dettagli, perché se fossero stati solo
dei semplici babbani allora non sarebbero stati in guerra.
L’appartamento era vicino a Leicester Square, a Chinatown. Era
una parte squallida della città, ma questo non interessava Remus e
non sembrava preoccupante per Sirius. Era affollato e rumoroso,
l’odore del cibo cinese, delle sigarette e degli scarichi aperti
riempiva l’aria. Le cabine telefoniche erano tappezzate di pubblicità
di escort e passarono davanti ad almeno due cinema di peep show.
«Amo Londra.» Remus sorrise tra sé e Sirius gli lanciò un sorriso.
Entrarono nel loro edificio da una porta nel vicolo di un fuori
licenza, presentandosi uno per uno, mentre Peter osservava ad alta
voce quanto tutto sembrava piccolo e quanto fossero strani i
babbani. Poi passarono su una breve rampa di scale dove
raggiunsero un pianerottolo di cemento con una porta d’ingresso
giallo brillante. Numero 9.
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«Casa!» Disse Sirius mentre infilava la chiave nella serratura,
sorridendo a tutti loro.
Era piccolo, era banale e arredato in modo semplice. Era minimale.
Era assolutamente perfetto.
Entrarono direttamente nel soggiorno, che era molto moderno,
senza ingresso. C’era una porta a sinistra che conduceva alla cucina,
che era soleggiata e luminosa, c’era una piccola finestra sopra il
luccicante lavandino di metallo.
Lily si diresse verso il frigorifero, aveva portato molto dolcemente
una bottiglia di vino bianco frizzante con cui festeggiare.
Remus vagò per il soggiorno e lungo un corridoio dove c’erano
due porte; una era il bagno con piastrelle verdi anni Sessanta e con
finiture di porcellana rosa, l’altra era una camera da letto. Due
valigie piene dei vestiti che avevano impacchettato e spedito in
anticipo erano affiancate all’armadio. Il letto era già lì, ben fatto
con una coperta marrone e un plaid. Niente di troppo eccessivo,
solo un letto per due perfettamente ordinario.
«Come ti sembra?» Chiese Sirius ansioso, entrando nella stanza
dietro di lui. «So che è piccolo, ma non volevo esagerare con i
soldi... ed è molto più facile da proteggere. Monty si è anche fatto
consigliare da Moody alcuni incantesimi protettivi...»
«È fantastico.» Remus annuì, era così felice. Sorrise e si guardò
intorno. «È...» Non c’erano parole.
Fortunatamente anche Sirius stava sorridendo. «Ho capito che è
un bene quando non hai niente di sarcastico da dire.» Fece
l’occhiolino. «Dai vieni. Hai guardato a malapena il soggiorno!»
Remus lo seguì di nuovo attraverso la stanza.
Lily stava versando il vino bianco frizzante («Avremmo dovuto
portarti dei bicchieri di vino adeguati come regalo!»), e tutti
brindarono esultando ad alta voce.

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«Amico, devi mostrarmi come funziona quella cosa eclettica del
forno.» Disse James, con gli occhi spalancati. «E il mangiatore di
radar.»
«Termosifone.» Lily alzò gli occhi al cielo. «Onestamente, come hai
fatto ad ottenere un Accettabile in Babbanologia?!»
Peter stava guardando il caminetto in mattoni, che era molto fuori
posto nel soggiorno contemporaneo con la sua moquette color
crema e le veneziane di plastica.
«Allora sei collegato alla polvere volante?» Chiese.
«Sì.» Annuì Sirius. «Per la roba dell’Ordine, ovviamente. E voi altri.
Moody lo ha reso irrintracciabile. Anche l’intero appartamento non
è individuabile.»
Remus non poté fare a meno di sentirsi un po’ spento davanti al
caminetto. Anche se era essenziale, non gli piaceva l’idea che i
membri dell’ordine avessero accesso al loro appartamento a
qualsiasi ora del giorno e della notte. Il pensiero della testa di
Alastor Moody che appariva nel loro soggiorno lo fece
rabbrividire.
Sirius, ancora guardando attentamente il viso di Remus, gli diede
una gomitata. «Ho anche qualcos’altro.» Indicò il divano.
Si voltarono tutti a guardare.
«Hai una televisione!» James gridò improvvisamente, quasi
versando il suo drink eccitato mentre indicava il dispositivo seduto
su un tavolino vicino al divano.
«Calmati!» Lily la rimproverò.
«Un telefono!» Remus lo fissò stupito. «È connesso?»
«Già.» Annuì Sirius, orgoglioso. «Sollevalo e componi il numero,
così non devo più restare fuori dalle cabine telefonic-»
Era stato interrotto perché Remus l’aveva praticamente buttato a
terra gettando le sue braccia intorno a Sirius e poi perché,

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dopotutto, erano a casa loro adesso. Gli prese la testa tra le mani e
lo baciò a lungo e forte.
Lily e James esultarono di nuovo, Peter bevve un altro sorso e andò
a versarsene dell’altro.

«Sto bene?» Sirius si stava guardando nello specchio del bagno.


Continuava ad abbottonarsi e sbottonarsi la camicia. «Devo
indossare una cravatta?»
«No.» Rise Remus, in piedi dietro di lui, infilandosi una semplice
maglietta grigia sui suoi capelli umidi. «Smettila di agitarti, stai
bene.»
«Solo bene?!»
«Scusa.» Remus rispose impassibile. «Sei incredibile.»
«Grazie.» Sirius gli sorrise compiaciuto attraverso lo specchio. «È
solo che non voglio deluderti, non ho mai incontrato la mamma di
nessuno prima.»
«E la signora Potter?»
«I Potter non contano, sono come i miei genitori, non ho bisogno
di impressionarli.»
«Sarai in piedi accanto a me.» Remus si strinse nelle spalle. «Rimarrà
colpita.»
«Non dirlo...» Disse Sirius. «Scommetto che pensa che il sole
splenda dal tuo culo.»
«Sei pronto?»
«Come mai prima d’ora.»
Lasciarono il bagno e uscirono dall’appartamento. Si erano
trasferiti solo da una settimana e mezza e c’erano ancora scatole
dappertutto, ma Remus si sentiva già a casa. Amava il tintinnio
delle chiavi in tasca, la sensazione di chiudere la porta d’ingresso al
mondo; avere un posto dove essere sé stesso completamente.
L’angusto appartamento di Soho non era per niente grandioso
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come Hogwarts, ma a Remus piaceva già di più di qualsiasi altro
posto in cui avesse mai vissuto.
Grant l’aveva messa meglio, gli aveva telefonato Remus non
appena ne aveva avuto la possibilità. «Un indirizzo fisso, eh? Accidenti,
ci siamo trasferiti nel mondo reale.»
Si smaterializzarono dal pianerottolo esterno. Era diventata
un’abitudine; era abbastanza appartato in maniera che nessuno li
avrebbe potuto vedere. In pochi istanti si trovarono in una
tranquilla strada residenziale a Cardiff dove, ovviamente, stava
iniziando a piovere.
«Scusa, avrei dovuto avvertirti.» Remus rise mentre Sirius urlava e
si affrettava a tirarsi su la maglietta per proteggersi i capelli. «Le
estati gallesi non sono molto meglio di quelle scozzesi.»
Fecero velocemente la breve passeggiata verso l’ospedale, e Remus
condusse Sirius al reparto Sparrow con molta più sicurezza della
prima volta che aveva incontrato Hope.
Sorrise e fece un piccolo cenno all’infermiera di turno, prima di
camminare fino alla fine del reparto per vedere sua madre. La tenda
era tirata a metà, quindi per prima cosa si guardò intorno per
controllare se lei dormiva. Ma no, era seduta sul letto e sfogliava
una rivista di moda.
Si schiarì la gola e lei alzò lo sguardo. Un enorme sorriso si diffuse
sul suo viso magro, mostrando ogni dente perlaceo. «Remus!»
«Ciao.» Disse, chinando timidamente la testa e girando attorno al
letto per salutarla.
La baciò leggermente sulla guancia. L’aveva già fatto tre volte
adesso, dopo essersi alzato dal suo baciargli la mano. I progressi
erano lenti, ma ogni traguardo sembrava enorme.
«Speravo che venissi oggi!» Lei sorrise raggiante stringendogli la
mano e guardandolo mentre si ripiegava sulla sedia di plastica
arancione accanto al suo letto.
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«Scusa, è passato così tanto tempo.» Si scusò. «Ho finito la scuola
e poi mi sono trasferito... Ho portato qualcuno da farti conoscere.»
Guardò Sirius, ancora in piedi dietro la tenda, mentre guardava
Hope nervosamente. «Mamma.» (era la seconda volta che la
chiamava così anche davanti a lei). «Questo è Sirius Black.»
Sirius si avvicinò e si fermò in fondo al letto, le mani davanti a lui.
Sembrava che stesse cercando di non agitarsi.
«Piacere di conoscerla, signora Lupin.» Disse educatamente.
Non lo corresse sul nome, gli fece solo un sorriso benevolo. «Ciao
Sirius. Sei un amico della scuola di Remus?»
«Esatto.» Annuì.
«Io e Sirius viviamo insieme, a Londra.» Disse Remus, testando
l’acqua. La guardò in viso, ma era imperscrutabile, avrebbe potuto
essere un Auror senza nessun problema.
«Non sembra divertente.» Disse con gli occhi vitrei. «Tuo padre mi
portava in viaggio a Londra, gli piaceva andare sugli autobus a due
piani.»
Ah. Aveva voglia di parlare di Lyall. Queste erano ben lontane dalle
visite preferite di Remus, ma la lasciò parlare, perché sembrava
renderla felice. Iniziò con una storia lunga e sconclusionata su tutte
le volte che Lyall l’aveva portata a Londra, dove avevano visto tutti
i luoghi e poi tutti i vari altri posti in cui l’aveva portata:
Edimburgo, Blackpool e Aberystwyth. Remus cercò di non
ascoltare troppo. Non voleva iniziare a chiedersi se Lyall li avrebbe
portati entrambi in quei posti se le cose fossero andate
diversamente.
Alla fine, con Hope che non mostrava alcun segno di fermarsi,
Remus fece segno a Sirius di sedersi e prese una sedia dal letto
vicino che era vuoto. Quando si sistemò, Remus notò la valigia ai
piedi del letto. Di solito non c’era. Le è stato finalmente permesso
di tornare a casa?
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«...E ho mangiato il mio primo curry in un ristorantino a
Wembley...» Stava dicendo ora.
«Siamo a Chinatown.» Disse Remus.
«Bello.» Sorrise, anche se chiaramente non aveva idea di dove
fosse. Stava diventando sempre più infantile, pensò, doveva essere
il farmaco che aveva assunto. Avrebbe dovuto essere infastidito,
ma in realtà lo aveva aiutato a entrare in empatia con lei. «E presto
avrai i risultati dei tuoi esami, vero?»
«Li abbiamo avuti.» Rispose Remus. «Ho passato tutto.»
«È arrivato primo a scuola in tre materie.» Disse Sirius, di punto in
bianco. «Storia, Cura delle Creature Magiche e Aritmanzia, e ha
preso il massimo dei voti in tutto il resto!»
Remus arrossì. Non era del tutto vero... Okay, aveva ottenuto
“Eccezionale” nella maggior parte delle materie, ma solo “Oltre
Ogni Previsione” in Trasfigurazione.
«Questo è il mio ragazzo intelligente.» Sorrise assonnata. «Proprio
come suo padre.»
«Stai andando da qualche parte, mamma?» Chiese Remus, ancora
infastidito dalla valigia.
«Oh sì.» Annuì appoggiando la testa all’indietro contro la pila di
cuscini che la sostenevano. «Sì, domani vado all’ospizio.»
Le viscere di Remus diventarono gelide. La sua gola si seccò. No.
Pensò. No, ho bisogno di più tempo.
«Domani?» Disse in modo soffocato.
Gli strinse di nuovo la mano, i suoi occhi si acuirono. «Sono
pronta, amore. È il momento.»
«Ma...» Non sapeva cosa dire. Pensava di poter piangere, ma non
voleva farla arrabbiare.
Sirius sembrava confuso. Non sapeva cosa significasse.
«Mi sto assicurando che sia tutto in ordine.» Disse Hope, suonando
improvvisamente molto più matura del solito. «Se mi lasci il tuo
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indirizzo, mi assicurerò che tutto vada a finire dove dovrebbe. E
ovviamente il funerale: ho detto a Gethin che verrai avvisato il
prima possibile e che sarai seduto in prima fila. Non lasciare che ti
mettano in disparte come un parente povero. Sei mio figlio e non
mi vergogno affatto, capito?»
«Mamma, per favore...» Remus distolse lo sguardo, scioccato da
quanto si sentisse sconvolto. «Non sono... Solo non ancora, okay?»
Il suo viso si addolcì. Lei sospirò. «Va bene, mio caro. Mi dispiace.»
Chi cazzo è Gethin?! Avrebbe voluto gridare. Quante sorprese mi
aspettano, dopo che te ne sarai andata? Sapeva che stava succedendo, ma
era comunque la peggiore notizia della sua vita. Non riusciva a
scrollarsi di dosso il senso di tradimento che provava. Si erano
appena ritrovati.
Sirius si sentì a disagio nel silenzio che seguì. Non capiva
l’incapacità condivisa di Hope e Remus di dire le cose importanti;
Sirius non riusciva mai a capire perché tutti non dicessero quello
che sentivano non appena lo sentivano. Ma lui rispettava la loro
privacy.
«Vado a prendere una tazza di tè, Remus.» Disse gentilmente. «Ne
vuoi una?»
Remus annuì. «La mensa è in fondo al corridoio.» Disse fissando il
pavimento, tenendo ancora la mano di Hope. «Ci vediamo lì, tra
un minuto.»
«Posso portarle qualcosa, signora Lupin?»
Lei scosse la testa. «No grazie, caro. È stato bello conoscerti.»
Inclinò la testa galante e sorridendo educatamente e poi se ne andò
elegantemente. Dio, poteva essere affascinante anche nelle
situazioni più disperate.
Remus lasciò la mano di Hope, e seppellì la faccia tra i palmi.
Fanculo. Non poteva semplicemente godersi qualcosa per cinque
minuti senza accadesse una tragedia?
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«È un ragazzo molto simpatico.» Hope disse.
«Sì.» Rispose Remus, sbuffando una risata senza gioia e
massaggiandosi la nuca nervosamente.
«Posso capire perché ti piace.» Lei suggerì. Voleva che la tristezza
finisse, chiaramente. Forse voleva tornare a parlare di Lyall. Be’,
non glielo avrebbe permesso. Non era l’unica che poteva sganciare
bombe.
La guardò, cercando di incrociare il suo sguardo. «Guarda, c’è
qualcosa che sento davvero di dover spiegare, ehm. A proposito di
Sirius. Di Sirius e di me.»
Hope chiuse gli occhi con un sorriso dolce e scosse gentilmente la
testa. «Va tutto bene, tesoro.» Gli prese la mano e gli diede un
colpetto. «L’ho capito dal momento in cui vi ho visti.»
«Tu... Veramente?» Remus la fissò. Non ne aveva mai parlato con
nessuno più grande di lui prima.
«Ho avuto una sensazione per un po’. Non pretendo che non faccia
alcuna differenza.» Rispose, scegliendo attentamente le parole. «Ma
non cambia chi sei, mio caro ragazzo.» Gli prese di nuovo la mano
e lui la tenne. Gli accarezzò dolcemente le nocche con il pollice.
«Lo ami, vero?»
«Io...» Remus sentì il familiare panico salire al suono di quella
parola, ma dato che erano solo loro due, e ad essere onesto sentiva
di doverlo a lei, annuì. «Sì.»
«E lui ti ama.»
«Credo di sì. Sì, mi ama.»
«Allora questo è tutto quello che ho bisogno di sapere.» Sorrise di
nuovo. Emise un grande sospiro. «Amore. È l’unica cosa che puoi
portare con te, sai.»

49
Autunno 1978
Stop your messing around (ah-ah-ah)
Better think of your future (ah-ah-ah)
Time you straighten right out (ah-ah-ah)
Creating problems in town (ah-ah-ah)

Remus sbirciò sopra la parte superiore del suo libro attraverso la


finestra della caffetteria per vedere se ci fosse stato qualche
cambiamento nella strada davanti a lui. Guardò l’orologio sul muro
unto accanto a lui. Cinque minuti alla fine, se solo Pete non fosse
in ritardo. Remus guardò di nuovo il suo libro. Non l’aveva
davvero letto, era troppo distratto. Raramente si trovava
dell’umore giusto per studiare in questi giorni, tra riunioni
dell’Ordine, incarichi strani e spiegati a metà e visitare Hope
all’ospizio, cosa che cercava di fare ogni giorno adesso.
Oltre ciò Remus e Sirius stavano imparando a badare a loro stessi
per la prima volta. Dopo una settimana di takeaway, Remus aveva
ammesso la sconfitta e aveva chiesto di prendere in prestito un
libro di ricette dalla signora Potter. Finora i risultati erano stati
contrastanti. Sirius, nel frattempo, sembrava aver raggiunto il
punto massimo di crisi per lo stato del bagno, e dedicò diverse
serate ad imparare finalmente alcuni incantesimi di pulizia.
Avevano litigato sull’idea di avere un televisore (Sirius era
stranamente sospettoso di questa tecnologia babbana; non riusciva
a capirne lo scopo), e poi un ancora per la moto (Remus odiava
tutto al riguardo ma soprattutto il pericoloso fascino che Sirius
esercitava al volante).
Apparte questo le cose stavano andando bene. Beh, proprio come
per chiunque altro.

50
L’orologio continuava a ticchettare. Remus si portò la tazza di tè
scheggiata alle labbra e bevve, poi fece una smorfia. Freddo. Era lì
almeno da un’ora, ma non era come se avesse molta altra scelta.
Dalla missione fallita a luglio a Notturn Alley, Remus aveva notato
un chiaro cambiamento nella natura delle sue missioni. Era spesso
in coppia con Peter e generalmente veniva inviato solo a fare
compiti “tranquilli” come passare messaggi, raccogliere passaporte
chiuse e una o due volte era rimasto bloccato a preparare panini
per i visitatori dai Potter.
Nel frattempo le fortune di Sirius e James li avevano portati in una
direzione completamente diversa: entrambi avevano trascorso gran
parte del loro tempo con Frank e Alice, o con i gemelli Prewett,
fino ad ogni sorta di missioni interessanti come difesa avanzata,
compiti di guardia e persino uno o due raid di mezzanotte.
Sirius stava vivendo il momento più bello della sua vita. Remus era
infelice, ma non lo diceva. In altre parole, tutto come al solito.
Alla fine, Remus alzò lo sguardo e vide il movimento. Era la fine
della giornata lavorativa e uomini in abiti eleganti e cappelli
cominciarono a riempire i marciapiedi. Se guardavi da vicino
avresti potuto vedere che alcuni di questi uomini e donne erano
vestiti in modo un po’ meno conservativo degli altri. Era anche la
fine della giornata al Ministero della Magia.
Remus si alzò velocemente, sbattendo gli stinchi sulla sedia di
plastica arancione accanto a lui. Sibilando tra i denti, zoppicò
leggermente mentre usciva. Fuori era afoso, non soleggiato, ma
caldo e appiccicoso; tempo da mal di testa. Dense e nauseabonde
nuvole temporalesche erano sospese sopra gli edifici grigi, e dai
cestini dei caffè si alzava un forte fetore, il vecchio cibo in
putrefazione nel caldo insolito di settembre. Remus rimase un
attimo indietro, aspettando e guardando, non volendo essere visto.
Un giovane alto e bello passò a grandi passi, con indosso abiti neri
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e un panciotto verde bottiglia. Aveva zigomi affilati e capelli
platino, anche se era molto giovane, lo riconobbe subito come
Lucius Malfoy, l’uomo per cui Narcissa aveva rischiato la vita a
costo di sposarlo.
Remus lo guardò camminare lungo la strada, lodando fugacemente
la cugina di Sirius per il suo eccellente gusto.
«Oh, ciao Moony.»
Remus sussultò. Peter in qualche modo aveva ancora la capacità di
coglierlo di sorpresa, non lo vedevi quasi mai arrivare.
«Cristo, Pete. Mi hai spaventato.»
«Be’, se non fossi stato concentrato su Malf-»
«Sta’ zitto.» Remus era già di cattivo umore ed era troppo sensibile
per essere preso in giro da Peter Minus, tra tutte le persone.
«Non mi aspettavo di vederti.» Stava dicendo Peter, guardando
l’orologio da tasca e riponendolo nella tasca dei pantaloni.
Indossava una giacca di tweed e una stupida bombetta color
senape. Sembrava un folletto fuori marchio.
Remus si rimproverò internamente, vergognandosi di sé stesso per
essere geloso del suo amico che, nonostante avesse raccolto solo
una manciata di NEWT, era riuscito a entrare in una posizione di
livello base nel Ministero senza nessun problema.
«Cosa intendi?» Remus aggrottò la fronte. «Sono puntuale, no?»
«Non hai ricevuto il messaggio di Arthur?» Peter lo guardò in modo
innocente. «Sono stato cancellato. Hanno mandato Caradoc.»
«Oh.» Remus strinse le labbra.
«Così possiamo andare a casa!» Peter disse allegramente. «Grazie a
Godric, sono esausto.»
«Giusto, naturalmente.» Remus annuì, le spalle che cadevano.
Non si era alzato dal letto fino a mezzogiorno. Poi tutto quello che
aveva fatto era leggere i giornali, fumare e mangiare mezza
pagnotta di pane che Sirius aveva comprato quella mattina. Questa
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era stata la conversazione più lunga che aveva avuto con un’altra
persona in tutto il giorno.
«Sei sicuro che non abbiano bisogno di noi?» Disse speranzoso.
«Forse se andassimo comunque-»
«Meglio di no.» Peter scosse la testa. «Sai com’è Moody sul
protocollo. Comunque sto morendo di fame, ho avuto a malapena
il tempo per il pranzo.»
«Veramente? Vuoi andare a prendere qualcosa al Paiolo Magico?»
«Scusa, avevo promesso a mamma che sarei tornato a casa. Lei è
preoccupata, sai.»
«Oh. Ovviamente.»
«Padfoot è all’appartamento, no?»
«Sì, dovrebbe essere tornato a quest’ora.»
«Ci vediamo alla prossima riunione, Moony!»
«Sì, ci vediamo.»
Si allontanarono in direzioni opposte; Peter si diresse verso la grata
più vicina (non aveva ancora imparato a smaterializzarsi), mentre
Remus andò verso il vicolo tranquillo più vicino in cui poteva
sgattaiolare e svanire in pace.
Cercò di rallegrarsi un po’ mentre si trovava fuori dalla porta del
suo appartamento. Si riscosse, tentò di schiarirsi la mente e si
sforzò di sorridere. Aprì la porta.
«Sei tornato presto!» La voce di Sirius trillò dalla cucina.
Questo fu abbastanza per far tornare Remus di cattivo umore.
Sembrava un’accusa.
«Mmh.» Grugnì, chiudendo la porta e togliendosi il cardigan, i peli
sulle braccia gli prudevano e formicolavano per il caldo. Anche le
sue cicatrici pungevano, come filo spinato.
«Che cos’hai?» Sirius apparve. Si era fatto la doccia da poco, i suoi
capelli brillavano ancora. «È successo qualcosa?»

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Remus sbuffò, scalciando via le scarpe e gettandole sotto il tavolino
da caffè. «Non è successo niente. È stato annullato, o è stato dato
a qualcun altro. Non importa comunque, era solo un lavoro per
tenerci occupati.»
«No, non lo era.» Sirius fece un balzo. «Perché Silente dovrebbe
darti un lavoro di questo genere?»
«Perché non si fida di farmi fare qualcos’altro, però vogliono
comunque tenermi dalla loro parte così non divento
improvvisamente malvagio.»
«Moony...» Sirius aveva le mani sui fianchi, ora.
Remus sospirò e agitò una mano. «Dimenticalo. Com’è stata la tua
giornata?»
«Era... occupata. Lunga.» Disse Sirius con attenzione, ovviamente
non volendo provocare Remus oltre. «Le solite cose, sai.»
«Non lo so.» Mormorò Remus. «Tu stai con gli Auror tutto il
giorno. Il meglio che ricevo io è Wormtail.»
«Non fare così.» Sirius si sedette accanto a Remus sul divano. «Stai
ancora facendo un sacco di cose utili. E ti hanno mandato in quella
missione all’inizio dell’estate, è stato enorme!»
Remus non disse niente. Non aveva detto a Sirius cosa era
successo, di come aveva perso il controllo ancora una volta e di
come Moody chiaramente non si fidava più di lui, in più
probabilmente Danny lo odiava.
Nella pausa che seguì, Sirius fece un respiro profondo. «Senti, se
non sei dell’umore giusto preferisco semplicemente togliermi di
mezzo. Nemmeno io ho avuto una giornata brillante.»
«Bene.» Disse Remus bruscamente.
Non andava bene. Una parte di lui voleva prendere Sirius per un
bacio, trascinarlo in camera da letto e scusarsi per essere un
coglione. L’altra parte voleva un litigio in piena regola, con molte

54
urla e imprecazioni. Ad ogni modo, non voleva che Sirius andasse
da nessuna parte.
Sirius sospirò e si alzò. «Bene allora.» Ha afferrato le chiavi mentre
usciva. «Vado a lavorare sulla moto.» Disse. «Prenderò il pane sulla
via del ritorno, visto che l’abbiamo finito, di nuovo.»
Remus grugnì in risposta, fissando un buco nel suo calzino,
piuttosto che incrociare lo sguardo di Sirius. Avrebbero risolto
tutto più tardi, lo facevano sempre.

Il problema di non essere a Hogwarts era che Remus non aveva


mai idea di dove fossero gli altri. Gli mancava molto la Mappa del
Malandrino, e si sentiva ansioso quando immaginava Sirius, James
e Peter nel mondo, di fronte a chissà quale pericolo.
Rappresentava il modo in cui si sentiva per quasi tutto ora che la
scuola era finita. A Hogwarts aveva il controllo, aveva un posto e
un certo status. Nel mondo reale non era niente e nessuno; era
tornato in fondo alla piramide.
Da giovane maturo e istruito, sapeva che avrebbe dovuto
affrontare queste nuove sfide con forza d’animo; decise di
dimostrare il suo valore, come James e Sirius, e persino Pete. Ma
Remus non lo fece. Invece tenne il broncio.
Dopo la missione annullata con Peter ci fu un altro lungo e confuso
incontro con l’Ordine e quasi nessuno aveva guardato in direzione
di Remus. Moody non c’era e neanche Ferox, quindi Remus non
poteva nemmeno andare a chiedere loro se ci fossero stati sviluppi
sul fronte Greyback.
Era stato bello vedere le ragazze: Lily stava facendo l’apprendista
nel dipartimento di ricerca sulle pozioni del San Mungo e lei e
Marlene si erano fatte un intero gruppo di nuovi amici all’ospedale.
Mary era al college di segreteria babbana e, come Remus, non era

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rimasta impressionata dai suoi incarichi dall’Ordine fino a quel
momento.
«Immagino che non vogliano che il mio sudicio sangue soffi la
copertura di nessuno.» Alzò gli occhi al cielo ridacchiando. Buona
vecchia Mary.
Da quell’incontro, Remus aveva passato gran parte del suo tempo
da solo. Dormiva, ascoltava la radio, scendeva al negozio all’angolo
per comprare sigarette e faceva finta di leggere. Disse a Sirius che
stava facendo ricerche sulla magia difensiva, ma non riusciva a
vedere lo scopo nello studio senza un chiaro obiettivo.
Remus un giorno era sdraiato sul divano a fare le parole crociate in
un foglio gratuito che aveva raccolto da qualche parte. Beh, non
stava tanto “facendo le parole crociate”, ma stava cercando di
scrivere le parolacce più fantasiose a cui potesse pensare negli
spazi. Era bloccato sul dodici sotto, “_ _ _ E _ _ _ _ F”, quando
squillò il telefono.
Lo fece sobbalzare, il telefono non squillava mai.
«C-ciao?» Disse con voce roca, rendendosi conto che era passata
l’una del pomeriggio ed era la prima volta che parlava quel giorno.
«Buongiorno tesoro.»
«Grant?»
«Qualcun altro ti chiama tesoro? Brutto stronzo.»
Remus rise, iniziò a sorridere da un orecchio all’altro. «Coglione
sarcastico. Dove sei stato?»
«Qui e lì. Scusa, ho avuto un’estate un po’ impegnativa... ehm... Tu
sei a casa, allora?»
«Sì.»
«Fantastico, sono a cinque minuti di distanza.»
«Che cosa?!»
«A presto!» La linea si interruppe.

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Non sapendo cos’altro fare, e leggermente stordito, Remus andò
velocemente in bagno per guardarsi allo specchio. Indossava una
maglietta sgualcita e si mise un maglione preso dal pavimento per
coprire i suoi avambracci sfregiati. I suoi capelli sembravano non
cambiare mai qualunque cosa facesse, così fece scorrere le dita tra
i ricci e li guardò tornare a posto. Avrebbe voluto essersi fatto la
doccia quando si era svegliato quella mattina, ma ormai era troppo
tardi.
Qualcuno bussò alla porta e Remus si affrettò a rispondere,
puntando la bacchetta verso il bollitore mentre passava davanti alla
porta della cucina per accenderlo. Il suo battito accelerò e si rese
conto di quanto fosse eccitato nel vedere qualcuno non coinvolto
nella guerra.
Aprì la porta con più forza del necessario, in modo che quasi
andasse a sbattere contro il muro.
«Ciao.» Grant era sulla soglia, gli occhi spalancati ma sorridenti, il
viso tondo e solare com’era stato a quindici anni, denti scheggiati
e vestiti chiari e tutto ciò che era giusto al mondo.
«Ciao!» Remus sospirò, facendo un passo indietro per consentire
l’ingresso di Grant. «Sono così felice di vederti!»
«Accidenti.» Grant gli diede una gomitata con il suo gomito mentre
entrava. «Se avessi saputo che avrei ricevuto questo tipo di
accoglienza mi sarei presentato settimane fa.» Stava in piedi al
centro del soggiorno, le mani sui fianchi, guardandosi intorno con
soggezione. Emise un fischio sommesso. «Ti tratti bene, eh? Molto
bella.»
«Sì, suppongo.» Remus si massaggiò la nuca.
Era un po’ disordinato e c’erano vecchi giornali e tazze di tè mezze
vuote dappertutto, per non parlare dei posaceneri traboccanti.
All’improvviso fu molto imbarazzato.

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«Per cosa hai un caminetto?» Grant ridacchiò. «Pensavo che questi
appartamenti moderni avessero tutti il riscaldamento
centralizzato.»
«Mmh.» Remus mormorò. «Tazza di tè?»
«Ovviamente.»
Remus andò in cucina e usò un po’ di magia senza parole per
affrettare il tutto, poi di portare le tazze in soggiorno, dove Grant
stava ispezionando la libreria. Sembrava stare così bene. I suoi
vestiti erano puliti ed eleganti: indossava persino una camicia che
aveva un ampio colletto e polsini floreali.
Remus gli diede il suo tè, e fece riordinò un po’ velocemente prima
di sedersi.
«Non posso credere che tu sia qui.» Disse lui.
Grant rise. «Nemmeno io ad essere onesti. È passato molto tempo,
eh?»
«Come sono andate le tue vacanze?»
«Oh, ehm...» Grant sembrò arrossire, le sue orecchie erano
diventate rosso ciliegia. «Era un po’ una bugia... semplicemente
non volevo portare sfiga.»
«Sfiga per cosa? Cosa hai fatto tutto questo tempo?»
«Io ehm... Senti, non ridere di me, va bene? Sto frequentando dei
corsi serali, sai i miei Livelli-O.» Abbassò lo sguardo.
«È geniale!» Disse Remus.
Grant lo guardò con cautela, come se aspettasse la battuta finale.
«Meglio tardi che mai, suppongo. Oggi ho sostenuto l’esame di
matematica CSE, a Russell Square. Maledettamente difficile, ma
credo di averlo fatto abbastanza bene per superarlo. Il fottuto
Pitagora era un coglione giusto, eh?»
Remus rise. «Ben fatto, però! Cosa ha provocato questo voglia di
conoscenza?»

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«Voler lavorare in un posto diverso da un pub, un giorno.» Grant
si strinse nelle spalle. «Scopare tutti quegli studenti mi ha aperto un
po’ gli occhi. Non voglio essere un fannullone per tutta la vita.»
«Non sei un fannullone.» Disse Remus fermamente e dandogli uno
sguardo severo.
«Be’, lo vedremo.» Grant fece un cenno con la mano, di nuovo
timido. «Dovrei riuscire a sistemare la mia matematica e il mio
inglese, e credo di aver fatto bene anche l’esame di inglese (dovresti
vedere la mia ortografia, è migliorata). Quindi sto pensando di
poter iniziare Livelli-A a gennaio. Voglio fare psicologia, credo.»
«Psicologia.» Disse Remus, in soggezione.
«Sì.» Ridacchiò Grant. «Ricky, uno degli studenti che stavo
vedendo, ha pensato che sarebbe stato meglio fare politica, ma ad
essere onesti ne ho abbastanza di Trotsky. Era un comunista.»
«Trotsky?»
«Ricky.»
«Giusto.» Remus sorseggiò il suo tè pensieroso.
Ognuno stava facendo le sue cose. Ognuno aveva una direzione e
un proprio piano. Ed ecco lui seduto a guardare, come al solito.
L’odio per sé stesso cresceva dentro di lui.
«Allora... Come sta Sirius?» Chiese Grant, educatamente.
«Bene. È uscito proprio ora. Ehm... Lezione all’università.»
«Bello. E... Tua madre? Come sta?»
«Sta morendo.» Remus grugnì.
«Peccato.»
Remus praticamente sputò fuori il suo tè, ridendo.
Grant sorrise. «Oi, hai sentito parlare del St Edmund’s?»
«Riguardo a cosa?» Remus aggrottò la fronte.
«Riguardo alla chiusura. L’ultima scuola approvata in Gran
Bretagna, a quanto pare. Ora sono tutte “case della comunità”.»
«Cosa è successo a tutti i ragazzi?»
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«Alcuni di loro sono stati mandati a Borstal. Il resto è stato
ricollocato. Lo stanno abbattendo, costruiranno appartamenti.»
«Buona liberazione.» Disse Remus cupamente.
«Brindo a questo.» Sbuffò Grant, alzando la sua tazza di tè.
Chiacchierarono ancora un po’. Grant non vedeva nessuno in
modo serio e non sapeva per quanto tempo sarebbe rimasto a
Brighton. Gli mancava Londra, ma sapeva che aveva bisogno di
risparmiare più soldi se voleva tornare indietro e doveva fare il
possibile. Era così diverso dall’ultima volta che Remus lo aveva
visto.
«Basta parlare di me, e tu? Anche tu all’università?»
«Non sto davvero facendo nulla.» Remus sospirò. «È difficile
trovare un lavoro in questo momento. Sono stato per lo più solo
qui.»
«Sei fortunato che hai questo posto, eh?» Grant fece un gesto,
raccogliendo la scatola delle sigarette sul tavolino e scuotendola.
Remus annuì e ne prese una anche lui.
«Sì, fortunato.» Disse cupo, mentre la accendeva.
«Devi uscire di più, tesoro.» Disse Grant sembrando serio.
«Che cosa?»
Grant si lamentò, soffiando fumo e guardando Remus su e giù.
«Guardati, miserabile idiota. Non sono cieco, sai. Rimani rinchiuso
qui dentro ad autocommiserarti, vero?»
«No, io non-»
«Remus.» Sospirò Grant scuotendo la testa. «Non mi sto
comportando in modo orribile, sto solo dicendo. Ricordi quando
ho lasciato St Edmund’s e ho vissuto in quella casa?»
«Sì...?» Remus avrebbe voluto dimenticarlo, ma eraun ricordo
impresso nella sua memoria: i materassi sporchi, le assi nude del
pavimento e l’umidità.

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«All’inizio pensavo che fosse fantastico: niente più scuola, niente
più Direttrice che mi diceva cosa fare, ero solo io che badavo a me
stesso.» Scosse la testa, increspando le labbra. «Mi piaceva
scappare. L’ho fatto tutto il tempo, anche quando ero bambino.
Scappare da mia mamma, da mio nonno (il coglione), da qualunque
posto le persone cercassero di tenermi dentro. E il fatto è che mi
hanno sempre lasciato. La Direttrice non ha mai chiamato la
polizia, la mamma non ha mai cercato di trovarmi. In realtà, sei
stata l’unica persona che abbia mai cercato di rintracciarmi.»
«Io...» Remus non lo sapeva.
«Non so come hai fatto.» Ridacchiò Grant grattandosi il mento.
«Forse hai una bacchetta magica o poteri magici. Ma mi hai trovato.
Due volte. Ci ho pensato molto, nell’ultimo anno.»
«Volevo solo assicurarmi che stessi bene.»
«Lo so, e l’hai fatto.» Grant sorrise dolcemente. «Questo è ciò che
mi ha stupito. Ecco questo ragazzo, questo ragazzo intelligente,
divertente e snob a cui frega di me, quando nessun altro lo ha mai
fatto. Mi ha fatto sentire come qualcuno di importante. Quindi ho
pensato che avrei fatto meglio a fare qualcosa di utile.»
Remus non sapeva cosa dire. Mise giù il tè.
«Ecco perché volevo aspettare che finissero tutti gli esami prima di
vederti.» Continuò Grant. «Anche se fallisco volevo dirti che l’ho
fatto. Sto cercando di essere migliore.»
«Non hai mai avuto bisogno di dimostrarmi niente.» Disse Remus
sinceramente.
«Lo so.» Annuì Grant. «L’ho fatto per me, davvero. L’ho fatto
perché scappare ed evitare tutte le cose che mi facevano sentire una
merda alla fine non serviva. Se vuoi che le persone pensino che ne
vali la pena, devi iniziare a comportarti come se così fosse.»
Remus rise senza allegria. «Sembra che tu stia già facendo
psicologia.»
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«Ho letto molto.» Ammiccò Grant. «Hai capito quello che ti dico,
allora?»
«Sì.» Remus sospirò. Fai qualcosa di utile. Smettila di deprimerti.
«Bene.» Grant disse allegramente. «Perché se non sei felice qui, ti
farò cambiare idea. Bell’appartamento, tanti libri, ragazzo
stupendo...»
Remus rise di nuovo e prese a calci lo stinco di Grant
scherzosamente. «Sta’ zitto.»
«Mai. Comunque è meglio che vada, ho un treno da prendere.
Tornerò tra un mese o giù di lì però, finché avrò i risultati di cui ho
bisogno.»
«Ce la farai.» Remus disse con sicurezza. «So che ce la farai.»
«Ciao. Chiamami presto, eh?»
Si abbracciarono alla porta e Remus lo guardò andare, saltellando
giù per i gradini due alla volta, fischiettando una melodia pop.
Remus si sentiva più leggero, le guance gli facevano male per il
sorriso. Chiuse la porta e guardò la stanza disordinata. Aveva voglia
di lavare i piatti, poi avrebbe potuto fare un salto nel negozio e
prendere qualcosa per cena. Sirius era stato fuori tutto il giorno; gli
avrebbe sicuramente fatto piacere tornare a casa e avere pronto un
pasto adeguato.
Domani, Remus avrebbe potuto iniziare bene tutto il resto. C’era
così tanto da fare.

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Inverno 1978-1979
Rows and flows of angel hair
And ice cream castles in the air
And feather canyons everywhere
I’ve looked at clouds that way

But now they only block the sun


They rain and snow on everyone
So many things I would have done
But clouds got in my way

Sabato 23 dicembre 1978


«Gesù Cristo.» Remus borbottò, aprendo gli occhi appiccicosi.
Armeggiò sul comodino alla ricerca del bicchiere d’acqua e lo trovò
vuoto. «Aguamenti.» Gracchiò, la mano della bacchetta che tremava.
Il bicchiere si riempì d’acqua e lui la inghiottì avidamente. Si rotolò
sulla schiena premendo i palmi delle mani sugli occhi, sperando di
alleviare il mal di testa che minacciava di iniziare a rosicchiargli il
cervello. Voltò leggermente la testa e si rivolse alla massa sotto il
piumone. «Sei sveglio?»
Ci fu una specie di brivido e un grugnito.
Remus fece un balzo. Faceva troppo caldo in camera da letto,
anche se era dicembre. Si alzò e andò alla finestra per aprirla.
Premette la fronte contro il vetro freddo e lasciò che l’aria fredda
gli passasse sulla pelle calda.
La sera prima erano stati al Paiolo Magico per un drink
prenatalizio. I Malandrini e Lily avrebbero passato il Natale dai
Potter, ma tutti quelli che lavoravano avevano terminato l’anno e

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Mary aveva suggerito di sfogarsi un po’ lontani dai membri più
anziani dell’Ordine della Fenice, per una volta.
Come per la maggior parte delle idee di Mary, era stato un vero
divertimento. Marlene era arrivata e aveva portato con sé Yaz, che
stava visitando i McKinnon perché la sua famiglia non festeggiava
il Natale. Frank e Alice erano passati a salutare, e Sirius e James
avevano insistito per prendere un drink a ogni giro. Dopo gli ultimi
ordini, quelli ancora in piedi si erano ammucchiati in un taxi per
tornare all’appartamento di Remus e Sirius, dove potevano non
aver latte o pane, ma il bar era sempre completamente rifornito.
Dopodiché tutto diventò un po’ sfocato, Remus aveva la terribile
sensazione che lui e Lily avessero iniziato a cantare canti natalizi
babbani ad un certo punto.
Gemette forte. «Perché mi hai lasciato bere così tanto?!»
«Oi, non incolpare me!» Lily apparve all’improvviso, i suoi soffici
capelli rossi sporgevano come un dente di leone mentre emergeva
da sotto il piumone.
Remus sobbalzò, girandosi di scatto. Avvolse le braccia intorno a
sé stesso in modo protettivo. «Cazzo, Evans. Cosa ci fai qui?!»
«Non sono riuscita a convincere James ad andarsene.» Sbadigliò.
«E non sarei potuta andare a dormire sul divano perché avevano
iniziato a costruire un fortino.»
«Questa è la seconda volta che ti presenti nella mia camera senza
preavviso, Evans. La gente parlerà.» Remus cercò una maglietta.
«E la seconda volta ti becco in mutande.» Rise. «Oh torna qui, è
ancora presto.»
Lo fece, ma solo perché la stanza era fredda adesso e non aveva
voglia di scoprire cosa avevano fatto James e Sirius in soggiorno.
Indossando la maglietta, si trascinò indietro sotto il piumone e Lily
gli avvolse le braccia intorno alla vita, i suoi lunghi capelli gli

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solleticarono il mento, come facevano quelli di Sirius. Le accarezzò
la spalla. Era così carina e piccola.
«Credi che se avessi accettato di uscire con te al quarto anno, questa
sarebbe la nostra vita?» Chiese Remus in modo colloquiale.
«Oh Dio.» Gemette coprendosi gli occhi con le dita. «Devi proprio
ricordarmelo?!»
Rise. «Non so perché sei imbarazzata, ero io quello ignaro.»
«Ho avuto una tale cotta per te!»
«Shh.» Ridacchiò. «James ha impiegato settimane per perdonarmi,
ho dovuto giurare sotto siero della verità che non avevo intenzioni
nefaste nei tuoi confronti.»
«Quell’idiota. Lo amo.»
«Mmh.»
«Sono così felice che sia Natale.» Sospirò. «Abbiamo tutti bisogno
di una pausa, no?»
«Sì.»
«Dovrei fare le valigie oggi, poi stasera vado dai genitori di James.
Ci sarai?»
«Sirius potrebbe esserci.» Disse Remus. «Sto visitando più spesso
mia madre. Sai che è... ehm. Adesso è all’ospizio.»
«Oh, certo!» Lily gli diede una stretta. «Scusa amore. Come sta lei?»
«Non credo che si aspettassero che lei arrivasse fino a Natale. Ma
tiene duro.»
«Oh Remus.» Lily sospirò tristemente.
«Va tutto bene.» Remus si allontanò, decidendo che poteva anche
alzarsi dopo tutto. «Bene. Ho bisogno di una tazza di tè e una
sigaretta.» Disse alzandosi dal letto e infilandosi i jeans.
«Ugh, voi due avete davvero bisogno di smettere di fumare.» Disse
Lily mettendosi a sedere. «Questo piumone puzza.»
«Non dirmi che non hai mai provato una sigaretta post-sesso,
Evans.» Remus le fece l’occhiolino e si diresse verso la porta.
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«Post-ses-?... Oh mio dio, Remus!»
Stava ancora sorridendo tra sé quando entrò nel soggiorno, che
sembrava fosse stato colpito da una bomba. Il divano era stato
spostato al centro della stanza per qualche motivo e i cuscini
rimossi. James dormiva profondamente, sdraiato su quello che
sembrava un gigantesco materasso color crema sul pavimento.
Sirius era rannicchiato ai piedi di James con uno dei maglioni di
Remus arrotolato sotto la sua testa.
Remus entrò in cucina accendendo il bollitore. Ogni superficie era
appiccicosa per via qualcosa di dolce e alcolico, c’erano tazze e
bicchieri ovunque, alcuni mezzi pieni e alcuni con dentro sigarette
fumate a metà. Remus fece una smorfia e sentì il suo stomaco
contrarsi, così aprì una finestra per l’aria. Non voleva davvero
essere malato, se poteva evitarlo.
Mary aveva scritto “Buon Natale, traditori di sangue!” Sullo
sportello del frigorifero con un allegro rossetto rosa, con tre grandi
“X” sotto. Trascorreva il resto del Natale in Giamaica, era la prima
volta che andava a visitare il paese d’origine dei suoi nonni. Remus
ne era contento. Il Natale non era stato un bel periodo per quanto
riguardava la guerra, e avere Mary il più lontano possibile dal
pericolo lo faceva sentire un po’ meglio.
Non era entusiasta di fare il Natale dai Potter, anche se si sentiva
in colpa anche solo a pensarlo. Sirius non avrebbe mai preso in
considerazione l’idea di trascorrere le vacanze da nessun’altra parte,
quindi ovviamente Remus l’avrebbe accettato. Non aveva niente a
che fare con i coniugi Potter, che erano stati i migliori per lui di
qualsiasi vera famiglia che avesse mai avuto, era la guerra e
l’Ordine, e il maledetto Moody che sicuramente sarebbero stati lì
anche loro.
«Quello è il bollitore?» Sirius gemette dal soggiorno.
«Sì.» Remus rispose. «Dammi due secondi.»
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«Sei un eroe tra gli uomini, Moony.» Disse James quando Remus
arrivò in soggiorno con un vassoio di tazze di tè e latte.
«Oh, lo so.» Remus annuì sorseggiando dalla sua tazza. Si appollaiò
sul bracciolo del divano. «Che cazzo hai fatto ai miei mobili?»
«Fantastico, non è vero?» Sirius gli sorrise, a gambe incrociate sul
gigantesco cuscino del divano. «Idea di Prongs, abbiamo fatto un
incantesimo di ingozzamento.»
«Possiamo aiutarvi a mettere a posto?» Chiese Lily uscendo dalla
camera da letto. Prese una tazza di tè e si sedette accanto a James,
appoggiandosi assonnata alla sua spalla.
«Prima la colazione.» Disse Remus, velocemente. «Fritto?»
«Fritto.» Erano tutti d’accordo all’unisono.
Andarono al bar più vicino e ordinarono inglese completo,
dopodiché tutti si sentirono molto più preparati per affrontare la
giornata. Dopo colazione, Sirius, Lily e James iniziarono a
riordinare l’appartamento, mentre Remus (su insistenza di Sirius)
si preparava per visitare Hope.
Non indossò un abito, sarebbe stato eccessivo anche a Natale, ma
fece uno sforzo; stirò la sua camicia da nonno più pulita e indossò
una giacca di velluto a coste marrone che aveva comprato al
mercato di Portobello. Si era persino lucidato le scarpe.
Sirius si era offerto di andare con lui ma Remus preferiva andare
da solo. Sarebbe stato più facile se avesse avuto il tempo di
elaborare le sue conversazioni con Hope in privato, cosa che
sperava che Sirius capisse. Comunque nessuno voleva rimanere
bloccato seduto in un edificio pieno di persone morenti due giorni
prima di Natale.
Lo stesso Ospizio era dall’altra parte di Cardiff. Non sembrava
molto diverso dall’ospedale, tranne che le stanze erano private e
arredate con un po’ più di cura. Adesso aveva fiori freschi ogni
giorno, il che era carino. Remus aveva portato una stella di Natale,
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perché Lily gli aveva detto che erano natalizie, e Hope non
mangiava più cibi solidi, quindi i cioccolatini sarebbero stati fuori
luogo.
Qualcuno aveva avvolto orpelli d’oro e d’argento attorno al telaio
del suo letto e aveva attaccato alle pareti cartoline natalizie. Ce
n’erano così tante che sembrava avesse uno speciale sfondo
festivo.
«Ha detto che se arrivavi mentre dormiva dovevi svegliarla subito.»
Disse l’allegra infermiera di turno.
«Grazie, la sveglierò.» Remus sorrise.
Sua madre giaceva sonnecchiando dolcemente nel suo grande letto
d’ospedale. Si chiese quanto fosse alta in piedi, doveva essere
abbastanza piccola sulla base delle foto che aveva di lei con Lyall e
di quanto erano minuscole le sue mani. L’aveva sempre vista
sdraiata e ora si rendeva conto che forse non l’avrebbe mai vista in
nessun altro modo.
Le toccò la mano delicatamente, stringendola con le dita. Le sue
palpebre sbatterono e si accigliò, il dolore evidente sul suo viso.
Voltò la testa e lo vide, subito la sua fronte si levigò.
«Ciao mio caro.» Disse con voce spessa, come se la sua bocca fosse
piena di cotone idrofilo.
«Buon Natale, mamma.» Disse sedendosi.
«Nadolig llawen.» Disse in un pulito gallese terroso.
«Come stai?»
«Meglio ora che ti ho visto.» Sorrise. «Sono così felice che tu sia
venuto.»
«Ovviamente l’ho fatto.» Disse sinceramente. «È Natale.»
Non si era parlato della sua visita il giorno stesso di Natale.
Avevano entrambi aggirato la questione e Remus pensava che
volesse trascorrerlo con la sua vera famiglia.
Chiese ora, però.
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«Dove sarai? A casa con Sirius?» Era strano sentirla pronunciare il
suo nome, con la sua morbida “r” rotolante.
«Dai genitori del nostro amico.» Rispose. «I Potter. Hai incontrato
la signora Potter una volta, mi ha detto Euphemia.»
«Non mi ricordo.» Scosse la testa. «Ti inviterei qui, ma non sarà
molto divertente per te, temo.»
«Qualunque cosa ti faccia piacere, mamma.» Disse, sperando di
non sembrare deluso.
«Sarai più felice con i tuoi amici.» Disse, come a sé stessa.
«Il signor Potter conosceva Lyall.» Remus pungolò un po’ più
forte, volendo parlare di qualcosa di più sostanziale. «Lavoravano
insieme al Ministero e qualche volta andavano al pub e James, loro
figlio, è nato a marzo proprio come me-»
«Non ricordo.» Disse Hope, questa volta con più forza. «Mi
dispiace Remus, no. Lyall teneva queste cose separate. Spesso è
meglio così, imparerai.»
Ci aveva pensato. Pensò a quanto poco avesse saputo dei suoi
genitori per la maggior parte della sua vita e quanto poco avesse
saputo di sé stesso come risultato. Pensò a Sirius e a come
litigavano sempre perché Remus non era abbastanza aperto.
Quanto aveva ferito le altre persone mantenendo i segreti, anche
quando stava cercando di proteggerli.
«Non sono d’accordo.» Disse semplicemente. «Non credo sia bene
nascondere le cose tutto il tempo.»
«Beh.» Hope disse. Lei distolse lo sguardo e ritirò la mano dalla sua.
Remus si rese conto che era irritata nei suoi confronti. Era una
sensazione strana, era la prima nella loro relazione. Non era sicuro
di come reagire. Se l’avesse conosciuta per tutta la vita allora
avrebbe saputo cosa fare, sarebbe stata come una vecchia abitudine
litigare con sua madre. Il suo umore aumentava più ci pensava: era

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tutta colpa sua, le sue stupide emozioni deboli, la sua totale
incapacità di stare bene con le altre persone, ed eccola lì a evitarlo.
Voleva la sua attenzione e conosceva solo un modo per ottenerla.
«La signora Potter, la mamma di James, è fantastica.» Disse. «Lei
prepara le migliori torte di carne macinata di sempre e una cena di
Natale completa. Mi fa sempre un regalo, anche se non sono suo
figlio.»
Hope increspò le labbra, ma continuò a non alzare lo sguardo.
«Sembra carina.» Disse con un filo di voce.
Remus continuò ad arare. «Sì, James è davvero fortunato. Non
avevo mai avuto nemmeno un vero Natale fino a quando non sono
andato dai Potter.»
«Sì che l’hai avuto!» Lei lo guardò all’improvviso e lui vide la
propria rabbia riflessa nei suoi occhi. «Lo hai avuto!» Disse.
«Abbiamo passato dei bei Natali quando eri piccolo!» Lo fissava
come se fosse pazzo, come se fosse lui a stare male, non lei. «Non
ricordi l’albero con l’angelo d’oro e il presepe? Pensavo avessi
ingoiato il bambino Gesù un anno, ma lo avevi messo sotto il
cuscino, perché ti avevo parlato del cattivo vecchio re Erode e
volevi tenerlo al sicuro. Eri così dolce. Ti abbiamo comprato quel
cavallino per hobby e il set della fattoria: hai adorato il set della
fattoria, i piccoli maialini rosa, li trovavo sempre in giardino. E le
marionette e il carro armato dell’esercito, ricordi il tuo carro
armato? Ho detto a Lyall che eri troppo giovane e che eri un
ragazzo sensibile, non mi piaceva che tu giocassi alle guerre, ma lo
amavi e papà lo faceva muovere con la sua magia, e ci chiacchieravi
insieme per ore...» Si interruppe, chiaramente sconvolta.
Remus la guardò a bocca aperta. «Non ricordo niente di tutto
questo, mamma.» Egli disse. Cercò di nuovo la sua mano e la
strinse. «Però vorrei ricordarlo. Sembra bello.»

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«Pensavo a te ogni anno.» Disse in lacrime e con la voce tremante.
«Ogni notte accendevo la candela dell’avvento e pensavo a te,
Remus, e parlavo di te... Parlavo anche a Siân di te.»
Scattò sull’attenti. Lo stava osservando con cautela, come se avesse
paura che potesse scatenarsi. Consapevole di questo, mantenne la
sua voce uniforme. «Potresti parlarmi un po’ di Siân?»
Hope si morse il labbro. Sembrava così esausta per il dolore, i
farmaci e il fottuto cancro che stava iniziando a sentirsi in colpa.
Ma erano quasi fuori orario.
«Ha otto anni.» Disse infine. «Compirà nove anni a febbraio.»
«E lei è la figlia che hai avuto con... con Gethin?» Chiese Remus,
sentendosi come se tutta l’aria avesse lasciato la stanza.
Hope annuì chiudendo gli occhi. Le lacrime le sgorgarono sotto le
ciglia, scendendole lungo le guance. «Non mi sono mai risposata,
non dopo Lyall. Ma mi sono innamorata. Ho avuto la mia Siân.»
«Solo Siân?»
Annuì di nuovo.
Remus aggrottò la fronte. «Quando sono venuto a trovarti per la
prima volta, l’infermiera ha detto che parlavi sempre dei tuoi figli,
pensavo che ne avessi più di uno.»
«Sì.» Lo guardò perplessa, sbattendo le palpebre tra le lacrime. «Tu
e Siân.»
«Oh.» Si sentiva terribile. Per tutto questo tempo aveva pensato di
essere uno dei terribili segreti di Hope.
«Non mi sono mai vergognata.» Disse, una nota di sfida entrò nella
sua voce. «Non del mio adorabile ragazzo. Mai.»
«Mamma...» Si sentiva come se fosse stato preso a pugni allo
stomaco. Anche lui stava piangendo all’improvviso, e le strinse
disperatamente la mano.

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«Vieni qui.» Lei allungò la mano verso di lui e lui si alzò per sedersi
con cautela sul bordo del letto, sporgendosi in modo che lei
potesse avvolgerlo con le braccia.
Appoggiò la testa sulla sua spalla, cercando di non mettere troppo
peso sul suo fragile corpo, ma lei era più forte di quanto lui credesse
e lo tenne stretto.
«Mi dispiace, mamma.» Disse, le sue parole soffocate dalla sua
morbida camicia da notte. Odorava di borotalco e lavanda, e di
famiglia.
Gli accarezzò i capelli. «Non hai niente di cui scusarti, tesoro. Ti
amo.»
«Anch’io ti amo.» Pianse.

I’ve looked at clouds from both sides now


From up and down, and still somehow
It’s cloud illusions I recall
I really don’t know clouds at all

Moons and Junes and Ferris wheels


The dizzy dancing way you feel
As every fairy tale comes real
I’ve looked at love that way

But now it’s just another show


You leave ‘em laughing when you go
And if you care, don’t let them know
Don’t give yourself away

Rimase all’Ospizio più a lungo del solito e quando si materializzò


davanti al cancello dei Potter era esausto. Si sentiva come un panno
strizzato e steso su uno stendino; debole, nudo e vuoto.
72
James dovette interrogarlo sulla porta: adesso era una cosa
quotidiana.
«Quale film abbiamo visto nell’estate del 1974?»
«Il grande Gatsby.» Rispose cupo.
James vide l’espressione sul suo viso e si fece subito da parte.
«Tutto bene, Moony?» Chiese, mettendo una mano sulla spalla di
Remus.
«Sì.» Annuì Remus, sperando di sembrare stanco. «Non voglio
essere scortese, ma andrebbe bene se andassi a letto? Uhm. Di’ ai
tuoi genitori che mi dispiace davvero, sto solo...»
«Sì. Certo, amico!» James disse con entusiasmo. «Sali, gli dirò che
sei esausto.»
«Grazie.» Remus sorrise.
Salì le scale familiari per andare a letto. Sperava davvero che alla
signora Potter non dispiacesse; sarebbe stato bene la mattina dopo,
ma in quel momento non era sicuro che i suoi nervi avrebbero
potuto sopportare di vederla. Anche lei lo aveva sempre
abbracciato, ed essere abbracciato da una madre in un giorno era
più o meno quanto poteva sopportare.
Ovviamente, non passò molto tempo prima che Sirius facesse
capolino dalla porta della camera da letto.
«Ti lascio stare, se vuoi.» Disse portando un vassoio carico di
formaggio, sottaceti, prosciutto, cracker e le famose torte di carne
macinata della signora Potter. «Ho solo pensato che avresti potuto
avere fame.»
«Sto morendo di fame.» Gli sorrise Remus. «Grazie.»
Sembrando molto soddisfatto di sé stesso, Sirius attraversò la
stanza con più sicurezza e posò il vassoio sul letto in mezzo a loro.
Rimasero seduti in silenzio per un po’, a gambe incrociate sul
copripiumino, Remus mangiava e Sirius che fingeva di non

73
guardarlo. Quando ebbe finito, Sirius prese il vassoio e Remus si
sdraiò, allungando gli arti doloranti.
«Devo andare?» Chiese Sirius.
«No.» Disse Remus. «Solo... Non aspettarti troppo, okay?»
«Okay.» Si sdraiò accanto a Remus, sulla schiena.
«Come vanno i postumi della sbornia?» Chiese Remus, ricordando
lo stato in cui erano stati tutti quella mattina.
«Bene.» Sirius sbuffò. «Evans e le sue pozioni.»
«Perfetto.»
Remus chiuse gli occhi, lasciando che gli eventi della giornata si
stabilissero nella sua mente. Era bello avere Sirius lì, decise. Stare
da solo poteva essere davvero orribile. Se solo ci fosse stato un
modo per esprimerlo senza che risultasse sbagliato.
«Ho una sorella.» Disse finalmente. «Ha otto anni.»
«Wow.»
«Mmh.» Prese la mano di Sirius e la tenne. «Le ci sono voluti mesi
per dirmelo. Dio sa cos’altro non so. Vorrei che avessimo più
tempo insieme.»
Sirius gli strinse la mano in modo comprensivo.
Remus si leccò le labbra, preparandosi per il momento successivo.
«Vorrei che avessimo più tempo, ma anche... vorrei anche che
fosse più aperta. Fa davvero male, sapere che ci sono parti di lei
che tiene private.»
«Ah sì?» Sirius stava facendo un ottimo lavoro nel mantenere la
calma, se Remus non fosse stato così triste sarebbe stato comico.
«Sì.» Disse lui. Si voltò a guardare Sirius e Sirius si voltò a sua volta.
«Quindi mi dispiace.» Disse Remus nervosamente. «Se mai ti
dovessi far sentire in quel modo.»
«Moony-»
«È solo che mi preoccupo.» Disse Remus velocemente. «Che non...
Se sapessi alcune cose...»
74
«Non c’è niente che potresti dirmi che cambierebbe il modo in cui
mi sento nei tuoi confronti.» Disse Sirius.
Remus rimase senza parole a questo ma era una bella sensazione.
Una sensazione felice, anche considerando le circostanze. Non
poteva più guardare Sirius, quindi rotolò su un fianco.
Fortunatamente Sirius sembrò capire e seguì l’esempio, coprendo
il corpo di Remus con un braccio.
Remus inspirò lentamente. «Sai quella missione che ho fatto in
estate? È andata davvero male.» Disse sentendo il peso già
sollevarsi.
«Intuivo fosse successo qualcosa.» Disse Sirius. «Vai avanti.»
«Io... Ti ricordi come sono diventato, l’ultima volta che c’erano lupi
mannari nelle vicinanze? Tipo... davvero invadente e che non
pensavo a niente? È successo di nuovo. Nessuno si è fatto male,
ma sono abbastanza sicuro che Danny pensi che io sia
pericolosamente arrabbiato adesso.»
«Non è successo anche lui?»
«Penso che debba averlo sentito. Ma abbiamo reagito
diversamente. Ho preso il comando. Non apposta, sembrava
naturale in quel momento.»
«Questo ha senso.» Disse Sirius. «È quello che fai nelle lune piene,
dobbiamo lasciarti essere il leader.»
«Sì, non l’avevo pensato in questo modo.»
«Allora... Se nessuno si è fatto male, cosa è successo?»
«Uno dei lupi mannari aveva cercato di attaccarmi, ma l’ho
sopraffatto.» Remus disse. «Avrei dovuto ottenere informazioni,
ma tutto quello che ho fatto è stato irritarli.»
«Cosa ne ha detto Moody?»
«Era... criptico. Non credo che fosse arrabbiato. Mi ha chiesto se
mi dispiaceva andare da solo la prossima volta, senza Danny. Ma

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non mi ha mandato in altre missioni, non vere, e ora sono passati
mesi...»
«Devono tenerti al sicuro per qualcosa.» Sirius disse. «So che lo
faranno, James continua a dire a Frank e Alice quanto sei bravo
nella magia difensiva, e loro dicono solo che non possono fare
nulla senza un ordine da qualcuno sopra di loro.»
«Può essere.» Remus sospirò.
«Ha davvero detto che dovevi andare da solo la prossima volta?»
«Non ha detto che dovevo... mi ha solo chiesto se mi dispiaceva. E
non credo ci sia altro modo; Danny non lavorerà più con me, era
troppo spaventato. Quindi suppongo di sì, la prossima volta sarò
solo io.»
Le braccia di Sirius si strinsero attorno a Remus. «Odio questa
cosa.»
Remus non aveva una risposta e Sirius non sembrava cercarne una,
quindi rimasero sdraiati così in silenzio per un po’, finché Remus
non si addormentò.

Santo Stefano 1978


Come aveva predetto Lily, il giorno di Natale del 1978 fu una
gradita pausa dai guai di tutti. Infatti, forse perché era stato un anno
particolarmente difficile, Remus ricordava sempre quel Natale
come uno dei più piacevoli e felici che avevano passato insieme.
Il signore e la signora Potter stavano rallentando un po’, Euphemia
disse che non era in grado di ospitare una grande festa come faceva
di solito e che comunque il Ministero aveva messo in guardia
contro i grandi raduni sociali. Il signor Potter dovette essere chiuso
fuori dal suo studio (James e Sirius gli rubarono la chiave) ma vide
il lato divertente e si unì ai festeggiamenti con tutto il cuore.

76
Remus notò che quell’anno erano davvero James e Lily ad essere i
padroni di casa. Avevano organizzato la maggior parte della cucina,
delle decorazioni e della scrittura dei biglietti; inoltre si
assicuravano che tutti bevessero sempre, che si giocasse a tutti i
soliti giochi di Natale e che la casa fosse sempre piena di gioia.
Per quanto riguardava i regali, erano tutte le solite cose: dolci, noci
e frutta candita, calzini e biancheria intima nuovi, un paio di pigiami
da parte di Lily per scherzo («Così smetto di beccarti in mutande!»)
e un luccicante nuovo paio di Dr. Martins da Sirius.
Sorprendentemente quell’anno Remus ricevette anche un regalo da
Grant e si sentì in colpa per non avergliene fatto uno anche lui.
Rise quando lo aprì: un’agenda. Grant aveva scritto il suo indirizzo
e numero di telefono sulla prima pagina e sul retro, dove c’erano
gli appunti avevano scritto il titolo: “Propositi per il nuovo anno: 1.
Fermati e annusa le rose”.
Il giorno di Natale era passato e finito, James e Lily si stavano
dirigendo dagli Evans per Santo Stefano, James temeva quel
momento: aveva incontrato la sorella di Lily già due volte, e non
era riuscito a impressionarla in nessuna delle due occasioni. Quindi
Sirius e Remus tornarono da soli a casa per stabilirsi e prepararsi
per il nuovo anno. A Sirius piaceva piuttosto l’idea di ospitare la
sua festa e Remus era pronto a cedere, a patto che invitassero solo
persone che conoscevano.
«In quanti pensi che possiamo stare in questo appartamento
comunque?» Chiese Remus mentre aprivano la porta. «Non è che
abbiamo una sala da ballo, c’è solo un divano!»
«Dovremmo attraversare la cucina, tenere tutto a posto.» Rispose
Sirius, mentre entravano. Il telefono stava squillando e lui andò a
rispondere. «Pronto?» Si accigliò, poi porse il telefono a Remus.
«Per te, credo?»

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Remus gli prese il ricevitore. Ovviamente era per lui, Sirius non
conosceva nessuno che potesse usare un telefono.
«Pronto?»
«Pronto? Lei è Remus Lupin?» Era un uomo con una voce
profonda e un ampio accento gallese. Le viscere di Remus si
raffreddarono, e si sedette sul bracciolo del divano, tenendosi in
equilibrio.
«Sì, è giusto...»
«Ah bene. Ehm, il mio nome è Gethin Rees.»
Remus deglutì, e trovò la gola secca. «Lei è... Se n’è andata, non è
vero?»
Ci fu un lungo silenzio all’altro capo del telefono, e Remus iniziò a
piangere.
Alla fine, Gethin parlò, la sua stessa voce suonava molto ruvida.
«Mi dispiace, ragazzo. Mercoledì prossimo c’è il funerale.»

I’ve looked at love from both sides now


From give and take, and still somehow
It’s love’s illusions I recall
I really don’t know love at all

Tears and fears and feeling proud


To say “I love you” right out loud
Dreams and schemes and circus crowds
I’ve looked at life that way

But now old friends are acting strange


They shake their heads, they say I’ve changed
Well something’s lost, but something’s gained
In living every day.
78
Mercoledì 3 gennaio 1979
Remus sospirò, fissando fuori dalla finestra della loro camera da
letto guardando le gocce di pioggia che scivolavano sul vetro.
Quando era un bambino e pioveva si sedeva sul davanzale più
grande che riusciva a trovare a St Edmund’s e sceglieva due
goccioline, poi fingeva che stessero correndo verso il fondo del
vetro. Un’idea che aveva avuto da una poesia, forse gliel’aveva letta
Hope e adesso l’aveva dimenticato.
Pioveva sempre ai funerali nei film. Questo fenomeno era
chiamato “pathetic fallacy”, Remus ne aveva letto in un vecchio
libro di testo inglese di primo livello. Ovviamente se facevi un
funerale in Galles a gennaio le probabilità di pioggia erano
estremamente alte. Era una cosa strana di cui essere contenti, ma
sembrava appropriato. Una giornata di sole sarebbe stata
intollerabile.
«Pronto?» Chiese Sirius molto gentilmente ed entrando nella
stanza.
Remus lo guardò sentendosi insensibile, e annuì.
Sirius era bellissimo in un completo nero, i capelli raccolti
all’indietro. Remus si sentiva trasandato sebbene fossero vestiti in
modo identico, Sirius indossava solo vestiti migliori. Remus
avrebbe voluto tagliarsi i capelli corti per farli sembrare più
ordinati, ma era stato convinto a non farlo alla fine. Tuttavia c’era
l’impulso di fare qualcosa di drastico.
«Prenditi il tuo tempo.» Disse Sirius. «Abbiamo circa un’ora.»
Remus annuì di nuovo.
La funzione avrebbe dovuto iniziare alle undici, ma Gethin aveva
detto che se voleva venire prima e salutare le persone in lutto, allora
era il benvenuto. Remus non ne era ancora sicuro.
Sirius chiuse la porta della camera da letto e andò a sedersi accanto
a lui. Gli tenne la mano e guardò anche fuori dalla finestra.
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«Sei mai stato ad un funerale prima?» Chiese Remus finalmente.
«Quello di zio Alphard.» Rispose Sirius. «Ero piccolo, però. Avevo
nove o dieci anni. Non lo ricordo. Non ho mai... perso nessuno
vicino a me.»
«Mmh.» Remus inclinò la testa continuando a guardare le gocce di
pioggia contro il cielo grigio. «Non so se conoscevo Hope così
bene. Non la conoscevo nemmeno da un anno intero.»
«Non credo che importi.»
«Nemmeno io.» Remus chinò la testa.
Non aveva intenzione di piangere di nuovo, non pensava di poterlo
fare. All’inizio era stato bello, una grande ondata di emozioni. Ma
da allora, niente. Solo un vuoto e una sensazione di vuoto che non
aveva mai provato prima.
Sirius gli strinse di nuovo la mano. «Sarò con te tutto il tempo.»
Remus lo guardò e sorrise debolmente. «Grazie. Okay, penso di
essere pronto.» Si alzò, entrando finalmente in azione. «Oh merda!»
Disse schiaffeggiandosi la fronte. «I fiori! Padfoot, ho dimenticato
di raccogliere i dannati fiori!»
Sirius gli mise una mano sulla spalla. «Li faremo prendere da
Wormtail, lui li ha. E Lily ha l’indirizzo della chiesa, quindi non ci
perderemo. Prongs ha il cibo per la veglia, sua madre ha mandato
alcuni pasticcini di carne e involtini di salsiccia, e ho sistemato gli
ombrelli. Tutto quello che devi fare è smaterializzarti. Tutto il resto
è sistemato, va bene?»
Sopraffatto, Remus lo afferrò e lo abbracciò forte. «Grazie.» Disse.
Sirius lo abbracciò di nuovo. «Qualsiasi cosa per il nostro Moony,
eh?»
Remus sorrise respirando tra i capelli di Sirius. Le parole gli
balzarono in testa quasi dal nulla e finalmente fu facile a dirle.
«Sirius?» Sussurrò, continuando a tenerlo stretto.
«Sì?»
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«Ti amo.»
Sirius gli baciò la guancia, sbuffando una risata sommessa, che
suonò come un sollievo. «Anch’io ti amo.»
Entrarono in soggiorno mano nella mano. Anche James e Peter
erano in giacca e cravatta, e Lily in un semplice vestito nero, i suoi
capelli solitamente vibranti raccolti in una crocchia. Portava un
enorme mazzo di fiori. Tutti fecero a Remus sorrisi cauti e
comprensivi a cui ormai si stava abituando. Annuì a tutti loro, con
gratitudine.
«Bene.» Sirius disse prendendo il comando. «Facciamolo.»
Era una piccola chiesa del villaggio, appena fuori dalla città natale
di Hope: era il luogo in cui era stata battezzata e, se avesse sposato
un babbano, sarebbe stato il luogo in cui ci sarebbe stato il
matrimonio. Remus sapeva dalle loro brevi conversazioni che
Hope non era mai stata particolarmente religiosa ma che la sua
famiglia apparteneva alla Chiesa in Galles, quindi era andata avanti
per amore della tradizione.
Era un edificio molto carino, o almeno lo sarebbe stato se non
avesse piovuto così forte. Era di un granito grigio tenue, con un
campanile a punta, vetrate semplici ma graziose. Come una chiesa
in un libro illustrato. Il cimitero era pieno di antiche lapidi e croci
di pietra, ma Hope sarebbe stata cremata, seguendo i suoi desideri.
I Malandrini e Lily si avvicinarono lentamente, risalendo il sentiero
fradicio per unirsi al gruppo di persone in lutto riunite sulla soglia.
Remus individuò subito Gethin; era in piedi appena dentro il
portico e stringeva la mano ad ogni partecipante mentre entravano.
Era un uomo alto, come Lyall, ma non così snello. Aveva i capelli
scuri, folte sopracciglia nere e un mento piuttosto debole.
Sembrava completamente distrutto e Remus fu immediatamente
meno nervoso all’idea di incontrarlo.

81
Lily, James e Peter rimasero indietro, cercando un posto dove
mettere tutto il cibo che avevano portato per la veglia, che avrebbe
dovuto essere nella sala della chiesa sul retro. Remus e Sirius
aspettarono silenziosamente il loro turno per entrare.
«Salve.» Disse Gethin alzando appena lo sguardo mentre Remus si
avvicinava. «Grazie per essere venuto...»
«Sono Remus.» Disse Remus, stringendo la mano offerta.
Gethin alzò subito lo sguardo, sbattendo le palpebre. Erano
all’altezza degli occhi.
«Remus.» Gethin gli strinse debolmente la mano, i suoi occhi scuri
lo scrutarono. «Hope mi ha sempre parlato di te. È un peccato che
ci incontriamo in questa occasione.»
«Sì.» Remus annuì.
Rimasero in piedi goffamente per un po’, solo guardandosi l’un
l’altro, prima che Gethin riprendesse i sensi.
«Entra.» Disse gesticolando. «Tua madre voleva che tu sedessi in
prima fila, ma dipende da te...»
«Grazie.» Remus annuì di nuovo.
«Ci vediamo dopo, eh?» Gethin gli diede una pacca sulla spalla.
«Sì. Bene.» Disse Remus, consapevole di parlare solo con poche
sillabe.
Alla fine Sirius dovette spingerlo verso la chiesa, poiché sembrava
aver dimenticato come muoversi. Si fecero strada lentamente verso
il davanti e si sedettero. Remus poteva sentire le persone che
bisbigliavano di lui; alcuni di loro sapevano chi fosse e la reazione
fu mista.
Li ignorò. Era lì per Hope e nessun altro.
La funzione stessa era confusa e lui ascoltava a malapena. Si limitò
a fissare il leggio a forma di aquila e cercò di evocare un ricordo
decente di sua madre.

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Non avevano cantato un inno, avevano invece suonato una
canzone di Joni Mitchell. Hope non aveva mai menzionato Joni
Mitchell a Remus, ma supponeva che avesse significato qualcosa
per lei. Quello era un pensiero doloroso. Avevano avuto così poco
tempo. Non era giusto.
Siân era lì, ovviamente. Remus la riconobbe subito, era l’unica
bambina presente. Era vestita con un abito color crema con una
fascia di raso nero e teneva la testa sepolta in grembo a una vecchia
che Remus non conosceva, presumeva che fosse la madre di
Gethin, la nonna di Siân.
Pianse per tutto il tempo, e per qualche ragione questo fu
confortante per Remus. Hope doveva essere stata una madre
meravigliosa.
In seguito le gambe di Remus divennero di piombo, era radicato
sul posto. Non si era alzato con il resto della famiglia per uscire
(non c’era nessuna bara da seguire, il suo corpo era già al
crematorio), ma aspettò che la chiesa si liberasse. Sirius restò ad
aspettare con lui.
Quando la chiesa era quasi vuota, gli sussurrò. «Stai bene?»
Remus annuì.
Sirius gli toccò leggermente il ginocchio, ma non di più. «È stato
davvero triste. Va bene se sei stanco e vuoi tornare a casa.»
«No, va bene.» Remus scosse la testa. «Dovrei andare. Ho detto a
Gethin che l’avrei fatto. Solo, altri cinque minuti?»
Alla fine dovettero andarsene, il custode voleva rimettere in ordine.
La sala della chiesa era molto piccola e piena zeppa di persone ed
emozioni della gente. Alcuni di loro ridevano e ricordavano. Altri
avevano ancora il naso rosso e i volti cupi. Era una piccola stanza
grigia, che aveva bisogno di essere ristrutturata; le assi del
pavimento in alcuni punti si scheggiavano, c’erano bacheche

83
dedicate ai disegni dei bambini che vi frequentavano la scuola
domenicale e un’altra per la truppa scout locale.
Tre tavoli a cavalletto gemevano sotto il peso del cibo che le
persone avevano portato: pile di panini, torte di carne, patatine,
spiedini di formaggio e ananas, torta di frutta, avanzi di tacchino al
curry, fette di prosciutto e altri affettati. Era un funerale a secco e
un’anziana signora in un angolo stava servendo deboli tazze di tè
al latte. Per una volta nella sua vita, Remus non aveva fame.
Peggio ancora, c’era un tavolo ricoperto di fotografie e album
incorniciati. La maggior parte di loro erano di Hope e, a parte uno
o due scatti di lei da bambina, nessuno di loro era stato scattato
prima del 1965.
Remus li guardò tutti, provò a fissare l’immagine nella sua mente
di una donna felice e sana che aveva sempre cercato di fare ciò che
era meglio, anche quando gli altri la deludevano.
«Sarebbe stata così felice che sei venuto.» Gethin apparve accanto
a lui. Allungò una mano e accarezzò il vetro su una delle cornici. Il
viso bianco e nero di Hope gli si illuminò, statico e senza vita.
«Dovevo.» Disse Remus, piano. Sirius era lì da parte, pronto a
tutto. Remus guardò Gethin. «Vorrei essere stato lì. Per... Beh, per
dirle addio.»
«È stato molto tranquillo, come lei.» Disse l’uomo più anziano.
«Era sveglia la mattina di Natale ed è andata a dormire dopo
pranzo. Non ha sofferto.»
Remus non aveva pensato al suo dolore. Avrebbe voluto che
Gethin non glielo avesse messo in testa.
«So a cosa stai pensando.» Disse Gethin, annuendo alla
visualizzazione delle foto. «Nessuna foto di te. Non è stato
intenzionale, le ha messe tutte in una scatola perché te le spedissi,
solo che ho perso la traccia del tuo indirizzo...»
«Non le voglio.» Remus scosse la testa.
84
«Remus.» Disse Sirius dolcemente. «Non prendere ancora nessuna
decisione.»
Remus si limitò a scrollare le spalle.
«Ci sono altre cose.» Disse Gethin guardando Sirius con un po’ di
confusione, poi guardando di nuovo Remus. «Le terrò finché
vuoi.»
«Cose?» Remus lo guardò perplesso.
«Cose che lei voleva che tu avessi.» Disse Gethin. «Niente soldi, o
altro.»
«Non mi interessano i soldi!» Disse Remus bruscamente.
Gethin aggrottò la fronte, sembrava ferito. I suoi occhi erano
cerchiati di rosso, con cerchi scuri sotto di loro, come macchie di
polvere di carbone.
Remus strinse le labbra, e fece un passo indietro, scuotendo la
testa. «Mi dispiace. Non posso stare qui. Mi dispiace.» E con
questo, si voltò e uscì direttamente dal corridoio.
Ormai aveva smesso di piovere, ma l’erba era ancora bagnata e il
profumo della terra si alzava tutt’intorno. C’era un gruppo di
vecchi seduti su alcune panchine fuori. Si erano allentati i nodi alle
cravatte e si erano seduti stravaccati, fumando e passando intorno
a una fiaschetta illecita di qualcosa con un odore molto forte.
Remus sussultò disgustato e continuò a camminare, volendo
allontanarsi da tutto.
«Remus!» Sirius corse lungo il sentiero per prenderlo. Lily, James e
Peter non molto indietro.
«Voglio andare.» Disse Remus.
«Puoi tornare da mamma e papà se vuoi.» James suggerì. «La
mamma ha detto che ci avrebbe preparato la cena.»
«No.» Remus scosse la testa, afferrò il braccio di Sirius e lo guardò
implorandolo. «Per favore, possiamo semplicemente tornare a
casa? Solo io e te?»
85
«Certo che possiamo,» Sirius mise la sua mano calma su quella
disperata di Remus, e Remus sentì il suo cuore iniziare a
stabilizzarsi.
Quindi fu quello che fecero, Remus si promise che si sarebbe
scusato con i Potter e i suoi amici un’altra volta.
Se sperava in una tregua dal resto del mondo, per rinchiudersi con
Sirius e fingere che solo per un momento nient’altro avesse
importanza, allora sarebbe rimasto deluso.
Quando entrarono in casa c’era un gufo seduto in cima alla
mensola del caminetto, con un biglietto legato alla zampa
squamosa.

Remus.
Le mie condoglianze.
Per favore, incontriamoci all’ufficio dell’Auror lunedì alle 9:00.
A. Moody.

I’ve looked at life from both sides now


From win and lose and still somehow
It’s life’s illusions I recall
I really don’t know life at all

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Quartier Generale degli Auror
Lunedì 8 gennaio 1979
«Per favore, fammi venire con te.» Fu l’ultima cosa che Sirius disse
prima che Remus lasciasse l’appartamento lunedì mattina presto.
«Starò bene.» Remus scosse la testa cercando di rivolgere a Sirius
un sorriso rassicurante.
Non disse quello che stava veramente pensando. Era già
abbastanza brutto essere stato convocato nell’ufficio effettivo di
Moody al Ministero, cosa avrebbe pensato se Remus avesse
portato con sé il suo ragazzo come supporto morale?
Tuttavia Remus dovette ammettere che quella mattina aveva avuto
difficoltà a lasciare la loro piccola casa accogliente. Aveva appena
lasciato la camera da letto da quando erano tornati dal funerale,
figuriamoci se si era vestito o aveva lasciato l’appartamento. Per
andare al Ministero aveva dovuto indossare abiti in divisa per la
prima volta dai tempi della scuola, il che aiutò un po’, in questo
modo sarebbe stato in grado di mimetizzarsi.
L’ingresso per i visitatori del Ministero della Magia era a una
ventina di minuti a piedi da Soho e Remus trovò la passeggiata
mattutina più piacevole di quanto si aspettasse.
Era una frizzante e fredda giornata di gennaio e il suo respiro
diventò bianco nell’aria invernale.
«Ciao Moony.» Wormtail era lì per incontrarlo e gli sorrise,
dandogli una goffa pacca sul braccio. «Come te la passi?»
«Oh, sai.» Remus si strinse nelle spalle. Il lutto era una cosa
divertente. Non sapevi mai se lo stavi facendo bene.
«Non vedo l’ora che arrivi sabato!»
«Sì, anch’io.»

87
La luna piena era prevista per il tredici. Finora, dopo Hogwarts, i
Malandrini erano riusciti a smaterializzarsi (Peter al fianco) nei
luoghi più remoti possibili e trasformarsi lì. Finora erano stati ai
Brecon Beacons, alle Ebridi Esterne, a Dartmoor e alla Foresta di
Dean. Nessuno dell’Ordine l’aveva ancora menzionato, anche se
Remus supponeva che tutti pensassero che fosse registrato.
Peter e Remus entrarono nel ministero tramite una cabina
telefonica. Peter doveva essere lì perché dopo che Remus aveva
dichiarato il motivo per la visita un piccolo distintivo d’argento dei
visitatori cadde dalla fessura del telefono, Wormtail lo raccolse
velocemente e mormorò l’incantesimo per trasformarlo in latta
prima di darlo a Remus.
Scesero nell’atrio del Ministero, pieno di attività. Era un’enorme
sala, più grande della Gringott, con file di camini allineati alle pareti.
Luci verdi lampeggiavano ad intermittenza da ogni focolare
quando i maghi e le streghe arrivavano al lavoro.
Peter guidò Remus attraverso il banco della sicurezza, dove la sua
bacchetta era stata pesata da un mago dallo spirito meschino con
una lunga barba. Remus era incredibilmente grato di avere un
amico con lui ed era segretamente contento che fosse Peter che era
tranquillo e geniale, piuttosto che Sirius che aveva la tendenza a
diventare un po’ iperprotettivo nei confronti di Remus quando si
trattava della comunità dei maghi.
Quindi si spostarono in un’altra sala con una serie di ascensori ed
entrarono in quella più vicina.
«Devi andare al livello due.» Spiegò Peter allegramente. «Io sono
con il Comitato per la Regolazione della Metropolvere su al quarto.
Hai bisogno che ti mostri dov’è l’ufficio dell’Auror?»
Remus pensava che gli sarebbe piaciuto molto l’aiuto di Peter, se
solo Peter non si fosse chiaramente divertito ad essere più
informato di lui.
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«No.» Sorrise. «Ce la farò. Grazie amico.»
Peter gli rivolse un sorriso gentile mentre lasciava l’ascensore.
Remus annuì in risposta, e la porta si chiuse.
Ben presto una voce annunciò: «Livello due, Dipartimento per
l’Applicazione della Legge sulla Magia; compreso gli Uffici dell’Uso
Improprio della Magia, il Quartier Generale degli Auror e il
Servizio Amministrativo del Wizengamot.»
Remus uscì dall’ascensore e si avviò nel corridoio. Le porte
dell’ascensore si chiusero dietro di lui con un rumore metallico e
Remus rimase lì per alcuni istanti, accecato. Era un corridoio molto
trafficato, maghi e streghe che camminavano avanti e indietro,
alcuni immersi in conversazioni, altri che scarabocchiavano
frettolosamente appunti su pezzi di pergamena - e alcuni di loro
borbottavano tra sé e sé. Sopra la sua testa, aeroplani di carta viola
sfrecciavano avanti e indietro, svolazzando contro le porte degli
uffici che fiancheggiavano il corridoio. Ora avrebbe voluto non
essere stato così orgoglioso per chiedere a Pete di accompagnarlo
all’ufficio giusto. Doveva esserci un segno da qualche parte...
«Lupin!» Una voce forte e familiare tuonò.
Remus si voltò con un certo sollievo e sorrise, vedendo Ferox che
si precipitava verso di lui, la mano alzata in segno di saluto.
«Ciao.» Disse sollevato.
«Ti sei perso? Vieni con me!»
Remus seguì Ferox lungo il corridoio, oltre un ufficio dopo l’altro
finché non raggiunsero una porta elaborata con una cornice di
legno intagliato. Quartier Generale degli Auror.
«Nervoso?» Ferox lo guardò di traverso.
Remus lo guardò a sua volta. «È così ovvio?»
Ferox rise e gli diede una pacca sulla spalla. «Sarei preoccupato se
non lo fossi. Dai ora, è solo Moody.»

89
E così dicendo spinse la porta con una grossa mano, l’altra ancora
sulla spalla di Remus, come per impedirgli di scappare.
Da bambino Remus aveva avuto qualche esperienza con le forze
dell’ordine babbane. Solo e sempre per cose stupide come quella
di scappare dalla casa o essere sorpreso a “causare disturbo”, il che
di solito significava che era solo da qualche parte in un luogo
pubblico e altre persone avrebbero preferito che non ci fosse. La
polizia era molto dura con te; una volta che individuavano che eri
un ragazzo di St Edmund’s, ti chiamavano e ti spingevano nella
loro macchina, oppure lanciavano minacce sottilmente velate di
violenza fisica se non facevi come era stato detto.
Di conseguenza Remus non si era mai sentito a suo agio con figure
autoritarie, anche se al giorno d’oggi era un ragazzo perbene.
Non era sicuro di quanto fossero simili gli Auror alla polizia
babbana. Finora aveva incontrato solo Moody, Frank e Alice.
Moody era completamente terrificante, ma Remus lo conosceva da
abbastanza tempo ora e si era abituato. Alice e Frank erano persone
molto gentili e sincere, ma in fin dei conti non sapevano cosa fosse
veramente.
L’interno dell’ufficio era molto affollato, con file di scrivanie
suddivise in cubicoli. C’erano poster di criminali, mappe
magicamente incantate ed elenchi stampati su bacheche
tutt’intorno alle pareti e promemoria che sfrecciavano avanti e
indietro. Ma la cosa più sorprendente per Remus era il profumo
incredibilmente concentrato di potente magia, e anche di magia
oscura.
Ferox, con la mano ancora sulla spalla di Remus, lo guidò verso
una scrivania vicino all’angolo sul retro, che aveva il miglior punto
di osservazione sul resto del caotico ufficio.
La scrivania di Moody e gli scaffali attorno ad essa erano ingombri
di strani e meravigliosi dispositivi magici; telescopi ronzanti,
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cristalli luminosi, strane sfere tremanti. Lo stesso Moody era chino
su una mappa.
Dimenticando i suoi nervi, Remus si guardò alle spalle per
osservare, non aveva mai superato il suo interesse per la
cartografia.
«Non avvicinarti mai di soppiatto a un Auror, Lupin.» Moody
abbaiò.
Remus fece un salto indietro allarmato, e Moody si voltò a
guardarlo, sorridendo. Il suo occhio pazzo ruotò malaticcio
nell’orbita.
«Leo.» Moody allungò la mano e strinse la mano a Ferox, poi a
Remus. «Sono contento di vedere che sei puntuale. Siediti.»
Indicò un lungo sedile rivestito di velluto contro il muro del suo
cubicolo che non c’era un momento prima. Remus e Ferox si
sedettero mentre Moody lanciava un incantesimo che attutiva il
rumore intorno a loro, creando una bolla di pace intorno alla sua
scrivania, non era molto diverso dagli incantesimi di silenziamento
usati da James e Sirius.
Remus fu sollevato dalla quiete, ma l’incantesimo di Moody non
aveva fatto nulla per mitigare il profumo travolgente del potere che
gli riempiva le narici, gli nuotava giù per la gola e gli riempiva il
petto di una gloriosa e ricca magia sciropposa. Cercò di rilassarsi e
di lasciare che trovasse il suo posto in lui piuttosto che
combatterlo, ma si sentiva ugualmente leggermente ubriaco.
«Ancora una volta, Lupin.» Disse Moody burbero, sedendosi sulla
sua sedia da ufficio che sembrava una lussuosa poltrona di pelle
verde, ma che girava su uno stelo. «Mi è dispiaciuto sapere della tua
perdita. Io stesso non conoscevo Hope, ma...»
«Va bene.» Remus disse velocemente. «Anche io la conoscevo a
malapena.»

91
Voleva tenere sua madre fuori da ogni conversazione che avrebbe
avuto quel giorno. Non aveva la forza per due cose
contemporaneamente, e se Moody aveva una missione per lui,
allora quella doveva essere la sua preoccupazione principale.
Moody, che era un eccellente legilimens o semplicemente
estremamente astuto ed empatico, annuì virilmente e continuò.
«Dritto al punto, allora.» Disse. «Bravo ragazzo.» Si girò
leggermente sulla sedia per prendere la mappa che stava guardando
e la porse a Remus.
Remus la prese avidamente e guardò. Era una mappa della Gran
Bretagna e dell’Irlanda, ma non come quelle che aveva visto prima:
non c’erano strade segnate, né paesi o città, solo aree boschive, rese
in macchie di inchiostro verde muschio. Alcune di queste macchie
sembravano luccicare e scintillare, come se ci fossero stelle
nascoste sotto i rami degli alberi.
«L’ho ricevuto dall’ufficio del Controllo delle Creature Magiche.»
Spiegò Moody. «Grazie a Ferox qui. Sai cos’è, ragazzo?»
«È...» Remus ci versò sopra. «Ci sono tutte le foreste con la magia
dentro? O creature magiche?»
«Esattamente.» Moody annuì, sembrando molto soddisfatto di lui.
«Abbiamo notato che la maggior parte degli avvistamenti di lupi
mannari negli ultimi anni sono stati in boschi incantati, foreste con
una popolazione più densa di creature magiche. Ora, questo
potrebbe semplicemente significare che stanno tenendo la testa
bassa per Tu-sai-chi, o che ci sono altre creature che lavorano con
loro...»
O perché il profumo di tutta quella magia naturale era semplicemente troppo
buono per resistere, pensò Remus, il suo stesso sangue frizzante come
lo champagne solo per la ventina di potenti maghi nelle vicinanze.
Non lo disse ovviamente, per il suo bene.

92
«Inoltre nelle ultime due lune piene c’è stata molta attività qui.»
Moody puntò un dito tozzo e sfregiato in un punto della mappa,
da qualche parte nelle Terre di Mezzo.
«Perché me lo dici adesso se li segui da mesi?» Remus chiese.
«È il momento.» Disse Moody, fissandolo con uno sguardo duro;
un occhio azzurro, uno marrone. «Greyback è in Paese per la prima
volta dagli anni Sessanta; è stato confermato.»
«Oh.» Remus strinse le labbra per sedare la rabbia dentro di lui,
impennandosi come un cobra, mostrando i denti. Dove si trova?!
Portami da lui adesso! «Giusto.»
«L’ultima volta che hai avuto contatto con loro sei tornato con
alcune buone informazioni.» Continuò a dire Moody. «Coloro che
vogliono unirsi a Greyback devono trasformarsi con il branco tre
volte, giusto?»
«Mmh.» Remus annuì. Voleva alzarsi in piedi e camminare, o fare
qualcosa di fisico, ma non poteva permettere né a Ferox né a
Moody di sapere che c’era qualcosa che non andava.
«E la prossima luna piena è sabato?»
Remus annuì. Guardò Ferox, poi di nuovo Moody.
«Vuole che vada? Per iniziare... Per...»
«Solo per le lune.» Disse Ferox con voce calma. «Solo finché non
si fidano di te.»
«Ma una volta che si fidano di me.» Disse Remus, guardandosi le
mani. «Allora... dovrò incontrarlo, giusto?»
«Vediamo come vanno le cose.» Disse Moody, scegliendo
attentamente le sue parole. «Abbiamo tre mesi per pianificare quel
momento.»
«Okay.»
Remus non sapeva cos’altro dire. La sua testa era piena, i suoi nervi
erano irritati e si sentiva quasi sul punto di esplodere, ma per

93
qualche strana ragione se ne stava lì seduto come uno scolaro
educato, ad ascoltare Moody che esponeva il piano.
Gli erano state date molte regole; sarebbe dovuto andare da solo,
poteva prendere la sua bacchetta ma nient’altro. Non poteva dirlo
a nessuno, nemmeno agli altri membri dell’ordine, nemmeno ai
suoi migliori amici. Ferox iniziò a suggerire cose che Remus poteva
dire o fare per convincere il branco a fidarsi di lui, ma Remus lo
ignorò. Sapeva cosa doveva fare.
«Ti accompagno fuori. Va bene, Lupin?» Disse infine Ferox, con
una nota di paterna gentilezza.
«Grazie.» Disse Remus alzandosi velocemente.
«Sei un uomo di poche parole, Lupin.» Disse Moody, alzandosi
anche lui e tendendo ancora una volta la mano. «Ma ho tutta la
fiducia in te. Invierò le coordinate prima di sabato. Assicurati di
essere a casa per riceverle.»
Remus annuì in modo assente, stringendo la mano offerta. Proprio
come lo aveva guidato dentro, Ferox condusse Remus fuori dal
Quartier Generale degli Auror.
«Va tutto bene, ragazzo?» Chiese Ferox una volta che furono fuori
dalla porta. Il corridoio era un po’ più silenzioso di quanto non
fosse alle nove.
«Sì. Bene.»
«Se c’è qualcosa di cui pensi di aver bisogno, se vuoi che chieda a
Moody qualcosa che ti possa aiutare, puoi semplicement-»
«Come potrebbe aiutarmi?» Chiese Remus all’improvviso,
fermandosi a metà del percorso.
Agitò il pollice e lanciò il muffliato, senza alcuno sforzo.
Ferox sbatté le palpebre, sorpreso. «Come potrebbe essere d’aiuto?
Io? Incontrare Greyback? Ho incontrato tre membri del suo
branco adesso e ogni volta le cose peggiorano solo.»

94
«Non è vero. Ci hai fornito alcune informazioni estremamente
preziose.»
«Se l’ho fatto...» Disse Remus. «Allora voglio sapere per cosa le
state usando.»
«Per vincere la guerra, Remus.» Ferox scosse la testa.
«Quando ho incontrato Castor l’anno scorso.» Disse Remus, la sua
voce molto bassa ma più per rabbia che per il desiderio di essere
discreto. «Mi ha detto senza mezzi termini che stavano
pianificando un attacco. L’ho detto a Silente, e cosa è successo?
Niente. L’attacco è andato avanti. Quindi te lo chiederò di nuovo.
Se sto raccogliendo informazioni per l’Ordine, se sto rischiando la
mia vita per farlo, allora voglio sapere per cosa. Ovviamente non è
per salvare vite umane.»
«Remus, quella era una situazione estremamente complicat-»
«Spiega.»
«Non potevamo agire, non potevamo far sapere ai lupi mannari
che stavi dicendo qualcosa a Silente, dovevamo preservare il tuo
legame con loro-»
«Che cosa?!» Remus lo fissò. «Della gente è morta! Della gente avrà
tutta la vita rovinata! A causa mia?!»
«Non puoi pensarla in questo modo.»
«Come dovrei pensarla?! Mi sono fidato di lui! Pensavo di fare la
cosa giusta!»
«Remus, calmati!»
Remus si rese conto che non poteva. Avrebbe voluto
smaterializzarsi in quel momento, ma quando provò non successe
niente, quindi iniziò a marciare verso l’ascensore.
«Non seguirmi.» Ringhiò a Ferox, che tenne le porte aperte
impedendogli di andarsene.

95
«Devi tenere la testa dritta, ragazzo.» Disse Ferox, molto
seriamente. «Questa è la guerra. Non è nobile e non si tratta sempre
di salvare singole vite. Devi abituarti a questo in tempo per sabato.»
«Non preoccuparti.» Remus girò la testa, fissando il pannello dei
pulsanti. Le porte iniziarono a chiudersi, stridendo rumorosamente
mentre Remus metteva alla prova la sua forza magica contro il
muscolo fisico di Ferox. «Sarò pronto.»
Le porte si chiusero, Ferox schioccò le dita all’ultimo secondo, e
Remus iniziò a muoversi su, di nuovo verso il mondo reale.

Remus era appena uscito dalla cabina telefonica dell’ingresso dei


visitatori ed era in piedi davanti alla sua porta d’ingresso. Aveva
immagazzinato tutta quella magia rimanente come una batteria, e
aveva solo bisogno di avere il minimo desiderio e la magia faceva
il resto. Ricordava la maledizione che Piton aveva lanciato a James,
che aveva deviato l’ultimo giorno di scuola. Sarebbe stata un’abilità
utile, se solo potesse dipendere da essa.
Non solo era pieno di magia, ma il suo temperamento aveva
raggiunto il punto di ebollizione ora che era a casa. Era una
sensazione particolare, simile a quella dei momenti prima della
trasformazione, subito prima che il dolore intorpidito si
manifestasse. Un desiderio animale ululante e afferrante. Dio aveva
bisogno di... aveva bisogno di...
«Sirius?!» Si precipitò dalla porta urlando. Nessuna fortuna,
l’appartamento era vuoto. Remus emise un ringhio frustrato e
prese a calci il muro, facendo un buco nel cartongesso. «Fanculo.»
Mormorò. Sirius vieni qui.
Premette il palmo contro la parte superiore del muro e fece uscire
un po’ di magia. Il buco alla base del muro si chiuse subito, grazie
al cielo. Non era abbastanza. Aveva bisogno di più; aveva bisogno
di sfiatarlo, una valvola di rilascio.
96
Si tolse le vesti e poi il maglione, gettandole sul divano,
camminando per la stanza con indosso la maglietta e i pantaloni
sottili. Avrebbe potuto andare a correre. Avrebbe potuto
materializzarsi nel Lake District per poche ore e correre in giro
come un pazzo. Avrebbe potuto trasformare il muro in una spugna
e iniziare a prenderlo a pugni finché non avesse esaurito le energie.
Poteva bere fino all’oblio. Finché accadde qualcosa.
«Moony?!» La porta d’ingresso si aprì e c’era Sirius.
«Sei qui!»
«Sì, che cosa strana.» Sirius chiuse la porta dietro di sé. Puzzava di
benzina, olio motore e pelle, e Remus si sentì irrigidire all’istante.
Oh. Potrebbe funzionare.
«Stavo lavorando sulla moto lungo la strada, e poi... Non so, avrei
giurato di aver sentito la tua voce. Ma se sei appena tornato, non
può essere stat-»
Remus non ce la faceva più, attraversò la stanza in due passi e
spinse Sirius contro la porta, baciandolo forte. Sirius lo baciò di
rimando, desideroso di piacere come sempre. Remus premette più
forte, prendendo i bei polsi di Sirius imbrattati di olio, tenendoli e
spingendo un ginocchio tra le sue gambe. Iniziò a baciare il collo
di Sirius, poi mordicchiando la morbida carne lì, e Sirius sussultò.
«Maledizione, tutto bene?»
«Mmmh.» Remus gemette. «Voglio solo...»
Sirius mosse leggermente l’anca premendo contro Remus,
sembrava elettricità e Remus quasi perse del tutto il controllo,
stringendo i polsi di Sirius, chiudendo gli occhi sbattendo mentre
lottava per resistere. Non era l’unico a sentirlo.
«Cazzo.» Ansimò Sirius, impotente nella presa di Remus. «Eri tu?
Senti... Cosa... cosa è...»

97
«Magia.» Remus riuscì a balbettare, gli occhi ancora chiusi,
roteando la fronte contro la spalla di Sirius in modo vertiginoso,
«C’erano così tante... Io solo... Uhm...»
E all’improvviso era Sirius che aveva il controllo, aveva capovolto
la situazione e ora stava trascinando Remus in camera da letto, e
grazie a Dio l’appartamento era piccolo, e grazie a Dio non c’era
più bisogno di mettere incantesimi di silenziamento o segretezza,
perché questo, semplicemente, non era il momento per farlo.
«Ho bisogno di te.» Stava dicendo Sirius in modo incoerente,
togliendosi la maglietta e poi tirando Remus, impronte nere unte
che arrivavano dappertutto. «Ho bisogno di sentirti ovunque...»
«Sì.» Rispose Remus, intossicato. «Sì sì sì...»
Qualunque cosa stesse provando sapeva che anche Sirius poteva
sentirla, mentre spingeva la magia verso l’esterno, riempiendo la
stanza con essa, accendendosi ad ogni tocco.
Remus gemette quando finalmente la loro pelle nuda si incontrò e
Sirius chiuse gli occhi e rabbrividì... Ogni senso di preoccupazione
o di vergogna era cancellato dal calore che eruttava tra loro. Remus
cedette e non pensò a nient’altro mentre si inarcava egoisticamente
contro Sirius, che continuava a sussurrare febbrilmente.
«Oh Moony, Moony...» Ancora e ancora.
Il loro ritmo feroce aumentò quando iniziarono a irrigidirsi e
contrarsi. Ansimando mentre il mondo esplodeva, per pochi beati
secondi tutto divenne bianco.
Non era abbastanza. Dovettero andare avanti altre due volte prima
che Sirius fosse soddisfatto, e Remus si sentiva ancora come se
fosse in grado di correre una maratona.
«Se hai intenzione di visitare di nuovo l’Ufficio degli Auror.» Sirius
respirò con voce roca. «Avrò bisogno di un avvertimento.»
«Scus-» Iniziò Remus, ma Sirius gli portò una mano sulla bocca
sorridendo.
98
«Non osare scusarti. Voglio dire... Dannazione.»
Remus rise, allontanando la sua mano. Agitò pigramente una mano
alla finestra, che si aprì facendo scorrere l’aria fresca dell’inverno.
«Wow.» Sirius inarcò le sopracciglia. «Quanto dura?»
«Sta andando via.» Disse Remus chiudendo gli occhi. Era vero;
poteva sentire il suo cuore rallentare e i suoi muscoli rilassarsi.
«L’ultima volta la maledizione di Piton l’aveva prosciugata.»
«Beh, preferirei questo piuttosto che maledirti...» Sirius si girò e
accarezzò il fianco nudo di Remus.
«Mmh.» Remus mormorò d’accordo, gli occhi ancora chiusi.
«Allora...» Disse Sirius, la sua mano ancora sul fianco e la sua voce
più solenne. «O è andata molto bene o davvero male al
Ministero...?»
«Entrambi.» Remus si gettò le braccia sul viso. «Dobbiamo
parlarne?»
«Sì, penso di sì.»
Remus sospirò pesantemente. Si mise a sedere, prendendo le
sigarette. «Greyback è in Inghilterra.» Cominciò.
Sirius si mise subito a sedere, aggrottando la fronte. Prese una
sigaretta dalla scatola che Remus gli porse, se la mise tra le labbra,
l’accese e guardò Remus molto seriamente.
«Dimmi tutto.»
E Remus lo fece.

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Il Branco
Once upon a sunshine,
Before the final bell,
I told my story to big boy,
With connections straight from Hell.
His fiddle was his sweetheart,
He was her favourite beau,
And hear me saying was all he playing
Them songs from long ago.
And then I told my story to the cannibal king
He said baby, baby, shake that thing.

Sabato 13 gennaio 1979 Prima Luna


«Lo odio.» Disse Sirius mentre fumava una sigaretta dopo l’altra.
«Lo so.» Rispose Remus strofinandosi le tempie. Aveva mal di
testa, cosa non insolita durante la luna piena.
«Voglio dire, lo odio davvero.» Sirius sbuffò fissando fuori dalla
finestra.
Se ne stava lì, un braccio piegato sulla vita stretta, l’altro braccio
storto all’altezza del gomito in modo da poter tenere la sigaretta
alle labbra. Doveva continuare ad allungarsi in punta di piedi per
soffiare via il fumo dalla fessura nella finestra: faceva troppo freddo
per aprirla del tutto. Ogni volta che allungava la mano, la sua
maglietta gli arrivava quasi fino all’ombelico, mostrando la pelle
morbida e una linea di sottili peli scuri.
Remus giaceva sul divano, una fredda flanella sulla fronte,
guardando Sirius che inspirava si stiracchiava e sbuffava.
Adorabile, adorabile creatura. Come aveva fatto Remus ad essere
così fortunato?

100
«È dannatamente pazzo, mandarti da solo. Perché non posso
venire con te? Potrei diventare Padfoot.»
«No.» Remus sospirò. «Hai ancora l’odore di umano. Ti farebbero
a pezzi.»
«E se facessero a pezzi te?» Sirius si voltò bruscamente. Sembrava
sconvolto, le sue guance erano rosa, il che era incredibile per Sirius-
carnagione-porcellana.
«Me?» Remus sbuffò, cercando di sembrare distratto. «Il figliol
prodigo di Greyback? Improbabile.»
«Cos’è un figliol prodigo?»
«Oh giusto, ehm... Significa solo che riceverò un caloroso
benvenuto. Gaius aveva detto di non farmi del male. Livia mi aveva
chiamato suo fratello.»
«Posso venire con te per un pezzo? Fino a prima che si faccia vivo
qualcun altro?»
«Non è sicuro, Padfoot.» Disse Remus gentilmente.
Sirius spense la sigaretta con rabbia sul davanzale della finestra.
Remus avrebbe voluto che smettesse di farlo poiché avrebbero
dovuto ridipingerlo presto, ora però non era il momento di
rimproverarlo.
«Perché non vai dai Potter?» Suggerì. «Non passare la notte qui da
solo.»
«Non mi importa dove passo la notte.» Sirius si gettò sulla poltrona.
«Ebbene sì.» Disse Remus. «Ho bisogno di sapere dove andare
dopo che la luna è calata.»
«Merda, vero.» Sirius si mise a sedere, spazzandosi i capelli
all’indietro. «Okay, andrò dai Potter almeno se hai bisogno di
rattopparti Euphemia sarà a portata di mano. Cazzo, e se non
riuscissi a smaterializzarti? E se tu-»
«Manderò un patronus.»
«Ma se non sei abbastanza forte...»
101
«Lo sarò.» Remus rispose semplicemente.
Stava andando in una foresta incantata, in base alle coordinate che
Moody aveva inviato. Se lì c’era anche metà della magia che c’era
nella Foresta Proibita, allora Remus non pensava ci fosse alcun
problema ad uscirne, a meno che qualcuno con la stessa forza non
avesse cercato di fermarlo, ma lui stava cercando di non pensarci.
Un debole suono echeggiò attraverso le pareti. Non avevano
incontrato ufficialmente i loro vicini, si scambiavano solo timidi
“saluti” all’ingresso ma sapevano che avevano un orologio a
pendolo perché suonava ogni ora ed era così rumoroso che
potevano sentirlo dal loro soggiorno. Erano le quattro ed era
inverno profondo, il che significava che il tramonto era vicino.
Remus si mise a sedere lentamente gettando via la flanella. La
schiena gli faceva male, i primi dolori gli dicevano che la luna era
in arrivo.
«È meglio che vada.» Disse.
Sirius lo fissò, colpito.
Remus fece un balzo, alzandosi. Si avvicinò e baciò la fronte di
Sirius. «Vai dai Potter. Starò bene. Onestamente, tu vai in missione
tutto il tempo.»
«Non così! Faccio cose difensive, servizio di guardia, porto
messaggi, non...»
«Qualcuno deve pur farlo.» Remus scrollò le spalle. «Preferisco
essere io.»
Pensò di nuovo a Danny e sussultò, scuotendo la testa per liberarsi
da quel ricordo negativo. Continuava a venire fuori da quando
Remus aveva scoperto la verità sul perché Danny era stato
trasformato. Dio, i McKinnon avevano tutte le ragioni per odiare
Remus.
Si mise le scarpe allacciandole con cura, anche se sapeva che
avrebbe dovuto toglierle di nuovo molto presto. Indossò abiti
102
babbani: questo era stato uno dei suggerimenti di Ferox. I
licantropi non avevano idea di dove vivesse Remus, o di come
stesse vivendo. Se Remus poteva convincerli che era stato evitato
dal mondo magico, allora tanto meglio.
Si abbracciarono alla porta, la pelle di Remus già in fiamme, Sirius
aggrappato a lui saldamente.
«Ti amo.» Disse Sirius nella sua spalla.
Non l’avevano detto dal funerale di Hope, ma Remus non ebbe
alcun problema a rispondere all’istante.
«Anch’io ti amo. Starò bene. Ci vediamo presto, te lo prometto.»
E poi se ne andò e si smaterializzò, e quando Remus aprì gli occhi
era molto solo.

Era da qualche parte nel Derbyshire, o almeno pensava. Stava


diventando rapidamente buio e la fitta chioma della foresta lo
rendeva ancora più scuro. L’aria della notte era molto fredda e
pulita, ma Remus era già troppo accaldato e iniziò a spogliarsi
immediatamente. Era solo dopotutto, non c’era bisogno di essere
timido. Tranne per il fatto che non era solo, non completamente.
Quella era decisamente una foresta magica, poteva assaporarlo
nella brezza e sentirlo nel fruscio dei rami degli alberi invernali.
La luna iniziò a sorgere e Remus sentì il suo corpo iniziare a
cambiare. Si fece forza contro una quercia, artigliando la corteccia
con le unghie, strisciando i piedi sulla lettiera ammuffita.
Gli alberi sembravano empatizzare. La terra si sollevò per
incontrarlo, il terreno umido gli rinfrescò la pelle febbricitante, i
gufi, le volpi, i pipistrelli e tutte le creature notturne del bosco
gridavano mentre lui urlava e la sua pelle si spalancò e le sue ossa
si spezzarono e i suoi denti si affilarono, finché non fu più Remus,
e ululò insieme a loro.

103
Il lupo ringhiò, sferzando la coda. Non sapeva dove fosse o perché fosse solo.
Dov’erano gli altri? Dov’era quello nero? Annusò l’aria, percependo qualcosa
nelle vicinanze. Gettò indietro la testa e ululò ancora una volta, cantando alla
luna.
Per la prima volta nella sua vita, il lupo non cantò da solo. Un gruppo di belle
voci si unì rispondendogli, e lui corse verso di loro a tutto tondo. Ad ogni battito
del suo cuore da lupo ansimava; casa, casa, casa. Sono a casa.

Sabato 14 gennaio 1979


Tossendo e sputacchiando, Remus tornò in sé. Ritornò pezzo per
pezzo, confuso, dolorante ed esausto. Aprì gli occhi e strizzò gli
occhi al freddo sole giallo del mattino che lampeggiava attraverso i
rami spogli. Tutt’intorno a lui si sentivano gli altri che si
svegliavano, alcuni singhiozzi spezzati, rantoli ruvidi e risate
femminili. Il loro profumo era così delizioso, così sicuro e così
confortante.
Remus si sollevò sui gomiti, le foglie morte attaccate alla sua pelle
umida di funghi. Aveva un lungo segno di artigli lungo la coscia
destra, tre strisce che trasudavano sangue. Intorno a lui, altri sei o
sette giacevano nudi sul suolo della foresta, risvegliandosi
lentamente.
«Fratello!» Risuonò una risatina familiare.
Remus si girò per vedere Livia che strisciava verso di lui a quattro
zampe, i fianchi che ondeggiavano, un sorriso squilibrato sul viso.
Alla luce del giorno i suoi tatuaggi sembravano segni di animali;
coprivano ogni centimetro del suo corpo magro in grandi spirali,
«Sapevo che saresti venuto!» Si inginocchiò ai suoi piedi e lui cercò
di allontanare le ginocchia da lei, ma lei allungò una mano e gli
afferrò la caviglia. «Eri bellissimo Remus Lupin, bellissimo.» Fece

104
le fusa, sporgendosi in avanti, la sua mano che si muoveva su verso
lui.
«Allontanati da me, Livia.» Ringhiò cercando di prenderla a calci,
ma lei lo tenne fermo.
«Shhh.» Disse scherzosamente, chinandosi ancora di più, la sua
mano che si avvicinava sempre di più. «Rilassati mio amore, mio
caro fratello...»
Allungò la mano e fece scorrere tre dita divaricate lungo i tagli sulla
gamba. Sembrava strano. Tutto il suo corpo sembrava formicolare
e tremare, si sentiva caldo e, cosa molto preoccupante, sull’orlo
dell’eccitazione. Allora si allontanò precipitandosi all’indietro a
quattro zampe come un granchio.
Livia rise di lui, sollevando i suoi tre polpastrelli insanguinati, poi
succhiandoglieli in bocca uno per uno, sorridendo e mormorando
di piacere.
Turbato si alzò rapidamente, scoprendo che qualunque cosa avesse
fatto Livia aveva guarito la ferita. Gli era rimasta solo una cicatrice
argentea.
Anche gli altri si alzarono e si avvicinarono a lui, camminando
verso Remus attraverso gli alberi con gli occhi ardenti di curiosità,
annusando l’aria. Alcuni di loro avevano tagli o graffi, ma ognuno
si era curato a vicenda, semplicemente toccando e incanalando la
magia naturale che li circondava. Molti di loro avevano la testa
rasata e l’inizio degli stessi tatuaggi che aveva Livia. Altri erano
forse arrivati più recentemente e avevano i capelli più lunghi e la
pelle chiara.
Remus voleva evocare i suoi vestiti, e idealmente anche la sua
bacchetta, ma sembrava un po’ scortese quando anche tutti gli altri
erano nudi. Inoltre non aveva freddo, almeno non ancora. Non era
neanche spaventato, il che sembrava strano. Guardò le altre facce.
Eppure quella voce nel profondo di lui diceva; branco, branco, casa.
105
«Gaius.» Disse Livia improvvisamente, alzandosi.
Gaius arrivò al suo fianco in un istante. Sorrise a Remus, leccandosi
le labbra. «Benvenuto fratello.»
«Benvenuto fratello!» Gli altri echeggiarono uno dopo l’altro, come
pappagalli.
Remus sentì un’ondata di adrenalina, di forte e innegabile
connessione.
«Siamo così felici che tu ti sia unito a noi.» Disse Gaius.
Livia si voltò verso di lui e iniziò a leccargli le ferite, come se fosse
la cosa più naturale del mondo.
C’era anche Castor ma lui rimase indietro. Dall’ultima volta che
Remus lo aveva incontrato, Castor aveva una ferita in più che gli
tagliava il viso, una lunga spaccatura sul naso. Era stato guarito, ma
aveva comunque rovinato il suo viso un tempo bellissimo.
Remus si ricordò di sé stesso e trovò la sua voce.
«Ne ho abbastanza.» Disse alzando il mento. «Ne ho abbastanza
degli umani, voglio vedere cos’altro c’è.»
Il sorriso di Gaius si allargò e anche Livia alzò lo sguardo, sangue
sulle labbra e sui denti.
«Nostro padre sarà così contento.» Dissero all’unisono.
«Così contento!» Ripeté il gruppo.
«Voglio incontrarlo.» Disse Remus. «Glielo dirai?»
«Al momento giusto, Remus Lupin.» Dissero Livia e Gaius. «Al
momento giusto...»
Stava succedendo qualcosa però, il branco si stava ritirando. Se ne
andarono, tornarono tra gli alberi, nella boscaglia, svanendo nel
paesaggio come i predatori che erano.
Remus sentì uno strattone nel petto. Voleva seguirli; non voleva
ancora perdere la loro compagnia. «Dove state andando?» Chiese
a Livia, mentre anche lei cominciava a indietreggiare.

106
«Ci vediamo il mese prossimo, Remus Lupin.» Disse, il suo viso un
po’ ammorbidito, sembrava quasi gentile se ignoravi il sangue che
le si asciugava agli angoli della bocca. «Non devi aspettare molto.»
«Ma io...»
Entrambi si voltarono e non guardarono più indietro.
Adesso Remus iniziò ad avere freddo. Il freddo sembrava iniziare
dentro di lui e farsi strada. Provò un’orribile solitudine vuota che
prima non c’era. Il loro profumo era scomparso, la loro familiarità,
la sicurezza che rappresentavano. Gesù Cristo, Moony. Sibilò a sé
stesso. Datti una calmata, non sei davvero uno di loro!
Evocò rapidamente i suoi vestiti e tenne stretta la bacchetta.
Sembrava strano. Era molto più facile richiamare semplicemente la
forza dal proprio corpo, a portata di mano, senza bisogno di uno
stupido bastone. Si accigliò. Non si sentiva sé stesso. Era meglio
smaterializzarsi rapidamente, prima che di diventare
completamente selvaggio.
Si materializzò sulla porta sul retro dei Potter e bussò debolmente
al vetro delle portefinestre. A quel punto si sentiva molto più
stanco; forse lo sforzo della smaterializzazione, o semplicemente
essere lontani dalla foresta e tornare nella mondanità.
La signora Potter era già in cucina e si avvicinò subito, aprendo le
porte. Lei gli sorrise con gli occhi rugosi e rugosi,
«Remus, caro.» Disse la sua voce molto calma, gli altri stavano
ancora dormendo. «È meglio che ti chieda una cosa... Fammi
pensare... Oh, non sono brava in questo... Ah trovato; dove siete
andati in vacanza tu e i ragazzi prima del tuo settimo anno?»
«Cornovaglia.” Rispose Remus prontamente, grato di essere
ricordato a quella meravigliosa estate, «Vicino a Truro.»
«Perfetto.» Aprì la porta. «Ora, stai bene? Qualcosa di ferito?»
«No, sto bene.» Disse entrando in cucina e allungando le braccia in
avanti come per dimostrarle la sua buona salute. Oh Dio, adesso
107
che era in casa poteva sentire l’odore di Sirius, e tutto in lui voleva
cercarlo subito.
«Perfetto.» La signora Potter sorrise stancamente. «Ebbene penso
che tornerò a letto, mancano ore alla colazione. I ragazzi stanno
dormendo, Sirius è nella sua stanza, ma se vuoi un po’ di pace e
tranquillità ho preparato anche il letto degli ospiti.»
«Grazie signora Potter!» Disse Remus, praticamente correndo su
per le scale verso la camera da letto in cui si trovava Sirius.
Si ricordò che era ancora presto appena prima di aprire la porta e
la spinse delicatamente, sbirciando dentro. Era piuttosto buio, le
pesanti tende tirate sull’alba mattutina.
«Sei sveglio?» Sussurrò ridondante, sapeva che lo era.
«Moony!» Sirius si mise immediatamente a sedere.
Remus corse verso letto, fermandosi all’ultimo momento perché
no, non era un lupo ora; era umano e doveva comportarsi da tale.
«Stai bene?!»
«Sì.» Annuì enfaticamente. «È stato okay, non era niente di che.
Abbiamo solo cacciato.»
«Cacciato?!» Gli occhi di Sirius si spalancarono.
«Conigli.» Remus chiarì. Poteva ancora assaporare la carne
selvaggia tra i denti. Il suo stomaco si ribaltò e si riscaldò ancora
una volta: «Onestamente è andato tutto bene. È stato facile.»
«Ero così preoccupato per te, non ho nemmeno dormito... Non
vuoi venire?» Tirò indietro le coperte.
«Ehm...» Remus si spostò, ancora in piedi. «Sono un po’...
nervoso.»
Sirius aggrottò la fronte, confuso.
Remus si schiarì la gola. «Sai... come l’altro giorno?»
«Oh!» Sirius allungò una mano e toccò leggermente il braccio di
Remus. Si morse il labbro tremando deliziosamente, assaporando
la stessa sensazione. «Così tu sei. Ehm...» Allungò una mano e la
108
mise sul fianco di Remus, arricciando le dita sotto la cintura dei
jeans. Sirius lo tirò verso di lui. «Va bene, posso dormire più tardi...»
Dormirono più tardi entrambi, e fortunatamente James, Lily e i
Potter li lasciarono indisturbati. Quando si svegliarono alle cinque
di sera, Remus si sentì il peggior ospite del mondo, anche se
ovviamente per Sirius era come se fossero a casa.
Remus cercò di spiegare a Sirius gli eventi della notte, ma c’erano
cose su cui non poteva fare a meno di sorvolare: Livia che lo
guariva in quel modo intimo, il desiderio che aveva avuto di restare
e di seguirli. Non stava mentendo. Era onesto quanto pensava
fosse necessario.
Più tardi raccontò a Moody e Ferox una versione ancora più
censurata. Non chiedevano molti dettagli ad essere onesti, e Remus
non vedeva perché avrebbe dovuto dire loro tutto. Era ansioso di
mantenere private le identità degli altri licantropi per tutto il tempo
che realisticamente poteva, e per ora erano interessati solo a
Greyback.
Quanto a Remus, era più che mai vicino alla cosa che aveva
desiderato sin da quando era bambino. Stava per incontrare l’uomo
che gli ha distrutto la vita. E lo avrebbe ucciso.

Sabato 11 febbraio 1979 Seconda luna


Nel mese successivo, Remus cercò di mantenere una parvenza di
normalità. Frequentava le riunioni e incontrava i suoi amici: spesso
andava a trovare le ragazze durante la pausa pranzo; Lily e Marlene
al St. Mungo, Mary a solo un breve viaggio in autobus a
Kensington. Telefonava a Grant se Sirius era via e si sentiva solo,
e ascoltava dischi e leggeva libri.
Non poteva però ignorare quanto si sentisse diverso. A volte
questa sensazione lo prendeva alla sprovvista; gli veniva in mente
109
un ricordo o un profumo, e le dita dei piedi si arricciavano e si
leccava i denti. I suoi sogni riguardavano quasi esclusivamente le
foreste, l’ululato e la fresca e morbida luce lunare.
Era preparato meglio per la seconda volta, però si sentiva
altrettando nervoso.
Si materializzò nello stesso punto della prima volta, nel caso lo
avessero incontrato, ma non lo fecero e si trasformò da solo.

Questa volta il lupo aveva trovato il suo branco ancora più velocemente. Si
entusiasmarono e abbaiarono in segno di saluto, la cagna alfa gli mordicchiò
l’orecchio e si strofinò contro di lui, i lupi più giovani abbassarono la testa in
segno di sottomissione. Poi iniziarono la caccia. Il lupo non ricordava di aver
mai provato una gioia così semplice prima, nemmeno con l’altro branco. La
rabbia, la paura e la fame svanirono con il vento nella sua pelliccia, il profumo
della mandria che inseguivano.
Finalmente raggiunsero il cervo; Remus, Gaius, Livia e Castor furono i primi
ad arrivare; avevano abbattuto il cervo. Gli altri li seguirono, avvicinandosi
alla bestia in lotta. Il lupo saltò e affondò gli artigli, assaporando il battito
cardiaco in preda al panico della sua preda. Affondò tra i denti e strappò la
carne, e il sangue caldo e ricco gli scivolò giù per la gola.

Quando Remus si svegliò, non aveva fame.


Questa volta permise a Livia di leccargli le ferite, troppo stupido e
soddisfatto per pensare troppo a qualunque delle conseguenze.
«Incontrerò Greyback il mese prossimo?» Chiese, prima che Castor
e Livia potessero sciogliersi di nuovo nell’ombra.
«Nostro padre non vede l’ora di incontrarti, Remus Lupin.» disse
Livia. «Devi essere un po’ più paziente, fratello mio.»
«Ho dato prova di me stesso?»
«Non sta a noi decidere.»

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Rimase nella foresta più a lungo del solito, forse solo per pigrizia.
Anche da solo si sentiva meglio lì che altrove. Gli sarebbe piaciuto
rannicchiarsi e dormire sotto gli alberi. Quando Remus finalmente
riapparve fuori dalla porta sul retro dei Potter, era a metà colazione.
Lily, James e Sirius erano lì con le facce ansiose e tirate che
bevevano grandi tazze di tè al latte. La signora Potter era in piedi
alla finestra e guardava fuori, e sussultò quando Remus arrivò.
Spalancò la porta.
«Eccoti!»
«Scusa.» Mormorò un po’ traballante in piedi.
«Oh mio dio, Moony, stai bene?!» Anche Lily era sulla porta e lo
indicò inorridita. Guardò in basso e vide il sangue: gli era colato
lungo il mento e il collo, raccogliendosi nella cavità sopra le sue
clavicole, e lì si era asciugato senza che lui se ne accorgesse.
«Merda.» Si strofinò la bocca imbarazzato. «Non è mio, non è-»
James venne alla porta e Remus si sentì improvvisamente molto
nauseato, coperto di sangue di cervo, avendo banchettato con cervi
solo poche ore prima. Allungò un braccio per appoggiarsi al muro,
stordito.
«Andiamo Moony.» Sirius si chinò tra James e Lily e toccò
leggermente la mano di Remus. «Andiamo a pulirti...»
Con gratitudine Remus si lasciò condurre di sopra in bagno. Sirius
preparò un bagno caldo e poi rimase appoggiato al lavandino
mentre Remus si bagnava, sbattendo le palpebre stordito ai vortici
color ruggine nell’acqua calda.
«Non è umano.» Disse, tremante.
«Lo so.» Disse Sirius. «È cervo, posso sentirne l’odore.»
«Puoi?» Remus lo guardò.
Sirius arricciò il naso. «Devo concentrarmi, ma sì. Ne stavo
parlando con Prongs, più a lungo siamo animagi più cose strane

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notiamo. Spero di non diventare daltonico come prossima cosa,
eh?»
Remus provò a ridere a questo tentativo di alleviare la tensione, ma
era troppo scosso.
«È stato brutto?» Chiese Sirius gentilmente, abbassando la voce
come se Remus fosse un invalido.
No. Pensò Remus tra sé. È stato meraviglioso. Ero felice, ero normale.
Era disgustato da sé stesso. Che cosa mi sta succedendo?
Guardò Sirius e annuì. «Sì. È stato brutto.»

Martedì 13 marzo 1979 Terza luna


«Questa volta non voglio tornare dai Potter.» Disse Remus, prima
di dover partire per la terza luna con il branco.
«Che cosa?» Sirius uscì dalla cucina, dove stava lavando i piatti.
Stava diventando sempre più orgoglioso della casa, o forse era solo
energia nervosa; la guerra si stava surriscaldando per tutti, non solo
per Remus.
«Ho detto che non voglio tornare dai Potter.» Remus ripeté. «Al
mattino. Puoi restare lì ovviamente, ma io... io non lo farò, okay?
Non so quanto sia sicuro, non voglio che nessuno mi segua.»
«Finora siamo stati bene...»
Sirius lo aveva fatto spesso; diceva “noi” quando in realtà si trattava
solo di Remus.
«Penso che siamo stati negligenti.» Remus si strinse nelle spalle.
«Non li metterò di nuovo in pericolo.»
«Okay.» Sirius annuì. Si tolse i guanti lentamente. «Dove vuoi
andare, allora?»
«Non lo so. Ho pensato forse alla Cornovaglia? Quelle rovine del
castello che abbiamo visitato, ti ricordi?»
«Certo che ricordo. Ci vediamo lì?»
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«Aspetta il mio segnale. Voglio che sia sicuro.» Remus si spostò da
un piede all’altro. Voleva camminare; la schiena gli faceva di nuovo
male e doveva andarsene presto ma rimase fermo nel caso Sirius
fosse preoccupato.
«Moony, se non è sicuro preferirei essere lì per poterti aiutare. So
che anche Prongs, Wormtail e Evans...»
«No.» Remus alzò la voce. «No per favore.»
«Ma Moony-»
«Guarda, devo andare.» Praticamente volò fuori dalla porta; non si
era nemmeno messo il cappotto.
Non aveva detto un vero addio. Non aveva nemmeno detto “Ti
amo”, cosa che avevano fatto ogni volta che si erano separati, per
ogni evenienza. Ma ovviamente Remus pensava che sarebbe
tornato. Non poteva sapere cosa avesse pianificato il branco.

Questa volta era stato un sollievo perdere la sua forma umana e rinunciare alle
responsabilità per alcune ore. Corsero e giocarono, litigarono e ulularono per
tutta la notte, facendo frusciare le fate dal sottobosco, seguendo i profumi che
sentivano.
Quando la luna iniziò a svanire, il lupo rallentò, iniziò a piagnucolare quando
sentì il suo corpo ridursi a una patetica forma umana. Anche gli altri si
fermarono e si avvicinarono.

Livia fu la prima a balzare e Remus, mezzo lupo e mezzo uomo,


cercò di lottare ma lei lo tenne fermo, le sue zampe diventarono
mani simili ad artigli. Anche Castor e Gaius l’avevano preso
bloccandolo mentre Remus gemeva e stringeva i denti per i dolori
della trasformazione.
E poi era di nuovo umano, schiacciato a terra dal branco,
rinforzato contro il loro groviglio di membra forti e calde.
Alzò la testa urlando. «Cosa state facendo?! Lasciatemi andare!»
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Livia rise cavalcandolo e gettando indietro la testa, e poi accadde.
Quella strana sensazione di succhiare e spremere quando tutti e
quattro si smaterializzano, Remus era incapace di fare qualsiasi
cosa se non aggrapparsi e pregare che non venisse schiacciato.
All’improvviso il terreno sotto di lui era una pietra dura e fredda,
con rocce che gli scavavano la schiena nuda. Alla fine gli altri lo
lasciarono e lui balzò in piedi, guardandosi intorno selvaggiamente.
Erano al chiuso, in una stanza dal soffitto alto, come una... era una
chiesa?! Faceva freddo e puzzava di branco e di magia antica. Gli
altri gli stavano intorno, sorridendo follemente.
«Dove cazzo son-» Iniziò Remus, ma si fermò di colpo quando
Livia si fece da parte e una figura alta e scura si avvicinò.
Remus conosceva quel profumo, conosceva quegli occhi gialli
ardenti. Si bloccò, paralizzato dal terrore.
Greyback si avvicinò a lui, i denti scoperti in un sorriso crudele.
«Benvenuto a casa cucciolo.»

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Prigioniero
As they pulled you out of the oxygen tent
You asked for the latest party.
With your silicone hump and your ten-inch stump
Dressed like a priest you was; Todd Browning freak you was.
Crawling down the alley on your hands and knees
I’m sure you’re not protected for it’s plain to see,
The diamond dogs are poachers and they hide behind trees.
Hunt you to the ground, they will,
Mannequins with kill appeal.

Mercoledi 14 marzo 1979


«Benvenuto a casa cucciolo.»
Remus non disse niente. Per ora non aveva niente da dire. Voleva
solo dare una buona occhiata.
Fenrir Greyback, Remus si era aspettato che fosse più alto. Non
era basso per nessuno standard, ma quando Remus si alzò in piedi
avevano la stessa altezza. Quello era un bene perché gli diede un
fremito di coraggio.
Poteva non essere più alto di Remus, ma Greyback era certamente
più grande in ogni altro modo; spalle larghe e massicce, collo
grosso e tozzo, braccia muscolose. Aveva unghie gialle lunghe e
spesse, peli scuri e ispidi che gli coprivano gli avambracci e gli
spuntavano sopra il colletto del mantello, incontrando una barba
scura che era più simile a una pelliccia che a peli. I suoi occhi erano
pericolosi, disumani.
La magia che si irradiava da lui non era come quella di un mago,
almeno come nessun mago che Remus aveva incontrato prima.

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Come una luna piena, stava bruciando. Il profumo, sebbene
disgustosamente familiare, non era invitante.
Remus si era sentito a casa con il branco, aveva persino sentito un
senso di appartenenza. Ma non con quest’uomo, lui era il nemico
e lo sarebbe sempre stato.
«Ti piace quello che vedi?» Il sorriso di Greyback si allargò,
mostrando denti affilati e predatori, lunghi canini gialli.
Remus ricambiò lo sguardo impassibile, la bocca chiusa.
Si rese conto che a Greyback non piaceva. Greyback si era
aspettato che parlasse, che chiedesse l’elemosina, che si
arrabbiasse, o addirittura che andasse in panico. Remus sapeva
esattamente cosa fare con i bulli che volevano una reazione.
Inclinò la testa, fece un viso disinvolto e scrollò le spalle.
«Va bene, suppongo. Oi, posso riavere i miei vestiti?»
Le pupille di Greyback sembravano dilatarsi, o forse Remus se lo
era semplicemente immaginato. Ad ogni modo si riprese
rapidamente, continuando a sorridere rigidamente.
«Dove sono finite le mie buone maniere? Castor!» Fece schioccare
le dita simili ad artigli.
Castor apparve al fianco di Greyback in un attimo, con la schiena
dritta e avvolto in un mantello di pelliccia, portando un fagotto di
vestiti. C’era anche Livia, che fissava suo padre con adorazione. La
vecchia chiesa in cui si trovavano non aveva soffitto, e nella luce
rosa dell’alba Remus poteva vedere chiaramente il volto di Castor
per la prima volta. C’erano tre lunghe cicatrici rosa su un lato; segni
di artigli, rosa e morbidi come la pelle bruciata.
Greyback lo vide fissarlo.
«Peccato per quello.» Disse allungando una mano e accarezzando
la guancia di Castor con un’unghia sporca. Castor non sussultò.
«Odio rovinare qualcosa di così piacevole da guardare ma ha
imparato la lezione, non è vero cucciolo?»
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Castor annuì, fissando davanti a sé come un soldato.
«Bravo ragazzo.» Greyback gli accarezzò la guancia sfregiata.
«Ancora bello però, eh Remus?»
Remus non disse nulla e distolse lo sguardo, disgustato.
«Pensavo che fossi un intenditore di bellezza.» Greyback sussultò
con finta delusione. «Ecco perché ti ho mandato i miei figli più
adorabili.»
Livia ebbe un brivido di piacere a questo, scuotendo orgogliosa la
testa.
Castor porse i vestiti a Remus e lui li prese, vestendosi con cura.
Cercò la bacchetta nella tasca dei jeans, ma non c’era.
«Ah.» Ringhiò Greyback. «Cerchi questa?» Tolse il lungo bastone
sottile dalle sue vesti macchiate di fango. Remus provò un’orribile
svolta di desiderio per esso. «Temo che non permettiamo l’utilizzo
di questi stupidi giocattoli umani.» Greyback sorrise, prese la
bacchetta di Remus con entrambe le mani e la fece scattare
rompendola in due.
Remus dovette lottare per non gridare. Quella era stata la bacchetta
di Lyall. In effetti, era l’unica cosa che Lyall avesse mai dato a
Remus che non fosse completamente priva di valore. Si morse
forte l’interno della guancia.
Greyback porse i frammenti della bacchetta a Livia, che li girò
allegramente tra le dita come manganelli.
Remus alzò il mento con aria di sfida. «Cosa vuoi da me?»
«Voglio quello che ho sempre desiderato, cucciolo.» Greyback si
avvicinò, così che Remus potesse sentire il suo alito acido, i loro
nasi a pochi centimetri l’uno dall’altro. «Voglio prendermi cura di
te.»
Allungò una mano per metterla sulla spalla di Remus, e ci volle
ogni grammo della volontà di Remus per non sussultare o

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spostarsi. Le lunghe dita di Greyback lo strinsero in modo paterno,
ma un po’ troppo vicino alla sua gola per essere confortante.
«Sono venuto per unirmi a te.» Sussurrò Remus, lottando per
trattenere i nervi.
Greyback inclinò indietro la testa e rise. Era una risata roca e
ansimante dal profondo del suo petto. «Questo è quello che mi
dicono i miei figli. Remus Lupin si è unito a noi, dicono, ha gettato via
il mondo umano... Ma mi chiedo...» Si leccò le labbra, guardando
Remus su e giù con aria lasciva. «Mi chiedo se Remus Lupin abbia
davvero cambiato i suoi modi...»
«Sono qui, non è così?» Remus protestò. «Ho passato tre lune-»
«E dov’eri tra le lune?» Greyback lo sfidò e annusò l’aria tra di loro.
«Puzzi di umanità.»
Detto questo lasciò la spalla di Remus, spingendolo forte
all’indietro. Remus colpì il pavimento di pietra con un tonfo, e fece
un sussulto di sorpresa e dolore mentre la sua schiena sussultava.
Greyback si allontanò, il suo branco si divise per lasciarlo passare.
«Castor, Livia.» Ringhiò. «Prendetevi cura del nostro ospite.
Vediamo se riusciamo a strappargli un po’ di quell’umanità.»
Remus si alzò in piedi rigidamente e fece per inseguire Greyback
ma Livia e Gaius lo bloccarono con i loro corpi. Da sopra le loro
spalle, guardò Greyback lasciare la chiesa attraverso un arco aperto
e scomparire nel fogliame verde brillante al di là.
Solo e senza bacchetta Remus si allontanò dagli altri con cautela.
Si chiedeva se poteva smaterializzarsi, ma non osava e dopotutto,
questa era la missione no? Aveva ottenuto ciò che si era prefissato;
era nel branco di Greyback. Mettendo da parte ogni pensiero di
casa o dei suoi amici Remus affrontò i suoi rapitori. Adesso era il
momento di essere coraggiosi.
Livia gli si avvicinò per prima, gettando via le parti della bacchetta
scheggiata e afferrandogli le braccia, torcendole con forza dietro la
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schiena. Poi venne Castor, con la stessa espressione stoica sul viso.
Stava srotolando un pezzo di corda, tendendola.
«Oi!» Remus lottò contro Livia. «Levati dalle palle, non provare a
legarmi!»
«Non è per molto, fratello.» Gli sibilò Livia all’orecchio. «È
necessario.»
Poi lo leccò, fece scorrere la sua lunga lingua su dalla nuca quasi
fino all’attaccatura dei capelli. Rabbrividì di disgusto lottando più
duramente, ma lei rise solo, era così forte.
Lo legarono strettamente poi lo costrinsero ad andare avanti,
Castor lo guidava tirando la corda attorno alle braccia e al corpo di
Remus; Livia lo spingeva da dietro. Inciampò goffamente
attraverso la chiesa, era ancora instabile in piedi essendosi appena
trasformato.
Fu spinto verso quello che una volta doveva essere stato l’altare.
Dietro c’era un vecchio ambulacro ad arco, e sotto quelle ombre
una serie di gradini che scendevano in una cantina simile a una
tomba. Cominciarono a scendere, il forte odore di terra umida si
alzava.
«Dove siamo?» Remus provò a chiedere.
«Siamo a casa.» Castor rispose senza voltarsi.
Livia gli diede un duro colpo alla schiena e lui non fece più
domande.
Raggiunsero il fondo delle scale, che si aprivano in una cripta, il
soffitto a volta era alto appena da permettere a Remus di stare
dritto. Non c’era molto lì. Una strana luce lattiginosa riempiva la
stanza ma sembrava non avere alcuna fonte naturale. C’erano
camere recintate su entrambi i lati delle mura una volta per le
tombe, pensò Remus, ma ora erano vuote. Erano state sostituite
da coperte, vecchi cuscini macchiati e pellicce di animali.

119
Remus sbatté forte le palpebre, i suoi occhi si abituarono alla luce
e, prima che potesse orientarsi, fu lanciato in avanti in una delle
celle. Livia ringhiò un incantesimo e le sbarre di ferro battuto si
richiusero su di essa, le pesanti catene nere si attorcigliarono strette
sulla serratura.
«Oi!» Remus si gettò selvaggiamente contro le sbarre. «Ma che
cazzo?!»
«Siediti.» Livia abbaiò. Le gambe di Remus si piegarono sotto di lui
e finì a terra. Gli sorrise. «Riposa fratello. Pazienza.»
«Sono venuto qui per unirmi a voi, non potete trattarmi come-»
«Non fare così o ti farò stare zitto.» Sibilò.
Chiuse la bocca, volontariamente questa volta. Forse sarebbe stato
meglio aspettare e vedere, per ora.
Livia si leccò le labbra. «Prova a riposare.» Se ne andò a grandi
passi.
Castor rimase indietro fissando Remus, il viso imperscrutabile, il
corpo ancora rigido. Remus ricambiò lo sguardo. La sua povera
faccia. Era stato a causa di Remus? Era stato punito per l’ultima
volta nella Foresta Proibita? I suoi occhi scuri fissarono Remus per
molto tempo, senza batter ciglio, finché Remus lo guardò
accigliato.
«Che cosa c’è?!»
«Remus Lupin è davvero qui per unirsi al branco? Per sottomettersi
a nostro padre?»
«Cosa cosa pensi?!» Remus sporse il mento anche se sapeva che
sembrava a malapena dignitoso, seduto sul pavimento sporco con
le braccia legate contro il corpo.
«Penso...» Castor inclinò leggermente la testa, come se nessuno gli
avesse mai chiesto prima i suoi pensieri. «Penso che Remus Lupin
non sappia ancora cosa farà.»

120
Remus non aveva una risposta per quello. Ovviamente gli piaceva
pensare che non fosse vero e che la sua volontà fosse ferrea,
indistruttibile. Ma in quel momento, intrappolato, disarmato ed
esausto, non riusciva a raccogliere molto orgoglio.
A Castor non sembrava importare. Annuì leggermente, e poi
indietreggiò, nella stanza. «Riposa, Remus Lupin.» Disse prima di
voltare le spalle.
La cripta adesso si stava riempiendo, gli altri lupi mannari stavano
arrivando, saturando la stanza con il loro profumo e la loro energia.
Remus indietreggiò in un angolo, le ginocchia al petto e li guardò
dall’ombra. La loro età variava solo leggermente, Remus non
pensava che nessuno di loro avesse più di trent’anni. Mentre erano
nudi, poteva vedere che erano tutti magri e sfregiati, e alcuni tatuati.
Nessuno di loro era particolarmente pulito.
Tuttavia mentre tutti si sistemavano, apparentemente per dormire
dopo gli eventi della luna piena, Remus non poté fare a meno di
provare un senso di sicurezza e calore. Si stava ancora abituando a
essere circondato dai suoi simili e sentì che l’impulso di sistemarsi
e mettersi a proprio agio come stavano facendo tutti era forte.
Come se i loro cuori battessero tutti insieme; facevano tutti parte
dello stesso corpo, e ora era il momento di dormire.
Livia non si vedeva da nessuna parte, neanche Greyback, e Remus
ne trasse un po’ di conforto. La camera oscura si riscaldò, e mentre
il branco entrava silenziosamente, mormorando e sussurrando tra
di loro mentre si sdraiavano, le palpebre di Remus erano grigie e le
sue membra morbide, e alla fine lo sfinimento lo raggiunse e se ne
andò.

«Dove sei, piccola bestia sporca?!» La voce nasale della Direttrice stridette
mentre camminava su e giù per i corridoi echeggianti, i tacchi alti che

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ticchettavano come un predatore. «Quando ti metterò le mani addosso ti colpirò
fino alla prossima settimana!»
Remus si raggomitolò ancora più stretto nel suo nascondiglio, coprendosi le
orecchie con le mani e chiudendo gli occhi. Non l’avrebbe mai trovato; era troppo
bravo a nascondersi ed era molto molto piccolo.
Era sotto uno dei letti dei ragazzi grandi. Sapeva che non avrebbe dovuto essere
nel loro dormitorio, sarebbe stato picchiato se uno di loro lo avesse trovato, ma
sapeva come essere silenzioso. L’aveva imparato nei primi giorni a St
Edmund’s e ora che era lì da un po’ di tempo, non veniva quasi mai preso di
mira a meno che non si imbatteva davvero in qualcuno.
Remus non si sentiva molto bene. Stava cominciando a far male dappertutto,
e la sua pelle era tutta calda e spinosa.
Voleva la sua mamma ma non sapeva più dove fosse. Forse era andata da
qualche parte con papà e sarebbero venuti a prenderlo presto. Forse stavano
dando la caccia all’uomo cattivo che gli aveva fatto del male. Remus si diede un
pizzicotto forte, non voleva pensare all’uomo spaventoso. Non riusciva a
ricordare molto, tranne quando era davvero spaventato. Pizzicare aiutava, solo
che ora il dolore stava peggiorando. Le ossa delle gambe gli bruciavano e voleva
disperatamente allungarle, ma poi qualcuno avrebbe potuto vederlo.
Alla fine fu troppo, e un’altra ondata di dolore lo costrinse a muoversi,
emettendo un grido.
«Owww...»
«Ah ha!»
Oh no, la Direttrice, all’improvviso sentì una mano attorno alla sua caviglia e
lei lo strappò con forza da sotto il letto.
«Eccoti piccolo mostro! Vieni con me, sai che devi andare nella tua stanza.»
«No...» Gemett, mentre lei lo sollevava e lo portava sotto un braccio. Non la
stanza. Odiava la sua stanza; era così spaventosa. «Lasciami andare!»
La colpì con i pugni ma lei reagì a malapena, continuò a marciare lungo il
corridoio, giù per le scale e verso la sua cella.

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«Lasciami andare!» Urlò piangendo ora, con il moccio e le lacrime che gli
scorrevano sul viso. «Voglio la mia mamma! Voglio la mia mamma!»
«Lei non è qui.» La Direttrice scattò, aprì la porta e lo mise dentro sbattendolo
di faccia. Sentì i dardi partire e iniziò a piangere più forte.
Era così buio.
Aveva paura del buio da quando era arrivato l’uomo cattivo, la mamma gli
lasciava sempre accesa la luce del corridoio. Ma la Direttrice non era come la
mamma, non faceva mai cose carine ma solo cose orribili, perché lui era stato
così cattivo. Era qui perché era cattivo? Era per questo che la mamma non lo
voleva e papà se n’era andato?
Singhiozzò e urlò ma non arrivò nessuno. Era troppo spaventoso e troppo buio;
faceva male, faceva male, faceva male... Un orribile ringhio gli riempì la testa,
e improvvisamente Remus si ricordò perché non si sentiva bene e perché doveva
essere rinchiuso nella sua stanza.

Remus si svegliò di soprassalto. Aveva la faccia bagnata di lacrime


e sudava dappertutto. Gli ci vollero lunghi secondi per ricordare
che aveva diciannove anni, non sei, e che non era più rinchiuso
nella sua cella a St Edmund’s. Non pensava alla casa per bambini
da molto tempo, cercava di non rivivere mai quei ricordi. Il cuore
gli batteva nelle orecchie, l’adrenalina lo attraversava e lottava per
riprendere il controllo delle sue emozioni.
Era osservato. Era Jeremy, il giovane che Gaius aveva reclutato alla
Testa della Manticora. Era appoggiato alle sbarre mentre scrutava
Remus.
«Brutto sogno?» Chiese con la voce roca, come se si stesse
riprendendo da un brutto raffreddore. Era più magro di quanto
Remus ricordasse.
Remus si raddrizzò velocemente allungandosi per asciugarsi il viso
con il retro delle maniche, scoprendo che le corde erano
misteriosamente svanite. Qualcuno era entrato e lo aveva sciolto?
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Livia l’aveva fatto in qualche modo? La stanza dietro Jeremy adesso
era vuota; erano solo loro due.
«Va tutto bene.» Disse Jeremy in tono colloquiale. «Anch’io ho
fatto brutti sogni quando sono arrivato qui. Tutti noi li facciamo.
Ci dicono che sono tutte le vecchie cose che vengono a galla; i
ricordi che non ci servono. Una volta che se ne saranno andati,
possiamo iniziare le nostre nuove vite con il branco.»
«Eravate tutti rinchiusi in questo modo?» Chiese Remus, la gola
dolorante. Aveva sete ma non voleva sembrare debole.
«No.» Jeremy si strinse nelle spalle. «Solo tu. Sono preoccupati per
te. Dopo quello che hai fatto nel pub. E ci sono altre storie. A volte
parlano di te.»
«Chi lo fa? Livia? Castor? Greyback?»
Jeremy alzò di nuovo le spalle, apatico. «Sì. Sono loro a comandare.
La prima è Livia, perché è stata trasformata da Greyback. Ottieni
cose migliori se discendi direttamente.»
Remus sbuffò. Si chiese se Jeremy sapesse che anche lui era stato
trasformato da Greyback, e se essere legato o gettato in cella fosse
considerata “roba migliore” o meno.
Jeremy iniziò a tossire, un crepitio profondo e torace che lo
sconvolse e lo fece piegare in due. Si strinse il mantello di pelliccia
intorno alla sua corporatura magra, e Remus finalmente sentì
qualcosa al di là della paura o della rabbia. Provò simpatia.
«Vivete tutti qui, in questo posto?» Chiese piano, guardandosi
intorno nell’umida cantina. «Tra le lune?»
Jeremy annuì. «Meglio di dove ero prima.» Lui disse. Poi, come se
fosse annoiato dalla conversazione, si allontanò semplicemente.
«Ho fame.» Disse blandamente. «Dirò a qualcuno che sei sveglio.
Ci vediamo.»
E Remus era di nuovo solo. Si alzò in piedi con attenzione,
controllando che nulla fosse rotto o slogato o troppo dolorante.
124
No, in realtà si sentiva meglio del solito dopo una luna, anche
quando veniva curato da Madama Chips. Se solo non fosse stato
intrappolato. Se solo non avessero distrutto la sua bacchetta. Infilò
la mano nei jeans e scoprì che almeno lo avevano lasciato con il
suo orologio da tasca.
Remus tenne in mano l’oggetto di metallo pesante, lasciandolo
riscaldare contro la sua pelle. Pensò a Sirius, anche se sapeva che
non avrebbe dovuto farlo; non sapeva chi ascoltava i suoi pensieri,
e anche se nessuno lo stava facendo, Sirius era una debolezza.
Era preoccupato? Doveva esserlo, si disse Remus. Ecco cos’è
l’amore, sicuramente.
Era andato alle rovine del castello in Cornovaglia, dove avevano
deciso di incontrarsi? Aveva aspettato e aspettato chiedendosi dove
fosse Remus e cosa ne era stato di lui? Forse aveva dato l’allarme;
pensò prima ai Potter, poi a Moody, o anche a Silente. Anche se
Remus non pensava che sarebbero stati di grande aiuto. Per quanto
li riguardava, Remus si sarebbe trovato in una delle tre situazioni:
1. Morto.
2. Stava completando la sua missione per infiltrarsi nel branco.
3. Si era trasformato in doppio agente e si era unito ai lupi mannari.

E dal punto di vista di Moody, qualunque cosa fosse la situazione,


era meglio lasciarlo dov’era. Sperava che nessuno l’avesse detto a
Sirius.
Già sentendo la sua determinazione scivolare via, Remus costrinse
Sirius a tornare nella sua mente. Non c’era niente che potesse fare
se non fare del suo meglio per portare a termine la missione,
rimanere in vita e tornare da lui. Quello doveva essere il suo
obiettivo.
Camminò su e giù per la cella un paio di volte. Non era grande;
forse cinque passi, tre profondi. Le pelli di animali con cui era stata
125
rivestita erano cervi, orso, e qualcos’altro che Remus non
riconobbe. Non lupo. Niente di originario della Gran Bretagna.
Toccò le sbarre; erano stranamente calde e sembravano ronzargli
contro la pelle. Magia.
Avendo un’improvvisa idea, Remus fece un passo indietro e chiuse
gli occhi. Era un po’ rigido e ancora annebbiato dal sonno ma la
magia era lì, nella stanza. Avanzi del branco e degli incantesimi
vincolanti di Livia. Cercò di raccoglierne un po’ dentro di sé. Era
molto difficile senza una bacchetta e con i suoi nervi così scossi.
Tirò e tirò l’atmosfera intorno a lui, ma era come cercare di fumare
una sigaretta spenta. Non era passato niente ed era rimasto senza
fiato. La magia sembrava appena oltre la sua portata.
«Sforzi ammirevoli, carissimo.»
Remus aprì gli occhi e sussultò vedendo Livia ora in piedi al centro
della stanza. Sorrise al suo disagio e fece un cenno a Jeremy, che
stava scendendo i gradini dietro di lei, tenendo in mano una grande
brocca di plastica e un piatto con del cibo sopra. Pane e carne,
odorava di coniglio, e Remus sperava che lo fosse. Cominciò a
sbavare quasi subito.
Livia fece schioccare le dita, e la brocca e il piatto lasciarono le
mani di Jeremy e apparvero sul pavimento della cella di Remus con
un *POP*. Quindi, pensò, potevi trasportare cose attraverso le
sbarre. Ciò significava che avrebbe potuto uscirne, se si fosse
sforzato abbastanza.
«Mangia tesoro mio.» Fece le fusa Livia. «Nostro padre desidera
che siamo forti.»
«Grazie.» Disse Remus. La guardò negli occhi e cercò di trattenerla.
Aveva funzionato con Gaius, e accidentalmente con Danny. Alla
fine si erano sottomessi a lui.
Livia ricambiò il suo sguardo e sorrise, sembrando molto
compiaciuta.
126
«Questo è il mio ragazzo.»
«Dov’è Greyback?»
«Mostra rispetto.» I suoi occhi lampeggiarono, e Remus sentì un
dolore lancinante al cranio, ansimò premendo un palmo piatto
sulla fronte. «È nostro padre.» Sibilò Livia.
«Va bene!» Urlò. «Dov’è nostro... nostro padre?» Lo faceva star
male dirlo.
«Questa non è una tua preoccupazione.»
«Voglio parlargli!»
«A tempo debito. Una volta che avrai dimostrato te stesso.»
«Come potrei provare qualcosa rinchiuso qui dentro?!» Remus era
infuriato e frustrato.
Livia gli sorrise di rimando. «Remus Lupin troverà un modo.
Arrivederci, fratello. Ricordati di mangiare qualcosa.»
Si voltò e uscì a grandi passi schioccando le dita verso Jeremy
mentre lo faceva. Si affrettò a seguirla su per le scale, lanciando uno
sguardo all’indietro a Remus mentre lo faceva, e mormorando uno
“scusa”.
Remus guardò i loro piedi scomparire quando raggiunsero la fine
delle scale, e poi sentì un forte rumore stridente mentre qualcosa
di pesante si chiudeva sopra il portello. La strana luce che aveva
illuminato la stanza per tutto questo tempo si spense, come un
interruttore della luce, e Remus rimase solo rinchiuso nell’oscurità.

127
Sottomissione
Oh! You silly thing
You’ve really gone and done it now
Oh! You silly thing
You really gone and done it now

Sabato 25 marzo 1979


Remus stava impazzendo.
Quella era l’unica spiegazione.
Il tempo passava lentamente, ogni secondo sembrava settimane, e
poi le ore passavano tutte in una volta, come missili, facendogli
perdere il fiato.
Gli portarono i pasti, e quello era l’unico modo in cui poteva
misurare le sue giornate. Nessuno gli parlava; forse erano stati
avvertiti di non farlo. Forse faceva parte della sua dimostrazione.
Guardavano però, lo fissavano.
Il branco tornava ogni notte per dormire: a volte c’erano anche
Livia, Gaius e Castor. Altre volte no. Mai Greyback, anche se a
volte Remus pensava di poterlo annusare, ma quella poteva essere
la follia. Dopo due giorni al buio, non si fidava dei suoi sensi.
Dopo una settimana, non si fidava di nulla.
Non era mai abbastanza a suo agio, sempre irrequieto ed esausto;
camminava fino a quando i suoi piedi non diventavano doloranti.
Dormiva poco e spesso; intrappolati tra esplosioni irregolari di
incoscienza e insonnia. Faceva sogni terribili; ogni brutto ricordo
si faceva strada fino alla superficie della sua mente. Soprattutto del
St Edmund’s, ma anche di quell’estate dopo il quinto anno, quando
era stato più solo che mai e odiava Sirius.

128
Diventò paranoico, convinto che gli altri stessero controllando la
sua mente, in qualche modo; costringendolo a vedere cose che non
voleva vedere, cose che non c’erano.
A volte sognava che Sirius era morto. Poi, dopo avergli strappato
via tutto il terrore, sognava che ciascuno dei suoi amici moriva, uno
per uno. I loro fantasmi lo visitarono, piangendo o infuriando.
Quando si svegliava non si era mai sentito come se fossero del tutto
scomparsi.
Altre volte Remus si chiedeva se in realtà fosse morto, e questo era
un inferno progettato in modo estremamente specifico.
Alla fine della prima settimana aveva perso ogni senso di vergogna.
Piangeva, ululava, si entusiasmava. Rideva in modo maniacale,
oppure si rannicchiava in un angolo e sussurrava a sé stesso.
Cercava di avere conversazioni nella sua testa, ma non funzionava
allo stesso modo di prima. La voce squillante di Grant si trasformò
in Livia, Sirius in Castor, e Remus rimase senza scampo.
Nei momenti di lucidità cercava di evocare più magia, ma era molto
difficile ed era così debole.
A volte pensava di poterlo fare. Gli altri potevano eseguire un
incantesimo per evocare qualcosa, o illuminare la stanza (sempre
senza bacchetta; nessuno di loro aveva mai fatto la magia nel modo
del mago), e Remus sentì quel vecchio movimento di potere. Ma
non durò mai abbastanza a lungo.
Alla fine, i genitori di Remus gli apparvero nella sua testa, ma anche
nella cella. Hope piangeva: era ancora malata, anche da morta, il
suo viso scarno e smunto. Indossava un sudario bianco, e c’era
della terra nei suoi capelli biondi, anche se Remus sapeva che era
stata cremata.
Lyall era il peggiore però; forse perché Remus non aveva basi solide
su lui, a parte qualche candida fotografia. Il Lyall immaginato dalla

129
sua febbrile mente era spietatamente crudele, con un accento
grassoccio e freddi occhi azzurri.
«Hai lasciato che quell’animale distruggesse la mia bacchetta, vero?» Il magro
fantasma gli sussurrò all’orecchio. «Avrei dovuto porre fine alle tue
sofferenze, tanti anni fa.»
Mentre gli altri fantasmi lo svergognavano, lo facevano sentire
piccolo e dispiaciuto, Lyall aveva solo fatto arrabbiare Remus.
Delirava come un pazzo con suo padre e si lanciava contro le pareti
della sua gabbia.
«Calmo, fratello.» Castor apparve dopo che Remus lo aveva fatto
per un po’ di tempo. «Non è questo il modo.»
«Vaffanculo!» Remus ringhiò, tenendosi la testa tra le mani mentre
cercava di radicarsi nella realtà.
Castor si ritirò.
Remus continuava a soffrire. Si rannicchiò sul pavimento e si coprì
la testa come un cane ferito. Questo gli fece pensare a Sirius.
Gli vennero in mente pensieri stupidi, tipo: dove stava Sirius? Dai
Potter? Nel loro appartamento? A Remus non piaceva l’idea di
Sirius tutto solo. Stava mangiando correttamente? Fumava troppo?
Era già caduto da quella stupida moto e si era rotto il collo?
Qualcuno stava cercando Remus?
Chiuse gli occhi e cercò di fingere di essere da qualche altra parte.
A casa, nel suo minuscolo appartamento londinese, a leggere il
giornale. Nel suo vecchio letto a Hogwarts, con le tende tirate.
Di notte nella cripta, Remus poteva sentire il resto del branco
respirare, russare e rotolare. Alcuni di loro piangevano, forse
quando pensavano che nessun altro fosse sveglio. La maggior parte
delle persone tossiva a causa delle condizioni di umidità. Dopo una
settimana anche Remus ebbe la tosse e si sentì più debole che mai.
Non era mai stato grosso, era sempre stato decisamente magro
anche dopo sette anni di cibo a Hogwarts. Ora però Remus
130
riconosceva a malapena il suo stesso corpo: le ossa nei suoi fianchi
divennero affilate, i suoi jeans gli scivolavano giù per la vita, le sue
costole si bloccavano come rami su un albero invernale e la sua
pelle divenne secca e ruvida, screpolata in alcuni punti.
Questa debolezza fisica non fece che aggravare la disperazione di
Remus; chi pensava di essere entrando a far parte di uno stupido
esercito ribelle subito dopo la scuola? Nessuno delle centinaia di
libri che aveva letto lo aveva fornito di buon senso?!
Ovviamente non poteva affrontare Greyback: l’idea era ridicola.
Così ridicolo, infatti, che Greyback non l’avrebbe nemmeno
ucciso. Remus non valeva lo sforzo. Si stava semplicemente
prosciugando nel nulla in quella cella, e nessuno l’avrebbe mai
saputo.
«Non ci stai provando.» Castor disse tornando.
Forse erano passate solo poche ore dalla prima volta che aveva
provato a mettersi in contatto con Remus. Forse erano passati
giorni. Doveva essere giorno, perché nella cripta non c’era nessun
altro.
«Fammi uscire!» Balbettò Remus, aggrappandosi alle sbarre della
sua gabbia. «Per favore!»
«Esci.» Castor tornò, freddamente.
«Non ho la mia bacchetta!»
Castor gli fece da tutore. Tese il palmo vuoto e vi apparve una
fiamma rosso sangue. Aveva dato una luce morbida e seducente ai
lineamenti di Castor, offuscando i bordi frastagliati della sua
cicatrice e rendendolo di nuovo bello.
«Non abbiamo bisogno delle bacchette, Remus. Non prendiamo in
prestito la magia come i comuni umani.»
«Non ne ho abbastanza.» Remus gemette accasciandosi all’indietro.
«Stronzate.» Castor disse chiudendo la mano sulla fiamma e
bruciandola in un pugno. «Ne stai traboccando. Stai ancora
131
pensando come un essere umano. Perché pensi che ti abbia messo
qui?»
«Per guardarmi morire.»
«Stronzate.» Ripeté Castor scuotendo la testa con disprezzo.
«Allora perché?!» Remus ringhiò.
Castor si guardò intorno di nascosto per confermare che erano soli.
Si avvicinò. Il suo profumo era più forte mentre si posizionava
proprio contro le sbarre della cella, e Remus sentì un’attrazione
involontaria verso di lui. Castor abbassò la voce.
«Ti stanno mettendo alla prova, stupido. Sei solo il quarto figlio di
Greyback a tornare da lui, sai che posizione ti dà?! Che tipo di
potere?! Hai visto Livia e Gaius, sai di cosa sei capace.»
«Ma perché-»
«Hai attaccato Gaius la scorsa estate. Greyback è preoccupato per
te ora, non lo dirà ma lo è. Nessuno sfida quei due, nessuno.»
«Non volevo sfidare nessuno, mi ha attaccato per primo e io-»
«Ti sei comportato come un lupo.» Castor disse trionfante, le sue
labbra morbide arricciate agli angoli. «Ed è quello che devi fare
ora.»
«Perché mi stai dicendo questo?» Remus lo guardò sospettoso.
Perché aveva un senso strano ora, come se Castor lo avesse
svegliato con una scossa.
«Perché non mi servi in questa gabbia.» Disse Castor, con gli occhi
scuri che bruciavano di intensità. «Un anno fa Remus Lupin mi ha
parlato di cambiamento. Di una vita migliore. Io non ho
dimenticato.»
«Mi sembra di ricordare che mi hai riso in faccia.» Remus replicò
amaramente. «“Il branco è tutto”, non è quello che avevi detto?»
«Il branco è tutto.» Castor disse ferocemente. «Non è cambiato.
Altre cose sì invece. Non sei senza alleati qui.»
«Se vuoi così tanto il mio aiuto, tirami fuori.» Disse Remus.
132
Castor inarcò un sopracciglio, lanciando a Remus uno sguardo
lungo e duro. «Sarà meglio per te se lo fai da solo. Gli altri devono
vederti avere successo.»
Remus stava per fare un’altra domanda quando l’atmosfera
cambiò; stava arrivando Livia. Castor indietreggiò rapidamente e
non disse altro. Remus lo guardò da lontano, la sua mente
finalmente iniziò a funzionare.s

Aveva bisogno della magia. Aveva bisogno di potere e aveva


bisogno di una forte emozione per far funzionare tutto.
Fortunatamente Remus aveva sempre avuto forti emozioni in
abbondanza. Quello e la pazienza.
Incoraggiato dall’intrigante proposta di Castor, Remus trovò molto
più facile concentrarsi e mantenere la calma. Ora che sapeva di non
essere del tutto solo, le apparizioni spettrali erano diventate più
facili da ignorare. Iniziò a notare le cose, come il fatto che gli altri
lupi mannari non fossero così omogenei come sembravano
all’inizio. Erano tutti abbastanza giovani, chiaramente Greyback
aveva preferenze; nessuno di loro sembrava avere più di
venticinque anni. Erano tutti magri e sfregiati. Ma più Remus li
guardava più vedeva le loro differenze. Amicizie e alleanze, rancori
e faide, simpatie e antipatie.
Quando prestava molta attenzione Remus poteva anche dire da
quanto tempo ognuno di loro era stato lupo mannaro, era chiaro
dalla gerarchia. Il gruppo più giovane si divideva in due campi;
fanatici che adoravano Livia e Gaius e quelli che erano meno sicuri,
meno a loro agio con questo strano stile di vita sotterraneo.
Tendevano a schierarsi con Castor, a dormire su un lato della cripta
e a parlare tra di loro. Gaius in particolare sembrava turbato da
questo gruppo.

133
Ogni sera si aggirava per il pavimento della cripta chiedendo
silenzio, ordinando loro di sdraiarsi più lontani. Remus sapeva dal
loro primo incontro nella Testa della Manticora che Gaius aveva
una miccia corta e non appena Remus si attaccò a questa idea,
sapeva che doveva trovare un modo per sfruttarla.
L’aiuto alla fine arrivò inaspettato. Jeremy, uno dei membri più
giovani del branco che fino a quel momento era l’unico che aveva
parlato con Remus oltre a Castor e Livia, si annoiava facilmente.
Aveva un lato malizioso che ricordava a Remus James e Sirius,
spesso faceva battute per far ridere gli altri ed era uno dei
lamentatori più espliciti quando si trattava di condizioni di vita.
Gaius lo detestava immensamente, ovviamente, e non perdeva
occasione per rimetterlo al suo posto.
Una sera, mentre tutti si mettevano a dormire, Jeremy fu colpito
da un attacco di tosse particolarmente violento ed era andato avanti
molto più a lungo del necessario.
«Controllati fratello.» Sibilò Gaius mettendosi subito in piedi,
attraversando la cripta per stare sopra Jeremy, i denti scoperti.
«Scu-sa.» Balbettò Jeremy accigliandosi sarcasticamente. «Non
posso farci niente, è l’umidità!»
«I tuoi fratelli e le tue sorelle sembrano cavarsela abbastanza bene.»
Gaius tuonò annoiato.
Jeremy sbuffò.
Gaius alzò una mano, come se stesse per lanciare un incantesimo.
«Forse hai bisogno che ti venga ricordato come comportarti.»
Jeremy si leccò le labbra nervosamente e si zittì.
Castor, che era seduto lì vicino, si alzò e mise una mano sulla spalla
di Gaius. «Gli parlerò, fratello. Non preoccuparti.»
«Nostro padre esige obbedienza.» Sibilò Gaius.
Gli occhi di Castor lampeggiarono. «Sono ben consapevole delle
richieste di nostro padre.»
134
Gaius voleva chiaramente ribattere ma vedendo il fuoco
nell’espressione di Castor ci pensò meglio e si ritirò,
nascondendosi, scattando con rabbia a tre giovani donne
rannicchiate insieme che avevano osservato l’intera cosa.
Castor si accovacciò e sussurrò a Jeremy. «Non provocarlo.»
«È uno stronzo! Non è Greyback, non può darci ordini in merito!»
«Non provocarlo.» Ripeté Castor con una nota di avvertimento
nella voce. Non fu ascoltato.
«Stavo solo tossendo! Non ho potuto farne a meno! Non è come
se stessi fischiettando una melodia allegra!»
«Calmo.» Castor disse.
Tutti sembravano essersi sistemati dopo quell’episodio; l’ordine e
la quiete erano stati ristabiliti.
Remus sedeva appoggiato al muro di fondo della sua cella, le
braccia intorno alle ginocchia. In una mano stringeva il suo
orologio da tasca che era diventato caldo e scivoloso per essere
stato tenuto tutto il tempo. All’improvviso ci fu un fischio lungo e
basso. Gli occhi di Remus si spalancarono, il suo stomaco si girò.
Quel pazzo.
Le ragazze vicino a Jeremy stavano ridacchiando di nuovo mentre
lui iniziava a fischiare una piccola melodia, Remus pensava che
suonava come Mary had a Little Lamb, ma non era bravo con le
filastrocche.
Durò solo poche battute; Gaius fu su di lui in pochi secondi
ringhiando, le mani intorno alla gola di Jeremy. Il corpo del giovane
divenne rigido come una tavola e Remus poté immediatamente
annusare la magia nera che Gaius stava usando per sottometterlo.
Era come una lieve sensazione di formicolio; tutti i peli del suo
braccio si rizzarono.
Remus chiuse gli occhi e inspirò, bevendo l’energia magica come
se ne avesse sete. La prelibatezza fu accentuata dalla terribile rabbia
135
di Gaius; dal suo ardente desiderio di ferire. Era fatta. Era fatta!
Remus era stordito dall’eccitazione quando i pezzi si misero a
posto.
«Fratello.» Si sentì la voce di Livia adesso. Scivolò sul pavimento
verso Gaius, languida come un gatto. «Lascia il cucciolo. È
irrequieto e vivace, ecco tutto.»
Gaius lasciò Jeremy che crollò all’indietro, tossendo più forte di
prima. Remus poteva sentire l’odore del sale dalle sue lacrime.
Castor si inginocchiò accanto al giovane, una mano gentile sulla
sua spalla.
Remus iniziò a pensare velocemente. Era una schifezza a fischiare,
avrebbe potuto fischiare il lupo (e Sirius ne amava l’ironia), ma non
riusciva a fare una melodia. Cos’altro sarebbe stato fastidioso?
Aveva bisogno dell’attenzione di Gaius, aveva bisogno della sua
rabbia.
Si schiarì la gola.
«Still dunno what I was waiting for...» Remus ci provò, la sua voce un
po’ roca e squallida per la mancanza di utilizzo.
Ci fu un tremolio di movimento, un senso di orecchie che si
drizzavano, come se stessero aspettando di vedere cosa stava
facendo. Era anche molto stonato, ma era l’unica canzone di cui
riusciva a ricordare tutte le parole.
Remus deglutì e alzò la voce più forte, alzandosi e avvicinandosi
alle sbarre. «And my time was running wild, a million dead end streets,
and...» Un po’ più di movimento ora, alcuni dei più giovani si erano
seduti e lo scrutavano. «Every time I thought I’d got it made, it seemed the
taste was not so sweet...»
Qualche risatina. Qualcuno sussurrò. «Alla fine l’ha perso.»
«So I turned myself to face me...» Remus chiuse gli occhi e gridò,
rotolando la fronte contro le fredde sbarre. «Though I’d never caught
a glimpse, of how the others must see the faker-»
136
«Silenzio!» Risuonò la voce acuta di Gaius.
«I’m much too fast to take that test...»
«SILENZIO!»
Remus inclinò la testa all’indietro e prese un profondo respire. «CH
CH CHANGES! TURN AND FACE THE STRANGE CH CH
CHA-ANGES!»
«Remus Lupin!» Gaius era in piedi adesso e si avvicinava a grandi
passi, una mano alzata. «Smettila SUBITO!»
«DON’T WANNA BE A RICHER MAN...» Remus continuò,
sentendo la feroce energia magica di Gaius riempire lo spazio tra
di loro, come un’onda di marea di aria calda che lo investiva e lo
inzuppava. Strinse di più l’orologio da tasca e ne trasse fuori anche
la magia risucchiandola nelle ossa e nel midollo.
Remus aprì gli occhi e le sbarre della sua cella svanirono come
fumo. Sorridendo si fece avanti, varcando la soglia della cripta.
Era libero.
«Time may change me...» Metà cantò, metà rise di Gaius che gli stava
davanti sbalordito.
«Rientra! Livia! Castor! Aiutem-»
«Zitto, Gaius.» Remus alzò la mano pensandoci a malapena,
lasciando solo che la magia facesse il lavoro.
Gaius fu messo a tacere. La sua bocca si aprì e chiuse alcune volte,
gli occhi spalancati per il terrore.
Remus provò un’ondata di piacere per questo. Sì! Temimi. «Bravo
ragazzo.» Sorrise. «Ora, al tuo posto...»
Si fece da parte e spinse Gaius con forza nella cella, prima di
schioccare le dita in modo che le sbarre ricomparissero
immediatamente.
Gaius ritrovò la sua voce e ruggì furioso. «Fammi uscire!»
Remus rise. Stava per voltarsi, per rivolgersi al resto del branco:
stavano tutti mormorando ora, vari gradi di nervosismo ed
137
eccitazione. Si sentì una mano sulla spalla. Livia apparve alla sua
sinistra, Castor alla sua destra. Sorridevano entrambi con l’orgoglio
che brillava nei loro occhi.
«Fratello mio.» Sussurrò Livia. «Finalmente! Nostro padre sarà così
orgoglioso.»

138
Soldati
I count the corpses on my left,
I find I’m not so tidy.
So I’d better get away, better make it today
I’ve cut twenty-three down since friday.
But I can’t control it.
My face is drawn, my instinct still emotes it.

La calda ondata di potere nel corpo di Remus non si dissipò così


velocemente come prima, forse semplicemente perché era sempre
lì, solo che ora sapeva come sintonizzarsi su di essa. O forse era un
meccanismo di difesa, perché l’istinto gli diceva cosa sarebbe
successo dopo. Tutti nella cripta potevano sentirlo. Alcuni di loro
si alzarono ansiosi. Livia chiuse gli occhi e sospirò di piacere.
I passi pesanti e veloci echeggiarono dalla chiesa in alto.
L’adrenalina inondò il corpo di Remus mentre la lastra di cemento
che copriva l’ingresso della cripta veniva spinta da parte.
Greyback scese. Sembrava diverso da prima. Adesso non era sulla
difensiva. Sorrideva, la sua postura e il suo profumo erano
accoglienti. Amabile. Il cuore di Remus perse un battito.
Greyback sorrise, i suoi occhi scuri e riservati come la foresta.
«Remus Lupin.» Disse. «Penso che sia ora di fare due chiacchiere.»
Remus annuì, sbalordito.
Anche Greyback annuì, sempre sorridendo, poi si voltò e riprese a
salire le scale. Remus lo seguì senza nemmeno voltarsi indietro.
Finalmente, finalmente, questa era la sua occasione. Per fare cosa,
non lo sapeva ancora. Tutto ciò che Remus sapeva in quel
momento era che suo padre era venuto per lui, ed era euforico.

139
L’aria divenne più fresca e pulita mentre emergevano nella chiesa
in rovina, e Remus inspirò profondamente, chiudendo gli occhi.
Era quasi sera; fresco e tranquillo. Sotto le nuvole scarsamente
illuminate, la foresta intorno a loro si stava trasformando dal
giorno alla notte, le creature notturne sbadigliavano, si allungavano
e si strisciavano fuori dalle loro tane e gallerie.
Greyback condusse Remus lungo il corridoio della chiesa e
attraverso l’uscita ad arco e camminarono, non molto a lungo,
attraverso gli esili alberelli di faggio, oltre robuste querce inglesi,
lungo uno stretto sentiero nascosto che portava a una specie di
caverna alla base di una collina. Una tana.
Senza voltarsi indietro Greyback entrò, chinandosi solo
leggermente all’ingresso prima di raddrizzarsi mentre la bocca della
tana si apriva più ampia e più alta di quanto Remus avrebbe potuto
prevedere dall’esterno.
Lo seguì, perché non c’era nient’altro da fare.Dentro sapeva di
casa. Terra e foresta, carne e lupo.
Sebbene non ci fosse una fonte di luce naturale, non appena
Greyback entrò una serie di torce lungo le pareti della tana si
accesero, creando uno spazio accogliente. C’era persino un fuoco
con sopra un calderone di peltro traboccante di qualcosa che aveva
un odore denso e saporito. Un tavolo di legno accanto al camino
era carico di ogni tipo di cibo: selvaggina appena spellata e uccisa,
ciotole di noci e bacche, funghi, ortiche e pane.
I lati della grotta erano stati scavati in scaffali e cavità piene di libri
e rotoli. C’erano alcuni sgabelli di legno sparsi qua e là, e Greyback
fece cenno a Remus di sedersi.
Remus si sedette guardandosi intorno. Più indietro, nascosto
nell’ombra, poteva sentire l’odore di un letto, o almeno del posto
in cui dormiva Greyback.

140
Tuttavia l’odore dello stufato era più fastidioso. Remus aveva
consumato la maggior parte dei suoi pasti freddi nell’ultima
settimana e mezza al buio. Il delizioso profumo di un pasto caldo
minacciava di sopraffarlo.
Guardò il suo rapitore prendere una ciotola di porcellana da uno
scaffale e mettere una piccola porzione di stufato dal calderone,
poi prendere un cucchiaio e portarglielo.
Greyback gli porse la ciotola e Remus la prese, ancora incapace di
distogliere lo sguardo da Greyback. La sua forma riempiva
l’ingresso, dura, muscolosa e immobile. I suoi capelli scuri e ruvidi
erano raccolti in un nodo e i suoi occhi gialli si fissavano su Remus,
entrambi curiosi e provocatori allo stesso tempo. Nonostante il suo
comportamento più grande della vita, c’era anche una calma in lui
che Remus aveva visto solo negli animali selvatici. Un silenzio
immobile che prometteva qualcosa di più sinistro, come una
trappola a molla.
Greyback si sedette di fronte a Remus, le mani sulle ginocchia, e
annuì alla ciotola di stufato che riscaldava le mani di Remus.
«Mangia.» Disse.
Senza esitazione raccolse dello stufato e si mise il cucchiaio in
bocca, Remus non sapeva ancora se stava eseguendo gli ordini
perché doveva o perché voleva farlo. Avrebbe potuto piangere.
Era la cosa più deliziosa che avesse mai assaggiato, calda e piena di
sapore: una specie di carne scura e cipolla ricca. Masticò, come da
istruzioni, prima di deglutire a fatica.
Greyback si leccò i denti aguzzi. «Bravo cucciolo.»
Remus lo ignorò e continuò a mangiare, improvvisamente
affamato.
Una poesia che aveva letto una volta gli saltò in mente, come un
avvertimento.

141
Though the goblins cuffed and caught her,
Coaxed and fought her,
Bullied and besought her,
Scratched her, pinched her black as ink,
Kicked and knocked her,
Mauled and mocked her,
Lizzie uttered not a word;
Would not open lip from lip
Lest they should cram a mouthful in.

Ovviamente erano i goblin. Non devi mangiare il cibo che ti è stato


dato dalle fate o dai folletti: non c’era niente che avesse letto sui
lupi mannari. Ma allora, cosa era mai riuscito a imparare sui lupi
mannari?
Greyback lo guardò ancora un po’ come se si fossero seduti a cena
insieme, come se fossero vecchi amici. Aspettò che Remus avesse
quasi finito di mangiare per parlare.
«Alla fine hai preso di mira Gaius, eh? Interessante. Ho pensato
che forse Castor...»
«Era crudele.» Rispose Remus.
«È un bravo cucciolo. Bellissimo lupo; potente. Ma ha alcune cose
da imparare sulla leadership, te lo concedo. Cosa ne pensi degli altri
miei figli, eh?»
Remus finì di mangiare, deglutì e succhiò pensieroso il cucchiaio
prima di rimetterlo nella ciotola vuota. Guardò Greyback negli
occhi. «Mi dispiace per loro.»
«Scusa?»
«Per il modo in cui vivono. Non c’è dignità in esso.»
Gli occhi di Greyback brillarono. «Dignità. Che creatura deliziosa
sei, Remus Lupin. Sì, dignità. Questa è esattamente la parola.
Esattamente.» Greyback si stava accarezzando la barba,
142
pensieroso. «È una situazione temporanea, ovviamente. Quando
questa guerra sarà vinta...»
«Quando questa guerra sarà vinta...» Disse Remus, fermamente. «I
lupi mannari saranno più odiati e temuti che mai. Per quello che
hanno fatto. A causa dei loro crimini.»
Greyback gettò indietro la testa e rise, mostrando lunghi denti
gialli. «Veramente delizioso, cucciolo. Temevo che così tanto
tempo in quella cella potesse averti ammorbidito, ma...» Greyback
alzò un folto sopracciglio, e Remus sentì uno spiacevole dimenarsi
nel suo cervello, come se qualcuno stesse facendo roteare le dita
tra i suoi pensieri. Aggrottò la faccia e Greyback ridacchiò
profondamente. «No. Ancora intatta. Il mio cucciolo buono e
forte.»
Remus lo fissò. La sensazione di guizzo cessò. «Vuoi dire...»
Sussurrò. «Non volevi spezzarmi?»
«Ovviamente no.» Greyback sputò con disprezzo. «È questo che
pensi? Sono queste le vili bugie diffuse su di me? Perché un padre
dovrebbe augurare del male ai suoi figli?»
Remus inclinò la testa. «Dimmelo tu. Perché attaccheresti un
bambino di cinque anni? Perché mi hai rinchiuso?»
«Curiosità.» Greyback agitò una mano dalle lunghe unghie
sprezzante. «Queste non sono le domande a cui vuoi risposte, non
fingere.»
«Come fai a sapere cosa voglio?!» Remus sentì il suo temperamento
aumentare e lottò per tenerlo sotto controllo. Cercò di aggrapparsi
alla sensazione di potere che aveva preso da Gaius, per assorbire la
magia che poteva sentire nelle pareti di terra della tana.
«So tutto di te, Remus Lupin.» Lo guardò ancora una volta con
occhi affilati come rasoi, e Remus sentì quello spiacevole trascinarsi
tra i suoi pensieri.

143
«No, non è giusto.» Remus scosse la testa, cercando di costruire un
muro contro Greyback. «Stai usando la legilimanzia!»
«Pah. Un trucco da mago. I lupi non leggono nel pensiero. I lupi
vedono le anime.»
A Remus sembrava la stessa cosa.
Le labbra di Greyback si arricciarono ancora una volta in un sorriso
malvagio. «No, Remus Lupin. Non è la stessa cosa. Si può cambiare
idea, dopotutto. Remus Lupin potrebbe simpatizzare con i suoi
compagni di branco un giorno e insultarli il giorno dopo. Questa è
la mente. Ma l’anima di Remus Lupin...» Greyback chiuse gli occhi
e inspirò, come se Remus avesse un odore particolarmente
delizioso.
«Smettila!»
«Fammi smettere.»
Remus ci provò. Provò molto, molto duramente, costringendo la
magia dentro di lui a tornare indietro attraverso i suoi occhi,
attraverso i suoi pensieri. Sembrava funzionare. La sua mente si
calmò e Greyback si appoggiò allo schienale, apparendo
compiaciuto. Remus era così confuso adesso; non voleva
accontentare Greyback, mai più.
«Va benissimo odiarmi, sai.» Greyback disse allungando le braccia
e roteando le spalle come se si stesse preparando per andare a letto,
o per una rissa. «È naturale avere risentimenti verso proprio padre.»
Non sei mio padre. Remus pensò nella parte del suo cervello dove si
sentiva ancora sé stesso. Non ho mai avuto un padre, e non ne ho mai
avuto bisogno.
«Rispondi alle mie domande.» Remus disse, con tutta la forza che
riuscì a gestire. «Se tieni a me così tanto... Come un... come un
padre, allora perché trasformarmi?! Perché darmi la caccia per anni
e poi rinchiudermi in una gabbia non appena mi faccio vivo?!»

144
Greyback rideva di nuovo di lui, file e file di denti, una lunga lingua
rossa. «Puoi ringraziare Lyall Lupin per la tua trasformazione.»
«Giusto.» Remus fece una smorfia. «Terribilmente umano, non è
vero?! La vendetta.»
«Autoconservazione.» Ribatté Greyback, grattandosi dietro
l’orecchio divertito. «Lyall aveva idee su come trattare la mia
famiglia. Idee ignoranti. Aveva bisogno di imparare.»
«Allora perché non attaccare lui.»
«Perché era debole.» Greyback sibilò. «Ho sentito l’odore su di lui.
Nessuna spina dorsale, un ipocrita. E ho avuto ragione. Un uomo
migliore non avrebbe abbandonato il suo cucciolo e la sua cagna.
Anche se forse dovrei ringraziarlo. Si è distrutto prima che una
qualsiasi di quella debolezza potesse insinuarsi in te.» Si leccò le
labbra. «È diventato il mio motto. Prenderli giovani, farli crescere
forti.»
Remus aveva voglia di vomitare. Odiava Greyback così
ferocemente che era come se le sue viscere si fossero trasformate
in bile.
«Se pensi questo.» Proseguì stoicamente, con la bocca piena di
saliva che rendeva le sue parole dense e sciatte. «Allora perché
aspettare così tanto per trovarmi? Avresti potuto portarmi fuori di
casa in qualsiasi momento.»
«Ci ho pensato.» Annuì Greyback, inclinando pensieroso la testa.
«Ho preso Livia quando parlava a malapena. Castor e Gaius
quando erano bambini. Ma tu eri un caso diverso. Silente ti aveva
messo addosso le zampe prima ancora che Lyall fosse fuori gioco.
Sapevo cosa stava pensando il vecchio strambo: il suo lupo
mannaro, la sua bestia addomesticata, tutta addestrata e dotata di
una testa piena di trucchi magici e bugie magiche. Un mostro
istruito. Si leccò le labbra lascivamente. «Sapevo tutto questo, e ho
pensato... perché no? Lascia che il cucciolo venga da te quando sarà
145
il momento giusto, lascia che impari tutto ciò che può imparare sul
mondo magico. Vedremo allora quale lato vince.»
«Lato? Intendi tu o Silente?»
«Natura o educazione.» Greyback ridacchiò.
Remus si ritrasse disgustato. «Quindi sono un esperimento?!»
«In un certo senso.»
Remus finalmente distolse gli occhi, incapace di fissare ancora il
raggio laser di Greyback. I suoi occhi si fissarono sulla libreria alla
sua destra. Erano tutti classici. Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e del
Signor Hyde, L’Isola del Dottor Moreau, il Conte di Montecristo e molti
altri.
«E la gabbia?» Chiese tremante, fissando le lettere d’oro su ogni
libro rilegato in pelle. «Faceva parte dell’esperimento?»
«Era chiaro che ti sei affidato troppo ai trucchi che ti ha insegnato
Silente.» Greyback disse, come se fosse tutto perfettamente
ragionevole. «Sei stato confinato solo per il tempo necessario, per
assicurarti che i tuoi veri doni fossero abbastanza forti da
risplendere. E lo erano, cucciolo. Guardati adesso; solo feroce di
potere.»
Remus finalmente lo guardò, incontrando di nuovo quegli occhi
gialli da lupo. Bene allora. Se era così potente, poteva usarlo a suo
favore. Bruciando di odio amaro e acido, Remus si spinse fuori
ancora una volta, concentrandosi il più intensamente possibile sul
corpo di Greyback. Rendilo debole, fagli male.
Greyback raddrizzò la schiena nello sgabello e chiuse gli occhi,
sorridendo come se Remus lo stesse accarezzando, senza sparare
ogni cosa disgustosa che poteva. Poi il lupo mannaro alzò una
mano e Remus vide che tremava, molto leggermente. Tuttavia,
Greyback era incredibilmente potente, Remus poteva sentire la sua
stessa magia contrastata e bloccata. Valeva la pena provare.

146
«Molto bene, Remus Lupin.» Disse Greyback dopo molto tempo,
la sua voce un po’ più roca di quanto non fosse stata. «Molto bene,
cucciolo...» Sospirò. «Basta, per stasera. Forse parleremo di
nuovo.»
Remus si alzò velocemente sentendosi come se per tutto questo
tempo fosse stato appesantito dallo sgabello ed ora il peso era
sparito.
«Un momento...» Anche Greyback si alzò e si spinse oltre Remus
nella camera da letto oscura dietro. Ritornò pochi secondi dopo
con una grande pelliccia grigia, e la porse a Remus. «Un regalo,
cucciolo. Benvenuto nel branco.»
Remus lo prese e lo tenne su un braccio, con cautela. Era
bellissima; la morbida pelliccia argentata e nera sotto le sue dita.
«Posso andare?» Chiese, guardando la bocca della tana, ora
incustodita e aperta. All’improvviso era nervoso.
«Ovviamente. Conosci la via del ritorno. Non sei nel mondo dei
maghi adesso; sei libero. Vai dove vuoi. Torna dal branco.
Oppure... se preferisci dormire qui...» La sua faccia divenne di
nuovo affamata, il suo sorriso beffardo, mentre si faceva da parte
e indicava il proprio letto.
Lo stomaco di Remus si aggrovigliò di nuovo e uscì dalla tana il
più velocemente possibile. Rimase fuori da solo per molto tempo.
Il pensiero di smaterializzarsi e di andarsene da lì il più velocemente
possibile, di tornare a casa da Sirius, a Londra e dai suoi amici,
avvenne solo di sfuggita.
La notte era scesa nella foresta. Remus respirò l’aria adorabile, e
guardò le belle luci nel cielo. I gufi si lanciavano in picchiata sopra
la testa, a caccia di prede. Le volpi strisciavano nel sottobosco, le
talpe solcavano il terreno sotto i suoi piedi. Si sentiva parte di
questo posto quanto loro. Una creatura naturale, che prende vita.

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Una brezza fresca faceva frusciare le foglie sopra di lui e lui
rabbrividì. Senza pensare si tirò il mantello di pelliccia sulle spalle,
avvolgendolo strettamente intorno a sé. Si sentiva bene, come una
seconda pelle.
Respirò ed espirò ancora una volta, per assaporare la pace e la
quiete di essere solo. Poi si voltò dalla tana e tornò nel suo branco.

Le cose cambiarono dopo, ovviamente. Quando Remus tornò nel


branco quella sera aveva già un nuovo posto nella gerarchia. Gaius
era stato liberato dalla sua prigione e non incontrò gli occhi di
Remus; non lo sfidò, si limitò a sgattaiolare via nel suo angolo. Livia
chiarì che Remus ora aveva superato Gaius, avvicinandosi per
prima e accarezzando la sua nuova pellicca, facendo le fusa di gioia,
«Bello.» Disse. «Bello.»
E quando arrivò il momento di sistemarsi e dormire, Remus aveva
la scelta di qualunque posto gli piacesse sul pavimento della cripta.
Questa doveva essere una decisione attentamente ponderata;
dormire accanto a Livia, la cagna alfa, che cosa diceva? Certamente
avrebbe fatto capire a Gaius esattamente come stavano le cose. Era
quello che avrebbe suggerito Moody, se Moody avesse una mezza
idea di come comportarsi in una situazione del genere.
Aveva delle riserve anche su Castor. Per prima cosa l’istinto gli
diceva di schierarsi con il bel giovane e sapeva che non era tutto a
che fare con il fatto che Castor lo aveva aiutato. Remus era abituato
al profumo adesso, ma questo non lo rendeva meno attratto.
Inoltre Castor era chiaramente un dissenziente. Stare con lui
avrebbe potuto far sorgere sospetti da parte degli altri membri del
branco.
Ma era stanco e assonnato, e aveva già preso tante decisioni che
cambiavano la vita. Così scelse Castor, almeno si sentiva al sicuro.
Remus avrebbe dovuto chiedere perdono più tardi.
148
Nei giorni che seguirono, Remus conobbe il branco non solo per
odore e come compagni emarginati ma come singole persone.
Molti di loro, come Jeremy, si erano uniti al branco di recente.
Adolescenti fuggiaschi, figli rinnegati di famiglie di maghi
vergognosi. Tutti avevano storie difficili di fame, sofferenza e
terribili abusi. Per la prima volta nella sua vita, Remus sentì di aver
avuto un’infanzia privilegiata, anche se la Direttrice era stata una
vecchia mucca dal cuore di pietra che odiava i bambini aveva avuto
un tetto sopra la testa.
Alcuni di loro erano gentili e divertenti, altri erano sciocchi e
immaturi. Alcuni di loro erano tristi e timidi. Ogni giorno Remus
diventava sempre più disperato per aiutarli; per trovare un posto
migliore e una vita migliore per ognuno.
Ovviamente non avevano tutti la stessa storia; alcuni di loro non
erano con Greyback per protezione o riparo, alcuni di loro erano
davvero lì per vendicarsi. Credevano con tutto il cuore nella
filosofia del padre: l’omicidio per loro non era un crimine, solo la
natura di un predatore. Il mondo doveva loro del sangue e lo
avrebbero preso.
«Ci ho creduto anche io.» Castor disse la mattina dopo. Si era
offerto di mostrare a Remus i loro sentieri di caccia nella foresta.
Catturarono conigli e altri animali usando l’istinto e la magia. «Ho
creduto a tutto quello che aveva detto, per molto tempo. È l’unico
insegnante che abbia mai avuto.»
«Ma hai cambiato idea?» Chiese Remus quasi sperando, perché
ancora non era del tutto sicuro delle motivazioni di Castor.
«Sì.» Castor rispose, senza notare la trepidazione di Remus. «È
stato un processo lento.»
«Cosa l’ha attivato?» Remus si era un po’ affannato per stare al
passo con Castor, che era snello e muscoloso, l’esempio di buona
salute, nonostante le sue cicatrici.
149
«Nessuna cosa in particolare.» Disse Castor fermandosi e
guardandosi intorno, come se avesse sentito un odore. Sembrò
pensarci meglio e continuò a camminare, a testa alta e con gli occhi
acuti. Era così naturale e rilassato in sé stesso. Remus non pensava
di poter mai divertare così. Gli faceva pensare vagamente a Sirius,
tranne che ovviamente Castor parlava molto meno. Dovevi
davvero tirare fuori le risposte da lui.
«Niente in particolare?» Remus ansimò. «Qualcosa deve avere-»
«Libri.» Disse Castor avanzando a grandi passi. Era sulle tracce di
qualcosa.
«Libri?!»
«Nostro padre ci incoraggia a istruirci. Sviluppare pensieri
indipendenti. Beh, l’ho fatto. È la via della natura, ribellarsi al
proprio padre.»
Sembrava stranamente come Greyback. Castor lo faceva spesso, lo
facevano tutti. Parlavano con una sola voce, ed era sempre la sua.
«Ma se incoraggia questo, allora perché non ci sono più degli
altri...»
«Ho detto che siamo incoraggiati, non costretti.» Castor disse, un
piccolo sorriso ironico giocando sulle sue labbra.
«Oh.» Disse Remus.
Si ricordò di Livia che gli aveva citato Platone. Essere istruiti non
significava arrivare tutti alle stesse conclusioni.
«Ho anche ascoltato quello che hai detto.» Disse infine Castor.
«Quando sono stato intrappolato dalla driade, in Scozia. Sapevo
che eri il mio nemico, ma non volevo farti del male. Poi ho capito
che non volevo fare del male a nessuno. Penso che possiamo vivere
in pace, lontano dall’umanità, come hanno imparato a fare altre
creature.»
«È davvero quello che vuoi?»

150
Castor allungò rapidamente una mano e si accucciò. C’era un
coniglio a meno di un metro e mezzo di distanza. Remus trattenne
il respiro e guardò Castor avanzare lentamente, sussurrando un
incantesimo calmante. Quando raggiunse la creatura gli saltò
addosso in grembo. Lo accarezzò dolcemente per un momento,
continuando a sussurrare. Poi gli ruppe il collo.
Remus voleva essere disgustato e dispiaciuto per il coniglio, ma
poteva già sentire l’odore del sangue e il suo stomaco brontolava.
Castor gli sorrise, illuminando gli occhi grigiastri. Tese il coniglio,
il sangue gli scivolò lungo il polso.
«Per te, Remus Lupin.»
Remus era lusingato.
Jeremy mostrò a Remus alcune delle tecniche di “raccolta” del
branco, che sostanzialmente equivalevano al furto. C’erano città
intorno alla periferia della foresta e tutto ciò che dovevano fare era
materializzarsi lì e trovare una casa vuota, cosa che poteva essere
fatta con l’odore.
Erano in piedi nella camera da letto di una di queste case quando
Jeremy rivelò tutta la verità sulla parte del branco in guerra.
Se Remus non era stato infastidito dal fatto che un coniglio fosse
stato massacrato senza tante cerimonie davanti a lui, allora
svaligiare una casa non gli avrebbe fatto arricciato i capelli. In
effetti aveva riportato alcuni bei ricordi della sua giovinezza
criminale. Tuttavia non partecipò davvero. Annusò solo i vestiti
nell’armadio mentre Jeremy cercava gioielli nel comò.
«Per come la vedo io.» Disse Jeremy allegramente. «Greyback potrà
anche essere un po’ pieno di sé, un po’ alto e potente, ma ha fatto
molto per me e per molti altri. Gli importa più di chiunque altro da
quando ho ricevuto questo maledetto morso.»
«Hai fatto qualcosa di simile all’autoeducazione?» Chiese Remus in
modo casuale.
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«Non fa per me.» Jeremy disse. «Non mi piace molto leggere.
Preferisco il Quidditch.»
«Mh.»
«Uffa, perle.» Jeremy fece un balzo, sollevandone un nodo da una
scatola di velluto verde. «Odio il modo in cui si sentono nelle tue
mani. Mia madre le indossava sempre: cimelio di purosangue.»
«Sei un purosangue?» Renus si voltò, leggermente sorpreso.
«Nah, mia madre lo è, papà invece è un mix. Non significa più
molto. Per loro sono peggio di un mezzosangue adesso. Bastardi.»
Chiuse il cassetto con rabbia. «Questa è una delle cose su cui
Greyback ha ragione. Meritano quello che stanno ottenendo.»
«Chi?»
«I purosangue.»
«Cosa intendi?» Remus sapeva di sembrare stupido, ma era
sinceramente confuso. Gli era sempre stato detto che alcuni dei più
grandi alleati di Voldemort erano le case purosangue, sapeva che
erano i mezzosangue e i nati babbani quelli che aveva preso di mira.
Lo disse a Jeremy.
«Oh, sì.» Jeremy annuì allegramente. «Ne abbiamo morsi uno o
due. Ma la maggior parte delle volte siamo davvero una tattica
spaventosa per tenere in riga le vecchie famiglie.»
Remus insistette per avere maggiori informazioni e Jeremy, che era
stato ansioso di fare tutto ciò che poteva per Remus sin
dall’incidente di Gaius, era fin troppo felice di collaborare.
Voldemort stava usando i lupi mannari come poco più che un
muscolo assunto. Se qualcuno dei suoi influenti e ricchi sostenitori
iniziava a interrogarlo un po’ troppo o iniziava ad avere dubbi,
bastava una visita di Fenrir Greyback e alcuni dei suoi pazzi e
selvaggi metodi per riportare tutti in riga.
«Ho visto un sacco di ville ultimamente.» Ridacchiò Jeremy. Colse
lo sguardo che Remus gli stava dando. «Oh che c’è?! Te l’ho detto,
152
se lo meritano. Non avrebbero dovuto andare al suo fianco in
primo luogo.»
«Aspetta, quindi non supporti nemmeno Voldemort?!» Remus lo
guardò a bocca aperta.
«Certo che no, è un vero strambo. Mi spaventa a morte ad essere
onesti. Ma, sai. Non ho scelto questo lato, è solo la mano che mi è
stata data.»
«Ma se tu avessi una scelta, se tu...»
«Non c’è scelta, Remus Lupin!» Disse Jeremy ferocemente, quella
voce che usciva dalla sua bocca che non era la sua. «C’è il branco.
Non possiamo fidarci di nessun altro. Devi abituarti, se vuoi essere
uno di noi.»
E questo era quanto poteva spingersi con ognuno di loro. Dopo
un certo punto, tornavano tutti alla stessa vecchia sceneggiatura.
Greyback era il loro capo, e anche se non erano d’accordo con lui
in tutto, la maggior parte si sentiva in debito con lui e si fidava di
lui prima di ogni altra cosa.
Alla luce del giorno, Remus non era mai sicuro di potersi fidare
davvero di Castor o Jeremy, o di nessuno degli altri. Persino Castor,
che era interessato ad ascoltare cosa aveva da dire Remus e che era
determinato a convincere gli altri a ritirarsi dalla guerra.
«Non è una cosa facile.» Castor cercò di spiegare. «Per rendersi
conto che nostro padre ha torto, che non dobbiamo prendere parte
agli affari dei maghi, men che meno alla guerra. Significherebbe
dividere il branco.»
«Puoi farlo?» Chiese Remus impressionato.
Castor alzò leggermente le spalle. «Forse.»
Utile.
Remus si aspettava di rivedere Greyback, ora che era stato
completamente iniziato, ma il padre del branco rimase stranamente
remoto. Di tanto in tanto convocava Livia, che Remus aveva
153
saputo che era stata con lui più a lungo, quasi tutti i suoi trent’anni.
(Remus fu scioccato nell’apprendere la sua età, sembrava allo
stesso tempo troppo giovane e troppo vecchia.) Altrimenti, Remus
era lasciato a sé stesso.
Avrebbe potuto andarsene quando voleva, questo gli fu chiarito.
Ma aveva detto agli altri del branco che non aveva nessun altro
posto dove andare, come loro. Aveva bisogno della loro fiducia e
per questo dovevano essere in grado di relazionarsi con lui. Quindi
non aveva mai provato a sgattaiolare via e inviare un messaggio
all’Ordine, non era nemmeno sicuro che fosse possibile, ma in ogni
caso non ci provò. Sapeva che forse non avrebbe mai più avuto
questa possibilità e, dopotutto, era per questo che Silente lo aveva
allevato.
Per quanto riguardava Silente, Moody e Ferox e ogni altro adulto
a cui piaceva spingere Remus sulla scacchiera, era esattamente dove
avrebbe dovuto essere. E non era infelice. Era solo, ovviamente.
Desiderava Sirius come un arto mancante, e avrebbe fatto qualsiasi
cosa per una doccia, una sigaretta e una tavoletta di cioccolato. La
foresta però aveva cominciato a sembrare un luogo a cui
apparteneva: gli altri lupi si sentivano come una famiglia. La sua
missione diventava ogni giorno più chiara e sapeva che non poteva
andarsene. Quindi rimase sempre in bella vista e non disse una
parola sulle sue amicizie e sui suoi legami a casa.
L’amicizia era diversa tra i licantropi. La solidarietà del branco era
tutto, anche Remus lo sentiva; a volte pensava che sarebbe morto
per proteggerli, persino Gaius. L’unico sentimento che ci si era mai
avvicinato era quando i Malandrini erano nelle loro forme di
animagus a Hogwarts e Remus supponeva che avesse un senso.
Anche il sesso era diverso con loro. A metà del mese Remus notò
alcuni membri del branco che si stavano accoppiando, svanivano
nel bosco per circa un’ora alla volta e tornavano con tutto quel
154
profumo familiare. Era ovvio quello che stavano facendo tutti, ma
a nessuno sembrava importare o prestare molta attenzione. Era
solo un altro istinto che tutti accettarono e seguirono senza fare
domande.
«Il desiderio cresce con l’avvicinarsi della luna.» Spiegò Castor,
mentre giacevano nella cripta una notte cercando di ignorare il
silenzioso ansimare e armeggiare intorno a loro.
«Non l’avevo mai notato prima.» Remus mentì fissando il soffitto.
«Se scegli di accoppiarti scegli con saggezza.» Sussurrò Castor. «Ti
ammirano, noteranno favoritismi.»
«No.» Disse Remus. «Io non... Ho già qualcuno.»
«Un umano?»
«Sì.»
«Allora hai intenzione di tornare.» Castor finì. Sembrava così triste
per questo.
Remus voleva voltarsi e scusarsi, confortarlo in qualche modo, ma
quello era un territorio pericoloso e lo sapeva. L’aria era già densa
di lussuria e non sapeva cosa avrebbe fatto.
«Dovrò, alla fine.» Disse Remus. «Ma prima voglio assicurarmi che
siate tutti al sicuro.»
«Sopravviveremo senza di te, Remus Lupin.» Castor tornò, la sua
voce non aveva più il solito timbro calmo e regolare. «Non sei
ancora il nostro leader.»

155
Luna di sangue
Remus aveva quasi trascorso un mese intero nel branco di
Greyback prima che gli fosse veramente dato un motivo per
andarsene. Una mattina si svegliò tardi e si ritrovò quasi solo.
Confuso si mise a sedere, guardandosi intorno: si era abituato ad
avere Castor e Jeremy nelle vicinanze, si sentiva orribilmente
esposto senza il loro calore corporeo.
«Papà li ha chiamati.» Una voce uscì dall’oscurità.
Remus alzò il palmo per creare una fiamma priva di calore per la
luce, come gli aveva insegnato Castor. Era più facile dei lumos,
anche se non così brillante.
Gaius uscì dall’ombra di una delle stanze. Fissò Remus. «Papà è
venuto questa mattina. Ha convocato Castor e Livia. Solo loro.
Suppongo che Castor sia stato perdonato, adesso.»
«Torneranno presto?» Chiese Remus con cautela, avvolgendosi il
mantello intorno alle spalle in modo protettivo.
«Non me lo aspetto.» Caio rifletté. Stava armeggiando con qualcosa
di luccicante, continuava a guardarlo. «Sono andati a incontrare il
Signore Oscuro.»
«Che cosa?!»
«È quasi la luna. Avrà dei piani per il branco.»
«...Piani?» La realtà scese fragorosamente sulla testa di Remus,
come il vetro che si frantuma, come un incidente d’auto.
«Sai...» Disse Gaius, apparentemente disinteressato alla crisi di
coscienza di Remus. «Mi sono sempre chiesto perché mio padre
aveva trasformato tre maschi. Ho pensato che forse desiderava che
imparassimo a guidare il branco insieme; condividere l’onere della
responsabilità. Ma ora me ne rendo conto. Vuole che noi
competiamo.»

156
«Cosa vuoi, Gaius?» Remus si alzò raddrizzando le spalle per
ricordare a Gaius che era più grande e più forte, quando voleva
esserlo. «Vuoi che ti canti un’altra canzone?»
Gaius gli fece una smorfia, le guance arrossate. Indietreggiò. «Non
trionferai.» Egli disse. Lanciò l’oggetto luccicante ai piedi di Remus
prima di voltarsi per andarsene, e fece un duro, rumore metallico.
Era l’orologio da tasca di Remus.
«Oi!» Gridò Remus chinandosi per afferrarlo, ma Gaius se n’era
andato.
Remus si accasciò contro il muro, passandosi le dita tra i capelli
sudici. Il suo cuore accelerò, il suo respiro accelerò e iniziò a farsi
prendere dal panico. Merda. Merda, merda e merda.
Ovviamente stavano ancora lavorando con Voldemort, la guerra
non si era fermata semplicemente perché Remus era lì. Si sentiva
stupido e ingenuo e, peggio ancora, si sentiva in colpa. Doveva
essere in una dannata missione! Ma non aveva pensato all’Ordine,
non proprio; era stato più preoccupato a proteggere il branco che
di tornare dai suoi amici, la sua vera famiglia. Per tutto questo
tempo, Remus aveva pensato a sé stesso come una vittima quando
in realtà era il peggior tipo di traditore.
Si scrollò di dosso il mantello di pelliccia. Non voleva assomigliare
a loro. Voleva davvero vedere Sirius, dopo settimane passate a
reprimerlo il suo desiderio esplose come un geyser in modo che
non potesse afferrarlo e schiacciarlo di nuovo. Sirius avrebbe
saputo cosa fare o almeno avrebbe fatto sentire Remus meglio su
tutto.
Remus guardò l’orologio, l’unico legame che aveva ancora con i
suoi amici. L’oro aveva perso la sua lucentezza e se lo strofinò sulla
gamba sporca dei pantaloni per vedere se aiutava. Poi l’aprì e lo
richiuse alcune volte, facendo scorrere i polpastrelli dei pollici
lungo l’incisione liscia della foglia di vite. Aveva smesso di
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funzionare il giorno in cui l’aveva usato per fuggire dalla sua cella;
ne aveva spremuto tutta la magia come una spugna. Un altro
tradimento.
Una volta che si aveva calmato il respiro, Gesù Cristo cosa non farei
fatto per una sigaretta, Remus cercò di pensare razionalmente. Il suo
primo istinto fu di uscire immediatamente; bastava camminare nel
bosco e sparire.
Ma poi cosa? Spiegare a Moody e Ferox che mentre era passata
qualche settimana adorabile le cose erano diventate un po’ troppo
spaventose, quindi aveva voltato le spalle alla prima occasione? No.
Se Greyback stava incontrando Voldemort, significava che stava
per arrivare un attacco. Remus non poteva permettere che
accadesse. Avrebbe aspettato, almeno per scoprire se Castor gli
avrebbe detto qualcosa. Nel frattempo, Remus fece del suo meglio
per evocare un ricordo felice. Avrebbe dovuto inviare un patronus
il prima possibile.

Fratelli! Sorelle! Radunatevi vicino.


La voce di Livia nella sua testa doveva essere una delle esperienze
meno piacevoli che Remus aveva avuto da quando si era unito al
branco. Funzionò però, si arrampicò su per le scale della cripta fino
alla chiesa in rovina dove gli altri si stavano raggruppando.
Greyback era in piedi accanto al pulpito, Castor e Livia ai suoi lati
con la schiena dritta e la testa alta.
«Figli miei.» Greyback si rivolse a tutti, alzando le braccia come un
predicatore evangelista. «La luna si avvicina, il nostro tempo è
vicino.»
Ci fu un mormorio di eccitazione a questo. Per molti le lune piene
rappresentavano un’opportunità per essere liberi; essere il vero sé.

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Greyback alzò un dito per zittirli e sorrise paternamente. «Ho
parlato con il nostro benefattore. Questa luna, banchetteremo con
i nostri nemici. Ci è stato dato il dono della preda.»
Alcuni membri del branco applaudirono e gridarono,
chiacchierando con ancora più eccitazione.
Oh no. Lo stomaco di Remus sussultò. Oh no, oh no...
«Livia e Castor vi guideranno.» Greyback disse. «Porterete la
bambina da me, i genitori potete tenerli per voi.»
Più applausi. Non tutti però, Remus vide alcuni dei più giovani
guardarsi l’un l’altro in modo strano, e gli occhi spalancati di Jeremy
stavano praticamente bruciando un buco nella schiena di Castor.
Non tutti. Pensò Remus. Possono essere salvati, possono, possono...
Remus Lupin. Una voce gli balzò in testa. Sbatté le palpebre,
sbalordito: era Castor. Non è sicuro parlarne qui. Ti unirai a
me nelle foreste.
Remus guardò Castor, che fissava davanti a sé il vuoto, come
sempre, imperscrutabile. Non aveva mai provato a comunicare in
quel modo prima, ma il branco era abbastanza vicino e la magia
della foresta premeva, quindi si concentrò molto.
Sì. Capito.
Castor non fece segno di aver sentito, quindi Remus doveva solo
sperare.
Greyback se ne andò poco dopo, facendo a Remus un occhiolino
crudele mentre passava. «È il tuo momento di brillare, cucciolo.»
Egli disse.
Remus sapeva che avrebbe dovuto annuire o fare qualcosa del
genere, ma era troppo teso e si limitò a fissarlo rigidamente.
Castor annunciò che stava andando a caccia, e Remus acconsentì
rapidamente ad unirsi a lui.
Livia lanciò a entrambi uno sguardo di apprezzamento. «Non vi
stancate, fratelli. Abbiamo dei piani davanti a noi.»
159
Camminarono nel bosco in silenzio. Era tardo pomeriggio ed il
tempo era abbastanza mite per aprile; il sole si stava abbassando
ma era ancora luminoso. Finora aveva piovuto pochissimo
quell’anno, ma ciò non aveva impedito agli alberi e alle piante
intorno a loro di esplodere in vita. Tutto era rigoglioso, verde e
abbondante, mentre si avvicinavano a una piccola radura Remus
vide che le campanule avevano cominciato a spuntare e il
pavimento del bosco davanti a loro era tappezzato di una gloriosa
foschia di soffice malva.
«Non ti mancherà questo?» Castor chiese a bassa voce.
Ovviamente li giudicava abbastanza lontani da Greyback.
«Sì.» Rispose Remus. Lo pensava. Aveva odiato la natura per tutta
la vita, persino la foresta proibita. Amava Londra; il cemento,
l’inquinamento e il rumore. Ma il mese passato lo aveva cambiato,
e sapeva quanto gli sarebbero mancate la pace e la tranquillità e il
sentirsi così vicino alla terra
«Ma il tuo tempo con noi si accorcia.» Castor disse. «Penso che
forse tutto il nostro tempo è breve, adesso.» Sospirò pesantemente
e guardò Remus con occhi completamente umani; grigio e
penitente. «Sono pronto a sfidare mio padre.»
«Vuoi dire che mi aiuterai?»
«Ci aiuteremo a vicenda. Per il bene del branco. Ho un piano.
Remus Lupin mi dovrai ascoltare e dovrai obbedirmi. Ho bisogno
di sapere che farai ciò che deve essere fatto.»
«Non ucciderò mai per lui.» Disse Remus, ferocemente.
«Ma potresti uccidere.» Castor rispose, alzando un sopracciglio.
Non era una domanda; era una dichiarazione.
Remus non lo negò.

160
Martedì 12 aprile 1979
Ovviamente non ci furono addii. Remus non sapeva nemmeno chi
era dalla loro parte; sua e di Castor. Non venivano pronunciati
nomi, doveva solo avere fede.
La mattina della luna piena Remus si allontanò il più possibile dal
branco per lanciare il suo patronus. Sperava che gli altri non
avrebbero colto l’incantesimo, che era potente e di sicuro attirava
l’attenzione.
Non aveva mai inviato un messaggio tramite Patronus prima e
ancora una volta si era pentito delle dimensioni e dell’aspetto
spaventoso della creatura. Sperò che non sarebbe stato troppo
terrificante per Sirius sentire la voce di Remus provenire dalle fauci
del gigante lupo d’argento. Riusciva a gestire solo tre parole.
Castello. Domani. Alba.
Quella era la sua via di fuga, tutto questo solo se sopravviveva alla
notte. Castor promise, Remus gli fece giurare sul loro stesso
sangue, che se Remus non sopravviveva avrebbe mandato un
messaggio a Sirius e ai Potter. Non c’era altro modo, decise Remus.
Doveva essere presente per l’attacco; l’ultima volta che aveva
avvertito l’Ordine dei lupi mannari non era stato fatto nulla. Quindi
avrebbe dovuto farlo da solo, e al diavolo le conseguenze.
Ovviamente preferiva non morire.
Circa un’ora prima del sorgere della luna, il branco si materializzò
insieme. Fu un bene che Remus non era scappato a dirlo a Moody
alla sua prima occasione, in quel modo non avrebbe avuto idea di
dove sarebbero andati.
Fu costretto a stare al fianco di Livia e atterrarono insieme su un
soffice appezzamento d’erba muschiosa. Remus allontanò il
braccio da lei e si guardò intorno nel nuovo ambiente. Era un posto
così strano, solo una pianura erbosa, pochi alberi e una staccionata.
Si rese conto stupidamente che erano in un parco. Natura
161
artificiale. L’intero posto puzzava di umano e di babbani. Il resto
del branco stava arrivando intorno a loro, uno per uno con un
*CRACK* e un tonfo.
«Questo è il posto.» Disse Castor rivolgendosi a tutti. Indicò oltre
la staccionata una fila di case dall’altra parte della strada. Il parco si
trovava in un tranquillo vicolo cieco babbano. «Con la porta
verde.»
Remus si avvicinò al recinto quanto più osava e scrutò l’edificio. I
suoi genitori avevano vissuto in una casa simile una volta?
Sembrava il tipo di posto a cui avrebbe abitato Hope.
Era una piccola casa indipendente. La porta d’ingresso era di
un’allegra tonalità di verde e la luce del portico brillava di un tenue
color ambra al crepuscolo. Remus poteva distinguere la sagoma di
qualcuno che si muoveva in una delle finestre del piano di sopra;
la tendina rosa pallido era abbassata, quindi poteva vedere solo
ombre. Quella doveva essere la stanza del bambino, pensò con una
terribile ondata di nausea.
Non poteva permettere che ciò accadesse. Non l’avrebbe fatto. A
costo di dover uccidere Livia. A costo di dover morire lui stesso,
non avrebbe lasciato- aspetta un minuto.
Una folata di vento soffiò un profumo nella sua direzione, un
profumo riconoscibile. Annusò di nuovo l’aria. Che cos’era
questo? Qualcuno che conosceva? Odorava quasi di Sirius, quasi,
ma non del tutto. Sangue antico; vecchia magia. Un parente? Non
Regulus, non sarebbe stato trovato in una strada così babbana. Né
nessuno dei suoi genitori. Era anche femminile, era più come
Narcissa, o... Andromeda?
Non poteva esserne sicuro, l’aveva incontrata solo una volta
quando aveva tredici anni. Ma aveva una figlia. Una figlia che ora
aveva circa cinque o sei anni. Con il cuore che batteva

162
all’impazzata, Remus voleva disperatamente avvicinarsi, per
saperne di più.
Poi, in un incredibile colpo di fortuna, la porta verde si aprì facendo
uscire la luce nella strada. Un uomo uscì, portando un sacco della
spazzatura nero lucido. Si avvicinò alla fine del vialetto del
giardino, aprì il coperchio della pattumiera, lasciò cadere la borsa
all’interno, poi tornò a casa.
Era Ted Tonks.
No, no, no. Pensò Remus, se fosse successo qualcosa ad Andromeda
e alla sua bambina... Sirius non lo avrebbe mai perdonato. Remus
non sapeva se sarebbe stato perdonato.
«Remus!» Castor sussurrò dai cespugli dietro di lui. «È quasi ora.»
Remus si voltò e annuì. Sperava che funzionasse. Non era mai stato
così vicino alla preghiera in vita sua. Una fitta di dolore gli
attraversò la schiena. La luna stava sorgendo.
Indietreggiò nel parco, dove alcuni degli altri si erano rannicchiati
a terra, preparandosi all’agonia della trasformazione.
Remus guardò Castor, in piedi accanto a lui. Era una sensazione
particolare: si era trasformato di fronte ai Malandrini prima, ma mai
con altri che stavano vivendo la stessa cosa. Castor attirò la sua
attenzione e, sembrando capire subito, allungò la mano.
Remus la prese con gratitudine e la strinse forte, stringendo i denti
mentre il dolore lo travolgeva. Castor si trattenne, condividendo la
sua sofferenza, ma anche dando forza. Entrambi caddero in
ginocchio nello stesso momento, dopodiché Remus non ricordò
più nulla.

Il lupo allungò gli arti e annusò l’aria notturna. Branco. Preda. Magia.
Si rotolò nell’erba lieto di essere libero, non ingombrato dalle preoccupazioni
umane.

163
Il suo compagno di branco gli diede una gomitata sbuffando piano e lui si
ricordò: aveva qualcosa da fare. Quella non era una notte per giocare o per
cacciare. La lupa e quello che lo odiava scattarono entrambi contro gli altri, e
i giovani chinarono la testa, abbassarono le anche.
Ma lui non l’avrebbe fatto, non era un cucciolo; era completamente cresciuto.
Era forte come loro.
Il compagno di branco con il naso sfregiato aveva un buon odore, anche lui era
forte. Ringhiò agli altri, così fece anche il lupo; gonfiando il corpo e mostrando
tutti i denti in modo che sapessero.
Quello sfregiato lanciò una corteccia e si voltò, correndo verso gli alberi. Alcuni
degli altri lo seguirono, confusi.
Il lupo oscuro, il lupo che lo odiava, ringhiò e balzò sulla schiena di quello
sfregiato. Si aggrapparono, rigirandosi nell’erba, ringhiando e pizzicandosi.
La lupa osservava. Si sedette e sbadigliò. Non aveva bisogno di coinvolgersi.
Il resto del branco osservava avidamente, ansimando e abbaiando mentre il
sangue veniva prelevato.
Voleva aiutare, saltare e iniziare a mordere, ma quello sfregiato doveva vincere
da solo. Era la sua battaglia.
L’odore nell’aria cambiò e la lupa si alzò, le orecchie in alto e la coda che
frusciava. Un umano, erano stati ascoltati. La lupa iniziò a camminare verso
il recinto, cacciando, mentre lo stupido umano gridava nel suo stupido
linguaggio umano.
Non sapendo bene perché, ululò, a lungo e più forte che poteva. La lupa si voltò
di scatto, ringhiando ferocemente contro di lui, tirando il rango, ma lui ululò di
nuovo.
L’umano si ritirò, velocemente. Adesso lo sapevano. Ne avrebbe chiamati altri.
Aveva messo in pericolo il branco.
La lupa abbaiò a quello scuro, ma lui era già inchiodato a terra da quello
sfregiato. Vittoria. I giovani lupi ora alzarono lo sguardo verso quello sfregiato,
annusandolo e abbassando la testa.

164
Quello sfregiato abbaiò, poi scese da quello scuro. Si voltò e iniziò ad
allontanarsi. Alcuni lo seguirono. Il branco si divise.
La lupa corse dietro a quello sfregiato, per riportarlo indietro e per ristabilire
l’ordine. Ma lei non li avrebbe presi. Adesso erano un nuovo branco; a meno
che non avesse ucciso quello sfregiato, non avrebbero seguito nessun altro.
Anche lui voleva andare. Voleva correre con loro per sempre, essere il loro capo
e inseguire i cervi nelle notti buie...
Ma no. Doveva farlo prima. Doveva proteggere... proteggere... Cosa c’era? Era
così difficile pensare, quando il delizioso profumo della carne umana era così
vicino; arrivando da tutte le parti.
Quello scuro zoppicò in piedi. Remus ringhiò. Gli ringhiò contro, le mascelle
schiumose, gli occhi minacciosi.
Adesso se lo ricordava. Proteggi il branco. Si avvent, con le mascelle spalancate
e gli artigli scoperti.

Tutto quello che sapeva era dolore, dolore e sangue, mentre il


corpo di Remus si ritirava nella sua forma umana. Urlò e il sangue
di Gaius gli colò lungo la gola, ricco e caldo. Era tra i suoi denti,
sotto la lingua, era ovunque. Il corpo di Gaius giaceva lì, molle e
pallido, la gola scura e scintillante.
Non c’era tempo per lo shock. La luna stava tramontando e la
gente stava arrivando e Remus non era nemmeno completamente
umano, ma non c’era tempo! Strinse gli occhi, strinse i denti e si
smaterializzò. *CRACK*
Atterrò sulla faccia con un duro grugnito. La sua caviglia
scricchiolò in modo nauseante contro una roccia. Ansimò
rotolando su una spalla, con le lacrime agli occhi mentre giurava di
non smaterializzarsi mai più subito dopo una trasformazione.
Tutto il suo piede pulsava, schizzando fino allo stinco, facendolo
sentire stordito. Era ancora appiccicoso di sangue e senza vestiti

165
tutto quello che poteva fare era rannicchiarsi per il dolore sull’erba.
Era arrivato in Cornovaglia?! Non poteva dirlo; dov’era il castello?!
«Fanculo!» Singhiozzava, esausto e sconfitto.
«Moony?!» Un grido si levò da oltre il fianco della collina.
Remus rotolò sulla schiena e chiuse gli occhi, era così sollevato che
pensò di essere svenuto.
«Sirius!» Lo richiamò, mentre i passi pesanti si avvicinavano. E poi
lui era lì, e oh dio Remus era quasi caduto a pezzi.
Sirius gli gettò sopra il mantello e lo tirò vicino e gli avvolse le
braccia. Remus lo strinse indietro tremando, il dolore alla gamba
ora minacciava di sopraffarlo.
«Sei tornato!» Sirius sussultò, la voce stridula. «Sei tornato!»
«Certo che l’ho fatto...» Disse Remus stordito.
«Stai sanguinando?!»
«Non il mio sangue...» E poi tutto diventò scuro intorno ai bordi,
ed era così esausto che chiuse gli occhi. E niente di più.

166
La storia di Moony
Si ritrovò in una piccola stanza bianca con un soffitto basso striato
di travi nere. C’era una piccola finestra quadrata ma le tende erano
abbassate. Qualcuno gli aveva lavato via il sangue, grazie al cielo,
sebbene potesse ancora annusarlo debolmente e anche assaggiarlo.
Giaceva in un letto singolo e, a parte un comodino con sopra una
vecchia lampada, non c’era molto altro nella stanza.
La porta era leggermente socchiusa, Remus poteva sentire delle
voci nel corridoio fuori.
«Marlene è qui.» Disse chiaramente la voce di James. «Dovrei
lasciarla andare su? Gli hai fatto qualche domanda?!»
«Sì, mandala su. Non è sveglio...» Disse Sirius, la sua voce sembrava
strana. «Ma è decisamente lui. Deve esserlo.»
«Sei sicuro?!»
«La prima cosa che ha detto quando è arrivato è stata “fanculo”,
ne sono abbastanza certo.» Sirius scattò.
«Giusto.» James rispose senza umorismo. Abbassò la voce fino a
un sussurro. «Padfoot... tutto quel sangue. E inoltre con l’attacco
della scorsa notte-»
«Vediamo solo cos’ha da dire, prima di saltare a qualsiasi
conclusione, va bene?! Manda su Marlene.»
«Ma se non è sicuro.»
«Allora rimarrò nella dannata stanza. Possiamo per favore
convincere qualcuno a visitarlo, per l’amor del cielo?! Non ha
nemmeno una bacchetta!»
«Okay, okay...» James cedette.
Dio... Pensò Remus, mentre la vergogna cadeva su di lui come
polvere. Pensano che non sia io. Credono che sia una spia.

167
Quanto era peggiorata la guerra nel mese in cui era stato via? Si
scervellò velocemente per trovare un modo per provare la sua
identità. Il pensiero di Sirius che non si fidava di lui era troppo
doloroso da sopportare.
Ci fu un rumore di passi all’esterno nel corridoio, e finalmente la
porta si aprì. Remus cercò di mettersi subito a sedere tirandosi su
per le braccia mentre Sirius entrava nella stanza.
«Padfoot giuro che sono io, sono Moony! Ti ho aiutato a fare la
Mappa del Malandrino, e abbiamo messo le rose canine nel letto di
Mocciosus, e siamo andati a pattinare sul lago a Natale e l’ho odiato
ma sei stato davvero bravo, e... e...»
«Shh, Moony.» Lo tranquillizzò Sirius, sedendosi attentamente sul
letto e posandogli le mani gentili sulla spalla. «Sdraiati cazzo,
Godric sa cosa hai rotto apparendo in quel modo, stupido idiota...»
«Sai che sono io?!» Remus strinse le braccia di Sirius, ma permise a
sé stesso di essere rimesso a letto.
«Certo che sì.» Sirius si chinò e gli baciò la fronte. «Ti riconoscerei
ovunque. Senti, scusa per Prongs, è solo nervoso. Le cose sono
andate un po’...»
«Va bene, va bene. Gli do un po’ di spazio!»
Sirius si voltò di scatto mentre Marlene si precipitava nella stanza,
le vesti verdi del Guaritore e la borsa di pelle in mano.
Spinse Sirius giù dal letto e si chinò su Remus, posandogli una
mano fredda sulla fronte e guardandolo negli occhi, la sua faccia
lentigginosa piena di dolce preoccupazione. Lei sorrise.
«Ciao tesoro.» Disse dolcemente. «Dove sei stato, eh? Ci hai fatto
preoccupare tutti quanti.»
«Ciao Marlene.» Remus sorrise di rimando con affetto. «Ti sei
qualificata come guaritrice mentre ero via?!»

168
«Difficile.» Rise. «Sono ancora una principiante. Ma sono il meglio
che l’Ordine potrebbe fare con breve preavviso, quindi...» Si
raddrizzò, le mani sui fianchi. «Bene. Qual è il danno?»
«Mi sono fatto male alla caviglia.» Remus si chinò per tirare su la
coperta sopra il piede dolorante. Sembrava orribile alla luce del
giorno, tutta gonfia e nera di lividi.
Sirius si coprì la bocca, ma Marlene si limitò a scherzare.
«Abbastanza facile.» Lo toccò con la sua bacchetta, e Remus provò
una strana sensazione di solletico prima del *POP*, ed era come
nuovo. «Avrai ancora bisogno di riposare.» Lo ammonì Marlene.
«Sei una leggenda, Marls.» Disse Remus con gratitudine e poi iniziò
a tossire, quella corteccia ruvida e roca a cui si era quasi abituato.
«Scusa.» Balbettò lacrimando. «Ho un po’ di tosse.»
Sirius trasalì e sembrò più angosciato che mai, la mano ancora sulla
bocca.
Marlene tirò giù le lenzuola e appoggiò la testa direttamente sul
petto nudo di Remus, ascoltando. «Un po’ di tosse un cazzo.» Lei
balbettò emergendo. «Hai una grave infezione toracica, ecco cosa.»
Iniziò a svuotare la sua borsa, tirando fuori pomate e bottiglie di
pozioni. «Dovrò chiedere a qualcuno al San Mungo cosa è meglio
fare in questo caso, non ho ancora fatto infezioni... Ora... Madama
Chips mi ha chiesto di assicurarmi che tu abbia questo, è il suo
sonnifero. Ci sto lavorando io stessa, ma il suo è più forte...»
«Non glielo dare ancora!» All’improvviso James era nella stanza, si
avviava in avanti con il braccio teso. Tutti si voltarono a guardarlo
e lui si strofinò la nuca imbarazzato. «Ehm... scusa. È solo che
finalmente ho contattato Malocchio e lui sta arrivando...»
«Va bene.» Disse Remus alla stanza.
Marlene sussurrò di nuovo. Posò la bottiglia di pozione sul
comodino. «Uno di voi si assicuri che beva tutto il prima possibile,
okay?» Lanciò a James e Sirius uno sguardo severo, ed entrambi
169
annuirono seriamente. «Ora devo andare a lavorare.» Disse
rialzandosi ancora una volta. Strinse la mano di Remus. «Sono così
felice di riaverti, tesoro.»
Gliela strinse indietro, sentendosi un po’ meglio per tutto. A loro
importava di lui. Era al sicuro con loro. Si sdraiò sul cuscino e cercò
di concentrarsi su quella sensazione.
James e Sirius stavano in piedi goffamente.
«Ciao Prongs.» Provò Remus un po’ diffidente.
«Ciao Moony.» James sorrise, i suoi occhi stanchi e scuri. «Stai
bene?»
«Sono stato peggio.»
James fece un suono che non era proprio una risata.
«Dove siamo, comunque?» Chiese Remus, guardandosi intorno
nella piccola stanza angusta.
«Cornovaglia.» Disse Sirius. «Ricordi il pub vicino al castello? Ho
affittato una stanza. Eri... Quando sei arrivato qui, non volevo
spostarti. Sembrava il posto migliore. Fuori dai piedi.»
«Qualcun altro sa-»
«No.» Disse James. «Solo noi, Marlene e Moody. È stato... Le cose
sono state difficili, e con l’attacco della scorsa notte, abbiamo
pensato...»
«Attacco?!» Remus si mise a sedere di nuovo, mentre gli eventi della
notte prima tornavano inondati in un tripudio di sangue, denti e
capelli. «Cazzo, cosa è successo?! Qualcuno... Era qualcuno...»
«Non dalla nostra parte.» Disse Sirius.
Questo non fece sentire Remus meglio ma cercò di sembrare felice
per questo. Non poteva far sapere ai suoi amici quanto fossero
diventate sfocate le linee tra “la nostra parte” e “la loro parte” per
lui.
«Moony.» Iniziò James. «La scorsa notte, eri lì...?»

170
La porta si spalancò di nuovo scricchiolando rumorosamente, e
Alastor Moody entrò zoppicando nella stanza, il viso segnato da
un’espressione di cupa determinazione. James e Sirius
indietreggiarono, mentre Malocchio si avvicinava al letto di Remus.
Il primo istinto di Remus fu di ritirarsi sotto le coperte e
nascondersi come un ragazzino.
«Lupin.» Moody annuì, il suo occhio magico blu elettrico che
ronzava nell’orbita, dandogli un’analisi molto approfondita. «Sei
tornato indietro, alla fine.»
«Sì.» Remus gracchiò.
Moody alzò la bacchetta, puntandola in faccia a Remus.
«Oi!» Sirius sussultò, ma James tese un braccio per fermarlo.
Moody fissò Remus con uno sguardo molto serio. «Cognome di
tua madre da nubile?»
«J-Jenkins!» Remus balbettò terrorizzato.
Moody annuì e abbassò la bacchetta. «Senza offesa.» Disse
guardando Sirius. «Protocollo.»
«Giusto.» Remus deglutì, il cuore che batteva all’impazzata.
«Come stai? Sei stato visitato?»
«Marlene è stata qui un minuto fa.» Disse James. «Tornerà più
tardi.»
«Nessun altro, hai sentito?» Moody disse. «Non finché non lo dico
io. Dobbiamo limitare la sua esposizione per ora, fino a quando il
furore non si sarà placato.» Agitò la bacchetta e dal nulla apparve
una sedia. Moody si sedette e guardò Remus ancora una volta.
«Potter, Black, potete andare.»
«No.» Disse Sirius, alzando il mento. Il suo sguardo di sfida non
era cambiato da quando aveva undici anni. «Non vado da nessuna
parte.»
Moody gli diede un’altra occhiata, con la lingua che gli suonava
all’angolo della bocca.
171
«Bene.» Grugnì. «Ma tieni la bocca chiusa. Non voglio sentire un
rumore, capito?»
«Io ehm. È meglio che io vada.» James disse massaggiandosi di
nuovo la nuca. «Scusa Moony, devo tornare a cas»
«Ovviamente.» Disse Remus, anche se non capiva davvero. James
non si fidava più di lui?
James aveva detto qualcosa a Sirius prima di andarsene, ma Remus
non l’aveva capito, e non aveva cercato di origliare. Era troppo
impegnato a tenere i nervi saldi contro Moody.
Non era all’altezza di una battaglia di volontà, non dopo le ultime
settimane. Ora che sapeva che l’edificio in cui si trovavano era
babbano, sentiva l’assenza di magia più acutamente. Era stato
abituato alla foresta incantata, con la sua infinita pozza di potere
condiviso. Tornato nel mondo reale, tutto sembrava così banale. Si
sentiva più debole che mai e ricominciò a tossire.
James se ne andò e Sirius porse a Remus un bicchiere d’acqua.
«Non può volerci troppo tempo.» Sirius disse a Moody. «Deve
riposare dopo la luna piena, Marlene ha detto-»
«Non un rumore, Black.» Moody scattò, il suo occhio blu fissò
Sirius con uno sguardo duro, quello normale, marrone ancora
guardando Remus.
Sirius era tranquillo, ma chiaramente non ne era felice. Incrociò le
braccia petulante e distolse lo sguardo. Remus provò un impeto
d’amore per lui, il moccioso viziato.
«Ero lì la scorsa notte.» Disse Remus velocemente, per far muovere
le cose. Pensava che probabilmente fosse meglio essere il più
onesto possibile sin dall’inizio. «Ero a casa dei Tonks, so cosa è
successo, la maggior parte, c’era qualcuno... Qualcuno...?»
«Un corpo è stato trovato.» Disse Moody. «Uno di Greyback.»
«Gaius.» Disse Remus. Non era sicuro di come si sentiva. Aveva
ucciso qualcuno.
172
«Non iniziamo da lì.» Moody disse, guardandolo in faccia. «Voglio
iniziare dall’inizio. Dove sei stato nell’ultimo mese? Non tralasciare
nulla.»
Remus era debole, esausto e dolorante, ma non era un idiota.
Aveva tralasciato molto. Ma aveva anche detto molto di più di
quanto probabilmente fosse sicuro. Non guardò Sirius per tutto il
tempo; sapeva che questo avrebbe reso le cose più difficili.
Spiegò come il branco lo aveva rapito e rinchiuso per una settimana
e mezza e come si era finalmente incontrato con Greyback, sentì
Sirius respirare bruscamente a questo, ma l’espressione di Moody
non tremò nemmeno. Raccontò loro la maggior parte delle cose
che Greyback aveva detto, anche se sapeva che nessuna di esse era
utile a nessuno tranne che a lui. Confermò che il branco aveva
lavorato con Voldemort, mantenendo le vecchie famiglie
abbastanza spaventate da rimanere fedeli.
«Sei stato imprigionato tutto il tempo?» Chiese Moody.
«Io... No.» Remus storse la bocca, nervosamente. «Mi hanno rotto
la bacchetta, ma... avrei potuto andarmene in qualsiasi momento.
Non l’ho fatto perché pensavo... beh, sapevo che era solo
questione di tempo prima che pianificassero un attacco e volevo
sapere il più possibile.»
Mantenne la sua voce ferma per tutto il tempo e sperava di essere
ancora un convincente bugiardo. Moody non commentò. «E
l’attacco?»
«Giusto, sì.» Remus annuì. «Dovevo andare con loro, perché Cas-
uno degli altri lupi mannari, stava progettando di uscire dal branco.
Voleva essere pacifico, allontanarsi da Greyback. Era il mio
alleato.» Remus sentì gli occhi di Sirius su di lui e sperò che fosse
tutto nella sua testa. «Così l’ho aiutato e lui ha aiutato me. Ha
portato via gli altri e io sono rimasto indietro per impedire a
chiunque di tentare di attaccare la casa.»
173
«Mentre eri un lupo?»
«Sì. Posso pensare meglio, quando ci sono altri lupi lì. Ho cercato
di avvertire il signore e la signora Tonks, ho urlato così sapevano
che erano in pericolo.»
«Ah. Quindi eri tu.» Moody annuì. «Ted ha detto qualcosa al
riguardo.»
«Li hai visti? Stanno bene?!»
«Scossi, ma nessun danno fatto.» Moody annuì bruscamente.
«Quanti membri del branco di Greyback hanno disertato?»
«Non lo so. Almeno la metà? Forse sono rimasti solo quattro o
cinque fedeli.»
«Buono a sapersi. Puoi darmi dei nomi?»
«Non hanno usato alcun nome.» Un’altra bugia, ma non poteva
farlo.
«Giusto.» Moody annuì. Guardò Remus ancora un po’. Poi annusò
e si alzò. «Stenditi un po’, eh? Rimarrò in contatto.» Si voltò per
andarsene.
«Aspetta!» Remus allungò la mano.
Moody si voltò, uno sguardo curioso sul viso. Remus si morse il
labbro.
«Il corpo, Gaius.» Disse. «Quello ero io. L’ho ucciso.»
Dirlo ad alta voce lo rendeva dolorosamente reale. Si sentiva
nauseato, e non pensava che sarebbe stato in grado di guardare
Sirius negli occhi mai più.
Moody continuò a guardarlo e inclinò la testa. «Mentre eri un
lupo?»
«Sì.»
«Ed era un lupo? Stava cercando di attaccare una giovane famiglia?»
«Sì ma-»
«Questa è una guerra, Lupin. Riposati. Non soffermarti su questo.»
E se ne andò, e basta.
174
Tutto ciò a cui Remus si era auto sottoposto per quasi trenta giorni
si riduceva a pochi punti tattici chiave. Giocherellava con la
coperta, era vecchio e traballante e gli ricordava le rozze coperte in
stile militare con cui era cresciuto.
Sirius era ancora lì a guardarlo, ma Remus non poteva guardare in
alto, semplicemente non poteva. Per fortuna, Sirius ruppe il
silenzio per primo.
«Ho ricevuto il tuo patronus. Maledizione, dove hai imparato a
farlo?»
«Oh.» Annuì Remus, continuando a guardare in basso. «Sì, non so.
Ho visto Ferox farlo una volta.»
«Senza la tua bacchetta?»
«Non ne avevo bisogno, non sempre...»
«Oh.» Poi silenzio. E poi... «Mi sei mancato così tanto cazzo!» Sirius
scoppiò con tale forza e passione che Remus finalmente lo guardò.
I suoi occhi erano spalancati e luccicanti di lacrime. Sembrava
esausto come si sentiva Remus, e Remus si rese conto che anche
lui doveva essere stato sveglio tutta la notte.
«Anche tu mi sei mancato!»
Sirius scattò verso Remus, braccia tese, ma rimase indietro
all’ultimo momento. «Posso... Va bene?»
Remus annuì, raggiungendolo e Sirius si avvicinò e lo avvolse in un
abbraccio che durò lunghi, meravigliosi minuti. Remus si sentì
come se gli fosse stato finalmente dato il permesso di espirare, e
chiuse gli occhi e sentì il caldo e confortante peso di Sirius contro
di lui.
«Mi dispiace.» Sussurrò Remus tra i capelli di Sirius. «Sono così,
così dispiaciuto di essere stato via così a lungo.»
Sirius si allontanò finalmente, asciugandosi gli occhi vivacemente.
«Faresti meglio a prendere questa pozione.» Prese la bottiglia e la
stappò.
175
«Grazie.» disse Remus, troppo stanco per discutere. Prese la
pozione e la ingoiò in pochi secondi.
«Devo lasciarti riposare?” Chiese Sirius ansioso.
Remus scosse la testa con veemenza. «No, per favore rimani? Starai
qui con me, per un po’?»
«Non c’è molto spazio...»
«Mi stai dicendo che sono grasso?» Remus tirò fuori la lingua,
spostandosi da parte per fare spazio.
Sirius gli sorrise e si sdraiò. Mise delicatamente un braccio sulla
spalla di Remus, e si stesero sui fianchi uno di fronte all’altro.
«James mi odia?» Chiese Remus finalmente.
«Che cosa?» Sirius aggrottò la fronte. Oh dio, era così bello da
vicino, come aveva fatto Remus a dimenticarlo? «No certo che no.
Ha molte cose per la testa. I suoi genitori non stanno bene.»
«Oh no, cosa c’è che non va ?!»
«Penso che siano solo vecchi.» Disse Sirius, tristemente. «La
guerra... È stata molto più dura ultimamente.»
«Dimmi tutto, ti prego.»
«Dovresti dormire.»
«Per favore?»
Sirius sospirò. Guardò in basso, poi di nuovo in alto, e i suoi occhi
brillarono ancora una volta. «Abbiamo perso i Prewetts. Gid e
Fab.»
«No!»
«È stato terribile. Cinque Mangiamorte. Cinque.»
«Non ci posso credere. Molly sta bene?»
«Non credo che nessuno di noi stia bene.»
«Oh Sirius.» Remus lo abbracciò di nuovo. «Avrei voluto poter
essere con te...»

176
«Pensavo...» Sirius chiuse gli occhi poi scosse la testa, i capelli che
frusciavano sul cuscino. «No, non importa, ora è finita. Sei qui. Sei
al sicuro.»
«Sono qui.» Ripeté Remus, sentendo la corrente d’aria che
cominciava a farsi sentire.
Sirius gli accarezzò i capelli dolcemente. «Remus...»
«Mh.» Remus si spostò, mettendosi più a suo agio. «Per favore puoi
chiamarmi Moony? Nessuno l’ha fatto per molto tempo.»
«Moony.» Sirius si sporse in avanti e gli baciò la guancia molto
delicatamente. «Ti amo.»
«Ti amo anch’io.» Remus sorrise, scivolando in un sogno caldo e
felice.

177
Fine primavera 1979
I would say I’m sorry
If I thought that it would change your mind
But I know that this time
I have said too much
Been too unkind

I try to laugh about it


Cover it all up with lies
I try and laugh about it
Hiding the tears in my eyes
Because boys don’t cry
Boys don’t cry

Rimasero nella stanza sopra il pub per altre due notti. Marlene
tornò la prima sera, mantenendo la sua parola, e portò una pozione
per l’infezione al petto di Remus. Aveva prescritto il riposo, ma il
giorno dopo Remus stava impazzendo per essere stato al chiuso,
così lui e Sirius presero l’autobus per andare in spiaggia.
Era troppo freddo per nuotare, essendo aprile, quindi
camminarono e basta. Era molto tranquillo fuori dalla stagione
turistica, quindi andava bene anche tenersi per mano, per un po’.
Remus chiuse gli occhi e respirò l’aria di mare, sorridendo. Il cielo
era grigio e minacciava di piovere ma il vento era fresco sul suo
viso e si sentiva meglio.
«Quando arriviamo a casa.» Disse Sirius allegramente. «Andremo
da Olivander a prenderti una nuova bacchetta.»
«Ottimo.» Remus annuì. Non aveva fatto nessuna magia da quando
era tornato. Non si fidava di sé stesso.

178
«Questo se Mary tiene a bada la tua festa di benvenuto a casa.»
Sirius ridacchiò. «Stava impazzendo preoccupandosi. Penso che lei
abbia ancora un debole per te.»
«Ah.» Rispose Remus.
«E Lily, ovviamente. Vuole davvero dirti una cosa, ma ha detto di
aspettare finché non saremo tutti nella stessa stanza.»
«Mmh.»
«Non vedo l’ora che tutto torni alla normalità. Tornare a fare i
Malandrini, eh?»
«Sì.»
«Ti ricordi che tipo di bacchetta aveva Lyall? Forse puoi avere di
nuovo lo stesso.»
«No.»
«Moony?»
«Mh?»
«Stai bene?»
«Sì.»
Sirius rimase zitto dopo, e Remus si sentì in colpa. Dopo il suo
brusco resoconto con Moody, Remus non era stato molto loquace.
Era troppo ansioso di dire troppo, non sapeva cosa Sirius potesse
pensare di lui, e per di più Remus stava lottando più di quanto
pensasse con sé stesso e contro il dispiacere di essere lontano dal
branco. Era entusiasta di essere tornato con Sirius, ovviamente, ma
allo stesso tempo sentiva che gli mancava qualcosa.
Non voleva che Sirius si preoccupasse, quindi fece del suo meglio
per essere normale.
«È così bello essere fuori.» Commentò mentre camminavano.
«Sei sicuro di essere Moony?!» Lo prese in giro Sirius, fingendo di
essere offeso. «Il mio Moony odia uscire ...»
«Beh, trascorri una settimana rinchiuso in una prigione e dimmi
come ti senti all’aria fresca.» Mormorò Remus.
179
Sirius si fermò e lo guardò, la bocca leggermente aperta,
l’espressione ferita.
«Scusa.» Disse Remus, colpevole. Prese di nuovo la mano di Sirius.
«Non intendevo questo.»
L’aveva fatto spesso, da quando era tornato. Esplodere. La cosa
più piccola avrebbe potuto farlo esplodere e Sirius ne stava
sopportando il peso.
«Va bene.» Sirius rispose tremante. «Non dovrei prenderti in giro.
Dopo tutto.»
«No, non voglio... Non dovresti trattarmi come se fossi fragile, o
qualcosa del genere. Devo solo superarlo, è colpa mia.»
Sirius non disse niente per molto tempo. Remus lottò per
sollecitare a sondare la sua mente, come i lupi mannari gli avevano
insegnato a fare. Non sapeva se funzionasse con i non lupi
mannari, ma sapeva che Sirius aveva sentimenti estremamente forti
riguardo al fatto che i suoi pensieri privati fossero invasi.
«Non devi “superarlo”.» Disse infine Sirius. «Ma potrebbe essere
utile parlarne.»
«Riguardo a cosa?»
«Cosa è successo, nel branco.»
«Ne ho già parlato, ho detto tutto a Moody. Eri lì.»
«Remus.» Sirius alzò leggermente la voce. «Dai. Non gli hai detto
tutto. Ti conosco.»
«Tutto ciò che è importante per lo sforzo bellico.» Disse Remus
fermamente.
«Quindi non è successo nient’altro?!» Sirius lasciò la mano di
Remus, perché le sue stesse mani erano improvvisamente in aria,
gesticolando selvaggiamente. «Ti hanno rinchiuso, poi ti hanno
lasciato andare, ed è andato tutto bene?»

180
«Ovviamente no.» Remus incrociò le braccia sentendo
improvvisamente il freddo. «Ma nessuno vuole sentir parlare di
cose del genere.»
«Forse io voglio sentire.»
«Eccoci qui.» Remus alzò gli occhi al cielo. «Beh allora? Cosa vuoi
sentire?!»
«Perché sei andato, in primo luogo? Perché non sei tornato da me?»
«Lo sapevo.» Remus disse, stringendo le braccia intorno al corpo.
«Sei arrabbiato con me!»
«Non lo sono, sono solo...»
«È questo che volevi dire, non è vero?! La notte in cui sono
tornato!»
«Di cosa stai parlando?!»
«Lo sai! “Sei tornato”, questo è quello che hai detto! Pensavi che
non l’avrei fatto! Pensavi che me ne fossi andato per sempre!»
Remus stava gridando all’improvviso, e non era sicuro di come si
fosse arrabbiato così tanto, ma ora la rabbia lo stava bruciando
dall’interno.
«Certo che no!» Sirius gridò di rimando. «Solo... Non sapevo cosa
pensare! Sai com’è stato per me?! Eri appena scomparso e nessuno
mi lasciava cercarti, e il fottuto Ferox non mi diceva niente, e James
era un disastro con i suoi genitori che si erano ammalati, e i fottuti
Prewetts...»
Sirius non gridava spesso, non così spesso come Remus
comunque, e la sua voce divenne alta molto rapidamente,
suonando improvvisamente ed incredibilmente elegante e
altezzosa. Questo irritò Remus ancora di più.
«Oh povero te! Gesù, pensavo avessi superato questa viziata
routine da moccioso ormai! Non abbiamo più dodici anni Black!»
La bocca di Sirius si spalancò ora, completamente offesa.

181
Remus si sentiva più vivo di quanto non si fosse sentito da giorni,
ma non l’avrebbe mai ammesso. Continuava a gridare, mandando
in frantumi la pace della spiaggia deserta, la voce che risuonava
contro la sabbia scura e bagnata.
«Mi dispiace se non sono come te e se non voglio lamentarmi di
ogni cosa spiacevole che mi capita!»
«Tipo cosa?!» Urlò Sirius, le guance rosse e gli occhi luminosi, così
che per un momento Remus si domandò se Sirius si stesse
divertendo tanto quanto lui. «Avanti, se sono così egoista e terribile
per favore illuminami sulla vera natura di nobile sofferenza,
Remus. So che è la tua specialità!»
«Oh va’ al diavolo!»
«Bene? Perché non sei tornato?!»
«Perché mi stavano fottendo la testa!» Remus praticamente lo
gridò, le onde sembravano schiantarsi più forte e i gabbiani
gridavano in risposta. Era in fiamme, pieno di parole che gli
venivano fuori non appena le pensava. «Perché non mi sono mai
sentito così prima; loro erano la mia famiglia ed eravamo tutti
uguali, eravamo tutti a casa lì, ed era... Sembrava l’unico posto al
mondo in cui dovevo essere! Tutto questo, era tutto quello
tranne...» E ora le lacrime stavano arrivando, bollenti. «Tranne che
lui era lì, quel fottuto... quel mostro. Era così malvagio, quindi... ed
ero spaventato e volevo tornare a casa da te. L’ho fatto. Non
potevo lasciarli con un uomo così però. E potevano... potevano
fare cose che non sapevo di poter fare, mi hanno insegnato e
semplicemente non sapevo più chi fossi.» Si asciugò il viso, le
lacrime gli colarono dal mento. Guardò Sirius negli occhi. «Non so
chi sono.»
Si fissarono a vicenda, mentre gli animi si attenuavano. Remus
respirava pesantemente, le sue guance erano calde, ma si sentiva
bene. Sollevato.
182
Alla fine, Sirius parlò. Si mise le mani in tasca e si guardò intorno,
in lontananza. Lui sorrise. «Perché è sempre questa spiaggia eh?»
«Che cosa?» Remus sbatté le palpebre, preso alla sprovvista.
Sirius lo guardò, gli occhi scintillanti. «Perché questa è la spiaggia
dove avvengono tutte le grandi rivelazioni?»
«Forse siamo solo drammatici.»
«Come ti permetti!» Sirius stava sorridendo, e Remus rise. «Bene.»
Sirius disse. «Ti senti meglio?»
«Sì. Oi, aspetta un attimo, hai solo deliberatamente cercato di farmi
incazzare?»
«No...» Sirius distolse di nuovo lo sguardo piamente. «Non
all’inizio...»
«Testa di cazzo.»
«Ha funzionato.»
Remus non rispose, si sentiva davvero meglio e non voleva litigare
di nuovo.
Continuarono a camminare e alla fine raggiunsero all’incirca il
punto in cui si erano accampati tutti due anni prima. Il vento si
stava alzando, spazzando le dune erbose di sabbia, e
l’accampamento era vuoto. Non sembrava lo stesso posto.
«Pensi che torneremo mai qui?» Chiese Remus, le mani nelle tasche
per fermare il suo cappotto che sbatteva nella brezza.
«Lo spero.» Sirius rispose. «È il mio pensiero patronus, questo
posto.»
«È?» Remus lo guardò sorpreso.
«Non ho mai avuto estati migliori.»
«Punto valido.»
«Oi, guarda!” Sirius si allontanò verso un gruppo di rocce, si chinò
e raccolse un grosso e lungo bastone. Lo agitò per mostrarlo a
Remus e disse sorridendo. «Vuoi giocare?»
Remus rise «Avanti allora.»
183
Sirius si guardò intorno di nascosto per confermare che fossero
soli, poi si trasformò in Padfoot. Remus era grato; avevano parlato
abbastanza adesso, era un sollievo giocare con Sirius canino per
qualche ora.
Il grosso cane nero correva su e giù per la spiaggia, inseguiva le
onde, giocava a prendere il bastone e in generale si divertiva molto
e sull’autobus di ritorno al pub si addormentarono entrambi.
Fu solo molto più tardi quella sera, dopo cena (oh, quanto era mancato
il cibo vero a Remus! Purè di patate! Salsicce! Sugo!), quando si stavano
preparando per andare a letto, che Sirius ne parlò di nuovo.
Remus stava sbadigliando mentre strisciava sotto le coperte, e
Sirius entrò accanto a lui, silenziosamente, spegnendo la lampada
sul comodino. Il letto era così stretto che Remus dovette sdraiarsi
con le spalle al muro, un braccio intorno alla vita di Sirius e una
faccia piena di setosi capelli neri.
«Io so chi sei.» Sirius sussurrò nella quiete vuota della camera
oscura.
«Mh?» Chiese Remus, assonnato e confuso.
Sirius si portò la mano di Remus alla bocca e gli baciò le dita. «Hai
detto di non sapere più chi sei. Ma io sì. Sei il mio Moony. Lo sarai
sempre. Okay?»
«Okay, Padfoot.»
Per ora era abbastanza.

Moody disse loro che potevano tornare al loro appartamento, con


la condizione del mantenimento di un profilo basso da parte di
Remus, non specificò per quanto tempo. Ciò significava nessuna
riunione dell’Ordine e nessuna missione: non gli era nemmeno
permesso di visitare la casa dei Potter. A tutti gli effetti, Remus
Lupin era scomparso dalla faccia della terra un mese prima e non
era più tornato.
184
«Scommetto che vuole solo aspettare la prossima luna piena per
chiarire tutto.» Suggerì Sirius. «Comunque, ti meriti una pausa.»
Remus si limitò a scrollare le spalle. «Ho raggiunto il mio obiettivo
adesso, suppongo. Non sanno cosa fare con me.»
«Non parlare di te in questo modo.» Sirius scattò irritato. Erano
rimasti bloccati nella stessa piccola stanza per troppo tempo.
Si smaterializzarono di nuovo, e Remus iniziò a sentirsi un po’ più
sé stesso una volta che fu veramente a casa.
L’appartamento era perfettamente ordinato (apparentemente
Sirius aveva accumulato molta energia nervosa mentre Remus era
via) ma per il resto tutto era come avrebbe dovuto essere.
Nessuno avrebbe dovuto sapere che Remus era tornato, ma
ovviamente James l’aveva detto a Lily e Peter, e Marlene l’aveva
detto a Mary, così la prima sera che erano tornati a casa vennero
tutti subito. Fortunatamente Lily aveva avuto il buon senso di
portare del cibo perché Sirius non aveva proprio niente in casa.
«Ho mangiato dai Potter.» Borbottò timidamente.
Remus e Lily andarono in cucina a preparare involtini di salsiccia,
bastoncini di formaggio e ananas e panini sui piatti. Lily appoggiò
le sue borse sul bancone e si gettò su di lui, con le braccia intorno
alla vita, la testa sulla sua spalla.
Remus la accarezzò dolcemente, quando si rese conto che stava
piangendo. «Argh, Lily, per favore non...»
«Mi dispiace!» Lei singhiozzò, la sua voce spessa e soffocata contro
il suo miglior maglione di lana. «Io solo... Non pensavo che ti avrei
mai più rivisto!»
«Dio, stai facendo più storie di Padfoot.»
«Improbabile.» Rise lei, facendo un passo indietro e asciugandosi
le guance. «Era un disastro completo mentre eri via, non lo avresti
riconosciuto. Non credo che si sia nemmeno pettinato i capelli.»

185
Remus provò un’orribile fitta di sensi di colpa. Non voleva essere
cupo di fronte a Lily però, quindi le fece solo un sorriso disinvolto
e disse. «Quindi hai qualcosa da dirmi?»
«Oh! Ehm... Quando tutti saranno qui...» Lily stava arrossendo, e
improvvisamente si concentrò molto sul tagliare le carote che
aveva portato.
Non ci volle molto tempo prima che Marlene e Peter arrivassero,
direttamente dal lavoro. Peter aveva persino una valigetta adesso,
aveva incise le sue iniziali. Apparentemente stava andando bene al
Ministero, e Remus cercò di non essere troppo amareggiato per
questo.
Marlene aveva insistito per dare un’occhiata a Remus un’altra volta
in camera da letto controllandogli la caviglia, che era come nuova,
e il petto, che era molto meglio.
«Onestamente, non posso credere che tu stia ancora fumando.» Lei
sussultò mentre lui si accendeva una sigaretta, abbottonandosi la
camicia. «Sai che uccide i babbani.»
«Muori giovane e lascia un bel cadavere.» Le fece l’occhiolino,
cercando di non pensare al cancro ai polmoni di Hope.
Il fatto era che fumare e bere erano le uniche cose che aveva voglia
di fare in questi giorni.
Mary scoppiò in lacrime non appena arrivò, e balzò tra le braccia
di Remus. «Sei un bastardo!» Gli sussurrò nel collo. «Potrei
ucciderti!»
«Mi sei mancata anche tu.» Disse Remus, stringendole la schiena.
Una volta che furono tutti insieme, James e Sirius subentrarono
come ospiti, il che fu un sollievo. Remus si sentì improvvisamente
molto stanco, e si sedette sul divano come un fantasma, guardando
i suoi amici chiacchierare e ridere e comportarsi come ragazzi di
diciannove anni, per una volta. Sorrise a tutti loro. Sorrise e bevve.

186
Alla fine, il cibo non diventò altro che briciole e anche l’alcol si
stava esaurendo. James, Sirius e Peter ebbero l’idea di evocare birre
dagli appartamenti vicini attraverso la finestra, e le ragazze stavano
cercando di convincerli a non farlo, quando Remus ricordava cosa
aveva detto Lily in cucina.
«Quali sono le tue novità?»
«Oh!» La testa di Lily si voltò bruscamente verso di lui. Era in piedi
vicino alla finestra, le braccia intorno alle spalle di James, cercando
di allontanarlo dai suoi tentativi di ladro. Anche James si voltò e si
scambiarono uno sguardo imbarazzato.
«Gente.» James si schiarì la gola. «Uhm. Lily e io abbiamo qualcosa
da-»
«Oh Cristo!» Disse Mary all’improvviso, da dove era sdraiata sulla
poltrona di fronte a Remus, le gambe gettate sul bracciolo. «Lily,
pensavo prendessi la pillola!»
«Mary!» Lily diventò di una tonalità di rosso ancora più profonda.
«Non è quello!»
«Uff!» Mary rise, chiudendo gli occhi. «Dato che non abbiamo
ancora vent’anni, siamo troppo giovani per pensare a-»
«Ci sposeremo!» Lily urlò velocemente, prima che Mary potesse
fare ulteriori commenti.
Remus sbatté le palpebre un paio di volte, guardando la faccia di
James per controllare che non fosse tutto un grande scherzo. Ma
stava sorridendo a Lily con così tanto amore e orgoglio in quei suoi
occhi castani sdolcinati che Remus semplicemente sorrise tra sé.
Sì. Pensò. Ovviamente.
Il secondo pensiero di Remus fu Sirius, che si era sporto per metà
fuori dalla finestra quando l’annuncio era stato fatto. Poi si era
girato così velocemente che aveva sbattuto la testa sul telaio.
«Tu cosa?!» Fissò James, uno strano miscuglio di sorpresa e
dispiacere evidente sul suo volto.
187
«Sì.» James ghignò, ignaro, avvolgendo le braccia intorno a Lily.
«Me l’ha chiesto, e chi sono io per rifiutare?»
«Tu gliel’hai chiesto?» Marlene disse a Lily. «Maledetta eroina
femminista, Evans.»
«Era un po’ più reciproco di così.» Lily rise. «Stavamo solo
parlando e...»
«Ma abbiamo appena lasciato la scuola.» Disse Sirius, la sua voce
opaca.
«Un anno fa.» Gli ricordò Peter, aggiustandosi i risvolti del suo
blazer a quadri verdi.
«Non vivete nemmeno insieme.» Sirius incrociò le braccia.
Remus si sentiva intrappolato, questi erano tutti i segnali di
avvertimento che Black si stava preparando per un litigio, tranne
che, per una volta, non era Remus quello con cui stava
combattendo.
«Vado a vivere con la famiglia di James per un po’.» Disse Lily, il
suo sorriso vacillò quando si rese conto che Sirius non condivideva
la loro gioia.
«Sì, sai quanto amano averla intorno.» Disse James. La sua voce si
era indurita e teneva le braccia attorno a Lily, come per proteggerla.
«È stata fantastica mentre loro non stavano bene.»
«Ma ci avete davvero pensato?!»
«Sono sicura che l’hanno fatto, Black. Rilassati.» Disse Mary
cercando di alleggerire l’atmosfera. Si alzò. «Devo uscire e vedere
se riusciamo a trovare un po’ di champagne a buon mercato?
Questo merita un brindisi!»
«Sì!» Anche Marlene si alzò. Abbracciò Lily e poi baciò James sulla
guancia. «Congratulazioni a voi due!»
«Congratulazioni!» Peter alzò la sua lattina di birra ubriaco.
«Siete tutti impazziti?!» Sirius quasi gridò.

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Remus colse lo sguardo sgomento sul viso di Lily e decise che era
abbastanza. Si alzò in piedi. «Padfoot.» Disse con fermezza usando
quella voce. «No.»
Sirius lo fissò ora. La sua bocca si chiuse all’improvviso e scosse la
testa come una ragazzina lunatica prima di spingersi oltre e di uscire
dalla stanza. La porta della camera da letto sbatté.
«Stupido stronzo.» Disse Mary con disinvoltura. «Vado al negozio,
vieni Marls?»
«Sarebbe meglio...» Remus fece un cenno con la testa in direzione
della camera da letto e seguì Sirius.
Non bussò, entrò semplicemente, dopotutto era anche il suo
appartamento. Sirius era pronto per lui, e iniziò non appena Remus
chiuse la porta dietro di sé.
«Non puoi assolutamente dirmi che pensi che questa sia una buona
idea!» Inveì, camminando su e giù per la stanza. «Prongs è ridicolo!
Siamo troppo giovani, è in corso una dannata guerra, sua madre e
suo padre sono malati e lui vuole fare un fottuto matrimonio?!»
«Penso che tutti questi sembrino motivi sufficienti per avere un
fottuto matrimonio, in realtà.» Remus sospirò, sedendosi sul letto.
«Stai scherzando! Siamo ragazzi!»
«Sono innamorati.» Remus provò a ragionare.
Sirius rise, una risata cattiva e crudele. «Oh, e tu inizierai a fare la
lirica sull’amore, vero Moony?!»
«Guarda.» Remus si alzò bruscamente, usando la sua altezza per
torreggiare su Sirius. «Non so perché sei un tale idiota con James e
Lily ma non mi siederò qui a lasciarmi fare piccoli commenti
stronzi.»
Sirius stava per ribattere, quando la porta si aprì di nuovo, e questa
volta James si precipitò dentro, più arrabbiato di quanto Remus lo
avesse mai visto.

189
«Testa di cazzo!» Gridò. «A che cazzo stai giocando?! Moony, non
difenderlo!»
«Non lo sto facendo!» Remus disse allontanandosi e incrociando le
braccia. «Stavo dicendo lo stesso!»
«Bene!» James tornò di nuovo su Sirius. «Vuoi spiegarti?!»
«No, voglio che ti spieghi tu!» Sirius scattò. «Ma che cazzo?! Ti stai
per sposare, proprio così? So che hai avuto questa follia per Evans
da quando avevi dodici anni, ma dannazione! Che fretta c’è?!»
«Non è una “follia”!» James gridò. «La amo! Sono innamorato di
lei da sempre, come ben sai!»
«Quindi devi sposarti all’improvviso?!»
«Voglio sposarmi e non è improvviso! Ne parliamo da anni.»
«È la prima volta che ne ho sentito parlare!»
«Sì, beh. Non devo dirti tutto! Non volevo dire nulla finché Moony
non fosse tornato.»
«Che mi dici dei tuoi genitori?! Cosa ne pensano?» Sirius stava
perdendo forza, ma ovviamente non era ancora disposto a
smettere di essere arrabbiato.
«Sono entusiasti, in realtà! Amano Lily! E ho pensato che lo facessi
anche tu! Sei il mio migliore amico, pensavo mi avresti aiutato!»
«Oh!» Gli occhi di Sirius brillarono. «Perché sei sempre stato così
favorevole alle mie relazioni!»
Gli occhi di James guizzarono verso Remus, poi di nuovo indietro.
Era durato solo una frazione di secondo, ma Remus lo sentì
decisamente. Di che diavolo stava parlando?
«Sai che non è...» Disse James ferocemente, con la mascella serrata.
Remus lo prese come spunto per andarsene. Qualunque cosa stesse
succedendo tra loro due, non voleva farne parte. Andò dritto in
cucina e guardò sotto il lavello. C’era una bottiglia di Whisky
Incendiario che aveva messo lì dopo l’ultima festa per tenerla al
sicuro. La stappò e ne bevve un lungo sorso.
190
«Remus?»
Quasi soffocò quando Lily entrò in cucina. Lei rise e allungò una
mano. «Condividi un po’? La mamma diceva sempre di non bere
mai da sola.»
Rise, asciugandosi la bocca con il retro della manica e porgendole
la bottiglia. Bevve profondamente e non sussultò.
Remus la guardò con soggezione e pensò che se avesse mai sposato
una ragazza, allora sarebbe stato meglio che fosse esattamente
come Lily Evans.
«Scusa se ho rovinato la tua festa di ritorno a casa.» Disse desolata.
«Non l’hai fatto.» Remus scosse la testa. «Mi dispiace per Sirius.»
«Oh, non essere sciocco, non sei la sua babysitter.»
«Sta facendo lo stronzo.»
«È solo geloso, sapevo che lo sarebbe stato.» Lei rise, cogliendo lo
sguardo di Remus. «Non in quel modo, Moony. È ovvio che è
follemente innamorato di te, voglio dire è preoccupato di perdere
il suo migliore amico.»
«Probabilmente hai ragione.»
«Di solito ho ragione.» Lei inarcò un sopracciglio e lui rise di
nuovo.
«Congratulazioni.» Disse sinceramente. «Penso che sia geniale
come cosa.»
«Grazie, amore.» Sorrise dolcemente. «È un po’ affrettato, lo so. I
miei genitori sono stati risparmiati; Pet si è sposata solo l’anno
scorso e ha tre anni più di me. Ma sai... Euphemia e Monty non
stanno bene.»
«Sì, vorrei poterli andare a trovare, ma... gli ordini di Moody, sai.»
«Loro capiscono.» Gli toccò delicatamente il braccio. «Comunque,
sono davvero... Voglio dire, non stanno soffrendo o altro, ma sono
molto vecchi. Sapevo quanto significa per James che lo vedano con

191
me. Vogliono essere certi che starà bene quando se ne saranno
andati.»
Forse aveva bevuto troppo, ma le lacrime gli si formarono negli
occhi inaspettatamente. Si coprì la faccia e gemette. «Gesù Cristo
Evans, posso avere cinque minuti senza un esaurimento emotivo?!»
Lei rise e lo abbracciò di nuovo. «Ragazzo adorabile.»
«Siamo tornaaate!» Mary e Marlene cantarono mentre entravano di
nuovo nell’appartamento, ridacchiando allegramente.
«Nascondila, presto!» Lily restituì a Remus la sua bottiglia, e lui la
ripose sotto il lavandino dietro una scatola di polvere da bucato.
Quando Mary versò a tutti un bicchiere (o una tazza) di Babycham
(«Era la cosa più simile allo champagne che puoi trovare a Soho
dopo mezzanotte.»), James e Sirius erano riemersi dalla camera da
letto, entrambi ancora rossi in volto ma, apparentemente, in
condizioni migliori. Sirius si unì al brindisi e diede persino a Lily
un educato bacio sulla guancia.
Tuttavia l’atmosfera era cambiata e tutti se ne andarono entro
un’ora o giù di lì; Marlene stava da Mary a Croydon, Peter tornò
con James e Lily. Quando la porta si chiuse per l’ultima volta all’una
del mattino, Remus aveva voglia di rannicchiarsi sul divano
coprendosi la testa e restando lì per una settimana.
Sirius non disse molto, fece solo un po’ di ordine superficiale, poi
andò in bagno. Remus sentì il click della serratura chiudersi e ne
approfittò per un ultimo bicchiere di whisky e una sigaretta prima
di andare a letto.
Si sentiva sudicio; aveva i denti sporchi, la gola bruciata e gli occhi
pruriginosi, ma si adattava al suo umore.
Non aveva più voglia di parlare, soprattutto se questo avrebbe
portato ad un altro litigio. Aveva anche preso in considerazione
l’idea di addormentarsi sul divano ma poi avrebbe potuto

192
significare solo una discussione al mattino e lui sapeva già che
avrebbe avuto i postumi di una sbornia quindi era meglio evitare.
Sirius aprì la porta e Remus lo sentì entrare in camera da letto.
Forse se Remus si fosse preso il tempo di lavarsi i denti Sirius si
sarebbe appisolato prima di arrivare, avevano bevuto molto
entrambi. Si alzò dal divano e si diresse verso il bagno.
Remus si lavò la faccia e la nuca con l’acqua fredda e si fissò nello
specchio dell’armadietto dei medicinali sopra il lavandino. Da
quando era tornato aveva evitato il suo riflesso. Sembrava una
merda; ancora troppo incavato nelle guance, gli occhi in qualche
modo più scuri e più larghi. Era pallido per il troppo bere e le sue
cicatrici risaltavano come fili d’argento sotto la sua pelle.
Aveva lo stesso aspetto tormentato che avevano loro? Il branco?
Aveva colto quel luccichio feroce, quel sorrisetto da lupo? O stava
solo vedendo il ragazzo arrabbiato e spaventato della casa di cura
che era sempre stato lì?
Sospirò sconfitto e spense la luce andando finalmente a letto.
Le luci erano ancora accese e Sirius era sotto le coperte, solo i suoi
setosi capelli neri erano visibili, drappeggiati sul cuscino. Dormiva
sempre così; nascosto. Con un lampo di chiarezza Remus ricordò
il bambino che Sirius era stato una volta; solo in una grande casa
piena di famiglia che non riusciva a capirlo, il peso dell’aspettativa
premeva da tutte le parti.
Remus rivolgeva la sua solitudine verso l’interno; l’aveva sempre
fatto. Ma Sirius... Lui spingeva fuori la sua solitudine e lasciava che
gli altri gliela prendessero. Quindi a volte diventava un po’
possessivo, un po’ in preda al panico, e allora? Nessuno era
perfetto.
Addolcendosi, Remus si mise accanto a lui e accarezzò molto
delicatamente i capelli di Sirius.
«Tutto bene?» Lui sussurrò.
193
La testa di Sirius ondeggiò in una sorta di cenno del capo sotto il
piumone, e allungò le braccia per avvolgerle intorno alla vita di
Remus. Remus sospirò sollevato; era così bello essere di nuovo nel
suo letto.
«Ti amo.» Mormorò, baciando la sommità della testa di Sirius.
Le braccia di Sirius si fecero più strette intorno a lui e, dopo poco
tempo, entrambi si addormentarono.

194
Estate 1979
Ride the blue wind, high and free
She’ll lead you down through misery
Leave you low, come time to go
Alone and low, as low can be.

Il matrimonio di Lily e James era fissato per la fine di settembre.


Sarebbe stato un evento relativamente piccolo, per lo più membri
dell’ordine e compagni di scuola, e si sarebbe svolto nella tenuta
dei Potter. Speravano che il tempo sarebbe stato abbastanza bello
da farlo nei giardini, ma anche se avesse piovuto c’era spazio in
abbondanza all’interno.
Dopo aver fatto tante storie la notte del ritorno a casa di Remus,
Sirius era chiaramente molto imbarazzato da come si era
comportato e compensò facendo praticamente qualsiasi cosa
James e Lily gli chiedessero. Ordinò abiti da sera per i ragazzi da
Madama Malkin’s, andò a ritirare gli anelli dal gioielliere e offrì la
sua intera collezione di dischi da usare alla reception.
Remus, che non era mai stato ad un matrimonio, cercò di stare
dietro gli altri. Per quanto ne sapeva il suo dovere come testimone
era quello di presentarsi, impedire che la testa di Sirius esplodesse,
e assicurarsi che nessuno della famiglia babbana di Lily vedesse
qualcosa di troppo stravagante.
L’atto di contrizione più folle di Sirius era stato quello di scrivere a
mano tutti gli inviti. Il suo talento per la calligrafia era ancora uno
dei segreti più oscuri di Sirius (e la cosa preferita di Remus su cui
prenderlo in giro), ma era determinato a essere il miglior testimone,
così un pomeriggio si sedette curvo sul tavolo da pranzo e ci lavorò
per quattro ore.

195
«Cinquantotto!» Disse Sirius trionfante, terminando l’ultimo invito
con un gesto della sua penna.
«Ben fatto.» Disse Remus dando uno sguardo al di sopra del suo
giornale. «Ahh, guarda la tua bella calligrafia! Così delicata!»
«Meglio della tua da zampa di gallina!» Sirius fece uscire la lingua.
«Solo non dire a nessuno che le hai fatte tu.» Consigliò Remus. «O
inizierai a ricevere richieste.»
«Pensi davvero che sia così bravo?» Chiese Sirius, tenendone uno
davanti alla luce per ispezionare i delicati vortici di inchiostro nero.
«Sono stupendi. Veramente.» Disse Remus affettuosamente.
«Bene, questa è l’unica volta che lo faccio.» Sirius tirò su col naso,
riordinando la pila. «Questo è l’unico e il solo matrimonio che
sosterrò mai.»
«E se Mary si sposasse? O Pete?»
«Mi presenterei e mi ubriacherei, ma segretamente odierei ogni
minuto.»
«Molto ragionevole.» Annuì Remus.
«Un’altra cosa di cui puoi incolpare la nobile e più antica casa.»
Sirius disse. «Sai a quante cene di fidanzamento e matrimoni sono
stato? Uff.» Rabbrividì visibilmente. «Quindi mi dispiace, Moony,
ma non farai di me un uomo onesto.»
«Oh, e io che lo stavo per proporre.» Disse Remus seccamente
alzandosi. «Tè?»
«Per favore.» Sirius annuì, massaggiandosi le nocche doloranti.
Remus entrò in cucina toccando il bollitore con la sua bacchetta;
erano andati a prenderla lo stesso giorno che avevano preso i
vestiti. Olivander l’aveva misurata e poi mormorò, gridò e borbottò
tra sé e sé sottovoce. Aveva rovistato nel magazzino e proposto
scatole dopo scatole di bacchette per farle provare a Remus. Alla
fine avevano optato per un numero di cipresso flessibile, con
nucleo di crine di unicorno. Aveva cercato di abituarsi. Non era la
196
stessa della bacchetta di Lyall (che aveva scoperto era prugnolo,
con un nucleo di capelli kelpie): sembrava meno rigida, più incline
a fare quello che gli diceva Remus. Il che significava che Remus
doveva ricordarsi di non mettere troppa forza dietro la sua magia,
come si era abituato a fare.
Guardò pensieroso il vapore che usciva dal bollitore.
«Li farebbe davvero incazzare, però.» Disse Remus attraverso il
muro sottile.
«Che cosa? Chi?»
«La tua famiglia.» Remus disse, mettendo due bustine di tè in due
tazze. «Se sposassi un tizio. Un mezzosangue, lupo mannaro e
ragazzo.»
«Non dimenticare povero!» Sirius rise. «Merlino, immagina di
mandare a mia madre un invito per l’occasione!»
«Immagina di mandare a qualcuno un invito per quello.» Remus
sbuffò. «Cristo, posso già sentire James fare orribili giochi di parole
sulla luna di miele.» Riportò le tazze di tè in soggiorno, posandole
sul tavolino da caffè.
«Sono già stato fidanzato una volta, davvero non ho voglia di farlo
di nuovo.» Disse Sirius, con aria definitiva.
«Oh sì, sei il benvenuto per questo.» Remus fece l’occhiolino.

Well, if I had a nickel, I’d find a game


If I won a dollar, I’d make it rain
If it rained an ocean, I’d drink it dry
And lay me down dissatisfied.

It’s legs to walk and thoughts to fly


Eyes to laugh and lips to cry
A restless tongue to classify
All born to grow and grown to die
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La pianificazione del matrimonio era stata in realtà una distrazione
molto gradita, poiché l’estate si era aperta davanti a loro. Sirius,
James, Peter e Lily venivano spesso chiamati con urgenza per
missioni dell’ordine, e l’elenco delle letture dei deceduti all’inizio di
ogni riunione si allungava.
Benjy Fenwick, che aveva lavorato con Moody per anni, è stato
orribilmente assassinato: non potevano nemmeno avere una bara
al suo funerale; non era rimasto abbastanza di lui. Darius
Barebones, che a Remus non era mai piaciuto ma che era
comunque un agente devoto, era stato trovato scorticato vivo nel
suo stesso ufficio al ministero. Erano tempi miserabili.
A Remus fu finalmente permesso di tornare ufficialmente
nell’Ordine dopo che due lune piene furono trascorse senza
incidenti. Ferox credeva che la scissione che Castor aveva istigato
significasse che il branco di Greyback era troppo debole per essere
molto utile a Voldemort e, in qualche modo, tutti avevano l’idea
che Remus fosse responsabile di questo.
Silente gli strinse la mano. «Ci hai resi tutti così orgogliosi, signor
Lupin.»
Danny McKinnon gli aveva persino chiesto scusa, Remus pensava
che probabilmente fosse opera di Marlene.
A luglio il numero dell’Ordine era diminuito così tanto che persino
Remus veniva mandato fuori ed era spesso in coppia con Mary, il
che rendeva le cose sopportabili. I loro ordini generali erano di
sostenere gli Auror facendo la guardia o gestendo la sorveglianza
su alcuni dei Mangiamorte più conosciuti. Remus e Mary
trascorrevano molto tempo seduti insieme nei caffè o
nascondendosi dietro i cespugli.
Una di queste missioni prevedeva di seguire un Mangiamorte
chiamato Travers, che era noto per bere in un pub di maghi vicino
a Stoke Mandeville. Dovevano solo vedere dove andava; come
198
trascorreva una giornata normale. Caradoc Dearborn, un eroe
dell’Ordine della Fenice, era stato visto per l’ultima volta entrare
nel pub, ma da allora nessuno lo aveva più sentito.
«Sei tornato.» Sussurrò Mary, mentre aspettavano sul sedile
posteriore di un’antica Ford Cortina, parcheggiata dall’altra parte
della strada. «Quindi forse lo farà anche Caradoc.»
«Lo spero.» Rispose Remus.
«Non posso sopportare di non sapere.» La gamba di Mary tremava
nervosamente. «Continuo a immaginare... E cosa hanno fatto ai
Prewett!»
«Non pensarci.» Le mise una mano sul ginocchio per tenerla ferma,
e cercò una distrazione. «Ehi, Lily alla fine ha deciso i fiori?»
«Qualunque cosa tranne i gigli o le petunie.» Disse Mary, con un
sorriso grato. «io e Marls indossiamo la lavanda.»
«Sembra bello.» Remus annuì, anche se non riusciva a immaginare
il color lavanda; era viola o blu?
«Sono così felice che tu sia qui con me, Remus.» Disse Mary.
«Potrei riuscire a fare i miei incantesimi difensivi solo nei tuoi
gruppi di studio.»
«Siamo qui solo per guardare. Andrà tutto bene.»
Aspettarono per ore e, quando finalmente Travers uscì barcollando
e puzzando di alcolici, non era solo. Remus dovette dare una
gomitata a Mary, che si era addormentata, penzolando contro la
sua spalla.
«Oh merda!» Sussurrò, la sua voce roca dal terrore. «Sei di loro,
Remus!»
Remus si portò un dito alle labbra, facendole segno di tacere.
Guardò i Mangiamorte uscire dal pub sulla tranquilla strada di
campagna. Ne riconobbe alcuni dalle immagini che Moody aveva
mostrato nell’ordine: Karkaroff, Dolohov e Alecto Carrow. Due di
loro li riconobbe dal profumo.
199
«Fanculo.» Disse sottovoce. «Sono Mulciber e Piton.»
«No!» Mary gli afferrò il braccio, sbirciando per guardare. «Oh mio
Dio! Dobbiamo andarcene di qui!»
Il problema era che l’auto era solo per spettacolo, e comunque
nessuno dei due poteva guidare.
«Stai calma.» Disse Remus. «Aspetteremo solo che se ne vanno,
scommetto che faranno l’app-»
«Ooh, babbani!» Alecto Carrow, una giovane donna tarchiata e con
la faccia da cavallo indicò allegramente la Cortina. «Giochiamo!»
«Fanculo.» Disse Remus di nuovo.
I sei maghi dalle vesti scure scivolarono verso di loro, estraendo le
loro bacchette. Anche Remus tirò fuori la sua, Mary che lo imitava.
«Presto.» Disse. «Usciamo, forse possiamo...»
«APERIO!» Travers colpì la macchina con la bacchetta e le portiere
si strapparono via dai cardini con un orribile suono metallico
scricchiolante.
Mary urlò, ma tenne alta la bacchetta. Remus la spinse all’indietro,
proteggendola con il suo corpo e sperando che potessero uscire
dall’altra parte. Si sarebbe sentito molto meglio con una macchina
tra loro e i sei pericolosi assassini.
«Non sono babbani!» Uno dei Mangiamorte disse allegramente.
«Sono mezzosangue!»
«Ahh ancora meglio!» Alecto ridacchiò.
«Impedimenta!» Gridò Remus, mentre lui e Mary si allontanavano
dalla macchina.
«Loony Lupin, sei tu?!» Piton adesso. «Che fortuna! Sectums-»
«LANGLOCK!» Mary pianse, con così tanta emozione che Remus
sentì il click quando i denti di Piton si chiusero di scatto, e si strinse
la mascella con entrambe le mani, incapace di parlare.
«Crucio!» Mulciber gridò mirando a Mary, ma Remus si mise in
mezzo velocemente con un incantesimo di scudo.
200
«Stupeficium!» Mary prese Mulciber, ma gli altri stavano ancora
avanzando, anche Piton sebbene fosse ancora disabile.
«Presto Mary!» Remus le prese la mano e scomparvero, atterrarono
quasi in piedi nel mezzo del centro di Cardiff.
Per fortuna era così tardi che non c’erano babbani in giro tranne
che per un vagabondo dall’aria molto ubriaca, che si stropicciò gli
occhi alla loro vista.
«Dove siamo?» Chiese Mary tremante e con gli occhi spalancati.
«Non importa.» Ansimò Remus. «Dobbiamo farlo di nuovo; sei
volte per essere al sicuro, ricordi?»
«Giusto, sì, okay.» Annuì, chiaramente scioccata.
Remus si rese conto che avrebbe dovuto farlo di nuovo lui. Le
strinse di nuovo la mano ed erano nell’Essex, a solo un miglio o
giù di lì da St Edmund’s. L’atterraggio era stato ancora più difficile
questa volta, e Remus dovette chinarsi in avanti per fermare la sua
testa che girava.
«Ancora.» Grugnì.
«Lo farò io.» Mary gli prese la mano e lo trascinò ancora una volta
volteggiando nello spazio.
Arrivarono da qualche parte in una zona industriale, camion e
autocarri parcheggiati davanti a grandi magazzini, illuminati da
deboli lampioni gialli.
«Ugh.» Mary si portò una mano alla fronte sussultando. «Okay, di
nuovo.»
La quarta volta, dovettero aggrapparsi l’uno all’altro per evitare di
cadere. La quinta volta, atterrarono sulla schiena, per fortuna in un
morbido campo erboso da qualche parte nel Lake District.
Remus si tirò su, le gambe praticamente gelatinose, la testa che
girava. Tirò su anche Mary, lei inciampò contro di lui stordita.
«Sto per star male.» Disse, poi prontamente si voltò e vomitò.

201
Remus le strofinò delicatamente la schiena, sbattendo le palpebre
dal sudore dagli occhi.
«Stai andando così bene, ancora solo una volta...»
Era quasi l’alba quando tornarono a Londra, erano esausti e
nauseati, le teste che pulsavano. Mary rimase nel loro
appartamento, dicendo che non poteva andare da sua madre con
un’aria così rude. Sirius chiamò Moody attraverso il camino, e lui
arrivò immediatamente, interrogò Remus e Mary che sedevano
tremanti sul divano, avvolti in coperte e sorseggiando un tè debole.
«Ottimo lavoro, voi due.» Annuì loro prima di andarsene.
«Continuate così e ce la farete entrambi.»
Mary scoppiò in lacrime.

Era stato brutto per tutto il tempo. La scampata fuga di Remus e


Mary quella notte non fu l’ultima, né furono gli unici a trovarsi in
una situazione difficile. Remus doveva spesso lasciare la stanza
mentre James e Sirius raccontavano le proprie disavventure, e Peter
aveva cominciato a balbettare ogni volta che qualcuno menzionava
i Mangiamorte.
Tutto sommato, il matrimonio sembrava l’unico punto luminoso
nel loro futuro che si accorciava rapidamente. Di certo avevano
fatto il pieno di funerali.
Così, alla fine di agosto, quando Remus e Sirius ricevettero una
visita inaspettata da Lily, che era in uno stato di panico, pensarono
immediatamente il peggio.
«Oh, grazie a Dio sei qui!» Disse lei irrompendo nel loro soggiorno.
I suoi capelli erano raccolti in una coda di cavallo disordinata, e
sembrava stanca e sovraccarica di lavoro.
«Che cosa c’è?!» Remus si alzò velocemente.
«Non tu.» Lo spinse da parte in modo sprezzante, poi si voltò verso
Sirius. «Ho bisogno di te!»
202
«Che cosa succede?» Sirius sembrava perplesso quanto Remus. Lily
non aveva mai bisogno del suo aiuto. «È Prongs?»
«Sì, il bastardo.»
La preoccupazione lasciò il viso di Sirius e sorrise. «Guarda, se è
per l’addio al celibato...»
«Oh, non mi interessa cosa combinate.» Disse con impazienza.
«Questo è molto, molto più importante.»
«Metto su il bollitore, allora...» Disse Remus scomparendo in
cucina. Li poteva ancora sentire attraverso il muro.
«Allora, cosa c’è di tanto grave?» Sirius stava chiedendo.
«Non so ballare.»
«Che cosa?!» La schernì. «Ti ho vista ballare.»
«Sì, posso scuotere i miei fianchi al ritmo della musica pop, ma sto
parlando di ballare veramente. Con i passi e James che guida, e
contando “uno, due e tre”... L’intera faccenda!»
Sirius stava ridendo, ora. «Sarà quel tipo di matrimonio? Prongs mi
ha praticamente promesso che ci sarebbe stata musica moderna!»
«Ci sarà!» Lily replicò sulla difensiva. «Ma... Beh è tradizione fare
un primo ballo, e penso che sua madre vorrebbe vederlo. Ho
accettato di farlo anni fa; avevo pensato “va bene, ci attaccheremo
a qualcosa di sdolcinato e ci aggrapperemo l’uno all’altro per
qualche minuto”, ma quel segaiolo ha appena accennato
casualmente al fatto che balla da quando ha iniziato a camminare!»
Sirius sbuffò. «Sì, sembra giusto. Senti Evans, sei abbastanza pazza
da sposare un purosangue. Hai voluto la bicicletta.. beh ora impara
a pedalare!»
«Ma devi aiutarmi!»
«Ooh no...»
Remus rientrò nella stanza con un vassoio che conteneva tre tazze
di tè. «Avanti.» Disse sornione. «Mi piacerebbe vederlo.»

203
«Assolutamente no.» Sirius incrociò le braccia con decisione. «Fallo
fare a Pete! Anche lui è un purosangue!»
«È troppo basso.» Lily scosse la testa. «E beh... Non voglio essere
cattiva, ma è molto goffo, e non voglio che mi pesti i piedi mentre
ho le scarpe del matrimonio. Sono di raso bianco. Per favore,
Sirius! Imparo velocemente, lo giuro, devi solo farmi superare un
ballo.»
«Moony!» Sirius implorò, mentre Remus si sedeva accanto a lui.
«Salvami!»
«Penso che dovresti farlo.» Rispose Remus, sorseggiando il suo tè.
«Per James.»
«Sì!» Lily annuì con entusiasmo. «Per James!»
«Non mi merita.» Sirius borbottò. «Bene. Una lezione. Un valzer è
abbastanza facile. Moony, vattene.»
«Assolutamente no.» Remus si sedette sul divano, accontentandosi
dello spettacolo. «Non ti ho mai visto ballare il valzer prima d’ora,
e non perderò l’occasione.»
Sirius alzò il dito medio, poi scosse la testa e si voltò verso Lily.
«Bene.» Disse arrogante. «Dammi le mani...»
Per quanto divertente potesse sembrare all’inizio, a quindici minuti
dall’inizio della lezione Remus era completamente estasiato.
Sirius aveva lavorato duramente per nascondere il suo stato
purosangue la maggior parte del tempo.
Sin da quando erano bambini Remus era consapevole che Sirius
imitava il suo accento, e talvolta anche i suoi modi di fare nel
tentativo di sembrare meno privilegiato. Era stravaccato,
imprecava, indossava jeans strappati e giacche di pelle. Ma qui c’era
la prova che Sirius Orion Black, erede della casa magica più
prestigiosa e spietata della Gran Bretagna, non aveva
completamente dimenticato le sue radici.

204
A quel tempo Remus lo trovava affascinante, poiché trovava
affascinante quasi tutto ciò che riguardava Sirius. Teneva la testa
alta, mettendo in mostra il suo lungo collo bianco e la mascella
regale. Prese Lily tra le braccia come un vero gentiluomo, come un
principe cortese. Quando si muoveva era come se scivolava; non
un passo fuori posto. Era il ritratto della nobiltà incorruttibile.
Faceva impazzire Remus.
«Grazie mille!» Lily sgorgò, con le guance piuttosto rosee dopo due
ore di ballo. «Devo tornare o si chiederà dove sono. Ti devo
seriamente un favore, Black.»
«Oh, basterà solo il tuo primogenito.» Sirius agitò una mano
galantemente e sorridendo. Sembrava che anche lui si fosse
divertito.
Lily prese la sua borsa, li baciò entrambi sulla guancia e se ne andò
attraverso il caminetto. Sirius si voltò verso Remus, che lo stava
ancora guardando dal divano. Fece una smorfia.
«Allora dai, prendimi per il culo...»
«Mai.» Disse Remus sorridendo, alzandosi e avvicinandosi a lui.
«Adoro quanto sei elegante.»
Mise le braccia sulle spalle di Sirius e si chinò per un bacio. Durò
molto tempo; Sirius si premette contro di lui, dapprima
affettuosamente ma poi con più impazienza mentre il bacio si
approfondiva. Da quando Remus era tornato dal branco le cose
erano state un po’ secche in quel reparto; non che erano come
monaci, ma nei rari casi in cui nessuno dei due era esausto, il sesso
era diventato piuttosto funzionale.
Sirius sorrise contro le labbra di Remus, inclinando la testa
all’indietro. Le mani di Remus erano sulla vita di Sirius, e i suoi
pollici si fecero strada sotto la cintura dei suoi jeans, accarezzando
cerchi sulle ossa dei suoi fianchi che fecero contorcere Sirius.
Anche Remus sorrise, tirandosi indietro.
205
«Vuoi ballare?»

So tell my baby, I said so long.


Tell my mother, I did no wrong -
Tell my brother to watch his own
And tell my friends to mourn me none

Tre giorni dopo la lezione di ballo, Sirius e Remus si ritrovarono


con una domenica miracolosamente libera. Non c’erano missioni,
non c’erano riunioni, non c’erano catastrofi nuziali da risolvere e,
per quanto ne sapeva Remus, nessuno dei due era in pericolo
mortale. Quindi lo spesero nel modo migliore a cui potevano
pensare: dormire.
Avevano dormito più a lungo da quando gli anni ad Hogwarts
erano finiti, e dovevano essere quasi le dodici quando Sirius si alzò
per far entrare il gufo che aveva beccato con rabbia alla finestra
della loro camera da letto per quindici minuti.
Il gufo fischiò indignato, girò intorno alla stanza, poi lasciò cadere
la Gazzetta del Profeta sulle gambe di Remus, mentre Sirius
frugava nel comodino in cerca di un soldo da dargli.
Remus si girò, gemendo. Considerò di coprirsi la testa con il
piumone e di tornare a dormire.
«Dobbiamo fare colazione.» Chiese Sirius, raccogliendo il giornale.
«Colazione a letto?»
«Ti ho già detto quanto ti amo?» Remus sorrise, socchiudendo gli
occhi. Si stirò un po’ sbadigliando. «Penso che abbiamo finito le
uova, quindi-»
«Remus!» Sirius gli afferrò il braccio così forte che avrebbe avuto
lividi il giorno successivo. Gli spinse il foglio in faccia e Remus,
sorpreso e mezzo sveglio, sbatté le palpebre al titolo.

206
EREDE BLACK CONFERMATO MORTO

«Eh?» Remus si grattò la testa confuso. «È una pazzia, non sei-»


Poi capì. Oh, si sentiva così stupido. Alzò lo sguardo su Sirius, che
era bianco come un lenzuolo, gli occhi spalancati e addolorati.
«Oh.» Disse Remus, protendendosi impotente. «Oh no, Sirius...»

I’m chained upon the face of time


Feeling full of foolish rhyme
There ain’t no dark till something shines
I’m bound to leave the dark behind

207
Dulce et Decorum est
Sirius non parlò più. All’inizio Remus cercò di essere comprensivo;
fece tutto ciò a cui poteva pensare. Si alzò, preparò il tè e offrì
whisky, anche se Sirius scosse la testa a quello. Aveva provato a
parlargli, ma Sirius si era limitato a fissare l’articolo.
«C’è qualcosa di cui hai bisogno? Ti porto qualsiasi cosa, dì solo...?»
Niente. Sirius sbatté le palpebre e iniziò a rileggere dall’alto.
C’era la fotografia di un’alta casa a schiera in una zona elegante di
Londra, ma Remus non poteva vedere molto altro, Sirius stringeva
il giornale così forte che le nocche diventavano bianche.
Era stato spaventoso. Remus era in piedi accanto a lui, allungò una
mano e gli toccò la spalla, era rigida come quella di una statua. Sirius
reagì a malapena e Remus lasciò la stanza.
Andò alla porta d’ingresso, dove erano appese le loro due giacche;
una morbida e marrone, l’altra di pelle nera borchiata d’argento.
Infilò la mano nella tasca della giacca di pelle e tirò fuori lo
specchietto d’argento compatto all’interno. Lo aprì.
«Prongs?! Prongs!»
Apparve il viso di James, gli occhi scuri e preoccupati. «Moony?»
«È Sirius... È successo qualc-»
«Lo so.» Lo interruppe James. «Ho appena visto il giornale. Arrivo
in due minuti.»
Scomparve e lo specchio restituì semplicemente il volto angosciato
di Remus. Comunque era un sollievo, James avrebbe saputo
esattamente cosa fare.
Remus si odiava per averlo pensato, ma una cosa continuava a
risuonare nella sua mente come una sirena da nebbia. Erano stati
lupi mannari? Era stato Greyback? Aveva bisogno di leggere l’articolo;
aveva bisogno di scoprire il più possibile.

208
Il caminetto divenne improvvisamente verde e James entrò,
guardandosi intorno. Guardò Remus.
«Camera da letto.» Disse Remus.
James annuì e proseguì senza una parola.
Remus chiuse gli occhi respirando profondamente. Avrebbe
potuto preparare dell’altro tè. Voleva davvero un drink adeguato,
ma era mattina presto, e se Sirius non ne voleva sarebbe stato
piuttosto brutto se Remus avesse iniziato con il gin.
Fanculo. Sirius era stato così bravo quando Hope era morta ma
come?! All’epoca Remus lo aveva dato per scontato e ora non
riusciva a pensare ad una sola cosa utile da dire o da fare.
Regulus era morto. Il fratello di Sirius era morto.
Remus tornò in camera. James era seduto sul letto, un braccio
intorno a Sirius e gli parlava all’orecchio molto piano. Sirius
sembrava come se stesse ascoltando solo a metà mentre fissava il
vuoto. Il foglio era stato finalmente lasciato cadere e giaceva sul
pavimento, metà sotto il letto.
«Ha fatto la sua scelta molto tempo fa.» Stava dicendo James. «Non
devi incolpare te stesso, non devi lasciare che-»
«Non dice cosa è successo.» Sirius disse finalmente, la sua voce più
profonda del solito. «Qualcuno lo sa? Tuo padre o Moody? La
scorsa notte c’è stato un attacco o-»
James scosse la testa, il braccio ancora intorno a Sirius,
«No, nessun indizio... ma ovviamente, avremmo potuto perdere
qualcosa. Ci sono prove che lui, che Voldemort abbia ucciso i
Mangiamorte. Per uhm. Per tenerli in riga. Alcuni di loro hanno dei
dubbi, sai.»
Remus ricordava la sinistra occupazione dei lupi mannari. Forse
Greyback non era stato una minaccia sufficiente per alcune delle
vecchie famiglie e Voldemort doveva dare un esempio. Aveva
senso.
209
A quanto pare anche Sirius ebbe dei dubbi a riguardo. I suoi occhi
si concentrarono, si restringevano. Tirò su col naso, anche se non
aveva versato una lacrima, e raddrizzò la schiena, scrollandosi di
dosso James.
«Bene allora.» Disse bruscamente. «Ha ottenuto ciò che si meritava,
non è vero?»
James lanciò un’occhiata a Remus, e si scambiarono uno sguardo
preoccupato.
«Amico.» Disse James. «Era tuo fratello, va bene se-»
«No.» Sirius si alzò bruscamente, costringendo James ad alzarsi e
barcollare contro l’armadio. «Non era mio fratello. Loro non sono
la mia famiglia. Questo è stato sempre stato molto chiaro.»
«Ma tu-»
«Era il mio nemico. Avrebbe ucciso tutti noi senza pensarci due
volte. Quindi sono contento che se ne sia andato. Un Mangiamorte
in meno. Bene. Brillante.» Guardò James e Remus, come se li
sfidasse. Nessuno dei due osava però. «Vado a fare una doccia.»
Disse e lasciò la stanza.
Remus si morse il labbro.
James si lasciò sfuggire un sospiro pesante. «Almeno è in piedi,
suppongo. Uffa Regulus, piccola merda. È come se il suo atto
finale fosse quello di incasinare la testa di Sirius.»
«So cosa vuoi dire.» Disse Remus, cercando di vedere il lato
divertente. «Sembra che ogni volta che le cose iniziano a tornare
alla normalità, un’altra catastrofe ci colpisce.»
«Moody direbbe “questa è guerra, ragazzi”.» James rispose senza
allegria.
Rimasero in silenzio per un po’ e sentirono la caldaia nel bagno
macinare mentre Sirius apriva l’acqua calda.

210
James si passò le dita tra i capelli. «Un giorno finirà per sempre. So
che succederà, Moony. Dobbiamo solo fare del nostro meglio fino
ad allora.»
Remus annuì e si sentì un po’ meglio. James aveva quel potere;
poteva portare ottimismo anche nelle ore più buie.
«Come stanno i tuoi?» Chiese Remus, consapevole che James aveva
lasciato i suoi genitori malati all’improvviso.
«Loro stanno bene. La mamma è in preda al panico per le
composizioni floreali. Pete e sua madre sono in visita e Lily è lì,
quindi non sono soli. Non ho detto loro di questo... non c’era
tempo e non voglio metterli più a dura prova. Vorrebbero venire a
controllarlo se sapessero.»
«Se ha deciso di fare così.» Disse Remus. «Allora penso che sia
meglio non agitarsi troppo.»
«Hai ragione.» James annuì, stancamente. Rivolse a Remus un lieve
sorriso. «Hai sempre ragione, quando si tratta di lui, eh?»
Remus scrollò le spalle perché pensava che James fosse
terribilmente gentile, di solito Remus pensava che stesse facendo
un pessimo lavoro prendendosi cura di Sirius.
«Ho provato a contattare Moody.» Continuò James tornando al
lavoro. «Per vedere se sa qualcosa, ma non risponde. Ad essere
onesto...» James abbassò la voce, come per confidarsi con Remus.
«Non penso che Regulus fosse una priorità particolarmente alta per
nessuno. È solo perché è un Black che è finito sui giornali.»
«Pensi che sia stato Voldemort, però? Che lo ha ucciso?»
«Sembra probabile. Sta diventando disperato, dice papà. Nessuno
pensava che la guerra sarebbe durata così a lungo, non sta
vacillando solo la nostra parte.»
Andarono in soggiorno e Remus preparò dell’altro tè. Avevano
quasi esaurito le mance del PG e lui scarabocchiò un biglietto da
appuntare sulla loro bacheca di sughero appesa accanto al
211
frigorifero. Una volta che si furono seduti, Remus finalmente lesse
l’articolo sul giornale.

EREDE BLACK CONFERMATO MORTO


Regulus Arcturus Black II, unico figlio di Orion e Walpurga Black, è stato
confermato oggi morto in una dichiarazione rilasciata dalla casa della famiglia
Black a Islington. Nato nel 1961, l’erede della casa Black e della fortuna
aveva diciotto anni. Aveva recentemente completato la sua formazione alla
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dove si era distinto come studente
impeccabile e giocatore di Quidditch dotato.
Regulus ha vissuto dai suoi genitori e dai suoi cugini che parteciperanno a un
servizio commemorativo privato nel corso della settimana. La famiglia ha
chiesto privacy.

Questo era tutto. Non c’era molto altro da dire su una vita così
breve, suppose Remus, e ciò che era stato detto era in gran parte
falso, o al massimo una versione confusa della verità. Non c’era
alcun accenno a come fosse morto ma Remus pensava che
probabilmente fosse una buona cosa; almeno sicuramente non era
Greyback. La Gazzetta del Profeta non avrebbe perso l’occasione
di parlare un po’ di attacchi di lupi mannari.
Sirius entrò in soggiorno con i capelli gocciolanti e l’asciugamano
intorno alla vita.
«Penso che oggi lavorerò sulla moto.» Disse alla stanza, senza
guardare né James né Remus. «Vai a casa, Potter. Sto bene.» E se
ne andò di nuovo, presumibilmente per vestirsi.
James e Remus si guardarono di nuovo.
«Starete bene se vado?» James chiese.
«Sì, certamente.»
«Okay.» James si alzò dalla poltrona e andò al caminetto. «Hai lo
specchio se hai bisogno di me. Tornerò questa sera.»
212
«Andrà tutto bene.» Disse Remus, alzandosi per salutarlo. «Ha solo
bisogno di un po’ di spazio.»
«Non darglielo.» Disse James all’improvviso guardandolo negli
occhi. «Moony, ho bisogno che tu lo tenga d’occhio, okay? Non
lasciarlo andare da nessuna parte. Non lasciarlo... Non lasciarlo
provare a mettersi in contatto con qualcuno a cui è imparentato.
Tranne Andromeda, suppongo.»
Remus annuì. Non sarebbe stato troppo difficile, Sirius non aveva
mai parlato con i suoi parenti.
«Nessun problema.»
«Voglio dire che... Potrebbe fare qualcosa di stupido e non
possiamo rischiare. Molte persone pensano ancora che Sirius sia...
inaffidabile a causa del suo nome, e qualcosa del genere sta per...»
James si si toccò il ponte del naso, come se avesse mal di testa.
«Dannato Regulus.» Borbottò di nuovo.
«Mi prenderò cura di lui.» Disse Remus fermamente. «Non
preoccuparti.»
«Grazie, Moony.» James gli strinse il braccio, ed era come se
avessero di nuovo tredici anni; erano responsabili per il loro
migliore amico ribelle.
James se ne andò e Sirius ricomparve subito, come se stesse
aspettando.
«Stavate parlando di me?»
«Certo che lo facevamo.» Remus sporse il mento. «Siamo
preoccupati per te.»
«Cosa ha detto Prongs?»
«Che non devo perderti di vista.»
Sirius sbuffò. «Dovrai venire al garage, allora.»
«Bene.» Remus sorrise disinvolto. «Fammi strada.»
Era determinato a fare come James gli aveva ordinato, se non altro
perché non aveva idea di come essere utile. Remus era stato nel
213
loro garage solo una volta. C’erano alcune cose immagazzinate lì,
principalmente il kit da Quidditch di Sirius e varie cose d’infanzia
che non si adattavano all’appartamento. C’era anche la moto,
ovviamente: una Triumph Bonneville T120, la stessa di cui Sirius
si era innamorato per la prima volta anni prima dai Potter. Aveva
dipinto un leone sul carro armato e fatto una sorta di incantesimo
di ingrandimento sul corpo.
Sirius tirò fuori uno straccio e la lucidò, anche se stava già
luccicando. Remus rimase in silenzio guardando. Sirius lo pungolò
con la sua bacchetta in alcuni punti.
«Quando pensi che sarà finita?» Chiese Remus, finalmente. «Pronta
a partire?»
«La scorsa settimana.» Rispose Sirius, senza alzare lo sguardo.
«Tu cosa?»
«È fatta. Il motore funziona, la funzione di volo funziona. Ho
finito. Penso di sì, comunque... Non l’ho ancora provata.»
«Perchè no?»
Sirius scrollò le spalle e riprese a lucidare.
Remus lo guardò ancora un po’. Ovviamente Sirius non aveva
voglia di parlare e questo era abbastanza giusto, Remus lo capiva
meglio della maggior parte delle persone, ma capiva anche la
necessità di fare qualcosa quando non puoi esprimerti
correttamente.
«Andiamo allora.» Lui disse.
Sirius, accovacciato davanti alla bici, si dondolò sui talloni e guardò
Remus. «Andare? Andare dove?»
«Ovunque tu voglia.» Remus alzò le spalle. «Facciamo un giro.»
Sirius sbatté le palpebre. «Veramente? Verrai con me?»
«Beh, difficilmente ti lascerò volare su quella trappola mortale da
solo, no?» Remus rise. «Che tipo di ragazzo sarei se non ti seguissi
nelle fauci di un certo destino?»
214
Il fantasma di un sorriso balenò sul viso di Sirius, e si alzò. «Okay,
allora.» Annuì. «Facciamolo.»
A Remus non era mai piaciuto volare. Al giorno d’oggi era
competente su una scopa, ma non lo avrebbe mai scelto sarebbe
scelto come mezzo di trasporto. Semplicemente non gli piacevano
molto le altezze. Tuttavia, avrebbe fatto quasi tutto per Sirius,
quindi si arrampicò sul sedile posteriore e avvolse le braccia
intorno alla vita di Sirius e prese molti respiri molto profondi.
Sirius effettivamente rise di lui, il che era un progresso. «Moony,
sei sicuro di volerlo fare? Posso sentire il tuo cuore battere!»
«Assolutamente.» Remus annuì, chiudendo gli occhi mentre Sirius
afferrava il manubrio. «Sono sicuro di aver affrontato peggio della
tua guida.»
«Beh, se sei sicuro...» Sirius fece girare il motore e Remus si
aggrappò ancora di più quando il sedile iniziò a rimbombare.
All’inizio procedettero lentamente, Sirius uscì con cautela dal
garage, puntando la bacchetta verso la porta in modo che fosse
chiusa e bloccata dietro di loro, poi si avviò lentamente lungo la
tranquilla strada secondaria. Successivamente schiacciò un
interruttore, premette il piede e se ne andarono. Remus ancora
cercando di non guardare, il suo stomaco che faceva capriole
all’indietro.
«Eccoci qui!» Sirius gridò, e Remus seppellì la testa nella spalla di
Sirius mentre si alzavano da terra, il motore rombava mentre
guadagnavano altezza.
Remus si sentì scivolare all’indietro e urlò quando il suo coccige
colpì lo schienale metallico del suo sedile. «Cristo...» Piagnucolò.
Stava davvero per morire.
Sirius rise di nuovo. «Ce l’abbiamo fatta, Moony!» Gridò. «Apri gli
occhi, grande idiota!»

215
Remus lo fece, e se ne pentì all’istante. Erano già a poche centinaia
di piedi sopra l’orizzonte di Londra; poteva vedere gli ampi tetti di
cemento e le strade beige sottostanti. Le persone sembravano girini
e le macchine erano come scarafaggi ed era così lunga la discesa.
«Oh mio dio...» Gemette.
Sirius applaudì felicemente «Non è fantastico!?» Era rivolto in
avanti, occhi all’orizzonte. Era un cielo azzurro a perdita d’occhio.
Il vento soffiava oltre le loro orecchie, freddo e fresco, e Remus
dovette strizzare gli occhi contro il sole.
«Fantastico.» Gridò di rimando, sentendosi piuttosto male, ma
contento che Sirius fosse felice.
Passarono sopra tutta Londra per la maggior parte di un’ora,
andando più in basso che Sirius osò avvicinarsi lungo il tortuoso
Tamigi, prendendo angoli acuti attorno ai grattacieli e quasi
schiantandosi proprio contro la cupola di St Paul’s.
Alla fine, il motore iniziò a rallentare, e Remus notò che stavano
perdendo altezza. Abbassò lo sguardo coraggiosamente e scrutò le
strade sconosciute sottostanti.
«Dove siamo?»
«Islington.»
«Che cosa? Sirius!»
Merda! Avrebbe dovuto tenerlo lontano dai Black, e ora si stavano
dirigendo proprio verso di loro!
«Calmati.» Rispose Sirius mentre affondavano ancora di più.
Sembravano mirare a un’enorme distesa di spazio verde: un parco
pubblico con alberi e un lago e sentieri di ghiaia ordinati intorno
alle aiuole dai colori vivaci.
L’atterraggio era stato tutt’altro che perfetto. Avevano colpito
l’erba così forte che lasciarono grandi piste fangose, e Remus era
sbalzato in avanti dalla sella (anche se era così sollevato di essere
tornato su un terreno solido che avrebbe potuto baciare l’erba).
216
«Cazzo.» Disse Sirius, spegnendo il motore e saltando giù con
grazia. «Devo sistemare meglio questo punto, stai bene?» Tese una
mano per aiutare Remus ad alzarsi.
«Bene, penso.» Remus si spazzolò i pantaloni e le braccia. «Dove
siamo?»
«Campi di Highbury.» Sirius lanciò un obfuscate sulla moto e poi fece
del suo meglio per riparare il prato in rovina. «Venivo qui spesso
prima di partire.»
«Oh, giusto.» Disse Remus dolcemente. «Con Reg?»
«A volte.» Tirò su col naso Sirius. «La nostra governante ci
portava.»
Remus decise di mettere da parte questa nuova rivelazione che
Sirius aveva avuto una governante per un’altra volta.
«È bello.» Disse guardandosi intorno nel lussureggiante parco
verde. «Bello. Mi fai vedere in giro?»
Sirius gli sorrise con gratitudine e andarono a fare una tranquilla
passeggiata da domenica pomeriggio. Qua e là Sirius si fermava e
indicava qualcosa; un albero su cui si era arrampicato una volta, un
ponte sotto cui si era nascosto. A Remus piaceva ascoltare.
Raramente aveva sentito dei ricordi d’infanzia felici da Sirius, e per
un po’ si era persino dimenticato perché erano lì.
Si fermarono al monumento ai caduti. Era particolarmente
stravagante, suppose Remus perché c’erano un bel po’ di soldi a
Islington. In cima al piedistallo bianco c’era la statua color verde di
una giovane donna in abiti antichi, che teneva in alto una corona
di alloro. Un’allegoria della vittoria.
«Ho fatto la mia prima magia qui.» Sirius disse con un sorriso:
«Quando avevo quattro anni.»
«Veramente? Che cosa hai fatto?»
«Le avevo dato fuoco alla testa.» Annuì alla statua. «Sono sempre
stato un ribelle.»
217
«Fantastico.» Remus rise.
«Sì. Douceline, la nostra governante, era impazzita cercando di
spegnerlo. Ma avevamo continuato a ridere, io e Reggie, e ogni
volta che lo spegneva lo facevo di nuovo, perché lo rendeva così
felice.» Sirius abbassò lo sguardo. Rimase in silenzio per un po’, e
Remus gli mise solo una mano sulla spalla, per mostrare che non
doveva parlare, se non voleva.
Guardarono la targa sul memoriale. Come dormono i coraggiosi che
affondano a riposare, per tutti i desideri del loro paese benedetti. Remus non
poté fare a meno di chiedersi quali fossero i nomi degli uomini
elencati di seguito. Quanti anni avevano? Robert Fenn, Peter
Cross, Arthur Hill... Avevano pensato tutti di fare la cosa giusta?
Erano stati tutti coraggiosi nei loro ultimi momenti? Avevano
pensato alla loro famiglia, ai loro fratelli? E quando quella guerra
sarebbe finita, ci sarebbe stata una targa come questa a Diagon
Alley? Di chi sarebbe stato il nome? Non di Regulus.
«Dai.» Disse Sirius, finalmente. «Sono pronto per tornare a casa,
adesso.»

218
Autunno 1979
Well I take whatever I want
And baby I want you
You give me something I need
Now tell me I got something for you

Come on come on come on and do it


Come on and do what you do
I can’t get enough of your love
I can’t get enough of your love
I can’t get enough of your love

Venerdì 7 settembre 1979


«Uuurrgh, bastardo!» Remus gemette, cullandosi la spalla e
mordendosi il labbro.
Padfoot arrivò saltellando e abbaiando, poi si trasformò di nuovo
in Sirius. «Che cosa succede?»
«Dislocato.» Remus fece una smorfia, stringendosi ancora il
braccio. «Hai la mia bacchetta?»
«Sì, aspetta...»
«Tutto bene, Moony?» James e Peter uscirono dalla boscaglia. «È
stato perfetto!»
«Sì, fantastico...» Remus accettò la sua bacchetta da Sirius e la puntò
contro il suo braccio dolorante.
Pensò a Livia e Castor, come ogni luna piena da quando aveva
incontrato il branco. Sperava che fossero entrambi al sicuro, e in
un certo senso avrebbe voluto averli nelle vicinanze, solo per i
benefici curativi. Braccio fisso, o il più vicino possibile, si alzò

219
faticosamente in piedi e si rimise i vestiti, nascosti sotto un
cespuglio vicino.
«Stai bene?» Chiese Sirius, guardandolo con diffidenza. «Sembri un
po’ tremante.»
«Mi fa solo un po’ male.» Disse Remus, dovendosi fermare dal fare
spallucce. «Posso stare al tuo fianco per tornare indietro?»
«Ovviamente. Oi, Prongs.» Sirius diede una gomitata a James con
il gomito, sorridendo. «Maledettamente bravo cervo, eh? Eh??
Addio al celibato?!»1
«Sì, Felpato, molto divertente.» Sbuffò James. «Divertente come le
ultime cento volte.»
«Sono sprecato per voi.» Sospirò Sirius.
«Mancano meno di ventiquattro ore!» Peter disse. «Come ti senti?»
«Stanco.» Disse James con uno sbadiglio. «Lo facciamo?»
Si smaterializzarono di nuovo arrivando dai Potter, che era già un
alveare di attività. Avevano assunto quattro elfi domestici in più
per la preparazione per il matrimonio del giorno successivo, le
minuscole creature sfrecciavano avanti e indietro per la cucina
preparando un banchetto.
Lily e la signora Potter erano sedute al tavolo della cucina, la
signora Potter in vestaglia e pantofole, cosa che non le era mai
sfuggita di questi tempi. Lily balzò in piedi per baciare James.
«Buongiorno tesoro, sono rimasta abbastanza a lungo per vederti,
ma ora me ne vado. Come stai Remus?»
Remus annuì, vuoto ed esausto.
Lily inclinò la testa e disse. «Andate a letto, voi tutti. Avete tutti
bisogno del vostro sonno di bellezza. James, ti ho lasciato un
elenco di cose di cui hai bisogno per sistemare questo pomeriggio,
dammi un segno quando sarà tutto finito o non dormirò mai.

1 “Cervo” e “addio al celibato” in inglese si dice “stag”


220
Sirius, ti ha dato gli anelli? Oh no, che sciocca, li ho presi io. Ecco
qua... Remus, ti assicurerai che non li perda? Pete, tua madre è
saltata fuori e ho detto che eri uscito con i ragazzi e stavi dormendo
per i postumi di una sbornia, quindi meglio se non torni a casa.
Manderò Mary questa sera con le asole per tutti voi, e le cravatte
se Madama Malkin si affretta e le fa finire... Oooh, avete tutti le
scarpe?!»
«Merlino, Evans.» Sirius sbadigliò. «Chiunque penserebbe che ti
sposerai domani.»
Gli fece la linguaccia, baciò James, abbracciò Remus e corse fuori
dalla porta.
«Andate a letto, ragazzi!» Gridò mentre se ne andava. «Ci vediamo
in cima alla navata, Potter!»
Remus guardò la lista che Lily aveva lasciato a James: era almeno
quindici pollici di pergamena, e Lily aveva una calligrafia piccola.
James lo ignorò. «Va tutto bene, mamma?» Disse, avvicinandosi
alla signora Potter.
Aveva due macchie scure sotto gli occhi e i suoi capelli erano chiari
e fibrosi. Remus faceva fatica a incrociare il suo sguardo in questi
giorni, gli ricordava così tanto la sua ultima visita con Hope.
«Va tutto bene.» Gli sorrise. «C’è così tanto da fare!»
«Lascia perdere per ora.» Disse, un braccio intorno a lei. «Andiamo
tutti a letto...»
«Quella Lily.» Disse la signora Potter mentre tutti salivano
lentamente le scale. «È una forza da non sottovalutare.»
«Troppo vero.» I ragazzi erano tutti d’accordo.
Remus crollò sul letto senza nemmeno spogliarsi, e avrebbe potuto
addormentarsi proprio lì.
«Moony.» Sirius sbadigliò di nuovo, togliendosi gli stivali. «Non
uscire finché non avrai bevuto la tua pozione, ordini di
McKinnon.»
221
«Mmph.» Remus gemette, rotolandosi e prendendo la bottiglia sul
comodino.
Sirius si arrampicò accanto a lui mentre la finiva di berla. «Di chi è
stata l’idea di sposarsi subito dopo la luna piena?!» Si lamentò, un
altro sbadiglio invadente.
«Avevo detto a tutti voi di lasciarmi fare da solo.» Replicò Remus,
chiudendo gli occhi e portandosi un braccio sul viso.
«E perdere l’occasione di fare giochi di parole “addio al celibato”
per il resto della settimana? Nessuna possibilità.»
Remus ridacchiò e si addormentò velocemente.

Non avendo mai partecipato a un matrimonio in vita sua, Remus


fu molto grato a Lily per aver lasciato una lista. Significava che
sapeva sempre cosa fare. Tuttavia imparò rapidamente che molto
poco sui matrimoni aveva senso. Ad esempio, una volta che si
erano svegliati tutti intorno a mezzogiorno, il loro primo compito
era decorare i cerchi di Quidditch nel giardino sul retro.
«Perché stiamo lo facendo?» Chiese Remus, aggrottando le
sopracciglia davanti agli obiettivi, quando Peter arrivò levitando
una cassa di fiori bianchi.
«Beh sono belli.» Rispose James, scopa in mano. «È l’unico modo
in cui Lily avrebbe accettato per sposarsi sotto loro.»
Remus lo fissò. «Ti stai sposando con i tuoi vecchi cerchi da
Quidditch?!»
«Lo so!» Sorrise. «Fantastico, non è vero?!»
«Ehm...»
«Moony.» Disse Sirius velocemente. «Tu e Pete lavorate sul
incantesimo di crescita quaggiù, Prongs e io voleremo su e faremo
i cerchi.»
Una volta finiti, i tre pali della porta sembravano un bizzarro
cespuglio di rose sottili che cercava di prendere il sopravvento.
222
Successivamente dovevano decorare gli alberi vicini con gli stessi
fiori e richiamare tutte le sedie dall’ampia soffitta dei Potter, quindi
farli allineare ordinatamente in file di otto. Dopodiché, la signora
Potter chiese a Peter e Sirius di aiutarla con tutte le stoviglie per il
ricevimento, e diede istruzioni a James e Remus di “sistemare la
sala da ballo”.
«Sala da ballo?!» Remus guardò James confuso. Erano anni che
visitava i Potter e sentiva di conoscere abbastanza bene la casa, ma
non aveva mai visto una sala da ballo.
«Sì, non la usiamo molto.» Rispose James casualmente. «Viene
tenuta in deposito.»
«In magazzino?» Come diavolo avevano “immagazzinato”
un’intera stanza, Remus non lo sapeva.
«Sì, ho solo bisogno di ricordare dove sono le istruzioni...»
Entrarono nello studio del padre di James e James trovò una
mappa all’interno di uno dei cassetti della scrivania. Remus si
interessò parecchio, sarebbe sempre stato molto affezionato alle
mappe. Questo era un progetto per la villa dei Potter, il che lo
rendeva ancora più affascinante. C’erano tutti i tipi di piccoli
incantesimi speciali e incantesimi etichettati su di esso, ma avevano
del lavoro da fare, quindi non poteva analizzarla bene.
La sala da ballo era nascosta dietro il divano del soggiorno. James
e Remus dovettero concentrarsi molto duramente e mormorare
alcuni antichi incantesimi per far apparire le porte. Poi,
naturalmente, il divano doveva essere spostato e la porta aperta, il
che era fastidiosamente complicato.
Quando James finalmente spinse la doppia porta rivestita di
pannelli di quercia, la mascella di Remus cadde. Era una delle
stanze più belle che avesse mai visto; colonne di marmo art déco a
perdita d’occhio e un glorioso soffitto in vetro colorato che

223
proiettava macchie di luce solare colorate sul pavimento di legno
duro scuro.
«Dannazione.» Deglutì, sentendosi molto piccolo.
Si ricordò di aver visto Sirius e Lily che provavano passi di danza
nel loro minuscolo soggiorno, e per la prima volta da molto tempo
Remus si sentì molto povero e sporco accanto ai suoi ricchi amici
purosangue.
«Lo so.» Rise James. «Stupido, non è vero? Ma sai, almeno ci
staremo tutti. Pensa che abbiamo già trentatré Weasley in arrivo.»
Sentendosi un po’ meglio Remus si accinse ad aiutare James a
controllare la stanza, e poi evocarono alcuni stracci per iniziare a
pulire il pavimento.
James chiuse le porte mentre lo facevano, in modo da non essere
disturbati. «So che non stiamo veramente facendo nulla.» Disse in
tono colpevole, appoggiandosi a una colonna di marmo. «Ma
voglio solo cinque minuti senza che qualcuno mi dia un ordine.
Non mi importerebbe, ma Moody ci sta solo concedendo due
giorni di ferie per il matrimonio: dobbiamo presentarci per il
servizio domenica.»
«Cristo.» Remus scosse la testa, scherzando.
Rimasero in silenzio per un po’, guardando gli stracci che
scivolavano avanti e indietro come buffi ballerini da sala magri.
Anche Remus era grato per quella pausa. Il fine settimana era
iniziato con la luna piena e sarebbe diventato più frenetico man
mano che andava avanti.
«Come sta Sirius?» Chiese James, di punto in bianco.
«Eh? Bene. Perché?» Remus aggrottò la fronte.
«Solo per controllare.»
«Lo vedi quasi quanto me.» Remus lo prese in giro.
Era vero; James era molto più appassionato di moto volante di
Remus e andavano a fare un giro insieme quasi ogni sera.
224
«Lo so.» Annuì James. «Ma non ha detto niente di Regulus da...
Beh, da quando è morto.»
«No.» Remus sospirò. «No, non l’ha fatto.»
Non era nemmeno come se Remus avesse spinto Sirius a parlarne,
ma non pensava che James avrebbe capito la loro politica di non
discutere mai di cose di famiglia.
«Non mi piace che lui lo tenga dentro.» Disse James. «So che aveva
una relazione complicata con Reg, ma non può essere normale
fingere che non sia mai esistito.»
«Chi può dire cosa è normale?» Remus ribatté. «Tutti soffrono in
modo diverso.»
«Quindi è in lutto?» James stava dando a Remus uno sguardo molto
intenso, e questo lo mise a disagio. Non gli piaceva che gli altri gli
chiedessero delle cose personali di Sirius, quelle erano cose loro.
«Sì, certamente.» Mentì. Sembrava funzionare.
«Bene. Ero preoccupato per lui, è stato un anno di merda, eh?»
«Si potrebbe dire così.» Remus sbuffò. «Tuttavia, sta per migliorare
molto. Qualche nervosismo prima della partita?»
«Nah.» Ghignò James, la preoccupazione che lasciava il suo viso.
«Mi sento come se avessi già vinto la coppa.»
«Oh mio dio Prongs, sdolcinato idiota. Questo è quello che ottieni
quando esci con le ragazze.»
James scoppiò a ridere e quando riprese la calma gli stracci avevano
terminato il loro compito e il pavimento luccicava come se fosse
nuovo di zecca.

Sabato 8 settempre 1979


Il primo matrimonio a cui Remus abbia mai partecipato era stato il
più bello e il più felice e non c’era modo di convincerlo del
contrario. Tutto era andato senza intoppi (beh, aveva dovuto
225
convincere un Sirius sovraeccitato a non trasformarsi in Padfoot
per consegnare gli anelli, ma fortunatamente era solo una fugace
mania), ed erano sorrisi a tutto tondo.
I genitori di James sembravano scoppiare d’orgoglio, entrambi
apparivano più sani di quanto Remus li avesse visti da secoli, vestiti
con abiti rossi e dorati: i colori di Grifondoro. Marlene e Mary
erano delle bellissime damigelle d’onore in semplici abiti color
malva pallido con cerchietti di gipsofila tra i capelli, e ovviamente
Lily stessa era una visione in pizzo bianco.
A Remus sembrava che la giornata fosse volata in una sfumatura
pastello. Doveva sempre essere da qualche parte o fare qualcosa;
c’era a malapena un momento per rilassarsi e fare il punto della
situazione. Era molto contento di non essersi mai sposato, perché
il solo fatto di essere un testimone era già abbastanza estenuante.
Una volta che la cerimonia finì e dovettero iniziare a socializzare,
Remus si iniziò a sentire molto timido. Non aveva più visto così
tanti maghi e streghe radunati in un solo posto dai tempi di
Hogwarts: la magia nell’aria era palpabile e afosa. Adesso gli dava
meno fastidio. Il tempo trascorso con il branco di Greyback gli
aveva insegnato a farcela, finché non aveva bisogno di fare magie
stava bene.
C’erano molte persone che conosceva, ovviamente. Aveva
individuato la famiglia Weasley senza troppi problemi; Arthur e
Molly stavano correndo dappertutto dietro ai loro cinque
turbolenti figli dai capelli rossi; i due più grandi avevano deciso di
voler giocare a Quidditch con i cerchi decorati ora che la parte
noiosa della giornata era finita.
Poi ovviamente c’erano Moody, Hagrid, Silente, e molte altre
persone dell’Ordine. Era stato bello vederli tutti a un lieto evento,
per una volta; faceva sembrare tutti più giovani. Frank e Alice
erano appena tornati dalla luna di miele, cosa che Alice confidò a
226
Remus in realtà aveva comportato parecchio lavoro; erano andati
in Slovenia per una missione di trasferimento delle conoscenze con
gli Auror locali. Ovviamente Ferox era lì. Si avvicinò per stringere
virilmente la mano di Remus,
«Sei molto elegante, Lupin.» Annuì, e Remus si sentì arrossire dalla
testa ai piedi anche se sapeva che Sirius sembrava un milione di
volte meglio con gli stessi vestiti. «E la signora McDonald.» Ferox
le baciò la mano, il che la fece arrossire. «Davvero molto bella.
Saranno le campane nuziali per voi due, le prossime?»
Remus sbatté le palpebre, non era uscito con molte persone
onestamente, ma in un certo senso la maggior parte delle persone
ormai aveva capito.
Mary rise. «Come se Remus volesse sposarmi! Lo dovrei spingere
su per la navata!»
«Ah beh.» Ferox gli diede una pacca sulla spalla. «Sei ancora
giovane. Un sacco di vena selvatica da seminare.»
«Vivo con Sirius.» Disse Remus, alzando un po’ le sopracciglia per
vedere se il suo vecchio insegnante avrebbe colto il suggerimento.
Ma a quanto pare no. Perché gli adulti erano sempre così ottusi?
«Scapoli a ruota libera, eh?» Ferox rise, burbero.
Sembrava che Mary stesse per dire qualcosa, ma Remus incrociò il
suo sguardo e scosse la testa in maniera impercettibile. Non ne vale
la pena.
«Esatto.» Annuì con entusiasmo a Ferox.
Dopo cena la parte migliore della giornata (secondo Remus) era
quando Lily e James tagliarono la torta: un enorme affare
torreggiante con tredici livelli ricoperti di glassa al burro e rose
bordate di rosa, poi erano iniziate le danze.
Lily rese Sirius orgoglioso, Remus poteva sentirlo contare
sottovoce mentre li guardava.

227
«Uno due tre, uno due tre... raddrizza quella schiena, Evans! Brava
ragazza...»
Finito il valzer, qualcuno lanciò un incantesimo amplificante sul
vecchio giradischi dei Potter, e iniziò a suonare una canzone dei
Bad Company che fece alzare e ballare tutti i giovani incluso Sirius,
che Remus era grato che era andato a prendere Andromeda. Remus
Lupin non ballava.
Era abbastanza felice di sedersi con un bicchiere di champagne a
guardare, come al solito. Cercò Peter, a cui piaceva ballare ma
spesso perdeva forza dopo poche canzoni, ma non riusciva a
vederlo da nessuna parte. Probabilmente aveva trovato degli amici
di lavoro ed era andato a parlare con loro.
Yaz e Marlene erano sulla pista da ballo: erano entrambe piuttosto
terribili, Marlene non era abituata ai tacchi ma era comunque molto
dolce. Yaz si era tagliata i capelli da quando aveva lasciato
Hogwarts a giugno, e l’aspetto da folletto tagliato le stava davvero
bene.
Mary venne in soccorso di Remus alla fine, come sempre. Zoppicò
con un’espressione di dolore sul viso e si accucciò accanto a lui.
«Accidenti, queste mutandine francesi che ci ha fatto mettere
vanno su per il culo.»
«Affascinante come sempre, MacDonald.» Sorrise Remus.
James e Lily si voltarono davanti a loro, sorridendosi l’un l’altro
come maniaci.
«Guardali.» Sospirò Mary. «Perché non riesco a trovare un tizio che
mi ama così tanto, eh? Non che non abbia cercato.»
«Lo troverai.» Rispose Remus, altrettanto felice.
«Lo saprò quando lo vedrò, è quello che dice mia madre.»
«Se sei fortunata.» Sbuffò Remus. Era un po’ più ubriaco di quanto
avesse inizialmente pensato e la sua lingua era sciolta. Ma era solo
Mary. «Dicono che “l’amore è cieco” per una ragione.»
228
«Non ho mai avuto problemi a riconoscerlo, a dire il vero.» Mary
confidò. «È lasciarlo entrare, questa è la parte difficile.»
Remus annuì d’accordo, anche se non era sicuro di averlo seguito.
Continuò, sorseggiando il suo champagne.
«Come hai fatto tu, con Sirius.»
«Oh sì, il mio amico scapolo a ruota libera.» Remus tirò fuori la
lingua, facendo piegare Mary, ridacchiando. Remus sorrise, felice
di renderla felice. Le strinse il ginocchio. «Un giorno ti innamorerai,
come potresti non farlo? Chiunque sarebbe fortunato ad averti.»
«Forse una volta che la guerra sarà finita.» Disse, abbassando la
voce, continuando a guardare la danza. «Non sono sicura di poter
sopravvivere innamorandomi in questo momento, non con tutto il
resto in cima ai miei pensieri.»
«Mmh.» Remus distolse lo sguardo.
«Ciao.» Apparve Marlene con un bicchiere in mano. «Remus, il tuo
ragazzo ha rubato la mia partner.» Annuì attraverso la pista da ballo
a Sirius e Yaz, che si stavano dondolando selvaggiamente,
apparentemente incapaci di decidere chi avrebbe dovuto guidare.
Remus rise e Mary aggrottò la fronte, spostandosi a disagio sul
sedile.
Marlene le lanciò uno sguardo comprensivo. «Mutandine francesi?»
Mary annuì, stancamente. Marlene si avvicinò e sussurrò. «Mi sono
tolta le mie in bagno dopo la cerimonia.»
«Oh mio dio McKinnon, sei un genio.» Mary si alzò di scatto e
attraversò a grandi passi la stanza verso le porte.
Marlene rise, prendendo posto.
Uno dei ragazzi Weasley gli passò davanti slittando, scivolando in
ginocchio sul pavimento della sala da ballo lucidissimo.
Molly lo inseguì, ansimando. «WILLIAM ARTHUR WEASLEY
ROVINERAI QUESTI PANTALONI!»

229
Marlene ridacchiò, coprendosi la bocca con la mano educatamente.
Si chinò e sussurrò a Remus. «L’ho sentita dire a Hattie Bones che
è di nuovo incinta e che ha avuto due gemelli solo l’anno scorso!»
«Caspita.» Disse Remus, sviluppando un rispetto completamente
nuovo per Arthur Weasley, silenzioso e riservato.
«Penso che quei due avranno figli il prima possibile.» Marlene
annuì a James e Lily. «Dovrai sorprenderti se non riceviamo un
annuncio prima di Natale.»
«Eurgh, davvero?» Remus arricciò il naso.
I matrimoni erano una cosa: duravano solo un giorno. Ma i
bambini?! Dovevano fare i bambini, adesso?!
«Non essere così scontroso.» Marlene gli diede una gomitata acuta.
«Il cambiamento fa parte della vita. Avanti, regalami un ballo. Sarà
carino con un partner più alto di me.» Si alzò e gli diede uno
strattone per il polso.
«Oh...» Remus sospirò. «Okay, ma solo perché non hanno ancora
servito la torta.»

230
Inverno 1979
I wanna be straight! I wanna be straight!
I’m sick and tired of taking drugs and staying up late.
I wanna confirm. I wanna conform.
I wanna be snug and I wanna be safe and I wanna be warm.
I wanna be straight! I wanna be straight,
I wanna create a place of my own in the welfare state.
I’m gonna be good; I’m gonna be kind.
It might be a wrench but think of the stench I’m leaving behind...
I wanna be straight! I wanna be straight,
Come out of the cold and do what I’m told and don’t deviate.
I wanna give, I wanna give, I wanna give my consent -
I’m learning to hate all the things that were great when I used to be... bent!

Venerdì 23 novembre 1979


Dopo tutta l’eccitazione dell’autunno, l’inizio dell’inverno era stato
straordinariamente insignificante. Remus cercò di esserne grato;
per una volta nella sua vita le cose erano tranquille. Non era stato
rapito dai lupi mannari; non c’erano funerali di genitori o fratelli.
Cercò di rendersi utile all’ordine. A volte avevano bisogno di
ricerche; servivano ad identificare le maledizioni che i
Mangiamorte stavano usando, o inventavano nuovi incantesimi
che potevano essere usati contro di loro. Di tanto in tanto lavorava
con Alice su questo e la conosceva abbastanza bene. Era
incredibilmente intelligente, una dei duellanti più abili che Remus
avesse mai incontrato. Era diventato molto bravo con gli
incantesimi difensivi e trascorreva molto tempo visitando vari
rifugi, creando barriere e sistemi di allarme rapido.

231
Remus lavorò sodo. Ci si gettò dentro. Aveva un fortissimo
desiderio di essere coinvolto, di lottare per qualcosa di buono.
Forse stava crescendo. Forse era solo stufo di non avere il
controllo sulla propria vita.
Marlene veniva qualche sera alla settimana dopo il lavoro. Lei e
Remus si sedevano al tavolo della cucina, e lui le diceva quanto
poteva sull’essere un lupo mannaro: parlava del suo senso
dell’olfatto, del suo metabolismo accelerato e di come si prendeva
cura di sé stesso durante e dopo la luna piena. Cercò di essere il più
onesto possibile senza mettere nei guai nessun altro e lei aveva
preso diligentemente appunti, fatto domande e suggerito
miglioramenti.
Era stato difficile per Remus, ma anche necessario. La natura
sincera di Marlene e la feroce determinazione a migliorare gli
standard di vita dei lupi mannari lo fecero sentire un po’ meglio,
come se dopotutto stesse facendo qualcosa di buono.
«Dobbiamo allontanare il ministero da questa idea che le celle e le
sbarre sono l’unico rimedio.» Diceva. «Da quello che mi hai detto,
i boschi sono migliori per la salute del soggetto e siamo a malapena
a corto di bosco, vero? Qualche incantesimo di barriera protettiva
sarebbe perfetto... Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è un pensiero
creativo, un po’ di compassione...»
Remus le sorrise. Marlene lo aveva fatto sentire come se un giorno
ci sarebbe stato davvero un cambiamento. Ed era bello passare del
tempo con un’amica, Sirius era così spesso fuori la sera in missione
o alle riunioni.
«Come lo trovi, vivere con Sirius?» Chiese Marlene una sera mentre
faceva i bagagli. Si guardò intorno nell’appartamento buio e vuoto.
«Più silenzioso di casa mia.»
Marlene viveva ancora con sua madre e il patrigno, e Danny da
quando era stato morso. Più di recente, si era trasferita anche Yaz.
232
Remus non conosceva tutti i dettagli, ma sembrava che i genitori
di Yaz non erano stati entusiasti quando avevano scoperto di
Marlene.
«Va tutto bene.» Annuì Remus, aiutandola a raccogliere i suoi
appunti. «Diverso dalla scuola, ovviamente.»
«Scommetto che è bello avere il tuo spazio. Voi... litigate molto?
Sai, con tutto lo stress e le missioni...» Marlene si stava
mordicchiando il labbro ora, giocherellando con una ciocca di
capelli sciolti.
«No.» Disse Remus di riflesso, spegnendosi, come faceva sempre
quando si trattava della sua vita privata con Sirius.
«Oh.» Sospirò Marlene, abbassando gli occhi. «Allora forse siamo
solo noi. Forse perché la mia famiglia è sempre in giro.»
Remus provò un’ondata di compassione per lei. Le toccò il braccio.
«Scommetto che è normale, con tutte le cose che hanno passato
tutti ultimamente. Emozioni alle stelle e tutto il resto.»
«Può essere.» Marlene sembrava ancora abbandonata.
«Guarda...» Disse Remus, abbassando la voce anche se erano soli.
«L’unico motivo per cui io e Sirius non discutiamo è che
ultimamente non siamo quasi mai nella stessa stanza. E quando
siamo nella stessa stanza facciamo tutto il possibile per evitare di
parlare della guerra, anche se è tutto ciò a cui ognuno di noi può
pensare.» Sentì una scarica di adrenalina dopo aver detto questo,
raramente parlava così apertamente dei suoi sentimenti con
qualcuno tranne Sirius.
Marlene lo guardò sbattendo le palpebre in lacrime. «Veramente?
Non ne parli?»
«Non da quando è morto Regulus.»
«Oh, certo.» Annuì dolcemente, poi si asciugò gli occhi con i polsi.
«A volte mi sembra che sia tutto quello di cui parliamo io e Yaz; è
estenuante. Dio, non posso sopportare tutta questa morte, tutta
233
questa miseria. Sai cosa mi ha detto Mary l’altro giorno? Sta
pensando di ritirarsi, arrendersi.»
«Dalla guerra?!» Remus lo fissò, allarmato.
«No.» Marlene scosse la testa. «Da tutto, dal mondo magico. Ha
detto che avrebbe preferito correre il rischio di essere una babbana
senza istruzione. Ovviamente so che non lo intendeva, ma capisco
da dove viene questo pensiero. Abbiamo combattuto e
combattuto, facendo tutto il possibile e non è abbastanza, vero?
Stanno vincendo.»
«Non puoi pensare in questo modo.» Disse Remus.
Non voleva davvero sentire questo; era orribile ascoltare qualcuno
che ammirava essere così pessimista. Diceva esattamente le cose
che lo tenevano sveglio la notte.
«Lo so, lo so... Dobbiamo continuare a provare, qualunque cosa
accada.» Marlene disse continuando a piangere piano. «Ma mi sta
prendendo tutto quello che ho, Remus. Tutto ciò che faccio, tutto
ciò che ognuno di noi fa è lavorare e combattere. E se... E se la
guerra finisse e non ci fosse più niente di me? E se non ricorderò
come essere felice?»
«Sono stronzate.» Remus scosse la testa con veemenza. «Certo che
sai come essere felice!»
Si avvicinò per abbracciarla. Marlene era alta quasi quanto lui, e i
suoi capelli biondi gli solleticavano la guancia.
«Mi sto comportando da sciocca.» Lei tirò su col naso, da sopra la
sua spalla. «Sono solo troppo stanca. Le notti si stanno
avvicinando, mi rende cupa.»
«Non penso che tu sia sciocca.» Disse Remus mentre si separavano
dalla stretta. «E sai che hai così tanti amici con cui parlare quando
ti senti triste.»
«Lo so.» Sorrise, le guance macchiate. «Grazie Remus.»
«Tazza di tè?»
234
«No, dovrei tornare a casa. Yaz è bloccata ad ascoltare le storie dei
giorni di gloria di Danny con i Cannon, altrimenti.»
«Ah, vai a salvarla allora.» Ghignò Remus.
Avrebbe voluto chiedere come stava Danny ma non osava. Non si
parlavano bene da un anno, un’altra cosa che avrebbe dovuto
aspettare fino alla fine della guerra.
Marlene salutò e se ne andò attraverso il camino in un tripudio di
fiamme verdi. Remus si sistemò un po’, poi andò a lavarsi via
l’inchiostro dalle mani. Gli era passato sotto le unghie e le aveva
rese nere, il che gli fece pensare di nuovo a Livia. Era diventato
estremamente entusiasta dell’igiene da quando era tornato dai lupi
mannari.
Guardò fuori dalla finestra del soggiorno, appannata dal freddo
invernale. I lampioni erano accesi, emettendo una luce gialla nel
crepuscolo blu, tranne quello fuori dalla loro finestra, che era
difettoso e rimase rosso-rosato per tutta la notte. Senza Marlene,
Remus fu preso da una terribile e dolorosa solitudine. Andò a
prendere la sciarpa e la giacca e si diresse verso la porta.
La porta del garage era aperta mentre si avvicinava dal vicolo buio,
e la luce si riversava sul pavimento irregolare e crepato. Mentre si
avvicinava, poteva sentire la radio suonare piano una canzone degli
Stranglers.
And it sounds like an empty house, standing still...
Sirius stava cantando, sottovoce, come se si stesse concentrando
duramente. Quando Remus fu finalmente sulla soglia, trovò Sirius
a gambe incrociate sul pavimento davanti alla sua moto, la
bacchetta dietro un orecchio, una chiave inglese in mano. Il garage
era decisamente caldo per essere inverno, ma Remus non riusciva
a vedere dove avesse lanciato l’incantesimo del calore. Forse sul
pavimento stesso.
«Ciao.» Disse.
235
Sirius alzò lo sguardo, sorpreso. «Ciao, cosa ci fai qui?»
«Marlene se n’è andata.» Remus alzò le spalle. «Pensavo di scendere
e vedere cosa stavi facendo.»
«Sto solo armeggiando.» Disse Sirius.
«Oh va bene.»
«...Siediti un po’, se vuoi. Ho quasi finito.» Sirius indicò uno
sgabello nell’angolo del garage.
«Solo se non sono in mezzo alle scatole.»
«Non essere sciocco.» Sirius gli fece un sorriso, e Remus si sedette.
Guardò Sirius lavorare per un po’, affascinato. Remus non sapeva
niente di meccanica, babbana o magica, e lo faceva sentire
stranamente orgoglioso che Sirius fosse chiaramente così abile. Gli
piaceva quella sensazione.
«Come stai?» Chiese, pensando alla conversazione con Marlene.
«Eh? Bene.» Sirius non guardò in alto, con la bacchetta tra i denti
ora mentre armeggiava con il motore.
«No, voglio dire davvero.» Remus spinse. «Stai bene? Solo in
generale? Mi sento come se non te l’avessi chiesto molto
ultimamente.»
Sirius lo guardò e posò la bacchetta. «Sto bene Remus.» Disse.
«Non preoccuparti.»
«Ma adoro preoccuparmi.» Remus fece uscire la lingua.
Sirius grugnì delle risate e tornò al suo lavoro. «Tu come stai?»
Chiese.
«Bene.» Remus annuì, prima di ripensare. «Beh, lo sai. Per quanto
è possibile essere, adesso.»
«Mmh. Hai voglia di un cibo da asporto per cena? Non voglio
cucinare.»
«Sì, okay.» Remus acconsentì.

236
Aspettò in silenzio. Alla sua sinistra c’era una pila di scatole. Tutte
le cose di Sirius erano imballate in grandi bauli di mogano con segni
di bruciature dove aveva bruciato lo stemma della famiglia Black.
Ma le scatole accanto a Remus erano di cartone e tenute insieme
con del nastro o marrone.
«Cosa sono queste?» Chiese, raccogliendo il nastro.
Sirius alzò lo sguardo, asciugandosi le mani su un vecchio
strofinaccio. «Oh... Quelle sono le scatole di Gethin.»
«Che cosa?» Remus si alzò per vedere meglio.
Sirius si morse il labbro, sembrando nervoso. «So che avevi detto
di sbarazzarti delle cose che tua madre ti ha lasciato, ma... Beh, non
eri in grado di parlarne dopo il funerale, e non sopportavo il
pensiero che te ne saresti potuto pentire. Così io e James siamo
andati a prenderle, tutto qui.»
«Non posso crederci.» Disse Remus sbalordito.
Sirius si alzò in piedi in fretta. «Moony, mi dispiace, non doveva
essere un segreto o altro, lo giuro! È solo che dopo la morte di tua
madre è stato un disastro dopo l’altro, quindi mi è quasi sfuggito di
mente... Puoi ancora sbarazzartene se vuoi, non ho guardato!»
«Sirius.» Remus scosse la testa, sorridendo. «Voglio dire. Sei
incredibile. Grazie.»
«Oh.» Anche Sirius sorrise, grattandosi dietro l’orecchio
timidamente. «Va bene. Dato che hai passato così poco tempo con
lei, ho pensato che avresti voluto qualcosa per ricordarla. Vuoi
guardare adesso?»
Remus ci pensò su e scosse il capo. «Non ancora. Forse in una
giornata piovosa.»
Aiutò Sirius a raccogliere tutto, e tornarono all’appartamento,
fermandosi alla pasticceria lungo la strada. A Sirius piacevano il
pollo e i funghi, Remus preferiva la bistecca e la cipolla. Portò il
sacchetto di carta, per essere galante.
237
«Seriamente.» Disse, mentre salivano le scale dell’appartamento.
«Grazie mille per le scatole. Mi sarei dimenticato del tutto di loro.»
«È okay.» Sirius scrollò le spalle. «So che se avessi avuto qualcosa
di Reg...» Si interruppe bruscamente.
Remus non sapeva cosa dire, così rimase zitto mentre Sirius apriva
la porta ed entrava nell’appartamento, accendendo le luci e
lamentandosi. «Maledizione Moony, qui si gela!»
«Scusa!»
Tendeva ad avere caldo, anche in inverno, e non accendeva il
riscaldamento se era l’unico nell’appartamento. Si sentiva molto
stupido adesso, ricordando che Marlene si era tenuta i guanti per
tutto il tempo in cui era stata lì e non gli era nemmeno venuto in
mente di chiederle il motivo.
Sirius accese un fuoco e Remus andò a prendere i piatti per la loro
cena. Si sedettero sul divano, appoggiandosi spalla a spalla e
ascoltando il nuovo album dei Police che Andromeda aveva
mandato per il compleanno di Sirius.
Quando ebbero finito di mangiare, Sirius appoggiò la testa sulla
spalla di Remus e chiuse gli occhi, sistemandosi. Remus mandò i
piatti in cucina e alzò il braccio perché Sirius ci entrasse. Caldo, ben
nutrito e rilassato, avrebbe potuto addormentarsi proprio così.
«Come sta Marls?» Mormorò Sirius dopo un po’.
«Sì, va bene. Un po’ giù.»
«Giù?»
«Sta solo attraversando un periodo difficile con la guerra.» Remus
sentì le farfalle nello stomaco, ma continuò coraggiosamente.
«Penso che lo percepiamo tutti, non è vero?»
Sirius rimase in silenzio per un po’, Remus non poteva vedere la
sua faccia, vedeva solo la parte superiore della sua testa, ma sapeva
che stava pensando.
Alla fine, sussurrò. «Sì. È vero.»
238
Venerdì 21 dicembre 1979
Non era esattamente una svolta, non parlavano ancora della guerra
più di quanto avessero realmente bisogno, ma all’epoca si sentiva
abbastanza bene. Sebbene fosse catartico ammettere che entrambi
stavano lottando, non c’era nulla che si potesse fare per migliorare
le cose. Le persone stavano ancora morendo, i Mangiamorte
stavano ancora guadagnando potere, Sirius e James erano ancora
dei supereroi.
Con l’avvicinarsi del Natale, nessuno si sentiva molto allegro.
Quest’anno non avrebbero trascorso la giornata dai Potter:
all’inizio di dicembre entrambi i genitori di James furono trasferiti
al San Mungo. Avevano contratto il vaiolo del drago, il che era così
contagioso che significava che anche solo visitarli era una missione
in sé.
Quando Sirius aveva sentito la diagnosi si era chiuso in bagno per
due ore. Remus fece un po’ di ricerca e scoprì il perché: gli anziani
raramente sopravvivevano a quella malattia, quindi quello diventò
un altro argomento di cui non parlavano.
James praticamente viveva in ospedale, quando non era in riunione
con Moody o aveva un incarico da qualche parte. Lily disse a
Remus che aveva dovuto prendere molto del lavoro di Fleamont,
e che rimaneva sveglio fino a tardi tutte le sere lavorando nello
studio di suo padre.
«Vorrei poterlo aiutare.» Disse tristemente. «Non è ancora pronto
a perderli, è troppo crudele.»
Remus acconsentì. In che tipo di mondo potevano vivere persone
come Voldemort e Greyback mentre il signore e la signora Potter
morivano?

239
Remus non si rese conto di quanto fossero diventate oscure le cose
fino a fine dicembre, quando ricevette una telefonata inaspettata.
Sirius era fuori, lui e James erano stati mandati a West Cork per
seguire alcuni rapporti di un rituale di magia nera in corso. Remus
era stato solo tutto il giorno, cercando di distrarsi mentre ogni
minuto scorreva senza notizie. Sirius gli aveva lasciato il suo
specchio compatto, nel caso fosse successo qualcosa, e Remus
aveva passato l’ultima ora a fissarlo.
Quando il telefono squillò, praticamente balzò fuori dalla sua pelle,
poi balzò per rispondere.
«Ciao?!» Logicamente sapeva che non potevano essere cattive
notizie, i maghi non usavano mai i telefoni se potevano evitarlo,
ma la sua voce tremava lo stesso.
«Ciao!» Una voce tuonò, era così allegra che non poteva essere
nessuno che Remus conoscesse. Deve essere un numero sbagliato.
«Ciao?» Remus aggrottò la fronte. «Mi dispiace, penso tu abbia
sbagl-»
«Reeeemus!» Grant cantò al telefono. Sembrava ubriaco e c’era un
sacco di rumore dietro di lui. «Vieni giù al Sawyer’s Arms!»
«Dov’è?»
«Bloomsbury! Andiamo suuu! Festeggiamo tutti!»
«Festeggiare? Che cosa? Con chi?»
«I miei compagni!»
Remus provò una sensazione di affondamento. «...Okay, dammi
un’ora.»
«Weeeeey!» Grant riattaccò bruscamente.
Remus si alzò per cambiarsi i vestiti.
Non voleva andare. Non dove c’erano i babbani. Non dove c’erano
persone, ma Grant era decisamente ubriaco, e l’ultima volta che
Remus lo aveva visto ubriaco aveva avuto bisogno di aiuto.
Sembrava abbastanza vivace al telefono, ma Remus voleva esserne
240
sicuro. Oltretutto, aveva bisogno di una distrazione; non poteva
starsene seduto in casa tutta la sera.
Infilò lo specchio nella tasca dei jeans, indossò un maglione, poi il
cappotto e la sciarpa, e si avviò nelle strade invernali di Londra.
Prese la metropolitana per Holborn; le strade erano troppo
affollate di festaioli natalizi per smaterializzarsi in sicurezza, e lui
voleva impiegare un tempo convincente per arrivare.
Il Sawyer’s Arms era un vero pub per vecchietti; una spessa
moquette rossa e gialla, finestre in vetro acidato, infissi sporchi in
ottone. Dentro c’era nebbia per il fumo delle sigarette, ma Remus
riuscì a rintracciare Grant senza troppi problemi: era seduto in una
grande cabina d’angolo, circondato da un gruppo di giovani che
sembravano più o meno della loro età.
Ah, Remus realizzò, erano studenti.
«Reeee-musssss!» Grant applaudì, alzando entrambe le braccia in
segno di saluto quando Remus entrò nel pub. «Vieeeeni!»
«Scusa il ritardo.» Disse Remus timidamente.
Le persone sedute al tavolo di Grant sembravano tutte abbastanza
amichevoli, ma erano comunque estranee.
«Ragazzi.» Biascicò Grant ad alta voce, rivolgendosi al gruppo di
uomini e donne. «Questo è Remusss, il mio più vecchio amico. È
andato in un’elegante scuola privata. Molto intelligente.»
Remus salutò goffamente tutti, poi si voltò verso Grant. «Vedo che
hai festeggiato.»
«Troppo maledettamente vero! Qui, ti ho preso una pinta.» Spinse
un bicchiere attraverso il tavolo e scivolò un po’ velocemente, il
tavolo scivoloso per la birra versata.
Remus scattò in avanti per afferrare la bevanda prima che volasse
via dal bordo. «Grazie.» La sollevò leggermente, poi bevve.
Ah. Era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che era stato in
un pub. La birra chiara era andata giù molto bene.
241
«Stiamo festeggiando!» Grant disse, sorridendogli. «La fine degli
esami!»
«Oh, congratulazioni.» Remus sorrise, tirando su uno sgabello e
appollaiandosi all’estremità del tavolo. «Cosa studiate tutti?»
Andarono in giro a presentarsi, Remus non avrebbe mai ricordato
il nome di tutti. Suzie stava facendo ragioneria, era una ragazzina
mousy con enormi occhiali rotondi e un brufolo all’estremità del
naso. Rajesh voleva studiare ingegneria alla Kings, ma prima aveva
bisogno di ottenere un risultato migliore in matematica. Tim, un
uomo alto e grosso con una maglietta da rugby, stava facendo studi
sociali. Martine era la ragazza di Tim, studiava per la sua qualifica
di infermiera. Erano tutti piuttosto brilli, ma Grant era il più
ubriaco di tutti.
Remus si presentò come meglio poteva, disse loro che stava
studiando lingue antiche, perché in realtà era molto bravo con le
Rune, e raramente aveva l’opportunità di mettersi in mostra al
riguardo. Non doveva preoccuparsi per Grant: questi nuovi amici
erano un mondo lontano da quelli con cui si era mescolato qualche
anno prima.
Anche le bevande continuavano ad arrivare. Remus cercò di essere
gentile e di rifiutare ogni turno ma non andava bene, tutti erano
dell’umore natalizio. Tre birre, così era Remus. La musica da pub
si alternava tra Slade, Wizard, Cliff Richards e Shakin’ Stevens,
c’erano orpelli appesi alle pareti e persino i barman indossavano
cappelli da festa. Remus si era quasi dimenticato della stagione che
era, non c’era più tempo per questo tipo di divertimento.
Verso le otto e mezza sentì una voce in tasca e si precipitò nel
bagno per controllare lo specchio. Era Sirius.
«Va tutto bene.» Disse, con un’aria molto arruffata, macchie nere
gli rigavano il viso. «Entrambi siamo finiti coperti di cenere, non

242
chiedere, andiamo a lavarci da Prongs e poi prendiamo qualcosa da
mangiare. Ci vorrà ancora un po’ di tempo.»
«Finché stai bene!» Disse Remus sinceramente.
«Sì, stiamo bene.» Sirius annuì gravemente. Poi si accigliò,
guardando Remus attraverso lo specchio. «Dove sei? A casa?»
«Pub.» Disse Remus, colpevole.
«Con Mary?»
«No, con... ehm. Con Grant. Sta festeggiando la fine degli esami.»
«Oh, festeggiamenti.» La faccia di Sirius divenne di pietra.
«Sono stato invitato a uscire, tutto qui.» Remus disse. «Stavo
impazzendo nell’appartamento da solo.»
«Okay, Moony.» Sirius gli diede uno sguardo strano. «Divertiti.»
«Posso venire da Prongs se vuo-» Iniziò Remus, ma la faccia di
Sirius era scomparsa.
Remus lasciò il bagno e ordinò un giro per tutti. Non aveva soldi,
quindi lanciò un incantesimo su un pezzo di carta che aveva
trovato in tasca, e il barista pensò che fosse una banconota da venti
sterline, diede persino il resto a Remus.
Se a Sirius era stato permesso di restare da James e fare una bella
cena e prendersi il suo dolce tempo per tornare a casa, allora Remus
non vedeva perché non avrebbe dovuto essere autorizzato a
ubriacarsi e fumare al pub con un gruppo di babbani.
Rimasero ancora per qualche ora, parlando di TV, musica, vestiti e
film e altre cose gloriosamente banali e babbane. Alla fine, uno per
uno, gli altri si salutarono e se ne andarono.
Suzie fu l’ultima ad alzarsi e sussurrò a Remus. «Ti assicurerai che
torni a casa okay?» Annuendo a Grant, che era caduto sotto il
tavolo in cerca del suo abbonamento dell’autobus, e ora era seduto
per terra a ridacchiare tra sé.
«Sì, non preoccuparti.» Remus annuì, sentendosi un po’ ridicolo.

243
«Buon Natale Remus, è stato bello conoscerti.» Sorrise infilandosi
il cappotto.
«Sì. Anche per me è stato bello.»
Una volta che se ne fu andata, Remus respinse la feccia della sua
pinta.
«Oi.» Diede un leggero calcio sotto il tavolo. «Dai tu, è ora di
andare.»
«Nah, restiamo fuori!»
«Quanti ne hai bevuti?» Chiese Remus, le mani sui fianchi. Si
sentiva piuttosto brillo, e la tolleranza di Remus era più alta della
maggior parte degli altri.
«Alcuni.» Disse Grant, tirandosi su e scuotendo l’intero tavolo.
Remus mise una mano sotto il gomito per sostenerlo, e iniziò a
guidarlo verso le porte.
«Dove vivi in questi giorni?»
«Sai dove.» Disse Grant singhiozzando. «Brighton.»
«Brighton?!»
«Sì, va bene. Lasciami sull’ultimo treno.»
«No.» Disse Remus. «Verrai arrestato o qualcosa del genere. Dai,
puoi sdraiarti sul mio divano.»
«Aw.» Grant sorrise.
Barcollarono insieme sulla metropolitana, e a Leicester Square la
scala mobile era spenta, quindi dovettero salire, ed erano senza
fiato quando raggiunsero il livello del suolo.
«Ho bisogno di una sigaretta.» Ansimò Remus, accarezzandosi le
tasche per il portasigarette.
Le sue dita invece sfiorarono lo specchio compatto, e sentì una
lieve fitta di terrore mentre si chiedeva se Sirius fosse a casa. Non
che stesse succedendo qualcosa di spiacevole, semplicemente non
voleva iniziare la discussione che si stava già preparando.

244
Rinunciando alla sigaretta, guidò Grant verso Chinatown. Le strade
erano ancora piuttosto trafficate, luce e risate fuoriuscivano dai bar
di soho e dalle squallide case dei quadri.
«Cosa pensi di Tim?» Grant biascicò, appoggiandosi pesantemente
a Remus. «Credi che io abbia una possibilità?»
«Pensavo che vedesse Martine.»
«Pfft.»
«Ehm... Molto alto?»
«Ed è forte.» Disse Grant con decisione. «Come me, un tipo forte.
Questo è come so che tu e io non funzioneremmo mai.»
«Oi!» Remus si offese. «Sono più forte di quanto sembri!»
Grant lo derise e Remus era abbastanza ubriaco da prenderlo come
una sfida alla sua virilità. Non andava spesso per esibizioni di
spavalderia maschile, ma forse la birra aveva una certa influenza.
Agendo rapidamente, e pensando a malapena, si chinò e afferrò
Grant per le gambe, sollevandolo e trascinandolo sopra la spalla.
Grant stava urlando e scoppiettando dalle risate mentre Remus
faceva jogging con lui per un bel po’ di metri.
«Mettimi giù!» Gridò. «Hai dimostrato il punto, sei molto forte!»
«Questo è tutto quello che avevo bisogno di sentire.» Disse Remus
sorridendo, fermandosi per mettere a terra Grant, con attenzione.
Ancora instabile in piedi, Grant afferrò la spalla di Remus per
sostenersi, soffocando le risate e ghignando pazzamente.
«Ooo-ooooh, cosa abbiamo qui allora?» Una voce sgradevole e
sogghignante proveniva da dietro di loro.
Grant si irrigidì e la sua schiena si raddrizzò; guardò avanti e
abbassò la testa, facendo in modo di ignorare il pericolo che si stava
preparando, ma Remus era un po’ incazzato e non poté fare a
meno di guardarsi indietro.
Tre uomini si stavano avvicinando, i loro volti erano messi in
ombra dai lampioni inaffidabili e dagli edifici alti, ma il loro
245
linguaggio del corpo non poteva essere interpretato male; le spalle
arrotondate, i pugni chiusi e l’andatura ampia. Un chiaro segno di
spavalderia maschile.
«Ignorali.» Sussurrò Grant, le sue labbra che si muovevano a
malapena. «Avanti, presto.»
Ma Remus non era mai stato molto bravo a scappare da una
minaccia. «Posso aiutarla?»
Gli uomini ridacchiarono meschini, continuando ad avanzare. Uno
parlava all’altro, come se Grant e Remus fossero sordi o
semplicemente non valesse la pena parlarne.
«A me sembra una coppia di ragazzi finocchi, una coppia di sporchi
froci in cerca di guai.»
«Se stanno cercando guai.» Disse un altro. «So dove possono
trovarli.» Si batté il pugno nella mano aperta.
«Remus...» Sibilò Grant, tirandosi il cappotto. «Andiamo!»
Remus lo ignorò e fronteggiò i tre uomini e alzò il mento. Usando
la sua voce molto educata da scuola privata, disse. «Andate avanti,
signori, prima che facciate qualcosa di cui vi pentirete.»
Gli uomini scoppiarono a ridere e non si mossero.
Remus era contento. Le sue labbra si arricciarono, cambiò
posizione, le gambe divaricate e li fissò. Con una leggera rotazione
del polso, li bloccò sul posto. Ci volle un secondo per rendersi
conto di quello che era successo, i loro volti sgranati ora visibili
nella luce rossa di un cartello al neon “SEXXX” che lampeggiava
nella vetrina accanto a loro.
Si fissarono l’un l’altro, cercarono di muovere le gambe, ma
rimasero fermi, come se fossero entrati nel cemento a presa rapida.
«Che cazzo?!» Uno di loro grugnì con rabbia.
«Non abbiate paura, ragazzi.» Remus sorrise, divertendosi
piuttosto. «Non mordo, di solito.»

246
«Ti picchierò, cazzo, puff!» Uno degli uomini gridò. «Ti picchierò
a morte!»
Questo diede a Remus un’idea eccellente. Fece schioccare
rapidamente le dita e osservò i volti degli uomini. Uno ad uno, uno
sguardo di orrore attraversò ognuno di loro, e Remus colse l’odore
pochi istanti prima che i loro jeans iniziassero visibilmente a
scurirsi.
«Poveri amori.» Ridacchiò Remus.
Anche Grant smise di tirarsi la manica, e lo fissò incredulo. «Vi
siete pisciati addosso?!»
Allora i tre uomini umiliati iniziarono a gridare insulti, ognuno
peggiore dell’altro, ma non importava. Remus e Grant erano
entrambi praticamente isterici.
«Andiamo.» Disse Remus, mettendo un braccio intorno alla spalla
di Grant. «Andiamo.»
Non li rilasciò fino a quando non erano a due isolati di distanza,
chiusi dentro l’appartamento.
Era estremamente rischioso, fare magie in una strada trafficata nel
centro di Londra davanti ai babbani. Ma Remus non riusciva a
convincersi a sentirsi in colpa per questo; era giubilante. Non
sembrava che Grant avesse capito cosa era successo: era piuttosto
ubriaco, e per lo più era solo sollevato di essere al sicuro, quindi
Remus pensò di averla franca. Tornato nell’appartamento aprì il
whisky per brindare al suo stesso successo, questo fu accolto con
una fragorosa approvazione da parte di Grant.
Sirius non era ancora tornato e Remus decise di non preoccuparsi
neanche di quello. Molto probabilmente aveva deciso di restare ai
Potter per la notte. Remus tirò fuori alcune coperte e cuscini per
preparare un letto sul divano per Grant, e poi si sistemarono per
altre poche ore a bere, fumare e ridere. Il tempo cominciò a

247
deformarsi; allungandosi e contraendosi il Remus più intossicato
cresceva.
Dovevano essere quasi le due del mattino quando toccarono il
fondo della bottiglia. Remus fece scorrere il dito sul fondo del suo
bicchiere di vetro, poi lo succhiò.
«Ungh.» Grant piagnucolò dal divano. «Devo smetterla con l’alcol.
Proposito per il nuovo anno.»
«Ah.» Remus abbaiò, sdraiandosi sulla poltrona, arrotolando una
sigaretta.
«Remus?» Chiese Grant stupidamente, con la testa che penzolava
sul bracciolo del divano, i riccioli biondi che ricadevano indietro
dal suo viso capovolto.
«Sì?» Remus biascicò in risposta.
«Posso chiederti un riepilogo?»
«Sì.»
«Hai un piano?»
«Un piano?» Remus si accigliò, confuso e annebbiato.
«Per quello che farai con la tua vita, sai.»
«Oh.» Remus si grattò la testa, le braccia lente e pesanti. «Non so.
Tu?»
«Non lo so.» Grant sospirò. «Stavo pensando. Forse voglio solo
trovare una ragazza o un ragazzo. Sposarmi.»
«Sposarti?!» Remus soffocò. «Cristo, sei proprio ubriaco.»
«Potrebbe non essere orribile!» Grant si difese. «Non importa
passare il tempo con le ragazze. Possono essere divertenti.»
«Sì, ma... Sai, se ti sposi dovresti...» Remus fece un gesto delicato.
Grant sbuffò. «Potrebbe non volerlo fare molto. Comunque,
potrei non odiarlo. Non ci ho mai provato, sai?»
Remus si mise la sigaretta tra i denti, pensieroso. «L’ho fatto, una
volta.»
«Ah sì?» Grant si mise a sedere interessato. «E?»
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«Era okay.» Alzò le spalle, accendendosi. «Non c’è molto da dire al
riguardo. Per lo più solo imbarazzante. Ma siamo ancora amici e
cose del genere.»
«Non può essere così male allora.» Grant sospirò, appoggiandosi
allo schienale ancora una volta.
Sembrava triste, e Remus avrebbe voluto sapere come tirarlo su di
morale. Grant allungò la mano verso Remus, che sospirò e gli
porse la sigaretta appena accesa. Iniziò ad arrotolarne un’altra.
Grant sospirò, girando la testa all’indietro e soffiando pennacchi di
fumo verso il soffitto. «Mi deludono sempre, tutto qui. Uomini.»
«Non sempre.» Disse Remus, non apprezzando la svolta
malinconica che stavano prendendo le cose.
«No.» Rispose Grant malinconicamente, alzando lo sguardo,
incontrando lo sguardo di Remus. «No, suppongo che tu non
l’abbia mai fatto.»
Remus provò un fremito di caldo piacere a questo, anche se forse
era perché era così ubriaco. Grant lo stava ancora fissando
intensamente e sorrideva un po’ ora. Qualcosa è passato tra di loro.
Una cosa molto piccola; ma qualcosa.
La porta si aprì ed entrò Sirius, portando con sé il freddo invernale.
Si fermò di colpo quando vide Grant, che si affrettò a mettersi a
sedere.
«...Ciao.» Disse Sirius, gli occhi che guizzavano avanti e indietro
con cautela. Remus non aveva mai avuto ospiti, figuriamoci
babbani.
«Ciao amico!» Grant si alzò rapidamente, allungando una mano sul
tavolino, con la bottiglia di whisky vuota in cima.
Sirius la scosse, educatamente.
«Grant sta festeggiando la fine dei suoi esami.» Spiegò Remus,
sentendosi in colpa ma non sicuro del perché.
«Oh, congratulazioni.» Sirius annuì, la sua espressione guardinga.
249
«Saluti!» Grant sorrise. «Vuoi qualcosa da bere? Oh stronzata,
abbiamo finito tutto...»
«Va bene.» Sirius incrociò le braccia sul petto e alzò un sopracciglio,
assumendo la sua annoiata routine aristocratica. «Vado a letto.»
Non diede nemmeno una seconda occhiata a Remus, si limitò a
camminare per il soggiorno, lungo il corridoio fino alla camera da
letto.
«Ti ho messo nei guai?» Sussurrò Grant.
Remus scosse la testa. «È solo stanco. Farei meglio a...»
«Oh sì, certo. Sono distrutto comunque, grazie ancora per avermi
permesso di restare.»
«Quando vuoi.» Remus sorrise, pensandolo veramente. «Grazie per
avermi invitato a uscire. Ne avevo davvero bisogno.» Accarezzò la
spalla di Grant mentre se ne andava.
Sirius si stava spogliando. Ignorò Remus, che chiuse
silenziosamente la porta dietro di sé e si sedette in fondo al letto.
«Come è andata la missione?» Chiese gentilmente. «James è-»
«Un babbano nell’appartamento, Remus?!» Sirius scattò. «Hai mai
pensato al pericolo?!»
«Quale pericolo?» Remus si accigliò, confuso.
«C’è una guerra! Questo posto dovrebbe essere un rifugio,
dovrebbe essere bloccato e più sicuro della Gringott!»
«Divertente.» Remus disse, categoricamente. «Pensavo che dovesse
essere la nostra casa.»
Sirius non rispose ma si limitò a guardarlo in cagnesco,
allacciandosi la corda sui pantaloni del pigiama.
Remus si massaggiò la nuca, sospirando. «Guarda, vive a Brighton.
Non avrei potuto semplicemente abbandonarlo in una stazione
ferroviaria, era ubriaco.» Remus ha cercato di spiegare.
«Quindi la soluzione era di bere ancora più alcol?» Sirius replicò.

250
«Sonoro Quiescis.» Disse Remus, lanciando un incantesimo di silenzio
nella camera da letto, era la prima volta che ne avevano avuto
bisogno dai tempi di Hogwarts. «Se vuoi litigare.» Disse,
allungando le braccia in modo invitante. «Andiamo, sono più che
felice di accontentarti.»
«Non voglio litigare, voglio dormire.» Disse Sirius.
«Okay bene.» Remus si strinse nelle spalle. Si tolse il maglione, con
la maglietta che lo accompagnava, e iniziò a cambiarsi per andare a
letto.
Sirius si infilò sotto il piumone e lo guardò, ancora accigliato.
Sicuramente voleva discutere. «Non posso credere che sei uscito
solo per ubriacarti.»
«È Natale.» Remus mormorò. «Scusa se volevo spremere un po’ di
gioia dalla stagione.»
«Non potevi aspettare, vero? Il secondo dopo in cui sono uscito di
casa hai dovuto-»
«Te ne vai sempre! Dovrei stare seduto a preoccuparmi di me
stesso malato tutta la notte?! Esisto ancora quando non sei qui, sai.
A volte ho ancora bisogno di parlare con le persone.»
«Ah!» Sirius lo schernì. «Tu vuoi qualcuno a cui aprire il tuo cuore,
all’improvviso? Questa è bella.»
«Vai a farti fottere!» Remus urlò a squarciagola.
«Vai e fotti il tuo babbano! Questo è ovviamente il motivo per cui
è qui!» Sirius replicò.
Remus vacillò come se fosse stato colpito. Fissò Sirius e vide il
dolore nei suoi occhi. Era tutto solo una vecchia e noiosa gelosia?
Remus si costrinse a rilassarsi, ad abbassare le spalle e aprire la
mascella. Chiuse gli occhi, inspirando.
«Grant è sul divano perché è un mio amico e non volevo che gli
accadesse nulla di male.» Disse molto fermamente. «E sono qui con

251
te, perché non c’è nessun altro con cui preferirei stare in una stanza.
Anche quando sei un enorme coglione.»
Le labbra di Sirius si incresparono, poi si rilassarono. Sembrava
proprio che volesse continuare a discutere, ma non aveva più
niente da dire. Alla fine si era semplicemente accasciato sul letto, a
braccia conserte.
«Tu sei un enorme coglione.»
Remus rise, finì di cambiarsi e si arrampicò sul letto, strisciando
verso Sirius. «Sono il tuo enorme coglione.» Si allungò verso il
bordo del piumone e lo tirò giù, staccandolo dal corpo di Sirius.
Sirius lo permise, guardando Remus, che iniziò a sciogliere il nodo
del laccio dei pantaloni del pigiama di Sirius. Poi li tirò giù e si leccò
le labbra. «Posso farmi perdonare?”
Sirius si morse il labbro e annuì, poi inarcò la schiena, e non
parlarono più per ore.
Al mattino Grant se n’era andato.

252
Primavera e Estate 1980
You know I’m born to lose,
and gambling’s for fools.
But that’s the way I like it baby
I don’t wanna live forever

Quel gennaio, poco più di un anno dopo il funerale di sua madre,


Remus partecipò a un altro servizio commemorativo, questa volta
per Fleamont ed Euphemia Potter.
Erano morti a poche ore l’uno dall’altro negli ultimi giorni cupi di
dicembre. La loro perdita era stata sentita immensamente, e non
solo dai membri dell’Ordine. La villa dei Potter era stata piena per
settimane di visitatori, persone in lutto e vecchi amici, e ognuno di
loro aveva una storia di una certa gentilezza che i genitori di James
avevano recitato.
«Euphemia diceva sempre che potevo chiederle qualsiasi cosa
quando la vedevo al San Mungo.» Marlene singhiozzò. «Era una
guaritrice così brillante, vorrei averla conosciuta più a lungo.»
«Sono stati così gentili con noi dopo che siamo fuggiti.» Disse
Andromeda, tenendo la mano di Ted e facendo rimbalzare sua
figlia sul fianco. «Ci hanno controllato tutto il tempo, assicurandoci
che non avevano mai lottato per nulla... Non riesco a credere che
se ne siano andati...»
«Se la nostra casa sarà accogliente anche la metà della loro, ne sarò
orgoglioso.» Arthur Weasley aggiunse, pulendosi gli occhiali che si
erano appannati.
«Il miglior tipo di mago.» Intonò Silente nel discorso che tenne al
servizio. «Un faro di comprensione, tolleranza, buon umore e
comunità. Tutti quei valori a cui teniamo di più.»

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«È un po’ più giusto che se ne siano andati a Natale.» Disse una
vecchia avvizzita al risveglio. «Mi è sempre piaciuto venire alla festa
del giorno di Santo Stefano dei Potter.»
«Mi mancheranno le tortine di Effie!» Aggiunse un vecchio.
«Mi mancherà la birra fatta in casa di Monty!» Un altro ridacchiò.
Un’infarinatura di risate affettuose, seguita da un tenero silenzio
mentre tutti ricordavano l’ospitalità illimitata dei Potter.
Remus teneva per sé i suoi ricordi dei Potter, perché sentiva di
avere il minimo diritto su di loro. Tuttavia, non avrebbe mai
dimenticato che erano stati loro ad accoglierlo quando si era
ritrovato senza casa a diciassette anni, e loro che l’avevano aiutato
a localizzare sua madre.
In un certo senso era diverso dalle morti precedenti nell’Ordine, i
Potter erano morti in età avanzata e non erano stati uccisi, quindi
c’era più spazio per ricordi felici.
Non sembrava comunque molto giusto. Il tempo non ha senso
quando si tratta delle persone che ami, rifletté Remus. Undici mesi
non erano stati abbastanza tempo con Hope e vent’anni
probabilmente non erano stati abbastanza per James.
Sirius, Peter e Remus presero silenziosamente la decisione di unirsi
per James. Era stato la fonte della forza dei Malandrini sin da
quando erano bambini; aveva difeso o sostenuto altruisticamente
ciascuno di loro una volta o l’altra, e non c’era dubbio che
ricambiassero il favore ora, nella sua ora più buia.
Si assunsero il compito di salutare quanti più ospiti possibile e di
tenerli lontani da James, che aveva già abbastanza da affrontare.
Per due settimane, i tre trascorsero le loro giornate ad accettare
mazzi di fiori e vasi di cucina casalinga (il che fu utile, perché Gully
l’elfo domestico era stato inconsolabile e trascorreva il suo tempo
raggomitolata, singhiozzando e bevendo Burrobirra).

254
Lily si occupava di tutto ciò che era finanziario o legale, Remus non
poteva fare a meno di ammirare la rapidità con cui si era avvicinata
alla legge sulla proprietà dei maghi, mentre Alice e Molly
l’aiutavano a gestire la casa e impacchettare le cose che dovevano
essere imballate.
Era tristemente appropriato che il 1980 fosse iniziato con la morte.
Anni dopo, avrebbe segnato un punto di svolta nella guerra per
Remus; come se la perdita dei Potter avesse scosso le fondamenta
stesse della realtà.
Dopo il loro funerale le cose più piccole e inutili cominciarono ad
avere un senso. Le cose di cui una volta si era sentito sicuro
divennero incerte e la cerchia già ristretta di persone di cui si fidava
e amava, cominciò a ridursi ulteriormente.
Per il resto di gennaio, Sirius e Remus si sorpassarono come navi
nella notte: uno sarebbe stato sveglio fino a tardi, l’altro sveglio con
l’alba per una missione o per l’altra. Erano entrambi determinati a
occuparsi di James, e questo li teneva più occupati che mai.
Il lutto di Fleamont ed Euphemia oltre a tutto ciò significava che
le brevi ore che trascorrevano insieme erano piene di silenzio.
Sirius aveva pianto il giorno in cui l’aveva scoperto. Entrambi lo
avevano fatto, ma il dolore era più acuto per Sirius.
«Non è giusto! Non è giusto!» Aveva ripetuto più e più volte, gli
occhi selvaggi e disperati.
Remus mise da parte con cura il proprio dolore per essere il più
forte, e scoprì che le cose erano più facili quando concentrava la
sua attenzione sull’aiutare Sirius.
Era stato un lavoro molto duro e per un po’ sembrò che non ci
sarebbe stato nulla per cui sentirsi di nuovo felici. La loro unica
buona notizia era arrivata completamente di punto in bianco (come
generalmente fanno le buone notizie) una domenica di inizio
febbraio.
255
Sirius era fuori con James ma non in missione, per una volta. Da
ragazzi, James e Sirius si infilavano nel letto dell’altro ogni volta
che uno di loro era infelice. Da uomini, passavano lunghi
pomeriggi a sfrecciare per la campagna sulla moto di Sirius.
Remus non era geloso, piuttosto era un sollievo che non doveva
andare lui.
Trascorreva il pomeriggio studiando contro-maledizioni, il che
almeno lo faceva sentire come se stesse facendo qualcosa di utile.
Aveva appena deciso di fare una breve pausa e prepararsi una tazza
di tè quando un gufo beccò sulla finestra della cucina.
Portava un messaggio di Lily.
“Puoi venire prima delle cinque? Cucinerò la cena.”
E ovviamente si era preparato subito per partire. Era anche una
buona cosa: i suoi piani per la cena erano fagioli su pane tostato,
che aveva già mangiato tre volte quella settimana.
Faceva ancora molto freddo, il gelo durò per settimane quel
febbraio e la primavera impiegò una vita per arrivare. Remus era
grato di poter semplicemente attraversare il caminetto nel loro
appartamento e apparire immediatamente nel soggiorno dei Potter
senza dover uscire. Sperava che Sirius fosse coperto
adeguatamente; il vento gelido non era uno scherzo alle velocità
che guidava.
«Sono qui!» Remus chiamò, spazzolando via la fuliggine e
mettendo apposto le sue vesti malandate.
Hieronymus il gatto miagolò rabbiosamente contro di lui: aveva
disturbato il punto caldo del tappeto.
«Cucina!» Lily lo chiamò.
Remus vagò attraverso il soggiorno. La casa sembrava vuota e lo
era da settimane ormai, ma la cucina era calda e confortevole come
non lo era mai stata.

256
Lily era seduta all’ampio tavolo di quercia, versando un ricettario,
la bacchetta che le teneva i capelli raccolti in una crocchia
disordinata. C’era una pentola che si mescolava da sola sul fornello
e qualcosa di delizioso che profumava nel forno.
«Ciao, tesoro.» Sorrise lei, guardandolo.
«Ciao.» Salutò. «Posso aiutare con qualcosa?»
«Se prepari i coltelli e le forchette sarebbe fantastico.» Annuì alla
cassettiera contro il muro. «Mangeremo qui credo, è più
accogliente.»
«Solo noi due?» Chiese, andando a tirare fuori le posate.
«Cinque.» Scosse la testa. «Peter arriva tra un minuto, e i ragazzi
non dovrebbero tardare molto... Beh, dipende da Sirius.»
«Eh?» Remus si accigliò, il messaggio non aveva menzionato Sirius.
Lily stava arrossendo. «Ehm... Ti ho chiesto di venire qui perché
ho qualcosa da dirti...»
Le mani di Remus iniziarono a tremare, e lasciò cadere il coltello
da burro che aveva in mano. Nessuna notizia era mai buona, di
questi tempi, e aveva sviluppato un po’ di paranoia intorno agli
annunci.
«È bella!» Lily disse velocemente vedendo l’espressione sul suo
viso. «Lo prometto! È solo che, ehm... Abbiamo pensato che
sarebbe stato meglio, James ha pensato che sarebbe stato meglio
se l’avesse detto a Sirius da solo sai, uno contro uno... Dopo quello
che è successo l’ultima volta...»
«Ultima volta?» Remus aggrottò la fronte. Non potevano risposarsi
di nuovo, sicuramente. «Non vi state separando?!»
«Remus, ho detto una cosa bella!» Lily rise. «Onestamente, pensi
sempre al peggio...»
Si alzò, togliendo i libri dal tavolo. Remus la guardò bene. Era un
po’ più spessa intorno ai fianchi, non che lui avrebbe mai detto una
cosa del genere a uno dei suoi più vecchi e migliori amici. E
257
comunque stava bene, era ancora insolitamente carina secondo lui.
Ma aveva anche un odore leggermente diverso.
Sbatté le palpebre e scosse la testa, chiudendo il cassetto delle
posate con tanta forza e Lily sussultò.
«Sei incinta!»
Lei arrossì ancora più forte e annuì, il viso teso nel sorriso più
ampio che Remus avesse visto su qualcuno da mesi. Senza parole,
corse intorno al tavolo per abbracciarla.
«Incredibile!» Si sentì soffocare, improvvisamente era diventato
molto emotivo. «Fantastico! Oh mio Dio, Lily!»
«Lo so!» Gridò. «La scadenza è a luglio! Non hai idea di quanto sia
stato difficile stare zitti!»
Remus fece un passo indietro per darle stanza, e si asciugò gli
occhi. «Non a causa di Sirius?»
«Non solo...» Ammise. «Volevamo un vero e proprio periodo di
lutto... Euphemia e Fleamont lo sapevano, ovviamente. È stato
straziante dirglielo. Ma devo ammettere, sono un po’ preoccupata
per come la prenderà Sirius...»
«Se dice qualcosa di diverso dalle congratulazioni, gli tiro le
orecchie!» Disse Remus ferocemente.
Lily rise. «Dovrai metterti in coda dietro di me e James.»
Remus rise e asciugandosi ancora gli occhi andò ad apparecchiare
la tavola. Non appena posò l’ultimo piatto, si udì in lontananza un
rombo che si avvicinava. Lily lo guardò e si morse il labbro.
Le sorrise e basta. «Andrà bene.»
Sirius aveva parcheggiato la sua moto nel patio sul retro. Remus si
chiedeva spesso cosa ne pensasse Euphemia, ovviamente non
avrebbe mai potuto impedire nulla al suo ragazzo dagli occhi
azzurri e avrebbe perdonato i segni fangosi di pneumatici nel suo
prato con materna indulgenza.

258
Le porte del patio si aprirono sbattendo e Sirius entrò a grandi
passi, i capelli ancora spazzati dal vento per il volo, il naso e le
guance rosei per il freddo. Stava sorridendo così tanto che il cuore
di Remus saltò un battito, e sentì quella vecchia cotta da scolaretto
riaffiorare in lui.
«Signora Prongs!» Sirius andò dritto verso Lily, l’avvolse con le
braccia larghe, baciandole la sommità della testa. «Maledettamente
brillante!»
Remus sospirò di sollievo, e andò a stringere la mano a James che
era entrato dietro Sirius, i capelli e la sciarpa svolazzanti, la faccia
bruciata dal vento che brillava come un faro di gioia.
«Un bambino!» Era tutto ciò che Remus riusciva a pensare di dire.
«Stai per avere un fottuto figlio!»
James rise, stringendogli la mano. «Troppo maledettamente vero,
Moony.»
«Siediti!» Sirius prese una sedia per Lily, facendola entrare. «Merlino
Moony, che tipo di gentiluomo sei. Hai lasciato che Lily facesse
tutto il lavoro nelle sue condizioni!»
«Oi.» Remus si accigliò. «Ho apparecchiato la tavola...»
«Onestamente, sto bene.» Ridacchiò Lily. «Ma se voi ragazzi volete
servire la cena, accomodatevi. L’agnello è nel forno, James,
dovrebbe essere pronto a quest’ora.»
Così i tre si affaccendarono per la cucina, facendo un po’ più di
rumore e confusione del necessario. Sirius iniziò a fischiare Kooks,
James tirò fuori una bottiglia di champagne (Burrobirra per Lily) e
Remus si limitò a sorridere fino a sentire male alle guance,
guardando i suoi amici essere felici insieme.
Poi arrivò Peter e tutto ricominciò, la loro felicità si moltiplicò
mentre si sedevano per una perfetta cena in famiglia. Era proprio
quello di cui tutti avevano bisogno.

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«Come mai è successo?!» Esclamò Peter, asciugando il sugo con il
suo ultimo budino di yorkshire.
«Beh, Wormtail.» Sirius sorrise. «Quando una strega e un mago si
amano molto...»
«Stai zitto.» Rise Peter, prendendolo a calci sotto il tavolo. «Sai cosa
volevo dire.»
«È solo successo.» James scrollò le spalle. «Potremmo essere stati
un po’ sbadati per Halloween...»
«James!» Lily gli schiaffeggiò leggermente il braccio con il dorso
della mano. «Non c’è bisogno di dettagli, sono sicura che Moony
non vuole sentire tutto questo.»
«Perché io?» Remus aggrottò la fronte.
«Oh beh... Sai, so solo che preferisci essere discreto su... ehm...»
Lily cercò a tentoni le parole.
Remus incrociò le braccia, fissandoli tutti con finta indignazione.
«Pensate tutti che io sia un pudico!»
Scoppiarono tutti a ridere, e Sirius gli diede una pacca affettuosa
sulla spalla. «Non preoccuparti Moony, semplicemente non ti
conoscono come ti conosco io.»
«Cosa dovrebbe significare...» Iniziò Peter, ma Remus vedendo
dove si stava dirigendo la conversazione intervenne rapidamente.
«Hai già qualche idea per un nome?»
«Non proprio.» Disse Lily, continuando a ridacchiare. «Un nome
di famiglia sarebbe carino, ma...»
«Qualunque cosa tu faccia.» Disse Sirius. «Chiama il povero
ragazzo con qualcosa di normale. Niente costellazioni, per l’amor
del cielo.»
«Berrò a questo.» Remus alzò il suo bicchiere di vetro e lo scolò.
Era il suo terzo, ma non pensava che qualcuno l’avesse notato e
inoltre stavano festeggiando.
«Quando saprai di che sesso sarà?» Chiese Peter.
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«Non lo chiameremo Peter.» Lo prese in giro James.
«Prenotato per essere padrino!» Gridò Sirius.
«Non puoi prenotarti per essere padrino!» Peter disse indignato.
«L’ho appena fatto.» Sirius fece uscire la lingua.

E così, come al solito, furono James e Lily a portarli tutti fuori da


quel cupo inverno, giusto in tempo per la primavera. I Malandrini
e i loro amici affrontarono il resto dell’anno con occhi nuovi e
rinnovato. Perché combattere una guerra era una cosa, ma
combattere per il futuro figlio dei Potter faceva sembrare ogni sfida
più utile.
Non erano gli unici a celebrare la buona notizia. Arthur e Molly
diedero il benvenuto a un altro figlio dai capelli rossi quel marzo, e
Alice annunciò che anche lei e Frank stavano aspettando in estate.
«Immaginalo!» Mary disse, portando via le tazze da tè e le tazze di
caffè lasciate da una riunione dell’Ordine. «I loro figli cresceranno
tutti insieme e andranno a Hogwarts insieme... è un po’ carino, no?»
Remus annuì in accordo.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere cresciuto da una qualsiasi di
queste persone; avere un’infanzia circondata da magia, amore e
risate. Non aveva mai pensato molto ai bambini prima, la sua
infanzia era stata un tale disastro che non pensava di essere adatto
per essere un genitore. Ma guardando James e Lily farlo, in realtà
suonava piuttosto carino.
Ovviamente, l’entusiasmo di Remus per “Baby Prongs”
impallidiva in confronto all’eccitazione travolgente di Sirius.
«Sarà così divertente, Moony!» Balbettò, arrivando in un
pomeriggio di maggio da un altro impulso di shopping,
«Immaginateli tutti sulle scope! La squadra di Quidditch
dell’Ordine della Fenice!»

261
«Ehm... Quanti anni devi avere per cavalcare una scopa?» Chiese
Remus, guardando nervosamente i suoi pacchi. Nessuno di loro
sembrava a forma di scopa, ma non si sapeva mai con Sirius.
«Questi sono principalmente libri e vestiti.» Lo rassicurò Sirius,
ridendo leggermente. «E alcuni giocattoli, solo piccole cose...»
«Questo ragazzo sarà così viziato...» Disse Remus.
«Bene.» Sirius fece uscire la lingua. «Non fa bene a nessuno crescere
senza gioia, vero Moony?» Alzò un sopracciglio e Remus abbassò
la testa vergognandosi, non rimproverò mai più Sirius per questo.

A giugno, dopo la luna piena, Remus fu invitato per un altro


incontro con Moody e Ferox. Un anno più vecchio e più saggio,
questa volta chiese di non incontrarli nell’ufficio dell’Auror. Erano
d’accordo: non avevano molta scelta. Remus era diventato molto
impertinente riguardo al suo ruolo ufficiale di collegamento dei
licantropi non ufficiale, e probabilmente si vedeva. Almeno Moody
non gli dava più ordini.
Si incontrarono in un piccolo pub di operai appena fuori Derby.
Remus arrivò per primo e si prese una pinta, poi si sedette con un
giornale che aveva preso alla stazione dei treni. Tirò fuori la pagina
con il cruciverba e la ripiegò ordinatamente nel taschino della
giacca. A Sirius piaceva fare le parole crociate.
Aveva scelto un posto sul retro del pub, perché era tranquillo, ma
anche perché il sedile era un banco di legno con lo schienale alto,
che gli faceva bene alla schiena. Stava soffrendo dopo l’ultima luna
e cercò di stare seduto dritto.
Ferox era arrivato pochi minuti dopo.
«Tutto bene qui, Kev?» Annuì, sedendosi sullo sgabello a tre gambe
di fronte a Remus.
Avevano tutti ricevuto istruzioni per iniziare a usare nomi falsi
quando erano in giro per affari con gli Ordini, nel caso qualcuno
262
avesse ascoltato. Remus non era particolarmente affezionato a
“Kevin”, ma doveva ammettere che probabilmente era meglio del
suo ridicolo nome. Quando i Malandrini hanno sentito per la prima
volta dei nomi in codice, avrebbero voluto usare Paul, John,
George e Ringo, ma Moody aveva detto loro che era troppo ovvio.
«Ciao, Norman.» Remus annuì a Ferox.
«Il signor Thompson non arriverà tra molto.»
«Bene. Ti prendi da bere?»
«Nah, in servizio.»
Remus scrollò le spalle e bevve un sorso della sua stessa birra.
Ferox lo osservava con un’espressione serena.
«Allora...» Chiese il suo vecchio insegnante. «Come vanno le cose?»
«Oh, sai.» Remus alzò di nuovo le spalle. «Stiamo solo facendo
quello che possiamo.»
«Ho sentito che sei stato impegnato, hai un talento per la sicurezza,
eh?»
«Sì, ho aiutato Alic- ehm... Steffi. Scusa.»
Ferox rise burbero dell’errore di Remus. «Non preoccuparti.
Comunque sono tutte cazzate. Tuttavia, la sicurezza è un buon
talento da avere, eh? Qualcosa che potresti voler fare per il
Ministero, forse? Dopo che tutto questo sarà finito?»
«Allarmi di sicurezza?» Remus aggrottò la fronte. Non ci aveva
davvero pensato prima. «Non lo so, non è proprio... Voglio dire,
voglio aiutare le persone ovviamente, ma non sono sicuro se... le
persone vogliano qualcuno come me nelle loro case.»
«Mento in alto, ragazzo.» Disse Ferox gentilmente. «Non è tutto
cupo e tenebroso.»
Remus bevve di nuovo. Aveva quasi finito e si chiedeva se avrebbe
avuto il tempo per una seconda pinta. Probabilmente no. Non
sarebbe stato molto professionale. Tuttavia, tecnicamente era
medicinale: la schiena gli faceva davvero male.
263
Moody, “Mr Thompson”, arrivò pochi istanti dopo. Sembrava più
smunto che mai. La guerra sembrava influenzarlo fisicamente,
aveva accumulato più cicatrici di chiunque altro Remus conosceva
(tranne sé stesso, forse). In cambio, aveva perso più parti del corpo,
se Moody non fosse stato più attento, pensò Remus, sarebbe finito
come il vecchio professore Kettleburn.
«Kevin, Norman.» Moody annuì a entrambi.
Indossava abiti babbani, o almeno la sua approssimazione. Una
sgargiante camicia hawaiana abbinata a pantaloni a zampa
d’elefante giallo senape dall’aspetto antico. Remus dovette
concentrarsi per mantenere una faccia seria.
«Vado subito al sodo.» Disse, prendendo il terzo sgabello intorno
al tavolo. «È stato visto di nuovo. La nostra conoscenza reciproca.»
Ciò significava Greyback.
Remus deglutì, annuendo. «Dove?»
«Fuori Dublino. Riteniamo che abbia mantenuto un profilo basso
leccandosi le ferite, ma lavora ancora per Voi-sapete-chi.»
Remus annuì di nuovo. Sapeva che Greyback non sarebbe stato
sconfitto così facilmente; aveva sempre saputo che prima o poi si
sarebbero incontrati di nuovo.
«La buona notizia è...» Disse Ferox apprendendo. «non ha
reclutato, tutte le fonti sembrano dire che la maggior parte del suo
branco lo ha lasciato.»
«Fonti?» Remus lo guardò acutamente.
«Sì.» Ferox sorrise. «Ho fatto un piccolo viaggio sull’Isola di
Smeraldo la scorsa settimana.»
«Tu cosa?!» Remus era scosso da questa notizia. «Potevi venire
ucciso!»
«Calmati, ragazzo.» Disse Moody, appoggiando il palmo della
mano sul tavolo. «Norman qui si occupa di questo caso da quando
eri un bambino. Sa cosa sta facendo.»
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«Ah, è solo preoccupato, eh Kev?» Ferox gli diede una gomitata.
Remus non rispose. Come poteva dire a questi due uomini, che
erano più anziani, più esperti, più saggi e probabilmente più potenti
di lui, che erano degli idioti? Era completamente ridicolo che anche
quindici anni dopo la morte di Lyall Lupin il Ministero continuasse
a sottovalutare Greyback. Aveva rifiutato di imparare qualcosa dai
propri errori.
«Avresti dovuto dirmelo.» Disse, finalmente. «Avrei potuto aiutare.
Almeno darti dei consigli.»
«Non sono andato da solo, non preoccuparti.» Ferox sorrise. «Ho
portato con me il giovane Daniel- voglio dire, ehm... Idiota, l’ho
dimenticato...»
«Danny?!» Remus esitò, ancora più allarmato. «Ma...»
«Non era niente di personale.» Disse Moody. «Ne sai più di
chiunque altro, ma dopo l’anno scorso sei troppo vicino, troppo
riconoscibile per il branco. Non potevamo rischiare.»
«Avrei solo voluto che me lo aveste detto.» Ripeté Remus, anche
se sapeva che non lo stava portando da nessuna parte.
«Te lo diciamo ora.»
Remus strinse le labbra. Danny McKinnon! Greyback starà
ridendo di loro; semplicemente non ne avevano idea.
«Quindi cosa, allora?» Chiese, sapendo che adesso era visibilmente
irritato. «Per cosa avete bisogno di me?»
«Beh, sappiamo che è in movimento. Ha lasciato Dublino dopo
l’ultima luna piena, senza lasciare traccia. Lui e una giovane donna.»
«Livia.» Disse Remus.
«Sai chi è?»
«Molto probabilmente è lei.» Remus annuì. «È la sua più fedele
sostenitrice, non lo lascerà mai.»
«Puoi darci una descrizione? Daniel ha sentito un odore, ma non
l’abbiamo vista.» Disse Ferox, avidamente.
265
Remus annuì. «Okay. Ma devi dirmelo, la prossima volta-»
«Va bene, va bene.» Moody scosse la testa con impazienza. «Ti
terremo aggiornato, dove possibile e entro limiti ragionevoli. Ora,
cosa puoi dirci di questa stronza di Livia?»
Remus disse loro tutto quello che sapeva. Sentiva di ripercorrere
un vecchio territorio, ma comunque nessuno lo ascoltava mai.
Spiegò che aspetto aveva Livia: era abbastanza facile, non era certo
una strega dall’aspetto normale.
«Li prenderemo ragazzo, non preoccuparti.» Disse Ferox
stringendo la mano di Remus prima di andarsene. Aveva
completamente perso il punto.
Non avevano rintracciato il branco di Castor, se era ancora un
branco. Moody pensava che avessero lasciato il paese e Remus lo
sperava. Sperava che nessuno li trovasse mai più. Quando furono
tutti pronti per partire, Remus aveva bisogno di un bicchierino, per
non parlare di un’altra pinta, la sua schiena si contorceva ad ogni
passo minacciando uno spasmo completo. Ed era davvero di
cattivo umore.
Si materializzò di nuovo a Londra e aprì la porta d’ingresso così
forte che la maniglia sbatté contro il cartongesso.
«Porca puttana!» Sirius saltò fuori dal suo posto sul divano.
Remus sbatté le palpebre, imbarazzato. «Scusa. Non sapevo che
fossi qui.»
«Cosa che è successo?»
«Maledetto Moody! Maledetto Ferox!» Remus sussultò mentre si
toglieva la giacca.
«Ti fa ancora male la schiena?» Sirius inclinò la testa, comprensivo.
«Vieni qui.» Si trascinò indietro sul divano, sollevando le ginocchia
in modo che Remus potesse sedersi di fronte a lui.

266
Remus lo fece, e chiuse gli occhi sospirando di gratitudine quando
Sirius iniziò a strofinargli le spalle con fermezza, strizzando il
dolore con le sue dita eleganti.
«Cosa che è successo?» Chiese. «Loro non... Non sei obbligato a
tornarci, vero?»
«No.» Disse Remus. «No, solo... Non so, ti sei mai sentito come se
tutti pensassero che tu sia solo un ragazzino idiota che non sa
niente?»
«Nessuno lo pensa.» Sirius si calmò.
«So che tu non lo pensi, ma... Ugh. Semplicemente non mi
ascoltano. So di più sui licantropi di chiunque altro nell’Ordine.
Sono il figliol prodigo di Greyback, per l’amor di Dio!»
«Non dirlo.» Sirius improvvisamente avvolse le braccia intorno alla
vita di Remus, tirandolo vicino e stretto, come se stesse per
scappare. «Se Moody e Ferox ti tengono lontano da quel mostro,
allora bene.»
Remus si appoggiò a Sirius e non disse altro.

Will you stay in our lovers’ story?


If you stay, you won’t be sorry,
‘cuz we believe in you.
Soon you’ll grow, so take a chance
On a couple of kooks, hung up on romancing.

Giovedì 31 luglio 1980


«Remus, svegliati!» Sirius lo scosse forte.
«Levati dalle palle.» Remus grugnì coprendosi la testa con il
piumone. «Siamo nel bel mezzo della notte.»
«Che importa?! Andiamo, è ora! Baby Prongs sta arrivando, o lei...
la loro strada!»
267
«Che cosa?!» Remus si sedette di scatto sul letto. «Cazzo!»
«Questo è lo spirito!» Sirius esultò. «Vestiti!»
Remus balzò giù dal letto e si vestì così velocemente che inciampò
due volte sulle gambe dei pantaloni, sbattendo la testa sul comò.
«Ow.» Borbottò, massaggiandosi la fronte mentre raggiungeva
Sirius nel soggiorno.
«Stupido idiota.» Disse Sirius con affetto. «La fortunata Marlene
sarà lì, eh?»
«Ho la sensazione che sarà impegnata...»
Sirius entrò nel caminetto, afferrando della polvere volante.
Proprio mentre stava per buttarlo giù, lanciò a Remus uno sguardo
buffo, inclinando la testa.
«Moony, la tua maglietta è al rovescio. Tenuta dei Potter.»
E con un lampo di fiamma verde, se n’era andato. Remus guardò
la sua maglietta. I bottoni erano all’interno. Dannazione. Ah beh,
era troppo assonnato e troppo nervoso per sistemare la cosa ora.
Prese una manciata di polvere volante e poi entrò nel caminetto.
Uscì nel soggiorno dei Potter, che attualmente somigliava a una
sala d’attesa della stazione ferroviaria. Gully uscì di corsa, con le
braccia piene di coperte e Mary, Peter, Sirius e Arthur Weasley
stavano parlando.
«Remus!» Mary gli diede un veloce abbraccio. «La tua camicia è al
rovescio.» Disse, lisciandogli una mano sul petto.
«Qualche notizia?» Chiese.
«James ha mandato un patronus per Marlene circa due ore fa, lei
stava da me per essere più vicina a San Mungo, quindi sono venuta
anch’io. Da allora sono di sopra, ho chiesto se potevo fare
qualcosa, ma sai com’è Marls quando ha un lavoro da fare...»
«Anche James è lassù?» Remus guardò nervosamente il soffitto.
Non l’avrebbe mai detto, ma aveva un orrore assoluto del parto.

268
Non era sicuro al cento per cento di cosa significasse, a parte un
sacco di urla e probabilmente anche di sangue.
«Pensi che abbiano bisogno di qualcosa?» Disse Sirius, vagando
verso le scale.
«La signorina McKinnon avrà tutto sotto controllo.» Disse Arthur,
allegramente. «James non farà niente di più utile che tenere la mano
di Lily, te lo prometto. Siediti ragazzo, temo che dovremo aspettare
molto a lungo.»
Lo fecero tutti, in silenzio. C’era un’atmosfera divertente; nessuno
tranne Arthur aveva mai sperimentato questo tipo di
preoccupazione prima, e Remus era molto contento di essere lì.
Mary si alzò e tirò indietro le tende. Era l’apice dell’estate e il sole
era già pieno nel cielo, gli uccelli cantavano e il lattaio babbano
fischiava mentre faceva il giro.
«Tè, per tutti?» Disse Remus, sentendo il bisogno di fare qualcosa
di utile. Guardò Peter, che era appoggiato al suo gomito, la testa
annuendo. «O forse un caffè?»
«Brav’uomo, Moony.» Sirius annuì. «Ti aiuterò.»
In cucina, scoprirono che Gully aveva già preparato le cose per il
tè, e misero a bollire dell’acqua nel grande bollitore di rame sul
fornello, così Remus e Sirius dovevano solo preoccuparsi del caffè.
Lo fecero silenziosamente, anche se Remus incrociò lo sguardo di
Sirius una o due volte e non poté fare a meno di sorridere per
l’eccitazione infantile che vide lì.
Proprio mentre stavano per portare i vassoi in soggiorno, una porta
al piano di sopra si spalancò e si udirono dei passi sul pianerottolo.
«Padfoot?!» La voce di James.
«Prongs?!» Sirius corse in corridoio, sporgendosi dalla ringhiera
delle scale e fissando in alto.
Remus si affrettò a raggiungerlo, e Peter non era molto indietro.

269
James li scrutò, con la faccia rossa, gli occhi annebbiati e raggianti.
«È un maschio!»
Harry. Questo era il nome che avevano deciso secondo Marlene
che era scesa per accettare con gratitudine una tazza di tè e
sprofondò lentamente nel divano. Aveva anelli scuri sotto gli occhi,
ma sorrideva comunque a tutti.
«È stato un parto veloce.» Mormorò, sorseggiando lentamente la
miscela di latte. «Venti minuti di lavoro attivo!»
«Forse sarà un cacciatore, come James!» Disse Peter avidamente.
«Lily sta bene?» Chiese Mary.
Marlene annuì. «Certo. Niente ferma Evans.»
«Allora me ne vado.» Disse Arthur, alzandosi in piedi e
allacciandosi il mantello logoro. «Sono stato lontano da Molly e dai
ragazzi già da troppo tempo. Farò sapere a Silente la buona notizia,
ovviamente.»
Si salutarono tutti. Una volta che se ne fu andato, Sirius andò di
nuovo sulle scale per guardare in alto.
«Sirius, amore.» Chiamò bruscamente Marlene. «Dai loro un po’ di
tempo da soli, eh? Tempo per la famiglia.»
«Oh va bene.» Annuì, voltandosi verso la stanza e appoggiandosi
allo stipite della porta. Fissò il vuoto per un po’ e per una volta
Remus non riuscì a indovinare cosa stesse pensando. Sirius scosse
lentamente la testa e disse. «Harry Potter.»
«È un bel nome, credo.» Disse Mary allegramente. Lanciò
un’occhiata a Marlene e soffocò una risatina. «Meglio di Neville,
eh?»
Anche Marlene ridacchiò colpevole. «Oh no. Riuscivo a malapena
a mantenere la faccia seria quando Frank me lo ha detto.»
Remus si alzò e andò a stare con Sirius. Intrecciò le loro dita
insieme.
«Sei un padrino.» Sussurrò.
270
Sirius girò la testa verso Remus, sorridendo. «Sì.» Annuì.
«...Accidenti, spero davvero di non fare cazzate.»

271
Autunno e Inverno 1980
You done too much, much too young
You’re married with a kid when you could be having fun with me
You done too much, much too young
Now you’re married with a son when you should be having fun with me
Don’t wanna be rich, don’t wanna be famous
Ain’t he cute? No he ain’t.
He’s just another burden on the welfare state.

Mercoledì 3 settembre 1980


Whooosh - splash.
Remus atterrò in piedi, o quasi, proprio in una pozzanghera
fangosa nel mezzo della strada principale.
«Bastardo.» Borbottò strappandosi via il mantello, i suoi stivali
erano al di là del risparmio, i calzini già fradici. Non si era reso
conto che i buchi erano così gravi, era decisamente il momento per
un nuovo paio, aveva bisogno di controllare i suoi risparmi.
Sembrava che potesse piovere anche più tardi. Maledettamente
perfetto.
Remus era di pessimo umore, e i piedi bagnati erano l’ultima cosa
di cui aveva bisogno. Tuttavia era a Hogsmeade per un motivo, e
sapeva che doveva solo tirare su i suoi calzini metaforici e andare
avanti. Avrebbe voluto non essere solo, ma anche se qualcuno
fosse stato disponibile a venire con lui (James aveva il bambino,
Lily e Sirius erano a Broadstairs in ricognizione, Marlene, Peter e
Mary stavano tutti lavorando), gli era stato detto di andare da solo.
Come al solito.
Si avviò verso i Tre Manici di Scopa, pensando che almeno ci
sarebbe stato un bel fuoco caldo e forse un sorso di whisky ad

272
attenderlo. Ne avrebbe avuto bisogno. Ogni volta che veniva
chiamato per incontrare qualcuno da solo, di solito erano affari dei
licantropi, e questo richiedeva sempre una bevanda forte. Sperava
che fossero notizie di Greyback piuttosto che di Castor.
Cominciò a sputare pioggia quando si avvicinò al pub, e fece un
po’ di jogging per salvare il resto dei suoi vestiti dall’umidità. Era
un pomeriggio tranquillo nel piccolo villaggio scozzese: gli studenti
di Hogwarts sarebbero stati alle loro lezioni, i maghi che vivevano
in città sarebbero stati alle loro occupazioni. Pochissime persone
avevano lasciato la casa in questi giorni, se non obbligati.
Il pub era carino e vuoto. Remus provò una fitta di nostalgia
quando entrò, ricordando come solo due anni prima lui e i suoi
amici si erano seduti tutti in uno dei separé, con gli occhi luminosi
e ingenui, aspettando con ansia il loro futuro. Chi poteva sapere
che salvare il mondo sarebbe stato uno slogan così grigio e
monotono?
«Remus Lupin, vivo e vegeto!» Rosmerta cinguettò dal bar, una
mano sul fianco tondo, il petto traboccante come al solito. Lei
guardò speranzosa alle sue spalle. «Black non si unisce a te?»
Remus scosse la testa, e andò a sedersi vicino al focolare, così
avrebbe potuto almeno provare ad asciugarsi le scarpe.
«Non oggi, Rosmerta.» Disse cercando di incutere allegria. «Potrei
avere un bicchiere di-»
«Due bicchieri di Burrobirra, per favore.» Intonò una voce
familiare.
Remus si voltò trovandosi faccia a faccia con Silente. «Oh, b-
buongiorno professore.» Disse Remus imbarazzato.
«Remus.» Silente annuì educatamente. Non lo aveva mai chiamato
“Mr Lupin”, non da quando Remus gli aveva chiesto di non farlo
anni prima. «Per favore siediti.» Fece un gesto grandioso, come un
vicario che sta per fare un sermone.
273
Remus si sedette, Silente lo aveva sempre fatto sentire undicenne.
«Come stai?» Chiese il suo vecchio preside gentilmente e con
grazia, sedendosi sulla poltrona di fronte. Posò una pesante
valigetta di pelle sul tappeto in mezzo a loro.
Remus lo guardò con diffidenza ma rispose. «Bene grazie.»
«Questi sono tempi difficili.» Disse Silente e Remus non rispose,
perché non era sicuro di doverlo fare.
Rosmerta si affaccendò con le Burrobirre, posandole sul tavolino
rotondo. Quando se ne fu andata Remus alzò il boccale e bevve,
solo per distrarsi. Poteva fingere che fosse alcol, forse questo
l’avrebbe aiutato a tenerlo calmo. Voleva disperatamente una
sigaretta, ma per qualche motivo questo sembrava sbagliato di
fronte a Silente. Quindi sorseggiò la Burrobirra, sentendo la
stucchevole miscela sciropposa posarsi sulla sua lingua, per poi
scivolargli giù per la gola.
«Ti starai chiedendo perché ti ho chiesto di venire qui.» Disse
Silente, guardandolo.
«È... Greyback?» Sussurrò Remus.
Silente sorrise. «Non devi preoccuparti degli intercettatori Remus,
siamo abbastanza sicuri per parlare liberamente qui. No, ahimè,
non ci sono state ulteriori segnalazioni di Greyback o della giovane
donna con cui viaggia.»
«Oh.» Remus sbatté le palpebre. E allora cosa?
«Questa è una questione piuttosto urgente o almeno lo sarà, se ho
ragione.»
«Giusto...» Remus si mosse a disagio. Di solito non era l’agente di
riferimento quando si trattava di “questioni urgenti”.
Silente sembrava leggere nella sua mente. «Ho bisogno di qualcuno
con un occhio attento ai dettagli e una buona dose di pazienza.» Si
chinò in avanti e aprì una fessura nella borsa.
Remus sbirciò dentro.
274
«Libri!» Disse sorpreso. Devono essercene un centinaio dentro,
forse una sorta di incantesimo di estensione.
«Infatti.» Disse Silente sorridendo, chiudendo di nuovo la valigetta.
«Allora... Devo fare qualche ricerca?»
«Dimmi, Remus, quanto ne sai di profezie?»
«Ehm... Beh, non ho mai frequentato Divinazione.» Si grattò la
testa. Ora era incuriosito. «Ma ovviamente viene fuori un po’ in
Rune... ho letto un po’.»
«Avrai bisogno di leggere molto di più.» Disse Silente gravemente.
«E devo imprimere su di te sia l’importanza di questo compito, sia
la sensibilità. Tutto ciò che impari deve essere mantenuto del tutto
confidenziale, capisci?»
«Io... ovviamente.» Remus annuì, leggermente allarmato. «Ma cosa
vuole che cerchi?»
«Per ora, stiamo semplicemente cercando una comprensione più
completa della natura della profezia. Molti di questi libri
contengono trascrizioni segrete, alcune delle quali potrebbero
dover essere tradotte, di affermazioni profetiche e oracolari note.
Vorrei sapere se ce n’è qualcuno che sembra riguardare Voldemort,
o questo particolare momento della stori»
«Quindi, pensa che qualcuno possa aver già fatto una profezia? Su
come finisce la guerra?»
«Potrebbero averlo fatto.» Il professore rispose, a breve. «Ma non
possiamo permetterci di prendere decisioni avventate. Finché c’è
ancora tempo, vorrei sapere il più possibile.»
Silente passava regolarmente da “io” a “noi”, quando parlava della
guerra, Remus notò. Eppure pensava di aver praticamente capito.
«Okay.» Disse. «Come posso farti sapere, se trovo qualcosa?»
«Verrò da te.» Rispose Silente, criptico. «Ancora una volta, Remus,
non posso sottavvalutare l’importanza di questo compito. Non
devi dirlo a nessuno, capito?»
275
«Capito.»
Ciò significava non dirlo a Sirius, o a James, o a nessuno dei suoi
amici. A volte Remus si chiedeva se i segreti fossero semplicemente
il suo destino nella vita. Pensò per un momento.
«Professore?»
«Sì?»
«Dovrei tenere d’occhio le profezie che sono state prevenute, o...»
Riformulò nuovamente, perché sapeva che era impossibile. «eluse?
Voglio dire, non ne so molto, ma ci sono sempre delle scappatoie
vero?»
Gli occhi di Silente brillarono e un piccolo sorriso apparve sulle
sue labbra. «Molto bene Remus.»

Venerdì 24 ottobre 1980


Ed era così che Remus trascorse gran parte del suo autunno. Studiò
bene fino a ottobre. Non era affatto male anzi, gli piaceva. Gli era
sempre piaciuta la ricerca e, sebbene gli mancassero le tranquille
stanze ariose della biblioteca di Hogwarts, era piuttosto contento
di scoppiare nel piccolo appartamento di Londra con infinite tazze
di tè e un posacenere fumante a portata di mano.
Se Sirius fosse entrato, avrebbe fatto l’incantesimo obfuscate ai suoi
libri e gli appunti, e Sirius sembrava felice di questo accordo. Aveva
capito cosa bisognava fare al servizio della guerra.
Comunque erano a malapena nell’appartamento, Remus lo usava
solo per lavorare. Trascorsero molto più del loro tempo a casa dei
Potter, dove la vecchia camera da letto di James era stata
trasformata in un asilo nido, ma la vecchia camera da letto di Sirius
era la stessa di sempre, solo con dentro anche metà delle cose di
Remus. Insieme, i Malandrini e Lily erano diventati una piccola
famiglia divertente, con il piccolo Harry al centro.
276
Remus impiegò un mese o giù di lì per superare davvero la sua
paura dei bambini e lo rendeva ancora un po’ ansioso tenere
davvero Harry ma Sirius era stato di grande aiuto.
Sirius era completamente infatuato del suo figlioccio. Il bambino
era a malapena fuori dalle sue braccia quando erano in visita (un
sollievo per Lily e James, che stavano sopportando la pressione
della genitorialità combinata con i loro doveri per l’Ordine).
«Di’ Padfoot, Harry, dai! Pad-foot...» Sirius tubò una sera, mentre
faceva sobbalzare la minuscola creatura dagli occhi verdi sulle sue
ginocchia.
«Non parlano finché non hanno almeno un anno.» Disse Remus
sorridendo, sedendosi cautamente sul bracciolo del divano. «Ho
controllato.»
«I bambini normali non lo fanno.» Sirius scosse i capelli all’indietro,
tenendo delicatamente i polsini paffuti di Harry. «Ma Harry Potter
non è un bambino normale, è chiaramente molto avanzato per la
sua età. Andiamo Harry, di’ Pad-foot...»
«Non ci sperare troppo.» Rise Lily. «La mamma di James mi ha
detto che lui non ha parlato fino a diciotto mesi.»
«Oi.» Gridò James dallo studio di suo padre. «Ero un bambino
estremamente premuroso, ecco tutto.»
«Oh sì, cosa è cambiato?» Gridò di rimando Sirius, sorridendo.
«Lo stai monopolizzando, Padfoot!» Peter piagnucolò, allungando
le braccia. «Dai, non ho ancora avuto un abbraccio.»
«Non è colpa mia se gli piaccio di più.» Replicò Sirius, facendo un
colpetto con la lingua a Peter, e poi a Harry, gonfiando le guance e
sporgendo gli occhi in modo che il bambino ridacchiò e borbottò
soddisfatto.
«Ti do io un abbraccio, Pete.» Lo prese in giro Remus.
«Lily, diglielo!» Peter balbettò, incrociando le braccia di traverso.

277
«Onestamente! Ho un figlio e questo basta e avanza.» Lily rise
alzandosi. «Non litigate mentre mamma e papà sono fuori, okay
ragazzi?» Diede a tutti loro uno sguardo molto severo.
«Hai passato troppo tempo con Molly.» Disse Sirius.
«Bene, sono pronto.» James tornò in soggiorno nel suo mantello
da viaggio. Lily aveva già il suo. Gli fece un sorriso stoico.
«Andiamo allora.»
Un freddo silenzio entrò nella stanza e Remus guardò il pavimento,
perché non riusciva a guardare nessuno dei suoi amici, e
specialmente non il bambino.
Lily lo ruppe. «Oh, smettetela di essere così melodrammatici,
ragazzi. È una missione standard, ne abbiamo fatte un centinaio.»
Andò da Sirius e si chinò a baciare la testa di Harry, già spuntava
un ciuffo di bei capelli neri. «Ciao ciao Harry, mamma e papà ti
amano così tanto. Ci vediamo presto.»
James non disse addio, aveva un’espressione tenue e muta che
Remus aveva visto sempre di più dal funerale dei suoi genitori.
«Sei sicuro di non poterci dire dove-» iniziò Pete.
«Scusa Wormy.» James alzò le mani. «Ordini di Moody. Sai com’è.»
Peter annuì, le spalle cadenti.
Remus sapeva come si sentiva, era già abbastanza difficile sapere
che i tuoi amici stavano andando incontro al pericolo. Era ancora
più difficile non sapere esattamente cosa avrebbero dovuto
affrontare, come se stessero scomparendo fuori portata.
«Andiamo.» Lily si affrettò, trascinando suo marito fuori dalla
stanza. «Dovremmo tornare prima della mattina, speriamo!» Disse
dal corridoio, poi la porta sbatté e Harry scoppiò in lacrime.
«Oh cazzo.» Disse Sirius al di sopra delle urla. «Ehm... Prendilo
adesso se vuoi, Pete?»

278
Ci vollero ore per calmare finalmente Harry. Gridò come se avesse
il cuore spezzato e non ai placò fino a quasi mezzanotte.
«Sicuramente non potrei farlo a tempo pieno.» Disse Sirius, la testa
tra le mani mentre si accasciava sul pavimento della nursery.
«Gesù, giuro che il ragazzo è posseduto.» Sussurrò Remus
massaggiandosi le tempie. Aveva un forte mal di testa.
«Merda, dovresti andare a letto.» Disse Sirius, guardandolo. I suoi
capelli neri di solito immacolati e setosi erano in nodi e c’era
sicuramente ancora qualche lattante malato di bambino bloccato lì
dentro. Senza una traccia di ironia, si accigliò a Remus. «Devi essere
esausto.»
«Oh, sto bene.» Remus scrollò le spalle, cercò di non sussultare
mentre sentiva ogni tendine della sua schiena tirare. La notte prima
c’era stata la luna piena. «In realtà non sarei rimasto... Sai, ho quel
lavoro da fare.»
«Oh, quello.» Sirius annuì. La sua bocca era una linea retta.
Si alzò in piedi, lanciando un’ultima occhiata alla branda rossa e
dorata. Harry stava dormendo, grazie a dio. Entrambi uscirono
silenziosamente dalla stanza, lasciandola aperta solo di una fessura.
Sul pianerottolo, dove le luci erano ancora accese, Sirius sembrava
messo anche peggio: aveva degli anelli neri sotto gli occhi, che
erano iniettati di sangue.
Remus gli toccò delicatamente il braccio. «Tu dovresti andare a
letto.»
Sirius gli afferrò il braccio all’improvviso, gli occhi spalancati.
«Moony, non andare.»
«Eh? Vado solo nell’appartamento...»
«Per favore?» Sirius gli si strinse addosso, mezzo pazzo di
stanchezza. «Solo... Prenditi la notte, resta qui con me.»
«Pete è qui...» Remus girò leggermente la testa.

279
Poteva sentire Peter russare sul divano al piano di sotto. Non
molto confortante, suppose.
«Ma io voglio te.» Disse Sirius disperatamente.
Questo colpì Remus in un modo insolito. A chiunque altro,
avrebbe potuto suonare lamentoso e infantile, dopotutto Sirius era
un uomo adulto e Remus aveva un lavoro importante da fare. Ma
in qualche modo scosse un sentimento che Remus non aveva avuto
per Sirius da molto tempo: il desiderio di proteggerlo, tenerlo
vicino e dirgli che tutto sarebbe andato bene, ed essere forte e
affidabile per l’uomo che amava.
Stupito da questa rivelazione, Remus fece esattamente questo,
abbracciando forte Sirius e baciandogli i capelli sudici.
«Okay allora.» Sussurrò. «Resto.»
Dopotutto. Pensò mentre Sirius si prendeva una pausa per fare una
doccia, il sollievo evidente nella sua postura. Sirius non avrebbe fatto
lo stesso per lui?

Venerdì 21 novembre 1980


Quella volta Lily e James tornarono come sempre stanchi, un po’
più duri, un po’ meno brillanti, ma per il resto perfettamente okay.
Remus provava sempre un enorme sollievo quando uno dei suoi
amici tornava sano e salvo, e ogni volta giurava a sé stesso che non
lo avrebbe dato per scontato. Ma cosa significa, quando sei
giovane?
C’erano state morti; morti nell’Ordine, morti di persone che
conosceva... ma nessuno veramente vicino. Nessuno che amava
veramente. I Prewett a cui era stato affezionato e Benjy Fenwick
con cui aveva parlato una o due volte, ma non erano vicini e le loro
perdite non lo avevano colpito gravemente. Rispetto ad altri,
Remus era stato estremamente fortunato.
280
Certo, non ti senti mai fortunato in quel momento. La buona
fortuna è troppo spesso qualcosa che può essere riconosciuta solo
dopo.
Sirius aveva compiuto ventuno anni a novembre. Non avevano
fatto una festa ma Hagrid preparò una torta piuttosto traballante
anche se molto grande e deliziosa, che mangiarono tutti al rifugio
dell’Ordine dopo la regolare riunione. Qualcuno scattò alcune foto
ma Remus si era dimenticato di cercare di trovarle.
«È un grosso problema per i babbani, ventuno anni.» Commentò
mentre salivano a letto quella sera. «Èquando raggiungono la
maggiore età.»
«Perché? I babbani non sanno fare magie.» Sirius si accigliò
sbadigliando.
«No, lo so. È solo una cosa antiquata.» Cercò di spiegare Remus.
«Prendi la chiave della tua porta di casa o qualcosa del genere.»
«Sciocchi babbani.» Sirius borbottò, i suoi occhi si stavano già
chiudendo. «Mi sento vecchio.»
«Beh, non lo sei.» Remus si sedette accanto a lui. «Sono io che sto
diventando grigio. Ventuno è giovane. Davvero molto giovane.»
«Non sembra.»Sirius sospirò stancamente.
Remus sapeva esattamente cosa intendeva, ma non gli piaceva.
Erano tutti intrappolati in un luogo confuso tra l’adolescenza e l’età
adulta, il piccolo Harry aveva solo esacerbato questo. C’era la
sensazione che il tempo finisse; di dover realizzare il più possibile
e il più velocemente possibile. Peter stava strisciando nel suo
lavoro del Ministero, sempre alla ricerca di una posizione migliore;
James e Lily giocavano alla famiglia e ai soldati allo stesso tempo;
Remus e il suo stupido bere.
Almeno aveva la ricerca da fare. Sembrava che stesse andando
bene, ogni tanto Silente veniva a vedere come se la cavava. Remus
assimilava quante più informazioni possibile con i dettagli, perché
281
sapeva che a Silente piacevano i dettagli. Il vecchio annuiva
saggiamente, si accarezzava la barba e si sedeva in silenzio,
ruminando. Se era arrivato a qualche conclusione, non lo disse a
Remus. Però si sentiva bene. Remus si sentì persino riscaldarsi con
Silente per la prima volta. Gli piaceva essere utile. E poi, appena
prima della luna piena di novembre, Remus aveva avuto la sua
possibilità di essere davvero utile.
Come al solito c’era un messaggio di Moody. Si sarebbe
materializzato ad alcune coordinate molto specifiche venerdì 21
novembre e lì avrebbe incontrato Ferox.
«Digli di no.» Disse Sirius, infastidito. «Maledetto Moody, sa che è
la notte prima della luna piena! Non dovresti essere fuori a fare le
sue commissioni quando non stai bene.»
«Gesù, mi fai sembrare un invalido.» Remus alzò gli occhi al cielo.
«Sono sicuro che ci sia una buona ragione per questo. Starò bene,
non preoccuparti.»
«Mandi un patronus, se succede qualcosa?» Chiese Sirius,
solennemente. «Non mi interessa il protocollo, dimmi solo che me
lo farai sapere?»
«Andrà bene.» Ripeté Remus.
Si sentiva davvero bene per tutto questo. Quando la luna stava
crescendo, spesso si sentiva più forte del solito e di solito non
aveva attacchi di nausea fino a poche ore prima del tramonto.
Era stato bello lasciare Londra; lontano dal traffico, dal rumore e
dalla folla. Era stato bello allontanarsi dai Potter, dai pannolini, dai
discorsi dei bambini, dal pianto e dagli spinaci in crema.
All’ora concordata Remus si smaterializzò seguendo le istruzioni
che gli erano state date e si ritrovò su una scogliera ventosa, da
qualche parte molto fredda e desolata.
Il mare si infrangeva e infuriava miglia più in basso e l’erba alta gli
sferzava le caviglie. Remus inspirò profondamente, inalando il sale,
282
la terra, il profumo freddo e acuto delle nuvole. Il lupo dentro si
leccò le labbra, le orecchie pungenti sull’attenti. Sì. Greyback era
stato qui.
«Ciao!» Ferox era in lontananza, un uomo stilizzato che lo salutava
con la mano.
Remus alzò un palmo in segno di saluto, si piegò in avanti nel vento
e arrancò verso di lui.
«Ciao.» Disse senza fiato mentre si avvicinava, le mani fredde nelle
tasche, il naso congelato. «Dove siamo?»
«Galloway.» Disse Ferox allegramente. Indossava uno spesso
mantello di cuoio, con cappuccio, ma il suo viso era ancora rosso
per il tempo rigido e la nebbia bianca gli soffiava dalle labbra
mentre parlava. «Bello, eh?»
Remus non era sicuro se era sarcastico o no, quindi si limitò a fare
un sorriso neutro. In privato pensava che sì, il paesaggio era
bellissimo anche se ostile.
«Greyback è stato qui.» Disse, volendo arrivare al punto.
«Lo sai per certo?»
«Cento per cento.» Remus annuì.
Anche Ferox annuì. «Eccellente, avevamo ragione, allora. C’è stato
un rapporto alla polizia babbana su un paio di vagabondi, un uomo
e una donna, che sembravano fuggitivi. Pensi che siano stati qui,
allora?»
Remus rifletté inspirando di nuovo. «Sì, ma il profumo è vecchio...
Forse un giorno o giù di lì.»
«Giusto. Allora andiamo a fare una passeggiata? Vedi se diventa un
po’ più forte?»
«Okay...» Remus non era sicuro di come si sentiva ad essere il
segugio dell’Ordine, ma voleva trovare Greyback tanto quanto
chiunque altro quindi fece come gli era stato detto.

283
Camminarono su e giù per la cima della scogliera per un po’, finché
Remus non fu sicuro da che parte portava il sentiero. Mentre
scendevano, allontanandosi dal mare e scendendo verso una
piccola strada di campagna, divenne sicuro che Livia e Greyback
erano stati lì da poco e cominciò a camminare più velocemente.
Ferox non ebbe problemi a tenere il passo, ovviamente; era in
forma e in salute come non lo era mai stato.
«Cosa faremo, se lo troviamo?» Chiese Remus mentre
camminavano.
Stava attento a non coinvolgere Livia perché okay, sebbene fosse
decisamente un’assassina, non poteva fare a meno di sentirsi un po’
più comprensivo nei suoi confronti. Dopotutto era sua sorella, in
un modo perverso.
«Moody ritiene che siano accampati da qualche parte per la luna
piena.» Rispose Ferox. «Sulla base delle mie ricerche i lupi mannari
sono i più deboli subito dopo la luna, quindi aspetteremo fino ad
allora.»
«La tua ricerca?» Remus gli lanciò uno sguardo divertente.
«Pochi libri che ho preso. Non c’è molto su cui lavorare, al di là
delle cose a livello di NEWT.»
«Hai parlato con Madama Chips? Si è presa cura di me per sette
anni, ne sa un sacco di cose.» Disse Remus, cercando di non
sembrare troppo impaziente. «O Marlene McKinnon? Ha costruito
i suoi casi di studio, per vedere se è possibile fare progressi nel
trattamento della licantropia. Oppure, sai. Potresti chiederlo a me.
Potrei saperne un po’.»
Ferox rise di buon carattere. «Va bene ragazzo, va bene. Capisco
cosa stai dicendo. È solo che non c’è sempre tempo per seguire
innumerevoli piste su uno stronzo come Greyback. Devo
muovermi velocemente.»

284
Remus non disse nulla, perché sarebbe solo uscito male. Odiava
davvero criticare Ferox, era così imbarazzante. Una volta lo aveva
considerato una visione ideale della virilità, e non gli piaceva troppo
manomettere quell’illusione. Ma onestamente. Dal modo in cui
parlava, penseresti che Greyback sia solo un piccolo criminale, non
una creatura assassina e un leader carismatico di un culto.
L’odore era diventato molto forte ora, e mentre superavano la
collina successiva, Remus riuscì a distinguere una grande struttura
grigio-nera in lontananza. Le rovine di un vecchio castello: la
Scozia ne era disseminata ovviamente. Questa era una casa torre e
sembrava una grande prigione quadrata accovacciata in modo
minaccioso sopra i resti di un fossato paludoso.
«Là.» Disse Remus, fermandosi di colpo. «È lì.»
Ferox gli diede una pacca sulla spalla. «Ottimo lavoro, ragazzo.»

Sabato 22 novembre 1980


Ferox non voleva che Remus fosse presente per lo scontro con
Greyback ma Remus non gli diede retta. Sapeva dove e quando
andare e niente gli avrebbe fatto cambiare idea.
«Vengo anch’io, allora.» Disse Sirius con fermezza, dopo aver
estratto abbastanza informazioni da Remus.
«No, col cavolo che verrai.» Disse Remus.
«Scusa Moony, ma non è assolutamente possibile che ti perda una
seconda volta a causa di quel mostro.»
«Non mi hai perso l’ultima volta, grande regina del dramma, era
una missione.» Ribatté Remus. «Comunque, non posso metterti in
quel tipo di pericolo.»
«Sono in pericolo ogni giorno.» Sirius alzò le spalle. «Se è subito
dopo la luna piena, avrai bisogno del mio aiuto per
smaterializzarti.»
285
«L’ho già fatto.» Disse Remus. «È difficile, ma ce la farò. Ad ogni
modo, questa non è una missione normale, non saresti solo il
supporto, faresti leva contro di me. Lui sa chi sei. Lui sa cosa
significhi per me.»
«Te l’ha fatto dire?!»
«Una specie. Te l’avevo detto che sanno leggere nel pensiero.»
«Quel bastardo. Vengo sicuramente con te.»
Remus aveva dimenticato cosa provava Sirius a proposito della
legilimanzia: Walpurga l’aveva usata come punizione e lui avrebbe
associato per sempre la lettura del pensiero alla magia nera. Remus
non aveva sollevato il fatto che questo sembrava essere un tratto
di lupo mannaro e che, se spinto, poteva farlo anche lui.
Probabilmente non era una buona idea dirlo.
Quindi Sirius ottenne ciò che voleva ovviamente, e Remus sperava
solo che sarebbe stato in grado di proteggerlo.
Andarono nel Lake District per la luna piena; un posto in cui i
Malandrini si erano divertiti prima, un posto con ricordi felici.
James e Peter non andarono. James non si era unito a loro per la
luna piena da quando Harry era nato e Remus capì che non voleva
stare lontano dalla sua famiglia troppo spesso. Peter aveva detto
qualcosa di vago riguardo al lavorare fino a tardi, e onestamente
Remus era troppo impegnato a preoccuparsi dell’imminente
battaglia con Greyback per metterlo in dubbio.
Il lupo probabilmente si era divertito quella notte, ma Remus non
se ne ricordava molto. Tutto si perse nella foschia rosso sangue
della trasformazione, nel soffocamento, negli artigli e nei gemiti
mentre tornava alla sua forma umana.
«Urrrgh!»
«Ti ho preso, Moony.» Sirius lo prese per le spalle, tirando un
mantello sul suo corpo.

286
Remus si costrinse ad aprire gli occhi, sapendo quanto poco tempo
c’era. «Bacchetta magica.» Gracchiò, alzandosi.
Sirius gliela porse.
«Dobbiamo andare, adesso.» Disse Remus, appoggiandosi a Sirius
per sostenersi mentre si vestiva, le mani tremanti e armeggiando
con i bottoni della sua camicia e dei pantaloni.
«Stiamo andando, fai un respiro.» Disse Sirius, la sua voce calma e
ferma. «Tieniti stretto a me, ci smaterializzerò...»
Sirius era bravo a mantenere la parola; non cercò di dissuadere
Remus dall’andare o di dirgli cosa fare. Li portò semplicemente
dove dovevano essere. Ferox era già lì.
«Va bene, ragazzi.» Annuì, mantenendo la voce bassa.
Era ancora piuttosto buio sotto il cielo grigio di Galloway, e le
praterie erano ammantate di nebbie velate, le rovine del castello
che ne salivano nere e minacciose. Era tranquillo, nessun canto
degli uccelli, nessun rumore. Come un posto fuori dal tempo.
«Hai visto qualcosa?» Chiese Remus, disperatamente. Li sentiva, il
profumo era molto forte.
«Ho sentito un po’ di rumore; devono essere stati loro a tornare
indietro.» Disse Ferox. Diede un’occhiata a Remus. «Stai bene,
ragazzo? Sembri un po’ verde.»
«Bene.» Remus deglutì. «Dovremmo entrare adesso.»
«Hai ragione. Fuori le bacchette.» Ferox si raddrizzò e fece un
passo avanti. «Peccato che non siamo riusciti a prenderli quando
erano lupi, eh?» Disse, con un sorrisetto. «Quelle pelli prendono
qualche soldo al mercato nero.»
Remus si sentì male, il sudore sulla sua schiena divenne freddo.
Sirius prese la sua mano nell’oscurità e le diede una stretta, poi
scosse la testa e disse bruscamente. «Non dire cose del genere, è
disgustoso.»

287
Ferox gli lanciò un’occhiata scioccato, poi a Remus. Aggrottò le
sopracciglia. «Mi dispiace ragazzo, non volevo dire niente.»
Non dissero un’altra parola mentre si avvicinavano al castello.
Sirius e Ferox stavano cercando di tacere, ma Remus sapeva che
avrebbero potuto anche essere un branco di elefanti che si
avvicinavano furtivamente a Livia e Greyback, i cui sensi erano
acuti come i suoi, anche dopo la luna piena. Tuttavia, potrebbero
essere più lenti; più deboli.
Quando furono contro il muro del castello, Remus lo sentì.
Greyback stava aspettando. L’odore cambiò e la sua testa si riempì
di quella terribile voce ringhiante.
Ciao, cucciolo... Mi hai portato la colazione, vero?
«Sa che siamo qui.» Remus sussurrò freneticamente. «State attenti!»
Ferox si toccò la fronte in una sorta di saluto, per mostrare che
aveva capito, poi girò l’angolo ed entrò. Remus e Sirius si
affrettarono dietro di lui. Ferox aveva alzato la bacchetta, e mentre
passava sotto l’arco spezzato tra le ombre della rovina, aprì la
bocca; aveva programmato di usare l’incantesimo della catena
d’argento, per legare i lupi mannari e contenerli abbastanza a lungo
finché gli Auror non avrebbero preso il sopravvento ma era troppo
tardi.
Remus era solo una frazione di secondo dietro Ferox, e vide la
roccia cadere. Si irrigidì, poi si accasciò a terra, il sangue che colava
dal taglio sulla sommità della sua testa.
«No!» Remus pianse, sopra la risata di Greyback mentre la bestia
entrava nella luce del primo mattino, il viso pieno di gioia.
Livia balzò fuori dopo e si lanciò su Sirius, afferrando la sua
bacchetta e facendolo cadere a terra. «Oooooh e questo chi è
fratello? Bel, bel ragazzo...» Cantò, sedendosi a cavalcioni di lui,
tenendo entrambi i polsi di Sirius sopra la sua testa mentre si

288
dibatteva. Sembrava più magra, ma ovviamente era più forte che
mai.
«Lascialo andare!» Ringhiò Remus alzando la bacchetta, furioso.
Poi gridò in agonia. Greyback gli afferrò il braccio della bacchetta
e lo girò così forte che sentì l’osso spezzarsi.
«Remus!» Gridò Sirius.
Remus era quasi cieco dal dolore e Greyback rise di nuovo,
lasciandolo andare.
«Bentornato, cucciolo.» Fece le fusa. «Quanto mi sei mancato...»
«Vaffanculo.» Remus gemette, fissando la sua bacchetta, che aveva
lasciato cadere da qualche parte.
«Adesso adesso...» Ridacchiò Greyback, mentre Remus si
raddrizzava per affrontarlo, stringendo il braccio rotto al petto.
«Dovresti essere in ginocchio dopo quello che mi hai fatto.»
«Uccidilo, padre!» Livia ridacchiò. «Uccidi il traditore Remus
Lupin, proprio come ha ucciso mio fratello Gaius! Dopo posso
avere quello carino!»
Greyback le sorrise affettuosamente. «È piena di idee brillanti, la
mia bellissima ragazza.»
Remus ne approfittò per guardare oltre la spalla di Greyback, Ferox
si stava muovendo molto lentamente; era ovviamente ferito, ma
Remus vide il suo pugno stringersi attorno alla sua bacchetta.
«Vai avanti allora!» Remus disse a Greyback, stringendo i denti per
il dolore. «Uccidimi. Poi cosa?»
«Poi cosa?!» Greyback sogghignò. «Poi faccio a pezzi il tuo piccolo
animale domestico umano, ecco cosa. Poi strapperò arto dopo
arto, ma non prima di essermi divertito con lui...»
«Sei disgustoso!» Remus replicò, aspettando il tempo mentre gli
occhi di Ferox si aprivano. Tanto valeva dire a Greyback cosa
pensava di lui, mentre ne aveva la possibilità. «Sei una schifezza!

289
Non sei nessuno! Parli di libertà ma non hai la minima idea di cosa
sia! Non sei altro che un bullo! Il cagnolino di Voldemort!»
«Uccidilo!» Strillò Livia.
La faccia di Greyback era diventata demoniaca di rabbia, gli occhi
gialli ardevano e Remus pensava davvero che sarebbe stata la fine.
Chiuse gli occhi e si preparò.
«Che cosa?! Argh!» Livia gridò di nuovo e Remus sentì un cane
abbaiare.
Aprì gli occhi per vedere Livia sbattuta all’indietro da Padfoot, che
stava ringhiando, Remus non l’aveva mai visto ringhiare prima:
denti scoperti, schiumanti alla bocca.
«Padre!» Livia urlò. «Aiutam-»
E con un lampo di luce viola, Livia tacque. I suoi occhi si
spalancarono, un grande taglio nero le aveva tagliato la gola. Si
aggrappò al collo per arginare il sangue che zampillava, ma non
andava bene, era troppo tardi.
Greyback emise un grande ruggito di angoscia, ma Ferox era già in
piedi e con la bacchetta alzata, pronto a lanciare di nuovo la stessa
maledizione. Greyback era stato messo alle strette.
«Sei un uomo morto.» Sibilò a Ferox e poi, con un ultimo ringhio
scomparve.
«Stronzate!» Ferox grugnì incespicando in avanti, ancora pronto a
imprecare.
Sirius era di nuovo Sirius e stava accanto a Livia, la fissava. Anche
Remus si avvicinò, provando uno spiacevole mix di sollievo e
genuino dolore. Il suo mantello di pelliccia grigia era macchiato di
sangue, che nella luce fioca sembrava viola intenso. Era terribile,
ma la sua prima preoccupazione era per Sirius.
«Tutto okay?» Chiese tranquillamente.
Sirius annuì, continuando a guardare in basso. «Tu?»

290
«Penso di sì.» Il braccio gli pulsava, mandandogli dolori lancinanti
alla spalla; ma sapeva che poteva essere risolto. Livia non poteva.
Ferox si unì a loro, una mano premuta sulla sua testa nel punto in
cui la roccia l’aveva colpito.
«Merlino, che casino.» Mormorò. «Almeno abbiamo la cagna.»
«Il suo nome è Livia.» Disse Remus arrabbiato.
All’improvviso vide la scena come potrebbe fare un passante. Tre
uomini in piedi sopra il suo minuscolo corpo.
Avrebbe potuto strappar loro la gola la sera prima senza fermarsi
per riprendere fiato. Era una forza della natura, regina della notte;
era una delle persone più forti che avesse mai incontrato. Era una
delle poche persone al mondo che capiva veramente cosa
significava essere un lupo. I suoi occhi erano ancora aperti e
fissavano ciecamente l’ampio cielo grigio.
Remus si inginocchiò accanto a lei e glieli chiuse delicatamente.

291
Inverno 1980 e Primavera 1981
Well I love you baby,
I’m telling you right here.
But please don’t make me decide baby
Between you and a bottle of beer!

Baby come on over;


Come on over to my side.
Well I may not live past twenty-one
But WOO!
What a way to die!

Sirius fece andare Remus subito a letto dopo la scaramuccia a


Galloway. Ferox aveva convocato Moody sulla scena e li aveva
scusati. Remus voleva chiedere del corpo di Livia; avevano
intenzione di seppellirla, almeno? Non sapeva se Livia aveva
qualche desiderio riguardo alla sua ultima dimora, ma presumeva
che preferisse essere da qualche parte nella natura; da qualche parte
dove la luce della luna avrebbe potuto raggiungerla.
Marlene era venuta nell’appartamento mentre andava al lavoro per
sistemare il suo braccio rotto.
«Grazie, Marls.» Sorrise debolmente. «Posso sistemare lussazioni
senza problemi, ma ossa rotte...»
«Non dovresti davvero fare incantesimi su te stesso, Remus.» Lo
rimproverò. «Sai che puoi sempre contattarmi, se ne hai bisogno.»
«Lo so.»
Gli lasciò un sonnifero e un altro unguento per alleviare il dolore e
gli ordinò di restare a letto e non fare nulla di utile o importante
per almeno quarantotto ore.

292
Fu solo il giorno successivo, quando Remus si svegliò dopo le due
del pomeriggio, che fu improvvisamente preso dal terrore al
ricordo delle ultime parole di Greyback.
«Ucciderà Ferox!» Gridò, mettendosi a sedere sul letto.
Sirius arrivò dal soggiorno, gli occhi spalancati per la
preoccupazione. «Che cosa?»
«Dobbiamo trovare Greyback!» Remus disse alzandosi dal letto, gli
arti che scricchiolavano. «Ha detto che avrebbe ucciso Ferox!»
«Moony, è tutto sistemato.» Disse Sirius, mettendo le mani fresche
sulle spalle di Remus, lisciando le braccia in un gesto confortante.
Ferox si trasferirà in un rifugio, aumenterà la sua sicurezza e sarà
più vigile. Non preoccuparti.»
«Non sarà abbastanza.» Remus scosse la testa, respingendo i
tentativi di Sirius di calmarlo. «Moody e Ferox, non trattano
Greyback come una vera minaccia, guarda cosa è successo! È più
pericoloso di quanto pensano, e ora è arrabbiato...»
«Sono sicuro che Moody lo sa, anche se Ferox è un po’ sprezzante
al riguardo.» Disse Sirius. Era così diplomatico; così ragionevole,
era esasperante. «Come ti senti? Metto su il bollitore, perché non
fai un bagno? Ti sentirai meglio...»
Remus fece il bagno, perché i suoi muscoli gli facevano ancora
male. In seguito si spalmò su un po’ di unguento, il che significava
almeno che poteva raddrizzarsi completamente. Rifiutò di
riposare. Tutto quello che voleva fare era controllare Ferox,
assicurarsi che avesse la giusta sicurezza in atto. Dopotutto non era
Remus che aveva fatto tutto il duro lavoro sugli incantesimi di
protezione? Sicuramente rientrava nelle sue competenze.
Alla fine Sirius cedette e chiamò Moody attraverso il camino. La
testa brizzolata dell’Auror aleggiava tra le fiamme come un orribile
uovo di Pasqua.
«Tutto sotto controllo Lupin.»Abbaiò.
293
«Ma Malocchio...» Supplicò Remus, era in ginocchio davanti al
focolare. «Greyback lo troverà, so che lo farà. Sarà in grado di
seguire l’odore, se solo mi dici dove si trova io posso-»
«Informazione riservata.» Moody scattò. «È stata presa ogni
precauzione. Puoi fidarti che l’ufficio dell’Auror può far fronte a
un lupo mannaro solitario.» L’umore di Remus si alzò e stava per
ribattere, ma Moody lo bloccò. «Non c’è tempo per questo Lupin,
è stata una settimana intensa. Riposati.»
Remus gemette furiosamente, sbattendo il pugno sul tappeto.
«Vedi?» Sirius disse, in piedi dietro di lui. «Moody ha sistemato
tutto.»
«Ma devo essere sicuro.» Disse Remus alzandosi. «Non capiscono,
non proprio, non come...»
«Non come te?»
«Esattamente!»
«Remus.» La voce di Sirius si indurì, dal nulla. «Devi stare attento
con quel tipo di discorsi. Penso... Penso che dovresti mettere un
coperchio sulla roba dei lupi mannari, per un po’.»
«Che cosa?» Remus si voltò a guardarlo, accecato. «“La roba dei
lupi mannari”!? Cosa dovrebbe significare? Io sono un lupo
mannaro.»
«Lo so, lo so.» Sirius si morse il labbro. «Ma tu sei anche un mago
e sei dalla nostra parte. Potrebbe essere una buona idea
concentrarsi su qualcos’altro, non vuoi che nessuno nell’Ordine
pensa che tu sia dalla parte sbagliata...»
Remus guardò Sirius a bocca aperta come se fosse un perfetto
sconosciuto. «La parte sbagliata...?»
«Non sto cercando di turbarti.» Disse Sirius, scegliendo
attentamente le sue parole. «Ti sto solo avvertendo. Le cose vanno
già abbastanza male, nessuno si fida di nessuno. Frank mi ha detto

294
che Silente pensa che ci sia una spia nell’Ordine, e se continui a
tirare fuori quanto sei amichevole con le creature oscure, allora-»
«Non sono “amico” delle creature oscure!» Gridò Remus. «Come
puoi... a meno che tu non stia dicendo che anch’io sono una
creatura oscura?!»
«Certo che non lo sto dicendo!» Sirius tuonò chiaramente offeso.
«È solo... Sai quanti pregiudizi ci sono, e non ti farà alcun favore
trasmettere questa strana connessione che hai con loro. Ho visto
Livia e ho visto Greyback, non sei per niente come loro. Non
lasciare che le persone pensino che lo sei.»
«Qualcuno ha detto qualcosa?» Chiese Remus chiedendosi da dove
venissero questi pensieri. «È Danny, o-»
«No, non è... è... Beh, dopo aver passato tutto quel tempo con loro,
le persone hanno sollevato preoccupazioni, ecco tutto. Lo puoi
capire, vero?»
«No non posso! Ero con il branco solo perché Silente lo ha
ordinato! Proprio come ho sempre fatto tutto quello che mi diceva
Silente!»
«Lo so...» Sirius distolse lo sguardo, come se fosse imbarazzato.
Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Remus conosceva
quel gesto. Sirius era nervoso. Strinse la mascella.
«Tu ti fidi di me?» Chiese, sapendo che il suo linguaggio del corpo
era aggressivo, ma non disposto a temperarlo.
Sirius lo guardò, gli occhi azzurri pieni di allarme. «Certo che sì! È
solo...» I suoi occhi caddero di nuovo, un altro mulinello di capelli.
«Sei sempre stato bravo a mantenere i segreti, Moony...»
La bocca di Remus si spalancò. Strinse i pugni, poi li aprì.
«Bene.» Disse freddamente. «Se è così che ti senti.»
Si voltò e uscì dall’appartamento, Sirius non cercò di fermarlo.
Remus andò prima al negozio all’angolo più vicino e comprò una
bottiglia di gin estremamente economica e sgradevole. Allora il
295
problema era dove berlo. Non voleva sembrare un alcolizzato, che
beveva alcolici pesanti per strada in pieno giorno. Ma poi non
aveva nemmeno nessun altro posto dove andare.
Prese in considerazione l’idea di cercare Grant, ma non sapeva se
quel giorno avrebbe lavorato. Grant era tornato a Londra all’inizio
della primavera, dopo che troppe volte era rimasto bloccato sul
treno in ritardo per Brighton. Viveva in un monolocale da qualche
parte a nord, ma sulla base delle conversazioni telefoniche che
avevano avuto, raramente ci dormiva. Grant aveva una serie di
amanti e, se non stava partecipando a una lezione, di solito lo si
poteva trovare a saltellare a letto, o al lavoro, nel pub Sawyer’s
Arms.
«La varietà è il sale della vita.» Prese in giro Remus. «E io sono una
merda da solo. Non riesco a stare in silenzio.»
Remus sapeva come ci si sentiva. La maggior parte delle volte era
il motivo per cui beveva. Alla fine decise di essere troppo
arrabbiato per stare con chiunque altro e andò a nascondersi nel
parco come un vero e proprio vecchio perditempo. Avrebbe
dovuto andare da Grant, pensò, una volta che si fosse ubriacato a
dovere; questo sarebbe servito a Sirius.
Si addolorò anche per Livia; e fece un brindisi silenzioso. Era stata
crudele, sì. Un’assassina. Ma niente di tutto ciò era stata colpa sua,
davvero, non se tornavi abbastanza indietro. Era stata presa da
Greyback prima che fosse abbastanza grande per parlare; forse
quando aveva l’età di Harry. Livia non aveva altra scelta che
diventare un’assassina, non più di quanto Remus avesse scelta
riguardo al bere.
Alla fine tornò a casa, quando diventò troppo freddo. Non aveva
pensato di portare un cappotto quando era uscito di corsa. Sirius
era seduto sul divano che lo aspettava, le mani si torcevano
ansiosamente in grembo. Quando Remus entrò, Sirius lo guardò e
296
scosse la testa, deluso, e si alzò per preparare una teiera forte, senza
dubbio aveva percepito l’odore del gin.
Non dissero molto e non parlarono mai più di “roba da lupi
mannari”.

Remus non festeggiò il Natale 1980.


Infatti non aveva visto nessuno dei suoi amici, né Sirius dalla luna
piena, che era caduta il 21 dicembre, fino a gennaio. L’aveva
passato nascosto nella cantina di Moody, con Danny McKinnon.
Ferox era morto.
Non solo morto; era stato distrutto, eviscerato. Strappato a pezzi.
Secondo la Gazzetta del Profeta, ogni muro della casa di Ferox era
schizzato di sangue. Moody disse che il tappeto era così saturo da
schiacciare sotto i loro piedi: gli Auror erano arrivati sulla scena.
Greyback aveva mantenuto la sua promessa, proprio come Remus
aveva cercato di avvertirli. Ma non riusciva a dire “ve l’avevo
detto”. Era troppo arrabbiato. Ancora più arrabbiato, quando
Moody gli disse che avrebbe dovuto nascondersi dal Ministero.
L’omicidio di Ferox ha spinto il pubblico dei maghi a chiedere una
repressione sui licantropi. C’erano troppi nomi non registrati; le
leggi dovevano essere più dure; il registro doveva essere reso
pubblico. Non era più al sicuro: due giorni dopo che la morte di
Ferox era finita sui giornali, una nota lupo mannaro di nome
Theodora Lupa fu attaccata nella sua casa. Era registrata e aveva
trascorso la luna piena rinchiusa nelle celle del Ministero, ma la sua
innocenza non significava nulla per la folla vendicativa.
I Mangiamorte sembravano usare la scusa per suscitare più
pregiudizi contro le creature magiche: si era capito che lo stesso
Voldemort stava offrendo una ricompensa per informazioni sulle
posizioni di eventuali “mezzosangue”. Quindi Remus fu costretto
a nascondersi.
297
«Mi perderò il primo Natale di Harry.» Disse stupidamente, mentre
preparava la valigia.
«James e Lily capiranno.» Disse Sirius. Stava guardando Remus dal
letto, pallido di terrore. «Vogliamo solo che tu sia al sicuro.»
«Lo so.» Remus annuì, non c’era altro da dire.
Si scambiarono un casto bacio d’addio. Le cose non erano più state
le stesse da quando Livia era morta, e la notizia della morte
infernale di Ferox aveva reso Remus completamente insensibile.
Moody non era un granché come ospite. Bendò Remus e lo mise
accanto, quindi non aveva idea di dove fosse. Non vide niente della
casa, se era una casa, ma l’intero posto puzzava di magia nera così
pesante e densa che Remus pensò di soffocare.
In cantina la sua benda era stata rimossa ed era stato uno spettacolo
triste. Danny sedeva su un letto sgangherato e un altro era spinto
all’indietro contro il muro opposto. Non c’erano finestre e le pareti
erano di mattoni a vista. Moody aveva messo da parte alcune
provviste: spiegò che c’erano così tanti incantesimi di protezione e
incantesimi di occultamento sulla porta della cantina che ci
volevano ore per entrare o uscire, quindi era meglio che
rimanevano seduti finché non disse loro che la costa era libera.
Remus acconsentì, solo perché sapeva che avrebbe potuto
rompere gli incantesimi se avesse voluto.
C’era un piccolo bagno sul retro con un lavandino ma niente
doccia, quindi avrebbero dovuto fare del loro meglio con una
flanella e una saponetta. Il cibo era tutta roba secca che non
necessitava di troppa preparazione, e oltre a ciò non c’era proprio
niente. Remus era solo contento di aver avuto l’accortezza di
portare alcuni libri. Per non parlare della bottiglia di Whisky
Incendiario che aveva nascosto per ogni evenienza.
«Ciao.» Disse Danny, ottuso.

298
«Ciao.» Remus annuì, mentre Moody chiudeva a chiave la porta in
cima alle scale.
«Questa è una stronzata, non è vero?»
«Sì.» Remus si avvicinò e mise la sua valigia accanto al letto, poi ci
si sedette sopra. Si afflosciò pesantemente e scricchiolò.
Ne uscì un debole odore di muffa, che gli fece venire in mente la
Stamberga Strillante.
«Non ho mai trascorso un Natale lontano dalla mia famiglia.»
Danny disse. «Anche quando ero in tour non succedeva.»
Remus annuì, cupo. Non passava il Natale senza Sirius da quasi
dieci anni.
«Non ci potevo credere quando ho sentito parlare di Leo Ferox.
Era così... Non lo so, pensavo solo che sarebbe sopravvissuto alla
guerra. Ehm... Lo conoscevi bene?»
«Era il mio professore di Cura delle Creature Magiche.» Rispose
Remus. Non era ancora del tutto sicuro di come si sentiva a
riguardo; non sentiva davvero molto quando pensava a Ferox, solo
una sorta di sfocata malinconia.
«Oh wow.» Disse Danny. «Scommetto che era bravo in questo.»
«Sì, lo era.» Remus fece un piccolo sorriso. «Aveva un sacco di belle
storie.»
All’improvviso si ricordò di Achille, il kneazle di Ferox: che fine
aveva fatto? Pensò a Greyback, in piena forma di lupo, che si
imbatteva nell’elegante animale argenteo e, per la prima volta, i suoi
occhi si riempirono di lacrime. Cazzo.
Perché doveva succedere adesso? Pensò, mentre le sue spalle
cominciarono a tremare e cercava di riprendere il controllo. Perché
non potevo emozionarmi nell’appartamento, quando c’era solo Sirius?
A Sirius non sarebbe importato se avesse pianto. Non andava bene.
Si coprì il viso con le mani e aspettò che finisse.

299
«Scusa, Remus.» Disse Danny, goffamente. «Non mi rendevo
conto... Deve aver significato molto per te.»
Questo fece piangere Remus più forte, perché ovviamente Ferox
aveva significato molto. Era la prima cotta di Remus (senza contare
David Bowie, forse), anche se Remus non l’aveva capito del tutto
in quel momento. Era uno dei primi adulti di cui Remus si era
fidato, uno dei pochi che lo faceva sentire una persona di valore.
Forse si erano scontrati un po’, dato che Remus era cresciuto, ma
nessuno era perfetto.
«Mi dispiace.» Tossì asciugandosi gli occhi con la manica. «È stato
un brutto anno.»
«Puoi dirlo forte.» Danny disse. «Oh, Marls ti saluta. Avresti
dovuto vederla quando Moody è venuto a prendermi, anche lei era
pronta per venire.»
«Veramente?» Remus sorrise. «Sembra da lei.»
«Sì, ha detto di darti un abbraccio e un bacio, quindi dille che l’ho
fatto, okay?»
«Okay.» Remus rise, sentendosi un po’ più normale.
Lavorarono un po’ nel loro piccolo spazio vitale. Remus cercò di
non pensare alla cella a St Edmund’s, o alla Stamberga Strillante, o
alla cripta nella foresta o ad ogni gabbia in cui era stato costretto.
Aveva disfatto i vestiti e poi, non trovando un posto dove metterli,
li aveva rimontati e aveva fatto scivolare la valigia sotto il letto,
lasciando fuori solo il pigiama.
Avevano un po’ da mangiare, solo un po’ di pane e formaggio.
Remus non aveva mangiato carne da quando aveva sentito parlare
di Ferox.
«Cosa avresti fatto per Natale, se non fossi rimasto bloccato qui?»
Chiese Danny, a cena.
«Sarei stato dai Potter.» Remus rispose. «Con il nuovo bambino.»

300
«Oh sì, certo. Siete tutti amici, non è vero?» Danny annuì. «Marlene
parla di tutti voi come se foste celebrità.»
«Ah.» Remus grugnì. «Forse James e Lily. E Sirius.»
Danny si schiarì la voce goffamente. «Marls ha detto che tu e lui
siete...»
Remus si limitò a guardarlo, sostenendo il suo sguardo,
permettendogli di sentirsi a disagio.
Danny finalmente distolse lo sguardo. «Ovviamente va bene. Sto
bene con Marlene e Yaz, no?»
Remus si limitò a scrollare le spalle. «È un po’ come essere un lupo
mannaro.» Disse togliendosi la crosta di pane. «Tutti stanno
perfettamente “bene” con questo, a patto che tu non ne parli mai.»
Aveva qualche sigaretta rimasta e ne avrebbe gradita una dopo cena
ma; per prima cosa non voleva dividerla, e per seconda cosa non
c’erano finestre e sembrava un po’ scortese fumare.
Dio. Pensò. Questa sarà un’agonia.
Le cose si fecero ancora più imbarazzanti quando arrivò l’ora di
andare a letto. Stavano entrambi sbadigliando e concordarono che
era piuttosto tardi e che erano stanchi. Remus iniziò a togliersi i
calzini, e si alzò per sbottonarsi i pantaloni, quando realizzò che
Danny non si era mosso. Non riusciva a capire perché fosse così
timido; i giocatori di Quidditch non si spogliavano uno di fronte
all’altro tutto il tempo? James era stato un esibizionista nella stanza
del dormitorio di Hogwarts. Sicuramente Danny non poteva essere
timido per le cicatrici; Remus ne aveva molte più di lui.
«Spazi ravvicinati.» Commentò Remus, sperando di mettere Danny
più a suo agio.
Danny torse la bocca, gli occhi che si muovevano su e giù per
l’altezza di Remus.

301
«Ehm... Solo così sai, non è che io abbia un problema con questo...
con te. Ma io non mi muovo in quella strada.» Danny lo guardò
con diffidenza.
«Oh, povero me, cosa farò adesso?» Remus alzò gli occhi al cielo.
Strascicò, poi voltò le spalle e si infilò il pigiama. Si arrampicò sul
letto e rotolò su un fianco, rivolto verso il muro, per dimostrare
che non poteva importargli di meno da che parte Danny “si
muoveva”.
Hai visto il mio ragazzo?! Avrebbe voluto dire. Come se fossi interessato
a te, brutto babbeo.
Alla fine Danny si spogliò e si mise a letto, poi spense la luce.
Remus poteva sentire il suo cuore battere, e si rese conto che
probabilmente anche Danny poteva sentire il suo. Avevano anche
meno privacy di quanto pensassero.
«Scusa, Remus.» Alla fine Danny sussurrò. «Non intendevo niente
con questo.»
Questo faceva eco a qualcosa che Ferox aveva detto, e Remus sentì
la tristezza ritornare.
Si rotolò sulla schiena e parlò al soffitto. «Va bene. Dimenticato.»
Silenzio per un po’. Remus aspettò, sentendo Danny sospeso
sull’apice di una domanda.
«Lo ha sempre saputo?» Sussurrò Danny. «Sirius?»
«Mmh?» Remus lo guardò di traverso.
«Sai. Ha sempre saputo che eri un lupo mannaro?»
«Oh, sì. L’ha capito quando avevamo dodici anni o qualcosa del
genere.»
«E lui ancora... Voglio dire che siete ancora insieme.»
«Sì.»
«Questo è bello.» Danny disse, suonando molto serio. «È bello
pensare... Pensare che qualcuno potrebbe essere in grado di
guardare oltre, un giorno, sai?»
302
«Non dovrebbe essere qualcosa che le persone devono guardare
oltre per amarti.» Remus disse ferocemente. «Fa parte di quello che
sei.»
Danny non rispose.
Le cose diventarono un po’ più facili tra loro, dopo la prima notte,
ma si tenevano comunque a distanza. Remus lesse molto. Danny a
volte si esercitava, faceva flessioni o faceva jogging sul posto. Era
fastidioso, ma Remus non poteva biasimarlo.
Il giorno di Natale, Remus non ce la fece più e tirò fuori la bottiglia
di Whisky Incendiario. Entrambi si ubriacarono e passarono così
tutto il giorno di Santo Stefano. La stanza puzzava.
Entro il 27, stavano scalando le pareti. Remus aveva finito i suoi
libri, Danny ne aveva persino letto uno, e avevano cercato di
parlarne ma Danny sapeva così poco dei babbani che non aveva
capito veramente la trama.
«Quanto tempo ancora può essere?!» Disse Danny, esasperato. Era
il 31, l’ultimo giorno dell’anno. «E se fossimo ancora qui per la luna
piena?!»
«Mancano settimane.» Rispose Remus. Era sdraiato sulla schiena
sul letto, un braccio sul viso. Danny russava e lo teneva sveglio
tutta la notte. «Comunque, staremo bene, il posto migliore per noi.»
«E se ci attaccassimo a vicenda?»
«Beh, io non ti attaccherò se tu non attacchi me.»
«Vuoi dire che puoi controllarlo?!»
Remus sospirò. «Sì. Puoi farlo anche tu. Non intorno agli umani,
ma ad altri animali. Altri lupi, va bene. Perché pensi che vivano in
branco?»
«Non ci ho mai pensato davvero.» Danny disse. «Com’era? Il
branco?»
Remus si morse il labbro. Avrebbe dovuto mentire? O Danny
meritava di saperlo? «Non... Non era così male come pensavo che
303
sarebbe stato.» Disse, quella era la prima volta che lo ammetteva.
«Ovviamente Greyback lo era... ma il resto di loro... Quelli che si
sono separati stavano bene. Erano come una famiglia.»
«Beh.» Danny disse. «Ho già una famiglia.»
Andava così con Danny. Voleva sapere delle cose, voleva imparare
da Remus, ma se sentiva qualcosa che lo metteva a disagio, tornava
subito al disgusto di sé.
A Remus mancava Sirius così tanto che giurò di sentirlo nello
stomaco come la fame. Voleva così disperatamente avere qualcuno
con cui parlare veramente; che sollievo sarebbe passare del tempo
con il suo migliore amico e rilassarsi.
Chiederò scusa. Promise a sé stesso. Non mi arrabbierò mai più con lui.
Gli bacerò i piedi e mi trascinerò sui carboni ardenti e sui vetri rotti se riuscirà
a riportare le cose come erano.
Non voleva finire come Danny.
Era trascorsa una settimana dall’inizio del nuovo anno quando
finalmente Malocchio venne a prenderli. Entrambi percepirono
subito il suo odore e si sedettero, fissando intensamente la porta.
A quel punto avevano quasi finito il cibo, e Remus pregò che non
fosse solo una consegna di generi alimentari. Sentì che gli
incantesimi si stavano lentamente sciogliendo, ogni strato che si
stava staccando. Alla fine, la porta si spalancò e sentì il tonfo della
gamba di legno di Moody sulla prima scala.
«Tutto bene, ragazzi?» Lui chiamò. «Pronti per tornare al lavoro?»

Uscire da quella cantina era come salire a prendere aria. Remus si


sentiva come se tutti i suoi sensi fossero stati smorzati per
settimane, e ora tutto era un tripudio di colori, rumore e profumo.
Moody non scherzava sul tornare al lavoro. Li portò direttamente
in un nuovo rifugio, dove il resto dell’ordine si stava radunando
per una riunione. Remus sentì l’odore di Sirius non appena entrò
304
dalla porta, e lo rese così stordito dall’eccitazione che se avesse
avuto una coda sarebbe stato scodinzolante.
Si passò velocemente le dita tra i capelli unti e pensò a quanto
doveva apparire orribile.
Moody li guidò lungo un corridoio e, invece di andare direttamente
in cucina dove potevano sentire tutti parlare, virò in un piccolo
ripostiglio, che aveva una lavatrice babbana all’interno e una grande
pila di asciugamani sporchi in un cestino.
«Vi riporto in un minuto.» Spiegò. «La signorina McKinnon mi ha
molestato ogni giorno nelle ultime due settimane per riaverti, e
Black mi ha minacciato con ogni maledizione di cui abbia mai
sentito parlare.» Sorrise con indulgenza. «Quindi ora siete fuori, ma
ho bisogno che entrambi ascoltiate, giusto?»
«Giusto.» Entrambi annuirono, sbattendo le palpebre.
«Il pericolo non è passato. Siete ancora minacciati. Non posso
permettere a nessuno di voi di lasciare le vostre case senza un
travestimento. Preferirei che voi non ve ne andaste affatto.»
«Ma come possiamo aiutare l’Ordine se-»
«Ci sono molte cose che puoi fare.» Malocchio alzò una mano di
avvertimento, fissando Remus con uno sguardo duro. «Ricerca,
comunicazioni, inseguimento di incantesimi, che cos’hai. A meno
che non ti stavi godendo la tua piccola pausa accogliente nella mia
cantina?»
Entrambi scossero la testa ferocemente. No. Mai.
«Bene allora.» Moody annuì, di nuovo come se fosse un lavoro.
«Andiamo.» Spinse la porta e loro uscirono in fila, seguendolo in
cucina. Era gremita di persone, la maggior parte delle quali Remus
conosceva, e non appena la porta si aprì si voltarono tutti,
cinquanta paia di occhi, tutti spalancati per la diffidenza e la
preoccupazione.

305
«DANNY!» Una macchia bionda si precipitò oltre Moody e Remus
e il corpo sbatté contro Danny, avvolgendolo.
Lui ridacchiò e abbracciò Marlene. «Tutto bene, sorellina?»
«Remus?» Sirius si era alzato e stava attraversando la stanza
ansiosamente, scavalcando le sedie e superando le persone che
dovevano piegarsi e girarsi per allontanarsi, strappando tazze di tè
caldo.
Doveva guardare in basso mentre si avvicinava, quindi non
inciampò e i suoi capelli gli caddero davanti al viso, come strisce di
seta nera. Quando raggiunse Remus, che era ancora in piedi per
metà nel corridoio, Sirius dovette alzare il braccio e spazzare
indietro i capelli e Remus giurò che la stanza fosse rimasta
completamente silenziosa per un momento, e l’unico suono era il
frenetico battito del suo cuore. Si era dimenticato di respirare e
ansimò.
«Ciao.»
Sirius sorrise un po’, e fece un passo avanti, una mano sulla spalla
di Remus per spingerlo fuori dalla stanza, nel corridoio buio.
Lontano da tutti gli altri, Sirius fece scivolare la mano sul collo di
Remus, tra i suoi capelli e lo baciò sulle labbra, così
meravigliosamente.

Primavera 1981
Il periodo della luna di miele dopo il nascondiglio di Remus durò
fino a febbraio. Entrambi si erano così scusati ed erano così grati
di essere di nuovo insieme che per un po’ era stato tutto
meraviglioso, erano di nuovo come adolescenti. Soprattutto perché
Remus non avrebbe dovuto lasciare l’appartamento, il che
significava che non c’era davvero molto altro da fare.

306
Sirius si assentava per controllare James, Lily e il bambino ogni
tanto, e aveva ancora delle missioni da portare avanti ma tornava
sempre di corsa da Remus il prima possibile. Trascorrevano giorni
e serate sdraiati a letto insieme, mangiando fagioli su pane tostato,
fumando e ascoltando dischi. Era come vivere su un’isola privata:
avevano persino dovuto interrompere il collegamento della polvere
volante per motivi di sicurezza.
Fortunatamente, Remus aveva il permesso di tenere il telefono, la
sua ancora di salvezza, e gli altri venivano quando potevano. Mary
andava a trovarlo al ritorno dal lavoro almeno due volte a
settimana, per evitare la sua famiglia rumorosa.
«È una gioia, qui.» Sorrise, sprofondando nel divano e chiudendo
gli occhi. «Se avessi una televisione non me ne andrei mai.»
«Ah, ci sto lavorando, credimi.» Rispose Remus. «È davvero brutto
con i tuoi? Vuoi restare qualche notte?»
«Nah.» Aprì gli occhi. «Voglio stare con la mia famiglia. Mi
mantengono normale. È solo... Sai, loro non sanno nulla della
guerra, non voglio che lo sappiano ma... è così difficile.»
«Scusami.» Disse Remus malinconicamente. «Vuoi qualcosa da
bere?»
Mary gli rivolse uno dei suoi lunghi sguardi gentili, inclinando la
testa. «No, Remus.» Gli toccò il ginocchio. «Non è mai una buona
idea bere quando ti senti così. Non migliora le cose, vero?»
Remus si limitò a scrollare le spalle. Non aveva visto quale fosse il
grosso problema.
Mary si limitò a sorridere di nuovo, bevve un sorso di tè e continuò
come se nulla fosse accaduto. «Comunque, posso sempre fare un
salto da Darren se ho bisogno di una pausa dai bambini.»
«Darren? Quel ragazzo con cui uscivi al quarto anno?»
«Ben memorizzato.» Rise. «Sì, vive ancora dall’altra parte del
corridoio. A volte ci vado, siamo amici.»
307
«Solo amici?» Remus inarcò un sopracciglio.
Mary abbassò lo sguardo, improvvisamente triste. «Sì. È tutto
quello che può essere, adesso. È un babbano, io sono nell’Ordine...
Sto già mettendo la mia famiglia così tanto a rischio, non potrei
sopportare se...» Scosse la testa, il suo viso risoluto. «Scusa! Dovrei
essere qui a farti compagnia, non a buttarti giù!»
Lei non volevo ancora bere dopo ciò, ma fecero comunque una
bella chiacchierata. Col senno di poi, Remus sarebbe stato
contento se Mary fosse rimasta lì quella notte, e che gli avesse
impedito di ubriacarsi. Perché quella fu la notte in cui James si fece
male.

308
Triage
Police and thieves in the streets (oh yeah)
Scaring the nation with their guns and ammunition,
Police and thieves in the street (oh yeah)
Fighting the nation with their guns and ammunition.

From genesis to revelation,


The next generation will be, hear me
From genesis to revelation,
The next generation will be, hear me,

And all the crowd come in, day by day


And no one stops it in anyway
All the peacemaker, turn war officer
Hear what I say.

Mentre Mary e Remus sedevano sull’accogliente divano nel piccolo


appartamento di Soho, le tende tirate sulle finestre buie, il
caminetto scoppiettante, Sirius, Lily e James erano in pericolo
mortale.
Questo era passato per un normale venerdì sera a quei tempi.
Ormai tutti avevano sviluppato un atteggiamento fatalistico nei
confronti della vita e una specie di umorismo da forca.
«Ci vediamo, dopo.» Diceva Sirius, uscendo di casa. «Se ce la
faccio.»; «Ci vediamo a casa.» Diceva James a Lily. «Se è ancora lì!»
Aiutava tutti a superarlo in quel momento, dopotutto se dicevi la
cosa peggiore ad alta voce non avrebbe potuto ferire così tanto,
vero? Il pensiero torturò Remus per molto tempo dopo la fine della
guerra.

309
Dovevano essere solo di pattuglia di routine a Diagon Alley, il che
aveva fatto sentire Remus meglio perché era vicino. Erano in tre e
avrebbero fatto il check-in con un membro anziano dell’Ordine
all’inizio e alla fine, quindi avrebbe dovuto essere tutto come al
solito. In effetti, Mary stava per lasciare Remus e tornare a casa per
la notte quando ci fu un colpo alla porta.
Entrambi sobbalzarono e Mary si lasciò sfuggire uno strano
squittio di terrore. Poi la porta iniziò ad aprirsi, ed entrambi si
alzarono, con le bacchette alzate, Remus coprì quanto più poteva
Mary.
«Aiuto!» Giunse una voce soffocata, Sirius e Lily si fecero strada
nell’appartamento, la figura inerte di James che si afflosciava tra di
loro, un braccio sopra ciascuna delle loro spalle.
«Cristo!» Remus si fece avanti per aiutare, e tra tutti loro lo fecero
sedere sul divano. «Cosa è successo?!»
«Remus.» Mary soffocò, la sua bacchetta ancora alzata, la mano
tremante. «Le domande...»
«Giusto, cazzo. Okay, uhm...» La sua mente correva, non riusciva
a smettere di fissare il viso di James, pallido e ceroso, luccicante di
sudore. Guardò Lily. «Cosa ha... uhm... Chi...?»
«Lily, chi è stato il tuo primo bacio?» Mary intervenne velocemente.
«Dirk Cresswell.» Disse Lily prontamente.
Sirius e Remus le lanciarono entrambi uno sguardo buffo, ma non
c’era tempo per fare storie.
«Sirius.» Disse Mary, dirigendo la sua bacchetta. «Stessa domanda.»
«Non lo so!» Sirius disse esasperato tirando via le vesti di James,
non c’era sangue ma gli occhi di James erano chiusi, le palpebre
viola scuro. «Uno di voi va a prendere McKinnon!»
«Cosa vuol dire che non sai?!» Mary gli voltò le spalle. «Rispondi
alla dannata domanda, Black!»

310
«Non posso, davvero non lo so! Era una ragazza babbana in un
cinema! Moony, diglielo!»
«Sta dicendo la verità.» Disse Remus, con la gola secca. «È vero,
avevamo litigato per questo. L’avevo preso a pugni.»
«Ti ho preso a pugni anche io.» Mormorò Sirius, esaminando James
con la sua bacchetta. «Chiami Marlene? Per favore!»
«Vado io.» Disse Mary, uscendo rapidamente dalla stanza.
La porta sbatté e udirono un *CRACK* mentre lei scompariva dal
pianerottolo.
Lily entrò di corsa dal bagno, stringendo una flanella umida. Si
inginocchiò accanto a James e se lo premette sulla fronte,
«Non osare, Potter.» Gli sussurrò febbrilmente all’orecchio. «Non
osare dannatamente...»
«Cosa che è successo?» Remus afferrò la spalla di Sirius. «Un
attacco?»
«Sì.» Sirius annuì, sudando e tremando. Remus avrebbe voluto che
si sedesse, ma sapeva che non aveva senso dirlo. «Un agguato. Sei
Mangiamorte. Qualcuno deve aver saputo che saremmo stati lì,
qualcuno deve averlo detto...»
«Sirius!» Lily gridò. «Guarda!»
Aveva allentato la camicia di James e aveva rivelato lunghe strisce
di colore verde, come i rami degli alberi che si estendevano sotto
la sua pelle. Il suo respiro era superficiale.
«Oh cazzo.» Si sbriciolò Sirius, cadendo in ginocchio accanto a Lily.
«Hai sentito qual era la maledizione?»
Lily scosse la testa, le lacrime le rigavano il viso. Il respiro di James
si fece affannoso, rantolando in gola, ed era molle come una
bambola di pezza.
Il cuore di Remus iniziò a tremare nel suo petto, la sua vista nuotò
e le sue ginocchia si indebolirono. Non James! Era il migliore di
loro. Era lui che doveva farcela. Come avrebbe potuto esserci un
311
mondo senza James Potter? Si può immaginare un mondo senza
gentilezza, risate o malizia?
«Whisky Incendiario.» Remus disse, all’improvviso. «Ho una
bottiglia da qualche parte.»
«Non ora, Moony!» Sirius sbottò, la sua faccia frastagliata come
quella di un demone.
Remus si ritrasse ferito. «Intendevo per Prongs! Potrebbe aiutare
lo shock.»
«Prova!» Lily gemette, sollevando la fredda flanella sulla fronte di
James per sentire la sua pelle. Remus poteva dire da un metro di
distanza che aveva la febbre. «Proviamo qualsiasi cosa!»
Remus corse, e mentre era in cucina alla ricerca di un cucchiaio di
legno (aveva sentito che il metallo era un male per qualcuno che
aveva una crisi convulsiva, potevano ferirsi i denti. James non si
stava muovendo, ma meglio essere al sicuro), Mary tornò con
Marlene. L’intera atmosfera era cambiata.
«Toglietevi di mezzo, per favore!» Risuonò la voce cristallina di
Marlene, la sua intrinseca autorità di buon senso ristabilì
immediatamente l’ordine.
Sollevato, Remus uscì stringendo il Whisky Incendiario. Lily stava
piangendo più forte ora, fece un passo indietro per lasciare che
Marlene lavorasse. Sirius l’aveva abbracciata, gli occhi non
lasciavano mai il viso di James, che stava iniziando a diventare di
una mortale sfumatura di grigio.
«Marls.» Disse Sirius con urgenza. «Per favore... per favore...»
«Sto facendo del mio meglio, Black!» Abbaiò Marlene, voltandosi
per aprire la sua borsa.
Remus colse l’espressione arrossata del terrore sul suo viso, il
luccichio delle lacrime nei suoi occhi. Questo non era un bene. Era
come se stessero tutti trattenendo il fiato. Mary era ancora nel suo
cappotto, schiacciata contro la porta.
312
«C’è qualcun altro che posso cercare?» Chiese, la sua voce roca.
«Dimmi, vado ovunque.»
«Non lo so.» Disse Marlene tremando. «Non c’è nessuno di sicuro
al San Mungo, e non so se qualcun altro nell’Ordine è... Emmeline,
forse, ma è in Ungheria o da qualche parte...»
«Puoi farlo però, Marls?» Lily disse disperatamente. «Puoi curarlo?»
«Non lo so, io... Qual era la maledizione?»
«Non lo sappiamo.» Disse Sirius. «Non aveva parole.»
«Che ne dici di un bezoar?» Chiese Mary.
«Quello è per il veleno.» Ribatté Sirius. «Lui è stato maledetto.»
«Sì, ma comunque, non vale la pena provare?»
«Comunque non ne ho uno!» Marlene si lasciò sfuggire un
singhiozzo. Stava davvero piangendo ora, le sue mani in bilico sul
corpo di James, tremanti.
Il suo respiro stava diventando sempre più lento, Remus poteva
ancora sentire il suo cuore battere, ma si stava indebolendo; un
lungo “thwump” sciropposo. Dovevano fare qualcosa.
«Puoi descrivere la maledizione?» Chiese, il cervello che
ticchettava.
«Era senza parole!» Ripeté Sirius, con impazienza.
«No, ma potresti descriverla?» Remus insistette, fermamente. «Una
luce? Un colore? Un odore?»
«Non sono come te Remus, non sono...» Sirius si passò le dita tra i
capelli, aggrottando la fronte.
«Blu.» Lily disse, tirando su col naso. «C’era una luce blu, non è
vero Sirius?»
«Sì!» Annuì illuminandosi. «Era blu, e un po’... frastagliato? Breve,
come un dardo.»
«Sì.» Lily si asciugò gli occhi, guardando Remus come se fosse il
suo salvatore. «Era come se venissero lanciate frecce contro di noi;
frecce blu.»
313
«Okay.» Remus annuì, come se sapesse esattamente cosa stava
facendo. Non aveva mai sentito parlare di una maledizione che lo
facesse. «Okay, quindi... blu... ehm...»
«Remus!» Mary gridò. «Il blu non è un incanto esplosivo?»
«Sì.» Ci saltò sopra, avidamente, poi aggrottò la fronte. «Ma non
ha...» Abbassò lo sguardo su James: era completamente intatto,
solo incredibilmente debole.
«Forse l’hanno combinato con qualcosa?» Disse Lily,
raddrizzandosi, incrociando le braccia sul corpo e mettendo la
faccia da guerra. «Alchimia magica, voi ragazzi lo fate sempre.»
«O potrebbe essere stato un errore.» Disse Sirius, sporgendosi, i
suoi occhi finalmente si concentrarono correttamente. «Anche
questo succede sempre.»
«Sì!» Remus concordò. «Il Mangiamorte potrebbe aver voluto
davvero usare molta forza, che a volte può diventare esplosiva...
oh! Avevi incantesimi con scudo?»
«Lo avevamo.» Annuì Lily, le rughe sulla fronte che si
approfondirono. «Ma James... Il suo era appena caduto, solo per
una frazione di secondo, stava cercando di...»
«Stava cercando di proteggermi.» Disse Sirius, molto basso.
«L’ultima cosa che ha fatto è stata disarmare quel fottuto ragazzo
Crouch, stava per prendermi con un imperdonabile.»
Remus sbatté le palpebre per lo shock e poi spinse quella
sensazione verso il basso, verso il basso il più possibile, perché
aveva bisogno di affrontare James ora.
«Okay.» Deglutì. «Okay, e se chiunque abbia colpito James fosse
solo un po’ lento? Ho cercato di superare l’incantesimo dello scudo
nell’istante stesso in cui è caduto.»
«Ha senso.» Disse Lily, il suo viso luminoso di lacrime, sudore e
speranza. «Questo spiega le brevi raffiche!»

314
«Okay fantastico!» Remus guardò Marlene, che lo stava fissando
con gli occhi grandi come piattini.
«Cosa devo fare Remus?» Disse con voce molto bassa, come se
fossero tornati nella biblioteca di Hogwarts e lei non capisse un
principio di trasfigurazione.
«Io... Come l’ha colpito?» Chiese Remus agitato, lei non sapeva
cosa fare?! Era lei quella con due anni di formazione come
guaritrice! «Cosa dovrei fare?! Pensa!»
«Sto cercando!» Disse Marlene, ancora tremante.
Remus voleva prenderla per le spalle e scuoterla. Davvero, doveva
riprendersi! Questo era James! Aveva una famiglia e un bambino,
e Sirius aveva bisogno di lui, e Remus aveva bisogno di lui. Tutti
avevano bisogno di lui! Marlene continuava a fissarli tutti,
congelata.
«Marls.» Mary si avvicinò rapidamente, accovacciandosi accanto
all’amica. Prese Marlene per le spalle, ma non la scosse. L’abbracciò
e le accarezzò i capelli. «Tesoro.» Sussurrò nella stanza silenziosa.
«Puoi farcela. Sei la persona più intelligente che conosca. Se
qualcuno sa cosa fare, sei tu. Okay?»
Marlene chiuse gli occhi per un momento e inspirò
profondamente. Li aprì e annuì.
«Giusto.» Disse, voltandosi di nuovo a James. «È duro, proprio nel
petto... È... Sì! Sì, ha senso!»
Iniziò a borbottare tra sé e sé, e poi mosse la bacchetta, un caldo,
morbido bagliore lilla che emanava dalla punta, raccogliendosi sul
corpo prono di James affondando lentamente, come schiuma.
Trattennero tutti il fiato ancora una volta, mentre Marlene
lavorava. Sirius stava tenendo la mano di Lily, e Remus poteva
vedere le sue nocche diventare bianche mentre la afferrava. Mary
rimase al fianco di Marlene, inginocchiata sul tappeto accanto al
divano, la testa piegata come se stesse pregando.
315
Remus si limitò a stringere la sua bottiglia di whisky e si sentì come
se il mondo gli stesse cadendo da sotto. Non c’era niente da fare
se non guardare e aspettare, ascoltare i continui borbottii di
Marlene e cercare di mantenere la calma.
La magia che stava usando aveva un profumo dolce e fresco, come
l’erba tagliata o le foglie in erba. Il profumo della primavera, della
rigenerazione. Questo era un buon segno, pensò Remus. Avrebbe
voluto imparare di più dai lupi mannari: le loro tecniche di
guarigione erano state impeccabili. Ma forse funzionavano solo su
altri lupi mannari?
Il respiro di James stava diventando più regolare, il suo battito
cardiaco un po’ più forte. *WOOSH*, *WOOSH* *WOOSH*.
Remus poteva già sentire il suo sangue che pulsava più
velocemente.
«Sta funzionando!» Disse, avvicinandosi un po’ per sentire meglio.
«Ce la stai facendo, Marlene!»
«Oh grazie.» Disse Lily, coprendosi gli occhi con le mani. «Grazie,
grazie...»
Marlene smise di borbottare e sentì il battito di James. Sospirò di
sollievo e annuì.
«Stabile.» Lei disse. Poi, guardando in alto. «Potrei anche dargli un
po’ di quel whisky, Remus.»
Dopo averlo bevuto un po’, Marlene diede a James una pozione
rinforzante. A quel punto stava riprendendo un po’ di colore e il
suo petto si alzava e si abbassava in modo uniforme. Erano fuori
pericolo. Tuttavia, Marlene non voleva che si muovesse, non
finché non avesse ripreso conoscenza.
«Può restare qui.» Disse Remus. «Certo che può. È sicuro, non è
vero, Padfoot?»
Sirius stava guardando Remus, dall’altra parte della stanza. Stava
pensando, Remus ne era sicuro; aveva la sua faccia concentrata.
316
Per qualche ragione, Remus sentì freddo. «Padfoot?»
«Sì...» Disse Sirius lentamente. «Ma pensavamo che Diagon Alley
fosse abbastanza al sicuro.»
«Bene, ora è qui.» Disse Lily, alzandosi dal fianco di James.
«Rimane. Devo tornare a casa, Peter si sta occupando di Harry,
deve essere così preoccupato! Torno subito...»
«Qualcuno dovrebbe andare a chiamare Silente.» Disse Sirius,
bruscamente.
«Per che cosa?» Chiese Mary.
«Solo... Dovrebbe sapere che siamo stati attaccati. Dovrebbe
sapere che qualcuno ha detto ai Mangiamorte dove saremmo stati.»
«Sirius!» Mary lo fissò, con la bocca aperta. «Stai dicendo...
Qualcuno nell’Ordine?!»
Sirius annuì e non guardò più Remus.
«Andrò io!» Si offrì Remus.
«No!» Disse Sirius. «Non puoi, tu... devi restare qui. Non è sicuro
per i lupi mannari.
«Non sembra sicuro per nessuno!» Ribatté Marlene, alzandosi in
piedi, asciugandosi la fronte. «Vai Sirius, dato che è così
importante. Remus, Mary e io possiamo restare e prenderci cura di
James.»
Sirius guardò James e poi Remus; non guardò la sua faccia, solo la
sua direzione generale.
«Okay.» Disse. «Sarò molto veloce.» E si diresse fuori dalla porta.
Le tre donne guardarono Remus goffamente.
Lily si avvicinò per stringergli la spalla e disse gentilmente. «È solo
arrabbiato, amore. Si incolpa per quello che è successo, James stava
cercando di salvarlo quando è stato colpito. Non prenderla sul
personale, eh?»
«Lo so.» Remus alzò il mento virilmente, schiacciando tutte le
emozioni amare e marce. «Va bene. Siamo tutti scioccati. Va bene.»
317
«Devo andare.» Disse di nuovo Lily. «Harry.»
«Vengo con te.» Disse Mary. «Dovremmo andare ovunque in
coppia. Questo è quello che direbbe Moody.»
Entrambe se ne andarono, e Remus cercò di non pensare al fatto
che Sirius fosse svanito nella notte completamente solo.
Marlene ormai si era ripresa e si stava dando da fare per far sentire
James a suo agio.
«Avrei dovuto dire a Lily di portargli un pigiama. Magari ci ha
pensato.» Disse. «Hai un cuscino e delle coperte per lui, Remus?»
«Sì, certo.» Remus annuì, correndo in camera da letto, tornando
con cinque coperte e due cuscini (erano gli unici cuscini che
avevano, in realtà; li aveva presi direttamente dal letto).
Marlene stava controllando di nuovo il polso di James quando
tornò.
«Sta bene?!»
«Sì.» Marlene annuì. «Ancora stabile. Stavo solo controllando...»
Prepararono un letto sul divano intorno a lui. Remus si tolse le
scarpe, ma decisero di aspettare finché Lily non fosse tornata per
spogliarlo. Sembrava che stesse solo dormendo.
Remus sorrise. «Non ho mai sentito James tacere così a lungo.»
Commentò, sperando di alleggerire un po’ l’atmosfera.
«Ah.» Disse Marlene, poi scoppiò di nuovo in lacrime.
«Ehi, ehi, ehi...» Remus la attirò a sé. «Adesso è finita! Per favore
non piangere...»
«Mi- dispiace- sono solo- così- spaventata-» Singhiozzò Marlene,
soffocando ad ogni respiro. «Ho lasciato- tutti- giù!»
«No, non l’hai fatto!» Remus si sentiva terribilmente in colpa per
averle gridato. «Hai fatto un lavoro fantastico!»
«Solo- perché- tu- hai aiutato.»
«Beh, ovviamente.» Le baciò la testa. «Ecco a cosa servono gli
amici.»
318
Lily e Mary tornarono per prime. Lily cullava Harry tra le sue
braccia che stava dormendo, per fortuna. Andò dritta al fianco di
James ancora una volta.
«Ho portato alcune delle pozioni di Effie.» Disse. «Dai un’occhiata,
Marlene. Potrebbe esserci qualcosa di utile...»
«Non voglio riempirlo troppo.» Disse Marlene, con cautela. «Il
riposo e l’osservazione sono la cosa migliore ora, lo prometto.»
Si era lavata la faccia e aveva bevuto un sorso di whisky, ed era
notevolmente più calma ora.
«Hai visto Wormtail?» Chiese Remus.
«Sì.» Rispose Mary prendendo Harry da Lily, in modo che potesse
concentrarsi su James. «Era davvero sconvolto, voleva andare a
casa e controllare sua madre. Non posso biasimarlo.»
«No di certo.» Remus acconsentì. Anche lui avrebbe voluto andare
da sua madre, se ne avesse avuta una.
Preparò una teiera di tè forte e tutti ne presero una tazza, ma
nessuno ne bevve. Marlene e Lily si riversarono su James,
svestendolo e mettendolo a letto, riempiendogli il cuscino, mentre
Mary cullava gentilmente Harry tra le sue braccia. Remus guardò
loro tre; fanciulle sante in una pala d’altare di una chiesa e si sentì
completamente inutile.
«Possiamo spostarlo a letto?» Disse, seccato di averci pensato solo
ora. «Così puoi dormire accanto a lui, Lily.»
«Meglio non per ora.» Consigliò Marlene.
«Bene, allora ti preparo un letto qui...» Cercò di ricordare alcuni
incantesimi di trasfigurazione, anche se evocare mobili di solito era
qualcosa in cui Sirius era più bravo.
«Non preoccuparti, Remus. Non vado a dormire.» Lily sorrise
stancamente.
«Non credo che nessuno di noi lo farà.» Disse Mary. «Ho
telefonato a mamma. Va bene se rimango qui anche io, amore?»
319
«Ovviamente.» Annuì. E ovviamente Marlene non sarebbe andata
da nessuna parte finché non fosse stata certa che James si sarebbe
ripreso completamente.
Alla fine, decisero che avrebbero dormito a turni e avrebbero preso
il letto due alla volta. Nessuno di loro voleva andare per primo,
ovviamente, e tutti si sistemarono per una notte molto lunga.
Remus si appoggiò alla mensola del caminetto, ascoltando il cuore
di James che batteva attraverso la stanza. Continuava a immaginare
il suo amico improvvisamente seduto, sorridendo a tutti loro e
dicendo «Va tutto bene voi? Maledizione, chi è morto?!»
Alla fine Sirius tornò con Silente e ogni pace che erano riusciti a
reclamare fu infranta.
«Ho bisogno di sapere tutto.» Disse il vecchio preside, il viso
severo, gli occhi ardenti come il centro blu di una fiamma.
Sirius e Lily iniziarono a parlare. Spiegarono come tutto fosse stato
di routine e standard; noioso, semmai. Avevano esplorato Diagon
Alley, persino Notturn Alley e avevano trovato tutto perfettamente
al sicuro.
Poi erano partiti passando per l’uscita del Paiolo Magico, e avevano
deciso di raggiungere a piedi il punto del check-in, dato che era una
bella serata e non troppo lontana. Avrebbero dovuto incontrare
Dorcas Meadowes in un caffè o in Tottenham Court Road, ma
prima di raggiungerlo avevano subito un’imboscata.
«Non avreste potuto essere seguiti?» Chiese Silente guardandoli
entrambi e loro scossero la testa.
«Ce ne siamo assicurati.» disse Lily. «Non erano dietro di noi, erano
davanti: ci stavano aspettando.»
«Merda, qualcuno dovrebbe dirlo a Dorcas...» Sirius disse
all’improvviso. «Dopo che James è stato... Dovevamo andare via
in fretta, non c’era tempo.»

320
«Non avrebbe avuto importanza.» Silente agitò una mano. «Dorcas
Meadowes è morta.»
La stanza cadde nel silenzio. Harry si svegliò e iniziò a piangere.
Lily lo prese subito da Mary, stringendo suo figlio vicino al petto.
Sirius parlò per primo.
«Ho ragione, no?» Guardò Silente direttamente in faccia. «C’è una
spia nell’Ordine.»

321
Estate 1981
Once I had a love and it was a gas,
Soon turned out; had a heart of glass.
Seemed like the real thing, only to find,
Much of mistrust, love’s gone behind.

Once I had a love and it was divine,


Soon found out I was losin’ my mind
It seemed like the real thing but I was so blind,
Much of mistrust, love’s gone behind.

James si riprese lentamente. Fu riportato a casa Potter il giorno


successivo (si svegliò intontito e incapace di dire molto per poi
riaddormentarsi rapidamente), ma Silente dichiarò che questa era
una soluzione temporanea. Disse a Lily di prepararsi a partire in un
attimo.
Dopo mesi in cui erano stati considerati membri giovani
dell’Ordine, i Malandrini e i loro amici improvvisamente avevano
tutti gli occhi addosso.
Alla successiva riunione dell’Ordine, alla quale James insistette per
partecipare nonostante il suo stato indebolito, ci furono
sicuramente dei sussurri.
Sette ragazzi, tre di loro ricchi eredi di case purosangue, due nati
babbani, un lupo mannaro, una guaritrice alle prime armi: cosa li
aveva resi così speciali? Ci si poteva fidare? Fino a quel momento
erano sopravvissuti alla guerra, contro ogni previsione. Erano stati
solo fortunati o c’era qualcosa di più? Chi erano questi ragazzi, che
erano sfuggiti a sei Mangiamorte e in qualche modo avevano
invertito una maledizione quasi incomprensibile?

322
Si erano riuniti in un piccolo cottage, da qualche parte nel Peak
District. Era un piccolo soggiorno, ma a quel punto l’Ordine era
piccolo.
Alla fine dell’incontro regolare, che era davvero diventato più un
servizio di commemorazione per le persone che avevano perso
dall’ultima volta che si erano incontrati, Silente chiese a Lily e
James di rimanere indietro mentre tutti gli altri tornavano a casa. A
sua volta, James chiese a Remus, Sirius e Peter di restare.
«Sei sicuro?» Sirius sussurrò, urgentemente. «Dopo tutto quello che
è successo...?»
«Dopo tutto quello che è successo, voglio che i miei migliori amici
siano vicini.» James rispose.
Remus provò un grande orgoglio per questo; per James, la buona
sportività si estendeva a ogni elemento della sua vita. Diffidare
delle persone che amava sarebbe stato altamente disonorevole.
Sirius incrociò le braccia, ma non discusse.
James sedeva su una poltrona di chintz, la schiena dritta, la faccia
tesa. Sembrava perfettamente in salute, a meno che tu non lo
conoscevi davvero: le sue guance erano più incavate, la sua pelle
più pallida e, sebbene tutti fingessero di non essersene accorti, i
suoi capelli nero corvino adesso avevano qualche filo di grigio. Lily
gli appoggiava una coperta sulle ginocchia, ma lui continuava a
spingerla via, irritato.
«Sto bene.» Mormorò sottovoce. «Lasciami stare!»
«Non c’è bisogno di fare così!» Sibilò in risposta Lily.
Sembrava anche lei molto più pallida, il suo viso stanco segnato
dalla preoccupazione. Remus non aveva mai visto Lily e James
scattare l’uno contro l’altro prima. È stato orribile. Harry si agitava,
agitava le braccia e faceva una smorfia. Lily non voleva correre
rischi adesso: andavano dappertutto come famiglia, o da nessuna
parte.
323
«Shh.» Lo fece oscillare sul fianco. «Tranquillo ora, mamma e papà
sono impegnati...»
«Dammi qui.» Sirius tese le braccia. «Faremo un piccolo gioco, non
è vero Harry?» Sollevò il bambino, e Harry si dimenò e ridacchiò
deliziato.
Non diceva ancora molte parole: “Da-da”, “Ma-ma”, “No!” e, per
qualche motivo, “Moto!” Erano più o meno tutto. Riconosceva
però il suo padrino. Remus si chiese se fosse l’odore della vecchia
pelle. Le sue esperienze con Harry erano incostanti. Andavano
d’accordo finché il ragazzo non iniziava a piangere e Remus non
era bravo a fingere di giocare, come lo era Sirius.
I due si sistemarono sul pavimento del soggiorno, Sirius con le
gambe divaricate, Harry in mezzo. Sirius tirò fuori un trenino
giocattolo da una delle tasche della giacca, e Harry iniziò a spingerlo
attraverso il tappeto irregolare, borbottando felicemente tra sé.
Sirius gli sorrise. Era così bravo con i bambini. Remus provò uno
strano senso di dissonanza; Sirius voleva dei figli suoi un giorno?
Non ne avevano mai discusso, e Remus non aveva mai avuto il
minimo interesse. Non si sentiva qualificato per essere un genitore
e non era sicuro che lo sarebbe mai diventato.
Forse era quello, allora. Forse era per questo che Sirius si stava
comportando in modo così strano?
Le preoccupazioni private di Remus furono interrotte da Silente
che si schiarì la gola, attirando l’attenzione di tutti.
«Abbiamo motivo di credere.» Disse con calma. «Che l’attenzione
di Voldemort sia cambiata.»
Tutti guardarono in alto, anche Sirius.
«Abbiamo ricevuto alcune informazioni che il Signore Oscuro è
venuto a conoscenza di una profezia che è stata fatta all’inizio dello
scorso anno, che sembrava riferirsi direttamente a lui.»

324
«Una profezia?» Peter si sporse in avanti. «Quale profezia? Che
cosa diceva?»
«È meglio che condividiamo solo i dettagli più pertinenti.» Disse
bruscamente Silente. «Soprattutto in compagnia mista.»
Tutti si guardarono intorno nella stanza. Remus si sentiva un po’
nauseato, non considerava le persone riunite come “compagnia
mista”. Erano suoi amicil, i suoi compagni e le persone di cui si
fidava per la vita. Cercò di incrociare lo sguardo di Sirius, sperando
in qualche rassicurazione, ma Sirius distolse velocemente lo
sguardo.
«Quindi ha cambiato la sua attenzione.» Disse James,
interrompendo la quiete scomoda. «Cosa vuole adesso?»
«In breve, signor Potter.» Disse Silente direttamente. «Lui ti vuole.
O meglio, vuole tuo figlio.»
Lily si lasciò sfuggire un orribile sussulto, la mano che le volava alla
bocca. James strinse i braccioli della sedia. Peter ebbe una strana
specie di spasmo nervoso.
Sirius prese Harry e si alzò subito. «Cosa?!»
«Mi dispiace.» Disse Silente con fermezza. «Ma l’ho saputo da fonte
certa-»
«Chi è la fonte?» Chiese Lily, sembrando strangolata.
«Questo non posso dirlo. Non metterò nessun altro in pericolo.»
«C’è una spia allora.» Disse Peter torcendosi le mani ansiosamente.
«Dalla loro parte, vuol dire?»
«Non posso dirlo.» Ripeté Silente.
«Be’ faresti meglio a dire qualcosa di utile!» James tuonò, quasi
gridando. «Cosa intendi con figlio mio?! Come può Voldemort
anche solo sapere di Harry?!»
«Non possiamo fidarci di nessuno.» Disse Sirius piano.
James si voltò a guardarlo, uno sguardo di pura incredulità.

325
Dentro di sé Remus era sollevato. James si fidava dei suoi amici,
ovviamente. Sirius era paranoico.
«Ma perché Harry?!» Chiese Lily, stridula.
«Voldemort crede che un giorno Harry crescerà per sconfiggerlo.»
«È quello che dice la profezia?»
Silente inclinò leggermente la testa, come se riflettesse su questo.
«È ciò che crede Voldemort.» Disse alla fine. «E questa è la stessa
cosa.»
«Dovrete nascondervi.» Disse Sirius, parlando direttamente a
James ora. «Tutti e tre. Devono esserci più incantesimi; una magia
più forte che non abbiamo ancora provato, ti manderemo nel
maledetto Timbuktu se necessario!»
«Padfoot.» Disse James, alzando una mano. «Calmati.»
«Non lo farò!» Gridò Sirius rosso in faccia.
Per una strana frazione di secondo, Remus non lo riconobbe
affatto. Harry iniziò a piangere, raggiungendo sua madre. Lily lo
prese e lo coccolò più vicino, baciandogli i bei capelli neri e
sussurrando sciocchezze rassicuranti.
«Sirius ha ragione.» Disse Silente, ancora calmo in modo
esasperante. «Dovrete nasconderti. I piani sono già in atto.»
«Quando possiamo andare?» James ha chiesto. «Oggi?»
«Presto.» Disse Silente. «Verrò per te.»
«Okay.» James annuì. «Okay. Giusto, bene.»
«Rimarrete tutti vigili, spero.» Continuò Silente, iniziando il suo
discorso di chiusura. Li guardò ciascuno, come per imprimere la
gravità della situazione. Quando incontrò gli occhi di Remus,
Remus si assicurò di guardarlo indietro, e cercò di trasmettere
un’aura di affidabilità e forza. Silente fece un breve cenno del capo,
prima di passare a Peter.
«E nessuno di voi condividerà queste informazioni con nessuno al
di fuori di questa stanza.»
326
Tutti annuirono.
La testa di Remus stava girando; se Lily e James si dovevano
nascondere, cosa significava? Sarebbero rimasti bloccati nella
cantina di Moody, come era stato lui? Sperava vivamente di no,
non l’avrebbe augurato a nessuno, men che meno ai suoi migliori
amici e al loro bambino.
Una volta che Silente se ne fu andato uscirono dal cottage, nella
fitta luce ambrata della sera, e si guardarono di nuovo. Harry si era
ormai addormentato, rannicchiato nelle vesti di Lily, una mano
paffuta che le infilava un pugno nella lunga treccia rossa.
«Fareste meglio a venire tutti a cena.» Disse James, con un sorriso
teso. «Nel caso non avessimo un’altra possibilità.»
Un nodo si sviluppò nella gola di Remus e rimase lì per il resto
della notte.
Tuttavia, si divertirono. Gully l’elfo domestico aveva preparato un
intero arrosto della domenica con breve preavviso: glorioso roast
beef, patate arrosto dorate e soffice yorkshire pudding, due tipi di
ripieno, sugo scuro ricco da far venire l’acquolina in bocca, carote,
pastinache, piselli, broccoli... Remus non aveva più mangiato in
quel modo dai tempi di Hogwarts.
Prima che iniziassero, James alzò il bicchiere per brindare.
«Ai nostri amici.» Disse, lanciando uno sguardo leggermente acuto
a Sirius. «Che sono sempre stati lì per noi, nel bene e nel male; Lily,
Harry e io vi amiamo così tanto.»
Remus dovette scusarsi dopo aver scolato il suo bicchiere.
Trascorse alcuni minuti a ricomporsi nel gabinetto al piano di
sotto. Quando uscì e tornò al tavolo, Sirius lo stava guardando di
nuovo, gli occhi socchiusi, la bocca una linea retta imperscrutabile.

327
Mercoledì 10 luglio 1981
Due giorni dopo, Sirius era scomparso nella notte. Doveva essere
sgattaiolato via deliberatamente, perché Remus non se ne rese
nemmeno conto finché non si svegliò la mattina dopo, e si rotolò
nel freddo cuscino vuoto. Si mise a sedere, confuso.
«Sirius?» Chiamò il resto dell’appartamento. Era vuoto.
Si alzò, andò in soggiorno e controllò la cucina: a volte si lasciavano
bigliettini. Non c’era niente. Ma le scarpe di Sirius erano sparite
assieme alle chiavi della moto, quindi doveva aver lasciato di sua
spontanea volontà.
Remus si sedette al tavolo della cucina e aspettò, fumando a catena.
Voleva contattare qualcuno, ma non c’era nessuno di cui era sicuro
di potersi fidare; la teoria della cospirazione di Sirius stava iniziando
a entrargli in testa. Alla fine, la porta d’ingresso si aprì e si sentì il
familiare passo di Sirius entrare nell’appartamento. Remus si era
quasi alzato e gli era quasi corso incontro ma aveva trattato Sirius
con i guanti fin dall’attacco di James.
«Moony?»
«Qui dentro.»
«Oh, ciao.» Sirius era sulla soglia della cucina. Sembrava arrossato:
doveva essere andato sulla moto. «Tutto bene?»
«Dove sei stato? Ero preoccupato!»
«Scusa.» Fece una smorfia e venne a sedersi anche lui al tavolo.
Remus lo guardò. Sembrava felice. I suoi capelli profumavano di
campagna e sudava un po’ attraverso la sua maglietta nera: si stava
preparando per un’estate molto calda. Prese il pacchetto di
sigarette, ne prese una con i denti e schioccò le dita per accenderlo.
Remus aspettò pazientemente.
«È successo.» Disse Sirius, alla fine, il suo viso splendente in modo
strano, perlato nella debole luce del mattino. «Sono nascosti.»

328
«Lily e James?» Remus strizzò gli occhi, grattandosi la testa.
«Come?»
«Silente ha risolto tutto.»
Perché non mi hai portato con te? Remus avrebbe voluto chiedere, prima
di rimproverarsi per aver avuto un pensiero così egoista. Quella
non era la parte importante. «È sicuro? Ho dato a James un intero
rotolo di incantesimi di sicurezza da usare, ha-»
«Non avranno bisogno di niente di tutto questo.» Sirius agitò una
mano. Sembrava stranamente trionfante, come se avesse appena
battuto Remus a una partita a scacchi. «Silente ha inventato
qualcosa di meglio.»
«Che cosa?»
«Incanto fidelius.»
«Il...» Remus aggrottò la fronte. Ricordava vagamente di aver letto
a riguardo... qualcosa a che fare con l’impianto di un segreto in
un’altra persona. Era roba potente, questo lo sapeva. Nessuno
sarebbe in grado di romperlo, tranne il custode segreto stesso. «Be’,
va bene, suppongo.» Egli disse. «Ma non avrebbero bisogno di
qualcuno in cui mettere il segreto? ...È Silente?»
«Si è offerto volontario.» Disse Sirius. «Ma alla fine, abbiamo
pensato che fosse meglio se fosse stato uno di noi.»
«Uno di noi...?» Remus si rese conto all’improvviso, come se Sirius
avesse gettato un secchio di ghiaccio sopra la sua testa. «No.» Disse
Remus, scuotendo la testa. Sirius lo stava fissando intensamente, i
suoi occhi blu scuro e più seri di quanto fossero mai stati. Remus
voleva colpirlo. Scuoterlo. Torcergli il collo. Qualsiasi cosa per
avere un po’ di buon senso nel suo stupido cranio spesso. «No.»
Disse di nuovo. «È troppo pericoloso!»
«Moony-» Iniziò Sirius.
«Non dire “Moony”!» Disse Remus bruscamente, alzandosi.
Doveva camminare; doveva muoversi, solo per stare al passo con
329
i suoi pensieri. «È stupido! È l’idea più stupida che tu abbia mai
avuto!»
«Non è una mia idea...»
«Non dirmi che non ti sei offerto volontario!» Remus si voltò verso
di lui, furioso. «Non dirmi che non hai colto al volo l’occasione!»
«Per aiutare i miei migliori amici?! Per aiutare Harry?! Certo che
l’ho fatto!» Anche Sirius stava gridando, ed era orribile.
«Trova qualcun’altro!» Remus implorò. «Chiunque! Lo farò io!»
«Non puoi.» Sirius scosse la testa. «Devo essere io, lo sai che è così.»
«No!»
«Non puoi continuare a dire “no”. È fatto. È già stato risolto.»
Remus pensò davvero che avrebbe colpito Sirius per un momento.
Colpirlo o scoppiare a piangere come un bambino. Non fece
nessuno dei due. Si sedette, duro, e si coprì il viso con le mani.
«Bastardo.» Mormorò.
«Andrà tutto bene. Ne sono sicuro.» Disse Sirius raggiungendolo.
Remus allontanò la mano. «L’hai appena fatto?! Senza nemmeno
dirmelo?»
«Te lo dico ora!»
Remus gli lanciò un’occhiataccia. Tra un minuto avrebbe detto
qualcosa di cui si era pentito. Se non se ne fosse andato, avrebbe
detto qualcosa che non avrebbe mai potuto ritirare. Represse la sua
rabbia, si alzò e uscì dall’appartamento.

Venerdì 24 luglio 1981


Così era stato fatto. Dopo quella discussione, tutto successe molto
rapidamente. Non ci furono addii: Lily, James e Harry
semplicemente svanirono senza lasciare traccia. Remus sapeva che
era meglio che chiedere dove fossero; voleva che fossero al sicuro,
dopotutto. E voleva che Sirius fosse al sicuro.
330
All’Ordine fu detto che i Potter si erano nascosti; che Voldemort
li stava cercando a causa dello stato di sangue di Lily e del suo
matrimonio con James.
«È orribile, non fidarsi di nessuno, non è vero?» Disse Peter mentre
lasciavano quella riunione.
«Sì.» Remus acconsentì cupamente.
«È necessario.» Disse Sirius. «E se sapessi chi era la spia, la
ucciderei io stesso. Non avrei nemmeno bisogno della magia.»
Peter e Remus lo fissarono, scioccati.
«Sirius.» Disse Remus, mettendogli una mano sulla spalla, «Non
possiamo iniziare a comportarci come Mangiamorte. James non
vorrebb-»
«James non vuole che suo figlio venga ucciso da un pazzo durante
una lotta di potere!» Sirius inveì, allontanandosi dal tocco di Remus.
«Sei diventato tenero, Moony.»
Se l’ho fatto. Remus pensò tra sé. È a causa tua. Nessuno si innamora
di un cuore duro; aveva imparato quella lezione più di una volta.
Eppure per quanto Sirius si stesse comportando in modo
spaventoso, Remus era incline a fare qualche concessione. Era un
periodo molto difficile, il punto più oscuro della guerra, e tutti
stavano gestendo la pressione in modo diverso. Peter e Marlene si
erano buttati sul lavoro: raramente erano stati visti non correre in
un posto o nell’altro. Mary sembrava ritirarsi maggiormente nel
mondo babbano: era sempre presente quando avevi bisogno di lei,
ma spesso la sua mente sembrava essere in due posti. Remus aveva
il suo bere e la sua autocommiserazione. Quindi se Sirius voleva
essere quello arrabbiato per un po’, bene.
Ma era pur sempre una guerra: la guerra non concede nulla e non
dà a nessuno il tempo di riprendere fiato. È implacabile e spietata
e inimmaginabilmente crudele.

331
Era passata solo una settimana circa prima del primo compleanno
di Harry. Sirius era appena arrivato da Diagon Alley - era andato
alla ricerca di qualcosa di appropriato per un bambino di un anno,
e invece era tornato con un vero manico di scopa.
«Sirius!»
«Oh andiamo, Moony. È solo piccolo!»
«È un bambino!»
«Devo allenarlo giovane così giocherà per l’Inghilterra!»
Remus rise con indulgenza, e sorseggiò il suo tè mentre guardava
Sirius avvolgere il giocattolo. Non lo vedeva così felice da un po’,
ed era così bello. Poi successe.
C’era uno strano profumo, che solo Remus colse. Familiare e
amichevole, magico. Poi, in un lampo di luce intensa, un enorme
patronus d’argento irruppe attraverso il muro. Era una leonessa e
si aggirava per la stanza ringhiando.
«Porca puttana!» Sirius balzò in piedi, indietreggiando.
L’enorme mammifero li guardò entrambi con occhi lamentosi e
aprì la bocca. L’urlo emanato da esso era agghiacciante e fin troppo
familiare. Era Mary.
«Aiuto!» Si lamentava. «Hollyhock House!» E poi svanì.
«Questo è l’indirizzo dei McKinnon.» Disse Remus alzandosi per
mettersi le scarpe.
«Dove stai andando?» Chiese Sirius.
«Ad aiutare Mary!» Remus disse con impazienza, armeggiando con
i suoi lacci. «Andiamo!»
«Moony, no.» Disse Sirius. «Non possiamo. Dobbiamo seguire il
protocollo, contattare Moody, o Arthur, o Frank, o-»
«Fanculo il protocollo!» Remus gridò. «È Mary! Ha chiesto aiuto e
io vado. Resta qui se vuoi.»
Ovviamente Sirius non rimase.

332
Arrivarono fuori Hollyhock House forse dieci minuti dopo aver
ricevuto il patronus di Mary. Nessuno dei due era mai stato a casa
di Marlene prima, anche se lei l’aveva descritta un paio di volte. Era
un delizioso vecchio cottage in stile tudor, situato a pochi
chilometri da un villaggio nel Sussex. C’era un lungo sentiero nel
giardino, con un bordo di viole del pensiero e gerani luminosi:
rosso, viola, giallo, rosa. La porta d’ingresso era dipinta di un
morbido verde scuro, e se allungavi il collo riuscivi a distinguere le
cime di tre cerchi da Quidditch nel giardino sul retro.
Sarebbe stato carino, comunque. Ma non oggi.
Mary era in piedi in cima al sentiero sul ciglio della strada,
congelata, e fissava il cielo azzurro con aria assente. Il segno scuro
incombeva sul tetto di paglia gialla; un’enorme nuvola nera, le
forme inconfondibili di teschio e serpente.
«No!» Remus rimase a bocca aperta.
Mary si voltò verso di lui con le lacrime agli occhi. «Sono tutti
morti.» Lei disse.
«Sei sicura?» Disse Sirius, facendo qualche passo su per il sentiero,
con la bacchetta alzata.
«Sì.» Disse. «Sì, sono tutti allineati in modo molto ordinato.»
«Che cosa?» Lui si voltò a guardarla, aggrottando la fronte.
«Allineati... In fila...» Ripeté.
Barcollò per un momento e Remus la cinse con le braccia, nel caso
stesse per svenire. Si chinò su di lui, piangendo in silenzio.
«Resta con lei.» Disse Sirius, continuando su per il sentiero.
Remus iniziò a tremare. Era come un incubo, come un film
dell’orrore. Guardò Sirius avvicinarsi alla porta, aprirla, chiamare
dentro.
«Dovevamo incontrarci a pranzo oggi, ma non è mai arrivata.»
Sussurrò Mary contro la spalla di Remus, ancora aggrappata a lui.
«Pensavo fosse solo impegnata in ospedale... Ho provato a
333
contattarla dopo il lavoro, ma loro avevano detto che non era mai
entrata... Quindi sono venuta qui e io...»
«Va tutto bene.» Disse Remus, perché cos’altro potresti dire?
«Il segno era lì, e la porta era aperta, e... Oh dio, Remus! Tutti loro!
Sua madre e il suo patrigno, Yaz e Danny... sdraiati lì! Oh mio Dio,
i loro occhi!» Iniziò a singhiozzare sul serio e Remus la strinse più
forte, sentendo le sue viscere trasformarsi in acqua.
Sirius uscì di casa. Anche da lontano, Remus poteva vedere lo
sguardo di orrore sul suo viso. Si fece rapidamente strada verso di
loro.
«Vado a chiamare Moody.» Disse. «Torno il prima possibile,
okay?... Non entrare lì.»
E con questo, scomparve con un forte *CRACK*.
«Questo è tutto.» Mary gridò isterica. «È finita, non posso più
farlo!”

334
Autunno 1981
I loved the words you wrote to me
But that was bloody yesterday.
I can’t survive on what you send
Every time you need a friend.

I saw two shooting stars last night


I wished on them - but they were only satellites
Is it wrong to wish on space hardware?
I wish, I wish, I wish you’d care.

I don’t want to change the world


I’m not looking for a new England
I’m just looking for another girl.

Nessuno sapeva chi avesse ucciso i McKinnon e nessuno sapeva il


perché. Naturalmente c’erano delle teorie; la cosa più logica è che
con Danny e Marlene nell’Ordine, erano semplicemente un
bersaglio ovvio. Alcune persone si chiedevano se fosse a causa del
legame di Marlene con James e Lily, perché aveva guarito James.
Altri pensavano che avesse fatto troppe storie sui diritti dei
licantropi al lavoro.
Alla fine, niente di tutto ciò aveva importanza, non per Remus.
Perché cercare di dare un senso a qualcosa di così insensato?
A causa del precedente status di celebrità di Danny, gli omicidi
erano una notizia in prima pagina. C’era un’enorme foto di lui sulla
Gazzetta del Profeta, dai suoi giorni di Cannon: viso ampio e
solare, vesti svolazzanti. Niente cicatrici. Una foto più piccola di
Marlene che doveva essere stata scattata per lavoro, perché

335
indossava l’uniforme. Promettente giovane guaritrice, Mylene McKinnon
secondo la didascalia errata.
Yasmin non fu affatto menzionata, sebbene Sirius disse a Remus
che erano state trovate sdraiate uno accanto all’altro, e le loro dita
si stavano ancora toccando.
«Ricordi al terzo anno.» Disse Sirius nei giorni che seguirono.
«Pensavamo tutti che voi due vi amaste.»
«Sì.» Remus rispose, monotono.
«Era una battitrice migliore di me. Vorrei averglielo detto.»
«Lei lo sapeva.» Disse Remus, con un sorrisetto triste.
Mary non si sentì più per molto tempo. La morte di Marlene la
colpì più duramente di chiunque altro: erano state praticamente
inseparabili da quando avevano undici anni. Remus ricordò quanto
fosse fastidioso incrociarle, prima di capire che anche le ragazze
erano solo persone.
Ricordava la sua quieta pazienza, i suoi attacchi di ardente passione.
La petizione per rimuovere il Platano Picchiatore quando aveva
appena tredici anni, perché qualcuno era stato ferito, e Marlene non
avrebbe mai potuto sopportare di vedere qualcuno ferito, non se
c’era qualcosa che poteva fare al riguardo. Se qualcuno di loro
aveva il desiderio di cambiare il mondo, era stata lei. Ma non più.

Un altro settembre arrivò e, come sempre, Remus ricordò la sua


infanzia e Hogwarts. Profumo di pergamena, inchiostro nuovo,
borse per libri in pelle e ceralacca. Un senso di nuovo inizio; del
cambiamento. Come può essere passato un intero decennio da
quando era arrivato per la prima volta a King’s Cross, magro,
arrabbiato e trascurato?
Da allora erano cambiate così tante cose. Era diventato un uomo.
Aveva imparato più di quanto avesse mai pensato fosse possibile,
ottenuto cose che non aveva mai sognato: i suoi orizzonti erano
336
stati ampliati ancora e ancora, dall’istruzione, dalla magia,
dall’amicizia e dall’amore. Non era completamente diverso,
ovviamente. Remus non si illuse. Il suo umore non era andato da
nessuna parte, né la sua propensione a reprimere i cattivi
sentimenti, solo per scagliarsi quando le cose diventavano troppe.
Ma pensava di stare meglio, almeno con le persone che amava.
Almeno con Sirius. Si era aperto e aveva rivelato più sé stesso a
Sirius che a chiunque altro. Aveva condiviso sentimenti che ogni
istinto gli diceva di tenere nascosti. Non era sempre stato facile:
avevano litigato, avevano gridato, avevano pianto. Ma ne era valsa
la pena.
Almeno, Remus pensava di sì.
Non era così sicuro di Sirius. Forse era il bilancio della guerra:
troppi morti, troppi quasi incidenti. Forse era la separazione da
James. Forse Remus aveva appena messo alla prova la sua pazienza
troppe volte. Tutto ciò che Remus sapeva era che qualcosa era
molto, molto sbagliato.
Era la metà di settembre quando si rese veramente conto che era
successo. Sirius era scivolato via da lui. Erano spesso separati,
Remus era arrivato a vedere questo come un fatto della vita; le loro
abilità erano così diverse, avevano lavori diversi da svolgere. Non
era niente, al servizio della guerra. Erano felici e orgogliosi di farlo.
Ma dopo alcune settimane, Remus capì che quella distanza era
qualcos’altro, più del solito stress. Sirius si era tirato indietro.
«Mi manchi.» Disse Remus, una notte. Ci era voluto tutto il giorno
per trovare il coraggio di quelle due stupide parole.
«Sono proprio qui.» Sirius sorrise stancamente, sedendosi dall’altra
parte del tavolo, raccogliendo a cena con la sua forchetta. Poi, dopo
un po’, riprese a parlare. «Presto finirà tutto. Dobbiamo fidarci di
Silente, tutto qui.»
«Ma sei tu l’unico di cui mi fido.» Remus avrebbe potuto piangere.
337
Sirius lo guardò solo, tristemente.
Remus non sopportava quello sguardo, lo faceva sentire stupido
per essere innamorato. Stupido per preoccuparsi di qualcosa di
diverso dalla vittoria della guerra.
Alla fine Sirius si alzò. Prese il piatto e gettò il contenuto nel
cestino. «Devo andare.» Disse. «Moody vuole che effettui il check-
in. Torno tardi, non restare sveglio ad aspettare.»
Non lo salutò con il bacio.
Remus era perplesso. Ancora una volta, si trovò con un problema
quasi indicibile. Non poteva chiedere a James o Lily, anche se
sapeva come raggiungerli, avevano molto di cui preoccuparsi da
soli. Peter non era mai stato molto ansioso di sentire qualcosa a
che fare con la relazione di Remus e Sirius, e sebbene fosse un
buon amico, uno dei migliori amici di Remus, non si confidavano
davvero l’uno con l’altro in quel modo. Marlene avrebbe potuto
essere d’aiuto, ma Remus non voleva pensarci. E, naturalmente, il
dolore di Mary non lasciava molto spazio ai consigli romantici.
Nel profondo, Remus sapeva che avrebbe dovuto chiedere a Sirius
apertamente. Solo che era terrorizzato dalla risposta. Era
terrorizzato che non si trattasse della guerra, o di James o della
crescita. Era terrorizzato che il problema fosse lui. E se Sirius si
fosse appena reso conto di non essere più innamorato?
Questa ansia si impossessò di Remus mentre le notti si
avvicinavano e le giornate si facevano più fredde. Sembrava che
tutto avesse un senso orribile; la distanza, la riluttanza a parlare, la
mancanza di affetto, la loro inesistente vita sessuale. E quello
sguardo. Lo sguardo che Sirius continuava a lanciargli contro,
come se Remus fosse un estraneo. Era intollerabile. Remus non
sapeva se poteva far fronte a un’altra perdita.

338
Quindi, all’inizio di ottobre, quando Moody aveva un incarico per
lui, Remus era fiducioso. Malocchio lo prese da parte alla fine di
una riunione dell’Ordine.
«Abbiamo tenuto d’occhio un branco.» grugnì.
«Greyback?»
«Non credo proprio. I ribelli, secondo noi. Si stanno nascondendo
in una foresta in Germania.»
«Oh.» Disse Remus sorpreso. Era Castor? «Hanno attaccato
qualcuno?»
«No, hanno tenuto la testa bassa, a giudicare dall’aspetto.»
«Va bene, vero?» Remus disse. «Dovremmo semplicemente
lasciarli soli.»
«Credimi ragazzo, preferirei.» Rispose Moody, con un sorriso
ironico. «Ma i tempi disperati richiedono misure disperate. Ti
stiamo mandando fuori.»
«Per fare cosa? Hanno lasciato Greyback e hanno lasciato
Voldemort. Non era quello il piano?»
«Era. Due anni fa. Da allora abbiamo perso molte brave persone.
Vedi quanto stanno diventando accoglienti questi incontri?»
Era vero. La prima riunione dell’Ordine a cui Remus aveva
partecipato era stata travolgente: la stanza era piena di streghe e
maghi pronti a combattere; per affrontare i Mangiamorte. Adesso
c’erano troppe facce scomparse: i McKinnon, i Potter, i Prewetts,
il vecchio Darius Barebones, i Dorcas, Caradoc Dearborn, Benjy
Fenwick, Ferox ...
«Allora...» Remus pensò intensamente. «Ora vuoi reclutare i lupi
mannari?»
«Bingo.»
«Dopo anni passati a combattere contro di loro? Dopo averli
costretti a lasciare il lavoro? Ad andarsene dalle loro case?!» Remus
sapeva di essere stato scortese, nessuno parlava ad Alastor Moody
339
in quel modo, ma era troppo stanco della guerra per
preoccuparsene.
Moody non sembrava turbato. Remus supponeva che aveva
ricevuto discorsi molto peggiori da maghi molto più spaventosi.
«Sappiamo che è un po’ una grande domanda. Ma come ho detto,
sono tempi disperati.»
«E c’è qualcosa che posso offrire loro in cambio, sai, delle loro
vite?!»
«Voldemort è peggio.» Moody replicò. «Qualunque siano le loro
vite adesso, Voldemort le farà solo peggiorare.»
Remus sospirò pesantemente. «Bene.»
Comunque era pronto per partire. Era pronto per un
cambiamento; pronto a lasciare Londra, uscire dalla sua miserabile
vita e tornare ad essere utile. Gli venne persino l’idea che una lunga
assenza potesse aiutare la situazione con Sirius. L’assenza non
rendeva il cuore più affettuoso?
Avrebbe potuto essere un sollievo; un po’ di respiro, un po’ di
tempo per pensare. Testò questa teoria, nella sua ultima
conversazione con Sirius.
«Sarai felice di avere qualche settimana di ferie, eh?» Sorrise, il che
prese tutta la sua forza.
«Mh?» Sirius aggrottò la fronte, alzando lo sguardo da alcuni
progetti che stava scansionando. Sembrava infastidito
dall’interruzione, e Remus sentì un’orribile lacrimazione nel petto.
«Cosa hai detto?»
«Ho detto che sarai felice di liberarti di me, per un po’.» Remus
continuò, coraggiosamente. «Mi tolgo di mezzo.»
«Perché dici così?» Sirius lo fissò perplesso.
«Così come? Volevo solo dire... Sai, puoi avere un po’ di tempo per
pensare.»

340
«Non c’è tempo per pensare, non prima della fine della guerra.»
Scattò Sirius, tornando ai suoi progetti. «Sarà lo stesso che tu sia
qui o no.»
Quello era il massimo che Remus poteva sopportare. Prese la
bacchetta e un pacchetto di sigarette e partì per la Germania con
solo un breve saluto, come se stesse solo facendo un salto nei
negozi. Si arrabbiò, mentre si dirigeva verso la posizione della
passaporta.
Quel coglione! Dagli due settimane da solo, poi avrebbe visto; poi si sarebbe
reso conto di quanto fosse una testa di cazzo.
Remus sarebbe tornato, fresco e selvaggio dalle foreste, e Sirius
sarebbe stato così dispiaciuto, così affettuoso, e ci sarebbe stato
tempo per parlare e riparare, e innamorarsi di nuovo.
Era tutto ciò di cui avevano bisogno; ancora un po’ di tempo.

Martedì, 13 ottobre 1981


Anche Remus aveva ragione. Almeno per sé stesso, si sentiva
molto meglio una volta lasciato il paese. Era molto più facile non
pensare a Sirius o a qualsiasi altra cosa del mondo magico mentre
era nascosto nelle vellutate profondità della Foresta Nera.
Scelse di arrivare il pomeriggio prima della luna piena, meglio
avvicinarsi al branco come un lupo.
La trasformazione fu rapida: i boschi intorno a lui si univano alla
vita e alla magia antica, amplificando il potere tagliente della luna
piena. La notte stessa era familiare e terrificante come la sua pelle
di lupo. Il branco lo trovò, vicino all’alba. Lo accolsero a casa con
gioia e si radunarono, gettando all’indietro il collo per ululare
magnificamente nel cielo notturno, finché le stelle non risuonarono
con il loro canto. Quando tornarono tutti alla forma umana, Remus

341
tornò in vita tra una mischia di altri corpi, e le mani di Castor su di
lui, già guarendo le sue ferite.
«È bello vederti, Remus Lupin.»
Camminarono tutti lentamente tra gli alberi mentre la luce giallo
burro di ottobre filtrava sulla lettiera.
Da quando il branco viveva lì, avevano costruito un piccolo
villaggio di capanne di canniccio in cui vivere. Si rannicchiarono
tutti per dormire su un soffice muschio secco con il canto degli
uccelli che trillava sopra la testa.
Remus si svegliò senza nodi alle spalle, e senza la mascella serrata.
Era rilassato per la prima volta da mesi. Castor giaceva accanto a
lui, così caldo e così pacifico, la sua morbida pelle marrone premuta
contro quella di Remus in alcuni punti.
Ricordando la sua umanità, Remus si allontanò, leggermente. Gli
occhi di Castor si aprirono e scrutarono i suoi.
«Stai bene Remus Lupin?»
«Sì, grazie.» Si strofinò gli occhi, Castor continuava a guardarlo.
«Stai soffrendo.» Egli disse. Era una dichiarazione, non una
domanda.
«Ho perso alcune persone.» Remus disse. «Stiamo perdendo la
guerra.»
«Sì.» Concordò Castor. «E sei venuto a chiedere il nostro aiuto, non
è così, Remus Lupin?»
«Lo so che non è una cosa da poco...»
«Resteremo qui. Questa è casa nostra.»
«Capisci che non te lo chiederei a meno che la situazione non fosse
disperata. Capisci... Nemmeno Voldemort risparmierà i lupi
mannari.»
«Lo capiamo.» Castor disse, semplicemente. «E siamo d’accordo.
Resteremo qui. Ci nasconderemo, siamo bravi in questo.»
«Ti ho trovato.»
342
«Sì, Remus Lupin. Sarai sempre il benvenuto.»
Remus si mise a sedere e prese il mantello di pelle di lupo ai suoi
piedi, coprendosi con esso. «Bene, allora se è così.» Egli disse. «È
meglio che torni.»
Castor si alzò e gli mise una mano sul braccio. «Rimani un po’,
Remus Lupin. Abbiamo così tanto da mostrarti. Forse allora
vedrai.»
Quindi Remus rimase. Pensava che se avesse trascorso un po’ di
tempo con loro, come prima, avrebbe potuto parlare con loro, far
cambiare idea a qualcuno. La maggior parte di loro aveva una
famiglia di maghi nel Regno Unito, doveva essere in grado di fare
appello a loro, sicuramente.
Non poteva tornare nell’Ordine senza provarci: tutti gli altri
stavano dando tutto sé stessi alla lotta e questo era, dopotutto, il
suo scopo. Se non poteva essere un discreto emissario dei lupi
mannari, allora a che cosa serviva?
Tuttavia, non era stata una decisione difficile da prendere. Non era
stato un grande sacrificio. Non aveva niente da cui tornare, tranne
una conversazione molto difficile con Sirius.
E parlò loro. Durante le tre settimane che Remus trascorse con i
lupi mannari nell’ottobre 1981, parlò a ognuno di loro. Ragionava,
predicava, inveiva. Ma non serviva affatto; erano tutti felici. Non
in un modo folle e deluso “tutto è perfetto”, come lo erano stati
alcuni dei seguaci di Greyback. Ma in modo pratico e potente,
vedevano un futuro per sé stessi, vedevano un modo per vivere
una vita libera dalla crudeltà o dall’intervento umano. Non era per
tutti, sicuramente non era per Remus, ma non poteva negare che
lo stessero facendo funzionare.
Infatti, col passare del tempo, Remus perse traccia di chi
persuadeva chi. Tutti volevano portarlo a caccia, mostrargli come
tessere il legno o lanciare incantesimi protettivi che li rendessero
343
quasi invisibili agli umani. Non aveva mai avuto fame, né freddo,
né paura per la sua vita.
«Vedi adesso?» Chiese Castor una sera, mentre si avvicinava
Halloween.
«Sì, vedo.» Remus rispose, fissando il soffitto di paglia.
«Preferireste nascondervi tutti, come dei codardi.»
«Non lo credi, Remus Lupin.» Castor sorrise, sistemandosi per
dormire.
Di tanto in tanto dava prova di vera emozione, ora che lui e Remus
erano così vicini. Remus aveva deciso di continuare a condividere
una capanna con lui. Non gli piaceva dormire da solo e non era
come se stesse succedendo qualcosa, aveva semplicemente senso.
Doveva stare vicino al leader, era quello che avrebbe fatto
chiunque. E sì, era una relazione intensa, ma questo semplicemente
non significava che avesse qualcosa a che fare con il sesso. Era
semplicemente così che stavano le cose con i lupi mannari, tutto
era motivato dal profumo, dall’istinto e dalle fasi lunari.
Tuttavia, Remus sapeva come sarebbe stato. Non si era illuso che
Sirius avrebbe improvvisamente cambiato idea e sarebbe corso
disperatamente in Germania per trovarlo, ma Remus sapeva che
era piuttosto sbagliato, anche senza possibilità di essere scoperto.
Era anche patetico. Si rimproverò al riguardo, durante le lunghe
notti buie. Sei una scusa ridicola per un uomo. Alcune settimane ti senti
ignorato e ti stai avvicinando al prossimo ragazzo di bell’aspetto che ti mostra
interesse. E non hai nemmeno le palle per fare qualcosa al riguardo.
Alla fine era stato il desiderio di Castor a dirgli che doveva
andarsene, e il suo amore per Sirius. Remus aveva fatto cose molto
drastiche e molto stupide nella sua vita, ma non sarebbe scappato
per vivere in una foresta solo per scappare a una discussione con
l’amore della sua vita. Sarebbe tornato a casa e si sarebbe costretto
ad affrontarlo. Avrebbe fatto tutto il possibile per mantenere
344
Sirius, perché nel profondo, sapeva che era l’unica cosa che
contava davvero.

Lunedì 2 novembre 1981


La passaporta si era chiusa e Remus non poteva mettersi in
contatto con nessuno. Doveva tornare in Gran Bretagna da solo,
smaterializzandosi per un po’ e facendo l’autostop per il resto del
tempo.
Quando Remus arrivò barcollando a Londra, non aveva nemmeno
l’energia per materializzarsi. Prese invece un autobus e si
addormentò a metà strada verso Leicester Square. Scese e si fermò
nel suo solito negozio all’angolo per un sacchetto di tabacco.
Comprò anche due barrette Mars, se Sirius fosse stato lì, avrebbe
potuto volerne una. Se fosse stato sfortunato, Remus li avrebbe
mangiati entrambi.
Quando aprì la porta di casa, sentì squillare il telefono. Gli ci
vollero alcuni istanti per entrare, il telaio di legno si era gonfiato
per tutta la pioggia, e la porta a volte si riempiva di gomma, ma
quando entrò, suonava ancora.
Deve essere urgente. Pensò distrattamente.
«Padfoot? Sei qui?» Gridò mentre attraversava la stanza, poi sollevò
il ricevitore. «Pronto?»
«Pronto? Ciao Remus, sei tu?»
«Mary? Ciao! Sono appena tornato, dove diavolo sono tutti?!» Ci
fu uno strano silenzio all’estremità del telefono e un orribile
formicolio statico gli corse lungo la schiena. «Mary?!»
«Non hai sentito...»
«Gesù Cristo, Mary. Cosa è successo?!»
«Remus... È successo qualcosa di orribile.»

345
Iniziò a spiegare, e Remus cadde in ginocchio mentre il mondo
intero cominciava a crollare.

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348
DOPOGUERRA

349
INDICE
1. Tregua 351
2. 1982 355
3. 1983 363
4. 1985 371
5. 1986 385
6. 1987 396
7. 1989 406
8. 1990 416
9. 1991 423
10. Estate 1993 434
11. Estate 1994 444
12. Inizio estate 1995 459
13. Estate 1995: Grant 478
14. Estate 1995: Sirius 486
15. Fino alla fine 494

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Tregua
He who endured my hardships with me
He now has gone to the fate that awaits mankind
Day and night, I have wept for him
I would not give him over for burial
For what if he had risen at my cries?
Six days and seven nights I waited
Until a worm crawled out of his nose
Since he has gone
There is no life left for me.

James era morto per primo, Remus avrebbe dovuto aspettarselo.


Avrebbe aspettato proprio davanti alla porta; non gli sarebbe
nemmeno passato per la mente di nascondersi o scappare.
Poi Lily, in piedi davanti a suo figlio. Remus immaginò il suo viso
di sfida, le sue mani che si aggrappavano ai lati del lettino, i suoi
occhi verdi ardenti. Avrebbe incontrato la morte con gli occhi
spalancati, questo era certo. E poi Peter, l’ultimo. Oh Peter.
L’idiota, coraggioso e ridicolo idiota. Doveva aver sentito parlare
di James e Lily, doveva aver capito subito di chi fosse la colpa.
Dopo tutti quegli anni all’ombra di James e Sirius, il primo istinto
di Peter era stato quello di affrontare lo stesso Black.
Aveva inavvertitamente condotto gli Auror direttamente da Sirius,
quindi la sua morte brutale non era stata completamente vana.
Proprio a Sirius.
E c’era il blocco. Come un sipario che cade sulla scena, la mente di
Remus non avrebbe pensato a Sirius. Non poteva arrivarci; non
riusciva a immaginarlo. Supponeva che quello fosse il modo in cui

351
il suo cervello lo proteggeva. Faceva già abbastanza male conoscere
i fatti.
Mary era arrivata non appena aveva riattaccato il telefono. Era
l’unica persona che avrebbe potuto tollerare comunque, e Dio; lei
era così forte. Le poggiò la testa in grembo e lei gli accarezzò i
capelli come una madre.
«Sirius.» Pianse, ancora e ancora, aggrappandosi alla sua gonna,
«Sirius!»
«Lo so...» Sussurrò di rimando, le lacrime che le rigavano le guance,
gocciolando nei suoi capelli. «Lo so, lo so...»
Aveva portato con sé un sonnifero e Remus lo bevve avidamente,
desideroso di scappare. Mentre dormiva, Mary impacchettò tutte
le cose di Sirius. Tutti i suoi vestiti, i suoi dischi e i suoi libri.
Quando Remus si alzò, l’appartamento sembrava quasi vuoto.
«Ho chiesto a Darren di spostarli in garage.» Spiegò. «Non devi
toccarlo finché non sei pronto. La moto non c’è, non so dove sia.»
«Deve averla presa.» Disse Remus, sentendosi insensibile.
Si stava già chiedendo quanto alcool avesse nell’appartamento e se
dovesse o meno aspettare che Mary se ne sarebbe andata prima di
iniziare.
«Remus... Devo andare, ora.» Disse dolcemente, alzandosi in piedi,
abbracciandolo.
Sembrava piccola. Mary era sempre stata una ragazza più grande
della vita, ma Remus si rese conto che poteva a malapena arrivare
a 1,65 m.
«Sì, naturalmente.» Mormorò. C’era sicuramente del gin sotto il
lavello in cucina.
«Starò via per un po’.» Disse. «Vado... Darren mi porterà in
Giamaica, per stare con la famiglia. Ho bisogno di un po’ di tempo
lontano, non so quando tornerò.»
«Oh.» La guardò negli occhi, correttamente.
352
Non era truccata, non vedeva Mary senza eyeliner e rossetto da
quando aveva dodici anni.
«C’è qualcuno può passare a trovarti? Non mi dispiace fare una
telefonata per te.»
«Va tutto bene.» Disse. «Non preoccuparti per me.»
«Ma lo faccio.» Lei disse, sorridendo a malincuore. «Sei sicuro che
non posso contattare nessuno?»
«Non c’è nessuno.» Lui disse. Non ho nessuno.
«Forse parlare con Moody? O Arthur?»
«Sì, buona idea.» Remus annuì. Non voleva parlare con nessuno,
ma non voleva che lei si preoccupasse. «Sai... cosa dovremmo fare,
adesso?»
«Non lo so.»
«Hai parlato con Silente?»
«Ah.» Mary sbuffò. «Buona fortuna a trovarlo. Troppo impegnato
a ricevere le congratulazioni del ministero. Probabilmente sarà al...
servizio funebre.»
Remus si sentì come se una lama gelida gli stesse torcendo nello
stomaco. Non poteva essere reale.
«Perché noi.» Disse, guardandola, alla disperata ricerca di risposte:
«Tra tutti. Perché siamo rimasti io e te, e non Lily e James? Chi l’ha
deciso?! Sono tutte stronzate!»
«Lo so, tesoro.» Disse dolcemente. «Lo so.»
Non poteva più aspettare, andò in cucina e prese la bottiglia aperta
più vicina dall’armadio: gin, avanzi di una festa o di un’altra. Non
la versò in un bicchiere, bevve direttamente dalla bottiglia.
«Remus.» Disse Mary, mordicchiandosi il labbro, guardandolo dal
soggiorno. «Devo davvero andare... Prometti che ti metterai in
contatto con Arthur?»
«Sì.» Annuì. Voleva solo che se ne andasse ora. «Ci vediamo.»
«Addio amore. Tornerò, lo prometto.»
353
E se ne andò. E Remus rimase solo.

354
1982
Times at a distance, times without touch,
Greed forms the habit of asking to much,
Followed at bedtime by builders and bells,
Wait ‘til the doldrums which nothing dispels.

Idly, mentally, doubtful and dread -


Who runs with the beans shall go stale with the bread.
Let me lie fallow in dormant dismay
Tell me tomorrow, don’t bother today.

Fucking ada! Fucking ada!


Fucking ada! Fucking ada!

Tried like a good ‘un, did it all wrong


Thought that the hard way was taking to long
To late for regret or chemical change;
Yesterday’s targets have gone out of range.

Failure enfolds me with clammy green arms,


Damn the excursions and blast the alarms,
For the rest of what’s natural I’ll lay on the ground;
Tell me tomorrow if I’m still around.

FUCKING ADA, FUCKING ADA!

Capodanno 1982
THUD-THUD-THUD-THUD-THUD-THUD
Qualcuno bussò alla porta.

355
Lo facevano da un po’ di tempo ormai e non mostravano alcun
segno di fermarsi. Se non altro, stava peggiorando.
Remus aprì gli occhi. Aveva la gola secca e la testa gli faceva male.
In realtà, tutto faceva male; dormiva sul divano da settimane. O
mesi? A chi importava. Era scomodo, ma non riusciva a entrare in
camera da letto. La maggior parte delle sere era comunque troppo
ubriaco per muoversi. La maggior parte dei giorni era troppo
ubriaco. Non aveva più postumi di una sbornia, solo pause tra le
bottiglie.
Al ragazzo della porta accanto non importava correre fino al
negozio ogni due giorni per lui, probabilmente stava facendo una
strage con spiccioli.
I colpi continuarono.
«Remus?!» Il suono soffocato giunse dalla porta e chiunque fosse
dall’altra parte continuò a martellare via,
«Vaffanculo.» Gridò, la gola irritata come carta vetrata.
Prese la bottiglia più vicina sul pavimento sotto di lui e ne bevve
un sorso. Si era quasi soffocato con il whisky, ma era riuscito a
scaricarne la maggior parte, grazie a dio. Non poteva permettersi
di sprecare nessuna goccia di oblio.
«Remus? Fammi entrare!»
Era Grant. Riconosceva la voce ora, forse anche l’odore, ma i suoi
sensi erano stati un disastro, da allora... no, no no no...
Si raggomitolò, seppellendo la testa nei cuscini del divano. Non
poteva parlare con nessuno. Non poteva vedere nessuno. Aveva
solo bisogno di essere lasciato, di bere e di dimenticare. Per favore.
«Vaffanculo!» Singhiozzò, urlando alla porta. «Lasciami in pace!»
«No!» Grant gridò di rimando, e il colpo si fece ancora più forte,
un tonfo incessante e sonoro. Stava davvero cercando di sfondare
la porta, lo stupido idiota.

356
Remus pensò a metà di lanciare un incantesimo di silenzio. Ma non
era sicuro di dove fosse la sua bacchetta. Si girò di nuovo e si alzò.
C’erano bottiglie e lattine vuote su tutto il pavimento, tintinnavano
e frusciavano mentre lui camminava. Le sue braccia e le sue gambe
sembravano piombo.
Che giorno era? Faceva freddo. Si strofinò le braccia mentre si
avvicinava alla porta, rabbrividendo per il freddo. Aveva lasciato
una finestra aperta da qualche parte nell’appartamento e si era
dimenticato di chiuderla. Oh bene.
La porta veniva ancora sbattuta quando la raggiunse, il legno si
sarebbe scheggiato se non fosse stato attento.
«Che cosa c’è?!» Spalancò la porta.
Grant lo fissò, il pugno ancora alzato, gli occhi spalancati. Le sue
guance erano arrossate per le urla, respirava affannosamente.
Guardò Remus da capo a piedi.
«Gesù Cristo.» Disse, spingendosi bruscamente verso l’interno:
«Cos’è successo? Ho provato a chiamarti per giorni, cosa c’è che
non va nel telefono?»
«Fuori linea.» Disse Remus, tornando lentamente al suo nido sul
divano, dove almeno faceva caldo. Strinse i piedi freddi sotto di sé
e raccolse di nuovo la bottiglia.
«Che cazzo sta succedendo qui?» Grant si guardò intorno per
osservare il disordine. Guardò di nuovo Remus. «...Ti ha lasciato,
non è vero?»
Remus lo fissò, e non poté farne a meno. Cominciò a piangere. Si
piegò in avanti sulle ginocchia, lasciando cadere la testa tra le mani
e gridò come un bambino.
«Merda.» Grant si affrettò a sedersi accanto a lui, senza badare alle
lattine vuote, ai cuscini e alle coperte puzzolenti. «Io e la mia bocca
grande! Mi dispiace! Non intendevo...» Attirò Remus verso di sé
senza pensarci e doveva essere stato orribile, perché Remus sapeva
357
che non si lavava da secoli, tutto ciò che aveva fatto era bere e
piangere per giorni e giorni e giorni, ma Grant lo tenne fermo.
«Se ne sono andati tutti.» Disse Remus, quando poté parlare. «Sono
solo.»
«Cazzate.» Disse Grant. «Non sei solo.»
Remus pianse ancora più forte.

Non passò un solo giorno, e non sarebbe mai passato un giorno


per molti anni, in cui non pensasse a Sirius e soffrisse. Fu una
tortura astratta e crudele, e Remus si rassegnò a una vita di totale
miseria.
Ovunque guardasse era ossessionato dai pensieri e dai ricordi dei
suoi amici, delle cose che non avrebbero mai potuto fare e delle
cose che non avevano fatto in tempo. Aveva partecipato al
funerale: uno congiunto per Lily e James, seguito da un memoriale
per Peter. Remus si sedette in fondo, e se ne andò prima della
veglia, nel caso qualcuno avesse cercato di parlargli.
Era terrorizzato che qualcuno potesse chiedergli di Sirius, potesse
chiedergli cosa sapeva oppure digli qualcosa che non voleva sapere.
Quindi Remus non era rimasto per ricordare, o “celebrare” le vite
dei suoi amici, (onestamente, che idea spregevole). Tornò a casa da
solo e si ubriacò. Si era ubriacato ogni giorno per settimane.
Stava nell’appartamento a Soho, non aveva scelta in merito; niente
soldi, niente famiglia. No amici.
L’Ordine si sciolse e coloro che avevano ancora vite degne di
essere vissute non volevano conoscerlo. Non riusciva a trovare
alcun lavoro nel mondo magico e, non essendosi mai sentito a casa
comunque, scelse di ritirarsi.
Dopo aver appreso del destino dei Paciock sulla Gazzetta del
Profeta, smise di leggere i giornali. Non si era ricollegato alla rete
della polvere volante, non aveva usato affatto la magia a meno che
358
non fosse stato davvero necessario. Non è mai andato a Diagon
Alley e viveva a tutti gli effetti come un babbano.
Mary inviava cartoline dalla Giamaica, da Trinidad, da Santa Lucia:
sembrava che avesse una famiglia in tutti i Caraibi. Continuava a
chiedere scusa. Remus non sapeva per cosa; entrambi avevano
perso le stesse cose. Almeno le importava abbastanza da mettersi
in contatto.
Silente in realtà aveva provato a contattarlo un paio di volte, ma
Remus si era reso deliberatamente difficile da raggiungere. Era
furioso con il vecchio, che per quanto riguardava Remus non aveva
mai alzato un dito per aiutarlo. Che li aveva spinti tutti in guerra,
giovani e stupidi com’erano, e che li guardava morire uno per uno
senza nemmeno battere ciglio. Perfino il bambino, Harry, fu
rapidamente messo in ordine in un angolo anonimo del Surrey.
I Malandrini avrebbero potuto non essere mai esistiti. Sarebbe
stato meglio che se non fossero esistiti.
Per un po’ Remus si chiese quando sarebbe finita.
Dopo abbastanza tempo, si rese conto che non sarebbe mai
successo, e così cercò di alleviare il dolore. Poteva essere stato
egoista, ma cos’altro restava se non essere egoista? Aveva
sacrificato molto.
Quando arrivò la prima luna piena, il novembre dopo quel
macabro Halloween, Remus fu costretto a lasciare l’appartamento.
Si smaterializzò nella foresta in cui era rimasto con il branco di
Greyback, nel ‘79. Era meglio di una cella. Non sarebbe stato
rinchiuso, non lo avrebbe permesso. Così se ne andò, si trasformò
e vagò per i boschi da solo, ululando, cacciando e ringhiando. La
prima volta era stato un sollievo, ma il lupo era solo. La seconda
volta era andato nella Foresta Nera. Non aveva intenzione di vivere
tra i lupi mannari, li usava solo come via di fuga.
Sapevano poco della guerra, tranne che era finita.
359
La prima volta, Castor percepì subito il dolore di Remus. Non ne
parlavano, perché non ce n’era bisogno. Si erano semplicemente
trasformati e trattati come lupi. Remus decise che qualunque cosa
accadesse quando non erano umani non contava, a patto che non
facessero del male a nessuno. Era liberatorio, e l’unico sollievo che
Remus conosceva in quei mesi più bui dopo la sua perdita.
Nelle mattine dopo la luna, Remus restava un po’ più a lungo ogni
volta, solo per stargli vicino. Non avendo più niente da perdere,
rinunciò a ogni pretesa di superiorità quando si trattava del branco,
e col tempo Castor ottenne finalmente ciò che voleva.
Remus non poteva negare la sua attrazione per Castor ancora per
molto, e dopotutto; a chi aveva bisogno di essere leale? Avrebbe
dovuto vivere celibe per il resto della sua vita semplicemente
perché il suo primo amore gli aveva spezzato il cuore? E non c’era
amore tra lui e Castor. Solo bisogno animale; orrore bestiale. Era
un bene, ma era solo un altro modo per dimenticare. Remus
tornava sempre a Londra, irritato e ancora insoddisfatto.
Nel mondo umano, Grant tornava ancora per visite regolari, dopo
quella prima volta. Prese la chiave di scorta, ed entrò per
controllare Remus tra le sue lezioni e i turni al pub. Era sia un aiuto
che un ostacolo, portando bottiglie di alcolici Babbani e altre
sostanze, qualunque cosa Remus chiedesse.
Era stato cacciato dal suo monolocale per sollecitazione (non vero,
insisteva, la padrona di casa lo aveva appena fatto per lui) e ora
Grant rimbalzava tra i letti dei fidanzati e i divani degli amici. A
volte stava anche con Remus per una notte o due e questo andava
bene, a Remus non importava. Non gli importava molto, purché
avesse da bere in abbondanza. Aveva bisogno di essere ubriaco.
Prima che la guerra finisse, era stato solo un modo per staccare la
spina; per cambiare il suo umore. Adesso era il suo umore; l’unico
che poteva sopportare.
360
Era Grant che gli parlava, lo tormentava, lo trascinava fuori dal
letto e lo spingeva sotto la doccia quando ne aveva bisogno. Aveva
anche fatto il bucato e aveva fatto la spesa con i fondi in
diminuzione di Remus.
Remus, da parte sua, si era comportato in modo abissale. Faceva
commenti dispettosi, lanciava insulti. Ma Grant non gli prestò
attenzione e continuò a tornare lo stesso.
«Torni solo perché sei praticamente un senzatetto.» Remus sputò
una sera dal divano, mentre Grant raccoglieva la spazzatura
sparpagliata intorno a lui. Remus non poteva sopportare il tintinnio
che producevano le bottiglie vuote.
«Sì.» Rispose Grant allegramente, continuando con i suoi affari. «È
proprio così, Remus, mio vecchio amico. Niente a che fare con il
fatto che amo il tuo culo sonnolento.»
Remus sbuffò sdegnosamente. Grant non sapeva di cosa stava
parlando.
Amore! Remus conosceva la verità adesso. Sapeva che l’amore era
solo qualcosa che la gente diceva per renderti debole, per
mantenerti flessibile. Mai più. Mai mai mai.
Miracolosamente, Grant non aveva mai chiesto cosa fosse
successo, anche quando Remus iniziò a dare segni di
miglioramento. Iniziò ad alzarsi e vestirsi senza ore di spintoni,
anche quando iniziò a uscire di casa. Grant non chiese mai perché.
Remus sapeva di aver inveito, nel suo stupore da ubriaco,
riversando infelicità e rabbia su Sirius e James e Lily e il povero,
povero Peter, e Sirius e Sirius e Sirius...
Se Grant ne avesse capito metà, o se Remus avesse detto troppo,
non lo sapeva mai. Ma Grant continuava a tornare comunque.
«Continuerò a venire, finché avrai bisogno di me.» Diceva,
allegramente mentre svolazzava. «Noi ragazzi della casa di cura
dobbiamo restare uniti.»
361
Remus non gli credeva. Grant era gentile, ma non poteva durare
così a lungo. Nessuno rimaneva al suo fianco per sempre.

362
1983
These people ‘round here
Wear beat down eyes sunk in smoke dried faces
They’re resigned to what their fate is.
But not us, (no never) no not us (no never)
We are far too young and clever.

Domenica 6 giugno 1983


«A volte mi chiedo se mi stai usando.» Grant disse, un pomeriggio
dell’estate del 1983.
«Ci usiamo tutti a vicenda.» Remus rispose seccamente. «Ed è
quello che pensiamo sia l’amore.»
«Cristo. Non posso parlarti quando sei così.» Grant sospirò
pesantemente, prendendo un pacchetto di sigarette sul comodino.
«Così come?»
«Un bastardo cupo.»
Grant estrasse un lungo cilindro bianco dalla scatola con i denti, e
Remus lo accese con la punta della bacchetta. Grant lo succhiò con
apprezzamento, appoggiandosi al corpo di Remus, nell’incavo del
suo braccio. Remus accarezzò pigramente la clavicola di Grant
finché non fu il suo turno di fumare. Si erano quasi arresi;
condividere una veloce sigaretta post-sesso era il loro piacere.
«Scusa.» Remus disse. «Non voglio essere cupo.»
«Pfft.» Grant rispose, allegramente. «Sii cupo se vuoi, ti sto solo
prendendo in giro.»
Grant rendeva tutto così facile. Remus riusciva a malapena a
ricordare quando la loro relazione era diventata quello che era
adesso. Era iniziato con le visite regolari, dopo quel primo
intervento. Erano diventate più frequenti, e alla fine Grant era

363
sempre lì: prima dormiva sul divano, poi non lo faceva più, e non
se ne parlava mai più.
A metà dell’estate del 1982, aveva trasferito tutti i suoi averi.
«Viaggio leggero.» Ammiccò, scuotendo uno zaino che conteneva
alcune paia di mutande pulite e alcune magliette. Un calzino. Per
l’amor di Dio.
«Ti do dei soldi.» Disse Remus monotono. «Puoi andare a fare
shopping.» Aveva ancora qualche centinaio di sterline che Sirius
aveva convertito in denaro babbano in caso di emergenza. Remus
non si sentiva in colpa per averlo speso; era semplicemente lì.
«Non sono qui per scroccarti.» Grant insistette.
«Lo so. Ma hai bisogno di vestiti.»
«Sì mamma. Prenderò in prestito alcuni dei tuoi per un po’, finché
non mi sistemerò.»
«Bene.»
Così Remus andò da solo a Debenhams un pomeriggio e comprò
quanto più poteva nella taglia di Grant: jeans, magliette, biancheria
intima, calzini, maglioni, pigiami e persino un paio di scarpe da
ginnastica economiche che erano in offerta. Colori vivaci, perché
Grant era una persona brillante e Remus aveva visto abbastanza
nero da durare una vita. Ripiegò tutto nella cassettiera. Era bello
riempire i cassetti; erano rimasti mezzi vuoti per oltre un anno.
Grant indossava quei vestiti, ma non ne avevano mai discusso.
Tuttavia c’erano alcune cose di cui non potevano evitare di parlare.
Remus non aveva fatto magie nei primi mesi, in realtà aveva
scoperto che non riusciva per la maggior parte del tempo, anche
quando ci provava. Forse era il dolore. Tutti quei funerali. Poteva
aver a che fare con il suo bere, anche se non poteva esserne sicuro.
C’era un blocco lì; come se si fosse alzato un muro. Poteva
materializzarsi per lune piene, ma quello era il suo limite. Poi un
giorno è semplicemente tornato, come se non lo avesse mai
364
lasciato: si erano dimenticati di pagare l’elettricità e le luci si
spensero. Senza pensare, Remus accese la sua bacchetta.
«Lumos.»
«Che cazzo è quella?!» Grant balzò via come se Remus si fosse dato
fuoco.
«Ehm...» Remus deglutì, poi si rassegnò. «È una bacchetta magica.»
«Sei fatto?»
Remus rise, un suono burbero, alieno. «Penso che farei meglio a
spiegarti alcune cose. La scuola in cui sono andato era un po’...
diversa...»
Iniziò a spiegare. Sapeva quanto potesse sembrare strano tutto ciò,
e dovette lasciare fuori un bel po’ di cose. Quasi venti minuti dopo,
Grant sedeva a fissarlo, il viso pallido alla luce indebolita della
bacchetta.
«Mi stai prendendo in giro.» Rise nervosamente. «A che gioco stai
giocando, inventando un sacco di cose del genere?!»
«Grant... Guarda...» Remus fece scintille con la sua bacchetta, fece
levitare il tavolino da caffè mettendosi in mostra, perché era
passato così tanto tempo.
«Va bene!» Grant indietreggiò, mentre la rana saltellava sul tappeto.
«Okay, ti credo! Gesù Cristo!»
«Oh, basta “Remus Lupin”.» Remus tirò fuori la lingua.
Poi si fermò, si rese conto di quello che stava facendo. Aveva
smesso di soffrire per un momento e si rimproverò brutalmente
per questo.
I tuoi amici sono morti e stai facendo trucchi magici per qualche babbano?
Patetico.
Andò a cercare qualcosa da bere negli armadi.
«Oh no, non...» Disse Grant sembrando deluso.
Remus tornò sul divano con una bottiglia di vodka e due bicchieri.
Gli piaceva di più la vodka, andava giù facilmente.
365
«Non ne voglio.» Disse Grant, ignorando il secondo bicchiere.
«Smetterò di prenderla per te.»
Remus scrollò le spalle e batté indietro il suo primo bicchiere.
Grant sospirò. «Quindi sei un mago, eh? Significa che... anche
Sirius era un mago?»
Remus quasi si strozzò al secondo colpo, ma lo fece scendere. Gli
occhi gli lacrimarono e annuì. «Sì. Lo siamo tutti. Erano.»
E continuo bevve e raccontò a Grant della guerra. Tralasciò alcuni
dei dettagli più dolorosi, ma Grant era astuto e indovinò il resto.
«È lì che sparisci, ogni mese?» Grant ha chiesto. «Qualcosa di
magico?»
«Oh... no. C’è qualcos’altro.»
«Maledizione, Remus. So qualcosa di te?!»
«Scusa.» Disse Remus. «Onestamente, non valgo davvero lo
sforzo... Una volta che saprai tutto, capirai.»
«Mettimi alla prova.» Grant disse.
Allora ebbero la conversazione del lupo mannaro. Remus spiegò
cosa gli era successo durante la luna piena, quanto era pericoloso e
dove andava.
«Da quando avevi cinque anni?!» Disse Grant sbalordito.
«Sì.» Remus annuì, nervosamente.
«Poveretto.» Grant scosse la testa e gli accarezzò la mano. «Hai
avuto un periodo difficile, vero?»
Remus accettò la simpatia, e non disse molto di Castor, perché si
vergognava di sé stesso. Non che Grant sarebbe stato geloso.
Non come Sirius, non com ... oh, oh no, no no no...
«Oi!» Tornato al presente, Grant schioccò le dita. Sollevò la
sigaretta, fumata a metà. «Il tuo turno, stupendo.»
«Scusa.» Remus lo prese e inspirò profondamente. Ah. Erano
ancora a letto. Andava tutto bene. Va tutto bene.
«Ti sei allontanato da me.» Grant commentò senza accusa.
366
«Scusa.» Disse Remus di nuovo. «Niente. Solo pensando.» Spense
la sigaretta. Cazzo, gli mancava il fumo.
«Beh.» Grant si girò, sdraiato per metà sopra Remus, con la faccia
a pochi centimetri di distanza. «Questo non va bene, vero? Stavo
cercando di impedirti di pensare.»
«L’hai fatto.» Remus sorrise. Si baciarono, prima amichevoli, poi
più a fondo. Remus fece scivolare le mani sul lungo corpo di Grant.
«Vuoi riprovare?»
Grant sorrise contro le sue labbra, mormorando. «Vuoi solo un
altra sigaretta, vero?»
«Voglio te, anche...»
«Beh, sfortuna.» Grant si allontanò, spingendosi via da Remus, giù
dal letto. «L’ultimo turno al pub inizia tra quaranta minuti, devo
prepararmi.»
«Devi?» Remus si lasciò cadere sul letto, petulante.
«Oh, non lamentarti principessa, è solo un’altra sera. Oi, sii bravo
e stai lontano dagli alcolici e farò qualcosa di veramente carino
quando torno.»
«Dormirò.»
«Ti sveglierò.»
Remus sorrise. «Va bene allora.»
Grant aveva reso tutto così facile.
Cercò di non bere quella notte, ci provò davvero. Ma aveva
bisogno di qualcosa, altrimenti come avrebbe mai dormito? E
sicuramente non fumava, quindi era abbastanza bravo. Voleva
essere bravo, per l’ultima sera di Grant al pub.
Dopo aver conseguito tre diplomi di maturità in politica sociale,
politica e istruzione, e dopo aver studiato per mesi per ulteriori
esami, Grant si era qualificato come assistente sociale. La settimana
successiva avrebbe iniziato un tirocinio in un centro di custodia

367
cautelare per ragazzi. Remus non sapeva dove avesse trovato le
palle per questo.
«Sarà come fare di nuovo St Edmund’s!»
«No non lo sarà.» Grant sorrise. «Sarà diverso. Io lo renderò
diverso.»

Erano abbastanza felici insieme. Avevano comunque i loro


momenti di discussione, ma erano sempre amici prima di essere
amanti e nessuno dei due era fedele.
Grant aveva molti altri fidanzati nella sua infinita ricerca di varietà.
Potevano essere tipi artistici, con capelli lunghi e affettazioni da
campo. Seri tipi politici in larghe divise color cachi e spessi
maglioni lavorati a maglia a fare una campagna per il disarmo
nucleare o per i diritti dei gay e delle lesbiche, o dei minatori o
qualcosa del genere. Remus li guardò andare e venire con un
interesse distante. Non biasimava Grant: sapeva che non era certo
un barile di risate con cui passare il tempo.
Remus stesso era diventato eccellente nel dividere la sua vita in
segmenti ordinati con bordi affilati come rasoi. Castor era una
cattiva abitudine; Grant era tutto il resto. Poi c’era lo spettro di
Sirius, che incombeva sull’intera cosa, assicurandosi che non fosse
mai veramente felice con nessuno dei due.
«Potresti restare, fratello.» Disse Castor, ogni volta.
«Potresti non chiamarmi “fratello” subito dopo che mi hai
scopato?» Remus scattò.
Era spesso scortese con Castor, e Castor era duro con lui subito.
Remus non era sicuro se fosse una cosa da lupo o una cosa di auto-
punizione, ma cercò di non analizzare troppo la situazione.
«Remus Lupin, allora.» Castor ha risposto.
«È solo Remus.» Grugnì, alzandosi per vestirsi. «E sai che non
posso restare. Ho una vita in Inghilterra.»
368
«Lo dici tu.» Castor inarcò un sopracciglio. «Ma non vedo prove.
Ci prenderemmo cura di te qui.»
«Non mi fido di nessuno di voi per quanto ho potuto lasciarvi.»
Disse Remus in tono piatto, abbottonandosi i jeans.
«Eppure torni ogni mese...»
«Sì, beh, è solo per questo.» Remus indicò il corpo nudo di Castor
sdraiato su una pelliccia grigia; era assolutamente perfetto in ogni
modo, una statua greca, flessuosa, muscolosa e deliziosa. «Non
iniziamo a fingere che ci piacciamo.»
«Ma noi siamo il tuo branco!» Protestò Castor.
«Guarda... Smetterò di venire, se non la pianti.» Remus strinse i
denti.
Smise di andarci per due mesi dopo, solo per far soffrire Castor.
Remus non aveva bisogno di un branco, e di certo non aveva
bisogno di amici.
A volte Mary cercava di mettersi in contatto, a volte lui glielo
permetteva. Ma era stato difficile, molto difficile. Preferiva Grant
e la loro modesta vita babbana insieme. E davvero, sebbene la loro
vita non fosse quella che Remus avrebbe mai immaginato di vivere,
non era affatto vuota. Remus intraprese vari lavori occasionali, le
pulizie soprattutto o lavoro di corriere, perché era denaro contante
e a nessuno importava se smetteva di presentarsi.
Grant studiava per la sua licenza e aveva sempre studenti in giro,
discutevano in soggiorno, preparandosi per un’altra protesta
contro la Poll Tax o per il disarmo nucleare. Fecero un gran casino
nel soggiorno dipingendo striscioni e inchiodando insieme cartelli,
ma a Remus non importava un po’ di caos.
Gli piacevano le ragazze invitate da Grant più di quanto gli
piacevano i ragazzi: erano tutte così vivaci, così appassionate, con
i capelli verdi punk e atteggiamenti infantili e maliziosi. Non gli

369
importava molto delle cause, ma la conversazione era sempre
vivace.
A volte sentiva di parlare con Mary, o Marlene, o Lily. Poi si
sarebbe distaccato e avrebbe avuto bisogno di un drink. Sarebbe
rimasto in silenzio in cucina finché non se ne sarebbero andati tutti.
«Oh, Remus. Non puoi semplicemente allontanarti e incazzarti
ogni volta che sei triste.» Grant sospirò una notte, quando trovò
Remus accasciato sul tavolo della cucina, ore dopo che tutti se ne
erano andati.
«Io sono triste.» Remus singhiozzò.
«So che lo sei amico.» Grant si chinò e tirò il braccio di Remus
sopra la sua spalla, sollevandolo verso il letto. «E ti è permesso
essere triste. È il bere con cui abbiamo il problema, eh?»
«Nessuno ti deve una vita felice.» Remus ripeté tristemente il
vecchio slogan della Direttrice mentre ondeggiavano insieme lungo
il corridoio.
«No.» Sbuffò Grant, mettendolo a letto. Guardò Remus con
compassione. «Ma lo devi a te stesso, amore.»

370
1985
I’ve been loving you a long time;
Down all the years, down all the days.
And I’ve cried for all your troubles,
Smiled at your funny little ways.
We watched our friends grow up together
And we saw them as they fell.
Some of them fell into heaven,
Some of them fell into hell.

A Remus piacevano molte cose di Grant. Il suo sorriso, i suoi


riccioli biondi a cavatappi, il suo senso dell’umorismo sfacciato e
impenitente. Grant era una persona simpatica. Ma c’era una cosa
che Remus si rifiutava assolutamente di tollerare.
Grant amava il calcio. Non era un fanatico, ma aveva decisamente
più interesse di quanto Remus pensasse fosse necessario.
Sosteneva i Queens Park Rangers e un anno si era persino
comprato una maglietta del kit tarocco, oltre alla sciarpa a strisce
blu e bianche. Mai uno da osservare semplicemente, Grant era
anche un giocatore occasionale e il sabato giocava in una squadra
di uomini gay nel sud di Londra.
Fu così che incontrò Neil Newman; un giocatore di football alto e
di bell’aspetto con i capelli appuntiti e le cosce su cui potevi
rompere le noci e fu questo il modo di come Remus incontrò
Anthea Luong; la fidanzata part-time di Neil.
«Part-time?!» Remus alzò un sopracciglio quando Grant spiegò.
Si stava allacciando i lacci degli stivali, pronto per andare alle prove
un sabato e Neil sarebbe arrivato a prenderlo.

371
«Non è così insolito.» Grant gli fece l’occhiolino, Remus capì il
punto.
«Ma se Neil è queer-» Provò Remus.
Grant alzò un dito. «Stai al passo con i tempi, luce del sole. Il queer
è fuori. Siamo uomini gay e ne siamo orgogliosi.»
Remus alzò gli occhi al cielo. «In qualsiasi caso. Se Neil è un uomo
gay, allora perché Anthea?»
«Penso che debba essere bicentenario.»
«Vuoi dire bisessuale.» Corresse Remus.
«No, ha duecento anni.» Grant fece uscire la lingua. «Sì, Mr
Letterale, intendevo bisessuale.»
Remus non poteva davvero incolpare Neil per questo, una volta
che anche lui l’aveva incontrata. Anthea era una ragazza molto
attraente. Era piccola e slanciata, con lunghi capelli neri di raso e
occhi scintillanti. La sua bocca era come un bocciolo di rosa, e
aveva la pelle più bella che Remus avesse mai visto. Si vestiva come
Cyndi Lauper, tutta fronzoli e da giorno.
«Molto piacere di conoscerti.» Ghignò lei, allungandosi in punta di
piedi per baciare la guancia di Remus in segno di saluto.
Neil gli fece solo un cenno leggermente diffidente, Remus era
abituato a questo dagli amanti di Grant.
«Tè, lo volete tutti?» Grant offrì.
«Nah, è meglio che andiamo.» Disse Neil piuttosto esplicitamente,
pensò Remus. «Bisogna arrivare presto, non è vero? Per il
riscaldamento.»
«È così che lo chiami?» Anthea gli fece la linguaccia. «Remus, posso
restare qui con te? Ho così tante cose di cui voglio parlarti.»
«Ah sì?!» La fissò allarmato. Non sapeva nemmeno che Neil avesse
una ragazza fino a dieci minuti prima.
«Oh sì, ho detto ad Anth qui quanto sei bravo in astrologia.» Disse
allegramente Grant, infilandosi la giacca di jeans.
372
Sembrava sciocco, in pantaloncini e calzini lunghi, ma tutto ciò che
riguardava il calcio era ridicolo per Remus.
«Nomi astrali.» Remus disse. «Sono cose molto diverse...»
«Sono tutte stelle e quello, vero?»
«Be’...» Non aveva davvero niente da ribattere.
«Ci vediamo ragazzi! Divertiti!» Anthea li salutò entrambi,
spingendoli fuori dalla porta.
All’improvviso Remus era solo con una strana giovane donna,
senza idea del perché. Voleva davvero qualcosa da bere.
«Non hai una TV.» Disse categoricamente.
«No.» Remus acconsentì.
«Fantastico appartamento, però!» Stava dicendo, camminando per
la stanza, guardando fuori dalla finestra, tirando via i libri dallo
scaffale e scannerizzando le copertine. «Così carino che vivi a
Chinatown. Parli cinese?»
«Ehm... no...?»
«Io sì, parlo tre lingue: cinese, vietnamita e inglese. L’inglese è la
mia lingua madre, il vietnamita è la lingua di mia madre, se mi
capisci.» Gli fece l’occhiolino. «E Neil dice sempre che dovrei dire
che parlo quattro lingue, perché parlo così tanto.» Rise. Era una
risata un po’ brutta e stridente, come monete che cadono su
lamiere, ma rise con tale convinzione che era comunque
accattivante.
«Giusto.» Remus annuì. «Ehm... Scusa, volevi sapere qualcosa
sull’astronomia?»
«Può essere. Sono una Vergine, tu cosa sei?»
«Uhh... Pesci, credo?»
«Vanno d’accordo insieme?» Lei chiese sbattendo le ciglia.
«No. Voglio dire, non lo so. Voglio dire... Come ho detto, questa è
davvero astrologia, non-»

373
«Neil è un Capricorno e non vanno con le vergini, ho controllato.
Controllo sempre. Ma sai, il cuore vuole ciò che vuole. Sai che
stanno scopando?» Disse dal nulla. «Lui e Grant?»
«Ho intuito...»
«Ti dispiace? Tu vivi con Grant, vero?»
Remus annuì, sebbene la correggesse privatamente: Grant vive,
non il contrario. «Siamo piuttosto casual, però.»
«Oh, va bene.» Annuì seriamente.
«Guarda, uhm... quanto tempo rimani?» Remus si grattò la testa
imbarazzato.
«Solo finché i ragazzi non torneranno dall’allenamento.» Sorrise.
«Va bene, no? Grant ha detto che ti sarebbe piaciuta un po’ di
compagnia. Oh, ti dico una cosa, mi piacerebbe una tazza di tè.»
«Uhm, okay...» Andò ad accendere il bollitore, ancora confuso.
A che gioco stava giocando Grant lasciandolo a fare da babysitter
alla ragazza del suo amante?! Come se Remus non avesse niente di
meglio da fare di sabato. Aveva programmato di leggere il giornale.
Forse ascoltare gli Archers alla radio.
«Niente zucchero, niente latte!» Anthea disse. «Oooh, posso
mettere un disco?»
«Se vuoi...»
Mise su un album dei Queen.
Remus sospirò tra sé. Non davvero era un fan, ma Grant non ne
aveva mai abbastanza. Quando portò il tè Anthea era seduta sul
divano, sporgendosi sul tavolino da caffè rotolando uno spinello.
Gli sorrise: «Ti va?»
«Sì certo.» Concordò Remus. Bene, era meglio di niente.
Fumarono e bevvero tè e ascoltarono i Queen e Anthea continuava
a insistere chiedendo di tutto.
«Grant dice che sei davvero intelligente, scuola privata e tutto il
resto.»
374
«Sì.» Remus si strinse nelle spalle.
«E sai tutto sulle costellazioni e cose del genere. Ehi, posso leggere
i tuoi tarocchi, se vuoi?»
«No grazie.»
«Come mai hai tutte quelle cicatrici?»
Sbatté le palpebre, preso alla sprovvista. Anthea stava ancora
sorridendo graziosamente e sembrava sinceramente curiosa di lui.
«Ho solo un sacco di cicatrici.» Disse deglutendo. «Ti va un gin
tonic?» In realtà non aveva il tonico, ma poteva fingere di averlo
appena dimenticato e prenderlo puro.
«Sì, perché no.» Annuì vivacemente. Si alzò e lei lo seguì in cucina,
continuando a parlare. «Non sei malato o altro, allora?»
«No.» Disse Remus. «Li ho fatti combattendo. Alcuni di loro li ho
fatti io.»
«Oh poveretto.» Disse, la sua simpatia era genuina. Si sporse in
avanti e gli strinse gentilmente il braccio. «Scusa se te lo chiedo,
amore. Non puoi mai stare troppo attento al giorno d’oggi, capisci
cosa intendo?»
«Mmh.»
Versò il gin in due bicchieri. Sapeva esattamente cosa intendeva e
non voleva parlarne. Oppure pensaci.
Non si era lamentata quando lui le passò un bicchiere di gin puro,
semplicemente fece scattare i loro bicchieri e disse raggiante.
«Salute!» Poi bevve un bel sorso.
Tornarono sul divano. Remus prese la bottiglia.
«Sei sempre stato così alto, Remus. Cosa sei, 1.90?»
«1.88.»
«Amo gli uomini alti.» Lei face le fusa.
«Anche io.»
Anthea rise di nuovo a questo, i suoi orecchini di plastica
scattarono insieme.
375
Chiacchierava ancora di più, raccontandogli cose sciocche e senza
senso su sé stessa; dove era stata a scuola, le sue canzoni preferite
alla radio, ogni film che avesse mai visto al cinema.
«E mi piace anche ballare un po’, è così che ho incontrato Neil,
ballando giù a Vauxhall. Posso farti vedere. E i miei capelli erano
più corti allora.»
Si alzò e iniziò a ballare sul disco.

Ooh love,
Ooh loverboy
What’re you doin’ tonight, hey boy
Set my alarm, turn on my charm
That’s because I’m a good old-fashioned lover boy

Remus non aveva bisogno di immaginare il vestito scintillante; era


un’ottima ballerina. Si contorse e si dimenò con energia sensuale,
lanciandogli occhiate civettuole e agitando i fianchi.
Stordito e rilassato, Remus si accovacciò sul divano guardandola.
Era un sogno, carina e aggraziata, ma anche incredibilmente reale.
Remus si chiedeva perché finisse sempre con le chiacchiere, e
perché diavolo gli piaceva così tanto.
La canzone finì e lei alzò le braccia come una ginnasta che avesse
appena completato una routine perfetta.
Remus sorrise suo malgrado, e applaudì.
«Ti va di ballare?» Sbatté le ciglia in modo civettuolo.
Remus non poteva farci niente; qualunque cosa lei gli avesse fatto
rotolare era più forte di quanto era abituato, e lui ne fu affascinato.
«Avanti allora.»
Non ballava davvero, ma le tenne le mani mentre lei lo faceva,
facendola roteare nei punti giusti e lasciandola cadere tra le sue

376
braccia ridendo. Aveva i polsi più delicati, le ossa sottili come quelle
di un uccello.
Quando finalmente crollarono sul divano per fumare un’altra
canna, lei si tolse le scarpe e gli appoggiò le gambe in grembo.
Grant a volte lo faceva; avevano solo un divano, quindi era l’unico
modo per stendersi.
«Sei molto bello, Remus.» Disse attraverso il fumo.
«Aha.» Rispose, buttando via l’ultimo bicchiere di gin. Non poteva
versarne altro senza spingerle via le gambe e non voleva farlo, così
si accontentò dello spinello.
«Lo sei. Sei molto sexy.»
«Shh.» Ridacchiò. «Chi ti credi di essere? Presentarsi nel mio
appartamento senza preavviso e interrogarmi.»
«Ti sto interrogando?» Spalancò gli occhi. «Stai soccombendo alle
mie tecniche?»
Remus rise piegandosi, le mani sulle sue gambe, erano così lisce e
morbide. Anche lei stava ridacchiando guardandolo. I suoi occhi
erano così scuri e così pieni di vita. La voleva. Remus se ne rese
conto all’improvviso, come se si fosse accesa una luce; la stanza era
più luminosa, il suo viso più chiaro. Dannazione.
Finì la canna. Si dimenò sul divano e chiuse gli occhi contenta. Le
lasciò le mani sulle gambe; solo riposando lì, non voleva prenderla
o qualcosa di orribile del genere. Voleva solo... cosa? Cosa avresti
fatto con una ragazza? Quello con Mary era successo quasi dieci
anni fa, e non era come se Remus avesse davvero avuto un ruolo
importante lì. Per lo più si era sentito sorpreso che lei lo avesse
scelto.
Anche adesso lui si sentiva così, quando Anthea aprì gli occhi e gli
sorrise di nuovo. «Scusa, volevi sdraiarti anche tu?»
«Che cosa?» La schiena di Remus formicolò, allarmato. Lo
avrebbero fatto davvero?! «No! Voglio dire... ehm...»
377
«Sei così adorabile.» Sorrise, spostandosi da parte e tirandolo giù
accanto a lei. «Restiamo un po’ sdraiati insieme, è carino no?»
«Mh...»
Lo coprì con un braccio. I suoi morbidi capelli neri gli solleticavano
il naso e non poté fare a meno di inalare il suo profumo. Era caldo
e un po’ piccante, come il chiodo di garofano o la cannella. Gli
piaceva. Rimasero sdraiati per un po’, così.
Il disco era finito e stava solo girando la lancetta, scoppiettando.
«Cosa pensi che stiano facendo Neil e Grant ora?» Sussurrò
Anthea, la sua mano improvvisamente sulla sua cintura, il palmo
piatto contro il suo inguine. «Probabilmente sotto la doccia,
secondo te?»
«Uhm.» Disse Remus, senza parole.
«Dovresti vedere Neil senza la sua divisa, è un Adone. Voglio dire,
è una testa di cazzo, ma puoi dimenticarti di tutto quando si mette
in gioco, scommetto che sono tutti sudati e infangati dal campo.»
Remus cercò di regolare il suo respiro, ma lei continuava a muovere
la mano, e lui trovava difficile concentrarsi su qualsiasi altra cosa.
Alla fine lei lo guardò e gli baciò le labbra molto teneramente.
«Ti piace?»
«Sì.» Sussurrò Remus. «Avanti, allora.»
Anthea era sotto la doccia, due ore dopo, quando Grant e Neil
entrarono dalla porta. Remus era ancora sdraiato sul divano in
mutande, arrossato e completamente stordito.
Grant fece un breve calcolo e poi scoppiò a ridere. Neil sembrava
sconvolto. Entrò in bagno e chiese ad Anthea di uscire subito.
«Sgualdrina!» Grant ansimò a Remus, piegandosi in due dal ridere.
«Ciao Grant, ciao Remus!» Chiamò Anthea mentre lei e Neil
uscivano in fretta. Aveva una faccia come un tuono e la porta
sbatté forte dietro di loro.

378
«Bene allora.» Disse Grant, ricomponendosi. «Spero che la tua
ragazza non abbia esaurito tutta l’acqua calda.»
«Non so davvero perché sia successo.» Disse Remus, infilandosi la
maglietta. «Stavamo solo ascoltando dei dischi e lei stava parlando,
e poi...»
«Cosa, era l’unico modo per farla tacere?»
Remus lo guardò imbarazzato. «Che tu ci creda o no, non l’ha
zittita.»
Grant impiegò quasi dieci minuti interi per rimettersi in sesto.

Presero una TV poche settimane dopo; Grant scherzò sul fatto che
se Remus era così annoiato che avrebbe fatto ricorso a scopare con
le ragazze, allora avrebbero fatto meglio a portare un po’ di
intrattenimento per lui. Non vide di nuovo Anthea il che era un
peccato perché, ad essere onesti, Remus non si sarebbe
preoccupato di renderla una cosa normale. Una volta che ti abituavi
a tutti i discorsi, era molto sexy. Non pensava troppo a cosa
significasse e Grant non lo spinse.
La TV arrivò di seconda mano, nessuno dei due aveva abbastanza
reddito disponibile per una nuova di zecca. L’avevano ottenuta
gratuitamente da un amico di Grant a condizione che la
prendessero da soli. Erano solo due strade più in là, ma questo
rappresentava ancora un problema.
«Non puoi... Farla librare a casa o qualcosa del genere?» Chiese
Grant, le mani sui fianchi mentre fissavano il televisore grande e
ingombrante sul marciapiede. «Fai un incantesimo.»
«È contro la legge.» Remus ha spiegato. «In pubblico, comunque.
O di fronte a babb- te.»
«Pfft.» Grant alzò una mano per scostarsi i capelli dalla faccia
sudata. «Idiota. Sapevo che avrei dovuto imparare a guidare.»

379
La porta dell’edificio si aprì e ne uscì un uomo arrossato e
sfuggente. Quello era il terzo uomo che Remus aveva visto con la
stessa identica occhiata furtiva.
«Cos’è questo posto, comunque?!» Chiese sbirciando l’edificio.
Sembrava come tutti gli altri, forse un po’ malandato. Non c’era
segnaletica esterna.
«Sauna.» Disse Grant, accovacciandosi per vedere se poteva
mettere le braccia intorno alla scatola. Poteva, ma non c’era modo
di sollevare la cosa.
«Sauna?» Remus si grattò la testa.
«Sai, un bagno. Dove gli uomini possono stare da soli insieme e
sudare tutti.»
«Oh!» Remus rimase a bocca aperta, imbarazzato.
«Cristo Remus, viviamo a Soho.»
«Lo so! È solo... Comunque, non sollevarlo in quel modo, ti farai
male alle spalle. Dai prendi quell’estremità, io prendo questa... uno,
due, tre, su...»
La recuperarono in circa trenta minuti, prendendosi solo una
pausa. Remus stava davvero facendo la maggior parte del
trasporto, ma non gli importava; avevano scelto un giorno tra le
lune e lui si sentiva abbastanza sano. Fortunatamente Grant aveva
dato una mano dal lato elettrico ed era riuscito a collegare tutto una
volta che la TV era effettivamente in soggiorno. Sembrava strano;
un grande cubo di plastica nera che occupa tutto lo spazio.
Finirono per metterlo su una scatola davanti al camino, che
comunque non avevano mai usato. L’antenna non era brillante e
aveva bisogno di un po’ di nastro isolante per tenerla in posizione
verticale, ma una volta che avevano acceso la cosa e l’immagine
sfocata era apparsa in vista, erano rimasti entrambi agganciati alla
vista.

380
Remus, che non guardava la televisione da anni, quell’estate era
diventato un completo drogato. Era appassionato di soap opera;
EastEnders, Brookside e Coronation Street, ma guardava qualsiasi cosa;
dibattiti nella House of Commons, campionati di snooker, commedie,
documentari, Top Of The Top e persino una serie orribilmente
sconvolgente chiamata Threads, sulla minaccia di una guerra
nucleare.
La TV si accendeva per prima cosa la mattina mentre girava per
l’appartamento vestendosi o lavandosi i denti, e il più delle volte la
sera si addormentava davanti. Grant ha iniziato a chiamare la tv
“l’altro uomo”.
«Mi piace solo il rumore.» Disse Remus. «Per compagnia.»
«Potresti provare a farti dei veri amici...» Suggerì Grant.
Remus respinse questo. Non aveva bisogno di amici; aveva tutto
ciò di cui aveva bisogno.
Una domenica pomeriggio erano entrambi in soggiorno. Remus
doveva partire per un lavoro di pulizia che iniziava alle 3 del
mattino, quindi aveva dormito quasi tutto il giorno. Grant stava
leggendo il giornale e le gambe di Remus erano sulle sue ginocchia.
Con la mano libera, Grant strofinava distrattamente l’arco del
piede sinistro di Remus il che lo rendeva di nuovo assonnato e
assopito.
Il Notiziario era appena finito e stavano facendo passare il tempo
quando improvvisamente, una musica sinistra iniziò a suonare.
«Ora c’è un pericolo che è diventato una minaccia per tutti noi.» Disse
minacciosamente la televisione. «È una malattia mortale e non esiste
una cura conosciuta...»
Sia Grant che Remus alzarono lo sguardo per guardare il
raccapricciante annuncio. Una parola incisa su una lapide annerita:
AIDS. «Non morire di ignoranza!» La voce fuori campo intonò.

381
Un familiare senso di vergogna e ansia attraversò Remus, un
malaticcio miscuglio di emozioni che non aveva provato dai tempi
della scuola.
Allontanò i piedi da Grant, portando le ginocchia al petto. Si
sentiva sporco; intoccabile.
«Cristo.» Disse Grant, la sua voce vuota, segnalando a Remus che
si sentiva esattamente allo stesso modo. «Abbastanza per farti
rinunciare del tutto a scopare.» Lui scosse la testa.
Remus si morse il labbro. «Sei al sicuro, vero?» Chiese timidamente.
«Sì, ovviamente.» Grant annuì, bruscamente.
Remus lo guardò, storcendo la bocca. Odiava parlare degli altri
rapporti di Grant, e Grant era sempre molto discreto al riguardo.
Non colpevole o riservato, ma discreto. Tuttavia, Remus voleva
essere più sicuro che poteva.
«Bene. Voglio dire, stai usando...»
Grant si alzò, le mani sui fianchi chiaramente infastidito. «Sì,
Remus, quando scopo altri uomini mi assicuro che ci siano i
preservativi a portata di mano.»
«Scusa.» Remus arrossì, guardandosi le mani. «Non mi riguarda.»
«Giusto. Non ti riguarda.» Grant scattò agitato e andò in cucina.
Remus lo sentì riempire il bollitore e poi accenderlo, poi sentì
l’odore del fumo di sigaretta.
Si passò le dita tra i capelli agitato e gridò attraverso il muro. «Solo...
Sai che non potrei sopportarlo, se non ti perdessi.»
Silenzio. Passi.
«E tu?» Chiese Grant, riapparendo.
«Io?!» Remus sbatté le palpebre.
Grant incrociò le braccia, appoggiandosi allo stipite della porta.
«Non trattarmi come un idiota, so di non essere il tuo unico e solo.
E non era solo Anth, né. Chiunque vedi, quando esci ogni mese.
Quando sei... Quando non sei te stesso.»
382
Remus lo fissò, la bocca secca. Sbatté di nuovo le palpebre e annuì.
«Sarò al sicuro.»
«Non potrei nemmeno io fare a meno di te.» Disse Grant,
arruffando i capelli di Remus. «Segaiolo insensibile. Tazza di tè?»
Remus annuì, contento che non stessero discutendo, ma turbato
lo stesso.
Grant aveva perfettamente ragione, ovviamente. Remus non aveva
mai pensato due volte alla protezione con Castor. I maghi
potevano trasmetterselo? Se sì, allora c’era una cura magica? Remus
aveva visto foto di malati di AIDS dall’America; uomini scheletrici
nei letti d’ospedale. Rabbrividì.
Grant tornò con due tazze di tè. Ne porse una a Remus e poi si
sedette accanto a lui, accavallò le gambe e si portò il boccale alle
labbra, soffiandoci sopra. Sorseggiò e poi alzò lo sguardo,
pensieroso.
«Potrei smetterla.»
«Eh?» Remus sbatté le palpebre, perso nei suoi pensieri.
«Potrei smettere di vedere altre persone.» Grant ripeté
pazientemente. «Se tu vuoi che lo faccia, voglio dire. Tutto quello
che devi fare è chiedere.»
«Non voglio dirti cosa puoi e cosa non puoi-»
«Remus.» Grant inarcò un sopracciglio. «Vivo qui da quattro anni.
A volte sei proprio una testa di cazzo, ma mi rendi felice.»
Remus stava fissando il tappeto ora, cercando di non farsi prendere
dal panico.
Grant posò il suo tè e si allungò per toccare la mano di Remus.
«Non ho bisogno di nessuno tranne te.» Disse sinceramente.
«Grant, io...»
«Lo so, lo so.» Grant alzò una mano. «Non mi aspetto che tu lo
dica a me, va bene. So come ti senti e basta.»

383
Remus inspirò bruscamente e chiuse gli occhi. Espirò lentamente
e desiderò che il suo cuore rallentasse. Era stata una cosa adorabile
da sentire. Non si era mai aspettato per un momento di sentirsi di
nuovo in questo modo o che fosse così diverso dall’ultima volta.
«Okay.» Respirò.
«Okay?» Grant inclinò la testa.
«Okay.» Remus annuì. «Preferirei che non vedessi nessun altro.»
«Affare fatto.»

384
1986
Time up and time out for all the liberties you’ve taken
Time up and time out for all the friends that you’ve forsaken
And if you choose to waste away like death is back in fashion
You’re an accident waiting to happen

My sins are so unoriginal.


I have all the self loathing of a wolf in sheep’s clothing
In this carnival of carnivores, heaven help me.

Goodbye and good luck to all the promises you’ve broken


Goodbye and good luck to all the rubbish that you’ve spoken
Your life has lost its dignity, its beauty and its passion
You’re an accident waiting to happen

Le cose erano diverse ovviamente, dopo che Remus e Grant


accettarono di rimanere monogami. Erano ancora migliori amici,
si facevano ancora ridere e si irritavano a vicenda oltre ogni
immaginazione, ma si era sviluppata anche una nuova intimità.
Remus aveva bevuto meno per un po’- non si era fermato del tutto,
e alcuni giorni erano molto duri, alcuni giorni non si lavava, non si
alzava dal letto o mangiava. Ma non tutti i giorni e quello era un
progresso.
Castor non la prese bene. In effetti, era furioso. Remus provò
anche a spiegargli dell’HIV, ma non era andata bene. Castor era
cresciuto così lontano dall’umanità che stava persino iniziando a
sembrare un lupo. I suoi capelli erano più folti, in qualche modo
più scuri, e si estendevano fino alla nuca, strisciando lungo la sua

385
spina dorsale. I suoi denti si stavano allungando, i suoi occhi più
acuti, le iridi diventavano gialle.
«Stai voltando le spalle alla tua famiglia, Remus Lupin.» Ringhiò.
«Anche la tua magia si indebolisce.»
«Non sto voltando le spalle a niente.» Remus aveva insistito. «Sto
cercando di avere una vita reale.»
Ovviamente Castor non capiva; Remus teneva Castor e Grant così
separati che non si conoscevano nemmeno di nome. Forse aveva
sempre saputo che alla fine avrebbe dovuto sceglierne uno. E
Castor non si era mai sentito bene.
Alla fine Remus fu bandito dal branco. Era stato avvertito che se
fosse mai tornato, sarebbe stato trattato come una minaccia.
Questo era un gesto un po’ estremo ma supponeva che fosse
proprio quello che ottenevi per aver spezzato il cuore ad un lupo
mannaro.
Ora Remus doveva trascorrere le lune piene in Gran Bretagna.
Tornò in alcuni dei suoi vecchi luoghi di ritrovo; il Lake District, i
Brecon Beacons. Cercò di non andare da nessuna parte, c’erano
troppi ricordi di Prongs e Wormtail. O dell’altro. A peggiorare le
cose, senza il branco che lo aiutasse a guarire ogni mese, Remus
dovette smaterializzarsi a Londra e curare le sue ferite come meglio
poteva.
«Cristo!» Esclamò Grant, la prima volta era stato davvero brutto.
Si avvicinò a Remus in bagno, disinfettando i suoi tagli, la sua
bacchetta tremante mentre cercava di afferrarla con le dita rotte.
«Scusa.» Mormorò Remus, tenendosi contro il lavandino mentre
un incantesimo vertiginoso minacciava di sopraffarlo.
Non si era sentito così spaventato dopo una trasformazione da...
da quando... La sua vista si annebbiò, e si sedette sul coperchio del
water chiuso, la testa tra le ginocchia in modo da non svenire.

386
«Cristo!» Disse di nuovo Grant, entrando e inginocchiandosi
davanti a lui. Prese il dannato batuffolo di cotone che Remus stava
usando e lo gettò nel cestino. Afferrò la vasca dal lato del
lavandino, più la bottiglia di TCP. «Vieni qui, tu.» Disse
dolcemente, prendendo la mano di Remus molto delicatamente
nella sua, e tamponandola leggermente con il disinfettante.
Remus rimase seduto in silenzio, lasciandosi accudire, troppo
stanco per fare molto altro.
«Per l’amor di Dio.» Grant scosse la testa, visibilmente sconvolto,
«Non possiamo averti in questo stato ogni mese, vero tesoro?»
«Va tutto bene.» Remus mormorò. «Non è poi così male.»
«“Non è poi così male” un cazzo!» Ribatté Grant, alzandosi per
cercare cerotti nell’armadietto dei medicinali. Li trovò e si
inginocchiò di nuovo, riprendendo il suo lavoro sui graffi di
Remus. «Ti dico una cosa, se è una scelta tra te che torni in questo
stato ogni mese o fare qualche pompino a quel fottuto bastardo,
allora glielo farò io.»
Remus rise, il che gli fece male alle costole. «Non sono sicuro che
funzioni così.»
«Bene, dobbiamo fare qualcosa.» Borbottò Grant, legando
strettamente le dita rotte di Remus con i cerotti.
«Sei bravo in questo.» Disse Remus sorpreso, guardando il lavoro
pulito che aveva fatto Grant.
«Sì, beh, se vieni maltrattato tanto quanto me, impari qualche
trucco.» Grant alzò lo sguardo e gli fece l’occhiolino. «E non
dimenticare che ho frequentato quel corso di primo soccorso per
lavoro. Andiamo allora, ti porto a letto. Hai fame?»
«Una specie.» Stava morendo di fame, ma sapeva che non c’era
cibo. Stavano aspettando il giorno di paga per fare una grande
spesa.

387
«Vedrò cosa posso fare.» Disse Grant, aiutandolo ad arrivare in
camera da letto.
«Non devi, probabilmente dormirò.»
«Dio, sembri così pallido.» Grant sentì la fronte di Remus con il
dorso della mano. «Suppongo che dovresti mangiare qualcosa.»
«Onestamente, sembro peggio di quanto mi senta.» Remus si
arrampicò sul letto, le sue ossa piansero di sollievo.
«Non ti credo.» Grant entrò con lui, e si mise a sedere,
accarezzando i capelli di Remus. Fu molto rilassante. «Sirius si
prendeva cura di te? Dopo lune piene?»
Remus strinse gli occhi, scosse la testa. «Per favore, non farlo. Non
posso.»
«Oh amore.» Grant sospirò, riprendendo le sue carezze tenere.
«Sai, il mio amico che fa la consulenza, dice che ti darà ancora un
appuntamento. Di’ solo una parola. Mi ha aiutato molto, non sai
quanto.»
«Non posso.» Disse Remus. Diceva sempre la stessa cosa. «Ci sono
troppe bugie che dovrei dire.»
«Nah, stavo pensando: non deve essere per forza la guerra, o anche
la cosa del lupo. Parla con lei di James, Lily e Peter. Di’ che è stato
un incidente d’auto o...»
«No.»
«Remus, voglio solo che tu parli-»
«Sai, davvero non mi sento bene. Puoi lasciarmi in pace, per
favore?»
«Bene.» Grant si alzò.
Remus teneva gli occhi chiusi, ma poteva sentire ogni movimento.
Poco prima di lasciare la stanza, Grant si voltò.
«A proposito, ho trovato quella bottiglia di gin nel tuo cassetto dei
calzini. L’ho versato nel lavandino.» Detto questo se ne andò
sbattendo la porta.
388
*RING RING* *RING RING*
«Ciao?»
«Mary?»
«Remus?» Ci fu un breve silenzio alla fine della linea, mentre Mary
si riprendeva.
Remus conosceva quella sensazione. A volte gli veniva ricordato
qualcosa dei vecchi tempi e gli faceva perdere aria.
«Ciao!» Disse, la sua voce portava un sorriso spalancato. «Come
stai tesoro?»
«Oh lo sai. Non ti sto disturbando?» Cercava sempre di darle una
scappatoia, se lei lo voleva.
«Certo che no... Ho appena preso il tè.»
«Oh bello, cos’hai mangiato?»
«Pollo e riso. Il preferito di Darren.»
«Suona bene.»
«Dovresti venire a cena, una sera. Sei ancora a Londra, vero?»
«Sì... stesso appartamento.»
«Oh, certo. È questo...? Uhm. Come mai?»
«Va bene.» Disse, guardandosi intorno nel suo squallido soggiorno.
«Sono stato qui così a lungo ora, immagino che sia sempre stato
solo mio.»
«Vedi qualcuno?»
«Una specie.»
«Lavori?»
«Pulizia. Di tanto in tanto, quando posso ottenerlo. Stavo
impilando scaffali per un po’ a Epping, ma mi sono addormentato
sul lavoro e mi hanno licenziato.»
«Sii gentile con te stesso, amore.»
«Sì.» Prese un sorso dalla sua bottiglia di birra. «Come va il tuo
lavoro?»

389
«Bene! È venuto fuori che avrei potuto essere pessima con la
trasfigurazione, ma la contabilità non è un grosso problema.»
Darren aveva aperto un garage alla fine dell’85, e anche Mary
lavorava lì, occupandosi di tutte le prenotazioni e della
fatturazione. Stavano risparmiando per lasciare il palazzo e
prendere una casetta con giardino. Aveva usato la magia solo
occasionalmente, disse a Remus, anche se il suo rapporto con la
sua bacchetta non era mai stato lo stesso da quando aveva trovato
i McKinnon.
«Remus? Sei ancora lì?»
«Scusa, sì. Mi sono perso un attimo.»
«Succede anche a me...»
Una pausa, Remus ebbe quella sensazione di nausea e di tensione
allo stomaco. Poteva indovinare cosa sarebbe successo dopo.
Mary alzò leggermente la voce. «Hai qualcuno con cui parlare?
Chiunque tu stia “in qualche modo” vedendo, sa cosa è successo?»
«Mh.» Remus fece un rumore senza impegno. «A pezzi.»
«Perché dovresti parlarne, Remus. Non dovresti portare con te
tutto questo... Non riesco a immaginare come devi sentirsi, il
tradimento-»
«No.» Remus sbottò. «Non puoi!» E batté giù il telefono, più forte
che poteva, in modo da farlo cadere dal tavolo. Finì la sua birra
prima di andare a prenderlo.
Fanculo a lei, allora.
Tutti volevano che parlasse, ma nessuno di loro lo sapeva davvero.
Nessuno di loro poteva sapere: quanto si sentiva stupido, quanto
usato. Lily e James e Peter e Marlene, perdere loro era una cosa.
Remus aveva insegnato a sé stesso a concentrarsi sui ricordi
migliori, sui momenti più felici.
Ma Sirius. Non c’era un momento del loro tempo insieme che non
fosse contaminato; avvelenato dalle bugie che Black aveva
390
raccontato. Remus era stato aperto, vulnerabile e amorevole, e ogni
momento era stato falso.
Era stato preso in giro dall’unica persona che avesse mai amato.
Era stato patetico; troppo accecato dall’emozione per vedere la
verità e ora di lui non era rimasto più niente. Non sarebbe mai più
stato capace di provare quel tipo di morbidezza. L’odio di Remus
per Sirius era così travolgente che a volte lo spaventava.
Allora come avrebbe dovuto parlarne? Come avrebbe potuto dire
a Grant o a qualche terapista che non era solo arrabbiato, non solo
addolorato, ma paralizzato dalla rabbia? Che a volte sognava di
arrivare ad Azkaban in qualche modo e di uccidere Sirius stesso.
Che una o due volte nei primi mesi dopo la guerra, si era spinto al
punto di alzarsi di notte, ubriaco e furioso, aveva afferrato la sua
bacchetta e aveva programmato di fare esattamente quello. L’unica
cosa che lo fermava era il pensiero di essere preso a pugni, o di
dover affrontare tutti quei Dissennatori.
Prese a calci il tavolino furiosamente, picchiando un dito del piede.
«Cazzo!»
Grant sporse la testa da dietro l’angolo della porta del soggiorno.
«Non è andata bene, allora?»
«Non ha senso provare.» Remus sbuffò, massaggiandosi il piede e
saltellando attraverso la stanza per dare un colpetto al televisore.
«Lei è felice. Ha la sua vita insieme. Dovrei semplicemente lasciarla
tranquilla.» Crollò di nuovo sul divano.
«È quello che ha detto?» Grant entrò in tono di rimprovero.
«No. Ma è così.» Remus teneva gli occhi fissi sullo schermo,
piegandosi ulteriormente.
Forse Grant avrebbe capito il messaggio: non voglio parlare!
«Perché non la inviti più di un sabato?» Grant si sedette sul
bracciolo del divano. «Mi piacerebbe conoscerla.»
«Nessun senso. Non sarebbe venuta. Troppi ricordi qui.»
391
«Allora potremmo uscire, andare a pranzo in un posto carino.»
«Non possiamo permettercelo.»
Grant si strofinò le tempie, trasalendo come se avesse mal di testa.
«Stai facendo l’infantile.» Lui disse.
«Levati dalle palle.»
«Brillante confutazione, questa.» Sbuffò Grant. «Dai, che fine
hanno fatto gli zoccoli intelligenti che ho usato per togliermi i
pantaloni? Usa le tue parole grosse.»
«Senti, volevi che chiamassi Mary e l’ho fatto. È finita male, come
sapevo sarebbe andata, e basta. Lasciami in pace, va bene?!»
«Sì, posso anche immaginare esattamente perché è finita male, e
non ho bisogno di essere un maledetto prestigiatore per capirlo.»
«Mago.»
«Testa di cazzo. Da quello che mi hai detto è una brava ragazza. E
lei ti conosce. Ho solo pensato che sarebbe stata qualcuno con cui
parlare...»
«Sì, beh, non vuole parlarne più di me.» Remus sputò. «Mi ha detto
di parlarti.»
«Lo ha fatto?» Grant sbatté le palpebre.
Remus si sentiva particolarmente crudele. «Beh. Ovviamente non
ti conosce per nome. Solo chiunque mi stia scopando, in questo
momento.»
«Giusto.» Grant fece uno sforzo evidente per ignorare questo
commento. «Beh, andiamo allora.»
«Che cosa?»
«È domenica, non ho niente da fare. Parliamo.»
«No.»
«Remus. Non posso andare avanti cos» Grant disse. «Ti amo. Ti
amo, ma anche questo è-»
Cazzo. I campanelli d’allarme iniziarono a suonare nella testa di
Remus.
392
Era come se qualcuno avesse iniziato ad accendere e spegnere le
luci, le pareti si chiudessero e tutta l’aria avesse lasciato la stanza, e
lui era stordito, annegato, accecato. Aveva uno strano sapore in
bocca e pensava di potersi sentir male, tranne per il fatto che non
riusciva a respirare abbastanza da vomitare, continuava ad
ansimare, rotolando in avanti.
«Hey Hey Hey!» La voce di Grant penetrò nella nebbia,
echeggiante e distante. «Remus? Remus, puoi fare un respiro
profondo? Uno dentro, uno fuori, okay? Uno...»
Remus sentì il sudore colargli lungo la schiena, il cuore che gli
batteva forte, ma inspirò più che poteva.
«Due...» disse Grant. Gli stava massaggiando la schiena molto
lentamente. Remus emise un lungo respiro tremante. «Così bene,»
Disse Grant, la voce più alta ora. «Bene, Remus, ben fatto. E
ancora, uno... due...»
Dovevano essere rimasti seduti lì per quasi due minuti interi,
respirando insieme. Alla fine, Remus si sentì di nuovo normale. A
parte il fatto che voleva davvero, davvero da bere.
«Vedi.» Disse Grant, usando la voce che Remus era sicuro di
riservare ai ragazzi problematici con cui lavorava. «Questo è il
motivo per cui ho bisogno che tu parli con me. Non possiamo
avere questo, vero?»
Remus scosse la testa, ma non si fidava di parlare.
«Mi dispiace di aver detto quello che ho detto.» Ha continuato
Grant. «Non volevo farlo. Non ci sono “ma”, ok? Ti amo e tu sei
bloccato qui con me.»
Remus annuì di nuovo, la testa ancora tra le mani, gli occhi chiusi.
Doveva aver preso l’influenza, o qualcosa del genere; le persone
non avevano le vertigini solo per non parlare, sicuramente. Solo...
solo Grant che diceva “non posso andare avanti...” aveva acceso

393
una tale paura dentro di lui, un tale terrore, forse c’era qualcosa in
esso.
«E se mi dicessi solo una cosa?» Grant ha provato. «Solo una cosa
per aiutarmi a capire?»
«Tipo cosa?» Remus soffocò.
«Beh...» poteva praticamente sentire la mente di Grant ronzare.
Aveva una lista di cose che voleva chiedere a Remus, tutte riservate
solo per questa occasione? Era una stupida stronzata di psicoanalisi
che Grant aveva raccolto durante un corso di formazione?
«Non mi hai mai detto cosa è successo a Sirius. So che non è morto.
È... andato via?»
«Sì, per così dire.» Remus grugnì. Dio, sentire qualcun altro dire il
suo nome lo feriva così tanto. Si sentì di nuovo stordito.
«Cosa intendi?»
«È in prigione.» Disse Remus. Quindi inspirò di nuovo e costrinse
il resto a uscire. «È in prigione perché li ha uccisi e io non ero qui
per fermare tutto.»
«Porca puttana.»
«Mmh.» Remus si preparò per altre domande. Ma non ne arrivò
nessuna.
Grant gli fece scivolare il braccio sopra la spalla e gli diede una
stretta. «Non è stata colpa tua.»
«Non lo sai.» Remus tornò, ancora guardando in basso. «Non sai
quanto fossi stupido. Ho perso tutti i segni. Sapevo che qualcosa
non andava, ma pensavo... Pensavo che fossi solo io; ho pensato
che volesse rompere. Ero così egoista, non ho mai pensato per un
secondo che avrebbe ... che avrebbe potuto...» Stava piangendo
ora. Stupido Grant.
«È colpa sua se ti delude, non colpa tua se ti fidi di lui.» Grant
continuava ad abbracciarlo.

394
Remus lo permise, per farlo sentire meglio; per far sembrare questo
un passo avanti.
Ma Grant poteva dire che tutto quello che voleva; Mary aveva detto
qualcosa di simile, una o due volte nel corso degli anni.
Semplicemente non suonava vero. I morti erano ancora morti, e
Remus non era stato lì per impedirlo. Anche se fosse stato lì, quella
notte di Halloween; per come era stato allora, probabilmente
avrebbe lasciato che anche Sirius lo uccidesse, piuttosto che cercare
di combatterlo.
Allora morire per amore era sembrata l’unica causa degna. Ma
adesso era più vecchio e conosceva la verità. Mai più. Mai mai.

395
1987
When I look back upon my life
It’s always with a sense of shame
I’ve always been the one to blame
For everything I long to do
No matter when or where or who
Has one thing in common, too;

It’s a, it’s a, it’s a, it’s a sin


It’s a sin

Nella primavera del 1987, Remus ebbe un po’ di fortuna. Uno dei
vecchi amici studenti di Grant ora lavorava nel Dipartimento di
Giurisprudenza dell’UCL ed era riuscito a trovare un lavoro per
Remus facendo un po’ di editing freelance. Questa era stata una
rivelazione; poteva fare la maggior parte del lavoro a casa, e poi
portarlo a Holborn una volta finito. Aveva bisogno di una tessera
di assicurazione nazionale e di un conto bancario babbano, ma era
abbastanza facile da ottenere grazie ad alcuni incantesimi tattici in
banca.
Remus imbrogliò solo un po’, usando la magia per aiutarlo a
leggere e correggere l’ortografia, ma trovò il lavoro
sorprendentemente divertente, e iniziò persino una piccola impresa
segnando i documenti d’esame per alcune scuole babbane locali.
«Non so come fai a concentrarti così a lungo.» Grant scosse la testa
alla pila di carte che Remus aveva accumulato in una sera. «Io
impazzirei.»

396
«È interessante.» Remus alzò le spalle. «Non ho mai avuto la
possibilità di imparare nessuna di queste cose. Hai mai sentito
parlare di equazioni quadratiche?»
Grant rise di lui con affetto e gli arruffò i capelli. «Sei pazzo.»
Grant stesso era andato sempre più avanti sul lavoro. Amava il suo
lavoro e dedicava tempo extra nei fine settimana e la sera ogni volta
che poteva. I ragazzi con cui lavorava Grant erano altrettanto
problematici dei ragazzi di St Edmund’s, ma questo sembrava solo
spronarlo. Parlava sempre a Remus di un ragazzo o di un altro che
aveva avuto una piccola vittoria: un voto minimo a scuola, una
settimana senza litigare, una pausa dalla condanna. In qualche
modo Grant sapeva tutto di tutti; la sua memoria senza limiti, la
sua capacità di orgoglio e incoraggiamento era incredibile.
«Devo ritagliare quell’articolo sull’Observer.» Disse una sera.
«Sembra proprio sulla strada di Alfie.» Oppure. «Rimango fino a
tardi domani, con un po’ di fortuna, ho promesso ai ragazzi più
grandi che ci saremmo divertiti in caso nessuno di loro sarebbe
stato denunciato.»
Quando si sentiva insicuro a volte Remus si chiedeva se Grant
stava con lui solo perché anche lui era un ragazzo problematico.
Quel Grant stava solo cercando di salvarlo; come se avesse cercato
di salvare tutti. Viveva per una buona causa.
«Zitto.» Gli avrebbe sorriso Grant se avesse sollevato queste
domande. «Volevo infilarmi nei tuoi pantaloni da quando eravamo
adolescenti, non ha niente a che fare con il tuo passato
tormentato.»
E poi Remus si sarebbe ricordato che, dopotutto, anche Grant era
un ragazzo di una casa di cura. Era qualcosa facile da dimenticare,
perché a differenza di Remus lo sopportava con leggerezza, con
una casuale scrollata di spalle di accettazione.

397
Povertà, mancanza di istruzione, maltrattamenti: niente di tutto
questo aveva appesantito allo stesso modo Grant. Almeno non in
superficie. Ma Remus si era già sbagliato sulle persone prima.
Come risultato della dedizione di Grant al suo lavoro e dell’impiego
relativamente a basso impatto di Remus, Remus si era trovato in
una posizione in cui non era mai stato prima, avendo sia tempo
libero che un po’ di reddito disponibile. Non aveva bisogno di
molto: l’appartamento era pagato, i loro mobili erano funzionali e
in genere potevano permettersi di tenere accesa l’elettricità e
l’acqua calda. Ogni tanto comprava vestiti, ma a malapena faceva
acquisti da Harrods. C’era ancora l’alcol, ma pensò che poiché non
fumava più, poteva investire i soldi del tabacco per l’alcol.
Quello che a Remus piaceva fare era andare a passeggio. Non
vagabondaggi in campagna, ne aveva abbastanza durante le lune
piene, bensì vagabondare per Londra da solo, godendersi le strade
e la gente. Visitò tutti i musei gratuiti di Londra: la National Gallery,
la Portrait Gallery, il V&A, il British Museum. In effetti divenne
piuttosto colto. E se gli faceva male l’anca (cosa che faceva più
spesso di quando era poco più che ventenne), poteva facilmente
salire su un autobus.
Un giorno d’estate aveva completato tutti i suoi compiti e non c’era
niente in TV, Grant non sarebbe tornato a casa ancora per ore,
quindi aveva vagato per il Museo della Scienza per circa un’ora.
Stranamente questa cosa gli fece venire in mente Arthur Weasley,
per la prima volta da anni. Il vecchio idiota avrebbe amato tutte le
macchine, i pistoni, le lampadine. Poteva solo immaginare la faccia
di Arthur mentre guardava la macchina dal moto perpetuo, così
sorrise di punto in bianco.
Come stava Arthur? E sua moglie, la sorella dei Prewett e la loro
covata dai capelli rossi? Era passato troppo tempo ormai per
mettersi in contatto, Remus lo sapeva, e non avrebbe saputo cosa
398
dire anche se ci avrebbe provato. Tuttavia, pensare ai Weasley non
aveva fatto male, che era la cosa principale. Forse pensare a loro lo
mise in una cornice mentale diversa per il pomeriggio; più vigile,
forse, o nostalgico. Non poteva essere una coincidenza che si era
imbattuto in un vecchio amico solo due ore dopo.
Era quasi a casa, solo ad una strada di distanza o giù di lì,
trascinandosi in modo anonimo per i vicoli di Chinatown. In
effetti, stava per passare davanti al posto in cui avevano preso la
tv: la sauna di Old Compton Street. Remus arrossiva sempre un
po’ oltrepassandola e poi si rimproverava per essere stato così
puro. Chinò leggermente la testa mentre si avvicinava e, orrore
degli orrori, proprio mentre era all’altezza della porta qualcuno ne
uscì. Remus dovette fermarsi di colpo, in modo da non urtarlo. Si
voltò e lo fissò nervosamente.
Remus rimase a bocca aperta. «Christopher!»
L’uomo sbatté le palpebre, inorridito. Era rosso in viso, aveva
occhi di un marrone scuro che erano piuttosto piccoli e acquosi.
Era un po’ più paffuto di quanto non fosse stato a scuola e la sua
attaccatura dei capelli si stava leggermente ritirando sulle tempie
ma era decisamente lui.
«Remus?»
«Ciao! È da...»
«Non da...»
«Sì. Come stai?» Remus trasalì anche mentre faceva la domanda.
Christopher era così chiaramente a disagio, e perché non avrebbe
dovuto esserlo? Non vedeva Remus da quasi dieci anni e ora eccolo
lì che incombeva su di lui fuori da una sauna gay.
«Oh sai.» Christopher si guardò i piedi.
Indossava abiti babbani: una camicia di jeans slavato con i bottoni
tirati su in modo irregolare, pantaloni eleganti e un gilet arancione
bruciato con ricami verdi. In breve, sembrava terribile come ogni
399
mago purosangue che cercava di passare per babbano. Come
sempre, la generale aria di disperazione di Christopher lo rese caro
a Remus.
«Ehm...» Remus si massaggiò la nuca. «Vuoi... ehm. Hai tempo per
un caffè o un drink? Per aggiornarci un po’?»
«Okay allora...» Christopher lo guardò con cautela.
Remus prese il comando da quel momento, perché era chiaro che
non c’era altro modo. Condusse Christopher più avanti lungo la
strada, verso Tottenham Court Road. C’era un caffè in Denmark
Street che era economico e anonimo e, per qualche motivo, Remus
voleva allontanarsi da casa.
«Eccoci qui.» Sorrise gentilmente, tenendo la porta aperta e
indicando un tavolo disponibile.
Christopher non disse nulla e si sedette, agitandosi un po’. Remus
si chiese se fosse stata tutta un’idea terribile, forse Chris non voleva
parlargli. Ma lui accettò e si offrì di pagare quando Remus andò a
ordinare i loro caffè.
«Vivi nelle vicinanze?» Chiese infine Christopher, ancora non
guardandolo completamente negli occhi.
«Sì.» Remus annuì. «Non lontano da qui. Tu?»
«Oh no. Fuori nell’Hampshire. Vengo in città solo per lavoro e...
beh.»
«Dove lavori adesso?» Chiese Remus, disperato di risparmiargli
ulteriore imbarazzo.
«Lavoro alla Gringott.» Disse Chris guardando la cameriera quando
arrivarono i loro caffè.
Mise tre zuccheri nel suo e più latte che poteva, Remus si rese
conto di non aver nemmeno chiesto se a Chris piaceva il caffè.
«Molto frivolo.» Remus sorrise. «Ho sempre saputo che saresti
stato bravo.»
«Suppongo.»
400
«Leggi ancora molto?»
«Quando c’è tempo... il lavoro mi tiene impegnato. E altre
responsabilità, sai com’è. Pensavo fossimo sommersi di lavoro
durante i NEWT, ma Hogwarts era una vacanza rispetto alla vita
reale.»
Remus si masticò l’interno della guancia, era proprio vero e non
voleva arrabbiarsi per questo.
«E tu?» Chiese Christopher, chiaramente cercando di non fare una
smorfia mentre sorseggiava il suo caffè. «Cosa fai adesso?»
«Questo e quello.» Remus scrollò le spalle. «Non ho esattamente
una carriera.»
«Oh che peccato.»
Remus scrollò le spalle. «Va bene, ce la faccio.»
Ci fu un silenzio imbarazzante. Remus voleva chiedere della sauna,
ma sapeva che era meglio non farlo. Probabilmente Grant avrebbe
chiesto, ma Grant aveva un modo di mettere le persone a proprio
agio, cosa che Remus non aveva. Bevve il suo caffè
tranquillamente, invece.
«Pensavo fossi morto.» Disse Christopher all’improvviso.
Remus quasi soffocò e posò il caffè. «Tu cosa...?»
«C’erano così tante voci allora... Ti ricordi com’era. E c’erano tutti
questi nomi, e quando ho visto cosa era successo a Lily e al tuo
amico James, ho pensato... Specialmente dopo che è venuto fuori
che Sirius Black era quello che lo aveva fatto, ho solo pensato...»
Remus inspirò bruscamente e aspettò che il dolore si ritirasse.
Quando successe espirò lentamente e disse, in modo molto
uniforme. «No. Non c’ero, quella notte. Non avevo idea di cosa
stesse combinando Black. Nessuno l’aveva.»
«Aveva sempre in mente qualcosa.» Disse Christopher cupo. «E
con la sua famiglia... Suppongo che non sia stata una sorpresa così
grande, davvero.»
401
«No.» Remus disse, non sapendo più cosa stava dicendo, cercando
solo di ignorare il ruggito nella sua testa. «Suppongo di no.»
«Ero così arrabbiato per Lily, però. Lei è sempre stata gentile. Sai
dov’è Harry, adesso? Il ragazzo che è sopravvissuto?»
Remus scosse semplicemente la testa. Bevve dell’altro caffè,
probabilmente non era un’idea brillante aggiungere caffeina al suo
battito cardiaco già accelerato, ma stava cercando di essere il più
normale possibile.
«Se non eri morto.» Continuò Christopher. «Ho pensato che
semplicemente non volevi parlare con me.»
«Perché?»
«So che tu e i tuoi amici siete stati tutti coinvolti nella guerra,
aiutando Silente e tutto il resto. Io non l’ho fatto... I miei genitori
mi hanno mandato in Svezia, dopo aver finito i miei NEWT. Erano
preoccupati per me e mi volevano fuori dai piedi. Ti ricordi come
erano le cose.»
Sì. Avrebbe voluto dire Remus. Sì, me lo ricordo maledettamente bene.
A volte mi sveglio ed è come se stesse ancora accadendo.
«E visto che siamo purosangue... penso che fossero preoccupati
che avrei dovuto prendere una parte. Così mi hanno mandato via:
abbiamo una famiglia a Göteborg e ho ottenuto la mia qualifica in
Finanza Magiche.»
«Giusto.» Remus annuì. Aveva davvero bisogno di parlare di
qualcos’altro. «Buon per te, Chris. Quindi, uhm... Sei spesso a
Soho?»
Christopher divenne di nuovo cremisi e abbassò lo sguardo sulla
sua tazza di caffè. «Solo... Solo a volte. Onestamente, ho appena
sentito parlare di quel posto e ho pensato di dare un’occhiata, non
l’ho fatto... Non voglio che tu pensi...»
«Sai che dovresti stare attento.» Disse Remus, abbassando la voce
nel caso qualcuno dei clienti del caffè stesse ascoltando. «C’è questa
402
malattia che stanno prendendo i babbani, non sono sicuro di
quanto ne sappiate voi, ma è davvero seria.»
«Come ho detto.» Disse Christopher. «Ci vado a malapena,
davvero. Solo stupida curiosità.»
Remus provò una fitta di sensi di colpa, per aver fatto stare male
Christopher. Se Grant gli aveva insegnato qualcosa, era che non
dovevi mai aumentare la vergogna personale di nessuno. Era
comunque un’emozione sprecata, non c’era bisogno di peggiorare
le cose.
«Non c’è niente di sbagliato nell’essere curiosi.» Disse Remus,
gentilmente. «Molte persone vanno in quei posti.»
«Anche tu vai?» Christopher lo guardò.
«No.» Disse Remus, un po’ troppo velocemente. «Ehm... Voglio
dire, sai... Non sono mai stato molto socievole.»
«Oh, certo. Posso immaginare, dopo tutto quello che è successo...»
Remus non voleva parlarne, quindi cambiò argomento.
«Vedi qualcuno?» Chiese. «Hai un ragazzo?»
Christopher scosse la testa. «No. È difficile, sai. Il lavoro che ho, la
mia famiglia. Le cose sono andate... Beh, ci sono stati un bel po’ di
tentativi ed errori a riguardo.»
Remus avrebbe voluto stringere la mano sul tavolo, ma non era
proprio il posto. Inclinò la testa comprensivo. «Andrà meglio,
Chris.»
Christopher lo guardò con un sorriso rassegnato. «Mh, sì. Ricordo
che avevi detto qualcosa del genere prima, a scuola. C’è qualcuno
per tutti.»
«Beh, c’è.» Remus annuì incoraggiante. «Anche più di una
persona.»
«Non lo so.» Chris sospirò. «Non so se sia salutare pensare in
questo modo. Ci sono così tanti fattori da considerare e io non...

403
non credo che funzioni come nei libri. Non credo che tutti abbiano
quell’esperienza.»
Era una cosa difficile da sentire. Remus non sapeva cosa dire,
davvero, e si sentiva stranamente impacciato e ingenuo.
Certamente Remus non era più affascinato dal romanticismo, se
mai lo avesse avuto. L’amore lo aveva picchiato a morte in più di
un’occasione. Ma era stata anche l’unica cosa per cui valeva la pena
vivere. Lo aveva sollevato, protetto e mantenuto umano. Aveva un
improvviso desiderio di vedere Grant e si chiedeva se fosse già a
casa.
«Non dispiacerti per me.» Disse Christopher vivacemente,
controllando l’orologio da tasca. «Mi diverto abbastanza. Mi piace
il mio lavoro, guadagno un sacco di soldi e quando ho una serata
libera... Sai, riesco a divertirmi una volta ogni tanto. Lo vedo solo
come un piacere, piuttosto che uno stile di vita. In realtà...» Si
sporse un po’. «Ho un appartamento a Kensington per quando
lavoro fino a tardi e non voglio materializzarmi fino a casa. È bello
lì, se ti va di vederlo.» Sollevò un sopracciglio in modo suggestivo.
La bocca di Remus si seccò e deglutì, agitato.
«Uhm. Bello da parte tua offrire, davvero. Ma è meglio che torni a
casa. Ho qualcuno che aspetta.»
«Oh.» Christopher si mise a sedere più dritto, ritirandosi. Il suo viso
sembrava chiudersi. «Hai qualcuno.»
«Sì, da alcuni anni, ormai.» Quasi sei, si rese conto. Più a lungo di
quanto avesse avuto Sirius, se avesse mai avuto davvero Sirius.
«Bene. Buon per te, allora. Guarda è meglio che vada, Remus. È
stato molto bello rivederti.» Christopher si alzò, e allungò una
mano formale per farla stringere a Remus. «Dobbiamo aggiornarci
adeguatamente, uno di questi giorni, fammi sapere se andrai a
Diagon Alley, organizzerò il pranzo.»
«Okay.» Remus annuì stringendogli la mano.
404
Sapeva che non sarebbe mai andato a Diagon Alley e, siccome
Christopher non gli aveva fornito alcun dettaglio di contatto,
Remus pensava che l’invito fosse semplicemente gentilezza. Non
gli mancava l’ipocrisia purosangue.
Remus tornò a casa velocemente, ignorando il dolore al fianco, e
fu sollevato oltre ogni immaginazione di trovare Grant già lì, in
cucina.
«Hey, tu.» Sorrise. «Com’era il museo?»
«Bello grazie. Interessante.»
«Calcola che dovrei portare alcuni dei ragazzi lì in viaggio, se riesco
a far passare il progetto.» Sollevò due barattoli. «Fagioli su pane
tostato o cerchi di spaghetti su pane tostato?»
«Qualunque cosa tu preferisca.» Disse Remus, guardandolo.
Grant li guardò entrambi allegramente. «Allora cerchi. Con molto
salsa, eh?»
«Sembra perfetto.» Remus respirò.
«Perfetto.» Grant ridacchiò. «Devi essere affamato.»
«No, solo... Mi sei mancato, tutto qui.»
«Sono stato solo al lavoro.»
«Lo so...»
«Stupido.» Grant scosse la testa, sempre sorridendo, voltando le
spalle per aprire il cassetto delle posate e trovare l’apriscatole.
Remus attraversò velocemente la stanza e lo abbracciò avvolgendo
le sue braccia intorno alla vita di Grant, tirandolo verso di se e
inalando il suo profumo. Grant appoggiò con cura l’apriscatole e
abbracciò Remus massaggiandogli le braccia.
«Stai bene, tesoro?»
«Mmh.» Disse Remus nel suo collo. «Sono solo contento che tu sia
qui.»

405
1989
Got on a lucky one
Came in eighteen to one
I’ve got a feeling
This year’s for me and you
So happy Christmas
I love you baby!
I can see a better time
When all our dreams come true.

Nel 1989 Remus andò effettivamente a Oxford Street per fare i


suoi acquisti natalizi, su insistenza di Grant.
«Non ci sei mai stato?!» Aveva boccheggiato, gli occhi spalancati.
«Non hai mai visto le luci?!»
«Non pensavo che i veri londinesi fossero coinvolti in tutte quelle
sciocchezze.» Remus rispose sulla difensiva.
«I veri londinesi escono di casa.» Grant disse. «E comprano regali
per i loro amici.»
«Non ho amici.» Remus disse, poi si sentì orribile. Perché
ovviamente aveva Grant.
«E quell’uccello di Mary? Ti manda sempre lettere.»
«Oh sì. Potrei mandarle qualcosa, forse.»
«Questo è lo spirito.»
Remus si scrollò di dosso l’aria da presa in giro perché sapeva che
Grant amava il Natale, o qualsiasi altra opportunità per festeggiare,
e Grant aveva avuto un anno molto difficile.
Avendo lavorato così duramente per ottenere il diploma di
maturità, spingendo ogni passo del percorso per ottenere A-Level
e varie altre qualifiche, il tutto in modo che potesse avere il lavoro

406
dei suoi sogni, che era aiutare le altre persone, Grant si era
finalmente imbattuto in un avversario insormontabile: il governo,
più specificamente “La Legge sul Governo Locale”.
Nel 1988, la sezione 28 era stata approvata e Grant non era più al
sicuro nella sua posizione di lavoro. All’inizio Remus non l’aveva
capito davvero, o almeno non riusciva a capire perché Grant
avrebbe dovuto preoccuparsi.
«Non lavori per il consiglio, però.» Si accigliò, sfogliando i volantini
che Grant e i suoi amici avevano stampato per sensibilizzazione.
«Sì, lo faccio.» Aveva risposto Grant. «L’autorità locale include
scuole e riformatori, e questo è ciò di cui si tratta veramente. Non
vogliono che noi rendiamo i bambini dei pervertiti.»
«È ridicolo.» Disse Remus.
«Lo so.»
Remus rilesse il testo.
Un’autorità locale non deve promuovere intenzionalmente l’omosessualità o
pubblicare materiale con l’intenzione di promuovere l’omosessualità, o
promuovere l’insegnamento in qualsiasi scuola mantenuta dell’accettabilità
dell’omosessualità come un presunto rapporto familiare.
«Presunto?!» Remus scosse la testa.
«Lo so.» Grant sospirò.
«Cosa significa questo, però? “Promuovere” l’omosessualità?
Come si fa a promuoverla?»
«Beh, è lì che gli stronzi sono stati intelligenti, eh.» Grant sbuffò.
«Non significa niente, non proprio. Significa solo che se qualcuno
vuole discuterne, i fottuti conservatori possono accusarti di voler
“promuovere” l’omosessualità o qualche stronzata.»
«Ma questo è...»
«Completamente pazzo? Il male? Immorale. Sì. Il mio amico gay
Bob ha già dovuto chiudere il gruppo di Supporto Giovanile Gay,
l’aveva aperto solo l’anno scorso. E il mio posto non è esente, il
407
direttore sta già chiedendo una lista di libri che portiamo, controlla
che nessuno di loro sia troppo queer.»
«Ma non possono... Non possono licenziarti?»
«Non lo so, amore. Sto già cercando di tenere la testa bassa sulla
faccenda dell’AIDS.»
Remus si sentì anche peggio per questo. Il personale del centro in
cui lavorava Grant un giorno era stato coinvolto in una riunione e
gli era stato detto senza mezzi termini che se qualcuno di loro
avesse contratto l’HIV, sarebbe stato licenziato senza preavviso e
la polizia sarebbe stata informata. I suoi amici e i vari gruppi
facevano appello alla Sezione 28 e non stava andando affatto bene.
Era quasi stato arrestato durante una protesta e in un’altra si era
procurato un occhio nero da parte di un anti-manifestante.
«È guerra.» Disse ferocemente quando tornò e Remus lo fece
sedere immobile in modo che potesse guarirlo. «Siamo noi o loro.
È così che vogliono, ed è quello che avranno.»
Remus non sapeva cosa dire. Non voleva una guerra, voleva solo
essere lasciato solo. Non lo disse mai però, perché in fondo era
molto orgoglioso del rifiuto sfacciato di Grant di arrendersi o di
dare anche solo un centimetro. Aveva sempre ammirato il coraggio
sopra tutto.
Così, alla fine di dicembre, Remus e Grant si infagottarono in
cappelli di lana, guanti e sciarpe, e attraversarono la città grigia
invernale fino a Oxford Circus. Grant aveva ragione, il coglione, le
luci erano fantastiche. Appese sull’ampia strada come rampicanti
della giungla, grandi lampadine dorate scintillanti illuminavano gli
allegri autobus a due piani rossi, i taxi neri lucenti, le gloriose
vetrine argentate e verdi.
Era vero, Remus aveva evitato il Natale e tutti i suoi ornamenti,
proprio come evitava i suoi compleanni. Era preoccupato che lo
avrebbero mandato indietro ai ricordi di Hogwarts, alla villa dei
408
Potter, a tutti i suoi ricordi più agrodolci. Era molto difficile stare
senza i suoi amici in quel periodo dell’anno.
C’era qualcosa di molto purificante nel caos dello shopping di
Oxford Street. Il rumore, il trambusto e gli odori avevano
assicurato che non poteva tenere il broncio per molto tempo, e
l’entusiasmo di Grant per la stagione aveva fatto il resto.
«Bene, prima diamo un’occhiata al regalo di Mary, va bene?»
Sorrise a Remus, saltellando sugli avampiedi. «House of Fraser? O
è una ragazza da Selfridges?»
«Qualunque sia il più trendy, immagino.» Disse Remus. «Cosa avevi
in mente?»
«Accidenti, non ne ho idea. Merda da bagno?»
«Sì.» Remus annuì. «Merda da bagno... Forse un profumo?»
«Ooh profumo, eh?» Grant gli diede una gomitata. «Questo è
intimo. Dovrei essere preoccupato?»
«A proposito di Mary?» Remus sbuffò. «Saresti un po’ in ritardo.»
Vagarono per i reparti di profumi di tre o quattro grandi magazzini.
Remus si pentì in qualche modo della sua scelta, il suo senso
dell’olfatto ipersensibile significava che stava già iniziando ad avere
un mal di testa dopo la prima fermata.
Alla fine optò per qualcosa di floreale, in una bottiglia rosa e oro,
perché era carino ed elegante, e Mary era carina ed elegante. Lo
aveva persino confezionato in una confezione regalo, in carta
dorata con un fiocco di raso rosso. I colori di Grifondoro, sorrise
tra sé.
«Bene, puoi comprare il mio regalo come prossima tappa.» Grant
sorrise, tirandosi la manica. «Voglio calzini nuovi, i miei hanno tutti
dei buchi.»
Remus prese una grande sorsata di aria fresca mentre uscivano.
«Devo procurarti qualcosa di meglio dei calzini.» Disse.

409
«Mi servirebbero anche delle nuove mutande.» Grant ammiccò,
Remus arrossì guardando in basso.
Avrebbe preso qualcosa di veramente carino più tardi, quando
Grant non avrebbe guardato. Non era ancora sicuro di cosa e non
aveva molto, ma forse un nuovo cappotto avrebbe potuto non
allungare troppo le cose? Grant ne aveva un disperato bisogno, il
suo giacchetto di seconda mano riusciva a malapena a trattenere il
freddo.
«Tu cosa vuoi?» Chiese Grant guardando una vetrina progettata
per assomigliare al polo nord, aveva grandi cuscini impilati per
assomigliare a igloo e giganteschi pinguini di peluche.
«Cioccolato.» Remus si strinse nelle spalle.
«Questo è quello che ti porto sempre...»
«È tutto quello che voglio, ora non fumo.»
Grant scosse la testa, lamentandosi della temperanza di Remus.
All’improvviso Remus colse un soffio di magia. Per un attimo si
chiese se i suoi sensi si erano rovinati da tutto il profumo annusato
prima, ma no, era molto chiaro. Guardò su e giù per la strada, con
curiosità. Poi lo vide, in piedi fuori dalla vetrina della Marks &
Spencer.
«Christopher? Sei tu?» Remus si avvicinò lentamente.
«Remus!» Christopher si voltò sorpreso.
«Dobbiamo smetterla di incontrarci in questo modo.» Rise Remus.
Era di buon umore e almeno questa volta non aveva colto Chris in
una situazione compromettente.
«Sì, è vero.» Rise anche Christopher un po’ nervoso, schiarendosi
la gola alla fine. Portava con entrambe le mani diverse borse della
spesa sporgenti. «Come stai? Mi dispiace di non essermi messo in
contatto, non sono mai stato così impegnato al lavoro.»
«Va bene. Sto bene.» Annuì Remus.

410
Gli occhi di Christopher si spostarono su Grant e Remus ricordò
le buone maniere.
«Scusa, ehm. Questo è Grant, il mio...»
«La metà migliore.» Grant terminò con un sorriso sfacciato,
tendendo una mano guantata.
Christopher sembrava come se non sapesse se ridere anche lui, ma
spostò le borse della spesa per stringere la mano di Grant.
«Christopher Barley.» Disse.
«Chris ed io andavamo a scuola insieme.» Spiegò Remus.
«Oh, capisco.» Grant annuì avidamente e con gli occhi sporgenti.
Non disse mai niente al riguardo, ma Remus sapeva che Grant
stava segretamente morendo dalla voglia di incontrare un altro
mago, solo per fare un confronto. «Vivi a Londra, vero?»
«Ehm, no. Sono qui solo per fare shopping, sai... il Natale.»
«Anche noi.» Disse Remus.
«Ecco, magnifico.» Chris disse in modo molto formale.
Stava iniziando a diventare un po’ strano, Remus si sentiva come
se fossero ad un cocktail party di classe media o qualcosa del
genere, a scambiarsi convenevoli.
«Chris caro? Eccoti!» Una donna bionda e bassa arrivò
trotterellando per la strada con dei bei tacchi alti e uno splendido
cappotto d’ermellino. Stava trascinando per mano un bambino,
sembrava avere circa cinque anni e aveva gli occhi di Christopher.
«Possiamo andare tra poco? Ci sono troppi babbani in giro, è
soffocante.»
Christopher evitò lo sguardo di Remus e salutò la donna.
«Scusa, cara, stavo solo... Ho incontrato un vecchio amico di
Hogwarts.» Fece un gesto vago.
«Che bello!» Rivolse il suo sorriso dalle labbra rosse a Remus.
Gli tese una minuscola mano e lui la strinse goffamente, incerto se
avrebbe dovuto baciarla.
411
«Tesoro, questo è Remus e il suo amico Grant. Remus... questa è
Åsa.» Mormorò Christopher. «Mia moglie. E Henrik, mio figlio.»
«Piacere di conoscervi.» Annuì Remus.
Anche Grant annuì, ma Remus capì che era a disagio.
«È un piacere!» Åsa esclamò. «Devo dire che non incontro tanti
compagni di scuola di Christopher. Devi venire a cena una sera e
raccontarmi tutto dei suoi guai!»
«Ah, sì. Decisamente.» Remus rise imbarazzato, massaggiandosi la
nuca. Non sapeva nemmeno cosa stesse dicendo. Christopher era
sposato?! Aveva un figlio?!
«Bene, è meglio che andiamo.» Christopher disse, la sua faccia
stranamente vuota.
«Buon Natale, Remus.»
«Buon Natale...» Remus fece un cenno imbarazzante, mentre la
famiglia si voltava per andarsene, verso Diagon Alley.
«Sono solo io...» Disse Grant mentre se ne andavano. «O era
strano?»
«Molto.» Disse Remus. «Deve averla incontrata in Svezia... Mi
aveva detto che la sua famiglia lo aveva mandato lì...»
«Non era lei ad essere strana.» Grant disse.
«No, voglio dire...» Remus si morse il labbro. «Ehm... Conosco
Chris da scuola, ma da allora l’ho visto circa diciotto mesi fa,
mentre usciva da quella sauna a Soho.»
«Oh!» Grant disse. «Giusto, ho capito. Povero ragazzo.»
«Non ha mai detto niente allora... Lui... Quanti anni aveva il
bambino, secondo te?»
«Più vecchio di diciotto mesi.» Grant si strinse nelle spalle.
«Sì...»
Presto la pioggia gelida di dicembre cominciò a cadere, così corsero
verso il primo autobus e tornarono a casa.

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Remus pensò spesso a Christopher dopo quell’incontro e la cosa
lo turbava. Non c’era molto da fare al riguardo, e in realtà non
erano affari suoi, ma non capiva affatto. Christopher era stato
convinto o costretto? L’amava? Era felice?
Quando lui e Grant rientrarono dalla pioggia, erano gelati e fradici.
Fecero una doccia calda per riscaldarsi, poi Remus accese un fuoco
per riscaldare l’appartamento per Grant.
«Come funziona quando non abbiamo un camino?» Chiese Grant
portando il tè.
«Magia.» Remus sbadigliò, mentre Grant si sedeva accanto a lui.
«Sono come quel tizio in Vita da strega sposato con la bionda sexy.»
«Non muovo il naso però.»
«Aww, ora non ti lascerò mai solo finché non lo farai.» Grant
sorrise.
Remus gli lanciò uno sguardo altezzoso e puntò la bacchetta verso
la radio. Era così accogliente, che sembrava sbagliato accendere la
televisione.
«Grazie per essere venuto con me, oggi.» Grant disse, avvolgendo
le mani intorno alla sua tazza di tè per scaldarle. «So che odi le
folle.»
«Non mi dispiace, davvero. Grazie per avermi portato fuori di casa
e avermi mostrato le luci.»
«Quando vuoi.» Sbuffò Grant. «Mi rallegra sempre lo shopping
natalizio. Sai, nessuno pensa a sé stesso, fa solo felici gli altri. È
bello.»
«Pensavo fossi contrario alla commercializzazione del Natale.»
Commentò Remus ironicamente.
Grant gli diede una gomitata. «Lo sono, ma in parte è comunque
bello. Comunque, ho pensato che avresti voluto una pausa dalla
politica questo fine settimana.»

413
Remus non rispose, baciò solo la guancia di Grant e si sistemò per
ascoltare la radio. La fine di una canzone di Suzanne Vega stava
suonando.
«Adoro questa melodia.» Mormorò Grant appoggiandosi alla sua
spalla. «Adoro la sua voce, tutta chiara e strana, capisci cosa
intendo?»
«È un mito greco.» Rispose Remus assonnato. «Odisseo.»
«Nah, è qualcosa che inizia con una C.» Rispose Grant
sorseggiando il suo tè.
«Sì, Calipso. Lei è la sirena, ma Odisseo è il personaggio principale.»
«Sirena? Non è come una sirena?»
«Una specie. Attirano gli uomini con il loro canto.»
«Sono reali?» Chiese Grant. Aveva sempre voluto sapere.
«Sì, le sirene lo sono. Non so se Calipso lo è.»
«Quindi lei cosa ha fatto? Si sono innamorati o cosa?»
«La storia di Odisseo si chiama L’Odissea. Riguarda il suo viaggio
di ritorno a casa dalla guerra di Troia.» Remus aggrottò la fronte
cercando di ricordare. Era Omero: l’aveva letto al secondo anno,
prima o dopo L’epopea di Gilgamesh, non riusciva a ricordarlo.
L’Odissea non gli era davvero piaciuta: aveva preferito l’Illiade,
perché conteneva tutte le cose belle della guerra. Forse si sarebbe
sentito diverso ora, da adulto.
«I troiani sono quelli con il cavallo di legno?» Chiese Grant
cercando ancora di seguire il filo.
«Sì, è esatto. Odisseo si mette in guai di ogni genere mentre cerca
di tornare a casa da sua moglie, Penelope. Ma il dio del mare si
arrabbia con lui per qualcosa, non ricordo cosa, ma distrugge la
nave di Ulisse e si lui naufraga su quest’isola dove vive Calipso. Lei
si innamora di lui e lo tiene in ostaggio per sette anni.»
«Cosa gli fa?»

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«Oh, non lo so. Lo nutre, guarisce le sue ferite e cose del genere.
Penso che balli molto.»
«Non suona troppo male. Sembra gentile.»
«Può essere. Ma lei vuole renderlo immortale e Odisseo vuole
tornare da Penelope. Calipso non è il suo vero amore.»
«Un po’ triste.» Grant sbuffò, suonando seccato.
«È solo una storia.» Remus si strinse nelle spalle.

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1990
And then she turns to me with her hand extended
Her palm is split with a flower with a flame

And she says “I’ve come to set a twisted thing straight.”


And she says “l’ve come to lighten this dark heart.”
And she takes my wrist, I feel her imprint of fear
And I say “I’ve never thought of finding you here.”

Mary ebbe il suo primo figlio quell’anno; una bambina che chiamò
Rachel, dal nome di sua madre. Rachel Marlene.
«Non mentirò.» Disse a Remus al telefono. «Sto pregando che sia
una strega.»
Lo aveva invitato al battesimo e lui era uscito d’obbligo. Erano
passati decenni da quando aveva messo piede in una chiesa, e
questa era un’enorme chiesa cattolica a Croydon. Grant non andò,
disse che aveva troppa paura di prendere fuoco quando varcava la
soglia.
«È ridicolo.» Sospirò Remus, stanco e privo di senso
dell’umorismo. «Mary è letteralmente una strega. Se è al sicuro in
una chiesa...»
«Mio nonno era un criticone della Bibbia.» Grant rabbrividì.
«Possono tutti farne uno, per quanto mi riguarda.»
Grant raramente era così testardo, quindi Remus andò da solo e
cercò di non pensare ai funerali.
Dopo la cerimonia ci fu una piccola festa nella hall accanto e Mary
gli mostrò la bambina. Era bellissima; paffuta con enormi occhi
marroni e enormi riccioli marroni e un sorriso gommoso che un
giorno sarebbe diventato sicuramente abbagliante come quello di

416
sua madre. Remus salutò nervosamente il cherubino che rideva, e
le accarezzò la morbida mano da bambina.
«Sono completamente ossessionata da lei.» Mary sgorgò tenendola
su. «Vuoi tenerla?» Mary sorrise e poi rise, quella risatina da
ragazzina che lo portò indietro di anni. «Sto scherzando, Remus
tesoro. Ecco, la darò alla mamma di Darren per un po’, facciamo
un giro io e te...»
Si sedettero su sedie di plastica rossa in un angolo tranquillo della
sala della chiesa, stringendo bicchieri di carta pieni di zucca
arancione annacquata. Era un piccolo spazio, pieno del rumore
della festa di famiglia e dei bambini che giocavano. La famiglia di
Mary era enorme e sfacciata, adorabile come lei.
Remus si sentiva molto fuori posto, ma cos’altro c’era di nuovo.
«Non ti sposi, allora?» Remus chiese. «Tu e Darren?»
«Shh, mamma ti ascolterà.» Ridacchiò Mary. «È furiosa,
naturalmente, finge che abbiamo fatto una piccola cerimonia in
Giamaica prima che Rachel fosse concepita. Nah, non mi piace e
abbiamo a malapena il tempo, la casa nuova e tutto il resto...»
Remus annuì sorridendo. Era così bello essere di nuovo seduto
accanto a Mary e vederla chiacchierare, piena di energia e di gioia.
«E tu, ancora a Soho?» Chiese Mary, lanciandogli uno sguardo di
apprezzamento.
Era arrivato vestito con un abito che aveva comprato il giorno
prima in un negozio di beneficenza. Era okay; un po’ settanta e
troppo grande per lui, ma quello era comunque lo stile di questi
tempi.
«Sì.» Annuì. «Non credo che mi trasferirò mai ad essere onesti,
l’appartamento è pagato.»
«Hai un ragazzo?»
«Mmh, una specie...»
«Lo so che ce l’hai, perché sei così misterioso? È un babbano?»
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«Sì.»
«Oh, vorrei che venissi a trovarmi più spesso, Remus. Mi
preoccupo per te.»
Le sorrise. «Sei proprio una mamma.»
Questo la fece ridere. «Colpevole!»
Era ancora bella, aveva lo stesso aspetto a trent’anni che a diciotto
nella sua mente. Indossava un abito elegante rosa acceso con spalle
affilate come un rasoio e una fascia dorata scintillante sulla sua
testa. Si era tagliata i capelli corti, facendo sembrare il suo viso più
spigoloso, come un busto di Nefertiti.
«La mamma continua a chiamarmi “Grace Jones”.» Mary si toccò
il collo nudo con imbarazzo. «Mi piace, però. Non posso perdere
tempo ad agitarmi davanti allo specchio quando ho la scimmietta
che mi tiene occupata. Lavori da qualche parte?»
«Oh, qua e là.» Remus scrollò le spalle senza impegno. «Sai che
intendo.»
«Sai che Silente ha dato un lavoro a Piton.» Mary sussurrò.
Remus non sapeva perché, era l’unica altra persona lì che sapeva
chi fossero Silente o Piton.
«Adesso è un insegnante a Hogwarts. Puoi crederci?!»
Remus si strinse nelle spalle.
Mary continuò, furiosa. Ovviamente questo era nella sua mente da
tempo. «Quando penso a tutte le sofferenze causate da quel
piagnucoloso codardo! Quando penso a tutti gli amici che ho
perso... Lily e James, Peter... Marlene.»
«Piton non è responsabile della loro morte.»
«Come facciamo a saperlo? È diventato spia per due dannate
settimane, alla fine, e questo gli garantisce un lavoro comodo per
tutta la vita, vero? Cosa faceva mentre eravamo nascosti nelle
cantine come topi? Dov’era quando stavamo scomparendo di
giorno in giorno?!»
418
«Mary...»
«Non riesco proprio a credere a Silente. A te ha offerto aiuto? Non
ha me. Non vale il suo tempo, suppongo. Alla fine sono rimasti
tutti insieme; le vecchie famiglie.»
«Non voglio niente da lui.» Remus disse. «Essere in debito con
Silente è troppo pericoloso. Comunque, Piton deve convivere con
quello che ha fatto; proprio come tutti noi.»
Poi abbassò gli occhi e Remus sapeva che stavano entrambi
pensando a Sirius.
«Ti dico una cosa, Remus amore mio.» Disse alla fine. «Non mi
interessa se è magica o no, la mia bambina non sarà carne da
macello per quel vecchio bastardo. La prossima volta che tutti
vorranno una guerra, tu ed io saremo abbastanza intelligenti da
starne fuori, eh?»
«Hai proprio ragione.» Rispose Remus.
Almeno su questo erano d’accordo. Si sarebbe unito di nuovo ai
lupi mannari prima di rientrare nell’Ordine.
«Sai, avere Rachel mi fa pensare a Harry.» Disse Mary
malinconicamente. «Ora ho un figlio mio, solo che non so come
abbiano fatto Lily e James. Ricordi? Eravamo tutti solo bambini,
giocavamo a mamma e papà, no?»
«Suppongo, sì.»
«Il prossimo anno inizierà Hogwarts, Harry.»
«Che cosa?! No, non è vero, deve solo essere...» Remus si sforzò di
fare i conti nella sua testa. «Merda.» Disse. «Non ho nemmeno
pensato.»
«Povero piccolo amore, andare a scuola senza genitori a salutarlo.»
«Mh...»
«Oh dio, scusa Remus! Non stavo pensando...»
«Va bene.» Ridacchiò. «Ormai ho smesso di essere orfano.»

419
Rimase per circa un’ora prima di partire per prendere l’autobus nel
buio freddo di una sera d’inverno. Stringeva due fette di torta
avvolte in tovaglioli di carta rosa
«Una per te, una per il tuo “specie” di ragazzo.» Mary gli aveva
fatto l’occhiolino mentre le consegnava.
Le baciò la guancia e lei si allungò in punta di piedi per abbracciarlo.
Aveva lo stesso odore e gli venne voglia di piangere.
«Ti voglio bene, tesoro.» Sussurrò. «Sono così felice di vederti
tornare te stesso.»
Le fece un mezzo sorriso, si congratulò di nuovo con lei e se ne
andò.
Lei aveva ragione. Stava tornando sé stesso, o se non quello, stava
diventando qualcun altro; qualcuno che stava affrontando. Aveva
preso a calci sigarette e alcolici, raramente passava i pomeriggi a
fissare il soffitto della sua camera da letto incapace di vestirsi. A
volte cose strane lo rendevano ansioso, come l’odore di olio
motore o quando suonavano vecchie canzoni di Bowie alla radio.
Una volta aveva visto un’adolescente con i capelli rossi scendere
da un autobus a Finsbury Park e quasi l’aveva seguita a casa. Ma
stava migliorando.
A volte poteva anche pensare a Sirius. A volte poteva parlare di lui,
solo con Grant e solo se glielo chiedeva. Cose divertenti, come gli
scherzi che avevano fatto a scuola o le battute stupide. Non
pensava che stessero insieme, trasformò Sirius in una persona
diversa nella sua mente, solo un altro compagno dei suoi giorni di
scuola. Ciò rese le cose molto più facile.
Dopo il battesimo, tornando a casa, Remus pensò ad Harry.
Sperava che il ragazzo fosse felice, o almeno che non fosse
arrabbiato. Remus cercò di immaginare sé stesso a 11 anni, mentre
attraversava la barriera di King’s Cross per la prima volta. Era stato
snervante ed esilarante, non sapeva come comportarsi e come
420
relazionarsi con nessun altro. Poi aveva incontrato James, la prima
faccia amica sul treno quel giorno. Era troppo crudele che Harry
non l’avrebbe mai conosciuto.
Remus correva il rischio di diventare nostalgico adesso e stava
piangendo, così scese dall’autobus per andare a piedi fino a casa.
Quando entrò nell’appartamento era stanco e l’anca gli faceva male
ma andava bene; si sentiva bene per aver lasciato la casa.
«Tutto bene, sole?» Grant chiamò dalla cucina mentre Remus
chiudeva la porta d’ingresso.
«Ciao.»
«Come è stato?»
«La parte della chiesa era noiosa. Vedere Mary è stato carino.»
«Oh bene.» Grant si fece avanti per appoggiarsi allo stipite della
porta. Stava asciugando un piatto che avevano usato la scorsa
notte.
«Lascia quello, lo farò io.» Disse Remus, crollando sul divano.
«Nah, è fatto.»
«Mary ci ha invitato a cena. Vivono a Hounslow però, un bel
viaggio... ma se ti va...»
«Oh lei sa chi sono adesso?» Grant sorrise.
«Una specie.» Remus arrossì. «Lei sa che sto vedendo qualcuno,
solo...»
«Per quasi nove anni, Remus...»
«Scusa, è proprio strano perché... Mary mi conosceva allora, sai.»
«Ti conosceva quando eri con Sirius.» Disse seccamente Grant
voltandosi di nuovo in cucina per mettere via il piatto.
«Non fare così!» Disse Remus alzandosi rigidamente.
«Non sto facendo niente.» La faccia di Grant era nascosta dalla
porta dell’armadio.
«Ti ho invitato al battesimo, non volevi venire.»
«Sai benissimo il perché.»
421
«Odi le chiese, lo so.»
«Bene allora.»
«Perché stiamo litigando?!» Remus si accigliò, confuso.
«Questo non è litigare.» Grant chiuse la porta dell’armadio,
sospirando.
«Quindi cos’è?»
«Sono passati dieci anni, tutto qui. Ti comporti ancora come se non
importassi tanto quanto lui.»
«Che cosa?! No, è una follia, è-»
«È tutto quello che voglio dire.» Grant alzò una mano per fermarlo.
«Come ho detto, questo non è un litigio.»
«Ma Grant, non... Ti sbagli, lo giuro! Voglio che tu conosca Mary,
lo voglio!»
«Vado a fare una passeggiata, okay? Ho bisogno di aria.» Grant lo
superò fino alla porta. Si tolse il cappotto dal gancio, il cappotto
che Remus gli aveva comprato lo scorso Natale. «Torno tra un’ora
o giù di lì. Prendi un paracetamolo per il tuo fianco, va bene? Stai
zoppicando di nuovo.»

422
1991
I’m sure that everybody knows
How much my body hates me.
It lets me down most every time
And makes me rash and hasty.
I feel a total jerk before your naked body of work...

Sexuality!
Young and warm and wild and free!
Sexuality
Your laws do not apply to me!
Sexuality
Don’t threaten me with misery!
Sexuality
I demand equality!

Sabato 9 marzo 1991


«Hai visto la mia bacchetta?!»
«No.»
«Che palle!»
«Dove l’hai messa l’ultima volta?»
«Se lo avessi saputo avrei guardato direttamente lì?!»
«Va bene, va bene.» Grant emerse dal bagno profumato di
dentifricio e pantene.
Remus aveva quasi capovolto il soggiorno nella sua ricerca. Rimase
in mezzo alla confusione, passandosi ansiosamente le dita tra i
capelli.
«Ho un milione di fogli d’esame da segnare oggi, ne ho davvero
bisogno...»

423
«Fallo senza magia, come il resto di noi mortali.» Grant scrollò le
spalle, sollevando i cuscini del divano per aiutarlo a guardare.
«Non posso, ho davvero bisogno della mia bacchetta...» Sbuffò
Remus, guardando sotto il tavolo della TV.
«Peccato che non ci sia un incantesimo per trovarla, eh.» Ridacchiò
Grant, poi vide la faccia di Remus e si fece serio, alzando la mano.
«Okay, non preoccuparti, lo troveremo... Giusto, l’ultima volta che
l’hai usata... Ehm... Quando si sono spente le luci, l’ultima volta era
notte, ricordi?»
«Oh sì!» Remus corse in camera da letto.
Avevano avuto interruzioni di corrente almeno due volte a
settimana nell’ultimo mese, Remus pensava che fosse tutto finito
ora che i minatori erano tornati al lavoro, ma apparentemente no.
La sua bacchetta era rotolata sotto il letto.
La raccolse, sollevato e la tenne stretta nel pugno.
«Grazie Merlino.» Sussurrò a sé stesso.
«Trovata?» Chiese Grant, mentre Remus tornava in soggiorno.
Grant stava sistemando il disordine che Remus aveva lasciato.
Remus fece scattare la sua bacchetta trionfante, e la stanza si
riordinò. Grant fece un rumore di sorpresa e gioia.
«Saputello.» Sorrise.
Remus tirò fuori la lingua e andò a organizzare la sua pila di
documenti.
«Ancora non capisco perché hai bisogno della tua bacchetta:
accelera le cose o qualcosa del genere?»
«No, mi serve per leggere.» Rispose Remus, sedendosi al piccolo
tavolo da pranzo per lavorare.
«Eh?»
«C’è un incantesimo che mi aiuta a leggere.» Disse Remus. «Non
ho mai imparato come farlo correttamente a St Edmund’s.»

424
«Non sai leggere?!» Grant mise le mani sui fianchi, fissando Remus
incredulo.
«Beh, posso un po’...» Disse Remus mettendosi sulla difensiva.
«Solo che non lo faccio molto bene. Le parole si confondono, non
so perché.»
«Oh!» Disse Grant, sedendosi accanto a lui. «Sei dislessico.»
«Sono cosa?» Remus lo guardò accigliato. Non aveva mai sentito
quella parola prima; sembrava un incantesimo.
«Dislessico. Lo chiamano anche “cieco alla parola”. Niente di
sbagliato nel tuo QI, è la connessione tra i tuoi occhi e il tuo
cervello o qualcosa del genere... Ho letto qualcosa a riguardo
quando studiavo Educazione. Cercavo di convincerli a
riconoscerlo al lavoro, credo che alcuni dei ragazzi abbiano
bisogno di ulteriore aiuto, ma il direttore ritiene che siano ottusi.»
«Sì, è quello che dicevano.» Remus aggrottò la fronte. «...Aspetta,
quindi è una cosa reale?!»
«Certo che lo è.» Grant scrollò le spalle. «Maledettamente
incredibile che tu abbia un incantesimo per questo, fammelo
vedere!»
Remus lo fece, ma ovviamente non c’era molto da vedere e non
poteva farlo su Grant. Prese mentalmente nota di cercare la
dislessia quando aveva un po’ di tempo libero, se riusciva a capire
come diavolo si scrive quella stupida parola.
«Allora ti lascio finire.» Disse Grant. «Ricorda i nostri piani di
stasera!»
«Oh, sì...» Remus sospirò. «Beh, se finisco in tempo, forse...»
«No.» Grant scosse la testa con decisione. «Stiamo andando,
Remus Lupin. Ti sto trascinando negli anni Novanta scalciando e
urlando se devo.»
Remus rise, cercando di ignorare il terrore lancinante alla bocca
dello stomaco.
425
Domani era il suo trentunesimo compleanno e Grant aveva deciso
che quello era l’anno in cui Remus sarebbe finalmente entrato nel
suo primo bar gay. Mentre marzo si avvicinava, Remus voleva solo
nascondersi fino alla fine della giornata, come sempre. I
compleanni gli ricordavano sempre i Malandrini.
«Dovresti uscire un po’.» Continuava a dire Grant. «Dovresti
incontrare altre persone.»
«Io odio la gente.» Remus rispondeva acido. «La gente ha votato
per la Thatcher e continuava a comprare i dischi di Morrissey. Le
persone sono idiote.»
Grant rise. «Le persone sono fantastiche. Arte, sesso, caffè,
conversazione: niente di tutto ciò esisterebbe senza le persone. Le
persone sono ciò che rende tutto utile e tu lo sai.»
Il mondo era certamente cambiato. Remus si era perso come al
solito, immerso nella guerra, rinchiuso nel proprio dolore. Grant
era tornato da lui dal mondo esterno come un esploratore con
storie fantastiche da raccontare.
Le cose adesso erano diverse per persone come loro: queer o, più
appropriatamente di questi tempi, “uomini gay”. Poco più di due
decenni fa era un crimine vivere come vivevano loro e da allora
c’erano stati molti ostacoli sulla strada, ma non potevi fermare il
progresso. Verso la fine degli anni Ottanta, sembrava che i gay
fossero ovunque; Grant aveva fatto sembrare Londra una grande
festa di coming out. Disse a Remus di aver visto una volta Freddie
Mercury in Heaven, i Pet Shop Boys che suonavano alla radio,
Frankie Goes to Hollywood era di nuovo il numero uno, il trucco
di Boy George, anche Elton John era gay adesso.
Quindi, pensò Remus, probabilmente era ora che almeno provasse
a farsi coinvolgere.
Andarono in un piccolo bar, proprio dietro l’angolo. «Non penso
che tu sia ancora pronto per il paradiso.» Lo prese in giro Grant.
426
Remus desiderava che non si divertisse. Era più nervoso di quanto
si aspettasse.
«Non mi adatterò...» Disse, controllandosi il viso nello specchietto
vicino alla porta di casa. Sembrava vecchio. Trentuno. Gesù Cristo,
solo ieri aveva diciassette anni.
«È un bar per gay.» Grant si lamentò, mettendosi dietro di lui con
un’espressione divertita. «Sei gay. Ti adatterai.»
«Non so se sono quel tipo di gay, però...» Rispose Remus,
arruffandosi i capelli brizzolati per vedere se questo migliorava
qualcosa. Non proprio, lo faceva solo sembrare un po’ trasandato.
«Non saranno tutti... Non so, più giovani e più divertenti?»
«Sei molto divertente.» Grant disse.
Remus incontrò i suoi occhi nello specchio e alzò un sopracciglio.
Grant ridacchiò. «Beh, io penso che tu sia divertente. Non ti farò
ballare, non preoccuparti.»
«Torniamo indietro!» Supplicò Remus un’ultima volta.
«No.» Grant scosse la testa sorridendo. «Me l’avevi promesso.
Almeno un’ora, andiamo.»
Così andò. Forse si stava ammorbidendo nella sua vecchiaia.
Remus aveva ragione: la folla nel piccolo bar era più giovane e più
divertente. C’erano alcune persone più grandi di lui, però, il che lo
faceva sentire un po’ meno fuori posto, e almeno tutte le luci
colorate gli nascondevano i capelli grigi.
Quando Remus era un ragazzino a St Edmund’s, l’unico
programma televisivo che tutti avevano deciso di voler guardare
era Top of the Pop il venerdì sera. Si erano riuniti attorno al
minuscolo schermo sfocato in bianco e nero e, attraverso la
tormenta di elettricità statica, guardavano i giovani alla moda
ballare al ritmo delle loro canzoni pop preferite.
I ragazzi di St Edmund’s erano particolarmente fan di Babs Lord,
la ballerina bionda e vivace dei Pan’s People, la compagnia di ballo
427
interna di Top of the Pops. Quello studio era sembrato il posto più
bello della terra a Remus di otto anni, e glielo ricordò
immediatamente mentre seguiva Grant in “Boyz”. Tranne che i
devoti di Babs dai grossi seni sarebbero rimasti molto delusi,
perché la clientela qui era decisamente maschile.
Oh mio dio. Pensò Remus tra sé mentre attraversava la pista da ballo
affollata fino al bar. Sono tutti gay?! Sanno tutti che sono gay?! Dio mio...
«Vuoi calmarti lassù, sole?» Grant gli diede un’occhiata mentre
prendevano due sgabelli vicino alla pista da ballo illuminata.
«Sto bene!» Disse Remus, la sua voce forse un po’ troppo acuta.
«Smettila di fissare, strambo! Ti porto da bere.»
Ma Remus non poté fare a meno di fissare. Tutti erano così
sfacciati: jeans attillati, camicie strette o addirittura nessuna
camicia, in alcuni casi. Ballavano insieme, ridevano e si baciavano
e andava tutto bene; nessuno diceva niente al riguardo. La testa di
Remus stava girando.
Grant diede da bere a Remus: una cola alla ciliegia, perché ancora
non avrebbe dovuto bere. Remus la sorseggiò, e cercò di non
sembrare fuori posto come si sentiva. Non conosceva nemmeno
la musica, era fin troppo moderna per lui. Dio, era vecchio.
«Non so perché hai detto che non dovevo ballare.» Disse a Grant.
«Sembra che sia l’unica cosa da fare.»
«Non devi fare nulla che non vuoi.» Grant sorrise. «Rilassati!
Questo è il punto centrale dell’essere qui!»
Remus ci provò. Era contento che non fosse una serata
impegnativa, non pensava che sarebbe stato in grado di far fronte
alla folla. Si sedette sullo sgabello e sorseggiò la sua coca, si guardò
intorno senza fissare, e alla fine si sentì un po’ meno spaventato. Si
sentì un po’ nervoso quando una drag queen gli si avvicinò di
soppiatto, un metro e ottanta con stivali con plateau di PVC rosa

428
e una parrucca da Dolly Parton, ma lei agitò le sue ciglia enormi e
gli porse una sigaretta
«Hai da accendere, bello?»
Remus sentì le sue guance bruciare e scosse timidamente la testa.
«Scusa.» Mormorò. «Non fumo.»
«Oi, fai il tuo trucco però.» Gli diede una gomitata Grant. Si rivolse
alla drag queen. «Remus fa questo stupefacente trucco magico.»
«Beh, adoro un po’ di magia.» Disse l’affascinante sconosciuto.
Remus si morse il labbro, ma annuì.
«Okay, ehm...» Prese la sigaretta e se la mise tra le labbra, poi
schioccò le dita. La fine si accese immediatamente e Remus fece
un rapido tiro, per i suoi guai, prima di restituirlo.
«Accidenti!» La drag queen sbatté le palpebre, fissando la sigaretta
illuminata. «Incredibile è vero! Meglio stare attenti a te, eh, uomo
magico?»
Remus arrossì di nuovo, guardando la sua coca. «Solo un gioco di
prestigio.»
«Vieni qui spesso, allora?» Si appoggiò al bancone fumando, aveva
il rossetto rosso sangue che le macchiava l’estremità della sigaretta.
«Oh no!» Disse Remus, forse un po’ troppo velocemente.
Grant rise e gli mise una mano sulla spalla. «È la sua prima volta.
L’ho portato per il suo compleanno.»
«Oh, buon compleanno!» Sorrise ampiamente. «Dovremo suonarti
una canzone, più tardi... Vai e dillo al DJ, okay dolcezza?»
«Ehm, okay.» Remus annuì, progettando di non fare nulla del
genere.
«Ci vediamo più tardi, ragazzi.» La drag queen fece l’occhiolino e
si allontanò attraverso la pista da ballo.
«Non era così male, vero?» Grant disse. «Sarai pronto a marciare
con me alla parata del gay pride entro luglio.»
«Non lo so...» Remus rise.
429
Fissò la pista da ballo un po’ più a lungo. La drag queen lo aveva
trattato come se gli appartenesse. Invece di sentirsi più impacciato,
in realtà si sentiva un po’ più felice: tutti erano abbastanza gentili,
nessuno era cattivo o scortese. Guardò una coppia che si baciava
in mezzo al pavimento, lo stavano davvero cercando,
palpeggiandosi a vicenda, e le persone stavano davvero esultando.
Ricordava i suoi amici che esultavano quando Mary e Sirius si
baciarono nella sala comune dei Grifondoro tutti quegli anni
prima, quello era stato anche il compleanno di Remus, e la data del
primo bacio di Remus e Sirius, che era avvenuto nell’ombra. Quasi
tutti i loro baci erano stati nascosti, perché in fondo entrambi
sapevano che nessuno voleva vederlo. Non negli anni Settanta, non
a Hogwarts.
Remus ebbe un improvviso bisogno di fare qualcosa di simile, qui,
in piena vista, dove tutti potevano vedere e nessuno si sarebbe
accigliato o deriso.
Solo che non era ancora abbastanza coraggioso per sbaciucchiare
in pubblico, anche alla grande vecchiaia di (quasi) trentun anni.
Quindi allungò la mano e strinse la mano di Grant. Grant sbatté le
palpebre sorpreso, ma poi il suo viso si illuminò così
meravigliosamente che ogni ultima traccia di nervosismo lasciò
Remus completamente. A volte dimenticava che anche Grant
aveva dei sentimenti, il che sembrava spietato, ma era solo perché
Grant si lamentava così raramente. La felicità gli stava così bene
che Remus decise di lavorarci di più.
Rimasero un po’ più a lungo, finché Remus non ebbe finito di bere.
Non aveva voglia di ballare (sebbene più di una persona si fosse
avvicinata, invitandolo a unirsi a loro) ma l’esperienza non era stata
terribile. Lo disse a Grant, che rise.
«Te l’avevo detto! Grazie per essere venuto, tesoro. So che non è
facile.»
430
«Tu rendi le cose più facili.» Disse Remus dolcemente
sorprendendosi.
Grant sembrò sorpreso e strinse di nuovo la mano di Remus.
«Maledetto incantatore.» Disse timidamente. «Andiamo, ho una
torta al cioccolato che ti aspetta nel frigo di casa, puoi spegnere le
candeline e ci baceremo al buio.»
Remus sorrise di rimando. «Sembra perfetto.»
Andò in bagno prima di andarsene. Avrebbe potuto aspettare
finché non fosse tornato a casa, erano solo dietro l’angolo, ma
sentiva che questa era la sua ultima prova di coraggio.
I bagni erano unisex, il che Remus supponeva fosse abbastanza
giusto anche se un po’ imbarazzante, almeno non c’erano ragazze.
Andò e usò un orinatoio, il più rapidamente possibile, cercando di
ignorare il suono e l’odore del sesso che emanavano i cubicoli. Si
stava lavando le mani quando la porta si aprì e qualcuno si chiuse
dietro di lui. Si voltò, sorpreso, e affrontò lo sconosciuto.
«Che cosa-»
L’uomo fece un ampio sorriso, mostrando i denti. Si leccò le
labbra, annusò l’aria e poi colpì Remus: il profumo familiare, la
connessione istantanea, la mancanza di rispetto per lo spazio
personale. Un lupo mannaro.
«Ho sentito l’odore della tua magia.» Disse l’uomo, la sua voce
bassa. «Delizioso. Non ti ho mai visto prima...»
Non era alto come Remus ed era piuttosto magro, aveva una
camicia bianca attillata. Aveva lunghi capelli rosso fuoco, lisci come
un attizzatoio e occhi azzurri come il ghiaccio. Il profumo della
magia terrosa naturale si irradiava da lui in onde che fecero venire
le vertigini a Remus, il sangue che scorreva nelle sue vene e arterie
come un elisir.
«Ciao...»

431
Lo sconosciuto annusò di nuovo. «Di quale branco sei? Profumi di
Greyback...»
Remus esitò un po’ all’idea di avere qualcosa di Greyback in lui, ma
scosse la testa. «Nessun branco.»
«Coraggioso da parte tua... Non sei preoccupato di venire arrestato
dal Ministero?»
«E tu? Con chi sei?» Per un momento Remus sperò che fosse uno
di Castor, voleva disperatamente sapere come stavano tutti ma lo
sconosciuto si limitò a scrollare le spalle. «Oh, andiamo alla deriva
qua e là. Non avrai mai sentito parlare di noi.»
«Ma conosci Greyback.»
«Oh sì.» Si abbassò la maglietta sul colletto, rivelando un enorme
segno di morso che era fin troppo familiare a Remus. «Lo conosco
da tempo, io e lui...»
«La guerra, eri tu-»
«Ah, allora ero a malapena un cucciolo.» Il lupo mannaro inarcò un
sopracciglio. La sua pelle era così chiara che le sue cicatrici erano
come strisce d’argento, perlacee come raggi di luna. «Ma la
prossima guerra... La prossima guerra, saremo pronti.»
«Non ci sarà un’altra guerra.» Disse Remus. Era appoggiato al
lavandino di porcellana, il lupo mannaro gli aveva messo una mano
ai lati. Era intrappolato ma non si era mosso per scappare, non
ancora. «Voldemort è morto.»
«Mmh, alcuni dicono...» Sorrise il lupo mannaro. Si avvicinò e leccò
dietro il lobo dell’orecchio di Remus. Lo fece rabbrividire tutto,
dovette trattenere un piagnucolio. L’altro uomo gli si strinse
addosso e sussurrò. «Ma ho sentito che una parte di lui vive ancora.
Le foreste parlano di magia antica, di sangue maledetto... Il Signore
Oscuro raccoglie le sue forze...»
«No...» Remus scosse la testa.

432
Cercò di respingerlo, ma riuscì solo a macinare i loro corpi insieme.
Sapeva che erano tutte bugie, e sapeva che quell’uomo era un guaio,
ma oh Dio, l’odore era così inebriante, il suo corpo non lo ascoltava;
voleva solo una cosa.
«Vieni con me.» Continuava a sussurrare il lupo mannaro, il suo
respiro caldo sul collo di Remus. «Basta parlare di guerra, non è
ancora una nostra preoccupazione... voglio goderti. Vivi nelle
vicinanze? Possiamo andare ovunque tu voglia, sarà così bello, la
luna sta crescendo...»
Remus scosse di nuovo la testa, come se potesse sbarazzarsi della
nebbia di feromoni che inondava il suo sistema.
«Sono qui con qualcuno.» Raspò.
«Portalo, se vuoi...» Ridacchiò il lupo. «Sono favorevole al
condividere.»
«N-no, devo andare...» Remus usò il suo ultimo brandello di forza
di volontà per districarsi dallo sconosciuto e tornare di corsa nel
bar, sentendo gli occhi del lupo che gli ardevano dietro.
Trovò Grant e gli afferrò la manica della camicia.
«Dobbiamo tornare a casa.»
«Eh? Va tutto bene, è successo qualcosa?»
«No... Ehm... Voglio solo tornare a casa. Voglio portarti a casa.»
Incontrò gli occhi di Grant, tenendolo ancora per il braccio e si
chiese se anche Grant potesse sentirlo, sentire il bruciore, il
bisogno. Sirius poteva, forse dovevi essere sensibile alla magia?
Remus focalizzò l’intensità, proiettandola verso l’esterno. Gli occhi
di Grant lampeggiarono e le sue pupille si dilatarono, un caldo
rossore gli strisciava sul collo.
«Va bene, allora.» Gettò via l’ultimo bicchiere e se ne andarono,
correndo insieme nella strada trafficata, mano nella mano.

433
Estate 1993
I stumbled out of bed
I got ready for the struggle.
I smoked a cigarette
And I tightened up my gut
I said this can’t be me; must be my double
And I can’t forget (I can’t forget)
I can’t forget but I don’t remember what.

Sabato 7 agosto 1993


Quella mattina arrivò un gufo ed era come se Remus lo avesse
aspettato per tutto il tempo. Si stava lavando i denti quando
l’uccello atterrò sul davanzale del suo bagno, marrone e fulvo. Lo
riconobbe subito: avrebbe conosciuto un gufo di Hogwarts
ovunque. Diede uno “strillo” ufficiale e allungò la gamba
squamosa. Remus sciolse la lettera, lo spazzolino stretto tra i denti,
la bocca piena di schiuma.
Sputò e aprì la busta mentre l’uccello decollava di nuovo,
navigando tra gli stretti edifici di mattoni con la perfetta
disinvoltura di un predatore.

Sig. R. J. Lupin,
Il professor Silente desidera farti una visita oggi verso l’ora del tè. Si scusa per
il breve preavviso dato e spera di essere accolto. Non c’è bisogno di fornire
rinfreschi.
Spero che tu stia bene.

Non era firmato e presumibilmente proveniva direttamente


dall’ufficio del preside. Remus si aspettava che le sue viscere

434
diventassero fredde, le sue mani tremanti, le lacrime da pungergli
gli occhi. Ma non successe niente; non sentiva altra reazione che
un’estrema stanchezza.
Emettendo un sospiro, Remus finì di lavarsi i denti e si vestì.
Grant ad un certo punto se n’era andato per gli allenamenti di
calcio, aveva invitato Remus (chiedeva sempre ma Remus non
accettava mai). Aveva passato abbastanza della sua vita a guardare
persone più sportive di lui che facevano cose sportive.
Era un sabato e non c’era molto da fare, quindi Remus lesse il
giornale The Guardian; non prendeva una copia del Profeta da anni
e si accontentava di non sapere.
Si aspettava che l’“ora del tè” fosse circa le 17:00, anche se non
avresti mai potuto dirlo con Silente. Cercò di immaginare il suo
vecchio preside, chiedendosi se dodici anni avessero fatto molta
differenza e per vedere se era ancora arrabbiato. Ma no, Remus
non pensava più di avere l’energia per la rabbia. Forse l’aveva già
usata tutta.
Irrequieto, Remus accese la televisione, poi la spense di nuovo
quando non c’era niente da guardare tranne Grandstand. Si accorse
di essere sempre più agitato.
Che tipo di persona annunciava semplicemente la sua visita la
mattina del giorno stesso? Che tipo di persona si autoinvitava?
Nessuno tranne Silente. Era decisamente maleducato, e se Remus
avesse avuto dei piani? Si chiese brevemente di dare una lezione
alla vecchia capra: uscire e andare a vedere un film, lasciare che
Silente arrivasse in un appartamento vuoto. Ma. Ma.
Remus voleva sapere. Doveva essere importante; nessuno di
Hogwarts o dell’Ordine aveva cercato di mettersi in contatto
dall’inizio degli anni Ottanta. Poteva essere qualsiasi cosa.
Finalmente quel vecchio *CRACK* familiare suonò appena fuori,
e ci fu un colpo leggero ma deciso alla porta.
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L’aprì velocemente e trovò Silente quasi esattamente come lo
ricordava. Capelli un po’ più bianchi, se possibile, ma più o meno
lo stesso uomo. Una sensazione di nausea salì nella gola di Remus,
e si sentì di nuovo undicenne.
«Professore.» Disse seccamente, facendosi da parte per consentire
l’ingresso di Silente.
«Remus.» Il vecchio sorrise. «Come stai?»
«Bene.» Remus si strofinò la nuca. «Bene, sì.»
«Magnifico.» I luminosi occhi blu di Silente guizzarono per la
stanza, osservando ogni centimetro della casa che Remus aveva
condiviso una volta con Sirius.
«Si sieda, se vuole.» Si offrì Remus.
«Grazie.»
«Tè?»
«Certamente, molto gentile.»
Remus ne approfittò per scappare in cucina. Preparò il tè alla
maniera dei Babbani, con il bollitore elettrico, solo per stare
lontano un po’ più a lungo.
«Zucchero?» Lui chiamò.
«Tre, per favore.»
Allora il vecchio aveva ancora il suo debole per i dolci. Remus
ricordava il sorbetto al limone con riluttante tenerezza.
Preparato il tè, tornò in soggiorno e posò le tazze sul suo vecchio
tavolino malconcio, usando una vecchia copia di Private Eye come
sottobicchiere.
«Sono passati secoli.» Disse Remus, sedendosi sulla poltrona.
«Dodici anni.»
«Lo so.» Remus sussultò, irritato.
Silente pensava davvero che non contava ogni anno che passava?
Ogni mese?
«Stai bene?»
436
«Abbastanza bene. Io ce la faccio.»
«Sai perché sono qui?» Il mago chiese.
Remus scrollò le spalle. «Non ne ho la più pallida idea.»
Silente sospirò molto piano e posò la sua tazza di tè. «Ne avevo un
po’ paura. Allora non hai letto le notizie?»
«Non le sue notizie, no. Perché?»
«Oh caro, avevo sperato che tu fossi già... Vedi, Remus-»
«È morto, non è vero?» Disse Remus all’improvviso, bruscamente.
«Black. È morto?»
Silente lo fissò con uno sguardo molto intenso. «No.» Disse
gentilmente. «Non è morto. Sirius è scappato.»
Per un momento, Remus pensò di aver sentito male. Sfuggito.
Finalmente. Non riusciva a capire cosa significasse “fuga”.
«Cristo.» Si lasciò cadere la testa tra le mani.
«Infatti.» Silente sorseggiò il suo tè.
Remus non si fidava di sé stesso per alzare la sua tazza, così si limitò
a sedersi lì, fissando il tappeto. Aveva un disperato bisogno di
fumare.
«Immagino, allora...» Disse Silente in modo uniforme. «Che il
signor Black non si sia messo in contatto?»
Signor Black. Parlava come se fossero ancora suoi studenti.
Remus si limitò a scuotere la testa in silenzio, alzando lo sguardo.
Silente annuì, e Remus sapeva che gli credeva.
«È... Non sapevo che qualcuno potesse scappare da Azkaban.»
«Sirius è il primo.» Disse Silente. «È sempre stato un mago molto
dotato.»
«Mmh.» Remus non riusciva a pensare correttamente, si sentiva
come se una raffica di ricordi dimenticati da tempo si stesse
aprendo nella sua mente, i suoi cardini arrugginiti e doloranti. Un
cane sarebbe riuscito sfuggire ai Dissennatori? Un cane sarebbe

437
riuscito nuotare fino alla riva? Il mare del nord era così freddo che
rabbrividì a pensarci. Dodici anni.
«Tesoro sono a casa!» Grant entrò rumorosamente attraverso la
porta in pantaloncini da football giallo fluo con un terribile accento
americano e un sorriso sdolcinato che si bloccò quando vide
Silente. «Oh scusate... Tè party, vero?»
Remus si alzò ansioso, massaggiandosi il braccio. «Grant, io...
Uhm... Questo è il mio vecchio preside. Puoi darci un minuto?»
«Come vuoi.» Grant aggrottò la fronte, gli occhi che saettavano
avanti e indietro. «Devo andarmene?»
«No, non andare. Solo...»
«Aspetterò nell’altra stanza.» Disse Grant, comprendendo
rapidamente.
Remus arrossì leggermente, Silente era sicuro di sapere che “l’altra
stanza” era la camera da letto.
Grant girò goffamente per la stanza. Appena raggiunse la porta
della camera da letto, si batté le mani sulle tasche. «Ehm... Remus,
hai qualche sigaretta?»
«Accio Marlboro.» Disse Remus con un movimento della sua
bacchetta.
Il pacchetto gli volò in mano e ne estrasse una, accendendola con
la bacchetta, poi lanciò la scatola a Grant che la prese abilmente.
«Grazie.» Annuì Grant ritirandosi nella stanza accanto.
Remus fece un lungo tiro, fissando il vuoto. La sua testa nuotava;
fumava molto raramente. Aveva nascosto una scatola per le
emergenze. E questa era un’enorme emergenza.
«Esegui la magia di fronte a questo giovane?» Chiese Silente.
Remus gli lanciò uno sguardo irritato. Che cosa stupida di cui
preoccuparsi.

438
«Sì, sì, statuto di segretezza.» Rispose facendo schioccare la lingua
e facendo scorrere la sua cenere sul tavolino da caffè. «Mi dica la
punizione per questo, se vuole.» Fece un altro tiro.
«Fortunatamente lo statuto di segretezza non si applica a partner,
coniugi o familiari.» Silente rispose con calma. «E presumo che lui
sia il tuo...»
Remus esalò fumo, massaggiandosi di nuovo la testa. «Beh, lei non
è il mio fottuto fratello, professore.»
Silente non sussultò. «Mi dispiace, Remus.» Disse. «Hai avuto uno
shock. Non mi ero reso conto che ti saresti spento così tanto,
avevo pensato...»
«Nessuno da cui isolarmi.» Remus sbuffò. «Se ne sono andati
comunque.»
«Vorrei poterti dare un po’ di tempo per adattarti a questa notizia,
ma temo che ci sia un altro motivo per cui sono venuto oggi.»
«Certo che c’è.» Remus sospirò, profondamente.
Voleva solo che Silente se ne andasse. Aveva bisogno di bere, per
la prima volta da anni aveva bisogno di bere per mettere sé stesso
in uno stato di torpore, di annegare ogni pensiero nella sua testa.
«Stai lavorando, in questo momento?»
«Qua e là.» Remus scrollò le spalle. «Quello che trovo.»
«C’è un posto vacante a Hogwarts.»
«Ah sì?» Remus sbuffò. «Gazza se n’è andato, vero? Non sono
interessato.»
«È una posizione di insegnamento.» Replicò Silente, dimostrando
ancora una volta la sua straordinaria capacità di rimanere calmo di
fronte a una guancia a faccia scoperta.
Remus rise sgarbatamente. «È finalmente impazzito, Silente?!
Vuole assumere un lupo mannaro che si prenda cura dei suoi
ragazzi, adesso?»
«Ci sono misure che possiamo prendere...»
439
«Oh no.» Remus scosse la testa con veemenza. «Non mi riporterete
in quella maledetta baracca.»
«Sono stati fatti dei progressi, Remus.» Disse Silente bruscamente.
«Se fossi rimasto in contatto con il mondo magico, lo sapresti. La
scoperta della pozione wolfsbane è stata di enorme aiuto per molti
con la tua condizione. Ti rende quasi del tutto innocuo durante le
tue trasformazioni. Ne farei una condizione per il tuo impiego.»
«Perché mi vuole?» Remus lo guardò con rinnovato sospetto.
Cosa stava cercando? Le posizioni di insegnamento a Hogwarts
erano molto alte e ambite, questo lo sapeva.
«Penso che saresti un ottimo insegnante, prima di tutto.» Silente
disse. «Ho anche pensato che potresti apprezzare l’opportunità. E
con la notizia della fuga di Black, io-»
«Ah.» Remus annuì. «Mi vuole vicino. Giusto in caso.»
«Per la tua protezione, ovviamente.”
«Non verrà da me.» Disse Remus, lapidato. «Potrebbe essere
pazzo, ma non è stupido. Non è mai stato stupido.»
«Non stupido forse, ma avventato.» Silente inarcò un sopracciglio
nevoso.
Remus lo ammise. Abbastanza vero. «Cosa insegnerei? Storia?
Cura delle Creature Magiche?»
«Difesa contro le arti oscure.» Silente sorrise piacevolmente, ora
che Remus sembrava essersi avvicinato all’idea. «Come ex membro
dell’Ordine della Fenice pensavo che saresti stato l’ideale.»
«Mm hm.»
«C’è un’altra cosa.» Disse Silente, sembrando insicuro per la prima
volta, come se non fosse sicuro di quale potesse essere la reazione
di Remus.
Remus non disse niente, lo guardò negli occhi e aspettò. Silente
posò la sua tazza. «Harry.»

440
Il dolore divampò da qualche parte nel profondo di Remus, come
la riapertura di una vecchia ferita. La sua bocca si seccò di nuovo e
sorseggiò il suo tè tiepido.
«Non ci avevo pensato.» Disse, a bassa voce. «Non l’avevo
dimenticato, ma io... Lui lo adesso ha... dodici?»
«Tredici, ora.»
«Tredici.» Scosse la testa, lentamente.
«È... Com’è?»
«Assomiglia tanto a James.» Silente disse tristemente. «Ma c’è anche
un bel po’ di Lily in lui.»
Remus rimase in silenzio per quasi un minuto intero controllando
il respiro. Infine, alzò la testa.
«Okay.»

Mercoledì 1 settembre 1993


«Allora vai.» Grant disse.
Questa era un’affermazione ridondante. Remus stava letteralmente
facendo le valigie. Stava provando la più strana sensazione di dejà
vu. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva preparato
un baule per Hogwarts? Aveva dovuto tirare fuori tutte le sue
vecchie vesti, i suoi strani vestiti da mago. Erano logori e logori,
ma non era disposto a sborsare per nuove cose, quindi fece del suo
meglio con alcuni incantesimi di riparazione.
Grant aveva dipinto “Professor R J Lupin” sulla sua vecchia
valigetta per scherzo, ma in quel momento non era molto
divertente.
«Vado.» Confermò, arrotolando un paio di calzini.
Grant si sedette sul letto guardandolo, il viso impassibile.
Remus non lo biasimava. Si stava comportando in modo
indicibilmente crudele, lo sapeva.
441
Grant lo stava sopportando, ancora una volta.
Remus lo guardò. «È un lavoro. È solo per un anno.»
«Nella tua vecchia scuola.»
«Sì, te l’ho detto.»
«Sono preoccupato per te.»
«Lo so che lo sei.»
«Se Sirius è scappato e sa che sei lì, lui-»
«Possiamo non...? Vado e basta.» Remus scattò, chiudendo la
valigia con forza. Non voleva pensarci. Aveva solo bisogno di
passare oggi.
Poi rimasero in silenzio per un po’. Grant andò a preparare il tè e
lo porto dentro. Remus si fermò per sedersi e berlo con lui. Aveva
smesso di fumare, questa volta per sempre, o almeno così si disse.
Il tè avrebbe dovuto bastare.
«Puoi ancora restare qui, non ti sto buttando fuori.» Disse Remus.
«Questo posto è tuo quanto mio e ci sono incantesimi di
protezione, me ne sono assicurato.»
«Nah.» Grant scrollò le spalle, facendo un sorriso sconfitto.
«Faccio schifo da solo. Probabilmente farò un giro, magari a
Borstal. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho visto il
parcheggio di Brighton, forse farò un salto.»
«Resta in contatto, okay?»
«Non ho intenzione di portare in giro un gufo con me.»
«Oh, no. Cercherò di portare un telefono, se posso.»
«Dio, lo fai sembrare come se fossi in guerra.»
Remus deglutì asciutto e scoprì che non poteva parlare.
Fortunatamente, in quel momento Grant non aveva in mente di
parlare. Prese il tè di Remus da lui, lo posò sul comodino, poi si
voltò per spingere Remus nel materasso.
«Mi mancherai.» Sorrise contro le labbra di Remus, premendo il
bottone sui suoi pantaloni.
442
Remus ricambiò con il bacio, come aveva fatto quando erano
adolescenti. Successivamente Remus decise che era meglio
andarsene velocemente. Voleva pensare a Grant che giaceva felice
e arrossato sotto il piumone; un ricordo indelebile di giovinezza e
bellezza. Si vestì e raccolse le sue borse.
Proprio mentre stava per salutarlo di nuovo, Grant gli afferrò il
polso. «Oi. Ti amo, coglione.»
«Grant...»
«Vai, avanti.» Grant lo guardò, direttamente. Il suo viso era onesto
e solare come lo era stato a sedici anni. «Ripetilo anche tu.»
«Sai come mi sento nei tuoi confronti...»
«Sì.» Grant sorrise senza traccia di amarezza. «Lo so. Ma sarebbe
bello sentirlo. Avanti, so che puoi.»
Il terrore strinse il cuore di Remus ma lo inghiottì. Doveva essere
coraggioso; Grant se lo meritava. E lui lo voleva; lo fece.
«...Ti amo.»
«Buon ciaggio.» Grant gli lasciò il polso, e questo fu tutto.
«Ci vedremo di nuovo.» Disse Remus con forza, promettendolo a
sé stesso più di qualsiasi altra cosa.
Grant si stese assonnato e annuì. «Sì, lo so.» Sospirò. «Come
magneti, tu ed io. Torniamo sempre di nuovo insieme.»
Remus corse fuori dalla porta, non volendo rattristarsi troppo.
Aveva un treno da prendere.

443
Estate 1994
If you, if you could return
Don’t let it burn
Don’t let it fade
I’m sure I’m not being rude,
But it’s just your attitude
It’s tearing me apart
It’s ruining every day

I swore I would be true


And fellow, so did you...

Were you lying all the time?


Was it just a game to you?

Agosto 1994
Per la prima settimana dopo il ritorno di Remus da Hogwarts non
sapeva come sentirsi. Per la prima volta da molto tempo, Remus
era perso; senza legami, alla deriva. Vagava per l’appartamento
come un fantasma, attraversando i movimenti della vita quotidiana,
ma senza sentire nulla.
Non era depressione. Sapeva come era la depressione.
«È uno shock.» Disse Grant.
«Oh.» Disse Remus, fissando con sguardo vacuo la TV.
Ovviamente si aspettava che Hogwarts facesse rivivere vecchi
ricordi. Aveva saputo fin dall’inizio che una nuova visita al posto
poteva facilmente rovinarlo, ma l’aveva fatto lo stesso. Forse era
un masochista. Forse solo stupido.

444
Il castello era pieno di fantasmi del passato di Remus, che è stata
un’esperienza profondamente inquietante dopo aver trascorso la
maggior parte di un decennio cercando di dimenticare tutto. Nel
momento in cui era arrivato a King’s Cross tutto era tornato
indietro: le piccole carrozze del treno con la tappezzeria logora, la
strega del carrello, le cioccorane, il trambusto e il rumore degli
studenti che si imbarcano in un nuovo trimestre. Con la luna piena
davanti a sé, era scappato via in uno scompartimento e si era subito
addormentato.
Finché la carrozza non si era raffreddata e i Dissennatori...
No. Comunque, fantasmi. La McGranitt era forse la più strana.
Doveva sapere che sarebbe arrivato, ma il loro primo incontro
aveva colpito Remus più del previsto e sembrava sorpresa quanto
lui. Non erano del tutto sicuri di come relazionarsi l’uno con l’altro,
ora.
«Signor Lupin! Oh, mi dispiace... Professor Lupin.»
«Buongiorno prof- Voglio dire... ehm...»
«Minerva, per favore.» Sorrise con grazia.
Allungò una mano e gli strinse il braccio. Era formidabile come
vent’anni prima, solo un po’ più grigia alle tempie. Ma poi lo era
anche lui.
«È meraviglioso vederti, Remus.» Disse sinceramente.
«È bello essere tornato.» Mentì.
I suoi occhi erano dolci e gentili, come se potesse vedere attraverso
di lui.
«Il mio ufficio è sempre aperto, se hai bisogno di qualcosa. Come
sempre.»
Apprezzava il gesto ma non fece, soprattutto perché voleva restare
per sé. Voleva anche stare lontano dalla torre di Grifondoro, se
poteva.

445
Il resto della scuola era familiare; i vasti terreni lussureggianti, la
foresta proibita, il cibo, i ritratti, le scale che aveva mappato con
tanta cura. Ma la Torre di Grifondoro, lo spazio più intimo e felice
della sua adolescenza, sarebbe stato quasi troppo da cui riprendersi.
Gli venne in mente Omero, ancora una volta, la parola “nostalgia”
che significava un doloroso ritorno a casa. Era esattamente come
si sentiva.
Non socializzava molto con i suoi coetanei. Il personale sapeva, in
linea di massima, della sua licantropia ma preferiva comunque
evitare conversazioni spiacevoli, se poteva. Stavano ridendo alle
sue spalle? Si preoccupavano di lui?
Nessuno lo vede da anni, era il miglior amico di Black e di Potter, cosa sa?
Cosa ha fatto?
Stranamente il professor Rüf aveva dimenticato Remus, ma
almeno Vitious non l’aveva fatto. Era stato molto gentile,
invitandolo a fermarsi un paio di volte nella classe di Incantesimi
per un tè e un toast. Remus lo fece, per essere gentile, ma trovava
difficile dimenticare tutte le volte che lui e Sirius si erano chiusi
nella classe del gentile professore. In genere trovava molto difficile
riconciliare il suo Io adulto responsabile dei programmi di lezione
e della valutazione dei saggi e del benessere degli studenti, con il
suo Io adolescente spericolato, selvaggio e arrogante e follemente
innamorato. C’erano intere ali del castello che evitava,proprio per
questo motivo.
Lasciò a malapena la sua classe e le sue aule, tranne che per i pasti
nella Sala Grande, e non andò mai a Hogsmeade, tranne che per
passare velocemente verso la vecchia cabina telefonica appena
fuori dal villaggio. E grazie a Dio era ancora lì.
«Com’è?» Chiese Grant la prima volta che Remus chiamò.
«Terribile. Sopportabile. Suppongo di insegnare, i ragazzi stanno
bene. In realtà i ragazzi sono fantastici.»
446
«Bene. Concentrati solo su quello. La prima volta che sono entrato
in una casa di custodia cautelare dopo St Edmund’s ho pensato che
avrei dovuto lasciare. Giuro che quei posti hanno tutti lo stesso
odore. Ad ogni modo, puoi superarlo se ricordi che si tratta dei
ragazzi e non di te. Sii l’insegnante che avresti voluto avere.»
Questo era stato un buon consiglio e Remus aveva fatto del suo
meglio. Non aveva avuto molta esperienza con i giovani, ma
ricordava molto chiaramente di essere stato lui stesso un giovane.
Cercò di organizzare lezioni che avrebbe trovato interessanti,
portando creature magiche ogni volta che poteva, come aveva fatto
Ferox, e dando suggerimenti e indicazioni extra ovunque gli
studenti avessero difficoltà. In realtà non era molto diverso dalle
sessioni di studio che aveva trattenuto quando era a scuola.
Allo stesso modo Remus aveva cercato di prestare attenzione a
tutti i suoi studenti e di imparare i loro caratteri, i loro bisogni
individuali. All’inizio era stato incredibilmente strano: aveva
scoperto di avere non meno di cinque Weasley a cui insegnare, uno
su quasi ogni anno. Poi c’era il povero piccolo Neville Paciock;
goffo, nervoso e ansioso. Il figlio di Narcissa era in un’altra classe,
l’immagine sputata di Lucius. Poi ovviamente c’era...
Comunque. A parte Vitious e la McGranitt il resto dello staff era
praticamente estraneo a Remus tranne, ovviamente, per il
professore di Pozioni.
Remus voleva davvero stare alla larga da Piton, ma dal primo
giorno era chiaro che non sarebbe stato facile. Era la luna piena e
ovviamente Piton era l’unico che sapeva come preparare la pozione
Wolfsbane, il coglione. Probabilmente aveva imparato a farlo solo
per tormentare Remus. Era già abbastanza brutto che dovessero
condividere di nuovo un castello ma Piton era determinato ad
assicurarsi che Remus sentisse il suo dispiacere.

447
«Lupin.» Disse, arrogante al loro primo incontro, poco prima del
banchetto di benvenuto. «Sono rimasto sorpreso di sentire che sei
sopravvissuto alla guerra.» Le sue labbra si arricciarono. «Quando
sembra che così tanti dei tuoi amici non ce l’hanno fatta.»
Per quanto fosse disgustoso Piton fece emergere qualcosa che
Remus non sentiva adeguatamente da anni. Dispetto.
«Severus.» Sorrise calorosamente. «E io sono rimasto sorpreso di
sentire che sei sopravvissuto al processo. Quando tanti dei tuoi
amici non ce l’hanno fatta.»
Piton sogghignò, e questo diede il tono dell’anno.
Severus chiaramente non aveva dimenticato gli eventi del loro
quinto anno. Era spregevole come lo ricordava Remus, e non era
invecchiato bene. I suoi capelli erano ancora sciolti e unti, forse un
po’ più indietro di prima, i suoi occhi neri erano più infossati e il
suo naso più simile a un becco. Fece accapponare la pelle di Remus
ma non c’era niente da fare al riguardo; dovevano incontrarsi
privatamente ogni mese per la pozione.
La pozione stessa era assolutamente vile e Remus ne risentì
amaramente. Aveva un sapore orribile, ma peggio di quello era
l’effetto che aveva. Si trasformava ancora, soffrì ancora delle
agonie mentre il suo cranio si allungava e la sua schiena si spaccava
e i suoi tendini scricchiolavano ma, in seguito, manteneva
completamente la sua mente umana. Questo era stato
assolutamente orribile. Remus era venuto a vedere il ritiro mensile
nel suo cervello animale come una specie di catarsi. Ma avere un
corpo animale e pensieri umani si era rivelato davvero molto
spiacevole; non si sentiva né di qui né di là, intrappolato nella forma
sbagliata e incapace di scappare. Si rannicchiava per dormire
rinchiuso nel suo ufficio ogni mese pieno di disgusto di sé.
La mattina dopo andava zoppicando nell’ufficio di Madama Chips
per chiedere l’essenza di Murtlap.
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Di tutta dall’infanzia di Remus, Madama Chips sembrava la più
contenta di rivederlo. Era invecchiata, come tutti gli altri, ma aveva
mantenuto il suo tocco gentile, il suo viso dolce e il suo
atteggiamento senza fronzoli nei confronti del benessere di Remus.
«Remus!» Si allungò per abbracciarlo dal primo momento in cui lo
vide. «Guardati, gigante di un uomo!»
«Salve, Madam-ehm... Poppy.»
«Gentile come sempre.» Sorrise. «Dai, vieni e dimmi cosa hai fatto
in questi anni.»
Ebbero qualche incontro molto piacevole nel suo ufficio, accanto
al caminetto. Voleva sapere tutto sulle sue trasformazioni fuori da
Hogwarts, e lui le disse tutto quello che poteva. Era molto
interessata a sapere del branco e di come erano in grado di guarirsi
a vicenda condividendo la magia di gruppo.
«Ho cercato di mettermi in contatto con te, dopo la morte dei
Potter.» Disse tristemente. «Ma nessuno poteva dirmi dove vivevi,
e non osai chiedere troppo nel caso...»
Remus distolse lo sguardo, imbarazzato. «Mi dispiace.» Disse.
«Volevo essere lasciato solo.»
«Sì beh, eri sempre lo stesso ragazzo, testardo!» Sorrise
affettuosamente.
Lui ricambiò il sorriso, rendendosi conto di quanto gli fosse
mancata.
Per il primo mese circa i nervi di Remus erano irritati; esitava
mentre girava ogni angolo preoccupato di poter vedere qualcosa di
doloroso. Ma, come spesso accadeva, il dolore diminuì nel tempo.
Scivolò in un nuovo personaggio: non l’adolescente Remus che si
prendeva dei rischi senza pensare, che cercava disperatamente di
mettersi alla prova e non l’uomo mezzo babbano e mezzo distrutto
che era stato a Londra. Da qualche parte tra queste due metà in
guerra, divenne il professor Lupin; sobrio e serio, offrendo
449
incoraggiamento ovunque potesse. Andava tutto bene, perché era
esattamente quello che aveva bisogno di essere, per Harry.
Dio, Harry.
Harry Potter era James e Lily perfettamente uniti; tutto fascino,
sfacciataggine, forza e bontà. Remus era preoccupato, sapendo che
l’infanzia del ragazzo era stata tutt’altro che ideale, che Harry
sarebbe stato difficile. Remus ricordava bene il suo temperamento
irto a tredici anni; gli adulti crudeli rendono i bambini amareggiati.
Ma no. Harry era di buon cuore e di mentalità aperta come i suoi
genitori; pieno di amore e così, così generoso con esso. Conoscerlo
era stato doloroso e gioioso allo stesso tempo.
La prima volta che si erano incontrati Remus aveva pensato che
stesse ancora sognando. Si era svegliato sul treno per colpa dei
Dissennatori: quei fottuti abomini. Cancellò la minaccia e, fissando
i volti dei ragazzi spaventati, trovò Harry svenuto sul pavimento.
Finché non aprì gli occhi era James; niente poteva convincere
Remus del contrario. Un po’ più magro, forse più basso di Prongs
a tredici anni, ma per il resto era la sua immagine sputata.
Ovviamente Harry non aveva idea di chi fosse Remus e il più a
lungo possibile, rimase così. Come avrebbe potuto spiegare?
Anche dopo alcune conversazioni con il ragazzo, Remus era
completamente in mare. Così lasciò che Harry facesse strada e
rispose alle domande che avevano risposte adeguate. Quando
Harry andò da lui chiedendogli lezioni per il patronus in modo che
potesse continuare a giocare a Quidditch, Remus non poté dire di
no. Era esattamente quello che avrebbe fatto anche James.
Quando l’argomento Sirius si avvicinò, lo evitò. Harry sapeva già
che Black e James erano amici e Remus non era sicuro di cos’altro
avrebbe potuto dire senza perdere la fiducia del ragazzo.
Sì, Harry, tuo padre era il mio migliore amico, ma Sirius Black era il mio
tutto...
450
No, non avrebbe funzionato. Inoltre Remus non era sicuro che il
mondo magico non avesse la sua versione della Sezione 28, se
avesse iniziato a confessare cose del genere avrebbe potuto finire
nei guai per aver corrotto le giovani menti? Era già abbastanza
brutto che fosse un lupo mannaro.
A quel punto era già chiaro che Sirius era nelle vicinanze. Quando
il detenuto aveva fatto irruzione nel castello la notte di Halloween
Remus uscì quasi dal parco per potersi smaterializzare e andare a
Londra. Forse l’avrebbe fatto se il perimetro non fosse stato
brulicante di Dissennatori e ovviamente per il fatto che Black
stesse decisamente cercando Harry.
Questo rese Remus furioso; Sirius non aveva fatto abbastanza
danni? Doveva essere davvero impazzito, doveva essersi
allontanato così tanto dal giovane che aveva cullato il piccolo Harry
tra le sue braccia con tenerezza e soggezione. Remus lo usò come
promemoria, per rinforzarsi: era inutile piangere per Sirius. Il suo
Sirius era morto molti anni prima.
E poi quella notte successe. In poche ore tutto cambiò...
Fanculo.
Forse Grant aveva ragione, forse era stato uno shock. Dopo aver
ricevuto i suoi ordini di dimissioni da Hogwarts (grazie a dio; un
altro anno avrebbe potuto ucciderlo), Remus prese il Nottetempo
per tornare a Londra, la sua mente ribolliva su tutto ciò che aveva
appreso.
Gli eventi continuavano a cambiare e riordinarsi. Alcune cose
diventarono più chiare, altre offuscate da varie versioni della verità.
Le cose che Sirius aveva detto, le scuse che Wormtail aveva
piagnucolato e tutto ciò che Remus aveva pensato di sapere...
Nessuno di questi racconti era perfettamente allineato.
L’unica cosa di cui Remus era certo era che per dodici anni aveva
odiato la persona sbagliata.
451
«Per favore, torna indietro.» Gridò al telefono a Grant una volta
che fu a casa. «Per favore...»
«Sono sulla strada.» Disse Grant e riattaccò immediatamente.
Ci erano volute ancora ore. Remus si cambiò nei suoi vestiti
babbani, gettando gli abiti logori del professor Lupin in un angolo
del bagno e camminò su e giù per l’appartamento mentre aspettava,
maledicendo la lentezza del trasporto babbano. Non beveva.
Voleva tenere una mente lucida; voleva capire.
«Remus?!» Grant irruppe in soggiorno, stanco e spettinato.
Si era tagliato i capelli nell’ultimo anno; erano così corti che si
arricciavano appena. Remus li odiava ma non disse niente, corse ad
abbracciarlo.
«Cosa è successo?» Chiese Grant, sbuffando mentre Remus gli
toglieva l’aria dai polmoni, ma stringendolo indietro in modo
rassicurante.
Non aveva lo stesso aspetto, ma aveva lo stesso odore e questo
aiutava; questo è stato molto radicale.
«Era innocente!» Remus balbettò, continuando ad aggrapparsi. «È
stato Peter per tutto il tempo! Non è mai stato lui! Sono stato un
tale idiota!»
«Remus, non so di cosa stai parlando, per favore... Sediamoci, va
bene? Cristo quanto sei magro, non ti danno da mangiare in quella
scuola?!»
Remus permise a Grant di subentrare. Si sedette obbediente sul
divano, accettò un bicchiere d’acqua e una sigaretta perché, a
quanto pareva, Grant stava fumando di nuovo e la tentazione era
troppa. L’appartamento sembrava spoglio e soffocante, essendo
rimasto vuoto per la maggior parte dell’anno e Grant aprì la finestra
del soggiorno, lasciando entrare i rumori quotidiani del traffico
pedonale e dei piccioni.

452
«Okay.» Disse Grant, sedendosi di fronte a Remus, unendo le mani
in un modo molto da maestro. «Cominciamo dall’inizio, va bene?»
Remus annuì. Era determinato a parlare. Se qualcuno poteva
sistemare tutto questo, era Grant. Ne era sicuro.
«Sirius.» Disse. «Ho visto Sirius. E Peter.»
«Aspetta.» Grant aggrottò la fronte. «Peter? Pensavo che...»
«No.» Remus disse cupamente, le sue viscere diventavano calde di
rabbia. «È vivo. Si è nascosto, per tutti questi anni.»
«Da Sirius?»
«Da tutti. Era colpa sua. Lui ha tradito James e Lily; non è mai stato
Sirius.»
«Come...» Grant scosse la testa, chiaramente confuso. «Quindi è
stato in prigione tutto questo tempo per qualcosa che aveva fatto
Peter? Gesù. Okay. Sei sicuro? È lui che te l’ha detto?»
«Sì, ma io... Lo so per certo. Ho visto Peter, e io...» Remus esitò.
«Solo che credo a Sirius, okay?»
Il fatto era che aveva letto la mente di Sirius e stava ancoa cercando
di capirlo. Cercò di mettere insieme i pezzi degli eventi della notte,
a beneficio di Grant e suo.
«Era tutto Harry, il figlio di James. Una sera aveva lasciato la scuola
e io sapevo perché, così l’ho seguito. Ero preoccupato che Sirius
avrebbe provato... ma poi c’era Peter, ho visto Peter e non sapevo
cosa pensare.»
Qualcosa nel profondo di lui l’aveva capito subito; nel momento
in cui aveva visto il nome di Wormtail apparire sulla mappa. Ma
aveva dovuto scoprirlo, doveva saperlo con certezza. E poi era
arrivato alla baracca e c’era Sirius, pelle e ossa e stracci e follia che
schiamazzava sul pavimento, Harry in piedi sopra di lui in bilico
con la sua bacchetta.
La parte lupo di Remus prese il sopravvento, riconoscendo che
Padfoot era in pericolo, e disarmò tutti in una volta.
453
«Dov’è, Sirius?!» Disse in quel momento
Poi vide il topo e tutto andò al proprio posto. La sua mente tornò
di corsa al 1981; tutta la segretezza, la sfiducia, le bugie. Guardò
Sirius correttamente, sgranò gli occhi e, quasi senza provarci, entrò
nei pensieri di Sirius.
Mostrami. Comandò, usando la stessa magia che usavano i lupi
mannari, il cervello di Sirius era mezzo canino a quel punto e forse
è per questo che aveva funzionato.
Black resistette per un momento, senza dubbio ricordando le
intrusioni forzate di Walpurga, ma annuì, e lasciò entrare Remus.
«Ma Felpato.» La voce di James, che riecheggia da un lontano passato,
«Pensavo fossimo d’accordo...»
«Lo so, ma questo è meglio, non vedi?! Nessuno sospetterà mai di Wormy!»
«Come un doppio bluff!» Lily intervenne. «È fantastico!»
Remus non aveva più bisogno di sentire. Abbassò le bacchette e
aiutò Sirius ad alzarsi, abbracciandolo forte.
Mi dispiace. Comunicò senza parole. Mi dispiace, mi dispiace, mi
dispiace...
Tornato nell’appartamento, le lacrime gli colarono gli occhi, e
Grant tirò fuori un fazzoletto, porgendoglielo.
«Allora è libero, adesso? Sirius?»
«No.» Remus scosse la testa, raccogliendosi. «È diventato tutto così
complicato, e io... Era la luna piena. L’ho visto solo per venti
minuti forse, e poi mi sono voltato e... Sono successe così tante
cose senza di me. Peter è scappato, non l’hanno preso. Avrei
dovuto ucciderlo quando ne avevo la possibilità! Volevo, stavo per
farlo, ma Harry mi ha fermato.»
Grant impallidì, la sua bocca una linea arcigna. Non disse niente,
però.
«Quando diventò mattina, anche Sirius era scappato di nuovo.»
Remus continuò. «È nascosto e non so...» Non so se lo rivedrò mai più.
454
Si asciugò gli occhi e si passò le dita tra i capelli. «Fanculo! Tutto
questo tempo! Tutto questo tempo e ci ho creduto! Come ho
potuto essere così stupido?!»
«Ehi, smettila.» Grant aggrottò la fronte, allungando una mano.
Remus si alzò bruscamente, ignorando Grant e camminando su e
giù per la stanza ancora una volta, borbottando tra sé.
«Avrei dovuto sapere che non avrebbe mai fatto del male a James!
Non avrei dovuto essere così dannatamente credulone! Così
debole! Avrei dovuto provare a cercarlo, avrei potuto farlo uscire
di lì, avrei potuto rintracciare Peter, avrei potuto...»
«Remus!» Grant alzò la voce. «Smettila.»
Remus lo guardò. «Io non so cosa fare.» Egli disse.
Grant sospirò. «Nemmeno io, amico.» Si strofinò una mano sul
viso, e Remus vide gli anelli sotto i suoi occhi. Grant si alzò. «Ma
non c’è niente che puoi fare proprio in questo momento, quindi.
Vado a farmi una doccia, giusto? Poi andiamo a cena. Poi
parleremo ancora un po’.»
Remus annuì, avidamente.
Sì, questo era ciò di cui aveva bisogno; un piano. Passaggi chiari e
definiti. Grant lasciò la stanza, stanco. Remus aspettò, ascoltando
l’acqua che scorreva, cercando ancora una volta di mettere in
ordine i suoi pensieri. Fece qualcosa che non faceva da quando era
un adolescente.
Un elenco.
Allora, Moony. Si disse. Quali sono i fatti?
1. Sirius Black non ha ucciso James e Lily Potter.
2. Peter Minus è vivo.
3. Peter Minus è una spia.
4. Peter Minus ha ucciso James e Lily Potter.
5. Sirius Black era stato in prigione per dodici anni per un crimine
di cui era innocente.
455
Un’ondata di rabbia lo travolse ancora una volta. Ci aveva creduto!
Era colpevole quanto Silente, come chiunque altro avesse
semplicemente supposto che Sirius fosse la spia, perché Sirius era
un Black.
In effetti Remus era ancora più colpevole di loro, perché lui
avrebbe dovuto saperlo! Nessuno era più vicino a Sirius di lui.
Quegli ultimi mesi di guerra erano stati così confusi. Non c’era
stato qualcosa che non andava? Sirius non era stato distante e
freddo con lui?
Negli anni successivi, Remus l’aveva presa come una prova del
tradimento di Padfoot, ma ora... ora con una sensazione di nausea,
lo vedeva per quello che era.
«Pensava che fossi io la spia!» Disse a Grant, nell’istante in cui era
uscito dal bagno.
«Eh?» Grant aggrottò la fronte, cercando di superare Remus,
avvolto in un asciugamano. «Spia? Che cosa? Oi, fammi vestire,
dai...»
Remus lo seguì in camera da letto e si sedette sul letto parlando
velocemente mentre Grant si asciugava e indossava vestiti puliti.
«Durante la guerra sapevamo che c’era una spia, sapevamo che
qualcuno stava passando informazioni dall’altra parte, ma nessuno
sapeva chi. In seguito abbiamo pensato che fosse Sirius; tutto aveva
un senso, era stato sorpreso a far saltare in aria una strada piena di
babbani, e-»
«Devi chiamare così le persone normali?»
«Scusa. Comunque, Sirius era il custode segreto di James e Lily,
ehm... questo significa che aveva questo incantesimo su di lui che
solo lui sapeva dove si trovavano. Per tenerli al sicuro. Ma si
scambiò con Peter all’ultimo minuto, e ora sappiamo che Peter era
la spia. E non mi avevano detto del cambio, Sirius non me l’aveva
detto, perché deve aver pensato...»
456
«Non si fidava di te.» Disse Grant, senza mezzi termini. Vestito, si
sedette anche lui sul letto, lontano da Remus.
«Suppongo di non poterlo biasimare...»
«Avevi infranto la sua fiducia prima?» Grant inarcò un sopracciglio.
«...No.»
«Tu hai mai creduto che fosse la spia? Prima che James e Lily
morissero?»
«No, mai!»
«Bene allora.» Grant si alzò. «Vado a fare un salto al negozio,
abbiamo bisogno di latte e pane... dentifricio...»
«Aspetta, no, cosa intendi con “bene allora”?!»
«Niente. Senti, vieni con me in negozio. Allora prometto che
possiamo parlarne. Ti ascolterò tutta la notte se vuoi, lo giuro.
Voglio solo portarti del cibo prima.»
Remus era d’accordo con quello. Guardò Grant cucinare e ingoiò
ogni boccone e poi parlò, parlò e parlò. Ma non andava bene. Alla
fine non era servito a niente.
«Se Sirius è nascosto e Peter è in fuga...» Disse Grant sbadigliando.
«Andrà direttamente da Voldemort, il ratto.» Remus ringhiò.
«Giusto, okay.» Grant fece un cenno con la mano. «Se Sirius si
nasconde, allora non puoi fare niente. Sembra che sia fuori dalla
tua portata.»
«Forse potrei mandare un gufo... Questo però potrebbe rivelare la
sua posizione...»
«E poi tu verrai arrestato e mandato ad Alcatraz, o qualunque cosa
sia, per collusione con un criminale.» Disse Grant, con un’aria di
definitività.
«Voglio solo aiutarlo.» Disse Remus.
«Certo che lo vuoi. Ma non vedo come.»
Rimasero in silenzio per un po’, riflettendo. Era buio fuori, Remus
non sapeva che ora fosse, ma doveva essere piuttosto tardi. Grant
457
sembrava esausto, e Remus provò un piccolo senso di colpa, oltre
a tutto il resto.
«Mi dispiace averti fatto passare questo.» Disse piano, allungando
la mano di Grant. «Non è proprio giusto da parte mia.»
«Va bene.» Grant gli fece un piccolo sorriso accarezzando le
nocche di Remus con il pollice. «Capisco. È solo... molto.»
«Lo so.»
«Come... com’è stato vederlo? Voglio dire, come ti sei sentito?»
Remus si spostò goffamente. Eccolo. Il pensiero che aveva evitato.
Perché se Sirius era innocente, se non aveva mai tradito James,
allora non aveva mai tradito nemmeno Remus. E Remus non
sapeva cosa significasse per lui, ora, dopo così tanto tempo.
«Siamo entrambi così diversi, ora.» Disse, consapevole che Grant
stava trattenendo il respiro mentre aspettava la risposta. «Lo
riconoscevo a malapena, davvero, mi dispiaceva solo per lui.»
Il sussulto nello stomaco gli disse che stava mentendo.
Grant si chinò e lo baciò. «Andrà tutto bene, alla fine.» Gli disse.

458
Inizio estate 1995
We passed upon the stair
We spoke of was and when
Although I wasn’t there
He said I was his friend
Which came as some surprise
I spoke into his eyes;
I thought you died alone
A long long time ago.

Sabato 24 giugno 1995


Quella fottuta fenice era arrivata per prima e Remus lo aveva capito
subito.
«Che diavolo è quella?!» Grant balzò in piedi, sorpreso dall’uccello
argenteo che irruppe nel loro soggiorno.
Stavano guardando la televisione con tutte le finestre aperte per
contrastare il caldo estivo. Remus stava per mettere su il bollitore.
L’uccello si sedette in cima alla loro piccola TV squadrata e aprì il
becco, parlando con la voce di Silente
«Padfoot sta arrivando.»
Remus quasi lasciò cadere le tazze vuote che aveva in mano.
«Cazzo.»
«Che cosa?» Disse Grant, guardando l’uccello svanire nel nulla.
«Chi è Padfoot?»
«Cazzo.» Disse Remus di nuovo, posando le tazze. Aveva
cominciato a tremare in modo incontrollabile. Aveva freddo
dappertutto. «Non credo di poterlo fare. Non credo di poter...»
Mormorò a sé stesso, coprendosi la bocca.
«Remus?» Grant si alzò e gli toccò la spalla. «Mi stai spaventando.»

459
«Sirius.» Balbettò. «Padfoot è Sirius.»
«Maledizione. L’assassino?»
«Non un assassino, te l’ho detto.»
«Giusto giusto, scusa. Sta venendo qui?!»
«Dopotutto è il suo appartamento.»
«Oh mi sono dimenticato.» Disse Grant categoricamente. Si morse
il labbro. «Dovrei... andare?»
«No!» Remus si aggrappò a Grant, improvvisamente, «No, per
favore, per favore non farlo. Non posso essere solo, non lasciarmi
solo con-»
«Okay okay!» Grant lo calmò, abbracciandolo. «Calmati, va bene?
Non andrò da nessuna parte se non vuoi. Solo... cerca di rimetterti
in sesto.»
«Mi dispiace.» Remus fece un respiro profondo.
Sapeva di comportarsi in modo infantile. Non era il momento di
cadere in pezzi. Aveva avuto anni e anni così.
Se Silente gli stava mandando Sirius, allora era successo qualcosa.
Qualcosa di importante. Adesso era il momento della forza e
dell’azione. Si guardò intorno alla cieca in cerca di qualcosa da fare.
«Questo posto è un casino! Dovrei iniziare a pulire. Non ci vorrà
molto.»
Grant non poteva fare altro che guardare Remus che correva per
l’appartamento come un pollo senza testa, usando ogni
incantesimo di pulizia che riusciva a ricordare, combinato con un
po’ di lavoro manuale effettivo quando faceva confusione con gli
incantesimi. Non riusciva a smettere di muoversi, non sopportava
di stare fermo un attimo, perché poi avrebbe potuto pensare.
Nel giro di un’ora si udì un rumore graffiante alla porta e un latrato
basso e burbero. Remus si bloccò. Un profumo che non sentiva da
molti anni fece crescere qualcosa nel suo subconscio.

460
«Quello era un cane?» Disse Grant nervosamente dalla cucina. «Sai
che odio i cani...»
«È lui.» Remus respirò. Si avvicinò tremante alla porta e l’aprì.
C’era Padfoot: magro, rognoso, con il pelo leggermente ingrigito
in alcuni punti. Ma era lui.
«Avanti.» Disse Remus, con voce roca.
Il cane sbuffò dondolando la testa ed entrò. Remus chiuse la porta
e vi si appoggiò guardando Sirius trasformarsi di nuovo in sé stesso.
Magro, rognoso; ingrigito in alcuni punti. I suoi occhi, quegli occhi
blu scuro che avevano spezzato il cuore di Remus mille volte da
adolescente, erano diventati grigio canna di fucile. Era un sacco di
ossa, sconvolto dappertutto. C’era da aspettarselo.
«Vengo direttamente da Hogwarts.» Lui disse. La sua voce era dura
e roca come lo era stata l’estate scorsa.
«Sì.» Disse Remus, massaggiandosi la nuca. «Silente ha mandato un
messaggio in anticipo.»
Sirius si contrasse, leggermente, e annuì. «È successo qualcosa al
torneo. Harry è stato rapito.»
«Che cosa?! Lui è-»
«È tornato, sta bene. Bene, come ci si può aspettare... Anche
Voldemort è tornato.»
«Che cosa?!»
«È vero. Harry l’ha affrontato.»
«No.» Remus si sentì male.
«L’Ordine si sta riformando. Silente mi ha detto di venire qui,
nascondermi.»
«Giusto.» Remus annuì, ancora assorbendo lo shock.
«Se questo è...» Il viso di Sirius si addolcì; sembrava più giovane,
più simile al vero Sirius. «Se non ti dispiace? Ho solo seguito gli
ordini senza pensare, ma potrei andare da qualche altra parte se...»

461
«No!» Disse Remus molto fermamente, scattando fuori dalla
confusione che lo aveva preso sin da quando era apparso il
patronus di Silente. Mise una mano sulla spalla di Sirius. Oh, era
così magro. «Certo che dovresti restare qui, è casa tua.»
Sirius sembrava così sollevato che Remus voleva tirarlo vicino e
avvolgerlo con le braccia. Ma non lo fece. Guardò Grant, che stava
guardando diffidente dalla porta della cucina.
Sirius seguì il suo sguardo e sussultò.
«Sei qui.» Non era una domanda; solo una dichiarazione di fatto.
Grant, Dio lo ama, fece il suo sorriso più allegro.
«Va tutto bene, amico? Ti dico cosa, sembra tu abbia bisogno di
un po’ di cibo. Farò un salto fuori, vero Remus?»
«Non devi-»
«Penso di sì.» Grant sorrise.
Afferrò il portafoglio dal tavolino mentre usciva. Non baciò
Remus sulla guancia, come faceva di solito, ma gli diede una pacca
sulla spalla e disse. «Sarò di ritorno tra mezz’ora.» Chiuse piano la
porta dietro di sé.
Sirius e Remus rimasero in silenzio per quelli che sembravano
minuti. Sirius aggrottò la fronte, facendo apparire delle rughe
profonde sul suo viso.
«È stato scortese da parte mia. Non volevo essere scortese.» Iniziò
a grattarsi il dorso della mano ansioso, le unghie lunghe e nere per
la sporcizia. Remus sentì uno strattone doloroso nel profondo del
suo stomaco e allungò la mano per fermarlo.
«Che ne dici di una doccia? Poi ti siedi. È tutto a posto.»
Sirius lo guardò. Remus aveva dimenticato quanto fosse più
piccolo.
«Suona bene.» Sirius annuì debolmente.
Remus gli mostrò il bagno, il che era sciocco perché ovviamente
sapeva dov’era il bagno; nulla era cambiato in tredici anni. Mentre
462
Sirius si lavava, Remus andò in camera da letto per trovare dei
vestiti puliti.
Tirò fuori alcune camicie dalla cassettiera, voleva dare a Sirius le
sue cose da indossare non quelle di Grant, ma dopo tutto questo
tempo Remus onestamente non sapeva quale appartenesse a chi.
Optò per un maglione lavorato a maglia oversize, che era
sicuramente il suo. Avrebbe sommerso Sirius, ma sarebbe stato
comodo. Tirando fuori un paio di pantaloni da pigiama scozzesi da
abbinare, li adagiò con cura sul letto.
C’era solo un letto nell’appartamento: c’era sempre stato un solo
letto e loro avevano sempre avuto bisogno di un solo letto. Il
problema di dove mettere Sirius era senza risposta. Remus stava
ancora fissando i vestiti quando sentì l’acqua spegnersi (la caldaia
balbettò e fece rumore un paio di volte, aveva intenzione di
guardarla da anni) e la porta del bagno si aprì.
«Remus?!» Gridò Sirius, una nota di panico nella sua voce.
«Camera da letto.» Rispose Remus.
Sirius entrò, i suoi capelli gocciolavano sul tappeto. Aveva avvolto
il più grande telo da bagno intorno a sé come uno scialle, coprendo
tutto il suo corpo dal collo alle caviglie magre.
Remus distolse lo sguardo, imbarazzato, e indicò i vestiti disposti.
«Qui.» Disse. «Ti lascerò cambiare.»
Fece per andarsene, ma la mano di Sirius scattò fuori e gli afferrò
il braccio. Aveva di nuovo quello sguardo selvaggio negli occhi.
«Non andare.» Disse. «Potresti restare nella stanza?»
«Okay...» Remus annuì accarezzando la mano simile ad un artiglio
di Sirius. L’aveva graffiato di nuovo, era rosso vivo.
Remus si voltò e guardò le tende mentre Sirius si vestiva. I suoi
movimenti suonavano lenti, come un vecchio o un invalido, non
come l’elegante ed energico Sirius Black. La furia bruciava in
Remus.
463
Gli hanno portato via tutto. Pensò ferocemente. Tutto ciò che lo rendeva
quello che era.
Quando si voltò, Sirius stava fissando il letto. Anche Remus
guardò, cercando di vedere attraverso gli occhi di Sirius. Il
copriletto ben fatto; i comodini abbinati; uno con un libro in cima,
l’altro con un pacchetto di sigarette.
«Dormirò sul divano.» Disse Sirius. «Non voglio rovinare niente
tra te e... e... Scusa, il suo nome è sparito.»
«Grant.»
«Grant.» Sirius distolse di nuovo lo sguardo. I suoi occhi non si
fermavano mai a lungo, cercava sempre qualcosa negli angoli della
stanza. «Ho dimenticato molto, credo.»
«Va tutto bene.»
Remus non aveva mai provato un dolore come questo, e Remus
aveva provato dolore per gran parte della sua vita.
«Vieni a sederti. Tazza di tè?»
«Tazza di tè.» Sirius replicò a pappagallo.
Remus annuì lentamente, poi lo condusse in cucina.
«Grazie.» Sirius disse, dopo un po’. «Scusa, io... Continuo a
dimenticare le cose.»
Remus gli toccò il braccio, delicatamente. «Va bene. Vai a sederti.
Sarò lì un minuto, puoi sentirmi dal soggiorno.»
Sirius se ne andò, in silenzio. Remus tirò un sospiro di sollievo;
l’atmosfera era ancora densa di memorie, di ferite e di Azkaban,
ma almeno era sopportabile quando Sirius non era lì.
L’anno scorso, nella baracca, Remus non aveva avuto il tempo di
provare nient’altro che terrore e gioia. E, di solito, aveva passato il
resto del suo tempo cercando di fingere che non fosse successo
niente. Non perché avrebbe voluto, ma perché era l’unica cosa che
poteva fare. Avrebbe dovuto saperlo; avrebbe dovuto sapere che
Sirius chiedeva sempre un confronto.
464
Impiegò molto tempo per il tè, preparandolo in una pentola,
piuttosto che nel bollitore elettrico. Come prendeva il tè Sirius?
Non riusciva a ricordare. Forse non l’aveva mai saputo, era Sirius
che solitamente lo faceva. Alla fine, Remus spense semplicemente
tutto, sistemando un vassoio con cura e attenzione, come se stesse
servendo la regina. Fetta di limone. Piccola brocca di latte. Ciotola
di zollette di zucchero di canna. Non c’erano più biscotti, Grant
aveva mangiato l’ultimo dei digestivi.
Quando tutto fu pronto, non aveva ancora il coraggio di portarlo
da lui. Fu preso dal panico per un momento, prima di sentire il
click della porta che si apriva. Era già passata mezz’ora?
«Tutto bene?!» L’accento sbarazzino e cupo di Grant riempì
l’appartamento, riscaldandolo all’istante. Si comportava come se
non ci fosse niente di straordinario mentre entrava nel soggiorno,
carico di cibo.
Remus lo sentì mentre metteva tutto sul tavolino, scartando cartoni
di riso all’uovo fritto, pollo in agrodolce, chow mein, polpette di
maiale, costolette cinesi, involtini primavera; per tutto il tempo
chiacchierando con Sirius.
«Accidenti, non hai un aspetto migliore dopo una doccia, eh? Hai
ancora quei bei capelli folti. Sono geloso, sarò calvo quando avrò
quarant’anni, immagino. Visto quanto è grigio Remus? Sembra
distinto, lo dico ma non ascolta...»
Fortificato, Remus sollevò il vassoio e lo portò in soggiorno. Sirius
era seduto imperturbabile sul bordo del divano, fissando Grant nel
modo in cui un animale fissa un potenziale predatore.
«Prenderò i piatti...» Disse Grant, passando da parte a Remus
mentre tornava in cucina. Non stabilì il contatto visivo. Remus non
lo biasimava. La situazione non era giusta per nessuno; men che
meno Grant.
Remus provò a sorridere a Sirius, offrendogli il vassoio del tè.
465
«Eccoci qui.» Mormorò.
Sirius guardò il tè, il limone, lo zucchero, poi le sue mani.
«Hai fame?» Remus chiese. «Va tutto bene?»
Sirius annuì. «Bene, grazie. Non dovresti farti tutti questi
problemi.»
«Stupidaggini.»
Grant portò i piatti. Si sedettero intorno al tavolino da caffè, Sirius
sul divano, Remus sulla poltrona e Grant sul pavimento.
Sirius mise il cibo nel piatto e lo raccolse come un uccellino. Non
usò le forchette che avevano messo fuori o le bacchette fornite con
il pasto, usò le mani per mangiare, strappando tutto in piccoli pezzi
e portandoli alla bocca. Remus e Grant lo ignorarono
educatamente, facendo conversazioni leggere.
«Dovrò fare una spesa vera e propria, al ritorno dal lavoro
domani.» Grant disse. «Prendo uno spazzolino da denti, alcune
cose del genere.»
«Posso farlo io.» Disse Remus. Era ansioso di prendersi cura di
Sirius lui stesso; come se avesse portato a casa un randagio di cui
avrebbe dovuto essere responsabile. Guardò Sirius. «I tuoi vestiti e
libri sono in scatole nel garage. Vado a dare un’occhiata domani.»
«Li hai tenuti?» Sirius alzò lo sguardo speranzoso. «Hai tenuto le
mie cose?»
«Ehm. Beh, Mary si è presentata e l’ha fatto per me. Non stavo...
Non sono stato molto bene per un po’. Non sono sicuro in quale
stato si trovino, non ci sono più stato da allora.»
«Non mi aspettavo che tenessi nulla.»
Remus non sapeva cosa dire, quindi alzò le spalle.
Non era stato davvero il caso di voler restare aggrappato alle cose
di Sirius; le aveva semplicemente nascoste così da non doverci
pensare. Adesso era contento, ovviamente, ma non voleva più
credito di quanto gli sarebbe dovuto.
466
Finirono di mangiare e Sirius si asciugò le mani unte sulle gambe
dei pantaloni del pigiama, e Remus cercò di non trasalire. Sirius era
così pignolo riguardo alla pulizia, la disorganizzazione di Remus lo
aveva sempre irritato. Un altro cambiamento.
Grant si alzò per raccogliere i piatti e le posate per lavare i piatti.
Sirius si mise a sedere.
«Posso farlo io, lasciami fare.» Estrasse una bacchetta dalla manica
larga.
«Dove l’hai presa?» Chiese Remus, accigliato.
«L’ho rubata.» Sirius abbassò lo sguardo rigirandolo nella mano.
«Ci è voluto un po’ per abituarmi, ma ora posso gestirlo bene.
Ecco, lasciami...»
«Va tutto bene.» Grant disse. Stava sorridendo, ma il sorriso non
lo si sentiva nella sua voce. «Preferirei farlo normalmente.» Si voltò,
portando la pila di piatti in cucina.
«Muffliato.» Mormorò Sirius.
Remus sbatté le palpebre, sorpreso. Non sentiva quell’incantesimo
da molto tempo e non aveva mai, mai usato qualcosa del genere
con Grant presente. Sembrava sleale e subdolo.
«La connessione della polvere volante funziona?» Chiese Sirius con
urgenza.
«No.» Rispose. «Non mi sono mai ricollegato. In realtà non faccio
molta magia a casa, perché-»
«Sì, a causa del babbano.» Finì Sirius e Remus avrebbe potuto
giurare di aver alzato gli occhi al cielo. «Ha apportato molti
cambiamenti, vedo.» Rivolse alla TV uno sguardo molto acuto.
«È anche casa sua.» Disse Remus sulla difensiva.
«Comunque, non mi interessa. Bene, dovremo ricollegarlo. Se resto
qui. Dovremo essere in grado di comunicare con il resto
dell’Ordine.»
«Il resto del-»
467
«-Hai un gufo?» Sirius si guardò intorno.
«No.» Disse Remus. Si mordicchiò il labbro. «Ho un telefono.» Si
offrì, cercando di alleggerire l’atmosfera.
«Per l’amor di Merlino, Moony!» Sirius abbaiò, la sua voce ruvida
scoppiettava con urgenza. «Cosa hai fatto in tutti questi anni, ti
stavi deprimendo?!»
Remus sussultò, sia per essere stato chiamato Moony, cosa che
nessuno aveva mai fatto da moltissimo tempo, sia per la crudele
accusa.
«Sono sopravvissuto.» Disse, cercando di mantenere la calma.
«Quanto pensi sia facile per me mantenere un lavoro? E non è
come se avessi avuto qualcuno con cui devo tenermi in contatto.»
Sirius non disse niente ma strinse le labbra e si accigliò fissando il
tappeto. Remus sospirò, chiudendo gli occhi.
«Guarda.» Disse gentilmente. «Posso immaginare come ti devi
sentire. So che vuoi fare tutto in una volta, ora sei libero, ma
andiamo piano stasera, okay? Dormi bene la notte e domani
lavoreremo su un piano.»
Sirius annuì addolcito.
Remus si sentiva orgoglioso di sé stesso. Non aveva pianto o
gridato e quello era un bel progresso, almeno per quanto
riguardava Sirius Black. Grant rientrò nella stanza, e Remus sciolse
rapidamente l’incantesimo muffliato.
«Devo attaccare la televisione?» Chiese alla stanza silenziosa.
Remus annuì. Sirius tornò ad accigliarsi.
Le notizie erano arrivate e poi il tempo. Poi un po’ di dramma
ospedaliero americano. C’era un documentario su Fleetwood Mac,
che tutti guardavano vagamente. Nessuno parlò davvero, tranne
Grant ogni tanto.
Remus era in subbuglio, il suo cervello ronzava in overdrive mentre
troppi pensieri e sentimenti contrastanti gli passavano accanto. Era
468
passato così tanto tempo da quando era stato nella stessa stanza
con Sirius, e ora non potevano nemmeno parlare tra loro senza
colpire una barriera incommensurabile, che fosse la guerra o gli
amici perduti o il loro reciproco tradimento. E ora l’ordine si stava
riformando e sembrava che tutti si aspettassero che Remus
entrasse, ancora una volta, senza esitazione. Ma non era il ragazzo
che era stato l’ultima volta. Era vecchio ed era stanco. Aveva altre
responsabilità: aveva Grant.
Verso le dieci Sirius sbadigliò.
«Sì, anch’io.» Commentò Grant sbadigliando in risposta. «Ho
lavoro domani mattina, forse è ora di andare a letto.» Guardò
Remus, ovviamente sperando in una sorta di reazione.
«Sì.» Disse Remus incerto.
Mise le mani sui braccioli della sedia per sollevarsi, irrigidito per
essersi seduto così rigidamente tutta la sera.
«Ehm. Sirius, starai bene qui? Ti prendo un cuscino e un piumone.»
«Non c’è bisogno.» Disse Sirius.
Si stirò di nuovo e si trasformò in Felpato. Grant inspirò
bruscamente per la sorpresa, ma non disse nulla. Il grosso cane
nero si rannicchiò sul divano e chiuse gli occhi.
«Puoi farlo anche tu?» Sussurrò Grant, mezz’ora dopo, una volta
che lui e Remus furono entrambi a letto. «Trasformarti in un lupo
ogni volta che vuoi?»
«No.» Disse Remus. «Lui è un animagus. Ha imparato a farlo. Io
sono lupo mannaro, sono stato morso. Non ho scelta.»
«Sfortuna.» Grant disse. «Intendiamoci, non credo che mi
piacerebbe molto, se potessi.»
«Non fa male, ha ancora la sua mente normale quando è un cane.»
Anche se Remus non era più sicuro di come fosse la “mente
normale” di Sirius, non più. Tutto il resto di lui era in qualche modo
sgualcito e danneggiato.
469
«Stai bene?» Disse Grant, girando la testa per guardare la faccia di
Remus.
«Credo di sì.» Remus disse onestamente. «Ma è strano. Sarà
difficile, credo.»
«Quanto tempo starà qui?»
«Oh. Non lo so. Forse per un po’. Sta parlando di... di un’altra
guerra. Potrei dover aiutare.»
«Remus...»
«Lo so, lo so.» Remus aggrottò la faccia. «Mi dispiace, l’intera
situazione è... è un fottuto incubo, davvero. Ho bisogno di tempo
per pensare.»
«Vorrei poter aiutare.» Grant disse. «Vorrei aver capito.»
«Sei così bravo con Sirius.» Remus si offrì. «Non so cosa dirgli, è
così... non so, pungente. Ho paura di dire qualcosa di sbagliato e
che lui mi morda la testa.»
«Mh beh, ho un po’ di esperienza con quei tipi.» Grant disse, le sue
labbra arricciate. «Comunque, è ovviamente passato per il mulino.
Devi solo essere paziente. Qualcosa del genere. Non puoi
costringerlo a stare meglio, temo.»

Sirius dormì molto a lungo. Molto tempo dopo che Grant era
andato al lavoro e Remus aveva fatto colazione e segnato alcune
carte d’esame. Rimase in cucina ma poteva vedere il divano del
soggiorno attraverso la porta, per ogni evenienza.
Erano quasi le undici e mezzo quando Padfoot si svegliò di scatto
e iniziò ad abbaiare rumorosamente, saltando giù dal divano.
«Shh!» Remus corse in soggiorno ansiosamente. «Sirius sono io! Sei
qui, sei con me!»
Il cane si fermò, inclinò la testa, poi si trasformò di nuovo in Sirius.
I suoi occhi erano spalancati e la mascella ombrosa di stoppia.

470
Sembrava un pazzo. Remus cercò di essere paziente e gentile, come
aveva detto Grant.
«Scusa.» Disse, stabilizzando la voce. «È solo che non sono
ammessi animali domestici qui, e se i vicini ti sentono...»
«Scusa.» Sirius abbassò lo sguardo, imbarazzato. «Penseresti che ci
sarei abituato adesso. Sono fuori da un anno.»
«Va bene.» Remus scosse la testa. «Scusa se ho gridato.»
Le cose rimasero così imbarazzanti per la maggior parte della
giornata. Andarono al garage dopo che Sirius aveva fatto colazione.
La porta impiegò un paio di tentativi per aprirsi e Sirius dovette
rimanere in forma di cane mentre erano fuori dall’appartamento,
così il compito cadde su Remus. Tuttavia, alla fine entrarono e
tutto era come si ricordava. Niente moto, ovviamente, anche se
tutti gli attrezzi erano ancora lì. I vestiti e i libri di Sirius erano
impilati ordinatamente in scatole etichettate, senza nemmeno uno
strato di polvere su di loro.
«Mary deve aver fatto una sorta di incantesimo per la
consevazione.» Commentò Remus.
Sirius annuì vagamente, camminando tra le pile di reliquie come un
antico monaco. Scelse alcune cose da riportare nell’appartamento
o meglio, da far riportare da Remus. Sirius scelse vesti e vestiti da
mago, nessuna delle sue cose babbane, nemmeno la sua vecchia
giacca di pelle, che Remus trovò infilata in una scatola sotto alcuni
dischi. Dovette resistere all’impulso di seppellire la faccia e inalare
il profumo meraviglioso; come se la giacca contenesse più Sirius
che l’uomo in piedi accanto a lui.
Di ritorno all’appartamento Sirius si cambiò subito gli abiti. Remus
poteva capire perché; stava già molto meglio nelle sue cose, avendo
mangiato bene e essendosi lavato. I suoi capelli erano un po’
arruffati e avevano ancora dei nodi nonostante avesse chiaramente
usato mezza bottiglia di shampoo.
471
Dormì di nuovo dopo pranzo. Remus non vedeva come riuscisse,
era sveglio solo da poche ore. Tuttavia, nonostante l’incapacità di
Sirius di restare fermo, si esaurì facilmente. Si rannicchiò di nuovo
sul divano, nel nido di coperte che aveva creato, e Remus si sedette
accanto a lui con la TV molto bassa.
Almeno quando Sirius dormiva era un cane, e quindi era più facile
condividere la stanza con lui.
Quando si svegliò era scontroso. Guardò la TV, poi Remus.
«Non leggi più?»
«Certo che sì.» Remus indicò le librerie ai lati del caminetto che
stavano cedendo sotto il peso. «La TV è solo rumore di fondo.»
Sirius grugnì mettendosi a sedere e sistemandosi i vestiti. Si era
passato le dita tra i capelli ed erano rimaste intrappolati. Fece una
smorfia.
«Vuoi provare a lavarli di nuovo?» Remus chiese. «Se metti un
sacco di balsamo e poi lo pettini, potrebbe funzionare.»
Si ricordò di Grant che gli aveva detto di due fratelli che erano
venuti al centro di custodia cautelare. Erano stati trascurati e non
avevano mai avuto i capelli tagliati o spazzolati, e avevano paura
delle forbici. Grant si ricordò dei brutali tagli di capelli della
Direttrice e promise loro immediatamente che non avrebbe
tagliato i loro capelli. Aveva passato ore a pettinarli delicatamente,
invece, e le sue mani erano rimaste bagnate e fredde per così tanto
tempo che il suo eczema divampò e i suoi palmi rimasero ruvidi e
screpolati per settimane.
Sirius sembrava apprezzare il suggerimento, così Remus andò a
verso il bagno. Sirius lo seguì. Non sembrava affatto voler essere
lasciato solo, anche se non voleva parlare.
Remus frugò nell’armadietto dei medicinali per trovare un buon
pettine forte e delle forbici, per ogni evenienza. Li mise sul bordo
della vasca da bagno e fece un passo indietro.
472
«Ehm... Devo lasciarti fare?» Chiese, mentre l’acqua del bagno
fumava dolcemente.
Sirius si massaggiò il braccio, guardandosi intorno. «No, penso che
preferirei... Se non ti dispiace?»
«Qualunque cosa preferisci.» Disse Remus.
Lascia che sia lui a fare da guida. Aveva suggerito Grant. Segui la corrente.
Pensò di voltarsi mentre Sirius si spogliava ma sembrava
ridondante se fosse rimasto nella stanza e comunque Sirius non
aveva scrupoli a spogliarsi di fronte a lui. Non c’era niente di
sensuale in questo; lo faceva nello stesso modo in cui ora mangiava
con le mani o si puliva la bocca con la manica o si raggomitolava
sul divano; lo faceva perché aveva dimenticato come comportarsi
con le altre persone.
Era così magro, così fragile, i suoi gomiti sporgevano come coltelli
e le sue costole cave si muovevano sotto la sua pelle bianca come
la carta. I suoi polsi un tempo caldi e sottili, che Remus aveva
adorato, ora erano così stretti che sembrava che si spezzassero
mentre si immergeva nella vasca.
Remus finse di mettere in ordine il bagno e iniziò a piegare la
flanella che pendeva dal lato del lavandino, raddrizzando gli
asciugamani appesi al termosifone. Era imbarazzato, non voleva
fissarlo. Anche se, ad essere onesti, Sirius probabilmente non se ne
sarebbe accorto comunque.
Alla fine Remus si sedette sul coperchio del water chiuso,
incrociando le gambe nel tentativo di sembrare indifferente e
perché il bagno era troppo piccolo per il suo fastidioso corpo
allampanato.
Sirius si appoggiò di nuovo nell’acqua calda, facendo scivolare
delicatamente piccole onde lente contro i lati di plastica della vasca.
Chiuse gli occhi e inclinò la testa all’indietro nell’acqua, esponendo
la gola con il pomo d’Adamo che sporgeva.
473
Remus dovette ricordarsi di chiudere la bocca quando Sirius
riemerse, aprendo gli occhi e spostando i suoi capelli all’indietro.
Adesso era bagnato, il grigio era svanito e all’improvviso era
diventato più giovane, più riconoscibile. Iniziò a insaponarsi i
capelli con lo shampoo, mettendosi a sedere sporgendosi in avanti.
Remus guardò le sue dita bianche e ossute artigliare attraverso la
schiuma, e ricordò quanto fosse aggraziato Sirius da giovane, come
ogni movimento fosse perfettamente ponderato, come trattava il
proprio corpo con tanta tenerezza.
Il vapore dell’acqua calda punse gli occhi di Remus e dovette
sbattere le palpebre per scacciare le lacrime. Sirius sciacquò lo
shampoo, poi iniziò a usare il balsamo, usandone un sacco, Remus
avrebbe dovuto comprarne dell’altro.
«Dovremmo fare un elenco.» Disse Sirius bruscamente.
«Che cosa?» Remus aggrottò la fronte.
«Una lista.» Disse Sirius, raccogliendo il pettine. «Dovremmo
crearne una. Persone con cui entrare in contatto, per Silente.»
«Per Silente.» Ripeté Remus. All’improvviso si sentì molto stanco.
«Sì, ha detto di mettersi in contatto con la vecchia folla. Solo che
la mia memoria è sparita, quindi dovrai aiutarmi. I nomi, sai.» Si
passò il pettine tra i nodi, con forza.
«Vuoi davvero tornare subito in guerra, non è vero?» Disse Remus.
Sirius si voltò e gli diede uno sguardo incredulo, e con un’orribile
sensazione di sprofondamento Remus realizzò che nella mente di
Sirius la guerra non era mai finita veramente.
«Guarda.» Cercò di spiegare Remus. «Non è che non credo nella
causa, è solo... Ricordo come è andata l’ultima volta.»
«Come se non lo facessi anche io!» Sirius sibilò strattonando il
pettine tra i capelli. «Non vado in vacanza da dodici anni!»
«No, lo so, ma...» Remus desiderò che smettesse di dirlo in quel
modo.
474
Dodici anni. Quale perdono potrebbe mai esserci, per questo?
«È tutto ciò che possiamo fare.» Sirius disse ferocemente. «È
l’unica cosa che conta.»
Sollevò di nuovo il pettine, come se stesse per pugnalarsi con esso,
piuttosto che pulirsi. Remus non poteva sopportarlo.
«Smettila.» Disse alzandosi. «Strapperai tutti i tuoi maledetti capelli,
dai. Lasciami fare.»
Arrotolò un asciugamano e lo mise sul pavimento su cui
inginocchiarsi, afferrando il pettine dalla mano di Sirius. Sirius lo
guardò con diffidenza per un momento e Remus realizzò che non
erano ancora stati così vicini, si erano abbracciati nella Capanna un
anno prima, ma quella era stata pura adrenalina. Non era stato
intimo. Questo lo era.
«Posso?» Chiese Remus, addolcendo la voce.
Sirius annuì lentamente, poi girò la testa, così che Remus potesse
raggiungerlo.
Chinandosi non troppo, Remus iniziò a lavorare, facendo scorrere
con cautela le dita attraverso le lucide ciocche nere, facendo
scorrere delicatamente il pettine in sezioni dall’alto verso il basso.
Lentamente, i nodi iniziarono ad allentarsi, lasciando il posto a
quella vecchia consistenza setosa familiare.
Era un lavoro difficile e ci voleva molta pazienza e il resto della
bottiglia di balsamo, ma Remus finalmente si sentì come se stesse
aiutando; aveva il controllo e stava facendo qualcosa di positivo.
Sirius era rimasto silenzioso e immobile per tutto il tempo;
inizialmente teso, ma gradualmente si iniziò a rilassare a poco a
poco. Remus poteva praticamente vedere i suoi tendini allentarsi.
Una volta che ebbe finito, Remus si appoggiò allo schienale per
esaminare il suo lavoro, i muscoli della schiena gli dolevano come
se fossero in fiamme, ma ne era valsa la pena. Si alzò, tremante,

475
una mano sul lavandino. Sirius alzò le mani, le mosse cautamente
sopra la testa, le dita che sfioravano la superficie liscia.
«Grazie.»
«Quando vuoi.» Remus sorrise, sedendosi sul sedile del gabinetto.
Sirius si sciacquò i capelli ancora un paio di volte, poi scese e si
asciugò, vestendosi di nuovo.
Remus si aspettava che si guardasse allo specchio, ma non lo fece,
lo evitò di proposito, tenendo gli occhi bassi.
Tornato in soggiorno, Remus preparò loro del tè e del formaggio
su pane tostato, perché voleva che Sirius mangiasse il più spesso
possibile. Si aspettava che Sirius si addormentasse di nuovo ma non
lo fece. Prese un foglio dalla pila di esami di Remus e lo capovolse,
prendendo anche una biro.
«Okay.» Disse. «Moody, ovviamente, in cima alla lista. Dopo che si
sarà ripreso ovviamente, aspetta di sentire cosa gli è successo a
Hogwarts! Poi i Weasley e Mary...»
«No, non Mary.» Disse Remus. «Lei non... Si è sistemata, ha figli.
E i Weasley hanno sette figli, Sirius, non puoi chiederlo alle
persone...»
«Non ne ho bisogno.» Disse Sirius bruscamente. «Faranno ciò che
è giusto.»
«Non riesco a vederla in questo modo.» Remus disse. «Tutto quello
che posso vedere è il costo di un’altra guerra...»
«Non abbiamo scelta!»
«Lo so, lo so. Voglio solo che pensiamo, prima di-»
«Cosa ti è successo Remus?! Questo non è da te. Dovresti essere
un Grifondoro!»
Ciò colpì un nervo scoperto. Come osa!?
«Mi sono successe un bel po’ di cose, in realtà.» Disse Remus acido.
«Ho perso tutti quelli a cui tenevo nell’ultima guerra, quindi

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perdonami se non sono entusiasta di marciare di nuovo dritto in
battaglia. Non ho più ventun’anni.»
Sirius scosse la testa, ancora incapace di comprendere. «Lo
dobbiamo a loro! A Lily e James!»
«Non gli devo niente!» Remus gridò la sua faccia ardente di rabbia.
«Forse tu ti senti come se lo dovessi a loro, “custode segreto”, ma
se ricordi non sono stato fottutamente consultato su quello!»
Non sapeva perché lo diceva; tutto era saltato fuori prima che
potesse fermarsi. Non si era reso conto di quanto fosse veramente
arrabbiato fino a quel momento. Chiaramente nemmeno Sirius lo
aveva fatto.
«Moony-»
«Non osare chiamarmi “Moony”! Non comportarti come se
fossimo ancora... Come se nulla fosse cambiato! Come se tutto
andasse bene, e farò tutto quello che dici!»
Si alzò, aveva bisogno di uscire, aveva bisogno di una pausa. Girò
sui tacchi, dirigendosi verso la porta.
«No, Remus. Per favore!» Sirius gridò, la sua voce così tesa e
strangolata, spaventò Remus. Si voltò. Sirius lo fissò dal divano,
così piccolo e con gli occhi spalancati. «Per favore, non lasciarmi
solo.»
Remus cedette, la sua rabbia svanì nel nulla. Tornò alla sua
poltrona e si sedette di nuovo. Strinse le labbra. Si strofinò gli
occhi.
«Non lo farò.» Disse stancamente. «Non vado da nessuna parte.»

477
Estate 1995; Grant
A long time ago
I watched him struggle with the sea.
I knew that he was drowning,
And I brought him into me
Now today
Come morning light
He sails away
After one last night
I let him go.

Signor Chapman,
Siamo molto lieti di estendere la seguente offerta di lavoro a voi per conto del
Consiglio comunale di Brighton & Hove:
Assistente sociale - Assistenza per l’infanzia e la gioventù
Si prega di consultare l’opuscolo allegato per i dettagli sul salario e l’orario di
lavoro. Hai trenta giorni lavorativi per rispondere a questa offerta, tramite
posta o telefono.
Restiamo in attesa della vostra risposta.
A.P. verde
Responsabile dei servizi sociali, Brighton & Hove.

Grant lesse la lettera tre volte, giusto per essere sicuro.


Beh. Dovrebbe davvero essere felice. Entusiasta. Questa era stata
una notizia straordinaria. Notizia da celebrare. Comunque, era una
via d’uscita dal caos in cui si trovava al momento.
Scosse la testa, sentendosi malissimo per aver pensato che la vita
di Remus fosse un “casino”. Anche se forse un po’ era vero.

478
Era andato al colloquio qualche settimana prima dicendo a Remus
che avrebbe lavorato fino a tardi. Non che volesse nascondere
qualcosa a Remus era più come se semplicemente non volesse
sfidare le cose. Grant non era una persona molto fortunata, in
generale; cose del genere non gli erano mai, mai successe.
Grant non credeva in Dio o negli angeli custodi o nel Buddha o
nel Brahman, o in qualcosa di diverso dalla sua stessa forza di
volontà, ma qualcosa in questa offerta di lavoro sapeva di
intervento divino. Questo era il lavoro dei suoi sogni, dopotutto.
Forse questo era il segno che stava aspettando, come se i vecchi ex
fidanzati di ritorno dalla prigione non fossero abbastanza di un
presagio. Stava giocando con l’idea di trasferirsi da anni. Grant
amava Londra; sarebbe sempre stata nel suo sangue, ma adesso
avevano entrambi i trentacinque anni e forse era ora di cambiare.
Voleva portare Remus in campagna, all’aria aperta, al mare e
all’aperto.
Un nuovo inizio, lontano dal miserabile piccolo appartamento.
Quindi quando si era liberata quella posizione e il manager di Grant
gliene aveva parlato, aveva colto al volo l’occasione.
Ovviamente era tutto prima che Sirius tornasse.
Grant rilesse di nuovo la lettera, dall’alto. Fissò il suo nome, nel
testo ufficiale stampato in bianco e nero. Una lettera con il mio nome
sopra, e non è nemmeno una citazione in tribunale. Scherzò tra sé. Avrebbe
voluto poter mostrarla a suo nonno testa di cazzo. Mostragli
quanto possono valere i delinquenti ragazzini quando ci pensano.
Era orgoglioso di sé stesso, e non importa quale fosse la situazione
in quel momento, sapeva che anche Remus sarebbe stato
orgoglioso di lui. Avrebbe voluto poterglielo dire subito, ma
Remus era fuori e Grant si era nascosto da Sirius nella camera da
letto.

479
Grant avrebbe dovuto tenerlo d’occhio, aveva promesso, ma non
appena Remus era uscito, Sirius aveva detto qualcosa di brutto sul
non aver bisogno di una “bambinaia” (dannazione, quanto era
elegante?!) e si era trasformato di nuovo in un cane.
Era così dolorosamente ovvio che Black odiasse il coraggio di
Grant, quindi nascondersi in camera da letto sembrava la soluzione
migliore. Allora avrebbe dovuto aspettare che Remus tornasse a
casa per dare la notizia. Sperava che non sarebbe mancato ancora
molto ma non ne aveva idea, davvero.
Remus era andato a una specie di riunione e non aveva fornito a
Grant alcun dettaglio. Ne aveva parlato con Sirius, alla fine.
Mormoravano insieme in soggiorno, pensando che Grant non se
ne sarebbe accorto. Il tono dei loro mormorii oscillava
selvaggiamente avanti e indietro: un momento distaccato e
arrabbiato, gli altri pieni di scuse sommesse e rassicuranti. Il loro
linguaggio del corpo era lo stesso; Grant aveva imparato
rapidamente che le cose importanti tra Sirius e Remus erano cose
che nessuno dei due aveva detto ad alta voce. Era tutto negli
sguardi, nei gesti, nelle teste inclinate e nelle sopracciglia alzate.
Impossibile per un estraneo tenere il passo, e Grant si sentiva un
estraneo. Non aveva mai saputo che due persone potessero essere
contemporaneamente così arrabbiate l’una con l’altra e così tanto
innamorate.
Ed era amore. Senza dubbio.
Grant ha avuto una sensazione di malessere allo stomaco. Lo
ignorava da giorni. Remus era stato diverso per un po’, ma fino a
quando quel dannato cane nero non si era presentato Grant aveva
pensato che ci potesse essere speranza di guarigione. Un po’ più di
tempo, un po’ di spazio, una certa distanza da tutta quell’oscurità.
Grant avrebbe tirato indietro Remus dal bordo; l’aveva già fatto,
poteva farlo di nuovo. Ma ora sembrava impossibile, Remus non
480
voleva che le cose tornassero com’erano. Non l’aveva detto, forse
non lo sapeva, ma era molto ovvio per Grant.
Okay, Grant sapeva di non essere la lampadina più brillante nella
scatola, non era così intelligente come Remus comunque.
Probabilmente non così intelligente come Sirius. Non lo aveva mai
infastidito molto, perché dopotutto non poteva essere nessuno se
non sé stesso e aveva molto altro da fare per lui. Aveva lavorato
sodo e si era preoccupato per le persone, e le persone si
preoccupavano per lui, e quelle cose erano gli ingredienti per una
vita molto felice, secondo l’opinione di Grant.
Quindi, non era un genio, ma sapeva alcune cose. Gli piaceva
pensare che almeno sapesse quando era il momento di fare
un’uscita graziosa.
Grant amava molto Remus. Probabilmente l’aveva amato fin dal
primo giorno, vent’anni prima, quando l’adolescente allampanato,
esausto e ombroso era entrato a capofitto nel dormitorio di St
Edmund’s. Era così silenzioso e così chiuso, anche se c’era
chiaramente un universo dentro di lui. Remus non era mai stato la
stessa persona due volte; era esausto e stanco del mondo un
momento, ingenuo e arrossiva quello successivo. Stava ribollendo
di rabbia e amore allo stesso tempo, e la maggior parte delle volte
lasciava che l’amore vincesse.
A Grant piaceva pensare di aver avuto un po’ di merito in questo.
Soprattutto negli ultimi anni, Grant aveva lavorato duramente per
mantenere al sicuro le parti più morbide di Remus. Lui ce l’aveva
fatta; aveva fatto un buon lavoro. Si era preso cura di lui, finché
Remus non ne aveva più avuto bisogno. Forse era ora di lasciar
andare.
Non voleva ancora restituirlo come un libro preso in prestito.
Grant aveva detto addio a molte persone nel corso della sua breve
ma colorata vita e nessuno di loro aveva significato niente, fino a
481
Remus. Grant sapeva quanto fosse patetico. Quasi trentasei anni e
solo una vera relazione, solo una vera amicizia.
Qualunque cosa fosse accaduta sarebbero rimasti amici, su questo
non c’erano dubbi, ma Grant sapeva che doveva essere pratico e
doveva badare a sé stesso, per una volta.
Remus era sempre appartenuto a un altro mondo; questo era in
parte ciò che lo rendeva così attraente. Era giunto il momento per
Remus di tornare dove apparteneva, e sebbene Grant sapesse che
per un po’ la sua assenza gli avrebbe fatto male, era assolutamente
necessario.
Gli ricordava quella canzone di Suzanne Vega, Grant non era mai
uno che leggeva troppo nei testi, non come Remus, non aveva
un’anima poetica. Quando era uscito l’album Solitude Standing però
era stato trasmesso da tutte le radio e a Grant piaceva molto: aveva
sempre voluto comprare l’album, ma non ci era mai riuscito. Aveva
una voce inquietante e questa melodia in particolare era spettrale e
strana. Poi Remus gli aveva detto di cosa si trattava e lui lo odiava.
Di solito non gli piacevano le fiabe, avendo riconosciuto la sua
sessualità all’età di sei anni l’idea di coraggiosi cavalieri che
salvavano damigelle in difficoltà non lo aveva mai ispirato molto.
Ma qualcosa in Calipso l’aveva davvero colpito.
Sapeva di non essere una sirena, seduto sugli scogli a muovere le
tette ai marinai di passaggio, ma conosceva Remus. Conosceva
Remus alla perfezione. Aveva visto il cambiamento in lui da
quando Sirius era tornato.
All’inizio Remus si era aggrappato a Grant come suo protettore, il
che aveva senso; probabilmente c’era da aspettarsi un po’ di
regressione e Grant aveva sempre fatto del suo meglio per essere
un terreno solido per Remus. Ma dopo che lo stress dei primi
giorni era passato Remus e Sirius si erano entrambi rilassati un po’
e tutto era diverso. Così diverso che era stato scioccante.
482
Grant non sapeva davvero come fosse la loro relazione quando
erano giovani, ma ora ne aveva intravisto un pezzetto. Il modo in
cui Remus fissava Sirius, come se fosse la creatura più meravigliosa
sulla terra. Il calore nei suoi occhi, il modo in cui la sua lingua
giocava all’angolo della bocca, come se stesse sognando ad occhi
aperti qualcosa di completamente sporco. Remus non aveva mai
guardato Grant in quel modo, non proprio.
Sirius si accendeva, quando Remus gli parlava.
Sì, ovviamente erano ancora innamorati, e non era lo stesso tipo di
amore che avevano Grant e Remus. Non sapeva se fosse meglio o
peggio ma poteva praticamente sentire il conflitto che stava
facendo a pezzi Remus. Non voleva fare a pezzi Remus; non
l’aveva mai voluto. Voleva ancora tenerlo al sicuro.
E c’era Sirius in persona: primordiale e velenoso, sempre in
agguato come un ragno, lanciando pugnali ogni volta che Grant
entrava nella stanza. Aveva reso i suoi sentimenti perfettamente
chiari, e questo aveva reso Grant indignato, gli aveva fatto
desiderare di lottare più duramente per mantenere Remus. Ma non
dipendeva più da Grant.
Remus stava andando da una parte in cui Grant non poteva
seguirlo. Erano arrivati a un bivio ed era tutto molto chiaro. Forse
la lettera era davvero un presagio.
Aveva evocato l’immagine con cui stava giocando di lui e Remus,
in una casa in riva al mare, che leggevano libri e facevano colazione
a letto e andavano a fare passeggiate in città. Invecchiare, fare
nuove amicizie. Se avessero avuto una casa abbastanza grande,
avrebbero potuto iniziare a fare affidamento; Grant era interessato
a farlo da anni, voleva prendersi cura dei bambini che nessun altro
voleva e se voleva diventare un assistente sociale, sarebbe stato un
candidato perfetto.

483
Lasciò che la fantasia lo travolgesse un’ultima volta, e poi iniziò a
smantellarla. In fondo Grant sapeva che Remus non avrebbe mai
lasciato Londra comunque, e Remus non avrebbe mai voluto
allevare i bambini, avrebbe avuto troppa paura di ferirli con la luna
piena. Quel futuro era sempre stato un pio desiderio; si trattava più
di Grant che di Remus.
Era ora di smetterla di preoccuparsi per Remus e di ciò di cui
Remus aveva bisogno. Quella non era più sua responsabilità. Forse
ci sarebbe stato qualcun altro per Grant; lo sperava, non avrebbe
mai smesso di cercare. Forse qualcuno avrebbe voluto tenerlo al
sicuro, tanto per cambiare. In mare sono successe cose strane.
La decisione era stata presa. Grant scrisse una risposta formale,
accettando l’offerta di lavoro. L’avrebbe inviata mentre usciva.
Iniziò a fare i bagagli in silenzio, sperando che Remus non sarebbe
tornato a casa finché non avesse finito. C’era così tanto da fare, ma
allo stesso tempo non molto.
Grant si sorprese della facilità con cui il piano si concretizzò. Aveva
il suo conto in banca e non aveva alcuna partecipazione
nell’appartamento: poteva restare al pub di sua zia giù a Hove
finché non avrebbe trovato un posto dove vivere. Aveva persino
degli amici a Brighton, da quando viveva lì da bambino. Facile come
bere un bicchier d’acqua.
Quindi, una volta finite le valigie, aveva solo bisogno di dire addio.
Sperava di poterlo dire nel modo giusto, senza sembrare amaro o
autocommiserante. Sperava che Remus avrebbe capito che Grant
sarebbe stato sempre lì se avesse avuto bisogno di lui; lui sarebbe
arrivato di corsa.
Allo stesso tempo sperava che Remus non avesse bisogno di lui.
Sperava di lasciarlo in buone mani.
Finito di fare le valigie, Grant si sedette sul letto. Poteva sentire la
TV nell’altra stanza, un po’ troppo alta. Sirius la lasciava accesa
484
tutta la notte, a volte e questo svegliava Grant. Ma se fosse andato
a spegnerla quell’orrendo cane nero si sarebbe svegliato e avrebbe
iniziato a ringhiargli contro nel buio. Probabilmente una cosa
traumatica; Grant non incolpava Sirius, ma desiderava che non
dovesse manifestarsi in quel modo.
Poteva davvero fidarsi di un uomo così per prendersi cura di
qualcuno? Il cuore di Grant fece male mentre immaginava Remus,
Remus dolce, serio e sensibile, essere trattato come un sacco da
boxe mentale. Avrebbe semplicemente sopportato, poteva dire
Grant; Remus si sentiva così in colpa per la prigionia di Sirius che
era disposto ad accettare ogni sorta di abuso per questo. Ma non
era giusto.
Grant si alzò. Doveva fare un’altra cosa, prima di poter partire.
Doveva parlare con Sirius.

485
Estate 1995; Sirius
Well, my friends are gone and my hair is grey
I ache in the places where I used to play
And I’m crazy for love.
But I’m not coming on.
I’m just paying my rent every day in the Tower of Song.

Sirius sedeva rannicchiato sul divano, le braccia intorno alle gambe.


Stava guardando la televisione. Era una bizzarra invenzione
babbana, un po’ come i cinema in cui era stato in gioventù solo più
piccola... Oh no, oh no... Riportò alla mente un ricordo di James.
Quell’estate erano andati a vedere lo stesso film ogni giorno e
avevano incontrato quelle ragazze babbane. Era estate? O Natale?
Potrebbe aver piovuto e qualcuno gli ha dato un pugno. James o
Remus? Sicuramente Remus; James non era mai stato violento,
anche quando Sirius se lo meritava davvero.
Sirius chiuse gli occhi per soffocare le voci fredde e crudeli nella
sua testa che volevano trascinarlo indietro nel tempo, ai momenti
peggiori. Pensava di poter sentire il sapore del sangue, ma quando
riaprì gli occhi tutto ciò che vide fu il soggiorno e la stupida scatola
dei babbani parlante.
Era il suo soggiorno. O lo era stato, una volta. Sembrava diverso e
Sirius aveva difficoltà a capire se fosse diverso o se stava solo
ricordando male. Le pareti non erano state ridipinte, il caminetto
era lì. Non puzzava più di cenere di sigaretta, ma c’era ancora un
segno di bruciatura sul tappeto sotto il davanzale della finestra,
c’era già stato prima? O era successo negli anni intermedi?
La TV era stata il peggior cambiamento; il più evidente. Sirius aveva
un forte ricordo di aver discusso contro l’averne una, molto tempo

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fa. Rumorose, brutte scatole luminose babbane. Pensava ancora
che fosse orribile, ma in qualche modo non riusciva a smettere di
guardarla. Lo distraeva. Era una pausa dal pensiero, dal ricordare.
Aveva passato troppo della sua vita a ricordare. Capovolgere
eventi, errori e conversazioni capite a metà. Setacciando tutto
ancora e ancora, finché tutto nella sua testa fu scosso in minuscoli
frammenti, nessuna struttura o narrativa. Non voleva più sedersi a
pensare. Voleva recitare. Voleva fare. E nessuno glielo avrebbe
permesso.
Sbuffò cambiando posizione, rafforzando la presa sul bracciolo del
divano. Remus era stato invitato a una riunione e a Sirius era stato
detto di restare a casa con il babbano. Sarebbe andato bene se fosse
diventato Padfoot, sapeva che sarebbe stato così, ma nessuno lo
avrebbe ascoltato. Lo stavano trattando come una mina vagante,
come qualcuno che aveva bisogno di essere contenuto. Come se
non avesse passato un anno intero da solo, badando a sé stesso,
senza l’aiuto di nessuno.
Non sarebbe stato trattato come un bambino. Non glielo avrebbe
permesso. Non si era guadagnato il suo posto?
Ma Moony- Remus aveva lanciato a Sirius quello sguardo
addolorato e supplichevole, e questo lo aveva zittito. Odiava
mettere Remus a disagio, lo faceva preoccupare che non sarebbe
mai migliorato. Sapeva di non avere ragione nella testa, sapeva che
stava facendo le cose in modo sbagliato e che non era sé stesso, ma
Sirius aveva sperato che un anno sarebbe stato sufficiente. Era
fuori adesso, era libero, tutti quelli che contavano finalmente
sapevano la verità. Avrebbe dovuto fare la differenza. Avrebbe
dovuto essere di nuovo normale, ormai.
Remus non stava aiutando, pensò Sirius cupamente. Come poteva
mettere la testa dritta, quando tutto era così strano? Quando
Remus, il suo unico amico rimasto, riusciva a malapena a guardarlo
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senza trasalire, riusciva a malapena a parlargli senza fermarsi,
distogliendo lo sguardo. E il fidanzato. Sirius si chiese quanto
velocemente fosse successo, quanto presto il babbano fosse
entrato infettando Remus con la sua mondanità; aveva reso il suo
Moony tranquillo e cauto. Non meglio di un babbano stesso.
Era come se una luce in Remus si fosse attenuata. Sirius cercava i
segni del vecchio Moony, ma non c’era traccia di quell’energia
malvagia e maliziosa, la forza rovente di Remus Lupin quando
aveva un piano eccitante. Sirius aveva impiegato anni per
convincere Remus ad andare alla riunione. Alla fine, aveva
l’impressione che Remus ci fosse andato solo come favore; per
mantenerlo calmo. Andava bene, fintanto che andava. E quando
sarebbe tornato avrebbe detto tutto a Sirius, Sirius glielo avrebbe
fatto fare. Era il minimo che Remus potesse fare.
Remus sarebbe tornato. Avrebbe capito che non c’era altro modo.
Avrebbe voluto farlo per Harry.
Sirius non poté fare a meno di sorridere tra sé, pensando a Harry.
Quel ragazzo incredibile, brillante e coraggioso. James sarebbe così
orgoglioso...
James. James mi dispiace così tanto...
Rabbrividì, chiuse di nuovo gli occhi, preparandosi al freddo.
Voleva così tanto Remus. Non voleva essere solo, non di nuovo,
per favore...
«Tutto bene?» Grant vagò per la stanza come per ricordare a Sirius
che non era affatto solo.
Grant gli sorrise allegramente mentre entrava. Sirius lo guardò con
diffidenza. Sempre maledettamente sorridente. Strano.
«Buon pomeriggio.» Rispose Sirius accentuando deliberatamente la
sua annunciazione per contrastare l’orribile accento massacrato di
Grant.

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Sirius non aveva passato molto tempo con i babbani, anche prima
di Azkaban, e li trovava nel migliore dei casi confusi; come una
specie aliena. E odiava l’allegria di Grant con ogni centimetro del
suo essere.
«Ti senti meglio?»
Sirius grugnì senza impegno. Non pensava di dover alcun tipo di
spiegazione a quest’uomo. Lo tollerava, per il bene di Remus, ma
era così.
«Buono a sapersi.» Annuì Grant con le fossette sulle guance.
Sirius pensava fosse incredibilmente stupido.
Togli quel sorriso sciocco dalla tua faccia! Abbaiò lo spettro di Walpurga
Black.
Sirius ricordava Grant da adolescente e non era nemmeno stato
così bello allora. Quindici anni non avevano migliorato la sua
attaccatura dei capelli o la sua pelle. Sirius non aveva idea di cosa
stesse ancora facendo Remus con Grant e se era stupido oltre che
semplice, allora Sirius era ancora più sconcertato dal motivo per
cui Moony lo avrebbe voluto intorno.
Il Remus che lui conosceva, il suo Remus, non avrebbe mai
sopportato uno stupido.
«Quando torna.» Stava dicendo Grant ora, ancora allegro, ancora
sorridente, mostrando i denti storti e una cicatrice bianca all’angolo
della bocca. «Me ne vado.»
«Oh va bene.» Sirius si strinse nelle spalle. «...Abbiamo bisogno di
latte.»
«No.» Ridacchiò Grant scuotendo leggermente la testa. Si sedette
sul tavolino da caffè proprio di fronte a Sirius, così vicino che le
loro ginocchia quasi si toccavano, e lo guardò negli occhi. «Non
sto andando fuori per i negozi, voglio dire che me ne vado.»
«Che cosa?» Sirius aggrottò la fronte. «Perché? Te l’ha detto
Remus? Perché non è stata una mia idea.»
489
«È una mia idea.» Disse Grant senza più sorridere.
Aveva gli occhi stanchi e Sirius si rese conto che sebbene Grant
stesse sorridendo, non era felice. Era molto, molto triste. Sirius non
sapeva cosa fare al riguardo; aveva i suoi problemi.
Grant continuò a parlare. «L’ho capito tempo fa. Quando è tornato
dalla scuola, tutti si sono scossi per averti rivisto. Penso di averlo
saputo da allora. Avrei dovuto farlo già prima, ma non potevo
lasciarlo solo...»
«Guarda, non so cosa pensi-»
«Mi stavo sempre occupando di lui solo per te.» Disse Grant
alzando una mano per tenere Sirius tranquillo. «Non sono mai stato
così per lui. Sei sempre stato tu, in tutti questi anni.»
«Eppure eccoti qui.» Mormorò Sirius.
Sollevò le ginocchia, chiudendosi verso l’interno. Voleva che Grant
se ne andasse, se stava per partire. Va al diavolo. Gli sarebbe piaciuto
trasformarsi in Padfoot, ma sapeva che non avrebbe aiutato le cose
e aveva promesso a Remus di non farlo.
«Vedi, ora questo è ciò di cui volevo parlare.» Disse Grant,
aggrottando le sopracciglia. «Se vado, allora devi prenderti cura di
lui, okay? Non biasimarlo per quello che ti è successo negli ultimi
dieci anni.»
«Dodici anni.» Lo corresse Sirius.
«Non importa.» Grant alzò le spalle. «Non è stata una vita facile
per nessuno di noi bello, non sei speciale. Remus lo è.» La voce di
Grant fu improvvisamente dura e pericolosa, quasi aggressiva. «È
speciale per me, e se non sei abbastanza uomo da essere gentile
con lui, allora non lo meriti. Ti stava aspettando. Non ha mai
smesso di aspettare. Non lo dice perché Remus non dice cose del
genere. Ma lo sente. Sente tutto, devi saperlo.»
Sirius non rispose.

490
«Ti ama.» Grant disse, con fermezza. «Devi ricambiare il suo
amore.»
«Io lo am-»
«-No.» Grant stava scuotendo di nuovo la testa. «No, non così.
Devi essere qui; una persona reale, in carne e ossa. Non un cane.
Non un fantasma.»
Sirius non poteva più incontrare gli occhi di Grant, chinò la testa e
annuì. «Lo farò.»
«Bene.» Grant sorrise di nuovo, il suo viso gentile ancora una volta.
«Ora... Quando diventa lunatico, e diventerà lunatico, non lasciarlo
rattristare e non lasciarlo bere. Vorrà farlo dopo la luna piena, ma
gli ci vuole solo più tempo per riprendersi se lo fa.»
«So di cosa ha bisogno dopo la luna piena!» Sirius ringhiò, offeso.
«Lo conosco da quando avevo undici anni, chi credi di essere,
dicendomi-»
«Sono io quello che è stato qui.» Grant tornò poco dopo. «Non
credo che ti rendi conto di quanto sia stato difficile. Non credo che
tu... Guarda; l’hai avuto al suo meglio, okay? Io ho avuto il suo
peggio.» Sorrise un po’. «E sono stato contento di aiutarlo. Ho una
parte di lui. Tu hai l’altra. Possiamo essere d’accordo?»
Sirius lo fissò ancora un po’.
Grant tese una mano per stringergliela e Sirius la prese.
«Okay.» Lui disse.
«Bene.» Grant lo lasciò andare e si alzò. Andò in camera da letto e
tornò con una grande valigia, che mise molto volutamente vicino
alla porta. «Dovrò lasciare alcuni libri e altre cose qui per un po’.»
Disse. «Ma tornerò a prenderli quando mi sarò sistemato.
Suppongo che non hai bisogno di una chiave, eh? Riesci a farlo nel
modo magico?»
Sirius annuì ammutolito.

491
Non poteva credere che stesse accadendo. Voleva che il suo cuore
volasse in alto, voleva sentirsi finalmente soddisfatto, ma non
poteva fare a meno di preoccuparsi. Grant era stato un fastidio, ma
era stato anche un tampone. Remus lo biasimerebbe per questo?
Avrebbe convinto Grant a restare, o peggio ancora, avrebbe
lasciato Sirius qui solo con l’appartamento e la guerra e...
Ci fu un tranquillo rumore strascicato fuori dalla porta d’ingresso,
e le orecchie di Sirius si drizzarono. Remus era tornato! Il suo cuore
iniziò a battere contro la cassa toracica, si leccò le labbra e si
raddrizzò concentrandosi sulla porta che si apriva.
Remus entrò, la testa china, un po’ accigliato. Sirius non poteva
credere quanto poco Remus fosse cambiato, quando tutto il resto
al mondo era così diverso ora. Era più grigio, ma era ancora
Moony, era ancora completamente bello in modo devastante.
Fece un sorriso a Sirius mentre entrava, era così come l’adolescente
Remus che portò subito Sirius a Hogwarts: arrivando al tavolo della
colazione e trovò Remus già lì, alla sua terza porzione di pancetta
e uova, che sogghignava per qualcosa di stupido che Sirius aveva
appena detto.
Vedi. Si disse. Ci sono ancora dei bei ricordi.
«Ciao.» Disse nella stanza.
«Ciao.» Grant rispose. «Tazza di tè?»
«Ooh, sì per favore.» Remus annuì rivolgendo ora a Grant un
sorriso amichevole.
Il babbano andò in cucina.
«Com’è andata?» Sirius chiese già agitato. «Hai visto Silente? Cosa
ha detto?»
«Oh, niente di speciale. Niente che non abbia sentito prima.
L’Ordine ha bisogno di un nuovo quartier generale, dovremmo
tutti trovare delle idee. Senti, parliamone più tardi, okay?» Remus
lanciò un’occhiata alla cucina, dove Grant stava preparando il tè.
492
«Ha detto qualcosa su di me? Silente? Come sta Harry?»
«Harry sta benissimo, è tornato da sua zia e da suo zio per l’estate.
Che ci fa questa borsa qui?» Remus stava guardando la valigia
marrone piena di cose di Grant, guardò Sirius.
Sirius scrollò le spalle, sdraiandosi sul divano.
Remus aggrottò la fronte e gridò. «Grant? Cosa ci fa qui questa
borsa?»
Grant fece capolino dalla porta della cucina, con aria imbarazzata.
«Ah. Posso parlarti velocemente?»
Remus impallidì visibilmente ed entrò in cucina.

493
Fino alla fine
I just want to see you
When you’re all alone
I just want to catch you if I can
I just want to be there
When the morning light explodes
On your face it radiates
I can’t escape
I love you ‘till the end

I just want to tell you nothing


You don’t want to hear
All I want is for you to say
Why don’t you just take me
Where I’ve never been before
I know you want to hear me catch my breath
I love you ‘till the end

I just want to be there


When we’re caught in the rain
I just want to see you laugh not cry
I just want to feel you
When the night puts on it’s cloak
I’m lost for words - don’t tell me
All I can say
I love you ‘till the end.

«Dove stai andando!?» Sibilò Remus, mentre entrava in cucina.


Non voleva che Sirius li sentisse litigare ma le cose non andavano

494
affatto bene, dal modo in cui Grant mescolava con calma il suo tè,
senza guardarlo negli occhi.
«Brighton.» Grant disse. «Ho ricevuto un’offerta di lavoro, davvero
buona. Paga migliore e posso aiutare più persone, posso davvero
fare la differenza.»
«Ma viviamo a Londra.»
«Remus...»
«Ti stai solo svegliando e mi stai lasciando per un lavoro?!» Remus
si stava preparando per iniziare a gridare; per far vergognare Grant
e farlo restare.
Grant si limitò a sorridere comprensivamente e scosse la testa.
«Non essere sciocco, adesso. Sai che si tratta di qualcosa di più.»
Il cuore di Remus batteva forte, si sentiva male, stordito, come se
il pavimento stesse oscillando avanti e indietro.
«Non puoi farlo!»
«Sto solo rendendo le cose più facili per te.» Disse Grant e da
chiunque altro avrebbe potuto sembrare amaro. «Non è quello che
ho sempre provato a fare?»
«Ma io ti amo!»
«Anch’io ti amo, mio caro. Ma non sono sicuro che sia tutto quello
che c’è da fare.»
«Quindi stai solo prendendo la decisione per me?!»
«Sto prendendo una decisione per me.» Grant disse molto
fermamente. Guardò Remus ora, morto negli occhi, e Remus
poteva vedere che non ci sarebbero state più discussioni.
«Sirius ha bisogno di te adesso e andrai in guerra, perché è quello
che sei. Sei pazzo, coraggioso e incredibile. Non c’è posto per me
in tutto questo, quindi ho bisogno che tu mi lasci andare. Saremo
sempre amici, no? Ci prenderemo sempre cura l’uno dell’altro.»

495
Remus voleva piangere. Voleva cadere in ginocchio e stringere
Grant intorno alla vita e tenerlo lì per sempre, implorare e
supplicare.
Sapeva che era egoista. Grant aveva ragione; Remus aveva già
deciso di rientrare nell’Ordine, aveva deciso nel momento in cui
Sirius era tornato. Non era giusto tenere Grant in giro per quello,
era decisamente pericoloso. Ma aveva bisogno di lui: aveva
davvero, davvero bisogno di Grant. Remus non era sicuro di poter
fare tutto da solo, non con Sirius o almeno non come era ora.
«Mi spezzerai il cuore se te ne vai adesso.» Disse Remus conscio di
sembrare imbronciato e petulante.
Grant scosse leggermente la testa, mantenendo lo sguardo rivolto
a terra. «Mi dispiace, amore. Ma si spezza il mio di cuore se resto.»
E in un istante Remus capì, aveva visto veramente Grant per la
prima volta: non come il suo protettore e il suo campione, ma
come una persona non molto diversa da lui che era altrettanto
vulnerabile alla sofferenza.
«Non è un vero addio, eh?» Disse Grant, a bassa voce. «Non mi
hai ancora sparato.»
«Non sono sempre stato giusto con te.» Disse Remus. Voleva dirlo
da molto tempo ormai. Voleva una sorta di perdono.
«Sei stato gentile.» Grant sorrise, senza traccia di colpa. «Sei stata
la mia piccola magia.»
Remus fece un rumore soffocato e cercò di non piangere. Grant lo
abbracciò e si strinsero per l’ultima volta. Grant lasciò Remus in
cucina, con due tazze di tè: una per Remus, una per Sirius.
Remus rimase in silenzio e aspettò che la porta si aprisse. Quando
la sentì chiudersi, si coprì la bocca con la mano e chiuse gli occhi.
Inspirò ed espirò per alcuni istanti, poi entrò in soggiorno.
Sirius era ancora sul divano. Sembrava ansioso, sfregandosi le
mani. «Remus, io-»
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«No.» Remus alzò la mano scuotendo la testa. «No, ho bisogno di
un minuto.»
Entrò in camera da letto e chiuse la porta. Si sedette sul letto e
pianse e pianse. Una volta finito, si lavò la faccia e tornò da Sirius.
C’era così tanto lavoro da fare.

Lunedì 10 luglio 1995


Le cose furono più difficili dopo che Grant se ne andò.
Remus si sentiva come se avesse perso la sua roccia; la persona che
lo aveva tenuto al sicuro per tredici anni. L’uomo con cui Remus
era rimasto era praticamente uno sconosciuto; un buco spalancato
di miseria, paura e rabbia vendicativa. Remus era sui gusci d’uovo,
e la guerra si estendeva davanti a loro, sarebbe sempre stato così?
Rimasero concentrati sulla guerra, soprattutto perché Remus si
rifiutava di discutere di Grant, o dei suoi sentimenti. Era troppo,
in quei primi giorni.
Trascorsero il loro tempo lavorando su elenchi di contatti,
entrando in contatto con la vecchia folla, scavando vecchie
informazioni dell’ultima guerra. Sirius li ricollegò la rete del
camino, usando una connessione segreta accessibile solo alle
persone giuste e più volte i due si inginocchiarono sul tappeto del
focolare parlando tra le fiamme; Sirius che spiegava la sua storia a
ogni membro. Per pochi di loro avevano impiegato molto per
convincerli. Tutti credevano che Voldemort fosse tornato e
volevano fare qualcosa al riguardo.
Quando non lavoravano per Silente, Remus accendeva la TV e il
più delle volte Sirius si trasformava in Padfoot e si addormentava.
Remus cucinò tutto, Sirius si offrì ma Remus non lo permise. Disse
che voleva che Sirius si riposasse, si riprendesse, ma in realtà voleva
solo essere in una stanza diversa, la maggior parte del tempo.
497
Sirius dormiva ancora sul divano, perché nessuno dei due era in
grado di affrontare l’argomento.
«Luna piena mercoledì.» Disse Remus un pomeriggio.
Avevano appena firmato con Kingsley, un Auror che Moody aveva
portato dalla loro parte, sembrava abbastanza capace. Remus non
era sicuro di quanto valesse; aveva visto morire molti maghi capaci.
«Lo so.» Sirius rispose bruscamente.
Si sedettero fianco a fianco sul divano, guardando assenti la TV.
Erano solo le notizie babbane, ma poteva anche essere statico, per
quello che gli importava. Solo un motivo per non guardarsi in
faccia.
«Di solito me ne vado circa un’ora prima del tramonto.» Continuò
Remus. «Mi dà il tempo di liberare l’area, se necessario.»
«Ricordo come funziona.» Disse Sirius.
«Okay, scusa.» Mormorò Remus irritato. «Ho solo pensato che
volessi sapere. Ma se hai altri piani, rimani qui.»
Sirius lo guardò. «Oh. Vuoi che io venga?»
«Solo se vuoi.» Disse Remus in fretta. «Non mi dispiace in ogni
caso.»
«Silente ha detto che devo restare sempre qui...»
«Bene. Allora resta qui.» Remus incrociò le braccia al petto,
sentendosi ferito.
«No, verrò con te.» Disse Sirius.
«Grande.» Remus strascicò sarcasticamente.
Era così che sembravano andare quasi tutte le loro conversazioni.
Uno di loro avrebbe frainteso o sarebbe diventato
irragionevolmente difensivo su una piccola questione. Poi l’altro
avrebbe morso e ancora e ancora, finché entrambi avrebbero
smesso di parlare e avrebbero iniziato a ignorarsi a vicenda. Ma se
Remus si fosse alzato, o fosse stato costretto a lasciare la stanza,
Sirius gli avrebbe lanciato quello sguardo terrorizzato e avrebbe
498
chiesto dove stesse andando e Remus si sarebbe seduto di nuovo,
e l’intera scena sarebbe stata ripristinata.
Pensava che parlare della luna piena avrebbe potuto rallegrare un
po’ Sirius. Sirius aveva sempre amato le lune piene, e questo
significava che poteva lasciare l’appartamento per una volta.
Non puoi essere solo normale?! Remus si ritrovò a pensare, con rabbia.
Non voglio vivere con uno sconosciuto, rivoglio il mio migliore amico. Ho
bisogno di aiuto.
Poi si sentì in colpa. Perché ovviamente Sirius non poteva farci
niente, e se ci pensava davvero erano sempre stati una coppia che
litiga; dopotutto erano entrambi Grifondoro dalla testa calda.
Ancora. Sirius potrebbe non essere stato un perfetto sconosciuto, ma
era certamente strano. Era sempre stato così vigile, così veloce
all’ira? Oppure Azkaban gli aveva fatto questo? O, peggio di tutto,
era stata tutta colpa di Remus?
Senza Grant lì, Remus iniziò a chiedersi se anche lui sembrava
diverso. Forse anni passati a vivere come un babbano lo avevano
reso meno interessante. Era più lento di quanto fosse stato da
adolescente, più cauto. Raramente rideva.
Era stupido ma Remus era ancora più preoccupato per come
appariva. Non era mai stato una persona vanitosa; aveva sempre
avuto un aspetto molto ordinario, sfregiato e un po’ allampanato,
anche quando Sirius lo aveva conosciuto. Ma almeno allora Remus
era giovane. Ora i suoi capelli erano grigi dappertutto, erano
rimaste solo poche ciocche della tonalità topina originale. Aveva
più cicatrici che mai e a volte fumava ancora, il che lo faceva tossire
come un vecchio minatore di carbone.
Era molto inferiore a prima.
«Non funzionerà, vero?» Disse Sirius bruscamente, spezzando i
pensieri di Remus.

499
Nessun tatto. Una volta aveva avuto una lingua così arguta, poteva
convincere chiunque a fare qualsiasi cosa; poteva tirare fuori
barzellette sporche come se fossero poesie romantiche. Ma ora
tutto quello che Sirius aveva detto era improvviso e schietto e
pieno di pura urgenza.
«Cosa non funzionerà?» Chiese Remus, scosso. Teneva gli occhi
fissi sulla TV.
«Questo. Me e te. Nella stessa stanza. Cercando di comportarci
come... Cercando di essere d’accordo l’uno con l’altro. Dopo tutto
quello che è successo, e quattordici anni... sarà solo troppo.»
Remus finalmente si voltò a guardarlo, pronto ad essere di nuovo
infastidito, ma scoprì che Sirius stava fissando le sue mani,
torcendole forte in grembo in modo che la pelle tirasse e le sue
nocche sbiancassero. Anche lui aveva cicatrici, adesso.
Non sembrava così vecchio e strano allora, sembrava solo Sirius.
Ed era spaventato.
«Oh, non lo so.» Disse Remus dolcemente. Si allungò e calmò le
mani di Sirius con le sue, intrecciando le loro dita ossute sfregiate
insieme. Incrociò la sua attenzione e sorrise incoraggiante. «Sei
sempre stato troppo per me. Non mi è mai importato.»
Lo sguardo di sollievo che inondava il viso di Sirius valeva ogni
momento perso. Portò la mano di Remus alle sue labbra, e baciò
gentilmente l’interno del suo palmo.
Successivamente tornarono alla TV, ma continuarono a tenersi per
mano.

Giovedì 14 luglio 1995


Per fortuna la luna piena era stata un gradito cambio di ritmo. Si
materializzarono insieme a Brecon Beacons, ed entrambi si
trasformarono sul fianco di una montagna. Il lupo era entusiasta di
500
ricongiungersi con il suo vecchio compagno e trascorsero il loro
tempo a inseguire le volpi attraverso le praterie, correndo insieme
per miglia e miglia. Stavano meglio insieme, nei loro corpi canini;
più naturali, più a loro agio. Forse la mancanza di inibizione o forse
il legame forgiato tra loro come cane e lupo non si è rotto così
facilmente.
Quando Remus si voltò all’alba, Padfoot gli leccò il viso
allegramente, strofinandosi contro di lui e Remus rise per la prima
volta da quando Sirius era tornato a Londra.
Stavano ancora sorridendo quando tornarono all’appartamento, e
sembrava più grande di prima; meno una gabbia.
«Avevo dimenticato quanto eri forte.» Sirius sorrise, pieno di
energia. «Mi ero dimenticato che eri più veloce di me.»
«Certo che l’hai fatto.» Remus ghignò. «Stronzo arrogante. Potrei
sempre batterti.»
Prese il giornale dallo zerbino e lo sfogliò, mentre Sirius si gettò sul
divano. Era la prima volta che Remus lo vedeva di nuovo davvero
rilassato nel loro appartamento e questo lo faceva sentire caldo
dentro.
Sfogliando banconote e volantini da asporto, Remus si fermò di
colpo quando raggiunse una cartolina. C’era sopra il nuovo
indirizzo di Grant. Nient’altro, solo l’indirizzo, stampato in modo
ordinato. La puntura acuta del rimpianto colpì Remus, e lui
sospirò, pesantemente. Non c’era numero di telefono; o Grant non
ne aveva ancora uno (il che sembrava molto improbabile, dato che
normalmente era a malapena fuori e ne aveva bisogno per lavoro),
o stava dicendo a Remus di non mettersi in contatto.
«Che cosa succede?» Disse Sirius dal divano, sempre vigile.
«Niente. Il nuovo indirizzo di Grant, ecco tutto.» Remus lo mise
sulla mensola del caminetto. «Ho davvero bisogno di sdraiarmi,
penso che andrò a letto.»
501
Bevve alcuni antidolorifici, solo roba da banco, e si addormentò.
Fortunatamente era stato abbastanza facile, dopo la luna piena.
Quando si svegliò, la camera da letto era fredda e vuota. Era
passato molto tempo da mezzogiorno e sentiva l’odore del bacon
cucinato, il profumo salato e saporito che si diffondeva attraverso
l’appartamento. Si alzò e seguì il profumo in cucina, dove Sirius era
in piedi sopra il fornello, agitando una padella sfrigolante di
pancetta e uova.
Si voltò, vedendo Remus e sorrise.
«Pensavo avresti potuto aver fame. Hai sempre fame.»
«Sì.» Remus annuì sbadigliando e grattandosi la testa. «Grazie.»
Remus fece velocemente un toast con la sua bacchetta, stava
riprendendo l’abitudine di usare di nuovo la magia ora che i suoi
ultimi legami con il mondo babbano erano stati tagliati.
Si sedettero al tavolo in soggiorno e Sirius fece persino uno sforzo
per usare coltello e forchetta. Remus sorrise, ricordando le
impeccabili maniere purosangue a tavola di James e Sirius.
Tornerà da me. Si disse Remus mentre Sirius imburrò delicatamente
il suo toast. Un po’ alla volta.
La cartolina di Grant era ancora sulla mensola del caminetto.
L’immagine sul davanti era del Brighton Pavillion.
«È meglio che inizi a inscatolare il resto delle sue cose.» Disse
Remus, pensando ad alta voce. «Devo trovare un modo per
portarglieli.»
«Ha detto che sarebbe tornato, una volta sistemato.» Disse Sirius
inaspettatamente.
«Oh.» Remus sbatté le palpebre. «Gli hai parlato, allora?»
«Un po’.» Sirius scrollò le spalle fingendo nonchalance. «Solo per
dire addio. Mi ha detto di prendermi cura di te.»
«Oh, capisco.» Disse Remus, piano. «Beh, mi dispiace per questo.
Non era suo dovere dirtelo.»
502
Voleva moltissimo tenere separate queste due metà della sua vita.
«No, va bene.» Disse Sirius. Rimasero in silenzio per un po’,
mangiando. E poi... «Quando è successo?» Chiese Sirius, tornando
alla sua brusca improvvisa.
«Quando è successo cosa?»
«Tu e lui. Quanto tempo dopo... dopo essere andato in prigione?»
Remus appoggiò la forchetta. «Perchè me lo chiedi?»
«Sto solo cercando di colmare le lacune, le cose che mi sono perso.»
Qualcosa dentro Remus divenne caldo e feroce. «Non vedo cosa
c’entri Grant con tutto ciò. Vuoi un elenco di tutte le persone che
ho scopato da quando te ne sei andato?»
Sirius inspirò bruscamente. «No, certo che no.»
«Bene allora. Lascialo fuori. Se n’è andato adesso, ecco fatto.»
«Non avrei dovuto chiederlo. Ho solo pensato...»
«Non ti ho mai tradito.» Remus disse, indurendo la voce. «Così
puoi smetterla di chiedertelo. Non ti ho mai, mai tradito. Anche se
pensi che l’abbia fatto.»
Sirius aggrottò la fronte e guardò il suo cibo. «Sei ancora arrabbiato
per questo, allora.»
«Non voglio esserlo.» Disse Remus. «Non voglio esserlo, ma lo
sono. Pensavi fossi una spia, Sirius! Pensavi che avrei provato a
ferire Lily e James, pensavi che avrei provato a ferire te.»
«Ero confuso.» Disse Sirius, la sua voce piccola. «Tutto era
diventato un tale casino. Tutto era così difficile e nessuno sapeva
niente. Nessuno si fidava di nessuno-»
«Lo ricordo.» Remus scattò. «Ero lì. Mi fidavo ancora dei miei
amici.»
Sirius continuava a fissare il suo cibo ma Remus non aveva finito,
questo doveva venire fuori prima o poi, sapeva come ci si sentiva
a lasciare le cose non dette.

503
«Sai quanto sono stato stupido? Vuoi sapere quanto sono stato
ottuso, in quegli ultimi mesi? Pensavo volessi rompere con me!
Volevo tornare dal branco e vedere se potevamo rimettere a posto
le cose. Non mi è mai passato per la mente che tu pensassi che
fossi un... Voglio dire, cazzo Sirius. Ti ho amato!»
«Remus...»
«Ti ho amato e non mi hai lasciato niente, capisci? Non avevo
niente tranne che molte cicatrici e l’abitudine di bere. Quindi non
iniziare a interrogarmi sui pezzi della mia vita che sono riuscito a
rimettere insieme.»
Remus si alzò e andò avanti e indietro, l’ultima luna piena ancora
calda nelle sue vene. Stava vicino alla finestra. Voleva fumare ma
ormai aveva imparato a non cedere a quel tipo di impulsi, il tipo
che lo faceva sentire bene, ma che probabilmente alla fine lo
avrebbe ucciso. Il tipo di impulsi che riceveva quando Sirius era nei
paraggi.
«Mi dispiace.» La voce di Sirius era ancora molto debole. Era curvo
in avanti, i capelli in faccia. Pietoso.
Remus si sentiva malissimo anche se sapeva di meritare delle scuse.
Non aveva intenzione di essere offensivo.
Per l’amor del cielo. Si rimproverò Remus. Perché non riusciamo mai a
farlo bene?
«No, mi dispiace.» Disse invece Remus, stabilizzando la voce,
ricordandosi di essere comprensivo. «Non volevo essere così...»
«Capisco. Lo giuro, Moon- Remus scusa. Lo giuro, ho pensato a te
ogni giorno. Cosa dovevi pensare di me, cosa dovevi aver sentito...
Sono stato io lo stupido, non tu. Avrei dovuto fidarmi di te, avrei
dovuto dirti che Wormtail era stato nominato custode segreto...
Voglio dire, dannazione. Avremmo dovuto rendere te custode
segreto. Merlino, quando sono andato a Godric’s Hollow quella
notte... ho perso il controllo.»
504
«Avrei fatto lo stesso.» Remus sospirò. «Avrei ucciso Wormtail.
Sirius, dispiace anche a me. Vorrei non aver creduto loro, vorrei
aver provato a indagare, aver provato fare qualcosa per aiutarti. Ero
proprio in questo stato, uscivo a malapena, non ero mai sobrio.
Quella roba era tutta colpa mia... ed è per questo che avevo bisogno
di Grant.»
Sirius annuì desolato, ancora seduto al tavolo. Era troppo, l’aria era
troppo densa.
«Ecco, hai finito?» Chiese Remus, avendo bisogno di un cambio di
argomento. «Faccio io il bucato. Grazie per questo, è stato
perfetto.»
Ripulì i piatti e li portò in cucina. Ripiegò l’ultimo uovo fritto di
Sirius in un pezzo di pane tostato e lo finì, non voleva sprecare
niente. Sirius entrò proprio mentre stava masticando.
«Lo stesso vecchio Remus.» Sbuffò. «Finendo il cibo di tutti.»
«Lo so.» Remus rise leggermente imbarazzato, aprendo i rubinetti.
«Grant mi chiamava l’Unità Rifiuti Umani. Una volta aveva
ordinato un pasto a menù fisso per quattro persone da asporto al
piano di sotto, ma era rimasto bloccato in una chiamata di lavoro
e quando era tornato avevo già mangiato tutto.»
Sirius prese questo aneddoto abbastanza bene. Si avvicinò a Remus
e prese uno strofinaccio, così da poter asciugare mentre Remus
lavava. Lo fecero in un silenzio amichevole per un po’ ma Remus
sapeva che Sirius stava pensando a qualcosa. Il suo corpo emanava
quell’energia agitata che Remus conosceva da molto tempo.
Avrebbero litigato di nuovo? Sperava di no.
«Quanto tempo è stato qui?» Sirius disse dolcemente. «Per quanto
tempo stavi...»
«Tanto tempo.» Rispose Remus concentrandosi sui piatti.
«È un bene che tu abbia avuto qualcuno.» Disse Sirius con notevole
umiltà. «Sono contento che non eri solo.»
505
«Era meglio di quanto mi meritassi.» Remus acconsentì, guardando
Sirius per controllare che andasse bene continuare. «Non avrei mai
pensato di... Non pensavo che avrei mai potuto amare qualcuno
che non eri tu. Ma l’ho fatto. L’ho amato.»
Sirius aprì la bocca ma sembrò pensarci meglio, e la richiuse.
Annuì, un’ombra di delusione gli attraversò il viso. Ci stava
provando così tanto.
Remus mise giù l’ultimo piatto con attenzione e si asciugò le mani
sui jeans. Si voltò per affrontare Sirius che lo stava guardando come
un falco.
«Lo amavo.» Disse Remus. «Ma non eri tu.»
Gli occhi di Sirius si spalancarono, speranzosi.
Remus gli fece un piccolo timido sorriso e fece una piccola scrollata
di spalle. Sirius si avvicinò e all’improvviso furono a pochi
centimetri di distanza, e poi si baciarono stringendosi forte l’un
l’altro, come se fosse il loro primo e ultimo bacio.
Si era scoperto che non aveva mai veramente perso l’abilità. Come
un incantesimo ininterrotto, Remus sentì ogni istante tornare in lui
vividamente come se fosse ieri; non le litigate o la guerra o il vuoto,
ma la gioia, il brivido dell’amicizia e l’amore; tanto, tanto amore.
Remus si sentiva come se ne fosse riempito; stava traboccando.
Proprio come per la prima volta, il cervello di Remus sembrava
gridare sì, sì sì! e si aggrappò a Sirius con entrambe le mani. Tu sei
mio, sei mio, sei mio.
Quando si separarono, sorridevano entrambi, premendo insieme
la loro fronte, tenendosi per le spalle l’un l’altro come se stessero
combattendo o cadendo.
«Ti amo.» Sussurrò Sirius. «Ti amo così tanto.» Strinse gli occhi.
«Non preoccuparti, non devi dirlo anche tu.»
«Certo che ti amo, idiota.» Ansimò Remus, non sicuro se stesse
ridendo o piangendo. «Non ho mai smesso.»
506
Anche Sirius rise, sebbene le sue guance fossero bagnate, e lo baciò
di nuovo. E ancora, e ancora, e ancora.
Non erano più adolescenti. Finirono di lavare i piatti e tornarono
sul divano. Sirius suggerì di ascoltare un disco, invece della TV e
Remus acconsentì, disposto a dargli tutto ciò che voleva. Per prima
cosa scelse Diamond Dogs, ma Remus pensava che il testo di We
are The Dead potesse essere troppo difficile da ascoltare. Alla fine
era Hunky Dory, che aveva melodie più allegre.
Sirius si allungò, la testa in grembo a Remus e Remus gli accarezzò
i capelli e si chinò per baciarlo ogni volta che voleva, perché poteva.
Finalmente, poteva.
«Mi sei mancato.» Lui sussurrò.
Sirius gli strinse la mano e girò la testa, leggermente, ovviamente
non volendo che Remus vedesse l’emozione sul suo viso. Si schiarì
la gola.
«Ti dico cosa mi è mancato.» Disse con un sorriso che giocava sulle
sue labbra, quel ghigno di Sirius Black. «Fumo. Non hai una
sigaretta, vero?»
«Ti fanno male.» Remus fece un balzo. «Ti uccidono.»
«Stiamo già morendo tutti.» Rispose Sirius.
«Può essere.» Remus acconsentì allacciando le dita alle sue. «Ma la
vita non dovrebbe durare più a lungo, se così può essere?»

Si addormentarono sul divano, probabilmente perché erano


entrambi troppo timidi per suggerire di trasferirsi in camera da
letto. Remus si svegliò al canto degli uccelli nelle prime ore del
mattino, ancora eretto e rigido con i fianchi doloranti, il caldo peso
di Padfoot in grembo. Grattò assonnato dietro l’orecchio del cane,
spingendolo via per alzarsi e usare il gabinetto.
Quando tornò, Sirius era tornato in sé stesso.

507
«Scusa.» Disse. «Continuo a rigirarmi nel sonno. Penso di aver
passato troppo tempo come cane ad Azkaban.»
«Va bene.» Remus sorrise. «Non mi dispiace affatto. Cosa
dobbiamo fare oggi, c’è qualcuno rimasto sulla lista con cui
parlare?»
«No, abbiamo fatto tutto.» Disse Sirius. «Tranne trovare un nuovo
quartier generale. Ehi, ci ho pensato... Che ne dici di quella vecchia
chiesa in cui sei stato con i lupi mannari?»
«Oh, quella... No, probabilmente una cattiva idea. Greyback sa
dove si trova.»
«Allora è ancora in giro.»
«Mm hmm. Tè?»
«Per favore.»
Remus andò in cucina e Sirius lo seguì continuando a parlare.
«Ho solo pensato che sarebbe stato bello perché è nel mezzo del
nulla, quindi posso stare lì anche io. Odio l’idea che tu vada alle
riunioni e io rimanga qui.»
«Non ti piace qui?» Remus inarcò un sopracciglio. Amava il suo
piccolo appartamento. «Oltre a Hogwarts, è l’unico posto in cui mi
sono mai sentito veramente a casa.»
«Oh Remus.» Sirius gli strinse il braccio. «Sei diventato tutto
morbido nella tua vecchiaia.»
«Levati dalle palle.» Remus sbuffò, dandogli una leggera spinta con
il gomito. «Non siamo cresciuti tutti in ville.»
«No ma- ehi! Ehi, Remus, è così!» Sirius stava scuotendo la sua
spalla ora, facendo jogging a Remus mentre cercava di versare il
latte.
«Oi! Che cosa?»
«La mia villa! O comunque adesso è mia: i miei genitori sono morti
entrambi, io sono l’erede Black! La casa mi risponderà!»

508
«Oh, capisco.» Remus aggrottò la fronte, voltandosi a guardare
Sirius correttamente. «Sei sicuro? Voglio dire... Vuoi davvero
tornare lì?»
«Be’ no, ovviamente no. Ma è probabilmente una delle case più
protette in Gran Bretagna: i Black hanno preso la sicurezza
domestica davvero sul serio. Ci sono abbastanza stanze per tutti i
Weasley e poi alcuni... Oh merlino, immagina la faccia di quella
stronza di mia madre se avesse saputo che avevo invitato i Weasley
a restare! È qualcosa che posso fare per aiutare, no?»
«Ma Sirius, pensaci... Sarai nella casa in cui vivevano i tuoi genitori,
tutte le loro cose saranno lì.»
«Getteremo tutto fuori.» Sirius agitò una mano. «Ed è così sicuro,
un posto sicuro per Harry, Remus.»
«Sembra...» Remus pensò intensamente, arrivando all’idea. «Ne sei
sicuro?»
«Certo che lo sono! E comunque non sarà così triste se ti avrò lì
con me, vero?»
«Aha.» Lo colpì Remus. «Ora chi è diventato tenero?»
Si misero in contatto con Silente tramite il caminetto e anche lui
sembrava impressionato da questa idea. Voleva sapere come
entrare, che tipo di incantesimi e maledizioni conosceva Sirius,
quanto presto avrebbe potuto allertare l’Ordine.
«Dobbiamo dare al posto una pulizia adeguata.» Disse Sirius,
avidamente. «Sarà pieno di spazzatura, ma posso aiutare se sarò
sempre lì e nessuno è migliore con parassiti magici di Remus!»
«Un’idea eccellente, signori.» Gli occhi di Silente scintillavano tra
le fiamme. «E proprio sotto il naso di Voldemort, nella casa dei
suoi più fedeli sostenitori! Quanto presto potrete arrivarci
entrambi?»

509
«Domani.» Disse Remus velocemente, perché sapeva che Sirius
stava per dire “proprio ora!” «Andremo dopo il tramonto, così è
meno sospetto.»
«Brav’uomo, Lupin.» Disse Silente. «In tal caso aspetterò una tua
parola.»
Il suo viso svanì in uno sbuffo di fumo.
«Sì, Moony! Scusa, Remus...» Esultò Sirius. «Sorprendente!
Facciamo le valigie!»
Ovviamente Sirius aveva a malapena qualcosa da mettere in valigia,
ed era comunque troppo eccitato per essere ragionevole. Questo
fu lasciato a Remus, che iniziò a fare un elenco di tutte le cose di
cui avrebbero avuto bisogno: libri ovviamente, tutti gli appunti
della prima guerra. Vestiti, cibo, lenzuola, Remus non sapeva da
quanto tempo Grimmauld Place era rimasta vuota, non era sicuro
che sarebbe stato recuperabile.
«Finalmente posso mostrarti la mia camera da letto!» Sirius trillò.
«Ooh, l’Io adolescente sarebbe così geloso, portare Remus Lupin
nella mia camera da letto!»
«Aha.» Sbuffò Remus, ripiegando le vesti e ficcandole nel suo
baule.
«E aspetta solo che arrivi Harry! Possiamo sistemare una stanza per
lui. E quando la guerra sarà finita, sarà sua...»
Remus sorrise, lo baciò e acconsentì che sarebbe stato tutto
adorabile, sarebbe stata un’avventura, perché era quello di cui Sirius
aveva bisogno da lui in quel momento. Era determinato a fare tutto
ciò di cui Sirius aveva bisogno il più a lungo possibile.
«Non vedo l’ora di vedere Andromeda e sua figlia! Adesso deve
essere al settimo anno, sicuramente? Ehi, immagina se lei e Harry
si innamorassero, quanto sarebbe completamente pazzo? Allora
sarebbe... cosa? Mio cugino di secondo grado?»

510
«Una volta rimosso, o qualcosa del genere.» Ammise Remus. «Di
cosa stai parlando comunque, hanno quasi dieci anni di distanza.
Avevamo tredici anni quando Andromeda aveva avuto quella
bambina.»
«E Moody, il vecchio strambo, e Arthur, e Gideon e...»
«Sirius, no.» Disse Remus gentilmente. «Ricorda, Gid e Fab sono
morti.»
«Oh... Oh sì...» La faccia di Sirius cadde, e Remus si sentì
spaventato. Forse non poteva semplicemente andare d’accordo
con tutto.
Toccò la mano di Sirius. «Va tutto bene, stai già ricordando le cose
molto meglio di poche settimane fa.»
«Può essere.» Disse Sirius, incerto. Si strofinò il braccio. «Penso
che andrò a riposarmi, va bene?»
«Ovviamente.»
Remus finì di fare le valigie e quando tornò in soggiorno, Padfoot
era di nuovo raggomitolato sul divano.
Mangiarono un pasto leggero per cena e Remus aveva la TV accesa
perché era la sua ultima notte tra tutte le sue comodità babbane.
Decisero comunque di prendere tutti i loro vecchi dischi, anche se
molti si erano deformati nel tempo e emettevano un sibilo
sgradevole sulla musica. Con tutto imballato in bauli e scatole, a
Remus si sentiva davvero nervoso. Ma forse erano solo i nervi.
Cercò di rimanere calmo, guardando il cielo fuori che assumeva
una tonalità di blu più profonda, i lampioni che passavano dal rosa
pallido all’ambra densa e le stelle che cominciavano a farsi vedere.
L’inquinamento a Londra significava che le stelle erano rare: si
potevano distinguere solo quelle più luminose.
La testa di Sirius stava già annuendo contro la sua spalla, mentre la
tv annunciava il telegiornale delle nove. Remus sbadigliò e agitò la
bacchetta contro lo schermo, spegnendolo per l’ultima volta.
511
«Oi.» Sussurrò a Sirius. «Dai, andiamo a letto.»
«Mmph.»
Remus dovette scuoterlo un po’, ma alla fine Sirius si alzò
barcollando e vagò come uno zombi lungo il corridoio. Remus si
lavò i denti e si lavò la faccia, poi lo seguì dentro.
Sirius era in piedi accanto al letto, mordendosi il labbro.
«Andiamo.» Remus sbadigliò, arrampicandosi sotto le coperte.
«Cosa c’è che non va?»
«Ehm. Niente.» Sirius entrò, lentamente.
Remus lo tirò vicino a sé, così felice di averlo di nuovo accanto.
Avvolse le braccia attorno al corpo di Sirius e inalò il suo profumo,
e seppellì il viso tra quei bei capelli. Si sentiva così bene. Si sentiva
completo. Baciò la guancia di Sirius, cercando la sua bocca.
«Ti amo.»
«Anch’io ti amo.» Sirius disse di rimando anche se era molto teso e
girò la testa dall’altra parte.
«Cosa c’è che non va?» Chiese Remus, allontanandosi. «Mi sto
comportando troppo...?»
«No, ho solo...» Sirius si tirò indietro anche lui. «Mi spiace, ma non
credo di poter... sai, non più.»
«Oh.» Remus sbatté le palpebre. «Oh Gesù, scusa. Non volevo...
certo che no, se non vuoi.»
«No, voglio.» Sirius si dimenò. «Solo che non sono sicuro di
poterlo fare. Da quando Azkaban... uhm. Non è successo molto,
se capisci cosa intendo. Potrei non... ehm. Voglio solo che tu non
pensi che sei tu il problema.»
«Oh!» Remus sbatté di nuovo le palpebre. Non sapeva davvero
cosa dire o cosa fare. Questo era un problema che non aveva mai
incontrato prima. Voleva essere gentile. «Sono solo contento che
tu sia qui.» Disse sinceramente. «Non ho bisogno di nient’altro.»
«Veramente?»
512
«Veramente.»
Sirius si voltò e prese il viso di Remus tra le mani e lo baciò, a lungo
e profondamente. Sarebbe stato sufficiente, veramente. Remus
sarebbe stato felice con le labbra di Sirius, il sapore e il profumo di
Sirius. Ma dopo un po’ Sirius si tirò indietro e sorrise.
«Non significa che non voglio che tu provi...»
E Remus si dissolse quasi.
Ci era voluto molto tempo. Dovevano esserci molti più baci, molte
più carezze gentili e persuasive e sussurri accesi; ci sono volute ore
e ore. Ma come poteva lamentarsi Remus quando finalmente Sirius
aveva di nuovo sospirato tra le sue braccia? Era così tenero e così,
così bello.
Successivamente giacquero esausti, accaldati e felici. Remus si
sentiva come se ogni parte del suo corpo stesse cantando; ogni
nervo ronzava. Sirius si raggomitolò nel suo corpo e gli accarezzò
le cicatrici, come faceva una volta.
«Hmm.»
«Hmm.»
«Remus?»
«Sì?»
«Posso farti una domanda?»
«Oh.» Remus sorrise. «Se proprio devi.»
«Cosa hai fatto in tutti questi anni, Moon- scusa.»
«No va bene. Chiamami Moony.»
«Moony.» Sospirò felice. «Cosa hai fatto? Quando abbiamo
chiamato tutti, erano sorpresi di vedere te quanto me. Dicevano
tutti che non ti vedevano da molto tempo.»
«Dalla guerra.» Remus confermò. «Da Lily e James.»
«Perché?» Chiese Sirius, accigliandosi.

513
«Non potevo sopportarlo.» Disse Remus, semplicemente. «Essere
vicino a qualcuno che sapesse cosa era successo. Ho visto Mary
una o due volte, ma nessun altro. Volevo stare da solo.»
Sirius scosse la testa, sembrando frustrato. «Non ti capisco,
Moony.»
«No.» Remus sorrise dolcemente. «No. Non l’hai mai fatto, non
abbastanza.»
«Giusto.» Sirius accettò.
Si sdraiò su Remus con tutto il suo peso, anche se non era molto.
Era patetico, davvero. Due uomini ossuti e magri, aggrappati
insieme; entrambi vecchi prima del loro tempo, ed entrambi così
persi. Non si erano mai capiti l’un l’altro, non proprio.
«Ci hai sempre provato, però.» Disse Remus tra i capelli di Sirius.
Lo avvolse con un braccio e gli baciò la testa. «Sapevi più di
chiunque altro.»
«Anche se pensavo che foss-»
«Non abbiamo bisogno di parlarne.»
Sirius fece mezzo sospiro e Remus sapeva che disapprovava, ma
per ora avevano parlato abbastanza. Rimasero in silenzio per molto
tempo e Remus chiuse gli occhi. Alla fine, Sirius parlò.
«Anche se non ne parliamo, non credi che dovremmo cercare di
perdonarci a vicenda?»
«Sembri Silente.» Remus sbuffò.
«Aha.» Disse Sirius. «Sì hai ragione. Riesci a credere che siamo
tornati a seguire gli ordini di quel vecchio pazzo? Suppongo di non
sapere molto sul perdono.»
«Neanche io.» Remus sospirò.
«Non so se valga qualcosa, davvero, con vite brevi come le nostre.»
Sirius disse tristemente. «Penso che a questo punto ci sia solo
amore e odio.»

514
«Questo è molto fatalistico da parte tua.» Remus commentò.
«Pensavo che io fossi essere il pessimista.»
Sirius rabbrividì leggermente, cosa che Remus prese per una risata.
Lo strinse più forte e gli baciò la spalla.
«Amore e odio.» Mormorò pensieroso.
«Amore o odio, suppongo.» Sirius chiarì. «Fai una scelta.»
«È così semplice, allora?»
«Sì. Io penso che lo sia.» Sirius prese la sua mano sotto il piumone.
Alzò lo sguardo su Remus, gli occhi ora grigio ghiaccio, ma
penetranti come sempre. Stava facendo una domanda.
Remus gli strinse la mano in risposta.
«Amore.» Disse, e poi lo baciò.

515
516
517
518
⁓ storie extra ⁓

519
520
Christmas
Compilation

521
INDICE
1. Il custode 523
2. La leonessa 528
3. La sorella 534
4. La stronza 540
5. Il puzzle 545

522
Il custode
My perfect cousin
What I like to do he doesn’t
He’s his family’s pride and joy,
His mother’s little golden boy

James piombò in alto, le sue vesti rosse fluttuanti, la sua scopa


dritta come una freccia, come un poster di quidditch. Provò a Peter
la solita scossa di eccitazione, combinata con un malsano tocco di
invidia.
Era il settimo anno, se non fosse stato in squadra ormai
probabilmente non lo sarebbe mai stato. Ci aveva provato quasi
ogni anno, tranne l’anno in cui Sirius era andato come battitore, era
meglio starne alla larga, poteva fare a meno delle prese in giro.
Rabbrividì dentro il suo mantello. Mancavano solo due giorni alle
vacanze di Natale. Una parte di lui non vedeva l’ora: niente lezioni
per due intere settimane. Regali. Tacchino. I tortini della signora
Potter. Ma poi, non era nemmeno sicuro che stessero già tornando
a casa; la luna piena era caduta la notte di Natale e per qualche
motivo nessuno aveva voluto discuterne.
Remus non parlava mai di lune piene, mai, cosa che sembrava
strana a Peter, ma Remus era sempre strano. James di solito era il
più pratico, ma ultimamente tutto il suo tempo era occupato da
Lily, quindi non avrebbe detto loro cosa fare. Sirius era Sirius e non
potevi mai parlargli di niente che avesse a che fare con Moony, a
meno che non volevi che ti staccasse la testa. Forse era solo un
problema di Peter, però; diceva sempre la cosa sbagliata.
James ora era in possesso della pluffa, suonò il fischietto e la lanciò
ad un altro cacciatore; Emelia Eriksson. La prese e mirò ai pali della

523
porta, ma li mancò. Peter fece schioccare la lingua, agitato. Li
mancava sempre.
L'ultima partita, aveva lasciato cadere la dannata pluffa, salvata da
James, che era piombato sotto di lei e l’aveva catturata abilmente
prima che Corvonero potesse impossessarsi. Se Peter avesse
potuto fare a modo suo, lei sarebbe fuori dalla squadra.
James era convinto che Emelia sarebbe migliorata e non avrebbe
ascoltato i consigli di Peter. Il che era abbastanza giusto. Non come
se Peter potesse fare di meglio da solo.
Il problema era che l’unica posizione in cui Peter era mai stato
bravo era il portiere. Aveva interpretato quel ruolo quasi
esclusivamente per tutta la loro infanzia, quando c’erano solo lui e
James ogni pomeriggio. Gli mancavano amaramente quei giorni;
avere James tutto per sé. Peter aveva adorato James da quando
aveva memoria. Ma il tempo che ci metti non conta molto, lui lo
sapeva. Come la posizione del portiere. Peter era stato bravo, ma
non abbastanza. James era stato molto gentile a riguardo, ma James
era sempre gentile.
Non buono abbastanza. Una critica comune e, ancora; giusta,
pensò Peter. L’aveva sentito da sua madre fin dalla tenera età, e suo
padre (che se ne era andato poco dopo che Peter aveva sei anni, e
da allora aveva fatto solo occasionalmente apparizioni nella vita di
suo figlio.) O non era abbastanza tranquillo, o silenzioso; troppo
lento o troppo goffo. Non leggeva abbastanza. Non faceva
abbastanza allenamento. La più grande vergogna di Peter era che
non aveva mostrato alcun segno di magia fino all'età di quasi undici
anni, mentre James (‘il ragazzo dei Potter’, come era conosciuto in
casa Minus) era stato in grado di far levitare vari oggetti domestici
dall’età di due.
A Hogwarts le cose erano state più o meno le stesse: Peter
raramente brillava nelle sue lezioni, tranne che per l’Astronomia, di
524
cui aveva una buona memoria. Tuttavia, c’era meno pressione a
scuola che a casa; quando i tuoi migliori amici erano i tre maghi più
dotati dell'anno, nessuno se ne accorgeva davvero se non stavi al
passo. Se fossi un purosangue, allora ancora meglio, specialmente
di questi tempi. Peter sapeva che se qualcuno si fosse preso la briga
di guardare da vicino, sarebbe stato in grado di dirlo. Non era bravo
Abbastanza.
Dezzie l’aveva visto.
Peter si morse l’interno sulla guancia per distrarsi. Lo faceva
spesso, specialmente quando Desdemona Lewis gli entrava in
mente. Era stata una completa anomalia nella sua vita; l’eccezione
che confermava la regola. Insolitamente carina, intelligente (una
maledetta Corvonero!), gentile, divertente. E interessato a lui; il
piccolo Peter Minus, noioso, scadente e paffuto. Gli mancava ogni
giorno. Pensò che forse era stato innamorato di lei. Ma era
impossibile, alla fine. Anche se non l’avesse scaricato, era una
mezzosangue. La mamma non l’avrebbe accettata.
Tuttavia, sentiva la sua assenza. Non aveva mai avuto un nome per
quella sensazione prima, ma ora sapeva che era solitudine. Era lì da
molto tempo, forse sempre. Peter ricordò le prime fitte quando
Filomena se ne andò da scuola, e poi quando se ne andò per
sempre. Ricordava di averlo sentito nel momento in cui James e
Sirius si erano stretti la mano per la prima volta.
Aveva avuto meno importanza, quando c’era Dezzie. Peter si
chiedeva spesso se quelli fossero stati i suoi anni di gloria: chi
avrebbe mai pensato che sarebbe stato il primo dei Malandrini ad
avere una ragazza? Il primo a baciarsi, il primo sorpreso a
pomiciare in un armadio. Anche la McGranitt era rimasta scioccata,
quando aveva dato loro la prima punizione per ‘comportamento
indiscreto nei corridoi’.

525
C’era stato il club degli scacchi, naturalmente. Black al secondo
anno aveva pregato James di unirsi a lui, ma ovviamente James era
troppo figo per quel genere di cose e Sirius, che in realtà era
fastidiosamente bravo a scacchi, aveva riso in faccia a Peter al solo
pensiero dei Malandrini che facevano niente di buono come le
partite da scacchi. (Nessuno ha preso in giro il gruppo di studio di
Moony, però, com’era giusto?!) Comunque, Dezzie lo aveva
convinto al quarto anno che avrebbe dovuto unirsi a lui se gli
piacevano così tanto gli scacchi. Così aveva fatto.
Si era scoperto che Peter poteva essere il Malandrino meno figo,
ma era il ragazzo più figo del club di scacchi di Hogwarts. Stavano
bene; non il tipo di persone di James e Sirius, per lo più purosangue
e molti di loro anche di Serpeverde. Piton si presentava anche di
tanto in tanto, e (sebbene Peter non avrebbe mai osato dirlo a
James) riuscirono a mettere da parte le loro divergenze la maggior
parte del tempo e a fare qualche bella partita.
Beh, fino a quel disastro del quinto anno e non era stata nemmeno
colpa di Peter, si poteva incolpare Sirius se volevi incolpare
qualcuno. Colpa di Moony.
James fischiò e i giocatori ancora in aria iniziarono a scendere.
Anche Peter si alzò e cominciò a scendere i gradini di legno fino a
terra. Sarebbe potuto arrivare qualche minuto per parlare di
tattiche con James prima che Lily si facesse vedere. Borbottò tra sé
mentre raggiungeva i gradini più bassi. Dannata Lily, era peggio di
Sirius. James era quasi scomparso, da quando avevano iniziato a
uscire.
Come sarebbe stato una volta finita la scuola? Peter sarebbe dovuto
tornare a vivere con sua madre, e lei si aspettava che si unisse al
Ministero; il suo patrigno potrebbe essere in grado di procurargli
un lavoro di livello base nell’amministrazione o qualcosa del
genere. Non pensava che sarebbe stato troppo male nel lavoro
526
d’ufficio. Alcuni dei suoi amici nel club di scacchi avevano detto
che potrebbero essere in grado di aiutarlo anche loro. Molti di loro
avevano delle connessioni davvero buone. Avevano detto che uno
bravo in tattica come lui non dovrebbe avere problemi ad inserirsi.
Ah, ora era arrivata Lily. Anche Mary. Peter sospirò, tirandosi
indietro. Non lo avevano visto. Pensò di trasformarsi e di fare una
facile fuga. Avrebbe potuto cercare Dorcas. Era un po’ fastidiosa,
ma almeno gli permetteva di toccarla a volte.
Oppure poteva andare a cercare Remus che era di sicuro in
biblioteca, doveva ancora iniziare il suo saggio di Incantesimi e
aveva dimenticato di prendere appunti. Il buon vecchio Moony era
generalmente piuttosto cortese se lo corrompevi con abbastanza
cioccolato.
Lily lo salutò da vicino agli spogliatoi. Alzò una mano e ricambiò il
saluto. Affondò le mani nelle tasche, appiccicò un sorriso gioviale
e si diresse verso di lei. Dopo una chiacchierata veloce, aver
salutato James, trovò qualcos’altro da fare. Forse a qualcuno
piaceva l’idea di una partita a scacchi.

527
La leonessa
See me pon the road I hear you call out to me,
True you see mi inna pants and ting,
See mi in a ‘alter back
Sey mi gi' you heart attack
Gimme likkle bass, make me wine up me waist
Uptown Top Ranking

Mary sfogliò una vecchia copia di Witch Weekly annoiata. Diede


un’occhiata all’orologio sul comodino di Lily: l'allenamento di
Quidditch era quasi finito, poteva andare giù e incontrare Marlene
un minuto.
Odiava stare da sola, e odiava stare a un punto morto.
Conseguenza di crescere in un piccolo appartamento con una
grande famiglia, forse. Il pensiero di sedersi da sola nella sua
camera da letto a casa a leggere una rivista in totale silenzio era
ridicolo. C’era sempre un fratello che saltava sul letto o bussava alla
porta o si nascondeva nell’armadio a giocare a nascondino,
dimenticato da tempo.
E poi entrava sua madre, splendente con un bambino sul fianco,
cucchiaio di legno in mano, i capelli avvolti in una sciarpa giallo
brillante come una corona.
«Cosa pensi di fare, ragazza? Alzati e aiutami a fare la cena!»
Sorrise a sé stessa ora, ricordando questo. Mary era sempre
nauseata dalla nostalgia di casa intorno a Natale: desiderava il
rumore e il colore di casa. Per quanto grande fosse Hogwarts, nel
castello non si era mai sentita adeguatamente a suo agio.
Scivolò pigramente dall’estremità del letto e si stiracchiò, poi andò
allo specchio a figura intera per controllarsi. Si alzò più che poteva,

528
alzando il mento e allungò i polpacci, poi si girò da un lato all'altro,
girandosi per controllare che la gonna fosse proprio sopra i fianchi,
che il suo petto non sporgesse troppo in modo evidente.
Lei sorrise. Aveva un bell’aspetto. Indossava la sua minigonna
scamosciata marrone preferita (Lily era rimasta senza fiato quando
l’aveva vista. «Ma che mi dici quando ti siedi?!»), un maglione a
collo alto giallo senape e un piccolo gilet marrone ricamato con un
motivo cachemire, che aveva comprato in un mercato a Southall
l'anno scorso. A Mary piaceva distinguersi: sapeva che non avrebbe
avuto questo aspetto per sempre; perchè non sfoggiarlo?
La McGranitt non l’avrebbe risparmiata se l’avesse vista, ma era
una giornata non in uniforme quindi il vecchio pipistrello non
poteva darle punizioni, solo sguardi di disapprovazione e Mary era
abituata a quelli; li aveva ricevuti da vecchie signore bianche per
tutta la vita. Poi andò al suo comò e frugò nel primo cassetto alla
ricerca di un rossetto adatto.
Rosso. Rosso per Grifondoro; allora il suo vestito sarebbe
assomigliato di più all'orgoglio della casa. Questo avrebbe almeno
fatto sorridere Marlene, anche se Marls non aveva capito la
devozione di Mary per la moda, almeno avrebbe apprezzato lo
sforzo. Alla McGranitt piaceva Marlene, ovviamente, perché non
era troppo femminile e giocava a Quidditch. A Mary piaceva
Marlene perché durante la loro prima notte a Hogwarts, quando
Mary aveva pensato che sarebbe morta di crepacuore per la
mancanza della sua famiglia, Marlene aveva recitato la commedia
più esilarante impersonando l’aspetto severo della McGranitt e il
pungente accento scozzese in modo che Mary non potesse
respirare per il ridere.
Marlene riusciva sempre a farti sentire meglio; sarebbe diventata
un’ottima guaritrice un giorno. Mary non era sicura di cosa volesse
fare dopo la scuola. Avevano sempre detto che avrebbero trovato
529
un bell’appartamento insieme a Londra e che avrebbero fatto feste
ogni fine settimana, anche se ora che Lily usciva con Potter
probabilmente sarebbero state solo Marlene e Mary. Forse anche
Remus; Mary aveva l’impressione che lui fosse senza scopo quanto
lei, dal punto di vista della carriera.
Il problema era, e Mary non l’avrebbe ammesso con nessuno,
semplicemente non voleva un lavoro magico. Non riusciva a
vedere cosa c’era in quell’ambiente per lei. Nessuno nella sua
famiglia poteva usare falci o uno dei loro stupidi soldi da mago,
quindi qual’era il punto? Ma ovviamente non aveva alcuna qualifica
babbana, quindi era comunque un vicolo cieco.
Sua cugina aveva frequentato un corso di dattilografia la scorsa
estate e la madre di Mary continuava a chiederle di iscriversi una
volta che Hogwarts fosse finita. Spesso fantasticava di ottenere un
lavoro alla moda in una rivista o in una casa discografica,
ammaliando una macchina da scrivere per farla lavorare incustodita
e trascorrendo il suo tempo a flirtare con modelli maschili e pop
star.
Finì di mettere il rossetto, poi si leccò l'indice e si lisciò le
sopracciglia, prima di raddrizzarsi la gonna ancora una volta e
lasciare il dormitorio. Saltava ogni altro passo durante la discesa,
anche con i suoi stivali a punta alta, Lily la prendeva spesso in giro
dicendo che il suo Patronus era probabilmente una gazzella. Beh,
lo aveva fatto, fino alla fine dell’anno scorso, in Difesa Contro le
Arti Oscure, quando Mary ne aveva finalmente prodotto uno: una
leonessa.
«Ciao, Mary!» Connor Fitzpatrick, un rosso molto lentigginoso del
sesto anno, arrivò trotterellando.
Mary cercò di non alzare gli occhi al cielo, anche se era difficile. Le
tendeva imboscate in questo modo da settimane, stava diventando
stupido.
530
«Ciao, Connor.» Sorrise, proseguendo per la sua strada. L’aveva
seguita.
«Sei bellissima!»
«Grazie.»
Uff. Mary a volte si chiedeva se si fosse viziata, uscendo con Sirius
Black e poi con Roman Rotherhide in rapida successione, al sesto
anno. Il problema nell’avere i due ragazzi più belli della scuola
come primi fidanzati seri era che una volta che quelle relazioni
erano finite, le sue opzioni erano un po’ limitate. Non era
superficiale (sebbene Marlene l’avesse accusata di questo in alcune
occasioni) ma non era nemmeno facile da conquistare, nonostante
alcune voci molto sgradevoli. Il fatto era che dopo un po’ i ragazzi
diventavano noiosi. Il lato fisico delle cose era sempre la parte
migliore, non aveva mai avuto scrupoli al riguardo; un buon
momento era un buon momento, ma era tutta roba emotiva. Non
sembrava mai allinearsi perfettamente con nessuno di loro. Erano
o troppo distanti, come Sirius o troppo appiccicosi, come Roman:
si aspettavano che tu li assecondasse tutto il tempo.
«Cosa vuoi?» Marlene sospirava. «Vuoi che ti adorino?»
«No, certo che no!» Mary aveva risposto, ma era un’enorme bugia.
Perché non doveva voler essere adorata dalla persona che si stava
scopando? A cos’altro servivano gli uomini?! Marlene non l’aveva
capito, Mary era arrivata ad accettarlo.
«Cosa fai, dopo?» Connor stava chiedendo ora.
«Oh, sono molto impegnata oggi. Fino a Natale, a dire il vero.»
Scosse la testa, camminando più veloce.
Adesso erano passati attraverso il buco del ritratto e si stavano
muovendo con passo lungo per i corridoi di pietra verso l’ingresso
più vicino al parco. La seguiva come un piccolo Jack Russell
svogliato, e la sua pazienza si stava esaurendo. Anche se Connor

531
era dieci volte più bello, era un sesto anno e Mary aveva degli
standard.
«Forse nel nuovo anno, allora?» Stava al passo con lei. Stupidi
tacchi alti.
«Ehm... Guarda, non credo. Mi dispiace, Connor.»
«Oh dai, sii gentile. Sei uscita con Eric Leith, ci ha detto!»
Questo la infastidì. Avevano raggiunto una scala ora e, per sua
sfortuna, aveva deciso di iniziare a muoversi non appena erano a
metà della discesa, il che significava che dovevano fermarsi e
aspettare che avesse deciso dove atterrare. Incrociò le braccia e si
voltò a guardarlo negli occhi.
«Non so di cosa stai parlando.»
«Sì che lo fai, ce l’ha detto. Tu e lui, dietro la Testa di Porco, dice
che gli hai lasciato mettere il suo-»
Mary tirò fuori la bacchetta, furiosa ora, e la avvicinò allo stupido
mento lentigginoso di Connor.
«Ascoltami, piccolo verme! Eric Leith è un coglione bugiardo.
Sono andata a bere qualcosa con lui due volte e si è dimenticato di
portare contanti entrambe le volte e me li deve ancora. Te l’ha
detto?»
Connor scosse la testa, facendo un brusco passo indietro e quasi
inciampando sui gradini di marmo.
Lei si spinse in avanti, avanzando verso di lui. Sono una fottuta
leonessa, piccolo pervertito.
«Non avrei permesso a Eric Leith di toccarmi con un palo di chiatta
di tre metri, figuriamoci con le sue piccole mani sporche. Sono
andata con lui solo perché mi dispiaceva per lui; è patetico e anche
tu lo sei, quindi sparisci.»
La scala si ricollegò con un tonfo stridente proprio in quel
momento e Connor si arrampicò all'indietro, ritirandosi verso la
torre.
532
Più coraggioso a distanza, il viso contorto dall'imbarazzo, le
sogghignò.
«Sporca puttana! Come se mi piacessi! Ho solo provato perché tutti
dicono che sei facile.»
«Le tue parole non mi toccano.» Lei lo rimproverò, mettendo via
la bacchetta e scendendo le scale, con le guance calde e la gola
stretta. Teneva la testa alta. Non gli faceva mai vedere come ci si
sente. Non gli faaceva mai sapere che funziona. «Corri, ragazzino!»
«Mezzosangue!» Sputò dall’alto delle scale, prima di voltarsi e
scappare via.
Il respiro le si bloccò nel petto in quella occasione. Tenne la
ringhiera e strinse le labbra.
Maghi del cazzo.

533
La sorella
(Would you believe in a love at first sight?) Yes I'm
certain that it happens all the time. (What do you see
when you turn out the light?) I can't tell you, but I
know it's mine.
Oh I get by with a little help from my friends

Cara Lily,
Mamma e papà hanno detto che nella tua ultima lettera hai chiesto se potevi
portare il tuo “fidanzato” a casa per Natale quest’anno. Volevo scriverti e
dirti che penso che tu sia incredibilmente egoista. Sai che questo è il mio primo
vero Natale con Vernon, e sai quanto non vedevo l’ora che incontrasse la
famiglia come si deve.
Sono abituata a te che cerchi di rubare il mio momento in ogni occasione
possibile, e sono stata incredibilmente gentile a riguardo da sette anni ormai,
ma questa è assolutamente l’ultima goccia. Non posso credere che tu sia così
sconsiderata da invitare un po’ di romanticismo estivo fulmineo, quando
Vernon e io ci vediamo da due anni ormai. Sai cosa significa per me, e sai
come si sente riguardo agli elementi non salutari.
Se hai il coraggio di rovinare il mio Natale, non ti parlerò MAI PIÙ.
Tua sorella,
Petunia Ann Evans.

Lily trattenne le lacrime mentre finiva di leggere la lettera. Era stata


così eccitata quando la busta era arrivata sul tavolo della colazione
quella mattina, riconoscendo la calligrafia di Petunia. Era stata così
sciocca da conservarla, da tenerla per dopo, quando avrebbe
potuto leggerla in privato.

534
Ed ora eccola lì, nel suo posto preferito vicino alla finestra nella
Sala Comune di Grifondoro, con le mani tremanti e sul punto di
piangere.
Ripiegò la lettera e se la fece scivolare in tasca. Scosse ferocemente
la testa e guardò fuori dalla finestra, respirando profondamente e
desiderando che il nodo alla gola si ritirasse.
«Per quella stupida vacca non vale la pena piangere!» Queste erano state
le parole di Severus, Lily non poteva fare a meno di sentirle ogni
volta che Petunia le faceva male. Anche dopo tutto quello che Sev
aveva fatto, era comunque un conforto. «Vali dieci di lei!»
Meglio non pensare nemmeno a Sev per troppo tempo, altrimenti
non smetterebbe mai di piangere.
Si soffiò il naso nel fazzoletto di tasca e guardò in alto. Mary una
volta le aveva detto che se stava per piangere alzare lo sguardo
aiutava. “Salva il tuo mascara” aveva sorriso. Lily sorrise pensando
a questo, e si sentì meglio.
Ugh beh, questo è stato risolto. James sicuramente non poteva
venire per Natale. Anche lei lo avrebbe voluto lì. Lily si sentiva
sempre di più un’estranea quando faceva visita a casa. Ormai a
Cokeworth non aveva quasi nessun amico; andavano tutti alla
scuola di Petunia, alla Grammatica locale, e facevano O-Levels o
A-Levels, oppure andarono al college di dattilografia. Alcuni di
loro avevano anche un lavoro o fidanzati fissi sul punto di fare una
proposta. Lily non poteva dire a nessuno di loro quali fossero i suoi
piani o nulla su Hogwarts, che pensavano fosse una scuola privata
ultra elegante, come Cheltenham Ladies’. Sapeva che tutti
pensavano che fosse un po’ snob ora, e sospettava che potesse
avere qualcosa a che fare con Petunia.
Ovviamente, non c’era dubbio che Lily non potesse andare a
Natale dai Potter, per quanto le sarebbe piaciuto. I Natali della
famiglia Evans erano estremamente importanti per i suoi genitori,
535
in particolare per suo padre, che era sempre così felice di vedere
Lily tornare a casa dopo il periodo scolastico. Doveva solo
spiegarlo a James, fortunatamente sapeva che avrebbe capito. Era
stata una vera rivelazione, forse la più sorprendente di tutte,
scoprire quanto potesse essere comprensivo e premuroso James. Il
modo in cui si era preso cura di Remus glielo aveva dimostrato.
Probabilmente era ora di andare a incontrare James adesso, in
realtà; il suo allenamento doveva finire in un minuto o due. Si
asciugò rapidamente sotto gli occhi solo per essere sicura e guardò
il suo riflesso spettrale nel vetro della finestra per controllare il suo
viso. Lily arrossì per la propria femminilità. Non si era mai
preoccupata di come appariva prima.
Uscì dalla sala dei ritratti e si diresse verso i giardini. Sarebbe stato
di buon umore, subito dopo l'allenamento, anche se fosse andato
male. Più suscettibile di cattive notizie. Lily ripeté nella sua testa
esattamente quello che aveva intenzione di dire, meglio non
menzionare la lettera di Petunia, meglio inquadrarla come una sua
idea. Non voleva che James sapesse cosa pensava sua sorella
riguardo alla magia o riguardo ai maghi o niente di tutto ciò. Era
già abbastanza brutto che fosse un purosangue e lei doveva
spiegargli ogni altra cosa babbana.
Non era giusto, si rimproverò, almeno a James importava
abbastanza da chiedere, almeno era sinceramente interessato.
Ricordò lo sguardo disgustato di Piton quando faceva qualsiasi
cosa per ricordargli il suo stato di nata babbana. E lui era un
mezzosangue.
«Scusa!» Connor Fitzpatrick, un ragazzo Grifondoro più giovane,
la superò di corsa, urtandole una spalla, con forza.
«Ehi!» Gridò Lily, mentre lui continuava a marciare verso la Sala
Comune. Ne avrebbe preso nota. Perché i ragazzi dovevano essere
così maleducati?
536
Si risistemò il vestito, in fretta. Era un bel grembiule blu navy sopra
un maglione color crema con collo alto. Un po’ più bassa di quanto
le piacesse, ma indossava dei bei collant spessi e Mary continuava
a dirle che le sue gambe erano la sua caratteristica migliore. Potter
era d’accordo e lei lo aveva picchiato per questo, anche se
segretamente ci pensava tutto il tempo.
Scese lentamente i gradini, sentendo il profumo di pino, arancia e
chiodi di garofano. Il Natale a Hogwarts era meraviglioso e pensare
che sarebbe stato l’ultimo! Ricordò il primissimo giorno,
attraversando il lago sulla piccola barca a remi con Severus, seduta
nella Sala Grande e fissando tutto. La magia non aveva mai smesso
di stupirla. Se avesse potuto fare a modo suo, non se ne sarebbe
mai andata.
Lily aveva avuto alcune chiacchierate con la McGranitt, all’inizio di
quell’anno, su cosa fosse necessario per diventare un’insegnante a
Hogwarts. La McGranitt era stata gentile, ma le aveva suggerito di
provare prima un lavoro al di fuori della scuola. Fare un po’ di
“esperienza di vita”. Abbastanza giusto, pensò Lily. Sapeva molto
poco del mondo magico, davvero. Inoltre, l’unica cosa che Lily
pensava di essere abbastanza brava da insegnare erano Pozioni, e
Lumacorno non sembrava destinato a ritirarsi presto. Forse un
lavoro in un farmacista. Il suo gentile professore di Pozioni le
aveva detto che aveva un certo numero di contatti in quella zona,
se lei era interessata.
Prese nota di parlarne con James, qualche volta. Apprezzava la sua
opinione su quel genere di cose e, dopotutto, suo nonno era stato
un famoso pozionista.
«Oh, ciao Lily!» Mary stava uscendo da uno dei bagni della ragazza
vicino al grande ingresso. Sembrava una modella uscita dalla rivista
Jackie. Mary amava le giornate non uniformi.
«Ciao!» Lily sorrise. «Incontro con Marlene.»
537
«Sì, incontro con Potter?»
«Sì.»
Camminarono insieme a braccetto, stringendosi insieme mentre
uscivano nella fredda aria invernale. Mary aveva un odore molto
buono, un profumo che un ragazzo le aveva comprato l’ultimo
giorno di San Valentino. Lily avrebbe voluto avere così tanta
fiducia in sé stessa.
«Come sta Potter? Siete già andati fino in fondo? Pacchetto
completo?»
«Oh mio Dio, Mary...»
«Che cosa?!» Lei ridacchiò civettuola. «Sono solo curiosa. Non ho
mai avuto James. Nemmeno un bacio.»
«Sono contenta.» Lily alzò gli occhi al cielo.
«Due su quattro non sono male. Non mi è mai piaciuto Peter,
povero ragazzo.»
«Mhh, non sono ancora sicuro di crederti riguardo a Remus...»
«Chiedi a lui.» Lei scrollò le spalle, sicura di sé. «Cosa fate voi due
dopo? Vi rilassate al solito posto sul bel divano?»
«Devo dirgli che non può venire a casa con me per Natale.» Lily si
morse il labbro, accigliata. Avevano raggiunto il campo ora, e i
giocatori stavano appena atterrando, a quanto pareva. Salutarono
Peter, seduto in tribuna. «Petunia non vuole, il suo ragazzo sta
trascorrendo le vacanze da noi, quindi immagino che non sia
proprio giusto...»
«Ugh, stronza Petunia.» Mary disse. «Quel suo ragazzo dal collo
grosso potrebbe essere grosso, ma non occupa molto spazio.
Dovresti venire nel nostro appartamento il giorno di Natale:
quindici di noi intorno al tavolo, e questa è una cena tranquilla.»
«Sì, ma non voglio farla arrabbiare...» Lily era distratta ora,
guardando la discesa di James.

538
Dio, era dannatamente fantastico su una scopa. Sentì un caldo
rossore accendersi sotto il collo della polo, salire lentamente verso
le sue guance. La notte precedente erano andati un po’ più in là del
solito, e lui aveva infilato la mano sotto l’elastico del reggiseno di
lei. Lei aveva sussultato, e lui aveva ansimato, e lui aveva
mormorato contro le sue labbra «Oh Lily. Oh, così adorabile..». si era
praticamente dissolta in una pozzanghera.
«Comunque.» Stava dicendo Mary. «Sei completamente fuori di
testa per quel ragazzo. Tutto è lecito in amore e in guerra, no?»
«Mmh...» mormorò Lily, non ascoltando veramente.

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La stronza
Some people think little girls should be seen and not heard But I say...
Oh Bondage! Up yours!

Bind me, tie me


Chain me to the wall I
wanna be a slave to you all
Oh bondage, up yours!
Oh bondage, no more!
Oh bondage, up yours!
Oh bondage, no more!

Marlene aveva fatto un giro veloce intorno al campo di Quidditch


mentre James aveva sfondato il nuovo cacciatore, Eriksson. Era
spazzatura, ma il meglio che erano riusciti a ottenere in breve
tempo. Oh bene, pensò Marlene tra sé e sé, avevano vinto la coppa
ogni anno da quando era entrata nella squadra, non avrebbe avuto
alcun problema se l’avessero persa quest’anno.
Volò più veloce che osava, godendosi il vento sul viso, fischiando
oltre le sue orecchie, le tribune sottostanti. Afferrò la sua mazza e
fece un paio di colpi di pratica. Le mancherà molto colpire le cose,
una volta finita la scuola.
Era nervosa. Era solo energia nervosa, si disse. Non appena
Marlene affrontò il pensiero, il suo cuore iniziò a battere forte, il
suo stomaco si capovolse e dovette rallentare e volare più in basso
per smettere di vacillare. uff. Non mi sentivo così da un po’. Sorrise
e si concesse di essere felice. Per sentire la felicità, disinibiti e senza
vergogna o imbarazzo.

540
James fischiò e lei atterrò rapidamente, desiderosa di farsi una
doccia. Poteva vedere Lily e Mary che l’aspettavano, beh, molto
probabilmente Lily stava aspettando James, e sperava di evitarli
ancora per un po’.
«Va tutto bene, McKinnon?» Yaz la chiamò da vicino agli
spogliatoi. «Ti stai divertendo lassù?»
Marlene alzò gli occhi al cielo e fece finta di ignorarla. Era accaldata
per l’esercizio, quindi il suo viso era già rosso: un pratico
camuffamento. Si precipitò in fretta in una cabina doccia, volendo
prendere quella in fondo che aveva il miglior controllo della
temperatura.
«Ooh stronza!» Yaz chiamò dalla cabina doccia successiva mentre
Marlene si spogliava. «Dovrebbe essere a Serpeverde!»
«Chi dorme non piglia pesci, Patel!» Gridò Marlene, sorridendo tra
sé e sé. Girò la manopola alla sua temperatura perfetta; non troppo
calda ma con un bel calore, abbastanza da far fuoriuscire pennacchi
di vapore sopra la cabina. «Aah!» Gridò, per infastidire di più Yaz.
«Proprio come mi piace!»
Ci fu silenzio per un momento e poi, a bassa voce, in modo che
solo loro due potessero sentirlo. «Sfacciata impertinente.»
Marlene inclinò la testa all’indietro per bagnarsi i capelli e si morse
il labbro. Quello era stato ancora il segno più sicuro. Le farfalle
tornarono nel suo stomaco.
Yaz si era unita alla squadra di Quidditch solo questo trimestre: era
una Grifondoro del sesto anno con cui Marlene aveva parlato solo
una o due volte prima. Ma da settembre si vedevano molto, quando
lei si qualificò come nuovo portiere. Era brillante, atletica e tattica,
la corporatura, l’equilibrio e la forma perfetti.
All'inizio Marlene aveva apprezzato la sua abilità. Poi, dopo che il
crepacuore dell’estate aveva fatto il suo corso, Yaz era diventata
una piacevole distrazione.
541
Con Mary non sarebbe mai successo, Marlene l’aveva accettato
molto tempo prima, o pensava di averlo fatto. Dopo la
sorprendente rivelazione di Remus quella prima notte in
Cornovaglia, la tensione era diventata quasi insopportabile per
Marlene e lei aveva raccontato tutto alla sua migliore amica in un
turbinio di lacrime e baci desiderosi. Una volta che si era calmata,
Mary l’aveva abbracciata forte e le aveva accarezzato i capelli come
una madre, mentre faceva scendere dolcemente Marlene.
«Non è questo quello che provo per te. Ti amo. Ma non in questo senso.»
Dopo quattro anni passati ad adorare la sua vivace, splendida ed
esasperante amica, Marlene l’aveva presa più duramente di quanto
si aspettasse.
Cercò di non prendersela con Mary, che non l’aveva mai ingannata,
non aveva mai fatto nulla che non avrebbe dovuto, non
consapevolmente. Ma è stato comunque difficile. Marlene si
sentiva malissimo; che tipo di persona orribile sarebbe lei, per
arrabbiarsi con la sua migliore amica per qualcosa che nessuno dei
due poteva decidere? Che razza di stronza senza cuore?
Quindi quando Yaz aveva flirtato per la prima volta, sì... Marlene
era sicura che stesse flirtando, era stata riluttante a rispondere. Fare
lo stesso terribile errore due volte sarebbe stato più di quanto
potesse sopportare. Così ha aspettato, ed è stata amichevole, ma
non troppo. Ogni occhiolino dell’altra ragazza era stato accolto da
un sorriso luminoso di Marlene. Ogni timido commento con una
risatina innocente. Ma ora era sicura. Le farfalle sbatterono di
nuovo le ali e si sentiva bene. Eccitante. Iniziare qualcosa di nuovo.
Dopo l’estate, aveva pensato che non avrebbe mai più provato
quella sensazione, le possibilità sembravano così incredibilmente
accumulate contro di lei.
Mentre Marlene si lavava i capelli, per qualche ragione pensò a
Remus. Qualche volta, ultimamente, aveva pensato di parlargli. Si
542
sentiva in colpa; Remus era sempre stato una figura così
problematica, così coraggiosa e forte eppure per qualche ragione
così repressa e rinchiusa. Pieno di emozioni ma apparentemente
incapace di esprimerne nessuna. E ora sapevano tutti perché, si
sentiva così dispiaciuta per lui. Avrebbe voluto dire qualcosa, di
ritorno dalle lezioni di guarigione, che era l’unica volta in cui erano
soli, di solito. Avrebbe voluto aspettare un corridoio vuoto,
sfermasrsi, girarsi verso di lui e dire molto piano. «Anche io,
Remus. Non sei solo.»
Ma non l’aveva fatto, e il tempo stringeva. Abbastanza presto,
nessuno se avesse più importanza; la scuola sarebbe finita e loro
avrebbero cominciato la loro vita, mettendo via le cose infantili.
Marlene lesse i giornali. Sapeva cosa sarebbe successo e sapeva che
non ci sarebbe stato più tempo per problemi egoistici.
«Ehi, McKinnon.» La voce dolce e cantilenante di Yaz chiamò
sopra le docce sibilanti. «Ho un livido, puoi dare un’occhiata? Ho
sentito che sei l’allieva stellare di Chips...»
«Uhm... Okay, posso guardare, solo un minuto...» Marlene chiuse
rapidamente la doccia e si strizzò i capelli.
Faceva schifo con gli incantesimi di asciugatura, quindi avrebbero
dovuto solo essere infilati sotto il suo cappello invernale di lana
finché non si fossero asciugati.
Bussò alla porta del suo cubicolo. Marlene si avvolse rapidamente
in un asciugamano e aprì la porta, le mani che tremavano un po’.
Anche Yaz era in un asciugamano, i lunghi capelli scuri attorcigliati
in una corda di velluto nero su una spalla, gli occhi neri scintillanti
come due galassie gemelle, pieni di scherno e malizia.
Marlene dovette lottare per non mordersi di nuovo il labbro.
«Mmh.» Yaz sorrise compiaciuta, entrando e chiudendo la porta
dietro di lei. «Bello caldo qui.»

543
«Dov’è uhm... il... livido?» Marlene respirò, osservando il vapore
posarsi sulle calde spalle marroni di Yaz e rotolare giù in rivoli,
inzuppandosi nell’asciugamano sottile.
«Cosa fai dopo?» Yaz chiese ancora sorridendo. «Ti va di fare una
passeggiata?»
«Ehm... La mia amica Mary è fuori...»
Yaz scrollò le spalle. «La vedi sempre. Vieni a fare una passeggiata
con me.»
«Ehm. Sì. Okay.» Oh wow. Ora stava succedendo, non aveva
proprio idea di cosa fare. «Il livido?»
«Oh sì.» Rise Yaz gettando indietro la testa e toccando con un dito
la linea della mascella. «Proprio qui...»
Marlene si sporse in avanti per vedere e Yaz girò dolcemente la
testa, cogliendola in un bacio, pieno di labbra.
Farfalle.

544
Il puzzle
When the day is done
And the sun goes down
And the moonlight’s shining through
Then like a sinner before the gates of heaven I’ll
come crawling home back to you.

Stava per dirlo a James. Non appena sapeva cosa dire. Cazzo, come
mai era stato così facile per Moony? Doveva essere una delle grandi
ironie della vita che il misterioso, indefinibile e incomprensibile
Moony era stato in grado di sopportare la sua anima in modo così
semplice e senza sforzo. Ma quello era tutto Remus. Non appena
credevi di aver capito abbastanza per vederlo chiaramente, un’altra
parte si rivelava e l’intera immagine si trasformava davanti ai tuoi
occhi. Strato dopo strato, finché non ti rendevi conto di non aver
mai conosciuto veramente Remus. Era stato affascinante e
frustrante.
James era l’opposto; quello che vedevi era quello che avevi, e Sirius
lo amava ferocemente per questo. Perché sapevi dov’eri. Non ti
spiazzava, né lasciava spazio a fraintendimenti. Non avevano mai
litigato, non in sette anni di amicizia, e per quanto riguardava Sirius
Black quello era a dir poco miracoloso. Avevano “discussini”,
ovviamente, non era estraneo al tono di rimprovero di James o
anche alla sua delusione, che era molto peggio. Gli venne in mente
il quinto anno, anche se Sirius cercava sempre di dimenticarlo non
appena lo ricordava.
Il punto era che James Potter e Sirius Black erano quasi sempre in
perfetta armonia, ed era stato così da quando si erano incontrati
sull’Hogwarts Express. James era la sua altra metà, la sua metà

545
migliore. Il fatto che fosse successo qualcosa nella vita di Sirius di
cui James non fosse a conoscenza sarebbe stato impensabile due
anni fa.
Era quello che aveva fatto Moony. Era semplicemente entrato e
aveva capovolto tutto e poi era svanito prima che potesse
riprendere fiato. Sirius a volte si sentiva come se avesse passato gli
ultimi due anni cercando di capire da che parte fosse. Non che
Sirius si stesse lamentando, non che non fosse dannatamente
fantastico, ma sarebbe stato il primo ad ammettere che non era
bravo in questo genere di cose. Non era come se gli fosse mai stato
dato un esempio.
Remus avrebbe potuto metterci una data. Era stato così chiaro per
lui; sapeva il preciso momento in cui tutto era cambiato, ma Sirius
non si era reso conto. Ovviamente doveva esserci stato un
momento, un secondo in cui si era improvvisamente reso conto.
Ma non spiccava nulla. Non aveva sempre pensato che Moony
fosse un po’ speciale? Non aveva sempre voluto avvicinarsi un po’?
Sirius gemette e affondò la testa nel cuscino accanto a lui.
Sì, doveva assolutamente dirlo a James.
Stare con Moony era stato facile. Dirlo ad altre persone non lo era.
Si alzò, dal letto. Una mossa decisiva. Ci aveva pensato abbastanza
per un giorno. Stava diventando troppo complicato, meglio trovare
qualcos’altro a cui pensare. Sirius sapeva per esperienza che se
passava troppo tempo da solo la sua mente iniziava a parlare. Gli
diceva cose che non gli piaceva sentire su se stesso. Su quello che
gli altri pensavano di lui. Meglio interromperla, lasciare che qualcun
altro lo distragga.
Dov’era Prongs? Quidditch. Il che significava che Peter avrebbe
guardato. Sirius non poteva sopportare di sedersi accanto a
Wormtail sugli spalti, guardando Prongs divertirsi e fingere che
non fossero entrambi pazzi di gelosia.
546
Comunque, se l’allenamento era finito significava che Evans
sarebbe stata lì per incontrare James e Sirius non era ancora così
patetico da seguire quei due in giro sperando in un briciolo di
attenzione. Beh, questo non gli lasciava davvero scelta, decise
Sirius con un sorrisetto tra sé e sé. Moony. Andò al comodino di
Remus e tirò fuori la Mappa del Malandrino.
Sì, c’era Prongs che sfrecciava avanti e indietro attraverso il campo
ovale. Peter sugli spalti, Marlene che percorreva il perimetro,
probabilmente annoiata povera ragazza, le esercitazioni di James
potevano diventare noiose. Evans e MacDonald sembravano
essere insieme, appena entrate nel parco adesso. Osservò le loro
bandierine, il progresso costante. L’etichettatura era stata un’idea
di Remus, ma i delicati rotoli di testo erano stati di Sirius. Era
andato tutto molto bene, producendo una spettacolare impresa di
magia, ma la presentazione era tutto. Quella era la differenza tra lui
e Remus, tra la loro magia comunque; potenza pura contro finezza
spontanea.
Regulus era nei sotterranei. Sirius non poté fare a meno di
controllare. Era solo bello sapere che era dove avrebbe dovuto
essere. Forse se era circondato da Serpeverde non stava
tormentando nessun altro, per una volta. Sirius sapeva che non
erano affari suoi, che doveva tagliare i ponti con suo fratello, che
era solo un altro mangiamorte ora, solo un altro nemico. Ma era
più difficile di quanto potesse gestire. A volte, se non aveva altro
da fare, spiava Regulus. Come quel giorno a Hogsmeade ed era
tornato utile allora, no? Aveva salvato Moony e quel fastidioso
ragazzino del sesto anno, completamente per caso.
Ora, dov’era Moony...? Sirius esaminò la mappa, tutti i soliti posti:
l’aula di Incantesimi (Sirius non riusciva mai a ricordare quando
erano programmate le sessioni di studio), la biblioteca, le cucine...
ma no, non era in nessuno di questi posti.
547
Sirius cercò di non diventare troppo nervoso mentre cercava
velocemente il suo amico, non era in nessuno dei suoi soliti
nascondigli, e perché Remus avrebbe dovuto nascondersi? C’era
qualcosa che non andava, di cui Sirius non era a conoscenza? Era
sempre una possibilità. Aveva lasciato di nuovo la scuola, come
quella volta che era andato ad affrontare il lupo mannaro?
Oh Merlino, con cosa diavolo aveva deciso di fare i conti adesso quello stupido
idiota?!
Ah. No. Eccolo lì. Remus Lupin, recitava la bandiera e Sirius dovette
ridere di sé stesso. Era solo nella maledetta Sala Comune. A pochi
metri di distanza.
Sirius rimise a posto la Mappa e si raddrizzò. Si guardò allo
specchio mentre lasciava la stanza, giù per le scale. Avrebbero
potuto passare un’ora o due da soli prima di cena a patto che
nessuno salisse nella stanza del dormitorio. Una partita di gobbiglie
o una sveltina o semplicemente ascoltare un disco, forse. Quanto
tempo era passato dall’ultima volta che avevano avuto un po’ di
tempo per rilassarsi insieme? Ovviamente, Remus sembrava voler
fare qualsiasi cosa tranne rilassarsi in questi giorni; era lavoro,
lavoro, lavoro.
Sirius raggiunse il fondo delle scale e si guardò intorno, cercando
Remus. La Sala Comune era quasi vuota, solo un gruppetto di
ragazzi del primo anno che si scambiavano carte delle Cioccorane
in un angolo, uno del quinto anno collegato alle cuffie, la testa che
dondolava selvaggiamente dal davanzale della finestra. Remus era
accasciato nella sua poltrona preferita, la testa appoggiata su un
gomito piegato, un enorme libro in grembo. Era addormentato
profondamente, russando molto dolcemente. Sirius si allontanò da
lui, le mani sui fianchi e sorrise. Lavoro, lavoro e lavoro. Doveva
essere sfinito.

548
Sirius cedette. Forse Moony non aveva bisogno di un’ora per
distrarre Sirius dai suoi pensieri proprio adesso. Forse aveva solo
bisogno di un bel lungo sonno. Si allontanò e si sedette sul divano
di fronte. Prese una copia della Gazzetta del Profeta e iniziò a fare
il cruciverba, alzando lo sguardo tutte le volte che ne aveva il
coraggio.
Sembrava così diverso addormentato. Senza i suoi occhi acuti e
vigili aperti il viso di Remus si addolciva, sembrava più giovane e
più fragile. Cicatrici argentee catturavano la grigia luce invernale,
l’unico segno esteriore di quanto fosse incredibilmente forte
Remus. Com’era resiliente.
Sirius ricordava di voler essere Remus. Le rockstar che Sirius aveva
adottato come eroi in quegli anni erano sembrate tutte molto più
simili a Moony, erano appartenute al suo mondo. Remus era feroce
e freddo, leggermente selvaggio; non prendeva merda da nessuno,
men che meno dagli adulti. A Grimmauld Place, durante le
vacanze, Sirius pensava al suo amico mezzosangue, chiedendosi
cosa avrebbe detto se Walpurga lo avesso avuto faccia a faccia.
Non si sarebbe spaventato. Non si sarebbe arreso.
E così, Sirius non poteva mai essere sicuro di un momento
specifico, o di un cambiamento improvviso. Perché forse gli era
sempre sembrato inevitabile. Perché a chi altro avrebbe potuto
appartenere Moony? Chi altro, se non Sirius, poteva desiderarlo
così tanto?
Il buco del ritratto si aprì dietro di lui e una folata di aria fredda si
precipitò dentro, disturbando il calore del loro focolare.
Sirius sospirò, sentendo i passi familiari di James dietro di lui e la
risata musicale di Lily. Si preparò a forzare un sorriso e rubò
un’ultima occhiata a Remus che era ancora profondamente
addormentato, le guance arrossate.

549
«Sorvegliante!» James saltò oltre lo schienale del divano, cadendo
accanto a Sirius e colpendolo sul braccio.
Sirius lo colpì indietro. «Tutto bene? Buon allenamento?»
Remus si svegliò stiracchiandosi, sbadigliando e sorridendo
stupidamente a Lily, che gli diede una pacca sulla testa,
appoggiandosi alla sua sedia.
«Scusa amore.» Disse dolcemente. «Non volevo svegliarti.»
«Non volevo addormentarmi.» Replicò Remus sollevando il
pesante libro sull’altro bracciolo della sedia, poi massaggiandosi le
cosce come se fossero doloranti.
Alzò lo sguardo su Sirius e gli rivolse un sorriso veloce e segreto.
Sirius distolse lo sguardo, timidamente.
Mary e Peter erano entrati con loro e si erano fermati un po’
goffamente intorno. Niente Marlene. Sirius si chiese se stessero
litigando di nuovo, Marlene era stata davvero cupa ultimamente, e
quasi per niente presente.
«Sto solo scaricando il mio kit.» Disse James, salutando il suo
grande borsone da Quidditch, ammucchiato sul pavimento. «Poi
vado giù per un tè. Volete venire?»
«Sai cosa...» Disse Peter all'improvviso, guardando la sua scacchiera
su uno scaffale alto nell'angolo più lontano della stanza. «Penso che
resterò qui e vedrò se a qualcuno va di fare una partita.»
«Verrò con te.» Disse Mary. «Vedo se Roman è in giro.»
«Pensavo che voi due vi foste lasciati?» Lily alzò un sopracciglio.
Mary si strinse nelle spalle, mano sul fianco.
Sirius conosceva quello sguardo abbastanza bene; Mary voleva
qualcosa e stava per ottenerlo.
«Moony? Padfoot?» James guardò i suoi due amici.
Remus sbadigliò. «No, scusa amico. Troppe letture.»
Sirius alzò il cruciverba. «Stavo facendo questo, in realtà.»

550
«Strani.» James sbuffò, prima di sollevarsi, con la stessa rapidità con
cui si era messo a suo agio. «Va bene, dammi cinque minuti,
Evans.»
E si avviò a grandi passi verso il dormitorio con la sua borsa,
fischiettando allegramente.
Passarono cinque minuti e tutti chiacchierarono prima di dirigersi
in direzioni diverse, salutando con la testa e infine lasciando la
scena pacifica come l’avevano trovata. Sirius e Remus non si erano
mossi, avevano solo fatto finta di guardare il loro libro e il
cruciverba; due amici contenti della reciproca compagnia.
Soli, entrambi alzarono lo sguardo. Gli occhi di Remus bruciavano
così luminosi, erano così pieni di ogni oscuro segreto, ogni
momento privato. Sirius deglutì asciutto, elettrizzato e stupito.
Remus sorrise, e la sua forza fu sufficiente per mettere fuori
combattimento Sirius.
«Tutto bene?» Chiese Remus dolcemente.
«Sì.» sussurrò Sirius di rimando.

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552
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Bootleg Tapes

555
INDICE
1. Hope; 1965 557
2. Sirius; 1976 564
3. Padfoot & Prongs; 1978 569
4. Grant; 1977 575
5. Sirius; San Valentino 1978 589
6. Papa, perché 598

556
Hope; 1965
While I’m far away from you, my baby I
know it’s hard for you, my baby.
Because it’s hard for me my baby
And the darkest hour is just before dawn.

«Non sei mai stata una ragazza molto intelligente, Hope.»


«No, mamma.» Hope fissò la sua tazza di tè.
Niente latte, solo una fetta di limone, servita in una tazza da tè
adeguata con un piattino che aveva un design a foglia di rosa
abbinato. Avrebbe dovuto ricevere un set simile quando si era
sposata, ma Lyall non aveva voluto babbani al ricevimento.
Sua madre sbuffò ad alta voce.
«Ho sempre detto che non era bravo. Un uomo così: niente
famiglia, niente chiesa. E non hai mai spiegato esattamente cosa
faceva per lavoro.»
«Era nel consiglio locale.» Hope rispose. Posò la tazza da tè sul
tavolino nel soggiorno di sua madre.
«Consiglio?» Sua madre chiese illuminandosi un po’. «Beh, è già
qualcosa. Ha lasciato una pensione? Proprio niente?»
«Un po’. Ma voglio tenerla per Remus.»
Sua madre sbottò di nuovo. Pensava fosse un nome sciocco. Hope
aveva cercato di scendere a compromessi e aveva dato anche a suo
figlio il nome di suo padre, ma Remus John sembrava anche
peggio, secondo sua madre.
La signora Jenkins preferiva fingere che il bambino di Hope non
esistesse affatto, anche quando dormiva nella camera da letto al
piano di sopra. Hope voleva andare subito a controllarlo, dargli
una coccola, ma non osò alzarsi; sua madre lo chiamava viziare e

557
Hope non voleva litigare. Dormiva molto, probabilmente era
normale per i bambini di cinque anni.
Ma Remus non era un normale bambino di cinque anni, non più.
Un dolore colpì Hope nel profondo del suo petto; crepacuore.
Chinò la testa, lasciando cadere i capelli in avanti, chiuse gli occhi
e lasciò che le lacrime le scorressero lungo le ciglia.
Ho bisogno di te, Lyall. Come hai potuto farmi questo?
«E cosa pensi di fare per i soldi? Non posso sostenerti, non alla
mia età.»
«Pensavo di poter tornare al vecchio lavoro.» Disse Hope, appena
sopra un sussurro. «Gethin ha detto quando me ne sono andata
che sarei potuta tornare se avessi voluto. Hanno sempre bisogno
di operatori.»
«Aveva un debole per te, se ricordo bene.» Sua madre disse.
Sembrava pensierosa; non stava davvero parlando con Hope ora,
stava pianificando. Hope conosceva abbastanza bene il modo in
cui la mente di sua madre lavorava; sempre intrigante, riordinando
e appianando. Facendo correzioni. Gli ultimi sei anni erano stati
un errore, che presto sarebbe stato corretto.
Non era una novità per Hope; altre persone avevano preso
decisioni per lei per tutta la vita. Prima sua madre, che le consigliò
di lasciare presto la scuola e di trovare un lavoro alla centrale
telefonica. Poi Lyall, che aveva seguito in un altro mondo. Ora se
n’era andato, ed era tornata dalla madre.
Non sei mai stata una ragazza molto intelligente.
Non le era stato nemmeno chiesto per il funerale. Si occupava di
tutto il suo popolo: strani ometti in abiti che potevano sistemare
qualsiasi cosa con un movimento della loro bacchetta. Erano stati
molto gentili con Hope, ma l’hanno trattata come una bambina, e
per giunta particolarmente stupida. Uno di loro aveva preso tutte

558
le cose di Lyall: i suoi libri e la sua bacchetta. Le fu permesso di
tenere la casa, ma le fu consigliato di venderla.
«È davvero la casa di un mago, signora Lupin.» Sorrisero appena. «Non
adatta ad un’abitazione babbana. Certo, può provare...»
Ma no. Gli incantesimi che Lyall aveva messo in atto non l’avrebbero più
lasciata entrare, e comunque, aveva bisogno di soldi. I maghi avevano un vago
interesse per Remus, anche se lei aveva fatto del suo meglio per tenerlo nascosto
alla vista, Lyall aveva messo in lei la paura di questo. Se qualcuno avesse
anche solo sospettato cosa fosse successo al suo bambino, lo avrebbero portato
via e rinchiuso.
«Ha mostrato qualche abilità magica?» Aveva chiesto un uomo alto e
tranquillo. Aveva una lunga barba bianca e penetranti occhi azzurri, e Hope
era terrorizzata da lui.
Lei annuì.
«Fa galleggiare tutti i piatti della cena, a volte.» Lei confermò.
Non aveva menzionato nient’altro che Remus aveva fatto. Che la prima volta
che il cambiamento era avvenuto in lui; la prima volta che il suo povero
bambino era stato messo al rovescio da quel terribile mostro, era stato così
spaventato che aveva fatto sparire la porta e Lyall aveva dovuto barricarlo
dentro con l’armadietto delle porcellane alla fine. Forse quella era stata l'ultima
goccia, per Lyall.
«Molto bene.» Sorrise il vecchio. «Riceverà la sua lettera di Hogwarts dopo il
suo undicesimo compleanno.»
Non sapeva cosa rispondere, ma cercò di sembrare contenta. Hope voleva che
Remus fosse come suo padre, meglio che essere come lei, ma non riusciva a
vedere come avrebbe mai potuto entrare in una scuola esclusiva come quella,
non ora.
«Hope, mi stai ascoltando?» Sua madre scattò.
Hope sbatté le palpebre e alzò lo sguardo. «Scusa, mamma.»
«Ho chiesto del ragazzo. Hai detto che avevi preso accordi?»
«Oh. Sì.»
559
Il vecchio che aveva chiesto di Remus l’aveva aiutata anche in
questo. Era stato carino a riguardo. Disse che dipendeva
interamente da lei, ma che conosceva qualcuno, se aveva bisogno
di aiuto. Qualcuno che sarebbe stato discreto. La mise in contatto
con una donna di nome Mrs Orwell, che gestiva una casa per
ragazzi. Era nell’Essex, ma forse Remus avrebbe fatto meglio se
avesse iniziato in Inghilterra, non era come se ci fossero
opportunità migliori in Galles. Hope sapeva quanto fosse difficile
sentirsi un estraneo, e Remus ne avrebbe già avuto abbastanza.
«Lo prendono domani.» Hope disse a sua madre. «Prenderemo il
treno.»
«Devo venire con te?» Sua madre si addolcì. Lo diventava sempre,
quando Hope era obbediente.
Hope scosse la testa. Le lacrime le rigavano le guance, ma non se
ne accorgeva più. Era difficile credere che non si fosse raggrinzita
come un chicco d’uva, tutte le lacrime che aveva versato
ultimamente.
Sua madre si alzò e venne a sedersi sul bracciolo del divano. Cinse
Hope con un braccio e la strinse dolcemente.
«Ecco là, amore mio. È la cosa giusta. La cosa migliore. Sei
giovane, ancora, ti riprenderai. Dagli un anno o giù di lì, e sarà
come se niente di tutto questo fosse mai successo, te lo prometto.»
Hope si asciugò gli occhi e si alzò, allontanandosi da sua madre.
«Vado a controllarlo.»
«Non so se è saggio...»
«Vado a controllare mio figlio, madre.»
Salì lentamente le scale strette. Tappeto marrone, carta da parati
marrone. Tutto sembrava così banale, dopo Lyall. Si sentiva come
Judy Garland alla fine del Mago di Oz: l’uragano era passato e il
mondo era tornato in bianco e nero. Hope non aveva mai capito

560
perché Dorothy fosse così felice di essere a casa. Chi non
sceglierebbe il colore?
In cima al piccolo pianerottolo buio c’erano tre porte chiuse: la
camera dei suoi genitori, il bagno e la camera da letto della sua
infanzia. La sua attuale camera da letto, in realtà, finché non avesse
potuto mettere da parte abbastanza per una fuga. Pensò di nuovo
ai soldi di Lyall. No. Quelli non erano suoi.
Aprì lentamente la porta. Non scricchiolava, ma il tappeto si
impigliava sempre e faceva un rumore sgradevole se lo spingevi.
All’interno le sottili tende gialle erano tirate, proiettando tutto in
un caldo bagliore burroso.
Il suo abito nero del funerale era appeso all’anta dell’armadio.
L’aveva comprato apposta, perché non aveva mai posseduto nulla
di nero prima, era costato una fortuna. Erano stati tutti in vestaglia,
gli amici di Lyall, e lei si era sentita come l’insolita.
Era così strano essere di nuovo in quella stanza; tutto sembrava
piccolo e antico, anche se in realtà erano passati solo sei anni
dall'ultima volta che aveva dormito lì. Tutto era ancora al suo
posto. La sua piccola toletta di vimini dipinta di bianco, che
probabilmente aveva ancora un pacchetto di sigarette nascosto in
uno dei cassetti in basso, insieme ai rossetti e agli ombretti per cui
lei e suo padre avevano litigato quando aveva quindici anni. Un
poster dei Monkees sulla parete sopra il letto, accanto a una stampa
di Arthur Rackham.
La cosa più strana era il bambino rannicchiato sul copriletto color
lavanda. Ancora profondamente addormentato, tutto riccioli
dorati e guance paffute e piccoli pugni grassi. Il suo cuore perse un
battito, come aveva fatto fin dal primo momento in cui lo aveva
tenuto tra le braccia. Il suo bambino.
Si sedette con cautela sul letto e si sdraiò accanto a lui. Si mosse
un po’, sbadigliò e si allungò. Gli sfiorò leggermente la guancia con
561
le dita; amava quella pelle perfetta di un bambino, così morbida e
immacolata. Tranne che ora era macchiato. Un piccolo graffio
appena sotto la mascella, poteva venire spacciato per il solito tipo
di graffio. I bambini urtavano sempre le cose, cadevano. Non
Remus. Era un ragazzino così attento; guardava tutto.
Si arricciò intorno al suo corpo, voltando le spalle al resto della
stanza. Quando Remus era nato lei non riusciva ad alzarsi dal letto
da giorni, ma lui era un bambino così pacifico, erano entrambi
sdraiati così, facendosi compagnia l’un l’altro. Lyall tornava dal
lavoro e si univa a loro. Avrebbe avvolto le sue lunghe membra
attorno a Hope, e lei avrebbe coccolato Remus, e avrebbe chiuso
gli occhi e si sarebbe sentita così sicura, e così felice.
Se solo Lyall fosse qui adesso. Era il suo tocco che le mancava di
più. Era così alto che anche quando Hope indossava i tacchi più
alti poteva appoggiare il mento sulla sua testa. Le lacrime le
pizzicavano gli occhi e posò dolcemente la mano sul petto di
Remus, sentendo il costante salire e scendere.
A volte, in quei pomeriggi in cui la famigliola giaceva a letto
insieme, Lyall cantava una vecchia ninna nanna a Remus. Hope
non l’aveva mai sentita prima, ma adorava il modo in cui la cantava;
era l'unica volta che si sentiva il morbido accento scozzese nella
sua voce. Adesso canticchiava qualche battuta, chiedendosi se
Remus ricordasse che suo padre aveva cantato per lui, e solo per
lui.

Baloo, my boy, lie still and sleep


It grieves me sore to hear thee weep
If thou'lt be silent I'll be glad
Thy moaning makes my heart full sad.
Baloo, my boy, thy mother's joy
Thy father bred me great annoy
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Baloo, baloo, baloo, baloo
Baloo, baloo, lu-li-li-lu.

Oh, Lyall Lupin, sei un bastardo. Era un peso impossibile, odiare


qualcuno che non potevi fare a meno di amare. Come poteva
metterla in questa posizione? Doveva sapere che non poteva
farcela da sola. Non era magica, come lui. Non era forte. E non
era mai stata una ragazza molto intelligente.
Stava piangendo di nuovo, ma Hope aveva imparato a piangere
senza emettere alcun suono. Forse era solo essere una madre,
anche se non sapeva quale diritto avesse su quel titolo. Tirò il
corpicino caldo di suo figlio vicino al suo, non curandosi di
svegliarlo. Poteva sentire il suo piccolo cuore battere contro il suo.
Ricorda questo. Lo supplicò, in silenzio. Ti amo, ti amo, ti amo.

563
Sirius; 1976
«Dai, amico, è il compleanno di Moony. Scendi e dì che ti dispiace,
così possiamo divertirci tutti insieme.» Disse James. «Comunque è
una discussione stupida.»
«Sì lo so.» Sirius brontolò.
James era sempre così gentile, anche quando Sirius sapeva che era
un combina guai. Mary non gli permise mai di farla franca, cosa
che gli era entrata ancora di più sotto la pelle. Sapeva di essere nel
torto, in ogni caso.
«Quindi scendi?» Disse James alzandosi dal letto, dirigendosi verso
la porta.
«Suppongo di sì...» Sirius odiava perdere una festa, ma si sentiva
anche piuttosto stupido ora che aveva fatto un tale clamore.
Non era nemmeno stato lì per la parte “sorpresa”, che di solito era
la sua parte preferita, ed era stata la sua idea in primo luogo.
Sarebbe meglio a fare pace con Moony in qualche modo.
«Dai, Pads.» James lo blandì dalla porta. «Non porterò più alcolici
qui.»
«Bene.» Si alzò anche Sirius.
«Brav’uomo.» James gli diede una pacca sulla schiena, poi si diresse
verso le scale.
A metà del passaggio oscuro incontrarono Remus. James andò
avanti, ma Sirius colse l’occasione per scusarsi in privato. Era così
difficile catturare Moony da solo in questi giorni; era diventato così
popolare.
A Sirius mancava un po’. Si sentiva come se Remus appartenesse
a lui, non in un modo inquietante di proprietà, ma sentiva di avere
almeno la fiducia di Remus. Quest’anno Moony si era un po’
allontanato e Sirius non era sicuro di cosa avesse fatto.

564
«Buon compleanno, Moony.» Disse, cercando di sembrare allegro.
Scese un po’ le scale così che erano faccia a faccia e Remus poteva
vedere che era davvero dispiaciuto per questo.
«Grazie.» Remus gli sorrise.
Sirius si chiese quanto fosse ubriaco, Moony poteva buttar giù
pinte come se niente fosse, mentre Sirius stesso era un po’ un peso
leggero.
«Tu ehm... Stai bene?»
Ovviamente era gentile e pensava prima agli altri. Anche nel suo
dannato compleanno. Il senso di colpa minacciava di sopraffare
Sirius.
«Sì, tutto bene.» Disse, seriamente. «Scusa se ti ho rovinato la
festa.»
«Non l’hai fatto. È stata fantastica.»
«Bene.»
Rimasero ad un punto morto per un po’. Sirius guardò in basso,
poi di nuovo su Remus.
Perché le cose erano state così strane tra loro due ultimamente?
Andavano d’accordo proprio come lui e James, ma qualcosa era
cambiato e Sirius non riusciva ancora a capire cosa.
Remus aveva messo una strana distanza tra loro, così inespressa e
così immobile che a Sirius sembrava praticamente fisica. Lo
rendeva irrequieto e agitato, come se gli mancasse qualcosa che
voleva. Anche se forse era solo il litigio con Mary.
«James ritiene che debba essere io a chiedere scusa a Mary.»
«Probabilmente è una buona idea.» Remus diceva sempre la cosa
giusta; potevi sempre fidarti di Moony, non sarebbe stato sempre
gentile come James, ma in qualche modo a Sirius non dispiaceva
essere sgridato da Moony. Sembrava molto più informato sul
mondo.
«Tu la pensi così?»
565
«Beh... Sì? Ti piace Mary, suppongo.»
Esatto. Moony era così bravo a ridurre un problema ai suoi
componenti più semplici. Se ti piace qualcuno, ti scusi quando lo
sconvolgi. Ovviamente.
Remus lo stava guardando attentamente; Remus guardava e
osservava sempre tutto. Probabilmente perché era così intelligente.
Sirius incontrò i suoi occhi. Erano vicini, più vicini di quanto non
erano stati da quella notte nell’armadio.
Moony era ancora arrabbiato per questo? Sirius aveva pensato che
fosse divertente in quel momento, un bello scherzo ma Moony era
così permaloso in quei giorni, chi sapeva cosa stava pensando?
James pensava che fosse tutta roba da ragazze; a Moony non era
mai piaciuto parlare di cose personali, James pensava che gli
piacesse una delle ragazze e che era troppo timido per dire
qualcosa. Se quello era il caso, Sirius avrebbe voluto che Remus si
confidasse con lui, sapeva una o due cose sulle ragazze dopotutto.
Avrebbe potuto aiutare.
Un brivido di eccitazione lo percorse al pensiero di questo: essere
l’unico che poteva aiutare Moony.
«Mi piace Mary.» Disse, sporgendosi in avanti con impazienza.
Remus aveva bevuto un po’, forse si sarebbe rilassato e si sarebbe
aperto se Sirius lo avesse guidato nel modo giusto.
«Allora vai a baciarla, stupido idiota.» Remus rispose. Sempre con
la schietta semplicità.
Sirius non aveva idea del perché Remus fosse timido con le
ragazze, tutta la sua aura era così maledettamente affascinante.
«Lo farò.» Disse Sirius. «Lo farò, tra un minuto.»
Decise di provarci, di tirarlo fuori, una volta per tutte.
«Hai mai baciato qualcuno, Remus?» Chiese casualmente.
«No, sai che non l’ho fatto.» Remus alzò gli occhi al cielo.

566
Ah ha pensò Sirius, stava cercando di mostrarsi disinteressato, ma
c’era chiaramente qualcosa che stava succedendo lì.
«Non è così spaventoso come pensi.» Disse Sirius, cercando di
essere incoraggiante.
Remus lo stava guardando improvvisamente in modo strano, con
intensità magnetica, come se fosse sul punto di dire qualcosa di
incredibile; qualcosa di rivelatore, ed era solo per lui, Sirius.
L’aria si addensò, e Remus afferrò Sirius, unendo i loro corpi.
Oh cazzo. Si stavano baciando! Moony lo stava baciando, e...
sembrava avere un senso. Questo sarebbe sempre successo.
Lo stava aspettando, semplicemente non lo sapeva.
Era tutto così bello e Sirius si sporse con entusiasmo, impotente a
resistere, mise le mani sui fianchi di Remus, perché era quello che
faceva sempre quando baciava Mary, e poi... Toujours pur, Sirius!
Un terribile strillo nella sua testa, e si staccò subito, inorridito.
Remus sbatté le palpebre, sembrando altrettanto scioccato e basta,
l'incantesimo era rotto. Entrambi borbottarono qualcosa di
insignificante e se ne andarono in direzioni opposte. Sirius scese
alla festa, sentendosi caldo, confuso e pieno di vergogna.
Sirius inciampò nella Sala Comune, il cuore in tumulto. Aveva
bevuto solo qualche drink, ma adesso aveva la testa leggera e il
rumore non aiutava. Sbatté le palpebre cercando James, cercava
sempre James quando succedeva qualcosa di grosso e questo era
dannatamente enorme, Mary apparve dal nulla.
«Eccoti!» Disse, le mani sui fianchi. Merlino, era stupenda. Una
visione in paillettes dorate e turchesi, l’abito così attillato da
mostrare ogni splendida curva.
«Eccomi.» Mormorò in risposta, momentaneamente abbagliato.
«Potter ha detto che avevi qualcosa da dirmi?» Alzò le sopracciglia
in attesa.
«Scusa!» Sbottò.
567
Le sue labbra si piegarono in un sorriso e il sollievo lo pervase. Gli
gettò le braccia al collo e lui la strinse forte per la schiena, grato di
avere qualcuno tra le braccia. Bene. Questo era normale.
«Questo è il mio adorabile ragazzo.» Sussurrò timidamente,
attirandolo a sé per un bacio, accarezzandogli dolcemente i capelli.
La baciò a sua volta, forte, e spinse tutto il resto in fondo alla sua
mente.

568
Padfoot & Prongs; 1978
Remus lasciò la biblioteca e per qualche istante Sirius sentì il panico
attanagliargli le viscere. Aspetta. Avrebbe voluto dire. Non farmi fare
questo da solo. Ma sapeva che era la cosa migliore in fondo. James lo
avrebbe apprezzato di più. E, dopotutto, Remus aveva già fatto la
sua parte.
«Muffliato.» Disse velocemente Sirius, erano in una parte
relativamente privata della biblioteca, ma era meglio prevenire che
curare. Si portò i capelli dietro un orecchio e rise nervosamente.
James lo stava ancora fissando e Sirius si schiarì la gola, aveva
bisogno di rompere il ghiaccio.
«Ehm... Quindi sì... È esattamente quello che pensi che sia.»
«Tu...» Disse James, le sopracciglia che si increspavano, poi si
lisciavano, come se non fosse sicuro di quale espressione si
adattasse meglio alla situazione.
Sirius si leccò le labbra, cercando qualcosa da dire. Era così
frustrante: lui e James sapevano sempre come parlare tra loro.
Potevano condividere qualsiasi cosa, così era sempre stato.
Sii coraggioso. Si disse. Moony sarebbe stato coraggioso. Moony non ci avrebbe
pensato due volte. E comunque James non si sarebbe arrabbiato. Era
stato così gentile con Remus, dopotutto. Ma ancora non disse
nulla.
«Volevo dirtelo.» Disse Sirius con cautela. «È solo... ehm. Volevo
trovare il momento giusto, sai?»
«Trascorriamo insieme tutto il tempo da quando ci svegliamo,
Padfoot.» disse James, ancora senza fiato per questa rivelazione.
Oh cielo. Pensò Sirius, ansiosamente. È infastidito. Merda.
«Sì.» Annuì Sirius, massaggiandosi la nuca. Si sentiva irrequieto e
troppo caldo. Si tirò la cravatta della scuola. «Lo so.»

569
«Beh. Suppongo non tutti i momenti, altrimenti me ne sarei
accorto.» Disse James torvo.
«Lo stavamo nascondendo.» Disse Sirius velocemente.
Non voleva che James pensasse di essere un cattivo amico o
negligente o nessuna di quelle stronzate. Se c’era qualcuno da
incolpare, era lui, Sirius. Forse anche Moony un po’, ma se voleva
prendere per il collo qualcuno, allora doveva essere Sirius.
«Pads...» James stava dicendo ora, ancora accigliato. «Non voglio
essere scortese o altro, ma... Che cazzo pensi di fare?»
«Che cosa?» Sirius lo guardò, sorpreso. Si aspettava alcune risposte
diverse, ma non quella.
«Si parla di Moony. Il nostro migliore amico, Moony!»
«Lo so!»
«Remus Lupin!»
«Conosco il suo nome!» Sbottò Sirius irritandosi ora.
Non riusciva a vedere a cosa stesse puntando l’altro ragazzo, e
sentiva che era molto ingiusto da parte di James trattarlo in questo
modo quando stava solo cercando di essere onesto.
«Abbiamo passato sette anni a cercare di convincerlo a fidarsi di
noi!» James continuò, gesticolando selvaggiamente con le mani
come se fossero in disaccordo su una partita di Quidditch. «Ha
letteralmente appena iniziato a raccontarci qualcosa su sé stesso, e
stai per mandare tutto all’aria perché non puoi controllarti!»
«Ehi!» Sirius ringhiò, stringendo i denti e stringendo i pugni. «Non
è quello che sta succedendo!»
James sbuffò, roteando gli occhi. «Avanti Sirius, so come sei! Sei
tutto dentro, finché non ti annoi. Senti, non ho mai detto niente
quando era Mary, sa badare a sé stessa. O Emmeline, anche se con
lei eri un vero bastardo. O Avni, o Florence, o chiunque altro tu
abbia inseguito, ma questo è troppo anche per te Black.»
«Se è perché siamo entrambi...»
570
«Non me ne frega un cazzo di questo.» James agitò una mano in
modo sprezzante. «Sai che non mi interessano questo genere di
cose. Quello che mi interessa è che ti comporti come se potessi
avere chiunque, in qualsiasi momento, senza conseguenze!»
«Non è stato così facile, credimi.» Sirius rispose seccamente.
«Non ti credo! Se solo potessi pensare con il tuo cervello invece
che con il tuo cazzo per una volta.»
«Vaffanculo, non ho bisogno di questa merda.» Sirius replicò.
«Ovviamente non sei interessato ad ascoltare.»
«È Moony.» Disse di nuovo James, come se Sirius fosse un primo
anno particolarmente stupido alle prese con un incantesimo molto
semplice.
«Beh, ho pensato che avesse un aspetto familiare.» Disse Sirius,
esasperato. «Non posso credere che tu sia così stronzo su questo!»
«Sto cercando di farti ragionare! So che sei sempre stato un po’...
beh, lo sai. Marci al ritmo del tuo tamburo o qualsiasi altra cosa,
ma Remus non è... Non è solo qualcuno per cui puoi provare un
po’ e vedere se va bene. Ha bisogno di noi. Adesso più che mai.»
Oh. Pensò Sirius, con un tonfo. Quindi è questo.
Si fissarono un po’ più a lungo, i caldi occhi castani incontrarono
il blu ghiaccio. Sirius cedette per primo, perché lo faceva sempre,
quando si trattava di James.
«Prongs, so come sembra. So cosa devi pensare... ma giuro che
non è così. È appena successo... e volevo dirtelo. L’ho fatto, te lo
avrei voluto dire a Natale...»
«Natale?!» Le sopracciglia di James si alzarono. «Dal maledetto
Natale?! Va avanti da-»
«La scorsa estate.» Disse velocemente Sirius, desideroso di dire la
verità ora che era tutto finito. «Voglio dire... Alcune cose prima di
allora, ma più o meno.»

571
Sperava di non arrossire. Si vergognava ancora del modo in cui si
era comportato l’anno scorso.
Gli occhi di James si spalancarono e lo sguardo di indignazione
morale non si dissipò. Lui scosse la testa.
«Non ti capisco! Dopo tutto quello che ha passato-»
«Guarda, aveva qualche scelta! Ti comporti come se non potesse
prendere decisioni da solo, quando sai dannatamente bene che
nessuno fa mai fare niente a Moony a meno che lui non lo voglia,
il cocciuto testardo.»
James non aveva una risposta a questo ma Sirius poteva vedere sul
suo viso che lo aveva fatto riflettere. Vedendo un’opportunità
andò avanti.
«Non è tutta colpa mia. Merlino, pensavo che avresti capito. O
almeno che saresti stato un po’ meno critico, ho dovuto ascoltarti
mentre sbavavi su Evans negli ultimi cinque anni, e non mi sono
mai lamentato.»
James sorrise, suo malgrado. «Sì, lo fai.»
Sirius ricambiò il sorriso, alzando le spalle.
«Okay lo faccio. Ma non sei l’unico a cui è permesso innamorarsi.»
«Aspetta.» James alzò di nuovo lo sguardo, accigliato.
«Innamorato? Sei innamorato di Moony?!»
«Era solo un esempio.» Disse Sirius in fretta facendo marcia
indietro. Cavolo, come era sfuggito?! «Volevo solo dire... ehm...
Non ne abbiamo esattamente parlato... Comunque, non è questo
il punto.»
La bocca di James si era spalancata di nuovo, ma almeno aveva
smesso di accigliarsi.
«Guarda.» Disse Sirius, sporgendosi in avanti sulla scrivania. «So
che tieni a lui. Noi tutti ci teniamo. Io ci tengo. Non è come con
tutte quelle ragazze, è... di più. Mi rende migliore, mi capisce.»

572
«Merlino.» James si sedette bruscamente, fissando il libro di fronte
a lui.
Scosse la testa, ancora accigliato. Ma non sembrava più arrabbiato.
Sirius aspettò, non sicuro di cos’altro avrebbe potuto dire.
«Scusa.» Ci riprovò. «Non so che altro dirti. Ma non sto chiedendo
il tuo permesso, ti sto solo informando. Ecco com’è.»
James si passò le mani tra i capelli, scuotendo di nuovo la testa.
Sospirò profondamente.
«Tutta questa lettura.» Disse. «Ho bisogno di una pausa.»
«Sì.» Sirius annuì, desideroso di cambiare argomento.
«Campo da Quidditch?» James finalmente lo guardò negli occhi.
Sirius sorrise, sollevato. «Andiamo allora.»
Misero le cose in ordine in tutta fretta e lasciarono il castello. Fuori
le cose andavano un po’ meglio. Sirius iniziò a rilassarsi. Si chiese
dove fosse Moony. Non vedeva l’ora di parlargli; per celebrare il
superamento di questo ultimo ostacolo.
Lui e James si scambiarono la loro attrezzatura da volo in un
silenzio amichevole. James non era come Remus; non dovevi
continuare a punzecchiare e lusingare per ottenere una risposta: o
ti diceva quello che pensava o potevi presumere che andasse tutto
bene. James era già pronto prima di lui e aspettò sulla soglia del
camerino con in mano entrambe le scope. Sirius gli venne
incontro.
Era una giornata perfettamente limpida, il cielo era azzurro e c’era
appena un soffio nell’aria per mantenere i loro sensi acuti.
Sirius accettò la sua scopa da James e inalò l’aria fresca. Guardò
James. Una volta in aria, sarebbe finita; tutto questo disagio, tutto
l’imbarazzo. Solo un’altra cosa aveva bisogno di dire.
«Prongs?»
«Sì, Padfoot?»

573
«Tutte quelle cose che hai detto su Moony?» Sirius guardò il suo
migliore amico da dietro i suoi capelli. «Su come ha appena iniziato
a fidarsi di noi, e come ha bisogno di noi? Questo è ancora vero.
Ecco perché ho davvero bisogno che tu ti ci abitui, okay Potter?
Devi mostrargli che è tutto uguale.»
James lo guardò a lungo, i suoi occhi castano scuro immobili e
infiniti. Lui annuì. «Sì, lo so. Lo farò. Lo giuro.»

574
Grant; 1977
I can't write and I can't sing, I can't do anything
I can't read and I can't spell, I can't even get to hell
I can't love and I can't hate, I can't even hesitate
I can't dance and I can't walk, I can't even try to talk

Freddie tried to strangle me with my plastic popper beads.


But I hit him back
With my pet rat
Yeah I hit him back
With my pet rat

«Sandra? Oi, Sandra?»


«È fottuta Nancy, te l’ho già detto.» Sandra venne alla sua porta,
aprendola solo di una fessura per guardare torva Grant con un
occhio di gatto.
«Scusa.» Disse Grant, stringendosi le costole. «Nancy.»
Era stata Sandra nelle ultime due settimane, quindi chissà cosa era
successo lì. Qualcuno l’aveva raggiunta, forse. O qualcuno di
nuovo era sul suo caso. Non poteva chiedere alla gente cose del
genere, per il suo bene. Grant aveva abbastanza merda da
affrontare. E ovviamente voleva essere Nancy, tutte le ragazze
punk hanno fatto, da quando Sid Vicious ha iniziato a scopare con
quella puttana americana.
«Cosa vuoi?» Gli chiese, scrutandolo.
«Hai qualcosa da bere?»
Lei roteò gli occhi. Puttana arrogante. Infilò la punta dello stivale
nella porta di lei.
«Me lo devi, ricorda. Ti ho aiutato a trasferirti.»

575
«Pensavo che fossi solo gentile.» Lei sogghignò.
«Lo ero.» Grant rispose. Afferrò lo stipite della porta, stordito dal
dolore. «Ora tocca a te essere gentile.»
«Coglione.» Lei mormorò.
Provò a chiudere la porta, ma lui tenne il piede dentro. Grazie a
Dio erano stivali con il cappuccio d’acciaio, poteva fare a meno di
altri danni.
Sandra, o Nancy, si zittì e si allontanò dalla porta. La sentiva
scavare nella sua stanza. Lo invitava a entrare, ma non da settimane
ormai. Era più bella della sua stanza, aveva un letto adeguato e una
scrivania. Gli disse che stava scrivendo un romanzo e che stava
solo “sperimentando uno stile di vita alternativo per catturare
adeguatamente lo spirito del tempo culturale”. All’inizio questo lo
aveva interessato: gli piacevano le persone intelligenti. Ma ora stava
iniziando a chiedersi se non fosse solo un’altra teppista senzatetto
in fuga. Dimostrava circa quattordici anni, senza trucco.
Tornò alla porta con una bottiglia. Mezza fiaschetta di vodka
scadente.
Gliela porse e lei parlò di nuovo.
«Sembri una merda.» Disse.
«Salute.»
Svitò il tappo e bevve quanto poteva senza soffocare. Era molto
economico. Forse andava bene? Forse questo significava che
avrebbe funzionato più velocemente o meglio?
«Dov’è Nick, comunque?» Guardò su e giù per il corridoio dietro
Grant. «Perché non ti da alcool, è colpa sua se sei in questo stato.»
Grant la fissò. «Non tornerà.»
«Bene.» Lei rispose. «Stufa di sentirlo rimbalzare contro i muri.»
Grant bevve di nuovo. Aveva bisogno di sedersi. Alla fine lasciò il
suo punto d’appoggio sulla porta e tornò nella sua stanza, tenendo
un braccio contro il muro per sostenersi.
576
«Saluti, Nancy.» Mormorò.
«Non è una medicina, sai.» Chiamò. «Vai in un maledetto
ospedale!» Sbatté la porta e la chiuse a chiave.
Stronza. Perché tutti dovevano essere così? Non puoi mai
abbassare la guardia, non senza che qualcuno ti dia un bel calcio.
Si arrampicò sul materasso in ginocchio, attento a non appoggiarsi
a niente che gli facesse troppo male. Le sue costole erano ancora
doloranti, due giorni dopo, e sperava davvero che non fossero
rotte perché era l’ultima cosa di cui aveva dannatamente bisogno.
Finché manteneva il respiro superficiale non era poi così male,
comunque.
Inclinò la testa all’indietro e bevve ancora un po’ di vodka,
osservandosi nello specchietto appoggiato sulla parete opposta.
Uff. Fece una smorfia. Sembrava una merda. I lividi sembravano
appena diminuiti; aveva bisogno di prendere del ghiaccio o
qualcosa del genere. Grant non ha mai pensato che gli sarebbe
mancato stare in una casa, ma almeno avevi il primo soccorso se
ne avevi bisogno.
Si portò le dita alla guancia, guardando il suo riflesso. Il bastardo,
che cerca la sua faccia in quel modo. Grant non aveva avuto un
enorme rispetto per Nick per cominciare, ma era troppo
dannatamente lontano. Fortuna che aveva tenuto i denti.
Fece scorrere la lingua sul dente scheggiato che aveva da anni. Era
un incisivo, ed era stato molto affilato quando era stato rotto per
la prima volta, ma ora era abbastanza consumato che di solito se
ne accorgeva a malapena. Aveva giurato che sarebbe stata l’ultima
volta che avrebbe preso un pugno alla mascella, ma non puoi fare
promesse del genere, nemmeno a te stesso.
Ironia della sorte, aveva il dente scheggiato perché aveva
combattuto. L’ultima volta che viveva a casa, che era... cosa?
Quattro anni fa? A quel punto aveva già smesso di andare a scuola,
577
perché non poteva attaccare gli insegnanti, o gli altri bambini.
Sbarcare significava che non doveva più avere a che fare con gli
insegnanti, ma gli altri ragazzi non si erano dimenticati di lui.
Era tornato a casa zoppicando, con le nocche che gli pulsavano,
con il naso sanguinante e un occhio nero - il primo, se ricordava
bene - e si sentiva stranamente orgoglioso di sé stesso, perché
almeno i ragazzi che lo avevano aggredito se la cavavano peggio.
Il nonno lo accolse alla porta, fumando la pipa.
«Cos’è successo, ragazzo?»
«Glieli ho ridati indietro.» Grant aveva asciugato il naso con la
manica ottenendo una macchia rosso scuro. «Come mi hai detto
tu.»
«Era il lotto giamaicano?» Chiese suo nonno, togliendosi la pipa
dalla bocca, incrociando le braccia muscolose. Era un ometto, ma
denso e duro, senza un briciolo di calore.
«No.» Disse Grant. «Irlandesi.»
Avrebbe dovuto semplicemente mentire. Ma qualcosa in Grant gli
faceva sempre dire la cosa sbagliata. Il viso del nonno si voltò, la
sua bocca una lunga e dura linea di disgusto. Il re di Kilburn High
Road aveva una reputazione da mantenere; non aveva bisogno che
i ragazzi del posto picchiassero suo nipote.
Grant guardò oltre la spalla di suo nonno, per vedere se sua madre
fosse nelle vicinanze. Non che di solito fosse di grande aiuto, ma
in genere era meglio avere un testimone. Non poteva vederla.
«Guardami, ragazzo.» Tuonò il nonno, chinandosi in modo che
Grant potesse sentire l’odore acre del tabacco nel suo alito, contare
tutte le setole d’argento sul suo mento non rasato. Si fece forza e
guardò il nonno negli occhi. «Perché stai litigando con i ragazzi
irlandesi?»
«Non gli piaccio. Te l’ho detto.»

578
Il nonno allungò la mano con le sue dita dure e ossute e pizzicò
l'orecchio di Grant, torcendolo forte in modo che Grant guaisse e
si contorcesse, cercando di scappare.
«Meno parole e smettila di guardare intorno a te.» Gridò il nonno,
dritto in faccia, così vicino ora che macchie di saliva si posarono
sulla guancia di Grant. «Non pensare che io non abbia sentito
quello che hanno detto su di te, quindi è meglio che tti metti in riga
prima che ti spacchi la faccia, bastardo!»
«Lasciami andare...» *BAM*.
Si ricordò un po’ dopo, seduto in bagno a piagnucolare mentre sua
madre gli tamponava il viso gonfio con una flanella bagnata.
Tagliarsi la lingua sul bordo affilato come un rasoio del suo dente
rotto.
«Onestamente.» Sua madre sospirò stancamente. «Non so perché
continui a ostacolarlo.»
Stupida donna. Lei stessa sapeva che anche se fossi stato tranquillo
e avessi fatto tutto quello che voleva, sarei comunque finito
malconcio in qualche modo e sarebbe stata comunque tutta colpa
mia.
Quindi Grant se n’era andato non appena aveva visto
un’opportunità, e aveva giurato di non permettere mai più a
nessuno di mettergli le mani addosso.
E poi c’era Nick, e ora eccolo qui, che fissava il proprio riflesso e
tracannava vodka come un vero alcolizzato.
Nick non era nemmeno bello. Non era nemmeno stato gentile. Era
solo più vecchio di Grant, e più duro e più grande. Aveva avuto
un po’ di vantaggio, qualcosa di pericoloso che all’inizio era
attraente. Fino a quando non ti sei reso conto di quale fosse il vero
pericolo. Grant era stato un po’ lento con la comprensione; era
abbastanza uomo da ammetterlo. Colpa sua per aver bevuto

579
troppo e aver preso troppe pillole e non aver avuto abbastanza
luce del giorno.
La prima volta che era successo aveva escogitato un piano: mettere
da parte i suoi soldi e andare il più lontano possibile. Ma aveva
bisogno di acquisire denaro, in qualche modo, e c’erano solo poche
opzioni quando non avevi un indirizzo fisso. Aveva pagato tutti i
debiti che poteva, ed era sopravvissuto bene alle elemosine per un
po’, anche se la gente si stava stancando di questo; erano alcuni
giorni che non mangiava come si deve.
Bere non era mai stato difficile. Finché sembrava abbastanza pulito
e abbastanza giovane, Grant doveva solo presentarsi nel giusto
tipo di bar e farsi pagare il conto per tutta la notte. E se qualcuno
voleva qualcosa in più ed era disposto a pagare, allora non rifiutava.
Cinque minuti in bagno e un retrogusto sgradevole non erano
troppo da sopportare, e aveva sempre fissato dei limiti.
Poi Nick lo aveva scoperto e, lungi dall’essere arrabbiato, lo aveva
incoraggiato. Decise che anche lui meritava una parte, finché
Grant non stava più facendo soldi per sé stesso. E due giorni
prima, Nick se n’era andato per sempre, lasciando Grant con due
costole rotte e una faccia piena di lividi come regalo d’addio.
Finì la vodka e leccò l’interno del tappo, tanto per essere sicuro.
Stanco di sentirsi dispiaciuto per sé stesso Grant si sedette,
tirandosi fuori dalla vista dello specchio. Il suo torso era ancora
tenero, ma il dolore era diminuito. La bevanda ha funzionato.
Doveva ottenere di più. Doveva alzarsi, vestirsi e uscire; aveva
bisogno di soldi. Non importava il biglietto del treno per cui aveva
risparmiato; aveva bisogno di mangiare qualcosa presto.
C’era una maglietta nella sua borsa che non era sporca come il
resto, ma scoprì che non poteva indossarla. In realtà, era più il fatto
che non riusciva a cambiarsi; faceva troppo male alzare le braccia.
Beh si arrese. Anche i suoi stivali impiegarono un po’ di tempo per
580
allacciarsi, doveva continuare a fermarsi per prendere fiato. Le
lacrime gli punsero gli occhi e si sfregò selvaggiamente il viso. Era
solo il dolore, nient’altro. Non poteva lasciare che fosse nient’altro.
Sarebbe andato bene. Sarebbe andato tutto bene. Doveva solo
farla passare.
Il viso era ancora un problema. Difficile essere affascinante
quando sembrava che avessi appena fatto dieci round con
Muhammad Ali.
Sandra, o Nancy, avrebbe potuto prestargli un po’ di copertura, ma
respinse rapidamente questa idea. Sarebbe dieci volte peggio se
venisse beccato da solo da qualche parte con il trucco addosso.
Decise di andare al cinema più vicino. Erano carini e oscuri, e i
film di solito facevano metà del lavoro per lui. Ce n’era uno a
poche strade di distanza, e Grant impiegò una ventina di minuti
buoni per raggiungerlo. Anche allora doveva trovare un modo per
intrufolarsi, perché in nessun modo avrebbe speso soldi per quello.
L’oscurità era una specie di sollievo dopo l’affollata strada ovest di
Londra. Era anche tranquillo, tranne che per il film, che doveva
essere appena iniziato perché la maggior parte degli attori
indossava ancora i vestiti. Grant si sedette in fondo per un po’, per
riprendersi dal viaggio e per esplorare la clientela.
Erano tutti i soliti tipi. Fine anni Cinquanta. Impermeabili. Alcuni
di loro calvizie. Una nausea familiare sorse in Grant mentre si
preparava alla sfida. Onestamente, e la gente aveva avuto il
coraggio di chiamare lui pervertito.
La prima attrice tirò fuori le tette e Grant si guardò intorno.
Ancora un po’ strascicando, alcuni di loro armeggiano in grembo.
Si alzò e camminò lungo il corridoio, casualmente, tossendo un
po’ in modo che sapessero che era lì. La maggior parte di loro lo
ignorava, fissando il dollybird sullo schermo. Alcuni di loro gli
lanciarono un’occhiata più lunga di quanto sapevano che
581
avrebbero dovuto. Ne scelse uno e andò a sedersi a pochi posti da
lui.
Era un gioco, come la pesca anche se, a dire il vero, Grant non
aveva mai pescato. Dovevi fingere di non essere pronto per niente,
perché altrimenti si innervosiscono e si tirano indietro. Guardò il
film per un po’, allungandosi quanto gli consentivano le sue varie
ferite, lasciando che i suoi capelli biondi catturassero la luce del
proiettore. Anche la ragazza nella foto era bionda, il che potrebbe
giocare a suo favore. Aveva un orribile rossetto, rosa-arancio
sgargiante, che formava una brutta “O” larga mentre gemeva e
piagnucolava.
L’uomo che lo stava osservando si mosse, ora seduto proprio
accanto a lui. Puzzava di tabacco da pipa e Grant quasi vomitò.
«Quanto?»
Grant girò la testa e sorrise timidamente.

Aveva bisogno di ubriacarsi davvero. Oh Gesù Cristo, aveva


bisogno di essere così completamente ubriaco che non sarebbe
stato in grado di vedere chiaramente per giorni.
Fanculo il biglietto del treno, fanculo Brighton, fanculo il cuore
spezzato. Grant barcollò dalle porte posteriori del cinema
sentendosi peggio di quanto si fosse mai sentito.
Quando sei in fondo, nessuno può sentirti urlare. Era qualcosa che Nick
amava dire. Giustificò tutto ciò che aveva fatto, in qualche modo,
essendo “emarginato”.
Grant aveva voglia di dire posso maledettamente sentirti. Ma non aveva
senso cercare di essere intelligente.
Trovò una negozio ancora aperto e comprò una bottiglia di gin e
un pacchetto di sigarette, poi si sedette sul marciapiede per un po’
cercando di rimettersi in sesto. La sua mente vagava, si chiedeva
come stessero andando le cose nel vecchio squat di Mile End. Quel
582
posto aveva perso il suo fascino durante l'inverno: avevano lottato
per scaldarsi, molti se n’era o andati, e poi Charlie F, che era stato
via da qualche giorno, era stato ritrovato morto nel canale a
Bethnal Green. Questo aveva davvero messo un freno alle cose.
Lizzie, che aveva visto Charlie un po’ di lato si era tagliata i polsi,
era tornato lì, ma niente era stato lo stesso.
Adz aveva iniziato a prendere velocità e quella fu l’ultima goccia
per Grant. Non avrebbe mai pensato che sarebbe tornato a West
London. Una o due volte aveva creduto di aver visto il nonno, e
questo lo aveva mandato sottoterra per giorni.
Grant scosse la testa, facendo pulsare il suo occhio dolorante, poi
sorseggiò un po’ di gin. Doveva smettere di pensare al nonno. E
Nick. E Adz. E quell’uomo al cinema. Dio, ogni fottuto uomo che
avesse mai incontrato aveva rovinato una parte di lui.
Tranne Remus.
Grant sbatté le palpebre, fissando il marciapiede.
Era strano; perché avrebbe dovuto pensare a Remus? Aveva
passato sei mesi cercando di dimenticare Remus e Grant era un
campione nel dimenticare le cose dolorose. Forse era quello il
problema. Remus non era doloroso. Remus era tenero e dolce e
gentile e timido. Non aveva nemmeno spezzato il cuore di Grant.
Ma non andava bene pensare in quel modo. Remus era a un
milione di miglia di distanza; al sicuro nella sua elegante scuola per
adorabili sciocchi.
A Grant piaceva pensarla così; che Remus era al sicuro. Non erano
mai stati veramente coinvolti ma Grant aveva la sensazione che
Remus avesse sofferto tanto quanto lui. Era bello sapere che uno
di loro stava facendo un buon affare; veniva curato.
Grant non aveva bisogno di cure, ma poteva sicuramente vedere i
benefici.

583
Un poliziotto di turno arrivò passeggiando lungo la strada e Grant
si tirò su il più velocemente possibile, infilandosi la bottiglia di gin
nella tasca posteriore. Aveva passato notti in cella prima e non era
mai stato molto divertente. Accese una sigaretta e iniziò a
camminare: ti prendevano per la più piccola cosa, anche
bighellonare, quindi era meglio continuare a muoversi.
Pensò di tornare nella sua stanza per dormire. Adesso aveva un po’
di soldi, e abbastanza alcol per stordirsi. Non era nemmeno più
così affamato. Istintivamente cercò le chiavi nella tasca dei jeans.
Cazzo.
Non c’erano. Grant si morse il labbro, forte, per impedirsi di
urlare. Dovevano essergli cadute al cinema e adesso non poteva
tornare indietro. Cazzo.
Continuò a camminare, stringendo furiosamente i pugni, tanto
pazzo da sputare. Solo un giorno. Solo un dannato giorno senza
un disastro era tutto quello che chiedeva. Poteva dormire sonni
tranquilli, l’aveva fatto un paio di volte e almeno fuori faceva caldo.
Poteva tornare indietro e vedere se Sandra/Nancy lo avrebbe
lasciato stare da lei. Probabilmente no dopo che era stato così
scortese, ma avrebbe potuto provare pietà.
Il fatto era che ora era ubriaco e incazzato. Se tornasse allo squat,
diventerebbe solo irrequieto e pigro e inizierebbe a litigare o
proverebbe a scopare qualcuno.
No, decise che la cosa giusto da fare era continuare a muoversi.
C’era un bar non troppo lontano in cui aveva avuto un po’ di
fortuna prima, per lo più borseggiatori. Comunque la musica era
alta e avrebbe potuto prendere un altro drink. Si stava facendo
buio adesso, quindi dovevano essere le otto passate.
Gli ci volle molto tempo per arrivarci; avrebbe potuto essersi perso
un paio di volte. Gli edifici sembravano gli stessi e continuava a
perdere pezzi di tempo; come il sonnambulismo. In effetti non si
584
era nemmeno reso conto di essere fuori da quel maledetto posto
finché qualcuno non gli aveva urlato contro.
Fuori c’era un gruppo di tizi che cercavano di sembrare minacciosi.
Aveva funzionato. Assomigliavano tutti un po’ a Nick: grossi e
calvi. Grant cercò di aggirarli velocemente, ma era troppo ovvio a
riguardo.
«Va tutto bene Lola?» Disse uno degli uomini più grandi.
Ridacchiavano tutti come un gruppo di vecchiette che stendevano
il bucato. Grant sogghignò. Non era nemmeno un fottuto scherzo
originale, era stato chiamato Lola da vari tirapiedi sin da quella
dannata canzone dei Kinks.

Well I'm not the world's most masculine man


But I know what I am and I'm glad I'm a ma
And so is Lola...

Molto fottutamente divertente, quello. E non aveva nemmeno


senso, perché Grant non si era mai travestito; gli piaceva essere un
tipo. (Okay, si era provato un vestito una volta, per ridere, ma non
contava) Pensava che potevi essere chiamato con cose peggiori.
Abbassò la testa e iniziò a scendere le scale. Dentro puzzava di
sigarette, birra e BO. Punk del cazzo. Tuttavia, era buio e anonimo
e nessuno lo guardava.
La band era rumorosa, brutta e orribile. Sembravano tutti sui sedici
anni, in jeans strappati e giubbotti di jeans coperti di toppe e spille
da balia. Da quando i cantanti rock avevano smesso di essere sexy?
Le cose diventrarono molto traballanti dopo. Sicuramente beveva
birra, ma solo Dio sapeva da dove venisse. Potrebbe aver ballato
un po’, potrebbe aver parlato con qualcuno. All’improvviso stava
strizzando gli occhi nella luce umida del bagno, venendo tirato su
per il gomito e trascinato attraverso il bar dal buttafuori.
585
Inciampò e inciampò su per le scale, storcendosi una caviglia, ma
all’uomo che lo trascinava non importava. Gli diede un’ultima
spinta, una volta che furono a livello della strada.
«Piccolo effemminato impertinente!»
Beh. Non aveva idea di cosa avesse fatto, ma sapeva quando aveva
superato il suo benvenuto. Chinò di nuovo la testa, le mani in tasca,
e si allontanò velocemente. Cristo, era incazzato; il marciapiede si
deformava e oscillava davanti a lui. Si sentiva nauseato, aveva un
sapore nauseabondo in bocca, ma dentro di sé non aveva niente
da vomitare.
«Grant!» Qualcuno gridò il suo nome.
Il suo primo istinto fu di continuare a camminare; ignorarlo.
Perché non poteva essere una buona cosa; qualcuno qui intorno
che conosce il suo nome. Non che avesse degli amici. Ma i passi
dietro di lui si fecero più forti, e la minaccia si fece più vicina e lui
era troppo incazzato e troppo malconcio per scappare. Si voltò,
tanto valeva dare una buona occhiata prima che facessero quello
che stavano per fare.
Chiunque fosse, era più grande di lui, alto ma non muscoloso.
C’era un lampione dietro di loro, quindi ci volle un momento
perché gli occhi di Grant si adattassero, la vista si offuscò
selvaggiamente. Quei riccioli. Quello sguardo di ansiosa
preoccupazione. Quelle belle labbra rosa.
Remus maledetto Lupin.

Grant raramente pensava ai sentimenti. Almeno ai sentimenti che


aveva. Aveva passato così tanto della sua vita a scontrarsi con tutto
ciò che tutti gli altri pensavano di lui, che raramente si preoccupava
dell’introspezione.
Ma si vergognava del modo in cui si era comportato, quella notte.
La cosa era; Remus era l’ultima persona al mondo che si aspettava
586
di vedere. E non appena Grant gli batté gli occhi addosso sotto
quel lampione giallo dorato, si sentì così incredibilmente sollevato
che ne fu scioccato. Grant non era una persona religiosa cazzo che
stronzate, ma nel profondo del suo stato confuso Remus Lupin
sembrava proprio un maledetto angelo.
E poi, molto rapidamente, il sollievo di Grant venne spazzato via
e venne sostituito dalla totale vergogna. Ecco questo ragazzo
gentile e sensibile, che lo aveva sempre ammirato. E adesso
cos’era? Non riusciva nemmeno a stare in piedi.
Oh Gesù, e Sirius (onestamente, che razza di pazzo nome hippie
era quello?!) in agguato dietro Remus per tutto il tempo, stupendo
come una star del cinema e puzzolente di soldi e privilegi. Forse
sarebbe andato tutto bene se fosse stato solo Remus, ma Grant
non poteva fare a meno di vedere se stesso come doveva vederlo
Sirius; completamente patetico.
Quindi era scortese. Non riusciva a ricordare tutto quello che
aveva detto, ma ricordava di essere stato un rompicoglioni. E
Remus lo prese e gli diede da mangiare perché Remus era adorabile
così.
In qualche modo entrambi lo avevano riportato nella sua stanza, e
forse avevano forzato la serratura o si era dimenticato di chiuderla
a chiave in primo luogo, ma quando Grant si svegliò era al sicuro
e a suo agio sul materasso. Si accigliò e sbatté le palpebre, la stanza
era più calda del solito. Nonostante i ricordi della notte prima che
tornassero di corsa a lui come un orribile trailer di un film
catastrofico, si sentiva stranamente meglio. La sua faccia non era
calda e tesa, e non gli faceva male respirare. Non aveva fame. Era
rilassato per la prima volta da settimane.
Girando la testa, vide Remus e Sirius che dormivano nell’angolo
opposto. Dio, erano entrambi così belli, come due statue. Sereno,
giovane e innamorato. Grant avvertì una terribile fitta. Le sue
587
costole avevano smesso di fargli male, ma il suo cuore era ancora
una vescica nel petto.
Remus iniziò ad agitarsi, lentamente. Grant lo guardò, sentendo il
brusio di eccitazione nella sua spina dorsale che sentiva sempre
quando stava per parlare con Remus.
Il naso di Remus si arricciò, poi aprì gli occhi.
Caddero su Grant quasi subito, e Grant sorrise.
«‘Giorno.» Boccheggiò

588
. Sirius; San Valentino 1978
Lunedì 13 Febbraio 1978
«Grazie per tutto l’aiuto.» Disse James, alzandosi e stiracchiandosi.
Erano piegati sui libri degli incantesimi da ore ormai, e se Potter
non avesse fatto qualche forma di esercizio almeno due volte al
giorno, allora il mondo come lo conoscevano sarebbe finito.
Probabilmente.
«Beh.» Replicò Sirius. «Non mi piacerebbe deludere Evans, e... So
che non avresti potuto farlo senza di me.»
«Sei un amico così modesto e generoso.»
«Si chiama buona educazione, Potter, cercalo.»
James sbuffò dalle risate, ancora stiracchiandosi.
«Campo da Quidditch?» Gemette.
«Sì, vai avanti. Devo tornare per le cinque, però.»
«Moony?»
«Sì.» Sirius strinse le labbra a questo.
Qualcosa dentro di lui sussultava ancora quando James
menzionava Remus in quel contesto. Ovviamente era fantastico
che James lo sapesse. Ovvio. Ma era anche strano e spaventoso.
La parte peggiore era che sapeva che anche James si sentiva a
disagio ed era per questo che continuava a tirarlo fuori. Lo stupido
bastardo stava cercando di essere un buon amico.
«Ehm... Fate qualcosa per San Valentino?» Chiese James.
Sembrava a disagio. Forse perché gli era appena venuto in mente
di chiederlo, dopo che Sirius aveva passato tre ore ad aiutarlo a
perfezionare l’incantesimo floreale dei fuochi d’artificio per Lily.
«No.» Sirius scosse la testa. «Lui odia quel genere di cose.»
«Ah sì?»

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«Sì. Ricordi la grande gara di sbaciucchiamenti? Remus Lupin e il
romanticismo non vanno d’accordo.»
«Pensavo solo che la sua avversione per lo sbaciucchiamento fosse
perché lui è... ehm...»
«Queer?»
«Mmh. È la parola giusta?»
Sirius si strinse nelle spalle, e si diressero al campo di Quidditch in
un confortevole silenzio.
La verità era che Sirius non aveva idea se fosse o meno la parola
giusta, ma era quella che usava Moony, quindi pensava che fosse
okay. Sirius aveva già deciso di non pensare troppo a parole o
definizioni specifiche, perché non gli piaceva come si sentiva.
Probabilmente per lo stesso motivo per cui si chiudeva ogni volta
che James cercava di parlargli della sua relazione con Remus. Sirius
ricordava chiaramente di aver raccontato a James ogni dettaglio
cruento delle sue varie avventure con le ragazze - cosa andava
dove, per quanto tempo, quanto duramente, quanto velocemente,
quanto buono, quanto grande, quanto piccolo. Non con Moony.
In effetti, per quanto ne sapeva James, si baciavano a malapena.
Sirius sentì un fremito di calore nella pancia allora, pensando a
baciare Remus.
Ad ogni modo, cosa avrebbero fatto esattamente a San Valentino?
Non è che potessero fare una grande esibizione pubblica, come era
incline James. E una cartolina? Una poesia? Assolutamente no.
Remus gli avrebbe riso in faccia, o sarebbe morto per l’imbarazzo.
Segretamente, Sirius pensava che Remus fosse troppo figo per le
cose di San Valentino. Remus non era fiori e ballate; gli avevano
rubato le sigarette e i jeans strappati, era un punk... anche se, ad
essere onesti, gli piaceva il cioccolato...
«Sveglia, sveglia, Black.» James lo colpì sulla nuca con il manico
della scopa.
590
«Ehi!» Sirius si strofinò il cuoio capelluto, anche se non gli aveva
fatto molto male.
Si legò velocemente i capelli e seguì il suo amico in campo.

Più tardi quella sera, quando le ragazze erano nella loro stanza,
l’argomento del giorno di San Valentino era stato affrontato e
Remus aveva reagito esattamente come Sirius si aspettava che
facesse. Era stato molto piacevole; stava finalmente prendendo la
mano con Moony.
Ad ogni modo, Remus era proprio nel bel mezzo della
pianificazione di uno scherzo gigante, che era la versione di lui
preferita in assoluto da Sirius. Era così diretto e autorevole;
ordinando a tutti, testa alta, sguardo intenso. E poi aveva iniziato
a fumare e questo aveva sempre portato Sirius lì, a causa delle sue
labbra dannatamente perfette, delle sue dita delicate e dei suoi
occhi...
Non vedeva l’ora di andare a letto, e fortunatamente le ragazze se
ne andarono subito dopo. Prongs ed Evans fecero fatto un grande
spettacolo, come al solito, baciandosi e sussurrando e
comportandosi come se fossero stati separati per l’eternità, non
solo poche ore di sonno. Sirius sorprese Remus a guardarli e per
la milionesima volta si chiese cosa stesse pensando Moony.
Quando Sirius fu pronto per andare a letto, Remus era arrivato
tutto tranquillo e pensieroso, e Sirius non poteva dire se fosse solo
stanco, concentrato sullo scherzo, o se fosse qualcos’altro.
Qualunque cosa fosse, Sirius aveva solo peggiorato le cose. Ci
aveva messo piede con quella cosa dei Lupercalia, e non sapeva
perché. Onestamente era difficile tenere il passo a volte. Un giorno
Remus era perfettamente disponibile a discutere della sua lubricità.
Altri giorni era completamente tabù e si chiudeva alla minima
menzione.
591
In un certo senso avevano risolto il problema tra di loro; stavano
migliorando leggermente in questo, prendendosi a pugni finché
non capivano. Comunque si era scoperto che Remus era davvero
preoccupato per tutte le sciocchezze di San Valentino; non perché
voleva una canzone e un ballo, ma perché pensava che Sirius
volesse farlo.
Questo era così incredibilmente dolce che Sirius non riusciva a
smettere di sorridere e dovette iniziare a sbaciucchiare Remus solo
così che non vedesse il sorriso stupido di Sirius.

Martedì 14 febbraio 1978


In verità, Sirius non ci aveva pensato molto. Manifestazioni
pubbliche di affetto, cioè. Almeno, non ci aveva pensato al di là
dei bisogni e delle preferenze di Remus. Era stato lo stesso con
Mary: amava sbaciucchiarsi in pubblico, amava farsi beccare e
mettersi in mostra; quindi anche a Sirius era piaciuto. Al contrario,
a Remus era sempre piaciuto nascondere e mantenere segreti e
Sirius stava imparando che poteva essere molto divertente.
Forse Sirius era solo facile riguardo all’affetto. O forse amava
troppo le persone. Si sentiva un po’ infastidito quando Lily e James
passavano ore rannicchiati l’uno in grembo dell’altro nella Sala
Comune, o camminavano mano nella mano tra una lezione e
l’altra, sorridendosi l’un l’altro, mentre gli altri studenti dovevano
schivare la loro strada. Ovviamente lui e Moony non sarebbero
mai stati quella coppia, non in pubblico, ma era piuttosto stancante
doversi ricordare di tenere le cose platoniche fuori dalla stanza del
dormitorio. Dopotutto, a Sirius piaceva mettersi in mostra.
Avrebbe voluto sfoggiare Moony.
Ci pensò su mentre lui e James si intrufolavano nella Sala Grande
per preparare il regalo di Lily, la mattina presto. Aveva lasciato
592
Moony addormentato, le lenzuola avvolte intorno alla vita, un
braccio sopra la testa, la testa inclinata verso l’alto. Nella luce del
mattino le sue cicatrici erano come vene nel marmo e Sirius voleva
chinarsi e tracciarle con la lingua. Non lo fece. Aveva fatto una
promessa a James.
«Pensi che ci sarà abbastanza spazio?» Chiese James, mentre
entrava nella Sala Grande vuota. «Non voglio che nessuno si faccia
male.»
«Sono fuochi d’artificio floreali.» Sbadigliò Sirius. «Nessuno si farà
male a meno che non sia gravemente allergico.»
«Merda, non avevo nemmeno pensato alle allergie!»
«Merlino, non dirmi che cambierai idea adesso, non dopo che mi
hai trascinato fuori dal letto a quest’ora empia.»
«Non lo so, non sono... Dai, facciamolo, allora.»
Cominciarono a darsi da fare, piantando i grandi detonatori a
forma di bulbo che avevano faticosamente costruito e impostando
gli incantesimi del grilletto in modo che si attivassero al momento
giusto.
«Cosa farai per il resto della giornata?» Chiese Sirius, sedendosi su
uno dei tavoli facendo oscillare le gambe mentre guardava James
agitarsi per gli ultimi ritocchi. «O pensi che quel gatto sia
abbastanza?»
«Ha la maggior parte della giornata libera e ho fatto in modo che
il bagno del Prefetto fosse misteriosamente chiuso per
riparazioni.» Sorrise James, compiaciuto di se stesso.
«Che romantico.» Sirius strascicò.
«Lo è, in realtà.» Rispose James. «E tu? Stai ancora alla larga da
Moony?»
«Eh?»
«Il combattimento, ieri sera?»

593
«Quella non era una discussione.» Sirius sentì le sue guance
scaldarsi. Aveva dimenticato che Prongs aveva sentito quella parte.
«Abbiamo fatto pace, comunque. Appena dopo aver fatto
l’incantesimo di silenziamento in modo da smetterla di origliare.”
«Oh, era per quello...?» James sollevò un sopracciglio arrogante, la
lingua che suonava l’angolo della sua bocca,
«Vaffanculo.» Lo spinse Sirius saltando giù dal tavolo. «Signor
“bagno dei Prefetto”.»
«Godric, Black. Stai arrossendo?! Stai davvero arrossendo?» James
rise spingendolo indietro. «Wow, Moony deve essere
qualcos’altro.»
«Non posso crederci...» Sirius scosse la testa, iniziando ad uscire
dal corridoio, desiderando che il suo viso tornasse al suo solito
colore. Che imbarazzo.
«Oh, andiamo adesso.» Rise James, correndo leggermente per
raggiungerlo. «Sai, sono davvero sollevato. Voi due vi comportate
come se il burro non si sciogliesse, la maggior parte delle volte,
non vi ho mai nemmeno visto baciarvi.»
Ha detto “baciare” e non “pomiciare”, perché James Potter era un
romantico in tutto e per tutto. Probabilmente diceva “fare
l'amore” al posto di “scopare”. Ah. Sirius ha preso nota per
ricordarlo per dopo.
«Pensi che sia strano?» Chiese Sirius, rallentando. Avrebbe davvero
bisogno di qualche consiglio sensato, e Prongs avrebbe dovuto
farlo se Lily non c’era. «Non l’hai fatto. Ehm. Ci hai visto? Baciare,
voglio dire.»
James si strinse nelle spalle. «Non lo so. Vi baciate, vero?»
«Ovviamente.» Sirius lanciò i capelli.
«Bene allora. Ho solo pensato che Moony fosse il suo io
imbarazzato.»
«Sì lo è. Ma sai... Non possiamo essere pubblici come te ed Evans.»
594
James rimase fermo a lungo, a pensare. «No.» Disse infine. «Ha
senso. Scusa amico.»
«Non è colpa tua.» Sirius scrollò le spalle.
«Dovresti sentirti a tuo agio con noi, però.» Disse James. «Siamo
tuoi amici.»
«Sì lo so.»
«Voglio dire, a tuo agio entro limiti ragionevoli.» Disse James, in
fretta, il sorrisetto che tornò sui suoi lineamenti. «Non so se sono
abbastanza pronto a vedere i miei migliori amici fare... ehm... Sai...»
«Potter, stai arrossendo?!»

I fuochi d’artificio e il gattino erano stati molto ben accolti,


ovviamente, ma Sirius aveva ricevuto una sorpresa tutta sua dopo
colazione. Remus Lupin in realtà aveva suggerito di rinunciare a
una lezione e di farsi sballare. Beh, forse la parte dell’essere sballati
non era così fuori dal personaggio, ma il saltare le lezioni lo era
sicuramente. E una cioccorana, per giunta! Doveva essere una
storia d’amore, Remus che regalava l’ultimo dei suoi dolci. «Prongs
se la prenderà con me per aver fumato qui.” Ridacchiò Sirius, a
metà della prima canna.
«Nah.» Rispose Remus, pigramente, sdraiandosi su un fianco e
accarezzando la gamba dei pantaloni di Sirius. «Basta agitare un
asciugamano bagnato e ci si sbarazza dell’odore. Ecco cosa hanno
fatto i ragazzi del St Edmund’s.»
«Figo.» Sirius sospirò, in soggezione.
Remus gli lanciò uno sguardo divertito che gli disse che era strano.
Ma non gli importava. Se pensare che Moony fosse figo era strano,
allora Sirius era strano. Ridacchiò di nuovo.
Remus sorrise, scuotendo la testa e prendendo la canna.
«Leggera.»

595
«Che disprezzo. Tanta crudeltà.» Sirius si lasciò cadere di nuovo
sul letto e allentò la cravatta.
«Lo ami.» Remus esalò il fumo, così che si riversò sul corpo di
Sirius come nebbia.
«Oi.» Sirius guardò in basso, accigliato. «Non farlo, la mia uniforme
puzzerà.»
«Toglila, allora.» Remus alzò un sopracciglio.
Sirius lo guardò. «Davvero?»
Remus portò di nuovo la canna alle labbra, e succhiò. Quelle
labbra. Quelle dita. Quegli occhi. Annuì, espirando. «A meno che
tu non pensi di andare a lezione oggi?»
Sirius scosse la testa, senza parole. Remus si mise a sedere sulle
ginocchia e allungò le lunghe braccia verso Sirius per spegnere la
canna nella tazza di tè vecchia sul comodino. Sirius chiuse gli occhi,
già volendo sentire Remus: il suo peso, il suo calore.
Non era mai stato così con Mary, o Emmeline. Nessuno lo aveva
mai fatto sentire così; come se potesse essere smontato e
rimontato, nuovo e migliore di prima. E se Moony non fosse
affettuoso in pubblico? Finché era così in privato.
«Andiamo, allora.» Stava dicendo Remus ora, con un tono più duro
nella sua voce. «Non ho tutto il giorno.»
Sirius si mosse velocemente, Remus non aveva molta fretta, era
solo che Sirius non rifiutava mai un ordine se era stato dato nel
modo giusto. Si tolse la cravatta, poi si sbottonò la camicia,
velocemente. Lasciava i pantaloni a Moony, perché quella era la
parte preferita di Moony e a Sirius piaceva guardare le sue lunghe
dita che lavoravano sull’apertura della cintura.
Remus era sopra di lui ora, a cavalcioni sul suo corpo e piegandosi
in avanti, baciandolo forte, muovendo i suoi fianchi avanti e
indietro così delicatamente, quel tanto che basta per essere
esasperante.
596
«Moony...» Gracchiò Sirius, contro le sue labbra. «Per favore...»
Bastava, bastava sempre. Remus ringhiò e accelerò i suoi
movimenti, premendo più forte, praticamente mordendo le labbra
di Sirius.
Sirius gemette estato, eccolo lì; quel bisogno, quel potere furioso.
Non si vergognava di ammettere che la forza di Remus, la sua
capacità di disarmare e sopraffare completamente, era una delle
sue più potenti attrazioni. Essere desiderato da Remus era
inebriante. Cercò freneticamente di tenere il passo con il nuovo
ritmo, digrignando con fervore i propri fianchi.
«Mmph.» Mormorò Remus, allontanandosi improvvisamente, le
sue labbra erano scure e i suoi occhi erano scuri e Sirius lo
raggiunse, febbricitante di desiderio.
«Torna indietro...»
«Porta...» Mormorò Remus, guardando di lato. «Tende...»
«Starà via tutto il giorno.» Sirius scosse la testa, slacciando i bottoni
della camicia di Remus, tirandolo giù. «Te lo prometto, me l’ha
detto, va bene...»
«Maledetto San Valentino.» Sorrise Remus, riprendendo a baciare.
Ti amo dannatamente. Pensò Sirius dal nulla.

597
Papà, perché
Daddy was a bad guy, he didn’t know his limits.
I tried to fight him off, but size always wins.
Daddy was a bad guy, his hands upon my thigh,
I said, “I don’t like it!” and continued to cry.

1941
«Alzati, nanetto.» Papà lo afferrò sotto l’ascella con una mano
ruvida e pesante, sollevandolo dolorosamente in piedi. «Prima
colazione!»
Fenrir inciampò un po’, assonnato e confuso, ma si mise subito in
marcia. Aveva solo otto anni, ma ormai le mattine erano
automatiche. Si affrettò alla stufa e armeggiava con i fiammiferi per
accendere il fuoco. Non vedeva l’ora di poter usare la magia.
Stufa scaldata, uscì per vedere se le galline avevano deposto. Papà
lo schiaffeggiò sulla nuca mentre usciva. Non per nessuna ragione,
davvero, tranne che Fenrir di solito se lo meritava. Il terreno
ghiacciato gli faceva male ai piedi nudi, ma lui non si lamentava:
non devi mai lamentarti con papà.
La loro roulotte era più piccola dall’esterno e un po’ meno
consumata, ma a Fenrir piaceva. Sua madre l’aveva dipinta con
vivaci colori gitani, troppi anni prima. Era marrone scuro con un
tetto cilindrico verde e grandi ruote gialle. Sulla porta c’erano
margherite dipinte che cominciavano a sbiadire. Fenrir pensava
spesso che gli sarebbe piaciuto ridipingerlo, renderlo bello come
lo era stato quando la mamma era con loro, ma questo
probabilmente avrebbe solo fatto arrabbiare papà. Non gli piaceva
quando la ricordava.

598
C’erano tre uova nel pollaio, il che era un bene, perché
probabilmente Fenrir ne avrebbe presa una. Li cullò con cura tra
le mani a coppa, riportandoli dentro.
C’era una nuova pelle di lupo distesa sulla rastrelliera appoggiata
alla fiancata della roulotte. Un’uccisione. Papà sarebbe stato di
buon umore, quindi, probabilmente sarebbe stato pagato.
Di ritorno nella roulotte, papà era seduto sulla sua sedia e si
toglieva il fango dagli stivali. I suoi vestiti avevano un cattivo
odore, Fenrir sapeva che avrebbe dovuto lavarli più tardi. La notte
scorsa c’era la luna piena e, poiché aveva avuto successo, Fenrir
pensava che sarebbero andati avanti molto presto. Era ora di
iniziare a seguire un altro mostro.
Nell’ultimo posto in cui erano stati, gli abitanti del villaggio non
avevano mai dato a papà i suoi soldi, avevano detto che i lupi
mannari non erano reali e che papà li aveva ingannati che aveva
appena dato la caccia a un lupo normale. Papà era furioso e Fenrir
ebbe la peggio. La sua spalla a volte gli usciva ancora.
Era piuttosto orgoglioso di suo padre, che era forte, feroce e
coraggioso. Ma aveva anche paura di lui. Papà voleva che anche
Fenrir fosse feroce e forte - ecco perché gli ha dato il suo nome -
ma Fenrir era un moccioso e una delusione. Un giorno sarebbe
potuto diventare grande, e un giorno avrebbe conosciuto la magia,
ma fino ad allora aveva imparato che era meglio essere buoni e fare
come gli era stato detto.
Cucinò la colazione e papà iniziò a bere. Fenrir fece una smorfia.
Forse non sarebbe stata una buona giornata.
Mangiarono tranquillamente, papà sul letto, che si asciugava le
mani unte sulle lenzuola, pesanti impronte sulla bottiglia di whisky.
Fenrir sedeva a gambe incrociate sul pavimento, cercando di
mimetizzarsi con i mobili. Se fosse rimasto piccolo, forse questa
volta non se ne sarebbe accorto, forse no...
599
«Nanetto.» Disse papà, spingendo da parte il piatto vuoto. «Alzati.»
Fenrir non aveva finito di mangiare, ma si alzò di scatto. C’era una
penalità, se eri troppo lento. Suo padre si spostò di nuovo sul letto,
per fare spazio. Fenrir iniziò a ritirarsi nella sua testa. Se avesse
avuto abbastanza tempo, avrebbe potuto andare molto, molto
lontano senza che papà se ne accorgesse.
Poteva lasciare il suo corpo lì e non avrebbe importanza, dovevi
solo imparare a chiudere le parti doloranti.
Papà accarezzò il letto.
«Vieni qui.»
Ti odio. Fenrir pensò, mentre si avvicinava. Ti odio ti odio ti odio.

Daddy was a bad guy, his hands around my neck,


I said, “I don’t like it!” - I had nothing left,
Daddy was a bad guy, his fucking filthy hands,
Oh daddy, I just don’t understand why
You’re such a fucking bad guy.

1948
Erano in Scozia quando accadde, e le margherite sulle porte della
roulotte si erano staccate da tempo, rivelando il legno scheggiato e
marcio sottostante. A quindici anni, Fenrir era alto e grosso quasi
quanto papà, per via di una vita passata a tagliare la legna,
trasportare la roulotte e combattere chiunque cercasse di
avvicinarsi troppo.
Papà stava diventando più piccolo, il bere lo aveva ridotto a un
guscio avvizzito e amaro del golia che era stato una volta. Aveva
perso i capelli e aveva delle piaghe sulla bocca. Fenrir faceva la
maggior parte della caccia, ormai era uno studente veloce.
Uscivano insieme nelle notti che precedevano la luna piena, e i
600
sensi di Fenrir si acuivano mentre seguiva; divenne familiare con
le foreste, i campi e i solchi della Britannia, la magia del suolo e il
pericolo degli alberi.
Non era andato a scuola. C’era una lettera quando aveva compiuto
undici anni, ma papà l’aveva bruciata e due giorni dopo gli aveva
dato una bacchetta.
«Ci prenderai la mano.» Disse. «O non lo farai. In entrambi i casi.»
Queste erano le uniche istruzioni che Fenrir avesse mai ricevuto.
Tuttavia, trovò un modo. Ogni volta che passavano attraverso
villaggi magici, Fenrir rubava libri sulla magia e in questo modo
imparava da autodidatta. A volte leggeva anche altri tipi di libri e
quando lo faceva si sentiva meno solo. Era una piccola forma di
libertà e un’altra via di fuga nella sua mente. A metà
dell’adolescenza, Fenrir sapeva come difendersi e papà finalmente
smise di interferire con lui.
Rimase con suo padre, però, forse per qualche contorta lealtà. Non
aveva nessun altro posto dove andare, non conosceva altri maghi.
Non aveva alcun mestiere, nessuna abilità tranne cacciare, uccidere
e scuoiare. Tuttavia viaggiava molto bene e dopo essersi spostato
da un posto all’altro, avendo osservato la vita degli altri a distanza,
Fenrir era giunto alla conclusione che non aveva un vero posto nel
mondo.
Quella notte in Scozia papà era ubriaco. Era quasi sempre ubriaco,
ma di solito non durante la luna piena. Fenrir era irritato, avevano
seguito il lupo per quasi tre giorni attraverso una palude paludosa.
I luoghi che queste creature sceglievano di vivere erano sempre
immondi, sempre remoti e inospitali. Fenrir era stanco, i suoi
stivali avevano perso e i suoi calzini sgualciti, freddi e doloranti. E
papà era ubriaco. Faceva troppo rumore, inciampava, riusciva a
malapena a vedere le cose davanti al suo viso.

601
«Resta qui.» Supplicò Fenrir, mentre la bestia ululava nelle
vicinanze. Erano molto vicini. Rimasero ai margini di un
boschetto, guardando la brughiera, la luna piena luminosa e
rotonda come una moneta d'argento. «Aspetta qui in silenzio e io
me ne andrò...»
«Chiudi il becco.» Farfugliò papà, schiaffeggiandolo sulla testa.
«Non sei ancora un cacciatore, sei ancora il mio apprendista, non
dimenticarlo, nanetto.»
«Lasciami andare da solo.» Disse Fenrir, con calma. «Lascia che
uccida questo. Ti renderò orgoglioso.»
«Puah!» Papà rise crudelmente. «Il giorno in cui mi renderai
orgoglioso cadrò morto per lo shock. Adesso muovi il culo.»
Spinse Fenrir in avanti, verso il limitare della brughiera.
Esposto, Fenrir si accucciò in basso, fissando i pendii bui delle
colline, alla ricerca di segni di un predatore. I peli sulla nuca si
rizzarono, inclinò la testa per ascoltare, gli parve di sentirlo
respirare, avanzare verso di loro attraverso l’erba alta.
«Non riesco a vedere nessuna bastardata.» Mormorò papà ad alta
voce.
Anche lui respirava pesantemente, ansimava e continuava a
trangugiare dalla sua borraccia, facendo un rumore sguazzante.
«Shh!» Fenrir sibilò disperatamente, stringendo la bacchetta.
«Non zittirmi, piccolo sporco...» Urlò papà, ma era troppo tardi: il
lupo balzò fuori dal nulla, correndo verso di loro ringhiando, la
bocca con la schiuma, gli occhi che brillavano d’oro.
Fenrir si tuffò di fronte a suo padre, spingendolo indietro, e fu
appena in tempo, non appena suo padre si arrampicò di nuovo nel
boschetto, che il lupo fu sopra Fenrir, le sue zampe giganti che
premevano sulle sue spalle, come grandi come quello di un leone,
il suo alito caldo tra i capelli mentre stringeva forte gli occhi.

602
Papà non si vedeva da nessuna parte. Fenrir sentì un lontano
*CRACK* di scomparsa e maledisse silenziosamente suo padre
mentre si preparava al peggio.
Sarebbe stata fine di quindici anni di miseria. Si consolò con quel
pensiero mentre le fauci del lupo si chiudevano intorno al suo
centro.

Se Fenrir cercava la pace, allora la sua fortuna era finita. Con sua
sorpresa e terrore, si svegliò all’alba e scoprì che non era morto.
Era sdraiato supino su una soffice lettiera di foglie all'imbocco di
una grande grotta. Una debole luce solare si riversava su di lui e il
gelo toccava i rami degli alberi sporgenti, ma non aveva freddo.
Era coperto da una coperta e un fuoco ardeva accanto a lui,
scoppiettando dolcemente. Cercò di mettersi a sedere, ma il dolore
lo assalì e gridò, con le lacrime agli occhi. Il suo intero busto
bruciava e si ricordava di quei giganteschi denti gialli.
«Cerca di riposare.» Disse una voce.
Fenrir allungò il collo e vide un uomo seduto di fronte a lui. Aveva
le gambe lunghe, allampanato, e aveva i capelli grigi ruvidi raccolti
in una lunga treccia, una barba trasandata e intensi occhi scuri.
«Cosa è successo?» Fenrir cercò di rimettersi a sedere, ma quasi
urlò per il dolore e si sdraiò di nuovo, stringendo i denti. Era solo
dolore, si disse, ignoralo e basta.
«Scusa per questo.» l’uomo gli annuì. «Ho cercato di essere gentile
ma...»
«Mi sono un po’ sovreccitato.»
«Tu! Tu sei il lupo!»
«Sì.»
«Mi hai morso!»
«Sì, l’ho fatto, ragazzo. Dovresti ringraziarmi.»
«Ringraziarti?!» Fenrir lo fissò. «Io ti ammazzo!»
603
L'uomo rise. «Ah, non lo farai. Dagli tempo. Potrebbe piacerti la
tua nuova situazione nella vita.»
«Hai posto fine alla mia vita.» replicò Fenrir, fissando avvilito le
pareti della caverna. «Non sai chi è mio padre.»
«Coilean Greyback? Ogni lupo in Gran Bretagna sa chi è. In
Europa, addirittura. Un tempo era famoso, avevamo paura di lui.
In questi giorni, non così tanto. Ho sentito che aveva un ragazzo
con lui, tu sei suo figlio dici?»
Fenrir non rispose.
«Sì.» Il lupo mannaro annuì. «Sì, hai il suo l’aspetto. Potresti essere
il doppio di lui, lo sai. Sento l’odore della tua magia ed è...» Inalò
l’aria lascivamente, sorridendo, mostrando i denti rotti
insanguinati. «Delizioso.»
Fenrir non disse ancora nulla. Perché il lupo non lo aveva
semplicemente ucciso? Preferirebbe essere morto. Che cosa aveva,
adesso? Dove potrebbe andare?
«Ovviamente non ha molta stima di te.» Disse il lupo. «Il tuo
vecchio. È scappato via abbastanza veloce.»
Fenrir chiuse gli occhi e il lupo non lo disturbò più.

Hereditary madness passed from dad to dad.


It’s hard to know who to blame when I see him so sad.
A life of constant battle within his own mind
But why must I pay the price for how he’s so inclined?

Rimase lì per giorni, incapace di muoversi, troppo debole, troppo


distrutto. Il lupo mannaro lo nutriva, lo teneva al caldo, lo puliva
persino, con grande vergogna di Fenrir. Nessuno aveva mai
trattato il suo corpo con tanta cura prima; tanta gentilezza.
Nessuno era mai stato così gentile, tranne forse sua madre, che
Fenrir non riusciva a ricordare.
604
Il quarto giorno, il lupo tirò indietro le bende per mostrare quanto
bene il morso stesse guarendo. I segni rosso intenso gli
increspavano la pelle, ma non c’erano più sanguinamenti o croste
e il dolore era quasi scomparso. Si sentiva ancora febbricitante, il
suo corpo reagiva alla maledizione che ora gli scorreva nel sangue,
adattandosi all'attrazione della luna. I colori cominciavano a
sembrare più brillanti, i rumori più nitidi e gli odori più forti, e
sebbene fosse troppo esausto per muoversi, si sentiva ancora
irrequieto e inquieto dappertutto.
«Perché non mi hai ucciso?» Chiese, infine, mentre l'uomo
macinava un cataplasma curativo in un mortaio.
«Perché dovrei ucciderti?» Il lupo rise.
«Ho ucciso lupi mannari, lo sai. Venti o giù di lì. Li cacciavano, li
scuoiavano, vendevano le loro pelli.»
«Sì, è così che so che te lo meriti.»
«Quindi è una punizione.»
«È un regalo. Vedrai. Puoi ancora cacciare. Prima eri un
apprendista, ma ti renderò il più grande cacciatore mai conosciuto.
Bambini si rannicchieranno nei loro letti al solo pensiero di te.»
«Sei pazzo.»
«Io sono sì.»
«Cosa c'è in questo per te?» Fenrir alzò la testa.
Fu spogliato fino alla cintola, in modo che il lupo potesse lavorare
sulle sue ferite. Era rimasto disteso lì, vulnerabile e incapace di
difendersi da giorni, e aveva dormito spesso, ma ancora
quell'uomo non lo aveva toccato se non per curare le sue ferite.
Fenrir non sapeva quando sarebbe arrivato, ma sapeva che lo era.
Rimase lì per giorni, incapace di muoversi, troppo debole, troppo
distrutto. Il lupo mannaro lo nutriva, lo teneva al caldo, lo puliva
persino, con grande vergogna di Fenrir. Nessuno aveva mai
trattato il suo corpo con tanta cura prima; tanta gentilezza.
605
Nessuno era mai stato così gentile, tranne forse sua madre, che
Fenrir non riusciva a ricordare.
Il quarto giorno, il lupo tirò indietro le bende per mostrare quanto
bene il morso stesse guarendo. I segni rosso intenso gli
increspavano la pelle, ma non c’erano più sanguinamenti o croste
e il dolore era quasi scomparso. Si sentiva ancora febbricitante, il
suo corpo reagiva alla maledizione che ora gli scorreva nel sangue,
adattandosi all’attrazione della luna. I colori cominciavano a
sembrare più brillanti, i rumori più nitidi e gli odori più forti e
sebbene fosse troppo esausto per muoversi, si sentiva ancora
irrequieto e inquieto dappertutto.
«Perché non mi hai ucciso?» Chiese infine, mentre l'uomo
macinava un cataplasma curativo in un mortaio.
«Perché dovrei ucciderti?» Il lupo rise.
«Ho ucciso lupi mannari, lo sai. Venti o giù di lì. Li cacciavano, li
scuoiavano, vendevano le loro pelli.»
«Sì, è così che so che te lo meriti.»
«Quindi è una punizione.»
«È un regalo. Vedrai. Puoi ancora cacciare. Prima eri un
apprendista, ma ti renderò il più grande cacciatore mai conosciuto,
i bambini si rannicchieranno nei loro letti al solo pensiero di te.»
«Sei pazzo.»
«Lo sono, sì.»
«Cosa c’è in questo per te?» Fenrir alzò la testa.
Fu spogliato fino alla cintola, in modo che il lupo potesse lavorare
sulle sue ferite. Era rimasto disteso lì, vulnerabile e incapace di
difendersi da giorni, e aveva dormito spesso, ma ancora
quell’uomo non lo aveva toccato se non per curare le sue ferite.
Fenrir non sapeva quando sarebbe arrivato, ma sapeva che sarebbe
arrivato prima o poi.
«Niente.» L’uomo disse.
606
Fenrir socchiuse gli occhi. «Tutti vogliono qualcosa.»
L’uomo si fermò e interruppe il suo lavoro. Si dondolò all’indietro
sulle ginocchia e guardò Fenrir negli occhi.
«Ho avuto un maschio, una volta.» Egli disse. «Lo amavo
teneramente. Avrei fatto qualsiasi cosa per tenerlo al sicuro, ma
alla fine era fuori dal mio controllo.»
«Cosa ha a che fare con me?»
«Niente a che fare con te. Tutto a che fare con Coileán.»
«Mio padre?»
«Sì. Ti tengo d'occhio da quando sei arrivato da queste parti. L’ho
guardato. Ho visto tutto, il bere, la crudeltà. Non ti tratta come
dovrebbe fare un padre. Non ci sono scuse per quello che ti ha
fatto. Un padre protegge i suoi figli, sempre.»
Fenrir provò uno strano mix di emozioni in quel momento.
Peccato, perché la vergogna era sempre in primo piano. Ma anche
altre cose. Gratitudine, sollievo... e rabbia.
Tanta rabbia.

Fenrir stava di nuovo bene quando tornò la luna piena. Il suo


aggressore, o il suo salvatore, gli aveva insegnato molto nel
frattempo. Sapeva già come sopravvivere a condizioni difficili,
come badare a sé stesso e come nutrirsi. Ma il lupo gli aveva
insegnato tutto il resto; come incanalare la sua magia, come estrarla
dall’ambiente e sentirla crescere dentro di sé, come spingerla fuori
e farle fare ciò che voleva.
Si sentiva più forte, più sano che mai. Per la prima volta nella sua
vita, si sentiva in controllo. E poi arrivò la luna, e oh!
Fu la notte più bella della sua vita; lo considererebbe per sempre
un ricordo perfetto, del tutto prezioso per lui. La trasformazione
fu difficile, ma sapeva come affrontare il dolore, e quando la bestia
si impennò dentro di lui prorompendo, si sentì rinato; una creatura
607
della natura, dei boschi, della carne e del sangue e delle tenebre.
Cacciarono insieme, selvaggi e affamati. Assaggiarono il sangue
umano. Finalmente conobbe la gioia.
«Avevi ragione.» ansimò mentre il sole sorgeva e le sue membra si
ritraevano. «È un regalo!»
«Questo è il mio ragazzo.» Il lupo mannaro gli sorrise stancamente.
Allungò una mano insanguinata e Fenrir l’afferrò. Riversarono la
loro energia l’uno nell’altro e guarirono.
«Voglio tornare indietro.» Gemette Fenrir, addolorato per la
perdita del suo vero corpo; un corpo che era intatto e puro. «Non
possiamo rimanere così? Non c’è magia?»
«Forse un giorno.» Rise il lupo mannaro. «Non vorresti che ti
avessi ucciso, allora?»
«No.» Fenrir scosse la testa, stordito dall'adrenalina. «Non potrò
mai ripagarti per quello che hai fatto. Grazie, grazie...»
«Aspetta di trovare un branco.» Sorrise il lupo mannaro. «Oh che
divertimento, ti divertirai Fenrir Greyback.»

He says that he loves me, but I know he don’t


As he lays in a pile of his blood.
He says that he loves me, but I know he don’t
As he lays in a pile of his blood.

I might feel unwanted, I might feel alone


The torture will last no more.
Oh battered and broken he lies on the floor,
The torture will last no more

Avrebbe potuto tornare da suo padre come lupo. Sarebbe stato il


modo più semplice, veloce e probabilmente più spaventoso di

608
farlo. Ma Fenrir voleva che papà sapesse chi l’aveva ucciso. Voleva
farlo da uomo.
Andò da solo.
La carovana era ancora nella sua radura. I polli sembravano magri
e denutriti, probabilmente perché Fenrir era quello che di solito si
prendeva cura di loro. Poteva sentire l’odore di suo padre anche a
distanza: il sudore sporco, l’odore dell’alcol, il suo alito acido. E
magia: metallica, stucchevole e calda. Fenrir la bevve mentre si
avvicinava.
Rimase sulla soglia. Suo padre era disteso a russare sulle lenzuola
sporche, luccicanti di sudore unto, una bottiglia stretta in una
mano artigliata. Fenrir batté le nocche contro la porta di legno con
le margherite dipinte. Papà si mosse, alzando una mano per
ripararsi gli occhi dalla luce.
«Nanetto?» Gracchiò. «Sei tu?»
«Sono io.»
«Pensavo fossi morto.»
«Anch’io.»
«Ma sei tornato indietro, eh? Bravo ragazzo.»
Fenrir chinò la testa. «Sei orgoglioso di me?»
«Che cosa? Chiudi la bocca. Portami la colazione e poi vieni a dirmi
dove sei stato.»
«No.» Disse Fenrir. «Non rimarrò.»
«Di cosa stai parlando? Questa è casa tua! Sono tuo padre!»
«No.» Fenrir scosse la testa.
Coileán Greyback era un vecchio ubriacone violento, ma non era
un completo idiota. Mentre suo figlio di quindici anni camminava
verso di lui, i suoi occhi si allargarono quando riconobbe il
luccichio nei suoi occhi, le cicatrici che gli attraversavano il viso.
«Tu! Tu sei uno di loro!» Indicò. «Sei una bestia! Dovrei...» Cercò
la bacchetta sul letto, ma Fenrir sapeva esattamente cosa fare.
609
Alzò la mano, girando il polso e il braccio di suo padre si contorse
all’indietro, un delizioso scricchiolio riempì la roulotte mentre le
ossa si spezzavano come ramoscelli. Papà urlò e Fenrir provò un
brivido di piacere.
«Sudicio!» Il vecchio si lamentava, mentre Fenrir avanzava.
«Sporco, immondo-»
«Silenzio.» Fenrir alzò di nuovo la mano e questa volta colpì suo
padre in faccia, più forte che poteva. Era così forte ora che non
sarebbe mai più stato trattenuto.
Coileán Greyback sputò fuori un dente. Un’altra ondata di piacere,
Fenrir strinse le mani intorno al collo di suo padre.
«Buonanotte, papà.»

Oh daddy, why are you so bad?


Oh daddy, why are you so bad?
Oh daddy, why are you so bad?

Oh daddy, oh daddy, oh daddy - why


Are you so fucking bad?

1977
Trascorse ancora qualche anno con il lupo mannaro che lo
trasformò, fino alla sua morte nel gelido inverno del 1960. Dopo
di che Fenrir perse un po’ il suo scopo. Avevano cacciato insieme
per anni, in tutta Europa, strappandosi un sentiero di furia e
distruzione. Ma tutte le cose belle erano finite.
Il dolore di Fenrir lo sorprese. Era arrivato a vedere il lupo
mannaro non solo come il suo salvatore, ma come il suo vero
padre. Era un uomo che capiva la lotta e il tormento e che voleva
salvare gli altri da tale miseria.
610
Allora perché non onorare la sua memoria?
L’idea venne a Greyback una mattina oscura. Era solo e i lupi non
erano fatti per stare da soli. Quanti bambini al mondo erano
cresciuti come lui, trascurati, maltrattati, affamati d’amore?
Avrebbe potuto salvarli. Avrebbe potuto proteggerli. E nessuno di
loro sarebbe mai più stato solo.
Livia era stato il suo primo e forse più grande trionfo. Sua madre,
una puttana babbana, era più interessata a ottenere la sua prossima
dose che alla figlia orfana dagli occhi grandi. Fenrir colse l’odore
della magia del bambino a cinque strade di distanza e li osservò per
giorni.
Quando arrivò la luna, entrò furtivamente dalla finestra e strappò
la gola alla madre. La bambina giocava con il sangue caldo come
se fosse pittura con le dita e Greyback sapeva di aver scelto
saggiamente. La trasformò proprio in quel momento.
L’apprezzò e la viziò; la sua piccola principessa, la sua cagna alfa.
Diventò così forte e così bella. Ce n’erano altri, tutti splendidi a
modo loro, tutti potenti, feroci e leali, ma nessuno in confronto a
Livia. Col passare degli anni, i suoi figli continuarono a trasformare
gli altri, così andavano le cose; non poteva negare loro la loro
indipendenza. E tornavano sempre a casa quando li chiama.
Beh. La maggior parte di loro.
E ora c’era una guerra in corso e mentre Greyback aveva poco
interesse per gli affari dei maghi, non era contrario a un po’ di
violenza extra a condizione che paghi bene. Era orgoglioso della
sua famiglia, voleva che il mondo li vedesse in tutta la loro gloria.
Se il Signore Oscuro aveva uno sbocco, tanto meglio.
Sapeva cosa dicevano di lui. Quelli che lo chiamavano mostro.
Non era stupido. A volte pensava che avrebbero potuto avere
ragione; a volte si chiese se era pazzo. Ma se lo era, allora non era
colpa sua. Non era così male, davvero. Si prendeva cura dei suoi
611
figli, agiva nel loro interesse, li teneva in riga. Questo era tutto ciò
che un padre può fare, alla fine.

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Out of the Blue

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Aprile 2016, Brighton
«Oh mio dio, mio eroe! Hai idea di quanto ti amo?» Marcus sorrise
a Grant come se fosse un’oasi nel deserto. Che in qualche modo
lo era, in quel momento.
«Latte scremato, niente zucchero.» Sorrise Grant, facendosi strada
tra la folla e posando la tazza di caffè sul bancone. «Come va?»
«Occupato!» Marcus annuì, portando il caffè alle labbra e bevendo
qualche sorso grato. «So che ho del personale qui da qualche parte,
ma servo da solo i clienti da ore.»
«Jamie doveva essere qui, gliel’avevo fatto promettere.»
«Oh beh, Atif e Jon sono sul retro a fare scorta, vuoi salutarli?
Come è stata la tua mattinata?»
«Sì, bene. Solo scartoffie.» Grant si guardò intorno nel negozio
gremito.
Il giorno del negozio di dischi sembrava ancora abbastanza nuovo
per Grant, ma era d’accordo, se significava che il negozio era così
occupato. Almeno le loro finanze sarebbero rimaste attive questo
mese; Grant non pensava che sarebbe mai riuscito a vedere il
giorno in cui i negozi di dischi avrebbero smesso di fare soldi, ma
quello era il ventunesimo secolo.
Molti negozi di musica stavano chiudendo per sempre, ma loro
non avevano intenzione di farlo. Il posto era troppo speciale per
Marcus: lo aveva aperto con il suo compagno, John, alla fine degli
anni ottanta. Dopo la morte di John, anni prima che Grant entrasse
di scena, Marcus aveva giurato che l’avrebbe tenuto aperto come
memoriale. Quella era una delle cose che Grant amava di Marcus.
Manteneva le promesse, anche se erano sdolcinate. Lui e Grant si
erano incontrati nel 1999, a un appuntamento al buio
estremamente imbarazzante. Avevano un amico in comune che
aveva cercato di farli mettere insieme per anni, a quanto pare.

616
Grant all’inizio era preoccupato, era single da anni ormai e gli
andava bene ma ci aveva provato, e grazie a Dio che lo aveva fatto,
perché Marcus era, in una parola, perfetto. Sguardi italiani (da parte
di madre) e occhi azzurri islandesi. Mani grandi. Era un po’ più
giovane di Grant, ma l’età non era stata un problema.
All’appuntamento avevano parlato di musica e degli anni Ottanta,
e di aver perso qualcuno che amavano così tanto. E poi erano
tornati a casa e si erano messi a tentoni sul divano come due
ragazzini. Insomma, era stato amore a prima vista, e Grant di solito
non credeva a quel genere di sciocchezze.
Diede a Marcus un bacio sulla guancia poi andò a infilare la testa
nel piccolo magazzino. «Va tutto bene, ragazzi?»
Due adolescenti erano seduti sul pavimento, uno stava spulciando
una pila di ricevute, grattandosi la testa, l’altro stava timbrando
etichette “Compra 1, prendi 1 gratis!” sulle copertine di vinile.
«Ciao papà!» Atif alzò lo sguardo, sorridendogli.
Il cuore di Grant si gonfiò; lo faceva ogni volta che uno dei suoi
ragazzi lo chiamava “papà”. Non dovevano, non glielo aveva mai
chiesto, ma lui e Marcus tavano cresciuto Atif da due anni ormai,
da quando aveva quattordici anni, e all’inizio aveva avuto così tanti
problemi che Grant si sentiva davvero come se si fosse guadagnato
il titolo.
Jon era con loro solo da un mese ed era un po’ più giovane di Atif,
quindi alzò lo sguardo e annuì. Grant gli sorrise. Jon era timido e
molto dolce, finché non perdeva le staffe.
«Vi divertite?»
«Oh sì, è un vero spasso qui dietro.» Disse Atif sfacciatamente.
Grant rise; amava gli adolescenti, non ti prendevano mai in giro.
«Continua così: puoi fermarti a pranzo all’una. Venite davanti e vi
troverò un po’ di soldi.»

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Li lasciò al loro lavoro. A loro piaceva quando gli altri si fidavano
a lasciarli soli, a prendersi cura di sé stessi. Grant di solito trovava
che lavoravano molto più duramente.
Quando era tornato in officina, Jamie si era presentato e aveva
preso in consegna le casse. Marcus era in piedi dietro di lui, al
telefono, una mano sull’altro orecchio per coprire il frastuono.
Grant diede a Jamie una pacca sulla spalla e ricevette in cambio
uno sguardo torvo. Jamie aveva diciassette anni ed era quasi troppo
vecchio per essere adottato. Aveva vissuto con loro per alcune
settimane all’anno da quando aveva dodici anni, e ogni volta
sembrava avere una nuova serie di problemi. Ma li rispettava,
soprattutto, e in genere faceva come gli veniva detto.
Grant aiutò Jamie, rilevando i dischi di insaccamento mentre
venivano caricati, offrendo un sorriso amichevole mentre
consegnava ogni borsa.
Marcus terminò la telefonata e diede un colpetto sulla spalla di
Grant. «Tesoro, era Janine, in ufficio.»
«Dio...» Sospirò Grant. «Un altro caso di emergenza?»
«Ho paura sia così, sei anni. Lo hanno trovato a casa da solo, non
riesce a raggiungere i suoi genitori. Potrebbero essere per poche
notti.»
«Sei anni è un po’ giovane.» Grant si accigliò, ancora incassando
dischi. «Sanno che ne abbiamo già tre.»
«Può dormire sul letto nel tuo letto pieghevole in ufficio. Oppure
metti Jamie con...»
«Io non mi sposto.» Jamie grugnì, senza nemmeno alzare lo
sguardo dalla cassa.
Marcus e Grant si scambiarono uno sguardo. Grant scrollò le
spalle.
«Che letto pieghevole sia, allora. Vuoi che vada?»
«Lo farò io, ho le chiavi della macchina. Stai bene?»
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«Con Jamie qui? Assolutamente sì.» Sorrise Grant, dando di nuovo
una pacca sulla spalla a Jamie. L’adolescente se lo scrollò di dosso,
ma Grant lo vide sorridere anche lui.
Andarono avanti per un po’, la macchina per le carte era in bilico,
ma Jamie era l’unico che sapeva comunque come risolverlo. Lui
aveva installato il loro Wi-Fi l’anno scorso, e Grant non aveva
ancora idea di dove fosse il router.
Era un modo molto piacevole di trascorrere un sabato, pensò
felicemente. Trascorrere del tempo con i ragazzi, godersi la follia
di duecento hipster scesi da Londra che riempivano il negozio. Era
come una volta Carnaby Street: rumorosa, colorata e piena di
giovani. Poi, dal nulla...
«Molto divertente, Lupin!» La voce di una ragazza ridacchiò vicino
al retro del negozio.
Grant si bloccò, tutti i peli sul suo braccio si rizzarono. Gesù Cristo.
Era come se qualcuno avesse camminato sulla sua tomba. Si
riscosse: non voleva pensare alle tombe. Ma quel nome! Non era
cosa comune...
Sbirciò dall’altra parte del negozio, ma era troppo occupato per
distinguere qualcuno. Aveva lasciato gli occhiali a casa, Marcus era
sempre d’accordo con lui per risolvere la questione con la chirurgia
laser, ma quando avrebbe avuto il tempo Grant? Era terribile
invecchiare.
«Oi.» Jamie lo stava spingendo con la punta del piede del suo
allenatore. «Oi! Mi stai ascoltando?!»
«Scusa amico, cosa?» Grant scosse la testa.
«Ho chiesto se puoi subentrare? Ho bisogno di pisciare.»
«Sì, vai.» Grant annuì, ancora un po’ distratto.
L’adolescente roteò gli occhi e se ne andò arrancando nella stanza
sul retro, borbottando qualcosa su Grant che sta diventando senile.
Grant si schiarì i pensieri e sorrise al cliente successivo.
619
«Trova tutto okay?»
Era troppo impegnato perché Grant iniziasse a ricordare, il che era
positivo, perché Grant cercava di evitare di guardarsi indietro, se
poteva. Meglio continuare ad andare avanti, questo era quello che
aveva detto ai suoi ragazzi.
Servì i successivi cinque o sei clienti con facilità, tenendo d’occhio
qualsiasi trambusto nel magazzino e spuntando una lista per il
nuovo ragazzo nella sua mente. Avevano sicuramente lenzuola
pulite a portata di mano; dovevi essere pronto, in affidamento,
chiunque poteva presentarsi in qualsiasi momento. Erano i vestiti
di cui era preoccupato: a seconda di quanto fosse grande il ragazzo,
poteva essere difficile trovare dei jeans puliti che gli andassero
bene.
Decise di mandare Atif e Jon al Grande Tesco durante la pausa
pranzo, per vedere se potevano comprarne lì qualche paio.
Intendiamoci, se lo avesse fatto doveva assicurarsi di fare un
elenco molto chiaro e chiedere una ricevuta. A Grant non
importava che scremassero un po’ per cose come dolci o snack,
ma Atif aveva una trascorso di intascare contanti per cose
leggermente meno legali. Era passato un po’ di tempo dall’ultima
corsa con la legge, ma Grant era sempre cauto, perché-
«Solo questi, per favore.» La persona successiva in coda fece
scivolare tre dischi sul bancone e il cuore di Grant perse un battito.
Quelle dita lunghe, nodose alle articolazioni. Il fisico alto e
allampanato, come se una notte si fosse alzato di dieci centimetri
in più e non ci fosse abituato; il pomo d’Adamo, gli occhi
grigioverdi.
Grant sapeva che era completamente pazzo, ma non poteva
trattenersi. «Remus!»
Ma questo non era Remus, come poteva esserlo? Per prima cosa,
Remus Lupin era morto da quasi due decenni; inoltre quest’uomo
620
era troppo giovane, a malapena un adulto. E aveva i capelli blu
brillante, Remus Lupin non si sarebbe mai tinto i capelli nemmeno
tra un milione di anni; avrebbe richiamato troppa attenzione su di
lui.
«Come mi hai chiamato?» Il giovane gli rivolse uno sguardo strano.
La bocca di Grant si aprì e si chiuse alcune volte, prima che
tornasse in sé.
«Scusa!» Disse. «Pensavo fossi qualcun altro, è stata una lunga
giornata! Facciamo suonare questi, andiamo...» Prese i dischi,
sentendosi tutto caldo e freddo.
Fortunatamente, il ragazzo dai capelli blu non gli fece più
domande: la sua bella ragazza bionda gli stava tirando un braccio,
quindi se ne andò abbastanza velocemente. Grant non riusciva a
guardare di nuovo da vicino il ragazzo; era troppo inquietante.
Jamie riapparve al suo fianco, insieme agli altri due.
«Possiamo andare a pranzo adesso?» Stava chiedendo Atif.
Grant lo sentiva solo a metà, era come se tutto nel suo cervello si
fosse improvvisamente rallentato, e tutto ciò che riusciva a sentire
era «Come mi hai chiamato?» e tutto ciò che riusciva a vedere era
quella faccia scettica e scoraggiata che Grant conosceva così bene
che faceva quasi male.
«Papà? Ohi! Papà?» Atif agitò una mano davanti al viso di Grant.
«Che cosa? Lasciami stare, piccolo impertinente.» Ridacchiò
affettuosamente.
«Stai bene?» I tre ragazzi lo guardavano in modo strano. «Sei
diventato tutto pallido e strano.»
«Ah sì?» Grant sollevò una mano per passarsela tra i capelli, solo
che era praticamente calvo ora, e tutto quello che sentiva era la sua
pelle appiccicosa.
«Probabilmente il caldo.» Disse Atif. «Vuoi dell’acqua?»
«Grazie.» Grant annuì con gratitudine.
621
«Farò io la cassa.» Disse Jamie all’improvviso, spingendolo via.
«Vai a sederti, G-man.»

«Stai bene?» Chiese Marcus sbadigliando, mentre andavano a letto


quella sera.
Erano quasi le undici, ma Marcus era rimasto bloccato alla stazione
di polizia mentre sistemavano il nuovo ragazzo, Kieron. Entrambi
avevano saltato la cena, il che aveva sconvolto l’intera famiglia, e
quando erano tornati Grant era nel bel mezzo della terza guerra
mondiale: Atif e Jamie litigavano costantemente su di chi fosse il
turno della playstation.
«Esausto, ma cos’altro c’è di nuovo?» Rispose Grant. Era seduto
con gli occhiali, a rivedere gli appunti su Kieron. «Non hanno
messo la sua maledetta scuola qui, come dovremmo farlo entrare
lunedì?!»
«Chiamerò Janine domattina.» Sbadigliò di nuovo Marcus. Si
sdraiò e chiuse gli occhi.
«È andato tutto bene lì?»
«Sì, ma ha paura del buio, immagino.» Marcus commentò. «Ho
lasciato la lampada accesa e ho detto che era nel caso volesse
leggere. Comunque, stai bene?»
«Sì.» Mormorò Grant, continuando a sfogliare i pezzi di carta che
costituivano il fascicolo di Kieron.
Li esaminava sempre da cima a fondo e il più delle volte erano così;
pinzati e fermati insieme, grafia scarabocchiata, firme mancanti.
Faceva impazzire Grant, non c’era da stupirsi che così tanti ragazzi
erano caduti attraverso le lacune.
«Atif ha detto che hai avuto un momento strana, al negozio.»
«Che cosa? No, stavo solo... Ah, non è niente.»
«Hai bisogno di una pausa?» Marcus rotolò su un fianco,
appoggiato sul gomito.
622
«No, amo la mia vita.»
«Tesoro, fai molto, lo sai... Lo so che ti rende felice, ma alla tua-»
«Dì “alla tua età” e ti pugnalerò con questa biro.» Grant minacciò
togliendosi gli occhiali e mettendo le carte sul comodino. «Mi sento
in forma come quando avevo vent’anni. Di più in realtà, a
vent’anni ero un alcolizzato.»
«Mmh e ora sei solo un maniaco del lavoro.» Disse Marcus.
Grant gli lanciò un’occhiata e Marcus alzò le mani.
«Lo so, lo so. I ragazzi non contano come lavoro. Ma comunque,
se ti ritrovi svenuto a metà giornata...»
«È quello che ha detto?» Grant rise. «La piccola regina del dramma!
Dio, pensavo solo di aver visto qualcuno, tutto qui. Mi ha preso
alla sprovvista. Comunque non era chi pensavo, non avevo gli
occhiali.»
«Chi?»
«Ehm.»
«Grant. Chi credevi di aver visto?»
Grant sospirò. Scivolò nel letto e si strofinò gli occhi stanchi.
«Remus.»
Marcus non disse niente e Grant aprì gli occhi per voltarsi a
guardarlo. Aveva una faccia, come se stesse cercando di trovare la
cosa più comprensiva e responsabile da dire.
«Vedi, te l’avevo detto che non era niente. Solo uno stupido errore.
Ricordi quella volta che mi hai detto di aver visto Stephen Fry in
Asda, e si è scoperto che era solo una lesbica molto alta?»
Marcus sbuffò. «Okay, abbastanza giusto. Tuttavia, deve essere
stato un po’ strano.»
«Sì, lo era. Ma è stato solo un errore.»
«Cosa c’era in lui? La persona che hai scambiato per lui, voglio
dire?» Marcus non sapeva che aspetto avesse Remus.

623
Non era colpa di Grant; non aveva foto del loro tempo insieme,
erano ancora nell’appartamento per quanto ne sapeva. Niente
avrebbe convinto Grant a tornarci. Inoltre, Grant era terribile nel
descrivere le persone, quindi tutto ciò che Marcus sapeva era “Non
so, più alto di me, capelli ricci.”
«Oh, solo qualcosa su di lui.» Disse Grant inutilmente.
«E ti ha davvero scioccato così tanto?»
«Immagino di sì.»
Ci fu un forte tonfo contro il muro di fronte.
Marcus sospirò. «Jon e Atif stanno litigando di nuovo.»
«Giocano solo a wrestling.»
«Sì, ma non sono più dei bambini, uno di questi giorni passeranno
attraverso il soffitto.»
«Vado a dirgli qualcosa, ho comunque bisogno di un bicchiere
d’acqua.» Disse Grant, alzandosi dal letto, si infilò le pantofole e
indossò una delle loro vestaglie.
«Vieni a letto prima di mezzanotte?» Disse Marcus.
«Farò del mio meglio.»
Uscì dalla stanza, chiudendosi piano la porta dietro di sé. La luce
del pianerottolo era ancora accesa e anche la luce del bagno, la
porta spalancata. Sospirò e spense entrambi, prima di guardare
nella seconda camera da letto matrimoniale.
Atif e Jon erano sdraiati di lato sui loro letti, completamente vestiti
ancora, e si davano calci a vicenda attraverso il varco.
«Ehi!» Grant sibilò. «Fate le valigie, voi due! Farete crollare la casa.»
«Scusa.» Atif gli rivolse un sorriso vincente. «Stiamo solo cercando
di stancarci.»
«Se avete così tanta energia ho cinque carichi di bucato che potete
fare al mattino.» Sovvenzione restituita. «Ora mettitevi il pigiama e
andate a dormire!»

624
«Notte, papà.» Disse Atif andando il via con le sue scarpe da
ginnastica.
«Buonanotte, signor Chapman.» Jon sorrise timidamente,
seguendo l’esempio.
«Buonanotte, ragazzi. Vi amo entrambi.»
Chiuse la porta e scese di sotto, in cucina. Aprì il rubinetto e
aspettò che si raffreddasse, poi riempì un bicchiere. Non tornò
subito di sopra, non era ancora abbastanza stanco, era irrequieto.
Aveva bisogno di pensare bene a quel ragazzo nel negozio prima,
ma voleva anche fingere che non fosse mai successo. Che era una
mossa tipica di Remus Lupin.
Grant si appoggiò al bancone della cucina e realizzò che non
pensava a Remus da molto tempo. Forse anche un mese intero.
Poteva vedere la luna attraverso la finestra della cucina, oltre il
melo nel loro giardino sul retro. Una scintillante mezzaluna
d’argento, non sarebbe stato un problema per Remus.
Grant non era sicuro se stesse crescendo o calando, aveva smesso
di seguirla anni prima. Tuttavia, c’erano ancora alcuni ricordi
abbastanza decenti collegati ad lui. Non molte persone erano state
abbastanza fortunate da scoparsi un lupo mannaro la notte prima
della luna piena, avrebbe ancora pensato a quelle notti anche
quando lo avrebbero spedito all’ospizio.
Il gatto entrò e si strofinò contro le sue gambe. Si chinò per
grattarle dietro l’orecchio e lei fece le fusa in segno di
apprezzamento.
Riordinò un po’ la cucina. Quello doveva essere il lavoro di Jamie,
ma chiaramente non ci sarebbe arrivato. Sarebbe stato con loro
solo un’altra settimana comunque, questo succedeva ogni volta. Il
comportamento di Jamie scivolava sempre di più quando si
avvicinava al ritorno a casa. Grant aveva cercato di parlargliene, di

625
scoprire cosa lo turbava, ma si era semplicemente chiuso in sé
stesso.
Quindi Grant fece le pulizie, solo per tenersi occupato. Impilò i
piatti della cena e li mise nel lavandino, legò il sacchetto della
spazzatura troppo pieno e lo rimise a posto, ripose le tazze sullo
scolapiatti.
Kieron avrebbe potuto avere la stanza di Jamie quando se ne
sarebbe andato, pensò Grant tra sé e sé, a seconda di quanto tempo
Kieron sarebbe rimasto con loro. Di solito non avevano bambini
piccoli, per lo più si occupavano di adolescenti problematici.
Marcus aveva detto che quando la polizia lo aveva portato dentro
non aveva scarpe e avevano dovuto incenerire il resto dei suoi
vestiti. Era trascurato. Se c’era qualcosa che rendeva davvero
furioso Grant era proprio quello...
Doveva mettere da parte quei sentimenti però e concentrarsi sul
bambino. Perché il bambino non la vedeva in questo modo; i
bambini andranno d’accordo con qualsiasi cosa se sono abituati. Il
trucco era reinventare la loro idea di normalità. Se Grant e Marcus
potevano almeno dare a Kieron una camera da letto, allora quello
era un inizio.
Mentre chiudeva il frigorifero era caduta una cartolina che era stata
attaccata con un magnete, e dovette piegarsi e raggiungere sotto
l’elettrodomestico per ripescarla. Era di Nick, uno dei loro figli di
tanto tempo fa, cresciuto ora, e in viaggio per l’Australia. C’erano
altre cartoline, lettere e foto attaccate al loro frigo; ragazzi che li
ricordavano con affetto, che volevano restare in contatto. Marcus
le leggeva a Grant quando si sentiva giù. Guarda quanto bene fai!
Funzionava, il più delle volte, ma a volte si sentiva ancora inutile.
Quella era stata la sua normalità, una volta, e scrollarsi di dosso
quella roba doveva essere uno sforzo costante.

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Le lettere di Remus non erano sul frigo, ovviamente. Erano troppo
preziose.
Grant si stropicciò gli occhi e sospirò, esasperato. Non andava da
nessuna parte; stava solo girando in tondo. Era ora di andare a
letto, allora. Riempì l’acqua, spense la luce e cominciò a salire le
scale.
Notò con soddisfazione che non c’era luce, o rumore, proveniente
da sotto la porta della stanza di Jon e Atif. Erano bravi ragazzi,
davvero. Tuttavia, quando superò lo studio, sentì qualcosa. Un
suono singhiozzante e ansimante. Spinse la porta socchiusa per
guardare dentro. Kieron era seduto sul letto, le braccia intorno alle
ginocchia, gli occhi spalancati. La piccola lampada da lettura era
accesa e illuminava la scrivania di Grant, l’antico PC desktop, le
pile di scartoffie e lo schedario chiuso a chiave. Non era una stanza
molto carina per un bambino, ma sarebbe stata solo temporanea.
«Va tutto bene, caro?» Disse Grant sottovoce.
Kieron lo fissò, le guance bagnate. Sembrava più giovane di sei
anni, Grant avrebbe voluto prenderlo in braccio e cullarlo come
un bambino ma era meglio trattenere l’affetto fisico, almeno finché
non avrebbero preso un po’ più di confidenza.
Grant entrò, lasciando la porta un po’ aperta, assicurandosi che
Kieron potesse vedere l’uscita, se avesse voluto andarsene.
«Spaventoso qui dentro, no? Mi dispiace che tu sia rimasto
bloccato in questa stanzetta.»
Kieron non disse niente, lo guardò soltanto.
Grant alzò il bicchiere d’acqua. «Vuoi che ti offra da bere?»
Kieron scosse la testa, stringendo forte il piumone contro il suo
corpo. Indossava una vecchia maglietta di Marcus, che era enorme
su di lui, ma andava bene per dormire. Avrebbero preso dei vestiti
adeguati al mattino, se Janine avesse detto che potevano.
«Fa abbastanza caldo?»
627
Kieron annuì.
«Non riesci a dormire, allora?»
Un altro cenno.
«Neanch’io.» Disse Grant, in tono cospiratorio, «Dimmi una cosa,
mi lasci sedere qui per un po’? A Marcus piace la luce spenta
quando dorme, ma io odio il buio.»
«Okay.» Kieron acconsentì, aprendosi solo un po’.
Si era fatto tagliare i capelli molto corti, povero amore. Non lo
facevano più a meno che non dovessero davvero farlo.
Grant si sedette sulla poltrona. Era appartenuta a John, il partner
di Marcus. Era più vecchio di Marcus di un bel po’, stando alle foto
che Grant aveva visto. Una di quelle vecchie regine intellettuali a
cui piacevano i grandi libri rilegati in pelle e indossavano sciarpe di
seta e un po’ di rossetto per non sembrare troppo vecchie.
«Devo vivere qui per sempre?» Chiese Kieron, la sua voce molto
bassa e acuta.
«Non lo sappiamo ancora. Ma solo per un po’.» Grant odiava non
essere in grado di dare ai ragazzi le risposte che meritavano.
Cercava di essere sempre molto onesto.
«Mi manderanno in prigione?»
«No, amico, non sei nei guai.»
«Chi sono i grandi? Sei il loro papà?»
«No, io e Marcus ci prendiamo cura di loro, perché le loro mamme
e i loro papà non possono. Come te.» Sorrise.
«Perché lo fate?»
«Perché quando ero molto piccolo neanche mia mamma era molto
brava a prendersi cura di me e ho avuto un sacco di guai, tutto il
tempo, e non è stato molto bello. Quindi voglio aiutare altri
ragazzi, ora.»
«Non mi piace qui.»

628
«Lo so, amico, non è casa. Come ho detto, potresti non restare qui
molto a lungo.»
«No, mi piace questa casa.» Disse Kieron. «Ma non mi piace questa
stanza.»
«Oh, capisco!» Grant ridacchiò. «Perché, allora?»
«Lì dentro.» Kieron indicò sotto la scrivania. Non c’era altro che
oscurità e ombre. «Potrebbe esserci un cane e potrebbe
mordermi.»
«Oh, certo.» Grant annuì, come se questa fosse un’ipotesi molto
ragionevole (come lo era, per un bambino di sei anni). «Vediamo...»
Si alzò e andò alla pila di cassetti nell’angolo. Erano su rotelle e si
spostavano facilmente per adattarsi perfettamente sotto la
scrivania, riempiendo lo spazio vuoto. «Così meglio?»
Kieron annuì e si sdraiò con cautela.
Grant si sedette di nuovo sulla poltrona, sbadigliando.
«Anch’io avevo paura dei cani.»
«Ancora?»
«No. Ho vissuto con un lupo mannaro e lui mi ha guarito.»
«Veramente?!» Gli occhi di Kieron si fecero di nuovo grandi, senza
più paura.
Grant provò un impeto di affetto per il dolce faccino. Amava i
bambini.
«Davvero.» Confermò. «E lascia che te lo dica, era una delle
persone più simpatiche che avresti mai potuto incontrare. Per
niente spaventoso. Gli piaceva il cioccolato e le uova a colazione,
leggere libri e guardare la televisione, e non ha mai morso
nessuno.»
«Wow.»
«Pensi di poter dormire, ora?»
«Ci proverò.» Disse Kieron risolutamente.
«Bravo ragazzo.»
629
«Sono nei guai?»
«Certo che non lo sei.»
«A volte sono molto cattivo...» Kieron si stiracchiò e sbadigliò,
chiudendo gli occhi.
«Non penso che tu sia cattivo. Penso che tu sia un bravo ragazzo
che ha passato un periodo molto difficile.» Disse Grant con il
cuore in gola.
Kieron sembrò sorridere un po’.
Non molto tempo dopo, il ragazzo si addormentò.
Grant rimase per un po’, nel caso si fosse svegliato di nuovo.
L’avrebbero spostato in una stanza adeguata domani, decise; Jamie
avrebbe dovuto solo sopportarlo.
Remus era tornato su. Per la centesima volta quel giorno,
sembrava. Maledizione. Pensò Grant tra sé e sé. Siamo di umore
nostalgico, vero?
Dato che non stava dormendo, pensò che tanto valeva cedere. Si
chinò in fondo alla libreria molto lentamente, per non disturbare
Kieron, e tirò fuori una scatola da scarpe dallo scaffale più basso.
Aprendolo in grembo, si morse il labbro. Tutta la sua roba di
Remus. Non molto in realtà, solo poche lettere e alcuni indirizzi e
numeri di telefono scarabocchiati; il menu da asporto del loro
ristorante cinese preferito e una cartina di fiammiferi del primo bar
gay di Remus.
Estrasse la prima lettera dalla busta. La calligrafia esile era così
familiare, eppure così strana. Questo era stata di non molto tempo
dopo che si erano separati.

Grant,
Spero che tu stia bene. Sembra sciocco scriverlo, ma è vero. Spero davvero che
tu stia bene. Più che bene.

630
Le cose sono stressanti qui. Non posso dire molto come sai, ma sto bene, e
anche Sirius. Abbiamo passato più tempo con Harry, il che è stato grandioso.
Abbiamo dovuto trasferirci temporaneamente, quindi se vuoi visitare
l’appartamento sentiti libero, so che hai la chiave. Solo perché tu lo sappia, ho
messo il tuo nome sull’atto. Chiamala assicurazione o regalo, se vuoi.
Hai un bell’appartamento? Come va il lavoro? Mi manca parlare con te.
Con amore,
Remus.

Sì, adesso Grant si ricordava. Era sempre amore, in quelle lettere.


Negli ultimi due anni, Remus gli aveva scritto ogni mese “con
amore”. All’inizio del 1998 le lettere si erano fermate e Grant lo
sapeva. A volte pensava di averlo sentito nel profondo, come un
filo che veniva tagliato. Remus era morto.
Sirius era già morto ormai, glielo aveva detto Remus. Dopo tutta
quell’attesa, alla fine non avevano avuto molto tempo. Non
riusciva nemmeno a scrivere le parole. Era stipato in fondo alla
pagina, come un poscritto: Sirius non è più con noi. È andato.
Le lettere di Remus erano diventate sporadiche dopo, ma aveva
comunque inviato brevi note, fino a quando il filo non era stato
tagliato.
A quel tempo, Grant era addolorato. Aveva riconosciuto le sue
emozioni, aveva preso possesso del suo dolore. Quando voleva un
drink partecipava a riunioni di alcolisti anonimi e quando aveva
bisogno di parlare programmava una consulenza. Si prese tempo
per sé stesso, ma fece attenzione a non ritirarsi.
Aveva fatto male, aveva fatto male per molto tempo. Si era buttato
nel lavoro e per un bel po’ fu abbastanza. E poi incontrò Marcus,
e finalmente era tornato il sole.
Il fatto che anche Marcus avesse perso qualcuno aiutò molto.
Significava che i lunghi silenzi non erano vuoti, e che le cose più
631
difficili non avevano bisogno di essere spiegate. Quando Grant
disse a Marcus del suo desiderio di iniziare ad aiutare ragazzi
adolescenti con una vita familiare difficile, Marcus era d’accordo,
ed era così che Grant capì che era lui. Avevano già la grande casa;
lasciata da John, con un giardino giusto per giocare a calcio, e
vicino al mare. A quel punto Grant era in grado di svolgere la
maggior parte del suo lavoro da casa (tramite computer, come un
maledetto scienziato!) e dagli anni duemila nessuno batteva ciglio
riguardo a due uomini gay che si prendevano cura dei ragazzi.
Beh, quasi nessuno. Le persone erano ancora teste di cazzo per la
maggior parte del tempo, e a volte c’erano commenti. Mettimi
dannatamente alla prova. Grant si sentiva di dire loro. Sono sopravvissuto
agli anni Settanta, non c’è niente che tu abbia che possa superare quello che ho
sopportato.
Niente era mai stato perfetto, niente che valesse la pena avere. E
la sua vita lo era, si disse Grant, e se l’era dannatamente meritata.
Raramente pensava a un altro tipo di vita, una con dentro la magia,
una con...
Chiuse la scatola delle scarpe. Stava diventando dolorante per
essersi seduto e Kieron era profondamente addormentato.
Grant si alzò per andarsene e prese con sé la scatola. Avrebbe
voluto avere una foto. Allora avrebbe capito se quel ragazzo nel
negozio assomigliava davvero a Remus, o se stava solo diventando
vecchio e sciocco.
Marcus russava. Grant posò la scatola da scarpe sul comodino e
salì dentro, dando all’altra metà una spinta scherzosa.
«Oi.» Sussurrò. «Girati, sembri un dannato orso.»
«Grr.» Marcus sorrise assonnato, girandosi per avvolgere Grant tra
le braccia, seppellendo il viso nel collo di Grant.
Grant sospirò, rilassandosi.
«Va tutto bene, amore?» Mormorò Marcus.
632
«Oh sì.» Grant lo strinse. «Tutto bene.»

«Ciao.» Grant entrò nel negozio tranquillo.


Era quasi l’ora di chiusura il sabato dopo il Record Store Day, e si
vedeva la differenza. Uno o due scommettitori in giro, sfogliando
gli stack del ‘50% di sconto’, ma neanche lontanamente vicino alla
mischia che c’era stata la scorsa settimana.
«Tutto bene?» Marcus gli sorrise da dietro la cassa. «Non mi
aspettavo di vederti.»
«Ho fatto un’ispezione. Era solo dietro l’angolo, quindi ho pensato
di fare un salto.» Grant si avvicinò per baciarlo sulla guancia. «Non
abbiamo niente per cena, sono venuto a vedere se volevi che
prendessi qualcosa da Tesco.»
«Sarei felice con bastoncini di pesce e patatine, a dire il vero. Sono
troppo stanco per cucinare stasera.»
«Abbastanza giusto, dov’è Kieron?»
«Nel retro, con Mimi.» Marcus indicò il retro del negozio con il
pollice.
«Gli dirò solo un saluto veloce...» Grant tornò nella piccola cucina
sul retro.
C’era un vecchio divano lì dentro e Mimi, la ragazza del sabato al
negozio, era seduta a un’estremità che scorreva sul suo telefono,
mentre Kieron era rannicchiato addormentato all’altra estremità.
«Com’è lui?» Sussurrò Grant.
Mimi alzò lo sguardo e sorrise. «Beh, nessun problema. Ha pianto
un po’, quando Marcus è tornato in officina dopo pranzo, ma
penso che sia solo un po’ appiccicoso. L’ho distratto.»
«Non c'è niente di sbagliato nel piangere.» Grant si avvicinò e
scostò i capelli del bambino dal viso. «Ha solo bisogno di coccole
e un po’ di rassicurazione, tutto qui.»

633
Kieron piangeva spesso ed era vero, era diventato piuttosto
appiccicoso nell’ultima settimana. Il suo insegnante della scuola in
cui lo avevano iscritto aveva fatto portare una nota a casa dopo il
primo giorno: Kieron è un po’ piagnucoloso, qualcosa da tenere d'occhio.
Sono certo che si rafforzerà.
Marcus aveva dovuto impedire a Grant di marciare dritto in classe
per dare alla donna un pezzo della sua mente. Un po’ piagnucoloso?
Come se fosse una sorpresa, dopo quello che aveva passato il ragazzo!
Quando avrebbero smesso di fingere che i ragazzini non
provassero sentimenti?
«Dillo a Marcus se hai bisogno di qualcosa, amore.» Disse a Mimi.
«Grazie mille, so che non è il tuo lavoro fare la babysitter.»
«Lavoro molto meno dei clienti.» Mimì sorrise. «Ed è più carino.
Non hai ancora saputo niente dall’avvocato?»
«No, sono i primi giorni.» Grant scosse la testa.
La madre di Kieron era stata trovata due giorni dopo che era stato
dato in affidamento. Lei stessa era a malapena un’adulta e non era
in grado di badare a lui, a giudicare dalle cose. Era stata portata in
Pronto Soccorso dopo un’overdose e, sebbene si stesse
riprendendo, a quanto pare aveva detto di voler rinunciare a lui.
Era stato Marcus a suggerire di dare seguito a un ordine di
adozione. Ci avevano pensato più di una volta nel corso degli anni
ma era un processo difficile e lungo, quindi a Grant non piaceva
sperare. Tuttavia, stavano prendendo provvedimenti, e se la madre
lo intendeva davvero il loro assistente sociale pensava che fosse
abbastanza positivo.
Lasciò Kieron addormentato e tornò sul davanti.
«Me ne vado, allora.» Disse a Marcus andandosene.
«Oh sì, prima che tu vada, ho un conto in sospeso con te.» Disse
Marcus, sorridendo.
«Hai un toy boy o qualcosa del genere?»
634
«Eh?» Grant strizzò gli occhi, confuso.
Marcus rise. «C’era stato un ragazzino che ti cercava. Non
conosceva il tuo nome, ma sapeva com’eri fatto. Era alto, capelli
blu.»
Le viscere di Grant si contorcevano. «No, non saprei. Uno dei
compagni di Atif?»
«Dio lo sa.» Marcus si strinse nelle spalle. «Ci vediamo a casa,
allora?»
«Sì, non ci vorrà molto.»
Lasciò il negozio e si avviò in direzione del Tesco più vicino. Non
si sentiva bene; si sentiva al limite. Perché il ragazzo dai capelli blu
lo stava cercando? Non che a Brighton non ci fossero molti
giovani con i capelli blu, poteva essere una coincidenza...
Chinò la testa e andò in avanti. Aveva appena deciso di andare dal
Chippy invece che da Tesco, quando si accorse che qualcuno
gridava dall’altro lato della strada.
«Mi scusi? Signore?!”»
Si fermò e si voltò.
«Mi scusi? Mi scusi?» Il giovane stava correndo per recuperare il
ritardo. Era lui.
Grant si fermò e si raddrizzò mentre si avvicinava.
Era strano; aveva anche la stessa andatura slanciata di Remus, e
quando erano faccia a faccia, aveva lo stesso sorriso timido.
«Scusi, non volevo inseguirla.» Disse il ragazzo dai capelli blu.
«Solo che sono stato seduto in quel caffè per cinque ore sperando
che tornassi.»
Parlava dieci volte meglio del Remus con cui Grant era cresciuto,
che era puro Essex anche dopo anni di scuola privata.
«Posso aiutarla?» Chiese Grant cautamente.
«Ehm... Mi ha chiamato in un modo, la scorsa settimana, in
negozio.»
635
Grant non sapeva cosa dire.
«Mi ha chiamato Remus, vero?» Il ragazzo spinse.
«Mi dispiace.» Disse Grant, volendo indietreggiare. «Non so cosa
stavo pensando...»
«Era mio padre.»
Cristo in bicicletta. In qualche modo lo sapeva, ma non ci aveva
creduto. Non sapeva cosa dire.
Il ragazzo si grattò la testa (oh, Remus) e sembrò timido.
«Lo conosceva, vero? Deve avere... Voglio dire, quanti sono i
Remus qui? E... mi è stato detto che assomiglio un po’ a lui.»
«Davvero...» Disse Grant con la bocca asciutta. «Sei la sua
immagine sputata.»
Il viso del ragazzo si illuminò. Il suo naso non era del tutto a posto,
notò Grant; era un po’ più corto, più alzato. Questo rendeva più
facile guardarlo.
«Conosceva anche mia madre?»
Quello punse come un dardo, non se lo aspettava. Ovviamente il
ragazzo era venuto da qualche parte, ma comunque.
«No.» Grant scosse la testa. Cercò di sorridere. «Deve essere stato
dopo che me ne sono andato.»
«Guardi, possiamo prendere un caffè o qualcosa del genere?» Il
ragazzo chiese seriamente, le mani in tasca, balzando in avanti sulle
punte dei piedi. «So che è strano, ma se puo dirmi qualcosa su mio
padre...»
«Non lo so.» Disse Grant. «È stato molto tempo fa.»
«Così è ancora meglio.» Disse il ragazzo. «La maggior parte delle
persone lo conosceva da poco. Ehm... Non so se lo sapevi, ma
molti dei suoi compagni di scuola sono morti...»
«Lo sapevo.» Disse Grant cupo. «E lui... Quando è...?»
«Oh. Ehm, 1998. Il 2 maggio.»
Grant annuì.
636
Sembrava giusto. Era più o meno quando aveva iniziato a soffrire.
I suoi occhi si riempirono di lacrime, inaspettatamente dopo tutti
questi anni. Il ragazzo sembrava preoccupato.
«Scusi! Scusi, non mi ero accorto che non lo sapeva...»
«Lo sapevo.» Disse Grant asciugandosi rapidamente gli occhi. «Lo
sapevo, era solo che... Non ci vedevamo da un po’.»
«Possiamo andare da qualche parte e parlare? Per favore?»
Come avrebbe potuto Grant dire di no? Alla fine scelsero la
spiaggia. Era abbastanza anonimo e una giornata fredda, quindi
nessuno avrebbe potuto origliare. Comprarono tazze di polistirolo
di tè nero da un furgone sul lungomare e si sedettero su una grande
panca vittoriana in ferro battuto guardando il mare. Grant chiamò
velocemente Marcus sul suo cellulare.
«Ciao tesoro, sono stato chiamato per lavoro... Non farò troppo
tardi, starai bene con i ragazzi? Beh. No. Sì. Va bene, ci vediamo
più tardi. Ti amo anche io.»
Il ragazzo aspettò pazientemente. Grant mise via il telefono,
sentendosi male per aver mentito a Marcus.
«Scusa, stavo solo controllando.»
«Quanti figli hai?»
«Tre, al momento. Aiutiamo i ragazzi.»
«Questo è figo.»
«Scusa, non ti ho nemmeno chiesto: come ti chiami?»
«Teddy- Edward, ma tutti mi chiamano Teddy.»
«Grant.»
Si strinsero la mano.
Indossava jeans neri attillati, strappati alle ginocchia, le gambe
incredibilmente lunghe. I suoi capelli blu brillante erano
ammucchiati in riccioli sciolti sulla sommità della testa, i lati
ronzavano corti, e indossava una camicia rossa a scacchi,

637
abbottonata ordinatamente. Era molto più trendy di Remus, che si
era dedicato al velluto a coste in tenera età.
«Quanti anni hai? Voglio dire, quando sei nato?»
«1998. Ero solo un neonato quando mamma e papà...»
«Dio, anche tua madre? Scusa.»
«Sono orgoglioso di loro.» Disse Teddy, alzando leggermente il
mento.
«Non sapevo che Remus si fosse sposato...»
«È stato un piccolo matrimonio, c’era solo una foto.» Teddy infilò
una mano in tasca e tirò fuori un portafoglio.
Lo aprì e lo offrì a Grant.
Grant sapeva che avrebbe fatto male, ma si costrinse a guardare.
Una di quelle immagini magiche, si era commosso. C’era Remus,
quasi come Grant lo ricordava, solo più stanco e più magro. Il
sorriso era genuino, però. Era raggiante fuori dalla fotografia, gli
occhi che si increspavano come facevano quando era felice.
La giovane donna, molto giovane in realtà, aveva un viso carino e
birichino e lo stesso naso corto all’insù di Teddy.
Com’è successo, tesoro mio? Grant pensò tra sé. Doveva essere qualcos’altro.
Poi vide la data, sul retro. 1997.
«Si sono sposati dopo la morte di Sirius.» Disse Grant, mezzo a sé
stesso. Aveva un po’ più senso.
«Sirius Black?» Teddy sembrava sorpreso. «Sì, suppongo che
debbano averlo fatto, penso che sia morto nel 1996... Conoscevi
anche lui?»
«Solo un po’.»
«In realtà sono un po’ imparentato con lui, attraverso la mamma.»
Grant annuì come se lo trovasse interessante, ma semplicemente
non sapeva cosa dire.
«Allora.» Disse un po’ tremante. «Cosa vuoi sapere?»
«Oh, qualsiasi cosa!» Disse Teddy, con gli occhi luminosi e acuti.
638
La settimana scorsa erano apparsi bruno-verdastri, ma Grant fu
sorpreso di vedere che oggi apparivano molto più blu, luminosi
quasi quanto i suoi capelli. Trucco della luce, forse.
«Non so quasi niente di papà, voglio solo sapere com’era. La gente
dice che era tranquillo.»
«Lui poteva esserlo.» Grant sorrise affettuosamente. «Ma a volte
era così rumoroso. Anche quando non parlava. E gli piaceva
parlare, era divertente. Gesù Cristo, era così divertente. E
maledettamente intelligente. Un po’ un stupido intelligente, in
realtà.»
«Veramente?»
«Sì, arrogante disgraziato. Lui aveva sempre ragione, mi faceva
impazzire.» Il suo telefono si accese di nuovo e controllò
rapidamente; non era niente di troppo importante, un messaggio
di Marcus che diceva che era a casa.
«Scusa.» Disse Teddy. «Tua moglie ti vuole a casa?»
«Marito.» Disse Grant senza pensare mentre si rimetteva il
telefono in tasca.
«Oh merda scusa.» Teddy sbatté le palpebre. «Non avrei dovuto
presumere.»
«Va tutto bene.» Grant si strinse nelle spalle, aveva passato metà
della sua vita a fare quella correzione. «E non ha ancora bisogno
di me a casa, va tutto bene.»
«Allora... Dove hai conosciuto mio padre? Scuola Babbana?»
Cavolo, era da un po’ che non sentiva la parola con la B.
«St Edmund's.» Disse. «È dove è cresciuto tuo padre, prima di
andare in quella scuola. Era un posto per ragazzi che avevano
problemi. Roba comportamentale, lo sapevi?»
«No.» Disse Teddy con aria preoccupata. «Neanche lui aveva i
genitori?»

639
Grant si sentiva malissimo: perché gli era accaduta questa cosa?
Perché doveva essere lui a spiegare questa parte di Remus? Era
semplicemente tipico, doveva sempre ripulire il casino.
«Suo padre era morto... Si era ucciso, quando Remus era piccolo.
Sua madre non riusciva a farcela, quindi era stato spedito a... Non
c’era niente di sbagliato in lui, capisci.» Spiegò Grant rapidamente.
«Penso che fosse lì solo per... Sai cos’altro era?»
«Era un lupo mannaro, questo lo so.» Teddy annuì, serio.
«Giusto.» Grant annuì sollevato. «Va bene, ovviamente aveva
bisogno di essere in un posto sicuro. Comunque, è lì che ci siamo
incontrati. Ci sono stato per un’estate mentre lui tornava da scuola.
Ehm... Voglio dire che era nel ‘75.»
«Okay, quindi non lo conoscevi molto, allora...?»
«Anche noi vivevamo insieme.» Disse Grant in fretta. «Abbiamo
condiviso un appartamento a Londra. Negli anni Ottanta.»
Ecco detto, e il ragazzo poteva prenderne ciò che voleva.
Teddy lo guardò per un po’. «Non sapevo che aveva vissuto a
Londra. Prima di incontrare la mamma, voglio dire.»
«Sì. Per dodici anni.»
«Oh...» Teddy guardò il mare grigio di cemento. «Scusa è strano,
ho dimenticato... Vedi, papà era più grande di mamma, di un bel
po’. Dimentico che aveva tutto quel tempo prima di incontrarla.»
«Ovviamente.» Disse Grant. Lui capì. Per un bambino dell’età di
Teddy il mondo era iniziato solo quando eri nato tu; i genitori non
avevano una vita privata.
Teddy rimase in silenzio per un po’, pensando intensamente.
Sembrava più giovane di Remus a quell’età, ma c’erano una miriade
di ragioni per questo.
Remus aveva iniziato a diventare grigio a quindici anni, e anche
senza la bestia mensile che alzava la testa, aveva avuto una vita
difficile. Il viso liscio e leggermente lentigginoso di Teddy non
640
aveva segni di preoccupazione. Grant ne trasse un po’ di conforto,
sperando che significasse che aveva avuto un’infanzia spensierata.
Il tipo di infanzia che i bambini meritavano di avere.
«Aveva un lavoro?» chiese finalmente Teddy.
«È stato difficile per lui, a causa del suo problema.» Grant disse.
«Ma ha lavorato un po’. Ha corretto i compiti degli esami, cose del
genere. Ed è stato insegnante per un anno nella sua vecchia
scuola.»
«Hogwarts.» Disse Teddy, con affetto.
«Giusto.» Grant annuì. «Ma non posso dirti molto su questo. Lo
teneva separato, poteva essere molto riservato.»
«Mi stai dicendo...» Sbuffò Teddy scuotendo la testa. «Sono stato
cresciuto da mia nonna, la mamma di mia madre, quindi so molto
di lei. Gli unici che conoscevano davvero papà sono il mio padrino
e altre persone che hanno combattuto in guerra. Voglio dire, come
potevo non sapere nemmeno dove fosse cresciuto?! È un tale
mistero...»
«Non biasimarlo.» Disse Grant, sperando di non sembrare troppo
paternalistico. «Ha passato un periodo molto difficile, dopo aver
perso James e Lily, e Sirius era andato in prigione. Non gli piaceva
nemmeno lasciare l’appartamento, ero solito andare da lui per
aiutarlo un po’ ma, come ho detto, poteva essere così testardo. Se
Remus prendeva una decisione su qualcosa, non c’era molto che
potevi fare al riguardo. Dio lo benedica.»
Abbassò rapidamente lo sguardo, le lacrime si stavano formando
di nuovo. Era bello parlarne però, era contento.
«Hai qualche foto, forse?» Chiese Teddy, speranzoso.
«No, scusa.» Grant scosse la testa, asciugandosi gli occhi e tirando
su col naso. «Sarebbero tornati tutti nell’appartamento, c’era un
garage per la moto di Sirius. Penso che sia ancora tutto
impacchettato lì dentro.»
641
«Oh.» Disse Teddy. «Capisco, quindi hai vissuto con Sirius e mio
padre?»
«Non proprio...» Grant scosse la testa sapendo di essere sul
ghiaccio sottile. «Era il posto di Sirius e Remus, prima. Ero lì
mentre Sirius era in prigione, e poi... me ne sono andato e sono
venuto qui, nel ‘95»
«Sirius e papà erano intimi, allora? Se vivevano insieme, intendo.
Sapevo che erano amici, Harry mi ha raccontato tutto dei
Malandrini.»
«Erano intimi.» Grant disse con cautela. «Si amavano molto.»
Teddy gli lanciò un’occhiata buffa.
Maledizione, era stato difficile. Grant era in due menti. Era
davvero importante, in entrambi i casi? Questo ragazzo non
sapeva quasi nulla di suo padre, ma questo significava che gli si
doveva dire tutto? Remus avrebbe potuto non volerlo farlo sapere.
Anche se, supponeva Grant, Remus aveva rinunciato a dire la sua
su questo. Non saresti dovuto andar via e morire, stupido coglione. Penò
Grant, amaramente. Lo sorprese il fatto che potesse ancora essere
arrabbiato per questo.
«Sai più di quello che mi stai dicendo.» Disse Teddy senza mezzi
termini.
Grant non rispose perché sapeva di essere stato colto in fragrante.
Quello era il suo problema; non sapeva mai quando tacere su cose
che non erano affari suoi.
«Mi dispiace.» Teddy si accigliò. «Dimmi di nuovo, come lo hai
conosciuto esattamente?»
«Vivevamo insieme.» Disse Grant, con fermezza.
«Sì, l’hai detto, ma... Guarda, cosa mi manca qui? Hai vissuto con
lui per dodici anni, solo voi due?»
«Sì, l’abbiamo fatto, ma...»
«--E non c’era nessun altro, non aveva altri amici, o... o fidanzate?»
642
Eccolo. Pensò Grant, con una sensazione di naufragio. C’è arrivato.
«No.» Disse Grant. Incontrò correttamente lo sguardo di Teddy:
«Non aveva bisogno di nessuno tranne me. E non avevo bisogno
di nessuno tranne lui. Capisci?»
«Io...» Teddy distolse lo sguardo, i suoi occhi che saettavano in
giro, inseguendo i pensieri.
«Senti ragazzo, non è davvero mio compito. Non ho conosciuto
tuo padre alla fine, non so come siano cambiate le cose per lui, o
come abbia incontrato tua madre, o niente di tutto questo. Chissà
cosa è successo dopo che ha perso Sirius, voglio dire-»
«Aspetta, Sirius?! Sirius e mio padre?»
Merda.
«Sì.» Disse Grant, in tono di scusa. «Esatto. Da quando erano
giovani.»
«Merlino.» Teddy si massaggiò la nuca. «Questo è... Voglio dire,
Harry non mi ha mai detto niente di tutto questo. È il mio
padrino.»
«Probabilmente non lo sapeva.» Grant scrollò le spalle. «Come ho
detto, Remus era molto riservato.»
Non c’erano scuse per questo. Questo era sempre stato il problema
con Remus, troppe facce diverse. Se chiedevi ad un centinaio di
persone che conoscevano Remus di descriverlo, probabilmente
avresti pensato che stessero parlando di un centinaio di persone
diverse. Sirius aveva probabilmente avuto un ragazzo
completamente diverso da Grant. E l’uomo che aveva sposato la
madre di Teddy... be’, chi lo sapeva?
Grant si sentiva davvero male per il ragazzo. Avrebbe voluto che
ci fosse qualcosa che poteva fare. Qualcosa che lo aiutasse a
sentirsi più vicino a suo padre. Remus meritava di essere
conosciuto.

643
«L’appartamento a Londra.» Disse Grant all’improvviso. «Faresti
meglio a prenderlo. Anche il garage. Non mi serve, ti do l’indirizzo.
È a nome mio, ma... Tu prendi le chiavi.»
«Non devi...»
«Vendilo o tienilo, come preferisci.» Disse Grant, entusiasta
dell’idea.
Lo aveva tenuto per motivi sentimentali, ma non aveva mai
pianificato di tornare. Il figlio di Remus avrebbe dovuto averlo, era
vero; quello era corretto.
Tastò la tasca, prese le chiavi e scrisse il suo nome e due indirizzi
sul retro di una vecchia ricevuta.
«Là, quello è l’appartamento, potrebbe esserci della magia. Non ne
ho idea, magari porta qualcuno con te... E questo sono io, Grant
Chapman-Scott, nel caso tu abbia bisogno che mi occupi di
questioni legali. Anche se immagino di no eh, avrete un sistema
tutto vostro.»
«Sì... Guarda, sei sicuro?»
«Avrebbe voluto che tu lo avessi.» Insistette Grant. «Onestamente.
Non è mai stato mio. E aveva molti ricordi felici lì. Li aveva
davvero.»
Si alzarono per salutarsi poco dopo. Teddy gli strinse di nuovo la
mano, era così ben educato, Grant pensava che Remus si sarebbe
davvero divertito.
«Posso... ehm... Possiamo rimanere in contatto?» Chiese
timidamente.
«Sì.» Rispose Grant sorpreso. «Se vuoi. Niente gufi però.»
Teddy rise. «Ho un telefono, non preoccuparti. Grazie per aver
parlato con me.»
«Scusa per il brutto shock.»

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«Ah, no! Voglio dire... È stata una sorpresa, ma non una brutta. In
realtà, è carino. Sembra un po’ più reale, ora. Avevo in testa questa
idea di un eroe di guerra torturato...»
«Oh, era anche quello.» Ridacchiò Grant.
Entrambi si sorrisero e gli occhi di Teddy si incresparono agli
angoli. Sembravano di nuovo verde-marrone.
«Gli sarebbero piaciuti i capelli.» Disse Grant all’improvviso. «Ti
avrebbe amato tutto, ma avrebbe pensato che i capelli fossero
molto belli.»
Gli occhi di Teddy si illuminarono un po’ e guardò in basso,
massaggiandosi la nuca.
«Grazie, Grant. È stato un piacere conoscerti.»
Si allontanò e Grant lo guardò, e per un momento lasciò fingere a
sé stesso. Oh mio tesoro. Pensò. Non mi manchi neanche un po’.

Un mese dopo...
«Papà! Papà! Guarda cosa ho disegnato!»
«Grant? Dove ho lasciato le chiavi?»
«Ehi, papà, io e Jon possiamo andare in spiaggia?»
«Dannazione, gente. Datemi un minuto...» Grant chiuse la porta
d’ingresso dietro di sé. Non era infastidito, però. Era a casa, era
rumoroso e disordinato e folle, ma era sua.
Accettò prima il disegno di Kieron: un grosso animale dall’aspetto
peloso con denti aguzzi. Sorrideva e leggeva un libro.
«Wow!» Disse, baciando la sommità della testa di Kieron. «Un’altra
opera di genio! Dritto al frigorifero, credo... Ho le tue chiavi
piccolo. Scusa, ho lasciato le mie al lavoro.»
Lanciò le chiavi della macchina a Marcus mentre entrava in cucina,
poi si rivolse ad Atif.

645
«Potete andare in spiaggia, ma tornate prima che sia buio e nessun
problema, mi sentite?» Rivolse ai due adolescenti uno sguardo
severo.
Promisero e corsero di sopra a prepararsi.
«Tazza di tè?» Marcus chiamò.
«Mio eroe!» Grant si accasciò sul divano, esausto.
«C’era posta per te: è sul tavolino da caffè.»
Grant si sedette e si sporse per raccogliere la scatola di cartone sul
tavolo sopra tutti i capolavori scartati di Kieron, i corsi di geografia
di Jon e sei mesi di giornali.
Il nome e l’indirizzo erano scritti a mano ma Grant non lo
riconobbe. Forse il casco da bicicletta che aveva ordinato per
Kieron, ma era un po’ pesante per quello. Lo strappò a casaccio, e
poi sussultò quando vide dentro. Fotografie. Immagini che non
vedeva da anni e anni, alcune le aveva completamente dimenticate.
Erano tutti un po’ alla rinfusa: grandi e piccoli, in bianco e nero e
a colori, alcuni ancora nella busta del bancone delle foto di Boots.
Il biglietto era ben piegato sopra, scritto con inchiostro verde
scuro.

Grant,
Ho trovato questi nell’appartamento, ce n’erano alcuni che pensavo ti sarebbe
piaciuto avere. Ci sono anche i dischi: papà aveva buon gusto!
Avevi ragione, aveva molti ricordi felici qui. Sembra che anche tu l’abbia reso
felice e non sarebbe stato giusto tenere tutto.
Auguri,
Teddy Remus Lupin.

Gli occhi di Grant si riempirono di lacrime mentre setacciava tutte


le foto. Erano come un tesoro.

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C’era lui nella sua divisa da football quando giocava in quella
squadra di Londra, Remus l’aveva scattata per prenderlo in giro
più che altro. Grant stava puntando due dita verso la telecamera,
ridendo.
Un’altra foto era del loro soggiorno proprio prima di una marcia,
tutta la vecchia folla socialista china sui cartelli con i colori dei
poster e Remus, che entrava dalla cucina con un vassoio da tè,
facendo quel sorriso ironico a testa bassa.
Grant ricordò di aver intrapreso la strada per sviluppare le foto:
aveva bisogno di usare l’ultima del rullino fotografico e si trovava
fuori dall’appartamento. Aveva chiamato Remus, seduto per metà
fuori dal davanzale mentre fumava una sigaretta. Nella foto Remus
lo stava scrutando, la sigaretta tra le labbra, il sopracciglio alzato.
Sarcasmo puro.
C’erano alberi di Natale e torte di compleanno e passeggiate a
Regents Park, la laurea di Grant e persino una pigra domenica
mattina a letto. E ogni faccia che Remus avesse mai avuto. La sua
gravità e la sua leggerezza.
Grant scosse la testa, si asciugò il viso con la manica e gridò.
«Marcus?»
«Sì?»
«Piccolo, vieni qui, voglio mostrarti una cosa.»

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Storia scritta da: @MsKingBean89 (Ao3)
Traduzione di: Simona Lo Conte
Adattamento e revisione: Simona Lo Conte

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