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Wittgenstein, Ludwig, Causa ed effetto seguito da Lezioni sulla libertà del volere, a

cura di Alberto Voltolini.


Torino, Einaudi (Piccola Biblioteca Einaudi Filosofia), 2006, pp. xxxi+78, € 13,00,
ISBN 88-06-17249-2.

Recensione di Enrico Lucca - 04/04/2006

Filosofia analitica, Epistemologia

Dopo aver completamente abbandonato l’attività filosofica, successivamente alla pubblicazione del
Tractatus Logico-Philosophicus, il pensiero di Wittgenstein subì, come è noto, un improvviso
mutamento di direzione intorno alla fine degli anni Venti. A partire da questi anni, infatti, il filosofo
austriaco iniziò a raccogliere una serie di appunti e osservazioni che, in parte utilizzò per le sue
lezioni all’Università di Cambridge, in parte vennero in seguito rielaborate dall’autore stesso e
raccolte nelle Ricerche Filosofiche. Molte tra queste annotazioni, più o meno corrispondenti al
decennio ‘30-‘40, sono già state pubblicate, anche in italiano, nel corso degli anni, permettendo così
di tracciare un filo ideale che metta in connessione i temi principali e le linee direttive del pensare di
Wittgenstein, proprio a partire dal suo ritorno alla filosofia, fino ad arrivare a quanto si trova
espresso in Della Certezza, opera che contiene gli ultimi pensieri del filosofo. Con la pubblicazione
di Causa ed effetto e delle Lezioni sulla libertà del volere, tradotte e curate da Alberto Voltolini, si
offrono per la prima volta al lettore italiano due testi, già noti da tempo al pubblico di lingua
inglese, concernenti alcune delle tematiche precipue di tutto il secondo Wittgenstein.
Il primo di essi, infatti, consiste in una serie di appunti, stesi dal filosofo stesso, che, pur muovendo
dalla discussione di una tematica ben precisa, come il problema della causalità, si aprono ben presto
alla trattazione di una lunga serie di argomenti, tra cui la discussione, tipicamente wittgensteiniana,
del problema del dubbio e della certezza o la critica all’intuizionismo. È particolarmente importante
il fatto che, proprio in questo contesto, Wittgenstein faccia già uso, in relazione alla discussione del
dubbio e della sua presunta precedenza rispetto alla certezza, del concetto di “gioco”, che sarà uno
dei pilastri di tutto il suo pensiero successivo: “Il gioco non può cominciare col dubbio” – afferma il
filosofo, e poi, ancora più precisamente – “il dubbio non può essere una componente necessaria del
gioco, senza la quale esso è manifestamente incompleto e scorretto […] il gioco che include il
dubbio è semplicemente più complicato di uno che non lo include” (p. 15).
Abbiamo qui, come mostra anche Voltolini nell’introduzione, l’esplicita affermazione di una tesi
che, ripresa e sviluppata anni dopo proprio in Della Certezza, non soltanto riveste un valore
epistemologico, ma soprattutto ne assume uno logico-grammaticale, dato che il nostro concetto di
dubbio può essere tale che noi possiamo dubitare di qualcosa soltanto se qualcos’altro di fatto si
sottrae al suo procedere, mentre invece, nel caso ciò non avvenga, non saremmo più nelle
condizioni di poter usare la parola “dubbio” con lo stesso significato, dovendo così costruircene un
concetto diverso.
Tali affermazioni, a ragione, potrebbero essere anche un ennesimo contributo alla lettura
pragmatista dell’opera del filosofo austriaco, dato che questo modo di sottrazione al dubbio a cui
sono sottoposti alcuni generi particolari di proposizioni e – nel caso del testo in questione – proprio
proposizioni causali (o presunte tali), come la relazione tra l’essere punti e il fare un salto da parte
di chi è stato punto oppure il fatto che chi tira una corda sia la causa del suo movimento, non
corrisponde in Wittgenstein ad un’operazione teorica, ma ad un comportamento pratico che, in
definitiva, trova il suo fondamento nell’agire umano, in credenze che mostrano il loro significato
unicamente negli usi e nelle azioni che ad esse si riferiscono: “La forma di base del gioco deve
essere una in cui si agisce” (p. 25) Alla luce di ciò, come anche in Della Certezza, Wittgenstein
sembra qui introdurre una tesi genealogica di sviluppo del nostro linguaggio da reazioni simboliche
primitive: “È caratteristico del nostro linguaggio che esso cresca su un terreno di solide forme di
vita, di azioni regolari. La sua funzione è determinata prima di tutto dall’azione che esso
accompagna. Abbiamo un’idea proprio di quali forme di vita siano primitive e di quali si siano
potute formare soltanto a partire da queste” (p. 24). Queste affermazioni, che trovano riscontro
anche in altre opere contenenti annotazioni dello stesso periodo, come le Lezioni sulla Credenza
Religiosa o le Note sul “Ramo d’Oro di Frazer”, danno il via ad una ricerca che si muoverà nel
solco di quello che è stato definito un metodo antropologico e morfologico, volto ad indagare
l’uomo nel suo essere un animale rituale, che è debitore in gran parte, come nota sempre Voltolini,
del pensiero goethiano e degli scritti di morfologia della storia di Spengler: non è un caso, a
riguardo, che Wittgenstein, autore di solito poco propenso alle citazioni, inserisca più volte,
all’interno dei suoi appunti, il celebre passo del Faust “In principio era l’Azione” (p. 23).
Tuttavia, la connessione del problema della causalità con quello delle basi logiche del dubbio non
costituisce l’unico contributo di queste lezioni del filosofo: all’inizio dei suoi appunti - infatti -
Wittgenstein, partendo da alcune riflessioni di Russell di pochi anni precedenti, sviluppa una ferrata
critica all’intuizionismo, ossia a quel tentativo di spiegare il nostro leggere gli eventi in termini di
causa-effetto come se fosse fondato, non tanto sull’abitudine e la ripetizione delle esperienze (come
nell’interpretazione humeana), quanto invece su una particolare esperienza di causalità esperita
direttamente. Secondo Wittgenstein invece, “certamente, c’è qui un’esperienza genuina che si può
chiamare «esperienza della causa», ma non perché essa ci mostri infallibilmente la causa, ma perché
qui, nel nostro cercare con lo sguardo una causa, sta una radice del nostro gioco linguistico di causa
ed effetto” (p. 11). Non c’è affatto bisogno, dunque, di postulare una percezione più o meno diretta
delle relazioni causali ma, ancora una volta, la spiegazione del fatto che trattiamo due eventi come
casualmente connessi si mostra nel nostro sottrarre al dubbio l’enunciato che descrive il primo
evento come causa del secondo: “La forma semplice (e questa è la forma originaria) del gioco di
causa ed effetto è la determinazione della causa, non il dubbio” (p. 24). Anche per questo, da un
punto di vista ontologico, la spiegazione causale non gode di alcun tipo di privilegio, tanto che,
molto spesso, nel suo stesso procedere filosofico, Wittgenstein la sostituirà con il concetto di
presentazione perspicua (Übersichtliche Darstellung), non a caso un altro termine ripreso dagli
scritti scientifici di Goethe.
Un altro approccio al problema della causalità, contro cui si schiera Wittgenstein in queste pagine, è
quello che Voltolini definisce modello metafisico-naturalista, secondo cui ad ogni differenza
causale di alto livello (ad esempio nella macrobiologia), ne debba corrispondere necessariamente
una di basso livello (in questo caso, nella biologia molecolare). Nella prospettiva anti-essenzialista
wittgensteiniana, ciò non è invece assolutamente scontato: infatti, si potrebbe dare senza dubbio il
caso in cui non si possano registrare corrispondenze di tal genere oppure, anche nell’eventualità in
cui esse vengano scoperte, non sempre risulta facile dimostrare non solo che esse si limitino a
corrispondere, ma anche che l’una sia determinata casualmente dall’altra (cfr. pp. 11-12). Insomma,
anche in tal caso la spiegazione causale potrebbe non essere quella più appropriata, potendo essere
sostituita da una riflessione che ricerchi le ragioni piuttosto che le cause. Troviamo qui enucleato un
altro aspetto centrale del pensiero wittgensteiniano, ampiamente sviluppato nel confronto con Freud
e la psicoanalisi, che costituirà uno dei temi principali delle Ricerche Filosofiche.
Molto importanti, ma anche straordinariamente attuali, sono pure le Lezioni sulla libertà del volere,
il cui unico difetto è forse quello di essere una serie di appunti non direttamente di Wittgenstein, ma
presi da uno degli allievi che seguirono le sue lezioni, tenute all’Università di Cambridge nel corso,
probabilmente, del 1939 (cfr. p. 55-56). In queste pagine, Wittgenstein interpreta la tradizionale
contrapposizione tra determinismo e libero arbitrio nei termini dell’adozione di un diverso sistema
di descrizione di fatti. Le leggi della scienza, infatti, non costringono la realtà come dei binari, ma
non fanno altro che cercare di rendere ragione del mondo così com’è: “Perciò, dire che la legge
naturale in qualche modo costringe le cose ad andare come vanno è in un certo senso
un’assurdità” (p. 59). Il parlare in termini di leggi scientifiche costituisce quindi, nella lettura
wittgensteiniana, un’attività propria di una forma di vita, che però non è per nulla qualcosa di
imprescindibile. Secondo Wittgenstein, infatti, è possibile interpretare la realtà in modo differente,
sostenendo ad esempio che non esista alcuna legge nella spiegazione di un particolare fenomeno: in
tale contesto, anche il problema del libero arbitrio si colloca dunque su un piano completamente
diverso da quello del determinismo: “Non c’è ragione per cui, anche se ci fosse regolarità nelle
decisioni umane, io non dovrei essere libero. Riguardo alla regolarità, non c’è niente che renda
qualcosa libero o meno. La nozione di costrizione viene in gioco se pensate alla regolarità come
costretta; come prodotta da binari” (p. 62). Se invece si ritiene possibile che i fatti di natura possano
veramente essere spiegati tutti in termini di strette leggi scientifiche, nemmeno allora potremmo
dirci in grado di avere risolto il problema, eliminando del tutto il libero arbitrio, dato che, ad un tale
contesto ipotetico, in cui assisteremmo ad un mutamento così radicale della nostra visione del
mondo, sarebbe strettamente connessa l’adozione di una grammatica mentale completamente
differente, dove probabilmente i concetti di determinismo e di libero arbitrio potrebbero
ragionevolmente non essere nemmeno contemplati: “La conoscenza di queste leggi semplicemente
cambierebbe la faccenda. C’è una verità in questo. Si potrebbe dire: essere in grado di calcolare
cose che ora non possiamo calcolare cambierebbe in effetti l’intera situazione” (p. 78).

Indice
Introduzione
Bibliografia
I. Causa ed effetto
II. Lezioni sulla libertà del volere

L'autore
Ludwig Wittgenstein (Vienna 1889 – Cambridge 1951) è uno dei filosofi meglio conosciuti e più
importanti del Novecento. Tra le sue opere, per la maggior parte già disponibili anche in italiano,
troviamo: Tractatus Logico-Philosophicus e Quaderni 1914-1916; Ricerche Filosofiche; Note sul
“Ramo d’Oro” di Frazer; Della Certezza; Libro Blu e Libro Marrone; Osservazioni sopra i
fondamenti della matematica; Lezioni e Conversazioni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la
Credenza Religiosa; The Big Typescript.

Links
The Cambridge Wittgenstein Archive: www.wittgen-cam.ac.uk
The Austrian Ludwig Wittgenstein Society: www.sbg.ac.at/phs/alws/alws.htm
Il Tractatus Logico-Philosophicus in forma di ipertesto: www.kfs.org/~jonathan/witt/tlph.html
The Wittgenstein Portal, a cura dell’Archivio Wittgenstein dell’Università di Bergen:
www.wittgenstein-portal.com

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