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Diritto del patrimonio

culturale

il Mulino
Diritto del patrimonio culturale

ISBN 978-88-15-27223-2

ll
9 7888 1 5 272232
CARLA BARBATI
MARCO CAMMELLI
LORENZO CASINI
GIUSEPPE PIPERATA
GIROLAMO SCIULLO

Diritto
del patrimonio
culturale

il Mulino
ISBN 978-88-15-27223-2 Copyright© 2017 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati.
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grafico, digitale- se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore.
Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie

Redazione e produzione: Edimill srl - www.edimill.it


Premessa

Questo volume ha origine nel progetto culturale che è stato alla base della fondazione, nel1998,
di «Aedon. Rivista di arti e diritto on line» (www.aedon.mulino.it) e che tuttora ne alimenta la
linea editoriale.
Alle pagine di «Aedon» si rinvia, dunque, per un'analisi più dettagliata della normativa citata
nel testo e per gli ulteriori approfondimenti sia dei temi trattati, sia delle modifiche legislative
che potranno intervenire in ordine a essi.
n volume, aggiornato agli ultimi provvedimenti dell'estate 2017' ha potuto contare sulla preziosa
collaborazione di Paola Capriotti, alla quale esprimiamo un sentito ringraziamento.

GLI AUTORI
Indice

Il diritto del patrimonio culturale: una introduzione, di Marco Cammelli 11


l. La dimensione giuridica del patrimonio culturale 11
2. Oggetto e metodo 13
2.1. Oggetto e sua espansione 13
2.2. Patrimonio culturale e Cultura! Heritage 16
3. Finalità 17
3.1. Presupposti 17
3.2. Disciplina costituzionale: promozione e tutela. Le implicazioni 19
3.3. La posta in gioco 21
4. Gli assi del cambiamento 23
4.1. Aumento e differenziazione della domanda 24
4.2. Rapporto pubblico/privato 25
5. Sfide e prospettive 26
5.1. Interdipendenza 27
5.2. Differenziazione 27
5.3. Differenziare: per unire o per separare? 29

l. Patrimonio e beni, di Girolamo Sciu/lo 31


l. Le nozioni di bene e di patrimonio culturale 31
2. Beni paesaggistici, paesaggio e ambiente 37
3. Tipologia dei beni culturali 40
4. Individuazione dei beni culturali 43
4.1. Verifica dell'interesse culturale 44
4.2. Dichiarazione dell'interesse culturale 47
4.3. Beni culturali ex lege 49
4.4. Altre forme di individuazione 50
8 INDICE

5. Struttura, natura e caratteri dei beni culturali 51


6. Caratteri e condizione giuridica dei beni culturali in quanto
beni patrimoniali 53

Il. Organizzazione e soggetti, di Carla Barbati 65


l. n sistema del patrimonio culturale: soggetti pubblici e soggetti privati 65
2. Lo Stato e le autonomie territoriali 66
2.1. Le indicazioni costituzionali 66
2.2. Le scelte del Codice dei beni culturali e del paesaggio 75
3. I privati: ruoli e interventi 80
4. L'organizzazione statale: il ministero dei Beni e delle Attività culturali
e del Turismo 83
5. Il ministro e gli uffici di diretta collaborazione 88
6. L'amministrazione centrale del Mibact 93
6.1. Direzioni generali 93
6.2. Segretario generale 100
6.3. Organi consultivi centrali 101
6.4. Istituti centrali e dotati di autonomia speciale 107
7. L'amministrazione periferica del Mibact 112
7.l. Segretaria ti regionali 113
7.2. Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio 115
7.3. Soprintendenze Archivistiche e Bibliografiche 119
7.4. Musei 121
7.5. Poli museali regionali 127
7.6. Archivi di Stato e Biblioteche 129
7.7. Commissioni regionali per il Patrimonio culturale 131
8. Le società strumentali 133
9. Le amministrazioni regionali e locali 137

111. Tutela, di Girolamo Sciullo 143


l. La tutela: sviluppo storico e nozione 143
2. Protezione e conservazione 149
2.1. Misure di protezione 150
2.2. Misure di conservazione 155
2.3. Altre forme di protezione 160
3. Circolazione 162
3.1. Circolazione dei diritti 162
3.2. Circolazione dei beni 170
4. Ritrovamenti e scoperte 176
5. Acquisti privilegiati in tema di beni culturali 177
INDICE 9

6. Lavori relativi a beni culturali 182


7. Figure professionali in tema di tutela 183
8. Sanzioni amministrative e penali 184

IV. Valorizzazione e gestione, di Lorenzo Casini 191


l. Dalla tutela alla valorizzazione 191
1.1. La molteplicità degli interessi pubblici e privati nel patrimonio
culturale 192
1.2. Dagli interessi pubblici alle funzioni: tutela, gestione
e valorizzazione 195
1.3. n riparto di competenze tra i pubblici poteri 197
1.4. Il ruolo dei privati 200
2. La funzione di valorizzazione 201
2.1. Origini e sviluppo 201
2.2. Inquadramento giuridico della funzione 203
2.3. La dicotomia pubblico/privato nella valorizzazione (e nella
fruizione) 204
2.4. Le attività di valorizzazione 206
2.5. La valorizzazione del paesaggio: cenni e rinvio 209
2.6. La cooperazione tra pubblici poteri e il difficile sistema degli
accordi 211
2.7. Gli interventi finanziari 213
3. La fruizione e la gestione 213
3.1. Fruizione pubblièa e fruizione individuale 213
3.2. La gestione degli istituti e dei luoghi della cultura 216
3.3. I modelli organizzativi 220
3.4. Le forme di gestione 223
3.5. La disciplina dei c.d. servizi aggiuntivi 224
3.6. Tra gestione e valorizzazione: l'organizzazione di mostre 228
3.7. La dimensione ultrastatale: la gestione dei siti Unesco 230
4. Il coinvolgimento dei privati e gli strumenti di politica fiscale 232
4.1. Il mecenatismo culturale e le agevolazioni fiscali: l'Art bonus 233
4.2. Le sponsorizzazioni 236
4.3. Gli accordi e le forme di partenariato: cenni e rinvio 238

V. Paesaggio, di Giuseppe Piperata 243


l. Il paesaggio e la sua dimensione giuridica 243
2. Paesaggio, ambiente, governo del territorio: relazioni e differenze 248
3. Il contesto costituzionale di riferimento in tema di paesaggio:
principi generali e riflessi sull'articolazione dei ruoli e delle competenze 252
10 INDICE

4. La disciplina del paesaggio tra Convenzione europea e Codice 255


5. I beni paesaggistici 258
6. Le funzioni: tutela e valorizzazione 261
7. Gli strumenti di azione 265
7.l. I vincoli paesaggistici 265
7.2. La pianificazione paesaggistica 268
7.3. L'autorizzazione paesaggistica 273
8. I controlli e le sanzioni amministrative e penali 276

VI. Cooperazione, di Marco Cammelli 285


l. Principi e dati normativi 285
2. Gli assi della cooperazione 289
2.1. Cooperazione interistituzionale 289
2.2. Cooperazione pubblico-privato 295
3. Cooperazione: teoria e pratica 301

Riferimenti bibliografici 307

Indice analitico 319


Il diritto del patrimonio culturale:
una introduzione

l. LA DIMENSIONE GIURIDICA DEL PATRIMONIO


CULTURALE

Un manuale dedicato al diritto del patrimonio culturale presuppone che un


diritto ci sia, che sia possibile farne oggetto di sistemazione concettuale e di
insegnamento e che lo si faccia in modo originale e utilmente distinto da altre
opere dedicate all'argomento. Le cose stanno esattamente in questi termini e
dunque i requisiti di partenza sono soddisfatti, ma il risultato è tutt'altro che
scontato e costituisce anzi il punto di arrivo di una serie di analisi e riflessioni
cui è dedicata questa introduzione.
Analisi e riflessioni che gli autori hanno awiato molti anni fa sulla rivista
«Aedon» (1998) convinti che la disciplina dei beni culturali non possa essere
compresa e men che meno studiata senza collegarne gli istituti e le disposizioni
specifiche ai principi costituzionali, alla forma di Stato, agli attori pubblici e
privati che vi operano, agli elementi funzionali e organizzativi degli apparati,
alle dinamiche delle imprese e del rilievo anche economico di questi beni.
Un modo di leggere e di ragionare sulla materia, insieme critico e aperto agli
apporti di altre discipline, che portiamo avanti con continuità nella rivista e che
cerchiamo di trasferire con chiarezza in quest'opera raccogliendo riflessioni
svolte e indicando i risultati raggiunti.
Questo spiega perché non si tratta (solo) di un manuale, come testimoniano
oltre alle adozioni universitarie il crescente e largo uso da parte degli operatori
del settore, incluso il personale del ministero dei Beni e delle Attività culturali
e del Turismo (da ora, Mibact) e perché a partire dal 2003 ogni edizione,
compresa quella presente, vada ben oltre il semplice «aggiornamento» e sia
una vera e propria nuova edizione. Per queste ragioni l'opera ha tratti sicu-
ramente distintivi rispetto ai lavori e ai manuali in circolazione, che spiegano,

L'introduzione è di Marco Cammelli.


12 IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

crediamo, i motivi di un diffuso apprezzamento che ha condotto l'editore e


gli autori a procedere a questa quarta edizione del volume.
Il testo che qui si introduce tiene conto di tutto questo, e l'obiettivo di ren-
dere la materia più chiara possibile ha suggerito la scelta di una esposizione
molto strutturata (quadro generale, patrimonio e beni, organizzazione e
soggetti, tutela, valorizzazione e gestione, paesaggio e cooperazione) nella
quale i profili penali e fiscali, che nelle precedenti edizioni erano trattati
autonomamente, sono ora richiamati nei loro termini essenziali all'interno
delle partizioni appena indicate mentre al paesaggio è dedicato un auto-
nomo capitolo.
Nel trattare questi temi si è curata l'individuazione dei principi, l'esposizione
delle normative generali vigenti, l'indicazione dei dati organizzativi e degli
aspetti più significativi delle discipline di settore, contrastando la tendenza
a limitare la trattazione ad alcuni aspetti, quali la ripartizione di competenze
tra Stato e Regioni, l'esercizio dei poteri autoritativi, la tutela giurisdizionale.
La sequenza di temi che si propone comincia con i «beni» per sottolineare
fin dall'inizio la specificità dell'oggetto del nostro studio e del modo di con-
durlo perché in questa materia, a differenza di ogni altra, i beni culturali (che
insieme ai beni paesaggistici costituiscono il patrimonio culturale) non sono
semplici elementi strumentali (al pari delle risorse finanziarie o del personale)
rispetto all'esercizio delle funzioni pubbliche ma ne costituiscono, insieme,
il presupposto e l'oggetto.
Al diritto sono dunque dedicate le pagine, della introduzione e del testo,
che seguono: ma, sul rapporto tra i giuristi e la materia della cui disciplina ci
occupiamo, almeno una parola va spesa. Anzi due.
La prima: necessità di specializzazione giuridica, perché il ministero è per il
suo ruolo un fortissimo produttore di provvedimenti amministrativi e dunque
deve contare su specifiche competenze in materia. Saperi giuridici che non
si improvvisano strada facendo e che solo se davvero padroneggiati garanti-
scono la legittimità senza cedere al formalismo, che della prima rappresenta
la controfigura non fosse altro per il fatto di dimenticare che il compito
dell'amministrazione non è applicare la legge ma realizzare i compiti assegnati
nel rispetto della legge.
Ma anche, proprio per questo, consapevolezza dei limiti del diritto e dei giu-
risti. La nostra amministrazione, anche in questo settore, soffre di un diffuso
approccio ipernormativo nell'affrontare la maggior parte dei problemi. Con
un doppio, e negativo, risultato: quello di disposizioni-manifesto destinate
a rimanere tali, quando non creano ostacoli aggiuntivi, cui si accompagna la
frequente sottovalutazione di elementi organizzativi e operativi, determinanti
invece per il quotidiano funzionamento degli apparati.
Necessità di specializzazione giuridica, rispetto del ruolo e dei limiti del diritto:
è l'insegnamento, ancora attuale, che un maestro del diritto amministrativo
ci ha dato molti anni fa [Giannini 1971, 288] e che questo volume tiene per
fermo.
IL DIRITTO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 13

2. OGGETIO E METODO

Il diritto del patrimonio culturale, cioè dei beni culturali e paesaggistici


che per il loro interesse artistico, storico e naturale hanno un valore così
particolare da distinguersi dal resto e da costituire testimonianza di civiltà, è
l'insieme di principi, istituti e regole che definiscono il regime di questi beni
e che disciplinano l'azione e l'organizzazione dei soggetti pubblici e privati
ai quali, prima di ogni altro, è demandato il compito di prenderne cura e di
assicurarne la conservazione e la conoscenza.
Questa sintetica definizione ci permette di cogliere fin dall'inizio i caratteri
essenziali di questa disciplina (l'oggetto, le finalità, gli strumenti) e il senso
della loro evoluzione, in atto da tempo ma particolarmente accelerata ai
giorni nostri.

2.1. Oggetto e sua espansione

n primo nucleo della disciplina così come appena l'abbiamo richiamata è


definito a Roma sin dal XV secolo e, più compiutamente, nell'editto del
cardinale Pacca del1820, ove si impostano le basi di quella che sarà l'azione
e l'organizzazione tradizionale dell'attività di tutela, a cominciare dal prelimi-
nare censimento dei beni e dei monumenti e dal sistema delle autorizzazioni.
Particolare attenzione era dedicata ai beni mobili, perché l'obiettivo più
urgente era quello di impedire la vendita e soprattutto l'esportazione delle
opere d'arte, specie per quelle di particolare valore, a tutte le autorità e ordini
religiosi, ai privati e in particolare alle grandi famiglie nobiliari che ne erano
storicamente proprietarie.
Questo spiega un primo tratto particolare della disciplina, il suo essere cioè
espressione di un'azione pubblicistica e autoritativa (riconoscimento di
un'opera come cosa d'arte e limitazione della sua circolazione) innestata sulla
disciplina ordinaria e civilistica del bene e del suo regime proprietario. Interesse
pubblico e proprietà privata sono elementi costanti del nostro tema, ma sono
assolutamente dominanti in tutto il periodo tra l'unità italiana e la sistema-
zione definitiva del settore, con le leggi del1939, perché si confrontano due
esigenze egualmente centrali nell'Ottocento: la tutela della proprietà privata,
pietra miliare dello Stato liberale, e l'interventismo pubblico nel settore, le cui
radici erano precedenti ma con ragioni ulteriori rafforzate dal ruolo strategico
riconosciuto al patrimonio culturale nella costruzione della identità italiana.
La soluzione di compromesso dei primi decenni, verifica amministrativa sulla
circolazione dei beni e riserva in via di prelazione di acquisto da parte dello
Stato, a causa degli inconvenienti dovuti alla macchinosità delle procedure e
alla mancanza di fondi necessari per l'acquisto delle opere fu superata in pieno
periodo giolittiano prima dalla legge Nasi 185/1902 e poi dalla legge Rosadi-
Rava 20 giugno 1909, n. 364, che, indipendentemente dall'acquisto statale,
14 IL DIRITTO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

introduceva per la prima volta forti e stabili vincoli pubblicistici al regime dei
beni ancorché la proprietà fosse e rimanesse privata. È proprio qui la nascita
per questi beni di una sorta di «doppia titolarità» e il passaggio chiave, politico
e giuridico, che rimarrà tra i fondamenti della disciplina organica dell'intero
settore dettata trent'anni dopo dalla l. l giugno 193 9, n. l 089 (tutela delle cose
di interesse artistico o storico), e che, confermata e ulteriormente rafforzata dai
principi sanciti in materia dalla Costituzione italiana (artt. 9 e 42, comma 2),
rimarrà sostanzialmente invariata fino ai giorni nostri [Cassese 1976].
Altre estensioni hanno riguardato nel tempo tanto i soggetti che l'ambito og-
gettivo. Per i primi, è da ricordare l'applicazione ai beni degli enti pubblici e
delle persone giuridiche private senza fini di lucro, inclusi gli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti, del regime ordinario di tutela a fini di garanzia pre-
ventiva in attesa della verifica dell'interesse culturale (art. 12, comma l Cod.).
Quanto all'oggetto della disciplina, le più rilevanti estensioni si erano già
avute con la l. 29 giugno 1939, n. 1497, che tra i beni tutelati comprendeva
le bellezze naturali di particolare pregio (giardini, ville, parchi); con il d.l. 27
giugno 1985, n. 312 (c.d. decreto Galasso) e l'apposizione in tutto il paese di
vincoli ex lege per zone di particolare interesse ambientale [Crosetti 2001,55
e 171], infine, all'inizio del nuovo millennio, con d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42,
Codice dei beni culturali e del paesaggio, la cui disciplina ha riguardato- in
linea con la Convenzione europea del2000- anche il paesaggio e dunque agli
ambiti territoriali ai quali per i fattori naturali e l'impronta lasciata dall'azione
dell'uomo va riconosciuta una particolare qualità espressiva di identità. Date
le caratteristiche della storia del nostro paese questi beni paesaggistici caratte-
rizzano una larga parte del territorio nazionale, con il risultato che l'incidenza
del diritto del patrimonio culturale si è corrispondentemente estesa a un'area
molto più ampia di quella originaria. Vedremo tra breve le conseguenze che
ne sono derivate.
Vi è infine una ulteriore direttrice di espansione dell'ambito della disciplina,
visibilmente in atto in questi anni grazie al potente influsso della tecnologia
e della sua rapidissima evoluzione, tuttavia ancora priva di una chiara col-
locazione concettuale e giuridica. Si tratta di tutto ciò che muovendo dal
patrimonio culturale supera come fruizione e diffusione anche l'ambito di
attività tradizionalmente più prossime, come il turismo, aprendo per la forte
evocazione di significati e contenuti culturali che gli è riconosciuta un ampio
ventaglio di attività economiche e produzioni industriali che vanno dalla pub-
blicità al design e alla moda [Santagata 2007]. I fattori che generano questi
ampi rinvii al patrimonio culturale sono numerosi e rilevanti, tanto da farne
una «religione moderna)) per le istituzioni pubbliche [Fumaroli 1991], e in
forme spesso inedite esprimono domande e sensibilità di natura culturale
ormai proprie dell'intero pianeta [Casini 2010b, 11].
In tutto questo sono dominanti gli elementi dell'immagine e della comunica-
zione, trainati dalla tecnologia che ne rappresenta la premessa e lo strumento,
che incidono dunque non solo su singoli aspetti del diritto del patrimonio
culturale come il caso della liberalizzazione delle riproduzioni fotografiche
IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 15

dei beni culturali pubblici (art. 108, comma 3 Cod.) operata di recente dal
c.d. Art bonus (d.l. 31 maggio 2014, n. 125) ma, più a fondo, sull'oggetto della
nostra disciplina (cap. 4).
La novità infatti non consiste nella immaterialità dell'immagine [AA. W. 2014],
perché da sempre si è riconosciuta nel bene culturale sia una pane materiale
(la cosa, tavola o marmo o tela da cui e su cui è composta) che una pane
immateriale (il suo significato, il valore simbolico, il rimando a dati culturali
e universali), ciò che fin dall'inizio ha giustificato la tutela della «cosa>> come
mezzo per tutelarne il valore immateriale. La novità sta nel fatto che la qualità
degli strumenti oggi disponibili (in termini di riproduzione e di qualità dell'im-
magine) e la illimitata possibilità di farne uso e permetterne la circolazione
in pane svincola il bene immateriale dalla materialità [Morbidelli e Banolini
2016] con un doppio e inedito risultato: che non è più necessario passare
dalla «coseità» per incidere sul bene immateriale, che ormai può essere leso
autonomamente, come nel caso dell'ormai celebre pubblicità dell'immagine del
David di Michelangelo che imbraccia un potente fucile da guerra (2014) ma
nello stesso tempo ha una propria dimensione economica [Severini 2015a], e
che i mezzi della dematerializzazione diventano a loro volta elementi autonomi
e dunque suscettibili in determinati casi di porre anch'essi un problema di
diretta tutela (per le fotografie, v. an. 10, comma 4, lett. e, Cod.).
Infine, temi più strettamente domestici. Innanzitutto emergono elementi di
fatto decisamente nuovi come l'attenzione riservata al patrimonio culturale, un
tempo area riservata ad ambienti di particolare formazione e livello sociale e
oggetto, ormai da anni, di quotidiana attenzione da parte dell'opinione pub-
blica. Le ragioni non sono solo culturali: su questo terreno si proietta infatti la
consapevolezza di un contesto postmoderno [Montella 2012] che oggi più che
mai ne coglie, oltre ai significati appena visti, il rilievo istituzionale e sociale
(le identità), ambientale (paesaggio) e economico, dal turismo all'industria
creativa e ai distretti culturali e che anche in ragione della lunga crisi in atto
trova nuove ragioni per intervenire e operare in materia.
A queste si sono aggiunti motivi più recenti, come quelli sollevati dai gravi
eventi sismici della fine del2016 che, mettendo in luce insieme l'interdipen-
denza degli elementi (e delle relative politiche) e la fragilità e vulnerabilità di un
patrimonio che per le sue caratteristiche non ha eguali pongono, per qualsiasi
iniziativa di prevenzione o ricostruzione, esigenze specifiche e sistemiche di
raccordo con i profili di tutela e valorizzazione ancora maggiori di quanto in
precedenza sottolineato [Zanardi 2013a; Siviero 2013].
Esigenze, ed è questo il secondo aspetto innovativo, che dal 2014 hanno
registrato un complesso di interventi che hanno inciso in profondità sia sulla
organizzazione del ministero sia sulle politiche pubbliche in materia con l'in-
tento di affrontare alcuni nodi strutturali, primo dei quali l'adeguatezza della
organizzazione periferica degli apparati e l'autonomia dei musei come perno
per il rilancio delle azioni di valorizzazione, senza tralasciare l'altro (necessario)
versante rappresentato dalle possibili forme di collaborazione che i privati
sono in grado di assicurare. Aspetti certamente apprezzabili e determinanti per
16 IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

l'intero sistema ancorché non esaustivi (profili come la disciplina del Codice
o quella del personale, ad esempio, sono rimasti all'esterno) e la cui messa in
opera richiede un tempo più lungo per essere considerata.
Elementi, in ogni caso, che hanno investito frontalmente un sistema ammi-
nistrativo pubblico (dunque, non solo statale: si veda l'esperienza regionale
in materia) in difficoltà ad affrontare i nuovi compiti e seriamente indebolito
nell'assolvere quelli tradizionali dalle politiche di contenimento della spesa
pubblica e dai conseguenti tagli di personale e risorse.
Sullo sfondo, come per tutto il sistema amministrativo italiano, la complessa
transizione della /orma di Stato dal modello unitario di origine napoleonica
verso un approdo ancora indefinito ma comunque distante, insieme, dal
passato e dai modelli noti di Stato regionale e federale. Una evoluzione così
ampia e tuttora lontana da un definitivo assestamento comporta profonde
implicazioni sullo studio e sulla esposizione della materia poiché rende
difficile, e talvolta prematuro, dare sistematicità alla disciplina, mentre
accentua le oscillazioni della giurisprudenza e il rilievo dello specifico dato
positivo e delle discipline speciali, che di queste incertezze sono insieme
causa ed effetto.
Dinamiche, dunque, nello stesso tempo sovranazionali e specifiche del nostro
paese, rispetto alle quali oggi non è facile indicare quale sia il punto di equili-
brio tra una grande tradizione, che va conservata, ed esigenze di innovazione
che premono e che ormai assumono caratteri di particolare urgenza. In un
testo dedicato alla didattica il primo dovere, come in ogni manuale, è quello
di garantire una rappresentazione lineare e sintetica dello stato dell'arte della
disciplina trattata. Ci siamo sforzati di assolverlo dando, nello stesso tempo,
conto delle trasformazioni in atto: per conoscere il presente e cercare di
comprendere meglio quello che ci aspetta.

2.2. Patrimonio culturale e Cultura[ Heritage

A quanto detto si aggiunge una oscillazione non solo di diritto positivo ma


concettuale perché riguarda gli incerti confini tra la vasta area in senso lato
«culturale)) e la più stretta cerchia dei beni culturali e paesaggistici di cui
si è detto. Qui vanno infatti segnalate la progressiva interdipendenza degli
ordinamenti e il permanere della diversità tra criterio prevalente in sedi sovra-
nazionali mondiali come l'Unesco (convenzione del patrimonio immateriale
2003 [Golinelli 2012]) ed europee, orientato a declinare il Cultura/ Heritage
[Casini 2016] nell'accezione più ampia dei beni immateriali inclusi quelli c.d.
minori, e la tradizione italiana del patrimonio culturale. Questa, per storia,
tradizione, disseminazione in tutto il paese (museo diffuso) e stretta relazione
materiale e culturale con il contesto, rimanda a un'accezione più circoscritta.
E dunque a un oggetto del diritto del patrimonio culturale più definito cui
riferire regime, organizzazione e strumenti di intervento (v. cap. 1).
IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 17

Resta infine aperto anche un profilo particolarmente attuale di natura squi-


sitamente istituzionale, perché il largo cerchio della c.d. industria culturale e
creativa, compreso tra la cultura materiale (moda, design industriale, artigia-
nato,/ood) e la produzione di contenuti per la comunicazione e l'informazione
(software, editoria, media, pubblicità, cinema), è destinato a essere e restare
un terreno di enorme importanza sociale e culturale, oltre che economica,
e pone di conseguenza alle istituzioni pubbliche e in particolare al Mibact
l'alternativa, di cui solo nelle riforme di questi ultimi anni si avverte la piena
consapevolezza, se rimanere all'interno del perimetro storico delle attività
e dei compiti tradizionali, continuando cioè a pensarsi come vertice del si-
stema amministrativo di cura del patrimonio culturale, o se accettare la sfida
e collocarsi in un orizzonte assai più ampio delle funzioni di tutela nel quale
proporsi in termini di principale riferimento, come in altri paesi è avvenuto
[Santagata 2014].
Per concludere: l'orizzonte della nostra disciplina è in costante espansione e
questo comporta problemi giuridici tuttora aperti con riguardo agli strumenti,
al ruolo dei soggetti che vi operano e alla loro organizzazione, perché è difficile
pensare che un sistema concepito per un ambito più ristretto resti inalterato
quando richiesto di agire su presupposti, a una scala e con ruoli così diversi.

3. FINAliTÀ
Veniamo allora alle finalità. Anche il diritto del patrimonio culturale, infatti,
è profondamente segnato come ogni disciplina giuridica dalla finalità perse-
guita ed è dunque interessato da ulteriori cambiamenti, oltre a quelli appena
richiamati. Una ragione in più per esaminare più da vicino i presupposti della
disciplina.

3.1. Presupposti

La l. 1089/1939 sui beni di interesse storico e artistico così come la l. 1497/1939


sulle bellezze naturali poggiavano su elementi ben precisi, che è bene ricor-
dare. Cruciale, innanzitutto, era il ruolo della identificazione del carattere di
particolare pregio storico-artistico (poi, culturale) dei beni già esistenti o di
quelli (si ti archeologici) oggetto di ricerca o di ritrovamento, il che ovviamente
era destinato a valere anche per i beni pubblici, per i quali questo atto era
essenziale perché vi erano associate ex lege le misure di protezione assicurate
dal regime demaniale dell'art. 823 del codice civile. Vedremo tra breve per
quali ragioni tale regime sia andato in concreto modificandosi a vantaggio di
qualificazioni estese ex lege a intere categorie di beni.
n secondo elemento era costituito dalla sostanziale esigenza-sufficienza della
conservazione, essendo predominante l'obiettivo di protezione del bene da
18 IL DIRITTO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

tutti gli eventi, materiali e giuridici, che potessero metterne a repentaglio


l'integrità e la conservazione. Tra le implicazioni da segnalare, la funzionaliz-
zazione del bene agli interessi di tutela e conservazione prescindendo dalla
natura pubblica o privata del titolare.
Tale profilo torna invece ad assumere rilievo sul piano delle modalità di
tutela perché, mentre per la titolarità pubblica è sufficiente, come si è detto,
il regime speciale dei beni demaniali o patrimoniali indisponibili dettato
dal codice civile (artt. 822 ss.), per quella privata è necessaria l'adozione di
appositi prowedimenti di identificazione e a effetto limitativo delle facoltà
ordinariamente spettanti al proprietario (dall'utilizzazione alla manutenzione
o alla circolazione). n che aiuta a comprendere la tradizionale marginalità di
azioni di incentivazione e supporto nei confronti del privato sprowisto dei
mezzi per assicurare la corretta conservazione del bene, né stupisce che la
gestione restasse per lo più inscritta nella sfera della conservazione e che il
museo nella sua accezione più tradizionale ne costituisse lo strwnento principe.
Solo in un secondo momento, e più tardi, le cose cominceranno a cambiare.
Nell'impossibilità di affidarsi per l'identificazione del bene culturale a tipolo-
gie rigidamente e legislativamente predeterminate, che avrebbero condotto a
esclusioni impreviste o a effetti troppo estesi e incontrollabili, la terza carat-
teristica era costituita dalla necessità di ricorrere a criteri di apprezzamento
inevitabilmente elastici (particolare interesse o importanza del bene) e per
loro natura a bassa tipicità e ad ampia discrezionalità.
Ne è derivato un sistema che ruota intorno alla funzionalizzazione all'interesse
protetto e a scarsa procedimentalizzazione: un sistema il cui funzionamento
e la cui legittimazione erano perciò affidati in gran parte a un continuum di
regolazione-gestione basato sulla centralità di un'amministrazione dedicata,
su un qualificato corpo professionale (storici dell'arte, architetti, archeologi,
archivisti e bibliotecari) e su centri di elaborazione tecnico-culturale, come
gli istituti superiori del catalogo, del restauro o l'opificio delle pietre dure,
destinati ad assicurare i saperi tecnico-professionali indispensabili.
Questo insieme di elementi, che ha assicurato all'Italia un ruolo indiscusso
di preminenza nella comunità internazionale per il settore della tutela del
patrimonio culturale, poggiava sulle premesse di uno specifico contesto socio-
economico e istituzionale troppo spesso ignorate o rimosse, con il risultato di
non valutare a sufficienza il drastico cambiamento che si è determinato e la
conseguente necessità, perché di questo si tratta, di mantenere le stesse finalità
adattando strumenti e soluzioni di allora alle mutate condizioni di oggi. Cioè
a un contesto profondamente cambiato rispetto al1939 in termini fattuali e
istituzionali.
Quanto ai primi, basta ricordare che fino allo straordinario mutamento degli
anni Cinquanta e Sessanta, l'Italia era un paese a bassa industrializzazione e
a vocazione prevalentemente agricola, con il risultato che la protezione del
paesaggio e dei beni artistici che vi si trovavano era capillarmente assicurata
dall'assetto e dal lavoro della società rurale dell'epoca. n problema allora
non era dell'ambiente o del paesaggio, ma solo di limitate realtà che, per
IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 19

il peculiare valore estetico (bellezze naturali) o per costituire la quinta di


monumenti storico-artistici, erano assimilate a queste ultime e alla relativa
tutela [Zanardi 2013 b].
La disciplina di settore poggiava poi su un quadro istituzionale generale molto
diverso da quello attuale, caratterizzato dalla totalizzante centralità del pubblico
e, all'interno di questo, del ruolo dello Stato, cosa che assicurava un assetto
molto compatto e integrato non solo della materia specifica, ma anche delle
altre politiche pubbliche confinanti e dei poteri in vario modo connessi. In
effetti, la l. 1089/1939 scontava premesse istituzionali (quali la centralità dello
Stato e la riferibilità a quest'ultimo di tutti i più importanti elementi in gioco:
il podestà di nomina governativa al posto del sindaco; l'approvazione dei
piani regola tori da parte del ministero dei Lavori pubblici; l'anni presenza del
prefetto in sede locale; il controllo generale statale sugli atti di Comuni e Pro-
vince; il monopolio della funzione legislativa sull'asse esecutivo-parlamento)
chiaramente decisive per la sua tenuta e altrettanto irreversibilmente mutate
a partire dalla seconda metà del secolo scorso.
L'origine della disciplina e le necessità più immediate da soddisfare hanno
condotto dunque a declinare l'obiettivo primario della protezione del bene,
senza la quale lo stesso valore culturale sarebbe stato irrimediabilmente
perduto, in termini di contrasto alle aggressioni portate dagli uomini e dal
tempo: in una parola, in chiave di conservazione della cosa e di limitazione
della circolazione e disponibilità del bene da parte del titolare. Questo spiega
perché la disciplina dei beni culturali in quanto tali - diverso è il discorso
per il paesaggio- fosse in larga misura (e meritoriamente) corrispondente
alla tutela e che quest'ultima ancora oggi ne resti il cuore, in termini di
protezione e conservazione, in buona parte affidati a provvedimenti rego-
lativi e conformativi di diritti e comportamenti di altri soggetti pubblici e
privati (art. 3 Cod.).

3.2. Disciplina costituzionale: promozione e tutela. Le implicazioni

Le cose sono profondamente cambiate con l'entrata in vigore della Costi-


tuzione dell948 che, pur partendo da queste premesse, ha impresso una
svolta radicale al nostro tema già in sede di principi fondamentali facen-
done un primario compito della Repubblica [Merusi 1975], collegandolo
strettamente al paesaggio (art. 9, comma 2) e alla libertà di arte, scienza e
insegnamento (art. 33, comma l) e proiettandolo sul piano della promozione
della cultura (art. 9, comma l, Cast.) come elemento chiave per la crescita
complessiva dei cittadini, in particolare delle fasce sociali più deboli (art.
3, comma 2). Di tutto questo, premessa e chiave di volta è il pluralismo,
cioè la necessaria e virtuosa tensione tra la doverosità per le istituzioni di
promozione e tutela (art. 9 Cast.) e la libertà di arte e scienza (art. 33 Cast.)
[Ainis 1991, 132].
20 IL DIRITTO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

Valorizzazione, pluralismo istituzionale. La prima implicazione è che le finalità


del diritto del patrimonio culturale si sono estese fino a inglobare, con lo
stesso grado di importanza, anche lo studio, la diffusione e la promozione del
patrimonio culturale: studio, diffusione e promozione che riguardano ovvia-
mente, in primo luogo, anche i beni culturali in mano pubblica a cominciare
dal ministero competente. Questo cambia molte cose.
Se infatti in termini di mera protezione era (relativamente) sufficiente che
parte dei beni rimanesse custodita in mano pubblica senza particolari altre
attività se non di mera conservazione- il che tuttavia non spiega né giustifica
le ragioni per cui di molti beni non fosse stata operata neppure la semplice
inventariazione -,oggi tutte le istituzioni pubbliche, a cominciare dal Mibact,
hanno il dovere di promuoverne conoscenza, utilizzazione e fruizione come
disposto dagli artt. 6, comma l, e 112, comma l, Cod. [Severini 2015, 324]
con una implicazione importante: che per farlo, e questa sarebbe la lettura
da dare all'art. 115, comma 4, Cod., si dovrà ricorrere alle alternative offerte
dall'ordinamento e dunque alla esternalizzazione della gestione o al supporto
di risorse esterne (liberalità, sponsorizzazioni) quando le proprie non fossero
sufficienti. Altrettanto va detto, e per le stesse ragioni, per quanto attiene al
dovere dello studio dei beni di cui si ha disposizione, che è parte integrante
dell'attività conoscitiva richiesta per le funzioni di tutela (art. 3, comma l,
Cod.) e dunque precede e supporta il (diverso) dovere di garantire la piena
apertura alle esigenze della ricerca scientifica.

Ne discende, in secondo luogo, che in un sistema istituzionale policentrico


composto da Stato, Regioni e autonomie locali come quello sancito dall'art.
5 Cost. la cura e la promozione del patrimonio culturale sono ampiamente
ripartite, secondo criteri precisati dagli artt. 117-118 Cost., tra Stato, Regioni e
Comuni, peraltro titolari di funzioni in materie strettamente connesse ai beni
culturali come la disciplina del territorio, ambiente e paesaggio. Un profilo
importante e delicato [Barbati 2009a; 2011], ma pur sempre un aspetto del più
generale principio del pluralismo che associa alle istituzioni i soggetti sociali,
tra cui attivissime associazioni che tradizionalmente operano in materia come
ad esempio Italia Nostra o il Fai.

Ruolo interdittivo. li terzo aspetto riguarda la natura e la congruità delle


tradizionali funzioni amministrative legate alla tutela e la necessità di rive-
derne le modalità, nel senso di ridefinire l'esercizio dei poteri autoritativi e
di agevolare una rilettura della concezione interdittiva tuttora prevalente.
Non sono in discussione il ricorso, inevitabile, a un potere amministrativo in
grado di incidere sui beni di terzi, della cui sfera giuridica fanno parte anche
in termini patrimoniali, né gli inevitabili margini di discrezionalità relativi alla
individuazione del bene come bene culturale e alla conseguente regolazione
dei limiti da rispettare e dei comportamenti da tenere o da evitare.
Ma il discorso non si ferma qui. lnnanzitutto, c'è la necessità di evitare che
nell'assenza di criteri, indirizzi e linee guida riservate al ministero proprio
IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 21

per questi fini (v. art. 29, comma 5, Cod.), il rinvio a clausole inevitabilmente
flessibili si traduca in una discrezionalità degli apparati predisposti talmente
ampia da sconfinare nella imprevedibilità e da non tenere conto, come talvolta
succede, neppure dei precedenti posti in essere dallo stesso ufficio.
La seconda, legata al fatto che le esigenze connesse alla valorizzazione e la
interdipendenza con altre politiche pubbliche mettono in luce la necessità di
valutazioni estese anche agli aspetti dinamici e intersettoriali del bene culturale
con esiti non solo impeditivi ma nello stesso tempo più ampi e più conformativi,
perché la sola considerazione storico-estetica del singolo bene può essere insuf-
ficiente o addirittura controproducente, se non estesa all'esame del contesto in
cui questo è inserito e di cui fa parte. Insufficiente, per essere ancora più chiari,
non solo per la mancata valutazione di «altri» interessi, ma anche per l'omessa
considerazione di dati ed elementi intrinseci allo stesso interesse culturale del
bene. Un esempio illuminante è offerto dalla fattispecie codicistica dei borghi
storici, definiti come «complessi di cose immobili che compongono un caratte-
ristico aspetto avente valore estetico e tradizionale» dall'art. 13 6, comma l, le t t.
c, Cod. senza alcun accenno alle esigenze abitative, alle attività economiche e
sociali, in breve alla vita che li anima e che li distingue dai borghi abbandonati.

Discrezionalità. In questo modo veniamo a un altro profilo particolarmente


importante, quello della discrezionalità e della relativa qualificazione giuridica,
perché è difficile confinare integralmente nella discrezionalità tecnica in senso
stretto (vale a dire la scelta non tra interessi in gioco, ma tra più soluzioni
possibili per la soddisfazione dell'unico interesse pubblico da considerare) la
valutazione di più opzioni che incidono su più interessi pubblici.
Interessi, va detto, spesso primari quanto quelli dell'art. 9 Cast. che certo
non mancano nella nostra Carta a cominciare dalla tutela dell'integrità fisica
e della salute «fondamentale diritto dell'individuo» ex art. 32, comma l Cost.,
di recente messi in primo piano dal tema delle modalità di contrasto al rischio
sismico riguardanti beni culturali. Oltre a questi aspetti, e alla cruciale consi-
derazione che primarietà non è sinonimo di priorità né di esclusività (su cui v.
cap. 3 e recenti approfondimenti in sede scientifica [Sciullo 2016a]), il punto
decisivo resta quello di un'adeguata cornice e strumentazione a supporto di
decisioni di questa natura, a cominciare dalla disponibilità di piani, programmi
e linee guida (v. in/ra) che assicurerebbero maggiore solidità e riconoscibilità
alle valutazioni richieste [AA.VV. 2016].

3.3. La posta in gioco

Le ragioni della forte esigenza di innovazione e ripensamento sia della disci-


plina sostanziale vigente sia del Mibact, peraltro confermate dai numerosi
tentativi effettuati in passato e dalle incisive riforme oggi introdotte e in fase
di attuazione, sono dunque chiare. Ma si tratta di una partita ancora aperta,
della quale vanno evidenziati pericoli e possibili soluzioni.
22 IL DIRmO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

n primo è il rischio, tutt'altro che remoto, del gioco a somma negativa degli
interessi coinvolti, e cioè dell'impasse provocata dalla contrapposizione tra gli
apparati di tutela e altri interessi pubblici, con il risultato del reciproco fronteg-
giarsi anche in sedi comuni senza un reale confronto. Con la conseguenza o del
nulla di fatto, perché i procedimenti si arrestano, o della soluzione «a strappo»,
perché assunta in via maggioritaria (conferenza di servizi) o per decisione finale
da parte di una sede istituzionale superiore (Consiglio dei ministri, Giunta
regionale). E dunque, di un esito non pienamente equilibrato, con i riflessi
che si possono immaginare in termini di affidabilità e tenuta giuridica della
soluzione adottata tra le parti del rapporto e rispetto ai terzi [Torchia 2016, 23].

Le virtù dell'amministrazione ordinaria. C'è infine l'ulteriore rischio, di cui


purtroppo si vedono con chiarezza numerose awisaglie, che, nella morsa tra
la necessità di mettere mano con sollecitudine agli interventi necessari e le
difficoltà di adeguato funzionamento, la via di uscita finisca per consistere
nello scavalcamento, o semplicemente nella marginalizzazione, degli appa-
rati di tutela. Il regime del procedimento, e più in particolare quello della
conferenza di servizi rivista di recente dalla l. 124/2015, o le forti (ancorché,
a oggi, necessarie) semplificazioni adottate direttamente con veste legislativa
e in via di deroga per gli interventi di ricostruzione nelle aree interessate dai
recenti sismi disposti con i due decreti legge del17 ottobre 2016, n. 189 e
dell'Il novembre 2016, n. 205, indica con chiarezza la serietà del problema.
È ferma convinzione di chi scrive che, salvo gli owi casi d'urgenza su cui
peraltro operano apposite strutture (oggi, ad es., la soprintendenza speciale
di Rieti) oltre alla Protezione civile, per tutto il resto deroghe normative e
marginalizzazione degli apparati aggravino la situazione e che la soluzione
consista invece nell'adottare piani e programmi per le scelte di medio periodo
e linee guida per l' operatività quotidiana, affidando il resto al regime ordinario
e all'autonomo funzionamento degli apparati. Valorizzando cioè l'ordinaria
amministrazione il cui apporto è insostituibile per assicurare due elementi
chiave: la capacità di conoscere, distinguere e dunque differenziare le soluzioni
specifiche, che solo un'amministrazione con piena conoscenza del proprio
contesto può garantire; uno stabile regime di regole, criteri e prassi, dunque
ordinario e prevedibile, cioè l'unico presupposto su cui qualsiasi soggetto
terzo, pubblico o privato, può maturare il proprio legittimo affidamento e
basare proprie scelte coerenti.
Per queste ragioni, e sulla scorta di esperienze numericamente limitate (Puglia,
Piemonte) ma apprezzabili, come quella della Regione Toscana per il piano
paesaggistico a valenza territoriale, la via più consigliabile, anche considerando
il valore giuridico dell'intesa tra le parti, consiste in modalità anche concrete e
preventive di collaborazione su aspetti di comune interesse, come la ordinaria
raccolta ed elaborazione di dati o il confronto in sede istruttoria anticipato
rispetto alla conclusione del procedimento. ntutto, ancora una volta, agevolato
dall'adozione di piani, programmi, indirizzi, linee guida, cioè da atti previsti
da tempo nel Codice ma in più casi ancora mancanti.
IL DIRITTO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 23

Si tratta infatti di elementi che danno stabilità e continuità all'azione degli


apparati, fornendo loro una solida cornice, e che assicurano alle attività e
alle valutazioni tecniche, oltre alla necessaria base conoscitiva, la relativa
riconoscibilità anche in termini di motivazione. Inutile sottolineare quanto
questi elementi renderebbero più affidabili anche gli interventi di sempli-
ficazione diretti ad accelerare fasi del procedimento, certamente necessari
ma che richiedono appunto la possibilità di contare su apparati in grado di
verificare costantemente le condizioni di fatto, come avviene nel caso della
semplificazione delle autorizzazioni paesaggistiche per interventi di modesta
entità di cui al d.p.r. 13 febbraio 2017, n. 31 [Carpentieri 2016a].
È giusto infine sottolineare, trattandosi della introduzione di un manuale
giuridico, quanto tutto ciò sia condizionato da due fattori spesso trascurati:
la specifica preparazione giuridica del personale, richiesta dalla particolare
incisività e numerosità dei provvedimenti autoritativi adottati dagli apparati
di tutela, e la messa in opera di continuativi controlli, di merito ed «ex post»,
essenziali per verificare in modo specifico l'operato degli uffici e analizzare e se
del caso aggiornare la resa degli indirizzi e delle linee guida appena ricordate.
La forte carenza di queste modalità di controllo priva l'amministrazione e i
cittadini di riscontri necessari e lascia lo spazio aperto a forme improprie di
supplenza, delle magistrature penali o contabili (procure della Repubblica
o della Corte dei Conti), quando non direttamente nelle reti dai social o da
rubriche di inchiesta promosse dai media, con giudizi e valutazioni spesso
molto sommari.

4. GLI ASSI DEL CAMBIAMENTO

Il riferimento appena operato conferma ancora una volta la centralità della


organizzazione i cui problemi, non va dimenticato, finiscono spesso per ri-
baltarsi sul piano normativa, perché è proprio con modifiche legislative che
sovente si è cercato di risolvere problemi di funzionamento degli apparati e
di natura, per lo più, semplicemente operativa.
Si prenda il caso del mancato censimento dei beni immobili di interesse
culturale, ivi compresi quelli in mano pubblica. Un dato sempre importante
perché come si è detto già all'inizio del Novecento fu proprio il blocco delle
(previste) attività di catalogazione (allora, elencazione) a richiedere, come
rimedio, la modificazione del regime giuridico dei beni in mano privata.
Ebbene, pur in presenza, dal1975, di una struttura appositamente dedicata
a questo compito, l'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione
(lccd), e malgrado tentativi di tornare al sistema degli elenchi almeno per
i beni immobili del demanio storico e artistico, come quello operato con il
regolamento adottato a cavallo del secolo (d.p.r. 7 settembre 2000, n. 283 ),
ancora oggi questa esigenza di base resta largamente insoddisfatta.
Con il risultato di pregiudicare in modo significativo la cura di un patrimonio
della cui entità e localizzazione non si ha certezza e di porre le premesse a
24 IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

rimedi che hanno finito addirittura per aggravare la situazione. In attesa della
verifica della sussistenza o meno dell'interesse culturale, infatti, a fini caute-
lativi si è esteso a un numero smisurato di beni in mano pubblica l'integrale
regime di protezione previsto per i beni culturali veri e propri, sovraccaricando
gli uffici competenti di pratiche in larga parte estranee alla loro missione isti-
tuzionale (la cui dimensione è in alcune valutazioni interne stimata vicina ai
due terzi del totale esaminato), oltre a lasciare i titolari dei beni nell'incertezza
sulla natura e disponibilità del proprio patrimonio.

4.1. Aumento e differenziazione della domanda

Principio cardine della organizzazione è quello di adattare gli apparati alle


funzioni e dunque, in questo caso, alle necessità indotte dall'ampliarsi e di-
versificarsi della domanda rivolta ai beni culturali specie per quanto riguarda
la fruizione di massa di questi ultimi. La profetica intuizione costituzionale
del collegamento tra tutela del patrimonio storico-artistico e del paesaggio, e
promozione dello sviluppo della cultura espressa dall'art. 9 Cost. ha in effetti
anticipato ciò che, in vistosa crescita esponenziale, è avvenuto negli ultimi
decenni, come si dà ampiamente conto nel capitolo 4.
Si è detto ampliamento e diversificazione: sono cose diverse, anche se tra loro
strettamente connesse, e si sono verificate entrambe. L'aumento vertiginoso
della mobilità planetaria e il diffondersi delle comunicazioni e delle conoscenze
hanno portato a una tale richiesta di fruizione dei beni culturali che ormai si
pone la necessità di apposite politiche di valorizzazione e inedite misure di
conservazione fino a regolazioni amministrative su aspetti specifici, come la
limitazione di attività commerciali in aree di particolare valore archeologico,
artistico o paesaggistico (v. d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222) o a prefigurare
(come a Venezia) ipotesi di contingentamento del numero dei visitatori o,
come è già avvenuto, la copia a uso esposizione di beni i cui originali sono
conservati altrove.
Ma si registra anche una crescente diversificazione della domanda e dei soggetti
in vario modo interessati ai beni culturali: in parte, perché accanto (e a causa)
alla fruizione di massa dei beni culturali più conosciuti emergono circuiti
inevitabilmente ristretti di domanda culturale più qualificata e sofisticata;
in parte perché questi processi nel loro insieme hanno acquisito un rilievo
economico e finanziario sempre più marcato e autonomo.
Questo spiega lo spostamento che ne è derivato sul piano delle funzioni a
vantaggio della valorizzazione e del profilo dinamico, come Massimo Severo
Giannini già notava quasi mezzo secolo fa [ 1971], e in particolare sulla
gestione e sulle relative modalità. Inevitabile, inoltre, la correlativa enorme
crescita dell'impegno finanziario diretto e indiretto, via agevolazioni fiscali,
il cui peso grava per la maggior parte a carico dei bilanci pubblici (e tale, pur
senza trascurare il sostegno dei privati, è destinato a rimanere). È esattamente
IL DIRITTO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 25

su questi punti che sono intervenute, come si è detto, le riforme del 2014-
16 sia di riorganizzazione amministrativa sia di sostegno alla valorizzazione
(capp. 2 e 4).

4.2. Rapporto pubblico/privato

L'espressione corrente del rapporto tra «pubblico e privato», è particolannente


imprecisa non solo perché, come sappiamo, vi sono molti «pubblici)) (oltre
allo Stato, le Regioni, i Comuni e i diversi enti o agenzie pubbliche di settore)
ma perché, analogamente, vi sono più privati.
In particolare, per il profilo che qui interessa, il «privato» può riferirsi a tre
realtà del tutto diverse, il che naturalmente facilita equivoci e fraintendimenti
anche tra gli addetti ai lavori.
L'accezione più debole di «privato)) dal punto di vista pubblicistico si ha
quando l'azione pubblica (che tale è e tale rimane) ricorre alla veste giuridica
privatistica, abbandonando il diritto amministrativo e utilizzando forme e
strumenti del codice civile come il contratto o la società. Si tratta ormai di
un principio generale del nostro ordinamento amministrativo («La pubblica
amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa, agisce se-
condo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente)),
art. l, comma l-bis, l. 24111990) che certo per le funzioni di tutela affidate
al Mibact ha un ambito di applicazione più ridotto; vi si ricorre con più
larghezza per alcuni profili organizzativi come le agenzie operanti a livello
centrale (v. Ales, Arte Lavoro e Servizi s.p.a., nella quale è stata incorporata
dal2016 Arcus s.p.a.), e, soprattutto, nelle forme di cooperazione tra soggetti
pubblici per la valorizzazione e gestione dei beni culturali (v. art. 112, comma
5, Cod.). In questi casi la sostanza resta pubblica ma il regime giuridico, sia
pure con vari adattamenti, è derivato dal diritto privato e in particolare da
quello societario (capp. 4 e 6).
La seconda figura che incontriamo è quella del privato-impresa, nella duplice
veste di gestore di attività esternalizzate e di sponsor a sostegno dei compiti
dell'amministrazione (v. cap. 4). Sia per le crescenti difficoltà pubbliche di
carattere organizzativo e finanziario sia perché certi compiti li svolge, o li
dovrebbe svolgere, più agevolmente l'impresa privata con più flessibilità e
minori costi, negli ultimi anni il sistema pubblico dei beni culturali tende ad
affidare al privato lo svolgimento di varie attività strumentali rispetto alla
valorizzazione del bene culturale, come l'organizzazione di eventi, la gestione
dei servizi di accoglienza al pubblico nei musei, l'editoria ecc.
Il privato imprenditore ovviamente opera secondo i propri criteri economici
e la pubblica amministrazione, in conformità alla disciplina comunitaria,
gioca il ruolo (e osserva le regole pubblicistiche) del committente che deve
sapere rappresentare con chiarezza (nel bando) le proprie esigenze (oggetto,
obiettivi), precisare le condizioni (tempo, canone, durata temporale, oneri
26 IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

ecc.) e selezionare il migliore offerente. Per inciso, la difficoltà degli organi


del ministero a svolgere questo ruolo rappresenta uno dei motivi più seri dei
problemi, altrettanto seri, di positiva cooperazione tra imprese e pubblica
amministrazione.
Infine, l'ultima accezione di privato che dobbiamo considerare, e che è par-
ticolarmente importante in questo settore, è invece legata a soggetti privati
«non pro/it» che operano per la soddisfazione di interessi generali. Si tratta
di soggetti di varia natura e peso organizzativo e finanziario (interessi diffusi,
associazioni, onlus, volontariato, fondazioni), la cui importanza nel funzio-
namento concreto del sistema di beni culturali è ormai così significativa da
rendere inattendibili ad esempio i dati e le statistiche di questo settore che
considerino solo le risorse pubbliche, specie quando si operano raffronti con
altri paesi. Accanto alle importanti risorse assicurate a questo settore ogni
anno dalle fondazioni di origine bancaria (circa 300 milioni nel2015), vanno
infatti considerate le storiche associazioni culturali e ambientaliste nate per
la cura dei beni e del patrimonio culturale (Fai, Italia Nostra) e il crescente
numero di iniziative di base awiate in modo spontaneo ma con tendenza a
stabilizzarsi e ad allargare il proprio operato, in una interpretazione ampia
di beni culturali come beni comuni [Michiara 2016].
Questa articolazione di realtà «private» è importante per più di una ragione:
intanto, perché ognuna di queste ipotesi fa riferimento a una disciplina positiva
diversa; in secondo luogo, e soprattutto, perché i rispettivi fondamenti concet-
tuali e costituzionali sono del tutto diversi, dato che la prima categoria resta per
intero nell'ambito dei principi stabiliti per la pubblica amministrazione (artt.
97 ss. Cost.), il privato-impresa va invece riferito all'art. 41 Cost. e alla tutela
comunitaria della concorrenza nei contratti della pubblica amministrazione,
mentre il privato non pro/t"tvive nel e del pluralismo enunciato agli artt. 2 e 18
Cost. e si rapporta alla pubblica amministrazione secondo quanto enunciato
dall'art. 118, comma 4, Cost. in termini di sussidiarietà orizzontale.
Si tratta di entità che in pratica sono spesso intrecciate o sovrapposte, e
quindi facilmente confuse. Ma ben diverse come si vede sono le premesse,
i contenuti e le implicazioni: in un crescendo che dalla mera veste giuridica
passa alle esternalizzazioni gestionali per toccare un terreno, quello della
sussidiarietà, che se preso sul serio incide non solo sul come ma addirittura
sul che cosa e quanto va riservato ai pubblici poteri in materia di attività e
di beni culturali.
Per chi si appresta a studiare il diritto del patrimonio culturale si tratta di
profili che meritano di essere attentamente valutati per interpretare quanto
accade oggi e comprendere meglio ciò che awerrà in futuro.

5. SFIDE E PROSPETIIVE
Giunti a questo punto, possiamo indicare alcuni temi già oggi al centro di
forti processi di innovazione e destinati in ogni caso a incidere, quale che ne
IL DIRITTO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 27

sia l'evoluzione, sull'impostazione della disciplina e delle politiche pubbliche


in materia. In breve: prospettive possibili, ma sfide sicure.

5.1. lnterdipendenza

La prima sfida è dovuta all'ormai evidente e generalizzata affermazione del


principio di interdipendenza, vale a dire in questo caso della stretta relazione
che lega il patrimonio culturale al contesto naturale e territoriale, al pW1to che
non solo la tutela del paesaggio, come è intuitivo, ma la stessa cura per il singolo
bene monumentale o storico-artistico non sono disgiungibili dall'ambiente in
cui è inserito [Crosetti 2001]. Perché ciò che caratterizza il nostro paese non
è solo la quantità e qualità del patrimonio artistico ma la sua disseminazione
in tutto il territorio e il suo intreccio con le attività, gli insediamenti, la storia
e i sa peri delle rispettive comunità dai quali non è né culturalmente né mate-
rialmente separabile [Manacorda 2014; Montanari 2013; 2015].
Una interdipendenza drammaticamente evidenziata dalle calamità più gravi,
dall'alluvione di Firenze (1966) ai recenti eventi sismici della fine 2016, se solo
si considera che l'opera di ricostruzione nella sola area del cratere interessa
più di 6.500 edifici sottoposti alla disciplina dei beni culturali. Con la conse-
guenza che in Italia né la cura del patrimonio culturale (nella sua fisiologia,
la conservazione programmata, e nell'intervento di eccezione, il restauro) o
naturale (ambiente, paesaggio) né le politiche pubbliche di governo del ter-
ritorio e delle attività che vi si svolgono possono essere condotte senza una
stretta e reciproca correlazione. A cominciare, è bene ripeterlo, da una solida,
riconoscibile e per molti aspetti comune base conoscitiva [Zanardi 2013a].
Se questa è la direzione verso cui muovere, non è difficile cogliere la profondità
dell'impegno che nasce dalla necessità di soddisfare le esigenze nuove senza
perdere le virtù del passato, rivedendone però un impianto che non può essere
ancora fondato sulla rigida gerarchizzazione degli e tra gli interessi pubblici,
sulla separazione rispetto ai contesti, sul ruolo centrale del potere autoritativo
e relativa unilateralità come cifra dominante dell'azione dell'amministrazione
di tutela, in sé e nei rapporti con i soggetti esterni.

5.2. Differenziazione

L'apertura rispetto al contesto, peraltro sollecitata anche dalle istituzioni


sovranazionali più rappresentative (Unesco, Europa cultura 2014-2020), è la
premessa per la cooperazione e quest'ultima è possibile se, nel rispetto dei
diversi ruoli e delle fWlzioni assegnate, si sa modellare l'azione e l'organizza-
zione degli apparati competenti in ragione delle caratteristiche dell'ecosistema
fisico e socioeconomico in cui si opera: in una parola, sapendo distinguere
tra le domande e sapendosi differenziare nell'offerta. In questo senso la dif-
28 IL DIRITTO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

ferenziazione non è solo funzione del principio (interno) di specializzazione


del lavoro (ogni funzione allo specifico apparato destinato a esercitarla), ma
anche espressione di adeguatezza, cioè della capacità di rapportarsi nel modo
migliore al contesto in cui si opera.
È un versante al quale fino a tempi recenti l'amministrazione preposta alla
tutela ha prestato limitata attenzione e per lo più in termini di regimi speciali:
il profondo riordino organizzativo delle articolazioni periferiche del Mibact
avviato a partire dal2014 (v. cap. 2) nel distinguere gli apparati dedicati alla
tutela (soprintendenze unificate) e quelli chiamati a compiti di valorizzazione
(musei autonomi, Poli museali), opera invece una svolta decisa nella direzione
che si è detta.
nprincipio di differenziazione, infine, sembra destinato a orientare il supera-
mento di un altro storico nodo della materia, quello delle relazioni fra centro
e sistemi locali tuttora bloccato per l'azione congiunta di due dinamiche
contrapposte: da un lato la necessità di gestire in modo decentrato la cura del
patrimonio culturale, con la possibilità quindi di intrecciare tutela e valorizza-
zione dei beni culturali e del paesaggio con tutto ciò che è riservato ai sistemi
locali (dalle funzioni in materia territoriale e urbanistica ai compiti riguardanti
turismo, commercio, mobilità e altro); dall'altro, e in senso opposto, la forte
centralizzazione operata negli ultimi anni dalle politiche di contenimento della
spesa pubblica e la condizione critica di molte situazioni locali, che hanno
portato al blocco di soluzioni diverse, come quelle tentate dal decreto sul c.d.
federalismo demaniale (d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85), che apriva la strada al
trasferimento di beni statali appartenenti al demanio culturale a Regioni ed
enti locali, peraltro subordinato alla sottoscrizione di accordi multilaterali
(Stato, Regioni, enti locali) per programmi di valorizzazione (art. 5, comma
5) [Carpentieri 2012, 14].
Uscire dall'impasse e tenere conto della diversità dei contesti riporta il discorso
al criterio della differenziazione e forse a una delle prospettive accennate dalla
legge 124/2015, fino a immaginare un unicum di amministrazione territoriale
(costituita dall'insieme enti locali + amministrazione periferica dello Stato),
nel quale le funzioni possono essere ripartite tra le due entità in modo va-
riabile a seconda delle condizioni del contesto; e in ogni caso con un regime
di funzioni e risorse significativamente differenziabili per ogni macroarea
regionale, in base al principio dell'autonomia differenziata sancito dell'art.
116, comma 3, Cast.
Un quadro, questo, che cambierebbe profondamente la fisionomia del sistema
territoriale italiano, trasformando l'autonomia più in un punto di arrivo che
in un dato di partenza, e che sconterebbe inevitabilmente una forte presenza
statale quando le condizioni locali non consentissero un'autonomia giocata
con solidità e pienezza.
Ma tutto questo non può neppure essere ipotizzato senza la capacità di un
centro di definire non solo con le Regioni e i governi locali ma anche con
le imprese e il privato sociale un «sistema)) (appunto) dei beni culturali del
quale il Mibact sia insieme riferimento e garante delle funzioni indivisibili,
IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 29

a cominciare da quelle di relazione con i sistemi sovranazionali: il che può


awenire solo in un Mibact interamente ripensato come centro del sistema
[Verde 2014, 201] più che vertice di un sistema amministrativo e centralizzato.

5.3. Differenziare: per unire o per separare?

Nel concludere, dunque, non ci si può fermare al versante dello Stato e del
Mibact che certo meritano le maggiori attenzioni. Ognuno degli elementi
che da ultimo si sono ricordati, infatti, chiama in causa le Regioni e i sistemi
locali le cui difficoltà in più di un caso si sono aggiunte a quelle, ampiamente
illustrate, delle amministrazioni statali. Basti considerare che lo strumento a
cui qui si è dato particolare rilievo, come cornice adatta a favorire l'intreccio
tra profili territoriali e ambientali e la cura in termini di tutela e valorizzazione
del patrimonio culturale, è a oggi stato adottato da tre sole Regioni (Piemonte,
Puglia e Toscana).
Le ragioni sono tante, e non sempre le stesse in ognuna delle realtà interessate,
a dimostrazione del fatto che le esigenze di differenziazione non si fermano né
all'organizzazione interna dell'amministrazione né alla diversificata domanda
della società ma si estendono al cuore dell'assetto istituzionale, perché toccano
il versante centro/autonomie e l'impossibilità di porvi mano senza dare risposte
diverse a realtà diverse. È il tema che si è cercato di risolvere mezzo secolo
fa con l' awio del regionalismo, ed è una questione che resta pesantemente
sul tappeto, perché a fronte della impraticabilità costituzionale e concreta
di soluzioni seccamente alternative come un sistema unitario verticalizzato,
con un sovraccarico al centro dannoso e non gestibile, o l'improponibile
contrapposizione dualistica Stato/autonomie - cioè l'esatto opposto delle
politiche di cooperazione richieste dalla interdipendenza -, c'è da ritenere
che la soluzione forse più realistica resti appunto quella del regionalismo
differenziato, disciplinato dall'art. 116, comma 3, Cost.
È però necessario sottolineare che questa disposizione può essere utilizzata
in direzioni opposte: o per garantire a ciascun sistema, proprio grazie alla
diversità di regime e di assetto correlata ai diversi contesti, le auspicate
condizioni di unitarietà, assicurando cioè l'integrazione tra interventi statali,
regionali e locali oggi spesso mancanti; oppure come dualistica e netta sepa-
razione tra funzioni statali, da un lato, e un più ampio complesso di compiti
affidati all'autonomia regionale, dall'altro. In breve, la prima direzione declina
l'autonomia (regionale) speciale in termini di diversità operativa e garanzia
dell'unitarietà del settore qui in esame; la seconda disancora le politiche e le
attività sul patrimonio culturale dal centro e rischia di mettere in discussione
la soprawivenza stessa di un unitario ordinamento dei beni culturali inteso
come sistema.
Per scongiurare questi rischi, che restano attuali, non serve esorcizzare la
possibilità aperta dall'art. 116, comma 3, Cost. cercando di rimuoverla o
30 IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE

di !asciarla inattuata, perché in determinate condizioni, cioè in contesti di


riconosciuta maturità culturale e solidità operativa, appare anzi una solu-
zione apprezzabile (e talvolta l'unica) per declinare in modo diverso, e con il
necessario gradualismo, l'unitarietà del sistema. Meriterebbe piuttosto porre
mano con decisione a tutti gli strumenti di cooperazione Stato-Regioni-enti
locali oggi disponibili, in modo da fare avanzare una collaborazione che dopo
molti decenni resta ancora modesta.
Con la consapevolezza, oggi forse più chiara, che se questa cooperazione si
dimostrerà poco credibile, le esigenze insoddisfatte per questa via daranno
fiato a rivendicazioni di «forme particolari di autonomia» con finalità opposte,
e certo dannose, per la necessaria unità del sistema.

LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Per approfondimenti del tema, oltre alla rivista «Aedon», www.aedon. mulino.it (edita e in rete dal
1998), possono consultarsi i seguenti contributi: AA.VV., Unità e pluralismo culturale, in A 150 anni
dall'unz/icazione amministrativa italiana, Studi, a cura di L. Ferrara e D. Sorace, Firenze, Firenze
University Press, 2016, vol. VI; M. Ainis, Cultura e politica. Il modello costituzionale, Padova, Cedam,
1991; L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 20 16; L.
Covatta (a cura di), I Beni culturali tra tutela, mercato e territorio, Firenze, Passigli, 2012; S. Settis,
Italia S.p.A. L:assalto al patrimonio culturale, Torino, Einaudi, 2002; Id., Paesaggio, Costituzione,
cemento, Torino, Einaudi, 2010.
Sui problemi del patrimonio culturale e per la proposta di un approccio integrato: A. Emiliani, Una
politica dei beni culturali, Bologna, Bup, 2014.
Per un quadro aggiornato del regime dei beni culturali di interesse religioso dopo l'intesa tra Stato e
Cei del26 gennaio 2005: M. Madonna (a cura di), Patrimonio culturale di interesse religioso in Italia,
Venezia, Marcianum Press, 2007.
Sull'evoluzione del concetto di cultura e la sua incidenza sullo sviluppo socioeconomico dei sistemi
locali: P.L. Sacco, G. Ferilli e G. Tavano Blessi, Cultura e sviluppo locale, Bologna, Il Mulino, 2012.
Utili e significative, ma rare, le testimonianze rese dall'interno del ministero e dei suoi vertici. Di
recente: R. Cecchi, Abecedario. Come proteggere e valorizzare il patrimonio culturale italiano, Ginevra-
Milano, Skira, 2015.
Patrimonio e beni

l. LE NOZIONI DI BENE E DI PATRIMONIO CULTIJRALE

La locuzione «bene culturale~> è relativamente recente nella legislazione Bene ctÙturale


italiana. Introdotta alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo sotto
la spinta del diritto internazionale pattizio, entra in circolo con i lavori della
commissione Franceschini, istituita nel1964, e diviene di ufficiale utilizzo-
sostituendo quelle di «antichità e belle arti», «cose d'arte» e «cose di interesse
artistico e storico», quest'ultima impiegata dal titolo della l. l o giugno 1939,
n. 1089- con il d.l. 14 dicembre 1974, n. 657, conv. nella l. 29 gennaio 1975,
n. 5, istitutivo del ministero per i Beni culturali e ambientali.

Anche se già presente nella saggistica filosofica [Angle 1980, 147] e giuridica Origine e sviluppo
(ad esempio Grisolia [ 1952, 124 e 145], che la mutuò dal Rapporto degli esperti
redatto nel1949, per conto dell'Unesco, da G. Berlia; sul punto Ainis e Fiorillo
[2003, 1462], Rota [2002, 141] e Casini [2016, 48]), la locuzione nel campo
legislativo si fa risalire alla «Convenzione per la protezione dei beni culturali
in caso di conflitto» (Unesco, L'Aia, 1954), ratificata con la l. 7 febbraio 1958,
n. 279, ed è ripresa in un documento della X Conferenza generale dell'Unesco
(Nuova Delhi, 1956), nella «Convenzione concernente le misure da adottare
per vietare e interdire l'illecita importazione ed esportazione e trasferimento di
proprietà dei beni culturali» (Unesco, Parigi, 1970), nella «Raccomandazione
per la restituzione dei beni culturali» (N airobi, 197 6) e nella <<Raccomandazione
sulla sicurezza dei beni culturali mobili» (Parigi, 1978).
Nei documenti internazionali essa s'intreccia con la locuzione «patrimonio
culturale» (Cultura! Heritage), presente oltre che nelle convenzioni dell'Aia e
di Parigi già menzionate, nella «Convenzione culturale europea» (Parigi, 1954)
e nella «Convenzione sulla protezione del patrimonio mondiale, culturale e
naturale» (Unesco, Parigi, 1972), sulla quale v. Corte cost., sent. 22/2016, nella
«Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo», Unesco,

Questo capitolo è di Girolamo Sciullo.


32 CAPITOLO 1

Parigi 2001, nella «Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale


immateriale», Unesco, Parigi 2003) nonché nella «Convenzione quadro del
Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società», c.d.
convenzione di Faro (dal nome della località portoghese in cui nel2005 si tenne
il primo incontro di apertura alla firma).
La commissione Franceschini («Commissione di indagine per la tutela e la
valorizzazione delle cose d'interesse storico, archeologico, artistico e del pae-
saggio>>), istituita con la l. 26 aprile 1964, n. 310, terminò i lavori nell966. Le
sue conclusioni furono articolate in «dichiarazioni». Celebre è rimasta la dichia-
razione I, che, come subito si dirà, è alla base dell'attuale nozione legislativa di
beni culturali: «Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni
aventi riferimento alla storia della civiltà. Sono assoggettati alla legge i beni di
interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e
librario, e ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore
di civiltà». L'introduzione della locuzione «bene culturale» non si esaurì in un
mero mutamento terminologico. Volle rappresentare piuttosto una proposta di
riforma della legislazione, nella quale il criterio estetizzante, fino ad allora preva-
lentemente in uso per l'individuazione del bene protetto, fosse sostituito da un
criterio storicistico [Giannini 1976, 14], e l'intervento pubblico passasse da un
ruolo di mera garanzia della conservazione fisica a uno di valorizzazione del bene
culturale, in considerazione dell'essere questo possibile fattore di sviluppo intel-
lettuale della collettività ed elemento della sua identità [Pitruzzella 1998, 492].

Nozione La nozione di <<bene culturale» risulta attualmente desumibile dall'art. 2,


comma 2, e dagli artt. lO e 11 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e succ. mod.,
recante il «Codice dei beni culturali e del paesaggio ai sensi dell'art. 10 della
l. 6luglio 2002, n. 137» (di seguito Codice). Per la prima disposizione <<sono
beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. l Oe 11, presen-
tano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico
e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali
testimonianze aventi valore di civiltà». A loro volta le altre due disposizioni
considerano beni culturali le categorie di cose, mobili e immobili, che esse
elencano.

Nell'ordinamento internazionale non si rinviene una nozione comune di bene


culturale (né del resto di patrimonio culturale) [Cassese 2012, 782; Casini 2016,
86]: ogni trattato o convenzione ne fornisce una in relazione alle finalità perse-
guite e agli interessi pubblici in gioco. Di conseguenza manca una regolazione
globale che disciplini in modo organico la totalità dei beni culturali [Casini
2010b, 23; 2012, par. 4]. Nella «relatività» del concetto di bene e di patrimonio
culturale si riflette del resto la difficoltà di fornire degli stessi una definizione
alla luce dei molteplici fattori non solo culturali, ma anche politici, religiosi ed
economici che possono venire in gioco. Al riguardo può richiamarsi il caso dei
Buddha di Bamiyan in Afghanistan distrutti scientemente nel200 l dal governo
talebano [v. Casini 2016, 69].
Nell'ordinamento europeo- premesso che, ai sensi dell'art. 167 Tfue, «L'Unione
contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto delle
loro diversità nazionali e regionali, evidenziando nel contempo il retaggio cultu-
rale comune» (comma l) e che «L'azione dell'Unione è intesa a incoraggiare la
PATRIMONIO E BENI 33

cooperazione tra gli Stati membri e, se necessario, ad appoggiare e a integrare


l'azione di questi nei seguenti settori: [. .. ] conservazione e salvaguardia del
patrimonio culturale di importanza europea» (comma 2)- hanno rilievo tanto
una nozione nazionale di bene culturale (ai fini delle limitazioni al principio di
libera circolazione delle merci che il singolo Stato può imporre, ai sensi dell'art.
36 Tfue, a «protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazio-
nale»), quanto una nozione europea ai fini della protezione dei beni contro il
rischio di esportazione illecita al di fuori del territorio dell'Unione nonché ai
fini della restituzione dei beni usciti illecitamente dal territorio di uno Stato
membro (in/ra, cap. 3, par. 3.2). Le due nozioni non coincidono necessaria-
mente, utilizzando la normativa dell'Unione (in relazione alla seconda finalità,
fino alla direttiva 2014/60/Ue) soglie di valore economico estranee in genere
alle legislazioni degli Stati membri [Corso 2007c, 111 s.].
Nella sistematica del Codice risulta che i beni culturali, in parte sono indicati
direttamente dallo stesso Codice (quelli menzionati dagli artt. lO e 11), in parte
sono individuati mediante rinvio ad altre leggi (art. 2, comma 2, ult. parte)
[Rotigliano 2007a, 58].
I beni culturali, insieme ai beni paesaggistici, compongono il «patrimonio cul-
turale» (art. 2, comma l) e sono soggetti alla disciplina della parte seconda del
Codice o di sue specifiche disposizioni (v. art. 10, comma 5, e art. 11).
La definizione dell'art. 2, comma 2, Cod. riprende quella contenuta nell'art.
148, comma l, lett. a, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (recante il «Conferimento
di funzioni e compiti dallo Stato alle Regioni e agli enti locali»)- ora abrogato
dall'art. 184 Cod.- che considerava beni culturali «quelli che compongono il
patrimonio storico, artistico, monumentale, demo-etna-antropologico, archeo-
logico, archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza avente
valore di civiltà così individuati in base alla legge». Essa rappresenta una novità
rispetto al d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, recante il «Testo unico delle dispo-
sizioni legislative in tema di beni culturali e ambientali>> (d'ora in avanti Tu),
che per lo più procedeva all'elencazione di categorie di beni (artt. 2 e 3). Ciò
però è vero solo sul piano formale-testuale. Su quello sostanziale, infatti, con
le formulazioni del Tu, riprese fondamentalmente dal Codice agli artt. lO e 11,
conviveva quella dell'art. 148, comma l, lett. a, del d.lgs. 112/1998, sicché con
l'avvento del Codice non è cambiato l'assetto concettuale dei beni culturali.
Soprattutto non sono stati innovati i tratti che connotano la relativa nozione
(tipicità ecc.), che tra breve si esporranno.
Vale la pena ricordare poi che tanto la definizione del Codice quanto quella del
d.lgs. 112/1998 si ispirano alla dichiarazione I della commissione Franceschini,
collegando la nozione di bene culturale alla «testimonianza avente valore di
civiltà». Ambedue, peraltro, se ne discostano, postulando <<l'individuazione»
del bene culturale da parte o sulla base della legge, ossia stabilendo che la
qualificazione di un bene come culturale richiede il filtro della legge.

Dalle disposizioni del Codice appena richiamate si desume che, a diritto Tratti della no-
vigente, la nozione di bene culturale presenta i tratti della tipicità, della plu- zione di bene cul-
turale
ralità e della materialità.

Anzitutto risulta insufficiente da un punto di vista giuridico definire il bene Tipicità


culturale tout court come testimonianza avente carattere di civiltà. Tale defini-
zione, invero, sottolinea il substrato sostanziale della nozione giuridicamente
34 CAPITOLO l

corretta di bene culturale, la quale però richiede anche una previa qualificazione
da parte del legislatore. In altre parole una qualsivoglia testimonianza avente
valore di civiltà diventa bene culturale in senso giuridico solo se tale è consi-
derabile sulla base di una qualificazione, ossia di una fissazione di fattispecie,
operata dal legislatore. n che è come dire che il bene culturale è creato dal
legislatore [Cerulli lrelli 1988, 141] e che perciò esso risponde al principio di
tipicità [Stella Richter e Scotti 2002, 397].
Pluralità In secondo luogo detta qualificazione legislativa non presenta il tratto della
generalità, ma assume una caratterizzazione per tipi o categorie. Detto in altri
termini, come nel «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali» (d'ora in poi Tu) [Catelani 2002, 93; Roccella 2002,
1101], non si configura nel Codice una nozione unitaria di bene culturale, ma
sussiste una pluralità di tipi di beni culturali [Pastori 2007b, 98 ss.].
Materialità Infine, i beni culturali, ai sensi del Codice, sono soltanto entità qua e tangi pos-
sunt, giacché le entità configurate dal legislatore come beni culturali- e cioè
quelle indicate dagli artt. lO e 11 Cod. e quelle in futuro individuabili- pre-
sentano il carattere della «materialità>>, trattandosi sempre di «cose» immobili
o mobili [Corte cast. sent. 9 marzo 1990, n. 118; Corso 2007c, 103; Severini
2011, 23 ss.; Morbidelli 2014, par. 7; Gualdani 2014, par. 2].
Tali caratteri, nel sistema del Codice, trovano una duplice conferma. Da un lato,
l'art. 184 ha abrogato l'art. 148, comma l, lett. a, del d.lgs. 112/1998, che poteva
consentire una considerazione del bene culturale non legata alla materialità;
dall'altro, l'art. 7 -bis detta una specifica disciplina per le espressioni di identità
culturale collettiva considerate dalle convenzioni Un esco, del2003 e del2005,
per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e
promozione delle diversità culturali. Nelle due convenzioni dette espressioni
di identità culturale hanno o possono avere natura immateriale (v. artt. l e 2
convenzione del2003 e art. 3 convenzione del2005). L'art. 7-bis le assoggetta
alla disciplina del Codice quando «siano rappresentate da testimonianze ma-
teriali e sussistano i presupposti e le condizioni per l'applicabilità dell'art. 10»,
ossia quando abbiano un substrato materiale e questo sia riconducibile ai tipi
di bene culturale previsti dal Codice.

Pur in presenza di tali caratteri, come notazione conclusiva, non si può fare
a meno di rilevare che la nozione di bene culturale quale accolta dal Codice
si presenta come un «contenitore ad ampio spettro» (al riguardo Giovanni
Urbani parlò di «buco nero, capace di inghiottire tutto [ .. .]: beni artistici,
storici, archeologici, architettonici, ambientali, archivistici, librari, demoetno-
antropologici, linguistici, audiovisivi e chi più ne ha più ne metta» [Zanardi
1999,56 s.]. li che, come è stato messo in luce [Casini 2016,50 e 55] ha de-
terminato una serie di ricadute problematiche, in particolare la disattenzione
verso i soggetti, le istituzioni, rispetto agli oggetti regolati, la sottovalutazione
del contesto ambientale in cui i beni sono inseriti, la tendenza a trascurare
taluni beni meno «attrattivi», quali quelli librari e archivistici. Non da ultimo,
aggiungo, il rischio che la «molteplicità» si traduca in sede applicativa in una
«eterogeneità» in grado di ripercuotersi, svilendola, sulla nozione stessa di
bene culturale. Di qui l'interesse di proposte «per una pluralità di nozioni di
beni patrimonio culturale, differenziate a seconda delle finalità[ ... ]: conser-
PATRIMONIO E BENI 35

vazione, fruizione, circolazione» [Casini 2016, 56], pluralità, può aggiungersi,


che tenga conto anche dei contesti, a salvaguardia dei diversi patrimoni cul-
turali nazionali intesi come fattori di identità collettive.
Sebbene quelli disciplinati dal Codice costituiscano i beni culturali «in senso Beni culturali
proprio» [Vitale 20 l O, 17 6], nell'ordinamento italiano si configurano tipi di «extra Codice»
beni culturali «extra Codice)). Un primo tipo è costituito dai beni culturali
immateriali o volatili, ossia non consistenti in cose e perciò definibili come
«testimonianze aventi valore di civiltà che non sono contenute e rappresentate
in una res)) [Bartolini 2013, 110].

Il loro rilievo è legato in particolare alla ratifica (con le leggi 27 settembre


2007, n. 167, e 19 febbraio 2007, n. 19) delle già citate convenzioni Unesco
per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e
promozione delle diversità culturali. Peraltro anche la convenzione quadro del
Consiglio d'Europa sul valore del patrimonio culturale per la società (sottoscritta
dall'Italia il 27 febbraio 2013) include nel concetto di patrimonio culturale
anche elementi immateriali [Carmosino 2013, par. 3]. A chiarimento della
nozione può dirsi che la convenzione Unesco del 2005 intende per «espressio-
ni culturali)), quelle «a contenuto culturale che derivano dalla creatività degli
individui, dei gruppi e delle società)) (art. 4, n. 3 ), mentre quella del 2003 per
patrimonio culturale immateriale considera «le prassi, le rappresentazioni,
le espressioni, le conoscenze, il know-how [ ... ] che le comunità, i gruppi e
in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio
culturale)) (art. 2, comma 1). A titolo esemplificativo può poi ricordarsi che
nella lista rappresentativa del patrimonio culturale dell'umanità, prevista dalla
convenzione del 2003 e predisposta dall'apposito comitato intergovernativo
istituito in ambito Unesco (artt. 5 e 16), sono stati inseriti il canto a tenore dei
pastori del centro della Barbagia, il teatro delle marionette siciliane Opera dei
Pupi e la dieta mediterranea [Morbidelli 2014, par. 7], sulla base chiaramente
di una concezione antropologica di cultura.
L'iscrizione alle liste (sono previste anche liste nazionali) comporta l'obbligo
di salvaguardia da parte della comunità internazionale e dei singoli Stati (artt.
11 ss.), salvaguardia che comprende le «misure volte a garantire la vitalità del
patrimonio culturale, ivi compresa l'identificazione, la promozione, la valoriz-
zazione, la trasmissione[ ... ], come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale
patrimonio culturale)) (art. 2, comma 3 ). Con il che si tocca il delicato punto
del regime giuridico di tali beni. Anticipando quanto si dirà a proposito dei
beni culturali in senso proprio (in/ra, cap. 3, parr. l ss.), quelli immateriali si
prestano a forme di promozione e di sostegno finanziario e organizzativo, specie
a livello delle singole comunità, ma anche di salvaguardia (individuazione e
catalogazione delle caratteristiche, «disciplinari)), traditio della memoria ecc.
Del resto, come ricorda Casini [2016, 50], la stessa definizione di museo fornita
dall'International Council of Museum (lcom) fa riferimento al «tangible and
intangibile heritage of humanity and its environmenb)). Certo è però che non
sono suscettibili di essere oggetto di misure di carattere ablatorio (immodificabi-
lità non autorizzata, p relazione, espropriazione, limiti all'esportazione ecc.) che
suppongono la materialità e una titolarità (in senso stretto) del bene culturale
[Alibrandi 1999, 2709; Cassese 1976, 178; Severini 2014, par. l; Morbidelli2014,
parr. 8 e 9] e che come tali concernono solo i beni culturali in senso proprio.
36 CAPITOLO l

Un secondo tipo è rappresentato dai beni culturali «minori» [Severini 2011,


29; Carpentieri 2003, 1017], ossia entità materiali che presentano un rilievo
culturale inferiore a quello necessario per la loro considerazione come beni
culturali ai sensi del Codice, ma che pur sempre rivestono un qualche inte-
resse culturale.

Nella elaborazione che ne ha fatto la Corte costituzionale (sent. 28 marzo 2003,


n. 94, e 17luglio 2013, n. 194) si tratta di cose rilevanti sul piano culturale non
per l'intera comunità nazionale- il che ne avrebbe consentito l'ascrizione alla
categoria codicistica del bene culturale - ma solo per determinate comunità
territoriali (ad es., esercizi commerciali o artigianali la cui attività costituisce una
testimonianza storica tradizionale, reperti mobili e cimeli storici espressione di
idealità, esperienze e simboli di specifiche collettività). Questa connotazione
consente alla potestà legislativa regionale di esercitarsi al di fuori degli schemi
previsti dall'art. 117 Cast. (in/ra, cap. 2), con interventi sia di valorizzazione,
sia di salvaguardia «diversa e aggiuntiva» rispetto a quella stabilità dalla legge
dello Stato per i beni culturali in senso proprio.
Si tratta di un aspetto di regime giuridico che può considerarsi applicabile
anche ai beni culturali immateriali [Morbidelli 2014, par. 8], che si collocano
anch'essi extra Codice.
Per completezza va osservato che taluni beni immateriali, quali le opere dell'in-
gegno e le invenzioni industriali, sono già soggetti a una disciplina giuridica di
tutela interprivata, diversa da quella prevista per i beni culturali, contenuta in
particolare dalla L 22 aprile 1941, n. 633 (sulla protezione del diritto d'autore) e
dal r. d. 29 giugno 1931, n. 127 (in tema di brevetti per invenzioni industriali) e per
altri beni, sempre immateriali, può non porsi nessun problema di tutela: come è
stato incisivamente notato, non è necessario tutelare l'Iliade [Giannini 1976, 34].
Attività culturali Per altre entità in campo culturale si configura una disciplina pubblicistica
distinta da quella relativa ai beni culturali in senso proprio. È il caso delle atti·
vità culturali, che «riguardano tutte le attività riconducibili alla elaborazione e
diffusione della cultura» (Corte cast. sentt. 19luglio 2005, n. 285, e 21luglio
2004, n. 255). Menzionate separatamente dall'art. 117, comma 3, Cast., non sono
soggette al regime giuridico dei beni culturali perché non riconducibili ai tipi
di cui agli artt. l Oe 11 Cod. La loro proiezione verso il futuro Oa formazione e
la diffusione della cultura e dell'arte) le differenzierebbe, sul piano sostanziale,
dai beni culturali, materiali e immateriali (aventi oggetto attività), da intendersi
come «memorie ereditate dal passato» [Ainis e Fiorillo 2003, 1468].
Spettacolo Analogamente è da dirsi per le attività di spettacolo, nelle quali sono annovera-
bili le attività teatrali, musicali, di danza e cinematografiche. L'art. 156 del d.lgs.
112/1998- non abrogato dal Codice- ne fa oggetto di separata considerazione
rispetto ai beni e alle attività culturali, senza che però risulti con immediatezza
lo specifico tratto distintivo [Barbati 1998, 521]. La Corte costituzionale (sentt.
285/2005 e 255/2004) riconduce lo spettacolo- e in particolare il cinema, di
recente normato, insieme all'audiovisivo, dalla I. 14 novembre 2016, n. 220-
alle attività culturali di cui all'art. 117, comma 3, Cast., negando pertanto che
la relativa disciplina appartenga alla competenza legislativa di tipo residuale
delle Regioni.
Per una migliore comprensione, volendo esemplificare su come si sfaccettino
secondo le categorie giuridiche fin qui richiamate fenomeni culturali stretta-
mente connessi (fin da apparire indistinti), potrebbe dirsi [sulla scia del Gian-
PATRIMONIO E BENI 37

nini 1976, 33] che le Rime del Petrarca sono un bene immateriale, in quanto
indiscutibile espressione letteraria, i manoscritti delle Rime, cioè gli originali
dell'opera, costituiscono bene culturale (ex art. 10, comma 4, lett. c, Cod.),
una mostra delle edizioni librarie succedutesi nel tempo delle Rime va ritenuta
un'attività culturale (secondo l'orientamento del giudice costituzionale), mentre
la recitazione in teatro delle stesse Rime è da considerarsi attività di spettacolo
(ex art. 156 del d.lgs. 112/1998).

Con le locuzioni «patrimonio culturale» e «patrimonio storico e artistico» Patrimonio cultu-


si esprimono concetti che, a seconda dei casi, sono o meno coincidenti con rale e patrimonio
l'insieme dei beni culturali presenti in un contesto considerato. storico e artistico

A parte i diversi significati che la locuzione presenta nell'ordinamento inter-


nazionale e in quello europeo, nell'ordinamento italiano il «patrimonio cul-
turale» (espressione impiegata anche nella dichiarazione I della commissione
Franceschini) è inteso dagli studiosi comprendere i beni culturali e le opere
dell'ingegno [Giannini 1976, 33; Cerulli lrelli 1988, 140; Cortese 1999, 101
s.]. Nel Codice la locuzione è utilizzata, dagli artt. l, 3-7 (testo e/o rubrica), e
in particolare dall'art. 2, comma l, e fa, come si è detto, riferimento congiun-
to ai beni culturali e a quelli paesaggistici [Rotigliano 2007a, 58 ss.]. Minori
oscillazioni presenta l'espressione «patrimonio storico e artistico» (utilizzata
dall'art. 9 Cost. e dall'art. l del Tu) che sembrerebbe riferirsi ai soli beni
culturali [Catelani 2002, 85], ai quali del resto rinviava quella di «patrimonio
nazionale>>, presente negli artt. 26 e 54 della l. l 089/1939 [Mansi 1993, 33 s.].
Quel che è certo è che, quando si afferma che un bene appartiene al patrimonio
culturale, oppure storico e artistico ecc., ad esempio, della nazione o dell'uma-
nità, non si fa riferimento all'appartenenza in termini di proprietà, ma si sotto-
linea la valenza culturale, storico-artistica ecc. del bene [v. Giannini 1976, 31].

2. BENI PAESAGGISTICI, PAESAGGIO E AMBIENTE

Dai beni culturali sono da tenere distinti i beni paesaggistici (o ambientali),


che, pur assimilabili ai primi per la ratio che ne ispira la disciplina (il valore
culturale da essi posseduto) e perciò ricondotti anch'essi al concetto di «pa-
trimonio culturale», sono separatamente considerati dal Codice sul piano
della nozione (art. 2, comma 3: «Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree
indicate all'art. 134, costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali,
morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o
in base alla legge») e su quello del regime giuridico (parte terza).
Questa giustapposizione trova origine nelle leggi del29 giugno del1939, la
n. 1089 per le cose di interesse artistico e storico, e la n. 1497 per le bellezze
naturali.

Legate peraltro dalla parallela esigenza di protezione rispettivamente del «bello


d'arte» e del «bello di natura», tali leggi sono state tradizionalmente considerate
come un corpo sostanzialmente unitario, a dispetto della formale separazione
[Alibrandi e Ferri 2001, 28].
38 CAPITOLO 1

La commissione Franceschini ricomprese fra i beni culturali (come specie


di questi, accanto ai beni archeologici, artistici e storici, e a quelli librari) i
beni ambientali.

La dichiarazione XXXIX parlò di «beni culturali ambientali». Nel commento


furono distinti due tipi: i beni ambientali di tipo paesaggistico (comprendenti
le aree naturali, fornite di singolarità geologica, le aree ecologiche, tipiche o
singolari sotto il profilo florifaunistico, e i paesaggi artificiali, ossia a opera
dell'uomo) e quelli di tipo urbanistico (annoveranti le strutture urbanistiche,
urbane e non).
La dottrina successiva [in particolare Giannini 1976, 10 ss.] si trovò di fronte
al problema della qualificazione come beni culturali dei beni ambientali. Dalla
nozione assunta dalla commissione Franceschini (bene culturale come testimo-
nianza materiale avente valore di civiltà) risultavano agevolmente qualificabili
come beni culturali i beni ambientali di tipo urbanistico e, fra quelli di tipo
paesaggistico, i paesaggi artificiali, in quanto opera o oggetto di intervento
da parte dell'uomo e quindi testimonianza di civiltà. Per gli altri (beni di tipo
paesaggistico, rappresentati dalle aree naturali e da quelle ecologiche), sui quali
non è intervenuta l'azione dell'uomo, si sostenne la loro inclusione fra i beni
culturali, in ragione della loro marginalità quantitativa, della loro destinazione
alla fruizione pubblica oppure in rapporto al fatto che la loro individuazione in
concreto richiede pur sempre un giudizio valutativo dell'uomo [ibidem, 13 ss.].
Va anche ricordato che altra dottrina, in sede di analisi dell'art. 9 Cost., configurò
il paesaggio come «forma del paese, creata dall'azione cosciente e sistematica
della comunità umana che vi è insediata» [Predieri 1969, 11], aprendo la strada
alla possibile considerazione degli elementi significativi per il paesaggio come
beni culturali, nell'accezione proposta dalla commissione F ranceschini, oppure
assegnò ai beni di interesse paesistico e a quelli di interesse storico e artistico
una valenza unitaria, la funzione culturale (ossia di promozione della cultura),
finendo per postulare uno «statuto unitario di tutti i beni culturali», fatta
salva una loro articolazione tipologica [Merusi 1975, 447 s.]. Riecheggia tale
impostazione l'orientamento della Corte costituzionale che, a proposito della
tutela dei beni culturali, del paesaggio e dell'ambiente, parla di «una endiadi
nnitaria» (sentenza 27 luglio 2000, n. 3 78, ma v. anche l o aprile 1998, n. 85, in
«Giur. cost.», 2000, p. 2705 e «Giur. cost.», 1998, p. 801). Il che consente di
estendere ai beni culturali l'affermazione, di per sé formulata a proposito del
paesaggio, secondo la quale l'art. 9 Cost. esprimerebbe un <<Valore primario»
o di «straordinario rilievo>> (Corte cost. sentt. 27 giugno 1986, n. 151 e 21
dicembre e 1° aprile 1985, nn. 359 e 94).

Il dualismo di disciplina non è peraltro venuto meno nel corso degli anni.
La denominazione di «ministero per i Beni culturali e ambientali» fotografò
nel1974 tale distinzione, che anzi con la l. 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. legge
Galasso) parve accentuarsi.

La legge, infatti, assoggettò direttamente a vincolo paesistico una serie di


situazioni territoriali, in quanto ritenute di particolare interesse ambientale,
senza collegare l'apposizione del vincolo, salvo che per le zone archeologiche,
alla presenza di un interesse storico o artistico [Alibrandi e Ferri 2001, 31].
PATRIMONIO E BENI 39

Il d.lgs. 112/1998, all'art. 148, comma l, spec.lett. a e b, e il Tu, al Titolo


II, confermarono la giustapposizione e lo stesso ha fatto, come indicato,
il Codice.
Benché sia ormai acquisito che i beni paesaggistici ricevono tutela in ragione
del valore culturale presentato, ossia per il concorrere essi a identificare la
struttura o la forma visibile del territorio del paese, e quindi a determinare
la stessa identità nazionale, deve prendersi atto che i beni culturali e i beni
paesaggistici sono oggetto di tecniche di protezione giuridica diverse, in certo
qual modo imposte dall'oggettiva diversità dei referenti materiali [ad esempio
Amorosino 2010a, 28].

La sostituzione, da parte del Codice, della locuzione «beni paesaggistici» a quella Arnbiente-paesag-
di «beni ambientali» o «beni paesaggistici e ambientali», utilizzata dal Tu (art. gio, ambiente-in-
138 e rubrica del Titolo II), dalla precedente legislazione e dall'art. 117, comma quinamento
3, Cost., appare solo una variante lessicale, priva di rilievo semantico, anche se
in grado di meglio indicare la natura di tali beni [Civitarese Matteucci 2007,
521 s.]. Quello che è certo è che i beni considerati attengono al c.d. «ambiente-
paesaggio>>, mentre esulano in pieno dal c.d. «ambiente-inquinamento», formula
con la quale ci si riferisce ai diversi fattori che compongono l'ambiente (acqua,
aria, suolo ecc.) in vista della loro salvaguardia o recupero.

Insieme all'espressione «beni paesaggistici» nel Codice è presente quella di Paesaggio


«paesaggio», con la quale l'art. 131, comma l, intende «il territorio espressivo
di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle
loro interrelazioni».

Quella appena riportata è la nozione «generale» di paesaggio. In realtà nel


Codice sono presenti anche due nozioni «particolari» che si potrebbero
definire del paesaggio «in senso culturale»: l'una in rapporto alla funzione
di tutela (paesaggio come rappresentazione materiale e visibile dell'identità
nazionale, v. art. 131, comma 2), l'altra in rapporto alla funzione di valoriz-
zazione (paesaggio comprensivo anche di nuovi valori paesaggistici coerenti
e integrati, v. artt. 6, comma l, e 131, comma 5). Le nozioni espresse dalle
formule «beni paesaggistici» e «paesaggio» non sono pienamente sovrapponi-
bili (i beni paesaggistici costituiscono una categoria particolare del paesaggio
in tutte e tre le nozioni presenti nel Codice) [Sciullo 2009a, 49 ss.]. A ogni
modo si può osservare che, in termini di tecnica di tutela, i valori espressi dal
paesaggio come «rappresentazione dell'identità nazionale» (art. 131, comma
2) trovano sede specifica nel piano paesaggistico (art. 135), mentre per i beni
paesaggistici gli strumenti di salvaguardia si collocano anche «a monte» del
piano (artt. 136-142).
Distinta dalla nozione «generale» di paesaggio assunta dal Codice è quella,
che pur ne rappresenta la matrice ideale, presente nella Convenzione europea
del paesaggio [Cartei 2007, 528 ss.], sottoscritta a Firenze il20 ottobre 2000
anche dallo Stato italiano e da questo ratificata con la l. 9 gennaio 2006, n. 14.
La Convenzione intende per paesaggio «una determinata parte di territorio,
così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di
fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» (art. l, lett. a), esprimendo
40 CAPITOLO l

un concetto più accentuato nella componente soggettiva rispetto a quello de-


sumibile dalla definizione del Codice [Cartei 2004, 515 s.; Priore 2005] e non
necessariamente connotato da una valenza identitaria (che peraltro può ricorrere
v. Preambolo, capoverso 5, art. 5, lett. a). Il che però non pare legittimare un
giudizio di sostanziale diversità fra le due nozioni.

3. TIPOLOGIA DEI BENI CULWRAU


Categorie Le categorie (o tipi) dei beni culturali sono menzionate negli artt. 10 e 11 Cod.
È opportuno premettere due indicazioni di inquadramento. Anzitutto l'art.
10 concerne le categorie generali, ossia le cose che risultano assoggettate
(tendenzialmente) a tutte le disposizioni contenute nel Titolo I della parte
seconda (dedicata alla tutela), mentre l'art. Il si riferisce alle categorie speciali,
ossia a cose considerate beni culturali soltanto ai fini di talune disposizioni.
In secondo luogo le categorie generali, come in passato, sono tracciate fon-
damentalmente secondo l'appartenenza dei beni, pubblica (commi l e 3) o
privata (comma 3) [Pastori 2007b, 100 ss.], mentre tal uni tipi sono indicati
a solo fine di chiarimento, costituendo articolazioni degli altri (comma 4 ).

La distinzione tracciata in ragione dell'appartenenza soggettiva si riflette nelle


successive disposizioni sul regime giuridico dei beni, e ciò spiega il perché della
sua scelta. Tuttavia essa non presenta contorni netti, il che non rende agevole
la complessiva lettura della disposizione. Per un verso i beni delle persone
giuridiche private senza scopo di lucro sono equiparati ai beni ad appartenenza
pubblica, anche se solo per la categoria più importante (cose che presentano
interesse storico, artistico ecc.) (comma 1). Per altro verso sono delineate ca-
tegorie di beni «a chiunque appartenenti», per le quali cioè non ha rilievo la
titolarità soggettiva (comma 3, lett. d ed e).

Categorie generali Per una più agevole comprensione della complessiva tipologia le categorie
generali (art. 10) possono essere raggruppate in ragione dei caratteri materiali
delle cose (e a prescindere dalla titolarità soggettiva) nei seguenti gruppi:
l. Le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico (commi l e 3, lett. a).

Fra queste il comma 4, lett. a-l annovera:


-le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà;
-le cose di interesse numismatico che abbiano carattere di rarità o di pregio,
anche storico;
-i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe
e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di ra~:ità e di pregio artistico
o storico;
-le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio
artistico o storico;
- le fotografie con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche e i
supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio artistico o
storico;
PATRIMONIO E BENI 41

-le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico;


-le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico
o storico;
- i siti minerari di interesse storico o etnoantropologico;
-le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico o etnoantropologico;
-le architetture rurali aventi interesse storico o etnoantropologico quali testi-
monianze dell'economia rurale tradizionale.
Gli ultimi quattro tipi non figuravano nell'art. 2, comma 2, del Tu.

2. Le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi (comma


2, lett. a).
3. Gli archivi e i singoli documenti (commi 2, lett. b, e 3, b).
4. Le raccolte librarie (commi 2, lett. c, e 3, lett. c).
5. Le cose immobili e mobili che rivestono un interesse particolarmente
importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della
letteratura, dell'arte, della scienza, della tecnica, dell'industria e della cultura
in genere, owero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni
pubbliche, collettive o religiose (comma 3, lett. d).

Tale categoria corrisponde, con qualche variante, a quella indicata nell'art. 2,


comma l, lett. b, e nell'art. 2 della l. 1089/1939, in ordine alla quale si sosteneva
che a essere oggetto di tutela non era un valore intrinseco della cosa, ma uno
estrinseco, rappresentato dal collegamento della cosa con determinati fatti della
storia o della cultura. Per effetto dell'art. 8, comma l, della l. 14 novembre
2016, n. 220, essa comprende anche le «sale cinematografiche e sale d'essai».

6. Le collezioni o serie di oggetti - non ricomprese fra quelle indicate al n.


2 - che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, owero
per rilevanza artistica, storica ecc., rivestono come complesso un eccezionale
interesse artistico o storico (comma 3, lett. e).

Non compongono una categoria specifica i beni culturali di interesse religio- Beni culturali di
so. Sotto il profilo del regime giuridico essi rientrano fra i beni appartenenti interesse religioso
a persone giuridiche private senza fine di lucro (in particolare è da ricordare
che, ai sensi della l. 20 maggio 1985, n. 222, gli enti e le istituzioni della Chiesa
cattolica, che abbiano acquisito la personalità giuridica nell'ordinamento italia-
no, assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e devono
essere iscritti nel registro delle persone giuridiche private; v. anche in/ra, par.
3). Vero è soltanto che, come si dirà in/ra al cap. 3, par. 2.2, l'art. 9 prevede il
modulo dell'accordo per l'esercizio dei compiti di tutela laddove vengono in
gioco esigenze di culto.

Come categorie speciali l'art. 11 considera una serie di cose il cui elenco è Categorie speciali
stato ampliato rispetto a quello previsto dal Tu.

Si tratta precisamente de:


a) gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli e gli altri
elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista;
42 CAPITOLO 1

b) gli studi d'artista;


c) le aree pubbliche, aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale;
d) le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte di autore
vivente o la cui esecuzione non risalga a oltre cinquant'anni;
e) le opere dell'architettura contemporanea di particolare valore artistico;
/) le fotografie e gli esemplari delle opere cinematografiche, audiovisive o
comunque registrate, nonché le documentazioni di manifestazioni sonore o
verbali comunque registrate, la cui produzione risalga a oltre venticinque anni;
g) i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni;
h) i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica
aventi più di cinquant'anni;
i) le vestigia individuate dalla vigente normativa in materia di tutela del patri-
monio storico della Prima guerra mondiale.
Come indicato, a tali beni si applicano le disposizioni del Codice specificamente
richiamate per ciascun tipo dallo stesso art. 11, che peraltro fa salva la p ossi-
bilità che, sussistendone i presupposti, singoli beni rientrino nelle categorie di
cui all'art. 10 e siano perciò assoggettati alla generale disciplina vincolistica.
Opere d'arte con- Due notazioni per concludere. In termini in parte identici a quanto disponevano
temporanee l'art. l della l. 1089/1939 e sulla sua scia l'art. 2, comma 6, del Tu, sono escluse
dalla disciplina del Titolo I della parte seconda le c.d. opere d'arte contempo-
ranee (indicate ai commi l e 3, lett. a ed e, dell'art. 10), cioè le opere di autori
viventi o la cui esecuzione- è da pensare di autori defunti- non risalga a oltre
cinquanta anni oppure a oltre settanta anni nel caso di immobili appartenenti
a soggetti pubblici o a persone giuridiche private senza fine di lucro (art. 10,
comma5; art. 12, comma 1). L'esclusione, dovuta all'esigenza di non ostacolare
il commercio di tali opere e a un tempo di consentire un giudizio non affrettato
sul loro valore artistico [Alibrandi e Ferri 2001, 207], non preclude la tutela ai
sensi della legge sul diritto d'autore, così come non preclude l'applicazione del
disposto dell'art. 178, in tema di contraffazione (sotto il Tu sulla possibilità di
applicare la norma incrirninatrice dell'art. 127, in tema di contraffazione di opere
d'arte, si era favorevolmente pronunciata la Corte cost. sent. 10 maggio 2002,
n. 173). Peraltro è da tenere presente che per le opere menzionate dall'art. 11,
comma l, lett. d (opere di pittura, scultura ecc. di autore vivente o di esecuzione
non risalente a oltre cinquanta anni),/ (fotografie ultraventicinquennali ecc.),
g (mezzi di trasporto con più di settantacinque anni) e h (beni e strumenti di
interesse per la scienza ultracinquantennali) è disposta l'applicazione, a seconda
dei casi, degli artt. 64, 65 e 67 (in tema di attestati di autenticità e provenienza
e in tema di uscita dal territorio nazionale).
È opportuno segnalare che il disegno di legge annuale per il mercato e la concor-
renza, collegato con la legge di bilancio per l'anno 2015, attualmente all'esame
del Senato (S. 2085-B XVII Legislatura) introduce con l'art. l, comma 175,
tal une novità: detto in breve, eleva, anche per i beni mobili la soglia di rilevanza
a settanta anni. In particolare, viene prevista all'art. 10, comma 3, la lett. d-bis,
concernente «le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse
artistico, storico archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e
la completezza del patrimonio culturale della Nazione», e si stabilisce al nuovo
comma 5 che, «salvo quanto disposto dagli artt. 64 e 178, non sono soggette
alla disciplina del presente Titolo le cose indicate al comma l e al comma 3,
lettere a ed e, che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga
a oltre settanta anni», ma sancendo, per le cose indicate al comma 3, lett. d-
bis - quindi mobili e immobili, di proprietà tanto pubblica quanto privata -,
PATRIMONIO E BENI 43

la soglia temporale dei «cinquanta anni». Del pari all'art. 11, comma l, lett. d,
il termine «cinquanta» viene sostituito con «settanta».
Sempre analogamente all'impostazione seguita dalla l. 1089 e poi dal Tu, il Livellodiinteresse
Codice, specie per cose appartenenti a privati, pone un certo livello d'interesse
come elemento di definizione delle singole categorie (v. l' «interesse [artistico
ecc.] particolarmente importante» e l' «eccezionale interesse culturale» richiesti
dall'art. 10, comma 3). Previsioni di tal genere, per quanto capaci di deter-
minare incertezze applicative, rispondono all'esigenza di graduare l'ambito
di operatività della disciplina vincolistica, evitando una sua non ragionevole
ipertrofia, e al contempo a quella di non incidere oltre misura sulla proprietà
privata.

4. INDIVIDUAZIONE DEI BENI CULTURAll

Perché una cosa (una tela, una statua, un edificio ecc.) sia qualificabile bene lndividuazione
culturale in senso giuridico e sia quindi assoggettata al relativo regime previsto
dal Codice, può non bastare che essa, per gli oggettivi caratteri presentati, sia
riconducibile a una delle categorie indicate dallo stesso Codice. In non pochi
casi è richiesto, infatti, l'intervento dell'autorità amministrativa che valuti la
sussistenza di detti caratteri. A tale evenienza ci si riferisce con l'espressione
«individuazione dei beni culturali», intendendo alludere specificamente a
quel procedimento posto in essere dalla pubblica amministrazione e volto
a identificare i beni culturali. Per effetto dell'individuazione la cosa risulta
appunto formalmente considerata bene culturale e pertanto sottoposta al
regime dettato dal Titolo I della parte seconda del Codice.

Per l'individuazione del bene culturale come «accertamento» del «valore Caratteri
culturale)) da compiersi con «atto amministrativo discrezionale, soggetto
al sindacato del giudice amministrativo)), v., ad esempio, Corte cost. sent.
118/1990.

È da dire che in tal uni casi tale procedimento non è richiesto (infra, par. 4.3) e
che in altri casi può non essere stato realizzato anche se previsto, e nondimeno
la cosa, che in ragione delle sue oggettive caratteristiche sia considerabile come
bene culturale, viene assoggettata al (pieno o parziale) regime giuridico dei
beni culturali (in/ra, par. 4.1). Ciò significa, in breve, che l'individuazione è
requisito sempre sufficiente ai fini dell'operatività della disciplina prevista
per i beni culturali, ma talora non necessario.
I meccanismi di individuazione sono vari, come del resto è varia la natura Appartenenza del
dell'atto in cui essi si sostanziano. Ciò dipende dall'appartenenza del bene bene culturale
culturale, ossia dall'identità del soggetto titolare della proprietà in ordine al
bene. Al riguardo sono da distinguere le seguenti situazioni: proprietà dello
Stato; proprietà di enti pubblici, territoriali (in particolare, Regioni, Province,
Comuni) e non, e di persone giuridiche private senza fine di lucro; proprietà
di persone fisiche e di persone giuridiche private con fine di lucro.
44 CAPITOLO l

Fra le persone giuridiche private senza fine di lucro sono esplicitamente ri-
compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (v. art. l, comma 5, art.
10, comma l, art. 30, comma 2, e art. 56, comma l, lett. b, Cod.) [Roccella
2008, par. 9; Sciullo 2008a, par. 3].
Inoltre è da tener conto delle diverse categorie cui i beni culturali vanno
ascritti.
I meccanismi di individuazione sono normati negli artt. 12 e 13 Cod., e con-
sistono rispettivamente nella «verifica» e nella «dichiarazione» dell'interesse
culturale.

4.1. Verifica dell'interesse culturale

Verifica dell'ime- Si tratta di una significativa novità rispetto alla disciplina del Tu.
resse culturale
L'art. 5 del Tu, riprendendo sostanzialmente quanto stabilito dagli artt. 4 e
58 della l. 1089/1939, prevedeva, infatti, che gli enti pubblici diversi dallo
Stato e le persone giuridiche private senza scopo di lucro presentassero al
ministero (se del caso anche con successive integrazioni) l'elenco descrittivo
delle cose di loro appartenenza aventi (presumibilmente) interesse artistico,
storico ecc. Così facendo, tali soggetti concorrevano all'individuazione, ossia
all'identificazione, dei beni culturali, compito questo al quale, nel caso di cose
di proprietà di altri soggetti privati (singoli o persone giuridiche con fine di
lucro), prowedeva il solo ministero, mediante la «dichiarazione» ex art. 6 del
decreto legislativo (in precedenza nota anche come «notifica»). Gli elenchi,
la cui trasmissione costituiva una mera segnalazione, anche quando validati
dal ministero, avevano un carattere meramente dichiarativo, tant'è che la non
inclusione in essi o nei loro aggiornamenti non era di ostacolo all'applicazione
della disciplina di tutela, sempre che le cose presentassero interesse culturale
e, di autore non più vivente, risalissero a oltre cinquant'anni (v. art. 5, comma
5, e art. 2, comma 6, d.lgs. 490/1999).
Questo sistema era fonte di non poche incertezze sul piano effettuale, sia
per la sottrazione al vincolo dell'inserimento in elenchi delle cose mobili e
immobili dello Stato - per i quali non si prevedeva nessun meccanismo di
individuazione -, sia per la generale inosservanza del vincolo nei casi previsti.
Pertanto, riprendendo quanto afferma la relazione di accompagnamento al
Codice, si può dire che per i beni culturali ad appartenenza pubblica operasse
«una presunzione generale di culturalità» (p. IV), solo in parte eliminata dagli
atti c.d. di «declaratoria», ossia recanti la dichiarazione di interesse storico,
artistico ecc., talora emessi dal ministero [Sciullo 2000a, 40 ss.]. Peraltro la
giurisprudenza, specie amministrativa, ha non di rado ritenuto che, ai fini
dell'applicabilità della disciplina di tutela, fosse necessario un qualche previo
atto dell'autorità ministeriale di «riconoscimento» della presenza dell'interesse
culturale (v., di recente Cons. Stato, sez. VI, 4010/2013 e 4497/2013; sulle tesi
in campo v. sez. VI, 3450/2007. Da ultimo, però, in un'apprezzabile- anche
per altri aspetti- sentenza, della sez. VI, 642/2017, si è riaffermato I' originario
consolidato orientamento in senso contrario).
PATRIMONIO E BENI 45

Elementi di novità furono portati dal d.p.r. 27 settembre 2000, n. 283. Da un lato,
come stimolo alla compilazione degli denchi, esso sancì, a regime, l'inalienabilità
degli immobili culturali, non inseriti, appartenenti al demanio degli enti minori
(art. 6, comma 2). Per altro verso, estese il vincolo della loro compilazione, con
il corredo dei «dati identificativi degli immobili interessati», alle amministra-
zioni statali coinvolte in processi di dismissione o valorizzazione di beni. Per
altro verso, infine, stabilì che il ministero, ricevuti gli denchi, provvedesse ad
«individua[re] gli immobili che manifestamente non rivest[ivano] interesse
storico e artistico e quelli la cui alienazione e conferimento in concessione o in
convenzione [erano] soggetti ad autorizzazione», in quest'ultimo caso eviden-
temente sulla base della riconosciuta presenza dell'interesse artistico e storico
(art. 19, commi l, 2 e 4). L'art. 12 Cod. riprende e perfeziona le previsioni del
d.p.r. 283/2000.

Detto in termini schematici, le cose mobili e immobili indicate all'art. 10, Procedimento
comma l (ossia quelle che, appartenendo a enti pubblici o a persone giuridiche
private senza scopo di lucro, presentino interesse artistico, storico ecc.), che
siano di autore non più vivente e risalgano a oltre cinquanta anni, se mobili,
o settanta, se immobili, vengono sottoposte a un apposito procedimento di Esito della verifica
verifica da parte del Mibact, volto ad accertare la sussistenza o meno di detto
interesse (art. 12, comma 2). In attesa della verifica, tali cose sono in via prov-
visoria soggette alla disciplina di tutela prevista dal Codice (art. 12, comma 1).
In particolare, sono in ogni caso inalienabili (art. 54, comma 2, lett. a). L'esito
della verifica- che è promossa d'ufficio o su richiesta dell'ente proprietario
-se positivo, comporta la definitiva sottoposizione del bene alla disciplina di
tutela, se negativo, la fuoriuscita da detta disciplina, la sdemanializzazione,
nel caso di bene demaniale, e la libera alienabilità (le due ultime conseguenze
peraltro si producono sempre che non vi ostino ragioni di regime giuridico
diverso da quello inerente i beni culturali) (art. 12, commi 4-7, art. 54, comma
2, lett. a, art. 56, comma 4-sexies).

Tale meccanismo, semplice nelle sue linee portanti e senz' altro condivisibile per
l'intento di superare la descritta situazione di incertezza dei beni pubblici con
possibile valenza culturale, fu anticipato, quanto alla sua previsione ed entrata
in vigore, dall'art. 10 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (il c.d. «maxidecreto
finanziario») conv. con mod. nella l. 24 novembre 2003, n. 326, che peraltro lo
riprese pressoché integralmente dallo schema del Codice deliberato il giorno
precedente dal Consiglio dei ministri, aggiungendovi peraltro, come subito si
dirà, il c.d. «silenzio-assenso».
Con riferimento alla condizione d'inalienabilità (che può definirsi provvisoria
quanto agli effetti e cautelare quanto alle finalità che persegue) prima della ve-
rifica, va sottolineato che essa è assoluta, cioè non suscettibile di essere superata
da eventuali autorizzazioni del ministero- anche se non preclude i trasferimenti
fra enti territoriali (art. 54, comma 3) -, concerne tanto i beni mobili che gli
immobili e prescinde dalla natura del bene, ossia non investe solo i beni che, una
volta accertato l'interesse culturale, comporrebbero i «beni culturali demaniali».
L'unica incertezza della disciplina riguarda il fatto se, oltre all'appartenenza del
bene a un soggetto pubblico o privato non pro/it, all'essere esso opera di un
46 CAPITOLO l

autore non più in vita e a risalire a oltre cinquanta anni o, a seconda dei casi,
settanta, si richieda anche un /umus (o parvenza) di culturalità. Nel silenzio
della norma la risposta affermativa pare la più equilibrata e aderente alla ratio
del meccanismo di accertamento previsto.
Quanto agli aspetti di regime della verifica, merita di rilevare anzitutto che, ai
fini di un esito positivo della stessa, occorre un interesse culturale «semplice»
-o come esattamente sottolinea la relazione di accompagnamento (pp. IV s.),
«senza aggettivazioni» -, e non quello «qualificato» viceversa richiesto per la
«dichiarazione» dei beni appartenenti a privati profit (v. art. 12, comma 2, in
rapporto all'art. 13 ). Inoltre, la verifica positiva è equiparata a tutti gli effetti
alla «dichiarazione>> previ~ta dall'art. 13, e pertanto il relativo prowedimento
va trascritto nei registri immobiliari (art. 12, comma 7).
Da ultimo è da ricordare che le disposizioni dell'art. 12 si applicano «anche
qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro
natura giuridica» (comma 9). La disposizione fa riferimento in particolare ai
casi di privatizzazione di enti pubblici, ma può riguardare anche la trasforma-
zione di enti privati non pro/it in soggetti con finalità di lucro. Essa sembra
implicare che, se la trasformazione interviene prima che sia stata effettuata la
verifica, la cosa sia soggetta a verifica e non a dichiarazione, ai sensi dell'art. 13,
e nel frattempo sia sottoposta a tutela prowisoria, mentre, se la trasformazione
interviene dopo, che la verifica effettuata conservi inalterati i suoi effetti.

li meccanismo della verifica fu anticipato dal d.l. 269/2003, che lo riprese dallo
schema del Codice approvato in precedenza dal Consiglio dei ministri, ma
con l'aggiunta di una tempistica per il suo svolgimento nel caso di immobili,
tempistica che nel corso dei lavori parlamentari di conversione in legge del
decreto venne perfezionata con l'introduzione del silenzio significativo (il c.d.
Silenzio-assenso <<silenzio-assenso»): <<La mancata comunicazione [dell'esito della verifica da
parte della soprintendenza regionale del Mibact all'Agenzia del demanio] nel
termine complessivo di centoventi giorni dalla ricezione della scheda [de-
scrittiva contenente i dati conoscitivi relativi ai singoli immobili inseriti negli
elenchi] equivale a esito negativo della verifica» (art. 27, comma 10). Sempre
nel decreto legge tale meccanismo concerneva gli immobili dello Stato e degli
altri enti pubblici, territoriali e non (art. 27, comma 2).
L'originario art. 12, comma 10, Cod., nel mantenere fermo quanto disposto
dall'art. 27, commi 8, 10, 12,13 e 13-bis del d.l. 269/2003, lasciò in vigore
il silenzio-assenso. La nuova stesura della disposizione, operata dal d.lgs. 24
marzo 2006, n. 156, recante le «Disposizioni correttive e integrative al d.lgs.
22 gennaio 2002, n. 42, in relazione ai beni culturali», ha però determinato
il suo superamento, essendosi limitato a prevedere che <<il procedimento di
verifica si conclude entro centoventi giorni dal ricevimento della richiesta»
(comma 10). Pertanto il mancato rispetto del termine risulta ora qualificabile
Silenzio-inadem- solo come <<silenzio-inadempimento», possibile oggetto di ricorso al giudice
pimento amministrativo.

Alcuni aspetti meritano di essere messi a fuoco.


Il silenzio-assenso costituì una novità in materia di individuazione dei beni
culturali, ma non ha mai prodotto effetti concreti [Cecchi 2005, 13].
PATRIMONIO E BENI 47

La qualificazione ora del silenzio come inadempimento comporta, come si


è detto, la possibilità di rivolgersi al giudice amministrativo contro l'inerzia
dell'amministrazione ai sensi dell'art. 2 della l. 241 e dell'art. 21-bis della l. 6
dicembre 1971, n. 1034 e succ. mod. (ora artt. 31 e 117 del d.lgs. 2luglio 2010,
n. 104) [Vesperini 2006]. Secondo l'opinione che pare preferibile, tale rimedio
è a disposizione dei soggetti che hanno richiesto la verifica se diversi da autorità
statali e comporta che il giudice, accogliendo il ricorso, ordini all'amministra-
zione di prowedere entro un termine congruo e, decorso invano tale termine,
nomini un commissario che si sostituisce a essa.
Quanto alle modalità procedurali della verifica, l'art. 12, comma 3, Cod.
stabilisce che, per gli immobili dello Stato, i criteri per la predisposizione
degli elenchi dei beni interessati, le modalità di redazione delle relative
schede descrittive - gli uni e le altre di corredo alle richieste di verifica - e
le modalità di trasmissione (di elenchi, schede e richieste) siano fissati con
decreto del Mibact adottato di concerto con l'Agenzia del demanio (e con
il ministero della Difesa per gli immobili in uso a questa amministrazione),
mentre il medesimo comma 3 demanda al Mibact la formulazione dei criteri
e delle modalità per la predisposizione e la presentazione delle richieste di
verifica da parte degli «altri soggetti» (ossia degli enti pubblici diversi dallo
Stato e di quelli privati senza scopo di lucro). Al riguardo sono intervenuti
i decreti 6 febbraio 2004 e 28 febbraio 2005, in tema di verifica di immobili
appartenenti allo Stato e agli altri enti pubblici, e il decreto 25 gennaio 2005,
per le verifiche degli immobili delle persone giuridiche private senza scopo
di lucro. La procedura risulta ora informatizzata.
Ai sensi dell'art. 4, comma l, lett. l, del d.m. 23 gennaio 2016 (di riorganiz-
zazione del Mibact) l'istruttoria e la proposta dell'atto di verifica spetta al
soprintendente archeologia, belle arti e paesaggio, mentre l'adozione, ex art.
39, comma 2, lett. a, del d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171 (di organizzazione del
ministero), compete alla commissione regionale per il Patrimonio culturale,
ambedue competenti per territorio.

4.2. Dichiarazione dell'interesse culturale

La tradizionale modalità di individuazione è prevista dall'art. 13 Cod. e Dichiarazionedel-


consiste in un atto, assunto dall'autorità competente, di «dichiarazione>> l'interesse cultu-
dell'interesse qualificato rivestito dalla cosa, in genere, di proprietà di rale
privati.

Al di là del tecnicismo del linguaggio la dichiarazione di interesse null'altro


esprime che la valutazione della presenza nella cosa di quel carattere (in ter-
mini generali il «valore culturale», in/ra, par. 4) che consente di considerare la
cosa stessa come bene culturale, con l'effetto di sottoporla, come si dirà, alla
disciplina specificamente prevista per i beni culturali. Pertanto potrebbe an-
che parlarsi- secondo l'indicazione della dichiarazione IV della commissione
Franceschini- di «dichiarazione di bene culturale».

La dichiarazione si riferisce alle cose indicate all'art. 10, comma 3 (comma 1).
48 CAPITOLO 1

Ipotesi previste In dettaglio le ipotesi previste concernono:


a) L'«interesse particolarmente importante» delle cose di interesse artistico,
storico ecc., appartenenti a soggetti diversi da quelli di cui all'art. 10, comma
l, e quindi a persone fisiche o giuridiche private con fine di lucro (iett. a).
b) L'«interesse storico particolarmente importante» di archivi e singoli docu-
menti, appartenenti a privati Oett. b).
c) L'«eccezionale interesse» di raccolte librarie appartenenti a privati Oett. c).
d) L'«interesse particolarmente importante» di immobili e mobili con riferimen-
to alla storia politica, militare ecc., a chiunque appartenenti (iett. d).
e) In forza dell'art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B (supra, par. 3) sarebbe
da aggiungere l' «interesse eccezionale per l'integrità e la completezza del pa-
trimonio culturale della Nazione» (art. 10, comma 3, lett. d-bis).
n termine «privati» sembra includere anche le persone giuridiche senza fine
di lucro.

Carattere Quanto al carattere della dichiarazione, è da ritenersi che essa, come in


passato, si presenti come atto di accertamento costitutivo e che complessiva-
mente l'attività dispiegata dall'amministrazione risulti riconducibile all' eser-
cizio di discrezionalità tecnica (ad es., Cons. Stato, sez. VI, nn. 3197/2016 e
4747/2015) [Maglieri2007, 112 s.].
Lo stato di degrado di un bene non osta alla dichiarazione (Cons. Stato, sez.
VI, n. 3560/2015; per il caso che il bene abbia subito alterazioni rispetto alla
configurazione originaria o sia stato oggetto di restauro che ne abbia mutato
l'espressività iconografica cfr. sempre sez. VI, nn. 23/2014 e 1257 /2015).
Forme di pubbli· L'art. 15 prevede due forme di pubblicità per la dichiarazione.
cità
La prima è rappresentata dalla notificazione al proprietario, possessore o de-
tentore della cosa. La notificazione è qualificabile come requisito di efficacia
della dichiarazione.
La seconda è costituita dalla trascrizione nei registri immobiliari, allorché la di-
chiarazione concerna cose soggette a pubblicità immobiliare. In considerazione
del disposto dell'art. 128, comma l, è da pensare che tale forma di pubblicità
serva a rendere apponibile la dichiarazione agli aventi causa del proprietario,
possessore o detentore della cosa [Sciullo 2000b, 47 ss.; Tubertini 2007, 121 s.].
Presenta valore solo notiziale l'elenco, anche su supporto informatico, dei beni
dichiarati, gestito dal Mibact ex art. 15, comma 2-bis.

Procedimento Venendo al procedimento è da dire che l'art. 14 prevede che il suo avvio spetti
al soprintendente di settore (competente per materia), d'ufficio o su richiesta
di un ente territoriale minore (comma 1). Per il resto la disciplina è modellata
secondo le regole fissate dalla l. 24111990, che già seguiva l'art. 7 del Tu. In
particolare dell'avvio va data comunicazione al proprietario, al possessore o al
detentore della cosa, soggetti questi ai quali andrà notificata la dichiarazione.

Nella comunicazione sono da indicare, tra l'altro, gli elementi identificativi del
bene, le ragioni che spingono a ravvisare la presenza dell'interesse qualificato
richiesto dall'art. 10, comma 3, e gli effetti cautelari discendenti dalla comuni-
cazione medesima, consistenti nell'applicazione immediata delle norme dettate
PATRIMONIO E BENI 49

dal capo II, dalla sez. I del capo III e dalla sez. I del capo IV del Titolo I della
parte seconda, in tema rispettivamente di vigilanza e ispezione, di protezione
e di circolazione in ambito nazionale, fino alla scadenza del termine del pro-
cedimento di dichiarazione.
I.: atto di dichiarazione va assunto dal ministero. Per i beni archivistici e, a
seguito dell'art. 5 del d.m. 23 gennaio 2016, per quelli librari spetta al titolare
della soprintendenza archivistica e bibliografica territorialmente competente
ai sensi dell'art. 36, comma 2, lett. b, del d.p.c.m. 17112014. Per gli altri beni
culturali il soprintendente archeologia, belle arti e paesaggio, competente per
territorio, istruisce e propone alla commissione regionale per il Patrimonio
culturale di riferimento l'atto di dichiarazione ai sensi dell'art. 4, comma l,
lett. l, del d.m. 23 gennaio 2016 e dell'art. 39, comma 2, lett. b, del d.p.c.m n.
171/2014. I.: art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B (supra, par. 3) prevede che
relativamente alle «cose di cui all'articolo 10, comma 3 lettera d-bis [quindi ad
appartenenza sia privata sia pubblica] la dichiarazione è adottata dal competente
organo centrale del ministero».

Avverso la dichiarazione, come pure contro l'atto conclusivo della verifica Ricorso ammini-
ex art. 12, l'art. 16 introduce rispetto al Tu la previsione di un ricorso ammi- strativo
nistrativo per motivi di legittimità e di merito (comma 1), specie per questo
aspetto più «appetibile» [Brocca 2007, 123 s.] di quello giurisdizionale, che
peraltro non resta precluso.

La proposizione del ricorso comporta la sospensione dell'atto di dichiarazione


(comma 4), ferma restando in via cautelare l'operatività di quelle stesse dispo-
sizioni che la comunicazione dell'avvio del procedimento rendeva applicabili
(comma 2).
Il ricorso è deciso dal direttore generale competente per materia (art. 2, com-
ma 2, let. u, d.m. 23 gennaio 2016; art. 21, comma 2, lett. se art. 22, comma
2, lett. r, d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171), acquisito il parere del comitato
tecnico-scientifico di settore (art. 26, comma 2, lett. d, d.p.c.m. 171/2014; art.
16, comma 3, Cod.).
I.:accoglimento del ricorso comporta l'annullamento o la riforma dell'atto
impugnato (comma 4).

4.3. Beni culturali ex lege

Per le cose menzionate dall'art. 10, comma 2, l'art. 13, comma 2, non richiede Beni culturali ex
la dichiarazione. Per esse, d'altro canto, non è prevista la verifica (arg. art. 12, lege
comma 1). Si tratta dei beni culturali <(ex lege» [Maglieri 2007, 114], per i
quali l'interesse culturale è considerato sussistere di per sé, senza la necessità
che intervenga un atto dell'autorità di tutela che ne accerti l'esistenza.

In dettaglio tali beni comprendono le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie


e di altri luoghi espositivi, gli archivi e singoli documenti nonché le raccolte
librarie delle biblioteche appartenenti agli enti pubblici. Per tali beni l'art.
13, comma 2, stabilisce che il regime di tutela non viene meno a seguito della
50 CAPITOLO l

trasformazione della natura giuridica dei soggetti proprietari. Pertanto non si


richiede una successiva «dichiarazione» in ordine a essi.
Anche per le cose indicate all'art. 11, costituenti le categorie speciali dei beni
culturali, non è stabilita in genere una forma di individuazione, sicché il regime
specificamente dettato si applicherà quando in concreto ricorrano i caratteri
che connotano tipicamente dette cose (ad esempio una tavola di marmo o di
altro materiale, che sia posta su un edificio e rechi un'epigrafe commemorativa è
qualificabile come lapide ex comma l, lett. a, e come tale soggetta alla disciplina
di cùi all'art. 50, comma 1). Peraltro, per le opere dell'architettura moderna di
particolare valore artistico e le aree pubbliche aventi valore archeologico ecc.
sono previste forme di individuazione di detto valore (sulle quali v. in/ra, par. 4.4).
Per facilitare la non agevole comprensione del sistema degli artt. 12 e 13 si
può dire che:
- sussistono beni culturali non soggetti, come si è visto, né a verifica né a
dichiarazione (art. 10, comma 2; art. 11);
- la caratterizzazione della verifica e della dichiarazione come istituti che si
applicano rispettivamente ai beni dei soggetti pubblici e privati non pro/it e ai
beni dei soggetti privati pro/it, ha valore solo tendenziale;
- da un lato, infatti, la verifica non si riferisce a tutti i beni pubblici, ma solo
ad alcuni (art. 10, comma l);
- dall'altro, la dichiarazione concerne sì beni di persone fisiche e giuridiche
con fine di lucro (art. 10, comma 3, lett. a), ma anche beni di privati in genere
(art. 10, comma 3, lett. b, c), e altresì di soggetti pubblici («a chiunque appar-
tenenti») (art. 10, comma 3, lett. d, e, e, in prospettiva, d-bis, ex art. l, comma
175 del d.d.l. S. 2085-B, supra, par. 3).

4.4. Altre forme di individuazione


Altre forme di in- Pur non potendo qualificarsi come verifica o come dichiarazione in senso
dividuazione proprio, perché poste al di fuori dell'ambito applicativo di queste, sussistono
altre ipotesi in cui l'amministrazione, sia pure non ai fini della sotto posizione
della cosa al complessivo regime di tutela, accerta la presenza di un interesse
cui conseguono effetti (ridotti o di altra natura) previsti dal Codice.
È questo il caso delle opere dell'architettura moderna di cui all'art. 11, lett. e,
per le quali si richiede che il Mibact accerti il «particolare valore artistico» ai fini
dell'ammissione a contributi per interventi conservativi (art. 37, comma 4, Cod.).
Un altro caso è dato dalle aree aventi valore archeologico, storico, artistico o
ambientale menzionate nell'art. 11, lett. c, sulle quali l'esercizio del commercio
non è consentito o è consentito solo a particolari condizioni. Queste, ai sensi
dell'art. 52, comma l, vanno individuate dal Comune, sentito il soprintendente.
Sempre l'art. 52, ma al comma l-bis, prevede che i Comuni, sentito il soprin-
tendente (e, per effetto della sentenza della Corte cost. sent. 140/2015, previa
intesa fra Stato e Regioni), individuino i locali nei quali si svolgono attività di
artigianato o di commercio tradizionali, riconosciute quali espressioni dell'i-
dentità culturale collettiva ai sensi delle convenzioni Un esco di cui all'art. 7 -bis,
al fine di assicurarne forme di protezione e salvaguardia.
Ancora si possono ricordare gli immobili indicati all'art. 10, comma 3, lett. a,
d, che, ai sensi dell'art. 104, commi l e 2, possono essere assoggettati a visita
da parte del pubblico quando rivestono «eccezionale interesse» dichiarato con
atto del Mibact.
PATRIMONIO E BENI 51

5. STRUTIURA, NATURA E CARATTERI DEI BENI CULTURALI

La qualificazione come bene culturale di una cosa, in conseguenza dei soli Qualificazione co·
caratteri oggettivi presentati o a seguito dell'individuazione, determina la me bene culturale
soggezione a una disciplina pubblicistica contenuta (fondamentalmente) nel
Codice, ma non comporta un'alterazione della relazione di appartenenza, in
particolare l'avocazione della cosa alla proprietà pubblica. La cosa mantiene
l'appartenenza pubblica o privata preesistente e conserva, di massima, inva-
riato il conness9 statuto proprietario. Ciò che è nuovo è, invece, la sottopo-
sizione a una disciplina pubblicistica che si sovrappone a quella che la cosa
aveva a prescindere dalla sua configurazione come bene culturale.
La configurazione in termini unitari dei beni culturali fu prospettata tempo Configurazione
addietro da Giannini [ 197 6, 21 ss.] e conserva tuttora attualità, perché an- unitaria dei beni
cora in grado di fornire una risposta adeguata ai problemi d'inquadramento culturali
offerti dalla materia.
npunto di partenza è dato dalla distinzione fra cosa e bene giuridico, ossia fra
un'entità che forma parte del mondo fisico o dello spirito e la sua attitudine a
soddisfare un interesse umano, e quindi a essere qualificata e disciplinata dal
diritto. La cosa che costituisce il (supporto del) bene culturale è oggetto di
una doppia qualificazione giuridica: in quanto possibile oggetto di interessi
economici -e quindi di diritti reali o obbligatori- essa è bene patrimoniale,
come tale disciplinata dalle norme dettate dal codice civile o di carattere
speciale in tema di diritti patrimoniali; in quanto portatrice di un «valore
culturale», rilevato dal legislatore o accertato in sede di individuazione, è bene
culturale, come tale assoggettata alle norme contenute (fondamentalmente)
nel Codice, che conferiscono al potere pubblico delle potestà concernenti
non l'utilizzazione patrimoniale della cosa, ma la sua conservazione e il suo
godimento da parte della collettività.

Di qui la coesistenza di due aree di regolamentazione giuridica, astrattamente Due aree di rego-
autonome l'una dall'altra, perché consideranti profili diversi della cosa (quello lamentazione giu-
economico, l'una, quello culturale, l'altra), ma necessariamente sovrapponen- ridica
tesi, con l'effetto di comportare limitazioni alle facoltà spettanti al soggetto
proprietario e ai suoi aventi titolo, giacché relative alla stessa entità.
Per chiarire ulteriormente: una tela, una statua, un edificio sono, da un lato,
beni patrimoniali, di proprietà di un soggetto, privato o pubblico, e possibile
oggetto di altri diritti reali o obbligatori, dall'altro, se presentanti un interesse
artistico, storico ecc., beni culturali, e perciò sottoposti a potestà pubblicistiche
che ne condizionano l'uso (c.d. gestione) e il trasferimento (c.d. circolazione).
Ai due diversi beni corrispondono due diversi e distinti valori: valore commer-
ciale e valore culturale, ciascuno dipendente da valutazioni e «logiche» diverse.
La distinzione fra cose e beni in senso giuridico risale a Pugliatti [ 1962, 195 ss.].
Il fenomeno della pluralità delle qualificazioni giuridiche, in forza del quale un Pluralità delle qua-
medesimo fatto naturale o umano è suscettibile di plurime valutazioni è cor- lificazioni giuridi-
rente nel mondo giuridico. Nel settore dei beni culturali vale la pena osservare che
che possono darsi anche tre qualificazioni della stessa cosa: nel caso dei beni
culturali d'interesse religioso, oltre alle due qualificazioni comuni a tutti i beni
52 CAPITOLO l

culturali, è possibile configurare una terza qualificazione concernente la cosa


in quanto supporto per l'esplicazione del valore costituzionalmente tutelato
della libertà di religione [Pastori 1981, 336].

Elementi unifi- Di qui anche la configurazione del valore culturale come primo elemento
canti: valore cultu- unificante i beni culturali, in quanto capace di perimetrarne la categoria,
rale ... nonostante la molteplicità tipologica delle cose che la compongono.

Il riferimento al <<Valore culturale» e alla sua connessione («compenetrazione»)


con la cosa che ne costituisce il «supporto materiale»- eco indubbio dell'impo-
stazione gianniniana indicata nel testo - è presente nella giurisprudenza della
Corte costituzionale (v. ad es. sent. n. 118/1990) .

... immaterialità... Altri elementi unificanti sono rappresentati dalla immaterialità e dalla pub-
blicità.
nbene culturale è bene immateriale, perché immateriale è il valore culturale
che opera da elemento di qualificazione della categoria.

Occorre peraltro tenere distinta l'immaterialità del bene culturale dalla ma-
terialità della cosa che funge da supporto del bene.
Come si è in precedenza rilevato (supra, par. 1), solo le cose materiali (entità
cioè del mondo fisico) sono prese in considerazione dal Codice e compongono
i tipi normativi dei beni culturali. Quando parla di immaterialità del bene cul-
turale la dottrina vuole esprimere l'idea che la cosa materiale (la tela, la statua,
l'edificio) è bene culturale perché dotata di un carattere (il <<Valore culturale»)
che è immateriale. L'immaterialità viene a connotare quindi il bene culturale
[sul valore immateriale dei beni culturali v. Morbidelli 2014, l ss.].

... pubblicità nbene culturale è, poi, bene pubblico, non in ragione della sua appartenenza,
ma «in quanto bene di fruizione» [Giannini 197 6, 31], e cioè nel senso della
necessaria fruibilità da parte della collettività del valore culturale. n carattere
pone in evidenza, in sin toni a con la lettura congiunta dei due commi dell'art.
9 Cost. [Rolla 1987, 61], la destinazione del bene culturale a fattore di pro-
mozione culturale, in quanto possibile oggetto di fruizione da parte della
generalità dei consociati. n che funge da base legittimante per l'assegnazione
alla pubblica amministrazione, da parte della legge, di poteri volti ad assicurare
la conservazione e il godimento del bene culturale.

La connessione fra i due commi dell'art. 9 Cost., come pure il loro fungere
da fondamento per una specifica disciplina di tutela del bene culturale anche
incidente sullo statuto della proprietà privata, emerge chiaramente nella giuri-
sprudenza della Corte costituzionale laddove si afferma che <<lo Stato, nel porsi
gli obiettivi della promozione e dello sviluppo della cultura, deve provvedere
alla tutela dei beni che sono testimonianza materiale di essa e assumono rilievo
strumentale per il raggiungimento di siffatti obiettivi» (sentenza n. 118/1990,
cit., p. 664) e che «l'esigenza di conservare e di garantire la fruizione da parte
della collettività delle cose di interesse storico e artistico [. .. ] giustifica, di
conseguenza, per tali beni l'adozione di particolari misure di tutela che si rea-
PATRIMONIO E BENI 53

lizzano attraverso poteri della pubblica amministrazione e vincoli per i privati»


(sent. 20 giugno 1995, n. 269, in «Giur. cost.», 1995, p. 1927).
È da ribadire che il carattere della pubblicità del bene culturale non attiene
all'assetto proprietario del bene patrimoniale sottostante: la proprietà di questo
potrà appartenere a un soggetto privato o pubblico, indifferentemente. Né la
proprietà privata del bene patrimoniale viene meno per effetto della pubblicità
del bene culturale.
Va aggiunto, altresì, che la fruibilità da parte dei consociati esprime al momento
più un programma di regime giuridico che una compiuta articolazione della
vigente disciplina. In vero, il bene culturale di proprietà privata, benché sottopo-
nibile senza limite alcuno a vincoli conservativi, non può essere imperativamente
messo a disposizione del pubblico godimento, salvo che ricorrano le condizioni
particolari previste dagli artt. 38 e 104 [con riguardo ai corrispondenti artt. 45
e 106 del Tu, Stella Richter e Scotti 2002, 411 e 412].
La configurazione in termini unitari dei beni culturali è stata oggetto di valuta- Dibattito sulla
zioni critiche da parte di tal uni autori, i quali in particolare hanno rilevato che la configurazione
differenziazione tipologica si traduce in una pluralità di modelli e di regimi dei unitaria
beni culturali [ad esempio, Cavallo 1988, 134; Cassese 1976, 176 ss.; Catelani
2002, 76; Roccella 2002, 1102].
Tuttavia si è persuasivamente fatto notare che la destinazione dei beni pubblici,
il loro essere bene di fruizione collettiva con la sottesa esigenza di conservazione,
in breve il dato teleologico che li connota, può essere assunto quale caratteristica
unificante della categoria dei beni culturali [ad esempio, Cerulli lrelli 1994,
28 ss.; CaputiJambrenghi 1999,429 e 435; Alibrandi e Ferri 2001, 48; Stella
Richter e Scotti 2002, 393 s.].

6. CARATIERI E CONDIZIONE GIURIDICA DEI BENI


CULTIJRALI IN QUANTO BENI PATRIMONIALI

Dopo aver considerato i caratteri dei beni culturali occorre ora analizzare i Beni culturali co-
tratti che essi presentano come beni patrimoniali, più esattamente la disciplina me beni patrirno-
giuridica che concerne le cose fungenti da supporto ai beni culturali, in quanto niali
oggetto -lo si è già precisato - di qualificazione come beni patrimoniali.
Tale disciplina è contenuta fondamentalmente nel codice civile, ma è necessa-
rio tener conto anche di disposizioni dettate in altri atti normativi tra i quali lo
stesso Codice, che, se in prevalenza si occupa dei profili dei beni culturali, non
manca di regolamentare altresì aspetti concernenti i beni patrimoniali sottesi.
Ne deriva pertanto una certa complessità di lettura, accentuata dall'evoluzione
non sempre lineare della legislazione. Va precisato poi che la circolazione dei
diritti sui beni sarà considerata nel successivo paragrafo 9.1, mentre in questo
ci si limiterà a esporre la sola disciplina di base.
Come si è accennato, il fatto che una cosa sia qualificata come bene culturale Beni di proprietà
non altera la relazione di appartenenza che la contraddistingueva prima privata
della qualificazione: la cosa è conservata nella proprietà preesistente. Di
qui la distinzione fra beni culturali di proprietà privata e quelli di proprietà
pubblica.
Per gli uni non c'è che fare rinvio in blocco alla disciplina codicistica.
54 CAPITOLO l

Beni di proprietà Sui beni culturali di proprietà pubblica occorre viceversa soffermarsi, giacché
pubblica la loro tipologia è diversificata, potendo essi rientrare in tutte e tre le classi in
cui si articolano i beni pubblici.
Demanio acciden- • Anzitutto fanno parte del demanio c.d. accidentale dello Stato, delle
tale Regioni a statuto ordinario, delle Province e dei Comuni, gli «immobili
riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi
in materia» e inoltre «le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi
e delle biblioteche».

Tale disciplina risulta dagli artt. 822, comma 2, 824, comma l, cod. civ. e dall'art.
11, comma l, della l. 16 maggio 1970, n. 281.
Demanio accidentale significa che le cose appena indicate possono essere di
proprietà pubblica (di titolarità degli enti territoriali- Stato, Regioni, Province
e Comuni- e di quelli non territoriali) o privata. Sono demaniali solo se appar-
tengono agli enti territoriali.
Va notato che per le cose in esame la qualificazione come bene culturale
è presupposto per la demanialità: un edificio dello Stato privo di interesse
artistico ecc. non è bene demaniale, ma patrimoniale (a meno che non sia
demaniale per altri profili).
È da rilevare altresì che, per le raccolte, la demanialità concerne il complesso
delle cose che le compongono, non le singole unità, sicché quando siano avulse,
nei modi di legge, dalle raccolte medesime, esse si sottraggono al regime dei
beni demaniali [Zanobini 1958, 133].

Demanio culturale I beni in questione, in base all'art. 53 Cod., costituiscono il nuovo genus del
«demanio culturale>>.

La demanialità si estende alle pertinenze (cose mobili o immobili destinate al


servizio o all'ornamento) di un immobile d'interesse storico ecc. (ad esempio,
gli arredi, le statue ornamentali) (art. 818 cod. civ.) [Sandulli 1989, 765 s.; Ali-
brandi e Ferri 2001, 232 s. e 238] e alle servitù costituite a favore degli stessi
beni (art. 825 cod. civ.).
Sono inoltre soggetti al regime del demanio pubblico, ai sensi dello stesso art.
825 cod. civ., i diritti reali spettanti a enti territoriali e costituiti per il consegui-
mento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni
demaniali (ad esempio, il diritto di visita pubblica agli immobili di interesse
storico, artistico ecc. appartenenti a privati) [Alibrandi e Ferri 2001, 424;
Sandulli 1989,811 ss.] (infra, cap. 4).

Demanio origina- • Ai sensi dell'art. 91, comma l, Cod. vanno ascritte al demanio (definibile
rio dello Stato come) originario dello Stato le cose immobili, indicate all'art. 10 Cod., «da
chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini».

Non sembra corretto definire tali cose come rientranti nel demanio c.d.
necessario dello Stato (cioè a esclusiva appartenenza di questo), dal momen-
to che l'art. 54, comma 3, ne consente la trasferibilità dallo Stato agli enti
territoriali minori. Resta comunque il dato che la loro titolarità può essere
dei soli enti territoriali.
PATRIMONIO E BENI 55

• Rientrano, viceversa, nel patrimonio indisponibile dello Stato le medesime Patrimonio indi-
cose, se mobili (art. 826, comma 2, cod. civ. e art. 91, comma l, Cod.). sponibile dello
Stato
È dubbio se le cose mobili indicate all'art. lO Cod., quando non costituiscano
oggetto di ritrovamento e appartengano allo Stato o ad altro ente pubblico,
rientrino nel patrimonio in disponibile dell'ente. In passato fu autorevolmente
sostenuta [Sandulli 1989, 779] la soluzione affermativa, sulla base degli artt. 23
ss. della l. 1089/1939- v. ora l'art. 56 Cod.- che sancivano l'alienabilità previa
autorizzazione di dette cose. Tuttavia, proprio perché non era (e continua a
non essere) prevista una vera inalienabilità, nel silenzio delle norme appare
preferibile ritenere che tali cose facciano parte del patrimonio disponibile,
sia pure con la sottoposizione, come consente l'art. 828, comma l, cod. civ., a
«regole particolari che le concernono».
È il caso di awertire che fra le cose mobili di cui all'art. 10, richiamate dall'art.
91, comma l, Cod. non possono ricomprendersi le raccolte dei musei, delle
pinacoteche, degli archivi e delle biblioteche, che, come sopra precisato, fanno
parte del demanio culturale ai sensi dell'art. 53, comma l, Cod.

• Sempre nel patrimonio indisponibile, ma di qualsiasi ente pubblico, rien- Patrimonio indi-
erano i beni ctÙturali - che non siano ad altro titolo demaniali o indisponibili sponibile
- consistenti in edifici sedi di uffici pubblici e in loro arredi o comunque
destinati a un pubblico servizio.

Le disposizioni di riferimento sono gli artt. 826, comma 3, e 830, comma 2,


cod. civ.
Per chiarezza, l'immobile con valore storico ecc. appartenente a un ente
territoriale e la cosa mobile d'interesse storico ecc. ritrovata nel sottosuolo
e destinata ad arredo di un immobile di un ente territoriale privo di valore
culturale rappresentano beni, rispettivamente, demaniali e indisponibili ad
altro titolo.
In questa classe tipologica sembrano doversi annoverare anche i documenti
(singoli o componenti archivi) di enti pubblici [in tal senso Sandulli 1989,
779; Alibrandi e Ferri 2001, 240], per i quali l'art. 54, comma 2, lett. c, Cod.
sancisce l'inalienabilità, in forza, è da pensare, di un'implicita valutazione
di inerenza a finalità di pubblico interesse. Tale inerenza viene meno solo
a seguito del c.d. scarto (di cui agli artt. 26, 27 e 35 del d.lgs. 30 settembre
1963, n. 1409).

• Tutti gli altri beni ctÙturali pubblici non ascrivibili ai beni demaniali né a Beni disponibili
quelli patrimoniali indisponibili vanno considerati beni disponibili.

È stato esattamente rilevato che un bene culturale può essere demaniale a


doppio titolo: si pensi a una fortezza, ascrivibile al demanio storico e artistico,
perché d'interesse artistico ecc., e al demanio militare, perché opera destinata
alla difesa nazionale [Alibrandi e Ferri 2001, 238].
Profili di un certo rilievo presenta il tema dell'inizio e della cessazione della Demanialità o in-
demanialità o dell'indisponibilità dei beni culturali. disponibilità: ini-
Sulla scorta di quanto emerge in sede di teoria dei beni pubblici [v. ad esempio ZIO ...
Sandulli 1989, 805 ss.; Casetta 2012, 211] dovrebbe dirsi che l'inizio coincida
56 CAPITOLO l

con il momento in cui il bene risulta riconducibile a uno dei tipi configurati
dalla norma come demaniali o patrimoniali indisponibili - talora a tal fine ri-
chiedendosi una certa destinazione da parte dell'amministrazione (è il caso dei
beni da ultimo indicati) -e sussista l'appartenenza da parte dell'ente pubblico
previsto dalla norma medesima. Tuttavia per gli immobili che compongono
il demanio culturale queste condizioni non paiono più sufficienti. L'art. 822,
comma 2, cod. civ. parla invero di «immobili riconosciuti d'interesse storico
[ ... ] a norma delle leggi in materia)), il che suggerisce la necessità che intervenga
un atto di riconoscimento di tale interesse per la riconducibilità di detti beni al
demanio culturale. E ora - a differenza che nel passato - il Codice ha previsto
nella verifica di cui all'art. 12 tale atto. Pertanto può concludersi che la dema-
nialità culturale, per gli immobili, richieda fra i requisiti anche l'esito positivo
della verifica (mentre ciò continua a non valere per le raccolte dei musei, delle
pinacoteche, degli archivi e delle biblioteche, che come precisato supra, par.
4.3, sono beni culturali ex lege).
... cessazione La cessazione poi della demanialità o della indisponibilità si verifica quando
il bene perde i caratteri del tipo previsto dalla norma al quale apparteneva- a
tal fine richiedendosi il venir meno dell'eventuale destinazione che costituiva
presupposto per la riconducibilità al tipo- oppure, quando ciò sia consentito
dalla legge, venga meno l'appartenenza all'ente pubblico (per un'eccezione
peraltro in/ra, in questo stesso paragrafo).

Brevemente sulla condizione giuridica dei beni pubblici in rapporto ai tipi di


appartenenza.

Regime dei beni • La disciplina dei beni demaniali è dettata dall'art. 823, comma l, cod.
demaniali civ., secondo il quale essi «sono inalienabili e non possono formare oggetto
di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che
lncommerciabilità li riguardano)). È questa la regola dell'incommerciabilità.

In termini generali si ritiene che la regola concerna solo i beni che non possono
che appartenere al demanio statale o che sono necessariamente legati a un certo
ente (ad esempio, le piazze di un centro urbano), mentre per quelli suscetti-
bili di appartenere anche ad altri enti territoriali valga la diversa regola della
trasferibilità, nel rispetto peraltro di un eventuale legame con un determinato
territorio. È da pensare, pertanto, che, ad esempio, un immobile d'interesse
storico possa passare dalla proprietà dello Stato a quella di un altro ente
territoriale, ma se l'immobile risulta strettamente legato a un certo territorio
(perché «emblema)), ad esempio, di una città), la sua trasferibilità sia ristretta
agli enti che annoverano quel territorio come elemento costitutivo [sul punto
Sandulli 1989, 798 s.].

Sottrazione alla ga- Tale regola si manifesta altresì nella sottrazione degli stessi beni alla garanzia
ranzia patrimoniale patrimoniale (non assoggettabilità a espropriazione forzata, né a esecuzione in
e all'espropriazione
forma specifica) e all'espropriazione per pubblica utilità (v. ora art. 4, comma
lnusucapibilità l, del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 23 7) nonché nella inusucapibilità (acquisizione
della proprietà a seguito del possesso nel tempo).
PATRIMONIO E BENI 57

• A loro volta i beni patrimoniali indisponibili sono soggetti alla disciplina Regime dei beni
posta dall'art. 828, comma l, cod. civ., per la quale essi «non possono essere patrimoniali indi-
sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li ri- sponibili
guardano». La regola generale desumibile dalla disposizione è dunque quella
della non sottraibilità del bene alla finalità cui è destinato, che comporta la Non sottraibilità
nullità degli atti che determinino tale risultato (ex art. 1418 cod. civ.; v. ora alla destinazione
anche art. 164, comma l, Cod.).

Il che non esclude peraltro che in taluni casi ricorra una vera e propria ina- Inalienabilità
lienabilità. Pare questo il caso dei beni mobili oggetto di ritrovamenti, perché
«riservati» allo Stato, come si è detto, dagli artt. 91, comma l, Cod. e 826,
comma 2, cod. civ.
In generale, però, purché sia conservata la destinazione del bene, si ritengono Non soggezione
possibili l'alienazione ad altro ente pubblico al quale sia stato conferito il servizio all'espropriazione
pubblico espletato con il bene, l'usucapione, la costituzione di diritti reali a forzata
favore di terzi e l'espropriazione per pubblica utilità (in vista di un interesse
pubblico prevalente) (v. ora art. 4, comma2, d.p.r. 237/2001), mentre è esclusa
l'espropriazione forzata [Sandulli 1989,796 ss.; Casetta 2012, 214].

• Per i beni, infine, rientranti nel patrimonio disponibile vale, ai sensi dell'art. Regime dei beni
828, comma l, cod. civ., la disciplina comune (ai beni dei privati), fatta salva patrimoniali di-
la specifica regolamentazione contenuta nelle leggi che li riguardino. sponibili
La disciplina dei beni pubblici sinteticamente appena ricordata trova appli-
cazione anche ai beni culturali ad appartenenza pubblica come disciplina
di carattere generale o di base. Peraltro integrazioni e deroghe significative
- comportanti pertanto una disciplina di carattere speciale - sono presenti
nella legislazione di settore e in particolare nel Codice. Di esse occorre ora
fare indicazione.

Preliminarmente merita un cenno l'amministrazione dei beni culturali dello Stato Amministrazione
e degli enti pubblici. A qualunque tipo essi appartengono, l'amministrazione com-
pete ad apposite strutture dei vari enti. Nel caso dello Stato i beni, se immobili,
sono amministrati di massima dal ministero delle Finanze (art. l, comma l, del
r.d. 18 novembre 1923, n. 2440), ora ministero dell'Economia e delle Finanze,
per il tramite dell'Agenzia del demanio (artt. 23 e 65 del d.lgs. 30 luglio 1999, n.
300). Peraltro se assegnati a servizi governativi, essi s'intendono concessi in uso
gratuito ai ministeri che curano i servizi in questione e sono da questi amministrati
(art. l, comma 2, del r.d. 2440 e art. 21 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827).
Viceversa l'amministrazione dei beni mobili spetta al singolo ministero che li
ha in uso (art. l, comma 3, del r.d. 2440).
Dei beni immobili e mobili sono previsti inventari, distinti secondo i tipi di
appartenenza (art. 2 del r.d. 2440 e artt. l ss. del r.d. 827).
Simile all'inventariazione in termini materiali, ma diversa sotto il profilo fun- Catalogazione
zionale è la catalogazione dei beni culturali prevista dall'art. 17 Cod.
Mentre la prima tende a comporre l'elenco di tutti i beni posseduti da un ente
a prescindere dal loro valore culturale, la seconda si propone di raccogliere in
documenti denominati «schede» tutte le notizie di carattere storico, artistico
e giuridico concernenti i singoli beni culturali [Vaccaro Giancotti 2000, 67].
58 CAPITOlO l

La catalogazione è considerata momento preliminare sia rispetto al riconosci-


mento delle qualità intrinseche del bene culturale (e quindi aspetto connesso
alla sua individuazione), sia rispetto all'attività di vigilanza e conservazione, e
pertanto aspetto legato in generale alla tutela) [Petraroia 2007, 128 ss.J. L'art.
17 ne affida le funzioni amministrative (definizione delle procedure e modali-
tà, studio delle metodologie) alla responsabilità primaria dello Stato, ma con
un forte coinvolgimento («concorso») delle Regioni (commi 2 e 3). L'attività
di catalogazione è, invece, affidata, per i beni pubblici, agli enti territoriali in
ragione della loro appartenenza, mentre, per quelli privati, gli enti territoriali
provvederanno d'intesa con i soggetti proprietari (comma 4). L'obiettivo è
l'integrazione in rete delle banche dati curate da tali enti, sì da comporre il
«catalogo nazionale dei beni culturali» (commi 2 e 5).
Proprio in rapporto alle sue molteplici valenze la catalogazione si presenta di
rilevante importanza ai fini della funzione di tutela. Di questo si mostra ben
consapevole il Codice che ai commi 2 e 4 dell'art. 17 impegna il ministero e gli
enti territoriali minori a fissarne le modalità e a curarne l'attuazione. Si tratta a
ben vedere di un'attività d'interesse generale, rispetto alla quale ben possono
ipotizzarsi interventi di sussidiarietà verticale e orizzontale, che la normativa
di tutela potrebbe delineare e promuovere.

Destinazione alla I beni culturali (come pure i beni paesaggistici) ad appartenenza pubblica
fruizione coli et- sono «destinati alla fruizione della collettività». Con tale previsione I' art.
ti va 2, comma 4, Cod. ha esteso a tutti i beni culturali pubblici l'affermazione
che il Tu, all'art. 98, riferiva ai soli beni demaniali. Peraltro, secondo la
stessa norma, la destinazione incontra un limite nelle «esigenze di uso isti-
tuzionale» dei beni e nella esistenza di «ragioni di tutela» (ossia esigenze
di conservazione) degli stessi. Il limite delle «esigenze di uso istituzionale))
viene meno nel caso dei beni culturali inalienabili, che secondo l'art. 54,
comma 4, possono essere utilizzati «esclusivamente secondo le modalità e
per i fini previsti dal Titolo II della [ ... ] parte [seconda])), concernente la
fruizione/valorizzazione.

Come si è detto (supra, par. 5), la destinazione al godimento pubblico è propria,


in linea di principio, dei beni culturali tout court, pubblici o privati che siano, e
non pare identificare un tratto distintivo di quelli pubblici rispetto agli altri beni
culturali. È da dire però che il carattere conosce differenti livelli di attuazione
(infra, cap. 4). Inoltre le «esigenze di uso istituzionale)) si delineano in particolare
per i beni culturali demaniali «a doppio titolo)) (ad esempio una fortezza, che
rientra anche nel demanio militare, v. infra), per i quali la destinazione culturale
del bene deve convivere- risultando anche significativamente compressa- con
l'altra discendente dal diverso titolo di demanialità (talora dando luogo ad
attriti fra amministrazioni [Giannini 197 6, 35]). Da ultimo va tenuto presente
che per i beni culturali degli enti territoriali vi possono essere usi «individuali))
(art. 106 Cod.) che sottraggono i beni alla destinazione normale.
A ogni modo la formula dell'art. 2, comma 4, sembra presentare una qualche
utilità, giacché distingue i beni culturali dai beni pubblici che costituiscono
strumenti di cui l'amministrazione si serve per realizzare i suoi compiti (ad
esempio le strade ferrate rispetto al servizio ferroviario) [Sandulli 1989,
782 s.].
PATRIMONIO E BENI 59

In tema di alienabilità dei beni culturali alla disciplina civilistica si sovrappone Alienabilità
significativamente la disciplina di settore, specie quella contenuta negli artt.
53 ss. Cod. (l'argomento verrà trattato diffusamente in/ra, cap. 3, par. 3.1).
Per il momento è sufficiente osservare che, in deroga al regime generale dei
beni pubblici:
- non tutti i beni del demanio culturale sono inalienabili (arg. art. 54, commi
l e 2, e art. 55);
- all'opposto a essere inalienabili non sono solo beni del demanio culturale,
ma anche beni (o cose) facenti parte del patrimonio indisponibile e di quello
disponibile (art. 54, comma 2, lett. a e c).

Per completezza va inoltre tenuto presente che l'inalienabilità investe anche


cose di soggetti privati non pro/it (art. 54, comma 2, lett. a).

È opportuno, infine, accennare al fatto che a partire dall'ultimo decennio Evoluzione nor·
dello scorso secolo i beni pubblici, e in particolare quelli dello Stato, sono stati mativa
interessati da un processo di razionalizzazione, valorizzazione e dismissione.

Tale processo è iniziato con il d.l. 5 dicembre 1991, n. 386, con v. nella l. 29
gennaio 1992, n. 35, ed è proseguito con una serie di atti normativi tra i quali
possono ricordarsi le ll. 23 dicembre 1996, n. 662 (art. 3, comma 86), 23
dicembre 1998, n. 448 (art. 19), 2 aprile 2001, n. 136, e il d.l. 25 settembre
2001, n. 351 (art. 3 ), con v. nella l. 23 novembre 2001, n. 410 [sul punto Mari
2002, 820 s.].

Il processo ha coinvolto anche i beni pubblici aventi natura di beni culturali. Patrimonio dello
Sono da segnalare al riguardo l'istituzione a opera del d.l. 15 aprile 2002, Stato s.p.a.
n. 63, conv. nella l. 15 giugno 2002, n. 112, della «Patrimonio dello Stato
s.p.a.» (con compiti di valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio
dello Stato) e l'autorizzazione, contenuta nel medesimo atto normativa, alla
Cassa depositi e prestiti di costituire «Infrastrutture s.p.a.» (con compiti di Infrastrutture
finanziamento soprattutto di infrastrutture e opere pubbliche) (artt. 7 e 8). s.p.a.
Per la prima società l'art. 33, comma 8 del d.l. 6luglio 2007, n. 2011, n. 98,
conv. dalla l. 15luglio 2011, n. 111, ha disposto lo scioglimento e la messa in
liquidazione, mentre per la seconda l'art. l, comma 79, della l. 23 dicembre
2005, n. 266, ha stabilito l'incorporazione nella Cassa depositi e prestiti s.p.a.

Alla Patrimonio dello Stato s.p.a. potevano essere trasferiti, a titolo gratuito, Regime giuridico
diritti su beni del demanio e del patrimonio disponibile e indisponibile dello
Stato. Il trasferimento di beni «di particolare valore artistico e storico [andava]
effettuato d'intesa con il ministro per i Beni e le attività culturali». ll trasfe-
rimento non modificava il regime giuridico, previsto dagli artt. 823 e 829,
comma l, cod. civ., dei beni demaniali trasferiti. Restavano comunque fermi
i vincoli gravanti sui beni trasferiti (art. 7, comma 10). Conseguentemente la
direttiva Cipe del 19 dicembre 2002 aveva stabilito che l'alienazione di beni
culturali da parte della società potesse avvenire solo nei casi consentiti dalla
legge e comunque previa autorizzazione del Mibact.
60 CAPITOLO 1

L'art. 33-bis del d.l. 98/2011 ha previsto un programma di valorizzazione e


alienazione del patrimonio pubblico, disciplinando la relativa procedura.

Va altresì ricordato che all'interno del c.d. federalismo demaniale l'art. 5,


comma 5 del d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, ha previsto che nell'ambito degli
accordi di valorizzazione di cui all'art. 112 del Codice (in/ra, capp. 4 e 6), «lo
Stato prowede, entro un anno dalla data di presentazione della domanda di
trasferimento, al trasferimento alle Regioni e agli altri enti territoriali, ai sensi
dell'articolo 54, comma 3, del citato Codice, dei beni e delle cose indicati nei
suddetti accordi di valorizzazione».

LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Sui profili storici della normazione sui beni culturali: W. Vaccaro Gian cotti (a cura di), Beni e attività
culturali nell'evoluzione del sistema giuridico. La legge 1089/1939: dottrina, giurisprudenza, legislazione
a confronto, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1998; R. Balzani, Per le antichità e le belle arti.
La legge n. 364 del20 giugno 1909 e l'Italia giolittiana, Bologna, Il Mulino, 2004; L. Casini, I beni
culturali da Spadolini agli anni Duemila, in AA.W., Le amministrazioni pubbliche tra conservazione
e riforme. Omaggio degli allievi a Sabino Cassese, Milano, Giuffrè, 2009, pp. 423 ss.; C. Campanella,
Due secoli di tutela. Dagli stati preunitari alle leggi deroga, Firenze, Alinea, 2012; A. Emiliani, Leggi,
bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli antichi stati italiani 1571-1860,
Firenze, Polistampa, 2015; G. Melis, Dal Risorgimento a Bottai e a Spadolini. La lunga strada dei beni
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nella giurisprudenza costituzionale, in «Aedon», 2007, n. l; F. Merusi, Pubblico e privato e qualche
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Con riferimento ai correttivi introdotti al Codice dai d.lgs. 26 marzo 2008, nn. 62 e 63, v. i com-
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Carpentieri, Il secondo «correttivo» del codice dei beni culturali e del paesaggio, in «Urb e app.»,
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Su nozione, tipologia e caratteri dei beni culturali: Enchiridion dei beni culturali della Chiesa. Do-
cumenti ufficiali della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, Bologna, Edb, 2002.
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Fichera e S. Martone, La tutela del patrimonio archeologico italiano: i limiti dell'attuale normativa e
nuove proposte di integrazione al Codice, in «Aedon», 2015, n. 3; G. Severini, Centri storici: occorre
62 CAPITOLO l

una legge speciale o politiche speciali?, in «Aedon», 2015, n. 2; G. Volpe, Patrimonio al futuro. Un
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2014; L. Gas parini, Il patrimonio culturale immateriale. Riflessioni per un rinnovamento della teoria
e della pratica sui beni culturali, Milano, Vita e Pensiero, 2014; G. Severini, Immaterialità dei beni
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Sui processi di dismissione del patrimonio pubblico e i beni culturali: S. Foà, Il patrimonio immobi-
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amm.)), 2004, pp. 358 ss.; M. Renna, La regolazione amministrativa dei beni a destinazione pubblica,
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PATRIMONIO E BENI 63

Possono inoltre utilmente consultarsi manuali e voci di enciclopedie e trattati, quali in particolare:
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Arte, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1958, vol. III, pp. 96 ss.; G. Piva, voce Cose d'arte, in Enc. dir.,
Milano, Giuffrè, 1962, vol. XI, pp. 93 ss.; T. Alibrandi e P. G. Ferri, I beni culturali e ambientali, IV
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lieri (a cura di), Il diritto dei beni culturali e del paesaggio, vol. l: I beni culturali, Napoli, Editoriale
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rz/orma della pubblica amministrazione alla riforma dei beni culturali, Milano, Cuem, 2007; L. Casini,
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paesaggistici dopo il d.leg. n. 6312008, Milano, lpsoa, 2009; S. Messineo, Lezioni di diritto italiano
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culturali e paesaggistici, IV ed., Milano, Giuffrè, 2009; W. Vaccaro Giancotti, Il patrimonio culturale
nella legislazione costituzionale e ordinaria. Analisi, proposte e prospettive di riforma. Appendice di
aggiornamento, Torino, Giappichelli, 2009; A. Bartolini, voce Beni culturali (diritto amministrativo),
in Enc. dir, Annali VI, Milano, Giuffè, 2013, pp. 93 ss. F. Lemme, Compendio di diritto dei beni
culturali, Padova, Cedam, 2013; G. Volpe, Manuale di diritto dei beni culturali. Storia e attualità,
III ed., Padova, Cedam, 2013; A. Crosetti e D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, IV ed., Torino,
Giappichelli, 2014; A. Morrone, Lineamenti di diritto dei beni culturali e del paesaggio, Milano, Giuffrè,
2014; A. Roccella, Legislazione dei beni culturali, Parma, Bottega del libro, 2015; G. Boldon Zanetti,
Il nuovo diritto dei beni culturali, Venezia, Cafoscarina, 2016; M. Montella (a cura di), Economia e
gestione dell'eredità culturale, Padova, Cedam, 2016.
Organizzazione e soggetti

l. IL SISTEMA DEL PATRIMONIO CULTURALE: SOGGETI1


PUBBLICI E SOGGETII PRNATI

n settore del patrimonio culturale è aperto all'intervento e perciò alle azioni


di diversi soggetti, tanto pubblici, come lo Stato, gli enti pubblici territoriali
(Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni) e non territoriali, quanto
privati, siano essi persone fisiche, ossia singoli individui, o persone giuridiche,
vale a dire complessi organizzati di persone e/o di cose, pro/it o non pro/it, o
enti non riconosciuti.
Una pluralità di attori, diversi fra loro, quanto a natura giuridica e a condizione Pluralità di attori
istituzionale, chiamati ad assolvere ruoli altrettanto diversi, in ragione delle per il patrimonio
funzioni e dei compiti a essi spettanti nonché della relazione in cui ognuno culturale
di essi si trova con il singolo bene culturale.

Salvo quanto si avrà modo di illustrare meglio, nelle pagine che seguono, è utile
ricordare, sin da ora, quanto stabilisce l'art. l del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42
e succ. mod, con il quale è stato approvato il «Codice dei beni culturali e del
paesaggio». In questa disposizione, volta a enunciare i principi della disciplina
codicistica, dopo essersi stabilito, nel comma l , che la Repubblica, in attua-
zione dell'art. 9 Cast., «tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza
con le attribuzioni dell'art. 117 della Costituzione)), si specificano i compiti e
le funzioni spettanti ai diversi soggetti, precisando che: «Lo Stato, le Regioni,
le Città metropolitane, le Province e i Comuni assicurano e sostengono la con-
servazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la
valorizzazione)) (comma 3 ); che «gli altri soggetti pubblici, nello svolgimento
della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro
patrimonio culturale)) (comma 4). Ai soggetti privati, proprietari, possessori
o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale si chiede invece di
«garantirne la conservazione)) (comma 5), salva la possibilità loro riconosciuta,

Questo capitolo è di Carla Barbati.


66 CAPITOLO 2

da altre disposizioni del Codice, di assumere iniziative volte alla valorizzazione


dei beni culturali di appartenenza sia privata sia pubblica (v. principalmente,
artt. 111, 112, 113, 115 Cod.).

Natura giuridica La natura giuridica del soggetto titolare di diritti sui beni culturali in~uisce
del soggetto e re- anche sul regime normativa dei singoli beni, dando fondamento alla grande
gime dei beni distinzione tra beni culturali di proprietà pubblica e beni culturali di proprietà
privata, sottoposti a taluni effetti a una disciplina differenziata.

A questo proposito, merita di essere ricordato lo statuto ulteriormente diffe-


renziato previsto per una peculiare quanto, nell'esperienza italiana, rilevante
tipologia di beni culturali, quali sono quelli appartenenti agli enti ecclesiastici
o, come preferisce dire l'art. 9 Cod., agli «enti e istituzioni della Chiesa cattolica
o di altre confessioni religiose)), Per essi, che vanno a comporre la categoria dei
«beni culturali d'interesse religioso)), si contempla, infatti, un regime speciale,
caratterizzato dalla loro sottoposizione alle leggi dello Stato italiano, sia pure
sulla base delle disposizioni «stabilite dalle intese concluse ai sensi dell'articolo
12 dell'accordo di modificazione del Concordato lateranense firmato il18 feb-
braio 1984, ratificato e reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, n. 121, ovvero
dalle leggi emanate sulla base delle intese sottoscritte con le confessioni religiose
diverse dalla cattolica, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della Costituzione)).
In questo senso l'art. 12 dell'accordo firmato a Roma il18 febbraio 1984, che
apporta modificazioni al Concordato lateranense dell' 11 febbraio 1929 tra la
Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con la legge 25
marzo 1985, n. 121, stabilisce, fra l'altro che: «La Santa Sede e la Repubblica
italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico e
artistico. Al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze
di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti concorderanno op-
portune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni
culturali d'interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche)).

In questo capitolo si analizzeranno i ruoli assegnati o comunque possibili


agli attori pubblici del sistema dei beni culturali, verificando quali ne siano
le funzioni e i compiti, quali gli assetti organizzativi, quali le reti di relazioni
di cui sono, o possono essere, parti.
Quanto agli attori privati, si esamineranno i principi in base ai quali il legi-
slatore costituzionale e ordinario ne definisce gli interventi, per rinviare alle
analisi che se ne effettueranno nei capitoli 3 e 51' esame più approfondito dei
contributi che essi sono chiamati o autorizzati ad apportare alla tutela, alla
gestione e alla valorizzazione del patrimonio culturale.

2. LO STATO E LEAUTONOMIETERRITORIALI

2.1. Le indicazioni costituzionali

Art. 9 Cost. La Costituzione italiana dedica ai beni culturali uno dei propri principi fon-
damentali. Nell'art. 9 si legge che: «1. La Repubblica promuove lo sviluppo
ORGANIZZAZIONE E SOGGETII 67

della cultura e la ricerca scientifica e tecnologica. 2. Tutela il paesaggio e il


patrimonio storico e artistico della Nazione)).
Con questa disposizione, sia la tutela del patrimonio culturale sia la sua valoriz- Tutela come do-
zazione, che è ciò in cui si traduce la promozione dello sviluppo della cultura, vere
quando sia a esso riferita, sono state riconosciute tra i doveri (la tutela) e tra
le finalità (la valorizzazione) che devono caratterizzare l'azione dei pubblici Valorizzazione co·
poteri ossia, per usare l'espressione del costituente, della Repubblica. me finalità

I precetti costituzionali hanno la capacità di operare come fonti del diritto,


ossia sono uno dei mezzi attraverso i quali si creano le norme giuridiche. Tal uni
enunciati, tuttavia, possiedono un carattere essenzialmente programmatico o di
indirizzo che assegna a essi un differente (minore) grado di prescrittività. Tale è
l'efficacia che si deve riconoscere al richiamo alla promozione (valorizzazione)
della cultura, da intendersi come finalità/scopo da perseguire, laddove la tutela
si configura come dovere costituzionalmente riconosciuto.

Come spesso accade con le norme costituzionali, anche l'art. 9 è stato oggetto
di estesi dibattiti, quanto al significato da assegnare alle sue enunciazioni.
Particolarmente discussa è stata l'accezione in cui assumere il termine Repub-
blica che, come risulta dai lavori preparatori della Costituzione, fu accolto, in
sostituzione dell'originario riferimento allo Stato, per «lasciare impregiudicata
la questione dell'autonomia regionale)).

Il termine Repubblica ricorre più volte nel testo costituzionale, dove non
appare sempre utilizzato nel medesimo significato. Talvolta, esso è impiegato
per riferirsi a ciò che, nel linguaggio giuridico, si definisce Stato-persona o
Stato-apparato, ossia allivello di governo centrale o nazionale, come nel caso
dell'art. 33 Cost. Altre volte, si usa per riferirsi allo Stato-ordinamento, ossia
allo Stato in tutte le articolazioni territoriali che lo compongono, come avviene
nell'art. 114 Cost. il cui comma l stabilisce che «La Repubblica è costituita dai
Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo StatO)).

Sebbene, nel passato, vi sia stato chi ha sostenuto che il rinvio alla Repubblica, La Repubblica co·
effettuato dall'art. 9 Cast., dovesse intendersi allo Stato-apparato, l'orienta- me Stato-ordina·
mento prevalente, oggi consolidato, è stato ed è nel senso di ritenere che il mento
riferimento sia allo Stato-ordinamento.
L'art. 9 Cast. può perciò annoverarsi fra le disposizioni che hanno introdotto
l'esigenza di definire il quadro delle competenze, ossia di stabilire quali dei
compiti da esso assegnati alla Repubblica, per il settore dei beni culturali,
spettino allo Stato centrale e quali alle autonomie territoriali.

La Costituzione del1948, nelle altre sue disposizioni, non operava riferimenti


significativi alla questione dell'assetto delle competenze in materia di beni cul-
turali, se si esclude la menzione, operata nel (previgente) art. 117, dei «musei
e biblioteche di enti locali)), quali espressioni di un patrimonio culturale che,
in quanto appartenente al territorio, era fatto rientrare tra le materie su cui le
Regioni disponevano di competenza legislativa concorrente.
68 CAPITOLO 2

Competenze dopo Con la l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, di modifica del Titolo V, parte seconda,
la l. cost. 3/2001 deUa Costituzione, la questione degli assetti delle competenze, anche nel
settore dei beni culturali, acquista un nuovo e diverso spessore.
n rafforzamento dell'autonomia da riconoscere alle articolazioni territoriali
della Repubblica, ossia ai livelli di governo substatali (Regioni, Province,
Città metropolitane, Comuni), conduce il legislatore costituzionale del2001
a sovvertire o, come altrimenti si preferisce dire, a «ribaltare» i principi che
sino allora reggevano i rapporti tra Stato centrale e autonomie territoriali.

L'autonomia, da intendersi, secondo il suo significato etimologico, come


capacità di governare sé stessi, comporta che vi siano materie, interessi o, più
genericamente, questioni assegnate alla cura e, perciò, alla competenza degli enti
territoriali e che, in quegli ambiti, il livello di governo superiore, segnatamente
lo Stato, non possa imporre le proprie determinazioni, se non quando si tratti
di perseguire interessi o finalità, costituzionalmente riconosciute, che auto-
rizzano questo suo intervento e la conseguente limitazione degli spazi rimessi
alle autonomie. I confini di quest'autonomia, territoriale, sono stabiliti dalla
Costituzione. Il che spiega perché il rafforzamento del principio autonomistico
sia stato operato dalla legge costituzionale del2001, ridelineando, nel senso di
allargare, questi confini.

La L cost. 3/200 l riscrive l'art. 117 della Costituzione, modificando i criteri di


riparto della potestà legislativa tra Stato e Regioni (ordinarie) e, a questo fine,
ridefinisce, quantitativamente e qualitativamente, gli ambiti di competenza
dello Stato e delle Regioni.
Potestà legislativa Lo Stato diventa titolare di una potestà legislativa, che può definirsi speciale,
ex an. 117 Cost. in quanto è legittimato a disciplinare in via esclusiva, con proprie leggi, solo
una serie di materie e/o di interessi elencati nel comma 2 della norma.
Per le restanti materie, la potestà legislativa è delle Regioni che si trovano
perciò a disporre di quella competenza generale, prima spettante allo Stato.

È il cosiddetto «ribaltamento» nei criteri di riparto delle competenze che, già


accolto dalla l. 15 marzo 1997, n. 59 per le funzioni amministrative (v. in/ra,
par. 2.2), è esteso, dalla legge di modifica costituzionale del2001, alle funzioni
legislative.

La potestà legislativa delle Regioni, tuttavia, ha un'estensione diversa, secondo


gli ambiti sui quali si esercita.
Nel comma 3 dell'art. 117 Cost. sono indicate le materie sulle quali la Regione
è titolare di una competenza legislativa concorrente che - in quanto tale -
convive con la potestà legislativa statale di fissare i principi fondamentali
di disciplina.
Per le altre materie, escluse da questo elenco e perciò stesso «innominate»
(comma 4), le Regioni disporrebbero di una competenza legislativa generale-
residuale, non assoggettata ad alcun limite specifico, ulteriore a quelli generali
che circondano anche l'azione del legislatore statale e, come tali, enunciati
ORGANIZZAZIONE E SOGGETII 69

nel comma l dell'art. 117, ossia il «rispetto della Costituzione [ ... ] dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali)),

Circa le Regioni speciali (Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentina-Alto


Adige/Siidtirol e Valle d'Aosta!Vallée d'Aoste) titolari di forme e condizioni
particolari di autonomia, vale il rinvio a quanto stabilito nei loro statuti, adottati
con legge costituzionale (art. 116, comma l, Cost.).

Le soluzioni accolte in materia di potestà legislativa si riflettono sul riparto n


riparto della po-
della potestà regolamentare, tramite la quale si adottano gli atti normativi testà regolamen-
tare
secondari, volti all'attuazione e applicazione delle leggi.
L'art. 117 Cost., nel suo comma 6, stabilisce, infatti, che «La potestà regola-
mentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega
alle Regioni)), mentre spetta alle Regioni «in ogni altra materia)), dunque sia in
quelle assegnate alla loro competenza residuale-generale sia in quelle attribuite
alla potestà legislativa concorrente di Stato e Regioni.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane- enti ai quali è riconosciuta solo


la potestà di adottare atti normativi secondari- «hanno potestà regolamentare
in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni
loro attribuite)) (art. 117, comma 6, Cost.).

Guardando a quale sia, in base al Titolo V Cost., l'assetto delle competenze L'assetto delle
legislative nel settore dei beni culturali si deve, innanzi tutto, evidenziare che competenze legi-
slative
essi non rilevano, a tali effetti, come materia a sé stante.
Portando a ulteriore svolgimento la scelta operata, per il riordino delle fun-
zioni amministrative, dalla l. 15 marzo 1997, n. 59 e dal d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 112 (v. in/ra, par. 2.2), la l. cost. 3/2001 fonda il riparto delle competenze
sulle funzioni (attività) delle quali i beni culturali possono essere oggetto.
In base a quanto dispone l'art. 117 Cost., alla potestà legislativa esclusiva Tutela alla potestà
dello Stato è riservata la «tutela (dell'ambiente, dell'ecosistema e) dei beni legislativa dello
Stato
culturali)) (comma 2, lett. s).
La <<Valorizzazione dei beni culturali (e ambientali))) è assegnata alla potestà La valorizzazione
legislativa concorrente (comma 3). Di conseguenza, secondo la configurazione alla potestà legisla-
di questo tipo di competenza, la legge statale sarebbe autorizzata a intervenire tiva concorrente
solo per la fissazione dei principi fondamentali, lasciando la restante disciplina
(c.d. «di dettaglio))) alla legge regionale.

Circa l'estensione dell'intervento consentito allo Stato, tramite le leggi di prin-


cipio, molto dipende da ciò che s'intende come «principio fondamentale)),
Questione da sempre controversa, stante la sostanziale «politicità)) di ogni
valutazione tesa a stabilire quando una disciplina possa ritenersi «di principio))
e quando «di dettaglio)), resa ancor più complessa dai nuovi criteri di riparto
delle competenze. Questi, configurando la potestà legislativa statale come
«speciale)), suggeriscono di interpretare restrittivamente gli spazi lasciati alle
leggi statali di principio.
70 CAPITOLO 2

Una qualificazione che, comunque, non può intendersi rimessa alla sola valuta-
zione del legislatore statale, dovendosi riconoscere la competenza della Corte
costituzionale a verificare l'effettiva natura di «principio» delle disposizioni.
Quanto all'efficacia condizionante dei principi fondamentali posti con legge
statale, è necessario ricordare altresì che, come chiarito dalla Corte costituzionale
(v. sent. 282/2002), le Regioni, per esercitare le proprie competenze legislative
di tipo concorrente, non devono attendere l'eventuale determinazione dei
principi fondamentali da parte dello Stato (in questo senso, anche art. l, L 5
giugno 2003, n. 131 e Corte cost. sent. 94/2003).
Peraltro, l'eventuale intervento legislativo statale, anche di dettaglio, in base a
una giurisprudenza costituzionale risalente e consolidata, continua ad applicarsi
sino a che le Regioni non legiferino in materia: solo da questo momento la legge
statale, di dettaglio, cede di fronte alla normativa regionale.

La potestà rego- Quanto alla potestà regolamentare, lo Stato conserva la legittimazione a


larmentare in ma- esercitarla in materia di tutela dei beni culturali, salva la possibilità di delega
teria di tutela ...
alle Regioni.
.. . e di valorizza- La circostanza, invece, che la valorizzazione sia assegnata alla competenza
z10ne legislativa concorrente avrebbe dovuto impedire allo Stato di intervenire con
propri regolamenti: la potestà regolamentare, in questo caso, spetterebbe,
infatti, solo alle Regioni (art. 117, comma 6, Cost.), quale che sia il bene
culturale interessato.

Questa poteva immaginarsi come una delle prime conseguenze di quella se-
parazione fra tutela e valorizzazione che, almeno agli effetti delle competenze
normative, sembrava introdotta dalla lettera della Costituzione: una separazione
che, pur idonea a consentire una migliore definizione dei ruoli spettanti ai diversi
livelli di governo, apriva anche nuovi e incerti scenari alla disciplina di settore, la
quale si sarebbe dovuta confrontare con le ineliminabili interferenze tra queste
due attività/funzioni [Barbati 2003, 149 e, sul punto, v. anche capp. l e 4].

Alla giurisprudenza costituzionale, successiva alla modifica del Titolo V ma


anteriore all'adozione del Codice, si è però dovuta un'interpretazione di queste
disposizioni per effetto della quale si autorizza un assetto delle competenze
normative, nel settore dei beni culturali, che attenua la separazione fra tutela
e valorizzazione.
Dapprima, con sentenza 26-28 marzo 2003, n. 94, il giudice costituzionale
ha riconosciuto uno spazio, sia pure limitato, per interventi del legislatore
regionale anche in materia di tutela, consentendogli di identificare «altri»
beni culturali, sia pure al solo fine di valorizzarli e sempre che queste misure
si aggiungano, e non si sostituiscano, alla normativa statale [Poggi 2003;
Ai cardi 2003].
In seguito, con sentenza 19 dicembre-20 gennaio 2004, n. 26, la Corte costi-
tuzionale ha ritenuto di leggere il nuovo quadro delle competenze, delineato
dal Titolo V, alla luce delle soluzioni che, specie in materia di valorizzazione,
erano già state accolte dall'art. 152 del d.lgs. 112/1998 [Nardella 2004, su
cui v. anche in/ra, par. 3].
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 71

Lo Stato si deve, perciò, ritenere legittimato a esercitare anche la propria


potestà regolamentare in materia di valorizzazione, quando riguardi beni
culturali di cui esso abbia la titolarità/disponibilità, mentre spetta alle au-
tonomie territoriali con riferimento agli altri beni culturali di appartenenza
pubblica.

L'art. 152 d.lgs. 112/1998, benché anteriore alla modifica del Titolo V Cost., a
giudizio della Corte, «conserva tuttora la sua efficacia interpretativa non solo
perché è individuabile una linea di continuità tra le legislazioni degli anni 1997-
1998, sul conferimento di funzioni alle autonomie locali, e la l. cost. 3/2001,
ma soprattutto perché è riferibile a materie-attività come, nel caso di specie,
la tutela, la gestione o anche la valorizzazione di beni culturali, il cui attuale
significato è sostanzialmente corrispondente con quello assunto al momento
della loro originaria definizione legislativa>>.
Di conseguenza, poiché la disposizione in esame «presuppone un criterio di
ripartizione delle competenze, che viene comunemente interpretato nel senso
che ciascuno>> dei livelli di governo interessati «è competente a espletare quelle
funzioni e quei compiti riguardo ai beni culturali, di cui rispettivamente abbia la
titolarità», ne deriva che, quando gli interventi abbiano a oggetto beni culturali
di «titolarità» statale, a esso spetta non soltanto la loro tutela, ma anche la loro
gestione, così come la disciplina della loro valorizzazione.
Questo criterio di riparto delle competenze, in materia di valorizzazione, attento
al soggetto pubblico cui spetta la «titolarità-disponibilità» del bene culturale,
è quello stesso poi accolto dal Codice, il quale ne estende le conseguenze alle
funzioni legislative (v. soprattutto, artt. 7 e 112 Cod., in/ra, par. 2.2).

n modello generale di riparto delle competenze legislativo-normative, sin qui


ricordato, può conoscere delle variazioni.
In base a quanto prevede l'art. 116, comma 3, Cost., alle Regioni che, sentiti Ulteriori forme e
gli enti locali, ne assumano l'iniziativa, possono essere assegnate, con legge condizioni di au-
approvata a maggioranza assoluta dalle Camere e sulla base di un'intesa tra tonomia
lo Stato e la Regione, «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia»
per le materie di competenza concorrente delle Regioni, tra le quali rientra la
valorizzazione dei beni culturali, e per alcune materie oggetto di legislazione
statale esclusiva, tra le quali è indicata la tutela.

nlegislatore costituzionale ha, in tal modo, inteso consentire soluzioni diversifi-


cate da Regione a Regione, secondo l'idea c.d. del «federalismo a più velocità»,
definito anche regionalismo differenziato, capace di assegnare funzioni e ruoli
più ampi alle Regioni che si reputino attrezzate allo scopo.
Circa il settore dei beni culturali, la formula generica utilizzata dalla norma,
sembra dunque autorizzare assetti differenti che potrebbero anche essere con-
notati, quanto alla valorizzazione, da un'eliminazione o riduzione dei vincoli
che derivano dai principi fondamentali delle leggi statali, sino a farne materia
di competenza generale-residuale delle Regioni, e quanto alla tutela, dalla sua
sottrazione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato (v. Regione Toscana-
Ipotesi di autonomia speciale in materia di beni culturali (e ambientali), ex art.
116, comma 3, in «Aedon», 2003, n. 1).
72 CAPITOLO 2

Il riparto delle Quanto alle funzioni amministrative, il loro riparto fra i diversi livelli di go-
funzioni ammini- verno obbedisce ai principi enunciati nell'art_ 118, comma l, Cost_, dove si
strative legge che: «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che,
per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropo-
litane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione
e adeguatezza»_
Sussidiarietà Ed è appunto il principio di sussidiarietà (verticale), introdotto nel nostro
ordinamento positivo dalla l. 59/1997 e accolto nei medesimi termini dall'art.
118, nella riformulazione disposta in occasione della riforma costituzionale
del2001, a comportare che tra i diversi livelli di governo cui possono essere
assegnate competenze amministrative debba essere preferito quello inferiore,
più vicino alle collettività, ossia il Comune.
Differenziazione e Tuttavia, la disposizione costituzionale, accanto a esso, richiama anche i
adeguatezza principi di differenziazione e di adeguatezza. La conseguenza è che la scelta
per l'allocazione delle funzioni, presso il livello di governo comunale, deve
leggersi come un'indicazione di preferenza.

Lo scorrimento II disegno delineato dall'art. 118, comma l, Cast. non comporta dunque alcuna
delle funzioni rigidità nell'assetto delle competenze amministrative. Al contrario, reca in sé
l'idea dello scorrimento delle funzioni, da collocare presso il livello di governo
maggiormente adeguato a esercitarle. Pertanto, nel caso in cui la dimensione
delle funzioni, ossia la loro rilevanza e la complessità degli interventi in cui si
estrinsecano, faccia ritenere il Comune inadeguato a esercitarle, il principio e le
esigenze dell'adeguatezza comportano lo spostamento delle competenze verso
un livello di governo superiore. Una variabilità di assetti, indotta dai principi di
sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione che potrà investire anche il piano
delle funzioni legislative, secondo le indicazioni offerte dalla giurisprudenza
costituzionale nella sentenza 303/2003, conducendo allo spostamento verso
l'alto, e anche in capo allo Stato, delle stesse potestà legislative/normative che
servono, come impone il principio di legalità dell'azione amministrativa, alla
disciplina delle funzioni amministrative allocate presso il centro. Una deroga
che, comunque, richiede, fra le altre condizioni, quella della «previa intesa>>
con la Regione interessata [Bartole 2004].

Poiché l'attribuzione di funzioni amministrative richiede un atto di natura


legislativa, i soggetti che decidono, in merito alloro riparto, sono lo Stato
o le Regioni i quali provvedono, con proprie leggi, a disporre questi con-
ferimenti per le funzioni che rientrino nelle rispettive aree di competenza
legislativa.

In questo senso l'art. 118, comma 2, Cast., per il quale: «l Comuni, le Pro-
vince e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative pro-
prie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze».

Gli assetti delle competenze amministrative, già in base ai principi costi-


tuzionali, possono dunque essere anche altamente differenziati a seconda
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 73

delle realtà territoriali e delle funzioni con le quali ci si confronta e ancor più
potranno esserlo a seguito del ridi segno dell'amministrazione locale avviato
dalla l. 7 aprile 2014, n. 56, nota anche come legge Delrio.
Nell'intento di realizzare una semplificazione del sistema delle istituzioni Competenze am-
territoriali, a Costituzione invariata, con la l. 56/2014 si opera un profondo ministrative dopo
ripensamento del livello di governo intermedio, fra Stato e Regioni coin- il ridisegno del-
l' amministrazione
cidente, nell'esperienza del nostro ordinamento, con le Province e con le locale
Città metropolitane, trasformandole in enti di area vasta, con una differente
configurazione istituzionale e funzionale. Al contempo, anche i Comuni sono
interessati da un processo di riordino volto principalmente ad assicurare un
ambito dimensionalmente adeguato all'esercizio delle funzioni loro spettanti.
Al di là delle indicazioni che, in tal senso, fornisce la legge statale, molto è
demandato al legislatore regionale, al quale sono in tal modo rimesse scelte,
circa l'allocazione delle funzioni di spettanza delle amministrazioni locali e
le modalità organizzative del loro esercizio, che aprono a scenari ancor più
diversificati.

In particolare, occorre ricordare che, per effetto del riordino del sistema lo-
cale disposto dalla l. 56/2014, le province sono trasformate da enti autonomi,
elettivi, in enti di area vasta, di secondo grado, ossia non direttamente elettivi,
ma espressioni dei Comuni compresi nel loro ambito, connotandosi quali enti
intercomunali sia quanto a composizione dei loro organi di governo sia quanto
a competenze, definite e identificate direttamente dalla legge (art. l, comma
85) come loro funzioni fondamentali.
Al contempo, la L 56/2014 dà concreta istituzione alle Città metropolitane,
previste fra i livelli di governo già dalla legge costituzionale del2001, ma mai
venute in esistenza e a esse, parimenti considerate «enti di area vasta», assegna
specifiche «funzioni metropolitane», prevedendo che sia loro rimessa la scelta
di costituirsi in forma elettiva o come enti di secondo grado.
Il processo di riordino, pur rivolto in via diretta all'amministrazione del livello
intermedio, investe tuttavia anche gli altri governi territoriali. In particolare,
interviene sui Comuni con misure che ne impongono un'organizzazione
dimensionalmente adeguata all'esercizio delle funzioni, sia tramite il ricorso
obbligatorio a forme associate di esercizio delle funzioni, per i Comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti, sia tramite processi di vera e propria
fusione. Questi ultimi potranno essere tanto quelli tradizionali, già previsti
dalla legge 142 del 1990 e poi dall'art. 15 del Tuel, come oggetto di una
competenza regionale, in esito ai quali la fusione conduce alla nascita di un
nuovo Comune, quanto fusioni «per incorporazione}}, quale «vicenda per un
verso aggregativa e, per altro verso, estintiva» (v. Corte cost. sent. 15/2014,
cons. in diritto, par. 6.2.2) introdotta dalla l. 56/2014, comma 130, e da
questa perciò configurata come oggetto di una competenza legislativa stata-
le. A differenza di quanto avviene nel caso delle fusioni tradizionali, quella
«per incorporazione» prevede la continuità del Comune incorporante che
vedrà comunque modificarsi i propri confini oltre che la propria situazione
finanziaria, succedendo ai Comuni incorporati, e pertanto soppressi, in tutti
i rapporti giuridici.
Il ruolo assegnato alle Regioni, all'interno di questo processo di riordino resta
centrale. Alle Regioni, la l. 56/2014 assegna infatti il compito di concorrere a
74 CAPITOLO 2

realizzare la trasformazione dell'amministrazione locale, definendo il ruolo e


le attribuzioni delle Province e delle Città metropolitane, ulteriori e diverse
da quelle fondamentali a esse assegnate dalla legge, nonché identificando gli
ambiti di riorganizzazione dei Comuni.

Il riparto delle L'applicazione al settore dei beni culturali dei criteri di riparto delle funzioni
funzioni ammini- amministrative, enunciati dalla Carta costituzionale, può dunque aprire a
strative soluzioni, anche per essi, variabili e innovative.
Quanto alla tutela, la lettera della Costituzione non impedisce, ma al contra-
rio consente di pensare che lo Stato possa conferire funzioni in materia alle
autonomie territoriali, specie regionali, venendo in tal modo a disarticolare
questa funzione e a riconoscere spazi per interventi delle Regioni.
Quanto alla valorizzazione, potranno essere le Regioni ad assegnare compiti
e funzioni ai livelli di governo inferiori, mentre, in base ai principi generali,
si deve escludere che esse possano attribuirne agli apparati statali.
Ed è sempre con riferimento alla tutela dei beni culturali che s'introduce
un ulteriore elemento di flessibilità, quanto agli assetti delle competenze,
laddove l'art. 118 Cost. prevede che la legge statale possa disciplinare forme
di coordinamento fra Stato e Regioni.

Un assetto che, quanto ai livelli locali, conosce anche le altre variabili indotte dal
processo di riordino voluto dalla L 56/2014. La trasformazione delle Province;
voluta da questa legge nei termini che si sono prima ricordati, e la circostanza
che gli interventi nel settore dei beni culturali non siano stati da essa annoverati
tra le funzioni fondamentali dei nuovi enti di area vasta, né delle Province né
delle Città metropolitane (art. l, commi 85 e 44) ha sostanzialmente rimesso
al legislatore regionale la scelta del livello di governo al quale assegnare le
attribuzioni e i beni che, in precedenza, erano loro imputati.
Nonostante le disponibilità del Mibact, inizialmente dichiarate, ad assorbire i
beni culturali di proprietà provinciale così da assicurarne continuità di tutela e
di valorizzazione, la scelta, operata in occasione dell'accordo stipulato, in sede
di Conferenza unificata, 1'11 settembre 2014, jn attuazione dell'art. l, comma
91, della L 56/2014, per la concreta attuazione del processo di riordino, è stata
nel senso di demandare alle Regioni la ricerca delle soluzioni per fare fronte,
anche quanto a risorse finanziarie, alle esigenze dei beni culturali già di proprietà
delle province. Il che ha condotto a comportamenti altamente differenziati.
Sebbene non siano mancate Regioni che hanno conservato tali attribuzioni in
capo ai nuovi enti di area vasta, ossia alle Province e alle Città metropolitane,
la maggior parte di esse ha preferito trattenere a sé queste funzioni, in via
definitiva o transitoria. [Tubertini 2016].

La sussidiarietà Accanto alla sussidiarietà verticale, che governa l'allocazione delle funzioni
orizzontale (rin- tra i livelli di governo, si colloca il principio di sussidiarietà orizzontale (art.
vio)
118, comma 4, Cost.), che informa, invece, la distribuzione dei compiti am-
ministrativi tra pubblico e privato (su questo v. capp. 4 e 6).
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 75

2.2. Le scelte del Codice dei beni culturali e del paesaggio

È su questo tessuto istituzionale che poggiano le soluzioni accolte dal d.lgs. li Codice dei beni
22 gennaio 2004, n. 42 con cui è stato approvato il Codice dei beni culturali cwturali e del pae-
e del paesaggio, corretto e integrato, in molte sue disposizioni, dai successivi saggio
decreti legislativi 24 marzo 2006, n. 156 e n. 157, e 26 marzo 2008, n. 62 e n.
63, nonché da altri più recenti provvedimenti.

La sua adozione intendeva rispondere, principalmente, a due esigenze, indicate


dal legislatore che, a questo scopo, aveva delegato il governo, con l'art. l Odella
l. 6luglio 2002, n. 137: codificare le disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali (comma l, lett. a), assicurare l'adeguamento della loro
disciplina alle disposizioni costituzionali del2001 (comma 2, lett. a).

Il Codice era destinato a sostituirsi al d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, recante


il «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e
ambientali», del quale dichiarava l'integrale abrogazione (art. 184, comma
l, Cod.).

Il nuovo testo normativa si sovrapponeva, però, alle disposizioni, in mate-


ria, del d.lgs. 112/1998, ossia di uno dei provvedimenti di attuazione della
l. 59/1997, alla quale si deve l'avvio di quello che, da tal uni, fu definito il
«federalismo amministrativo a Costituzione invariata» e che altri preferirono
denominare «terzo decentramentO>), per rilevarne la continuità con le espe-
rienze precedenti.
La l. 59/1997, recante «Delega al governo per il conferimento di funzioni e
compiti alle Regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione
e per la semplificazione amministrativa)>, nota anche come Bassanini l, dal nome
del ministro per la Funzione pubblica che ne fu proponente, ha dato forma
e contenuti al terzo intervento effettuato dal legislatore per il decentramento
di compiti e funzioni amministrative, a favore del sistema delle autonomie
territoriali. Terzo, perché successivo a quelli operati con i decreti legislativi
del gennaio 1972 e, poi, con il d.p.r. 24luglio 1977, n. 616, adottato sulla base
della legge delega 22luglio 1975, n. 382.
Quanto al settore dei beni culturali, le indicazioni offerte da queste due prime
«regionalizzazioni», degli anni Settanta, lasciarono indefinite molte questioni.
Il d.p.r. 616/1977, dopo essersi limitato a precisare nell'art. 47, con formula-
zione in gran parte ripetitiva di quanto già disposto con il d.p.r. 3/1972, quali
fossero le funzioni amministrative relative alla materia «musei e biblioteche
di enti locali», di cui si contemplava il trasferimento alle Regioni, mostrava
di assegnare a questa disposizione un carattere solo provvisorio, facendo
riferimento, nell'art. 48, a una futura «legge sulla tutela dei beni culturali»,
da emanare entro il31 dicembre 1979 (termine non vincolante e che, di fatto,
non fu osservato).
Gli obiettivi della l. 59/1997 erano, sostanzialmente, due: operare un decen-
tramento delle competenze amministrative più ampio di quello praticato sino
allora; riordinare l'amministrazione statale, ridisegnandone gli apparati così da
renderla adeguata ai nuovi ruoli che le sarebbero spettati, una volta effettuati
i conferimenti al sistema delle autonomie.
76 CAPITOLO 2

La l. 59/1997 non potendo agire sull'assetto delle competenze legislative che, in


quanto costituzionalmente determinato, avrebbe richiesto una legge di revisione
costituzionale, è intervenuta sulle sole competenze amministrative.
Quanto al decentramento amministrativo, la riforma del 1997 sceglie, per
potenziarlo, di ribaltare i criteri di attribuzione delle competenze.
A essa si deve l'accoglimento del modello di loro riparto che, come si è visto,
la l. cost. 3/2001 ha esteso alle potestà legislative.
Secondo quanto si legge nell'art. l, comma 2, della l. 59/1997 «sono conferite
alle Regioni e agli enti locali nell'osservanza del principio di sussidiarietà [. .. ]
tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla
promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e
i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori in atto esercitati da
qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, owero
tramite enti o altri soggetti pubblici».
Lo Stato diventa titolare di competenze amministrative speciali, limitate alle
materie espressamente indicate nell'art. l, comma 3, della l. 59/1997. Tutto
quanto non è incluso in questo elenco deve intendersi conferito, ossia trasferito,
delegato o attribuito alle Regioni e agli enti locali.
L'art. l della l. 59/1997, nel suo comma l, precisa che: «Ai fini della presente
legge, per "conferimento" si intende trasferimento, delega o attribuzione di
funzioni e compiti». n conferimento non costituisce, dunque, un nuovo titolo
per l'esercizio delle funzioni, ma è espressione riassuntiva, utilizzata per descri-
vere tutti quelli che, in base alla legislazione e alle indicazioni costituzionali,
sono i titoli giuridici di esercizio delle funzioni.
Per quanto concerne il riordino delle funzioni amministrative nel settore dei
beni culturali, l'art. l, comma 3, della l. 59/1997 inserisce nell'elenco delle
materie riservate alla competenza amministrativa dello Stato la «tutela dei beni
culturali e del patrimonio storico artistico)) Oett. d).
In questo modo, la l. 59/1997, mentre riserva allo Stato i compiti e le funzioni
concernenti la tutela, apre alla possibilità d~ferire gli interventi che non
siano a essa riconducibili. /
n d.lgs. 112/1998, recante «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi
dello Stato alle Regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della l. 15
marzo 1997, n. 59)) dà attuazione a queste indicazioni.
Nel suo art. 148, poi abrogato dal Codice, in linea con le scelte sistematiche
dell'intero prowedimento, identifica le altre attività/funzioni che, per essere
diverse dalla tutela, sono suscettibili di conferimenti al sistema delle autonomie
e le individua nella tutela, nella valorizzazione e nella gestione, tentando di
offrirne una definizione che si rivela subito insoddisfacente, almeno quanto alla
capacità di fornire criteri distintivi idonei a guidare il riparto delle competenze
tra i diversi livelli di governo (sul punto, v. cap. l, par. 1).

Le scelte del Co- Il Codice cerca di offrire nuove, più esaurienti, risposte alla necessità di
dice in materia di comprendere in che cosa consistano le diverse funzioni-attività di cui i beni
tutela culturali possono essere oggetto e su queste configura i ruoli e le competenze
dei diversi soggetti pubblici.
Quanto alla tutela dei beni culturali che, si ricorda, l'art. 117, comma 2,
Cost. assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, le funzioni
amministrative sono ripartite in base ai criteri fissati, principalmente, negli
artt. 4 e 5 Cod.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 77

L'art. 4, comma l, Cod. stabilisce che le funzioni in materia di tutela, al fine I compiti dello
di garantirne l'esercizio unitario, ai sensi dell'art. 118 Cost., sono attribuite Stato ...
al ministero per i Beni e le Attività culturali, il quale, come precisa il comma
2, le esercita sui beni culturali di appartenenza statale «anche se in consegna
o in uso ad amministrazioni o soggetti diversi dal ministero».

In questo modo, l'art. 4 Cod. mentre ripropone la scelta, già effettuata con
la L 15 marzo 1997, n. 59, di riservare le funzioni amministrative, in materia
di tutela, allo Stato centrale, introduce anche un parallelismo, ossia una cor-
rispondenza, tra funzioni legislative e funzioni amministrative, nel senso che
l'esercizio delle prime è, di massima, in dissociabile da quello delle seconde
(e viceversa), così che la titolarità delle funzioni legislative si accompagna a
quella delle funzioni amministrative.
Parallelismo che, a differenza di quanto avveniva nel vigore della Carta costi-
tuzionale dell948, non è più richiesto, per tutte le materie, dalla Carta costitu-
zionale del2001, come si evince dai principi posti per il riparto delle funzioni
amministrative dall'art. 118, comma l, Cost. (v. supra, par. 2.1).

Tuttavia, come precisa l'art. 4, comma l, Cod. il ministero per i Beni e le


Attività culturali può sia esercitare direttamente queste funzioni sia confe-
rirne l'esercizio alle Regioni, tramite forme di intesa e coordinamento ai sensi
dell'art. 5, commi 3 e 4.

In questa indicazione si è visto un significativo allontanamento dal disegno


dell'art. 118 Cost., a norma del quale «non può mai essere un ministero con atti
sublegislativi a conferire l'esercizio di funzioni amministrative alle Regioni o ad
altri enti territoriali neppure sulla base di intese o accordi preventivi, ma deve
essere la legge», ossia lo Stato, perché unico titolare della funzione legislativa
[Pastori 2007a, 82].

Per quanto concerne le funzioni e i compiti delle autonomie territoriali, in ... e delle aurano-
materia di tutela, essi sono definiti, in primo luogo, dall'art. 5 Cod., intitolato mie territoriali
«Cooperazione delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali in materia
di tutela del patrimonio culturale>>.
li comma l della disposizione, stabilendo che <<le Regioni, nonché i Comuni, le
Città metropolitane e le Province», ossia gli «enti pubblici territoriali», «coo-
perano con il ministero nell'esercizio delle funzioni di tutela, in conformità a
quanto stabilito dal Titolo I della parte seconda del presente Codice» assegna
ai livelli di governo substatale un ruolo essenzialmente ausiliario.

Per effetto delle modifiche apportate dal d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito
con modificazioni dalla L 6 agosto 2015, n. 125, sono peraltro venute meno, nei
termini che si avrà modo di vedere più diffusamente nelle pagine che seguono
(spec. sub par. 7.3 ), le competenze proprie delle Regioni a esercitare le funzioni
di tutela su di una serie elencata di beni culturali, quali manoscritti, autografi,
carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni non ap-
partenenti allo Stato a esse assegnate dall'art. 4, comma l, Cod., e dal comma
78 CAPITOLO 2

2 dell'art. 5. Funzioni, che già erano state oggetto di delega alle Regioni per
opera dell'art. 9 del d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3.

Le Regioni possono pertanto esercitare funzioni di tutela, sulla base di


specifici accordi o intese e previo parere della Conferenza Stato-Regioni,
con riguardo a tipologie di beni culturali, non appartenenti allo Stato, che
il comma 3 dell'art. 5, come mod. prima dal d.lgs. 156/2006 e, da ultimo,
dalla L 125/2015 individua nei «manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli,
raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni carte geografiche, spartiti
musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi ne-
gativi e matrici)),
Ed è sempre l'art. 5, comma 4, a consentire che il ruolo delle Regioni in mate-
ria di tutela possa ulteriormente estendersi, autorizzando, in base ai principi
di differenziazione e di adeguatezza, e pur sempre nelle forme previste dal
comma 3, l'individuazione di «ulteriori forme di coordinamento in materia
di tutela con le Regioni che ne facciano richies~~

Previsione che, per il fatto di richiamare i principi di differenziazione e di ade-


guatezza, oltre che le forme d'intesa e di coordinamento di cui al comma 3, si
collega alle previsioni costituzionali dell'art. 118 e dell'art. 116, comma 3, ove
si contempla la possibilità di attribuire, con legge dello Stato, su iniziativa delle
Regioni, «forme e condizioni particolari di autonomia)) alle Regioni interessate,
sulla base di intese con esse.

Accordi o intese che, come precisa l'art. 5, comma5, Cod., possono prevedere
anche particolari forme di cooperazione con gli altri enti pubblici territoriali i
quali vengono, perciò stesso, annoverati dal legislatore tra i soggetti legittimati
a intervenire in materia di tutela dei beni culturali.
Peraltro, anche quando le funzioni di tutela siano esercitate dalle Regioni, il
ministero, secondo quanto dispone il comma 7 dell'art. 5, continua a eser-
citare <Je potestà di indirizzo e di vigilanza e il potere sostitutivo in caso di
perdurante inerzia o inadempienza)), attribuzioni che potrebbero definirsi
«a tutela della tutela)).
Le scelte in ma- Quanto alla valorizzazione, il Codice si occupa del riparto non solo delle
teria di valorizza- funzioni amministrative, ma anche di quelle legislative.
zwne
A questo fine, l'art. 7, comma l, Cod. definisce, innanzi tutto, quale sia il valore
da riconoscere alle norme che il Codice, ossia il legislatore statale, detta in
tema di valorizzazione: esse devono intendersi quali «principi fondamentali))
L'assetto delle fun- che, ai sensi dell'art. 117, comma 3, Co st., le leggi dello Stato sono chiamate a
zioni legislative porre e nel cui rispetto le Regioni eserciteranno la propria potestà legislativa.
Tuttavia, per comprendere appieno quale sia il ruolo del legislatore regionale,
in materia di valorizzazione, occorre considerare anche le successive disposi-
zioni dedicate, nella parte seconda, titolo II, alla «fruizione e valorizzazione)),
quali ambiti fra loro distinti, ma assoggettati alla medesima disciplina, quanto
al riparto delle competenze legislative.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 79

Gli artt. 102 e 112 Cod. concernenti, rispettivamente, la fruizione e la va-


lorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica, nel comma 2, con
formulazione pressoché identica, precisano che la legge regionale è autoriz-
zata a disciplinare, nel rispetto dei principi (fondamentali) fissati dal Codice,
queste attività (e, per la valorizzazione, anche funzioni) solo con riguardo ai
beni presenti in istituti e luoghi di cultura «non appartenenti allo Stato o dei
quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità», sulla base della normativa
vigente, alle Regioni e agli altri enti pubblici territoriali.
Allo Stato viene, invece, riconosciuta la competenza a disciplinare, tanto per
i principi quanto per gli altri aspetti «di dettaglio», la fruizione e la valoriz-
zazione dei beni che si trovino nella sua titolarità-disponibilità.

In questo criterio di riparto delle competenze legislative si trova una fra le


principali espressioni di quelle differenze nel ruolo assolto dai soggetti del
sistema dei beni culturali, dipendenti dalla relazione in cui esso si trova con il
bene culturale, di cui si parlava nel paragrafo l di questo capitolo.

Così disponendo, il legislatore del Codice attenua quella che, dalla lettera
della Costituzione, e in particolare dal suo art. 117, appariva come una «se-
parazione» fra tutela e valorizzazione, quali ambiti assegnati alla competenza
di soggetti diversi.
Adeguandosi alle indicazioni offerte dalla Corte costituzionale, soprattutto
con la sentenza 26/2004, quasi coeva alla sua adozione (v. anche supra, par.
2.1) l'art. 7, comma l, Cod. propone un'interpretazione dell'art. 117, comma
3, Cost. che riduce il ruolo spettante alle Regioni, in materia di valorizzazione,
e apre a un intervento dello Stato che va oltre la sola fissazione dei principi
fondamentali di disciplina.
Al legislatore statale si assegna, infatti, la legittimazione a porre disposizioni
anche di dettaglio, ossia a dettare l'intera disciplina della funzione-attività di
valorizzazione, quando essa debba esercitarsi in relazione a beni culturali che
sono nella titolarità/disponibilità dello stesso Stato.
Dalla scelta, espressa nell'art. 7, comma l, Cod., in merito all'assetto delle L'assetto delle po·
competenze legislative, deriva altresì che lo Stato è legittimato a esercitare, testà regolamen ·
con riferimento ai propri beni culturali, anche quella potestà regolamentare in tari ...
materia di valorizzazione che, altrimenti, non sarebbe stata di sua spettanza, dal
momento che, per quanto si è ricordato, continua a disporne solo per le materie
assegnate alla sua competenza legislativa esclusiva (art. 117, comma 6, Cost.).

Allo stesso modo, si deve immaginare il permanere di una potestà regolamentare


degli enti locali, con riguardo ai beni culturali dei quali abbiano la disponibilità.
In questo senso, depone l'art. 117, comma 6, Cost., per il quale: «l Comuni, le
Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla
disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite».

. .. e delle funzioni
Circa l'assetto delle funzioni amministrative, in materia di valorizzazione, il
amministrative
Codice non detta veri e propri criteri per il loro riparto, se si esclude il riferi-
80 CAPITOLO 2

mento, da ritenersi residuale, al principio secondo il quale: «ciascun soggetto


pubblico è tenuto a garantire la valorizzazione dei beni di cui ha comunque
la disponibilità» (art. 112, comma 6, Cod.).
Cooperazione e TI Codice si preoccupa infatti, e principalmente, di definire le modalità di eser-
coordinamento cizio delle funzioni e lo fa esprimendo, in termini particolarmente pronunciati,
per la valorizza- un'opzione a favore delle logiche e degli strumenti della cooperazione e/o del
zione
coordinamento fra i diversi soggetti pubblici e, sia pure in via subordinata,
tra questi e i soggetti privati.
In questo senso, è già l'art. 7, comma 2, Cod., a stabilire che «TI ministero, le
Regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l'ar-
monizzazione e l'integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici».
Gli artt. l 02 e 112 Cod. precisano le modalità della cooperazione con riguardo,
rispettivamente, alla fruizione e alla valorizzazione dei beni culturali di appar-
tenenza pubblica o, come meglio deve ritenersi, a fronte del contenuto delle
norme, alla valorizzazione di beni culturali a iniziativa pubblica.
Ed è soprattutto l'art. 112 a effettuare, nel suo comma 4, quella che, già in base
alla prima formulazione della norma, si è ritenuto di considerare una sorta
di codificazione del principio consensuale (sul punto, v. in/ra, capp. 4 e 6).

3. I PRIVATI: RUOLI E INTERVENTI


Come si è anticipato in apertura di questo capitolo, anche i privati possono
essere annoverati fra i soggetti che entrano a far parte del sistema dei beni
culturali.
Per comprendere quale ruolo possa essere da loro assolto nel settore, occorre
riferirsi a più disposizioni del Codice, collocate in sezioni diverse e, a taluni
fini, è necessario considerare anche normative extracodicistiche.
I soggetti privati sono, d'altro canto, chiamati o anche solo legittimati a effet-
tuare numerosi ed eterogenei interventi. Anche le discipline applicabili sono
pertanto diverse tanto che, nello stesso Codice, non è rintracciabile un'unica
disposizione di principio o, comunque, di portata generale, capace di descrivere
compiutamente quali siano i titoli, le condizioni e le modalità delle loro azioni.
Le diverse decli- A ciò si aggiunga che la stessa figura del privato conosce declinazioni interne
nazioni del privato molto diverse, a ognuna delle quali corrispondono ruoli differenti, anche nel
settore dei beni culturali.

Con il termine «privati>> ci si può riferire sia a persone fisiche, ossia a singoli
individui, sia a persone giuridiche, ossia a complessi organizzati di cose e/o di
persone, che abbiano chiesto e ottenuto il riconoscimento, da parte dello Stato,
come soggetti autonomi, distinti dalle singole persone che le compongono, sia
a enti o ad associazioni non riconosciute che, come tali, esistono, di fatto, pur
non acquisendo una soggettività piena agli effetti di legge.
Come si vedrà ulteriormente nel capitolo 5, i privati possono, poi, qualificarsi
sia come persone fisiche o persone giuridiche pro/it, la cui attività è orientata a
ottenere un vantaggio economico, sia come organizzazioni, prowiste o meno
ORGANIZZAZIONE E SOGGETII 81

di personalità giuridica, non profit o, come altrimenti si dice, nel linguaggio


tecnico italiano, del «terzo settore».
Soggetti che possono essere, fra loro, anche molto diversi, dal punto di vista
della struttura e dello status nonché delle finalità che ne orientano le azioni, ma
tutti accomunati dal reinvestire interamente gli utili, eventuali, della loro attività
per gli scopi che ne connotano la stessa esistenza e lo stesso operare, consistano
essi nell'erogazione di prestazioni o in quella di servizi a favore di terzi.
Nel novero delle organizzazioni non pro/it rientrano figure quali: le organizza-
zioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), le organizzazioni non governative,
le organizzazioni di volontariato, di cui alla l. 11 agosto 1991, n. 266, le associa-
zioni di promozione sociale, di cui alla l. 7 dicembre 2000, n. 383, le imprese
sociali, disciplinate con il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155, il cui art. l, comma l,
dopo aver premesso che «possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte
le organizzazioni private [ ... ] che esercitano in via stabile e principale un'attività
economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi
di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale», nell'art. 2,
comma 2, lett. /,espressamente, annovera fra le «attività di utilità sociale» quella
di «valorizzazione del patrimonio culturale» [Di Cecco 2006]. Appartengono,
inoltre, al terzo settore anche le fondazioni di diritto civile e, soprattutto, per la
rilevanza che esse rivestono, nel settore dei beni culturali, le fondazioni di origi-
ne bancaria (su questi soggetti e stÙ particolare ruolo che possono assolvere nel
settore, v. infra, cap. 5). Sw novero degli enti del terzo settore v. ora l'art. 4 dello
schema di decreto legislativo recante «Codice del Terzo settore, a norma dell'art.
l, comma 2, lett. b), della legge 6 giugno 2016, n. 106» in corso di approvazione.
Talune di queste differenze, interne alla figura dei privati, sono espressamente
considerate dal Codice dei beni culturali, il quale riconduce alcune misure e
alcune possibilità di intervento solo a determinate figure di privati, con implicita
esclusione di altre. Distinzioni che, peraltro, talvolta non ricorrono né nel Codice
né nella normativa extracodicistica, aprendo, in questi casi, interrogativi e dubbi
circa la figura di privato, se profi"t o non pro/t"t, alla quale ci s'intende riferire.

Il principio enunciato nell'art. l, comma 5, Cod., dove si stabilisce che: «l


privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio
culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti
a garantirne la conservazione» serve, essenzialmente, a introdurre le norme
che interessano i privati, in quanto titolari di diritti sui beni culturali, e che
si traducono in quelle differenze di trattamento normativo che riguardano i
beni culturali di proprietà privata, analizzate supra, paragrafo l.
Questa disposizione non descrive dunque né annuncia, adeguatamente, il
ruolo che i soggetti privati sono autorizzati a esercitare in quello che è l'ambito
privilegiato del loro operare, in qualità di attori del sistema dei beni culturali,
e che è l'ambito della valorizzazione.
Il primo riferimento al possibile operato dei privati in materia, è contenuto I privati nell'art. 6
nell'art. 6, comma 3, Cod., dove, con implicito rinvio a quanto previsto nell'art. del Codice
118, comma 4, Cost., ossia al principio di sussidiarietà orizzontale, si stabilisce
che: «La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei privati, singoli
o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale)), non solo di quello
che si trovi nella loro disponibilitàltitolarità, ma anche di quello che sia di
appartenenza pubblica.
82 CAPITOLO 2

Prescrizione che, in linea con quelle che sono le scelte sistematiche del Codice,
in merito alla disciplina della funzione-attività di valorizzazione, trova un più
compiuto svolgimento negli articoli del capo II, intitolato ai «Principi della
valorizzazione dei beni culturali».
I privati e la valo- È, infatti, l'art. 111 Cod. a ribadire, nel comma l, che alle attività di valo-
rizzazione rizzazione dei beni culturali «possono concorrere, cooperare o partecipare
soggetti privati», precisando, poi, nel comma 2, che <Ja valorizzazione è a
iniziativa pubblica o privata».
In tal modo, il legislatore precisa che la valorizzazione dei beni culturali non
deve intendersi come compito riservato ai soggetti pubblici. Al contrario, si può
avere anche una valorizzazione su iniziativa dei privati, così come la stessa valo-
rizzazione a iniziativa pubblica può aprirsi all'apporto, collaborativo, dei privati.
Sempre quanto alla valorizzazione a iniziativa privata, l'art. 111, nel comma
3, stabilisce che essa «è attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità
di solidarietà sociale».
Una precisazione, quest'ultima, che ha lo scopo di consentire ai privati, che
agiscano per la valorizzazione dei beni culturali, di awalersi dei contributi e
delle sowenzioni oltre che delle normative, anche fiscali, di favore, previste
per le attività che presentino tali requisiti.
Altre indicazioni, utili a rappresentare quale ruolo possa essere assolto dai
privati, in materia di valorizzazione, e a quali condizioni, sono fornite dagli
artt. 112, 113 e 115 Cod. (su questo v. in/ra, cap. 4 ).

Quanto all'art. 112 Cod., ci si può, qui, limitare a ricordare che questa dispo-
sizione, con riferimento alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza
pubblica, prevede che i privati proprietari di beni possano essere interessati
dagli accordi per la valorizzazione stipulati fra i diversi livelli di governo, se vi
prestino il loro consenso.
Sempre l'art. 112 Cod., al comma 8, legittima i soggetti privati a partecipare ai
soggetti giuridici appositamente costituiti per l'elaborazione e lo sviluppo dei
piani strategici di sviluppo culturale, previsti nel comma 4.
I privati possono inoltre essere parti di quegli accordi, di portata più contenuta,
di cui parla il comma 9 dell'art. 112, ossia di quelli diretti a «regolare servizi stru-
mentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali>>.
Ed è sempre l'art. 112 Cod., a seguito dell'integrazione apportata con il d.lgs.
26/2008, a prevedere, nel suo comma 9, che «ulteriori accordi possono essere
stipulati dal ministero, dalle Regioni, dagli altri enti pubblici territoriali, da
ogni altro ente pubblico nonché dai soggetti costituiti ai sensi del comma 5,
con le associazioni culturali o di volontariato, dotate di adeguati requisiti, che
abbiano per statuto finalità di promozione e diffusione della conoscenza dei
beni culturali [allo scopo di] regolare servizi strumentali comuni destinati alla
fruizione e alla valorizzazione di beni culturali».
Disposizione che non è realmente innovativa, giacché riprende, sia pure con
correzioni e aggiustamenti, previsioni precedenti, sostituite dal Codice, nella
prima versione che ne diede il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, poi, abrogate dal
d.lgs. 156/2006 di sua modifica e, poi, reintrodotte con il d.lgs. 62/2008, il quale
reintroduce, in tal modo, il riconoscimento del ruolo che può essere assolto da
queste associazioni, sia pure limitando l'ambito degli accordi a quelli soli volti a
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 83

«regolare servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione


dei beni culturali» [Barbati 2008a].

Quanto alla valorizzazione dei beni culturali di proprietà privata, e a iniziativa


privata, è l'art. 113 Cod. a occuparsene, definendo quale forma di collabora-
zione possa essere loro resa da parte dei soggetti pubblici.
La disposizione si occupa, in particolare, di quei soli interventi a supporto
che rientrino nella figura del «sostegno pubblico», al quale sono riconducibili
anche le diverse misure degli aiuti economici, sia sotto forma di sowenzioni o
agevolazioni fiscali sia sotto forma di accordi o altre tipologie di convenzioni.
L'art. 113 Cod. precisa che questo «sostegno» può provenire sia dallo Stato
che dalle Regioni o da altri enti pubblici territoriali (elencazione che, peraltro,
non si può considerare esaustiva né tassativa, potendosi immaginare legittimati
a intervenire anche altri soggetti pubblici non territoriali); che esso può avere
a oggetto la valorizzazione a iniziativa privata dei beni culturali, si estrinsechi
questa in un'attività o nella creazione di una struttura dedicata.
Soprattutto, si stabilisce che «le misure di sostegno sono adottate tenendo
conto della rilevanza dei beni culturali ai quali si riferiscono» (comma 2).
Quanto alle modalità della valorizzazione, il comma 3 dell'art. 113 precisa
che «sono stabilite con accordo da stipularsi con il proprietario, possessore o
detentore del bene in sede di adozione della misura di sostegno». In sostanza,
la scelta pubblica di «sostenere>> questi interventi di valorizzazione, da parte
dei privati, autorizza i soggetti pubblici a concordare con essi le modalità
della valorizzazione, altrimenti esclusa da interferenze pubbliche, se non per
la loro necessaria compatibilità con le ragioni della tutela.

Si tratta, com'è evidente, di disposizioni caratterizzate da una notevole generi-


cità, tanto che la disciplina puntuale delle fattispecie dovrà essere definita con
riguardo ai singoli casi. Una genericità che investe anche l'identificazione del
privato, il quale viene in considerazione solo come tale e perciò in tutte quelle
che ne sono le possibili declinazioni: sia come privato pro/it sia come privato
non profit, senza indicazioni che specifichino il tipo di contributo che può
apportare alle attività di valorizzazione [Piperata 2007a, 450].

Resta da rilevare che l'ambito nel quale il privato è chiamato a esercitare il


ruolo maggiormente significativo è, tuttavia, quello della gestione delle attività
di valorizzazione, per il quale si rinvia ai capitoli 4 e 6.

4. L'ORGANIZZAZIONE STATALE: IL MINISTERO DEI BENI E


DELLEATTMTÀ CULTURALI E DEL TURISMO

L'istituzione di un apparato ministeriale, provvisto di una propria dotazione Un ministero de·


finanziaria e dedicato al patrimonio culturale, fu voluta da Giovanni Spadolini, dicato
ministro dell'allora esecutivo Moro-La Malfa e disposta con il d.l. 14 dicembre
197 4, n. 657, convertito, con modificazioni, nella l. 29 gennaio 1975, n. 5.
84 CAPITOLO 2

La nascita di un apparato ministeriale di settore fu così dovuta a un'iniziativa,


non esente da critiche, del governo il quale spiegò, nella disposizione di aper-
tura del decreto-legge, le ragioni del proprio intervento con la necessità e con
l'urgenza di «affidare unitariamente alla specifica competenza di un ministero
appositamente costituito la gestione del patrimonio culturale e dell'ambiente
al fine di assicurare l'organica tutela di interessi di estrema rilevanza sul piano
interno e internazionale».
ll ministero per i Beni culturali e ambientali, che andava in tal modo a sosti-
tuirsi al precedente ufficio ministeriale senza portafoglio, fu così individuato
come la struttura deputata a provvedere «alla tutela e alla valorizzazione del
patrimonio culturale del paese» e a promuovere «la diffusione dell'arte e della
cultura», chiamato perciò a esercitare le funzioni prima assegnate al ministero
della Pubblica istruzione, dal quale dipendevano le Belle Arti, al ministero degli
Interni nonché alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

L'istituzione del Da allora, il governo e l'amministrazione presso il centro statale del patri-
Mi bac monio culturale sono affidati a un apposito dicastero, la cui configurazione
organizzati va e funzionale conoscerà ripetute modifiche, sino al riordino più
rilevante che ne fu disposto con il d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368.
Dando attuazione alla delega conferita dalla l. 15 marzo 1997, n. 59 e, in
particolare, dal suo art. 11, comma l, lett. a, ove si demandava al governo
di «razionalizzare l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri
e dei ministeri, anche attraverso il riordino, la soppressione e la fusione dei
ministeri», con il d.lgs. 368/1998, «ritenuto di dover procedere al riordino
dell'organizzazione amministrativa statale nei settori dei beni culturali e
delle attività culturali» e «nel quadro delle finalità indicate dall'art. 9 della
Costituzione e dall'art. 128 del Trattato istitutivo della Comunità europea»,
si istituisce il ministero per i Beni e le Attività culturali (Mibac) il quale
andava a sostituirsi al precedente apparato ministeriale con un nuovo as-
setto organizzativo, nuove attribuzioni e nuovi principi di disciplina della
sua aziOne.

L'istituzione del ministero per i Beni e le Attività culturali, per opera del citato
d.lgs. 368/1998, intendeva certamente rispondere alla volontà di potenziare
e adeguare il governo e l'amministrazione del settore alle nuove necessità dei
beni e delle attività culturali, ma soprattutto costituiva una delle tante tappe
del più ampio processo di riordino dell'amministrazione statale, avviato dalla
l. 59/1997. L'intento era di alleggerire (ossia, come preferisce dire il legislatore,
razionalizzare) gli apparati dell'amministrazione statale, intervenendo sui loro
assetti organizzativi e sulla mappa delle loro attribuzioni, favorendo gli accor-
pamenti e le conseguenti soppressioni, consentite o addirittu·ra rese opportune
dalla omogeneità delle competenze. Un'operazione tanto più necessaria, in
considerazione dello scorporo che si sarebbe effettuato di numerose funzioni,
per effetto dei conferimenti al sistema delle autonomie, volute dal «terzo de-
centramento>> avviato dalla l. 59/1997.
L'azione di riordino riguardava il complesso dei ministeri, in quanto la razio-
nalizzazione delle amministrazioni centrali impone contestualità e omogeneità
nelle misure. Le vicende che hanno interessato l'apparato ministeriale del set-
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 85

tore si sono, però, discostate da questo percorso. Innanzi tutto, perché il d.lgs.
112/1998, quanto al settore dei beni culturali, non ha disposto veri e propri
conferimenti di funzioni e compiti amministrativi. È così mancato quello che,
nel disegno della L 59/1997, doveva costituire il presupposto per il riordino
dell'amministrazione statale. Inoltre, la delega, conferita dalla L 59/1997, è stata
esercitata prima e indipendentemente dalla più complessiva opera di riforma
del centro che sarebbe stata effettuata con i d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e n.
303, rispettivamente intitolati alla «Riforma dell'organizzazione del governo,
a norma dell'art. 11 della L 15 marzo 1997, n. 59» e all' «Ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei ministri, a norma dell'art. 11 della L 15 marzo
1997, n. 59» [Sciullo 1999].

L'adozione del d.lgs. 368/1998 doveva, peraltro, rappresentare solo il primo di I reiterati riordini
una serie di numerosi provvedimenti, con i quali ne sono stati rivisti struttura del ministero
e attribuzioni, in un succedersi di riforme che hanno impegnato l'apparato
ministeriale in una continua ridefinizione della propria identità strutturale
e funzionale [Sciullo 2006b; Dente 2006], sino ai più recenti interventi di
modifica che ne hanno variato anche il nome in quello di ministero dei Beni
e delle Attività culturali e del Turismo (Mibact).

Le prime modifiche al ministero furono apportate dai provvedimenti di più


complessiva riforma del centro statale, in particolare dal d.lgs. 300/1999. A
esso hanno fatto seguito numerosi altri interventi legislativi. Fra questi, con
il d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 si sono apportate modifiche all'amministrazione
sia centrale sia periferica, in attuazione della delega conferita al governo con
L 6 luglio 2002, n. 137 (artt. l e 10), «per la riforma dell'organizzazione del
governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri nonché di enti pubblici».
Altre ridefinizioni della sua struttura e delle sue attribuzioni furono disposte
con L 17 giugno 2006, n. 23 3, mentre alla L 4 agosto 2006, n. 248 si dovette il
riordino degli organismi collegiali operanti presso il ministero [Sciullo 2007b].
Sono invece recenti le modifiche disposte dall'art. l, comma 12, della L 24
giugno 2013, n. 71, per effetto delle quali sono state trasferite al ministero le
funzioni esercitate in materia di turismo dalla Presidenza del Consiglio dei
ministri e le inerenti risorse umane, strumentali, finanziarie, mutandone perciò
anche il nome in ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (art.
l, comma 2) e si è altresì soppressa la previsione in forza della quale il ministro
del settore era componente del Cipe (art. l, comma 12) e quelle apportate alla
stessa struttura del ministero dal d.l. 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con
modificazioni, dalla L 29luglio 2014, n. 106.
Altrettanto numerose sono state perciò anche le revisioni della sua organizza-
zione. Il ministero, già operante sulla base del d.p.r. 3 dicembre 1975, n. 805,
dopo il d.lgs. 368/1998 è stato oggetto di un nuovo regolamento di organiz-
zazione, approvato con d.p.r. 29 dicembre 2000, n. 441, poi modificato, sulla
base del d.lgs. 3/2004, dal d.p.r. 10 giugno 2004, n. 173 [Cammelli 2003].
Successivamente, in attuazione di quanto previsto dall'art. l, comma 404 della
legge finanziaria per il2007 O. 27 dicembre 2006, n. 296), in merito al riordino
delle amministrazioni statali per «razionalizzare e ottimizzare l'organizzazione
delle spese e dei costi di funzionamento dei ministeri», è stato oggetto di un
nuovo regolamento di organizzazione adottato con d.p.r. 26 novembre 2007,
86 CAPITOLO 2

n. 233, poi modificato, sulla base della l. 6 agosto 2008, n. 113, e sempre per
ragioni di contenimento della spesa, dal d.p.r. 2 luglio 2009, n. 91. Da ultimo,
è intervenuto il quinto regolamento di organizzazione, adottato con il d.p.c.m.
29 agosto 2014, n. 171, il quale ha operato come «fonte>> di successive revisioni
di molte delle sue strutture centrali e periferiche (su cui v. in/ra).

L'attuale assetto del Mibact deriva dunque dall'insieme dei provvedimenti


succedutisi al d.lgs. 368/1998 i quali non lo hanno sostituito, ma solo modi-
ficato in molte sue parti, conservandolo perciò come atto legislativo istitutivo
e di disciplina generale del ministero.
L a s t r u t t u r a La struttura organizzativa e le modalità in base alle quali esercita le attribu-
del Mibact nel zioni trovano ora la loro fonte di disciplina nel d.p.c.m. 29 agosto 2014, n.
d.p.c.m.l 7112014 171, recante il regolamento di organizzazione del ministero dei Beni e delle
Attività culturali e del Turismo, e nei successivi provvedimenti quale, innanzi
tutto, il d.m. 23 gennaio 2016, n. 44, con cui si è proseguito il processo di
riorganizzazione del Mibact anche tramite modifiche del d.c. p.m. 171/2014,
confermandosi quali fonti capaci di integrare lo stesso atto legislativo, ossia
il d.lgs. 368/1998, istitutivo del ministero.
Il d.p.c.m. 171/2014 benché adottato, come i precedenti regolamenti del
2007 e del2009, al fine dichiarato di operare un riordino del ministero che
consentisse un contenimento della spesa pubblica, ha d'altro canto dato avvio
a una profonda riorganizzazione dell'amministrazione ministeriale, nelle sue
articolazioni sia centrali sia periferiche, ridefinendo molte delle sue condizioni
e modalità di intervento, tanto da modificare la disciplina delle funzioni e più
ampiamente lo stesso ruolo assolti dal Mibact.

Il d.p.c.m. 17112014 è stato dotato dalle leggi che ne hanno autorizzato l'a-
dozione, ossia dall'art. 16, comma 4, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito
con modificazioni, dalla l. 23 giugno 2004, n. 89, e dall'art. 14 della l. 29luglio
2014, n. 106, di conversione del d.l. 31 maggio 2014, n. 83, di una forza e di
una portata superiore a quella dei precedenti regolamenti di organizzazione.
A questo proposito, è necessario ricordare che, in base a quanto dispone l'art.
95, comma 3, Cost., spetta a una legge o comunque a un atto legislativo a
essa pariordinato, determinare «il numero, le attribuzioni e l'organizzazione
dei ministeri». Questa «riserva di legge» assoluta si riferisce all'istituzione e
disciplina dei ministeri, quali articolazioni del Consiglio dei ministri, come
tale preposti alla elaborazione dell'indirizzo politico-amministrativo. In
attuazione di questa previsione costituzionale, la prima determinazione del
loro numero e delle loro attribuzioni è stata disposta dal già ricordato d.lgs.
30 luglio 1999, n. 300. Quanto invece all'organizzazione interna dei ministeri,
quali apparati amministrativi, e alle norme di dettaglio sul funzionamento
degli uffici, in base a quanto dispone l'art. 97 della Costituzione, a esse si
provvede tramite atti normativi secondari, ossia tramite i regolamenti di cui
all'art. 17 della l. 23 agosto 1988, n. 400 e nel rispetto dei criteri per essi
enunciati nel comma 4-bis.
Tuttavia, dapprima con l'art. 2, comma 10-ter del d.l. 6 luglio 2012, n. 95,
convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, e poi, con l'art.
16, comma 4, della l. 89/2014, che ha conferito rinnovata operatività alla prima
ORGANIZZAZIONE E SOGGETil 87

disposizione, si è consentito che i regolamenti di organizzazione dei ministe-


ri, «al fine di semplificare e accelerare» il riordino, dettato dalle esigenze di
riduzione della spesa pubblica, fossero adottati nella forma del «decreto del
presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro competente, di
concerto con il ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione
e con il ministro per l'Economia e le Finanze, previa delibera del Consiglio
dei ministri», sottoposti al parere solo facoltativo del Consiglio di Stato. Come
tali, prowisti anche della «forza>> di sostituirsi ai regolamenti di disciplina dei
ministeri, adottati nella forma prescritta dall'art. 17, comma 2 e 4-bis della
l. 400/1988, ossia con decreto del presidente della Repubblica, previo parere
sia del Consiglio di Stato sia delle commissioni parlamentari competenti per
materia (sui profili critici di questa deroga al sistema delle fonti dell'organizza-
zione ministeriale, dettata dalle politiche di spending review, v. Martini [2014]
e Lacava [2012]).
TI che spiega perché, nell'esaminare struttura e attribuzioni del Mibact, si farà
riferimento contestuale sia alle previsioni del d.lgs. 368/1998 di sua istituzio-
ne e disciplina sia al d.p.c.m. 17112014 e ai successivi decreti modificativi e
integrativi dello stesso.

Quanto alle attribuzioni del Mibact, l'ambito della sua azione appare molto Le attribuzioni dd
ampio, tanto da poter dire non vi sia settore, riconducibile ai beni o alle attività Mibact
culturali, estraneo al suo intervento. In base a quanto dispone l'an. l del d.lgs.
368/1998, il ministero prowede infatti «alla tutela, gestione e valorizzazione
dei beni culturali e ambientali e alla promozione delle attività culturali».
A queste competenze si sono aggiunte quelle in materia di turismo, attribuite
al ministero all'atto della sua istituzione, poi a esso sottratte e da ultimo
riassegnate dalla l. 24 giugno 2013, n. 71, il cui an. l, comma 2, ha disposto
il trasferimento al ministero delle relative funzioni, già esercitate dalla Presi-
denza del Consiglio dei ministri, e delle inerenti risorse umane, strumentali e
finanziarie, stabilendone perciò, nel comma 3, anche il mutamento del nome
in ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (Mibact).

Per avere una migliore rappresentazione dell'ampiezza delle sue attribuzioni,


basti considerare d'altro canto quanto prescrive, più in dettaglio, l'art. 2,
comma 2, del d.lgs. 368/1998 e soprattutto l'art. 53 del d.lgs. 300/1999, ove,
nel determinarne le cosiddette «aree funzionali», stabilisce che il ministero
esercita, in particolare, «le funzioni di spettanza statale in materia di tutela,
gestione e valorizzazione dei beni culturali e dei beni ambientali; promozione
delle attività culturali; promozione dello spettacolo (attività teatrali, musica-
li, cinematografiche, di danza, circensi, dello spettacolo viaggiante), anche
tramite la promozione delle produzioni cinematografiche, radiotelevisive
e multimediali; promozione del libro e sviluppo dei servizi bibliografici e
bibliotecari nazionali; promozione della cultura urbanistica e architettonica
e partecipazione alla progettazione di opere destinate ad attività culturali;
studio, ricerca, innovazione e alta formazione nelle materie di competenza,
anche mediante sostegno all'attività degli istituti culturali»; oltre che, come già
precisava l'art. 2, comma 2, del d.lgs. 368/1998, «diffusione dell'arte e della
cultura italiana all'estero, salve le attribuzioni del ministero degli Affari esteri
e d'intesa con lo stesso».
88 CAPITOLO 2

L'istituzione nel1998 dell'allora Mibac voleva, d'altro canto, rispondere anche


all'esigenza di ricondurre, in capo a un unico apparato, le competenze in materia
di cultura che ancora risultavano imputate ad altre sedi, così da accorparne
e razionalizzarne il governo e l'amministrazione presso il centro statale. A
questo intento rispose la scelta di ricondurre al ministero le funzioni statali in
materia di spettacolo, sia dal vivo sia cinematografico, in precedenza assegnate
alla competenza del «dipartimento dello spettacolo» presso la Presidenza del
Consiglio dei ministri, dopo che, in esito al referendum del18 aprile 1993, era
stata abrogata la l. 31luglio 1959, n. 617, istitutiva del ministero del Turismo
e dello Spettacolo. Quanto invece alle competenze e alle strutture in materia
di sport, già assegnate ad apposito ufficio presso la Presidenza del Consiglio,
poi trasferite, con il d.lgs. 368/1998, al Mibac, con l. 17 luglio 2006, n. 233,
sono state nuovamente attribuite alla Presidenza del Consiglio [Sciullo 2006b].

Lo spettro dei compiti e delle funzioni spettanti al Mibact, e perciò la centra-


lità del suo ruolo, si riflettono nella sua struttura organizzativa, tanto centrale
quanto periferica, espressione di un apparato esteso e che si vuole attrezzato
a esercitare il complesso delle attribuzioni, non solo di governo ma anche di
amministrazione attiva del settore.

5. IL MINISTRO E GU UFFICI DI DIRETTA COllABORAZIONE

Il ruolo del mi- li ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo è l'organo di
nistro direzione politica del ministero ed esercita le funzioni di indirizzo politico-
amministrativo, determinando gli obiettivi e i programmi del ministero non-
ché verificando la rispondenza a questi dei risultati conseguiti (art. 3 d.lgs.
368/1998 e art. l d.p.c.m. 17112014).

I sottosegretari Nell'assolvimento di questo suo ruolo, il ministro può essere coadiuvato da


uno o più sottosegretari, i quali, in base alla disciplina che di questa figura
detta l'art. 10, comma 3, l. 400/1988, «esercitano i compiti a essi delegati con
decreto ministeriale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale».
Nominati con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del pre-
sidente del Consiglio dei ministri di concerto con il ministro che andranno
ad affiancare e sentito il Consiglio dei ministri, esercitano le loro funzioni
dopo avere prestato giuramento nelle mani del presidente del Consiglio. Pur
non facendo parte del Consiglio dei ministri, possono intervenire ai lavori
parlamentari, sostenendo la discussione e anche rispondendo a interrogazioni
e interpellanze, «in conformità alle direttive del ministro)) (art. 10, comma 4,
l. 400/1988). Ogni Sottosegretario, pur potendo avvalersi per l'esercizio dei
propri compiti e funzioni degli uffici di diretta collaborazione del ministro, è
coadiuvato da una propria Segreteria.

Separazione poli- A seguito dell'introduzione, negli anni Novanta, del principio di distinzione
tica/ amministra- delle competenze e delle responsabilità fra i soggetti titolari della funzione
z10ne d'indirizzo politico e i soggetti incaricati della gestione amministrativa, i
ministri, quali organi di governo, nominati dal presidente della Repubblica, su
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 89

proposta del presidente del Consiglio, cessano di operare anche come vertici
amministrativi dei loro apparati. I poteri di gestione amministrativa, finanziaria
e tecnica spettano, infatti, ai dirigenti e nei confronti dei loro prowedimenti
il ministro non dispone di poteri né di avocazione né di sostituzione.

Per meglio comprendere il significato di questo principio e perciò il ruolo assolto


dai ministri, è opportuno ricordare che, in precedenza, il modello organizzativo
dei ministeri era quello risalente alla legge Cavour del1853. Esso riconosceva al
ministro un duplice ruolo di vertice sia politico sia amministrativo dell'apparato,
titolare di tutti i poteri decisionali e di essi, almeno formalmente, responsabile.
Ora, secondo quanto enunciato nell'art. 4, comma l, del d.lgs. 30 marzo 2001,
n. 165, recante «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche>>: «Gli organi di governo esercitano le funzioni
di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi e i programmi da
attuare e adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e
verificano la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione
agli indirizzi impartiti». Ai dirigenti, invece, come si legge nell'art. 4, comma 2,
del d.lgs. 165/2001, «spetta l'adozione degli atti e prowedimenti amministrativi,
compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, nonché
la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di
spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi
sono responsabili in via esclusiva dell'attività amministrativa, della gestione e
dei relativi risultati».

La distinzione tra compiti e responsabilità del ministro e dei dirigenti rompe,


pertanto, la linea di continuità funzionale che caratterizzava i precedenti pro·
cessi decisionali, quando tra il ministro e il dirigente intercorreva un rapporto
di tipo gerarchico, in forza del quale il primo assorbiva anche le competenze
(di gestione amministrativa) dei dirigenti.

Il superamento di questi assetti ha prodotto numerose conseguenze, oltre che


sul piano funzionale, anche su quello organizzativo. Fra le altre, ha comporta-
to la necessità di una più puntuale definizione di ciò che deve intendersi per
funzione d'indirizzo politico-amministrativo, indicando gli atti tramite i quali
si esercita, così come ha reso necessario ridefinire le attività di controllo e di
valutazione che qualificano il ruolo e la posizione del ministro, quale respon-
sabile politico del settore. Essa ha inoltre determinato una riduzione del ruolo
amministrativo del ministro.

Il ministro, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministra- Gli uffici di diretta
tivo, si awale del supporto di uffici di diretta collaborazione, costituiti collaborazione
da personale di staff, i cui vertici sono scelti e nominati dal ministro con
atto proprio e, perciò, sono titolari di un incarico fiduciario che ha durata
corrispondente a quello dell'organo politico (ministro) che lo ha conferito
[Torchia 2000, 141].
La disciplina degli uffici di diretta collaborazione è demandata ai singoli
ministeri che prowedono con proprio regolamento, sia pure nel rispetto
dei principi e dei criteri generali enunciati dalle disposizioni generali dettate
90 CAPITOLO 2

in proposito dalle leggi e, in particolare, dall'art. 14, comma 2, del d.lgs. 20


marzo 2001, n. 165 e successive modifiche.

Questi principi e criteri generali furono, a suo tempo, enunciati dall'art. 7 del
d.lgs. 300/1999, il quale accolse le innovazioni introdotte sul punto con l'art.
14, comma 2, del d.lgs. 29/1993, oggi trasfusi nell'art. 14, comma 2, del d.lgs.
165/2001, ove si stabilisce che il ministro, per l'esercizio delle funzioni d'in-
dirizzo politico-amministrativo, «si awale di uffici di diretta collaborazione,
aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l'amministrazione».

L'atto che oggi disciplina l'istituzione e il funzionamento degli uffici di diretta


collaborazione del Mibact è il d.p.c.m. 171/2014, ossia il regolamento generale
di organizzazione del ministero.
In particolare, è l'art. 3, comma l, del d.p.c.m. 17112014 a stabilire che:
«Gli uffici di diretta collaborazione esercitano le competenze di supporto
dell'organo di direzione politica e di raccordo tra questo e l'amministrazione,
ai sensi dell'articolo 14, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165, e successive modificazioni» e a precisare altresì che «essi sono costituiti
nell'ambito del Gabinetto, il quale è centro di responsabilità amministrativa,
ai sensi dell'articolo 21, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e
successive modificazioni>>.
Ed è sempre l'art. 3 del d.p.c.m. 17112014 a individuare gli uffici di diretta
collaborazione nei seguenti:
- l'Ufficio di gabinetto;
- la Segreteria del ministro;
- l'Ufficio legislativo;
- l'Ufficio stampa;
- le segreterie dei sottosegretari di Stato;
aggiungendo che il ministro può altresì «nominare un proprio portavoce, ai
sensi dell'articolo 7, della legge 7 giugno 2000, n. 150, nonché un consigliere
diplomatico».

La disciplina degli uffici di diretta collaborazione, dettata dal d.p.c.m. 171/2014,


introduce, in ossequio alle esigenze di contenimento della spesa pubblica, misure
volte anche a determinare il numero massimo delle unità di personale addette,
le qualifiche necessarie in relazione alle funzioni e il tetto del trattamento eco-
nomico del quale le singole figure possono usufruire.
Si stabilisce così, e fra l'altro, che agli uffici di diretta collaborazione, con la sola
eccezione delle segreterie dei sottosegretari di Stato, sia assegnato personale
del ministero e dipendenti pubblici, anche in posizione di aspettativa, fuori
ruolo o comando, nel numero massimo di 95 unità, comprensivo di estranei
all'amministrazione, assunti con contratto a tempo determinato, di durata
non superiore a quella di permanenza in carica del ministro, in numero non
superiore a 20 (art. 3, comma 3, d.p.c.m. 171/2014). Possono inoltre essere
chiamati a collaborare con gli Uffici di diretta collaborazione, «nei limiti degli
ordinari stanziamenti di bilancio destinati al Gabinetto, fino a 12 Consiglieri,
scelti tra esperti di particolare professionalità e specializzazione nelle materie di
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 91

competenza del ministero e in quelle giuridico-amministrative ed economiche,


con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa, di durata comun-
que non superiore rispetto alla permanenza in carica del ministro». Come si
legge nel comma 13 dell'art. 3 del d.p.c.m. 17112014, «Gli Uffici di diretta
collaborazione possono comunque awalersi, al di fuori del contingente di cui
al comma 3 e con oneri a carico delle amministrazioni di provenienza, sulla
base di convenzioni con le Università, di personale delle medesime Istituzioni
per lo svolgimento di programmi di interesse comune, senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica».

Un particolare rilievo è assegnato, nell'ambito degli uffici di diretta colla bo- Il capo di Gabi-
razione del Mibact, al capo di Gabinetto che, in base a quanto prevede l'art. netto
3, comma 8, del d.p.c.m., è individuato tra magistrati ordinari, amministrativi
e contabili, avvocati dello Stato, professori universitari di ruolo, dirigenti di
prima fascia dell'amministrazione dello Stato ed equiparati, nonché tra esperti,
anche estranei alla pubblica amministrazione, dotati di adeguata professionalità.
Al capo di Gabinetto che opera con il supporto dell'ufficio di Gabinetto, e può
essere coadiuvato da uno o due vice capi di Gabinetto, compete coordinare le
attività affidate agli uffici di diretta collaborazione del ministro, riferendone
al medesimo, e assicurare il raccordo tra le funzioni di indirizzo del ministro
e i compiti del Segretariato generale (art. 4, comma 2, d.p.c.m. 17112014).

In particolare, il capo di Gabinetto <<Verifica gli atti da sottoporre alla firma


del ministro, cura gli affari e gli atti la cui conoscenza è sottoposta a particolari
misure di sicurezza e cura i rapporti con il Segretariato generale e con le altre
strutture dirigenziali di livello generale, con il Comando carabinieri per la tutela
del patrimonio culturale e con l'Organismo indipendente di valutazione della
performance» (art. 4, comma 2, d.p.c.m. 17112014).

Quanto agli altri uffici di diretta collaborazione, merita ricordare l'Ufficio L'Ufficio legisla·
legislativo, quale struttura chiamata a provvedere, fra l'altro, allo studio e alla tivo
definizione dell'attività normativa nelle materie di competenza del ministero,
in coordinamento con il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della
Presidenza del Consiglio dei ministri, e ad assicurare il raccordo permanente
con l'attività normativa del Parlamento (art. 5 d.p.c.m. 17112014).
Nel novero degli Uffici di diretta collaborazione, l'art. 3 del d.p.c.m. 171/2014
colloca anche l'Organismo indipendente di valutazione della performance L'Oiv
(Oiv), menzionato espressamente nello stesso titolo del decreto, fra gli oggetti
della sua disciplina. La previsione dell'Oiv, comunque, non innova l'articola-
zione degli Uffici di diretta collaborazione che, anche nel precedente assetto,
contemplavano la presenza di un Servizio di controllo interno, del quale l'Or-
ganismo indipendente di valutazione della performance è il sostituto, a norma
delle disposizioni generali contenute nell'art. 14 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n.
150, come modificato dall'art. 11 del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 74.

Istituito in tutte le amministrazioni come, ai sensi del d.lgs. 3 O luglio 1999,


n. 286, lo era il precedente Servizio di controllo interno, esercita le attività di
92 CAPITOLO 2

controllo strategico già assegnate a questo, riferendone direttamente all'organo


di indirizzo politico-amministrativo. È inoltre chiamato a esercitare, in piena
autonomia, le attività che espressamente gli assegna l'art. 14, comma 4, del d.lgs.
150/2009, nell'ambito delle misure previste da questo prowedimento generale,
applicabile a tutte le pubbliche amministrazioni, in materia di ottimizzazione
della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza.

Costituito, presso il Mibact, in forma di organo monocratico, nominato dal


ministro per un periodo di tre anni, accoglie presso di sé, come prevedono
le disposizioni generali dell'art. 14 del d.lgs. 150/1999, la Struttura tecnica
permanente per la misurazione della performance (art. 9, comma 2, d.p.c.m.
17112014).

Fra le attività dell'Oiv, in materia di misurazione e valutazione della performance


organizzativa e individuale, rientrano il monitoraggio del sistema complessivo
della valutazione, della trasparenza e integrità dei controlli interni, la tempe-
stiva comunicazione delle criticità riscontrate ai competenti organi di governo
e amministrazione nonché alla Corte dei Conti e all'Ispettorato per la funzione
pubblica. All'Oiv spetta anche proporre all'organo politico la valutazione
annuale dei dirigenti di vertice. Promuove inoltre e attesta l'assolvimento
degli obblighi in materia di trasparenza, integrità e perciò di prevenzione
della corruzione ai sensi dell'art. 11. 190/2012, come modificato dal d.lgs. 25
maggio 2016, n. 97 (Foia) e in conformità agli indirizzi dell'Autorità nazionale
anticorruzione (An ac).

Carabinieri per la In una posizione a sé, benché collocato nel novero degli Uffici di diretta
tutela del patri- collaborazione, si trova il Comando carabinieri per la tutela del patrimonio
monio culturale culturale.
L'art. 10 del d.p.c.m. 17112014, ribadendo quanto disposto dai precedenti
regolamenti di organizzazione del ministero, e in conformità a quanto già pre-
vedeva l'art. 3 del d.lgs. 368/1998, lo colloca in una posizione di dipendenza
funzionale dal ministro, al quale «risponde».

Costituito nel1969, come Nucleo tutela patrimonio artistico, nell'ambito del


ministero per la Pubblica istruzione, allora competente per il settore, a seguito
dell'istituzione, nel1975, del ministero dei Beni culturali e ambientali, è tran-
sitato nelle competenze di questo dicastero (e, oggi, del Mibact), passaggio
formalizzato con decreto ministeriale 5 marzo 1992, il quale specificò anche
le funzioni e i compiti di questo che acquisiva la nuova denominazione di Co-
mando carabinieri per la tutela del patrimonio artistico, poi modificata, con il
d.p.r. 307/2001, in quella di Comando carabinieri per la tutela del patrimonio
culturale.
Operante sull'intero territorio nazionale, in collaborazione con le soprinten-
denze di settore, si awale, fra gli altri strumenti d'indagine, della Banca dati dei
beni culturali illecitamente sottratti, oggi menzionata anche dall'art. 85 Cod.,
in cui sono contenute informazioni sui beni culturali da ricercare, siano essi di
provenienza italiana oppure estera, disponibile anche an line.
In base a quanto prevede l'art. 11 della l. 31 marzo 2000, n. 78, le dotazioni
di personale e mezzi di questo ufficio sono disposte con decreto del ministro
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 93

della Difesa, su proposta del ministro dei Beni, delle Attività culturali e del
Turismo, previo concerto con il ministro dell'Interno e alle sue esigenze si
provvede mediante il «centro di responsabilità "Gabinetto e Uffici di diretta
collaborazione all'opera del ministro"» (art. 10, comma 2, d.p.c.m. 17112014).

6. L'AMMINISTRAZIONE CENTRALE DEL MIBACT


Il Mibact, come altri ministeri, si articola in un'amministrazione centrale, Riordino dell'am-
con sede in Roma, e in un'amministrazione periferica, con uffici dislocati ministrazione cen-
sul territorio nazionale. trale
Nel riordino che il d.p.c.m. 171/2014 ha disposto anche dell'amministra-
zione centrale si riflettono le prime, e forse più riconoscibili, tracce di una
riforma che ha inteso essere occasione per un ripensamento del ruolo del
ministero e, più ampiamente, delle politiche pubbliche in materia di beni,
di attività culturali e di turismo, quasi a confermare la rilevanza che, per
il settore, hanno sempre assunto le scelte di natura organizzativa [Barbati
2010a, pp. 108 ss.].

6.1. Direzioni generali

L'Amministrazione centrale del Mibact si fonda, anche in base a quanto pre- Le direzioni ge-
vede il d.p.c.m. 17112014, sulle direzioni generali quali strutture di primo nerali
livello, poste sotto il coordinamento di un segretario generale.

La scelta di fame un apparato organizzato per direzioni generali costituisce


l'esito di diversi interventi di modifica. Il ministero, organizzato «per direzioni
generali)) all'atto della sua istituzione (in questo senso disponevano gli artt. 5
e 6 del d.lgs. 368/1998 e l'art. 54 del d.lgs. 300/1999), venne poi configurato
secondo il modello dipartimentale, per effetto delle modifiche introdotte dal
d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3. Con l'art. 2, comma 94, del d.l. 3 ottobre 2006,
n. 262, conv. con mod., nella l. 24 novembre 2006, n. 286 si restituì al Mibac
l'originaria struttura «per direzioni generali)).
Quanto alle differenze tra i due modelli, che l'art. 3 del d.lgs. 300/1999 propone
come contrapposte, è da dire che i dipartimenti si atteggiano quali strutture
pensate per apparati (ministeriali) con ambiti di intervento molto ampi, ma
all'interno dei quali siano ritagliabili settori omogenei, elevabili a «missioni)),
la cui cura viene affidata ad articolazioni organizzative apposite, quali sono
appunto i dipartimenti (v. art. 5 del d.lgs. 300/1999).
Per le direzioni generali mancano, invece, indicazioni esplicite che definiscano
le condizioni in presenza delle quali esse costituiscono il modello da accogliere.
Certo è che, per differenza rispetto ai dipartimenti, le direzioni generali si ritiene
siano pensate per apparati ministeriali che non presentino al proprio interno
aree di competenze organiche, separabili fra loro e, perciò, imputabili a strut-
ture dotate di una propria autonomia, operanti come centri di responsabilità,
quali sono i dipartimenti.
94 CAPITOLO 2

Sono queste, peraltro, le ragioni per le quali le direzioni generali apparvero, al


legislatore del2004, inadeguate all'allora Mibac, stante l'eterogeneità degli am-
biti funzionali assegnati alle sue competenze (beni culturali, beni paesaggistici,
spettacolo), ognuno dei quali si riteneva richiedesse una gestione differenziata.
Peraltro, anche l'applicazione che, per il ministero, venne in seguito fatta del
modello dipartimentale si prestò a diversi rilievi critici, perché con essa si erano
accorpate aree separate e viceversa separate aree integrabili [Sciullo 2006b].
Il «ritorno» al modello per direzioni generali, voluto dal legislatore del 2006,
è stato peraltro motivato, più che da considerazioni di merito, da esigenze di
contenimento della spesa pubblica, connesse ai maggiori oneri finanziari del
modello dipartimentale. Questo spiega anche le modifiche successive, apportate
all'amministrazione centrale, dal d.p.r. 9112009, con il quale si è inteso attuare
quanto previsto dall'art. 74 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con
modificazioni, dalla l. 6 agosto 2008, n. 113, ove si è richiesto che le amministra-
zioni dello Stato ridimensionino i propri assetti organizzativi, con conseguente
riduzione delle dotazioni organiche (art. 74, comma 1), anche riorganizzando le
proprie reti o strutture periferiche (art. 74, comma 3) [Sciullo 2009b]. Questa
esigenza condusse nel2009 a ridurre il numero delle direzioni generali da nove
che erano a otto. Potrebbe dunque apparire in controtendenza, se non in con-
traddizione, la scelta effettuata con il d.p.c.m. 171/2014 di riportarle a 12, poi
ridotte a 11 dal d.p.c.m. 44/2016 (su cui v. infra), benché anche questi riordini
si dichiarino motivati dal contenimento della spesa pubblica. In realtà, come
si avrà modo di vedere di seguito, le «nuove» direzioni generali riflettono in
prevalenza un disegno di ripensamento, nel senso del rafforzamento, del ruolo
del ministero e delle politiche pubbliche per il settore.

L'art. 2 del d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171, con il quale è stato approvato il
«Regolamento di organizzazione del ministero dei Beni e delle Attività culturali
e del Turismo», nella sua originaria formulazione, stabiliva che il ministero
si articolasse in dodici uffici di livello dirigenziale centrale, individuati nel
suo art. 12.
Successivamente, sulla base di quanto previsto dall'art. l, comma 327, della l.
28 dicembre 2015, n. 208, si è provveduto a un'ulteriore riorganizzazione del
ministero, in esito alla quale, al fine dichiarato «di migliorare il buon anda-
mento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale», con l'art. l,
comma 2, del d.m. 23 gennaio 2016, n. 44 si è nuovamente intervenuti sulla
mappa degli uffici dirigenziali di livello generale, disponendo la fusione in una
sola struttura della direzione generale Archeologia e della direzione generale
Belle Arti e Paesaggio, quale misura organizzativa conseguente all'accorpa-
mento, su tutto il territorio nazionale, delle soprintendenze Archeologia e
delle soprintendenze Belle Ani e Paesaggio (su cui v. in/ra).
A seguito delle modifiche così apportate all'art. 12 del d.p.c.m. 17112014,
Le undici dire- l'amministrazione centrale del Mibact è articolata nelle seguenti undici di·
zioni generali rezioni generali:

l. direzione generale Educazione e Ricerca;


2. direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio;
3. direzione generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane;
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 95

4. direzione generale Spettacolo;


5. direzione generale Cinema;
6. direzione generale Turismo;
7. direzione generale Musei;
8. direzione generale Archivi;
9. direzione generale Biblioteche e Istituti culturali;
10. direzione generale Organizzazione;
11. direzione generale Bilancio.

Rispetto al precedente assetto, delineato dal d.p.r. 233/2007, il disegno vede


la conferma, salve limitate modifiche nella denominazione e nelle attribuzioni,
di pressoché tutte le direzioni generali, la riorganizzazione di altre e la nascita
di nuove.
In particolare, sono confermate, anche nella configurazione, le due direzioni
generali per lo Spettacolo (dal vivo) e il Cinema (artt. 17 e 18 d.p.c.m. 17112014),
benché da tempo se ne sollecitasse l'accorpamento in un'unica struttura, capace
di assicurare un governo unitario a questa specifica area funzionale del ministero.
Sono inoltre confermate la direzione generale Archivi (art. 21), la direzione
generale Biblioteche e Istituti culturali (art. 22) già direzione generale per le
Biblioteche, gli Istituti culturali e il Diritto d'autore.
Sono oggetto di una riorganizzazione, che conduce alloro scorporo, le due
direzioni generali, Organizzazione e Bilancio (artt. 23 e 24, d. p.c.m. 17112014)
unificate nel2009, anche sulla base delle indicazioni formulate dal Consiglio
di Stato perché si razionalizzassero le strutture chiamate a esercitare «funzioni
logistiche e strumentali» (parere sez. cons. atti normativi 2 marzo 2009, n.
510/9, p. 5.1).
Del pari, si è separata la direzione generale Belle Arti e Paesaggio da quella
Arte e Architettura contemporanea e Periferie urbane (artt. 15 e 16 d.p.c.m.
17112014), la cui unione disposta, per ragioni di contenimento della spesa, dal
d.p.r. 9112009 aveva generato numerose perplessità, stante la diversità di ambiti
e interessi che venivano così assegnati a un'unica direzione [Sciullo 2009b]. A
seguito del d.m. 44/2016, la direzione generale Belle Arti e Paesaggio è unifi-
cata alla direzione generale Archeologia, anch'essa già presente, sia pure con
la diversa denominazione di direzione generale Antichità.
Sono invece di nuova istituzione, le tre direzioni generali Educazione e Ricerca,
Musei e Turismo.

Le disposizioni dedicate a ognuna di esse dal d.p.c.m. 17112014 e dal d.m.


44/2016 ne elencano, sia pure in via solo esemplificativa, i compiti. A questo
proposito, merita soffermarsi sulle attribuzioni delle direzioni generali che
più raccontano quale sia il ruolo e soprattutto il nuovo ruolo che, anche loro
tramite, si è inteso assegnare al Mibact all'atto della sua riorganizzazione.
Procedendo dalla direzione generale Educazione e Ricerca, la sua istituzione, Educazione e Ri-
a opera del d.p.c.m. 17112014, ha inteso colmare la distanza che, come da più cerca
parti e da tempo rilevato, separava il settore dei beni culturali dall'istruzione
e dall'università, dando così una diversa consistenza e un esplicito riconosci-
mento, anche organizzativo, alle attribuzioni che già l'art. 2, comma 2, del d.lgs.
368/1998 assegnava al ministero in materia di «studio, ricerca, innovazione,
96 CAPITOLO 2

alta formazione». A questa direzione generale, l'art. 13 del d.p.c.m. n. 171


del2014 attribuisce infatti «funzioni e compiti relativi al coordinamento, alla
elaborazione e alla valutazione dei programmi di educazione, formazione e
ricerca nei campi di pertinenza del ministero» nonché una serie di altre attribu-
zioni di sistema che intendono aprire all'ingresso del Mibact in questi ambiti.

In particolare, al direttore generale si assegna, fra gli altri, il compito di appro-


vare, con cadenza triennale, sentita la direzione generale Organizzazione, un
piano delle attività formative e di ricerca delle strutture centrali e periferiche
del ministero nonché di autorizzarle e valutarie, allocando a esse risorse e
premialità. Inoltre, a lui spetta promuovere, organizzare e coordinare le atti-
vità di formazione del personale del ministero, anche quando svolte da altri
soggetti pubblici o privati presso o in collaborazione con il ministero. Sempre
al direttore generale educazione e ricerca compete collaborare con il ministero
dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, con il Consiglio nazionale delle
ricerche e con altri enti di ricerca italiani ed esteri alle attività di coordinamento
dei programmi universitari e di ricerca relativi ai campi di attività del ministe-
ro, potendo «stipulare accordi con le Regioni al fine di promuovere percorsi
formativi congiunti», oltre a favorire e promuovere «la partecipazione, anche
in partenariato con altre istituzioni pubbliche e private, a bandi per l'accesso
a fondi europei e internazionali)).
Alla direzione Educazione e Ricerca spetta, altresì, predisporre ogni anno,
d'intesa con il Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici, «un Piano
nazionale per l'educazione al patrimonio culturale)), un rapporto sull'attuazione
dell'art. 9 della Costituzione nonché curare la promozione della conoscenza del
patrimonio culturale, in ambito locale, nazionale e internazionale.
Ed è sempre in capo a questa articolazione centrale che sono collocate le
attribuzioni, derivanti dalle nuove normative in materia di professionisti dei
beni culturali, di cura e aggiornamento degli elenchi per la professionalità di
restauratore (artt. 29 e 182 del Codice) nonché degli elenchi di cui all'art. 9-bis
del Codice (introdotto dalla l. 22 luglio 2014, n. 110), per i professionisti alla
cui responsabilità e attuazione sono affidati «gli interventi operativi di tutela,
protezione e conservazione dei beni culturali nonché quelli concernenti la
valorizzazione e la fruizione)). Fra gli altri elenchi assegnati alla sua cura anche
quello degli istituti archeologici universitari e dei soggetti in possesso della
necessaria qualificazione ai fini degli interventi di archeologia preventiva di cui
all'art. 95 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e succ mod., «Codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi, forniture in attuazione delle direttive 2004/17/
CE e 2004/18/CE)).
Alla direzione generale Educazione e Ricerca afferiscono, poi, sottoposti al suo
coordinamento e indirizzo oltre che alla sua vigilanza, da esercitare d'intesa con
la direzione generale Bilancio, l'Opificio delle pietre dure e l'Istituto centrale
per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, presso
i quali operano le «scuole di formazione e di studim) alle quali l'art. 9 del d.lgs.
368/1998 già riconosceva la possibilità di organizzare «corsi di formazione e di
specializzazione anche con il concorso di università e altre istituzioni ed enti
italiani e stranieri)), oltre all'Istituto centrale per il catalogo e la documen-
tazione e, quale istituto dotato di autonomia speciale, all'Istituto superiore
per la conservazione e il restauro (v. art. 13, comma 3, e art. 30, commi l e 2,
d.p.c.m. n. 171/2014).
ORGANIZZAZIONE E SOGGETII 97

Ancor più rilevante, quanto a impatto sul ruolo del ministero e sulle poli- Musei
tiche pubbliche del settore, è la direzione generale Musei (art. 20 d.p.c.m.
17112014). Con la sua istituzione s'innova l'assetto organizzativo pensato, in
precedenza, per le attività di valorizzazione del patrimonio culturale di com-
petenza statale. Una modifica concernente, in questo aspetto, l'amministra-
zione centrale del ministero, ma che porta con sé anche un profondo riordino
dell'amministrazione periferica, tanto da definirsi come l'asse intorno al quale
ruota la nuova organizzazione e, con essa, il nuovo ruolo che la riforma del
2014 ha inteso assegnare al Mibact in materia di valorizzazione del patrimonio
culturale. [Barbati 2015].

Per comprendere appieno il significato e la portata anche funzionale, e non solo


organizzativa, di questa innovazione, è necessario ricordare che la valorizzazione
del patrimonio culturale era stata affidata, dal d.p.r. 91/2009, alla direzione
generale per la Valorizzazione del patrimonio culturale. Con questa soluzione,
allora «nuova», s'intendeva offrire un esplicito riconoscimento organizzativo
alla centralità dell'attività-funzione di valorizzazione per un apparato ministe-
riale che si era sin lì connotato, in termini di competenze e politiche, per la
prevalente attenzione prestata alle esigenze della tutela. La direzione generale
per la Valorizzazione del patrimonio culturale era infatti chiamata a svolgere
«Funzioni e compiti nei settori della promozione della conoscenza, della frui-
zione pubblica e della valorizzazione del patrimonio culturale, in conformità a
quanto disposto dall'art. 6 del Codice, con riguardo a tutti gli istituti e luoghi
della cultura di cui all'art. l Ol, commi l e 2 del Codice medesimo, che siano di
pertinenza dello Stato o costituiti dallo Stato». Un ambito dunque molto esteso
di intervento che si traduceva in un ruolo altrettanto ampio della direzione,
provvista di una competenza trasversale capace di portala a sovrapporsi alle
attribuzioni delle altre direzioni generali. La sua istituzione e la sua azione fu-
rono però, e per questa stessa ragione, oggetto di molti rilievi critici, in ragione
delle complicazioni che si riteneva ne sarebbero derivate ai processi decisionali
sia interni al ministero sia esterni, specie quanto ai rapporti con le autonomie
territoriali, titolari di corrispondenti competenze per la valorizzazione dei beni
a esse assegnati [Sciullo 2009b]. Tuttavia, è stata soprattutto l'esperienza di
questa direzione e il suo debole funzionamento, evidenziati anche dalla Corte
dei Conti [Relazione sui «Risultati conseguiti in termini di valorizzazione del
patrimonio culturale», approvata con deliberazione n. 15/2012/G (12 dicembre
2012)] a indurre a riconoscere la necessità di dare una risposta differente alle
esigenze della valorizzazione.

La centralità della direzione generale Musei si evince dalle attribuzioni che le


sono assegnate e dalla sua configurazione quale struttura di riferimento per
i «nuovi» musei e per i <<nuovi)) Poli museali regionali, costituiti come nuclei
delle politiche per la conservazione e per la valorizzazione del patrimonio
culturale.
Alla direzione generale Musei compete infatti curare le «collezioni dei musei
e dei luoghi della cultura statali, con riferimento alle politiche di acquisizione,
prestito, catalogazione, fruizione e valorizzazione)); svolgere, come la prece-
dente direzione per la Valorizzazione del patrimonio culturale, «funzioni e
98 CAPITOLO 2

compiti di valorizzazione del patrimonio culturale, in conformità a quanto


disposto dall'articolo 6 del Codice, con riguardo a tutti gli istituti e luoghi
della cultura di cui all'articolo 101, commi l e 2, del Codice medesimo, che
siano di pertinenza dello Stato o costituiti dallo Stato».
Soprattutto, a essa spetta sovraintendere al «sistema museale nazionale»;
coordinare i «Poli museali regionali» che di essa sono articolazioni (art. 20,
comma 5, d. p.c.m. 17112014) nonché esercitare poteri di direzione, indirizzo,
coordinamento, controllo e, solo in caso di necessità e urgenza, informato
il segretario generale, avocazione e sostituzione con riferimento alle attività
svolte dai Poli museali regionali e dai direttori degli istituti e musei di cui
all'articolo 30, comma 3, lett. b, anche su proposta del segretario regionale.
D'altro canto, è sempre alla direzione generale Musei che spetta esercitare,
d'intesa con la direzione generale Bilancio, la vigilanza sui musei dotati di au-
tonomia speciale di cui all'articolo 30, comma 3, e approvarne i relativi bilanci
e conti consuntivi, su parere conforme della direzione generale Bilancio (art. 20,
comma3, d.p.c.m. 17112014, su cui v. anche in/ra). Fra i suoi compiti vi è inoltre
quello di promuovere «anche tramite convenzione con le Regioni, enti locali e
altri soggetti pubblici .e privati, la costituzione di Poli museali per la gestione
integrata e il coordinamento dell'attività dei musei e dei luoghi della cultura
nell'ambito dello stesso territorio»; favorire la costituzione di fondazioni museali.

Al direttore generale Musei è anche assegnata, dall'art. 7, comma 2, del suc-


cessivo d.m. 23 gennaio 2016, n. 44, la possibilità, sulla base degli indirizzi del
ministro, di autorizzare, d'ufficio o su richiesta dei direttori dei Poli museali o
dei direttori degli istituti e musei dotati di autonomia speciale, l'assegnazione
di beni culturali da un istituto o luogo della cultura statale a un altro. Una
competenza nuova con la quale s'intende imputare a questa sede centrale scelte
in precedenza rimesse ai direttori dei musei e dei Poli museali regionali, così
da meglio «assicurare la valorizzazione dei beni culturali mobili dello Stato>>,
sottraendoli alle determinazioni e agli eventuali dinieghi dei responsabili delle
singole strutture [Carmosino 2016].
Quanto alle restanti attribuzioni puntuali della direzione generale Musei,
elencate nell'art. 20 del d.p.c.m. 17112014, molte delle quali già proprie della
precedente direzione generale per la Valorizzazione, si ricordano fra le altre,
quelle di: curare la promozione di accordi culturali con istituzioni dotate di
adeguato prestigio, italiane e straniere, finalizzati alla organizzazione di mostre o
esposizioni, ai sensi dell'articolo 67, comma l, lett. d, del Codice (art. 20, comma
2, lett. b, d.p.c.m. 171/2014); svolgere funzioni di indirizzo e controllo in materia
di valorizzazione del patrimonio culturale statale, individuando gli strumenti
giuridici adeguati ai singoli progetti di valorizzazione e alle realtà territoriali in
essi coinvolte; curare il coordinamento con le Regioni e con gli altri enti pubblici
e privati interessati e offrire il necessario sostegno tecnico-amministrativo per
l'elaborazione dei criteri di gestione, anche integrata, delle attività di valoriz-
zazione, ai sensi degli articoli 112 e 115 del Codice; elaborare linee guida, in
conformità con i più elevati standard internazionali, per la individuazione delle
forme di gestione delle attività di valorizzazione, ai sensi dell'articolo 115 del
Codice (art. 10, comma 2, lett. e); curare, anche tramite i Poli museali regionali, la
predisposizione delle intese istituzionali di programma Stato-Regioni in materia
ORGANIZZAZIONE E SOGGETII 99

di valorizzazione del patrimonio culturale (art. 10, comma 2, lett. g); assicurare
comunque, tramite gli uffici periferici del ministero, che le attività di valoriz-
zazione siano compatibili con le esigenze della tutela, secondo i principi di cui
all'articolo 6 e i criteri di cui all'articolo 116 del Codice (art. 10, comma 2, lett.
i); elaborare, sentite le direzioni generali competenti per materia, linee guida in
materia di orari di apertura, bigliettazione e politiche dei prezzi per l'accesso ai
musei e ai luoghi della cultura statali, anche in forma integrata (art. 10, comma
2, lett. o); coadiuvare la direzione generale Bilancio nel favorire l'erogazione di
elargizioni liberali da parte dei privati a sostegno della cultura, anche attraverso
apposite convenzioni con gli istituti e i luoghi della cultura e gli enti locali; a tal
fine, promuovere progetti di sensibilizzazione e specifiche campagne di raccolta
fondi, anche attraverso le modalità di finanziamento collettivo (art. 10, comma
2, lett. s); coordinare l'elaborazione del progetto culturale di ciascun museo
all'interno del sistema nazionale, in modo da garantire omogeneità e specificità
di ogni museo, favorendo la loro funzione di luoghi vitali, inclusivi, capaci di
promuovere lo sviluppo della cultura (art. 10, comma 2, lett. v).

La direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, così unificata Archeologia, Belle
dall'art. 2 del d.m. 44/2016, svolge le funzioni e i compiti relativi alla tutela Arti e Paesaggio
dei beni di interesse archeologico, anche subacquei, dei beni storici, artistici
e demoetnoantropologici, ivi compresi i dipinti murali e gli apparati deco-
rativi, nonché alla tutela dei beni architettonici e alla qualità e alla tutela del
paesaggio. Esercita altresì i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento,
controllo, con riferimento all'attività di tutela esercitata dalle soprintendenze
Archeologia CTR e, solo in caso di necessità e urgenza, informato il segretario
generale, avocazione e sostituzione, anche su proposta del segretario regionale.
La direzione generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie ur- Arte e Architet-
bane, in base all'art. 16 del d.p.c.m. 171/2014, esercita le funzioni e i compiti tura contempo-
relativi alla qualità architettonica e urbanistica e alla promozione dell'arte ranee e Periferie
urbane
e dell'architettura contemporanee. Inoltre, promuove la riqualificazione e
il recupero delle periferie urbane e la formazione, in collaborazione con
le università, le Regioni e gli enti locali, in materia di conoscenza della
cultura e della qualità architettonica, urbanistica e del paesaggio, nonché
dell'arte contemporanea. Promuove la conoscenza dell'arte contemporanea
italiana all'estero, fatte salve le competenze del ministero degli Affari esteri
e d'intesa con il medesimo; promuove la creatività e la produzione artistica
contemporanea e ne diffonde la conoscenza, valorizzando, anche mediante
concorsi, le opere di giovani artisti. Promuove iniziative di riqualificazione
e valorizzazione delle periferie urbane, anche tramite apposite convenzioni
con enti territoriali ed enti locali, università e altri soggetti pubblici e privati.

Quanto agli altri uffici dirigenziali generali centrali, possono ricordarsi qui la Le altre direzioni
direzione generale Archivi deputata dall'art. 21 d.p.c.m. 17112014 a svolgere le generali
funzioni e i compiti relativi alla tutela e alla valorizzazione dei beni archivistici
(su cui v. in/ra, sub par. 7.5 .) e inoltre la direzione generale Biblioteche e Istituti
culturali. Di essa si occupa l'art. 22 d.p.c.m. 17112014, assegnandole funzioni
e compiti relativi alle biblioteche pubbliche statali, ai servizi bibliografici e
100 CAPITOLO 2

bibliotecari nazionali, agli istituti culturali, alla promozione del libro e della
lettura e alla proprietà intellettuale e al diritto d'autore.
Resta da dire dell'istituzione della direzione generale Turismo (art. 19 d.p.c.m.
171/2014), con la quale si è inteso adeguare l'amministrazione centrale del mini-
stero alle nuove competenze assegnategli in materia dall'art. l, commi 2 e 3, della
l. 24 giugno 2013, n. 71 e in relazione alle quali già si era disposto, con d.p.c.m. 21
ottobre 2013, il passaggio dell'Ufficio per le politiche del turismo dalla Presidenza
del Consiglio all'apparato ministeriale che diventava perciò stesso il Mibact. A
essa è affidato curare la programmazione, il coordinamento e la promozione delle
politiche turistiche nazionali. In particolare, per quanto qui interessa, al direttore
generale Turismo compete attivare, in raccordo con i segretariati regionali e con
gli enti territoriali, reti e percorsi di valorizzazione del patrimonio culturale e
curare la definizione, in raccordo con la direzione generale Archeologia, Belle
Arti e Paesaggio e con la direzione generale Musei, degli indirizzi strategici dei
progetti relativi alla promozione turistica degli itinerari culturali e di eccellenza
paesaggistica e delle iniziative di promozione turistica finalizzate a valorizzare
le identità territoriali e le radici culturali delle comunità locali (art. 19, comma
2, lett. g, d.p.c.m. 17112014). A essa spetta inoltre promuovere la realizzazione
di progetti di valorizzazione del paesaggio, anche tramite l'ideazione e la realiz-
zazione di itinerari turistico-culturali dedicati, nell'ambito del Piano strategico
nazionale per lo sviluppo del turismo in Italia, predisposti a cura delle Regioni e
degli enti locali, singoli o associati (art. 19, comma 2, lett. u, d.p.c.m. 17112014).

6.2. Segretario generale

L'attribuzione al Mibact del modello organizzativo per direzioni generali è


stata accompagnata dalla scelta di istituire l'ufficio del segretario generale,
figura, di per sé, facoltativa.

Secondo quanto dispone l'art. 6, comma 2, del d.lgs. 300/1999, come sostituito
dall'art. 2 del d.lgs. 6 dicembre 2002, n. 287, «Nei ministeri in cui le strutture
di primo livello sono costituite da direzioni generali può essere istituito l'ufficio
del segretario generale».

Natura fiduciaria n
segretario generale, come esplicita l'art. 11 del d.p.c.m. 17112014, opera
dell'incarico alle dirette dipendenze del ministro al quale è legato da un rapporto di
natura fiduciaria che è a base anche dell'incarico, conferito ai sensi dell'art.
19, comma 3, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni,
ossia «con decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente» e ne spiega
anche la durata stabilita nel comma 8 dell'art. 19 del d.lgs. 165/2001 come
modificato, ove si dispone che tali incarichi «cessano decorsi novanta giorni
dalla fiducia al governo».

Quanto ai criteri, quantitativi e qualitativi, che devono guidare la scelta della


persona alla quale conferire tale incarico, essi sono enunciati, principalmente,
nei commi 5-bis e 6 dell'art. 19 del d.lgs. 165/2001 e succ. mod. È poi il comma
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 101

9 del medesimo articolo a richiedere che di questi incarichi sia data comuni-
cazione al Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati, allegando una
scheda contenente i titoli e le esperienze professionali dei soggetti prescelti.

I compiti del segretario generale sono definiti, in conformità alle disposizioni I compiti
generali contenute nell'art. 6 del d.lgs. 300/1999, dall'art. 11 del d.p.c.m.
171/2014, ove si stabilisce che «assicura il coordinamento e l'unità dell'azione
amministrativa, elabora le direttive, gli indirizzi e le strategie concernenti
l'attività complessiva del ministero, coordina gli uffici e le attività del mini-
stero, vigila sulla loro efficienza e rendimento e riferisce periodicamente al
ministro gli esiti della sua attività». Ed è sempre al segretario generale che
spetta coordinare le direzioni generali centrali e gli uffici dirigenziali generali
periferici del ministero, essendo direttamente responsabile nei confronti del
ministro dell'attività di coordinamento e della puntuale realizzazione degli
indirizzi da lui impartiti.

Nel successivo comma 2, questi compiti sono ulteriormente esplicitati, sia pure
in via solo esemplificativa. Molti di questi confermano attribuzioni delle quali
già disponeva in precedenza, molti invece sono diretti a rafforzarne il ruolo di
garante dei coordinamenti interni a un'amministrazione molto articolata, qual è
il Mibact e di snodo dei rapporti tra politica e amministrazione [Barbati 2015].
Sono del pari rafforzate anche talune sue competenze tecniche nei confronti
dell'amministrazione, sino ad attribuirgli il potere di sostituirsi ai responsabili
degli uffici generali centrali e periferici in caso di loro inerzie. Compiti che si
aggiungono a quelli di coordinamento dell'attività di tutela in base a criteri
uniformi e omogenei sull'intero territorio nazionale dei quali già disponeva.
Fra le altre nuove attribuzioni, vi è quella di curare «l'elaborazione, entro il
31 ottobre di ciascun anno, sulla base delle proposte e delle istruttorie curate
dalle direzioni generali centrali competenti, dagli istituti di cui all'articolo
30 e dai segretariati regionali, del Piano strategico "Grandi progetti beni
culturali", di cui all'articolo 7, comma l, della legge 29luglio 2014, n. 106,
mediante individuazione dei beni e dei siti di eccezionale interesse culturale e
di rilevanza nazionale per i quali sia necessario e urgente realizzare interventi
organici di tutela, riqualificazione, valorizzazione e promozione culturale,
anche a fini turistici».

Dal punto di vista organizzativo, l'art. 11, comma4, d.p.c.m. 171/2014 precisa
che «TI segretario generale costituisce centro di responsabilità amministrativa>>,
che si articola (a seguito del d.m. 12 gennaio 2017) in quattro uffici dirigen-
ziali di livello non generale (da sei che erano), compreso il servizio ispettivo.

6.3. Organi consultivi centrali

TI Mibact, al pari di altri ministeri, si avvale, per il miglior esercizio delle pro- Amministrazione
prie funzioni e dei propri compiti, di un'amministrazione consultiva, ossia consultiva del Mi·
bact
di organismi collegiali permanenti chiamati a procurare elementi conoscitivi
102 CAPITOLO 2

e valutativi utili all'assunzione delle decisioni spettanti al vertice, politico o


burocratico, dell'apparato ministeriale.
Riordino degli or- Per il settore del patrimonio culturale, questi organi sono individuati dal
gani consultivi d.p.c.m. 171/2014 nel Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici (art.
25) e in sette comitati tecnico-scientifici la cui articolazione, le cui attribuzioni
e la cui stessa denominazione sono stati adeguati dall'art. 26 del d.p.c.m.
17112014 alle configurazioni delle direzioni generali centrali, per come d eli-
neate dal regolamento di riorganizzazione del Mibact.

La presenza di questi organi era già prevista nell'art. 4 del d.lgs. 368/1998,
come modificato dall'art. 3, comma l, del d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3. In base
a questa disposizione, l'amministrazione consultiva centrale del Mibact con-
templava il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, i comitati
tecnico-scientifici, i comitati regionali di coordinamento nonché, con clausola
di chiusura, perciò stesso generica, «gli altri organi istituiti in attuazione delle
vigenti disposizioni di legge». La loro composizione, i compiti e le incompa-
tibilità dei loro membri erano rinviate alla disciplina che ne avrebbero dettato
i regolamenti di organizzazione, adottati ai sensi dell'art. 17, comma 4-bis,
della l. 23 agosto 1988, n. 400. In tal modo, il decreto istitutivo dell'(allora)
Mibac conferiva un nuovo riconoscimento a organismi risalenti e già parte
dell'amministrazione del settore. Nel caso del Consiglio superiore, la sua
prima istituzione si deve, infatti, alla l. 27 giugno 1907, n. 386, con la quale
si creò, presso il ministero della Pubblica istruzione, il «Consiglio superiore
delle antichità e belle arti>>, successivamente costituito dal d.p.r. 3 dicembre
1975, n. 805, come «Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali». I
comitati tecnico-scientifici, previsti all'atto dell'istituzione del ministero, an-
davano invece a sostituire i comitati di settore che il d. p.r. 3 dicembre 1975, n.
805, prevedeva quali articolazioni del Consiglio nazionale per i beni culturali e
ambientali. Al d.lgs. 368/1998 si deve, invece, la prima previsione dei comitati
regionali di coordinamento, poi soppressi in occasione della riorganizzazione
effettuata con d.p.c.m. 171/2014 e sostituiti, con diverse attribuzioni e una
diversa collocazione, entro l'amministrazione periferica del Mibact e non più
nell'amministrazione consultiva, delle commissioni regionali per il Patrimonio
culturale.

Anche gli organi consultivi centrali del Mibact sono stati interessati, nel
tempo, da reiterati interventi volti a modificarne attribuzioni, struttura e
perciò anche composizione nonché capaci di incidere sul loro stesso ruolo,
sino a fare di alcuni di essi qualche cosa in più o di diverso: organi cioè non
solo consultivi, in quanto tali chiamati a esprimere pareri, ma anche pro-
positivi, ossia legittimati a sollecitare e a orientare l'attività deliberativa dei
vertici ministeriali [Sciullo 2007b]. La disciplina che oggi ne detta il d.p.c.m.
17112014 è, pertanto, solo la più recente espressione di un percorso di ride-
finizione e ripensamento dell'amministrazione consultiva, volto a coniugarne
la presenza, la composizione e gli interventi con le istanze di riduzione della
spesa complessiva sostenuta dalle amministrazioni pubbliche per gli organi
collegiali operanti presso di esse, già accolte nel nostro ordinamento con
l'art. 29 del d.l. 4luglio 2006, n. 233, conv. con mod. nella L 4 agosto 2006,
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 103

n. 248 e come tali all'origine delle riforme di cui furono oggetto con il d.p.r.
12 gennaio 2007, n. 2.

In proposito, è opportuno ricordare che queste ragioni di contenimento della


spesa pubblica non hanno comunque condotto il legislatore del2014 a ridurre
il numero dei componenti degli organi collegiali consultivi operanti nel settore,
rispetto a quello fissato con il d.p.r. 233/2007 (artt. 13 e 14), stante quello che
il d.p.c.m. 171/2014, nelle sue premesse, ha riconosciuto come il loro ruolo
fondamentale.

il Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici trova una prima defini- Consiglio supe-
zione del proprio ruolo nell'art. 25 del d.p.c.m. 17112014, il quale ripetendo riore beni cultu-
la formulazione già accolta dal d. p.r. 23 3/2007, stabilisce che esso «è organo rali e paesaggistici
consultivo del ministero a carattere tecnico-scientifico in materia di beni
culturali e paesaggistici».

Una qualificazione che deriva dalla riforma di cui il Consiglio superiore è stato
oggetto con il d.p.r. 12 gennaio 2007, n. 2, il quale andò a sostituire la disciplina
che ne dettava l'art. 17 del regolamento di organizzazione del Mibact, approvato
con d.p.r. 10 giugno 2004, n. 173. Riforma, poi transitata nel d.p.r. 233/2007,
modificato dal d.lgs. 9112009 e, appunto, sollecitata dal già ricordato art. 29
del d.l. 233/2006, conv. con mod. nella L 248/2006, con il quale si richiedeva
alle amministrazioni di adottare misure per il «contenimento delle spese per
commissioni, comitati e altri organismi», che giunsero a investire lo stesso
quadro delle attribuzioni del Consiglio superiore.

Quanto al ruolo spettante al Consiglio, la formulazione adottata dall'art. 25


del d. p.c.m. 17112014 rende palese che il referente delle sue attività consultive
e propositive non è più solo il ministro, ossia l'organo di direzione politica,
ma il ministero, vale a dire l'apparato nei suoi vertici, anche amministrativi.

La questione di quali siano i referenti degli organi consultivi, se l'organo


di direzione politica (ministro) o gli apparati dirigenziali, oltre a possedere
un'evidente rilevanza fattuale, in quanto idonea a determinare collocazione
ordinamentale e profili funzionali dei singoli organismi, si riteneva rilevasse
anche agli effetti delle applicazioni del principio di distinzione-separazione
fra politica e amministrazione. In realtà, di là dalle indicazioni offerte dall'art.
3, comma 2, del d.lgs. 368/1998, il regolamento di organizzazione degli uffici
di diretta collaborazione del ministero, approvato con d.p.r. 307/2001, pur
mantenendo ferma l'imputazione del Consiglio superiore al gabinetto del
ministro, già sfumava l'indicazione di quale fosse l'autorità referente e, al
contempo, ne ampliava le attribuzioni, sino a far apparire possibile una sua
attivazione da parte della dirigenza, a ciò, comunque, legittimata in base alle
normative generali. Di qui, il sorgere di incertezze interpretative che avevano
indotto lo stesso Consiglio ad auspicare per sé un ruolo che ne valorizzasse il
contributo alla «formazione delle scelte di indirizzo politico>>, per lasciare ai
comitati di settore il coinvolgimento nelle attività di natura più prettamente
gestionale [Barbati 2002, 243].
104 CAPITOLO 2

Le attribuzioni del Consiglio superiore <(Beni culturali e paesaggistici~>, in


base all'art. 25 d.p.c.m. 17112014, consistono sia in un'attività consultiva,
in senso proprio, sia in un'attività propositi va, espressamente riconosciuta
all'organo, per la prima volta, dal d.p.r. 2/2007.
Attività consultiva L'attività consultiva consiste nella espressione di pareri, a richiesta del di-
del Consiglio rettore generale centrale competente, trasmessa per il tramite dell'ufficio di
gabinetto del ministro, su una serie di interventi elencati dall'art. 25, comma
2, in termini non esaustivi e comunque sostanzialmente coincidenti con quelli
identificati dall'art. 17, comma 2, del d.p.r. 233/2007, potendo comunque
essere sentito su ogni questione di carattere generale e di particolare rilievo
concernente la materia dei beni culturali e paesaggistici, anche formulate da
altre amministrazioni statali, regionali, locali nonché da Stati esteri.
In base a quanto dispone l'art. 25, con collocazione non perspicua nel comma
5, «i pareri sono resi, di norma, entro trenta giorni dal ricevimento della
richiesta, riducibili a dieci in caso di urgenza».

In particolare, l'art. 25, comma 2, d.p. c.m. 17112014 prevede che il Consiglio su-
periore sia, tra l'altro sentito, ((obbligatoriamente», sui programmi nazionali per
i beni culturali e paesaggistici e sui relativi piani di spesa annuali e pluriennali,
predisposti dall'amministrazione oltre che sugli schemi di accordi internazio-
nali in materia di beni culturali. Pareri, dunque, in questi casi, obbligatori che,
in quanto tali, devono essere necessariamente richiesti dall'amministrazione,
la quale potrà discostarsene solo con idonea motivazione. Il Consiglio invece
può essere sentito, nell'espressione di pareri che è rimesso all'amministrazione
valutare se richiedere o meno, e perciò facoltativi, sui piani strategici di svilup-
po culturale e sui programmi di valorizzazione dei beni culturali e, fra l'altro,
come innovazione introdotta nel2014, sul Piano nazionale per l'educazione
al patrimonio culturale predisposto dalla direzione generale Educazione e
Ricerca. I pareri del Consiglio possono poi essere richiesti anche sugli schemi
di atti normativi e amministrativi generali afferenti la materia dei beni culturali
e paesaggistici e l'organizzazione del ministero nonché sui piani paesaggistici
elaborati congiuntamente con le Regioni.

Attività proposi- L'attività propositiva si esprime invece nella possibilità, già riconosciuta al
tiva del Consiglio Consiglio superiore, nei medesimi termini dal precedente regolamento di
organizzazione del2007, di «avanzare proposte al ministro su ogni questione
di carattere generale di particolare rilievo afferente la materia dei beni cul-
turali e paesaggistici», comprese dunque quelle che concernono le funzioni
di indirizzo politico (art. 25, comma 3, d.p.c.m. 17112014).
La sua composi- Quanto alla sua composizione, di esso, a norma dell'art. 25, comma 4,
zione d.p.c.m. 17112014, fanno parte i presidenti dei comitati tecnico-scientifici
e «otto eminenti personalità del mondo della cultura nominate, nel ri-
spetto del principio di equilibrio di genere, dal ministro, tre delle quali su
designazione della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. 28 agosto
1997, n. 281».
li Consiglio è integrato con tre rappresentanti del personale del ministero,
eletti da tutto il personale, quando esprime pareri sui programmi nazionali per
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 105

i beni culturali e paesaggistici e sui relativi piani di spesa annuali e pluriennali


ovvero su questioni aventi a oggetto il personale del ministero.

Composizione che è il risultato di una progressiva diminuzione nel numero dei


suoi componenti, operata già con il d.p.r. 233/2007, rispetto ai quattordici che
erano, con il d.p.r. 173/2004, il quale aveva così ridotto la composizione fissata
in diciannove dal d.p.r. 307/2001, rispetto ai poco meno di cento del primo Con-
siglio nazionale, nella configurazione che gli aveva assegnato il d.p.r. 805/1975.
È confermata, rispetto alle scelte precedenti, anche la qualifica tecnica dei
suoi componenti e, soprattutto, il raccordo con l'amministrazione ministeriale,
palesata dalla previsione che i membri siano prevalentemente scelti dallo stesso
ministro.

Il presidente del Consiglio superiore è nominato dal ministro tra le otto


eminenti personalità del mondo della cultura che ne sono membri. n suo
voto, in caso di parità, prevale. Al Consiglio è invece rimessa l'elezione, a
maggioranza, fra i propri componenti del vicepresidente e l'adozione di un
proprio regolamento interno.
Il termine di durata del Consiglio è stabilito, dall'art. 25, comma 7, d.p.c.m.
17112014 in tre anni. Venuta meno l'esigenza, in precedenza prevista e di-
sciplinata, di verificare la perdurante utilità dell'organismo, immaginandone
anche una proroga, in vista di un successivo riordino o della sua stessa sop-
pressione, I' attuale regolamento di organizzazione si limita a stabilire, con
disposizione di natura transitoria, che i componenti del Consiglio restino in
carica sino alla scadenza del termine di durata dell'organo, potendo essere
confermati una sola volta.

Si conferma, inoltre, nell'art. 25, comma 7, che i componenti del Consiglio su-
periore «non possono esercitare le attività di impresa previste dall'art. 2195 del
codice civile quando esse attengono a materie di competenza del ministero, né
essere amministratori o sindaci di società che svolgono le medesime attività; non
possono essere titolari di rapporti di collaborazione professionale con il mini-
stero; non possono essere presidenti o membri del Consiglio di amministrazione
di istituzioni o enti destinatari di contributi o altre forme di finanziamento da
parte del ministero né assumere incarichi professionali in progetti o iniziative il
cui funzionamento, anche parziale, è soggetto a parere del Consiglio superiore».

I comitati tecnico-scientifici, quali altri organi consultivi del ministero, sono I comitati tecnico-
individuati dall'art. 26 del d.p.c.m. 17112014 nei seguenti sette: comitato scientifici
tecnico-scientifico per I' archeologia; comitato tecnico scientifico per le belle
arti; comitato tecnico-scientifico per il paesaggio; comitato tecnico-scientifico
per l'arte e l'architettura contemporanee; comitato tecnico-scientifico per i
musei e l'economia della cultura; comitato tecnico-scientifico per gli archivi;
comitato tecnico-scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali.

La presenza dei sette comitati tecnico-scientifici è stata confermata dall'art.


13, comma l, del d.l. 9112013, conv. con mod. dalla l. 112/2013, dopo la loro
106 CAPITOLO 2

soppressione, in attuazione di quanto previsto dall'art. 12, comma 20, del d.l.
6luglio 2012, n. 95, conv. con mod. dalla l. 7 agosto 2012, n. 135. Con questa
disposizione si stabiliva, infatti, con riguardo a tutti gli organismi collegiali
operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga, che le
loro attività fossero «definitivamente trasferite ai competenti uffici delle am-
ministrazioni nell'ambito delle quali operano». Previsione con la quale si dava
sviluppo a un disegno, già awiato con la legge finanziaria per il2002, prose-
guito con il d.l. 4 luglio 2006, n. 223 conv. con mod. dalla l. 4 agosto 2006, n.
248, per il riordino, inteso come riduzione, degli organismi collegiali operanti
presso le pubbliche amministrazioni, quale misura funzionale al contenimento
della spesa e allo snellimento dell'organizzazione pubblica [Barbati 2012].
Benché le procedure per il rinnovo dei comitati fossero state awiate, i ritardi
del ministero nelle designazioni dei componenti di sua competenza ne deter-
minarono l'assoggettamento alle misure soppressive previste dal d.l. 95/2012.
La presidenza del Consiglio infatti non ritenne di concedere la proroga che
il ministero, riconoscendo la perdurante utilità dei comitati, aveva richiesto.
Solo successivamente, anche in ragione delle numerose reazioni critiche solle-
citate dalla loro soppressione e dal conseguente venir meno della possibilità di
awalersi delle loro competenze tecniche, con la l. 112/2013 si è sancita la non
applicazione di queste norme generali «nei confronti degli organismi operanti
nei settori della tutela e della valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici
e delle attività culturali», disponendo che questi organismi fossero ricostituiti.
Il che è quanto awenne con il d.m. 6 giugno 2014.

Le attribuzioni dei comitati tecnico-scientifici, al pari di quanto si è visto


per il Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici, sono anch'esse
di natura sia consultiva sia propositi va e sono identificate dall'art. 26 del
d. p.c.m. 17112014 in termini comuni a tutti i comitati, con la sola ecce-
zione di quello preposto ai Musei e all'Economia della cultura, oggetto di
previsioni dedicate.

In particolare, l'art. 26, comma 2 del d.p.c.m. 17112014 prevede, analogamente


a quanto già disponeva il d.p.r. 233/2007, che essi esprimano pareri, a richiesta
del segretario generale, dei direttori generali centrali e dei segretari regionali,
per il tramite dei direttori generali competenti, e avanzino proposte «in ordine a
metodologie e criteri di intervento in materia di conservazione dei beni culturali
e paesaggistici». Inoltre, esprimono pareri in merito all'adozione di prowedi-
menti di particolare rilievo, quali le acquisizioni e gli atti ablatori, in ordine ai
ricorsi amministrativi proposti ai sensi degli artt. 16, 47, 69 e 128 del Codice
nonché su ogni altra questione di carattere tecnico-scientifico a essi sottoposta,
come vuole la loro natura di organismi essenzialmente tecnici.
Quanto alle attribuzioni propositive, a esse riconosciute, per la prima volta dal
d.p.r. 2/2007, l'art. 26, comma 2, del d.p.c.m. 17112014 prevede, come per il
passato, che avanzino «proposte, per la materia di propria competenza, per la
definizione dei programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e dei
relativi piani di spesa».

Con riguardo al Comitato tecnico-scientifico per i musei e l'economia della


cultura, l'art. 26, comma 3, d.p.c.m. 17112014 gli assegna competenze, analo-
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 107

gamente, sia consultive sia propositive, in relazione a questioni che possono


attenere non solo alle attività di gestione ma anche di indirizzo.

In particolare, si stabilisce che esso «avanza proposte per la definizione di piani


e programmi per i beni culturali e paesaggistici finalizzati a favorire l'incremento
delle risorse destinate al settore)) ed esprime pareri, a richiesta del segretario
generale o dei direttori generali, e avanza proposte su «questioni di carattere
tecnico-economico concernenti gli interventi per i beni culturali)).

La composizione dei comitati, disciplinata dall'art. 26, comma 4, del d.p.c.m. La composizione
17112014, è anch'essa il risultato di progressive modifiche, volte sia a ridurne dei comitati
il numero dei membri, oggi fissato, come già prevedeva il d.p.r. 223/2007, in
quattro, sia ad accrescere il numero di quelli scelti dal ministro.

L'art. 26, comma 4, stabilisce pertanto che ciascun comitato sia composto da
un rappresentante, eletto, al proprio interno, dal personale tecnico-scientifico
dell'amministrazione tra le professionalità attinenti alla sfera di competenza del
singolo comitato; da due esperti di chiara fama, in materie attinenti alla sfera
di competenza del singolo comitato, designati dal ministro; da un professore
universitario di ruolo nei settori disciplinari direttamente attinenti alla sfera
di competenza del singolo comitato, designato dal Consiglio universitario
nazionale, secondo una procedura che il d.p.c.m. del 2014 ha leggermente
modificato, prevedendo che la designazione Cun sia effettuata «sentite le
Consulte o Società scientifiche nazionali del settore)).
Il presidente e il vice presidente sono eletti nel proprio seno dai comitati,
assicurando che non siano espressione della medesima componente. E l'in-
cidenza del ministro si esprime anche nella previsione, contenuta nel comma
6, in base alla quale «nel caso in cui nessun candidato risulti eletto presidente
al termine del primo scrutinio, diviene presidente il componente designato
prioritariamente dal ministro)).
Ai componenti dei comitati tecnico-scientifici si applicano le incompatibilità
stabilite dall'art. 25 d.p.c.m. 17112014 per i componenti del Consiglio superiore
beni culturali e paesaggistici.

6.4. Istituti centrali e dotati di autonomia speciale

All'amministrazione del Mibact afferiscono tradizionalmente numerose,


quanto eterogenee, strutture organizzative deputate a svolgere differenti
funzioni. Già menzionate, o meglio evocate, dal d.lgs. 368/1998, nei suoi artt.
6, 8 e 9, pur senza indicazioni utili a distinguerne le tipologie, sono state inte-
ressate da differenti sistemazioni per opera dei regolamenti di organizzazione
del ministero che si sono succeduti e dei correttivi che vi sono stati apportati.

In particolare, può essere opportuno ricordare che queste strutture ricevettero


una nuova sistemazione con l'art. 15 del d.p.r. 233/2007, modificato nel2009,
quando furono ordinati in tre distinte categorie: quella degli istituti centrali,
degli istituti nazionali e degli istituti dotati di autonomia speciale.
108 CAPITOLO 2

Strutture ad au- Con l'art. 30 del d.p.c.m. 17112014, e per effetto delle riforme che il nuovo
tonomia speciale regolamento di organizzazione introduce nelle articolazioni centrali e peri-
(art. 30 d.p.c.m. feriche del ministero, queste strutture diventano ancora una volta oggetto
17112014)
di nuove distinzioni tipologiche e di una ordinazione in categorie differenti,
accomunate più che dalla loro collocazione presso l'amministrazione centrale,
come aweniva nel precedente assetto, dalla speciale condizione di autonomia
che ne connota statuto e attività.
L'art. 30 del d.p.c.m. 171/2014 ne propone un elenco, aperto, capace di attrarre
al suo interno altre strutture cui siano riconosciute con decreto ministeriale le
medesime condizioni di autonomia speciale, assunta come tratto qualificante
e, pur nelle sue differenti declinazioni applicative, unificante.
La loro individuazione non può, pertanto, essere assegnata alla sola lettera
dell'art. 30 del d.p.c.m. 17112014, già interessata da integrazioni e da modifiche
conseguenti agli sviluppi assicurati, da prowedimenti successivi, al processo
di riorganizzazione dell'amministrazione centrale e periferica del Mibact.

Nell'elenco dell'art. 30 del d.p.c.m. 17112014, come integrato da successivi


decreti ministeriali e, da ultimo, corretto dal d.m. 44/2016 vengono così incluse
sia strutture di antica istituzione, come tali contemplate nel regolamento di
organizzazione che fece seguito alla nascita del primo apparato ministeriale di
settore, ossia nel d.p.r. 85/1975, sia strutture «nuove», sia strutture interessate
da riordini che ne hanno modificato la configurazione e, talvolta, anche la
denominazione.

Gli istituti centrali Volendo seguire l'ordine espositivo proposto dall'art. 30 del d.p.c.m. 17112014,
nel novero di queste strutture rientrano, innanzi tutto, gli istituti centrali.

Già previsti e identificati dal precedente regolamento di organizzazione del


Mibact, di essi si conferma anche l'identificazione che ne effettuava l'art. 15
del d.p.r. 233/2007.

Ai sensi dell'art. 30, comma l, del d.p.c.m. 171/2014, sono tali: «a) l'Istituto
centrale per il catalogo e la documentazione; b) l'Istituto centrale per il cata-
logo unico delle biblioteche italiane; c) l'Opificio delle pietre dure; d) l'Istituto
centrale per la demoetnoantropologia; e) l'Istituto centrale per il restauro e
la conservazione del patrimonio archivistico e librario; /J l'Istituto centrale
per gli archivi; g) l'Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi; ai quali si
aggiunge h) l'Istituto centrale per la grafica». Ad essi il d.m. 7. Aprile 2017
ha aggiunto i) l'Istituto centrale per l'archeologia.

L'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (Iccd), con sede in Roma,


anch'esso già previsto dal d. p.r. 805/1975, esplica funzioni di ricerca, indirizzo,
coordinamento tecnico-scientifico e formazione, finalizzate alla catalogazione
e documentazione dei beni culturali e perciò alla loro tutela e valorizzazione.
Inoltre, sulla base di specifiche intese istituzionali tra il Mibact e le Regioni,
partecipa alla costituzione di centri di catalogazione misti Stato-Regioni, cu-
rando in particolare la formazione dei catalogatori.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 109

L'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane (Iccu), con
sede in Roma, previsto, con tale denominazione, dal d.p.r. 805/1975, quando
subentrò al Centro nazionale per il catalogo unico creato nell951, promuove
e coordina l'attività di catalogazione e documentazione del patrimonio librario
conservato nelle biblioteche pubbliche e ne cura l'unificazione dei metodi, con
particolare riguardo alla realizzazione del Servizio bibliotecario nazionale (Sbn).
Coordina inoltre progetti di digitalizzazione e conservazione a lungo termine
delle memorie digitali. Ha come referente la direzione generale Biblioteche e
Istituti culturali.
L'Opificio delle pietre dure (Opd) di Firenze, ora sottoposto alle funzioni
d'indirizzo, di coordinamento e, d'intesa con la direzione generale Bilancio,
di vigilanza della direzione generale Educazione e Ricerca, erede di una lunga
tradizione che risale a Ferdinando I de' Medici, fu costituito con tale denomi-
nazione nell975. Svolge, con valenza sull'intero territorio nazionale, attività di
restauro, conservazione, ricerca e consulenza sui beni del patrimonio culturale
appartenenti allo Stato e ad altri enti pubblici, anche non territoriali nonché a
persone giuridiche private, senza fine di lucro. (art. l d.m. 7 ottobre 2008 che
ne disciplina l'ordinamento).
L'Istituto centrale per la demoetnoantropologia (Idea), con sede in Roma, istituito
allo scopo di rispondere all'esigenza di «dare nuovo slancio al patrimonio demo-
etnoantropologico come portatore di identità e valorizzazione socio economica»,
come si leggeva nella relazione illustrativa al d.p.r. 233/2007, opera per la tutela,
la salvaguardia, la valorizzazione e la promozione dei beni che costituiscono il
patrimonio etnoantropologico italiano oltre che delle diversità culturali.
L'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivi-
stico e librario (lcpal), sorto nel2007 (d.p.r. 233/2007) dall'accorpamento di
due precedenti strutture (Istituto centrale di patologia del libro e Centro di
fotoriproduzione legataria e restauro degli Archivi di Stato), con sede in Roma,
soggetto alle funzioni di coordinamento, indirizzo e vigilanza della direzione
generale Educazione e Ricerca, «svolge, con valenza sull'intero territorio
nazionale, attività di restauro, conservazione, ricerca e consulenza sui beni
archivistici e librari appartenenti allo Stato e ad altri enti pubblici, anche non
territoriali, nonché alle persone giuridiche private (art. l d.m. 7 ottobre 2008).
L'Istituto centrale per gli archivi (lcar), costituito dall'art. 6, comma 4, del
d.lgs. 368/1998, con sede in Roma, afferente alla direzione generale Archivi, ha
«competenze di definizione degli standard per l'inventariazione e la formazione
degli archivi, di ricerca e di studio, di applicazione di nuove tecnologie>>. Dal
2011, all'Istituto spetta anche il coordinamento tecnico-scientifico del Sistema
Archivistico Nazionale.
L'Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi, con sede in Roma, sottoposto
alle funzioni di coordinamento, indirizzo e vigilanza della direzione generale
Biblioteche e Istituti culturali, è stato configurato come tale e, perciò, costituito
con il d.p.r. 233/2007, quando è stato chiamato a subentrare alla Discoteca di
Stato della quale ha acquisito le risorse umane e tecniche nonché il compito
di documentare, valorizzare e conservare il patrimonio sonoro e audiovisivo
nazionale nonché di formulare standard e linee guida in materia di conservazione
e gestione dei beni sonori e audiovisivi.
L'Istituto centrale per la grafica ha assunto tale denominazione e qualificazione
con l'art. 30 del d.p.c.m. 17112014, quale erede del precedente Istituto nazionale
per la grafica sorto nel1975 dall'unione della Calcografia nazionale e del Gabi·
netto nazionale delle stampe. Ha il compito di tutelare, conservare e promuovere
11 0 CAPITOLO 2

un patrimonio di opere che documentano le differenti tipologie di arte grafica.


L'Istituto centrale per l'archeologia (lca), con sede in Roma, svolge funzioni
in materia di studio e di ricerca nel settore dell'archeologia, intesa nella sua
accezione più ampia.

Le scuole di for· Ed è presso questi Istituti centrali, in particolare presso l'Opificio delle
mazione e studio pietre dure e presso l'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del
patrimonio archivistico e librario che operano le scuole di formazione e
studio di cui si occupa l'art. 9 del d.lgs. 368/1998, prevedendo, per esse, la
possibilità di organizzare «corsi di formazione e specializzazione anche con
il concorso di Università e altre istituzioni ed enti italiani e stranieri», oltre
che di «partecipare e contribuire alle iniziative di tali istituzioni ed enti» (art.
9, comma 2, d.lgs. 369/1998).
In merito all'organizzazione e al funzionamento degli istituti centrali, l'art.
30, comma 5, del d.p.c.m. 17112014 prevede che essi, inclusa la dotazione
organica, possano essere definiti con uno o più decreti di natura non regola-
mentare, emanati ai sensi dell'art. 17, comma 4-bis, lett. e, della l. 400/1988
e dell'art. 4, commi 4 e 4-bis, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e
successive modificazioni.

La direzione degli istituti centrali, in base a quanto dispone l'art. 30, comma
6, d.p.c.m. 17112014, è oggetto di un incarico conferito dai titolari delle strut-
ture dirigenziali generali dai quali dipendono, ossia dai Direttori generali di
riferimento.

Gli istituti ad au· L'art. 30, comma 2, lett. b del d.p.c.m. 171/2014 menziona poi gli istituti ad
tonomia speciale autonomia speciale, nel cui novero colloca strutture già incluse, in questa
tipologia, dal regolamento di organizzazione del2007. In particolare, prevede
l'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, la Biblioteca nazionale
centrale di Roma, la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, l'Archivio
centrale dello Stato e il Centro per il libro e la lettura. Nel2015 l'autonomia
speciale è stata altresì conferita all'Opificio delle pietre dure e all'Istituto
centrale per la grafica.

Anche la direzione di questi istituti, costituiti come uffici di livello dirigenziale


non generale, è oggetto di un incarico conferito dal titolare della direzione
generale cui afferiscono (art. 30, comma 2, lett. b, d.p.c.m. 17112014).

Sono, invece, «nuove», in ragione dei riordini che, nell'ambito della più am-
pia riorganizzazione del Mibact effettuata dal d.p.c.m. 17112014, ne hanno
modificato la configurazione e talvolta la denominazione, le altre strutture
elencate nell'art. 30.
La soprintendenza Fra queste, in primo luogo, quella che, in forza di provvedimenti correttivi
speciale di Roma successivi al d.p.c.m. 17112014, diventa la soprintendenza speciale Archeo-
logia, Belle arti e Paesaggio di Roma.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 111

L'art. 30, comma 2, lett. a, del d.p.c.m. 17112014, nella sua originaria formu-
lazione, collocava infatti, nel novero degli istituti ad autonomia speciale, sia
pure costituiti come uffici di livello dirigenziale generale, perciò differenti da
quelli sopra ricordati, la soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo
nazionale romano e l'area archeologica di Roma e la soprintendenza speciale
per Pompei, Ercolano e Stabia.

Una collocazione in cui si rifletteva la scelta, in precedenza operata dal


d.p.r. 233/2007, di sistemare in questa tipologia degli istituti ad autonomia
speciale, le strutture volute dall'art. 8 del d.lgs. 368/1998 e su cc. m od. (poi
abrogato, ai sensi dell'art. 14, del d.l. 83/2014), ove si prevedeva la possi-
bilità di trasformare le soprintendenze di settore in soprintendenze dotate
di autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa e contabile, qualora
avessero «competenza su complessi di beni distinti da eccezionale valore
archeologico, storico, artistico o architettonico», già riconosciuta dall'art. 8
del d.lgs. 368/1998. Disposizione con la quale il decreto istitutivo dell'allora
Mibac intendeva estendere ad altre soprintendenze il modello organizzativo
introdotto dalla l. 8 ottobre 1997, n. 352, per la soprintendenza archeologica
di Pompei, alla quale era stata appunto attribuita «autonomia scientifica,
organizzativa, amministrativa e finanziaria per quanto concerne l'attività
istituzionale, con esclusione delle spese per il personale (art. 9, l. 352/1997).
Disegno che trovò attuazione in una serie di decreti ministeriali, istitutivi di
soprintendenze speciali che, nelle nuove configurazioni che vi diede il d.p.r.
233/2007, furono incluse dal suo art. 15, comma 2, nel novero degli istituti
dotati di autonomia speciale.
Le soprintendenze speciali, come previste dal d.p.c.m. 171/2014, sono state
tuttavia interessate da successivi riordini. Al fine, dichiarato dall'art. l, comma
432, della l. 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di Bilancio 2017), di razionalizzare
la spesa del Mibact e «dell' efficientamento delle modalità di bigliettazione
degli istituti e luoghi della cultura di rilevante interesse nazionale», nonché
per assicurarne l'adeguamento «agli standard internazionali in materia di
musei e di luoghi della cultura)), richiamati dall'art. 14 del d.l. 31 maggio
2014, n. 83, ivi inclusa la possibilità di nominare i direttori a seguito di ap-
posita procedura di selezione pubblica internazionale, ai sensi del medesimo
art. 14, comma 2-bis, con d.m. 15/2017 si è disposta l'istituzione del Parco
archeologico del Colosseo.
Di conseguenza, rilevata «l'esigenza che la soprintendenza Archeologia, Belle
Arti e Paesaggio di Roma, in considerazione della eccezionale rilevanza del
patrimonio culturale e dei siti da essa tutelati e gestiti, per un verso, conservi
l'autonomia speciale, per l'altro, abbia come propria area di competenza l'in·
tero territorio comunale)), si è disposta la ridefinizione della soprintendenza
speciale per il Colosseo come soprintendenza speciale Archeologia, Belle Arti
e Paesaggio di Roma. (art. l, comma 2-bis).
Per quanto concerne la soprintendenza speciale Pompei e il soprintendente
a essa preposto, per effetto del d.m. 15/2017, essi hanno assunto la denomi·
nazione, rispettivamente, di Parco archeologico di Pompei e di direttore del
Parco archeologico di Pompei, quale istituto della cultura di rilevante interesse
nazionale dotato di autonomia speciale ai sensi dell'art. 30 del dCPM 17112014
e del d.m. 23 dicembre 2014 (art. l, comma 2-bis e 4, del d.m. 15/2017).
112 CAPITOLO 2

La nuova soprintendenza speciale di Roma, per disposizione dell'art. 2 del


d.m. 12 gennaio 2017, n. 15, ha pertanto ricevuto una disciplina dedicata,
trasfusa nell'art. 4-bis del d.m. 23 gennaio 2016, volta a riconoscerle «autono-
mia scientifica, finanziaria, contabile e organizzativa ai sensi dell'art. 30 del
d.p.c.m. 171/2014» e ad assegnarle l'intero territorio del Comune di Roma,
fatte salve le competenze del direttore del Polo museale del Lazio, nonché
dei direttori dei musei e parchi archeologici di rilevante interesse nazionale e
degli altri uffici del ministero aventi sede nel medesimo territorio.
Anche quanto al modello organizzativo e di funzionamento, a essa si appli-
cano pertanto le disposizioni relative all'organizzazione e al funzionamento
dei musei provvisti di autonomia speciale (d.m. 23 dicembre 2014) (su cui
v. in/ra, par. 7.4).

Una conferma, dunque, di un modello organizzativo a essa già applicato, nella


sua precedente configurazione di soprintendenza speciale al Colosseo e all'area
archeologica centrale di Roma, così ridenominata dal d.m. 44/2016.

L'incarico di direzione della soprintendenza speciale è conferito ai sensi


dell'art. 19, comma 4, d.lgs. 165/2001, ossia con decreto del presidente del
Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dei beni, delle attività culturali
e del turismo.

La sua collocazione ordinamentale all'interno del Mibact risponde, invece, alle


nuove linee dettate dal d.m. 15/2017. Pertanto, la soprintendenza speciale è
sottoposta al coordinamento e all'indirizzo della direzione generale Archeo-
logia, Belle Arti e Paesaggio per quanto concerne l'esercizio, nel territorio
di competenza, delle funzioni spettanti ai soprintendenti Archeologia, Belle
Arti e Paesaggio. Ed è pertanto sempre a questa direzione generale che spetta
esercitare la vigilanza sulla soprintendenza, anche ai fini dell'approvazione,
su parere conforme della direzione Bilancio, del bilancio di previsione, delle
relative variazioni e del conto consuntivo.
Con riferimento, invece, agli istituti e ai luoghi della cultura statali presenti
nel territorio, e non assegnati ad altri uffici del ministero, il soprintendente
esercita le funzioni assegnate ai direttori dei musei dall'art. 35, comma 4,
del d.p.c.m. 171/2014, sotto il coordinamento e l'indirizzo della direzione
generale Musei.
Per quanto concerne il suo finanziamento, l'art. 4-bis del d.m. 44/2016 stabi-
lisce che alla soprintendenza speciale sia trasferita una quota pari al30% degli
introiti complessivi annui del Parco archeologico del Colosseo.

7. L'AMMINISTRAZIONE PERIFERICA DEL MIBACT

Il riordino del- Il Mibact, come altri ministeri, dispone anche di un'amministrazione perife-
l' amministrazione rica, ossia, per l'esercizio delle proprie funzioni e dei propri compiti, si avvale
periferica di sedi e di uffici dislocati sul territorio nazionale ed è uno fra i ministeri con
la più imponente articolazione territoriale.
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 113

A documentarne l'estensione, è sufficiente l'identificazione che ne effettua


l'art. 31 del d.p.c.m. 17112014, come modificato dal d.m. 23 gennaio 2016, n.
44. Provvedimenti che ne hanno operato un profondo ridisegno, conseguente
al contestuale riordino dell'amministrazione centrale, tanto che, a certi effetti,
ben può dirsi che il ripensamento del ruolo del Mibact, voluto nel2014, si
palesi con compiutezza nelle riforme che hanno interessato l'amministrazione
periferica.

Sono organi periferici:


a) i segretariati regionali del ministero dei Beni e delle Attività culturali e
del Turismo;
b) le soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio;
c) i Poli museali regionali;
d) i Musei;
e) le soprintendenze Archivistiche e Bibliografiche;
j) gli Archivi di Stato;
g) le Biblioteche.

7.1. Segretariati regionali

I segretariati regionali del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del
Turismo sono i primi organi periferici menzionati nell'elenco dell'art. 31 del
d.p.c.m. 171/2014. Una collocazione che non riflette tanto la loro priorità,
nell'ambito dell'amministrazione periferica, quanto la loro vocazione a essere
sedi intermedie, di snodo e raccordo fra i diversi uffici operanti sul territorio
e fra questi e l'amministrazione centrale.
I segretariati regionali, nella disciplina che ne detta il d.p.c.m. 17112014, Compiti e ruoli
continuano ad assolvere principalmente il ruolo che era delle soprintendenze
regionali e che diventò delle direzioni regionali, sia pure in un quadro ordi-
namentale profondamente modificato, atto a ridurne l'incidenza sui processi
decisionali, di valenza tecnico-scientifica, degli altri uffici periferici.

I segretariati regionali sostituiscono le direzioni regionali per i beni culturali


e paesaggistici introdotte, con l'art. 5 del d.lgs. 3/2004, in sostituzione delle
soprintendenze regionali, quali articolazioni periferiche, allora nuove, istituite
dall'art. 7 del d.lgs. 368/1998, destinate ad aggiungersi agli uffici preesistenti
e chiamate, essenzialmente, ad assolvere un ruolo di coordinamento tra le so-
printendenze c.d. di settore e il ministero, oltre che a porsi come interlocutrici
delle autonomie territoriali. Le successive direzioni regionali per i beni cultu-
rali e paesaggistici hanno trovato la loro disciplina, sulla base delle modifiche
apportate all'art. 7 del d.lgs. 368/1998 dal d.lgs. 3/2004, dapprima nel regola-
mento di organizzazione del ministero, approvato con d.p.r. 10 giugno 2004,
n. 173, e poi nel regolamento adottato con d.p.r. 233/2007, come modificato
dal d.p.r. 9112009.
114 CAPITOLO 2

Deboli raccordi In base a quanto dispone l'art. 31, comma l, del d.p.c.m. 17112014, i segreta-
con le autonomie riati regionali, ora configurati come uffici di livello dirigenziale non generale,
territoriali in ossequio al principio della riduzione delle posizioni di livello dirigenziale
generale, sono chiamati, come per il passato, ad assicurare <<il coordinamento
dell'attività delle strutture periferiche del ministero presenti nel territorio
regionale)), ma «nel rispetto della specificità tecnica degli istituti e nel quadro
delle linee d'indirizzo inerenti alla tutela emanate per i settori di competenza
dalle direzioni generali centrali». Clausola, con la quale si è inteso accrescere
la distanza organizzativa e funzionale delle strutture periferiche dai segreta-
riati regionali.
Essi curano inoltre «i rapporti del ministero e delle strutture periferiche con
le Regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella Regione», compito
in realtà reso debole, quasi svuotato di un significato sostanziale, dall'assenza
di strumenti utili allo scopo.

In proposito, si ricorda che questo compito era già attribuito alle soprinten-
denze regionali e continuò a connotare le direzioni regionali pensate, almeno
nelle intenzioni del ministero, come articolazioni periferiche chiamate a farsi
efficienti punti di riferimento per i rapporti con le istituzioni regionali senza
però che, allora come oggi, fossero definite soluzioni adeguate a questo fine,
tanto più necessarie stante l'assenza di sedi organizzati ve deputate a garantire
momenti di confronto-raccordo tra amministrazione periferica del Mibact e
autonomie territoriali [Barbati 2005].

I segretariati regionali, inoltre, stipulano «accordi, ai sensi dell'articolo 15 della


legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni per disciplinare lo svolgi-
mento in collaborazione di attività di interesse comune, con specifico riguardo
alle materie che coinvolgono competenze proprie delle autonomie territoriali».

Il loro ruolo si sviluppa nell'espletamento di una serie di attribuzioni elencate


nel comma 2 dell'art. 31 del d.p.c.m. 17112014, sia pure in modo non esaustivo.
Fra queste, e con riferimento a quelle che riguardano il patrimonio culturale, al
segretario regionale compete riferire trimestralmente al segretario generale e ai
direttori generali centrali di settore in merito all'andamento delle attività degli
uffici periferici operanti nel territorio della Regione; disporre il concorso del
ministero, sulla base di criteri definiti dalle direzioni generali centrali di settore,
nelle spese effettuate dai proprietari, possessori o detentori di beni culturali per
interventi conservativi nei casi previsti dagli artt. 34 e 35 del Codice; esprimere
il parere di competenza del ministero, in sede di conferenza di servizi, per gli
interventi in ambito regionale, che riguardano le competenze di più soprin-
tendenze di settore. Dispone inoltre di funzioni in merito all'approvazione dei
piani paesaggistici. Svolge le funzioni di stazione appaltante in relazione agli
interventi da effettuarsi con fondi dello Stato o affidati in gestione allo Stato
sui beni culturali presenti nel territorio di competenza; assicura il supporto
amministrativo a tutti gli uffici periferici per la predisposizione degli atti di
gara per l'acquisto di forniture, servizi e lavori oltre a effettuare una serie di
interventi espressione delle nuove competenze acquisite dal ministero in materia
di turismo, sia pure e soprattutto per quanto si connette maggiormente con la
valorizzazione del patrimonio culturale.
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 115

Tuttavia, a definire compiutamente il ruolo del segretario regionale con- Il ruolo del segre-
corrono soprattutto le attribuzioni che il d.p.c.m. 171/2014 gli ha sottratto, tario regionale
rispetto a quelle che erano proprie del precedente direttore regionale.
Modifiche indirette, dunque, derivanti dalla scelta, operata in occasione della
riorganizzazione approvata nel2014, di non riconoscere più le altre strutture
periferiche come loro articolazioni, quali erano. Di conseguenza, ai segretari
regionali cessano di appartenere quei poteri di indirizzo, direzione e controllo
nonché avocazione e sostituzione che il regolamento del 2007 menzionava
fra le prime attribuzioni delle direzioni regionali. Ai segretari regionali, oggi,
spetta al più il potere di proporre ai direttori generali centrali di riferimento
l'avocazione degli atti di competenza dei soprintendenti (art. 32, comma 2,
lett. v, del d.p.c.m. 171/2014).

La nuova configurazione ordinamentale dei segretari regionali vale, in tal modo,


a eliminare quegli appesantimenti ai processi decisionali che derivavano dalla
previa costituzione delle direzioni regionali come centri decisionali, capaci di
sovrapporsi, pur senza averne i requisiti professionali e le competenze tecnico-
scientifiche, alle determinazioni degli altri uffici periferici e perciò oggetto, sin
dal momento della loro prima istituzione, di numerose riserve.

Costituiti nel medesimo numero (diciassette) delle precedenti direzioni re-


gionali, hanno sede nelle città capoluogo di Regione, a esclusione della Sicilia,
del Trentina-Alto Adige e della Valle d'Aosta (art. 32, comma 5, d.p.c.m.
171/2014). Dipendono contabilmente dalla direzione generale Bilancio,
mentre per quanto concerne gli aspetti relativi alla gestione del personale,
dipendono dalla direzione generale Organizzazione.
L'incarico di segretario regionale per i beni e le attività culturali e il turismo è
conferito, ai sensi dell'articolo 19, comma 5, del d.lgs. 165/2001, dal direttore
generale Bilancio, su proposta del segretario generale.

7.2. Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio

Nel novero degli organi periferici del ministero, l'art. 31 del d.p.c.m. 17112014
colloca le soprintendenze quali strutture che, in ragione delle loro competenze
tecniche, sono storicamente e tipicamente deputate, come precisa il successivo
art. 33, ad assicurare sul territorio la tutela del patrimonio culturale, tanto
che a esse, ovvero ai loro antecedenti organizzativi, si deve la stessa nascita
dell'idea di tutela e del modello di amministrazione che avrebbe poi connotato
gli apparati statali preposti e pertanto anche il ministero del settore.

Per una migliore comprensione del ruolo delle soprintendenze, al di là e ancor Il ruolo delle so-
prima dell'identificazione che le norme effettuano dei loro compiti, è opportuno printendenze
rammentare la genesi di questa soluzione organizzativa, risalente a un editto del
7 aprile 1820, emanato sotto il pontificato di Pio VII. Successivamente accolta
nell'Italia postunitaria, diede vita alla costituzione di strutture variamente
116 CAPITOLO 2

denominate soprintendenze, enti, uffici, tutti dipendenti dal ministero della


Pubblica istruzione, all'epoca apparato di riferimento per il settore. Con l. 27
giugno 1907, n. 386, del governo Giolitti, «sul Consiglio superiore, uffici e
personale delle antichità e belle arti)), di riforma degli uffici centrali e periferici
delle Antichità e Belle Arti, le funzioni di tutela dei beni culturali furono attri-
buite ad apposite soprintendenze, distinte in relazione alle loro competenze.
Impianto organizzativo che, sospeso nel1923, venne ripreso dalla l. 22 maggio
1939, n. 823. Fu, in questo modo, che si affermò anche l'idea della tutela come
funzione esercitabile solo da corpi o apparati tecnici, specializzati, allocati presso
il centro statale e, in particolare, dal1975, in capo all'allora istituito ministero
per i Beni culturali e ambientali.

Unificazione delle A seguito delle modifiche apportate con il d.m. 23 gennaio 2016, in attuazione
soprintendenze di di quanto previsto dall'art. l, comma 327, della l. 28 dicembre 2015, n. 208,
settore le soprintendenze, già accorpate dal d.p.c.m. 171/2014 in quelle Archeologia
e Belle Arti e Paesaggio, conoscono un ulteriore processo di unificazione,
parallelo a quello che interessa le corrispondenti direzioni generali (su cui v.
supra, par. 6.1).

Si ricorda che l'art. l, comma 327, della l. 208/2015, demandava a un apposito


decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo prowedere
alla «riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento,
degli uffici dirigenziali, anche di livello generale)) del Mibact.

L'art. l, comma 2, del d.m. 23 gennaio 2016, «al fine di migliorare il buon
andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale)), dispone
infatti l'istituzione delle soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio,
«quale risultato della operazione di fusione e accorpamento, su tutto il ter-
ritorio nazionale, delle soprintendenze Archeologia e delle soprintendenze
Belle Arti e Paesaggio)). È la nascita della cosiddetta soprintendenza unica.

Per valutare appieno la portata e il significato di questa scelta, operata con


il d.m. 44/2016, è opportuno ricordare che, precedentemente al d.p.c.m.
171/2014, il d.p.r. 233/2007, nel suo art. 18, prevedeva tre distinte soprinten-
denze, oltre a quelle archivistiche. La tutela del patrimonio culturale, in sede
periferica, era infatti affidata a strutture distinte in relazione alla tipologia
dei beni che si trattava di tutelare, quali erano le soprintendenze «per i beni
archeologici)), «per i beni architettonici e paesaggistich), per i «beni storici,
artistici e etnoantropologich). Un'organizzazione perciò settoriale che, a giu·
dizio di molti, operava una frammentazione di competenze, la quale rendeva
difficile perseguire un'azione organica di tutela e, soprattutto, ostacolava
una considerazione complessiva del territorio e dell'ambiente nel quale
erano insediati i beni [Petraroia 2006, 166 ss.]. Con il d.p.c.m. 171/2014 si
è pertanto intervenuti a dare una prima, importante risposta a questi rilievi
critici, attenuando le distinzioni basate sull'identificazione tipologica dei beni
sottoposti agli interventi delle soprintendenze e procedendo, per disposizione
dell'art. 33, comma 3, d.p.c.m. 17112014, a un loro primo accorpamento, con
la creazione delle soprintendenze «Archeologia)) e di quelle miste «Belle Arti
e Paesaggim).
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 117

Quanto alla loro collocazione organizzativa e funzionale entro il ministero,


le soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio diventano articolazioni
della direzione generale (unica) Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.

A questo proposito, occorre tenere presente che si deve al d.p.c.m. 17112014


l'avere posto le soprintendenze in raccordo diretto con le direzioni generali
centrali competenti, ai cui vertici spetta anche nominare i soprintendenti ai sensi
dell'art. 19, comma 5, del d.lgs. 165/2001, superando così l'assetto delineato
dall'art. 17 del d.p.r. 233/2007, ove erano configurate come articolazioni delle
direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici, cui spettava coordinarne le
attività. Una modifica che reagisce sullo stesso ruolo attuale e perciò differente
dei segretari regionali, su cui v. supra, par. 6.2.

Quanto ai compiti delle soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, I compiti


l'art. 4 del d.m. 44/2016 dopo avere disposto quanto già ricordato, ossia
che a esse spetta assicurare sul territorio la tutela del patrimonio culturale,
provvede a elencarne le attribuzioni, sia pure in termini non esaustivi, come
rende evidente la clausola finale nella quale si prevede che a esse possa essere
assegnato ogni altro compito, diverso da quelli dettagliatamente indicati, pre-
visto dal Codice e dalle norme vigenti. Compiti che definiscono la centralità
del loro ruolo, sebbene il d.m. 44/2016, nell'intento dichiarato di precisare
«l'ambito di operatività delle altre strutture periferiche del ministero, con
particolare riguardo ai Poli museali regionali», abbia sottratto loro attribu-
zioni, a favore dei Poli museali regionali e dei musei e istituti ad autonomia
speciale (su cui v. in/ra).

In particolare, al soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio com-


pete, fra l'altro, svolgere le funzioni di catalogazione e tutela nell'ambito
del territorio di competenza, sulla base delle indicazioni e dei programmi
definiti dalla direzione generale, autorizzare l'esecuzione di opere e lavori
di qualunque genere sui beni culturali, fatta eccezione per quelli mobili
assegnati ai poli museali regionali e agli istituti dotati di autonomia speciale;
disporre l'occupazione temporanea di immobili per l'esecuzione di ricerche
e scavi archeologici o di opere dirette al ritrovamento di beni culturali; assi-
curare la tutela del decoro dei beni culturali; svolgere attività di ricerca sui
beni culturali e paesaggistici; proporre alla direzione generale Educazione
e Ricerca iniziative di divulgazione, educazione, formazione e ricerca legate
ai territori di competenza; collaborare alle attività formative coordinate e
autorizzate dalla direzione generale Educazione e Ricerca, anche ospitando
tirocini; curare l'istruttoria finalizzata alla stipula di accordi e convenzioni
con i proprietari di beni culturali oggetto di interventi conservativi alla cui
spesa ha contribuito il ministero, al fine di stabilire le modalità per l'accesso
ai beni medesimi da parte del pubblico; imporre ai proprietari, possessori o
detentori di beni culturali gli interventi necessari per assicurarne la conserva-
zione; esprimere pareri sulle alienazioni, le permute, le costituzioni di ipoteca
e di pegno e ogni altro negozio giuridico che comporti il trasferimento a titolo
oneroso di beni culturali appartenenti a soggetti pubblici come identificati
dal Codice; istruire e proporre alla direzione generale l'esercizio del diritto di
118 CAPITOLO 2

prelazione; concedere l'uso dei beni culturali in consegna al ministero (che il


d.p.c.m. 171/2014 assegnava alla competenza delle commissioni regionali per
il Patrimonio culturale), con esclusione di quelle detenute dai Poli museali
e dagli istituti e musei ad autonomia speciale; svolgere le funzioni di ufficio
esportazione.
Quanto alle modalità di esercizio delle loro funzioni, l'art. 4, comma 3, d.m.
44/2016 specifica che «Le soprintendenze, ai sensi dell'articolo 12, comma I-ter,
del decreto-legge n. 83 del2014, convertito nella legge n. 106 del2014, assicu-
rano la trasparenza e la pubblicità dei procedimenti di tutela e valorizzazione
del patrimonio culturale, pubblicando integralmente nel proprio sito internet,
ove esistente, e in quello del ministero tutti gli atti aventi rilevanza esterna e i
provvedimenti adottati nell'esercizio delle funzioni di tutela e valorizzazione di
cui al Codice, indicando altresì per ogni procedimento la data di inizio, lo stato
di avanzamento, il termine di conclusione e l'esito dello stesso)).

Articolazione ter- Le soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio sono trentanove,


ritoriale elencate nell'Allegato 2 al decreto, ognuna con un ambito di competenze
definito in corrispondenza alle loro sedi, distribuite sul territorio nazionale.

Vi sono pertanto, la soprintendenza per la Città metropolitana di Torino, con


sede a Torino; per le province di Alessandria, Asti e Cuneo con sede ad Ales-
sandria; per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli
con sede a Novara, per la Città Metropolitana di Milano con sede a Milano;
per le province di Como, Lecco, Monza-Brianza, Pavia, Sondrio e Varese con
sede a Milano; per le province di Bergamo e Brescia, con sede a Brescia; per le
province di Cremona, Lodi e Mantova, con sede a Mantova; per il Comune di
Venezia e Laguna con sede a Venezia; per l'Area Metropolitana di Venezia e le
province di Belluno, Padova e Treviso con sede a Padova; per le province di
Verona, Rovigo e Vicenza con sede a Verona; per il Friuli-Venezia Giulia con
sede a Trieste; per la Città Metropolitana di Genova e le province di Imperia,
La Spezia e Savona con sede a Genova; per la Città metropolitana di Bologna
e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara con sede a Bologna; per
le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini con sede a Ravenna; per le
province di Parma e Piacenza con sede a Parma; per la Città metropolitana di
Firenze e le province di Pistoia e Prato, con sede a Firenze; per le province di
Siena, Grosseto e Arezzo con sede a Siena; per le province di Lucca e Massa
Carrara con sede a Lucca; per le province di Pisa e Livorno con sede a Pisa;
dell'Umbria con sede a Perugia; delle Marche con sede ad Ancona; di Roma
con sede a Roma; per l'Area metropolitana di Roma, la provincia di Viterbo e
l'Etruria meridionale, con sede a Roma; per le province di Frosinone, Latina e
Rieti con sede a Roma; per la Città dell'Aquila e i Comuni del Cratere con sede
a L'Aquila; dell'Abruzzo, con esclusione sino al31 dicembre 2019 dell'Aquila
e dei Comuni del Cratere, con sede a Chieti; del Molise con sede a Campobas-
so; per il Comune di Napoli, con sede a Napoli; per l'Area Metropolitana di
Napoli, con sede a Napoli; per le province di Caserta e Benevento con sede a
Caserta; per le province di Salerno e Avellino, con sede a Salerno; per la Città
metropolitana di Bari con sede a Bari; per le province di Barletta-Andria-Trani
e Foggia, con sede a Foggia; per le province di Brindisi, Lecce, Taranto con
sede a Lecce; della Basilicata con sede a Potenza; per le province di Catanzaro,
Cosenza e Crotone con sede a Cosenza; per la Città metropolitana di Reggio
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 119

Calabria e la provincia di Vibo Valentia con sede a Reggio Calabria; per la Città
metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna, con sede a
Cagliari; per le province di Sassari e Nuoro, con sede a Sassari. In tale elenco
va ora inserito anche l'Ufficio del soprintendente speciale per la ricostruzione
post-sisma, con sede a Rieti.

La fusione nella soprintendenza unica ha condotto, quantitativamente, a


una riduzione del numero di queste strutture, in precedenza ammontanti a
17 per le soprintendenze Archeologia e a 31 per le soprintendenze Belle Arti
e Paesaggio, cui si aggiungeva la prima soprintendenza unica Archeologia,
Belle Arti e Paesaggio, per un totale di 49 uffici.

Come è stato evidenziato, il riordino è stato operato, prevalentemente, proce-


dendo a una soppressione della preesistente soprintendenza Archeologia con
competenza su scala regionale e attribuendo alle preesistenti soprintendenze
Belle Arti e Paesaggio (con competenza su scala subregionale o regionale)
la funzione di tutela archeologica. Il che ha condotto a una diminuzione del
numero delle soprintendenze presenti sul territorio di ciascuna Regione. Fa
eccezione la Regione Lombardia, sul cui territorio sono ora previste quattro
soprintendenze «uniche», laddove in precedenza erano previste una soprinten-
denza Archeologia e due soprintendenze Belle Arti e Paesaggio [Sciullo 2016b].

Per quanto concerne, invece, la loro organizzazione interna, al fine dichiarato L'organizzazione
nel preambolo del d.m. 44/2016 di assicurare, nelle soprintendenze uniche, interna
«la presenza di tutte le professionalità specifiche richieste per un adeguato
svolgimento delle funzioni di tutela del patrimonio culturale)), sono articolate
in almeno sette aree funzionali individuate, dall'art. 4, comma 2, del d.m.
44/2016 nelle seguenti: organizzazione e funzionamento; patrimonio archeo-
logico, patrimonio demoetnoantropologico; paesaggio, educazione e ricerca.
A ciascuna area è preposto un responsabile incaricato, sulla base di apposita
procedura selettiva, dal soprintendente competente (art. 4, comma 2).
L'incarico di soprintendente, quale soggetto preposto a una unità dirigenziale
di livello non generale, è conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 5, del d.lgs.
30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, ossia dal dirigente della
direzione generale di afferenza che, nel caso, è appunto la direzione generale
(unica) Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.

7.3. Soprintendenze Archivistiche e Bibliografiche

Le soprintendenze Archivistiche e Bibliografiche sono previste, con questa


denominazione, dall'art. 5 del d.m. 23 gennaio 2016, n. 44 che ha, in tal modo,
inteso dare attuazione all'art. 16, comma 1-sexies del d.l. 19 giugno 2015, n.
78, convertito, con modificazioni, dalla l. 6 agosto 2015, n. 125.
A questa disposizione del2015 si deve infatti il ritorno in capo allo Stato, e
perciò al ministero in queste sue articolazioni periferiche, delle funzioni di
120 CAPITOLO 2

tutela dei manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, delle raccolte librarie


nonché dei libri, stampe e incisioni non appartenenti allo Stato che il Codice
del2004, nel suo art. 5, comma 2, assegnava, sulla base di scelte risalenti, alle
Regioni.

ll trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative in materia di bibliote-


che (e musei) di enti locali o di interesse locale, quale materia assegnata dall'art.
117 della Costituzione del 1948 alla competenza concorrente dei legislatori
regionali, fu disposto, sulla base della delega conferita dall'art. 17 della L 16
maggio 1970, n. 281 per il passaggio delle funzioni e del personale statale alle
Regioni, con l'art. 7 del d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3. Recependo le indicazioni
per un'organizzazione su base regionale delle soprintendenze ai Beni librari,
già formulate dalla commissione Franceschini del1964, il d.p.r. 3/1972 dispo-
se il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative esercitate dagli
organi centrali e periferici dello Stato sui musei e le biblioteche di enti locali,
comprensive, fra le altre, di quelle concernenti l'istituzione, l'ordinamento e
il funzionamento, nonché la manutenzione e il godimento pubblico, delle bi-
blioteche locali e di interesse locale e dei beni in esse raccolti. Alle Regioni fu
assegnato anche il coordinamento delle attività degli istituti. Contestualmente,
l'art. 8 del d.p.r. 3/1972 dispose il trasferimento alle Regioni a statuto ordinario
delle soprintendenze ai Beni librari, le quali avrebbero cessato contempora-
neamente dall'esercitare le loro funzioni sul territorio di altre Regioni. Con il
successivo d.p.r. 616/1977, di awio del secondo decentramento amministrativo,
si conferma, con alcune precisazioni ma senza potenziamenti, la scelta del1972.
La competenza delle Regioni in materia di beni librari fu pertanto solo ribadita
dall'art. 5 del Codice.

Ritorno allo Stato Al fine prioritario di «assicurare criteri e condizioni uniformi su tutto il terri-
della tutela dei be- torio nazionale per la tutela del patrimonio archivistico e librario)), l'art. 16,
ni librari comma 1-sexies, della l. 125/2015 modifica l'art. 5 del Codice, abrogandone
le previsioni che riconoscevano la competenza delle Regioni in materia di
tutela dei beni librari non appartenenti allo Stato, per attribuire loro solo
la possibilità di esercitarle ai sensi del comma 3 del medesimo art. 5 del
Codice, ossia «sulla base di specifici accordi od intese e previo parere)) della
Conferenza Stato-Regioni.
L'art. 5 del d.m. 23 gennaio 2016, n. 44 ha dunque previsto che competa alle
soprintendenze Archivistiche, capillarmente presenti sul territorio, esercitare
le funzioni di tutela anche sui beni librari, awalendosi del personale delle
biblioteche statali, e assumendo perciò la diversa denominazione di soprin-
tendenze archivistiche e bibliografiche, tranne che nelle Regioni Friuli-Venezia
Giulia, Sardegna e Sicilia.
In capo alle Regioni permangono, invece, le funzioni di valorizzazione e
promozione dei beni librari a esse già spettanti.

L'art. 5 del d.m. 44/2016 non si applica alle Regioni a Statuto speciale e alle pro-
vince autonome di Trento e Bolzano per le quali vale il rinvio a quanto previsto
dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione. In particolare, l'art.
5 d.m. 44/2016 dispone che nella Regione Trentino-Alto Adige, la soprinten-
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 121

denza archivistica e bibliografica del Veneto e del Trentino-Alto Adige svolga


esclusivamente funzioni in materia di beni archivistici (comma 2) e che nella
Regione Sicilia il soprintendente archivistico svolga anche le funzioni di direttore
dell'Archivio di Stato del Comune capoluogo, con conseguente assunzione, da
parte della soprintendenza archivistica della Regione, della denominazione di
soprintendenza archivistica della Sicilia-Archivio di Stato di Palermo.

Quanto agli assetti organizzativi, correlati a queste nuove attribuzioni, l'art.


5 del d.m. 44/2016 prevede che le soprintendenze Archivistiche e Bibliogra-
fiche si articolino, alloro interno, in almeno tre aree funzionali, riguardanti
rispettivamente l'organizzazione e il funzionamento, il patrimonio archivistico
e il patrimonio bibliografico. Si precisa, inoltre, che con riferimento alle fun-
zioni di tutela dei beni librari, esse dipendono funzionalmente dalla direzione
generale Biblioteche.

II d.m. 44/2016 ha in tal modo recepito quanto era già stato oggetto di un
accordo, stipulato il 26 ottobre 2015, tra la direzione generale Biblioteche e
la direzione generale Archivi perché fossero le soprintendenze Archivistiche
a esercitare la tutela anche sui beni librari con la collaborazione del personale
delle biblioteche statali. Da rilevare, comunque, che con decreti ministeriali
del settembre 2016, volti a definire l'organico del ministero, si è inteso anche
accrescere il numero dei bibliotecari assegnati alle soprintendenze.

7.4. Musei

Fra gli organi periferici del ministero, l'art. 31 del d.p.c.m. 17112014 colloca I musei statali
anche i musei o, come è opportuno precisare, di là dalla sintesi espressiva del
regolamento di organizzazione, i musei statali.

I musei statali erano già previsti fra gli organi periferici del ministero. A occu-
parsene erano, in particolare, gli artt. 16 e 17, comma l, del d.p.r. 233/2007,
sia pure nell'ambito di previsioni molto scarne, tanto che per ricostruirne
l'ordinamento, l'assetto organizzativo, le funzioni e i compiti era necessario
riferirsi ad altri complessi normativi e, segnatamente, al Codice.

Con la riorganizzazione del Mibact awiata nel2014, i musei diventano og-


getto di una disciplina dettagliata a opera dello stesso d.p.c.m. 17112014 e dei
successivi decreti attuativi, quasi a documentare, tramite l'attenzione a essi
dedicata in queste sedi normative, la centralità del ruolo loro assegnato nel
contesto del nuovo sistema di conservazione e valorizzazione del patrimonio
culturale del quale è parte anche l'istituzione, presso l'amministrazione cen-
trale, della direzione generale Musei.
li d.p.c.m. 17112014 si occupa innanzi tutto di offrire una definizione di museo La nuova defini-
più ampia di quella accolta nell'art. 102, comma 2, lett. a, del Codice, ove è zione di museo
qualificato come «struttura permanente che acquisisce, cataloga, ordina ed
espone beni culturali per finalità di educazione e di studio».
122 CAPITOLO 2

Definizione, questa, del Codice con cui s'identifica quello che, nell'esperienza
italiana, costituisce il modello prevalente di museo ovvero il «museo in senso
proprio», quale luogo della cultura connotato da un collegamento funzionale
ai beni culturali e, perciò, alle esigenze di protezione e conservazione per fini
di pubblica fruizione da essi espresse e soddisfatte, tramite lo statuto speciale
al quale sono sottoposti.

L'art. 35 del d.p.c.m. 171/2014 ne propone, infatti, un'identificazione che


rinvia a quella offerta dallo Statuto dell'International Council of Museums
(Icom), stabilendo che «l musei sono istituzioni permanenti, senza scopo
di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperte al pubblico, volte
a compiere ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali
dell'umanità e del suo ambiente, le acquisiscono, le conservano, le comunicano
e le espongono a fini di studio, educazione e diletto)), e ne promuovono, come
precisa l'art. l del d.m. 23 dicembre 2014, «la conoscenza presso il pubblico
e la comunità scientifica)).
ll nuovo ruolo dei Quanto alla loro configurazione funzionale e organizzativa, l'art. 35 del
musei d.c.p.m. 17112014, nel suo comma 2, conferma il riconoscimento ai musei
di un'autonomia tecnico-scientifica, assegnando loro funzioni di tutela e
valorizzazione delle raccolte in consegna e il compito di assicurarne la pub-
blica fruizione. Soprattutto, aggiunge che «i musei sono dotati di un proprio
statuto e possono sottoscrivere, anche per fini di didattica, convenzioni con
enti pubblici e istituti di studio e ricerca)). I musei acquistano, in tal modo,
la capacità di agire e di farsi soggetti legittimati e chiamati a un nuovo ruolo.

In queste previsioni, può trovarsi l'esito di un lungo percorso volto a conferire


ai musei una condizione di autonomia statutaria, regolamentare oltre che orga-
nizzativa, finanziaria e contabile, dei quali, in quanto uffici delle soprintendenze,
erano in precedenza privi, non potendo neppure definire le proprie attività di
tutela e di valorizzazione né aprirsi a interazioni con altri soggetti, pubblici o
privati, e con le loro risorse. Soluzioni per attribuire loro una condizione di
autonomia, peraltro già autorizzata dall'art. 8 del d.lgs. 368/1998, erano state
cercate e suggerite anche nell'Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e
sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei approvato, il lO maggio
2001, da ministero e autonomie territoriali. Non è mancata neppure la ricerca di
altri percorsi, capaci di assicurare ai musei una diversa soggettività, prodromica
a una loro gestione secondo criteri di maggiore economicità ed efficienza. Di
ciò, sono stati espressioni i provvedimenti con i quali si è consentito di modi-
ficare la natura giuridica di taluni musei, trasformandoli in fondazioni ossia in
soggetti formalmente privati che, in quanto tali, sono o possono essere aperti
alla partecipazione di terzi, siano questi soggetti pubblici o privati non profit.
[Barbati 2010b].

Il nuovo statuto Ciò che più incide sullo statuto giuridico dei musei è comunque la possibilità,
giuridico dei mu- riconosciuta dall'art. 14, comma 2 e 2-bis, della l. 106/2014, di riconoscere a
sei tal uni di essi, provvisti di rilevante interesse nazionale, un'autonomia speciale,
scientifica, finanziaria, contabile e organizzativa, pur conservandoli sotto la
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 123

vigilanza del ministero che la esercita tramite la direzione generale Musei,


d'intesa con la direzione generale Bilancio.
Questa condizione di speciale autonomia è riconosciuta dall'art. 30, comma L'autonomia spe-
3, del d.p.c.m. 17112014 a un primo insieme di diciotto strutture, alle quali ciale
già il d.m. 27 novembre 2014, sull' «Articolazione degli uffici dirigenziali di
livello non generale», aggiunse la possibilità di assegnarla ad altre due strut-
ture, secondo un disegno di progressivo ampliamento dei musei abilitati a
fruirne che trova ulteriori sviluppi nell'art. 6 del d.m. 23 gennaio 2016, n. 44,
adottato in attuazione dell'art. l, comma 327, della l. 28 dicembre 2015, n.
208 (legge di stabilità 2016) (v. in/ra).

Come si legge nell'art. 30, comma 4, del d.p.c.m. 17112014, con decreti mini-
steriali di natura non regolamentare, nel rispetto dell'invarianza della spesa,
possono essere individuati eventuali altri organismi istituiti come autonomi ai
sensi dell'art. 14, comma 2, della l. 106/2014 nonché possono essere ascritti ai
musei, di cui al comma 3 del medesimo articolo 30, ulteriori istituti o luoghi della
cultura. Decreti che, si prevede espressamente, possono anche ridenominare
gli istituti da essi regolati.

La mappa dei musei dotati di autonomia speciale si presenta, dunque, aperta


e altresì differenziata, potendo accogliere al suo interno, come esplicita l'art.
30 del d.p.c.m. 17112014, sia musei costituiti come uffici di livello dirigenziale
generale sia musei riconosciuti come uffici di livello dirigenziale non generale.

Distinzione che non influisce sul loro grado di autonomia organizzativa e con-
tabile, ma solo sulle linee di comando nelle quali sono inserite e sul trattamento
economico dei responsabili. Pertanto, pur dipendendo tutti funzionalmente
(art. 35, comma 3, d.p.c.m. 17112014) dalla direzione generale Musei alla quale
compete anche approvarne i bilanci e i conti consuntivi, quando sono costituiti
come uffici dirigenziali di livello generale si trovano in rapporto diretto con il
segretario generale del ministero, che può anche sostituirsi alloro responsabile,
in caso di perdurante inerzia. Se configurati invece come uffici di livello diri-
genziale non generale sono sottoposti alle funzioni di indirizzo, coordinamento,
controllo e, in caso di necessità e urgenza, informato il segretario generale,
avocazione e sostituzione della direzione generale Musei.
Sono pertanto dotati di autonomia speciale, quali uffici di livello dirigenziale
generale, la Galleria Borghese, la Galleria degli Uffizi, la Galleria nazionale d' ar-
te moderna e contemporanea di Roma; le Gallerie dell'Accademia di Venezia;
il Museo di Capodimonte; la Pinacoteca di Brera; la Reggia di Caserta (art. 30,
comma 3, lett. a, d.p.c.m. 17112014). Sono dotati di autonomia speciale, ma
costituiti quali uffici di livello dirigenziale non generale: la Galleria dell'Acca-
demia di Firenze; le Gallerie Estensi di Modena; la Galleria nazionale d'Arte
antica di Roma; il Museo nazionale del Bargello; il Museo archeologico nazio-
nale di Napoli; il Museo nazionale archeologico di Reggio Calabria; il Museo
nazionale archeologico di Taranto; Paestum; il Palazzo Ducale di Mantova; il
Palazzo Reale di Genova; i Musei Reali di Torino (art. 30, comma 3, lett. b,
d.p.c.m. 17112014); la Galleria nazionale delle Marche, la Galleria nazionale
dell'Umbria (d.m. 8 maggio 2015).
124 CAPITOLO 2

Con l'art. 6 del d.m. 23 gennaio 2016, n. 44, si è inoltre prevista, al fine precipuo
«di valorizzare il patrimonio archeologico, storico, artistico e demoetnoantropo-
logico della Nazione», l'istituzione di altri istituti e musei di rilevante interesse
nazionale ai quali attribuire, con uno o più decreti ministeriali, la condizione
di autonomia speciale di cui all'art. 30 del d.p.c.m. 17112014. In particolare
sono stati riconosciuti come tali: il Museo nazionale romano, e a seguito della
riorganizzazione disposta dal d.m. 15/2017, il Parco archeologico del Colosseo
(v. supra), quali uffici di livello dirigenziale generale periferico e inoltre, quali
uffici di livello dirigenziale non generale periferici, il Complesso monumentale
della Pilotta di Parma, il Museo delle civiltà con sede a Roma Eur; il Museo
nazionale etrusco di Villa Giulia; il Museo storico e il Parco del Castello di
Miramare; il Parco archeologico dei Campi Flegrei; il Parco archeologico
dell'Appia antica; il Parco archeologico di Ercolano; il Parco archeologico
di Ostia Antica; Villa Adriana e Villa d'Este. Per disposizione dell'art. 4 del
d.m. 15/2017, inoltre, la soprintendenza speciale Pompei e il direttore a essa
preposto hanno assunto la denominazione di Parco archeologico di Pompei e
di direttore del Parco archeologico di Pompei (v. supra).

Organizzazione L'organizzazione e il funzionamento dei musei statali dotati, ai sensi dell'art.


e funzionamento 30, comma 3, del d.c.p.m. 171/2014, di questa autonomia speciale sono
dei musei ad au- disciplinati dal d.m. 23 dicembre 2014 il cui art. l ne specifica ulteriormente
tonomia speciale
la missione di istituti che, in attuazione dell'art. 9 della Costituzione, sono
chiamati a un'attività «diretta alla tutela del patrimonio culturale e alla pro-
mozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica»,
ispirata «ai principi di imparzialità, buon andamento, trasparenza, pubblicità
e responsabilità di rendiconto (accountability )».
Attività che, come precisa la medesima disposizione, costituisce, ai sensi
dell'art. 101, comma 3 del Codice, espletamento di un servizio pubblico che,
specie per quanto concerne la fruizione dei musei, deve essere erogato secondo
standard definiti e resi pubblici attraverso la Carta dei servizi.
Lo statuto del Allo statuto del museo è rimesso definirne la missione, gli obiettivi e l' orga-
museo nizzazione e, fra l'altro, disciplinarne la denominazione, la sede, le finalità,
le funzioni, l'ordinamento interno, il patrimonio e l'assetto finanziario, in
conformità ai principi stabiliti dallo stesso d.m. 23 dicembre 2014.

È sempre il d.m. 23 dicembre 2016 a stabilire, nel suo art. 4, che, nell'amministra-
zione dei musei statali, è assicurata la presenza di almeno cinque aree funzionali:
direzione; cura e gestione delle collezioni, studio, didattica, ricerca; marketing,
fundraising, servizi e rapporto con il pubblico, pubbliche relazioni; amministra-
zione, finanze e gestione delle risorse umane; strutture, allestimenti e sicurezza.

Gli organi La rilevanza delle scelte compiute dal legislatore in materia di organizzazione
dei musei dotati di autonomia speciale si palesa, innanzi tutto, nella configu-
razione degli organi ai quali spetta garantire lo svolgimento della missione
del museo, verificare l'economicità, l'efficienza e l'efficacia dell'attività del
museo oltre che la qualità scientifica dell'offerta culturale e delle pratiche
di conservazione, fruizione e valorizzazione dei beni in consegna al museo.
0RGANIUAZIONE E SOGGffil 125

In base all'art. 8 del d.m. 23 dicembre 2014, tali organi sono: il direttore, il
Consiglio di amministrazione, il Comitato scientifico, il Collegio dei revisori
dei conti.
Un ruolo centrale, in questo assetto, compete al direttore del museo, la cui Il direttore
figura, già a opera della L 106/2014 e del d.p.c.m. 17112014, diventa oggetto
di un riconoscimento prima mancante nell'esperienza delle strutture museali
italiane, affermandosi anche come tramite delle principali innovazioni che
investono le funzioni e il ruolo del museo.
Al direttore, definito dall'art. 5 del d.m. 23 dicembre 2014, custode e inter-
prete dell'identità e della missione del museo, nel rispetto degli indirizzi del
ministero, compete, infatti, la gestione del museo nonché l'attuazione e lo
sviluppo del suo progetto culturale e scientifico e, in base a quanto dispone
l'art. 30, comma 6, del d.p.c.m. 17112014, con l'atto di conferimento dei
relativi incarichi, possono essere conferite anche le funzioni di direttore del
Polo museale regionale.

In particolare, in base alle indicazioni del d.m. 17112014, al direttore spetta


programmare, indirizzare, coordinare e monitorare tutte le attività di gestione
del museo, inclusa l'organizzazione di mostre ed esposizioni nonché di studio,
valorizzazione, comunicazione e promozione del patrimonio museale; curare il
progetto culturale del museo, facendone un luogo inclusivo, capace di promuo-
vere lo sviluppo della cultura; assicurare una stretta relazione con il territorio
anche al fine di incrementare la collezione museale con nuove acquisizioni;
coadiuvare la direzione generale Bilancio e la direzione generale Musei nel
favorire l'elargizione di erogazioni liberali da parte dei privati a sostegno della
cultura, anche attraverso apposite convenzioni con gli istituti e i luoghi della
cultura e gli enti locali; svolgere attività di ricerca, i cui risultati rende pubblici
anche in via telematica; proporre alla direzione generale Educazione e Ricerca
iniziative di divulgazione, educazione, formazione e ricerca legate alle collezioni
di competenza; collaborare alle attività formative coordinate e autorizzate dalla
direzione generale Educazione e Ricerca, anche ospitando attività di tirocinio
(art. 35, comma 4, d.p.c.m. 17112014). Ed è sempre il direttore a svolgere le
funzioni di stazione appaltante.
Quanto alle attribuzioni concernenti le attività di gestione e di valorizzazione dei
Musei, al direttore compete stabilire, nel rispetto delle linee guida elaborate dal di-
rettore generale Musei (art. 20, comma 2, letto, d.p.c.m. 17112014), l'importo dei
biglietti d'ingresso, sentita la direzione generale Musei e il Polo museale regionale,
e gli orari di apertura dei musei in modo da assicurare la più ampia fruizione (art.
35, comma 4, lett. c e d, d.p.c.m. 17112014) nonché assicurare «elevati standard
qualitativi nella gestione e nella comunicazione, nell'innovazione didattica e
tecnologica, favorendo la partecipazione attiva degli utenti e garantendo effettive
esperienze di conoscenza» (art. 35, comma 4, lett. e, d.p.c.m. 171/2014).
Inoltre, a seguito delle modifiche introdotte con il d.m. 29 febbraio 2016, n.
44, ai rapporti tra direttori dei musei e degli istituti dotati di autonomie speciali
e soprintendenze uniche, ai direttori è riconosciuta la possibilità non solo di
amministrare e controllare i beni mobili loro in consegna, ma anche di eseguire
sugli stessi i relativi interventi conservativi. In sostanza, per effetto di questa
previsione, contenuta nell'art. 7, comma l, del d.m. 2016/44, si amplia l'auto-
nomia dei direttori ai quali sono consentite non solo attività di valorizzazione,
126 CAPITOLO 2

ma anche di tutela sui beni mobili loro in consegna, senza l'autorizzazione del
soprintendente, al quale compete, in base all'art. 4 del medesimo decreto, au-
torizzare l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali,
tranne che in questo caso. Ai direttori compete altresì concedere l'uso dei beni
culturali dati loro in consegna.

Altrettanto significativo, agli effetti della centralità della sua figura, è quanto
dispone l'art. 30, comma 6, del d.p.c.m. 17112014, in merito alle modalità di
conferimento dell'incarico di direttore. Per i musei prowisti di autonomia spe-
ciale e costituiti come uffici dirigenziali, la disposizione prevede che l'incarico
possa essere assegnato secondo le modalità stabilite dall'art. 14, comma 2-bis,
del d.l. 31 maggio 2014, n. 83, convertito dalla l. 29luglio 2014, n. 106, ossia
«con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre a cinque anni, a
persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia
di tutela e valorizzazione dei beni culturali e in possesso di una documentata
esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura)),
ossia a personale che può non appartenere all'amministrazione del settore,
potendo anche essere scelto in contesti internazionali.

Dal punto di vista procedurale, l'art. 30, comma 6, del d.p.c.m. 17112014
precisa che per gli incarichi di direzione dei musei di livello dirigenziale ge-
nerale si osservino le modalità stabilite dall'art. 19, comma 4, d.lgs. 165/2001
e pertanto siano conferiti con decreto del presidente del Consiglio dei mini-
stri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro
competente. Per i musei di livello dirigenziale non generale gli incarichi sono
invece conferiti dal direttore generale Musei ai sensi dell'art. 19, comma 5,
d.lgs. 165/2001.

Il Consiglio di Al Consiglio di amministrazione, composto dal direttore del museo che lo


amministrazione presiede, e da quattro membri designati, per una durata di cinque anni, dal
ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, di cui uno d'intesa
con il ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e uno d'intesa
con il ministro dell'Economia e delle Finanze, tra esperti di chiara fama nel
settore del patrimonio culturale, compete, in base all'art. 11 del d.m. 23
dicembre 2014 che ne disciplina composizione e attribuzioni, determinare e
programmare le linee di ricerca e gli indirizzi tecnici dell'attività del museo,
in coerenza con le direttive e gli altri atti d'indirizzo del ministero.

In particolare, il Consiglio adotta lo Statuto del museo e le relative modifiche,


acquisito l'assenso del Comitato scientifico e del Collegio dei revisori dei conti;
approva la carta dei servizi e il programma di attività annuale e pluriennale
del museo, verificandone la compatibilità finanziaria e l'attuazione; approva
il bilancio di previsione, le relative variazioni, il conto consuntivo; approva gli
strumenti di verifica dei servizi affidati in concessione rispetto ai progetti di
valorizzazione predisposti dal direttore del museo, monitorandone la relativa
applicazione; si esprime su ogni altra questione gli venga sottoposta dal direttore
del museo (art. 11 d.m. 23 dicembre 2014).
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 127

li Comitato scientifico, composto dal direttore del museo che lo presiede, Il Comitato scien-
da un membro designato dal ministro, uno designato dal Consiglio superiore tifico
beni culturali e paesaggistici, uno dalla Regione e uno dal Comune dove ha
sede il museo svolge funzione consultiva a favore del direttore sulle questioni
di carattere scientifico nell'ambito di attività dell'Istituto (art. 12 d.m. 23
dicembre 2014). I suoi componenti designati per una durata di cinque anni,
confermabili una sola volta, sono comunque scelti fra professori universitari
di ruolo in settori attinenti all'ambito disciplinare di attività dell'istituto o fra
esperti di particolare e comprovata qualificazione scientifica e professionale
in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali.

Al Comitato scientifico compete, inoltre, e in particolare, formulare proposte


al direttore e al Consiglio di Amministrazione; supportare il direttore, sotto il
profilo scientifico, nella predisposizione del programma annuale e pluriennale
di attività del museo, predisporre relazioni annuali di valutazione dell'attività
del museo, verificare e approvare, d'intesa con il Consiglio di Amministrazione,
le politiche di prestito e di pianificazione delle mostre; valutare e approvare
i progetti editoriali del museo, esprimersi sullo statuto del museo e sulle sue
modifiche nonché su ogni altra questione che gli venga sottoposta dal direttore
del museo.

Quanto al Collegio dei revisori dei conti, composto da tre membri effettivi, di Il Collegio dei re-
cui un funzionario del ministero dell'Economia e delle Finanze con funzioni visori dei conti
di presidente, e da due membri supplenti, con mandato di tre anni, confer-
mabili una sola volta, a esso compete svolgere le attività relative al controllo
di regolarità amministrativo-contabile (art. 13 d.m. 23 novembre 2014).

7.5. Poli museali regionali

In base a quanto stabilisce l'art. 31 del d.p.c.m. 171/2014, sono organi perife-
rici del Mibact, in particolare articolazioni periferiche della direzione generale
Musei, anche i Poli museali regionali. Introdotti con la riorganizzazione del
ministero, operano quali nuove strutture di riferimento e di afferenza, su
base regionale o interregionale, dei musei e degli istituti della cultura che
non usufruiscono dell'autonomia speciale riconosciuta, nei termini ricordati,
a taluni musei.
La loro concreta individuazione è rimessa, dall'art. 34 del d.p.c.m. 17112014,
a un successivo decreto ministeriale, chiamato a effettuare queste scelte nel
rispetto del limite numerico, di diciassette Poli museali, operanti in una o
più Regioni, a esclusione della Regione Sicilia, Trentina-Alto Adige e Valle
d'Aosta, fissato dal regolamento di organizzazione.
È stato perciò il d.m. 23 dicembre 2014, dedicato all'«Organizzazione e al
funzionamento dei musei statali» che, al fine di assicurarne l'attivazione, ha
provveduto a individuarli, in apposito Allegato, anche tramite l'elencazione,
128 CAPITOLO 2

comunque aperta a successive integrazioni, dei musei e degli altri luoghi della
cultura assegnati, in prima applicazione, a ognuno di essi (v. art. 16).

In base a quanto dispone l'Allegato 3 del d.m. 23 dicembre 2014, sono pertanto
istituiti i Poli museali regionali di Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia
Giulia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo,
Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna. A ognuno di essi
sono imputati beni e complessi, anche museali, dai quali il successivo d.m. 23
gennaio 2016 andrà a scorporame alcuni, riconosciuti di rilevante interesse
nazionale, come tali suscettibili di ottenere, con appositi decreti, lo statuto di
autonomia speciale, previsto dall'art. 30, commi 2 e 3, del d.p.c.m. 171/2014,
che ne comporta la sottrazione alla gestione da parte del Polo museale regionale.

Le funzioni dei Per quanto concerne le funzioni dei Poli museali regionali, è innanzi tutto l'art.
Poli museali re- 34 del d.p.c.m. 17112014 a prevedere che a essi compete assicurare «sul territo-
gionali rio l'espletamento del servizio pubblico di fruizione e di valorizzazione degli
istituti e dei luoghi della cultura in consegna allo Stato o allo Stato comunque
affidati in gestione, ivi inclusi quelli afferenti agli istituti di cui all'art. 30, comma
2, lett. a, e comma 3», ossia agli istituti e ai musei dotati di autonomia speciale.
Una competenza che vuole essere funzionale alla definizione di «strategie e
obiettivi comuni di valorizzazione, in rapporto all'ambito territoriale di com-
petenza» e a promuovere «l'integrazione dei percorsi culturali di fruizione e, in
raccordo con il segretario regionale, dei conseguenti itinerari turistico-culturali».
Ed è a questi fini che l'art. 34, comma l, prevede che il direttore del Polo
museale regionale riunisca periodicamente, in conferenza, con cadenza almeno
mensile, i direttori dei Musei, insistenti nella Regione, ivi inclusi quelli dotati
di autonomia speciale.
Il direttore del Al direttore del Polo museale regionale spetta, d'altro canto, promuovere
Polo museale re- la costituzione di un sistema museale regionale integrato, favorendo la crea-
gionale zione di poli museali comprendenti gli istituti e i luoghi della cultura statali
e quelli delle amministrazioni pubbliche presenti nel territorio oltre che di
altri soggetti pubblici e privati; garantire omogeneità di servizi e di standard
qualitativi nell'intero sistema museale regionale (art. 34 d.p.c.m. 17112014).
A lui compete anche elaborare e approvare, previo parere della direzione
generale Musei, i progetti relativi alle attività e ai servizi di valorizzazione,
ivi inclusi i servizi da affidare in concessione, al fine della successiva messa a
gara degli stessi (art. 15 d.m. 23 dicembre 2014).
li direttore del Polo museale regionale si definisce, pertanto, come il soggetto
chiamato a promuovere l'avvio e la realizzazione «dal basso», ossia proce-
dendo dai territori e dai sistemi museali regionali che è chiamato a costituire,
di quel sistema museale nazionale immaginato quale soluzione organizzativa
finalizzata «alla messa in rete dei musei italiani e alla integrazione dei servizi e
delle attività museali» (art. 7 d.m. 23 dicembre 2014 ). Ed è perciò al direttore
del Polo museale che spetta anche programmare, indirizzare, coordinare e
monitorare tutte le attività di gestione, valorizzazione, comunicazione e pro-
mozione del sistema museale nazionale nel territorio regionale.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 129

Il ruolo assegnato ai Poli museali regionali e al loro direttore riconduce


in capo all'amministrazione ministeriale, in queste sue nuove articolazioni
periferiche, processi di «messa in rete» di realtà museali dei territori, già
oggetto di esperienze spontaneamente promosse e perseguite da diversi go-
verni regionali, negli spazi sia pure incerti delle loro competenze in materia
di valorizzazione. Una scelta che solo l'esperienza dirà quanto non conduca
a complicazioni organizzative e funzionali, a carico dei sistemi museali ter-
ritoriali [Barbati 20 15].

Anche in queste articolazioni periferiche, nelle loro funzioni e nei compiti


assegnati al direttore si riflette pertanto la nuova centralità dei musei, quali
luoghi e perciò strumenti per la valorizzazione del patrimonio culturale.

Al direttore del Polo museale regionale compete ai sensi dell'art. 34 d.p.c.m.


17112014, anche curare il progetto culturale di ciascun museo all'interno
dell'intero sistema museale regionale, in collaborazione con il relativo direttore,
in modo da garantire omogeneità e specificità di ogni museo; promuovere la
definizione e la stipula, nel territorio di competenza, degli accordi di valoriz-
zazione di cui all'articolo 112 del Codice; elaborare e stipulare accordi con le
altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le Regioni, gli altri enti
pubblici territoriali e i privati interessati, per regolare servizi strumentali comuni
destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali, oltre a esercitare
altre attribuzioni corrispondenti a quelle che già si sono viste assegnate ai di-
rettori dei musei ad autonomia speciale (su cui v. supra, par. 7.4). Al direttore
del Polo museale spetta inoltre adottare lo statuto dei musei afferenti al Polo,
sulla base di una proposta dei loro direttori, salva approvazione dello stesso da
parte del direttore generale Musei (art. 2 d.m. 23 dicembre 2014).

n direttore del Polo museale regionale è nominato dal direttore generale


Musei. In taluni casi, può tuttavia coincidere con il direttore di uno dei
Musei statali ad autonomia speciale. n che è quanto si verifica nell'ipotesi,
già ricordata e prevista dall'art. 34, ult.cpv., del d.p.c.m. 171/2014, in cui le
funzioni di direttore del Polo museale regionale siano attribuite, con l'atto di
conferimento dei relativi incarichi e senza alcun emolumento accessorio, ai
Direttori degli istituti e musei di cui all'articolo 30, comma 3.

7.6. Archivi di Stato e Biblioteche

Anche gli Archivi di Stato e le Biblioteche sono annoverati, dall'art. 31, comma
l, del d.p.c.m. 17112014, fra gli organi periferici del ministero.

Si confermano, in tal modo, le indicazioni offerte dall'art. 16 del precedente


regolamento di organizzazione (d.p.r. 233 del2007) che peraltro si limitava a
menzionare gli Archivi di Stato e le Biblioteche Statali, senza nulla dire in merito
ai loro compiti, la cui individuazione era tacitamente rimessa alle normative,
anche risalenti, che ne definivano gli assetti ordinamentali.
130 CAPITOLO 2

Gli Archivi di Quanto agli Archivi di Stato, il d.p.c.m. 17112014 se ne occupa nell'art. 37 per
Stato riconoscere loro piena autonomia tecnico-scientifica e identificarne le funzioni
in quelle di tutela e valorizzazione, comprensiva della pubblica fruizione, dei
beni archivistici in loro consegna nonché di tutela degli archivi, correnti e di
deposito, dello Stato.

In merito alle loro capacità di soggetti giuridici, l'art. 37 del d.p.c.m. 17112014
stabilisce che gli Archivi di Stato, al pari dei Musei, possono sottoscrivere, per
fini di didattica, convenzioni con enti pubblici e istituti di studio e ricerca.
Possono inoltre prowedere all'acquisto di beni e servizi in economia ed effet-
tuare lavori sino a un importo di 100.000 euro, chiedendo, in caso di assenza
di personale tecnico-amministrativo o per altre esigenze di carattere organiz-
zativo, al Segretariato regionale di svolgere, per queste attività, le funzioni di
stazione appaltante.

Per quanto concerne la loro collocazione nell'assetto organizzativo del mini-


stero, gli attuali 101 Archivi di Stato sono ricondotti alla direzione generale
Archivi (art. 12 d.p.c.m. 17112014), al pari delle 12 soprintendenze Archi-
vistiche e Bibliografiche, delle 3 soprintendenze Archivistiche, dell'Archivio
centrale dello Stato, dell'Istituto centrale degli archivi.

Alla direzione generale Archivi compete, fra l'altro, con riferimento all'attività di
tutela degli Archivi di Stato come delle soprintendenze Archivistiche, esercitare
i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, in caso di necessità
e urgenza, informato il segretario generale, avocazione e sostituzione, anche su
proposta del segretario regionale. Inoltre, è sempre alla direzione generale che
spetta definire le linee guida ed elaborare gli standard cui dovranno attenersi,
nella loro attività, gli Archivi di Stato.

Le Biblioteche Delle Biblioteche pubbliche statali si occupa l'art. 38 del d.p.c.m. 17112014,
pubbliche statali dedicando loro previsioni sostanzialmente analoghe a quelle pensate per gli
Archivi di Stato. A esse sono assegnate funzioni di «conservazione e valoriz-
zazione del patrimonio bibliografico)), del quale sono tenute ad assicurare la
pubblica fruizione. Ed è poi l'art. 3 del d.m. 23 novembre 2014 a precisare
che esse sono dotate di autonomia tecnico-scientifica, chiamate a svolgere i
propri compiti tenendo conto della specificità delle raccolte, della tipologia
degli utenti e del contesto territoriale in cui ciascuna è inserita.

Anche alle Biblioteche pubbliche statali l'art. 38 del d.p.c.m. 17112014 rico-
nosce, dunque, la possibilità di sottoscrivere, per fini di didattica, convenzioni
con enti pubblici e istituti di studio e ricerca, prowedere all'acquisto di
beni e servizi in economia, effettuare interventi conservativi sul patrimo-
nio bibliografico e sugli immobili in consegna, di importo non superiore a
100.000 euro, superati i quali la gestione degli interventi passa al Segretariato
regionale. Come per gli Archivi di Stato a esse è possibile chiedere, in caso di
assenza di personale tecnico-amministrativo o per altre esigenze di carattere
organizzativo, al Segretariato regionale di svolgere, per queste attività, le
funzioni di stazione appaltante.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 131

Quanto alla loro collocazione nell'assetto organizzativo del Mibact, l'art. 3 8


del d.p.c.m. 17112014 le costituisce come «uffici periferici della direzione
generale Biblioteche e Istituti culturali».

Si ricorda, inoltre, che a seguito dell'istituzione, con l'art. 5 del d.m. 23 gennaio
2016, delle soprintendenze Archivistiche e bibliografiche, conseguente alla
scelta di ricondurre in capo allo Stato la tutela dei beni librari (art. 16, comma
1-sexies, d.l. 78/2015, convertito con modifiche in l. 125/2015, su cui v. supra,
par. 7.3), si è stabilito che, con riferimento alla tutela dei beni librari, le soprin-
tendenze possono avvalersi del personale delle Biblioteche statali.

Comune agli Archivi e alle Biblioteche è anche la previsione, contenuta nell'art.


20 d.m. 23 dicembre 2014, in base alla quale gli Archivi e le Biblioteche non
aventi qualifica di uffici di livello dirigenziale che siano assegnati a un museo
dotato di autonomia speciale o a un Polo museale regionale mantengono la
propria autonomia tecnico-scientifica, essendo l'assegnazione finalizzata solo
al miglioramento della fruizione e della valorizzazione.

Non a caso, l'art. 20 del d.m. 23 dicembre 2014 precisa che, in questo caso,
gli Archivi e le Biblioteche continuano a dipendere, funzionalmente, gli uni
dalla direzione generale Archivi, le altre dalla direzione generale Biblioteche
ai cui vertici compete su proposta del direttore del museo o del Polo museale
regionale competente, nominarne il direttore.

Del pari comune a entrambe le articolazioni è quanto previsto dall'art. 3, comma


6, del d.m. 27 novembre 2014, laddove si stabilisce che «al fine di migliorare
la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale e in coerenza con
ragioni di carattere storico, artistico, architettonico o culturale, con uno o più
decreti ministeriali può essere disposto l'accorpamento di istituti e luoghi della
cultura, quali musei, archivi e biblioteche, operanti nel territorio del medesimo
Comune». Una m era facoltà, dunque, per ora realizzata solo in pochissimi casi,
assegnando biblioteche a musei ospitati nel medesimo edificio [Casini 2015].

Da ricordare che, fra le attribuzioni della direzione generale Archivi e della di-
rezione generale Biblioteche e Istituti culturali, vi è anche la promozione di poli
archivistici e di poli bibliotecari, per il coordinamento dell'attività degli istituti
che svolgono funzioni analoghe nell'ambito dello stesso territorio (artt. 21 e 22
del d. p.c.m. 17112014). Previsione peraltro meramente facoltizzante, a differenza
di quella che concerne la necessaria costituzione dei Poli museali regionali.

7.7. Commissioni regionali per il Patrimonio culturale

Le commissioni regionali per il Patrimonio culturale, previste dall'art. 39


del d.p.c.m. 17112014, sono organi collegiali <<a competenza intersettoriale».
Presiedute dal segretario regionale, sono composte dai soprintendenti della
132 CAPITOLO 2

Regione incluso, nel territorio di interesse, il titolare della soprintendenza


speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma e dal direttore del Polo
museale regionale. Composizione integrata dai responsabili degli uffici perife-
rici operanti in ambito regionale, quando trattino questioni che li riguardino.

Anche questi organi non possono considerarsi totalmente «nuovi», in quanto


sostituiscono, non solo nominalmente, i comitati regionali di coordinamento
previsti nella precedente organizzazione del Mibact (art. 19 d.p.r. 233/2007),
riproponendone la composizione, sia pure con gli adeguamenti imposti dal
nuovo assetto dell'amministrazione periferica.

Strutture di rac- La composizione palesa la vocazione di questi organismi a operare quali strut-
cordo ture di raccordo fra le diverse articolazioni periferiche, presenti nel territorio
della Regione. In quanto tali, le commissioni sono chiamate a coordinare e
armonizzare l'attività di tutela e di valorizzazione nel territorio regionale,
favorendo l'integrazione inter-e multidisciplinare tra i diversi istituti nonché
garantendo una visione olistica del patrimonio culturale. A esse spetta inoltre
svolgere «un'azione di monitoraggio, di valutazione e di autovalutazione)) (art.
39, comma l, d.p.c.m. 17112014).
Di questa funzione sono espressione le attribuzioni assegnate, consultive e di
amministrazione attiva, in gran parte derivate dai compiti che erano propri
delle direzioni regionali, così sottolineandone l'attitudine a essere strumenti
per un coordinamento orizzontale fra le strutture dell'amministrazione pe-
riferica, capace di favorire quella omogeneità nei criteri di intervento delle
tante articolazioni periferiche perseguita, per fini di razionalizzazione e di
superamento della frammentazione delle competenze, anche dall'istituzione
della soprintendenza (unica) Archeologia, Belle arti e Paesaggio (d.m. 44/2016,
su cui v. supra, par. 7.2).

In base a quanto dispone l'art. 39, comma 2, d.p.c.m. 17112014, alle commis-
sioni compete in particolare, fra l'altro: verificare la sussistenza dell'interesse
culturale nei beni appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private
senza fine di lucro, ai sensi dell'articolo 12 del Codice; dichiarare, su proposta
delle competenti soprintendenze, l'interesse culturale delle cose, a chiunque
appartenenti, ai sensi dell'articolo 13 del Codice; dettare, su proposta delle
competenti soprintendenze, prescrizioni di tutela indiretta ai sensi dell'articolo
45 del Codice; autorizzare gli interventi di demolizione, rimozione definitiva,
nonché di smembramento di collezioni, serie e raccolte, da eseguirsi ai sensi
dell'articolo 21, comma l, lett. a, be c, del Codice, fatta eccezione per i casi di
urgenza, nei quali l'autorizzazione è rilasciata dalla competente soprintendenza,
che informa contestualmente il segretario regionale; autorizzare, su proposta
del soprintendente, le alienazioni, le permute, le costituzioni di ipoteca e di
pegno e ogni altro negozio giuridico che comporti il trasferimento a titolo
oneroso di beni culturali, ai sensi degli articoli 55, 56, 57 -bis e 58 del Codice;
adottare, su proposta del soprintendente e previo parere della Regione, ai sensi
dell'articolo 138 del Codice, la dichiarazione di notevole interesse pubblico
relativamente ai beni paesaggistici, ai sensi dell'articolo 141 del medesimo
Codice; esprimere l'assenso del ministero, sulla base dei criteri fissati dal
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 133

direttore generale Musei, sulle proposte di acquisizione in comodato di beni


culturali di proprietà privata, formulate dagli uffici periferici del ministero
presenti nel territorio regionale, e sulle richieste di deposito di beni culturali
formulate, ai medesimi uffici, da soggetti pubblici ai sensi dell'articolo 44 del
Codice; esprime pareri sugli interventi da inserire nei programmi annuali e
pluriennali e nei relativi piani di spesa, anche sulla base delle indicazioni degli
uffici periferici del ministero.

Alle commissioni regionali per il Patrimonio culturale spetta inoltre svolgere


le funzioni di commissione di garanzia per il Patrimonio culturale, previste
dall'art. 12, comma l-bis, del d.l. 83/2014, convertito nella l. 106/2014, ove
si stabilisce che «al fine di assicurare l'imparzialità e il buon andamento dei
procedimenti autorizzatori in materia di beni culturali e paesaggistici, i pareri,
nulla osta o altri atti di assenso comunque denominati, rilasciati dagli organi
periferici» del ministero possano essere riesaminati, d'ufficio o su segnala-
zione delle altre amministrazioni coinvolte nel procedimento, da apposite
commissioni di garanzia per la tutela del patrimonio culturale.

8. LE SOCIETÀ STRUMENTALI

Il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, per l'esercizio
dei propri compiti, si avvale anche di soggetti appositi, costituiti in forma
di società. Soggetti, perciò, formalmente di diritto privato, ma di natura so-
stanzialmente pubblica che agiscono come strumenti operativi del Mibact,
il quale esercita e mantiene il controllo su di esse.

Il ricorso alla figura societaria per interventi nel settore dei beni culturali è stata,
a lungo, una scelta molto diffusa presso le amministrazioni locali. Al contrario,
presso il livello statale, la sperimentazione di questi modelli, anche quando
previsti dal legislatore, ha incontrato difficoltà e resistenze. Solo il settore delle
attività culturali e, in particolare, dello spettacolo ha conosciuto significativi
utilizzi di questi modelli organizzativi.

A seguito di quanto disposto con l'art. l, comma 322, della l. 28 dicembre Ales s.p.a.
2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), «al fine di assicurare risparmi della spesa
pubblica e di razionalizzare le società strumentali del ministero dei Beni e
delle Attività culturali e del Turismo», questo strumento è oggi individuato
in Ales s.p.a., società in cui è stata fusa, per incorporazione, Arcus s.p.a. e la
cui struttura organizzativa è stata conseguentemente articolata in due o più
divisioni, una delle quali chiamata a proseguire le funzioni della società Arcus.

A questo proposito, è opportuno ricordare che le due principali società operanti


nel settore del patrimonio culturale, sono state, per alcuni anni, Arcus s.p.a.
«Società per lo sviluppo dell'arte, della cultura e dello spettacolo», istituita in
base alla l. 16 ottobre 2003, n. 291 e «Ales- Arte Lavoro e Servizi- s.p.a.»,
costituita ai sensi dell'art. 10, commi l, lett. a, 2 e 3 del d.lgs. l dicembre 1997
134 CAPITOLO 2

e dell'art. 20, commi 3 e 4, della l. 24 giugno 1997, n. 196, ill7 dicembre 1998,
per volontà e iniziativa dell'allora Mibac e di Italia Lavoro s.p.a.
Per comprendere appieno il significato dell'intervento legislativo volto a istituire
Ales quale società strumentale unica, è opportuno ricordare le complesse vicen-
de che hanno interessato Arcus s.p.a., nata come società destinata a sostituire la
mai costituita Sibec s.p.a. (art. lO della l. 8 ottobre 1997, n. 352). Lo scopo di
Arcus era evidenziato dal suo oggetto sociale, predeterminato dall'art. 2, comma
l, della l. 291/2993, ove si stabiliva che essa era chiamata a operare per «la pro-
mozione e il sostegno finanziario, tecnico-economico e organizzativo di progetti
e altre iniziative di investimento per la realizzazione di interventi di restauro e
recupero dei beni culturali e di altri interventi a favore delle attività culturali e
dello spettacolo, nel rispetto delle funzioni costituzionali delle Regioni e degli
enti locali». Uno strumento dunque essenzialmente finanziario, provvisto della
veste privata della società per azioni ma di natura sostanzialmente pubblica,
con capitale sociale interamente sottoscritto dal ministero dell'Economia e delle
Finanze, sottoposto al controllo della Corte dei Conti, rispetto al quale l'ingresso
di altri soci, anche privati, era solo eventuale e comunque destinato a occupare
una posizione di minoranza. Questo modello organizzativo si rivelò ben pre-
sto inadeguato ad assolvere le finalità per le quali era stato immaginato, ossia
agevolare l'utilizzo e il reperimento di risorse finanziarie anche esterne, specie
private, aprendosi al contributo e al coinvolgimento di altri attori sia pubblici
sia privati in progetti innovativi di restauro, recupero e, in genere, promozione
del patrimonio culturale. Come ebbe a rilevare anche la Corte dei Conti, nella
relazione sull'esercizio 2006, il ruolo di Arcus pareva essersi ridotto a quello di
«mera agenzia strumentale>>, per interventi spesso obbedienti a esigenze con-
tingenti, al di fuori di adeguate programmazioni da parte degli stessi ministeri
di riferimento (l'allora Mibac e Infrastrutture) e di regole procedimentali che
assicurassero trasparenza e imparzialità, tanto da suggerire un ripensamento
del modello anche in vista della sua soppressione. E Arcus s.p.a., costituitasi
solo nel 2004, venne sottoposta nel 2006 a una gestione commissariale che
si protrasse per due anni, sino a quando, nel2012, il ministro per i Beni e le
Attività culturali dichiarò, in audizione al Senato, l'intenzione di procedere
al ripensamento del modello e al graduale rientro delle funzioni assegnate ad
Arcus all'interno della normale programmazione ministeriale. Questo benché
nel frattempo qualche cosa fosse iniziato a cambiare nelle modalità operative
di Arcus, tanto da indurre la Corte dei Conti, in una determinazione del2012,
a rilevare come le potenzialità di Arcus fossero ormai da imputarsi ai ritardi
e alle inadempienze dei ministeri dei quali era strumento. L'atteggiamento
critico delle sedi governative si tradusse nella scelta di disporre, con l'art. 12,
commi 24-28, del d.l. 95/2012, recante «Disposizioni urgenti per la revisione
della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» (convertito, con
modificazioni, nella l. 7 agosto 2012, n. 135) la sua messa in liquidazione, quale
misura resa necessaria dal contenimento della spesa pubblica. Ma anche questa
messa in liquidazione che avrebbe dovuto condurre alla gestione di Arcus da
parte di un Commissario fu superata con il c.d. decreto del fare, ossia il d.l.
21 giugno 2013, n. 69 (convertito con modificazioni nella l. 9 agosto 2013, n.
98), il cui art. 39, comma l-bis, dispose l'abrogazione dell'art. 12, commi 24-30
del decreto del2012, stabilendo nel successivo comma 1-ter che, con decreto
del ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il
ministro delle Infrastrutture e dei trasporti e con il ministro dell'Economia e
delle finanze, si provvedesse alla revisione del regolamento di Arcus s.p.a. e alla
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 135

trasmissione al Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici dell'atto


di indirizzo per la società, annualmente emanato con decreto del ministro dei
beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il ministro delle
Infrastrutture e dei trasporti, sottoposto anche al parere delle commissioni
parlamentari competenti.

La legge di stabilità 2016, nel suo art. l, comma 3 23, definisce la configura-
zione della nuova Ales s.p.a. come società la cui partecipazione azionaria
è interamente attribuita al Mibact cui compete adottarne lo Statuto. Ed è
appunto lo Statuto, approvato con d.m. 3 febbraio 2016, n. 61, a determi-
narne, in conformità alle indicazioni offerte dalla legge, l'assetto societario
e organizzativo interno, le modalità di funzionamento, la durata e l'oggetto
sociale.
Di Ales, quale società a capitale interamente pubblico, con sede principale
a Roma, e una sede secondaria a Napoli, lo Statuto dichiara innanzi tutto
la sottoposizione alla vigilanza, in via esclusiva, del Mibact cui spetta eser-
citare i diritti dell'azionista, secondo gli indirizzi impartiti dal ministro,
mediante la direzione generale Bilancio, in conformità al modello dell'in
house providing e secondo modalità stabilite nel «Regolamento per l'indirizzo
e il controllo analogo su Ales s.p.a.>>, approvato con decreto del direttore
generale Bilancio.

L'assetto societario interno è incentrato, per disposizione dell'art. l, comma


323, della l. 2015, sul consiglio di amministrazione, chiamato ad adottare,
entro novanta giorni dalla sua istituzione, un piano di riorganizzazione
aziendale e del personale che tenga conto della fusione in essa di Arcus che,
perciò, si estingue.
li Consiglio di Amministrazione, in base a quanto dispone lo Statuto, nominato
dall'assemblea ordinaria dei soci, è composto da tre membri: due designati
dal ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, uno dei quali con
la funzione di amministratore delegato, rappresentante legale del Consiglio
del quale è presidente, e un terzo, designato dal ministro dell'Economia e
delle Finanze.

Per quanto concerne le attribuzioni di Ales, è l'art. 3 dello Statuto a precisare Le attribuzioni di
che «La Società svolge prevalentemente per il Mibact e secondo le direttive e Ales
gli indirizzi vincolanti dello stesso, l'esercizio di attività e la realizzazione di
iniziative volte alla gestione, valorizzazione e tutela dei beni culturali in ambito
nazionale e internazionale, nonché alla realizzazione di attività culturali e alla
promozione e al sostegno finanziario, tecnico-economico e organizzativo di
progetti e altre iniziative di investimento per la realizzazione di interventi di
restauro e recupero di beni culturali e di altri interventi a favore delle attività
culturali e dello spettacolo, anche attraverso la ricerca di sponsor>>, potendo,
sia pure non in via principale, ma solo se necessario al raggiungimento del suo
scopo sociale, compiere, nell'ambito delle direttive e degli indirizzi impartiti
dal Mibact, tutte le operazioni commerciali, industriali, finanziarie, mobiliari
e immobiliari utili.
136 CAPITOLO 2

In particolare, con riferimento alla gestione, valorizzazione e tutela dei beni


culturali in ambito nazionale e internazionale, Ales svolge fra le altre, la ge-
stione di musei, aree archeologiche e monumentali, biblioteche, archivi, la
conduzione dei servizi al pubblico, la biglietteria, il bookshop, la gestione di
centri di ristoro, la gestione del marchio e dei diritti d'immagine, l'esercizio
di attività di pubblicità e promozione in tutte le sue forme, anche attraverso
l'organizzazione di mostre e convegni; l'attività di editoria, di merchandising,
la gestione dei servizi di informazione al pubblico, oltre a servizi di manuten-
zione, conservazione e restauro dei beni.

L'oggetto sociale della nuova Ales coincide sostanzialmente con quello a essa
assegnato dallo Statuto del 17 gennaio 2010 che, innovando il ruolo della
società, ne ampliò significativamente il ruolo. Configurata originariamente,
sulla base dell'art. 20, commi 3 e 4 della l. 24 giugno 1997, n. 196, come
società le cui azioni erano detenute per il 70% da Italia Lavoro s.p.a. e per il
30% dal Mibact, ha successivamente conosciuto significative modifiche della
sua compagine sociale, della sua collocazione ordinamentale e, soprattutto,
della sua missione. All'atto della sua prima istituzione, Ales s.p.a. era, infatti,
pensata come servente alle esigenze del settore culturale, ma quale società
funzionale del ministero del Lavoro, il suo scopo prioritario era assorbire,
creando opportunità occupazionali, una parte dei lavoratori addetti a lavori
socialmente utili, già impegnati presso l'allora Mi ba c. A questo fine, la società
diventava affidataria, in via diretta, di servizi finalizzati alla conservazione, va-
lorizzazione e fruizione dei beni culturali per strutture centrali e periferiche del
ministero, svolgendo le funzioni tipiche di un'impresa che agisce nell'indotto
del settore, con commesse riguardanti attività di servizio nei musei e nelle aree
archeologiche, manutenzione degli impianti di vario genere e di aree verdi
oltre che supporto per mostre temporanee o aperture prolungate. Con l. 18
giugno 2009, n. 69 (art. 26), al fine di garantire la continuità occupazionale del
personale impiegato, ne fu modificata la collocazione, trasferendo la parteci-
pazione azionaria detenuta da Italia Lavoro s.p.a. al ministero per i Beni e le
Attività culturali, per configurarla altresì come società a capitale interamente
pubblico che il regolamento di organizzazione del ministero adottato con d.p.r.
23 3/2007 riconduceva all'allora nuova direzione generale per la Valorizzazione
del patrimonio culturale. Ales diventava, in tal modo, società in house del
ministero, legittimata a esercitare tutte le attività di valorizzazione degli istituti
e dei luoghi di cultura.

Per quanto concerne, invece, le attività in precedenza svolte da Arcus, Ales


cura, in particolare e fra le altre: la promozione e gestione di specifiche attività
di crowd/unding e fundraising, il monito raggio dell'uso e della destinazione
delle somme elargite; iniziative di comunicazione, informazione al pubblico;
servizi di assistenza tecnica e finanziaria a iniziative finalizzate alla predispo-
sizione di progetti per il restauro, il recupero e la migliore fruizione dei beni
culturali, promozione di interventi nel settore anche delle attività culturali e
dello spettacolo. Inoltre gestisce anche l'Art bonus, occupandosi pertanto di
tutti i rapporti fra pubblico e privato nel settore del patrimonio culturale (su
questo cfr., più ampiamente, cap. 4).
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 137

9. LE AMMINISTRAZIONI REGIONALI E LOCALI


Quanto alle autonomie territoriali, per comprendere appieno come si esprima Il ruolo dei go-
la loro condizione di «soggetti» del sistema dei beni culturali, è necessario verni territoriali
considerare alcuni elementi di contesto, rinviando a questo scopo a quanto si nel settore dei be-
ni culturali
è detto in merito agli assetti delle competenze nonché alle trasformazioni che
la l. 26 aprile 2014, n. 56 ha indotto nell'architettura dei governi territoriali
(v. supra, par. 2.1).

La questione del ruolo regionale, nel settore dei beni culturali, non può con-
siderarsi «nuova>>. Semmai, è questione che, da quando il legislatore ha inteso
offrirvi risposta, si è confrontata con modifiche del contesto, dapprima ammi-
nistrativo, poi istituzionale e, da ultimo, anche organizzativo-ordinamentale
le quali ne hanno comportato ricorrenti ridefinizioni, alcune operate in sede
interpretativa, segnatamente per il tramite di interventi del giudice costituzio-
nale, molte confluite in provvedimenti di riscrittura del quadro normativa di
riferimento. E sono proprio queste ricorrenti modifiche a spiegare come molte
di queste previsioni legislative non abbiano ancora ricevuto attuazione o, co-
munque, abbiano impedito l'affermazione o il consolidamento di esperienza
che possano dirsi in rapporto diretto, di attuazione, con le indicazioni offerte
dal legislatore costituzionale e ordinario.

A ciò si aggiunga la necessità di tenere conto dell'assetto organizzativo e fun-


zionale del Mibact, specie dopo la riorganizzazione che ne è stata avviata dal
d.p.c.m. 171/2014 e proseguita con atti successivi, espressione di un disegno
che intende rafforzarne la centralità di apparato di riferimento non solo per le
politiche del settore e per il suo governo, ma per la sua stessa amministrazione
attiva, perciò occupato prevalentemente a definire e a ridefinire i rapporti
interni alle proprie articolazioni più che quelli con le Regioni e con gli altri
livelli del governo locale, ancora alla ricerca di un proprio riconoscimento
come interlocutori del ministero [Barbati 2005].

Già all'atto dell'istituzione dell'allora <<nuovo» ministero, per opera del d.lgs.
368/1998, si rilevò come la presenza di un apparato ministeriale provvisto di
una struttura pesante, pensata per un'azione che non era solo di governo, ma
anche di amministrazione attiva del settore condizionasse il ruolo delle auto-
nomie [Pastori 2005], stante le forti interdipendenze da sempre intercorrenti
tra assetto dell'amministrazione centrale e istanze del decentramento.
Se si rammentano, d'altro canto, le attribuzioni delle direzioni centrali del
Mibact, come ridefinite dal d.p.c.m. 17112014 e dal d.m. 44/2016 (v. supra,
par. 6.1) è agevole scorgere come gli enti territoriali vengano in considera-
zione, principalmente, fra i soggetti con i quali stipulare convenzioni per il
miglior esercizio delle funzioni proprie delle diverse articolazioni centrali,
in pressoché nulla distinte da altri soggetti pubblici o privati (v. art. 2 d.m.
44/2016, per la direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio; art.
16 per la direzione generale Arte e Architettura contemporanea; art. 21 per
la direzione generale Archivi e art. 22 per la direzione generale Biblioteche).
Solo per la direzione generale Musei si prevede un rapporto più pronunciato
138 CAPITOLO 2

con le Regioni, demandandole la cura del coordinamento con le Regioni e


con gli altri enti pubblici e privati interessati dai progetti di valorizzazione
del patrimonio culturale e la predisposizione delle intese istituzionali di
programma Stato-Regioni. Previsioni, in realtà poco più che rituali, tramite
le quali si sono essenzialmente intese richiamare le condizioni necessarie ad
attuare il modello consensuale accolto dal Codice per la gestione delle attività
di valorizzazione (art. 112 Cod.).
A consolidare, istituzionalizzandolo, il rapporto con le Regioni e con gli altri
livelli del governo locale non si può dire basti la presenza, nel novero delle
amministrazioni periferiche del Mibact, dei segretariati regionali dei beni e
delle attività culturali e del turismo, oggetto di un disegno che, come già per
le precedenti soprintendenze e poi direzioni regionali, per quanto già detto, si
occupa prevalentemente di definirne il rapporto con la struttura centrale del
ministero anziché con le autonomie [Cammelli 2005]. Del pari, espressione di
un coordinamento interno alle sole articolazioni periferiche del ministero sono
anche le commissioni regionali per il Patrimonio culturale.
Il Mibact si conferma, pertanto, privo di sedi organizzative capaci di assicurare
un efficace raccordo con le autonomie, specie dopo la soppressione decisa con
l'art. 6, comma l, lett. a, del d.lgs. 256/2996 delle commissioni regionali per i
Beni e le Attività culturali, configurate dagli artt. 154 e 155 del d.lgs. 112/1998
come sedi consultive e propositive per la programmazione delle attività di
valorizzazione. Soppressione, che fu giudicata meritevole di ripensamento
da parte del Consiglio di Stato, il quale, nell'esprimere parere sull'(allora)
schema di riorganizzazione del Mibac aveva suggerito di valutare «se, nella
piena salvaguardia dei rispettivi ambiti di competenza», non si ritenesse utile
la «costituzione di eventuali luoghi istituzionali (conferenze, organismi o altre
figure organizzative) volti a favorire [ ... ] il raccordo e il coordinamento fra
l'azione dei diversi organi del ministero e quella delle autorità regionali e locali>>
(Cons. Stato, sez. cons. atti normativi, 5 aprile 2004, in «Aedon» 2005, n. 1).

Tuttavia, per una più compiuta rappresentazione delle potenzialità, ma anche


dei limiti, che concorrono a definire il ruolo delle autonomie territoriali nel
settore del patrimonio culturale, la sola lettera delle disposizioni costituzionali
e legislative non è sufficiente. Gli stessi Statuti regionali dicono molto poco
in merito al ruolo delle Regioni in materia, dedicandovi al più solo alcune
norme generali che si risolvono in dichiarazioni di intenti [Tubertini 2005,
Zanetti 2007]. La legislazione regionale dal canto suo ha a lungo consegnato, in
prevalenza, indicazioni di principio o comunque generali che non consentono
di ricostruire pienamente quali siano state le iniziative assunte e di valutarne
il rendimento. A ciò si aggiunga che il settore dei beni culturali è anche fra
quelli nei quali assume un maggiore peso l'attività paranormativa, ossia quella
che si attua tramite atti di programmazione e amministrativi.
Le iniziative dei le- Negli anni successivi alla revisione costituzionale del2001, si è tuttavia assistito
gislatori regionali a un crescente impegno dei legislatori regionali, molti dei quali hanno adot-
tato prowedimenti che ambiscono a dettare discipline di sistema, superando
in tal modo la precedente tendenza a preferire interventi settoriali, riferiti a
tipologie specifiche di azioni e/o di beni culturali, o a consegnare le misure
dedicate al settore alle leggi finanziarie regionali.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETII 139

Si è così assistito all'adozione, da parte della Regione Umbria, della l. r. 22 dicem·


bre 2003, n. 24, concernente il «Sistema museale regionale-Salvaguardia e valo-
rizzazione dei beni culturali connessi», successivamente modificata e integrata,
ma ancora fonte di disciplina degli interventi in materia. La Regione Liguria
ha poi approvato con l.r. 31 ottobre 2006, n. 33, il «Testo unico in materia di
cultura», la Regione Lombardia, con l. r. 10 marzo 2009, n. 4, ha dettato proprie
«Disposizioni in materia di cultura». Anche la Regione Toscana, già intervenuta
con l.r. 31 gennaio 2005, n. 19, a porre «Norme sul sistema regionale dei beni
culturali», ha poi approvato con l.r. 25 febbraio 2010, n. 21, il «Testo unico delle
disposizioni in materia di beni, istituti e attività culturali». Del pari la Regione
Marche ha adottato la l.r. 9 febbraio 2010, n. 4, recante «Norme in materia di
beni e attività culturali». Più di recente si sono avuti gli esempi della Regione
Puglia, con la l. r. 25 giugno 2013, n. 17, recante «Disposizioni in materia di beni
culturali», volta a disciplinare gli interventi della Regione e degli enti locali in
materia di tutela e di valorizzazione del patrimonio culturale e a disegnare un
sistema integrato di azioni, comprensivo anche del coinvolgimento di soggetti
privati e della Regione Basilicata, che con l. r. 11 agosto 2015, n. 27, aggiornata
con l.r. 4 marzo 2016, n. 5, ha dettato «Disposizioni in materia di patrimonio
culturale, finalizzate alla valorizzazione, gestione e fruizione dei beni materiali
e immateriali» con le quali si impegna a operare congiuntamente con gli enti
locali e a favorire intese con lo Stato e con altri soggetti pubblici e privati «al
fine di creare il sistema regionale integrato dei beni culturali», definendo a tale
scopo gli strumenti di programmazione ai quali affidarsi e costituendo anche un
Osservatorio per il patrimonio culturale incaricato di «monito rare, sorvegliare
e indirizzare le politiche sulla valorizzazione, sulla fruizione e sulla gestione)).
Accanto a questi esempi, permangono quelli offerti da Regioni come l'Emilia-
Romagna dove si applica ancora, sia pure con adeguamenti, il modello di in·
tervento nel settore scelto già nel periodo dei primi decentramenti e si affidano
le funzioni in materia di beni culturali, musei, archivi storici, biblioteche a un
soggetto terzo, qual è l'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali (lbc),
sorto nel1974, poi riordinato con l.r. 10 aprile 1995, n. 29, costituito come
organismo tecnico-scientifico della Regione prowisto di funzioni consultive
nei confronti delle Regioni e degli enti locali, chiamato a esercitare le funzioni
amministrative di competenza regionale secondo la legge regionale di riordino
24 marzo 2000, n. 20.
Molto altro, tuttavia, è successo a seguito dell'importante processo di riordino
dell'amministrazione locale awiato dalla l. 56/2014. Già si è detto (v. supra,
par. 2.1) di come questa legge, non menzionando le competenze in materia
di beni culturali tra le funzioni fondamentali dei nuovi enti di area vasta
(Province e Città metropolitane) abbia consegnato alle Regioni la scelta in
merito alla loro allocazione e pertanto anche in merito al ruolo spettante ai
diversi livelli di governo. Gli scenari che perciò si sono aperti sono anche molto
diversificati, disegnando assetti differenti, a seconda della Regione. Pertanto,
accanto a Regioni come la Lombardia, che hanno confermato in capo alle
Province le funzioni già a esse conferite in materia di cultura, salvo che per
l'area metropolitana di Milano, assegnando alle Regioni molte attribuzioni
in precedenza svolte dalla Provincia O.r. 32/2015, art. 3) o come la Regione
Veneto (l. r. 19/2015), Toscana e Molise; altre come l'Abruzzo, la Basilicata,
la Calabria, le Marche, il Piemonte e la Puglia hanno scelto di spostare in
capo alle Regioni tutte le funzioni già esercitate dalle Province o comunque
hanno trattenuto molte di esse, come nel caso della Liguria e dell'Umbria,
140 CAPITOLO 2

in vista al più di successivi riordini. È comune invece la scelta di conservare


sostanzialmente invariato il quadro delle attribuzioni comunali o, per le Re-
gioni che le accolgano al proprio interno, di rinviare a future determinazioni la
definizione del ruolo delle Città metropolitane. Ciò che si delinea è comunque
un sistema in forte movimento, la cui stabilizzazione dipenderà anche dalle
soluzioni organizzative che saranno accolte per l'esercizio di queste funzioni in
un contesto amministrativo profondamente cambiato anche quanto a risorse
umane e finanziarie disponibili ai diversi livelli di governo e segnatamente
agli enti di area vasta [Tubertini 2016].

È tuttavia indubbio che, per una compiuta verifica del ruolo assolto o che
potrà essere assolto dalle autonomie territoriali, come «soggetti del sistema
dei beni culturali», è necessario sia considerare l'attuazione che si è data
delle disposizioni legislative sia valutare le soluzioni organizzative accolte per
l'esercizio delle funzioni.
Debolezza degli n rendimento delle azioni di ogni amministrazione dipende, infatti, per gran
assetti organizza- parte, dalla presenza o dall'assenza di apparati e di uffici adeguati e le incer-
ti vi tezze che da sempre circondano l'individuazione dei compiti assegnati alle
autonomie, tanto più oggi dopo le trasformazioni indotte al sistema locale
dalla L 56/2014, non hanno certo favorito, né incentivato, la ridefinizione
dei loro assetti organizzativi. Quando si guarda perciò alle scelte dei governi
territoriali e, in particolare, dalle Regioni, non emergono soluzioni univoche
né quanto a distribuzione delle deleghe fra i diversi assessori né quanto a
strutture cui imputare l'esercizio delle funzioni in materia.

Il quadro che ne deriva è molto variegato, anche quanto a fonti di disciplina.


Alcune Regioni hanno preferito rimettere la definizione di questi aspetti a
determinazioni di giunta, altre si sono affidate a leggi di organizzazione.
Due sono, comunque, i modelli organizzativi prevalenti: quello che impu-
ta le competenze in materia a una o più macrostrutture, facenti capo agli
assessorati; quello che prevede l'istituzione di strutture dotate di un certo
livello di autonomia, configurate quali veri e propri enti strumentali, come
nel caso, già ricordato, della Regione Emilia-Romagna che esercita le proprie
funzioni in materia di beni culturali tramite l'Ibc, «organo tecnico-scientifico
e strumento della programmazione della Regione [. .. ] nel settore». O.r. 10
aprile 1995, n. 29).

Molto, d'altro canto, dovrà essere adeguato al nuovo assetto delle funzioni
che si andrà a definire in esito alla L 56/2014. A questo saranno chiamate
soprattutto le Regioni che hanno scelto di assorbire i compiti prima espletati
in materia dalle Province, nonché i Comuni impegnati in una riorganizzazione
dimensionalmente adeguata all'esercizio delle proprie competenze. Un pro-
cesso che, sia pure in misura minore e al momento non prevedibile, investirà
anche le nuove Province, quali enti di area vasta cui spettano compiti di
supporto tecnico-amministrativo ai Comuni, e le nuove Città metropolitane,
del pari alla ricerca di un proprio ruolo.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 141

LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Sui principi costituzionali, in materia di beni culturali, oltre alle indicazioni riportate al capitolo l, sub
1: G. Sciullo, Beni culturali e rz/orma costituzionale, in «Aedon>), 2001, n. l; M. Cammelli, Il nuovo
titolo V della Costituzione e la finanziaria 2002: note, in «Aedon>), 2002, n. l; A. Poggi, Dopo la revi-
sione costituzionale: i beni culturali e gli scogli del «decentramento possibile», ivi; D. Nardella, I beni
e le attività culturali tra Stato e Regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, in «Dir. pubbb),
2002, n. 2, pp. 671 ss.; F.S. Marini, Lo statuto costituzionale dei beni culturali, Milano, Giuffrè, 2002;
G. Clemente di San Luca e R. Savoia, Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli,Jovene, 2008.
Sul valore che la cultura assume in ambito comunitario: L. Bobbio (a cura di), Le politiche dei beni
culturali in Europa, Bologna, Il Mulino, 1992; M.P. Chiti, Beni culturali, in M.P. Chiti e G. Greco
(a cura di), Trattato di diritto amministrativo europeo. Parte speciale, Milano, Giuffrè, 1997, vol. I,
pp. 378 ss.; A. Fantin, La cultura e i beni culturali nell'ordinamento comunitario dopo la Costituzione
europea, in «Aedom), 2005, n. 3.
Sugli assetti delle competenze: G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega, M. Cammelli, Il de-
centramento difficile, M. Ainis, Il decentramento possibile, tutti in «Aedon>), 1998, n. l; S. Cassese, I
beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in «Gior. dir. amm.)), 1998, n. 7, pp. 673 ss.; i commenti
al capo V del d.lgs. 112/1998 di G. Pitruzzella e G. Corso, in G. Falcon, Lo stato autonomista, Bo-
logna, TI Mulino, 1998, pp. 491 ss.; G. Sciullo, Musei e codecisione delle regole, in «Aedom), 2001,
n. 2; L. Casini, La valorizzazione dei beni culturali, in «Riv. trim. dir. pubbl.)), 2001, n. 3, pp. 651
ss.; N. Aicardi, L'ordinamento amministrativo dei beni culturali. La sussidiarietà nella tutela e nella
valorizzazione, Torino, Giappichelli, 2002; G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in
Italia: situazione in atto e tendenze, in «Aedon>), 2004, n. 3; L. Casini, Valorizzazione e fruizione dei
beni culturali, in «Gior. dir. amm.)), 2004, n. 5, pp. 478 ss.; D. Vaiano, Art. 6, in «Le nuove leggi
civili commentate)), 2005, nn. 5-6, pp. 1083 ss.; D. Sorace, L'amministrazione pubblica del patrimonio
culturale tra Stato e Regioni: dalla sussidiarietà al «principio dell'intesa» (una prima lettura del Codice
dei beni culturali e ambientali), in «le Regioni)), 2005, n. 3, pp. 315 ss.; P. Carpentieri, Art. 6, in R.
Tamiozzo (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, Giuffrè, 2005, pp. 17 ss.; G.
Pastori, commento all'art. 5, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio,
Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 69 ss.; C. Barbati, Commento agli artt. 6 e 7, in Cammelli (a cura di), Il
Codice dei beni culturali e del paesaggio, ci t., pp. 74 ss.; L. Zanetti, Commento all'art. 112, ibidem, pp.
435 ss.; G. Clemente di San Luca, La elaborazione del «diritto dei beni culturali» nella giurisprudenza
costituzionale, in «Aedon>), 2007, n. l; G. Clemente di San Luca e R. Savoia, Manuale di diritto dei
beni culturali, II ed., Napoli,Jovene, 2008; G. Severini, Il patrimonio culturale e il concorso dei privati
alla sua valorizzazione, in «Riv. giur. Edil)), 2015, pp. 323 ss.

Sull'amministrazione statale del settore S. Cassese, I beni culturali da Bottai a Spadolini, in Id., L'am-
ministrazione dello Stato, Milano, Giuffrè, 1976, pp. 172 ss.; M. Cammelli, Riordino dei beni culturali
in una prospettiva di forte decentramento istituzionale, in <de Regioni)), 1996, n. 4, pp. 619 ss.; S.
Amorosino, Riflessioni sul futuribile ministero per le attività e i beni culturali e sul riparto di funzioni
tra Stato, Regioni ed Enti locali, in «Foro amm.)), 1997, n. 9, pp. 2549 ss.; M. Cammelli, Il nuovo mi-
nistero: questioni risolte e problemi aperti, in «Aedon>), 1999, n. l; G. Pastori, Il ministero per i Beni e
le Attività culturali: il ruolo e la struttura centrale, in «Aedon>), 1999, n. l; C. Barbati, Le funzioni del
ministero per i Beni e le Attività culturali nella più recente legislazione, G. Sciullo, Organi di consulenza,
strutture tecniche autonome e scuole, L. Bobbio, Lo stato e i beni culturali: due innovazioni in periferia,
G. Pitruzzella, L:organizzazione perz/erica del ministero e gli attorz· istituzionali locali, tutti in «Aedon>),
1999, n. l; G. Corso, Relazione conclusiva alla Giornata di studio su <<I..:Istituzione del ministero per i
142 CAPITOLO 2

Beni e le Attività culturali nel quadro delle riforme amministrative», Roma, 12 marzo 1999; G. Sciullo,
Ministero per i Beni e le Attività culturali e riforma dell'organizzazione del governo, in «Aedon», 1999,
n. 2; G. Corso, Il ministero per i Beni e le Attività culturali (articoli 52-54), in A. Pajno e L. Torchia (a
cura di), La rz/orma del governo, Bologna, li Mwino, 2000, p. 385; G. Sciullo, Alla ricerca del centro.
Le trasformazioni in atto nell'amministrazione statale italiana, Bologna, Il MWino, 2000, pp. 55 ss.;
O. Forlenza, M. Cammelli, V. Ripa di Meana, G. Chiarante, M. Causi e P. Leon, interventi alla Tavola
rotonda promossa dall'Associazione per l'economia della cultura e da «Aedon», Roma, 9 marzo 2000, in
«Aedom), 2000, n. 2; M. Cammelli, Il regolamento del ministero al controllo della Corte dei Conti. Ovve-
ro: se il buon giorno si vede dal mattino, in «Aedom), 2000, n. 3; G. Endrici, Le figure di coordinamento
nell'organizzazione del Mbac, in «Aedom), 2000, n. 3; L. Torchia, Gli uffici di diretta collaborazione nel
nuovo ministero per i Beni e le Attività culturali, in «Aedon>), 2001, n. 2; Atti della giornata di studio,
Il riordino del ministero nel sistema dei beni culturali, Roma, 25 novembre 2005, in «Aedon>), 2005, n.
l e in particolare, M. Cammelli, ministero pesante e codice debole; G. Pastori, Le funzioni; G. D' Auria,
L'organizzazione centrale; G. Sciullo, L'organizzazione peri/enea; C. Barbati, I rapporti con le autonomie
territoriali; S. Foà, I raccordi fra ministero e privati; F. Merusi, Qualche osservazione finale sulla recente
n'organizzazione del Mbac; A. Roccella, L'organizzazione instabile: direzioni regioni e soprintendenze nei
recenti provvedimenti del ministero per i Beni e le Attività culturali, tutti in «Aedon>), 2005, n. 3; M.
Cammelli, Nuovo governo e vecchi problemi: qualche suggestione, in «Aedom), 2006, n. 2; Id., Ossimori
istituzionali: l'instabile immobilità della organizzazione ministeriale, tutti in «Aedon>), 2006, n. 3; S.
Bonini Baraldi, La riforma del ministero tra «giuridificazione» e «managerializzazione», in «Aedon>),
2007, n. l; G. Sciullo, Mibac e valorizzazione, in «Aedom), 2009, n. l; A. Blasini, Dirigenza pubblica
e beni culturali: un modello per tutta l'amministrazione?, in «Gior. dir. amm.)), 2015, n. 6, pp. 845
ss.; G. Sciullo, La retorica dell'organizzazione: il «Grande Progetto Pompei», in «Aedom), 2013, n. 3;
M. Cammelli, Bonus cultura e riorganizzazione del ministero: navigazione difficile, direzione giusta, in
«Aedom), 2014, n. 2; L. Casini, Il «nuovo» statuto giuridico dei musei italiani, in «Aedom), 2014, n.
3; M. Cammelli, Il grimaldello dei tagli di spesa nella riorganizzazione del Mibact, in «Aedon>), 2015,
n. l; G. Pastori, La rz/orma dell'amministrazione centrale del Mibact tra continuità e discontinuità, in
«Aedom), 2015, n. l; G. Sciullo, La rz/orma dell'amministrazione perz/erz'ca, in «AedoM, 2015, n. l;
P. Forte, I nuovi musei statali: un primo passo nella giusta direzione, in «Aedom), 2015, n. l; A. Sau,
Turzsmo culturale: alcune considerazioni a margine delle nuove competenze del Mibact, in Federalismi.it,
2015; D. Girotta, L'organizzazione del Mibact nel sistema delle fonti, in «Aedom), 2016, n. 2; G. Sciullo,
In tema di ordine delle fonti nell'organizzazione ministeriale, in «Aedon>), 2016, n. 2; M. Cammelli, I
tre tempi del ministero dei Beni culturali, in «Aedon>), 2016, n. 3; L. Casini, La rz/orma del Mibact tra
mito e realtà, in «Aedon)), 2016, n. 3.

Sulle autonomie territoriali e i beni ctÙturali: G. Morbidelli, L'azione regionale e locale per i beni
culturali in Italia, in «le Regioni)), 1987, n. 5, pp. 942 ss.; C. Barbati, Decentramento e beni culturali
tra tutela e valorizzazione, in «Le istituzioni del federalismm), 1997, n. 2, pp. 388 ss.; G. Sciullo, Beni
e attività culturali nei primi progetti di legge regionali di attuazione del d./g. 112/1998, in «Aedon>),
1998, n. 2; C. Barbati, Nuova disciplina dei beni culturali e ruolo delle autonomie, in «Aedon>), 2000,
n. 2; G. Marchi, I beni e le attività culturali nelle scelte de/legislatore regionale, in «Aedom), 2000, n.
3; A. l unti, Il nuovo sistema museale umbro nella legge regionale 22 dicembre 2003, n. 24, in «Aedon>),
2005, n. l; C. Tubertini, L'organizzazione regionale per i beni e le attività culturali, ivi; C. Tubertini,
I beni e le attività culturali nei nuovi statuti regionali, in «Aedom), 2005, n. 2; A. Garlandini, L'inter-
vento delle regioni a favore dei musei: uno scenario in profondo cambiamento, in <<.Aedon>), 2006, n.
2; G. Sciullo, Autonomia differenziata e beni culturali, in «Aedon)), 2008, n. l; C. Barbati, Territori
e cultura: quale rapporto?, in «Aedon>), 2011, n. 2.
Tutela

l. LA TUTELA: SVILUPPO STORICO E NOZIONE

In questo e nei successivi paragrafi ci si occuperà della tutela. Essa costituisce Funzioni
una delle funzioni (da intendersi come complessi di attività) che le ammi-
nistrazioni pubbliche espletano in ordine ai beni culturali (e paesaggistici).
Ciascuna funzione si caratterizza per le finalità generali cui tende e si articola Istituti
in istituti, owero nuclei di disciplina che concernono situazioni relative ai
beni culturali regolamentandole alla luce delle finalità proprie della singola
funzione.
Le funzioni relative ai beni culturali hanno acquisito evidenza normativa in Tutela
momenti temporali diversi. La prima a emergere è stata appunto la tutela.
L'esigenza di assicurarla rappresenta il motivo ispiratore degli iniziali inter-
venti legislativi nel campo dei beni culturali ed è alla base del resto della l.
1089/1939.

Le prime disposizioni in tema di tutela si fanno risalire a talune bolle papali Sviluppo della le-
del secolo XV, volte a evitare il danneggiamento di edifici (la Cum almam gislazione
nostram urbem di Pio II del1462) e lo spoglio di marmi dalle chiese (la Cum
provida di Sisto IV del 1474) [Casini 2001, 656], e ad alcuni prowedimemi
adottati in Toscana nei secoli XVI e XVII (divieti di rimozione d'insegne e
iscrizioni da palazzi antichi, di esportazione di dipinti dal Granducato senza
licenza dell'autorità) [Ainis e Fiorillo 2003, 1449 s.]. Il primo provvedimento
organico di salvaguardia, che influenzò la legislazione degli Stati preunitari, è
costituito dall'editto del cardinale Pacca, emanato nel1820, sotto il pontificato
di Pio VII, nel quale, oltre a norme restrittive dell'esportazione delle raccolte
artistiche, furono dettate misure per la conservazione e il restauro di beni e per
la catalogazione delle cose d'arte presenti nelle chiese e negli edifici assimilati,
da realizzarsi tramite una denuncia alla commissione delle Belle Arti.

Questo capitolo è di Girolamo Sciullo.


144 CAPITOLO 3

La costituzione del Regno d'Italia segnò un momento significativo per la ma-


teria. In coerenza con l'ideologia dell'epoca, imperniata sull'intangibilità della
proprietà (art. 29 dello Statuto Albertino), il legislatore unitario fu alieno dal
dettare norme che potessero comportare vincoli per le facoltà dei proprietari
di cose d'arte. Restò in vita la preesistente normazione dei singoli Stati (il dato
fu formalmente sanzionato con la l. 28 giugno 1871, n. 286), mentre il codice
civile dell865, agli artt. 899 ss., stabilì la nullità dei fedecommessi, e cioè delle
disposizioni testamentarie con le quali all'erede o al legatario si imponeva il
vincolo di conservare e trasmettere a un terzo il bene ricevuto. L'istituto, che
aveva permesso di mantenere integre le raccolte e collezioni d'arte, restò in
vigore, per effetto del r.d. 27 novembre 1870, n. 6030, a Roma (con la l. 28
giugno 1871, n. 286, venne poi stabilita l'indivisibilità fra gli eredi delle colle-
zioni artistiche e con la l. 8luglio 1883, n. 1461, fu permessa l'alienazione delle
collezioni solo allo Stato e a enti nazionali). Come misura di tutela si previde
inoltre la possibilità di espropriare i monumenti la cui conservazione fosse a
rischio per incuria dei proprietari (art. 83 della l. 2359/1865).
Preceduta da vari tentativi non andati a buon fine, la l. 12 giugno 1902, n. 185,
rappresentò il primo esempio di legislazione organica dello Stato unitario.
Si stabilì l'inalienabilità di alcuni beni culturali e venne istituito un catalogo
nazionale, proibendosi l'esportazione dei beni in esso menzionati. La legge fu
sostituita dalla l. 20 giugno 1909, n. 364 (Rosadi), che, corredata dal regola-
mento di esecuzione (r. d. 30 gennaio 1913, n. 363, tuttora in vigore, ex art. 130,
comma l, Cod.), ha rappresentato l'archetipo della l. 1089/1939 (Bottai). La l.
364 conteneva alcuni principi che informano la normativa attualmente vigen-
te, quali il divieto di modificazione e restauro senza autorizzazione, il diritto
di prelazione e di acquisto coattivo nei casi di circolazione ed esportazione,
l'inalienabilità delle cose d'arte appartenenti a enti pubblici, la soggezione al
regime vincolistico delle cose che presentano interesse artistico ecc., oggetto
di notifica se private. La legge fu integrata da normative speciali (ad esempio
il r.d. 31 dicembre 1923, n. 1889, in tema di catalogazione dei monumenti e
delle cose di interesse artistico).
Nel periodo compreso fra la l. 1089 e il Tu sono da menzionare, come casi di
normative ispirate a una finalità di tutela, in particolare il d.p.r. 30 settembre
1963, n. 1409, sul nuovo ordinamento degli archivi di Stato, il regolamento
Cee 9 dicembre 1992, n. 3911, in tema di esportazioni al di fuori del territorio
dell'Unione Europea, e la l. 30 marzo 1998, n. 88, sulla circolazione dei beni
culturali, di recepimento della direttiva Cee 15 marzo 1993, 93/7, relativa alla
restituzione di beni culturali usciti illegalmente dal territorio di uno Stato
membro.
La disciplina contenuta nella l. 1089 e nel d.p.r. 1409 è transitata nei suoi
aspetti fondamentali nel Tu (d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490) e da questo nel
Codice del2004.
Si è già accennato (supra, cap. l, parr. 2 e 5) che nella giurisprudenza della Corte
costituzionale la disciplina della tutela trova fondamento nell'art. 9 Cost. Tale
fondamento viene talora «doppiato» dal richiamo alla funzione sociale che con-
nota la proprietà privata ai sensi dell'art. 42 Cost. o alla possibilità che la legge,
sempre ai sensi della medesima disposizione, determini i modi di godimento e
i limiti della proprietà (v., rispettivamente, sentenze 118/1990, cit., p. 664 e 20
dicembre 1976, n. 245, in «Giur. cost.», 1976, p. 1888).
Va aggiunto che la tutela - nella forma della creazione di un sistema globale
volto alla protezione del patrimonio mondiale (supra, cap. l, par. l) e in quella
TUTELA 145

della disciplina internazionale concernente il commercio e la restituzione dei


beni culturali (in/ra, par. 3.2) rappresenta l'obiettivo di due percorsi della c.d.
globalizzazione che ha investito il patrimonio culturale [sulla quale ampiamente
Casini 2016, 70 ss.] (il terzo, quello dell'autoproduzione di norme e standard
per musei e mostre, concernendo invece la valorizzazione, funzione cui subito
si accennerà, ma per la quale specificamente v. in/ra, cap. 4).

In tempi più recenti è emersa la funzione di valorizzazione, nel segno di un Valorizzazione


diverso approccio ai beni culturali, attento cioè, in coerenza con le indicazioni
dell'art. 9 Cost., non solo ad assicurare la loro conservazione, ma anche a
promuoverne le potenzialità come fattori di diffusione dei valori della cul-
tura in cerchie sempre più ampie di cittadini. Sicché con la pregnanza (e le
cautele) di tutte le caratterizzazioni di sintesi si è con efficacia affermato che
l'atteggiamento del legislatore (non solo peraltro italiano) è passato «dalla
indifferenza alla tutela» per poi, a partire dalla seconda metà del Novecento,
transitare «dalla tutela alla valorizzazione» [Cassese 1998, 673].
Un tentativo di elencare e definire le funzioni- sia pure a soli fini organiz- Le funzioni nel
zativi, ossia di riparto di competenze fra lo Stato e le autonomie territoriali d.lgs. 112/1998
-fu operato dagli artt. 148 ss. del d.lgs. 112/1998. Vennero menzionate la
tutela («ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni
culturali>>), la gestione («ogni attività diretta, mediante l'organizzazione di
risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali>>) e la
valorizzazione («ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza
e conservazione dei beni culturali e a incrementarne la fruizione>>) (art. 148,
comma l, lett. c, d ed e).
Sennonché tale indicazione si rivelò per più aspetti insoddisfacente, sussi- Sovrapposizione
stendo una notevole sovrapposizione o «gioco di rimando>> tra le funzioni
così definite.

In particolare, la gestione e la valorizzazione erano entrambe finalizzate alla


fruizione del bene culturale, seppure l'una era volta ad «assicurarla>>, l'altra
a «incrementarla>>, e si esprimevano anche in attività pressoché coincidenti:
per l'una, riguardanti <<la manutenzione, la sicurezza e l'integrità dei beni>>
(art. 150, comma 4, lett. b), per l'altra, concernenti «il miglioramento della
conservazione fisica dei beni e della loro sicurezza, integrità e valore>> (art.
152, comma 3, lett. a).
Per gli evidenti profili conservativi presentati, ambedue le funzioni, a loro volta,
richiamavano la tutela, della quale peraltro sembrava peculiare il compito di
«conservare e proteggere>> i beni culturali [v., ad esempio, Caputi Jambrenghi
1999,446 s.; Corso 1998a, 507; Sciullo 1998].
Pertanto, sia pure a motivo del «terreno semantico comune>> [Ainis e Fiorillo
2003, 1482], le anzidette funzioni- si disse con incisività- risultavano definite
in termini «circolari>> [Cassese 1998, 674], a opera di un legislatore che aveva
dato vita «a un vero pasticcio verbale» [Chiti 1998].
In realtà era la «logica» della sede (il «costruire le definizioni nell'imminenza
della loro utilizzazione all'interno di un rapporto sempre delicato quale è quello
che intercorre tra Stato e Regioni» [Caputi Jambrenghi 1999, 446]) che spiegava
la non irreprensibilità sul piano concettuale delle definizioni formulate.
146 CAPITOLO 3

Le funzioni nel Tu Inoltre le funzioni come definite nel d.lgs. 112/1998 non trovarono un pieno
riscontro nel Tu.

Infatti, al binomio tutela/valorizzazione il Tu sostituì (v. art. 97) quello con-


servazione/valorizzazione (concernente, l'una, i controlli, il restauro e gli altri
interventi di protezione, l'altra, l'espropriazione, la fruizione e l'uso individuale),
ricomprendendolo, insieme a compiti in tema di circolazione, ritrovamenti e
scoperte, nell'ambito della tutela disciplinata dal Titolo I come complesso di
funzioni volte a dare attuazione all'art. 9 Cost. (v. art. l) [Stella Richter e Scotti
2002, 410].
In questo clima di incertezza normativa si collocano i tentativi da parte della
dottrina giuridica di precisare i contenuti delle funzioni.
La tutela viene considerata come tutela conservativa [Ferri 1987, 221], inten-
dendosi per conservazione la salvaguardia sia dell'integrità fisica del bene sia
della sua sicurezza (ossia delle condizioni di contesto idonee a preservarne il
valore culturale) [Alibrandi e Ferri 2001, 315]. Momento preliminare della con-
servazione, ma a esso ascrivibile sul piano logico, è reputato il riconoscimento
del bene culturale, ossia la sua individuazione.
La tutela (come del resto la valorizzazione) concerne il bene culturale [Giannini
1976, 36]. Sembra, viceversa, propriamente attenere al bene patrimoniale a que-
sto sottostante la gestione, configurabile come l'insieme delle forme e modalità
di utilizzo della cosa Oa tela, la statua, l'edificio) da parte di colui che ne ha la
disponibilità in termini civilistici, ossia di chi dispone del bene patrimoniale
sotteso a quello culturale.

Le funzioni nel Nel nuovo art. 117 Cost., risultante dopo la riforma del Titolo V operata dalla
nuovo art. 117 l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, le funzioni in tema di beni culturali sembrano
Cost. polarizzarsi nella tutela e nella valorizzazione.

In assenza di riferimenti alla gestione, è stata prospettata la tesi che la valoriz-


zazione comprenda «in senso residuale» ogni attività diversa dalla tutela [Stella
Richter e Scotti 2002, 408].
Secondo la lettura che ne ha dato la Corte costituzionale, utili elementi per la
distinzione fra tutela e valorizzazione possono essere desunti dalla legislazione
vigente, ossia- prima che intervenisse il Codice- dagli artt. 148 ss. del d.lgs.
112/1998 (sentenza 28 marzo 2003, n. 94), essendo oltretutto individuabile
una linea di continuità fra questo atto normativa e la L cost. 3/2001 (sentenza
20 gennaio 2004, n. 26). In particolare la tutela «è diretta principalmente a
impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo
contenuto culturale; ed è significativo che la prima attività in cui si sostanzia la
tutela è quella di riconoscere il bene culturale come tale». Viceversa la valoriz-
zazione «è diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale, sicché anche il
miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest'ultima nei luoghi
in cui avviene la fruizione e ai modi di questa» (sentenza 9/2004). Secondo la
Corte le due funzioni, per esplicito dettato costituzionale, esprimono «aree di
intervento diversificate», ma si pongono in una «sorta di ideale contiguità»
(sentenza 194/2013), di recente precisata come «antologica e teleologica con-
tiguità» (sentenza 140/2015).
Indipendentemente dai contenuti e dai limiti intrinseci configurati, la Corte
considera la tutela (come del resto la valorizzazione) «materia-attività» (sentenze
TUTELA 147

232/2005 e 140/2015), nella quale- diversamente che nelle materie-oggetto (ad


esempio alimentazione, porti) - assume «rilievo il profilo teleologico [ovvero
finalistico] della disciplina» e nella quale, pertanto, la «coesistenza di compe-
tenze normative rappresenta la generalità dei casi» (potendo la sua disciplina
riflettersi su ambiti materiali diversi, anche di spettanza regionale, specie sulla
valorizzazione). Il che, peraltro, ha spinto la Corte a ritenere necessaria la
previa intesa con la Regione per l'esercizio di funzioni amministrative di tutela
da parte di autorità statali in un caso in cui la legge dello Stato, nel discipli-
narle, incideva su materie di competenza legislativa regionale (valorizzazione,
commercio e artigianato) senza che fosse individuabile un ambito materiale
prevalente (sentenza 140/2015). Inoltre, proprio perché non considera la
tutela come materia in senso stretto, la Corte ha reputato non illegittime pre-
visioni di leggi regionali dettanti una disciplina di tutela «non sostitutiva [ ... ]
bensì diversa e aggiuntiva» rispetto a quella statale e tale da tener «conto non
soltanto dei beni identificati secondo la normativa statale, ma eventualmente
anche di altri» (sentenze 232/2005, 40112007 e 194/2013 ). Nel senso però che
sia precluso alle Regioni la possibilità in materia di tutela dei beni culturali di
emanare «alcuna normativa, neppure meramente riproduttiva di quella statale»
v. sentenza 259/2014.

Con valenza sostanziale (e non solo organizzativa) nel Codice - di cui la Le funzioni nel
Corte sottolinea l' autoqualificazione (art. l, comma l) «come normativa di Codice
attuazione dell'articolo 9 della Costituzione» e perciò il carattere di «para-
metro interposto» (sentenza 194/2013) vengono individuate come funzioni
la tutela e la valorizzazione (unitamente alla fruizione), chiamate a realizzare
comuni finalità generali dell'ordinamento, ossia, in attuazione dell'art. 9 Cost.,
a «preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a
promuovere lo sviluppo della cultura» (art. l, commi l e 2).

N el configurare tali funzioni il Codice ha tenuto conto dei beni culturali- e più
in generale del patrimonio culturale, comprensivo anche dei beni paesaggistici
(supra, cap. l, par. l)- nella loro duplice valenza: «come valore da preservare
e come risorsa e servizio da rendere)) [Pastori 2004].

La nozione di tutela è fornita dall'art. 3, comma l, secondo cui essa «consiste Tutela
nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di
un'adeguata attività conoscitiva, a individuare i beni costituenti il patrimonio
culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica
fruizione)), mentre il comma 2 aggiunge che <J' esercizio delle funzioni di tutela
si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti
e comportamenti inerenti al patrimonio culturale)).

Come tipologia di attività la tutela consiste pertanto sia in «regolazione [disci- Tipologia
plina normativa] e amministrazione giuridica ["esercizio delle funzioni"] dei
beni culturali)), sia in «intervento operativo [attività] di protezione e difesa dei
beni stessi)) [Pastori 2007 a, 66]. Tre sono le finalità che definiscono l'ambito Finalità
della tutela e al contempo rappresentano il titolo fondante della disciplina nor-
mativa in nome della funzione: l'individuazione (ossia la qualificazione di una
148 CAPITOLO 3

cosa come bene culturale), la protezione e la conservazione (ossia la garanzia


dell'integrità fisica, e quella della non dispersione giuridica o materiale del bene).
La circostanza che la qualificazione di una cosa come bene culturale appartenga
all'area della tutela- e che quindi la sua disciplina rientri nella competenza
esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, Cost. -non esclude che a beni
diversi da quelli individuati in base alla disciplina statale la legge regionale
possa riconoscere, «a fini di valorizzazione, [. .. ] particolare valore storico o
culturale», senza che «ciò comporti la loro qualificazione come beni culturali»
(sentenza 94/2003).

Istituti La disposizione dell'art. 3 offre la nozione di tutela. Per gli istituti in cui essa
si articola occorre fare riferimento alle successive disposizioni del Codice, in
particolare, per i beni culturali, a quelle contenute nei vari capi del Titolo I
della parte seconda.

Va notato che le finalità cui si è fatto cenno erano presenti anche nell'art. 148,
comma l, lett. c, del d.lgs. 112/1998. L'art. 3 Cod. segna però una novità: nel
primo «ogni attività» riconducibile a esse costituiva tutela, nel secondo solo
«l'esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività)) alle stesse orientate,
espressione questa che evidentemente rinvia a una sede normativa in cui la
disciplina è dettata e le funzioni sono definite. Emerge pertanto un concetto
normativa, e perciò tipizzato, di tutela. In altre parole, fra le attività astrattamen-
te rivolte a riconoscere, conservare e proteggere il bene culturale, compongono
la tutela solo quelle che il legislatore ha ritenuto di disciplinare come in essa
rientranti [Sciullo 2007a, 76].
Può osservarsi che gli istituti disciplinati dal Codice non si discostano fonda-
mentalmente da quelli in precedenza normati: almeno per i beni culturali non è
stato disatteso il criterio della delega («né l'abrogazione degli strumenti attuali))
di tutela, art. 10, comma 2, lett. d, della l. 6luglio 2002, n. 137). Nondimeno
la tipizzazione della tutela presenta significative ricadute. In particolare spiega
perché non ogni attività astrattamente rivolta a una delle finalità che conno-
tano la tutela rientri nel suo ambito. Ad esempio la conservazione, una delle
finalità menzionate dall'art. 3, comma l, è al tempo stesso considerata, come la
fruizione e la valorizzazione, attività che deve essere svolta «in conformità alla
normativa di tutela)) e quindi, al pari delle altre due presupposta come un aliud
rispetto alla tutela. L'apparente anomalia si scioglie ove si consideri che ciò che
dell'attività di conservazione non è normativizzato come tutela, risulta estraneo
alla disciplina e all'esercizio della funzione, ma incontra un limite nell'assetto
della stessa, in particolare per quei profili ispirati da finalità di conservazione.
Non di meno la tutela, nella configurazione degli istituti che attualmente la
caratterizzano, si presenta come una funzione oltremodo «pervasiva)). Questo
spiega, come indicazione di riforma, la prospettazione di «cerchi concentrici))
di tutela, nel più ristretto dei quali le esigenze di protezione/conservazione
risulterebbero prevalenti, mentre, in quello più lato, esse si misurerebbero con
la pluralità degli interessi insistenti sul bene culturale, dando luogo a forme di
regolazione differenziate [sul punto Covatta 2012, 24 s.].
Da ultimo merita di essere ricordata la tesi [Aicardi 2005, 1067] secondo
la quale dall'art. 3 e dalle altre disposizioni del Codice discenderebbe, «in
definitiva, una nozione di tutela coincidente con ogni disciplina [. .. ] avente
l'effetto di regolare, limitare, vietare, escludere o in altro modo conformare i
TUTELA 149

comportamenti e le situazioni soggettive delle persone sul patrimonio cultura-


le, ai fini di individuazione, protezione e conservazione per scopi di pubblica
fruizione del patrimonio stesso». L'opinione è sicuramente accoglibile se con
essa si intende porre in risalto il normale carattere restrittivo o conformativo
delle norme e degli istituti di tutela (non a caso tradizionalmente qualificati
vincolistici). Meno persuasiva risulta invece la prospettazione che ne è alla base,
ossia che «possono dirsi discipline di tutela quelle che determinano, in senso
lato, effetti limitativi della sfera soggettiva dei destinatari)), mentre sarebbero
«discipline di valorizzazione quelle che assecondano ed esplicano il valore
culturale dei beni cui si riferiscono, attraverso la soddisfazione di situazioni
soggettive)) [ibidem, 1067; Aicardi 2002, spec. 98 ss.]. lovero, come norme e
istituti con effetti ampliativi si riscontrano nell'ambito della tutela (v. artt. 34
ss. in tema di contributi per interventi conservativi) [lo stesso Aicardi 2005,
1070], così si danno altresì norme e istituti con effetti restrittivi o conformativi
anche in ambiti tradizionalmente considerati della valorizzazione (si pensi
all'art. 115 Cod. in tema di forme di gestione o al d.m. l Omaggio 200 l in tema
di standard museali). In realtà, il discrimine fra l'area della tutela e quella della
valorizzazione- come del resto indica l'orientamento della Corte costituzionale
sopra richiamato (sentenza 9/2004) - va rintracciato, pur con le innegabili
incertezze cui dà luogo - nella diversa considerazione del bene, come valore
da preservare o come risorsa e servizio da rendere, con la conseguente diversa, Valorizzazione e
anche se contigua, finalizzazione della disciplina. fruizione
La valorizzazione e la fruizione sono esaminate diffusamente al capitolo 4.

Per completare il quadro delineato della tutela occorre fare cenno al rapporto Rapporto tra le
che intercorre tra le funzioni relative ai beni culturali. funzioni
Secondo l'art. 6, comma 2, la valorizzazione va «attuata in forme compatibili
con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze)), mentre per l'art. l,
comma 6 «le attività concernenti la conservazione, la fruizione e la valo-
rizzazione del patrimonio culturale [ ... ] [vanno] svolte in conformità alla
normativa di tutela)).
Riprendendo quanto previsto dal Tu (art. 97), il Codice, dunque, non si limita a
fissare la regola secondo la quale la valorizzazione non si sottrae alla disciplina
della tutela, ma esprime altresì una chiara gerarchia tra le due funzioni. In
particolare il godimento pubblico non può mettere in forse o, peggio, andare
a scapito dell'integrità e della sicurezza del bene.

Come si vedrà, anche l'utilizzazione in genere del bene culturale non può recare
pregiudizio alla sua conservazione e comunque deve risultare compatibile con
il suo carattere storico o artistico (artt. 20 e 106).

2. PROTEZIONE E CONSERVAZIONE

Oltre alle forme di individuazione volte al riconoscimento dei beni culturali, in


precedenza esaminate (supra, cap. l, par. 4), il Codice considera appartenere
all'ambito della tutela anzitutto gli istituti disciplinati dal capo III, del Titolo
I della parte seconda, rubricato «Protezione e conservazione)).
150 CAPITOLO 3

Vigilanza e ispe- Va premesso che allo stesso ambito vanno ascritte altresì la vigilanza e l'ispe-
zione zione- dei beni culturali nonché delle cose di cui all'art. 12, comma l (ossia
quelle di interesse culturale, di autore non più vivente, ultracinquantennali,
se mobili, o ultrasettantennali, se immobili, di proprietà di soggetti pubblici
o privati senza fini di lucro e non ancora sottoposte a verifica), e delle aree
interessate da prescrizioni di tutela indiretta ex art. 45 -, oggetto degli artt.
18 e 19, che compongono il capo II del medesimo Titolo. Come si legge nella
relazione illustrativa dello schema del Codice, si tratta di «poteri strumentali
all'esercizio di tutte le funzioni di tutela». Quello di vigilanza è attribuito al
Mibact (art. 18, comma 1). Per le modalità di esercizio, relativamente alle cose
di cui all'art. 12, comma l, appartenenti agli enti territoriali diversi dallo Stato,
il ministero può procedere anche mediante forme di intesa e di coordinamento
con le Regioni (art. 18, comma 2). n potere di ispezione è assegnato dall'art.
19 all'esercizio dei soprintendenti al fine di accertare l'esistenza e lo stato di
conservazione o di custodia dei beni culturali nonché l'ottemperanza alle
prescrizioni di tutela indiretta. È previsto un preavviso (del detentore) non
inferiore a cinque giorni, fatti salvi i casi di estrema urgenza.

La strumentalità dei poteri di vigilanza e di ispezione rispetto alle funzioni di


tutela si esprime nel riferimento di essi non solo alla conservazione, ma anche alla
protezione e alla stessa individuazione dei beni culturali, in vista dell'avvio del
relativo procedimento. Con ciò è stato superato quel collegamento fra la vigilanza
e le sole attività conservative che nel sistema del Tu sembrava viceversa delinearsi
(v. artt. 15, comma l, e 29, comma l) [Sessa 2007, 134 s.; Roccella 2007a, 133].
Dall'art. 18, comma l, risulta che anche sui beni culturali (e sulle cose di cui
all'art. 12, comma l) di appartenenza statale in uso o in consegna di altri sog-
getti o amministrazioni dello Stato la vigilanza spetta al Mibact. Tale previsione
specifica quella dell'art. 4, comma 2, secondo cui le funzioni di tutela su tali
beni competono al ministero.
Diversamente da quanto stabiliva l'art. 15 del Tu, nel caso di tutela esercitata
da (o mediante forme di coordinamento o cooperazione con) enti territoriali
diversi dallo Stato (art. 5, commi 2-5) la vigilanza è attribuita al solo Mibact
dall'art. 5, comma 7, Cod. In questo caso si tratta di una specificazione della
norma dell'art. 18, comma l, che si spiega con la spettanza al ministero dei
poteri di indirizzo e di sostituzione.

2.1. Misure di protezione

n capo III «Protezione e conservazione>> comprende tre sezioni, nell'ordine


dedicate alle «misure di protezione» (artt. 20-28), alle «misure di conserva-
zione» (artt. 29-44) e alle «altre forme di protezione» (artt. 45-52).
Misure di prote- Le misure di protezione, connotate da una finalità generale di salvaguardia
zione dei beni culturali dall'agire dell'uomo, consistono anzitutto nel divieto oppure
nell'autorizzazione di interventi sui beni.
Interventi vietati Come interventi vietati l'art. 20 annovera la distruzione, il danneggiamento,
gli usi non compatibili con il carattere storico o artistico dei beni culturali
TUTELA 151

oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione, nonché, nel caso
degli archivi, lo smembramento.

La distruzione e il danneggiamento incidono sulla struttura materiale del bene,


comportandone l'alterazione totale o parziale. Lo smembramento, invece,
riguarda la destinazione unitaria di un bene, che viene disperso (separato) nei
distinti elementi materiali che lo compongono.
Uso non compatibile è da ritenersi presumibilmente quello non consono alla
dignità insita nel valore culturale presente nel bene [in tal senso Alibrandi e
Ferri 2001, 324]. La giurisprudenza ha ravvisato l'incompatibilità, ad esempio,
nella destinazione a chiosco per la vendita di souvenir di una porzione del por-
tico della basilica di Aquileia (Cass. pen., sez. III, 14 febbraio 1996, n. 2708, in
«Giust. pen. )), 1996, II, p. 630).
Va ricordato peraltro che l'art. 51 del r.d. 30 gennaio 1913, n. 363- ancora
vigente a norma dell'art. 130 Cod.- dispone che le amministrazioni statali e
degli enti morali (è da pensare pubblici e privati senza scopo di lucro) debba-
no denunciare al ministero, affinché questo possa determinare le condizioni
di utilizzo necessarie ai fini di una buona conservazione del bene, gli usi a cui
intendono sottoporre gli immobili rientranti nella loro disponibilità. A carico
degli altri soggetti, ma per agevolare i compiti di vigilanza affidati all'autorità
di tutela, l'art. 21, comma 4, Cod. stabilisce ora che i mutamenti di destinazioni
d'uso dei beni culturali vadano comunicati al soprintendente. Di fatto la misura
finisce con l'assoggettare tali mutamenti a un regime autorizzatorio.
In via di prassi, per beni particolarmente significativi, in sede di dichiarazione
di interesse, si fissano talora gli usi incompatibili. Il giudice amministrativo ha
comunque escluso la possibilità che l'amministrazione imponga usi specifici
nell'utilizzo dei beni (Cons. Stato, sez. VI, 16 settembre 1998, n. 1266, in «Cons.
Statm), 1998, I, p. 1346). Si ricordi altresì che, nel caso di immobili apparte-
nenti al demanio culturale, gli atti che autorizzano la loro alienazione devono
indicare la «destinazione d'uso prevista, anche in funzione degli obiettivi di
valorizzazione da conseguire)) (art. 55, comma 2, lett. d).

Come interventi soggetti ad autorizzazione l'art. 21 considera la rimozione Interventi soggetti


di beni culturali, la loro demolizione (anche se seguita da ricostituzione), ad autorizzazione
il loro spostamento (nel caso di beni mobili) anche temporaneo, lo smem-
bramento di collezioni, serie e raccolte, lo scarto di documenti (comma l)
e, in generale, l'esecuzione di opere e lavori di qualunque natura su beni
culturali (comma 4).

La distinzione fra demolizione (soggetta ad autorizzazione) e la distruzione


(vietata) probabilmente risiede nel fatto che la prima, a differenza della secon-
da, è tale da permettere la successiva ricostituzione della cosa (arg. lett. a, del
comma 1). Lo spostamento riguarda presumibilmente una diversa collocazione
fisica di un bene mobile, mentre per rimozione è da intendersi un distacco fi-
sico di un bene culturale da un immobile (ad esempio una lapide da un muro)
[Roccella 2008, par. 4].
Sulla costituzionalità dell'art. 5, comma 2, della L 1089/1939, trasfuso nell'art.
21, comma l, lett. c, Cod. (divieto di smembramento non autorizzato di colle-
zioni ecc.), v. Corte cost. sent. 245/1976, p. 1887.
152 CAPITOLO 3

L'autorizzazione in ordine all'esecuzione di opere e lavori va resa su un pro-


getto o almeno su una descrizione tecnica dell'intervento e può contenere
prescrizioni (comma 5).
Carattere Per la configurazione delle autorizzazioni in esame come <<atti di consenso>>
(atti cioè con i quali l'amministrazione consente l'utilizzo del bene asservito,
dopo aver iJ.CCertato che esso non contrasta con l'interesse all'integrità e alla
sicurezza del bene) [Benvenuti 1996, 272]. In ogni caso esse sono espressioni
di discrezionalità tecnica, sindacabile nei limiti propri del controllo sull'eccesso
di potere (illogicità della valutazione e travisamento dei fatti) (v. Cons. Stato,
sez. IV, 27 dicembre 1994, n. 1079, in ((Cons. Stato>>, 1994, I, p. 1717).
Risulta non soggetto ad autorizzazione, ma solo a denuncia preventiva, lo spo-
stamento del bene culturale dipendente dal mutamento di dimora o sede del
detentore, salvo il potere del soprintendente di prescrivere le misure necessarie
a prevenirne il danneggiamento (comma 2).
Nel Tu era presente il dualismo, ereditato dagli artt. 11 e 18 della l. 1089/1939
fra ((autorizzazione del ministero» (artt. 21 e 22) e ((approvazione» dei pro-
getti di opere da parte della ((Soprintendenza» (art. 23 ), che ingenerava dubbi
in ordine al rispettivo campo di applicazione [Alibrandi e Ferri 2001, 332 s.;
Roccella 2000, 110 ss.]. Con il Codice si è operato il superamento della distin-
zione degli atti, ma si è mantenuta la diversificazione della competenza circa
l'autorizzazione, nel senso che essa spetta al ministero nei casi previsti al comma
l, al soprintendente negli altri (comma 4).
Sennonché occorre ormai tener conto del diverso assetto dettato dagli atti di
organizzazione del Mibact. Per un verso, l'autorizzazione circa gli interventi in
ordine all'esecuzione di opere e di lavori di qualunque genere su beni culturali,
fatta eccezione per quelli mobili assegnati ai Poli museali regionali e agli istituti
dotati di autonomia speciale, è attribuita alla soprintendenza Archeologia, belle
arti e paesaggio (art. 4, comma l, lett. a, d.m. 23 gennaio 2016), mentre quella
per gli interventi di demolizione, rimozione definitiva nonché di smembramento
di collezioni, serie e raccolte è affidata alla commissione regionale per il Patri-
monio culturale, in ambedue i casi territorialmente competenti, fatti salvi i casi
di urgenza per i quali prowede la soprintendenza (art. 39, comma 2, lett. d,
d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171). Per altro verso, relativamente ai beni librari
l'autorizzazione per gli interventi previsti dall'art. 21 del Codice è rimessa alla
direzione generale Biblioteche e Istituti culturali, mentre, per i beni archivistici,
l'autorizzazione agli interventi di cui all'art. 21, comma l, del Codice, spettante
alla direzione generale Archivi (art. 21, comma 2, lett. c, d.p.c.m. 17112014),
è delegata al soprintendente archivistico (art. l, letr. a, decreto 6luglio 2010)
[sul tema Roccella 2005].
Da ultimo può ricordarsi che per gli interventi su beni culturali pubblici il
Codice consente che l'autorizzazione sia espressa nell'ambito di accordi fra il
ministero e il soggetto pubblico interessato (art. 24).

Interventi in ma- Apposita disciplina procedurale ricevono gli interventi in materia edilizia
teria edilizia pubblica e privata che investono beni culturali.

Secondo l'art. 22, fuori dai casi in cui si ricorre alla conferenza di servizi e alla
Via, l'autorizzazione va rilasciata entro centoventi giorni dalla presentazione
della domanda, salva la protrazione del termine per incombenti istruttori (ri-
chiesta di chiarimenti o di elementi integrativi di giudizio; accertamenti di natura
TUTELA 153

tecnica). Scaduto il termine e decorsi trenta giorni dalla diffida a provvedere,


contro il silenzio serbato dall'amministrazione l'interessato può agire ai sensi
dell'art. 21-bis della l. 1034/1971 (ora art. 117 del d.lgs. 2luglio 2010, n. 104)
(silenzio-inadempimento).
In luogo dell'ordinario titolo edilizio e nei casi ammessi dalla legge, l'art. 23
consente (rectius ribadisce la possibilità del) il ricorso alla Dia (denuncia di
inizio di attività). Resta ferma l'autorizzazione di cui all'art. 21.
Ove si ricorra alla conferenza di servizi- di cui agli artt. 14 ss. della l. 7 agosto
1990, n. 241, e su cc. m od., da ritenersi applicabili per quanto non diversamente
disposto- si prevede che l'atto di assenso sia rilasciato dal competente organo
del ministero - a seconda dei casi, il direttore generale archeologia, belle arti
e paesaggio, il segretario regionale o il soprintendente archeologia, belle arti,
e paesaggio (ex art. 2, comma 2, lett. m, e art. 4, comma l, lett. d, d.m. 23 gen-
naio 2014 e art. 32, comma 2, lett. e, d.p.c.m. 17112014) -,con dichiarazione
motivata acquisita al verbale della conferenza, contenente le eventuali prescri-
zioni al progetto. In caso di motivato dissenso, la determinazione conclusiva
del procedimento è assunta ai sensi della disciplina dettata dalla l. 24111990 e
succ. mod. (art. 25, commi l e 2).
Relativamente alle opere soggette alla Via- ossia a quella procedura, disciplinata
fondamentalmente dal d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (e di recente modificata dal
d.lgs. 16 giugno 2017, n. l 04 ), volta a verificare in via preventiva la compatibi-
lità ambientale di progetti relativi a rilevanti opere, individuate negli Allegati
dello stesso decreto-, l'art. 26 stabilisce che l'autorizzazione di cui all'art. 21
venga rilasciata dal competente organo del ministero - il direttore generale
archeologia belle arti e paesaggio, ai sensi dell'art. 2, comma 2, lett. m, d.p.c.m.
17112014- sulla base di un progetto definitivo (quindi non di massima né
preliminare), in sede di concerto previsto dal medesimo art. 26. Qualora risulti
dalla pronuncia del Mibact che l'opera non è in alcun modo compatibile con
le esigenze conservative del bene culturale, la procedura si considera conclusa
negativamente (comma 2). È da ritenere che, come in sede di conferenza di
servizi, anche in sede di Via il Mibact possa indicare eventuali prescrizioni al
progetto [Sgroi 2007, 165].

La recente approvazione del d.p.r. 13 febbraio 2017, n. 31, recante l'indivi- Prospettive
duazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti
a procedura autorizzatoria semplificata (v. in/ra, cap. 5) pone sul tappeto il
tema di una variazione normativa in qualche misura analoga a proposito degli
interventi sui beni culturali. Si tratta di un tema da valutare con attenzione, che
presumibilmente passa per la previa <<Vestizione» dei vincoli su tali beni (ossia
per la previa indicazione da parte dell'autorità di tutela delle condizioni del
loro possibile utilizzo) e che può interessare anzitutto i beni immobili storici
e artistici (c.d. beni architettonici), ma che l'estensione del concetto di bene
culturale (supra, cap. l, par. 1), da un lato, e l'appena illustrato ampio spettro
degli interventi soggetti ad autorizzazione (aspetto evidente dell'attuale «per-
vasività» della tutela, supra, par. 1), dall'altro, rendono senz'altro di attualità.

Una deroga alla disciplina dell'art. 21 è prevista altresì dall'art. 27, che consente Lavori prowisori
al proprietario (possessore o detentore) l'esecuzione di interventi senza previa urgenti
approvazione.
154 CAPITOLO 3

La deroga è subordinata a presupposti rigorosi: l' «assoluta urgenza», interventi


«provvisori indispensabili», rischio di «danni)) al bene, «immediata comunica-
zione)) dell'esecuzione alla soprintendenza, alla quale va inviato «tempestiva-
mente)) il progetto degli interventi definitivi per la necessaria autorizzazione.

Sospensione o L'art. 28, poi, disciplina l'ordine di sospensione o inibizione degli interventi
inibizione degli (il c.d. fermo dei lavori), provvedimento assegnato alla competenza del so-
interventi printendente, organo meglio in grado di garantirne la tempestiva assunzione.

Esso può avere una duplice natura: di autotutela, quando è rivolto ad assicurare
l'osservanza della disciplina dettata in tema di interventi, e cautelare, quando
tende a preservare da mutamenti la situazione di fatto (della cosa) in vista di
una sua successiva qualificazione giuridica (come bene culturale) per effetto
della quale i mutamenti richiederebbero l'assenso dell'autorità.
In via di autotutela, la sospensione può essere comminata, anzitutto, nel caso
di interventi «iniziati contro il disposto degli artt. 20, 21, 25,26 e 27)), ossia
qualora si tratti di interventi vietati, di interventi intrapresi senza autorizza-
zione oppure in violazione della disciplina sulla conferenza di servizi o sulla
Via oppure di interventi condotti in difformità dall'autorizzazione rilasciata
(comma 1).
La disposizione non precisa la durata della sospensione. In ragione della na-
tura dell'atto è da pensare che la sospensione valga, a seconda dei casi, fino al
rilascio dell'autorizzazione o fino alla revoca della misura sospensiva da parte
del soprintendente (che accerti che gli interventi sono stati ricondotti all'auto-
rizzazione rilasciata) [Roccella 2007b, 171].
La sospensione o l'inibizione dell'avvio in via cautelare concerne interventi
relativi alle cose di cui all'art. 10 Cod., per le quali non si sia già proceduto
all'individuazione come beni culturali ai sensi dell'art. 12 o 13 (comma 2).
In questo caso la misura è subordinata alla circostanza che l'avvio del procedi-
mento di verifica o di dichiarazione sia comunicato non oltre trenta giorni dalla
ricezione dell'ordine sospensivo o interdittivo. Altrimenti l'ordine si «intende
revocatm) (ossia, perde efficacia) (comma 3 ).
La comunicazione del tempestivo avvio del procedimento di dichiarazione
comporta una sorta di «consolidamento)) degli effetti della misura sospensiva
o inibitoria [Alibrandi e Ferri 2001, 349], giacché, a norma dell'art. 14, essa
determina l'applicazione in via cautelare delle disposizioni previste dal capo
III, sez. I (comma 4), applicazione peraltro non a tempo indeterminato, ma solo
fino alla scadenza del termine del procedimento di dichiarazione (comma 5).
Tale termine è attualmente fissato dal d.m. 13 giugno 1994, n. 495, e succ. mod.,
e varia, a seconda delle ipotesi, da centoventi a duecentodieci giorni.
Ragioni di ordine sistematico inducono a ritenere che, anche nel caso di
comunicazione di tempestivo avvio del procedimento di verifica, la misura
cautelare venga meno alla scadenza del termine previsto per la conclusione del
procedimento [sul punto Roccella 2007b, 172].
Concludendo sulla misura sospensiva o inibitoria in via cautelare, deve osservarsi
che la sua ratio (evitare interventi pregiudizievoli su cose ancora non sottoposte
a tutela), per le cose soggette a verifica, non tiene conto della previsione dell'art.
12, comma l, che sottopone dette cose «alle disposizioni della presente parte
[comprese quelle del Titolo l, capo III, sez. l] fino a quando non sia stata
effettuata la verifica di cui al comma b).
TUTELA 155

Con significativa novità rispetto al Tu, l'art. 28, comma 4, disciplina la c.d. Archeologia pre-
archeologia preventiva. ventiva

Si tratta della possibilità per il soprintendente di richiedere, in occasione della


realizzazione di opere pubbliche, l'effettuazione a spese del committente di saggi
archeologici preventivi su aree che presentino (un presumibile) interesse archeo-
logico ancorché non ancora assoggettate al relativo vincolo (in caso contrario
la possibilità di richiedere saggi è da ritenersi insita nella potestà autorizzatoria
di cui all'art. 21), onde valutare l'impatto della realizzazione dell'opera rispetto
alle esigenze di tutela del patrimonio archeologico.
La finalità perseguita è quella di ridurre il rischio che rinvenimenti archeologici,
che intervengano nel corso dell'esecuzione dei lavori, rendano necessarie mo-
difiche significative ai lavori in atto o addirittura ne paralizzino il compimento.
Con ciò l'armonizzazione dell'opera da realizzare con le esigenze di tutela viene
spostata in una fase anteriore all'inizio dei lavori.
Tale previsione ha trovato un'articolata attuazione negli artt. 2-ter ss. del d.l.
24 aprile 2005, n. 63, conv. nella l. 25 giugno 2005, n. 109, in seguito negli
artt. 95 s. del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, ora ripresi dall'art. 25 del d.lgs. 8
aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture),
che impone alle stazioni appaltanti di trasmettere al soprintendente, prima
dell'approvazione, copia del progetto preliminare dell'intervento corredata dagli
esiti di indagini geologiche e archeologiche preliminari. Il soprintendente può
disporre approfondimenti dell'indagine archeologica, a esito dei quali saranno
assunte le determinazioni opportune, fino all'awio del procedimento di indi-
viduazione ex art. 12 o 13 Cod., con la conseguenti modifiche del progetto o
al limite la cancellazione dell'opera [Malnati 2005; Failla e Urciuoli 2006, 351
ss.; Carpentieri 2016a, 1023 s.; Sau 2017, par. 3].

2.2. Misure di conservazione

Mentre le misure di protezione tendono a garantire il bene culturale da interventi Misure di conser-
pregiudizievoli dell'uomo, quelle di conservazione, disciplinate dalla sez. II del vazwne
capo III, si connotano in particolare per una finalità di salvaguardia del bene da
fattori naturali e in generale pongono un obbligo di fare a carico del detentore.
Secondo l'art. 29, comma l, la conservazione è assicurata da una «coerente, Restauro
coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione
e restauro», con tali termini intendendosi le attività volte rispettivamente
a «limitare le situazioni di rischio», al «controllo delle condizioni del bene
culturale e al mantenimento dell'integrità, dell'efficienza funzionale e dell'i-
dentità del bene», e all' «integrità materiale e al recupero del bene medesimo,
alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali» (art. 29, commi
2-4). In questo quadro il restauro rappresenta il momento finale delle misure
conservative, prevalentemente orientate verso l'intervento ex ante rispetto al
verificarsi dell'evento lesivo.

Due sono i dati che contraddistinguono la nozione di restauro: quello strutturale


(deve trattarsi di un intervento diretto sulla cosa, che costituisce il substrato
156 CAPITOLO 3

materiale del bene culturale) e quello finalistico (l'assicurare l'integrità materiale


della cosa e il recupero del suo testo critico come presupposti necessari- stante
lo stretto rapporto cosa/bene culturale - per la protezione e trasmissione del
valore culturale in essa insito).
Poiché il restauro comporta un intervento sulla materialità del bene culturale e
dunque presenta sempre un carattere «manipolati va)) dello stesso, una corrente
di pensiero, che muove dall'insegnamento di Giovanni Urbani, pone con sempre
maggiore forza l'accento sulla necessità di realizzare una conservazione preven-
tiva e programmata in rapporto all'ambiente del patrimonio culturale inteso
come complesso inscindibile, rivolta a prevenirne le cause di deterioramento e
a mantenerne l'integrità e identità. Ciò, da un lato, al fine di superare l'attuale
prassi del restauro di carattere critico-estetico incentrato su interventi per singole
opere (volto a restituire l'opera all'originaria lectio recta, ma necessariamente
legato al gusto estetico prevalente al tempo dell'intervento), e, dall'altro e in
particolare, con l'obiettivo di porre in luce l'indisgiungibilità del patrimonio
artistico italiano dal paesaggio urbano, agrario e naturale in cui si è andato
stratificandosi nel corso dei secoli [sul tema Zanardi 2010; 2012, 101 s. 123
ss.; 2013]. Risulta del tutto evidente che il restauro si collochi nell'area della
tutela (per tali caratteri v. anche Corte cast. sentt. 13 gennaio 2004, n. 9, punto
9 in diritto, e 10 giugno 1993, n. 277, in «Giur. cost.)), 1993, p. 1965). Anche
laddove, è il caso degli immobili situati in zone dichiarate a rischio sismico, il
restauro può comprendere interventi «di miglioramento strutturale)) (art. 29,
comma 4, ult. parte), la finalità è pur sempre quella della migliore garanzia
della struttura della cosa, una finalità cioè conservativa e solo eventualmente,
e comunque in via mediata, di valorizzazione.
Con riguardo al primo dato, il restauro si differenzia dalla prevenzione o dalla
salvaguardia, che, secondo l'art. 4 della «Carta del restauro del1972)), comporta
azioni non sul bene, ma su elementi a questo esterni che possono metterne
in pericolo l'integrità. Con riguardo al secondo, il restauro si distingue dalla
manutenzione- sulla quale v. anche l'art. 212, comma 4, del d.p.r. 21 dicembre
1999, n. 534- che (specie nella forma della c.d. manutenzione programmata) si
connota sia per la periodicità (a fronte della tendenziale episodicità del restauro)
sia per la specifica finalità preventiva.
La nozione di restauro fornita dall'art. 29 va altresì tenuta distinta da altre
nozioni di restauro previste dalla normativa in tema di edilizia (art. 3, comma
l, lett. c, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380) e di lavori pubblici (art. 212, comma 3,
del d.p.r. 534/1999).
L'art. 29 fissa come principi: che il Mibact definisca, anche con il concorso
delle Regioni e la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca, le
linee di indirizzo e le norme per la conservazione dei beni culturali; che gli
interventi di manutenzione e restauro su beni culturali siano eseguiti solo da
restauratori; che su base convenzionale il Mibact e le Regioni possano istituire
centri cui affidare attività di ricerca e attuazione di interventi nel campo della
conservazione (commi 5, 6 e 11). Detta altresì norme circa la formazione dei
restauratori e delle figure professionali complementari (commi 7-10). Dispo-
sizioni transitorie sono dettate dall'art. 182.

Obbligo di con- L'art. 30 pone in capo a tutti i detentori di beni ctÙturali l'obbligo di garantirne
servazwne la conservazione, conformandosi nel caso di soggetti pubblici e assimilati alle
prescrizioni del soprintendente.
TUTELA 157

Un obbligo specifico, esteso anche alle persone giuridiche private senza fini
di lucro, è quello di fissare i beni culturali di loro appartenenza nel luogo di
destinazione nel modo indicato dal soprintendente (art. 30, comma 2). Dal che
può determinarsi il sorgere di un c.d. vincolo pertinenziale di un bene culturale
mobile rispetto a un bene immobile in genere anch'esso culturale.

Gli interventi di conservazione sono sottoposti a previa autorizzazione ai Interventi volon-


sensi dell'art. 21 (art. 31, comma 1). tari

A richiesta dell'interessato e in osservanza di un criterio di concentrazione Contributi statali


procedurale, il soprintendente deve dichiarare se l'intervento assentito - se
del caso con prescrizioni - può essere ammesso a fruire di contributi statali e
se esso, in vista del conseguimento delle agevolazioni tributarie previste dalla
legge, ha carattere necessario per la conservazione del bene (art. 31, comma 2).
La contribuzione statale è disciplinata dagli art t. 35-3 7. Lo Stato può concorrere
alla spesa sopportata dal proprietario, relativa a interventi conservativi, per un
ammontare non superiore di massima alla metà della stessa (art. 35, comma l). Il
contributo va commisurato alla spesa effettivamente sostenuta, per determinare
la quale si deve tener conto anche di eventuali contributi pubblici e privati (art.
35, comma 3). Il contributo può essere in conto capitale - e allora è erogato
a lavori wtimati e collaudati, salvo acconti (art. 35, commi l e 2) -oppure in
conto interessi sui mutui o altre forme di finanziamento accordati da istituti di
credito, e allora è corrisposto dall'amministrazione direttamente all'istituto, con
modalità da stabilire con convenzione, nella misura massima corrispondente agli
interessi calcolati a un tasso annuo di sei punti percentuali sul capitale concesso
a mutuo (art. 37; v. anche la circolare 22 febbraio 2002, n. 27, del Mibact). La
circolare appena citata ammette il cumulo dei contributi in conto capitale con
quelli in conto interesse. Per la sospensione peraltro di tale contribuzione v. art.
l, comma 26-ter, del d.l. 6luglio 2012, n. 95, conv. nella l. 7 agosto 2012, n. 135.
Relativamente alle agevolazioni tributarie si rinvia al capitolo 4.

In assenza della (o comunque indipendentemente dalla) iniziativa del proprie- Interventi imposti
tario, possessore o detentore, l'amministrazione può attivarsi per interventi
relativi a beni culturali (interventi c.d. imposti).

Secondo l'art. 32 tali interventi devono avere finalità conservativa («assicurare


la conservazione» del bene; in questo senso, con riferimento agli artt. 14 e 15
della l. 1089/1939 e al d.p.r. 22 aprile 1994, n. 368 v. Corte cost. sent. l o marzo
1995, n. 70, in «Giur. cost.», 1995, p. 675). È esclusa quindi una finalità di altra
natura, in particolare di valorizzazione.

Tali interventi sono realizzabili direttamente dall'amministrazione oppure


da questa possono essere disposti a carico del proprietario (o di chi per lui).

Vigente il Tu era controversa la loro natura. Si sosteneva, infatti, che essi dove- Natura
vano essere di restauro [Baldi 2000, 68], oppure che potevano risolversi anche
in interventi di salvaguardia, cioè su elementi esterni al bene [Guccione 2000,
155]. Il tenore letterale dell'art. 32 e la ratio della disposizione depongono ora
nel secondo senso.
1 58 CAPITOLO 3

Procedura Il meccanismo procedurale è disciplinato dall'art. 33.


Preliminarmente è richiesta la redazione da parte del soprintendente di una
relazione tecnica dei lavori da eseguirsi con la dichiarazione della necessità (a
fini conservativi) della loro esecuzione.
La relazione, insieme alla comunicazione di awio del procedimento, è inviata
al proprietario (possessore o detentore) che può presentare osservazioni entro
trenta giorni. Sulla base (o anche in assenza) di queste, il soprintendente decide
per l'esecuzione diretta o indiretta dell'intervento, nel secondo caso assegnando
al proprietario (o a chi per lui) un termine per la presentazione di un progetto
di lavori in conformità alla relazione.
Se il progetto viene presentato e approvato, oppure approvato con modifiche
e queste sono accòlte, all'esecuzione dei lavori prowede il proprietario (pos-
sessore o detentore). Diversamente si dà luogo all'esecuzione diretta.
È in facoltà del Comune o della Città metropolitana, al quale il progetto va
trasmesso quando trattasi di immobili, di esprimere un parere motivato.
Misure cautelari È da sottolineare che, in caso di urgenza, il soprintendente può assumere misure
cautelari volte alla conservazione del bene (art. 33 u.c.).
Gli interventi conservativi, realizzati tanto in via diretta che indiretta, sono
posti a carico del proprietario (art. 34, comma 1). Il che si giustifica giacché
ridondano in un incremento del valore economico del bene.
Peraltro la medesima disposizione prevede la possibilità che lo Stato si addossi
in tutto o in parte l'onere della spesa qualora si tratti di «opere di particolare
rilevanza» oppure esse riguardino «beni in uso o godimento pubblico».
È da pensare che, anche in questo caso, l'intervento finanziario dello Stato
possa essere in conto capitale e/o interessi e che la misura conservativa, stante
la «necessità)), richiesta dall'art. 32 come presupposto per la sua adozione,
abbia anch'essa rilievo ai fini della concessione delle agevolazioni tributarie
previste dalla legge.
Accessibilità del In ordine ai beni culturali restaurati o sottoposti ad altri interventi conservativi
pubblico a carico totale o parziale dello Stato o per i quali siano stati concessi contributi
(e pertanto siano gli interventi assunti su iniziativa del proprietario oppure
imposti dall'amministrazione) deve essere, a norma dell'art. 38, consentita
l'accessibilità del pubblico, secondo modalità da stabilirsi convenzionalmente
fra il ministero e i singoli proprietari, sulla base del tipo di intervento effettuato
e del valore culturale presentato dai beni.

Interventi sui beni N orme particolari sono dettate in tema di interventi conservativi concernenti
culturali di enti beni culturali dello Stato o di enti territoriali.
territoriali
Fermo restando la responsabilità primaria del Mibact, come per l'applicazione
degli artt. 21 s. viene richiamato il principio della cooperazione interorganica e
intersoggettiva. Più in dettaglio, nel caso di beni statali in consegna o in uso di
altra amministrazione o di diverso soggetto, il Mibact prowede sentiti i mede-
simi (art. 39, comma 1). Salvo diverso accordo, la progettazione e l'esecuzione
degli interventi, sono assunte dall'amministrazione o dal soggetto interessato,
ferma restando la competenza del Mibact in ordine al rilascio dell'autorizzazione
sul progetto e alla vigilanza sullo svolgimento dei lavori (art. 39, comma 2).
Nel caso di enti territoriali, salvo le ipotesi di assoluta urgenza, le misure
conservative c.d. imposte sono stabilite anch'esse previo accordo con l'ente
interessato (art. 40, comma 1).
TUTELA 159

Nel caso, infine, di interventi di conservazione che coinvolgono una molteplicità


di soggetti pubblici e privati, è richiamato di massima il genus dell'accordo
programmatico (v. ad esempio art. 34 d.lgs. 18 agosto 200, n. 267, e art. 2,
comma 203, l. 23 dicembre 1996, n. 662) (art. 40, comma 3 ).
Al principio dell'accordo si ispira altresì la disposizione dell'art. 9 in tema di Beni culturali di
beni culturali di interesse religioso. In particolare si prevede che l'amministra- interesse religioso
zione (Mibact e Regioni per quanto di competenza) proweda, «relativamente
alle esigenze di culto, d'accordo con le rispettive autorità» (comma 1). Questo
significa che le esigenze di conservazione devono contemperarsi con quelle de-
rivanti dall'interesse religioso presente nel bene culturale, il che sfocia appunto,
sul piano procedurale, nella necessità di ricorrere a moduli convenzionali fra
le autorità preposte alla cura dei due interessi.
Per i beni culturali appartenenti a enti o istituzioni della Chiesa cattolica l'intesa
sottoscritta dal ministro per i Beni e le Attività culturali e il presidente della
Conferenza episcopale italiana, il 26 gennaio 2005, ha individuato le autorità
destinate a promuovere forme di collaborazione reciproca.

Per i beni culturali mobili è previsto altresì l'istituto della custodia coattiva Custodia coattiva
(art. 43 ). li Mibact può disporre il trasporto e «temporaneamente» la custodia
di tali beni in pubblici istituti, privandone della disponibilità il proprietario.

Presupposto della misura è l'esigenza di «garantire la sicurezza o assicurar[e]


la conservazione» del bene.
La durata della custodia varia in ragione della causa che l'ha giustificata: ad
esempio, coincidere con i tempi richiesti dall'intervento di restauro oppure
perdurare fino alla rimozione dei fattori di pericolo per l'integrità e la sicurezza
del bene [v. Alibrandi e Ferri 2001, 377].

Con significativo ampliamento di quanto già previsto dall'art. 48 del Tu, Comodato
l'art. 44 Cod. consente ai direttori degli archivi e degli istituti che abbiano in
amministrazione o in deposito raccolte o collezioni artistiche ecc. di ricevere
in comodato da privati proprietari beni culturali mobili per consentirne la
fruizione da parte della collettività (comma 1).

Si deve trattare di beni di particolare importanza o tali da integrare significati-


vamente le collezioni pubbliche, la loro custodia non deve risultare particolar-
mente onerosa e richiede l'assenso del ministero, che ne sopporta le spese anche
di conservazione. A ciò fa riscontro la necessità che la durata del comodato non
sia inferiore a cinque anni (commi l e 2).

I direttori possono altresì ricevere in deposito beni culturali appartenenti a Deposito


enti pubblici (comma 5).

Anche in questo caso è necessario l'assenso del competente organo del mini-
stero. Salvo diverso accordo le spese di conservazione e custodia sono a carico
dell'ente depositante.

Norme speciali sono, infine, dettate in tema di archivi e documenti, con obbli- Archivio e docu-
menti
ghi di tenuta in ordine, inventariazione e di conservazione organica degli stessi.
160 CAPITOLO 3

È da premettere che la disciplina prevista in generale per i beni culturali dal


Titolo I della parte seconda, si applica ai beni archivistici e ai singoli documenti
(tali considerati dall'art. 10, comma 2, lett. b, e comma 3, lett. b). Le disposizioni
contenute negli artt. 21, 30, 35, 41 e 42 prevedono peraltro una regolamenta-
zione specifica che tiene conto della peculiare natura di tali beni.
Obblighi di con- Di particolare importanza risultano quelle degli artt. 30 e 21. Gli enti pubblici
servazione speci- hanno l'obbligo di conservare nella loro organicità e tenere in ordine i propri
fici archivi, e di inventariare e istituire in sezioni separate quelli storici (racco-
glienti i documenti relativi ad affari esauriti da oltre quarant'anni). L'obbligo
è esteso a privati detentori di archivi di notevole interesse (art. 30, comma 4).
A tale obbligo fa riscontro la possibilità di intervento finanziario dello Stato a
sostegno o copertura delle spese occorrenti (art. 35, comma 2).
Dall'obbligo della conservazione degli archivi nella loro organicità, per entrambe
le categorie di soggetti, discende il divieto di smembramento e la necessità di
acquisire l'autorizzazione dell'autorità di tutela per lo scarto dei documenti (e
cioè la dichiarazione negativa circa l'interesse storico del documento, che per-
mette la libera disponibilità dello stesso) e per il trasferimento di archivi ad altre
persone giuridiche (art. 21, comma l, lett. d, e, 4 e 5). A sua volta dall'obbligo
di inventariare gli archivi storici discende, in caso di inosservanza, la facoltà
per il Mibact di disporne l'inventariazione presso l'ente inadempiente oppure
il deposito coattivo presso l'archivio di stato competente (art. 43, comma l-bis).
Archivi di ammini- Norme di ancor più specifica portata valgono per gli archivi delle amministra-
strazioni statali ... zioni statali. In particolare presso gli organi giudiziari e amministrativi dello
Stato sono istituite commissioni di sorveglianza destinate a vigilare sulla cor-
retta tenuta degli archivi correnti, a proporre gli scarti e a curare i versamenti
all'archivio centrale dello Stato e agli archivi di Stato dei documenti relativi
agli affari esauriti da oltre quarant'anni (art. 41).
... e di organi co- L'art. 42 affida poi a taluni organi costituzionali (Presidenza della Repubblica,
stituzionali Camera, Senato e Corte costituzionale) la tenuta dei loro archivi storici.

2.3. Altre forme di protezione

Altre forme di Nella sez. III del capo III sono previste altre fonne di protezione che integrano
protezione quelle disposte nelle due sezioni precedenti.

Esse possono riguardare beni culturali individuati ai sensi dell'art. l O- e allora


si aggiungono a quelle di cui tali beni già godono in base alle disposizioni delle
due sezioni appena esaminate - o concernere beni culturali considerabili tali
solo in base ali' art. 11.

Misure di tutela Le misure più importanti, definibili di «tutela ambientale», sono disciplinate
ambientale dagli artt. 45-47 e 49. Esse tendono a preservare soprattutto la «cornice am-
bientale» di un immobile, ossia il contesto originario dell'edificio o quello
sviluppatosi nel corso del tempo.

Secondo l'art. 45, il Mibact ha la facoltà di «prescrivere le distanze, le misure


e le altre norme dirette a evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni
TUTELA 161

culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate


le condizioni di ambiente e di decoro».
Sul piano contenutistico, si tratta di «prescrizioni di tutela indiretta», dette
anche «di vincolo indiretto», giacché esplicano effetti giuridici in relazione
a beni diversi da quelli oggetto di tutela, ancorché si tratti di effetti connessi
alla tutela (vincolo) di cui gode il bene culturale. Esse possono consistere, ad
esempio, nella prescrizione di distanze fra il bene tutelato e gli altri, l'altezza
massima di questi. Si tratta però di una categoria aperta.
Sul piano finalistico le misure assumibili devono tendere a tutelare taluni ca- Prescrizioni di tu-
ratteri dei beni tutelati, quali l'integrità, la prospettiva, il decoro, la continuità tela indiretta
stilistica fra il bene e quanto lo circonda (!'«ambiente))) [Alibrandi e Ferri
2001, 395].
Le prescrizioni vanno trascritte nei registri immobiliari, ai fini della loro appo-
nibilità nei confronti dei successivi proprietari, possessori e detentori, mentre
nei riguardi di quelli attuali è prevista la notificazione (art. 47, commi l e 2).
Le prescrizioni sono immediatamente precettive una volta notificate e vanno
recepite negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi (art. 45, comma 2).
Avverso il provvedimento contenente le prescrizioni di tutela indiretta è am-
messo ricorso amministrativo. La sua proposizione peraltro - diversamente
da quella contro l'apposizione del vincolo di cui all'art. 16- non comporta la
sospensione del provvedimento (art. 47, comma 3).
Infine, la loro inosservanza è penalmente sanzionata dall'art. 172.
Sull'infondatezza della questione di legittimità costituzionale prospettata a
proposito delle prescrizioni di tutela indiretta, nella disciplina dell'art. 21 della
l. 1089/1939, v. Corte cost. sent. 202/1974.
L'art. 4 9, a sua volta, fissa il divieto di collocare o affiggere cartelli e altri Divieto di cartelli
mezzi di pubblicità tali da arrecare danno all'aspetto, al decoro e al pubblico e di mezzi di pub-
godimento del bene culturale con due distinte disposizioni: l'una concernente blicità
gli edifici e le aree tutelati come beni culturali (comma l), l'altra le strade che
siano nell'ambito o in prossimità di detti beni (comma 2). In ambedue i casi il
divieto può essere rimosso da un'autorizzazione, rispettivamente, del soprin-
tendente e dell'autorità competente, su parere di questo. Il soprintendente può
altresì rilasciare apposito nulla osta o assenso per l'utilizzo a fini pubblicitari
delle coperture dei ponteggi predisposti per l'esecuzione di interventi di con-
servazione (comma 3).
Assimilabili a quelle appena considerate sono le misure relative all'esercizio Misure relative al-
del commercio in aree di valore culturale. L'art. 52, comma l, attribuisce ai Co- l'esercizio del com-
muni, sentito il soprintendente, il potere di individuare aree presentanti valore mercio in aree di
archeologico, storico, artistico e paesaggistico in cui vietare o consentire con valore culturale
limitazioni l'esercizio del commercio; mentre al comma l-ter, al fine di assicu-
rare il decoro di monumenti e immobili interessati da particolarmente rilevanti
flussi turistici e delle aree a essi contermini, prevede che gli uffici territoriali del
ministero, d'intesa con la Regione e i Comuni, adottino apposite determinazioni
volte a vietare gli usi non compatibili con le specifiche esigenze di tutela e di
valorizzazione, abilitando al contempo le stesse autorità a procedere, d'intesa,
al riesame delle autorizzazioni e delle concessioni rilasciate non più compatibili
con le stesse esigenze. Su tali disposizioni v. Corte cost. sent. 140/2015.

Altre disposizioni si occupano, infine, di affreschi, stemmi e altri ornamenti


di edifici, e degli studi di artista, menzionati all'art. 11, comma l, lett. a e b.
162 CAPITOLO 3

Divieto di distacco L'art. 50, comma l, vieta il distacco degli affreschi ecc. non autorizzato dal soprin-
di affreschi tendente, come misura volta a garantire l'integrità della cosa oggetto del distacco.
ll comma 2 estende tale disciplina alle vestigia della Prima guerra mondiale.
Studi di artista L'art. 51 preclude che sia modificata la destinazione d'uso degli studi d'artista
e che ne sia rimosso il contenuto (opere, documenti e simili), quando esso,
considerato nel suo complesso e nel contesto in cui è inserito, sia stato dichiarato
d'interesse storico particolarmente importante ai sensi dell'art. 13 (comma l). La
stessa disposizione (comma 2) vieta altresì la modifica della destinazione d'uso
degli studi di artista adibiti a tale funzione da almeno vent'anni e rispondenti alla
tradizionale tipologia a lucernaio (siano cioè forniti di apertura a vetri sul tetto).
In ambedue i casi l'esigenza tenuta presente dal legislatore è quella di conservare
la destinazione d'uso del locale interessato, esigenza alla quale nel primo caso si
aggiunge anche l'intendimento di conservare inalterato l'insieme degli oggetti
(opere, documenti ecc.) che lo caratterizzano.
Nel Tu la corrispondente disposizione (art. 52) precludeva altresì l'esecuzione di
prowedimenti di rilascio ai sensi della normativa in tema di locazioni. Il Codice
ha tenuto conto della pronuncia della Corte costituzionale 4 giugno 2003, n.
185, che aveva rawisato l'incostituzionalità di tale previsione.
Prestito per mo- Da ultimo l'art. 48 sottopone ad autorizzazione dell'autorità di tutela il prestito
stre ed esposizioni per mostre ed esposizioni, in genere, di beni culturali mobili, pubblici e privati.
L'autorizzazione va rilasciata tenendo conto delle esigenze conservative del
bene ed è subordinata all'adozione di misure volte a garantire l'integrità e
la copertura assicurativa del bene (commi 3 e 4). L'assicurazione, nel caso di
mostre promosse dal ministero o con la partecipazione dello Stato, può essere
sostituita da una garanzia statale.

3. CIRCOLAZIONE
Ascrivibili all'area della tutela, ma significativamente connotati altresì dalla
finalità di garantire la fruibilità del bene culturale, risultano gli istituti disc i-
plinati dal Codice al capo IV, Titolo I, della parte seconda, sotto la rubrica
«Circolazione in ambito nazionale», e concernenti la circolazione dei diritti
relativi al bene culturale.

Circolazione in È bene sottolineare che questo capo non si differenzia dal successivo «Circola-
ambito nazionale zione in ambito internazionale» sotto un profilo, verrebbe da dire, «geografico)),
e internazionale I due capi invero concernono fenomeni diversi, anche se eventualmente connessi.
La «Circolazione in ambito nazionale)) tratta della circolazione dei diritti relativi
al bene culturale, in particolare, laddove ammesso, del trasferimento del diritto
di proprietà. La «Circolazione in ambito internazionale)) si occupa dell'uscita dal
(o dell'ingresso nel) territorio nazionale del bene culturale. Sicché può ricorrere
circolazione del diritto sul bene senza circolazione del bene e viceversa.

3.1. Circolazione dei diritti


Circolazione dei
diritti La disciplina della circolazione dei diritti sul bene culturale varia in ragione
della condizione giuridica del bene, che a sua volta in larga misura dipende
TUTELA 163

dalla natura pubblica o privata del soggetto che ne ha la proprietà e dalla


categoria cui il bene va ascritto.
Iniziando dai beni culturali pubblici, occorre premettere che il legislatore
è stato costantemente mosso dall'idea che la proprietà pubblica del bene
culturale sia non solo funzionale al godimento da parte della collettività e
alla conservazione del bene (supra, cap. l, par. 6), ma ne costituisca altresì
la migliore garanzia. I c.d. acquisti privilegiati (prelazione, acquisto coattivo
ecc., in/ra, par. 5) rappresentano nel Codice segnali (peraltro non nuovi) in
questa direzione. L'idea avrebbe dovuto condurre all'inalienabilità tout court
dei beni culturali pubblici. Sennonché a essa il legislatore non ha mostrato di
credere fino in fondo, o quantomeno su quest'idea si è sovrapposta in taluni
momenti quella della possibilità o perfino dell'utilità della loro alienazione.
Si spiega così che il legislatore nel corso del tempo ha più volte cambiato
orientamento, descrivendo una traiettoria per nulla lineare.

L'art. 24 della l. 1089/1939 ammetteva, in presenza di certe condizioni, l'alie- Evoluzione della
nabilità dei beni culturali purché autorizzata dall'autorità ministeriale. La di normativa
poco successiva disciplina civilistica sancì invece, nel caso dei beni demaniali,
la incommerciabilità (art. 823, comma 1), aprendo un'antinomia per lungo
tempo oggetto di discussione [Alibrandi e Ferri 2001, 461 s.].
Con l'art. 12, comma 3, della l. 15 maggio 1997, n. 127, il legislatore stabilì che
alle «alienazioni di beni immobili di interesse storico-artistico dello Stato, dei
Comuni e delle Province si applica[ssero] le disposizioni di cui agli artt. 24 e
seguenti della l. l o giugno 1939, n. 1089» (quindi il regime dell'alienabilità previa
autorizzazione). Poi, però, con l'art. 2, comma 24, della l. 16 giugno 1998, n.
191, dispose l'abrogazione della disposizione appena citata (perciò ritornando
al regime dell'inalienabilità).
L'art. 54 del Tu sancì la sottoposizione al regime proprio del demanio pubblico
dei beni costituenti il demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico,
mentre per la generalità degli altri beni culturali degli enti pubblici fu prevista
l'alienabilità previa autorizzazione del ministero (art. 55, comma l, lett. a, be
c, e comma 2).
Nel frattempo la l. 23 dicembre 1998, n. 448- intervenuta dopo la scadenza
del termine (l o novembre 1998) fissato per l'entrata in vigore delle disposizioni
legislative di cui poteva tener conto il Tu (sulla base dell'art. l della l. 8 otto·
bre 1997, n. 352 e succ. mod.)- affidò a un regolamento di delegificazione il
compito di definire le ipotesi di alienabilità degli immobili d'interesse storico
e artistico degli enti territoriali. In attuazione di tale legge fu emanato il d.p.r.
7 settembre 2000, n. 283, che, in deroga all'art. 54 del Tu, ammise, nel rispetto
di determinate condizioni, l'alienabilità degli immobili costituenti il demanio,
storico, artistico ecc. (art. 1), a esclusione di taluni beni dichiarati inalienabili (i
beni riconosciuti monumenti nazionali, i beni con riferimento alla storia politica
ecc., indicati all'art. 2, comma l, lett. b del Tu, i beni d'interesse archeologico e
quelli documentanti l'identità e la storia delle istituzioni pubbliche, collettive
ed ecclesiastiche) (art. 2).
Sempre il Tu previde per i beni culturali delle persone giuridiche private senza
fini di lucro l'alienabilità previa autorizzazione (art. 55, comma 3), assoggettando
allo stesso regime le collezioni o serie di oggetti, dichiarati di «eccezionale inte-
resse)), appartenenti a privati in genere (art. 55, comma l, lett. c, e comma 2).
164 CAPITOLO 3

li Codice, con le modifiche introdotte dal d.lgs. 62/2008, rappresenta l'ultima


tappa (al momento) di questo percorso. In particolare esso si pone come unica
fonte della disciplina della circolazione dei diritti relativi ai beni del demanio
culturale (art. 53, comma 2) e, in senso più lato, dei beni culturali pubblici,
avendo disposto all'art. 184l'abrogazione del d.p.r. 283/2000 (peraltro per
effetto del d.lgs. 62/2008 recependone molteplici contenuti).
I beni pubblici vengono distinti in beni inalienabili e beni alienabili.

Alienazione In via preliminare è bene chiarire che con il termine «alienazione)) (e derivati)
gli artt. 54-57 Cod. fanno riferimento non a un istituto giuridico specifico, ma
a un effetto che può conseguire da più istituti [con riguardo al Tu, Alibrandi
e Ferri 2001, 467 s.], consistente nel trasferimento del diritto di proprietà, a
titolo oneroso o gratuito, e nella costituzione o traslazione di un diritto reale
di godimento (ad esempio servitù) o di garanzia (ad esempio ipoteca). La co-
stituzione di ipoteca e di pegno e la cessione in pagamento sono esplicitamente
menzionate rispettivamente dall'art. 56, comma 4-quinquies, e dall'art. 57.

Beni inalienabili A) I beni inalienabili comprendono (art. 54, commi l e 2):


l. un blocco di beni culturali demaniali (secondo la definizione dell'art. 43,
comma 1):
• i beni immobili archeologici (comma l, le t t. a);
• i beni dichiarati monumenti nazionali a termini della normativa vigente
all'epoca della dichiarazione (comma l, lett. b);
• le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e biblioteche (comma l, lett. c);
• gli archivi di enti pubblici territoriali (comma l, lett. d);
• gli immobili dichiarati di interesse particolarmente importante a causa del
loro riferimento alla storia politica ecc., owero quali testimonianze dell'iden-
tità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive e religiose (comma 2,
lett. d-bis);
• le cose mobili di autore vivente o la cui esecuzione non risalga a oltre cin-
quanta anni (che di per sé non sarebbero soggette alle disposizioni del Titolo
I ex art. 10 u.c.), se incluse in raccolte di enti territoriali (comma 2, lett. d-ter).

Va segnalato che per effetto dell'art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B (supra,
cap. l, par. 3) il termine «cinquanta)) verrebbe sostituito da «settanta)).

2. Un blocco di beni culturali pubblici non demaniali:


• gli archivi degli enti pubblici non territoriali e i singoli documenti degli
enti pubblici in genere (comma 2, lett. c).
3. Le cose mobili e immobili di enti pubblici e di enti privati senza scopo di
lucro, oggetto di «inalienabilità cautelare)) (comma 2, lett. a) (v. in/ra).

Peraltro le cose e i beni indicati sub l· 3 possono essere oggetto di trasferimento


fra enti territoriali ai sensi del comma 3.
Tale norma presenta specifico rilievo nel quadro del c.d. federalismo demania-
le, oggetto del d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, ossia dell'attribuzione a Comuni,
Città metropolitane, Province e Regioni di beni demaniali e non attualmente
TUTELA 165

di appartenenza statale (ad esempio, spiagge, porti). Vero è che da tale tra-
sferimento sono esclusi i «beni appartenenti al patrimonio culturale» (art. 5,
comma 2), ma si prevede che, nell'ambito di specifici accordi di valorizzazione
e programmi di sviluppo culturale, definiti in base all'art. 112, comma 4, del
Codice (in/ra, capp. 4 e 6), lo Stato proweda al trasferimento di beni culturali ai
sensi appunto dell'art. 54, comma 3. Detto meccanismo era destinato a operare
in sede di prima applicazione del decreto, entro un anno dalla sua entrata in
vigore (art. 5, comma 5), ma se ne è disposta altresì la possibilità di utilizzo a
cadenza biennale (art. 7).

La «inalienabilità cautelare» rappresenta una vera e propria novità del Codice. Inalienabilità cau-
Prima, con l'art. 5 del Tu, si prevedeva che le cose di interesse storico ecc. degli tela re
enti territoriali (si badi) diversi dallo Stato e delle persone giuridiche private
senza fini di lucro fossero soggette, indipendentemente dalla inclusione in
elenchi, alla disciplina di tutela (e quindi anche a quella in tema di circolazione
dei diritti), sulla base di una presunzione generale di culturalità. Ora è stabilito
che le cose appartenenti ai soggetti indicati all'art. 10, comma l (ossia agli
enti pubblici in genere e quelli privati senza fini di lucro), che siano opera
di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre cinquanta anni,
se mobili, o a oltre settanta anni, se immobili (peraltro per effetto dell'art. l,
comma 175, del d. d.l. S. 2085-B, supra, cap. l, par. 3, la soglia verrebbe elevata
a settanta anni anche per le cose mobili), siano inalienabili fino a quando non
si concluda il procedimento di verifica previsto dall'art. 12 (comma 2, lett. a).

La norma risulta strettamente legata al meccanismo della verifica. Come si


è detto (supra, cap. l, par. 4), alla verifica sono assoggettate le cose indicate
all'art. 10, comma l. L'esito della verifica, se positivo, comporta la definitiva
sottoposizione della cosa alla disciplina di tutela, se negativo, la fuoriuscita da
detta disciplina e in particolare la libera alienabilità (v. anche art. 56, comma
4-sexies), in quanto cosa non individuata come bene culturale (fermo restando
il regime della cosa in quanto bene pubblico, in particolare demaniale e quindi
inalienabile, sotto altro profilo) (v. art. 12, commi 4-6). Nel frattempo- e anzi
come «spinta)) a effettuare la verifica - la cosa è cautelativamente sottoposta
al regime dell'inalienabilità.
Proprio perché si tratta di un regime a verifica non ancora compiuta, la ina-
lienabilità non concerne un bene culturale in senso stretto Oa cosa diventa
qualificabile come bene culturale solo a seguito di una verifica positiva). Cor-
rettamente pertanto i commi 3 e 4 dell'art. 54 parlano di «beni)) e di «cose))
indicati ai commi l e 2 della disposizione.
È emerso l'interrogativo se l'inalienabilità cautelare concerna la generalità delle
cose appartenenti agli enti pubblici e privati senza fini di lucro aventi oltre cin-
quanta anni, se mobili, o a oltre settanta anni, se immobili, oppure solo quelle
cose che presentino anche una qualche «parvenza)) di culturalità. La soluzione
preferibile per equilibrio pare la seconda [Serra 2007, 258 s.].

B) Tutti gli altri beni culturali appartenenti a enti pubblici sono suscettibili Beni alienabili,
di alienazione totale o parziale, previa autorizzazione del ministero (artt. 55, previa autorizza-
ZIOne
56 e 58).
166 CAPITOLO 3

Peraltro, in relazione ai presupposti richiesti e alle condizioni che accompa-


gnano l'autorizzazione possono distinguersi:
l. Beni alienabili previa autorizzazione <(subordinata alla sussistenza di
stringenti garanzie)) (art. 55): si tratta dei beni immobili demaniali (ovviamente
esclusi quelli inalienabili secondo l'art. 54).

Infatti:
- quanto ai presupposti: la richiesta di alienazione va corredata dall'indicazione
della destinazione d'uso in atto e prevista in futuro per il bene, delle misure volte
ad assicurarne la conservazione, degli obiettivi di valorizzazione attesi nonché
delle modalità della futura fruizione pubblica (comma 2, lett. a-e); arrecare
pregiudizio alla conservazione, alla fruizione pubblica o comunque non risulti
compatibile con il carattere culturale del bene (comma 3-bis);
- quanto alle condizioni: il prowedimento di autorizzazione deve contenere
prescrizioni in ordine alle misure di conservazione e alle modalità di fruizione
pubblica del bene, e pronunciarsi sulla congruità delle misure di valorizzazio-
ne indicate (comma 3, lett. a-c); dette prescrizioni vanno riportate nell'atto di
alienazione, del quale costituiscono obbligazione ai sensi dell'art. 1456 cod. civ.
e oggetto di apposita clausola risolutiva espressa, e devono essere trascritte nei
registri immobiliari (art. 55-bis, comma l);
- quanto al regime giuridico: l'autorizzazione ad alienare comporta la sde-
manializzazione del bene culturale, ma non lo sottrae alla disciplina di tutela
(art. 55, comma 3-quinquies), in particolare gli interventi che lo concernono
richiedono di essere preventivamente autorizzati ai sensi dell'art. 21 (art. 55,
comma 3-sexies). Ciò significa che con l'autorizzazione si accerta non che è
venuto meno l'interesse culturale del bene, ma solo la non necessità dello statuto
di bene pubblico ai fini della tutela (e del godimento pubblico) dello stesso.
Nel caso di inosservanza delle prescrizioni fissate è prevista la risoluzione del
contratto (art. 55-bis, comma 2).

2. Beni alienabili previa autorizzazione <(subordinata alla sussistenza diga-


ranzie meno stringenti)): si tratta anzitutto degli altri beni pubblici (i beni mo-
bili degli enti territoriali e i beni mobili e immobili degli enti non territoriali),
sempre esclusi quelli inalienabili (art. 56, comma 1), ivi compresa la vendita
anche parziale di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie da parte di
enti pubblici non territoriali (art. 56, comma 2, lett. a). In secondo luogo si
tratta dei beni pubblici indicati sub B) l (beni immobili demaniali) allorché
siano utilizzati «a scopo abitativo o commerciale)) (art. 55, comma 3-quater).

In ambedue i casi i presupposti e le condizioni per l'autorizzazione sono meno


stringenti: fermo restando che dall'alienazione non deve derivare un danno
alla conservazione e alla pubblica fruizione del bene (art. 56, commi 4 e 4-bis),
non sono richieste né l'indicazione degli obiettivi di valorizzazione attesi né,
conseguentemente, la valutazione degli stessi obiettivi (art. 55, comma 3-quater,
e art. 56, comma 3 ). Peraltro, anche per questi beni, le prescrizioni contenute
nell'autorizzazione vanno riportate nell'atto di alienazione e trascritte nei registri
immobiliari. Essi inoltre restano sottoposti alla disciplina di tutela, in particolare
l'esecuzione di lavori e opere è sottoposta ad autorizzazione preventiva ex art.
21, commi 4 e 5 (art. 56, commi 4-ter e 4-quater).
TUTELA 167

Da notare che nel caso di beni mobili di enti territoriali l'autorizzazione è su-
bordinata anche alla condizione che essi non presentino interesse per le raccolte
pubbliche (art. 56, comma 4).
Le collezioni o serie di oggetti e le raccolte librarie sono quelle previste dall'art.
10, comma 2, lett. c, e comma 3, lett. e.

In forza dell'art. 57 -bis, introdotto dal d.lgs. 62/2008, la disciplina contenuta


negli artt. 54-56, appena considerata, vale per «ogni procedura di dismissione
o di valorizzazione e utilizzazione, anche a fini economici, di beni immobili
pubblici di interesse culturale, prevista dalla normativa vigente», ha quindi
portata generale con prevalenza su preesistenti disposizioni eventualmente
difformi (comma 1).
Per lo stesso articolo detta disciplina si applica non solo ai casi di alienazione
(comprensivi della costituzione di diritti reali di garanzia), ma anche a quelli
di costituzione di diritti di godimento di natura reale (tramite concessione)
o personale (tramite locazione).

Anche in questo caso le prescrizioni contenute nel prowedimento di autoriz-


zazione vanno riportate nell'atto di concessione o nel contratto di locazione e
trascritte nei registri immobiliari, e la loro inosservanza comporta il venir meno
degli effetti dell'atto o del contratto (comma 2).

C) Per i beni culturali appartenenti a persone giuridiche private senza fine Beni di persone
di lucro (compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti) vale lo stesso giuridiche private
regime indicato sub B) 2, ossia la loro alienazione è soggetta ad autorizzazione senza fini di lucro
ministeriale (art. 56, comma l, lett. b). L'autorizzazione è richiesta altresì nel
caso di vendita anche parziale di collezioni o serie di oggetti, di raccolte librarie
nonché di archivi o singoli documenti (art. 56, comma 2, le t t. a e b). Peraltro il
presupposto richiesto è meno stringente di quello previsto per i beni culturali
pubblici, limitandosi l'art. 57, comma 5, a stabilire che dall'alienazione «non
derivi un grave danno alla conservazione o al pubblico godimento» del bene.
È da tenere presente che anche per le cose mobili o immobili (opere ultracin-
quantennali, se mobili, e ultrasettantennali, se immobili, e di autore non più
vivente) appartenenti a soggetti privati senza fine di lucro trova applicazione
l'inalienabilità cautelare, in attesa che intervenga la verifica (art. 54, comma
2, lett. a).

La permuta dei beni culturali pubblici e privati alienabili previa autorizzazione Permuta
nonché di singoli beni appartenenti a pubbliche raccolte è anch'essa soggetta ad
autorizzazione, ma in questo caso l'atto di consenso presuppone che si determini
un incremento del patrimonio culturale nazionale oppure un arricchimento
delle pubbliche raccolte (art. 58).
La disciplina dettata ai commi l-4-quater dall'art. 56 (per le alienazioni di beni Altri atti
mobili demaniali, di beni pubblici non demaniali e di beni dei privati senza fine
di lucro) viene estesa dal comma 4-quinquies dello stesso articolo alla costitu-
zione di ipoteca e di pegno e agli atti che tra i loro effetti possono comportare
l'alienazione dei beni culturali ivi indicati.
168 CAPITOLO 3

Beni di altri sog- D) Per gli altri beni culturali privati vale il principio della libera disponibilità.
getti privati
Rispetto alla disciplina del Tu (ex art. 55, comma l, lett. c, e comma 2) non risulta
più prevista l'autorizzazione nel caso di alienazione di collezioni o serie di oggetti
appartenenti a privati persone fisiche o persone giuridiche con fine di lucro.

Per concludere una notazione di sintesi. Indipendentemente dall'appartenenza


ai singoli tipi di cui si compone la proprietà pubblica (demanio, patrimonio
indisponibile, patrimonio disponibile) e quindi dalla sottoposizione alla
disciplina propria di ciascun tipo, i beni culturali di enti pubblici, sul punto
specifico, ma cruciale, della loro circolazione, risultano soggetti a un regime
di incommerciabilità oppure di commerciabilità controllata (soggetta cioè ad
autorizzazione ministeriale), mentre i beni culturali di privati sono sottoposti
a una disciplina di commerciabilità controllata oppure di piena commercia-
bilità (a seconda che si tratti o meno di soggetti non pro/it). Per gli uni, la
commerciabilità controllata si pone, se non come regola, come dato senz' altro
significativo, per gli altri, come eccezione, anch'essa peraltro rilevante.

Denuncia La circolazione dei diritti sui beni culturali comprende anche l'istituto della
denuncia.
Secondo l'art. 59, comma l (versione vigente), «gli atti che trasferiscono, in
tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni mobili,
la detenzione di beni culturali sono denunciati al ministero».

La disposizione pone una serie di problemi interpretativi concernenti la fun-


zione, i destinatari e l'oggetto della denuncia.
Funzione Quanto alla funzione assolta, si ritiene che la denuncia tenda a permettere
all'amministrazione una conoscenza aggiornata dell'appartenenza giuridica e
della disponibilità materiale della cosa, affinché essa possa assumere, quando
necessario, le iniziative di tutela previste dalla legge [De Maria 2007a, 280 s.;
Alibrandi e Ferri 2001, 477] e, allorché ricorrano atti di alienazione a titolo
oneroso, possa esercitare la prelazione prevista dall'art. 60.
Oggetto Circa l'oggetto, la disposizione parla di atti che trasferiscono la «proprietà o la
detenzione», senza menzionare quelli concernenti il possesso. È da pensare che
siano soggetti a denuncia, oltre agli atti traslativi della proprietà o del diritto
personale di godimento del bene (locazione, comodato) anche gli atti costitu-
tivi o traslativi di diritti reali che comportino il trasferimento della detenzione
(rectius possesso) [Alibrandi e Ferri 2001, 478].
Destinatari Relativamente, infine, ai destinatari, mentre sotto la vigenza della l. 1089/1939
l'obbligo di denuncia gravava sui proprietari (o detentori) di cose che avessero
formato «oggetto di notifica)) (art. 30, comma 1), e quindi fondamentalmente
su soggetti privati, l'art. 59- al pari dell'art. 58 del Tu- parla genericamente di
«beni culturali)). Si sarebbe, pertanto, orientati a ritenere, anche alla luce dell'art.
10, comma 5, che l'obbligo di denuncia incomba ora anche sui soggetti pubblici e
sugli enti privati senza scopo di lucro allorché compiano atti traslativi o costitutivi
della proprietà o della detenzione di beni culturali [Ferri e Pacini 2001, 107 ss.].
La denuncia va presentata, entro trenta giorni dal compimento dell'atto, al
soprintendente del luogo dove si trova il bene da parte dell'alienante o dal
TUTELA 169

cedente oppure, nel caso di vendita forzata o di sentenza di trasferimento,


dall'acquirente o, nel caso di successione martis causa, dall'erede o dal legata-
rio. La denuncia deve contenere, in particolare, i dati identificativi del bene e
del luogo in cui esso si trova nonché delle parti e recare la loro sottoscrizione
(art. 59, commi 2-4).

L'inosservanza delle norme previste in tema di circolazione dei diritti sui beni Inosservanza delle
culturali, oltre a essere sanzionata sul piano penale dall'art. 173, determina norme in tema di
conseguenze su quello civilistico. circolazione: effetti

Secondo l'art. 164 «1. Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in gene-
re, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della parte
seconda, o senza l'osservanza delle condizioni o modalità da esso prescritte,
sono nulli. 2. Resta sempre ferma la facoltà del ministero di esercitare il diritto
di prelazione ai sensi dell'art. 61, comma 2».
La disposizione del comma l nella sua generalità richiede che vengano distinte
le differenti ipotesi prospettabili.
Nel caso di alienazione di beni demaniali nei casi vietati dall'art. 54 o senza Casistica
l'autorizzazione ministeriale nei casi ammessi dall'art. 55 o senza la sussisten-
za dei requisiti o delle condizioni previsti per il suo rilascio (art. 55, commi
2-3-bis e 3-quater) è da pensare che la nullità sia di carattere assoluto, stante
l'incommerciabilità come situazione propria dei beni demaniali. Invero è la
(valida) autorizzazione ad alienare che comporta la sdemanializzazione del
bene culturale ai sensi dell'art. 55, comma 3.
Nel caso di alienazione degli altri beni di soggetti pubblici o di soggetti privati
non profit senza l'osservanza della disciplina in tema di autorizzazione (art. 56,
commi 3-4-ter), la nullità sembra atteggiarsi in termini relativi, giacché a essere
violato è l'interesse storico e artistico a garanzia del quale è prevista l' autoriz-
zazione. Portatore di tale interesse è il Mibact, sicché solo questi pare abilitato
a far valere la nullità (Cass. 24 maggio 2005, n. 10920, e Cass., sezioni unite, 26
gennaio 1994, n. 728, in «Foro it.», 2006, I, 1880, e 1994, I, 1053; Cass. 26 aprile
1991, n. 4559, in «Cons. Stato>>, 1991, II, p. 1477). Peraltro in sede dottrinaria si
prospetta la tesi secondo la quale la nullità relativa di cui all'art. 164 rappresenti
propriamente un caso di inefficacia del contratto [De Maria 2004, 680 s.].
Nel caso, infine, di omessa denuncia, consistendo la violazione non nell'inos-
servanza di un divieto (assoluto o relativo) posto alla commerciabilità del bene,
ma solo nel mancato compimento di un atto successivo e distinto rispetto al
negozio traslativo, sembra persuasiva la tesi che ritiene trattarsi di inefficacia
piuttosto che di nullità [Alibrandi e Ferri 2001, 491].
Questa qualificazione pare del resto meglio spiegare la salvezza, prevista dal
comma 2 dell'art. 164, della facoltà per il Mibact di esercitare il diritto di prela-
zione, risultando invero non lineare che gli effetti discendenti da un atto siano
dalla legge a un tempo considerati inesistenti (in conseguenza della nullità) ed
esistenti (ai fini della prelazione).
Sulla disposizione dell'art. 146 v. di recente Cons. Stato, VI, 642/2017, secondo
cui la nullità (peraltro intesa in senso proprio) del contratto per mancanza della
previa autorizzazione non è legata all'esercizio del diritto di prelazione.
Brevemente sulle norme in tema di commercio dagli artt. 63 e 64 Cod. Commercio di be-
Nel caso di commercio di beni rientranti nelle categorie di cui alla lettera ni culturali
A dell'Allegato A (beni sottoposti alla disciplina speciale di tutela per l'e-
170 CAPITOLO 3

sportazione) l'autorità locale di pubblica sicurezza preposta a ricevere la


dichiarazione preventiva di esercizio del commercio di cose antiche o usate è
tenuta a trasmettere al soprintendente e alla Regione copia della dichiarazione
presentata (art. 63, comma 1). L'esercente il commercio, a sua volta, è tenuto
ad annotare quotidianamente le operazioni eseguite su un apposito registro,
sottoposto a verifica da parte del soprintendente o da parte di funzionari della
Regione nel caso di esercizio della tutela ex art. 5 (beni librari ecc.) (art. 63,
commi2 e3).
Coloro che esercitano il commercio di documenti, i titolari di case di vendita
e i pubblici ufficiali preposti alle vendite mobiliari sono tenuti a comunicare al
soprintendente l'elenco dei documenti d'interesse storico posti in vendita. Allo
stesso obbligo sono soggetti i detentori di archivi che acquisiscano documenti
aventi il medesimo interesse. Il soprintendente può awiare il procedimento di
dichiarazione ex art. 13 (art. 63, commi 4 e 5).
Infine, chiunque vende al pubblico o espone al fine di commercio opere di
pittura, scultura o grafica oppure oggetti di antichità o di interesse storico o
archeologico è tenuto a rilasciare all'acquirente la documentazione attestante
l'autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza o, in mancanza,
una dichiarazione - redatta con le modalità previste dalle norme in tema di
documentazione amministrativa e apposta ove possibile su copia fotografica
delle opere o degli oggetti- recante le informazioni disponibili sull'autenticità
o la probabile attribuzione e la provenienza (art. 64).

3.2. Circolazione dei beni

Circolazione dei Della circolazione dei beni si occupa il capo V del Titolo I della parte seconda,
beni articolato in cinque sezioni concernenti rispettivamente i «Principi in materia
di circolazione internazionale», l' «Uscita dal territorio nazionale e ingresso
nel territorio nazionale», l' «Esportazione dal territorio dell'Unione Europea>>,
la «Disciplina in materia di restituzione, nell'ambito dell'Unione Europea,
di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro» e la
«Disciplina in materia di interdizione dell'illecita circolazione internazionale
dei beni culturali».

Diritto nell'Unio· Ai fini di una più agevole comprensione della sistematica seguita dal Codice
ne Europea occorre premettere alcuni cenni di inquadramento della circolazione dei beni
culturali secondo la normativa dell'Unione Europea.
Art. 36 del Tfue Come è noto, fra i principi fondamentali dell'Unione figura quello della libera
circolazione delle merci con i conseguenti divieti di dazi doganali, di restrizioni
quantitative all'importazione e all'esportazione nonché di qualsiasi misura di
effetto equivalente (artt. 23, 28 e 29 Trattato Ce ora artt. 28, 34 e 35 Tfue).
Sebbene non fossero mancate voci diverse, la Corte di Giustizia già con la pro-
nuncia 10 dicembre 1968, Commissione/Italia, c. 7/68 (in «Racc.>> 1968, p. 562)
ritenne che i beni culturali dovessero agli effetti del Trattato essere considerati
merci e come tali soggetti alle norme comunitarie, «salvo le deroghe espressa-
mente previste dal Trattato». L'art. 36 Tfue prevede che le disposizioni degli
artt. 34 e 35 «lascino impregiudicati i divieti o restrizioni[. .. ] all'esportazione
TUTELA 171

[. . .] giustificati da motivi [tra gli altri] di protezione del patrimonio artistico,


storico o archeologico nazionale».
Ne deriva che anche in questo caso vengono in rilievo interessi meritevoli di
tutela, in relazione ai quali l'Unione rimette agli Stati la possibilità di porre con
proprie norme deroghe al principio della libera circolazione, sia pure nel rispetto
di criteri generali (quali quelli di proporzionalità, non discriminazione arbitraria
ecc.) e sotto il controllo della Corte, attraverso le procedure di infrazione e di
rinvio pregiudiziale [v., ad esempio, Grassi 1995,3 ss.; Chiti 1997,353 ss.].
In vista del completamento del mercato interno e al fine di evitare che l'a per- Regola m e n t o
tura dei mercati potesse rendere di fatto inoperante la disciplina di tutela dei 3911/1992 e di-
beni culturali stabilita dai singoli Stati, furono emanati il regolamento (Cee) rettiva 93/7 /Cee
n. 3911/1992 del Consiglio, del 9 dicembre 1992, e la direttiva 93/7/Cee del
Consiglio, del15 marzo 1993.
Con il primo atto si disciplinò l'esportazione dei beni culturali verso Stati
terzi, nell'intento di evitare che beni usciti illegalmente da uno Stato membro
venissero esportati all'esterno dell'Unione, approfittando della legislazione
eventualmente più permissiva vigente in altri Stati membri. Con il secondo si
dettarono regole per il recupero di beni appartenenti al patrimonio culturale
di uno Stato dell'Unione illecitamente usciti dal suo territorio [v. Grassi 1995,
10 ss.; Chi ti 1997, 362 ss.; Lafarge 2000].
A tali atti (e alle loro modificazioni) ha dato rispettivamente esecuzione e at- L. 30 marzo 1988,
tuazione lo Stato italiano con la l. 30 marzo 1998, n. 88. Tale legge è alla base n. 88
della disciplina contenuta nelle sezioni l-bis-III del capo IV del Codice, che
peraltro tiene conto delle modifiche intervenute nella normativa comunitaria.
In termini schematici si può dire che la sez. 1-bù contiene la disciplina nazio-
nale ex art. 30 del Trattato, mentre la sez. II prevede norme di esecuzione del
regolamento (Ce) n. 116/2009 del18 dicembre 2008 del Consiglio, relativo all'e-
sportazione di beni culturali (sostitutivo del regolamento n. 3911/1992) e la sez.
III esprime le norme di attuazione della direttiva n. 2014/60/Ue del15 maggio
2014 del Parlamento e del Consiglio, relativa alla restituzione dei beni culturali
usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro (sostitutiva della direttiva
93/7), sicché, nel caso di esportazione dall'Italia di beni culturali verso altri Stati
membri dell'Unione, si applicheranno le disposizioni della sez. I-bis, alle quali,
nel caso di esportazione verso Stati terzi, si aggiungeranno quelle della sez. II
(come pure le norme del regolamento 116/2009 richiamato). A sua volta la sez.
IV richiama la Convenzione Unidroit, che disciplina il ritorno internazionale dei
beni culturali rubati o illecitamente esportati, e la convenzione Unesco, relativa
alla illecita importazione, esportazione e trasferimento di beni culturali.

Funge da premessa generale la sez. I che enuncia all'art. 64-bis i principi


fondamentali ispiratori della normativa del Codice in tema di circolazione
internazionale dei beni culturali. Essi risultano i seguenti:
a) il controllo sulla circolazione internazionale è finalizzato a preservare
l'integrità del patrimonio culturale (quale si desume dall'art. 2) in tutte le
sue componenti;
b) detto controllo, che costituisce «funzione di preminente interesse na-
zionale)), va esercitato nel rispetto dei vincoli discendenti dall'ordinamento
comunitario e degli impegni assunti con convenzioni internazionali;
c) i beni costituenti il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci.
172 CAPITOLO 3

Tali principi presentano una stretta connessione. In particolare la disciplina


del controllo sulla circolazione internazionale dei beni culturali, che si pone in
deroga al principio comunitario della libera circolazione delle merci, si giustifica
in relazione al peculiare interesse (storico, artistico ecc.) che deve sussistere,
ai sensi della normativa nazionale, nei beni costituenti il patrimonio culturale.
In mancanza di tale interesse le «cose d'arte)) sono soggette al principio della
libera circolazione in quanto merci, fermo restando in ogni caso il rispetto dei
vincoli assunti dallo Stato italiano in sede di convenzioni internazionali.

Divieto di uscita A) Apre la sez. I -bis l'art. 65, che sottopone i beni culturali a un generale
divieto di uscita definitiva dal territorio dello Stato.

Essa concerne:
a) i beni mobili indicati nell'art. 10, commi 1-3 (comma l);
b) le cose mobili appartenenti a enti pubblici e privati senza fine di lucro che
siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre cinquanta
anni (per effetto dell'art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B, supra, cap. l, par.
3, la soglia salirebbe a settanta anni), fino a quando non sia stata effettuata la
verifica (comma 2, lett. a);
c) le cose a chiunque appartenenti che, pur rientrando nelle categorie indicate
all'art. 10, comma 3- ma, tenuto conto della previsione del comma l, non ancora
individuate come beni culturali-, il ministero abbia preventivamente escluso
dall'uscita, per periodi temporali definiti, «perché dannosa per il patrimonio
culturale)) (comma 2, lett. b).

Uscita definitiva B) L'art. 65, comma 3, sottopone, invece, ad autorizzazione l'uscita definitiva
sottoposta ad au- di altre cose con rilievo culturale.
torizzazione
Esse sono:
a) le cose appartenenti (tenuto conto della previsione del comma l) a privati,
singoli e a persone giuridiche con fini di lucro, che siano opera di autore non
più vivente, con esecuzione risalente a oltre cinquanta anni e che «presentino
interesse culturale)) (per effetto dell'art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B,
supra, cap. l, par. 3, la soglia temporale salirebbe a settanta anni, inoltre
si richiederebbe che il loro valore superi le soglie «indicate nella lettera B
dell'allegato A)) del Codice);
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati che «presentino
interesse culturale));
c) le cose rientranti nelle categorie di cui all'art. 11, comma l, lett. /, g, h
(fotografie, mezzi di trasporto ultra settantacinquennali, beni e strumenti di
interesse per la storia della scienza ultracinquantennali ecc.).
Da notare che nei casi sub a) e b) si tratta di cose non ancora individuate o non
individuabili come beni culturali in assenza dell'interesse qualificato richiesto
dall'art. 10, comma 3, lett. a, b.
Attestato di libera Per le cose sub a)-c) è previsto che l'interessato richieda un «attestato di libera
circolazione circolazione)), previa denuncia e presentazione degli stessi ai competenti uffici
di esportazione, indicando altresì il valore venale. L'ufficio emette o nega, con
atto motivato (in relazione all'assenza o alla presenza nella cosa dell'interesse
culturale storico, artistico ecc. tale da giustificare la individuazione della cosa
come bene culturale), l'attestato, che ha validità triennale (che diventerebbe
TUTELA 173

quinquennale per effetto dell'art. 53 del d.d.l. S. 2085; v. supra, cap. l, par.
3 ). In caso di diniego, il bene è sottoposto al procedimento di dichiarazione
d'interesse e all'applicazione delle misure di salvaguardia ex art. 14 (art. 68).
L'interessato può presentare ricorso al ministero (art. 69).
È ammesso che entro novanta giorni dalla denuncia il Mibact o la Regione eser-
citi la facoltà di acquisto coattivo del bene, per il valore indicato nella denuncia
e accertato dall'ufficio di esportazione (art. 70) (in/ra, par. 5).
L'art. l, comma 176, del d.d.l. S. 2085-B, supra, cap. l, par. 3, prevede l'intro-
duzione di un apposito «passaporto» per le opere, di durata quinquennale, per
agevolare l'uscita e il rientro delle stesse nel e dal territorio nazionale.

C) Infine, al comma 4, sempre l'art. 65 non assoggetta ad autorizzazione Uscita definitiva


l'uscita definitiva di altre cose con rilievo culturale. senza autorizza-
ZIOne
Si tratta delle cose indicate dall'art. 11, comma l, lett. d, ossia le opere di pittura,
scultura ecc., a chiunque appartenenti, di autore vivente o la cui esecuzione
non risalga a oltre cinquanta anni (diverrebbero settanta per effetto dell'art. l,
comma 175, del d.d.l. S. 2085-B, supra, cap. l, par. 3).
Sempre a seguito della stessa disposizione non sarebbe richiesta l'autorizzazione
altresì per le «cose che presentino interesse culturale, siano opera di autore
non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre settanta anni, il cui valore
sia inferiore ad euro 13.500, fatta eccezione per le cose di cui all'Allegato A,
lettera B, numero l [ossia i reperti archeologici]» del Codice. Sull'interessato
incombe l'onere di comprovare tali condizioni, mediante autocertificazione da
presentare al competente ufficio di esportazione.
In conclusione, con gli interventi sui commi 2-4 dell'art. 65 appena accennati,
l'art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B opererebbe una liberalizzazione nella
circolazione in ambito internazionale delle cose di interesse culturale, da un lato,
elevando la soglia temporale dell'esecuzione (settanta anni) per la loro rilevanza
come beni culturali (in linea con le nuove previsioni relative agli artt. 10-12),
dall'altro esentando dall'autorizzazione l'uscita dal territorio della Repubblica
in genere dei beni culturali con soglie di valore ridotte (ossia non superiori a
quelle indicate nella lettera B dell'allegato A).
Per i beni culturali e le cose oggetto del divieto di uscita definitiva (esclusi Uscita tempora-
quelli di cui all'art. 65, comma 2, lett. b), v. supra, sub A) o sottoposti ad nea
autorizzazione è possibile l'uscita temporanea dal territorio nazionale per
mostre o altri eventi di alto interesse culturale, a condizione che ne siano
garantite l'integrità e la sicurezza (art. 66, comma 1). L'uscita temporanea
è altresì prevista quando essi costituiscano arredo delle sedi diplomatiche o
consolari all'estero oppure mobilio privato di cittadini italiani che ricoprono
cariche presso tali sedi o presso istituzioni internazionali o comunitarie o
quando gli stessi siano da sottoporre ad analisi o a interventi di restauro da
eseguirsi necessariamente all'estero (art. 67, comma 1).
L'uscita richiede l'autorizzazione dell'ufficio di esportazione competente, che
fissa anche il termine massimo per il rientro. Nel caso di uscita per mostre ecc.,
a garanzia del rientro va rilasciata una cauzione, costituita anche da polizza
fideiussoria (art. 71).
Per l'ingresso nel territorio nazionale delle cose e dei beni indicati all'art. 65, Ingresso nel terri-
comma 3 (cose a chiunque appartenenti che presentino interesse culturale ecc.) torio nazionale
l'art. 72 prevede il rilascio, a richiesta, di un certificato di awenuta spedizione
174 CAPITOlO 3

(nel caso di beni provenienti da uno Stato membro dell'Unione Europea) o di


awenuta importazione (nel caso di beni provenienti da Stati terzi)_ li certificato
ha la funzione di attestare il loro lecito ingresso in Italia.

Esportazione dal Dell'esportazione dei beni culturali dal territorio dell'Unione Europea si
territorio d eli 'U- occupa la sez. II agli artt. 73 e 74, che dettano norme di esecuzione del re-
nione Europea golamento Ce 116/2009. Tale regolamento, nell'obiettivo di evitare che beni
fuoriusciti illecitamente da uno Stato membro siano esportati all'esterno
dell'Unione passando per il territorio di altro Stato membro dalla legislazione
meno rigorosa, ha previsto che, ai fini dell'esportazione verso paesi non
dell'Unione dei beni culturali indicati in allegato, debba essere presentata una
licenza di esportazione rilasciata dallo Stato membro competente.

In particolare viene poi stabilito che la licenza di esportazione sia rilasciata


contestualmente all'attestato di libera circolazione di cui all'art. 68 (art. 74,
comma 3 ). Questo caso ricorre quando lo Stato italiano sia a un tempo Stato
di origine e Stato di esportazione del bene. Il che implica anche che, per i beni
per i quali operi il divieto di uscita ai sensi dell'art. 65, lo Stato italiano può
rifiutare la licenza di esportazione [v. Lafarge 2007, 328 ss.].

Restituzione dei La sez. III, come accennato, si occupa della restituzione, nell'ambito dell'U-
beni culturali ille- nione Europea, di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato
citamente usciti da membro e contiene la disciplina di recepimento della direttiva Ue 2014/60.
uno Stato dell'U-
nione Europea
Tale direttiva contiene significative innovazioni rispetto alla disciplina dettata
dalla direttiva Cee 93n, in particolare: nozione di bene culturale (ai fini della
sua applicazione) sganciata dall'appartenenza a categorie predeterminate
dalla norma comunitaria, ampliamento dei termini procedurali (per la verifica
dell'interesse culturale) e processuali (per l'esercizio dell'azione di restituzio-
ne, ridefinizione del regime dell'indennizzo a favore del possessore del bene
restituito Buonomo [2014, par. 3]). Il suo campo di applicazione è delimitato,
sul piano temporale, dalla data del1 o gennaio 1993 (data di realizzazione del
mercato unico) e, su quello materiale, dai «beni culturali usciti illecitamente»
dai confini di uno Stato dell'Unione (art. 75, comma 1).
La restituzione è ammessa:
a) per i beni che, in applicazione delle disposizioni dello Stato membro, sono
qualificati come appartenenti al patrimonio culturale dello Stato medesimo, ai
sensi dell'art. 36 Tfue (art. 75, comma 2).
Azione di restitu- «Illecita>> è reputata l'uscita dal territorio di uno Stato membro awenuta in
zione violazione della legislazione di tale Stato, oppure quella determinata dal mancato
tempestivo rientro dopo un'uscita temporanea (art. 75, comma 4). In presenza
di tali presupposti lo Stato membro dell'Unione Europea dal cui territorio il
bene è uscito (Stato richiedente) può esercitare l'azione di restituzione davanti
all'autorità giudiziaria ordinaria italiana (tribunale del luogo in cui il bene si
trova) nei confronti del possessore o detentore. L'atto di citazione va notificato
al Mibact (art. 77).
Da sottolineare è la circostanza che, sulla base della direttiva, solo lo Stato da
cui è uscito illecitamente il bene è legittimato ad agire, a prescindere quindi
dalla situazione proprietaria del bene medesimo.
TUTELA 175

Quando esercitata dallo Stato italiano, l'azione è promossa dal Mibact, d'intesa
con il ministero degli Affari esteri (art. 82).
Nel conflitto fra l'interesse dello Stato richiedente e quello del possessore o Equo indennizzo
detentore del bene, ricorrendo i presupposti sopra indicati, riceve sempre tutela
il primo (art. 9 della direttiva). Il possessore, a condizione che provi di aver
acquisito in buona fede il possesso del bene, ha solo titolo a un equo inden-
nizzo (art. 79, commi l e 2), da corrispondersi da parte dello Stato richiedente
contestualmente alla restituzione del bene (art. 80, comma 1).
Nel caso di azione esercitata dallo Stato italiano, se il bene restituito non Custodia e acqui·
appartiene allo Stato, il Mibact provvede alla sua custodia fino alla consegna sizione del bene
all'avente diritto, il quale la può richiedere entro cinque anni dalla pubblicazione
dell'apposito avviso nella «Gazzetta Ufficiale». Decorso il termine, il bene è
acquisito dal demanio dello Stato per essere assegnato a un museo, biblioteca
o archivio dello Stato o di altro ente pubblico al fine di assicurarne la tutela e
la fruizione (art. 83).

La sez. IV, infine, richiama all'art. 87 le norme della Convenzione dell'Uni- L. 7 giugno 1999,
droit sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente n. 213
esportati, adottata a Roma nel1995 e la cui ratifica è stata autorizzata dalla l.
7 giugno 1999, n. 213. La Convenzione, entrata in vigore in Italia il1 o aprile
2000, ha lo scopo di prevedere una disciplina uniforme fra gli Stati aderenti
in tema di «restituzione» dei beni culturali rubati al legittimo proprietario e
trasferiti all'estero e di «ritorno» nello Stato di provenienza dei beni culturali
illecitamente esportati.

Per la definizione di bene culturale la Convenzione fa rinvio a un elenco simile


a quello che era allegato alla direttiva Cee 93/7.
La Convenzione, ai sensi dell'art. 7, non si applica nei confronti degli Stati
membri dell'Unione Europea, e perciò non si sovrappone per il suo campo di
azione alla direttiva Cee 93/7.

Ali' art. 87 -bis viene richiamata altresì la convenzione Un esco sulla illecita
importazione, esportazione e trasferimento di beni culturali, adottata a Parigi
il14 novembre 1970, cui ha dato esecuzione la l. 30 ottobre 1975, n. 873.

La Convenzione si applica alle cose considerate di interesse culturale dalla


legislazione degli Stati firmatari e che rientrano nelle categorie indicate all'art.
l. Essa impegna gli Stati firmatari ad assumere una serie di misure volte a
combattere la loro illecita importazione, esportazione e trasferimento, come
definita a termini della Convenzione (artt. 2 ss.).
Come è stato da più parti rilevato, la disciplina internazionale cui fanno richiamo
gli artt. 87 e 87 -bis presenta ridotta efficacia e questo spiega sia il fatto che gli
Stati ricorrano a specifici accordi (ad es., quelle nel2006 fra Italia e Metropolitan
Museum di New York per la restituzione del cratere di Eufronio) oppure ad altre
forme di regolamentazione (ad es. i c.d. 1998 Washington Con/erence Principles
on Nazi-Con/iscatedArt), sia la circostanza che la materia annoveri noti conten-
ziosi (ad es. quello Maria Altmann v. Republic o/Austria per la restituzione alla
legittima erede di alcuni celebri quadri di Klirnt, conclusosi nel2006, e quello,
tuttora in atto, fra la Grecia e il British Museum per la restituzione dei fregi del
176 CAPITOLO 3

Partenone). La disciplina internazionale in materia di circolazione illecita e di


restituzione dei beni- che interessa un mercato di traffico illegale per dimen-
sione economica secondo solo a quelli delle armi e della droga- sconta in realtà
la divaricazione d'interessi esistente fra «Paesi fonte» (ad es. Grecia e Italia) e
«Paesi mercato)) (ad es. Stati Uniti), rispettivamente favorevoli a regole restrit·
tive o a maglie più larghe [al riguardo diffusamente Casini 2016, 62 e 78 ss.].

4. RITROVAMENTI E SCOPERTE
Ritrovamenti e Nel capo VI sempre del Titolo I il Codice disciplina il rinvenimento di beni
scoperte culturali, sia come risultato - potendosi al riguardo distinguere fra «ritrova-
menti)) e «scoperte)) a seconda che il rinvenimento sia esito di un'attività a
ciò indirizzata oppure un evento meramente accidentale - sia come attività
rivolta al rinvenimento.
Si è già notato che, ai sensi dell'art. 91, i beni indicati all'art. 10 da chiunque
e in «qualunque modo ritrovati)) (per effetto quindi di ritrovamento o di
scoperta) appartengono allo Stato. Occupiamoci ora di altri aspetti.
Attività di ricerca: L'attività volta al rinvenimento di beni culturali, in particolare di quelli archeo-
riserva allo Stato logici, in breve definibile come attività di ricerca, è dali' art. 88 fatta oggetto
di riserva a favore dello Stato.

Si tratta di un'attività che comporta una «manomissione)) del «contenitore)) (di


solito, ma non necessariamente il sottosuolo), ossia una «ricerca sul campm)
[Marzuoli 2000, 291]. La riserva a favore dello Stato, già affermata dall'art. 44
della l. 1089/1939 e ribadita dall'art. 149, comma 3, lett./, del d.lgs. 112/1998
e dall'art. 85 del Tu, trova giustificazione presumibilmente nell'esigenza che sia
unitariamente valutata l'opportunità di awiare una ricerca e che sia assicurato
lo svolgimento della stessa in termini idonei a garantire l'integrità dei reperti e
la possibilità di condurre ulteriori ricerche [Alibrandi e Ferri 2001, 624], ma
nella sua attuale strumentazione normativa (che di fatto garantisce una sorta
di monopolio a favore degli apparati del Mibact) collide inevitabilmente con il
principio di libertà della ricerca scientifica [Marzuoli 2000, 289 s.].
Occupazione tem- Ai fini del suo svolgimento, il Mibact può disporre l'occupazione temporanea
poranea dell'immobile interessato (o al limite procedere all'espropriazione dello stesso
ai sensi dell'art. 97), con obbligo di indennizzare il proprietario per i danni che
questi subisca, danni da determinarsi secondo le modalità stabilite dalle dispo-
sizioni generali in materia di espropriazione per pubblica utilità, ora contenute
nel d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327. L'indennizzo è erogabile anche «in natura))
(ossia con il rilascio di beni rinvenuti, quando non interessino le raccolte dello
Stato) (art. 88, commi 2 e 3).
Concessione Il ministero peraltro può dare in concessione a un terzo, sia esso o meno il
proprietario dell'immobile interessato, l'attività di ricerca ed emettere a suo
favore il decreto di occupazione.
L'atto concesso rio è suscettibile di revoca, in caso di inosservanza delle clausole
in esso fissate oppure quando lo Stato intenda subentrare direttamente nella
ricerca (art. 89, commi 1-3).
Il Mibact può consentire che le cose rinvenute rimangano per fini espositivi
presso la Regione o altro ente territoriale (art. 89, comma 6).
TUTELA 177

In caso di rinvenimento fortuito (scoperta) si prevedono a carico dello sco- Denuncia e con-
pritore gli obblighi di denuncia e di conservazione temporanea. servazione tem-
poranea
La denuncia deve awenire entro ventiquattro ore al soprintendente, al sindaco
owero all'autorità di pubblica sicurezza, la conservazione è prevista, di mas-
sima, nelle condizioni e nel luogo dove il bene è stato rinvenuto, con diritto al
rimborso delle spese sostenute (art. 90).
I diritti dello scopritore, come quelli del proprietario dell'immobile in cui è Premio
awenuto il rinvenimento e del concessionario dell'attività di ricerca (purché
questa non rientri fra i suoi scopi istituzionali o statutari), sono disciplinati dagli
artt. 92 e 93. A favore di tali soggetti è previsto un premio correlato al valore
del bene ritrovato. Alla sua determinazione prowede il Mibact o, in caso di
non accettazione da parte degli interessati, un terzo, nominato dalle parti o
dal presidente del Tribunale. Il premio può essere corrisposto anche mediante
rilascio di parte dei beni rinvenuti.
Per la tutela degli oggetti archeologici e storici rinvenuti nei fondali marini al di Convenzione Une-
là del limite del mare territoriale l'art. 94 rinvia alla disciplina della convenzione sco sulla protezio-
Unesco sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, adottata a Parigi ne del patrimonio
il2 novembre 2001 e ratificata dalla l. 23 ottobre 2009, n. 157. culturale subac-
queo.

5. ACQUISTI PRIVILEGIATI IN TEMA DI BENI CULTIJRAIJ


Con l'espressione «acquisti privilegiati in tema di beni culturali» si fa ri- Acquisti privile-
ferimento a una serie di istituti in forza dei quali lo Stato, ma anche altri giati in tema di
soggetti pubblici o perfino privati, acquisiscono la titolarità di beni culturali beni culturali
o di beni connessi a beni culturali con strumenti giuridici diversi da quelli
previsti dal diritto privato, ossia a disposizione della generalità dei soggetti
dell'ordinamento.
La premessa da cui muovere è che la titolarità dei beni culturali nell'ordina-
mento italiano, come si è più volte rilevato, può essere pubblica o privata, e che
lo Stato e gli altri enti pubblici sono in grado, al pari di un qualsiasi soggetto
privato, di operare sul mercato dei beni culturali, rendendosi acquirenti di
essi con gli ordinari strumenti contrattuali.
L'ordinamento peraltro mette a disposizione, specie (ma non solo) dello Stato,
degli strumenti particolari (convenzionalmente definiti di diritto pubblico)
che consentono l'acquisizione, in questo senso «privilegiata)), di beni culturali
(o di beni a questi connessi).
Tali strumenti assolvono a una funzione definibile complessivamente mista,
che può essere cioè di conservazione come di valorizzazione del bene culturale,
anche se si deve precisare che in un caso (l'espropriazione di beni culturali) la
finalità di valorizzazione sembra, come si dirà, dover essere necessariamente
presente.
Di tali strumenti il primo, consistente nell'acquisto a titolo originario a favore
dello Stato dei beni rinvenuti (a seguito di ritrovamenti o scoperte) ex art. 91
Cod., si è già detto. Consideriamo ora gli altri, costituiti dalla prelazione (artt.
60-62), dall'acquisto coattivo (art. 70) e dalle espropriazioni (artt. 95-100).
178 CAPITOLO 3

Cessione di beni Oltre a tali strumenti viene indicata la cessione di beni culturali in luogo del
culturali in paga- pagamento di imposte - prevista dalla L 2 agosto 1982, n. 512, ora normata
mento di imposte dal d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, e menzionata dall'art. 57 Cod. - peraltro
precisandosi che, a differenza che negli altri casi, lo Stato non opera con poteri
imperativi [Alibrandi e Ferri 2001, 500 e 540 ss.]. Proprio per questo motivo,
tenendo conto che negozi strutturalmente non dissimili possono intervenire
anche fra soggetti privati (datio in solutum), si sarebbe orientati a escludere
tale figura dal novero degli acquisti privilegiati.

Prelazione La prelazione consiste nel potere da parte del Mibact o, in caso di rinuncia,
di altro ente territoriale interessato di acquistare beni culturali alienati a titolo
oneroso o conferiti in società, rispettivamente al medesimo prezzo stabilito
nell'atto di alienazione ovvero al medesimo valore determinato nell'atto di
conferimento (art. 60, comma 1).

Presupposti Presupposti della p relazione (convenzionalmente definita) artistica sono un atto


(o un progetto di atto) di alienazione a titolo oneroso, oppure di conferimento
in società, di un bene culturale e, nel caso di bene soggetto a dichiarazione ex
art. 13, l'intervenuta notifica della dichiarazione di interesse.
Per atti di alienazione, in rapporto alla funzione dell'istituto (far acquisire la
proprietà del bene), sono da intendersi solo gli atti che trasferiscono la proprietà
del bene (e non anche quelli che trasferiscono o costituiscono diritti reali). Il
titolo oneroso consiste nella previsione di un corrispettivo per il trasferimento
della proprietà (esso manca nella donazione e nei trasferimenti per causa di
n
morte). corrispettivo, peraltro, può non essere previsto in denaro (art. 60,
comma 2). L'art. 60, comma 5, ammette poi che «il diritto di prelazione può
essere esercitato anche quando il bene sia a qualunque titolo dato in pagamen-
to>>, ciò in relazione al fatto che la da tio in solutum realizza un negozio traslativo
oneroso [per tutti Trabucchi 1971, 552].
La necessità che in ordine al bene, se soggetto a dichiarazione ex art. 13, sia
intervenuta la notifica discende dall'art. 10, comma 3, che considera talune
categorie di cose beni culturali quando sia intervenuta la dichiarazione di
interesse.
Se il bene è alienato con altri con un unico corrispettivo o non è stato previsto
un corrispettivo in denaro, il valore economico è determinato d'ufficio dal
soggetto che procede alla p relazione oppure, ove l'alienante non accetti la
determinazione, da un terzo (arbitratore) (art. 60, commi 2 e 3 ).
Alla base della prelazione vi è dunque una volontà da parte del proprietario
di dismettere il bene culturale con corrispettivo. L'istituto determina una
«deviazione» dell'effetto traslativo verso un soggetto diverso da quello voluto
dall'alienante.
Prelazione arti- La sussistenza della volontà di dismettere la proprietà del bene segna il dato
stica e acquisizioni distintivo della prelazione rispetto alle normali forme di acquisizione coattiva
coattive ... di beni (e in particolare rispetto all'espropriazione) nelle quali non ha rilievo
la volontà del titolare di spogliarsi del diritto.
... e p relazione D'altro canto la prelazione artistica va tenuta distinta anche dalla prelazione
legale legale regolata dal diritto privato, che dà luogo a una vera e propria sostituzione
del terzo nella posizione contrattuale dell'acquirente. lnvero in quella artistica le
clausole del contratto non vincolano lo Stato (art. 61, comma 5); la p relazione può
essere esercitata anche solo «su una parte delle cose alienate» (art. 61, comma 6);
TUTELA 179

nel caso in cui il corrispettivo pattuito nel contratto non sia previsto in denaro, lo
Stato lo corrisponde con l'equivalente in denaro (art. 60, comma 2).
In relazione a tali caratteri la p relazione artistica non appare inquadrabile fra le Natura
dichiarazioni negoziali, ma, espressione di un potere pubblicistico, consiste in
un atto amministrativo, di trasferimento unilaterale della proprietà, ancorché
assunto sulla base di una volontà del proprietario di trasmettere ad altri la
titolarità del bene.
La p relazione va esercitata entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla Modalità di eser-
data di ricezione della denuncia di cui all'art. 59, tramite notifica all'alienante e CIZIO
all'acquirente, e produce effetti dall'ultima notifica (art. 62, comma 3 ). In penden-
za del termine l'alienazione resta sospensivamente condizionata (e non inefficace,
come prevedeva l'art. 60, comma 4, del Tu [per le differenze De Maria 2007b,
293 ]). In particolare l'alienante non può consegnare il bene (art. 61, commi 1-3 ).
Stante il disposto dell'art. 164, comma 2, non risulta necessario, ai fini dell'eser-
cizio della p relazione, che intervenga la denuncia. Questa rappresenta un onere
per le parti, serve cioè a far decorrere il termine per l'esercizio della p relazione.
Trattandosi di un vero e proprio atto amministrativo, l'atto di p relazione richiede Motivazione
di essere motivato circa le ragioni che lo sopportano (v. ad esempio Cons. Stato,
sez. VI, 3 aprile 1992, n. 226, in «Cons. Stato», 1992, l, p. 585).
Sugli accennati tratti della prelazione artistica v., nello stesso senso, Corte cast.
sent. 269/1995, che ha ritenuto non costituzionalmente illegittimo l'istituto,
anche quando il suo esercizio avvenga a notevole distanza di tempo dall'alie-
nazione in conseguenza di una non tempestiva (o omessa) denuncia. Secondo
la Corte costituzionale il fondamento dell'istituto si rinviene nell'art. 9 Cast.,
risultando esso volto a «salvaguardare beni cui sono connessi interessi primari
per la vita culturale del paese>> (sentt. 269/1995 e 221/2007).
L'art. 62 Cod. stabilisce che il soprintendente, ricevuta la denuncia di un atto Prelazione a fa·
soggetto a p relazione, ne dia comunicazione alla Regione, alla Provincia e al vore degli enti ter-
Comune nel cui territorio si trova il bene. Tali enti possono manifestare entro ritoriali minori
venti giorni dalla denuncia la proposta di prelazione, indicando le specifiche
finalità di valorizzazione che la sorreggono. Entro lo stesso termine il Mibact
può rinunciare all'esercizio della prelazione, trasferendone la facoltà all'ente
interessato che adotta il provvedimento, notificandolo all'alienante e all'acqui-
rente entro sessanta giorni dalla denuncia.
Il d.p.r. 283/2000 prevedeva esplicitamente, nel caso di alienazione di beni
culturali demaniali, la prelazione, a seconda delle ipotesi, a favore dello Stato,
degli enti territoriali minori e degli enti di cui all'art. 11, comma l, del d.lgs. 20
novembre 1990, n. 356 (fondazioni bancarie). Nel silenzio del Codice è da pen-
sare che anche in questo caso trovino applicazione le norme appena considerate.

L'acquisto coattivo (o acquisto all'esportazione) consiste, ai sensi dell'art. 70 Acquisto coattivo


Cod., nella possibilità per lo Stato o, nel caso di sua rinuncia, per la Regione
di acquistare la cosa in relazione alla quale è presentata richiesta di attestato
di libera circolazione ex art. 68.

La Regione è quella nel cui territorio ha sede l'ufficio di esportazione interessato


dalla richiesta.
Diversamente dalla p relazione, l'acquisto coattivo non ha alla sua base una Carattere
volontà manifestata da parte del proprietario di dismettere la titolarità della
cosa. Al più potrebbe presumersi tale volontà dall'intenzione di trasferirla
180 CAPITOLO 3

all'estero. In ogni caso, e a differenza dall'espropriazione di cui all'art. 95 (cui


per altri aspetti può essere assimilato), l'acquisto coattivo trova origine in uno
specifico fatto del proprietario considerato significativo dalla legge.
Corrispettivo L'acquisto coattivo avviene per il valore indicato nella denuncia presentata all'uf-
ficio di esportazione di cui all'art. 68, comma l, ossia per il «valore venale». L' ac-
quisto può concernere cose di soggetti pubblici e privati, non previamente fatte
oggetto di notifica (com b. disp. artt. 70, comma l, 68, comma l, e 65, comma 3 ).
Modalità Quanto alle modalità di esercizio, si prevede una proposta da parte dell'ufficio
di esportazione. L'acquisto va deciso entro novanta giorni dalla denuncia, con
atto da notificarsi all'interessato (art. 70, commi 1-3).
In quanto espressione di un potere pubblicistico, l'atto di acquisto, al pari di
quello di prelazione, richiede di essere motivato in rapporto alle esigenze di
tutela e/o valorizzazione che lo supportano.

Espropriazione: L'espropriazione è disciplinata dagli artt. 95 ss. in tre distinte fattispecie:


fattispecie ... l' «espropriazione di beni culturali», l' «espropriazione per fini strumentali»
e l' «espropriazione per interesse archeologico».

Espropriazione di l. L'espropriazione di beni culturali (art. 95) può concernere mobili oltre che
beni culturali ... immobili ed essere disposta a favore non solo dello Stato, ma anche di altri enti
pubblici e privati senza scopo di lucro.
La funzione che assolve risulta dalla formula secondo la quale essa è utilizzabile
quando «risponda a un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela
ai fini della fruizione pubblica dei beni». Ne deriva che l'istituto non si pone
come mezzo ordinario per incrementare il patrimonio pubblico di beni culturali
- a ciò risultando più idonei gli altri due istituti appena esaminati- ma come
strumento in qualche modo straordinario, in presenza appunto di un interesse
«importante» [Alibrandi e Ferri 2001, 602], concernente la valorizzazione del
bene culturale che ne costituisce l'oggetto. Benché indicato con una formula
non del tutto limpida («tutela ai fini della fruizione pubblica>>), l'istituto sembra
logicamente da ascrivere all'area della valorizzazione piuttosto che a quella
della tutela, come suggerirebbe la sua collocazione all'interno del Codice, i
fini meramente conservativi essendo infatti ampiamente garantiti dall'insieme
degli strumenti previsti dal Titolo I della parte seconda.
... e altre espro- Per l'orientamento prevalente [v. ibidem, 601 e 606], l'espropriazione di beni
priazioni culturali si differenzierebbe dall'ordinaria espropriazione per pubblica utilità,
perché la mera acquisizione del bene realizzerebbe in sé l'interesse pubblico,
senza essere inscindibilmente connessa all'esecuzione di un'opera pubblica.
È da rilevare, però, che tale elemento distintivo sembra appannarsi alla luce
di quanto disposto dall'art. l, comma 2 (v. anche art. 13, comma 8), del d.p.r.
327/2001 (Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità, d'ora
in avanti anche Tuepu), che considera opera pubblica «anche la realizzazione
degli interventi necessari per l'utilizzazione da parte della collettività di beni
[. .. ] di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione».
Espropriazione 2. L'espropriazione per fini strumentali è prevista dall'art. 96 per cose immobili,
per fini strumen- non consistenti in beni culturali, al fine di «isolare e restaurare beni culturali
tali immobili, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro
o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso».
La finalità riecheggia quella perseguita dalle c.d. prescrizioni di tutela indiretta
di cui all'art. 45. Tuttavia le due misure hanno un campo di azione diverso: le
TUTELA 181

prescrizioni di tutela indiretta comportano meri vincoli di contenuto negativo, l'e-


spropriazione è rivolta a realizzare interventi volti a modificare lo stato dei luoghi.
3. L'esecuzione di interventi, ma nel campo archeologico o del ritrovamento dei Espropriazione
beni, connota altresì la finalità dell'espropriazione per interesse archeologico, per interesse ar-
prevista dall'art. 97. cheologico
Rispetto all'occupazione temporanea, prevista dall'art. 88, comma 2, tale
fattispecie espropriativa è utilizzabile quando gli interventi richiesti dall'at-
tività volta al ritrovamento di beni culturali comportino una modificazione
non reversibile dello stato dei luoghi (ad esempio, scavi di rilevante entità)
[Calderoni 2000, 169].
Diversamente da quanto previsto per l'espropriazione di beni culturali dall'art. Beneficiari
95, commi 2 e 3, gli artt. 96 e 97 non prevedono che le espropriazioni che di-
sciplinano possano essere pronunciate a favore di enti pubblici o privati senza
scopo di lucro. È da pensare che, nel silenzio del Codice, dell'espropriazione per
interesse archeologico non possa che beneficiare solo lo Stato, stante la riserva a
tale ente delle ricerche di beni culturali (ex art. 88), mentre per l'espropriazione
a fini strumentali, in ordine alla quale l'art. 99, comma l, consente tanto allo
Stato quanto alla Regione di procedere alla dichiarazione di pubblica utilità,
è da ritenere che possano beneficiarne anche gli altri enti territoriali, titolari
anch'essi di un demanio culturale [sul punto Alibrandi e Ferri 2001, 605; sui
tre tipi di espropriazione v. Cons. Stato, IV, 669/2015].

Per le tre fattispecie espropriative valgono regole diverse in tema di procedi- Procedimento e
mento e di indennizzo. indennizzo

Per l'espropriazione di beni culturali vengono in rilievo gli artt. 95 e 99. Nel
caso di espropriazione promossa dal Mibact a beneficio dello Stato o di persona
giuridica privata senza fine di lucro, il procedimento è incardinato per intero
presso il ministero (art. 95, commi l e 3). Viceversa, nel caso di espropriazione
a favore di altri soggetti pubblici, il Mibact è competente ad autorizzare l'e-
sproprio e a dichiarare la pubblica utilità, mentre il resto della procedura è di
spettanza dell'ente beneficiario (art. 95, comma 2). Tutto ciò è in applicazione
della nuova disciplina delle competenze in materia espropriativa dettata dal
Tuepu (art. 6, commi l e 9). L'indennità di esproprio è commisurata al prezzo
che il bene avrebbe nel mercato nazionale (art. 99, comma 1). Si tratta di un
criterio più vantaggioso per il proprietario rispetto a quelli ordinari vigenti in
materia espropriativa. Per il pagamento (e per le modalità di determinazione)
dell'indennità l'art. 99, comma 2, rinvia alla disciplina generale in tema di
espropriazioni (ossia agli artt. 20 s. e 26 ss. Tuepu).
Per gli aspetti non specificamente disciplinati - nella singolare assenza di un
rinvio alle norme generali in materia espropriativa da parte dell'art. 100 Cod.
(e in precedenza da parte del Tu), cui fa riscontro il non riferimento dell'art. 52
del Tuepu a tale espropriazione- sono stati ritenuti applicabili gli artt. 66-73
del r.d. 363/1913- tuttora conservato transitoriamente in vigore dall'art. 130
Cod. -, nonché, nel caso di esproprio immobiliare, le disposizioni della l. 25
giugno 1865, n. 2359, richiamate dall'art. 68 di detto regolamento [ad esempio,
Carletti 2000, 315]. Altri peraltro optano per il ricorso in via analogica alla
disciplina del Tuepu [Gasparri 2007a, 405].
Per l'espropriazione per fini strumentali e per interesse archeologico vengono
in rilievo gli artt. 98 e 100.
182 CAPITOLO 3

Autorità competente alla dichiarazione di pubblica utilità è il Mibact o, nel caso


di espropriazione per fini strumentali, anche la Regione (art. 98, comma 1).
L'approvazione del progetto (delle opere da effettuarsi) equivale a dichiarazione
di pubblica utilità (art. 98, comma 2). Per gli altri aspetti della procedura e per
la determinazione dell'indennità l'art. 100 fa rinvio, «in quanto compatibili>>,
alle «disposizioni generali in materia di espropriazione per opere pubbliche»,
e pertanto a quelle contenute nel Tuepu (in particolare, in tema di indennità,
agli artt. 32 s., 36 ss. e 40 ss.) [Gasparri 2007a, 404; 2007b, 408 s.].
n d.p.r. 327/2001 all'art. 52 si occupa dei temi in esame, stabilendo che «nei
casi di espropriazione per fini strumentali e per interesse archeologico, previsti
dagli artt. 92, 93 e 94 del Testo unico approvato con d.lgs. 29 ottobre 1999,
n. 490 [cui corrispondono gli artt. 96, 97 e 98 Cod.], si applicano in quanto
compatibili le disposizioni del presente Testo unico».
Si tratta di una disposizione che, mentre trascura l'espropriazione di beni
culturali (non sono richiamati gli artt. 91 e 95 del Tu [ora 95 e 99 Cod.]), non
incide sul regime previsto dagli artt. 92-94 del Tu [ora 96-98 Cod.] (in questo
senso gioca l'indicato criterio della compatibilità). Come l'art. 100 Cod., essa
ha il significato di «norma di chiusura».

6. LAVORI RELATMA BENI CULTURALI


Lavori su beni La disciplina dei lavori di restauro e in genere dei lavori concernenti beni
culturali culturali a opera di soggetti pubblici (e di privati a essi nel settore equiparati)
è contenuta nel d.lgs. 50/2016 (Codice dei contratti pubblici) agli artt. 145 ss.
Tale disciplina si caratterizza per un tasso di significativa specialità rispetto a
quella dettata per la generalità dei lavori pubblici.

La specialità, che fino alla legge 11 febbraio 1994, n. 109 (c.d. Merloni) aveva
caratterizzato il settore, si era riproposta con la l. l o agosto 2002, n. 166 (c.d.
Merloni-quater), con il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, e con il precedente codice
dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006).

Specialità della L'esigenza di specialità della disciplina nasce dalla centralità del fine conser-
disciplina vativo (ossia volto ad assicurare la tutela del bene oggetto dell'intervento) dei
lavori su beni culturali, con la conseguente prevalenza di criteri qualitativi su
quelli di ordine economico nella scelta e nell'esecuzione dei lavori. li che si
riflette in particolare sulla qualificazione degli operatori chiamati a intervenire,
sui criteri di aggiudicazione delle gare, sul non «assorbimento» dei lavori su
beni culturali in altri tipi di lavori a essi connessi pur se quantitativamente
prevalenti, nonché su una progettazione più flessibile nella impostazione dei
livelli e nella esecuzione dei lavori [ampiamente Carpentieri 2016b, 1015 ss.;
Sau 2017, par. 2].
È da aggiungere che i citati artt. 145 ss. in parte contengono una disciplina
in sé compiuta, in parte dettano principi che vanno sviluppati da apposito
regolamento da emanarsi dal ministro dei beni e delle attività culturali e del
turismo di concerto con il ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
TUTELA 183

Per esemplificare a proposito della qualificazione richiesta agli operatori chia-


mati a eseguire gli interventi, può accennarsi che l'art. 147, al comma 6, prevede
che la direzione dei lavori, il supporto tecnico alle attività del responsabile unico
del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma
triennale dei lavori, nonché l'organo di collaudo «comprendono un restauratore
di beni culturali qualificato ai sensi della normativa vigente, owero, secondo
la tipologia dei lavori, altri professionisti di cui all'articolo 9-bis del Codice dei
beni culturali e del paesaggio con esperienza almeno quinquennale in possesso
di specifiche competenze coerenti con l'intervento», mentre, al comma 2, ri-
mette al citato regolamento la definizione degli interventi per i quali la scheda
tecnica - finalizzata all'individuazione delle caratteristiche del bene culturale
oggetto dell'intervento- «deve essere redatta da restauratori di beni culturali
qualificati ai sensi della normativa vigente».
Come si è accennato (supra, par. 2.1) il d.lgs. 50/2016 contiene altresì all'art.
25 disposizioni in tema di archeologia preventiva.

7. FIGURE PROFESSIONALI INTEMA DI TUTELA

Molteplici sono le figure professionali coinvolte nelle attività in cui si scom- Figure professio-
pone la tutela. Ne dà un quadro pressoché completo l'art. 9-bis del Codice nali e tutela
con riferimento peraltro anche ai compiti relativi alla valorizzazione e alla frui-
zione, parlando di «archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi,
antropologi fisici, restauratori di beni ctÙturali e collaboratori restauratori di
beni ctÙturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni
culturali e storici dell'arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza
professionale».

Al riguardo l'art. 2 della l. 22luglio 2014, n. 110, prevede la istituzione presso Elenchi
il Mibact di «elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetno-
antropologi, antropologi fisici, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia
applicate ai beni culturali e storici dell'arte in possesso di requisiti individuati»
con decreto ministeriale (commi l e 2). Tali elenchi peraltro, precisa il comma
3, «non costituiscono sotto alcuna forma albo professionale», sicché l'iscri-
zione nell'elenco non rappresenta condizione necessaria per l'esercizio della
corrispondente attività.

È bene precisare che le figure professionali di cui si è fatta menzione si


rinvengono sia all'interno delle strutture dei soggetti pubblici preposti alla
funzione di tutela, in particolare del Mibact, sia all'esterno di esse, ad esempio
nel settore dei lavori su beni culturali.
Fra tali figure merita cenni ulteriori quella dei restauratori. Restauratori

L'art. 29 del Codice si occupa dei profili di competenza dei restauratori, stabi-
lendo al comma 6 una riserva di attività a favore di tale figura con riferimento
«al restauro sui beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici
[tali dovendosi intendere genericamente i beni immobili culturali]», fermo
quanto disposto dalla normativa in materia di progettazione ed esecuzione di
184 CAPITOLO 3

lavori (ossia in tema di riserva di attività per le professioni c.d. regolamentare,


quali quelle degli ingegneri e degli architetti). In dettaglio i profili di competenza
dei restauratori, in forza del comma 7, sono fissati dal d.m. 26 maggio 2009,
n. 86, all'art. l e all. A.
Tale decreto si occupa altresì degli operatori che svolgono attività di collabora-
zione con i restauratori: tecnici del restauro di beni culturali e tecnici del restauro
di beni culturali con competenze settoriali (artt. 2 e 3 ), nonché chimici, geologi,
fisici e biologi, nell'ambito delle rispettive competenze (art. 4).
Formazione dei L'art. 29 disciplina anche la formazione della figura del restauratore, disponendo
restauratori che con decreto ministeriale siano definiti i criteri e i livelli di qualità cui si deve
adeguare l'insegnamento del restauro (comma 8) e che esso venga impartito
dalle scuole di alta formazione di studio istituite ai sensi dell'art. 9 del d.lgs.
20 ottobre 1998, n. 368 (Istituto centrale del restauro, Opificio delle pietre
dure e Istituto centrale per la patologia del libro) nonché da soggetti pubblici
o privati accreditati presso lo Stato (commi 9 e 11). Su ambedue gli aspetti v.
d.m. 26 maggio 2009, n. 87. V. anche art. 182, comma 2.
Infine, al comma 10, disciplina la formazione delle figure professionali che
svolgono attività complementari rispetto al restauro e alle altre attività di
conservaziOne.
Disciplina tran- In via transitoria l'art. 182, comma 1-sexies, del Codice ha previsto che le quali-
sitoria fiche di restauratore e di collaboratore restauratore si acquisiscano a conclusione
di apposite selezioni pubbliche (di recente conclusesi, v. elenco dei Tecnici
del restauro di cui al comma 1-octies, pubblicato il17 gennaio 2017 sul sito
istituzionale del ministero) riservata «a quanti abbiano maturato un'adeguata
competenza professionale nell'ambito del restauro».
È opportuno precisare che la qualifica di restauratore di bene culturale si as-
sume per uno o più settori di attività indicati nell'all. B (comma 1), ad esempio
materiali lapidei, musivi e derivati, materiale librario e archivistico, manufatti
dipinti su supporto !igneo e tessile.
Formazione di al- Relativamente alle altre figure professionali sopra richiamate va ricordato che
tre figure il decreto 31 gennaio 2006 del ministro dell'Istruzione, dell'Università e della
Ricerca ha proweduto al «riassetto delle Scuole di specializzazione nel settore
della tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale». Fra tali Scuole
possono citarsi, ad esempio, quelle «in beni archeologici», «in beni architetto-
nici e del paesaggio)), «in beni storici artistici)) e «in beni archivistici e librari)).

8. SANZIONI AMMINISTRATIVE E PENALI

Generalità Nel capo I del Titolo I e nel capo I del Titolo II della parte quarta il Codice si
occupa delle sanzioni, nell'ordine, amministrative e penali relative alla parte
seconda concernente i beni culturali (con analoga progressione il capo II del
Titolo I e il capo II del Titolo II sempre della parte quarta contengono le san-
zioni amministrative e penali a proposito dei beni paesaggistici). La sequenza
delle disposizioni riflette la scelta sistematica operata dal d.lgs. 42/2004 (ana-
loga del resto a quella compiuta dal Tu del 1999, consistente in una stretta
connessione fra sanzioni amministrative e sanzioni penali, le seconde spesso
chiamate a «doppiare» le prime, ed entrambe poste a presidio delle disposizioni
sostanziali poste dal Codice, anzi molto spesso, come puntualmente rilevato
TUTELA 185

[Manes 2011, 306], volte a «tutela di funzioni)), ossia dei compiti di vigilanza
e di intervento sui beni culturali affidati all'autorità amministrativa.
In ogni caso le fattispecie sanzionate sul piano amministrativo e quelle san-
zionate sul piano penale appaiono entrambe riconducibili a tre categorie
incentrate rispettivamente:
a) nella inosservanza di precetti direttamente posti dalla disciplina ammini-
strativa sostanziale:

ad es., nella previsione dell'art. 160, commi l e 4 - in cui si sanziona


l' «inosservanza degli obblighi di protezione conservazione stabiliti dalle dispo-
sizioni del capo III del Titolo I della parte seconda)) se produttiva di danno al
bene culturale, con l'esecuzione a spese del trasgressore delle opere necessarie
alla reintegrazione oppure nel caso in questa sia impossibile con il pagamento
di una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione del valore
da questa subita- rientra la destinazione del bene culturale a un uso non com-
patibile con il suo carattere storico artistico di cui all'art. 20; ebbene la stessa
destinazione è punita dall'art. 170 sul piano penale, con l'arresto e l'ammenda.

b) nella inosservanza di prescrizioni poste dall'autorità amministrativa:

ad es., nell'art. 161 si sanziona sul piano amministrativo (esecuzione a spese del
trasgressore delle opere necessarie alla reintegrazione oppure nell'impossibilità
del pagamento di una somma di danaro) la inosservanza delle prescrizioni
imposte nell'atto di concessione di ricerca archeologica ex art. 89, quando da
essa sia derivato un danno alla cosa ritrovata, mentre per la medesima inosser-
vanza (anche se non abbia causato danno alla cosa) l'art. 175, comma l, lett. a,
prevede l'arresto e l'ammenda.

c) nella non acquisizione di atti di consenso (autorizzazioni ecc.) che· andavano


richiesti all'amministrazione:

ad es., sempre dalla previsione dell'art. 160, commi l e 4, viene sanzionato sul
piano amministrativo anche il restauro compiuto senza autorizzazione prevista
dall'art. 21, quando abbia danneggiato il bene culturale; sul piano penale il
restauro senza autorizzazione (pur senza danno per il bene) è punito dall'art.
169, comma l, lett. a.

Va precisato che, trovando applicazione per le sanzioni amministrative previste


dal Codice la normativa generale dettata dalla L 24 novembre 1981, n. 689
[Cerbo 2007a, 659], il problema del cumulo fra sanzione amministrativa e
sanzione penale per lo «stesso fattO)) andrà risolto sulla base del principio di
specialità fissato dell'art. 9 della legge in questione, nel senso che prevarrà la
fattispecie, sia essa penale o amministrativa, che, risulti dotata di un maggior
numero di elementi specializzanti, a prescindere dal disvalore dei rispettivi
illeciti [Paliero, Travi 1989, par. 21; v. anche Cerbo 2007a, 673].

Alcuni cenni di approfondimento sui due tipi di sanzioni.


186 CAPITOLO 3

Sanzioni ammini- Le sanzioni amministrative comprendono figure differenti sul piano della
strative tipologia e del regime giuridico. A parte la misura in realtà civilistica della
«nullità», prevista dall'art. 164, dei contratti posti in essere in violazione
dei divieti o senza l'osservanza delle condizioni o modalità prescritte (alla
quale si è già fatto riferimento, supra, par. 3 .l), sono contemplati due diversi
complessi di misure: le sanzioni amministrative (in senso stretto) e le misure
ripristinatorie o alternative.

Sanzioni ammini- Le sanzioni amministrative (in senso stretto) presentano una natura essenzial-
strative (in senso mente punitiva e si rivolgono direttamente al responsabile della violazione di
stretto) un precetto normativa. Pertanto, in genere, non sono commisurate al danno
eventualmente cagionato.
Misure ripristina- Le misure ripristinatorie o alternative, viceversa, assolvono fondamentalmente
torie o alternative alla funzione di ristabilire l'ordine fattuale violato e, orientate alla cosa oggetto
di tutela da parte della norma, tendono a riportarla nella situazione anteriore
alla violazione. Quando, per motivi di necessità o di opportunità si trasformino
in una misura alternativa di carattere pecuniario, questa si commisura al valore
della lesione prodotta o a quanto è necessario per la sua rimozione.

Contengono esempi dei due tipi di misure le seguenti disposizioni:


a) Per il trasferimento all'estero di beni culturali in violazione delle dispo-
sizioni in tema di circolazione internazionale (contenute nelle sezioni I e II
del capo V del Titolo I della parte seconda) l'art. 165 prevede la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da 77,50 a 465 euro.
In riferimento alla necessaria operatività della sanzione penale nel caso di
concorso nel reato di esportazione illecita di cui all'art. 174 (art. 165, inciso
iniziale), la misura graverà sullo spedizioniere o sull'esportatore che abbiano
smarrito o dimenticato i documenti rilasciati idonei a rendere lecito il trasfe-
rimento all'estero dei beni [Cerbo 2007b, 682];
b) Per la violazione degli obblighi di protezione e conservazione stabiliti
dagli artt. 22-40 Cod., l'art. 160 contempla la misura ripristinatoria dell' ese-
cuzione, a carico o comunque a spese del responsabile, delle opere necessarie
alla reintegrazione (commi l e 3 ).

Qualora la reintegrazione non sia possibile, scatta la misura pecuniaria alterna-


tiva consistente nel pagamento di una somma pari al valore della cosa perduta
o alla diminuzione di valore subita dalla cosa (comma 4 ).

Sanzioni penali Quanto alle sanzioni penali, merita anzitutto di essere ricordato che esse
consistono, in alcuni casi, nella reclusione e nella multa, in altri, nell'arresto
e nell'ammenda, componendo rispettivamente fattispecie di delitti (art t. 173,
174, 176 e 178) e fattispecie di contravvenzioni (artt. 169-172, 175, 180).

Delitti e contrav- La distinzione fra delitti e contravvenzioni è importante sotto il profilo dell'e-
venzJOm lemento soggettivo (solo a proposito dei primi essendo richiesto il dolo- non
essendo prevista la rilevanza della condotta colposa, v. art. 42, comma 2, c.p.),
nonché sotto il profilo del rilievo da assegnare alla conoscenza o all'ignoranza
TUTELA 187

del carattere culturale del bene cui la condotta si riferisce come pure della ne-
cessità di acquisire preventivamente rispetto all'espletamento di certe attività un
atto di consenso dell'amministrazione (l'eventuale ignoranza o l'errore colposo
su un elemento normativo del fatto escludendo la punibilità solo nel caso di
delitti, v. art. 47, comma l, c.p.).

In secondo luogo può rilevarsi che le fattispecie di reato sono costruite sovente
in termini di reato di pericolo astratto e talora di pericolo indiretto rispetto
alla lesione del bene culturale.

Così ad es. un astratto giudizio di pericolosità è rintraccia bile nelle condotte di Reati di pericolo
demolizione, rimozione o restauro «senza autorizzazione» (art. 169, comma l, astratto e di peri-
lett. a), mentre nell'esecuzione, in casi di assoluta urgenza, di lavori in dispensa- colo indiretto
bili a prevenire danni al bene culturale «senza darne immediata comunicazione
alla soprintendenza>> (art. 169, comma l,lett. c)- esecuzione che può in con-
creto essere vantaggiosa per il bene- a essere tutelata direttamente è piuttosto
la funzione esercitata dall'autorità amministrativa, a sua volta posta a presidio
del bene [sul punto Manes 2011, 295].

Ancora, è da tenere presente che alle fattispecie delineate dal d.lgs. 42/2004 si
affiancano quelle previste dal codice penale (in particolare, art. 635, comma
2 n. l; art. 639, comma 2, e art. 733: «danneggiamento», «deturpamento e
imbrattamento di cose altrui» e «danneggiamento al patrimonio archeologico,
storico o artistico nazionale»).

Le seconde si distinguono dalle prime sia perché contemplano ipotesi di reati Reati previsti dal
di danno (ossia con effettiva lesione del bene culturale), sia perché non pre- codice penale
suppongono un particolare rapporto (dalla proprietà alla mera detenzione)
con il bene culturale leso.

Inoltre, può osservarsi che il livello di effettività delle sanzioni penali previste
dal Codice è «tendenzialmente scarso» [Manes 2003, 247].

Ciò per vari motivi: la struttura contravvenzionale di taluni reati, con i con- Ridotta effettività
seguenti ridotti termini di prescrizione (ex art. 157 c.p.) rende improbabile la
definizione del processo con sentenza definitiva; la tendenziale esiguità dei
margini edittali della pena riduce la possibilità dell'esecuzione in concreto della
sanzione anche in caso di condanna definitiva; lo stesso dicasi per il trattamento
premiale, consistente nella riduzione della pena, previsto in taluni casi di reato
sanzionati in misura più pesante (art. 177).

Alla sanzione penale pertanto residua sovente una funzione di sola «preven-
zione generale positiva».
Da ultimo va ricordato che in data 22 giugno 2017 è stato approvato in prima
lettura dalla Camera un d.d.l. di riforma della disciplina sanzionatoria in tema
di reati contro il patrimonio culturale (AC 4220-A). Il disegno di legge, che si
pone sulla scia di varie proposte avanzate nella presente e nelle passate legi-
188 CAPITOLO 3

slature, nasce dall'esigenza di fornire una disciplina unitaria e coerente della


materia, superando la frammentazione attualmente esistente fra il Codice dei
beni culturali e del paesaggio e il Codice penale. A tal fine inserisce nel libro
secondo del Codice penale il titolo VIII -bis «Dei delitti contro il patrimonio
culturale», con la contestuale abrogazione degli artt. 170, 173, 17 4 e 176-179
del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Al contempo introduce un regime
di maggiore severità per le condotte lesive del patrimonio culturale, inasprendo
le pene per alcuni delitti (ad es. per la contraffazione di opere d'arte) e preve-
dendo nuove ipotesi di reato (ad es. distruzione, danneggiamento ecc. di beni
culturali o paesaggistici) e di circostanze aggravanti di reati già previsti (ad es.
per la ricettazione e il riciclaggio l'aver ad oggetto beni culturali).

LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Sulla funzione di tutela concernente i beni culturali: F. S. Marini, La «tutela» e la «valorizzazione dei
beni culturali» come «materie-attività» nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in
«Giur. cost.», 2004, pp. 197 ss.; E. Jayme, La protezione delle opere d'arte nazionali: tendenze attuali
ed esperienze tedesche, in «Riv. giur. urb.)>, 2008, pp. 339 ss.; Modelli di composizione degli interessi
nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, Atti del Convegno, Padova 18-19 maggio 2007,
in «Riv. giur. urb.», 2008, pp. 9 ss.; G. Bobbio, La tutela giuridica del contesto culturale, in «Riv. giur.
urb.», 2009, pp. 397 ss.; E. Cavalieri, La tutela dei beni culturali. Una proposta di Giovanni Urbani
e B. Zanardi, La mancata tutela del patrimonio culturale in Italia, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2011,
pp. 473 ss. e 431 ss.; P. Carpentieri, Semplificazione e tutela, e G. Severini, Tutela del patrimonio
culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità, in «Aedon>) 2016, n. 3; S. Mabellini,
Tutela dei beni culturali nel costituzionalismo multilivello, Torino, Giappichelli, 2016; G. Sabato,
La tutela del patrimonio culturale nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in «Gior. dir.
amm.», 2017, n. l, pp. 116 ss.

Con riferimento al Codice: G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione
in atto e tendenze, in «Aedon», 2004, n. 3; G. Sciullo, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio:
principi dispositivi ed elementi di novità, in «Urb. e app.», 2004, pp. 763 ss.; G. Severini, I principi del
codice dei beni culturali e del paesaggio, in «Gior. dir. amm.», 2004, pp. 469 ss.; A.L. Tarasco, Benz;
patrimonio e attività culturali: attori privati e autonomie territoriali, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 2004; R. Tamiozzo, Art. 3, in Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, coordinato da
Tamiozzo, cit., pp. 10 ss.; G. Trotta, Premessa sistematica, N. Aicardi, Art. 3, in G. Trotta, G. Caia e
N. Aicardi (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pp. 1045 ss., 1064 ss.; M. Nuzzo,
La tutela dei beni culturali mobili e immateriali, in F. Lucarelli (a cura di), Ambiente, territorio e beni
culturali nella giurisprudenza costituzionale, cit., pp. 419 ss.; G. Sciullo, La tutela dei beni librari, in
«Aedon», 2006, n. 2; G. Corso, Art. l, G. Sciullo, Art. 3, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei
beni culturali e del paesaggio, cit., pp. 55 ss., 60 ss.; A. Roccella, La conservazione: gli art!. 18-52 e G.
Sciullo, La tutela: gli artt. 1-15, in «Aedon», 2008, n. 3; C. Balocchini, Il vincolo pertinenziale quale
strumento di tutela per le collezioni e gli studi di artista? Brevi osservazioni sull'evoluzione dell'istituto
e sulle conseguenze civili e fiscali, in «Aedon>>, 2009, n. 2.
Sullo stesso tema, con un taglio non giuridico, risultano significativi: S. Settis, Battaglie senza eroi,
Milano, Electa, 2005; R. Cecchi, I beni culturali, Milano, Spirali, 2006.
TUTELA 189

Sulla vigilanza e l'ispezione: V. Sessa, Art. 18, e A. Roccella, Art. 19, in Cammelli, Il Codice, cit., pp.
134 ss.; P. Caputi Jambrenghi, Art. 18 [s.], in Trotta, Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1176 ss.; R.
Tamiozzo, Art. 18 [s.], in Il Codice, coordinato da Tamiozzo, cit., pp. 94 ss.

Sulla protezione, conservazione e restauro: R. Cecchi, I.:amministrazione dei beni culturali e il


restauro; M. Cammelli, Le fondazioni di origine bancaria e il restauro dei beni culturali e G. Sciullo,
Restauro, tutela e valorizzazione dei beni culturali, in «Aedon», 2007, n. 2; A. Roccella, Conservazione
e restauro nella disciplina italiana dei beni culturali, in «Aedon», 2011, n. 3; P. Gasparoli e A.T.
Ronchi, L'evoluzione del concetto di manutenzione nella normativa cogente: criticità e prospettive
per gli interventi sui beni culturali, in «Aedon», 2011, n. l; M. Cammelli, L'Italia dei terremoti:
quello che c'è e quello che è ancora da imparare e B. Zanardi, Terremoto e centri storici, in «Aedom>,
2013, n. 2; voci Tutela di M. Montella, Restauro e Conservazione preventiva e programmata di S.
Della Torre, M. Montella e P. Petraroia, in Economia e gestione dell'eredità culturale (a cura di M.
Montella), cit., pp. 95 ss.

Sui ritrovamenti e le scoperte: C. Marzuoli, Art. 88 [ss.], in Cammelli, Il Codice, cit., pp. 365 ss.;
G. Calderoni, Art. 88 [ss.], in Trotta, Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1383 ss.; R. Tamiozzo, Art. 88
[ss.], in Il Codice, coordinato da Tamiozzo, cit., pp. 379 ss.; G. Manfredi, La nuova disciplina della
consultabilità dei documenti degli archivi: gli artt. 122 e 123, C. Marzuoli, Ritrovamenti, scoperte ed
espropriazione: gli artt. 88-100, in «Aedon», 2008, n. 3.

Sulla circolazione dei beni culturali: M.R. Cozzuto Quadri, La circolazione delle «Cose d'arte», Napoli,
Jovene, 1997; A. Serra e F. Florian, Art. 53 [ss.], D. Nardella, Art. 65, F. Lafarge, Art. 73 [s.], D.
Nardella, Art. 75, in Cammelli, Il Codice, ci t., pp. 245 ss., 300 ss., 319 ss. e 332 ss.; G. Famiglietti e D.
Carletti, Art. 53 [ss.], G. Famiglietti, D. Carletti e G. Veccia, Art. 65 [ss.], in Il Codice, coordinato da
Tamiozzo, cit., pp. 233 ss. e 295 ss.; A. Morbidelli, Art. 53 [ss.], F. Saitta, Art. 65 [ss.], A. Lanciotti,
Art. 73 [ss.], in Trotta, Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1283 ss., 1316 ss. e 1349 ss.; A. Ferri, La prefa-
zione storico-artistica, in Lucarelli, Ambiente, cit., pp. 387 ss.; M. Frigo, La circolazione internazionale
dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Milano, Giuffrè, 2007;
A Giuffrida, Contributo allo studio della circolazione dei beni culturali in ambito nazionale, Milano,
Giuffrè, 2008; A. Serra, I.: alienazione e l'utilizzazione dei beni culturali pubblici, in <<Aedon», 2008,
n. 3; E. Valente, G. Roccia e M. De Rocchis, La circolazione dei beni culturali, Polistampa, 2008; F.
Lafarge, La circolazione internazionale dei beni culturali dopo le modifiche al Codice, in «Aedon»,
2009, n. 1.; G. Tempesta, Beni culturali circolazione giuridica e interesse religioso, Bari, Cacucci, 2012;
Centro di difesa sociale, Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale. Un'analisi di diritto
interno, comparato e internazionale, Milano, Giuffè, 2015.

Sugli acquisti privilegiati: F. De Maria, Art. 60 [ss.], D. Nardella, Art. 70 e W. Gasparri, Art. 95 [ss.],
in Cammelli, Il Codice, cit., pp. 282 ss., 311 ss. e 386 ss.; G. Famiglietti, D. Cadetti e G. Veccia, Art.
60 [ss.], Art. 70, R. Tamiozzo, Art. 95 [ss.], in Il Codice, coordinato da R. Tamiozzo, cit., pp. 270 ss.,
316 ss. e 417 ss.; M. Palmeri, Art. 60 [ss.], F. Saitta, Art. 70, G. Calderoni, Art. 95 [ss.], in Trotta,
Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1306 ss., 1334 ss. e 1402 ss.; A. Gualdani, La prefazione artistica e
il caso dell'archivio Vasari di Arezzo, in «Aedon», 2010, n. 3; G. Torelli, L'acquisizione sanante nel
codice dei beni culturali e del paesaggio, in «Aedon», 2016, n. 2.

Sui lavori pubblici, in particolare sul restauro: M. Guccione, Art. 29, in Cammelli, Il Codice, cit.,
pp. 177 ss.; G. Garzia e B. Lubrano, Art. 29, in Trotta, Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1213 ss.; B.
190 CAPITOLO 3

Giannaccini, La disciplina degli appalti concernenti i beni culturali, in «Quaderni amministrativi>>,


2005, pp. 63 ss.; L. Malnati, La verifica preventiva dell'interesse archeologico, in «Aedon», 2005, n. 3;
P. Ungari,Art. 29, in Il Codice, coordinato da Tamiozzo, cit., pp. 114 ss.; G. Santi, Verso la istituzione
di un sistema autonomo degli affidamenti dei «lavori» nel settore dei beni culturali (Decreto legislativo
22 gennaio 2004, n. 30), in «Aedon», 2004, n. 2; C. Vitale, La realizzazione dei lavori di restauro dei
beni culturali nel decreto legislativo n. 30 del 22 gennaio 2004: qualche novità, molte con/erme, in
«Gior. dir. amm.», 2005, p. 219; Id., La disciplina dei contratti pubblici relativi ai beni culturali nel
nuovo codice appalti, in «Aedon», 2006, n. 2; P. Carpentieri e P. Ungari, I contratti relativi ai beni
culturali, in Trattato sui contratti pubblicz; vol. IV, Le tipologie contrattuali, diretto da M.A. Sandulli,
R. De Nictolis e R. Garofoli, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 2969 ss.; G. Leondini, I contratti relativi ai
beni culturali, in I contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, a cura di R. Villata, B. Bertolissi, V.
Domenichelli e G. Sala, Tomo II, Padova, Cedam, 2014, pp. 1919 ss.

Sulle figure professionali e sulla loro formazione: A.L. Tarasco, La formazione alla gestione del pa-
trimonio culturale: pregiudizi e nuovi orizzonti, in «Aedon», 2001, n. l; G. Servello, La qualifica di
restauratore tra tutela e valorizzazione dei beni culturali, in «Le nuove leggi civ. comm.», 2004, pp.
41 ss.; A. Sau, Un passo avanti nella disciplina della formazione dei restauratori: il decreto del Miur 2
marzo 2011, in «Aedon», 2011, n. 2.

Sulle sanzioni amministrative e penali: A Manna, Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti
penali, Milano, Giuffrè, 2005; P. Cerbo,Art. 160 [ss.] e F. De Maria, Art. 164, in Cammelli, Il Codice,
cit., pp. 653 ss. e 675 ss.; R. Tamiozzo, Art. 160 [ss.], in Il Codice, coordinato da Tamiozzo, cit., pp.
728 ss.; S. Manacorda e A. Visconti (a cura di), Beni culturali e sistema penale. Atti del Convegno
(Milano, 16 gennaio 2013), Milano, Vita e Pensiero, 2013.
aRroill4
Valorizzazione e gestione

l. DALLA TIJTELA ALLA VALORIZZAZIONE

La dicotomia <~tutelalvalorizzazione» ha dominato le politiche del patrimonio La dicotomia tu-


culturale in Italia sin dagli anni Sessanta del XX secolo: dapprima intesa come tda/valorizzazione
endiadi - quando la valorizzazione non aveva ancora assunto un significato
dai contorni definiti - il binomio è stato poi usato nei modi più vari, fino a
indicare persino due visioni antitetiche, una orientata alla conservazione,
l'altra alla «messa a reddito» del patrimonio storico-artistico. Una lettura in
chiave di m era contrapposizione tra queste due attività, però, sarebbe riduttiva
e lontana dalle reali ragioni che hanno determinato il progressivo emergere
della dicotomia. n rapporto tra tutela e valorizzazione e, dunque, tra con-
servazione, protezione, fruizione, conoscenza, è assai più articolato e si pone
quale risultato di un più ampio processo di democratizzazione e progressiva
dilatazione del «ceto» di persone interessate al patrimonio culturale [Gian-
nini 1971], ispirato da una lettura unitaria dell'articolo 9 della Costituzione
[Merusi 1975; Severini 2013].
Tutela e valorizzazione debbono essere considerate, innanzitutto, come fun-
zioni amministrative, da contestualizzare nell'ambito della complessità che
caratterizza la materia a esse riferita, ossia il patrimonio culturale.
Questo capitolo esamina quattro gruppi di questioni, incentrate in particolare
sulla funzione di valorizzazione e sulla gestione del patrimonio culturale. In
primo luogo, è ricostruita la complessità dei diversi interessi pubblici e privati
collegati al patrimonio culturale, così da poter meglio comprendere le funzioni
amministrative a esso riferite e, nello specifico, l'emergere e il configurarsi di
una distinta funzione di valorizzazione (par. 1). In secondo luogo, è presa in
esame proprio quest'ultima funzione, con i suoi caratteri peculiari, mezzi e
procedure (par. 2). In terzo luogo, sono trattate le modalità di fruizione e di

Questo capitolo è di Lorenzo Casini.


192 CAPITOLO 4

gestione del patrimonio culturale (par. 3 ). In quarto luogo, sono analizzate le


forme di coinvolgimento dei privati e gli strumenti di politica fiscale in questo
settore (par. 4 ), mentre le modalità di cooperazione strutturale e funzionale
sono trattate più avanti, in altro capitolo (cap. 6).

1.1. La molteplicità degli interessi pubblici e privati nel patrimonio


culturale

La dinamica degli Tra le principali caratteristiche del patrimonio culturale vi è quella di essere
interessi un insieme di beni portatori di numerosi e diversi interessi, sia pubblici che
privati, spesso in contrasto tra loro, cui possono collegarsi altrettante situazioni
giuridiche (supra, cap. 1).
Gli esempi di queste relazioni sono innumerevoli.
Conservazione vs Un caso interessante - perché riguarda un paese tradizionalmente meno
ricostruzione orientato verso la tutela- è la vicenda della casa dello scrittore Edgar Allan
Poe (1809-1849) a New York. Nel2001, quando la New York University
(Nyu) decise di costruire un nuovo edificio nel Village, a Manhattan, il
progetto originario prevedeva di demolire due dimore storiche, la Judson
House e l'Edgar Allan Poe House. A séguito della protesta dei cittadini,
accompagnata da un'azione legale, Nyu, pur avendo vinto la causa, preferì
modificare il progetto. Il risultato è stato quello di realizzare una c.d. «inter·
pretive reconstructiom), che fu in grado di soddisfare pressoché tutte le parti
(Nyu, l' Historic Districts Council, i comitati di quartiere e altre associazioni):
le facciate delle due case furono ricostruite così come si presentavano nel
XIX secolo, usando pezzi di materiale recuperati durante i lavori. Alcuni
fecero tuttavia notare che, in realtà, nessuno degli originali mattoni color
salmone venne usato per la ricostruzione. Altri risposero che la casa di Poe
era stata profondamente modificata negli oltre 150 anni successivi a quando
lo scrittore vi abitò.
Il patrimonio Un secondo esempio, utile a comprendere la dimensione ultrastatale degli
mondiale interessi in questione, è offerto dalla tutela dei siti Unesco riconosciuti come
patrimonio mondiale dell'umanità. Quando vi è il rischio di compromettere
il valore eccezionale e universale di un sito inserito nella lista del patrimonio
mondiale, esso può essere iscritto nella c.d. «Danger list)). Ciò si verifica
spesso in zone di conflitto (come è successo, da ultimo, in Siria), ma può
avvenire anche quando vi siano iniziative o progetti di trasformazione urbana
o di realizzazione di infrastrutture tali da compromettere la salvaguardia del
tessuto urbanistico o paesaggistico dove il sito o monumento è situato: è, ad
esempio, quel che si è realizzato a Dresda, quando il sito della valle d'Elba fu
addirittura cancellato dalla lista a séguito della costruzione di un nuovo ponte;
oppure è quanto avvenuto a Liverpool, nel caso dell'antico porto mercantile
oggetto di un piano di riqualificazione ritenuto troppo invasivo dal Comitato
per il patrimonio mondiale; o, ancora, è quanto potrebbe avvenire a Venezia,
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 193

in base ai moniti già esternati dall'Unesco, a causa del passaggio nella laguna
delle grandi navi da crociera.
Un terzo esempio, di particolare rilevanza in Italia, attiene al contemperamento Tutela vs commer-
tra tutela del decoro dei beni culturali ed esercizio delle attività commerciali. cio
Le ricorrenti polemiche circa l'esigenza di non avere una eccessiva presenza
di ambulanti nei siti ad alta affluenza di visitatori, così come la necessità di
preservare le botteghe storiche ed evitare radicali trasformazioni dei contesti
urbani, evidenziano un ulteriore caso di conflitto tra diversi interessi, tutti
comunque meritevoli di tutela.

In materia di tutela del decoro, il legislatore è intervenuto più volte dal2004 a La tutela del de-
oggi. Dapprima, l'articolo 52, comma 1-ter, del Codice dei beni culturali e del coro
paesaggio ha stabilito che, «al fine di assicurare il decoro dei complessi monu-
mentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici
particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini, i competenti
uffici territoriali del ministero, d'intesa con la Regione e i Comuni, adottano
apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le
specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le forme di uso pub-
blico non soggette a concessione di uso individuale, quali le attività ambulanti
senza posteggio, nonché, ove se ne riscontri la necessità, l'uso individuale delle
aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di
occupazione di suolo pubblico». La disposizione prevede altresì la possibilità
di revocare, salvo indennizzo, le autorizzazioni già concesse che risultino non
più compatibili con le esigenze di tutela del decoro.
Successivamente, il d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222, riguardante la «Indivi-
duazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata
di inizio di attività (Scia), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei
regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi
dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», ha previsto che, proprio per
le finalità indicate dall'articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesag-
gio, il Comune, d'intesa con la Regione, sentito il competente soprintendente
del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, può adottare
deliberazioni volte a delimitare, sentite le associazioni di categoria, zone o
aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in
cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l'esercizio di una o più attività
di cui al presente decreto, individuate con riferimento al tipo o alla categoria
merceologica, in quanto non compatibile con le esigenze di tutela e valorizza-
zione del patrimonio culturale. Infine, l'articolo 22, comma 5-quinquies, del
d.l. 50/2017, conv. nella L 96/2017, ha previsto che «[a]l fine di assicurare la
tutela del decoro del patrimonio culturale e la sicurezza pubblica, il Comune,
d'intesa con la Regione, sentito il competente soprintendente del ministero dei
Beni e delle Attività culturali e del Turismo, può adottare deliberazioni volte a
regolare l'accesso e la circolazione, nel proprio centro storico, di veicoli elettrici
e di velocipedi, utilizzati a fini turistici, che abbiano più di due ruote o che
comunque trasportino tre o più persone, incluso il conducente».

Questi esempi- come altri migliaia- mostrano che il patrimonio culturale può
dar vita a complesse questioni giuridiche, oltre che politiche ed economiche.
li nuovo edificio di Nyu fu il risultato di un bilanciamento di interessi: da un
194 CAPITOLO 4

lato, l'interesse dell'università a espandere i suoi locali; dall'altro lato, l'interesse


della comunità nel preservare due dimore storiche. L'interesse alla tutela di un
sito dichiarato patrimonio mondiale dell'umanità, che trova fondamento nella
convenzione Unesco del1972, deve misurarsi, al fine di raggiungere un punto
di equilibrio sostenibile, con diversi interessi, tra i quali lo sviluppo urbanistico
e il turismo. La necessità di salvaguardare il decoro del patrimonio culturale,
soprattutto dei siti in cui vi è un elevato numero di visitatori, impone la re-
golamentazione degli esercizi commerciali e il controllo delle relative attività.
Interessi e fun- n patrimonio culturale, dunque, riguarda simultaneamente molteplici inte-
zioni ressi, cui possono corrispondere differenti funzioni, una pluralità di soggetti e,
di conseguenza, diverse soluzioni normative, organizzative e procedimentali.
Vi è l'interesse al controllo della circolazione e del commercio- forse l'inte-
resse più antico, risalente già a bolle papali nel XV secolo - cui si abbinano
spesso un interesse alla ritenzione delle cose di interesse storico e artistico
all'interno del territorio nazionale e un interesse alla loro restituzione. Vi
è l'interesse alla preservazione fisica del bene, cui si collega e intreccia la
conservazione del bene nel suo contesto originario: un fenomeno che può
riguardare non solo i rapporti tra gli Stati, ma anche tra enti territoriali o locali
all'interno dello stesso paese (si pensi alla controversia di qualche anno fa tra
Stato e Comune di Firenze in merito alla proprietà del David di Michelan-
gelo, poi risolta a favore del primo)_ Vi è l'interesse alla fruizione pubblica
del patrimonio storico e artistico e alla diffusione della sua conoscenza. Vi
è l'interesse all'uso della cosa, laddove essa sia, ad esempio, un luogo o un
edificio destinato a funzioni pubbliche o di culto.
Questa pluralità di interessi diviene problematica perché non solo essi sono
spesso in contrasto tra loro - aumentare l'accesso a un sito culturale deter-
mina problemi di protezione; limitare la circolazione può ridurre la fruizione;
decontestualizzare un bene può preservarlo meglio e persino valorizzarlo;
consentire un eccessivo sviluppo antropico può compromettere l'integrità
paesaggistica di un territorio- ma anche perché tali interessi possono insistere
sulla medesima cosa.
Gli effetti della La globalizzazione ha reso il quadro ancor più complesso, producendo effetti
globalizzazione significativi anche sui c.d. «tesori nazionali» [Casini 2016]. Come mostra l'e-
sempio dei siti Unesco, sopra illustrato, la disciplina del patrimonio culturale
presenta una tensione ineliminabile tra sfera nazionale e sfera internazionale,
perché molti Stati mirano a conservare i propri beni, mentre altri adottano
un approccio di c.d. «international multiculturalism)): il paradosso è che più
un bene è rilevante su scala mondiale, più rilevante esso sarà per lo Stato che
lo possiede, il che può aumentare il tasso di conflittualità tra tutti i soggetti
coinvolti.

Classificazione de- La scienza giuridica ha perciò tentato in più occasioni di fornire una classifica-
gli interessi zione dei diversi interessi pubblici collegati al patrimonio culturale.
Sabino Cassese, ad esempio, per i beni culturali, ha distinto tra: conservazione,
finalizzata a preservare fisicamente i beni; ritenzione, riguardante la circolazione
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 195

internazionale del patrimonio artistico; conservazione nel contesto, con conse-


guenti problematiche relative tanto alla conservazione fisica che alla fruizione
dei beni culturali; accessibilità, relativa alla fruizione collettiva delle opere d'arte
[Cassese 1998]. Degna di menzione è anche la classificazione avanzata diJohn
Henry Merryman, secondo cui il public interest è scomposto in quattro compo-
nenti: la conservazione fisica (preservation); l'autenticità (cultura! truth, intesa
come «the shared concerns for accuracy, probity, and validity that, when com-
bined with industry, insight, and imagination, produce good science and good
scholarship»); l'accessibilità (access); l'identità nazionale (cultura! nationalism)
[Merryman 2009]. EricJayme ha distinto, prendendo spunto dagli effetti delle
globalizzazione sul patrimonio culturale, cinque categorie: l. l'interesse globale
della società civile (che include l'accesso, la libera circolazione per mostre ed
esibizioni, la protezione dei diritti umani); 2. gli interessi nazionali degli Stati
nel conservare beni di rilievo nazionale; 3. gli interessi privati dei proprietari
o degli artisti; 4. gli interessi dei beni stessi (funzione religiosa, conservazione
nel contesto, integrità fisica); e 5. gli interessi di mercato Uayme 2005]. Altri,
infine, hanno osservato che può rintracciarsi anche un interesse diffuso a livello
mondiale, «a shared interest of humanity», nella protezione dei beni culturali
[Francioni 2004].

La molteplicità degli interessi che caratterizzano il patrimonio culturale si


riflette- inevitabilmente- sul rapporto tra la pubblica amministrazione che
deve occuparsene e i privati, a seconda che questi ultimi siano proprietari di
beni, parte del pubblico fruitore del patrimonio storico e artistico, mecenati
o finanziatori interessati a investire in opere d'arte o semplicemente in un
ritorno pubblicitario (in/ra, par. 1.4).

1.2. Dagli interessi pubblici alle funzioni: tutela, gestione


e valorizzazione

Per identificare le diverse funzioni amministrative nel settore del patrimonio


culturale, è quindi necessario individuare le finalità dell'intervento pubblico
in questa materia. Esse, come anticipato (capp. 2 e 3), sono fondamental-
mente due: la tutela, intesa innanzitutto come conservazione e protezione, e
la fruizione, intesa come godimento pubblico e diffusione della conoscenza
dei valori culturali di cui il patrimonio è portatore.
In primo luogo, vi è la necessità di riconoscere, conservare, proteggere, recu-
perare il patrimonio culturale: in altre parole, vi è il fine di tutelar! o. Si tratta,
come visto (cap. 3 ), di un'esigenza avvertita già in tempi lontani: risalgono al
XV secolo, infatti, le prime bolle papali dirette a controllare l'esportazione,
dallo Stato pontificio, delle cose d'interesse storico e artistico e a impedire il
distacco dagli edifici di affreschi, statue e ornamenti.
In secondo luogo, accanto alla necessità di tutelare il patrimonio culturale,
vi è quella di diffondere, far conoscere, rendere accessibili e fruibili i valori
di cui esso è portatore. Con la crescita socio-economica iniziata nel secondo
dopoguerra e con l'affermazione dello Stato del benessere, i beni culturali
196 CAPITOLO 4

non sono stati più concepiti come materia elitaria, riservata a pochi, ma come
importante strumento di sviluppo della cultura. Così, a partire dagli anni
Sessanta del Ventesimo secolo, anche grazie a una lettura congiunta dei due
commi dell'art. 9 Cost., comincia ad affiancarsi, alla finalità di conservare e
proteggere i beni culturali, quella di accrescere la loro conoscenza e la loro
fruizione pubblica. Tale mutamento è strettamente connesso, è evidente, alla
nascita della nuova locuzione bene culturale prima descritta (cap. l). La conse-
guenza è stata che, dopo alcuni tentativi di perseguire questi due fini pubblici
rimanendo all'interno della tutela, distinguendo tra una tutela «statica» e una
tutela «dinamica», si è preferito fare ricorso al termine valorizzazione per
indicare appunto una nuova funzione amministrativa.
Tutela vs valoriz. Tutela e valorizzazione, perciò, sono le due principali funzioni che inter-
zazione vengono in materia di patrimonio culturale. Se l'ambito d'azione è lo stesso,
differenti e conflittuali, però, possono essere i fini di queste due attività. Questa
conflittualità trova la propria area critica nell'accessibilità ai beni, lì dove la
tutela si preoccupa di regolamentarla e di ridurla, mentre la valorizzazione
tende ad accrescerla. Si pensi, per esempio, alla Domus aurea, a Roma: esigenze
di conservazione permettono la contemporanea presenza, nelle stanze sotter-
ranee dell'antica dimora imperiale, di poche persone per volta, scaglionate in
turni orari. È chiaro che, in questo caso, la tutela ottimale consisterebbe nel
non consentire alcun accesso ai visitatori; tuttavia, la necessità di valorizzare
e, dunque, di rendere godibile la splendida domus, giustifica la scelta di as-
sicurarne comunque la fruizione, in forme compatibili con il mantenimento
dell'integrità fisica e la protezione del bene.
La tutela, quindi, «è diretta principalmente a impedire che il bene possa
degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale; ed
è significativo che la prima attività in cui si sostanzia la tutela è quella del ri-
conoscere il bene culturale come tale. La valorizzazione è diretta soprattutto
alla fruizione del bene culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di
conservazione attiene a quest'ultima nei luoghi in cui awiene la fruizione e
ai modi di questa» (così Corte cost. sent. 9/2004 ).
Gli interventi di tutela e di valorizzazione variano in base al tipo di bene, se
mobile o immobile, se pubblico o privato, se culturale o paesaggistico. In ogni
caso, non necessariamente tra di esse vi è un rapporto di conflitto. Ferma
restando la supremazia, innanzitutto dal punto di vista logico, della tutela,
un'attività di valorizzazione, quale ad esempio lo spostamento di un'opera
d'arte in un museo, può avere l'effetto di assicurare una migliore conserva-
zione, oltre che una maggior fruizione.

La gestione Nel1998, al momento di realizzare la terza grande operazione di decentramen-


to amministrativo di compiti dallo Stato alle Regioni e agli enti locali (dopo
quelle del1970-1972 e del1975-1977), venne individuata una terza funzione,
a carattere strumentale: la gestione [Foà 2001]. Quest'ultima fu definita come
«ogni attività diretta, mediante l'organizzazione di risorse umane e materiali,
ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al per-
seguimento delle finalità di tutela e di valorizzazione» (art. 148, lett. d, d.lgs.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 197

112/1998). Nel2001, però, la l. cost. 3/2001, modificando l'art. 117 Cost.,


ha fatto riferimento alla tutela e alla valorizzazione, ma non alla gestione (sul
punto, si v. Cons. Stato, sez. cons. atti normativi, parere n. 1794/2002). Tale
funzione, che ha una propria validità sotto il profilo logico (si pensi ad attività
strumentali, come ad es. la gestione del personale dei musei), è stata espunta
dalla legislazione in materia di beni culturali; al suo posto, è apparsa invece la
fruizione, rientrante nella sfera della valorizzazione.

Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, come visto (supra, capp. 2 e 3),
fornisce una definizione sia di tutela, sia di valorizzazione. Tra i principi gene-
rali, peraltro, emerge in modo netto il ruolo fondamentale attribuito a queste
due funzioni, in quanto si afferma, in primo luogo, che, in attuazione dell'art.
9 Cost., la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale; in secondo
luogo, che «la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono
a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a
promuovere lo sviluppo della cultura>> (art. l, commi l e 2, d.lgs. 42/2004).
Quanto alle definizioni, la tutela, come visto (cap. 3 ), «consiste nell'esercizio
delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata
attività conoscitiva, a individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e
a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione»
(art. 3, comma l, d.lgs. n. 42/2004). La valorizzazione (cap. 2) «consiste
nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere
la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni
di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte
delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della
cultura. Essa comprende anche la promozione e il sostegno degli interventi
di conservazione del patrimonio culturale» (art. 6, comma l, d.lgs. 42/2004).
Per quel che riguarda il rapporto tra le due funzioni, la valorizzazione è at-
tuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze
(art. 6, comma 2, d.lgs. 42/2004); le attività concernenti la conservazione, la
fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale sono comunque svolte
in conformità alla normativa di tutela (art. l, comma 6, d.lgs. 42/2004).

1.3. n riparto di competenze tra i pubblici poteri


La varietà di interessi- per di più talvolta contrastanti- e la costante dialet-
tica tra pubblico e privato rendono impossibile affidare a un unico potere
pubblico tutti i compiti legislativi e amministrativi in materia, considerata
anche la straordinaria consistenza del nostro patrimonio storico e artistico
(Corte cost. sent. 232/2005, dove si riconosce che nelle materie in cui ha
primario rilievo il «profilo finalistico» della disciplina, «la coesistenza di
competenze normative rappresenta la generalità dei casi»). E la necessaria
coesistenza di varie amministrazioni - Stato, Regioni, enti locali - è stata
riconosciuta, in Italia, sin nel1947 -1948, quando all'art. 9 fu usato il termine
198 CAPITOLO 4

«Repubblica>> per indicare lo Stato ordinamento in tutte le sue possibili


articolazioni (cap. 2).
Occorre quindi ora richiamare il riparto delle competenze, sia legislative che
amministrative. L'esigenza di distinguere tra questi due profili deriva, oltre
che dall'art. 117 Cost., dalla definizione stessa delle funzioni fornita dal Co-
dice, ove si fa riferimento tanto alla disciplina che all'esercizio di tali attività.
Le competenze Per quanto riguarda le competenze legislative, la Costituzione, come visto
legislative (capp. 2 e 3 ), riserva alla potestà legislativa esclusiva statale la tutela dei beni
culturali, mentre include la valorizzazione tra le materie di legislazione con-
corrente tra Stato e Regioni (art. 117, comma 2, lett. s, comma 3) [Aicardi
2002; Marini 2002; Chiarelli 2010].
Le ragioni alla base di questa scelta sono evidenti: se, da un lato, è comprensi-
bile che la conservazione e la protezione del patrimonio culturale della Nazione
ricevano una disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale; dall'altro lato,
è ammissibile che le modalità di valorizzazione, in una prospettiva regionalista,
siano dettate dalle singole Regioni (che potranno, ad esempio, accentuare
alcuni interessi, come il turismo o l'istruzione, rispetto ad altri), nel rispetto
di principi stabiliti dalle leggi statali.
L'assetto costitu- L'assetto delineato, comunque, ha generato diversi contrasti e la difficoltà
zionale di definire il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di beni
culturali è stata avvertita dal legislatore costituzionale, che ha dedicato alla
questione anche altre disposizioni; in particolare, la tutela dei beni culturali è
inclusa sia tra le materie in cui lo Stato può attribuire alle Regioni «ulteriori
forme e condizioni particolari di autonomia» (art. 116, comma 3, Cost.),
sia tra i casi in cui la legge statale disciplina, per l'esercizio di funzioni
amministrative, «forme di coordinamento tra Stato e Regioni» (art. 118,
comma 3, Cost.).

Sempre con riferimento alle competenze legislative, è utile fare riferimento a


tre questioni risolte dalla Corte costituzionale nell'arco di un anno, dal2003 al
2004, relative all'art. 117 Cost. e alla materia dei beni culturali.
Nella prima, lo Stato aveva impugnato una legge della Regione Lazio con cui
erano state dettate norme di tutela su locali di interesse storico, prevedendo
appositi finanziamenti e imponendo specifici vincoli di destinazione: la Corte
ha respinto il ricorso, ritenendo che i locali in questione non fossero «beni
culturali» ai sensi della normativa vigente (Corte cast. sent. 94/2003 ).
Nella seconda, la Regione Toscana aveva lamentato la lesione delle proprie
attribuzioni da parte di un regolamento statale sui lavori di restauro da eseguire
su beni culturali: la Corte ha rigettato il ricorso, rilevando che il restauro rientra
nell'ambito della tutela dei beni culturali (Corte cost. sent. 9/2004).
Nella terza, infine, già richiamata in precedenza (cap. 2), alcune Regioni ave-
vano profilato l'illegittimità della legge statale 448/2001, laddove disciplina,
rinviando anche ad apposito regolamento ministeriale, i servizi culturali da
attivare presso istituti e luoghi della cultura statali: la Corte, anche in questo
caso, ha respinto il ricorso, riconoscendo la possibilità, per lo Stato, di dettare
norme, anche di dettaglio, sulla valorizzazione dei propri beni culturali (Corte
cast. sent. 26/2004 ).
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 199

La Corte costituzionale ha fornito un'accurata ricostruzione delle funzioni


e delle competenze nel settore del patrimonio culturale ai sensi dell'art.
117 Cost. Inoltre, il Codice, con riguardo alla potestà legislativa di Stato e
Regioni in materia di valorizzazione, ha codificato il criterio di distribuzione
delle funzioni fondato sulla disponibilità dei beni oggetto di intervento,
adottato da Corte cost. sent. 26/2004. Alla legislazione regionale, pertanto,
compete la disciplina della fruizione e della valorizzazione dei beni presenti
negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei
quali lo Stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa
vigente (art. 102, comma 2, e 112, comma 2, d.lgs. 42/2004). Il Codice, nel
dare attuazione all'art. 117 Cost., riconosce perciò alle Regioni la potestà
di legiferare in materia di valorizzazione (e di fruizione) di beni dei quali lo
Stato non abbia la disponibilità.

A conferma di quanto qui ricostruito, la Corte costituzionale ha nuovamente


precisato, con la sentenza n. 194 del2013, che «se "tutela" e "valorizzazione"
esprimono - per dettato costituzionale e per espressa disposizione del Codice
dei beni culturali (artt. 3 e 6) (secondo anche quanto riconosciuto da questa
Corte sin dalle sentenze n. 26 e n. 9 del2004)- aree di intervento diversificate,
è necessario che restino inequivocabilmente attribuiti allo Stato, ai fini della
tutela, la disciplina e l'esercizio unitario delle funzioni destinate alla individua-
zione dei beni costituenti il patrimonio culturale nonché alla loro protezione
e conservazione e, invece, anche alle Regioni, ai fini della valorizzazione, la
disciplina e l'esercizio delle funzioni dirette alla migliore conoscenza e utiliz-
zazione e fruizione di quel patrimonio e, perciò- secondo i princìpi di cui agli
articoli 111 e seguenti del Codice-, la costituzione e l'organizzazione stabile di
risorse o la messa a disposizione di competenze» (formulazione ripresa, seppur
in modo leggermente diverso e meno cristallino, dalla successiva sentenza n.
140 del2015).

Nonostante le soluzioni offerte dalla giurisprudenza costituzionale e dal Co-


dice dei beni culturali e del paesaggio, non sono mancate critiche all'assetto
delineato dall'art. 117 Cost., come modificato nel2001, ed è per questo che
sono state avanzate proposte di riforma, alcune volte a trasferire interamente
la valorizzazione alla potestà legislativa regionale, altre dirette a garantire allo
Stato maggiori ambiti di intervento.
Per quanto attiene al riparto di competenze amministrative, vi è un parai- Le competenze
lelismo con i compiti legislativi. Le funzioni di tutela, al fine di garantirne amministrative
l'esercizio unitario ai sensi dell'art. 118 Cost., sono, come visto, attribuite al
ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, che le esercita di-
rettamente o ne può conferire l'esercizio alle Regioni, tramite forme di intesa
e coordinamento (art. 4, comma l, d.lgs. 42/2004). Quanto alla valorizzazione,
le competenze amministrative, come quelle legislative, sono ripartite secondo
il criterio della disponibilità del bene. In particolare, lo Stato, le Regioni e gli
altri enti pubblici territoriali assicurano la fruizione e la valorizzazione dei
beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura di propria appartenenza,
nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dal Codice. Sono previste, poi,
200 CAPITOLO 4

diverse forme di cooperazione tra tutti questi soggetti, poiché essi debbono
perseguire il coordinamento, l'armonizzazione e l'integrazione delle attività di
valorizzazione dei beni pubblici (art. 7, comma 2, d.lgs. 42/2004). Pertanto,
al fine di coordinare, armonizzare e integrare la fruizione e la valorizzazione
dei beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica, lo Stato tramite
il ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali definiscono appositi
accordi (artt. 102 e 112, d.lgs. 42/2004) (in/ra, par. 2.6 e cap. 5).
Nel riparto di competenze nel settore dei beni culturali, dunque, si applica,
nel caso della tutela, la clausola relativa all'esercizio unitario delle funzioni,
dato che tale attività è mantenuta in capo allo Stato. Nell'ipotesi della valo-
rizzazione, è adottato un criterio in base al quale il soggetto pubblico che
dispone del bene potrà svolgere la funzione nel modo più adeguato.
Se si sposta la prospettiva a livello europeo, si registra, invece, una piena ap-
plicazione del principio di sussidiarietà nel distribuire le funzioni tra Unione
Europea e Stati membri. Alla prima, infatti, non spettano compiti diretti di
tutela, salvo che con riferimento alla salvaguardia del patrimonio culturale
di importanza europea e alla circolazione dei beni e alla loro esportazione
fuori del territorio dell'Unione. Quanto alla valorizzazione, l'amministrazione
comunitaria svolge attività di impulso e di sostegno finanziario: si pensi ai
programmi europei c.d. Pon.

1.4. n ruolo dei privati


La dialettica pub- Nel settore del patrimonio culturale trova ampia applicazione il principio
blico/privato costituzionale secondo cui le pubbliche amministrazioni favoriscono <d'auto-
noma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività
di interesse generale» (art. 118, comma 4, Cost.) [Merusi 2007].
n ruolo dei privati in questo ambito ha attraversato tre differenti fasi [Alpa
1987,507 ss. e spec. 514]: una prima, in cui i rapporti tra pubbliche ammini-
strazioni e privati presentano struttura bilaterale, dove si contrappongono, da
un lato, l'interesse pubblico alla conservazione del bene, e, dall'altro, l'interesse
del privato proprietario; una seconda, nella quale, grazie all'affermazione della
funzione sociale del patrimonio culturale sancita dall'art. 9 Cost., si forma una
struttura trilaterale, dove vi sono l'interesse pubblico, l'interesse del privato
proprietario, l'interesse della collettività; una terza, infine, evoluzione della
precedente, connotata da una struttura multilaterale, dove compaiono anche
altri interessi, come quelli dei privati finanziatori o mecenati.
Attualmente queste tre strutture di rapporti coesistono e si concretizzano in
relazione alle singole situazioni.
Tutto ciò appare evidente se si guardano anche solo alcune delle disposizioni
del Codice (in/ra, parr. 2 e 3 ). Per esempio, le norme relative alla fruizione
dei beni culturali di proprietà privata, laddove regolano le modalità di visita,
mirano a contemperare l'interesse pubblico al godimento dei valori di cui i
beni sono portatori con quello del proprietario a disporre della cosa. Analo-
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 201

gamente, le norme sulla valorizzazione quale attività socialmente utile e sulla


fruizione quale servizio privato di utilità sociale confermano la sussistenza di
un interesse della collettività, che si affianca a quello dei privati proprietari
e delle amministrazioni. Infine, le previsioni in materia di sponsorizzazioni o
accordi con le fondazioni bancarie testimoniano la rilevanza di altri interessi
privati, che possono all'occorrenza convergere con l'interesse pubblico e con
quello della collettività.
Si riscontrano, quindi, tanto nella sfera pubblica che in quella privata, diverse
categorie di interessi, che danno vita a molteplici forme di rapporti: vi sono
situazioni di conflitto o di contrapposizione, ma anche di convergenze e
collaborazione.

2. LA FUNZIONE DI VALORIZZAZIONE

2.1. Origini e sviluppo

La valorizzazione del patrimonio culturale, come anticipato, è una funzione


di origine recente [Vaiano 2011; Degrassi 2008; Casini 2001]. Nonostante
il concetto di valorizzazione appaia sfuggente e difficilmente traducibile, il
relativo termine ha trovato un'ampia diffusione in Italia per indicare tutti gli
interventi sul patrimonio storico e artistico non ascrivibili alla mera conser-
vazione. In particolare, tale attività- descritta comunemente come insieme di
atti destinati a fare aumentare di valore- inserita nel contesto del patrimonio
culturale acquista un nuovo significato.

È stato sottolineato, correttamente, che la valorizzazione dei beni culturali non


consiste nell'accrescere i valori di cui i beni sono portatori, valori che sono, per
definizione, una realtà indipendente e preesistente alle forme di governo dei
beni stessi; la funzione di valorizzazione si manifesta, invece, in correlazione
all'essere i beni culturali destinati alla fruizione, la cui attuazione richiede misure
per consentire, agevolare e accrescere le possibilità di accesso ai valori di cui i
beni protetti sono testimonianza [Alibrandi e Ferri 2001].

La lunga, e per certi versi tortuosa, storia della valorizzazione mostra le dif-
ficoltà dell'ordinamento italiano nel regolare una funzione amministrativa
<(diversa~> dalla tutela; ed è esemplare di come troppo spesso la «lotta» per
il riparto delle attribuzioni prevalga sulla corretta individuazione del fine
pubblico che una funzione dovrebbe perseguire.
Tutto ha inizio in Francia un secolo fa, nel1918, quando Marcel Proust, nella Le origini del vo-
Recherche, includeva l' «arte di "valorizzare"» tra «les Arts du Néant», le Arti cabolo
del Nulla, insieme con l' «arte di saper "riunire", [ ... ] di "stare nell'ombra", di
"fungere da tramite"». Un anno dopo, in Italia, Piero Gobetti usò per la prima
volta il vocabolo nella lingua italiana, ma in un contesto diverso da quello dei
beni culturali. Nella relazione alla legge sulla protezione delle bellezze naturali,
202 CAPITOLO 4

presentata nel 1920 in Senato, Benedetto Croce citò Nitti nel richiamare la
necessità di «difendere e mettere in valore, nella più larga misura possibile,
le maggiori bellezze d'Italia, quelle naturali e quelle artistiche».

In sede normativa, il termine «valorizzazione» è già usato nel r.d. 31 dicembre


1922, n. 1809, «Prowedimenti sulla riforma dei servizi nel ministero dei Lavori
pubblici>>, con riguardo alla «valorizzazione economica» dei bacini imbriferi
(art. 14, terzo comma, lett. d), e negli anni Trenta per la valorizzazione industriale
o agricola dell'Africa orientale italiana (r.d.l. 24 giugno 1937, n. 905, «Norme
per l'organizzazione permanente dell'Istituto per la ricostruzione industriale»,
art. 3, lett. a) e della ricerca scientifica (r. d.l. 25 giugno 1937, n. 1114, «Nuovo
ordinamento del Consiglio nazionale della ricerca», art. 15, n. 2). Il vocabolo,
poi, è stato adoperato con riguardo essenzialmente al turismo, al paesaggio o
alle riserve naturali o a tutti questi ambiti insieme [Casini 2016].

Lo sviluppo della Nel1964, l'espressione valorizzazione inizia a essere usata in modo stabile e
funzione continuativo con riferimento al patrimonio culturale, per indicare ogni atti-
vità, diversa dalla tutela, volta a perseguire la fruizione, la promozione e la
diffusione della conoscenza. Nel1998, la funzione di valorizzazione dei beni
culturali acquisisce piena dignità giuridica e, nel200 l, è inserita- al pari della
tutela- nell'art. 117 della Costituzione. Nel2004, invece, la valorizzazione
è ridimensionata dal Codice e, soprattutto, perde tra le sue finalità proprio
quella per la quale essa è stata ideata, la fruizione, che, viceversa, è assorbita
in parte dalla tutela.
Nel 2009, è creata una struttura del ministero dedicata alla valorizzazione,
un'apposita direzione generale, con l'obiettivo di mettere in primo piano i
compiti attivi di promozione e di sviluppo della cultura assegnati allo Stato.
Una direzione generale per la valorizzazione, tuttavia, sarebbe servita nel
1974-75, quando per la prima volta in un testo normativa fu stabilito che il
ministero «tutela e valorizza» il patrimonio storico e artistico, senza che fosse
ancora ben chiaro il significato e la portata di una tale espressione. Solo dopo
trentacinque anni, la valorizzazione, già consacrata nella Costituzione e più
volte definita dal legislatore e dalla Corte costituzionale, ha trovato pieno
riconoscimento anche in termini organizzativi all'interno del ministero.
I ritardi dell'ordinamento nel disciplinare la valorizzazione si sono rivelati
anche controproducenti, alimentando le tesi che considerano la valorizzazione
unicamente come ago della bilancia nel ripartire le competenze tra Stato
e Regioni, senza cogliere le potenzialità di questa funzione per sviluppare
nuove e più avanzate forme di fruizione del patrimonio culturale. Le vicende
della valorizzazione hanno così corso il rischio di rappresentare un'ulteriore
occasione mancata per rilanciare le politiche dei beni culturali in Italia, dato
che il legislatore si è preoccupato prevalentemente di ripartire i compiti tra
Stato, Regioni ed enti locali, invece di dotare questa funzione di mezzi, istituti
e procedure. Con il paradossale risultato di dare vita a un sofisticato livello di
regolazione dei profili della fruizione e dell'accessibilità, concepito però più
per delimitare le competenze che per soddisfare le esigenze delle collettività.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 203

E le polemiche sorte in relazione alle nuove modifiche all'articolo 117 Cost.


previste dal progetto di riforma del2015- poi respinto in sede di referendum
consultivo - ne offrono ulteriore conferma.
Nel 2014 la direzione generale creata nel 2009 è stata soppressa, mentre i
compiti di valorizzazione sono stati finalmente distribuiti tra gli uffici del
ministero, sia a livello centrale, sia a livello periferico (con i Poli museali re-
gionali). In questo modo, per la prima volta dal1974, lo Stato ha tentato di
organizzare sé stesso al fine di dotare la funzione di valorizzazione di appositi
istituti, strumenti e procedure.
L'ordinamento si è quindi progressivamente mosso verso una nozione di
«valorizzazione sostenibile», che sia in grado di conciliare il processo di
espansione del patrimonio culturale con l'esigenza di sempre più consistenti
risorse, impedendo, al contempo, che una gestione troppo imprenditoriale
possa disattendere l'obiettivo primario della valorizzazione: la diffusione dei
valori culturali a livello globale rendendo ogni testimonianza di civiltà parte
integrante e imprescindibile del territorio e della società.

2.2. Inquadramento giuridico della funzione

La valorizzazione si presenta come una funzione amministrativa il cui ambito


materiale di intervento - il patrimonio culturale - e il cui fine -la fruizione
e la diffusione della conoscenza dei valori culturali di cui il patrimonio è
portatore- sono stati definiti in modo chiaro sul piano normativa e giurispru-
denziale (si v. Corte cost. sent. 9/2004 ). Viceversa, le attribuzioni e, dunque,
i mezzi, gli istituti e le procedure di questa funzione hanno trovato, almeno
sino al Codice del2004 e poi alla riforma del ministero nel2014, una scarna
disciplina normativa.
Le difficoltà nel dare un contenuto preciso alla valorizzazione discendono I caratteri della
dalle caratteristiche stesse di questa funzione, la cui nozione è aperta, perché funzione di valo-
comprensiva di ogni possibile iniziativa diretta a incrementare la fruizione rizzazione
dei beni culturali, e dinamica, in quanto espressione di un processo di tra-
sformazione delle modalità di godimento dei valori di cui i beni stessi sono
portatori. D'altra parte, nella valorizzazione è possibile rintracciare distinte
tipologie di procedimenti (concessori, autorizzatori, contrattuali), nonché
specifici istituti, di formazione più o meno recente, quali i servizi aggiuntivi,
le sponsorizzazioni, le erogazioni liberali (in/ra, parr. 2.4 e 4).
La funzione di valorizzazione mantiene così una natura ambigua e, per lungo
tempo, non è stato semplice classificarla. Da un lato, seguendo le definizioni
di Massimo Severo Giannini, essa sembra riconducibile alle «attività oggetti-
vamente pubbliche>>, ponendosi all'intersezione tra le attività «suppletive di
settori carenziali>> e le attività «eccedenti la dimensione privata» [Giannini
1993]. Dall'altro lato, l'apporto dei privati nella valorizzazione è divenuto
ormai decisivo per reperire le necessarie risorse finanziarie (come confermano
204 CAPITOLO 4

le specifiche norme in materia di sponsorizzazioni e accordi con le fondazioni


bancarie): non a caso, tra le disposizioni generali del Codice, si prevede che «la
Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o
associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale>> (articolo 6, comma 3 ).

Si è già riportata la definizione di valorizzazione presente nel Codice (art. 6, d.lgs.


42/2004 ). Lo stesso atto, però, ricorre a un'ulteriore formulazione per indicare
questa funzione, descritta come il complesso di attività che «consistono nella
costituzione e organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella
messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali,
finalizzate all'esercizio delle funzioni e al perseguimento delle finalità indicate
all'articolo 6» del Codice (art. 111, d.lgs. 42/2004).

2.3. La dicotomia pubblico/privato nella valorizzazione (e nella


fruizione)

Nel disciplinare la valorizzazione e la fruizione, il Codice differenzia diverse


ipotesi, sempre muovendosi lungo il crinale della dialettica tra pubblico e
privato.
In primo luogo, si distingue tra la valorizzazione dei beni culturali di appar·
tenenza pubblica (art. 112) e quella dei beni culturali di proprietà privata
(art. 113 ). Questa distinzione determina, inevitabilmente, conseguenze sulle
modalità di regolamentazione della funzione (v. supra, cap. 2).

Nella prima ipotesi, l'art. 112 stabilisce che lo Stato, le Regioni e gli altri enti
pubblici territoriali assicurano la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e
nei luoghi della cultura, mentre la valorizzazione degli altri beni culturali pub·
blici è assicurata compatibilmente con lo svolgimento degli scopi istituzionali
cui detti beni sono destinati. Il medesimo articolo prevede, poi, un complesso
sistema di accordi tra le amministrazioni per garantire una leale cooperazione
nell'assolvimento della funzione (v. in/ra, par. 4; cap. 6).
Nella seconda ipotesi, invece, I' art. 113 dispone che «le attività e le strutture di
valorizzazione, a iniziativa privata, di beni culturali di proprietà privata possono
beneficiare del sostegno pubblico da parte dello Stato, delle Regioni e degli altri
enti pubblici territoriali>>; le misure di sostegno sono adottate tenendo conto
della rilevanza dei beni culturali a cui si riferiscono.

In secondo luogo, il Codice distingue tra la fruizione degli istituti e dei luoghi
della cultura di appartenenza pubblica (art. 102) e la fruizione di beni culturali
di proprietà privata (art. 104).

Nel primo caso sono dettate disposizioni analoghe a quelle contenute nell'art.
112, con riferimento alla valorizzazione. Nel secondo caso, è previsto che
possano essere assoggettate a visita da parte del pubblico per scopi culturali
alcune categorie di beni; le modalità di visita sono concordate tra il proprietario
e il ministero.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 205

L'attività di valorizzazione non può intervenire con modalità indistinte sui


beni pubblici e su quelli privati. Ne discende una necessaria differenziazione
delle attribuzioni e degli strumenti giuridici a disposizione delle pubbliche
amministrazioni, secondo il regime proprietario dei beni. Pertanto, se per i
beni pubblici la funzione di valorizzazione può essere «assicurata» e, con-
seguentemente, organizzata in modo stabile con adeguate strutture, per i
beni privati, invece, l'intervento pubblico dovrà configurarsi in altro modo:
dalla semplice adozione di misure di sostegno all'accordo circa le modalità
di visita dei beni. Da questo punto di vista, il Codice ha colmato una lacuna
dei decreti legislativi 112/1998 e 490/1999, in cui, nel disciplinare la valoriz-
zazione, l'attenzione era stata posta sulle attività esercitate dallo Stato, dalle
Regioni e dagli enti locali sui beni culturali «pubblici>>, mentre era stato poco
considerato il rapporto tra pubbliche amministrazioni e privati proprietari.
Ma nel Codice vi è un ulteriore caso in cui la differenza tra appartenenza
pubblica e proprietà privata ha ricadute significative sull'inquadramento
giuridico della funzione di valorizzazione e della fruizione.
Infatti, l'art. 101 introduce la distinzione in base alla titolarità - pubblica La titolarità della
o privata - degli istituti e luoghi della cultura: se appartenenti a soggetti funzione
pubblici, essi sono destinati «alla pubblica fruizione ed espletano un servizio
pubblico» (comma 3 ); le strutture espositive e di consultazione, nonché gli
istituti e i luoghi della cultura che appartengono a soggetti privati e sono
aperti al pubblico, invece, «espletano un servizio privato di utilità sociale»
(comma 4) [Severini 2003]. La distinzione prospettata appare senza dubbio
utile nell'ottica di applicare differenti regimi giuridici agli istituti culturali
pubblici e a quelli privati, anche se solleva alcune perplessità (in/ra, par. 3.2).
Tutti i casi esaminati richiamano, come visto, la dicotomia tra pubblico e pri-
vato, riferendola al regime proprietario. Tuttavia, vi è un'importante differenza
tra le prime due coppie di articoli del Codice (112/113 e 102/104) e l'ultima
serie di disposizioni. Infatti, da un lato, le norme riguardanti la valorizzazione
e la fruizione dei beni di appartenenza pubblica e di proprietà privata si rife-
riscono alla materia, al campo di intervento, della funzione. Dall'altro lato, le
norme concernenti gli istituti e i luoghi della cultura e il servizio di fruizione
attengono anche alla classificazione della funzione.
Proprio per fornire differenti classificazioni della funzione di valorizzazione, Classificazioni
peraltro, il Codice ricorre anche a un altro elemento per distinguere tra pub- della funzione
blico e privato: l'iniziativa.
L'art. 111, innanzitutto, sancisce che la valorizzazione «è a iniziativa pubblica L'iniziativa
o privata». Poi, si sofferma su entrambe le fattispecie, specificando, da una
parte, che la valorizzazione a iniziativa pubblica si conforma ai principi di
libertà di partecipazione, pluralità di soggetti, continuità di esercizio, parità
di trattamento, economicità e trasparenza della gestione; dall'altra, che la va-
lorizzazione a iniziativa privata è attività socialmente utile e ne è riconosciuta
la finalità di solidarietà sociale.
Vi è una chiara connessione tra queste disposizioni e quelle prima esaminate in
relazione agli istituti e ai luoghi della cultura. In entrambi i casi, la dimensione
206 CAPITOLO 4

pubblica è indicata per ricondurre l'attività di valorizzazione nell'ambito del


servizio pubblico (come conferma il richiamo ai principi per l'erogazione dei
servizi pubblici, di derivazione comunitaria, operato dall'art. 111), mentre
la sfera privata è collocata all'interno delle attività socialmente utili. Da tali
distinzioni emerge, in tutta la sua portata, il carattere «multiforme» della
valorizzazione, che muta la sua qualificazione giuridica a seconda di dove
cade la linea di demarcazione tra pubblico e privato.
Non va tralasciato, poi, che il profilo dell'iniziativa è strettamente legato a
quello del regime proprietario e non a caso il Codice li affronta congiun-
tamente. Come visto, l'art. 113, puntualizza che possono beneficiare del
sostegno pubblico le attività e le strutture di valorizzazione a iniziativa pri-
vata. Le forme di gestione di cui all'art. 115 si applicano invece alle attività
di valorizzazione a iniziativa pubblica. Tra le maglie della normativa, tutta-
via, non viene disciplinata l'ipotesi di attività di valorizzazione a iniziativa
pubblica su beni di proprietà privata: essa, infatti, non è citata, anzi sembra
essere esclusa, dall'art. 113, ma è certamente ammissibile da una lettura si-
stematica del Titolo Il, parte seconda, del Codice e dall'art. 115 sulle forme
di gestione (infra, par. 3.4).

2.4. Le attività di valorizzazione

La valorizzazione è caratterizzata, come anticipato, dall'atipicità degli inter-


venti. Proprio per questo, nel1998 si era tentato di stilare un elenco indicativo
delle forme di valorizzazione, come ad esempio il miglioramento dell'accesso
ai beni e la diffusione della loro conoscenza, la fruizione agevolata dei beni da
parte delle categorie meno favorite, i servizi culturali di assistenza al pubblico
e di ospitalità (art. 152, comma 3, d.lgs. 112/1998).
Risulta possibile, comunque, individuare varie classi di attività comprese
nella valorizzazione.
Interventi diretti e Così, per quanto riguarda il bene culturale oggetto di un intervento, vi sono
indiretti un'attività di tipo diretto e una di tipo indiretto: l'organizzazione di mostre
ed esposizioni coinvolgono un bene culturale direttamente, mediante lo spo-
stamento o il prestito; i servizi aggiuntivi, invece, operano a latere del bene,
offrendone una migliore fruizione, ma agendo indirettamente. In quest'ultimo
caso, dunque, può affermarsi che la valorizzazione non riguarda il bene in
senso proprio, ma, piuttosto, l'organizzazione dalla quale il bene è gestito e
tutelato.
Interventi sul con- In relazione all'ambito di intervento, poi, con riferimento al bene da valoriz-
testo ed extra con- zare, vi sono un'attività di tipo contestuale e una di tipo extra contestuale:
testo l'istituzione di servizi aggiuntivi presso i musei opera nel contesto dei beni
oggetto di intervento; la diffusione della conoscenza dei beni, ad esempio
mediante campagne pubblicitarie, si pone, invece, al di fuori di tale contesto.
Inoltre, possono esservi attività che presentano al contempo entrambe le ca-
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 207

ratteristiche: una mostra comporta solitamente l'esposizione di beni culturali


provenienti da istituti diversi dall'ente organizzatore, che a sua volta può
contribuire con la propria collezione. Anche la decontestualizzazione del bene
dal suo sito originario, quindi, può costituire un intervento di valorizzazione,
ma che comporta rilevanti problematiche legate alla conservazione del bene
nel suo contesto naturale.
Altri interventi di valorizzazione tipizzati dalla legislazione riguardano la
promozione di attività di studio e ricerca, le sponsorizzazioni e gli accordi
con le fondazioni bancarie (artt. 118-120, d.lgs. 42/2004, su cui in/ra, par. 4 ).
Con riguardo alla diffusione della conoscenza, negli ultimi anni sono stati
fatti numerosi passi in avanti, soprattutto con riferimento all'educazione e
alla ricerca.

lnnanzirutto, vi sono due espresse previsioni del Codice dei beni culturali e del
paesaggio dedicate allo studio, alla ricerca e alla promozione della diffusione
della conoscenza.
L'articolo 118 stabilisce che il ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici
territoriali, anche con il concorso delle università e di altri soggetti pubblici e
privati, realizzano, promuovono e sostengono, anche congiuntamente, ricerche,
studi e altre attività conoscitive aventi a oggetto il patrimonio culturale. Inoltre,
al fine di garantire la raccolta e la diffusione sistematica dei risultati degli studi,
delle ricerche e delle attività svolte in collaborazione con le università o altri
soggetti pubblici e privati, il ministero e le Regioni possono stipulare accordi
per istituire, a livello regionale o interregionale, centri permanenti di studio e
documentazione del patrimonio culturale, prevedendo il concorso delle uni·
versità e di altri soggetti pubblici e privati.
L'articolo 119 prevede poi che il ministero può concludere accordi con i mi·
nisteri della Pubblica istruzione e dell'Università e della Ricerca, le Regioni
e gli altri enti pubblici territoriali interessati, per diffondere la conoscenza
del patrimonio culturale e favorirne la fruizione. Con tali accordi, i respon·
sa bili degli istituti e dei luoghi della cultura di cui all'articolo 10 l possono
stipulare apposite convenzioni con le università, le scuole di ogni ordine e
grado, appartenenti al sistema nazionale di istruzione, nonché con ogni altro
istituto di formazione, per l'elaborazione e l'attuazione di progetti formativi e
di aggiornamento, dei connessi percorsi didattici e per la predisposizione di
materiali e sussidi audiovisivi, destinati ai docenti e agli operatori didattici. I
percorsi, i materiali e i sussidi tengono conto della specificità dell'istituto di
formazione e delle eventuali particolari esigenze determinate dalla presenza
di persone con disabilità. Più di recente, la legge n. 127 del2015 e il relativo
decreto legislativo attuativo in materia di promozione della cultura umanistica
hanno ulteriormente rafforzato le modalità di collaborazione tra scuole e istituti
e luoghi della cultura.

li segnale più evidente della crescente attenzione data dallo Stato alla diffusone
della conoscenza del patrimonio culturale è rappresentato dalla istituzione,
nel20 14, di un'apposita direzione generale del ministero dedicata all'Educa-
zione e Ricerca e dalla creazione, nel2015, di un'apposita Scuola dei beni e
delle attività culturali e del turismo. Tra i compiti della direzione generale, si
208 CAPITOLO 4

segnala, in particolare, quello di predisporre ogni anno, d'intesa col Consiglio


superiore beni culturali e paesaggistici, un Piano nazionale per l'educazione
al patrimonio culturale che abbia a oggetto la conoscenza del patrimonio
stesso e della sua funzione civile. il Piano è attuato anche mediante apposite
convenzioni con le Regioni, gli enti locali, le università ed enti senza scopo
di lucro che operano nei settori di competenza del ministero (articolo 13,
d.p.c.m. 171/2014)
Quanto ai criteri adottati per differenziare il regime dell'attività di valorizza-
zione, se ne possono individuare due, entrambi legati alla distinzione tra sfera
pubblica e sfera privata. In primo luogo, occorre distinguere, come visto, il
momento dell'iniziativa, che può essere sia pubblica che privata.
In secondo luogo, si deve considerare il bene oggetto di intervento, in quanto,
la valorizzazione dei beni culturali può intervenire, da un lato, su beni di ap-
partenenza pubblica, dall'altro, su beni di proprietà privata. In quest'ultimo
caso, le relative attività e strutture, se a iniziativa privata, possono beneficiare
del sostegno pubblico; le misure di sostegno sono adottate tenendo conto della
rilevanza dei beni culturali ai quali si riferiscono (art. 113, d.lgs. 42/2004).
n carattere «con- Nella valorizzazione, la distinzione tra pubblico e privato, nelle diverse
sustanziale» della forme qui ricostruite, costituisce perciò un elemento «consustanziale» ai
distinzione pub- caratteri, allo svolgimento e all'organizzazione della funzione. In particolare,
blico/privato
se si considerano il regime proprietario e l'iniziativa e la loro influenza sulla
classificazione della funzione, nonché i profili organizzativi, può osservarsi
come la dicotomia pubblico-privato incida sulla valorizzazione con riferimento
a tre fattori: la materia, i soggetti, il regime giuridico.
Quanto alla materia, si è potuto vedere come pubblico e privato siano i termini
di riferimento per regolare l'ambito di intervento della funzione, che varia in
base al regime proprietario dei beni, ma anche all'iniziativa.
In merito ai soggetti, la loro natura pubblica o privata qualifica l'iniziativa e,
dunque, classifica l'attività. Ciò vale, in particolare, per la valorizzazione e per
i luoghi e gli istituti della cultura e il relativo servizio di fruizione.
Infine, circa il regime giuridico, gli elementi considerati danno vita a discipline
differenziate. Per esempio, le norme sulle forme di gestione si applicano alla
valorizzazione a iniziativa pubblica, restando owiamente libere le modalità di
organizzazione dell'attività a iniziativa privata (che comunque può beneficiare
del sostegno pubblico). Inoltre, come visto, l'iniziativa pubblica comporta
l'applicazione dei principi tipici della disciplina dei servizi pubblici. L' appar-
tenenza pubblica o la proprietà privata dei luoghi e degli istituti della cultura
consente, poi, di configurare rispettivamente un servizio pubblico o un servizio
privato di utilità sociale, con evidenti conseguenze sul regime giuridico e sul
riparto di giurisdizione. Da ultimo, sempre nelle forme di gestione, la dialettica
tra pubblico e privato opera con riferimento al regime giuridico dei moduli
organizzativi; non a caso, sotto questo aspetto, il settore dei beni culturali è
stato spesso preso ad esempio come ambito in cui si rinvengono in misura
accentuata i fenomeni della «esternalizzazione» e della c.d. privatizzazione
del diritto amministrativo [Cammelli 2002].
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 209

2.5. La valorizzazione del paesaggio: cenni e rinvio

Come anticipato, il vocabolo valorizzazione è stato adoperato, nella legisla-


zione, da principio con riguardo al turismo, al paesaggio o alle riserve naturali
o a tutti questi ambiti insieme.
In sede normativa, d'altra parte, le bellezze naturali sono poi state «trainate»
dalle cose d'arte. L'accostamento, però, non ha sempre giovato, soprattutto
con riguardo alla valorizzazione: quando, negli anni Sessanta, questo termine
fu affiancato alla tutela dei beni culturali, il paesaggio cominciò a passare in
secondo piano.

I risultati sono evidenti nel Codice: da un lato, basta contare gli articoli dedicati La disciplina del
alla valorizzazione dei beni culturali (30) e quelli dedicati alla valorizzazione del Codice
paesaggio e dei beni paesaggistici (pochi commi); dall'altro lato, è sufficiente
guardare le aggiunte progressivamente apportate nel2006 e nel2008 per col-
mare questa lacuna, a partire dali' articolo 6 sulla valorizzazione del patrimonio
culturale. Scienza giuridica e giurisprudenza hanno quindi trascurato questa
funzione, a favore di quella «gemella>> per i beni culturali [Severini 2006b;
Amorosino 2009; Ciaglia 2009; Casini 2016].
Proprio per rendere più espliciti i caratteri della valorizzazione del paesaggio,
nel2006-2008 si è dovuto chiarire nel Codice sia, all'art. 6, che «In riferimen·
to al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli
immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la
realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti e integrati»; sia, all'art. 131,
comma 5, che «[!]a valorizzazione del paesaggio concorre a promuovere lo
sviluppo della cultura. A tale fine le amministrazioni pubbliche promuovono
e sostengono, per quanto di rispettiva competenza, apposite attività di cono·
scenza, informazione e formazione, riqualificazione e fruizione del paesaggio
nonché, ove possibile, la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti e
integrati. La valorizzazione è attuata nel rispetto delle esigenze della tutela».
In sostanza, il Codice, da un lato, come visto, ha dotato la valorizzazione
dei beni culturali di mezzi, istituti e procedure (basti pensare agli accordi
di valorizzazione di cui all'art. 112 oppure alle sponsorizzazioni); dall'altro
lato, non ha però adeguatamente affinato le norme sulla valorizzazione del
paesaggio. Il vocabolo compare una manciata di volte e, di fatto, in contrap-
posizione alla tutela. Si pensi ai contenuti del piano, che, per le aree tutelate
. .a_kge determina «prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei
caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione»
(art. 143, comma l, lett. c, del Codice; si v. anche la lett. g, con riguardo a
contesti degradati).

Quando ci si riferisce al paesaggio, perciò, va necessariamente rivisto l'ap-


proccio «organizzativo» che si è progressivamente costruito per definire la
funzione di valorizzazione dei beni culturali (cioè le attività dirette alla «costi-
tuzione e organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa
a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali»:
art. 111, comma l, del Codice). Una concezione che mette al centro i servizi
210 (APITOL04

per il pubblico e tutto ciò che ruota intorno ai beni culturali: l'accento è così
più sul contenitore che sul contenuto.
Per il paesaggio, come si vedrà meglio più avanti (cap. 5), questo non è
possibile, perché non vi è intervento su di esso che non lo modifichi. La va-
lorizzazione recupera, in tal modo, un significato diverso e, per alcuni aspetti,
simile a quello di «restauro». Di conseguenza, la valorizzazione del paesaggio
è sì una operazione di ripristino, come la riqualificazione di contesti degra-
dati, come è anche un intervento che «crea» nuovi valori paesaggistici; ma è
altresì attività diretta ad assicurare la fruizione e l'uso. Sotto questo profilo,
la realizzazione di itinerari ciclabili o di passeggiate o di vie tematiche è forse
tra gli esempi più noti.
-------- non può che riguardare diretta-
Le caratteristiche Se, quindi, la valorizzazione del paesaggio
della funzione di mente il suo oggetto- diversamente dal caso dei beni culturali, in cui essa può
valorizzazione del anche agire in via indiretta, come nei servizi aggiuntivi (la Corte costituzionale
paesaggio
lo ha messo in evidenza già nella sentenza 9 del 2004) - quel che occorre
davvero ripensare è la funzione di tutela. Nel paesaggio, la valorizzazione è
in molti casi in sé stessa già una forma di tutela, o di restauro, che in aggiunta
deve commisurarsi con tutti gli altri interessi pubblici e privati che gravano
sul territorio (cap. 4 ).
Il fine della funzione di valorizzazione del paesaggio, allora, è ripristinare,
aggiungere, far fruire: dunque trasformare. Una trasformazione che dovrà
cambiare in base alla materia, ossia all'oggetto della funzione stessa. La
valorizzazione del paesaggio presenta così caratteristiche diverse a seconda
del tipo di bene considerato: per le bellezze naturali, sarà più simile per
certi versi a quanto si verifica per i beni culturali; per le aree tutelate ex lege,
sarà per taluni aspetti simile a una disciplina urbanistica oppure del tutto
assente, in modo analogo alla tutela integrale prevista nelle aree naturali
protette; per tutto il resto del territorio, si avrà una valorizzazione di tipo
sostanzialmente urbanistico lasciata all'iniziativa delle singole Regioni e dei
Comuni (cap. 5).
In conclusione, tre sono gli aspetti centrali della valorizzazione del paesaggio
che vanno qui segnalati.
Primo, si tratta di una funzione che, ancor più che per i beni culturali, non
può prescindere dalle specificità del suo oggetto: se il paesaggio è percezione
del territorio, la sua tutela implica in sé un elemento di fruizione e, dunque,
di valorizzazione. Secondo, vi è una connessione inscindibile tra tutela e
valorizzazione del paesaggio, in misura maggiore rispetto a quanto si verifica
per i beni culturali: basti pensare ai siti Unesco (in/ra, par. 3.7). Terzo, vi è
ancora un ritardo del legislatore statale nel dotare questa funzione di mezzi,
istituti e procedure, che appaiono troppo legati a una politica di sola tutela.
Sotto questo ultimo profilo, le Regioni sono andate molto più avanti, ma in-
contrano un forte limite nel fatto che esse operano su aree non riconosciute
come beni paesaggistici (e dunque assoggettate alla disciplina prevista per i
vincoli urbanistici indennizzabili).
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 211

2.6. la cooperazione tra pubblici poteri e il difficile sistema degli


accordi

n riparto di competenze in materia di valorizzazione presuppone, come visto,


la leale cooperazione tra i pubblici poteri.
Per questa ragione, l'art. 112 del Codice, relativo alla valorizzazione dei beni
culturali di appartenenza pubblica, prevede un complesso sistema finalizzato
ad agevolare la cooperazione tra Stato, Regioni ed enti locali, nonché di
favorire soluzioni organizzative più efficaci.

In particolare, l'articolo 112, comma 4, del Codice stabilisce che Stato, Regioni e
altri enti territoriali, tramite accordi, oltre a definire strategie e obiettivi comuni
di valorizzazione, elaborano i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale
e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. Inoltre, gli
accordi possono essere conclusi su base regionale o subregionale, in rapporto ad
ambiti territoriali definiti, e promuovono altresì l'integrazione, nel processo di
valorizzazione concordato, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati.
Il comma 5 prevede che l'elaborazione e lo sviluppo dei piani strategici di svi-
luppo culturale possano essere affidati ad appositi soggetti giuridici, costituiti
dallo Stato, per il tramite del ministero e delle altre amministrazioni statali
eventualmente competenti, dalle Regioni e dagli altri enti pubblici territoriali.
A questi soggetti - che possono denominarsi «organismi per la valorizzazio-
ne)) - possono partecipare privati proprietari di beni culturali suscettibili di
essere oggetto di valorizzazione, nonché persone giuridiche private senza fine
di lucro, anche quando non dispongano di beni culturali che siano oggetto
della valorizzazione, a condizione che l'intervento in tale settore di attività sia
per esse previsto dalla legge o dallo statuto. Con apposito decreto del mini-
stro, purtroppo mai emanato, sono definiti modalità e criteri in base ai quali il
ministero costituisce questi soggetti giuridici o vi partecipa.
Inoltre, anche indipendentemente dagli accordi previsti dall'art. 112, comma 4,
possono essere stipulati accordi tra lo Stato, per il tramite del ministero e delle
altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le Regioni, gli altri enti
pubblici territoriali e i privati interessati, per regolare servizi strumentali comuni
destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali; con gli accordi
medesimi possono essere anche istituite forme consortili non imprenditoriali
per la gestione di uffici comuni (articolo 112, comma 9, del Codice).

Rispetto alla sua versione originaria, l'art. 112 del Codice è stato quindi mo-
dificato e aggiornato lungo tre direttrici.
lnnanzitutto, è stato con il tempo affinato e arricchito il sistema degli accordi Il sistema degli
tra soggetti pubblici; tali accordi, infatti, possono avere un ambito di applica- accordi
zione più ristretto (sub-regionale e non solo regionale, come era previsto in
precedenza) e si presentano più definiti nei contenuti (vi è il riferimento ad
appositi piani strategici di sviluppo culturale) e nelle finalità.
Inoltre, è stata prevista un'apposita soluzione organizzativa per lo svolgimento
delle attività di valorizzazione: è il caso degli organismi per la valorizzazione,
ossia i soggetti giuridici contemplati dall'art. 112, comma 5, costituiti da Stato,
212 CAPITOLO 4

Regioni e altri enti territoriali. Questi organismi sembrano richiamare la figura


francese delle agences d' urbanisme, ossia «organismes de réflexion et d' études»
creati da Comuni, collettività territoriali o altri soggetti che contribuiscono
alla gestione e allo sviluppo del proprio territorio; ma l'inserimento degli
organismi per la valorizzazione nell'ambito della programmazione e la loro
composizione mista pubblico-privato evocano anche altri precedenti, come per
esempio i soggetti intermediari locali previsti nell'ambito della realizzazione
di interventi finanziati con i fondi strutturali comunitari.

La scelta di prevedere appositi soggetti cui affidare compiti di valorizzazione non


è di per sé una soluzione originale, ma lo diviene se inserita in un nuovo assetto
di cooperazione, pianificazione e gestione per lo svolgimento di questa funzione
amministrativa. Sotto questo profilo, infatti, gli organismi per la valorizzazione
si innestano in una sequenza costituita da tre diverse fasi: la fase strategica, in
cui sono definiti gli accordi tra i diversi soggetti pubblici (ed eventuali privati);
la fase programmatoria, in cui sono elaborati i piani di sviluppo culturale; la
fase gestionale, in cui si ricorre alle forme previste dall'art. 115 del Codice.
Ora, in questo contesto, gli organismi per la valorizzazione sono destinati ad
assolvere un ruolo fondamentale nella fase programmatoria e, inoltre, possono
partecipare alla fase gestionale (non a caso è nell'art. 115, relativo alle forme di
gestione, che si trovano altre disposizioni riguardanti questi soggetti) (cap. 6).

Il coinvolgimento Infine, sono state ampliate le ipotesi di coinvolgimento dei privati: questi
dei privati possono partecipare non solo agli accordi, ma anche alla costituzione degli
organismi per la valorizzazione, nonché agli accordi per lo svolgimento di
servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione dei beni
culturali. Differenti, però, le modalità di partecipazione: per quanto riguarda
gli accordi, ai privati proprietari di beni eventualmente inclusi nella sfera di
operatività degli interventi programmati di valorizzazione, è richiesto solo il
consenso (essi, dunque, non partecipano formalmente agli accordi); nel caso
degli organismi per la valorizzazione, invece, possono partecipare tanto i pri-
vati proprietari dei beni oggetto di intervento, quanto altri enti senza scopo
di lucro, purché l'iniziativa rientri nei loro fini statutari; infine, nell'ipotesi di
servizi strumentali, possono partecipare tutti i privati interessati.
L'attuazione delle disposizioni sugli accordi previste dal Codice si è rilevata
particolarmente difficile e complessa (cap. 6). Pochi sono stati infatti gli
accordi di valorizzazione, seppur con un incremento negli ultimi anni (si se-
gnalano, tra gli altri, quelli relativi a Venaria Reale, alla Villa Reale di Monza,
alla Reggia di Carditello, all'area archeologica centrale di Roma). L'assenza
del previsto decreto attuativo, inoltre, ha di fatto impedito la formazione dei
c.d. organismi per la valorizzazione. In aggiunta, la cronica diffidenza verso
il privato ha reso non semplice il coinvolgimento di associazioni o fondazioni
nella gestione di siti culturali. Un tentativo al riguardo è stato il bando per
la concessione in uso a privati di beni immobili del demanio culturale dello
stato non aperti alla fruizione pubblica o non adeguatamente valorizzati,
pubblicato dal ministero alla fine del2016, mediante il quale sono stati offerti
alla gestione di enti no profit 13 siti culturali di proprietà statale.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 213

2.7. Gli interventi fmanziari

Tra gli strumenti per assicurare la valorizzazione del patrimonio culturale,


infine, vi sono naturalmente quelli di tipo finanziario. Questi possono essere di
varia natura, ivi inclusa fiscale, in quanto l'introduzione di una nuova agevola-
zione comporta comunque un onere per lo Stato in termini di minore gettito.
In questa sede, rilevano in particolare i programmi o le iniziative dirette a
finanziare interventi per la valorizzazione del patrimonio culturale, come ad
esempio i programmi europei. In ambito nazionale, si segnalano due strumenti,
entrambi introdotti con l'articolo 7 del decreto legge 31 maggio 2014, n. 83,
convertito con modificazioni nella legge 29luglio 2014, n. 106.
Il primo è il Piano strategico <<Grandi Progetti Beni culturali)), con cui sono I Grandi Progetti
individuati beni o si ti di eccezionale interesse culturale e di rilevanza nazionale
per i quali sia necessario e urgente realizzare interventi organici di tutela,
riqualificazione, valorizzazione e promozione culturale, anche a fini turistici.
Il Piano è adottato con decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali
e del Turismo, sentiti il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici
e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, e successive modificazioni, entro il31 dicembre di ogni anno.
Per l'attuazione degli interventi del Piano strategico «Grandi Progetti Beni
culturali» sono ora previsti 65 milioni di euro annui.
Il secondo è il programma per la Capitale italiana della cultura. In base a tale La Capitale ita-
iniziativa, il Consiglio dei ministri conferisce annualmente il titolo di «Capitale liana della cultura
italiana della cultura» a una città italiana, sulla base di un'apposita procedura di
selezione definita con decreto del ministro dei Beni e delle Attività culturali e
del Turismo, previa intesa in sede di Conferenza unificata. I progetti presentati
dalla città designata «Capitale italiana della cultura» al fine di incrementare
la fruizione del patrimonio culturale materiale e immateriale hanno natura
strategica di rilievo nazionale ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 31
maggio 2011, n. 88, e sono finanziati a valere sulla quota nazionale del Fondo
per lo sviluppo e la coesione, programmazione 2014-2020, di cui all'articolo
l, comma 6, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, nel limite di un milione di
euro per ciascuno degli anni 2015, 2016, 2017, 2018 e 2020.

Per l'anno 2015, sono state selezionate come Capitali italiane della cultura, ex ae-
quo, le città finaliste della competizione Capitale europea della cultura 2019 (vinta
da Matera), ossia Ravenna, Cagliari, Lecce, Perugia e Siena. Per il2016, Capitale
italiana della cultura è stata Mantova, per il2017, Pistoia; per il2018, Palermo.

3. lA FRUIZIONE E lA GESTIONE
3.1. Fruizione pubblica e fruizione individuale

La fruizione, come anticipato, riceve, nel Codice, un'autonoma disciplina,


seppur insieme con la funzione di valorizzazione. Le modalità di riparto delle
214 (APITOL04

competenze in materia di fruizione, sia legislative che amministrative, sono,


come visto, le medesime stabilite per la valorizzazione (si v. supra 1.3 ). Dalla
struttura e dai contenuti del Codice, traspare, quindi, la scelta di regolare la
fruizione e la valorizzazione in modo analogo, con previsioni simili, quando
non identiche, ma collocate in articoli- e in capi- separati. Tale impostazione
ha l'indubbio vantaggio di porre in primo piano il godimento pubblico dei
beni culturali, elevando a funzione un elemento di questa, ossia il fine, anche
se la fruizione si presenta essenzialmente come un servizio; e in tali termini è
contemplata, peraltro, da altre disposizioni del Codice (art. 101).
Le tipologie di Quanto alle tipologie di fruizione, si può distinguere tra una fruizione pub-
fruizione blica e una fruizione (o uso) individuale dei beni culturali. Nel caso degli
archivi, assoggettati a una specifica disciplina connessa anche alla tutela della
riservatezza, si ricorre all'espressione consultabilità (le relative disposizioni
sono agli articoli 122-127 del Codice).

Il Codice differenzia la fruizione dei beni culturali di appartenenza pubblica


da quella di beni culturali di proprietà privata (artt. 102-104, d.lgs. 42/2004).
I primi sono espressamente destinati alla fruizione della collettività «compati-
bilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni
di tutela» (art. 2, comma 4, d.lgs. 42/2004); i beni di proprietà privata, invece,
possono essere assoggettati a visita pubblica solo in casi eccezionali. Infine, il
Codice fissa i principi in materia di accesso agli istituti e ai luoghi pubblici della
cultura (art. 103, d.lgs. 42/2004; per es. è gratuito l'accesso alle biblioteche e
agli archivi per finalità di lettura, studio e ricerca).

Il biglietto di in- Di particolare interesse è la disciplina del biglietto di ingresso a monumenti,


gresso musei, gallerie, scavi di antichità, parchi e giardini monumentali dello Stato.
Essa è dettata da un apposito regolamento, il decreto del ministro per i Beni
culturali e ambientali (ora Mibact) 507 del1997, che, in attuazione della legge
78 del 1997, ha istituito il biglietto in luogo della previgente tassa di cui a
un regio decreto del1885 [Ricco 2011]. n decreto 507 del1997, che elenca
anche le categorie di soggetti esentati dal pagamento- come i giovani under
18 -e regola le modalità con cui i direttori degli istituti possono stabilire
l'importo del biglietto, è stato aggiornato nel2014 e nel2016. Tra le novità
introdotte, si segnala la non più prevista gratuità per i visitatori over 65enni,
l'inclusione in pianta stabile del personale docente della scuola tra le categorie
escluse dal pagamento e la previsione dell'ingresso libero per tutti ogni prima
domenica del mese.

Apenure al pub- A completamento delle regole sui criteri di accesso agli istituti e ai luoghi della
blico e vigilanza cultura statali, occorre menzionare il decreto del ministro dei Beni e delle At-
tività culturali e del Turismo 30 giugno 2016, recante «Criteri per l'apertura al
pubblico, la vigilanza e la sicurezza dei musei e dei luoghi della cultura statali>>.
L'articolo l di tale decreto, abrogando il precedente atto del1993, stabilisce che
i musei e i luoghi della cultura dello Stato, ivi inclusi i monumenti, le gallerie, le
aree e i parchi archeologici, i parchi, le ville e i giardini, sono aperti, di regola,
tutti i giorni feriali e festivi, a eccezione del l o gennaio e del25 dicembre, e fatta
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 21 5

comunque salva la possibilità di prevedere, in ragione di particolari esigenze di


buon andamento, un giorno di chiusura infrasettimanale. I musei e i luoghi della
cultura dello Stato sono aperti, di regola, per undici ore al giorno, in conformità
con la contrattazione integrativa di ministero. L'orario di apertura di musei,
monumenti e gallerie è di regola, dalle ore 9:00 alle ore 20:00. Le aree e i parchi
archeologici, i parchi, le ville e i giardini sono visitabili, di regola, dalle ore 9:00
a un'ora prima del tramonto. Il decreto prevede poi meccanismi di flessibilità
per assicurare anche orari, al fine di assicurare una più ampia fruizione.
La disciplina, peraltro, è soggetta al principio di non discriminazione tra
cittadini europei. Sul punto, una nota decisione della Corte di giustizia Ue
ha riguardato proprio l'Italia. In quell'occasione, la Corte ha precisato che
«Riservando agevolazioni tariffarie discriminatorie per l'ingresso ai musei,
monumenti, gallerie, scavi archeologici, parchi e giardini monumentali pubblici,
concesse da enti locali o decentrati dello Stato, unicamente ai cittadini italiani
o alle persone residenti nel territorio dei detti enti locali che gestiscono i beni
culturali di cui trattasi di età superiore ai sessanta o ai sessantacinque anni, ed
escludendo da tali agevolazioni i turisti cittadini di altri Stati membri o i non
residenti che soddisfano le stesse condizioni oggettive di età, la Repubblica
italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 12 Ce
e 49 Ce)) (Corte di giustizia Ue, 16 gennaio 2003, case C-388/01, Commission
o/ the European Communities v. Italian Republic).

Con riguardo alla &uizione (uso) individuale, il Codice (art. 106) stabilisce,
innanzitutto, che lo Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali pos-
sono concedere l'uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità
compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Per i beni
in consegna al ministero, quest'ultimo determina il canone dovuto e adotta
il relativo provvedimento. Per gli altri beni, invece, la concessione in uso è
subordinata all'autorizzazione del ministero, rilasciata a condizione che il
conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e
sia assicurata la compatibilità della destinazione d'uso con il carattere storico-
artistico del bene medesimo. Con l'autorizzazione possono essere dettate
prescrizioni per la migliore conservazione del bene.
La riproduzione di beni culturali che consista nel trarre calchi, per contatto, La riproduzione
dagli originali di sculture e di opere a rilievo in genere, di qualunque materiale
tali beni siano fatti, è di regola vietata (art. l 07 del Codice). Questa riproduzione
è consentita solo in via eccezionale e nel rispetto delle modalità stabilite con
apposito decreto ministeriale. Sono invece consentiti, previa autorizzazione
del soprintendente, i calchi da copie degli originali già esistenti nonché quelli
ottenuti con tecniche che escludano il contatto diretto con l'originale. Nelle
altre ipotesi, il ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono
consentire la riproduzione, nonché l'uso strumentale e precario, dei beni
culturali che abbiano in consegna, comunque nel rispetto dei diritti d'autore.
TI Codice, inoltre, regola anche i canoni di concessione e i corrispettivi con·
nessi alle riproduzioni di beni culturali (art. 108). Questi sono determinati
dali' autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto: a) del carattere
delle attività cui si riferiscono le concessioni d'uso; b) dei mezzi e delle modalità
di esecuzione delle riproduzioni; c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli
216 CAPITOLO 4

spazi e dei beni; d) dell'uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei
benefici economici che ne derivano al richiedente. I canoni e i corrispettivi
sono corrisposti, di regola, in via anticipata. Nessun canone è dovuto per le
riproduzioni richieste da privati per uso personale o per motivi di studio,
ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché
attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso
delle spese sostenute dall'amministrazione concedente.
Infine, quanto alla riproduzione, nel 2014 sono state rese libere una serie di
ipotesi, essenzialmente legate all'ormai diffuso uso personale di smartphone e
fotocamere digitali negli istituti e nei luoghi della cultura (talora eccessivo, se
si pensa alle polemiche per l'uso del c.d. sel/ie-stick). Si tratta delle seguenti
attività svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera mani-
festazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza
del patrimonio culturale: l) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni
bibliografici e archivistici attuata con modalità che non comportino alcun
contatto fisico con il bene, né l'esposizione dello stesso a sorgenti luminose
né, all'interno degli istituti della cultura, né l'uso di stativi o treppiedi; 2) la
divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legitti-
mamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a
scopo di lucro, neanche indiretto.
Neanche tali novità sono bastate, però, ad adeguare la normativa in materia di
fruizione e uso individuale alle innovazioni derivanti dalla tecnologia digitale.
D'altra parte, l'impianto legislativo in materia sconta ancora un ritardo sotto
questo profilo, specialmente se si considera l'ambito dei beni archivistici e
librari, dove I' attuazione della direttiva sul riutilizzo dei dati nel settore pub-
blico, a opera del d.lgs. n. 102 del 2015 e dei decreti ivi previsti, dovrebbe
auspicabilmente migliorare le modalità di consultazione. Inoltre, con il d.d.l.
S. 2085-B sono state previste ulteriori forme di liberalizzazione.
La Digita! library Da ultimo, quanto alle iniziative dirette alla digitalizzazione del patrimonio
culturale, anche al fine di migliorarne la fruizione, deve essere menzionata
l'istituzione di un apposito servizio presso l'Istituto centrale per il catalogo
e la documentazione (lccd) del ministero, denominato Servizio per la digita-
lizzazione del patrimonio culturale- Digitallibrary (decreto del ministro dei
Beni e delle Attività culturali e del Turismo 23 gennaio 2017). La struttura
ha il compito di assicurare il coordinamento di tutti i programmi di digitaliz-
zazione del patrimonio culturale di competenza del ministero medesimo, nel
contesto di un Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale.

3.2. La gestione degli istituti e dei luoghi della cultura

Per quel che attiene ai luoghi e agli istituti della cultura, con tale espressione si
indicano i musei, le aree archeologiche e i parchi archeologici, le biblioteche,
gli archivi e i complessi monumentali.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 217

Ai sensi dell'articolo 101, comma 2, del d.lgs. n. 42 del2004, si intende per: a) Istituti e luoghi
<<museo», una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed della cultura
espone beni culturali per finalità di educazione e di studio; b) «biblioteca», una
struttura permanente che raccoglie, cataloga e conserva un insieme organizzato
di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque
supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo
studio; c) «archivio», una struttura permanente che raccoglie, inventaria e
conserva documenti originali di interesse storico e ne assicura la consultazione
per finalità di studio e di ricerca; d) «area archeologica», un sito caratterizzato
dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici
o di età antica; e) «parco archeologico», un ambito territoriale caratterizzato
da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici,
paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all'aperto; f) «complesso
monumentale», un insieme formato da una pluralità di fabbricati edificati
anche in epoche diverse, che con il tempo hanno acquisito, come insieme,
un'autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica.

Il Codice, come visto, traccia innanzi tutto una distinzione, tra questi istituti, A p parte n enza
fondata sulla dicotomia pubblico-privato: se sono appartenenti a soggetti pubblica/privata
pubblici, essi sono destinati «alla pubblica fruizione ed espletano un servizio
pubblico» (art. 101, c. 3, d.lgs. 42/2004); se, invece, sono appartenenti a sog-
getti privati, e sono aperti al pubblico, essi «espletano un servizio privato di
utilità sociale» (art. 101, c. 4, d.lgs. 42/2004). In merito a tale ultimo aspetto,
la distinzione prospettata appare utile nell'ottica di applicare differenti regimi
giuridici agli istituti culturali pubblici e a quelli privati, ma solleva alcune per-
plessità: viene usata, infatti, una nozione di servizio pubblico intesa in senso
esclusivamente soggettivo, poiché una prestazione dai medesimi contenuti
assume, a seconda della natura giuridica del titolare del servizio, connotati
pubblici o privati (sul punto, si rinvia al capitolo sui servizi pubblici). Infine,
la linea di distinzione tracciata dalla disposizione è netta solamente in teoria,
in quanto nella prassi può essere assai difficile determinare la pubblicità o
meno dell'istituto culturale; al riguardo, sembra da accogliere l'interpretazione
che identifica il regime giuridico di un museo in base alla natura del soggetto
cui appartengono i beni in esso custoditi.

Questa distinzione ha trovato applicazione anche nella disciplina sull'esercizio La fruizione come
del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei servizio pubblico
diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui alla legge n. 146 del essenziale
1990. Il d.l. 146 del2015, conv. nella legge 182 del2015, infatti, nell'inserire
«l'apertura al pubblico di istituti e luoghi della cultura» tra i servizi pubblici
essenziali indicati dalla citata legge 146 del1990, ha fatto esclusivo riferimento
a quelli di appartenenza pubblica di cui all'art. 101, comma 3, del Codice [Zoli,
2015; Piperata 2015]. In sede di conversione in legge del decreto, peraltro,
è stata inserita una disposizione particolarmente rilevante (articolo 01), che
va ben al di là dello sciopero, in base alla quale «In attuazione dell'articolo
9 della Costituzione, la tutela, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio
culturale sono attività che rientrano tra i livelli essenziali delle prestazioni di
cui all'articolo 117, comma 2, lett. m, della Costituzione, nel rispetto degli sta-
218 CAPITOLO 4

tuti delle Regioni ad autonomia speciale e delle province autonome di Trento


e di Bolzano e delle relative norme di attuazione». È una norma di principio,
molto importante, i cui concreti effetti - ivi inclusa la sua riconducibilità alla
disciplina in materia di federalismo fiscale - saranno misurabili solamente tra
qualche anno. Inoltre, la previsione andrà evidentemente coordinata con quanto
stabilito dall'articolo 114 del Codice, in base al quale il ministero, le Regioni e
gli altri enti pubblici territoriali, anche con il concorso delle università, fissano
i liveUi minimi uniformi di qualità delle attività di valorizzazione su beni di
pertinenza pubblica e ne curano l'aggiornamento periodico.

I musei statali La disciplina dei musei in Italia, come visto (v. supra, cap. 2), è stata inte-
ramente riconsiderata nel 2014, quando il d.l. n. 83 del 2014, convertito
nella legge n. 106 del2014, ha previsto che, al fine di adeguare l'Italia agli
standard internazionali in materia di musei e di migliorare la promozione
dello sviluppo della cultura, anche sotto il profilo dell'innovazione tec-
nologica e digitale, potessero essere individuati i poli museali e gli istituti
della cultura statali di rilevante interesse nazionale che costituiscono uffici
di livello dirigenziale [Ferrara, Lucarelli e Savy 2017; Forte 2015; Cavalieri
2015; Amorosino 2015]. In conseguenza di tale previsione, ben 30 istituti
hanno ottenuto lo stato di uffici dirigenziali; ogni museo A è dotato di
un proprio statuto, in conformità con quanto previsto dall'International
Council of Museums (Icom). I relativi incarichi, come visto (v. cap. 2), pos-
sono essere conferiti, con procedure di selezione pubblica internazionale,
per una durata da tre a cinque anni, a persone di particolare e comprovata
qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni
culturali e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella
gestione di istituti e luoghi della cultura, anche in deroga ai contingenti di
cui all'art. 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, e comunque nei limiti delle dotazioni finanziarie
destinate a legislazione vigente al personale dirigenziale del ministero. La
durata di tali incarichi è stata fissata in quattro anni e i direttori, nel caso
abbiano ricevuto una valutazione positiva del loro operato, possono essere
confermati, per una sola volta, per altri quattro anni (articolo 22, decreto
legge n. 50 del2017).
La riforma del2014 ha agito innanzitutto lungo due principali linee di azione:
la creazione di un sistema museale nazionale e il riconoscimento di maggiore
autonomia agli istituti.
Il sistema museale In primo luogo, è stata costituita una direzione generale centrale, dotata di
nazionale articolazioni periferiche su tutto il territorio nazionale, dedicata ai musei. Si
tratta, rispettivamente, della direzione generale Musei e dei Poli museali
regionali.

La direzione generale cura- come l'omologa struttura francese -le collezioni


dei musei e dei luoghi della cultura statali, con riferimento alle politiche di
acquisizione, prestito, catalogazione, fruizione e valorizzazione; sovraintende
al sistema museale nazionale e coordina i Poli museali regionali; svolge altresì
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 219

funzioni e compiti di valorizzazione del patrimonio culturale con riguardo


a tutti gli istituti e luoghi della cultura che siano di pertinenza dello Stato o
costituiti dallo Stato. La direzione è articolata in due servizi dirigenziali, anche
questi ispirati al modello francese: il primo competente sugli affari generali e
sulle collezioni (occupandosi di prestiti e acquisti, ad esempio); il secondo sulla
gestione e sulla valorizzazione dei musei e dei luoghi della cultura.
I Poli museali regionali, articolazioni della direzione generale Musei (e dunque
i dirigenti dei Poli sono nominati dal relativo direttore generale), assicurano sul
territorio l'espletamento del servizio pubblico di fruizione e di valorizzazione
degli istituti e dei luoghi della cultura in consegna allo Stato o allo Stato comun-
que affidati in gestione, prowedendo a definire strategie e obiettivi comuni di
valorizzazione, in rapporto ali' ambito territoriale di competenza, e promuovono
l'integrazione dei percorsi culturali di fruizione, nonché dei conseguenti itinerari
turistico-culturali (articolo 34 del d.p.c.m. n. 171 del2014).

In secondo luogo, sono stati riconosciuti come istituti autonomi ed elevati


a uffici dirigenziali 30 strutture (più i 2 parchi archeologici di Pompei e del
Colosseo), scelte in base a più criteri (numero di visitatori, superficie espositiva,
consistenza delle collezioni, potenzialità di sviluppo): 8 di livello dirigenziale
generale (più 2 contando Pompei e il Colosseo); 22 di livello dirigenziale non
generale. In passato, ciò si era verificato solamente per casi isolati (il Museo
Pigorini o la soprintendenza della Galleria nazionale d'arte moderna di Roma,
ad esempio, dove vi era un dirigente).
I musei statali, da «oggetti», sono finalmente divenuti «soggetti>), perché
l'attenzione normativa è stata posta innanzitutto sugli istituti. Lo conferma
l'articolo 35 del regolamento, in base al quale, riprendendo la definizione
dell'Icom, i musei «sono istituzioni permanenti, senza scopo di lucro, al servizio
della società e del suo sviluppo. Sono aperti al pubblico e compiono ricerche
che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo
ambiente; le acquisiscono, le conservano, le comunicano e le espongono a fini
di studio, educazione e diletto)).lnoltre, il successivo d.m. 23 novembre 2014 ha
aggiunto a questa definizione, in coda, «promuovendone la conoscenza presso
il pubblico e la comunità scientificiD): una ulteriore conferma del progetto di
attuare pienamente il dettato dell'articolo 9 della Costituzione.
I musei, inoltre, sempre ai sensi dell'articolo 35 del d.p.c.m. n. 171 del2014,
«sono dotati di autonomia tecnico-scientifica e svolgono funzioni di tutela e
valorizzazione delle raccolte in loro consegna, assicurandone la pubblica frui-
zione. I musei sono dotati di un proprio statuto e possono sottoscrivere, anche
per fini di didattica, convenzioni con enti pubblici e istituti di studio e ricerca)).
Sotto questo profilo, l'Italia ha preso come modello il concetto e la missione
di museo elaborati dall'Icom: nessun tentativo di trapiantare modelli stranieri,
ma solamente l'obiettivo di rendere i musei statali italiani riconoscibili come
istituzioni in base agli standard museali internazionali Ualla, 2000].

Con specifico riguardo alla gestione degli istituti e dei luoghi della cultura
statali, un aspetto centrale è quello delle risorse finanziarie. Il Codice prevede
(articolo 110), in particolare, che i proventi derivanti dalla vendita dei biglietti
220 CAPITOLO 4

di ingresso agli istituti e ai luoghi della cultura, nonché dai canoni di conces-
sione e dai corrispettivi per la riproduzione dei beni culturali, siano versati ai
soggetti pubblici cui gli istituti, i luoghi o i singoli beni appartengono o sono
in consegna, in conformità alle rispettive disposizioni di contabilità pubblica.
Solamente dal2014, in realtà, i proventi degli istituti e dei luoghi della cultura
statali restano o sono riassegnati a quelli che li hanno effettivamente prodotti.
In precedenza, tali introiti erano versati direttamente all'erario.
Il Fondo di soli- Oggi, dunque, quanto incassato da un museo o sito statale sarà effettivamente
darietà nazionale destinato a quest'ultimo. Inoltre, al fine di razionalizzare e rendere più traspa-
rente ed efficiente la distribuzione delle risorse, con il decreto del ministro dei
Beni e delle Attività culturali 19 ottobre 2015, recante «Sostegno degli istituti
e dei luoghi della cultura statale», è stato previsto un apposito Fondo di soli-
darietà nazionale, alimentato di base con una quota del20% degli incassi da
bigliettazione provenienti da ciascun istituto o luogo della cultura statale. In
questo modo, il ministero può procedere a un riequilibrio finanziario dei siti
eventualmente in difficoltà.
I dati del2016, peraltro, hanno evidenziato risultati molto positivi in termini di
visitatori e, conseguentemente, di introiti per lo Stato: 44,5 milioni di ingressi
nei luoghi della cultura statali con oltre 172 milioni di euro, con un incremento
rispettivamente del 4% e del 12% rispetto al 2015. Si tratta del terzo anno
consecutivo di crescita per i musei statali che da 38 milioni di biglietti nel2013
sono passati a 44,5 milioni nel2016: 6 milioni di visitatori in più in un triennio
che rappresentano un incremento del 15% nel periodo considerato, con un
incremento degli incassi di 45 milioni di euro.

3.3. I modelli organizzativi

La riforma dei musei statali del2014, come anticipato (cap. 2), ha previsto
diversi modelli organizzativi per gli istituti e i luoghi della cultura statali.
Con riguardo ai musei, vi sono tre principali ipotesi: il museo-ufficio; il
museo-ufficio dirigenziale dotato di autonomia speciale; il museo-fondazione
[Sciullo 2015a; Forte 2015].
Ai Poli museali regionali, in quanto uffici cui afferiscono più istituti, da ge-
stire in forma singola o integrata, compete invece, come anticipato, il ruolo
strategico di preservare i caratteri peculiari del patrimonio culturale italiano
e delle sue collezioni museali. L'intento è quello di favorire la creazione di
sistemi misti, costituiti da musei statali, di altre amministrazioni e di privati. In
questo modo potrà essere assicurata la fruizione del museo-territorio italiano.
Il direttore del Polo museale è infatti chiamato a coordinare i diversi musei
a esso afferenti, alcuni dei quali in futuro potranno eventualmente anche
divenire istituti autonomi. Grazie all'azione della direzione generale Musei e
di Poli museali regionali, dunque, dovrà procedersi all'attivazione del sistema
museale nazionale. Tale sistema, mutuando l'esperienza di altri Paesi, come
la Francia e il Regno Unito, dovrebbe assicurare adeguati meccanismi di
accreditamento, valutazione e monitoraggio, basati sull'adozione di standard
minimi e procedure condivise tra lo Stato e le Regioni.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 221

n primo modello organizzativo è quello dei musei in quanto tali che, a parte Il museo come
quelli dotati di autonomia speciale, restano uffici non dirigenziali dei Poli istituzione
museali regionali. L'autonomia tecnico-scientifica di queste strutture è stata
espressamente riconosciuta. n d.m. 23 dicembre 2014, riprendendo la defi-
nizione dell'Icom, ha imposto, per questi musei come per quelli dirigenziali,
l'approvazione sia di uno statuto, sia di un documento di trasparenza contabile.
Soprattutto, ogni museo ha un direttore - in questo caso un funzionario con
incarico ad hoc- e sono previste aree funzionali, ognuna assegnata a una o più
unità di personale responsabile, quali cura e gestione delle collezioni, studio,
didattica e ricerca, marketing,fundraising, servizi e rapporti con il pubblico; am-
ministrazione, finanze, gestione delle risorse umane e delle relazioni pubbliche;
strutture, allestimenti e sicurezza. Tutto ciò in coerenza con il d.m. 10 maggio
2001, recante «Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard
di funzionamento e sviluppo dei musei» e con gli standard elaborati dall'Icom.
nsecondo modello è quello dei musei (e parchi archeologici) con autonomia Gli istituti dotati
speciale, dotati di status dirigenziale, sopra esaminata (cap. 2). Con specifico di autonomia spe·
riguardo alla gestione di tali istituti, può qui aggiungersi che si tratta di una ci aie
soluzione sperimentata sin dal1997, per la soprintendenza speciale di Pompei,
e che rappresenta nella sostanza la massima forma di autonomia configurabile
per uffici che rimangano, allo stesso tempo, uffici dirigenziali di un ministero.
Gli istituti dotati di autonomia speciale non sono enti pubblici, perché restano
privi della personalità giuridica e rimangono strutture del ministero, al pari di
ogni altro ufficio dello stesso. Da ciò deriva anche il fatto che le spese per il
personale sono comunque pagate dal ministero e neanche figurano nel bilancio
dei singoli istituti. È evidente, perciò, che forme di maggiore autonomia, ove
ritenuto necessario, possono essere realizzate mediante l'adozione di altre
soluzioni organizzative, quali l'ente pubblico o la fondazione.
Negli istituti dotati di autonomia speciale operano, come visto, anche un
consiglio di amministrazione, un comitato scientifico e un collegio dei revi-
sori dei conti (cap. 2). Anche in questo caso, i compiti attribuiti a tali organi
debbono essere conciliati con la peculiare autonomia che caratterizza gli
istituti, che sono comunque diretti da un dirigente secondo le regole proprie
della pubblica amministrazione. La necessità di identificare in modo chiaro
poteri e responsabilità dei direttori ha quindi portato il ministero, almeno
nella fase iniziale della riforma, a configurare gli organi collegiali dei musei
essenzialmente come strutture di supporto (come evidenzia la circostanza che
sia il consiglio di amministrazione, sia il comitato scientifico sono presieduti dal
direttore stesso). Tale scelta non è priva di conseguenze gestionali, soprattutto
laddove dovessero sorgere tensioni tra direttore e componenti degli organi
collegiali. Una conferma che il modello organizzativo prescelto per gli istituti
con autonomia speciale è ancora in fase di rodaggio e solo dopo qualche anno
potrà meglio valutarsi se procedere o meno verso maggiori forme di autonomia.

Proprio per rafforzare le competenze professionali necessarie al funziona·


mento degli istituti dotati di autonomia speciale, peraltro, è stata prevista la
222 CAPITOLO 4

possibilità, per tali strutture, di costituire, negli anni 2017 e 2018, tramite
contratti di collaborazione, segreterie tecniche che supportino il buon anda-
mento degli istituti, nonché le attività di tutela del patrimonio culturale e le
iniziative di promozione affidate agli istituti medesimi (art. 22 del d.l. 50 del
2017). Una situazione assimilabile è stata già affrontata e risolta positivamente
con riguardo alla soprintendenza speciale di Pompei, chiamata a svolgere
compiti di tutela e valorizzazione particolarmente rilevanti e complessi nell'a-
rea archeologica e nell'ambito del Grande Progetto Pompei (art. 2, comma
5 del d.l. 83 del2014).

La sicurezza e la Tra gli elementi comuni alla gestione dei due modelli considerati, vi è, oltre alla
vigilanza sopra richiamata disciplina della bigliettazione e degli orari di apertura (fermi
rimanendo i diversi poteri legati alla natura dirigenziale o meno dell'ufficio),
il tema della sicurezza e vigilanza.

In questo caso, il citato decreto 30 giugno 2016ha stabilito innanzitutto che a


ognuno dei musei e dei luoghi della cultura dello Stato sono assicurati adeguati
sistemi di allarme e sicurezza antincendio, antintrusione e antifurto e, nei siti
individuati dagli organi preposti come obiettivi sensibili, adeguati dispositivi
di controllo antiterrorismo. Inoltre, la vigilanza degli istituti e dei luoghi della
cultura statali, ivi inclusa la vigilanza dei beni esposti e di quelli conservati
nei depositi, è svolta secondo le modalità stabilite da un apposito piano della
sicurezza, comprensivo del piano della sicurezza e dell'emergenza, del piano
della vigilanza e del piano dell'accoglienza del pubblico. Il piano è redatto
dal direttore dell'istituto, nel rispetto della normativa vigente e delle ulteriori
disposizioni emanate dal ministero in materia di emergenza e di sicurezza del
patrimonio culturale, in accordo con gli standard dell'lcom e sulla base delle
«Istruzioni e parametri per il Piano della sicurezza dei musei e dei luoghi della
cultura statali>> (allegate al medesimo d.m.). Il piano è adottato dal direttore,
sentito il direttore del Polo museale regionale e il rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza e, per gli istituti dotati di autonomia speciale, sentito anche il
consiglio di amministrazione, entro sessanta giorni dall'emanazione del presente
decreto e successivamente aggiornato a cadenza almeno triennale.

Le fondazioni mu- Il terzo modello è quello della fondazione museale, uno strumento che
seali dovrebbe essere inteso in modo virtuoso quale mezzo in grado di coniugare
pubblico e privato [Mitzman 2012]. Si tratta di una fattispecie usata in alcuni
casi (si pensi al Museo egizio di Torino o al Maxxi a Roma), ma non priva
di difficoltà in sede applicativa. Non esiste, infatti, un modello unico adatto
per tutti i musei. Significativo, del resto, è che l'lstat distingua solo tra musei
pubblici e musei privati e tra 3 forme di gestione (diretta, consortile o in
concessione). Il modello della fondazione non è positivo o negativo in sé:
si tratta di uno strumento organizzativo e, in quanto tale, neutro, che potrà
essere adottato solo ove ricorrano determinate condizioni [Baia Curioni
2012; Manfredi 2014]. Ad esempio, la scelta di prevedere questo modello
è spesso adottata in ambito locale, al fine di creare una rete o un sistema
integrato di musei civici (è quanto awiene a Venezia). Se non si tiene conto
delle specificità proprie di ogni singola situazione, si avrebbero altri casi di
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 223

lenta e difficile attuazione, come è stato appunto per il Museo egizio e per
il Maxxi. Senza tralasciare le problematiche legate al regime giuridico del
personale: basti citare, ancora una volta, il caso del Museo egizio, che ha
visto ridursi di oltre 1'80% il numero di dipendenti dopo la trasformazione
in Fondazione.
I modelli organizzativi di musei statali qui delineati perseguono un obiettivo La missione dei
prioritario: trasformare davvero il museo in una empowering institution, muse1
inserita nella comunità e nel territorio in cui il museo vive e si sviluppa. Il
museo deve essere un luogo capace di ben conservare i beni affidatigli, di
generare conoscenza e dialogo fra culture, anche attraendo i visitatori per
trattenerli, educarli, divertirli e farli tornare. Non a caso, la Raccomandazione
Unesco 2015 sulla protezione e sulla promozione di musei e collezioni, della
loro diversità e del loro ruolo nella società prevede la ricerca e la educazione,
insieme con la tutela e la comunicazione, tra le funzioni principali del museo.
Con riguardo agli altri istituti e luoghi della cultura statali, mentre i parchi e Archivi e biblio-
le aree archeologici trovano essenzialmente la medesima disciplina dei musei, teche
per archivi e biblioteche occorre una menzione a parte. Anche qui vi sono
ipotesi di istituti dotati di autonomia speciale, come nel caso dell'Archivio
centrale dello Stato e delle due Biblioteche nazionali di Roma e di Firenze.
Poi, le caratteristiche di archivi e biblioteche, in termini di autonomia tecnico-
scientifica e di rapporti con la rispettiva direzione generale, sono le stesse,
siano essi uffici di livello dirigenziale o uffici non dirigenziali, comunque con
un direttore/funzionario delegato. Infine, può esservi il caso di accorpamenti
funzionali tra biblioteche, archivi e musei.

L'articolo 3, comma 6, del d.m. 27 novembre 2014 stabilisce che «al fine di
migliorare la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale e in coerenza
con ragioni di carattere storico, artistico, architettonico o culturale, con uno o
più decreti ministeriali può essere disposto l'accorpamento di istituti e luoghi
della cultura, quali musei, archivi e biblioteche, operanti nel territorio del me-
desimo Comune». La norma prevede una mera facoltà, per ora realizzata solo in
pochissimi casi, assegnando biblioteche a musei ospitati nel medesimo edificio
(è avvenuto, ad esempio, a Milano, Modena, Parma e Torino, rispettivamente
per le biblioteche Braidense a Brera, Estense alle Gallerie estensi, Palatina al
Complesso monumentale della Pilotta e Reale ai Musei reali).

3.4. Le forme di gestione

L'art. 115 del Codice disciplina le modalità di gestione della valorizzazione a


iniziativa pubblica, distinguendo tra forma diretta e indiretta:
a) la gestione diretta è svolta per mezzo di strutture organizzative interne La gestione diretta
alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa,
finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico, oppure anche
in forma consortile pubblica;
224 CAPITOLO 4

La gestione indi- b) la gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi delle attività di
retta valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle ammini-
strazioni cui i beni pertengono, mediante procedure di evidenza pubblica,
sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti. La concessione
può anche essere rilasciata, qualora siano conferitari dei beni dagli organismi
per la valorizzazione previsti dall'articolo 112, comma 5, del Codice (supra,
par 2.5). A questi soggetti possono partecipare anche privati proprietari di
beni culturali suscettibili di essere oggetto di valorizzazione, nonché persone
giuridiche private senza fine di lucro, anche quando non dispongano di beni
culturali che siano oggetto della valorizzazione, a condizione che l'intervento
in tale settore di attività sia per esse previsto dalla legge o dallo statuto. In ogni
caso, i privati che eventualmente partecipano a questi soggetti giuridici non
possono essere individuati quali concessionari delle attività di valorizzazione.
La forma indiretta è scelta «al fine di assicurare un miglior livello di valoriz-
zazione dei beni culturali» e deve essere realizzata nel rispetto dei parametri
dei livelli di qualità della valorizzazione di cui all'articolo 114 del Codice.
Inoltre, la scelta tra le due forme di gestione è attuata mediante «valutazione
comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia,
sulla base di obiettivi previamente definiti>>.
A queste ipotesi, vanno aggiunte quelle di affidamento in concessione a sog-
getti senza scopi di lucro, mediante procedure pubbliche.
Da queste disposizioni è possibile osservare, ancora una volta, come la di-
cotomia pubblico-privato agisca sui profili organizzativi della valorizzazione
instaurando un sistema di alternative gestionali: tra forma diretta e forma
indiretta; gestione diretta dell'amministrazione o tramite forma consortile
pubblica (o anche mediante società in house, se presente: è il caso di Ales
per il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo- cap. 2);
affidamento a terzi da parte dell'amministrazione oppure da parte di appositi
soggetti giuridici conferitari dei beni.

3.5. La disciplina dei c.d servizi aggiuntivi

Le descritte forme di gestione - e in particolare quella indiretta - sono


utilizzate prevalentemente per svolgere servizi per il pubblico, i c.d. servizi
aggiuntivi. Tali servizi, previsti per la prima volta in Italia dal d.l. 433/1992,
conv.l. n. 4/1993 (la c.d. legge Ronchey), possono essere attivati presso i luoghi
e gli istituti della cultura. Essi mirano a garantire una migliore fruizione dei
beni culturali e assicurare maggiori entrate alle pubbliche amministrazioni,
consentendo così di compiere ulteriori interventi di tutela e valorizzazione.
Nella nozione di servizi aggiuntivi rientrano, per esempio, il servizio editoriale
e di vendita cataloghi, i servizi di caffetteria, di ristorazione e di guardaroba,
l'organizzazione di mostre. La formula «aggiuntivi», dunque, indica la natura
ausiliaria di questi servizi rispetto alla fruizione.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 225

Più precisamente, l'articolo 117 del Codice identifica i seguenti servizi: a) il


servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici,
audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di
beni culturali; b) i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura
di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario; c) la gestione di raccolte
discografiche, di diapoteche e biblioteche museali; d) la gestione dei punti
vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni; e) i servizi di
accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i
servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro; /l i
servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; g) l'organizzazione di mostre
e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali.

Nel2008, peraltro, i «servizi aggiuntivi» sono stati ridenominati «servizi per I serv1z1 per il
il pubblico», tornando quindi alla formula usata dal testo unico del 1999 pubblico
(«servizi di assistenza culturale e di ospitalità») e abbandonando l'originaria
dizione proposta dalla l. 4/1993, la c.d.legge «Ronchey». Nell'attuale quadro
concepito dal Codice, in cui le attività di valorizzazione sono definite dall'art.
111 e le attività per garantire la fruizione sono classificate, lo si è visto, come
«servizio pubblico» o «servizio privato di utilità sociale» (in base alla natura
giuridica dell'istituto della cultura), la formula «servizi aggiuntivi» sembrava
forse più appropriata. Sarebbe stato opportuno, invece, intervenire sull'elenco
di servizi riportato all'articolo 117, dove sono indicate, a volte, attività ricon-
ducibili nell'ambito della valorizzazione in senso pieno (come l'organizzazione
di mostre e manifestazioni culturali).
Quanto alla natura giuridica dei servizi aggiuntivi, è evidente che non tutte
le ipotesi contemplate dall'articolo 117 del Codice sono identiche, non da
ultimo con riguardo al rischio di impresa per gli eventuali privati coinvolti.

La Corte di Cassazione (sez. un., n. 24824/2015) ha chiarito che l'affidamento Appalto vs con-
dei servizi aggiuntivi da parte dell'amministrazione può presentare profili di cess10ne
promiscuità tra i caratteri dell'appalto e della concessione, e che assume valenza
dirimente il criterio della prevalenza delle attività oggetto dell'affidamento.
Pertanto, mentre al servizio di caffetteria o di ristorazione può essere agevol-
mente attribuita la natura concessoria, l'affidamento di altri servizi, come quelli
di biglietteria (oltre che di pulizia e vigilanza), che possono- ma non debbono
necessariamente- integrare la eventuale concessione, sono invece configurabili
come appalto di servizio pubblico, «rilevando l'assunzione da parte della p.a.
della veste di acquirente di determinate utilitates dal privato, anche a favore
di terzi individuati, contro il pagamento di un corrispettivo» (Cass, sez. un., n.
24824/2015). Analogamente, il Consiglio di Stato (ad. plen., n. 19 del2013) ha
ben precisato che «sia nell'art. 115 sia nell'art. 117 del Codice, si parli di forma
integrata con riferimento alla "gestione", ossia con riguardo non al dato proce-
durale della gara, bensì alla modalità di svolgimento dei servizi, in esecuzione
di un rapporto di carattere unitario. Milita in tal senso anche il disposto di cui
all'art. 117, comma 5, dove si stabilisce che "I canoni di concessione dei servizi
sono incassati e ripartiti ai sensi dell'articolo 110", disposizione quest'ultima
nella quale si disciplina in modo unitario il versamento "i proventi derivanti
dalla vendita dei biglietti di ingresso agli istituti e ai luoghi della cultura, nonché
226 CAPITOLO 4

dai canoni di concessione e dai corrispettivi per la riproduzione dei beni cul-
turali" _Il comma 3 dello stesso art_ 110, inoltre, dispone: «l proventi derivanti
dalla vendita dei biglietti d'ingresso agli istituti e ai luoghi appartenenti o in
consegna allo Stato sono destinati alla realizzazione di interventi per la sicu-
rezza e la conservazione dei luoghi medesimi, ai sensi dell'articolo 29, nonché
all'espropriazione e all'acquisto di beni culturali, anche mediante esercizio della
prelazione». La norma chiarisce che, quando l'Amministrazione si determina
per il sistema della gestione indiretta tramite concessione a norma dell'art.
115, comma 3, persegue l'interesse pubblico mediante una operazione di cui è
componente essenziale il profilo finanziario, in modo da non rinunciare a quei
proventi che avrebbe acquisito nel sistema della gestione diretta.

La natura giuri- La natura giuridica del servizio aggiuntivo affidato, dunque, non dipende
dica dei servizi dalla procedura di gara seguita per l'affidamento, ma dal concreto rapporto
che si instaura tra amministrazione e privato. E non esiste oggi alcuna norma
che imponga all'amministrazione di adottare forme di c.d. global service o
altre modalità di affidamento congiunto dei servizi: come dimostrato anche
dalla intervenuta abrogazione- a opera dell'articolo 8 del d.l. n. 64 del2010,
conv. l. n. 100 del2010- dell'articolo 14 del d.l. n. 159 del2007, con v. l. n.
222 del2007, che aveva invece imposto alle amministrazioni l'affidamento in
forma integrata delle varie tipologie di servizi di cui all'articolo 117 del Codice.
I servizi aggiuntivi permettono una fruizione dei beni culturali più ampia, e
assicurano maggiori entrate alle pubbliche amministrazioni, migliorando la
conservazione fisica dei beni e consentendo ulteriori interventi di valorizza-
zione. Per essere redditizio un servizio aggiuntivo deve però poter contare su
di un numero consistente di visitatori; ora, considerata la particolare struttura
del patrimonio culturale italiano, caratterizzata da un elevato numero di centri
medio-piccoli, non sempre i servizi possono essere convenientemente attivati.
Inoltre, la redditività dei servizi aggiuntivi non è del tutto comprovata; anzi,
persino negli Stati Uniti, dove il merchandising trova il massimo sviluppo, solo
una piccola parte delle entrate dei musei proviene dalla vendita di servizi.
Comunque si è registrato un progressivo aumento del numero dei servizi
aggiuntivi istituiti in Italia.
Negli ultimi anni, però, la disciplina dei servizi aggiuntivi è stata oggetto di
forti critiche, soprattutto per quanto riguarda il regime di proroga che ha
caratterizzato le concessioni. Alcuni hanno osservato, inoltre, che gli istituti
e i luoghi della cultura non dovrebbero sistematicamente procedere a una
esternalizzazione dei servizi, ma potrebbero svolgere in forma diretta almeno
quelli aventi un carattere più marcatamente culturale, quale ad esempio
l'organizzazione di mostre. Anche per queste ragioni, l'art. 14, comma 2, del
d.l. n. 83 del2014, conv.legge n. 106 del2014, ha previsto che gli istituti e i
luoghi della cultura dotati di autonomia svolgono, di regola, in forma diretta
i servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico di cui all'art. 117,
comma 2, lett. a e g, del Codice, vale a dire il servizio editoriale e di vendita
riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici,
ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali Oett. a),
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 227

e l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative


promozionali Oett. g).

La necessità di riequilibrare il rapporto tra parte pubblica e parte privata nel La criticità del si-
settore del patrimonio culturale, del resto, era stata sottolineata anche dalla stema delle con-
Commissione per il rilancio dei Beni culturali e del Turismo e per la riforma del cessioni
ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa, la quale, nell'ottobre
2013, aveva rilevato che «[i]) novero delle concessioni per i "servizi al pubblico"
previste dal Codice dei beni culturali è piuttosto ampio. [. .. ]Le regole esistenti,
irrigidite dalle prescrizioni contenute nelle procedure di gara, sguarnite da ogni
analisi di sostenibilità economica e non inserite all'interno di un reale progetto
pubblico di valorizzazione (con interventi in tempi certi e rapidi, ad esempio di
restauro), hanno prodotto una progressiva disaffezione delle imprese private
verso il modello delle concessioni. La ridottissima partecipazione alle gare ne
è eloquente testimonianza. La qualità dell'intervento pubblico in materia di beni
culturali è condizione necessaria per la qualità dell'intervento privato. I servizi per
il pubblico aventi carattere commerciale (librerie, caffetterie) hanno bisogno di
spazi adeguati e di progetti di investimento mai attuati, specie nelle aree archeo-
logiche (Roma, Pompei) frequentate da milioni di visitatori all'anno. Quanto
al problema dell'organizzazione di mostre - questione altamente controversa
per quel che riguarda il ruolo dell'intervento privato-, andrebbe in ogni caso
tenuta distinta la funzione di ideazione delle mostre, la loro programmazione,
il vaglio della loro scientificità, tutti aspetti per cui va assicurato un ruolo forte
dell'amministrazione pubblica, dalla loro organizzazione materiale, che può
essere concessa ai privati, preferibilmente con convenzioni legate a singole
iniziative. Naturalmente, tali convenzioni dovrebbero contenere clausole ben
chiare e precise, che riservino alla soprintendenza concedente la scelta delle
iniziative, la loro cura scientifica e il controllo; e affidino ai privati concessionari
il supporto finanziario e organizzativo».

La disciplina complessiva della materia, in effetti, non sembra aver favorito una
effettiva concorrenza. La gestione diretta è rimasta ipotesi sulla carta, per varie
ragioni, non ultima il prolungato blocco delle assunzioni nel settore pubblico
e le carenze di specifiche professionalità. n sistema di gare si è arenato, gene-
n
rando ritardi e proroghe delle concessioni in essere. ministero ha mostrato
una sostanziale incapacità nell'assumere il ruolo di centrale di committenza.
Tutto questo ha determinato, per un verso, la scelta di fare ricorso in misura
maggiore ad Ales, società in house del ministero deputata anche allo svolgi-
mento di servizi museali. Per altro verso, la necessità di rivolgersi alla Consip
s.p.a. per bandire nuove gare e uscire dall'impasse (anche mediante apposita
disposizione legislativa: art. 16, co. l, del d.l. n. 78 del2015, conv. in L n. 125
del2015). Tale scelta si pone del resto in coerenza con le politiche di spending
review adottate negli ultimi anni, in base alle quali lo Stato ha incoraggiato
e premiato la concentrazione delle stazioni appaltanti in un unico soggetto.
L'accordo con Consip s.p.a., in particolare, ha avuto il duplice obiettivo di L'accordo Mibact-
assicurare trasparenza ed efficienza nelle gare per l'affidamento dei servizi Consip
e di recuperare un ruolo centrale dell'amministrazione nella progettazione
culturale e scientifica.
228 CAPITOLO 4

In base all'accordo tra il ministero e Consip s.p.a., sono stati individuati di-
versi tipi di gare. La prima gara, bandita a luglio 2015, ha a oggetto i servizi
operativi - dalla pulizia al facchinaggio, sino alla manutenzione del verde,
ad esempio- negli istituti e i luoghi della cultura statali. Un secondo tipo di
gare prevede una serie di procedure, anche queste bandite da Consip s.p.a.,
aventi a oggetto i servizi per il pubblico, dalla biglietteria alla ristorazione.
In questo caso le procedure, partite nel2016, sono in un numero variabile
tra quaranta e cinquanta. I bandi sono predisposti sulla base del progetto
culturale elaborato dai musei e dai Poli museali. Sono quindi questi uffici
a programmare l'offerta al pubblico, stabilendo quali servizi è opportuno
e necessario gestire in house o reperire sul mercato, così come quelli da
affidare al terzo settore. Si tratta di un lavoro molto complesso, che richiede
un'attenta valutazione della sostenibilità economica, ma che implica anche
scelte di politica culturale che si è opportunamente deciso di riservare all'am-
ministrazione pubblica.

3.6. Tra gestione e valorizzazione: l'organizzazione di mostre

Le fasi organizza- Tra i casi più interessanti di servizi per il pubblico e del loro rapporto con
tive la funzione di valorizzazione, vi è l'organizzazione di mostre. Si tratta di
un'attività complessa, in cui è possibile individuare più fasi: l'iniziativa, che
può essere direttamente dell'ente o istituto, ma anche di un altro soggetto,
accompagnata da uno studio di fattibilità tecnico-economica; la progetta-
zione, che deve prevedere i dettagli dell'allestimento con le singole voci di
costo (materiali, illuminazione, sicurezza, eventuale trasporto di opere ecc.);
l'approvazione del progetto; l'esecuzione. Infine, l'attività è sempre preceduta
da una programmazione, indispensabile se solo si pensa, ad esempio, alla rete
nazionale e internazionale di contatti tra i diversi enti e istituti culturali per
il prestito di opere d'arte. In ognuna di queste fasi, è evidente la necessità di
una costante interazione tra le pubbliche amministrazioni e i privati, i quali,
a seguito della stipula di appositi contratti, possono comparire nelle vesti di
promotori, progettisti, restauratori, finanziatori, assicuratori.

Nonostante tale complessità fosse nota sin dalla organizzazione delle prime
esposizioni d'arte, la materia delle mostre non era di fatto disciplinata nella
legge n. 1089 del 1939, in cui il termine «mostre)) compariva una sola volta.
Fu necessaria una legge ad hoc, la n. 50 del1940 (Disciplina delle mostre d'arte
antica), sostituita dalla n. 328 del1950 (Modificazioni all'attuale disciplina delle
mostre d'arte), poi recepita nel Tu del1999 e, infine, nel Codice (motivo per
cui in questi atti il termine mostre compare più volte).

L'organizzazione, e ancor prima la progettazione, di mostre sono parte inte-


grante dell'attività di promozione dello sviluppo della cultura di cui all'articolo
9 Cost. Ciò nonostante, l'organizzazione di mostre è stata progressivamente
assorbita dalla disciplina dei servizi aggiuntivi, con conseguente prevalenza
verso l'esternalizzazione di questa attività. n che ha determinato un mancato
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 229

sviluppo di competenze nello Stato e la formazione di un florido mercato di


(pochi) operatori privati.
Nella struttura tradizionale del ministero, in cui il museo era un ufficio senza Musei e organiz.
dirigente e incardinato nella soprintendenza, una soluzione quasi obbligata zazione di mostre
era l'affidamento all'esterno della organizzazione di mostre. Inoltre, il servizio
di organizzazione di mostre consente effettivamente di potenziare i c.d. ser-
vizi aggiuntivi, primo fra tutti quello di bigliettazione, grazie all'incremento
del biglietto di ingresso. Da ciò discende il forte (e legittimo) interesse dei
concessionari nel gestire anche questo servizio.
Con la riforma dei musei statali, la organizzazione di mostre è stata indivi-
duata quale compito fondamentale di queste istituzioni. n museo, mfatti,
«programma, indirizza, coordina e monitora tutte le attività di gestione del
museo, ivi inclusa l'organizzazione di mostre ed esposizioni, nonché di studio,
valorizzazione, comunicazione e promozione del patrimonio museale» (art.
35, comma 4, lett. a, del d.p.c.m. n. 171 del2014). Organizzare, e ancor prima
progettare, mostre viene così ricondotto nella ordinaria gestione del museo.
Quanto alle competenze autorizzatorie, la decisione sui prestiti delle opere Le autorizzazioni
non compete più alle soprintendenze, bensì direttamente ai direttori dei
musei autonomi o ai direttori dei Poli museali regionali. Questi, infatti,
autorizzano il prestito dei beni culturali delle collezioni di competenza per
mostre o esposizioni sul territorio nazionale o all'estero, ai sensi dell'articolo
48, comma l, del Codice.
Permangono, tuttavia, aspetti problematici.
Un primo aspetto è proprio il funzionamento del sistema di prestiti, anche Uprestito di opere
con riguardo ai rapporti tra politica e amministrazione. In Francia, ad
esempio, il ministro conserva il potere di decidere se un'opera può uscire
o no dal paese. In Italia, spetta all'amministrazione, ma poi l'opinione pub-
blica si rivolge sempre al ministro. A volte non basta neanche l'istituzione
di una commissione tecnica per risolvere la questione. Si pensi a quanto
avvenuto per i bronzi di Riace nel2014. A fronte della richiesta di spostarli
a Milano per l'Expo 2015, il ministro ha istituito un'apposita commissione
tecnica per valutare la possibilità di muoverli senza pregiudicarne lo stato
di conservazione. E la commissione ha concluso ritenendo troppo rischioso
lo spostamento.
Un altro aspetto è appunto il rapporto tra l'organizzazione di mostre e la La circolazione
disciplina della circolazione. L'Italia non ha una propria disciplina c.d. anti-
seizure, come hanno altri paesi, per proteggere i beni che transitano per mostre
o esposizioni, e questo determina problemi con alcuni Stati (ad esempio la
Russia). Inoltre, se si considera il settore privato, le procedure per il rilascio
dei permessi per le uscite temporanee sono lunghe e non facilitano lo scambio
e il prestito di opere.
Un ulteriore aspetto, infine, è quello dei modelli organizzativi. lnnanzitutto, Le forme di ge·
resta aperto il problema di coordinare la disciplina del Codice con quella dei stione
servizi pubblici locali non economici, quest'ultima rimasta sostanzialmente
inalterata. Vi è poi la necessità di considerare la compatibilità e l'adeguatezza
230 CAPITOLO 4

dell'attuale quadro legislativo con tutte le opzioni oggi possibili, dall'affida-


mento ai privati sino al volontariato.

3.7. La dimensione ultrastatale: la gestione dei siti Unesco

Un esempio che ben consente di cogliere le complessità proprie della gestione


del patrimonio culturale, anche in prospettiva internazionale, è quello dei
siti Unesco patrimonio mondiale dell'umanità [Battini 2011; Macchia 2010;
Francioni e Lenzerini 2008].
La lista dei si ti Nella lista del patrimonio culturale mondiale Unesco sono inclusi si ti culturali,
Unesco naturali e misti, per un totale di 1.052: i siti culturali del patrimonio mondiale
dell'umanità sono oggi 814, mentre erano 478 nel1999. Ad aprile 2017, l'Italia
ne ha il maggior numero, 51, seguita dalla Cina, con 50.

In base alla convenzione del1972, il «patrimonio culturale>> include «- i mo-


numenti: opere architettoniche, plastiche o pittoriche monumentali, elementi
o strutture di carattere archeologico, iscrizioni, grotte e gruppi di elementi di
valore universale eccezionale dall'aspetto storico, artistico o scientifico; - gli
agglomerati: gruppi di costruzioni isolate o riunite che, per la loro architettura,
unità o integrazione nel paesaggio hanno valore universale eccezionale dall'a-
spetto storico, artistico o scientifico;- i siti: opere dell'uomo o opere coniugate
dell'uomo e della natura, come anche le zone, compresi i siti archeologici, di
valore universale eccezionale dall'aspetto storico ed estetico, etnologico o
antropologico» (articolo 1).

Il sistema della il sistema della Convenzione è stato poi arricchito da raccomandazioni e linee
convenzione Une- guida approvate dall'D n esco (le Operational Guidelines /or the Implementation
sco o/the World Heritage Convention). Gli Stati che decidano di candidare propri
si ti, inoltre, debbono adattare le proprie amministrazioni alle esigenze richieste
da questo sistema (per esempio creando organismi ad hoc: negli Stati Uniti ci
sono lo US National Park Service e lo US Committee o/ the IcomOS, organi che
sviluppano standard e procedure per stabilire quali siti americani candidare).

Tutti i siti iscritti nella lista debbono avere «adeguate long-term legislative,
regulatory, institutional and/or traditional protection and management to en-
sure their safeguarding. This protection should include adequately delineated
boundaries. Similarly States Parties should demonstrate adeguate protection
at the national, regional, municipal, and/or traditionallevel for the nominated
property. They should append appropriate texts to the nomination with a
clear explanation of the way this protection operates to protect the property»
(par. 97).

La Danger list Una volta che un sito è stato iscritto, esistono specifici meccanismi diretti ad
assicurare il rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione e dalle linee guida,
che hanno introdotto anche meccanismi di controllo quali il c.d. «name and
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 231

shame», tramite la c.d. Danger List. Questi meccanismi possono essere attivati
anche da organizzazioni non governative o comunità locali. In questi casi, il
World Heritage Committee può intervenire al fine di assicurare la protezione
dei siti, limitando in tal modo la sovranità degli Stati. Ma, come visto, tutte
le procedure hanno inizio a livello nazionale e una scarsa partecipazione
delle popolazioni in sede nazionale può anche indebolire i procedimenti
sovranazionali: è quanto awenuto negli Stati Uniti, per il celebre parco di
Yellowstone, con riguardo ad alcune attività minerarie.
Sotto il profilo della gestione, il sistema dei si ti Unesco ha stabilito nuove forme La cooperazione
di cooperazione·tra organizzazioni internazionali, amministrazioni nazionali tra livelli di go-
e altri soggetti. Inoltre, la procedura per proporre nuove candidature- ossia verno
la formazione della c.d. tentative list, in cui sono elencati i siti che uno Stato
ritiene meritevoli di essere iscritti nella lista del patrimonio mondiale - deve
coinvolgere tutti i principali stakeholders, per esempio i «site managers, local
and regional governments, local communities, NGOs and other interested
parties an d partners» (par. 64). Sono previsti anche nuovi strumenti giuridici,
come il piano di gestione per i siti, ideato per progettare interventi sia di tu-
tela, sia di fruizione e di valorizzazione delle aree. Ai sensi delle Operational
Guidelines, par. 108, infatti, <<Each nominated property should have an ap-
propriate management plan or other documented management system which
must specify how the Outstanding Universal Value of a property should be
preserved, preferably through participatory means».

In aggiunta, le Operational Guidelines indicano nel dettaglio alcune pratiche


da seguire per la gestione dei siti, come ad esempio «a) a thorough shared
understanding of the property by ali stakeholders; b) a cycle of planning,
implementation, monitoring, evaluation and feedback; c) the monitoring and
assessment of the impacts of trends, changes, and of proposed interventions;
d) the involvement of partners and stakeholders; e) the allocation of necessary
resources; f) capacity-building; and g) an accountable, transparent description
of how the management system functions» (par. 111) [Vitale 2010].

La gestione dei siti Unesco rappresenta un importante esempio di influenza


sovranazionale sulle amministrazioni nazionali. Tale influenza si realizza
sotto diversi profili: normativa, organizzativo e procedimentale. In Italia, nel
ministero, è previsto un apposito ufficio amministrativo cui sono affidati i
rapporti con l'Unesco, anche per l'iscrizione di nuovi siti e di nuovi elementi
nelle liste del patrimonio mondiale materiale e immateriale (è il Servizio I del
Segretariato generale, ufficio dirigenziale non generale nominato «Coordina-
mento- Ufficio Unesco»).
L'Italia, però, non ha ancora sviluppato un modello organizzativa ad hoc per Il piano di ge-
la gestione dei siti Unesco, nonostante vanti il maggior numero di siti. La stione
legge 20 febbraio 2006, n. 77, ha però previsto «Misure speciali di tutela e
fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale,
inseriti nella "lista del patrimonio mondiale", posti sotto la tutela dell'Une-
sco>>. Tale legge, in particolare, oltre a prevedere un importante meccanismo
232 CAPITOLO 4

di finanziamento, ha recepito in Italia lo strumento del piano di gestione,


di cui alle linee guida Unesco. I piani definiscono le priorità di intervento
e le relative modalità attuative, nonché le azioni esperibili per reperire le
risorse pubbliche e private necessarie, oltre che le opportune forme di col-
legamento con programmi o strumenti normativi che perseguano finalità
complementari, tra i quali quelli disciplinanti i sistemi turistici locali e i
piani relativi alle aree protette.

L'esperienza di Tra le esperienze più rilevanti, merita di essere citato il caso di Pompei, per
Pompei il quale sono state sperimentate diverse forme di gestione, anche a séguito
dell'intervento dell'Unesco. In particolare, il crollo della schola armaturarum
nel 2010 ha determinato l'avvio delle procedure di monitoring Unesco, che
hanno portato il governo italiano ad attivarsi per reperire fondi europei e
approvare un progetto dedicato, il c.d. Grande progetto Pompei. Il nuo·
vo Piano di gestione del sito è stato firmato entro la fine del 2013, come
richiesto. Sempre nel 2013 e nel 2014, il Grande progetto è stato dotato
di un'apposita struttura, che si è affiancata alla soprintendenza (ora Parco
archeologico) di Pompei. In particolare, il d.l. n. 91 del 2013 e il d.l. n. 83
del 2014, regolando anche i profili urbanistici di riqualificazione urbanistica
e di risanamento ambientale, per un verso, hanno sottolineato la necessità di
configurare appositi modelli organizzativi e procedimentali per la gestione
dei siti Unesco; per l'altro, hanno identificato la principale caratteristica del
sito archeologico di Pompei, quello di essere una città «vera», che come tale
dovrebbe quindi essere gestita.

4. IL COINVOLGIMENTO DEI PRIVATI E GLI STRUMENTI DI


POLITICA FISCALE
La partecipazione Le forme di partecipazione dei privati nelle attività di valorizzazione e di
dei privati gestione del patrimonio culturale, come visto, possono assumere diverse confi-
gurazioni, riconducibili, secondo il regime proprietario dei beni, a due ipotesi.
La prima riguarda i beni culturali di proprietà privata. In tal caso sono previste
due principali categorie di misure. Da un lato, vi sono gli interventi finalizzati
ad acquisire direttamente la proprietà dei beni, sia in modo coattivo, tramite
l'espropriazione, sia attraverso la prelazione o il pagamento di imposte me-
diante cessione (la legge 2 agosto 1982, n. 512, ha infatti previsto la possibilità
del pagamento, sotto forma di cessione di beni culturali, sia dell'imposta di
successione, sia di imposte dirette).
Dall'altro lato, vi sono iniziative da parte delle pubbliche amministrazioni
volte ad agevolare, tramite esenzioni fiscali o contributi finanziari, il restauro
sul patrimonio storico e artistico di proprietà privata in ordine a una sua più
ampia fruizione.
La seconda ipotesi di partecipazione dei privati è relativa ai beni di proprietà
pubblica. Possono qui individuarsi tre principali strumenti: i servizi aggiuntivi,
prima esaminati; le erogazioni liberali (anche queste favorite tramite apposite
agevolazioni fiscali); le sponsorizzazioni.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 233

Le amministrazioni preposte alla gestione dei beni culturali, del resto, sono
da tempo costrette a ricercare risorse esterne, coinvolgendo anche soggetti
privati, e a sviluppare ricette addizionali: si pensi al caso dei finanziamenti
reperiti grazie al gioco del lotto in Italia, quando nel 1996 fu introdotta la
giocata infrasettimanale proprio per destinare risorse al patrimonio culturale,
sull'esempio della Nationallottery nel Regno Unito.
In questo paragrafo sono esaminati, in particolare, tre aspetti. Dapprima è
ricostruita la disciplina delle agevolazioni fiscali volte a favorire il mecenatismo
culturale, con specifica attenzione al c.d. Art bonus. Poi sono analizzati i ca-
ratteri delle sponsorizzazioni nel settore del patrimonio culturale. Infine, sono
presi in considerazione gli accordi tra pubblico e privato, nonché le speciali
forme di partenariato di cui all'articolo 151 del codice dei contratti pubblici.

4.1. n mecenatismo culturale e le agevolazioni fiscali: l'Art bonus


Le erogazioni liberali costituiscono in molti Paesi uno strumento importante
per raccogliere risorse private nelle attività di tutela, gestione e valorizzazione
del patrimonio culturale [Comporti 2015; Chieppa 2013]. Ciò è favorito in
vario modo, ma soprattutto mediante il ricorso ad agevolazioni fiscali.
Il primo importante provvedimento sul regime fiscale dei beni culturali in Lalegge512/1982
Italia è stato la legge 2 agosto 1982, n. 512, i cui contenuti fondamentali sono
così individuabili: esenzione da imposte dirette per gli immobili con destina-
zione a uso culturale; oneri deducibili dal reddito complessivo; pagamento
dell'imposta di successione mediante cessione. Dopo questa legge, per lungo
tempo, non è intervenuta da parte del legislatore un'adeguata risposta alla
nuova dimensione economico-produttiva dei beni culturali, fatta eccezione
per alcuni interventi nel 1997 e nel2000.

Tutti questi interventi si rintracciano oggi negli articoli 15 e 100 del Testo unico La disciplina del
delle imposte sui redditi (Tuir), di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917. Tali Tuir
disposizioni prevedono agevolazioni fiscali per le persone fisiche e per gli enti
non commerciali (una detrazione di imposta del19% di quanto speso o erogato)
e per le persone giuridiche (deducibilità dal reddito imponibile di quanto speso
o erogato), con riguardo a: le spese sostenute dai soggetti obbligati alla manu-
tenzione, protezione o restauro di beni culturali (articoli 15, lett. g, e 100, lett.
e) e alle erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle Regioni, degli
enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori
appositamente istituiti con decreto del ministro per i Beni culturali e ambien-
tali, di fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro,
che svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione
di rilevante valore culturale e artistico o che organizzano e realizzano attività
culturali, effettuate in base ad apposita convenzione, per l'acquisto, la manu-
tenzione, la protezione o il restauro di beni culturali, ivi comprese le erogazioni
effettuate per l'organizzazione in Italia e all'estero di mostre e di esposizioni di
rilevante interesse scientifico-culturale delle cose anzidette, e per gli studi e le
ricerche eventualmente a tal fine necessari, nonché per ogni altra manifestazione
234 CAPITOLO 4

di rilevante interesse scientifico-culturale anche ai fini didattico-promozionali,


ivi compresi gli studi, le ricerche, la documentazione e la catalogazione, e le
pubblicazioni relative ai beni culturali (articoli 15, lett. h, e 100, lett. /). A
queste ipotesi, va aggiunta quella prevista dall'articolo 100, lett. m, del Tuir,
che sancisce la deducibilità delle erogazioni liberali in denaro a favore dello
Stato, delle Regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche,
di fondazioni e di associazioni legalmente riconosciute, per lo svolgimento dei
loro compiti istituzionali e per la realizzazione di programmi culturali nei settori
dei beni culturali e dello spettacolo.
Il 5 per mille Altra ipotesi da considerare è quella del5 per mille dell'imposta sui redditi
delle persone fisiche destinata, a scelta del contribuente, al finanziamento delle
attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici,
ai sensi dell'articolo 23, comma 46, del decreto-legge 6luglio 2011, n. 98, con-
vertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. In particolare, il
d.p.c.m. 28luglio 2016 ha stabilito nuovi e più semplici criteri di riparto della
quota del 5 per mille dell'imposta sui redditi delle persone fisiche destinate
al finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni
culturali. Rispetto a quanto aweniva in passato, dal periodo di imposta 2016
il contribuente può indicare direttamente in dichiarazione a quale istituzione
devolvere la quota del suo imponibile. I soggetti ammessi al beneficio sono: a)
il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo; b) gli istituti del
medesimo ministero dotati di autonomia speciale, ai sensi dell'art. 14, comma
2, del decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla
legge 29luglio 2014, n. 106 e dall'articolo 30 del decreto del presidente del
Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171; c) gli enti senza scopo di lucro,
legalmente riconosciuti, che realizzino, conformemente alle proprie finalità
principali definite per legge o per statuto, attività di tutela, promozione o
valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici e che dimostrino di operare
in tale campo da almeno 5 anni.

A fronte di tali misure, peraltro poco comunicate, l'Italia aveva accumulato,


negli anni, un forte ritardo rispetto agli altri paesi, che invece hanno specifiche
leggi sul mecenatismo (è il caso della Francia che, nel2003, ha varato la c.d.
loi Mecenat, con la quale è stata prevista una detrazione di imposta del65%
per le erogazioni liberali nel settore della cultura).
Nel2014, però, con l'articolo l del decreto legge31 maggio 2014, n. 83, con-
vertito, con modificazioni, nella legge 29luglio 2014, n. 106, è stata finalmente
introdotta una importante agevolazione fiscale a favore del mecenatismo
culturale, il c.d. Art bonus [Lupi 2014].
L'Art bonus L'Art bonus è un beneficio fiscale che riconosce a chi effettua una erogazione
liberale un credito di imposta del 65% dell'importo donato. Se si donano
1.000 euro, la dichiarazione dei redditi può essere abbattuta di 650 euro: un
credito da usare in tre quote annuali, 216,99 euro il primo anno, e così via.
Le donazioni ammesse sono le erogazioni liberali in denaro. Sono escluse le
sponsorizzazioni, che restano disciplinate da altre norme.
Le fattispecie previste dall'Art bonus sono tre.
In primo luogo, vi sono le erogazioni liberali in denaro effettuate per interventi
di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici. Questa
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 235

ipotesi era già prevista dal Tuir (articoli 15, lett. h, e 100, lett. f si è però
innalzata la percentuale del beneficio (dalla detrazione del19% al credito di
imposta del65%).
In secondo luogo, è stata introdotta una ipotesi nuova, per certi aspetti di-
rompente rispetto al sistema previgente, ossia la donazione per il sostegno
di istituti e luoghi della cultura di appartenenza pubblica: non importa per
che cosa si dona, è il fatto che la donazione sia per un museo, un archivio o
una biblioteca, o una fondazione lirico-sinfonica o un teatro di tradizione,
che consente di applicare l'Art bonus.
In terzo luogo, vi sono le erogazioni liberali in denaro effettuate per la realiz-
zazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti
delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza
scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo. Anche in
questo caso, si tratta di una ipotesi già contemplata dal Tuir (articoli 15, lett.
i, e 100, lett. g).

L'Art bonus è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei
limiti del15% del reddito imponibile, ai soggetti titolari di reddito d'impresa
nei limiti del 5 per mille dei ricavi annui. I limiti quantitativi, poi, riprendono
quelli della legislazione francese (ad esempio il limite del5 per mille dei ricavi
per le imprese, identico a quello adottato in Francia).

li merito dell'Art bonus è quello di aver portato attenzione sul mecenatismo,


averlo reso più agevole, più semplice. Naturalmente, sono previsti obblighi
di pubblicità e trasparenza con riguardo all'utilizzo delle risorse.

I soggetti beneficiari delle erogazioni liberali debbono comunicare mensilmente


al ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo l'ammontare delle
erogazioni liberali ricevute nel mese di riferimento; provvedono altresì a dare
pubblica comunicazione di tale ammontare, nonché della destinazione e dell'uti-
lizzo delle erogazioni stesse, tramite il proprio sito web istituzionale, nell'ambito
di una pagina dedicata e facilmente individuabile, e in un apposito portale,
gestito dal medesimo ministero, in cui ai soggetti destinatari delle erogazioni
liberali sono associate tutte le informazioni relative allo stato di conservazione
del bene, gli interventi di ristrutturazione o riqualificazione eventualmente in
atto, i fondi pubblici assegnati per l'anno in corso, l'ente responsabile del bene,
nonché le informazioni relative alla fruizione.
Dal febbraio 2015, il ministero ha affidato con convenzione ad Arcus il compito
di dare attuazione all'Art bonus, agevolando le donazioni e pubblicandone i
risultati (con la successiva fusione di Arcus con Ales, queste attività continuano
a essere svolte da un'apposita struttura della società riorganizzata).

L'Art bonus, come visto, si applica principalmente al patrimonio culturale


pubblico, di Stato, Regioni, Comuni e altri enti pubblici. Questo non vuoi
dire che per gli altri beni culturali non vi siano agevolazioni, in quanto restano
quelle esistenti prima dell'Art bonus. Il beneficio, comunque, è altresì rico-
nosciuto qualora le erogazioni liberali in denaro effettuate per interventi di
236 CAPITOLO 4

manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici siano destinate


ai soggetti concessionari o affidatari dei beni oggetto di tali interventi.
Le ragioni che hanno portato alla introduzione dell'Art bonus sono diverse.
Una prima ragione è che lo Stato ha voluto invertire la tendenza degli ultimi
decenni e recuperare l'impostazione che fu data nel1982, con la legge n. 512,
la c.d. legge Scotti, e poi abbandonata. Ossia l'impostazione per cui la leva
fiscale e il mecenatismo sono tasselli strategici della politica del patrimonio
culturale. Con l'Art bonus, finalmente una importante agevolazione fiscale
diviene parte integrante delle politiche culturali. Tanto che l'intero decreto
legge stesso è oggi chiamato «decreto legge Art bonus».
Una seconda ragione, di più ampia portata, è che !'Art bonus è stato introdotto
per colmare un ritardo della legislazione italiana nel regolare il rapporto
tra pubblico e privato. Per decenni dominata dalla relazione bilaterale tra
privati proprietari di beni vincolati e Stato che tutela, la legislazione italiana
- anche perché è la più antica - ha sempre fatto fatica a prevedere misure
volte a riconoscere relazioni trilaterali - anche con il pubblico e i visitatori
- o multilaterali - aperte a imprese o mecenati. L'Art bonus disegna nuovi
scenari, in cui l'intervento sul patrimonio culturale è visto in una prospettiva
più articolata, in tutte le sue sfaccettature.
Una terza ragione è che, in accordo con la riforma del ministero del2014,
l'Art bonus riconosce il patrimonio culturale non solo come insieme di «cose»
e «oggetti», ma anche come patrimonio di «soggetti», di istituti, ossia musei,
archivi, biblioteche, teatri.
L'Art bonus, infine, favorisce la tutela e la valorizzazione del patrimonio
pubblico. Questo, da un lato, rafforza il legame della collettività e del terri-
torio con beni e istituti; dall'altro lato, induce la parte pubblica a migliorare
la propria organizzazione, a ricercare mecenati e scegliere con la massima
attenzione e la massima cura possibili quali interventi promuovere. Inoltre,
aumentando gli interventi di restauro e di recupero sul patrimonio pubblico,
aumentano anche i lavori e l'impatto economico complessivo è molto più
rilevante e virtuoso rispetto alla semplice erogazione liberale in denaro nelle
casse pubbliche.
Non sono mancate, poi, applicazioni dell'Art bonus anche per il recupero, la
manutenzione o il restauro di beni culturali privati. È quanto avvenuto con
riguardo ai territori colpiti dagli eventi sismici verificatisi a partire dal 24
agosto 2016, per i quali il decreto legge 17 ottobre 2016, n. 189, ha ammesso
al beneficio fiscale in questione anche i beni culturali di interesse religioso.

4.2. Le sponsorizzazioni

Anche le sponsorizzazioni hanno assunto nel tempo un ruolo sempre più


importante per le politiche di tutela, gestione e valorizzazione del patrimo-
nio culturale [Comporti 2015; Manfredi 2014; Fidone 2012]. Al riguardo,
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 237

però, sono state sollevate anche critiche: in primo luogo, è stata messa in
dubbio la legittimità dell'uso di tale strumento da parte delle pubbliche
amministrazioni, mancando una specifica normativa; in secondo luogo, il
carattere spiccatamente economico di tal une operazioni di sponsorizzazione
ha suscitato forti timori in ordine a una possibile «commercializzazione» del
patrimonio ctÙturale. Basti menzionare le difficoltà procedurali che hanno
caratterizzato la sponsorizzazione del Colosseo da parte di un noto brand di
calzature, nonché le polemiche che ne sono seguite.

In termini generali, per sponsorizzazione si intende un contratto sinallagmatico Il contratto di


in cui all'obbligazione dello sponsor di versare una determinata somma, di sponsorizzazione
prestare un determinato servizio o un particolare bene, corrisponde l'impegno
del soggetto sponsorizzato, lo sponsee, di attenersi a un/acere prestabilito che
consente comunque di associare il risultato ottenuto all'immagine dello sponsor.
In sostanza la causa del contratto di sponsorizzazione può essere individuata
nell'aspirazione dello sponsor a conseguire un ritorno di immagine e nel desi-
derio dello sponsee di trovare un finanziamento.

A partire dagli anni Novanta del XX secolo, le sponsorizzazioni nel settore del
patrimonio ctÙturale hanno progressivamente trovato una propria disciplina
legislativa [U ngari 2014; Chieppa 2013].
lnnanzitutto, vi è l'articolo 120 del Codice, in base al quale è sponsorizza- La disciplina del
zione di beni culturali «ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per Codice dei beni
la progettazione o l'attuazione di iniziative in ordine alla tutela owero alla ctÙturali e del pae-
saggio
valorizzazione del patrimonio ctÙturale, con lo scopo di promuovere il nome, il
marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività del soggetto erogante.
Possono essere oggetto di sponsorizzazione iniziative del ministero, delle
Regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di altri soggetti pubblici o
di persone giuridiche private senza fine di lucro, owero iniziative di soggetti
privati su beni culturali di loro proprietà. La verifica della compatibilità di
dette iniziative con le esigenze della tutela è effettuata dal ministero in confor-
mità alle disposizioni del Codice (comma 1). Inoltre, la promozione awiene
attraverso l'associazione del nome, del marchio, dell'immagine, dell'attività
o del prodotto all'iniziativa oggetto del contributo, in forme compatibili
con il carattere artistico o storico, l'aspetto e il decoro del bene ctÙturale
da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione
(comma 2). Infine, con il contratto di sponsorizzazione sono altresì definite
le modalità di erogazione del contributo, nonché le forme del controllo, da
parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell'iniziativa cui il contributo
si riferisce (comma 3).
Sotto il proftlo procedurale, la disciplina delle sponsorizzazioni è oggi dettata La disciplina del
dagli articoli 19 e 151 del codice dei contrati pubblici, d.lgs. n. 50 del2016. codice dei con-
Tali norme regolano i contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture tratti pubblici
relativi ai beni ctÙturali, o finalizzati al sostegno degli istituti e luoghi della
cultura, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione.
238 CAPITOLO 4

I profili procedu- In particolare, rispetto alla disciplina previgente, quella introdotta nel2016
rali ha notevolmente semplificato le procedure previste per giungere alla stipu-
lazione di questa tipologia di contratti. Le disposizioni di riferimento sono
all'art. 19 del Codice, che tratta, in generale, i contratti di sponsorizzazione,
a cui rinvia l'art. 151, comma l. La procedura consiste semplicemente
nell'obbligo di pubblicare l'offerta di sponsorizzazione per trenta giorni
sul sito dell'amministrazione, con la conseguente possibilità, trascorso
detto termine, che il contratto possa essere «liberamente negoziato», nel
rispetto dei principi di imparzialità e parità di trattamento fra gli operatori
interessati. Debbono restare fermi, inoltre, i requisiti soggettivi generali di
ordine morale dello sponsor e, ovviamente, gli indispensabili requisiti tec-
nico-professionali di qualificazione dell'impresa esecutrice dell'intervento.
Il comma 2 dell'articolo 151, poi, ribadisce che l'amministrazione preposta
alla tutela dei beni culturali impartisce opportune prescrizioni in ordine alla
progettazione, all'esecuzione delle opere e/o forniture e alla direzione dei
lavori e collaudo degli stessi.

In attuazione dell'articolo 151 del codice dei contratti pubblici, il ministero


dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo ha precisato, con la circolare
9 giugno 2016, che la pubblicazione dell'offerta ricevuta consiste in un avviso
pubblico di avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, con
cui si rende noto che è pervenuta una proposta di sponsorizzazione per il
finanziamento (o la realizzazione, a cura e spese dello sponsor) di un pro-
getto di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e che tale proposta
è stata valutata positivamente dall'amministrazione e ritenuta ammissibile
e conveniente per l'interesse pubblico. L'avviso ha finalità informative di
pubblicità-trasparenza, non di bando di gara o di sollecitazione al merca-
to. Laddove altri soggetti dovessero, nel periodo di tempo di durata della
pubblicazione dell'avviso, proporre una propria offerta migliorativa, allora
potrà aprirsi una fase negoziale nella quale le imprese concorrenti potranno
essere invitate a dei rilanci (fermi restando l'oggetto e la natura del rapporto
proposto; e invero la libera negoziabilità del contenuto contrattuale deve
essere intesa con riferimento agli elementi accidentali del negozio, non al
nucleo essenziale della proposta).

4.3. Gli accordi e le forme di partenariato: cenni e rinvio

La valorizzazione del patrimonio culturale, come visto, presuppone un forte


coinvolgimento dei privati, in diverse forme. Sotto questo profilo, la soluzione
dell'accordo rappresenta in linea teorica lo strumento più semplice, anche
perché contemplata in termini generali dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
Tuttavia, rispetto alle potenzialità offerte da questo settore, il susseguirsi delle
disposizioni che hanno regolato il rapporto tra pubblico e privato nella ge-
stione del patrimonio culturale hanno reso di fatto molto difficile e complesso
fare ricorso ad accordi. Si è già illustrato il sistema progressivamente costruito
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 239

dal legislatore all'articolo 112 del Codice, con riferimento agli accordi di
valorizzazione e al non semplice percorso ivi previsto per il coinvolgimento
di soggetti privati (supra, par. 2.6 e in/ra, cap. 6). A conferma di ciò, il fatto
che la gran parte degli accordi di valorizzazione fino a oggi stipulati ha visto
essenzialmente partecipare soggetti pubblici (Stato, Regioni, Comuni) e non
soggetti privati.

Una ipotesi rilevante è rappresentata dal caso delle fondazioni bancarie, per Le fondazioni
le quali il Codice ha previsto una specifica disposizione (articolo 121), in base bancarie
alla quale il ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, ciascuno
nel proprio ambito, possono stipulare, anche congiuntamente, protocolli di
intesa con le fondazioni conferenti di cui alle disposizioni in materia di ristrut-
turazione e disciplina del gruppo creditizio, che statutariamente perseguano
scopi di utilità sociale nel settore dell'arte e delle attività e beni culturali, al
fine di coordinare gli interventi di valorizzazione sul patrimonio culturale e,
in tale contesto, garantire l'equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe
a disposizione (cap. 6).

Proprio per rendere più agevole la diffusione di forme di collaborazione, an- Le forme di parte-
che strutturate, tra pubblico e privato, l'articolo 151 del codice dei contratti nariato
pubblici ha introdotto, al comma 3, una specifica forma di partenariato nel
settore del patrimonio culturale. Essa si differenzia dalla fattispecie generale
disciplinata dallo stesso codice agli articoli 180 ss., in cui la cooperazione è
diretta a garantire il finanziamento, la realizzazione o gestione di un'opera
pubblica a fini remunerativi e la individuazione del partner deve avvenire
mediante procedure a evidenza pubblica (secondo la c.d. finanza di progetto).
L'ipotesi prevista dall'art. 151, comma 3, ha finalità peculiari, relative al mi-
glioramento della fruizione del patrimonio culturale e della ricerca scientifica,
con attività dirette al recupero, al restauro, alla manutenzione programmata,
alla gestione, all'apertura alla pubblica fruizione e alla valorizzazione di beni
culturali immobili.
Il tratto distintivo di questa speciale forma di partenariato è che la scelta del
soggetto privato con cui costituire il partenariato non è soggetta a formale
procedura a evidenza pubblica, ma può realizzarsi mediante le stesse modalità
previste per la sponsorizzazione o anche ulteriori procedure semplificate, la
cui concreta definizione è affidata all'amministrazione pubblica, nello svol-
gimento delle proprie funzioni.
Alla base di questa disposizione, non priva di problematiche applicative
(cap. 6), vi è stata la necessità di offrire un fondamento legislativo a una
prassi diffusa di cooperazione tra pubblico e privato che, con il tempo, non
ha ricevuto un appropriato inquadramento giuridico. Basti pensare al caso
del Parco archeologico di Ercolano, che riceve da numerosi anni ingenti
finanziamenti, a titolo di liberalità, dalla Fondazione Hewlett Packard, sulla
base di un accordo prima di sponsorizzazione- quando non vi era un quadro
normativo definito - e oggi ai sensi dell'articolo 151, comma 3, del codice
dei contratti pubblici.
240 CAPITOLO 4

LETTURE DI APPROFONDIMENTO

G. Alpa, Imprese e beni culturali. Il ruolo dei privati per conservazione, restauro e fruizione, in «Quad.
reg.>>, 1987, pp. 507 ss.; S. Arnorosino, Il nuovo ordinamento dei musei statali, in «Urbanistica e
Appalti», 2015, n. lO; S. Baia Curioni e L. Forti, Note sull'esperienza delle concessioni per la gestione
del patrimonio culturale in Italia, in «Aedon», 2009, n. 3; M. Bencivenni, R. Dalla Negra e P. Grifoni,
Monumenti e istituzioni, vol. 1: La nascita del servizio di tutela dei monumenti in Italia, Firenze, Ali-
n
nea, 1987; L. Bobbio (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, Mulino, 1992;
M. Cammelli, Decentramento e «outsourcing;; nel settore della cultura: il doppio impasse, in «Dir.
pubb.», 2002, pp. 261 ss.; A. Carandini, La forza del contesto, Roma-Bari, Laterza, 2017; L. Casini,
La valorizzazione dei beni culturali, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2001, pp. 651 ss.; Id., La codificazione
del diritto dei beni culturali in Italia e in Francia, in «Gior. dir. amm.», 2005, n. l, pp. 98-104; Id.,
Pubblico e privato nella valorizzazione dei beni culturali, in «Gior. dir. amm.», 2005, n. 7, pp. 785-791;
Id., Il mito di Sisz/o ovvero la quarta riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, in
«Gior. dir. amm.», 2010, n. 10, pp. 1006-1014; Id., Valorizzazione del patrimonio culturale pubblico:
il prestito e l'esportazione di beni culturali, in «Aedon», 2012, nn. 1-2; Id., Il decreto valore cultura:
«senza pietre non c'è arco;;, in «Gior. dir. amm.», 2014, n. 2, pp. 117-131; Id., «Le parole e le cose;;:
la nozione giuridica di bene culturale nella legislazione regionale, in «Gior. dir. amm.», 2014, n. 3; Id.,
«Noli me tangere;;: i beni culturali tra materialità e immaterialità, in «Aedon», 2014, n. l; Id., «Todo es
peregrino y raro ... ;;: Massimo Severo Giannini e i beni culturali, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2015, n. 3,
pp. 987-1005; Id.,« The Loneliness o/the Comparative Lawyer;;. In memoria di fohn Henry Merryman
(1920-2015), in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2016, n. 3, pp. 875-884; Id., La rz/orma delMIBACT tra mito
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Paesaggio

l. IL PAESAGGIO E LA SUA DIMENSIONE GIURIDICA

L'acquisizione del concetto, prima culturale (fin dal1500 [Camporesi 2016])


e poi giuridico (ma solo a partire dall'ultimo secolo del passato millennio), di
paesaggio è frutto di un lento processo di elaborazione teorica, che ancora
oggi non pare essere arrivato a un risultato stabile e universalmente condiviso.
Paesaggio è un'espressione che non corrisponde sempre esattamente a un
bene materiale, ma rappresenta un concetto che implica un'idea a proposito
di alcuni valori fondamentali, come la natura, l'ambiente, la storia, la cultura,
l'arte, l'architettura fortemente condizionata da elementi soggettivi, con la
conseguenza che la definizione che di esso può essere data rischia sempre di
risultare parziale, ambigua o sfuggente. Su tale concetto, poi, sono destinati
a influire numerosi fattori esterni, in primo luogo di tipo antropologico e
ecologico, rendendone così il suo significato polisemico e dinamico.
Tale processo evolutivo, però, ha permesso di rendere autonomo il concetto di Autonomia del
paesaggio, distinguendone alcuni tratti caratteristici rispetto ad altri concetti concetto
ed escludendone la eventuale sovrapposizione con questi. Così è avvenuto,
in primo luogo, con il concetto di natura, considerato che non si può imma-
ginare un'esatta corrispondenza tra questa e il paesaggio: «la natura non si
può creare, ma il paesaggio sì[ ...], la natura è assoluta il paesaggio invece può
essere influenzato», con la conseguenza che «i paesaggi si formano attraverso le
evoluzioni naturali, l'opera dell'uomo e le metafore» [Kiister 2010, 99 e 103].
Lo sforzo di identificare un concetto autonomo di paesaggio ha fatto emer-
gere anche una dimensione giuridica dello stesso, la cui definizione appare
influenzata da tre elementi, quali il ruolo dei pubblici poteri e le azioni che
essi svolgono nel campo paesaggistico, l'evoluzione del quadro legislativo
riguardante la materia e, infine, l'elaborazione della nozione giuridica di

Questo capitolo è di Giuseppe Piperata.


244 CAPITOLO 5

paesaggio che può essere data. Delle competenze e degli strumenti di azione
pubblica in materia di paesaggio si parlerà nei paragrafi successivi, con una
ricostruzione limitata alla disciplina vigente e all'interpretazione giurispruden-
ziale che ne è stata fornita. Invece appare fin da subito opportuno soffermarsi
L'evoluzione legi- sugli altri elementi, considerata la possibilità di descriverne l'evoluzione, a
slativa partire da quella riguardante il dato legislativo, che può essere riassunta in
cinque differenti fasi:
La scoperta del a) la scoperta. La scoperta legislativa del paesaggio e dei beni paesaggistici,
paesaggio sia pur in una prospettiva concettuale molto diversa rispetto a quella attuale,
risale ai primissimi anni del Novecento. Una prima legge, la L 16luglio 1905,
n. 411 (riguardante la conservazione della Pineta di Ravenna), regolamentò un
intervento a tutela di un bene specifico, mentre un successivo provvedimento
legislativo, la L 11 maggio 1922, n. 778 (c.d. legge Croce), immaginò un primo
regime giuridico generalizzato per beni immobili e bellezze panoramiche
meritevoli di conservazione «a causa della loro bellezza naturale o della loro
particolare relazione con la storia civile e letteraria)) (art. 1). Si trattava di un
sistema di protezione di tali beni incentrato sul ruolo del ministero dell'Istru-
zione e affidato agli strumenti della dichiarazione di notevole interesse pub-
blico e dell'autorizzazione preventiva per ogni intervento sui beni vincolati.
Nell'intenzione, quindi, del legislatore il sistema di interventi ipotizzato avrebbe
dovuto tutelare il paesaggio, considerato come «la rappresentazione materiale
e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le
sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e
vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta
successione dei secoli)) (Relazione illustrativa della legge 11 giugno 1922, n. 77 8,
«Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse
storico)), Atti parlamentari, Legislatura XXV, Senato del Regno, tornata del25
settembre 1920; richiamata anche in Corte cost., sent. 309/2011 );
Il primo disegno b) il primo disegno organico. Nel 1939, su proposta di Giuseppe Bottai,
orgamco ministro dell'epoca, venne delineato un primo disegno organico di interventi,
fondato su due provvedimenti legislativi, la L l giugno 1939, n. 1089, «Tu-
tela delle cose d'interesse artistico e storico)), e la 29 giugno 1939, n. 1497,
«Protezione delle bellezze naturali)), che definivano la tutela dei beni cultu-
rali e del paesaggio come importante funzione pubblica, da assolvere con i
modi e le azioni in tali leggi previste. Numerosi i parallelismi tra i due quadri
regolativi, a conferma di una già presente visione tendente ad accomunare
i due oggetti di tutela in un unico contesto patrimoniale. Per il paesaggio,
però, a differenza del testo legislativo previgente, il nuovo regime giuridico
- presto completato con il regolamento di esecuzione, r.d. 3 giugno 1940, n.
1357- conteneva alcune importanti novità. lnnanzitutto, i beni individuabili
come bellezze naturali furono disarticolati in due categorie, definite bellezze
individue (ossia, cose immobili con cospicui caratteri di bellezza naturale o
singolarità geologica, nonché ville, giardini e parchi, che si caratterizzano
per la non comune bellezza) e bellezze d'insieme (ossia, complessi di cose
immobili che compongono un caratteristico aspetto avente carattere estetico
PAESAGGIO 245

e tradizionale e le bellezze panoramiche). Ma soprattutto, il nuovo disegno


innovava il sistema di tutela introducendo, accanto agli interventi vincolistici,
anche la facoltà del ministero di adottare un piano territoriale paesistico per
salvaguardare la bellezza panoramica dei beni vincolati (art. 5, L 1497 /1939);
c) il riconoscimento costituzionale. L'avvento repubblicano è molto im- Il riconoscimento
portante per le politiche in materia di paesaggio, soprattutto poiché la costituzionale
Costituzione del 1948 conferma il ruolo pubblico svolto in tale settore ed
enfatizza quei compiti amministrativi già previsti nella legislazione precedente.
L'espressione «bellezze naturali» cede il posto alla più ampia locuzione di
«paesaggio». L'art. 9, comma 2, Cost., infatti, afferma che «la Repubblica[ ... ]
tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della N azione»;
d) le innovazioni. L'entrata in vigore del nuovo testo costituzionale non ha Le innovazioni
avuto ricadute sul disegno organico in materia di bellezze naturali e pano-
ramiche, o almeno nell'immediato. Infatti, solo a partire dagli anni Settanta
dello scorso secolo si registrano le prime innovazioni dirette a incidere sul
tradizionale regime giuridico riguardante in senso lato quello che oggi defi-
niamo paesaggio. nprimo intervento legislativo è rappresentato dall'art. 82 del
d.p.r. 24luglio 1977, n. 616, con il quale le principali competenze in materia
di autorizzazione, pianificazione e controllo sono state trasferite dallo Stato
alle Regioni: una scelta che allora parve obbligata, considerato che anche
il settore del paesaggio andava rivisto al fine di tener conto dell'avvenuta
istituzione dell'ente regionale e dell'avvio dei processi di decentramento e di
trasferimento di compiti pubblici dal centro alla periferia.
E proprio i ritardi maturati dalle Regioni nell'esercizio delle funzioni a esse
trasferite, in primo luogo, nell'adozione dei piani paesistici si collocano come
causa della seconda innovazione, anche questa introdotta per legge, apportata
al sistema di tutela del paesaggio. In una situazione emergenziale, con l'obiet-
tivo di contrastare scempi ambientali e paesaggistici e di salvaguardare intere
aree territoriali, a partire dal1984, con diversi decreti ministeriali, numerose
zone del nostro territorio vennero assoggettate a un regime vincolistico che
non riguardava solo il singolo bene, ma si estendeva a un intero contesto circo-
stante. Successivamente, con il d.l. 27 giugno 1985, n. 312, con v. in L 8 agosto
1985, n. 431 (c.d. legge Galasso), si consolidò l'intervento di salvaguardia,
che, altrimenti, rischiava di essere travolto dalle numerose contestazioni, anche
giurisdizionali, avanzate contro i decreti suddetti. Diversi Comuni, infatti,
impugnarono tali misure perché limitavano in modo significativo la capacità
edificatoria. Ma il nuovo intervento ha avuto anche il merito di introdurre
significative novità al sistema di tutela del paesaggio, intervenendo in parti-
colare su due versanti. Sul versante dei vincoli, indicando un elenco di aree
tutelate per le quali il vincolo non deve essere posto con provvedimento ad
hoc, ma deriva direttamente dalla legge, e sul versante dell'attività di pianifi-
cazione, prevedendo l'obbligo per le Regioni di adottare un piano paesistico
con l'obiettivo di sottoporre «a specifica normativa d'uso e di valorizzazione
ambientale il relativo territorio)) o in alternativa dotarsi di un piano urbanistico
territoriale «con specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali));
246 CAPITOLO 5

La revisione del e) la revisione del sistema. L'ordinamento del paesaggio e dei beni paesaggi-
sistema stici, così come configurato grazie alla soprawivenza della disciplina organica
prerepubblicana e alle innovazioni introdotte vigente un nuovo impianto
costituzionale, per effetto della delega contenuta nell'art. l, l. 8 ottobre 1997,
n. 352, è stato interamente riversato in un Testo unico, contenuto nel d.lgs. 29
ottobre 1999, n. 490, destinato a raccogliere in un unico contesto regolativo
«le disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali». n Tu
non aveva portata innovativa, ma si limitava a raccogliere tutte le disposi-
zioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali, ammettendo
«esclusivamente le modificazioni necessarie per il loro coordinamento for-
male e sostanziale, nonché per assicurare il riordino e la semplificazione dei
procedimenti» (art. l, comma 2, lett. b, l. 352/1997).
Tuttavia, dopo pochi anni, una nuova delega legislativa (art. lO della legge 6
luglio 2002, n. 137), resasi necessaria a seguito delle modifiche costituzionali
del200 l, ha autorizzato il governo a predisporre un Codice in materia di beni
culturali e ambientali, questa volta con l'obiettivo di procedere a un riassetto
anche incisivo della disciplina di riferimento, in modo da adeguarla al dettato
costituzionale e ai vari cambiamenti ordinamentali registrati anche a livello
europeo e internazionale e da rivederne alcuni aspetti fondamentali. In virtù
di tale delega è stato, quindi, emanato il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, conte-
nente il Codice dei beni culturali e del paesaggio, successivamente ritoccato
proprio in quelle parti dedicate al paesaggio da alcuni decreti correttivi: i
d.lgs. 24 marzo 2006, nn. 156 e 157, e i d.lgs. 26 marzo 2008, nn. 62 e 63.
nCodice ha profondamente inciso sul regime giuridico in tema di paesaggio,
operando in più direzioni: rivedendo i rapporti tra le amministrazioni pubbli-
che e, in primis, quelli tra Stato, Regioni e amministrazioni locali; ampliando le
funzioni amministrative in tema di paesaggio, in modo da affiancare alla tutela
anche la valorizzazione; potenziando i vari strumenti di azione; rendendo più
efficiente il sistema sanzionatorio.
Ma al Codice (soprattutto nella versione derivante dalla novella apportata
nel 2008) si deve ascrivere anche un'altra importante innovazione, questa
volta riconducibile all'intervento sulla nozione stessa di paesaggio, la quale
non solo viene cristallizzata in una definizione, ma viene anche differenziata
rispetto a quella di bene paesaggistico, salvo, però, immaginare una ricompo-
sizione concettuale finale, comune anche con i beni culturali, sotto un unico
contesto rappresentato dalla definizione di patrimonio culturale, così come
prevista dall'art. 2.
La nozione di pae- La nozione di paesaggio è, ora, contenuta nell'art. 131, comma l, del Co-
saggio dice, che lo definisce come «il territorio espressivo di identità, il cui carattere
deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni». Una
definizione, questa, molto distante dalla nozione che era stata accolta nella
l. 1497/1939 e che sottoponeva a salvaguardia solo quelle bellezze naturali
di cui si dichiarava l'interesse in base alloro valore estetico. In altri termini,
il precedente sistema legislativo individuava i beni e ne assicurava la tutela
solo a condizione che si potessero identificare come «bellezze>>, dotate cioè
PAESAGGIO 247

di qualità estetiche tali da giustificare un interesse pubblico alla loro conser-


vazione. n paesaggio veniva definito attraverso l'uso del c.d. criterio della
pietrificazione, che permetteva di cogliere il valore paesistico solo in quei
beni che rappresentavano «quadri naturali)). Vigente il precedente regime
legislativo, tra l'altro, alcuni interpreti, con riferimento all'art. 9, comma 2,
Cost., avevano avanzato l'idea secondo la quale la concezione estetica presente
alla base del sistema di tutela delle bellezze naturali voluto dalla l. 1497/1939,
poteva essere estesa anche al più ampio concetto di paesaggio richiamato nella
stessa disposizione costituzionale [Sandulli 1967].
nCodice (soprattutto in seguito alla novella del2008) supera definitivamente
il concetto di paesaggio ancorato all'idea astratta di bellezza e determinabile
soltanto attraverso criteri estetici con i quali valutare singoli beni, spazi e
contesti più ampi e le loro specifiche caratteristiche.
Ma il processo di abbandono della concezione estetica di paesaggio era iniziato
ben prima dell'innovazione codicistica.
Un significativo cambio di rotta al riguardo era stato anticipato già in sede di
commissione Franceschini, istituita con la l. 26 aprile 1964, n. 310, la quale-
al termine dei suoi lavori - aveva proposto la configurazione del patrimonio
culturale della Nazione con quei beni che avrebbero potuto essere individuati
non per il loro valore estetico, ma perché costituiscono testimonianze materiali
aventi valore di civiltà. Nella prospettiva seguita dalla commissione, i beni in
questione potevano essere collocati in un'unica e ampia categoria di «beni
culturali ambientali)), comprensiva anche dei beni di tipo paesaggistico.
L'accezione di paesaggio proposta dalla commissione Franceschini influenzò
anche la dottrina successiva, la quale ritornò sull'interpretazione del concetto
di paesaggio così come utilizzato dall'art. 9, comma 2, Cost., identificandolo
con la «forma del paese, creata dall'azione cosciente e sistematica della co-
munità umana che vi è insediata, in modo intensivo o estensivo, nelle città o
nella campagna, che agisce sul suolo, che produce segni della sua cultura))
[Predieri 1969, 11 s.].
Oggi, è questa la nozione che si privilegia nell'identificazione del paesaggio.
Essa ha influenzato, prima, la Convenzione europea del paesaggio, firmata
a Firenze, il 20 ottobre 2000, e successivamente la revisione al Codice, in
entrambi i casi nella parte dedicata all'impostazione concettuale di una defi-
nizione di paesaggio, inteso come contesto territoriale differente rispetto ai
beni culturali e ai beni paesaggistici.

È stata per prima la giurisprudenza a segnalare il cambio di paradigma rispetto


alle precedenti teorizzazioni, stabilendo che «non appare dubbio, invero, (che)
alla luce dell'individuazione dei beni paesaggistici contenuta [. ... ] (negli artt.
136 ss. del d.lgs. 42/2004) con il termine paesaggio il legislatore abbia inteso
designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche
naturali e/o indotte dalla presenza dell'uomo, è ritenuta meritevole di particolare
tutela, che non può ritenersi limitata al mero aspetto esteriore o immediata-
mente visibile dell'area vincolata, così che ogni modificazione dell'assetto del
territorio, attuata attraverso qualsiasi tipo di opera, è soggetta al rilascio della
248 CAPITOLO 5

prescritta autorizzazione)) (v. Cass. Pen., sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128;
Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4079).

Alla nuova definizione codicistica di paesaggio e alla conseguente regolamen-


tazione vanno imputate anche due importanti innovazioni sotto il profilo
della modifica al criterio identificativo utilizzabile e della moltiplicazione
delle nozioni di paesaggio.

La prima innovazione consiste nella sostituzione del criterio della pietrificazione


con quello dell'identità, ai fini della delimitazione della nozione di paesaggio
[Fattibene 20 16]. Il concetto di identità più volte è richiamato dalle disposizioni
codicistiche: paesaggio è, per prima cosa, «il territorio espressivo di identità))
(art. 131, comma l) e può essere meritevole di protezione solo «relativamente
a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visi·
bile dell'identità nazionale)) (art. 131, comma 2). Non è, quindi, più il valore
estetico ma la dimensione identitaria a determinare la valenza paesaggistica di
un territorio [Boscolo 2009].
In secondo luogo, come segnalato dalla dottrina [Sciullo 2008b], a ben vedere,
nel Codice le nozioni di paesaggio sarebbero più d'una. Una prima nozione,
di carattere generale, è quella che abbiamo visto essere contenuta nell'art.
131, comma l. A questa si affiancano due nozioni particolari, più ristrette e
che si riferiscono al paesaggio in senso culturale, le quali possono essere colte
in rapporto alle funzioni amministrative svolte, ossia rispetto alla funzione di
tutela, cioè del paesaggio inteso come rappresentazione materiale e visibile
dell'identità nazionale, ai sensi dell'art. 131, comma 2, e rispetto alla funzione
di valorizzazione, cioè del paesaggio comprensivo anche di nuovi valori pae-
saggistici coerenti e integrati, ai sensi degli artt. 6, comma l, e 131, comma 5.
n progressivo abbandono della concezione estetica di paesaggio, grazie anche
all'evoluzione legislativa ricordata, ha permesso di far emergere nuovi modi per
registrare la valenza paesaggistica dei territori. Oggi, il paesaggio può essere
percepito e individuato attraverso l'aspetto identitaria che esso esprime, grazie
al quale al paesaggio stesso può essere attribuita anche una valenza autonoma
rispetto ad altri valori che al territorio si legano. Non è detto che altri aspetti
e altre valenze percettive del paesaggio non possano emergere e affermarsi in
futuro. È quanto sta accadendo, ad esempio, a proposito del tentativo di col·
locazione del paesaggio nell'ambito della teorica dei beni comuni, operazione,
questa, che se consolidata dovrebbe attribuire alla nozione di paesaggio nuovi
significati e soprattutto favorire - come segnalato da alcuni osservatori - un
passaggio «dal paesaggio "estetico" (da guardare) al paesaggio "etico" (da
vivere))) [Settis 2013, 18; 2017; Barbati 2008b; Fatti bene 2016].

2. PAESAGGIO, AMBIENTE, GOVERNO DEL TERRITORIO:


RELAZIONI E DIFFERENZE

Le difficoltà registrate nella definizione del concetto di paesaggio trovano


anche origine nel fatto che il concetto in questione ha sempre presentato
punti di sovrapposizione con altri concetti anch'essi oggetto di un'apposita
regolamentazione giuridica.
PAESAGGIO 249

Ovviamente, la sovrapposizione più rilevante si è avuta e continua ad aversi


tra paesaggio, beni paesaggistici e beni culturali. Sul punto si avrà modo di
ritornare nel prosieguo per approfondimenti. Invece, in questa sede bisogna
provare a definire i confini del paesaggio rispetto ad altri interessi contermini,
come quelli relativi alla tutela dell'ambiente e al governo del territorio.
Bisogna subito segnalare che, oggi, separare e differenziare gli interessi che rica-
dono in un medesimo ambito territoriale e ne condizionano gli usi è operazione
alquanto difficile. Infatti, se fino a qualche anno fa urbanistica ed edilizia, da un
lato, e paesaggio, ambiente e patrimonio culturale, dall'altro, rappresentavano
materie autonome e definite nei rispettivi confini, oggetto di discipline fram-
mentate e «tutele parallele>>, oggi, quei confini sembrano meno netti e definiti.
Una prima interferenza si registra nel rapporto tra paesaggio e ambiente. Paesaggio e am-
biente
Entrambi i concetti si caratterizzano per essere materie difficilmente delimitabili.
Concorrono, poi, a rendere ancora più incerta la distinzione alcuni elementi.
Il primo, rappresentato dal fatto che, come ricordato (v. cap. 1), a partire dagli
anni Settanta dello scorso secolo, l'ordinamento italiano ha preferito utilizzare
l'espressione «beni ambientali» per indicare quei particolari beni di valore pae-
saggistico da distinguere dai beni culturali in senso stretto (d.p.r. 616/1977, art.
82; l. 431/1985; d.lgs. 112/1998, art. 148; d.lgs. 490/1999), mentre solo con il
Codice è stato possibile introdurre, a sostituzione della precedente, la categoria
dei «beni paesaggistici». Inoltre, le sovrapposizioni tra l'ambito ambientale e
quello paesaggistico sono continue, a partire dagli oggetti delle possibili politiche
di tutela che possono coincidere, in quanto riguardanti il medesimo contesto
territoriale, il quale può, allo stesso tempo, rappresentare un sito ambientale
da salvaguardare e un'area paesaggistica da vincolare [Giannini 1973].
Ma le oggettive interferenze tra le due materie non possono più giustificare
una confusione tra i due ambiti o, peggio, portare a escludere un'autonomia
del paesaggio rispetto all'ambiente. Anche se, in passato, entrambe le materie
hanno beneficiato per la loro affermazione di valori costituzionali (art. 9 Cost.)
e quadri legislativi comuni, oggi, tuttavia, sono affidate a separate discipline,
che ne regolano gli aspetti quantomeno generali: il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152,
che contiene le disposizioni generali in materia di ambiente e regola i principali
settori di cui essa si compone, e il Codice, che si occupa di paesaggio e beni
paesaggistici. Il fatto, poi, che proprio il Codice abbia qualificato i beni paesag-
gistici quali elementi costitutivi insieme ai beni culturali del patrimonio culturale
(art. 2, comma 1), così enfatizzando anche la valenza culturale degli stessi, ha
maggiormente favorito l'allontanamento del paesaggio dalla sfera di interferenza
dell'ambiente, con la conseguenza che, oggi, «il paesaggio, in Italia, in quanto
soprattutto paesaggio storico, è cultura più che natura» [Carpentieri 2013, 3].

Ancora più difficile è individuare una dimensione autonoma del paesaggio Paesaggio e go·
nell'ambito del concetto di governo del territorio, i cui confini tendono a verna del territo-
essere sempre di più ampliati. «Governo del territorio» è la locuzione che si no ...
preferisce utilizzare per indicare quel complesso fenomeno giuridico destinato
a regolare e ordinare i molteplici usi che possono interessare un determinato
ambito spaziale, con attenzione anche alla composizione di una pluralità di
interessi, la cui dimensione pubblica è spesso rilevante.
250 CAPITOLO 5

Tale preferenza si giustifica per una pluralità di ragioni: una, in primo luogo,
formale, dato che è stato lo stesso legislatore costituzionale, con la riforma del
Titolo V della Costituzione nel 2001, a preferire l'espressione «governo del
territorio» rispetto alla più tradizionale «urbanistica» nella definizione delle
materie di competenza legislativa concorrente; poi, perché il territorio rappre-
senta sempre di più la sede di una pluralità di interessi, non solo urbanistici o
edilizi, che richiedono un governo unitario o un coordinamento su scala più
ampia; infine, perché si tratta di una formula così generica ed elastica da potersi
adattare di volta in volta a fenomeni diversi e che richiederebbero specifici
distinguo oppure da poter essere utilizzata come felice sintesi dietro la quale
collocare quegli intrecci, altrimenti inestricabili, tra valori, interessi, regolazioni
e tutele che hanno in comune un identico spazio territoriale di riferimento.
Non deve meravigliare, pertanto, se il Giudice delle leggi arriva a registrare che
la locuzione «governo del territorio)) indica un campo ben più ampio della sola
urbanistica, in quanto «ricomprende tutto ciò che attiene all'uso del territorio e
alla realizzazione di impianti e attività)) (Corte cost., sentt. 307/2003 e 196/2004 ).

Ma quali sono i valori e gli interessi che si intrecciano dietro il sipario del
«governo del territorio))? Sono alcuni valori primari, come l'uso ordinato
del suolo, l'edilizia, la localizzazione delle opere pubbliche, ma un ruolo
indiretto spetta anche all'ambiente, al paesaggio e al patrimonio culturale.
Tutti beni che la Costituzione pone in primo piano: per l'art. 9la Repubblica
«tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione)), mentre
nell'art. 117 tutti gli interessi in questione vengono presi in considerazione ai
fini del riparto della competenza legislativa, senza contare, poi, tutte le altre
disposizioni che indirettamente possono valere ai fini della tutela degli stessi.
L'intreccio tra i valori ricordati riverbera anche sui soggetti legittimati a
tutelarli soprattutto in sede legislativa, sulle tipologie di azioni che possono
avere a oggetto gli stessi, sui confini e sull'autonomia delle rispettive materie.
Si prenda, ad esempio, il caso della ripartizione della competenza legislativa
tra Stato e Regioni fatta dal nuovo testo dell'art. 117 Cost. È facile notare che
alla potestà esclusiva dello Stato viene riconosciuto un ruolo a proposito della
«tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali)) (art. 117, comma
2, lett. s, Cost.), ma allo stesso tempo si affidano alla competenza legislativa
concorrente con le Regioni il governo del territorio, la valorizzazione dei beni
culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali.
A sua volta, come visto, l'art. 9 Cost. obbliga tutti i livelli istituzionali che
compongono la Repubblica a concorrere alla tutela del patrimonio culturale
e del paesaggio.
Quindi, non è facile capire come differenziare l'intervento legislativo dello
Stato rispetto a quello delle Regioni e su quali oggetti si può concentrare il
primo e su quali, invece, il secondo. Infatti, se debba essere il legislatore sta-
tale o questi insieme a quello regionale a dettare la disciplina di riferimento
per gli interessi ambientali, urbanistici e culturali è una scelta affidata a un
criterio fondato sull'individuazione di materie i cui confini non sono sempre
circoscritti o alla differenza tra tutela e valorizzazione che non sempre è
percepibile nella sua chiarezza.
PAESAGGIO 251

La Corte costituzionale è più volte intervenuta per provare a districare la que- ... nella giurispru-
stione, in modo da risolvere i conflitti di competenza e fornire i parametri per denza della Corte
evitare il loro insorgere. costituzionale
La Corte ha, in primo luogo, registrato il fatto che il territorio rappresenta un
dato spaziale, sede di una pluralità di interessi di rilievo pubblicistico. Come
affermato espressamente, «sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli
concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta
in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la
valorizzazione dei beni culturali e ambientali (fruizione del territorio), che
sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni>> (sent.
367 /2007). Ha anche riconosciuto una preferenza della tutela paesaggistica
rispetto alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza con-
corrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione
dei beni culturali e ambientali. Un riconoscimento di preferenza, tra l'altro, da
salutare favorevolmente, in quanto conferma di quel rapporto gerarchico, voluto
dall'art. 9, comma 2, Cost., tra l'ordinamento della tutela del paesaggio e quello
del governo del territorio, spesso banalizzato o contrastato nella legislazione
attuativa [Severini 2013,6 s.]. In ogni caso, sono questi sempre due tipi diversi
di tutela, che possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessaria-
mente restare distinti (v. sempre sent. 367/2007, ma anche sent. 272/2009).
Ciò comunque non significa che solo lo Stato possa prowedere alla disciplina
delle procedure e degli strumenti per assicurare la conservazione dei beni am-
bientali e paesistici, ben potendo le Regioni intervenire attraverso le proprie
sfere di competenza legislativa nelle medesime materie, al fine di elevare il
livello di tutela previsto dalla legislazione statale. La competenza dello Stato,
quindi, non esclude il concorso di normative regionali, soprattutto se destinate a
contribuire alla tutela dell'ambiente, sia pur passando dalla materia della salute
o del governo del territorio. In pratica, e utilizzando le parole del giudice delle
leggi, «in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio, la disciplina statale
costituisce un limite minimo di tutela non derogabile dalle Regioni, ordinarie o
a statuto speciale, e dalle Province autonome. Gli "standard minimi di tutela"
stabiliti dallo Stato in materia di tutela dell'ambiente vanno intesi nel senso che lo
Stato assicura una tutela adeguata e non riducibile dell'ambiente valevole anche
nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome. Non
è pertanto consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale
che dettano una disciplina uniforme valevole su tutto il territorio nazionale,
nel cui ambito deve essere annoverata l'autorizzazione paesaggistica» (Corte
cost. sent. 101/2010, ma anche sentt. 12/2009, e 272/2009).
Anche a proposito della differenza tra tutela e valorizzazione e con particolare
riferimento ai beni culturali, la Corte costituzionale ha provato a fare chiarezza,
sottolineando la necessità di considerare tali aree non tanto ambiti oggettivi e
definiti di competenza, quanto «materie-attività», «materie trasversali» rispetto
alle quali coesistono più competenze normative (sentt. 26/2004 e 232/2005).
Sulla base di tale impostazione concettuale, la Corte ha anche sviluppato due
diversi approcci alla soluzione dell'intreccio prospettato: uno teleologico e l'altro
dominicale. Sotto il primo profilo, le due materie-attività si differenziano per
le differenti finalità cui tendono, in quanto mentre la tutela deve essere vista
come attività finalizzata alla conservazione del bene, la valorizzazione, invece,
rappresenta precipuamente un'attività finalizzata alla fruizione dello stesso (v.
Corte cost., sent. 9/2004). Sotto il secondo profilo, inoltre, la Corte costitu-
zionale ha precisato che la competenza legislativa in materia di valorizzazione
252 CAPITOLO 5

deve tenere in considerazione anche l'aspetto riguardante la proprietà del bene,


nel senso che Stato e Regioni possono regolare le attività di valorizzazione sui
beni di loro proprietà (v. sent. 427/2004).

Rimane da segnalare un ultimo punto a proposito dell'autonomia e della se-


parazione degli interessi che ricadono in un medesimo ambito territoriale e ne
condizionano gli usi. Una volta, l'urbanistica si poteva accollare anche la tutela
di altri interessi specifici primari riguardanti il territorio, come l'ambiente e il
paesaggio. Si diceva che «la tutela dei valori paesaggistico-ambientali si realizza
anche attraverso la pianificazione urbanistica» (Corte cost., sent. 379/1994):
e, di conseguenza, è stata introdotta la possibilità per le Regioni di approvare
piani urbanistici territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici e
ambientali (v. l. 43111985); al Prg è stato attribuito il compito di effettuare la
ricognizione del patrimonio culturale e ambientale, in una prospettiva di tutela
delle aree e delle zone di interesse paesaggistico o culturale (v. l. 1187 /1968);
e si potrebbe continuare con altri esempi.
Oggi, le cose non sembrano stare più in questo modo; anzi, sembrano essersi
invertite. A ciò ha contribuito soprattutto il fatto che è stata abbandonata
quella concezione riduttiva ed estetizzante del paesaggio, a vantaggio di una
visione che vuole questo riferito a quelle parti di territorio da tutelare per
alcuni specifici caratteri frutto dell'azione umana e della natura. Le conse-
guenze, poi, non sono mancate: con riferimento al piano paesistico, questo
si è trasformato da piano settoriale in piano generale, con una dimensione
spaziale di riferimento corrispondente all'intero ambito territoriale e non
solo a una parte di esso, e le sue statuizioni condizionano i piani urbanistici
comunali. Tale trasformazione concettuale non è imputabile solo alla nuova
impostazione del Codice, ma anche ad altri fattori, primo fra tutti la ratifica
della Convenzione europea sul paesaggio, sottoscritta a Firenze il20 ottobre
2000 (1. 14/2006). La Convenzione non solo dà una definizione di paesaggio
unitaria e riconducibile al territorio e non coincidente esclusivamente con
un valore naturistico o estetico che esso esprime («"Paesaggio" designa una
determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui
carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrela-
zioni)): art. 1), ma dà anche una preferenza alla dimensione paesaggistica e alla
sua tutela rispetto agli altri interessi e valori che connotano il territorio stesso.

3. IL CONTESTO COSTITUZIONALE DI RIFERIMENTO


IN TEMA DI PAESAGGIO: PRINCIPI GENERALI E RIFLESSI
SULL'ARTICOLAZIONE DEI RUOLI E DELLE COMPETENZE

La dimensione giuridica del paesaggio ha, innanzitutto, una radice costitu-


zionale.
L'art. 9 Cast. Come già ricordato, infatti, l'art. 9 Cost. afferma, al suo secondo comma,
che la Repubblica «tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della
PAESAGGIO 253

Nazione». Si tratta di una disposizione collocata tra i principi fondamentali


della Costituzione. A essa è stata data adeguata rilevanza dalla Corte costitu-
zionale fin dalla sua istituzione, e, a seguire, è stato il legislatore, con i diversi
interventi ricordati, ad aver compiuto uno sforzo nella direzione della piena
attuazione del dettato costituzionale.
In realtà, l'art. 9 Cost. non si limita solo a impegnare la Repubblica nella
tutela del paesaggio (comma 2), ma ricorda anche l'obbligo che questa deve
adempiere verso la più generale promozione dello sviluppo della cultura e
della ricerca scientifica e tecnica (comma 1). Due commi, quindi, che preve-
dono come doverose azioni differenti imputabili ai pubblici poteri, ma che
presentano una portata unitaria, considerato che anche la tutela del paesag-
gio e del patrimonio storico e artistico si iscrive in una più ampia attività di
promozione dello sviluppo culturale [Merusi 1975, 446 s.].
Con riferimento al paesaggio, dall'art. 9 Cost. si ricavano alcune importanti
direttrici interpretative, riguardanti la rilevanza data alla tutela, il richiamo
del concetto di Nazione e il coinvolgimento della Repubblica.

Riguardo al primo aspetto, è evidente che l'art. 9, comma 2, Cost., ha avuto l'effetto
di costituzionalizzare la tutela del paesaggio come compito primario spettante ai
pubblici poteri. Ha colto bene tale profilo il Giudice costituzionale, il quale ha
sempre sottolineato non solo la distinzione tra la tutela del paesaggio e altre azioni
di governo del territorio (come si è avuto modo di ricordare, ma v. già la sentenza
della Corte cost., 24luglio 1972, n. 141), ma ha anche qualificato il paesaggio come
«un valore primario e un obiettivo costituzionale)), la cui tutela prevale su altri
interessi tutelati anch'essi dalle amministrazioni pubbliche di riferimento (Corte
cost. sentt. 27 giugno 1986, n. 151; l aprile 1985, n. 94; 22luglio 1987, n. 183; 10
marzo 1988, n. 302; 30 maggio 2008, n. 180; 22luglio 2009, n. 226; 23 novembre
2011, n. 309). In altri termini, «il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la
morfologia del territorio, riguarda cioè l'ambiente nel suo aspetto visivo. Ed è per
questo che l'art. 9 della Costituzione ha sancito il principio fondamentale della
"tutela del paesaggio" senza alcun' altra specificazione. In sostanza, è lo stesso
aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è
di per sé un valore costituzionale)) (Corte cost. sent. 7 novembre 2007, n. 367).
Il secondo aspetto si riferisce al richiamo del concetto di Nazione. A essa vie-
ne rapportato non solo il patrimonio storico-artistico, ma anche il paesaggio.
Tale riferimento ha rappresentato la base su cui è stato possibile fondare la
ricostruzione del valore identitaria del paesaggio e della sua valenza in chiave
storico-culturale, piuttosto che meramente estetica. Il paesaggio, quindi, ha
una dimensione nazionale; e nazionale è anche l'azione di tutela, considerato
che il Codice, riprendendo evidentemente il passaggio della disposizione
costituzionale, circoscrive la sua portata di complesso regolativo finalizzato
alla salvaguardia del paesaggio, «relativamente a quegli aspetti e caratteri che
costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in
quanto espressione di valori culturali)) (art. 131, comma 2).
L'ultimo aspetto attiene all'incardinamento in capo alla Repubblica dei compiti
di tutela del paesaggio. Il concetto di Repubblica richiama alla mente un altro
articolo della Costituzione, l'art. 114, ai sensi del quale proprio la Repubblica
viene definita come entità costituita da «Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato)). La tutela del paesaggio, quindi,
254 CAPITOLO 5

sembra essere un compito diffuso quantomeno tra i principali livelli di governo


del nostro ordinamento, come del resto chiarito dalla giurisprudenza costitu-
zionale, pronta a sottolineare che l'art. 9 Cost. «impegna tutte le pubbliche
istituzioni, e particolarmente lo Stato e la Regione, a concorrere alla tutela e
alla promozione del valore)) (Corte cost. sent. 21 dicembre 1985, n. 359) e che
«lo sviluppo della cultura fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni))
(Corte cost. sent. 21 ottobre 2004, n. 307). La presenza di una pluralità di attori
legittimati a intervenire per la salvaguardia del paesaggio può, ovviamente,
determinare situazioni di conflitto competenziale o di sovrapposizioni tali da
rallentare o rendere persino impossibile l'azione di tutela. In questi casi, gli
strumenti di cooperazione istituzionale (v. cap. 6), tra l'altro previsti anche dal
Codice, rappresentano strumenti di composizione di grande efficacia, anche
al fine di evitare che l'eccessiva separazione dei ruoli premi l'amministrazione
centrale a danno delle amministrazioni territoriali [Cartei 2013,705 ss.]. Fa da
sfondo anche il principio di leale collaborazione, principio guida per un sistema
di intervento, come quello della tutela paesaggistica, dove l'articolazione delle
competenze e l'interferenza tra gli attori non può andare a detrimento delle
politiche di salvaguardia [Pelligra 2010, 1365 ss.]. Del resto, tale principio ha
già trovato applicazione con riferimento, ad esempio, all'attività di gestione
dei vincoli paesaggistici, settore caratterizzato dalla presenza di funzioni di
amministrazione attiva e di vigilanza in contitolarità tra poteri dello Stato e della
Regione, i quali sono stati invitati dal giudice amministrativo a «ispirare i loro
atti e comportamenti al principio della leale collaborazione)) (Con. Stato, Ad. Pl.,
14 dicembre 2001, n. 9, e anche Cons. Stato, sez. VI, 13 febbraio 2001, n. 685).

Non vi sono altri articoli della nostra Costituzione nei quali venga richiamato
espressamente il concetto di paesaggio. Tuttavia, molte disposizioni costi-
tuzionali sono destinate a incidere lo stesso sulla disciplina giuridica e sulle
funzioni amministrative relative al paesaggio e ai suoi beni, in particolare quelle
disposizioni che trovano collocazione nel Titolo V riformato. Una su tutte
L'art. 117 Cast. di tali disposizioni merita, qui, di essere richiamata, l'art. 117 Cost.: questo
articolo non menziona il paesaggio tra le materie utilizzate per ripartire la
potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni ordinarie, con la conseguenza che
si è a lungo dibattuto su quale titolo competenziale far valere al riguardo e
sulla possibilità di inquadrare il paesaggio in altre materie previste dalla stessa
disposizione costituzionale.

Quelle che più si avvicinano sono rappresentate dalla «tutela dell'ambiente,


dell'ecosistema e dei beni culturali)) (art. 117, comma 2, lett. s), affidata alla
legislazione esclusiva dello Stato e quelle del «governo del territorio)) e della
«valorizzazione dei beni culturali e ambientali)) affidate, invece, alla legislazione
concorrente (art. 117, comma 3 ). La dottrina ha espresso una preferenza per la
riconducibilità del paesaggio alla competenza legislativa esclusiva statale, stante
la possibilità di considerare la materia «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e
dei beni culturali)) comprensiva, allo stesso tempo, della tutela del paesaggio e
della tutela dei beni ambientali o culturali [Civitarese Matteucci 2003b, 283 ss.;
Cartei 2006, 4065 s.; Corte cost. sent. 10 febbraio 2006, n. 51; Cons. Stato, sez.
VI, 29 gennaio 2013, n. 533 ]. Così ragionando, tuttavia, non si arriva a escludere
del tutto un possibile ruolo anche regionale nella definizione della disciplina
PAESAGGIO 255

della tutela paesaggistica, considerato che, proprio a proposito dell'art. 117,


comma 2, lett. s, Cost., il Giudice delle leggi ha più volte precisato che lo Stato
ha legislazione esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e
dei beni culturali, ma trattandosi di materie «trasversali», in ordine alle quali
si manifestano competenze diverse, queste «possono ben essere regionali,
spettando allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull'intero
territorio nazionale» (Corte cost. sent. 8luglio 2004, n. 259).

Il legislatore statale ha esercitato la sua competenza legislativa in materia di


paesaggio e di beni paesaggistici principalmente adottando il Codice nel2004 e
intervenendo altre volte per modificarne alcuni articoli. Il Codice, tra l'altro, si
colloca nella prospettiva dell'attuazione del dettato costituzionale riguardante
i compiti pubblici in materia di tutela del paesaggio. Esso, infatti, espressa-
mente afferma fin da subito l'intento di attuare l'art. 9 Cost., ricordando anche
che «la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza con
le attribuzioni di cui all'articolo 117 della Costituzione» (art. l, comma 1).
Ma anche l'art. 2 del Codice si muove nella prospettiva dell'attuazione della
Costituzione, in particolare dell'art. 117, in quanto lascia intendere che <<la
categoria dei "beni paesaggistici" va compresa nella nozione culturale di "beni
culturali", anziché in altre come quelle di "ambiente" /"beni ambientali" e di
"governo del territorio"» [Caia 2005, 1061].

Il quadro costituzionale è alla base del diritto del paesaggio. Al quadro costi-
tuzionale, oggi, con rinnovato entusiasmo si continua ancora a guardare anche
per fondare un nuovo concetto di diritto al paesaggio, ulteriore attributo
della cittadinanza, da tutelare dinanzi ai giudici e da rivendicare di fronte alle
amministrazioni. Punto di partenza di tale costruzione è ancora una volta la
Costituzione e la centralità che essa attribuisce alla cultura nell'insieme dei diritti
riconosciuti ai cittadini: diritto alla cultura che «comporta una presa di possesso,
da parte dei cittadini, di un patrimonio di bellezza e di memorie accumulato
nei secoli. Ed è un possesso che avviene a titolo di sovranità: attraverso la voce
della Carta fondamentale dello Stato la comunità dei cittadini, fonte delle leggi
e titolare dei diritti, identifica nel patrimonio storico-artistico e nel paesaggio
[. .. ] un ingrediente essenziale di democrazia, di eguaglianza, di libertà. Un
privilegio della cittadinanza» [Settis 2017, 11].

4. LA DISCIPLINA DEL PAESAGGIO TRA CONVENZIONE


EUROPEA E CODICE

La disciplina del paesaggio attualmente contenuta nel Codice, oltre ad attuare


il dettato costituzionale, risulta anche influenzata da un importante strumento
pattizio promosso dal Consiglio d'Europa con l'obiettivo di contribuire alla
salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione di tutti i paesaggi europei: la
Convenzione europea del paesaggio, sottoscritta a Firenze il20 ottobre 2000. La Convenzione
di Firenze sul pae-
La Convenzione non solo è stata ratificata dal nostro paese O. 14/2006), ma saggio
è anche all'origine di due importanti novelle apportate al Codice nel2006
256 CAPITOLO 5

(d.lgs. 157 /2006) e nel 2008 (d.lgs. 63/2008) proprio con riferimento alla
disciplina del paesaggio.

La Convenzione ha avuto l'indubbio pregio di contribuire alla definizione della


nozione giuridica di paesaggio e al rafforzamento della sua autonomia rispetto
ad altre possibili concettualizzazioni. Nella prospettiva seguita dalla Conven-
zione, il paesaggio viene riferito a una porzione del territorio, alla percezione
che di esso hanno le popolazioni di riferimento e alla sua caratterizzazione per
effetto dell'interazione tra uomo e natura. Infatti, l'art. l, lett. a, precisa che
«"Paesaggio" designa una determinata parte di territorio, cosi come è percepita
dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani
e dalle loro interrelazioni».
Oltre a promuovere la cooperazione europea in materia, la Convenzione si
pone l'obiettivo di favorire la salvaguardia, la gestione e la pianificazione dei
paesaggi (art. 3 ). Essa, pertanto, si applica a «tutto il territorio europeo e
riguarda gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani» (art. 2). Per gli Stati
che l'hanno sottoscritta, la Convezione prevede impegni di carattere generale
e anche l'adozione di misure più specifiche. Gli impegni di carattere gene-
rale consistono, innanzitutto, nel «riconoscere giuridicamente il paesaggio
in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni,
espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale
e fondamento della loro identità» (art. 5, lett. a). Tale riconoscimento deve
essere accompagnato anche dalla definizione di politiche paesaggistiche di
tutela e valorizzazione, coinvolgendo la popolazione interessata e gli altri
attori pubblici, soprattutto locali, nonché integrare il paesaggio in tutti gli
strumenti e le politiche territoriali, urbanistiche, ambientali e culturali (art.
5, lett. b, c, d). Le misure specifiche, invece, rappresentano impegni diretti
a favorire la conoscenza del paesaggio, una maggiore sensibilizzazione della
società civile rispetto ai temi che lo riguardano e un miglioramento della
qualità paesaggistica dei beni considerati (art. 6).
L'attuazione della Convenzione europea e l'implementazione delle politiche
da essa descritte hanno contribuito ad aumentare la sensibilità giuridica degli
Stati europei rispetto al paesaggio, la cui tutela e valorizzazione risulta essere
sempre più spesso affidata non solo a mere dichiarazioni di principio, ma anche
a misure più concrete ed efficaci [Drigo 2010, 9].

È stato più volte sottolineato che la Convenzione ha influenzato fortemente il


nuovo modo di intendere il paesaggio, soprattutto secondo quella prospettiva
teorica che banalizza la componente estetica a vantaggio del collegamento
territoriale del valore paesaggistico. Ma riferire il paesaggio al territorio
non significa affermare l'idea di una piena e completa coincidenza tra i due
elementi: il paesaggio continua, infatti, a essere sempre una porzione del ter-
ritorio, espressione di alcuni valori e caratterizzata da alcuni elementi la cui
presenza giustifica una sua sottoposizione a un regime di tutela assicurato da
apposite misure amministrative [Amorosino 2010a, 62].
Sulla concreta portata dell'influenza prodotta dalla Convenzione europea sulla
parte del Codice in materia di paesaggio, tuttavia, nella originaria versione si
registrano tra gli interpreti diversità di vedute.
PAESAGGIO 257

Secondo una prima lettura [in particolare, Cartei 2013,717 ss.], tra la Con- RiflessionisulCo-
venzione e il Codice c'è una divaricazione evidente a partire dalla nozione di dice del2004
paesaggio presa a riferimento: per la prima, il termine paesaggio avrebbe una
pluralità di accezioni e la corrispondente nozione avrebbe carattere evolutivo,
in quanto contenente anche i profili ecologici e le implicazioni sociali delle
politiche del paesaggio, mentre nel Codice troverebbe conferma la concezione
culturale dello stesso. Inoltre, mentre il Codice ripropone un modello centripeto
fondato sull'accentramento delle funzioni in capo all'amministrazione statale
e una gerarchia formale tra gli interessi, la Convenzione, invece, valorizzereb·
be il ruolo degli enti territoriali e delle loro popolazioni, alle quali andrebbe
ricondotta la valenza paesaggistica di un determinato territorio.
Altra dottrina, invece, ha ritenuto meno marcate le distanze tra Convenzione e
Codice e ha preferito evidenziare i tanti punti di contatto e le influenze prodotte
dalla prima sul secondo. Quanto ai punti in comune, per prima cosa è stata
segnalata l'introduzione nel Codice della nozione di paesaggio (art. 131), la quale
«è lessicalmente diversa da quella della Convenzione, ma nella sostanza a essa
riportabile» [Sciullo 2008b; Carpentieri 2008a; ma anche Severini 2013, 31 ss.].
Inoltre, è ascrivibile anche alla Convenzione, la scelta del legislatore italiano di
distinguere il paesaggio dai beni paesaggistici e di ridefinire la pianificazione
paesaggistica, la cui funzione è oramai quella di prendersi cura del paesaggio
in tutte le sue possibili forme e finanche di creare nuovi valori paesaggistici.

In ogni caso, la Convenzione europea di Firenze è, oggi, espressamente


richiamata dal Codice con riferimento ad aspetti puntuali di disciplina del
paesaggio, in particolare all'art. 132, comma 2, dove si afferma che «la ripar-
tizione delle competenze in materia di paesaggio è stabilita in conformità ai
principi costituzionali, anche con riguardo all'applicazione della Convenzione
europea sul paesaggio, adottata a Firenze il20 ottobre 2000, e delle relative
norme di ratifica ed esecuzione».
La disposizione appena richiamata si segnala anche per il rinvio operato alle
altre fonti pattizie internazionali in tema di paesaggio, considerato che essa
prevede anche in capo alla Repubblica un preciso dovere di conformarsi agli
obblighi e ai principi di collaborazione tra Stati fissati da convenzioni inter-
nazionali, aventi ad oggetto la tutela e la valorizzazione del paesaggio (art.
132, comma 1). Un importante esempio di strumento pattizio interstatuale
di tutela e valorizzazione del paesaggio è rappresentato dalla Convenzione
per la salvaguardia del patrimonio mondiale culturale e ambientale firmata
a Parigi, il 16 novembre 1972, dai paesi aderenti all'Organizzazione delle
N azioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura (Un esco).

La disciplina dei «siti Un esco)) è stata già approfondita nel capitolo che precede, Si ti Unesco
soprattutto a proposito delle problematiche che si registrano con riferimento
agli interventi di valorizzazione e di gestione ad essi rivolti. Tuttavia, può essere
opportuno spendere qualche altra notazione al fine di segnalare l'importanza
che i "siti Unesco" hanno acquisito in una prospettiva di tutela del paesaggio
nella legislazione nazionale più recente. Tali si ti, infatti, per un lato, si pongono
come porzioni di paesaggio da individuare e salvaguardare rispetto ad eventuali
iniziative di trasformazione territoriale. E difatti tra i vari compiti attribuiti
258 CAPITOLO 5

alla pianificazione paesaggistica vi è anche quello di definire prescrizioni fina-


lizzate a rendere compatibile lo sviluppo urbanistico ed edilizio con i diversi
valori paesaggistici espressi dai siti tutelati attraverso il loro inserimento nella
lista del patrimonio mondiale Unesco (art. 135, comma 4, lett. d). Per altro
lato, invece, i «siti Unesco» rappresentano beni alla cui tutela e gestione è
necessario prowedere attraverso strumenti ad hoc. A tal fine, la l. 20 febbraio
2006, n. 77, ha previsto alcune misure speciali di gestione e tutela di tali beni,
considerato che «sono, per la loro unicità, punte di eccellenza del patrimonio
culturale, paesaggistico e naturale italiano e della sua rappresentazione a livello
internazionale» (art. 1).

5. I BENI PAESAGGISTICI

Per effetto delle novelle intervenute successivamente alla ratifica della Con-
venzione europea del paesaggio, il Codice, accanto alla nozione di paesaggio,
disciplina anche i beni paesaggistici. Se nel passato si poteva accettare l'uso
come sinonimi delle espressioni paesaggio e beni paesaggistici (e anche
beni ambientali), oggi, invece, in seguito alla nuova impostazione seguita
dal Codice, è da riconoscere l'esistenza tra i due concetti di un rapporto
dicotomico, dovuto al fatto che non esiste una perfetta coincidenza tra i due
oggetti. L'innovazione concettuale e regolativa, owiamente ha determinato
difficoltà interpretative non di poco conto, tenuto anche presente che i con-
cetti di paesaggio e di beni paesaggistici interferiscono anche con quelli di
beni culturali e di patrimonio culturale all'interno del sistema codicistico di
tutela e valorizzazione.
Paesaggio, beni Proviamo a sciogliere qualcuna di queste difficoltà interpretative, prendendo
paesaggistici e p a- singolarmente in considerazione le varie interferenze. Un buon punto di
trirnonio culturale partenza è rappresentato dal rapporto tra paesaggio e beni culturali. Sono,
questi, concetti che fanno riferimento a beni la cui tutela - insieme ad altre
funzioni, come la valorizzazione - sono considerati un compito diffuso a
partire dalla Carta costituzionale. Come ricordato, per molti anni, il regime
di protezione di questi beni era dettato da due distinte fonti risalenti all'or-
dinamento pre-repubblicano, ossia la l. 1497/1939, che si occupava delle
bellezze naturali, mentre la l. 1089/1939, invece, disciplinava la tutela delle
cose d'interesse artistico e storico. Altri innesti legislativi, come visto, sono
stati successivamente realizzati, come quello contenuto nella l. n. 43111985
(c.d. legge Galasso), la quale ha rafforzato gli strumenti di tutela dei profili
naturalistici del nostro territorio. Oggi, grazie al d.lgs. 42/2004, contenente
il Codice, i regimi giuridici relativi ai due ambiti, culturale e paesaggistico,
sono stati accorpati in un unico testo legislativo. Ciò ha anche determinato
l'elaborazione di una nozione unica di patrimonio culturale, composto dai
beni paesaggistici e dai beni culturali, verso la quale vengono indirizzate le
funzioni pubbliche ricordate (art. 2). In pratica, si supera la dicotomia tra
paesaggio e patrimonio storico-artistico e si unifica l'oggetto della tutela che
l'art. 9 Cost. impone alla Repubblica, anche se continuano a soprawivere due
PAESAGGIO 259

distinte sottocategorie, quella dei beni culturali e quella dei beni paesaggistici,
caratterizzate dalla sottoposizione a principi comuni, ma a regimi differenti.
In particolare, alla tutela dei beni paesaggistici è dedicata la parte terza del
Codice.
Ma veniamo, ora, al rapporto tra il paesaggio e i beni paesaggistici. Si è detto
sopra del nuovo modo di intendere il paesaggio nella prospettiva concettuale
e interpretativa che si è affermata, anche grazie, da ultimo, alla Convenzione
europea del paesaggio. Di tale cambiamento vi è traccia nel Codice, in diversi
passaggi e a partire dalla definizione che il testo legislativo dà di tali beni.
Paesaggio non è più (e solo) un mero e astratto valore estetico, ma «il territo-
rio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali,
umani e dalle loro interrelazioni» (art. 131, comma 1). Il paesaggio, tuttavia,
non è menzionato nella ricordata disposizione che definisce il patrimonio
culturale. Per previsione legislativa, infatti, oltre che dai beni culturali, il
patrimonio culturale è composto dai beni paesaggistici, che sono immobili
e aree individuate come tali, in quanto «costituenti espressione dei valori
storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni
individuati dalla legge o in base alla legge» (art. 2, comma 3 ). Per tali beni
il Codice assicura una tutela «relativamente a quegli aspetti e caratteri che
costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale,
in quanto espressione di valori culturali» (art. 131, comma 2). L'esercizio
di questa azione di tutela può importare l'adozione di provvedimenti che
conformano diritti e condizionano l'uso dei beni oggetto della tutela stessa
(art. 3, comma 2).
I beni paesaggistici sono, poi, indicati dall'art. 134 del Codice, il quale elenca
quei beni che possono essere assoggettati, attraverso il vincolo, a uno specifico
regime di tutela. La nozione di paesaggio presa in considerazione dal Codice,
però, è ancora più ampia e non coincide solo con i singoli beni paesaggistici,
dato che può comprendere, oltre a questi, altre aree altrettanto tutelate per
i valori paesaggistici che esse esprimono. In altri termini, il paesaggio «si
rivela un cerchio più ampio di quello rappresentato dai beni paesaggistici»
[Sciullo 2008b, ma anche Marzuoli 2008 e Marzaro 2011,22 ss.], in quanto
comprendente sia quei beni individuati e vincolati sia contesti esterni a questi
ultimi riconosciuti meritevoli di una tutela paesaggistica.
Come è stato segnalato [Marzuoli 2008] il paesaggio rappresenta il genere, il Le tipologie dei
bene paesaggistico, invece, la specie. E in tale prospettiva il Codice prova a beni paesaggistici
ridisegnare la categoria dei beni paesaggistici, inserendo in questa altri beni
oltre a quelle tipologie già note in quanto originariamente previste nella l.
1497/1939. Accanto ai beni paesaggistici individuati e tutelati in quanto dichia-
rati di notevole interesse pubblico, infatti, vengono ricondotti alla categoria in
questione anche i beni direttamente individuati con legge, nonché altri oggetti
a valenza paesaggistica e perciò tutelati, identificati dal piano paesaggistico.
Al riguardo la disposizione codicistica è alquanto chiara, in quanto fornisce
le coordinate per identificare tre classi di beni paesaggistici a seconda dell'o-
rigine del vincolo (art. 134 ):
260 CAPITOLO 5

l. gli immobili e le aree (ad esempio, le cose immobili che hanno cospicui
caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi
compresi gli alberi monumentali; le ville, i giardini e i parchi; i complessi
di cose immobili come i centri storici; le bellezze panoramiche) individuati
attraverso un procedimento amministrativo, finalizzato all'adozione di una
dichiarazione di notevole interesse pubblico del bene (artt. 136 ss.). In que-
sta categoria, quindi, vengono ricompresi i beni che nel previgente sistema
venivano definite bellezze naturali, con una novità rappresentata dai centri e
nuclei storici, in passato non considerati;
2. le aree direttamente individuate come beni paesaggistici dalla legge (art.
142), come ad es., alcuni territori costieri; alcuni fiumi e torrenti; i ghiacciai;
i parchi e le riserve nazionali o regionali; le zone gravate da usi civici; le zone
umide; le zone di interesse archeologico. Anche in questo caso, si tratta di
una categoria già nota, in quanto riprende alcuni beni e aree qualificati come
beni paesaggistici nella c.d. Legge Galasso;
3. le ulteriori aree o immobili anch'essi individuati ex art. 136 e sottoposti a
tutela da parte dei piani paesaggistici (art. 143). È questa la classe più inno-
vativa, dato che per l'individuazione dei beni un importante ruolo ricognitivo
e identificativo è riconosciuto al piano paesaggistico.
La disposizione codicistica, quindi, individua diverse categorie di beni pae-
saggistici, alcune delle quali non sempre sono di facile definizione. È il caso
dei centri e nuclei storici, che- come si è visto -l'art. 136 in modo innova-
tivo ricomprende tra i beni paesaggistici, senza però darne una definizione
puntuale o fornire criteri utili per una loro individuazione o delimitazione.

I centri urbani Ma la questione dei centri storici, di cosa siano, come individuarli e a quale
regime giuridico sottoporli, non è nuova. Il problema venne sollevato già nel
1960 con la c.d. Carta di Gubbio, dichiarazione approvata a conclusione di
un convegno tra amministratori, urbanisti, architetti e giuristi, dedicato alla
salvaguardia e al risanamento dei centri storici. La commissione Franceschini,
per prima nel 1967, li qualificò beni culturali ambientali, definendoli «zone
delimitabili costituenti strutture insediative, urbane e non urbane, che, presen-
tando particolare pregio per i loro valori di civiltà, devono essere conservate al
godimento della collettività». Ai centri storici venne fatto riferimento anche nella
c.d.legge ponte, legge 6 agosto 1967, n. 765, in quanto considerati agglomerati
urbani di «carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale». La
successiva circolare del ministero dei Lavori pubblici del 28 ottobre 1967, n.
3210, specificò i criteri per l'individuazione di tale carattere (ossia «a) strutture
urbane in cui la maggioranza degli isolati contengano edifici costruiti in epoca
anteriore al 1860, anche in assenza di monumenti od edifici di particolare va·
lore artistico; b) strutture urbane racchiuse da antiche mura in tutto o in parte
conservate, ivi comprese le eventuali propaggini esterne che rientrino nella
definizione del punto a); c) strutture urbane realizzate anche dopo il1860, che
nel loro complesso costituiscano documenti di un costume edilizio altamente
qualificato»). Oggi, il Codice ricomprende i «centri e nuclei storici» tra i beni cui
riconoscere la tutela paesaggistica, attraverso il procedimento di dichiarazione
di notevole interesse pubblico di cui agli artt. 138 ss.
PAESAGGIO 261

Anche dopo l'intervento codicistico, il concetto eli centro storico continua ad


essere una «locuzione giuridicamente polisemica» [Fantini 2015, 2], con la
quale indicare complessi di beni individuabili come entità autonoma rispetto al
restante contesto urbano per la loro valenza storica e culturale. Tale incertezza,
inoltre, riverbera anche sul regime giuridico di riferimento cui rinviare al fine
di garantire la salvaguardia dei beni e dei valori che il centro storico esprime. I
centri storici, infatti, essendo porzioni dello spazio urbano, sono innanzitutto
oggetto di apposita regolamentazione urbanistica, diretta anche ad assicurarne
la specifica protezione. La recente scelta codicistica, come ricordato, sposta tali
complessi di beni verso un sistema di tutela pensato per il paesaggio e i beni pae-
saggistici, anche se non si può escludere una valorizzazione degli stessi come beni
culturali, onde estendere ad essi la relativa disciplina di protezione. Si aggiunga,
infine, che alla loro salvaguardia si può contribuire attraverso anche l'esercizio
dei compiti amministrativi previsti dalla disciplina del commercio, dato che
alle regioni, nel definire gli indirizzi riguardanti tale settore, è imposto di tener
conto anche delle caratteristiche dei «centri storici, al fine di salvaguardare e
qualificare la presenza delle attività commerciali e artigianali in grado di svolgere
un servizio di vicinato, di tutelare gli esercizi aventi valore storico e artistico ed
evitare il processo di espulsione delle attività commerciali e artigianali» (art. 6,
comma l, lett. d, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114). I centri storici, quindi, stentano
a trovare una propria definizione e un regime adeguato e specifico di tutela,
rimanendo oggetto di discipline di salvaguardia spesso ispirate a logiche anche
differenti [Videtta 2012]. Sotto tale aspetto, i centri storici sembrano condivi-
dere la stessa condizione che caratterizza le città d'arte, ancora alla ricerca di un
riconoscimento giuridico e alla ricerca di un regime giuridico di riferimento che
sappia valorizzarne l'autonomia e la specialità [Cammelli 2015; Bartolini 2015].

6. LE FUNZIONI: TIJTELA E VALORIZZAZIONE

li Codice non esaurisce la disciplina giuridica in materia di paesaggio, ma


rappresenta la fonte principale di riferimento, in quanto fissa i principi fon-
damentali, definisce un minimo assetto di competenze e delinea anche le più
importanti funzioni e politiche pubbliche. Meritano un apposito approfon-
dimento le principali funzioni previste dal Codice in materia di paesaggio,
rappresentate dalla tutela e dalla valorizzazione. Per entrambe il Codice
immagina un sistema di regolazione articolato su tre livelli. Le due funzioni
vengono, innanzitutto, richiamate in generale con riferimento al patrimonio
culturale, in modo da definirne il fine ultimo: «la tutela e la valorizzazione
del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità
nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura)) (art.
l, comma 2). A seguire, il Codice fissa in via di principio quelli che sono le
possibili definizioni, i caratteri e gli oggetti di tali funzioni (artt. 3 e 6). Infine,
nella parte terza, regola gli strumenti eli azione attraverso i quali possono essere
svolte le attività corrispondenti.

L'esercizio delle funzioni di tutela e di valorizzazione con riferimento al


paesaggio richiama le competenze di una pluralità di soggetti pubblici. Indi-
262 CAPITOLO 5

pendentemente dall'autorità o soggetto che interviene, il Codice fissa alcuni


importanti criteri direttivi di azione. I destinatari della previsione sono attori
pubblici (si tratta dello Stato, delle Regioni, degli altri enti pubblici territoriali)
e altri non meglio specificati soggetti (e, quindi, anche privati), i quali, quando
intervengono sul territorio nazionale, esercitando le funzioni di cui sono stati
incaricati, devono informare «la loro attività ai principi di uso consapevole
del territorio e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realiz-
zazione di nuovi valori paesaggistici integrati e coerenti, rispondenti a criteri
di qualità e sostenibilità» (art. 131, comma 6). Quando, invece, intervengono
sul paesaggio, gli stessi devono assicurare <da conservazione dei suoi aspetti e
caratteri peculiari» (art. 131, comma 4).

La tutela Fin dai primi provvedimenti legislativi adottati al riguardo, l'amministrazione


pubblica del paesaggio è stata prioritariamente configurata come apparato
di tutela, preordinato cioè alla salvaguardia e protezione di quei beni e valori
paesaggistici, a tal fine individuati.

La giurisprudenza, a sua volta, ha sempre evidenziato l'importanza di tale


funzione, affermando l'indeclinabilità della funzione pubblica di tutela del
paesaggio rispetto ad altri interessi pubblici eventualmente coinvolti (Cons.
Stato, sez. VI, sent. 23 luglio 2015, n. 3652).

Secondo l'impostazione codicistica, la funzione di tutela del patrimonio


culturale e, di conseguenza, anche dei singoli beni paesaggistici presup-
pone sempre un'adeguata attività conoscitiva, da porre a fondamento
anche del concreto esercizio dell'attività. Le funzioni, poi, consistono
concretamente in una pluralità di attività, che possono essere dirette «a
individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne la pro-
tezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione» (art. 3, comma l)
o anche ad adottare «provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e
comportamenti inerenti al patrimonio culturale>> (art. 3, comma 1).
Come già ricordato, in tema di paesaggio l'oggetto della funzione di
tutela è circoscritto «relativamente a quegli aspetti e caratteri che costitui-
scono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto
espressione di valori culturali» (art.l31, comma 2). Inoltre, la finalità cui deve
tendere consiste nel «riconoscere, salvaguardare e, ove necessario, recuperare
i valori culturali che esso esprime» (art. 131, comma 4).
Oltre a definire caratteri, oggetto e finalità della funzione di tutela del pae-
saggio, il Codice prova anche a costruire un sistema articolato di competenze
tra attori pubblici.

Il sistema è particolarmente complesso, dato il numero dei soggetti coinvolti,


le competenze attribuite e le possibili sovrapposizioni. Tuttavia, esso presenta
alcuni caratteri portanti che meritano di essere evidenziati. In primo luogo, il
Codice immagina nell'esercizio della funzione di tutela il coinvolgimento non
solo dell'amministrazione statale, ma anche delle altre articolazioni della Re-
pubblica, tanto che la dottrina ha segnalato l'esistenza di un «dovere di tutela
PAESAGGIO 263

allargato» per tutte le amministrazioni pubbliche chiamate a intervenire in


materia di paesaggio [Arnorosino 2010a, 72]. Tale dovere è prioritariamente
incardinato sul ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, al
quale spettano le funzioni di tutela del paesaggio (art. 4, comma 1), ma non in
modo da escludere le Regioni. Infatti, il ministero è tenuto a svolgere il suo ruolo
anche nel rispetto dell'art. 118 della Costituzione e del principio di sussidiarietà
che esso esprime. Le Regioni, pertanto, possono esercitare le funzioni di salva-
guardia del paesaggio conferite dal ministero. In ogni caso, in più occasioni il
Codice sottolinea la necessità che sia assicurata l'unitarietà dell'esercizio delle
funzioni di tutela e anche del governo delle finalità perseguite (art. 4, commi
l e 6). A tal fine, sono riconosciuti al ministero poteri di indirizzo, di coor-
dinamento, di controllo e anche sostitutivi, da attivare in caso di perdurante
inerzia o inadempienza delle Regioni (art. 4, comma 7). Si aggiunga, infine, che
il coinvolgimento delle Regioni nelle attività di protezione del paesaggio trova
fondamento anche in un generale richiamo all'importanza della cooperazione
tra amministrazioni pubbliche per la conservazione e la valorizzazione del
paesaggio espressamente fatto dall'art. 133, comma l, del Codice, ai sensi del
quale «il ministero e le Regioni definiscono d'intesa le politiche per la conser-
vazione e la valorizzazione del paesaggio tenendo conto anche degli studi, delle
analisi e delle proposte formulati dall'Osservatorio nazionale per la qualità del
paesaggio, istituito con decreto del ministro, nonché dagli Osservatori istituiti
in ogni Regione con le medesime finalità>>.

I profili principali della funzione di valorizzazione del paesaggio sono La valorizzazione


stati già ricostruiti nel capitolo 4, mettendo, in particolare, in evidenza
che il suo affiancamento alla funzione di tutela è fenomeno recente e che
un suo potenziamento potrebbe trovare adeguato fondamento nella Con-
venzione europea del paesaggio. È stato segnalato anche che la funzione
di valorizzazione del paesaggio non ha avuto la stessa attenzione riservata
dalla dottrina e dalla giurisprudenza all'analoga funzione prevista per i beni
culturali, anche perché non è del tutto chiaro, se rapportata al paesaggio e ai
beni paesaggistici, in quale attività concreta tale funzione possa consistere,
quali tratti caratteristici presenti rispetto alla funzione di tutela e con quali
strumenti possa essere esercitata. Proviamo a fornire qualche indicazione al
riguardo.
Come per la tutela, anche per la valorizzazione il Codice prova a definire la
funzione, in generale rispetto al patrimonio culturale e nello specifico rispetto
al paesaggio.

La valorizzazione del patrimonio culturale si concreta in una pluralità di at·


tività, che possono essere orientate a. alla promozione della conoscenza dello
stesso, b. ad assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione
pubblica e c. alla promozione e al sostegno degli interventi di conservazione.
Così si esprime l'art. 6, comma l del Codice, il quale, però, con riferimento al
paesaggio, precisa anche che «la valorizzazione comprende altresì la riquali-
ficazione degli immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degra-
dati, ovvero la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti e integrati».
Precisazione, poi, riaffermata anche dall'art. 131, comma 5, ai sensi del quale
264 CAPITOLO 5

«la valorizzazione del paesaggio concorre a promuovere lo sviluppo della cul-


tura. A tale fine le amministrazioni pubbliche promuovono e sostengono, per
quanto di rispettiva competenza, apposite attività di conoscenza, informazione
e formazione, riqualificazione e fruizione del paesaggio nonché, ove possibile,
la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti e integrati».
È facile notare, stante il tenore letterale delle disposizioni richiamate, che la
funzione di valorizzazione del paesaggio consiste sempre in un/acere, in quanto
presuppone un intervento attivo diretto a incidere su di un bene o un'area
[Severini 2006b, 7 ss.]. In concreto tali azioni possono riguardare il paesaggio
esistente owero possono contribuire a creare nuovi contesti paesaggistici. In-
fatti, le attività possono essere orientate verso differenti obiettivi: migliorare la
conoscenza o la fruizione di quei beni paesaggistici già individuati, riqualificare
gli immobili e le aree vincolate owero realizzare ex novo valori paesaggistici
coerenti e integrati.

n Codice in più articoli parla di valorizzazione, spesso affiancandola all'altra


funzione, cioè la tutela. È vero anche che l'azione di valorizzazione operata sul
paesaggio è anche un intervento di protezione dello stesso. Le due funzioni,
tuttavia, vanno tenute distinte.

E non potrebbe essere diversamente, considerato che tutela e valorizzazione


del paesaggio operano e stanno su piani differenti e la seconda può essere
esercitata solo in forme compatibili con la prima, dato che più volte il Codice
precisa che «la valorizzazione è attuata nel rispetto delle esigenze della tutela»
(art. 131, comma 5, e art. 6, comma 2). Si aggiunga, inoltre, che nelle attività di
valorizzazione del paesaggio gli spazi per un maggior coinvolgimento di soggetti
diversi dall'amministrazione statale sono più ampi. Le Regioni, infatti, sia pur nel
rispetto dei principi fondamentali in materia di valorizzazione del patrimonio
culturale fissati dal Codice, possono esercitare la loro potestà legislativa (art. 7,
comma 2); è riconosciuto un maggior coordinamento tra ministero, le Regioni
e gli altri enti pubblici territoriali (art. 7, comma 2); è previsto anche un/avor
verso la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alle attività di
valorizzazione (art. 6, comma 3 ).

n Codice, si diceva, in più articoli richiama la funzione di valorizzazione del


paesaggio. Eppure, più volte è stato denunciato il ritardo del legislatore statale
nel dotare tale funzione di strumenti adeguati di intervento.

Mentre per la conservazione del paesaggio il Codice offre numerosi strumenti


che a tal fine possono essere esercitati, dalla dichiarazione di pubblico inte-
resse, all'autorizzazione paesaggistica, fino al piano paesaggistico, altrettanto
non pare potersi affermare per la funzione di valorizzazione, il cui esercizio
sembra essere confinato in sede di pianificazione. Per espressa previsione legi-
slativa, infatti, il piano paesaggistico deve contenere anche la «individuazione
degli interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente
compromesse o degradate e degli altri interventi di valorizzazione compatibili
con le esigenze della tutela)) (art. 143, comma l, lett. g). All'interno dei piani
paesaggistici, quindi, possono essere definiti e dettagliati gli specifici progetti
di valorizzazione del paesaggio, indicando anche le misure organizzative e gli
PAESAGGIO 265

attori chiamati a realizzarli. Si deve registrare, come segnalato dalla dottrina,


che a differenza del legislatore statale, quello regionale ha promosso interessanti
interventi legislativi finalizzati a migliorare gli strumenti di valorizzazione del
paesaggio, integrandoli con la funzione di conservazione e anche incentrati sulla
promozione di progetti di trasformazione in forma sostenibile del paesaggio
stesso [Casini 2016, 149 ss.J. Tali sforzi vanno sicuramente incoraggiati, in
quanto presuppongono un cambio di prospettiva nel governo del paesaggio,
con un possibile superamento della logica del vincolo a favore del paesaggio
per progetti [Clementi 2016, 73; Marson 2016].

Un progetto interessante di valorizzazione del paesaggio è rappresentato dalla


c.d. direttiva Cammini, direttiva emanata dal Mibact il16 dicembre 2015, con
l'obiettivo di impartire agli uffici ministeriali le disposizioni necessarie a pro-
grammare e realizzare azioni di valorizzazione degli itinerari storico-culturali
e paesaggistici pedonali. Si tratta dei "cammini", ossia «gli itinerari culturali
di particolare rilievo europeo e/o nazionale, percorribili a piedi o con altre
forme di mobilità dolce sostenibile, e che rappresentano una modalità di
fruizione del patrimonio naturale e culturale diffuso, nonché una occasione
di valorizzazione degli attrattori naturali, culturali e dei territori interessati»
(art. 1). La direttiva, pertanto, promuove diverse azioni e interventi di va-
lorizzazione del patrimonio materiale e immateriale associato ai cammini,
anche attraverso la definizione di modelli di fruizione e gestione ispirati alla
più ampia integrazione delle componenti ambientali, paesaggistiche con le
attività agricole, artigianali e turistico-culturali.

7. GLI STRUMENTI DIAZIONE

È stato affermato che il paesaggio, come il territorio, è il risultato dell'azione


dei pubblici poteri, i quali ne modellano i caratteri e ne pianificano gli usi
[Cassese 2006]. A tal fine, il Codice disciplina numerosi strumenti di azione
attraverso i quali vengono esercitate la prioritaria funzione di tutela del
paesaggio e dei suoi beni e quella di valorizzazione sugli stessi. n vincolo,
il piano e l'autorizzazione paesaggistica sono gli strumenti principali. Già
presenti nella disciplina previgente, il Codice li ha regolati nuovamente, in
parte, confermando alcuni caratteri che tali istituti presentavano nella passata
legislazione, in parte, introducendo significative innovazioni, utili anche al
fine di migliorarne il funzionamento.

7.1. I vincoli paesaggistici

La funzione di tutela è esercitata dall'autorità amministrativa principalmente I vincoli ...


attraverso l'apposizione di vincoli su beni immobili o su aree, in modo da
evitare che interventi realizzati sugli stessi possano pregiudicarne il valore
266 CAPITOLO 5

paesaggistico. I vincoli, poi, hanno anche una funzione eli ricognizione, poiché
attraverso la loro apposizione è possibile individuare concretamente i beni
paesaggistici. Pertanto, come segnalato dalla dottrina, i vincoli consentono
di rendere effettiva la tutela del paesaggio e la loro apposizione può avvenire
per «l'attribuzione della qualificazione (il "vincolo"), sulla base di un giudizio
compiuto o direttamente dalla legge per categorie tipologiche (morfologiche
o ubicazionali) (nel Codice, per i beni paesaggistici: art. 142), o in base alla
legge da un provvedimento amministrativo - individuo o di pianificazione
paesistica - di ricognizione tecnica del carattere originario con conseguente
qualificazione particolare del luogo (artt. 136, 143, 156)» [Severini 2013, 23].

... tipologie ... Il Codice, infatti, prevede tre tipologie di vincolo paesaggistico. Una prima
tipologia (vincolo per provvedimento) è quella tradizionale del vincolo ap-
posto con un provvedimento amministrativo che dichiari il notevole interesse
pubblico di tipo paesaggistico di immobili o aree indicate dall'art. 136 (art.
140). Una seconda tipologia ricomprende i vincoli (vincoli di secondo tipo
o ex lege) che trovano la loro fonte direttamente nella previsione legislativa
contenuta nell'art. 142. La tipizzazione legislativa, tuttavia, da sola non basta,
in quanto deve essere accompagnata dalla ricognizione degli stessi in sede di
pianificazione, dato che spetta ai piani paesaggistici procedere all'individuazione
e alla determinazione delle prescrizioni di utilizzo di tali beni (art. 143, comma
llett. c). L'ultimo tipo di vincolo (vincolo del terzo tipo) è quello rappresentato
dai vincoli che possono essere posti attraverso il piano paesaggistico. Ai sensi
dell'art. 143, comma l, lett. d, ad esempio, spetta al piano anche il compito di
«eventuale individuazione di ulteriori immobili o aree, di notevole interesse
pubblico a termini dell'articolo 134, comma l, lettera c, loro delimitazione e
rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione
delle specifiche prescrizioni d'uso, a termini dell'articolo 138, comma 1». O
ancora, sempre con il piano paesaggistico si possono individuare «tÙteriori
contesti, diversi da quelli indicati all'articolo 134, da sottoporre a specifiche
misure di salvaguardia e di utilizzazione» (art. 143, comma l, lette): previsio-
ne che per alcuni interpreti giustificherebbe l'identificazione di una nuova e
autonoma categoria di vincoli, c.d. del quarto tipo [Carpentieri 2008b, 691].
I vincoli, poi, possono essere «nudi» o «vestiti)), Sono «nudi)) i vincoli paesag-
gistici che si limitano a individuare il bene e dichiararne la natura paesaggistica;
sono invece <<Vestiti)) quei vincoli che, oltre a individuare il bene, ne disciplinano
l'uso. Il Codice ha previsto un obbligo di vestizione dei vincoli del primo tipo per
i provvedimenti adottati successivamente all'entrata in vigore del Codice stesso.
L'art. 140, comma 2, infatti, ha precisato che «la dichiarazione di notevole inte-
resse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione
dei valori espressi dagli aspetti e caratteri pecwiari del territorio considerato)).
Per i vincoli «nudi)), invece, emanati in precedenza, è stato attribuito alle Regioni
e al ministero il compito di «rivestirli)), integrando le dichiarazioni di notevole
interesse pubblico (art. 141 bis). I vincoli ex lege, poi, nascono sempre «nudi)),
anche se spetta al piano paesaggistico l'importante compito di ricognizione e
vestizione [Sciullo 2012]. Per i vincoli del terzo tipo, infine, è sempre il piano
paesaggistico a darne le prescrizioni d'uso.
Attraverso il vincolo paesaggistico, quindi, si limita il diritto di proprietà su
di un determinato bene, arrivando persino a disciplinarne l'uso specifico, in
ragione del valore paesaggistico che esso esprime. La ricaduta del vincolo
PAESAGGIO 267

sul diritto di proprietà del titolare del bene paesaggistico può essere tale da
annullare tutte le facoltà che tale diritto normalmente importa. È per questo
che in passato era stato posto il problema dell'indennizzabilità di tale vincolo. . .. loro indenniz-
La risposta data dalla Corte costituzionale con una nota sentenza (Corte cost. zabilità
sent. 29 maggio 1968, n. 56) fu diversa da quella invece formulata a proposito
dei vincoli urbanistici. Infatti, con la pronuncia citata venne esclusa- alla luce
degli artt. 9, comma 2, e 42, comma 2, Cost. -l'indennizzabilità del vincolo
paesaggistico, in quanto esso non comprime il diritto di proprietà, il quale «è
nato con il corrispondente limite e con quel limite vive; né aggiunge al bene
qualità di pubblico interesse non indicate dalla sua indole)), Alcune innovazioni
apportate dal Codice al sistema dei vincoli ha spinto parte della dottrina a ria-
prire il dibattito sulla loro indennizzabilità. Secondo alcuni interpeti, infatti,
andrebbero indennizzati i proprietari di quei beni colpiti da vincoli paesaggistici
posti con un provvedimento <<Vestito)) o da vincoli del terzo tipo posti con il
piano paesaggistico, in quanto in entrambi i casi la compressione del diritto
di proprietà deriverebbe non dalla legge, ma da una scelta amministrativa
[Bartolini 2007, 563 ss.; Cartei 2005].

Un approfondimento meritano i vincoli appartenenti al primo tipo, ossia Aspetti procedu-


quelli posti attraverso uno specifico provvedimento amministrativo. li Codice rali
definisce il procedimento per la loro emanazione e i caratteri della dichiara-
zione finale.

La dichiarazione di notevole interesse pubblico sui beni indicati dall'art. 136


è un provvedimento la cui assunzione è affidata in prima battuta alla Regione.
Tale ente, tuttavia, esercita le sue competenze su impulso di una commissione
provinciale titolare di un importante potere di preliminare valutazione sulla sus-
sistenza del notevole interesse pubblico e di conseguente proposta alla Regione
(art. 138). Il procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico è
costruito in modo da dare ampia rilevanza al principio di pubblicità (la proposta,
corredata da tutti i documenti, è pubblicata per novanta giorni all'albo pretorio
e depositata a disposizione del pubblico presso gli uffici dei Comuni interessati;
è, inoltre, comunicata a una serie di soggetti e pubblicizzata anche attraverso
i quotidiani e i siti internet degli enti interessati) e di partecipazione (possono,
infatti, presentare osservazioni, entro i trenta giorni successivi al periodo di
pubblicazione, i Comuni, le Città metropolitane, le province, le associazioni
portatrici di interessi diffusi e gli altri soggetti interessati, mentre entro i trenta
giorni successivi alla comunicazione individuale, i proprietari, possessori o
detentori del bene; la Regione può sempre indire un'inchiesta pubblica) (art.
139). Il provvedimento che la Regione può adottare all'esito della fase parte-
cipativa del procedimento è la dichiarazione di notevole interesse pubblico
degli immobili e delle aree individuate. Attraverso tale provvedimento, i beni
vengono vincolati e, come ricordato, viene anche vestito il vincolo, dato che
deve essere indicata «la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione
dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio consideratm)
(art. 140, comma 2). Per la giurisprudenza la delimitazione dei confini di una
zona da sottoporre a vincolo paesaggistico «costituisce tipica espressione di
una valutazione di discrezionalità tecnica, non sindaca bile se non sotto i profili
della manifesta illogicità, incongruità, irragionevolezza o arbitrarietà)) (Cons.
Stato, sez. VI, 7.3.2016, n. 914).
268 CAPITOLO 5

È utile ricordare che il prowedimento di vincolo può essere adottato anche dal
ministero. li Codice, infatti, fa salvo il potere ministeriale di dichiarare il notevole
interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136, su proposta
motivata del soprintendente e previo parere della Regione interessata, che deve
essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta (art.
138, comma 3). Si tratta di un parere autonomo e non meramente sostitutivo
rispetto a quello attribuito alle Regioni (Cons. Stato, sez. VI, n. 914/2016).
Si è a lungo dibattuto in dottrina sulla natura da riconoscere al vincolo posto
attraverso il procedimento ricordato. Per alcuni la dichiarazione di notevole
interesse pubblico sarebbe un accertamento costitutivo, per altri un atto di cer·
tazione, per altri ancora un atto meramente dichiarativo [per una ricostruzione
delle diverse posizioni: Immordino 1995, 580; Cartei 2006, 4067]. Recente·
mente, tuttavia, alla luce di quanto previsto nel Codice soprattutto a proposito
dell'obbligo di vestire i vincoli, si propende per riconoscere al prowedimento
una natura mista di atto che, allo stesso tempo, ha portata dichiarativa della
valenza paesaggistica del bene ed effetto costitutivo del vincolo sul bene stesso
[Amorosino 2010a, 90; Severini 2013, 20].

7.2. La pianificazione paesaggistica

In più occasioni nelle pagine che precedono si è avuto modo di richiamare


l'attività di pianificazione con riferimento al paesaggio e ai suoi valori. È stata
ricordata l'evoluzione che ha caratterizzato la previsione legislativa dello
strumento pianificatorio in tale settore. Sono state ricordate anche alcune
previsioni codicistiche che regolano singoli aspetti dell'attività di pianificazione
del paesaggio. Su tale attività e, soprattutto, sulla disciplina che ne dà il Codice
è ancora opportuno ritornare con qualche ulteriore riflessione.
n modello di pia· li modello di pianificazione del paesaggio proposto dal Codice presenta, in
nificazione pae· parte, profili innovativi, ma sotto molteplici aspetti è in linea con la tradizione.
saggistica In particolare, la sua struttura ricalca gli elementi portanti della pianificazione
urbanistica, come la zonizzazione, la prescrittività e le modalità di attuazione
[Urbani2004, 1].

I profili più innovativi, invece, si possono cogliere già nell'art. 13 5, il quale fissa
i principi portanti dell'attività di pianificazione del paesaggio. lnnanzitutto, al
suo primo comma viene previsto l'obbligo per lo Stato e le Regioni di assicurare
«che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato
e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo co-
stituiscono. A tale fine le Regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il
territorio mediante piani paesaggistici, owero piani urbanistico-territoriali con
specifica considerazione dei valori paesaggistici [ ... ]. L'elaborazione dei piani
paesaggistici awiene congiuntamente tra ministero e Regioni limitatamente ai
beni paesaggistici)).
Da tale previsione si ricava che l'attività di pianificazione del paesaggio è da
considerarsi obbligatoria per le Regioni, che l'esercitano insieme al ministero
solo per i beni paesaggistici, mentre per il «paesaggio residuo)) procedono auto-
nomamente. L'attività di pianificazione non è fine a sé stessa, ma è strumentale
PAESAGGIO 269

a far conoscere, salvaguardare, pianificare e gestire il territorio in ragione dei


valori che esso esprime. Oggetto del piano è il territorio regionale nella sua
interezza. Tuttavia, ciò non significa «che il piano debba dettare prescrizioni
generalizzate di disciplina di tutela per tutto lo spazio considerato. Deve- in·
vece - identificare il paesaggio rilevante, cioè ritenuto meritevole di specifica
tutela>> [Arnorosino 2010b, 28].
L'art. 13 5 definisce anche le funzioni cui assolve il piano paesaggistico. Il piano,
per prima cosa, rispetto al territorio considerato, deve individuare e riconosce-
re «gli aspetti e caratteri peculiari, nonché le caratteristiche paesaggistiche»,
arrivando anche a delimitarne «i relativi ambiti» (comma 2).
La definizione degli ambiti da parte del piano risulta essere un passaggio fon-
damentale, dato che da tale definizione dipende poi l'esercizio della funzione
precettiva del piano stesso. Infatti, per ogni ambito delimitato, il piano deve
predisporre «specifiche normative d'uso, per le finalità indicate negli articoli
131 e 133», attribuire «adeguati obiettivi di qualità» (comma 3 ), nonché dettare
apposite prescrizioni con riferimento: <<a) alla conservazione degli elementi
costitutivi e delle morfologie dei beni paesaggistici sottoposti a tutela, tenuto
conto anche delle tipologie architettoniche, delle tecniche e dei materiali
costruttivi, nonché delle esigenze di ripristino dei valori paesaggistici; b) alla
riqualificazione delle aree compromesse o degradate; c) alla salvaguardia delle
caratteristiche paesaggistiche degli altri ambiti territoriali, assicurando, al
contempo, il minor consumo del territorio; d) alla individuazione delle linee
di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i
diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione
alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio
mondiale dell'Unesco» (comma 4).

li Codice non si limita a definire gli obblighi e i principi generali sulla piani-
ficazione paesaggistica, ma prova anche a dettare una dettagliata disciplina
degli aspetti relativi alle finalità e alle funzioni che tali strumenti perseguono, il
procedimento di formazione da seguire e il regime di efficacia da riconoscere
al piano anche rispetto ad altri strumenti di pianificazione. Lo scopo è quello
di configurare un minimo regolativo in materia di pianificazione paesaggistica
valido per tutte le Regioni.

L'art. 143 si occupa dei contenuti del piano, ai quali corrispondono altrettante
finalità e funzioni che allo stesso possono essere riconosciute. È stato segnalato
che, stante il tenore dell'art. 143, è possibile distinguere tra contenuti obbli-
gatori e contenuti facoltativi del piano e, in seconda battuta, classificarli in tre
diverse tipologie: conoscitivi, precettivi e propositivi [Lombardi 2012, 10].
L'elaborazione dei piani, pertanto, presuppone sempre l'analisi del territorio e
delle sue dinamiche di trasformazione; il piano, poi, contiene diverse attività di
ricognizione riguardanti il territorio oggetto di pianificazione, mediante l'analisi
delle sue caratteristiche paesaggistiche, immobili e delle aree dichiarati di note-
vole interesse pubblico, le aree vincolate ex lege; contiene anche la ricognizione
di eventuali ulteriori contesti da sottoporre a vincolo; deve, inoltre, fornire le
specifiche prescrizioni d'uso per i beni individuati; individua le aree gravemente
compromesse, indicando anche i relativi interventi di recupero, riqualificazione
e valorizzazione; definisce le misure necessarie per il corretto inserimento, nel
contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio. Come
270 CAPITOLO 5

si può notare, quindi, il piano paesaggistico non è uno strumento con il quale le
Regioni si limitano a registrare i vincoli esistenti, ma possono anche far emergere
nuovi e ulteriori valori paesaggistici meritevoli di tutela.

Il caso Tuvixeddu Un'importante precisazione del ruolo che la pianificazione paesaggistica può
svolgere nella tutela e valorizzazione del paesaggio è stata effettuata dalla
giurisprudenza in occasione del caso Tuvixeddu.

Tuvixeddu è un colle situato nel territorio del Comune di Cagliari, ospitante


la più grande necropoli punica ancora esistente. In occasione della definizione
del Ppr nel2006, la Regione Sardegna non si era limitata alla ricognizione tra
i beni tutelati dell'area archeologica in questione, già dichiarata di notevole
interesse pubblico ai sensi dell'art. 136 del Codice, ma aveva qualificato una
porzione territoriale di oltre 50 ettari del colle come «aree caratterizzate da
preesistenze con valenza storico-culturale>>, con conseguente sottoposizione
della stessa a un apposito regime di tutela. Ciò ha determinato l'insorgere di
una controversia tra Regione, Comune e privati interessati, dato che all'area
esterna alla necropoli gli strumenti pianificatori comunali avevano dato una
diversa vocazione urbanistica, compresa una possibile trasformazione edilizia
tra l'altro oggetto di apposito accordo di programma. La controversia è stata
definita dal Consiglio di Stato con una pronuncia (Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo
2011, n. 1366) che ha messo bene in evidenza alcuni importanti aspetti in tema
di pianificazione paesaggistica. lnnanzitutto, secondo il giudice amministrati-
vo, con il piano paesaggistico regionale possono essere imposti nuovi vincoli
paesaggistici, anche se non preesistenti, dato che «è indubbio che la Regione
attraverso il Ppr e leNta (come previsto dal d.lgs. 42/2004), abbia il potere,
dopo avere evidenziato determinate caratteristiche di valore paesaggistico
e storico-culturale, di imporre a un'area una specifica disciplina di tutela».
Infatti, il Ppr può qualificare come beni paesaggistici, anche sottoponendole
a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione, aree ulteriori rispetto a
quelle dichiarate tali in via amministrativa o ex lege. Pertanto, considerato che
l'interesse pubblico paesaggistico è diverso da quello culturale-archeologico,
indipendentemente dal fatto che un'area più ristretta risulti già vincolata come
bene culturale archeologico, il Ppr può assoggettare un contesto territoriale più
ampio e ricomprendente anche l'area archeologica a un vincolo paesistico c.d.
del terzo genere. Ovviamente, affinché tale scelta risulti giustificata, la qualifi-
cazione dell'area presuppone una valutazione afferente la qualità dell'ambito
paesaggistico della stessa, specifica, quindi, e diversa da quella che si colloca
alla base di un vincolo di bene culturale.
In secondo luogo, il giudice amministrativo ha anche evidenziato come, alla luce
del Codice, le scelte compiute dal piano paesaggistico prevalgono su qualsiasi
altro strumento di pianificazione locale.

Per quanto riguarda il procedimento di formazione del piano, il Codice


contiene alcune importanti disposizioni.

lnnanzitutto, come per i procedimenti di apposizione del vincolo, anche per


i procedimenti di pianificazione una certa enfasi è stata riservata ai principi
di pubblicità e partecipazione, in quanto l'art. 144 del Codice, per un lato,
pretende che in tali procedimenti siano «assicurate la concertazione istitu-
PAESAGGIO 271

zionale, la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni portatrici


di interessi diffusi individuate ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di
ambiente e danno ambientale, e ampie forme di pubblicità», e, per altro lato,
richiede alle Regioni di disciplinare con propri prowedimenti legislativi «ulte-
riori forme di partecipazione, informazione e comunicazione».
Come anticipato, i piani paesaggistici sono approvati dalle Regioni, anche se
per alcuni beni è prevista un'elaborazione congiunta del piano con il ministero
e spetta allo stesso ministero individuare le linee fondamentali dell'assetto del
territorio nazionale per quanto riguarda la tutela del paesaggio, con finalità di
indirizzo della pianificazione. Le Regioni possono, come visto, approvare un
apposito piano paesaggistico oppure un piano urbanistico-territoriale che tenga
anche conto dei valori paesaggistici. Il piano paesaggistico diviene efficace il
giorno successivo a quello della sua pubblicazione nel Bollettino ufficiale della
Regione (art. 144, comma 2).

Dalla definizione del procedimento di adozione del piano paesaggistico deri-


vano alcune conseguenze. Innanzitutto, l'adozione del piano importa che non
sono più ammessi sugli immobili e nelle aree tutelate interventi in contrasto
con le prescrizioni di tutela previste nel piano stesso e le relative previsioni
e prescrizioni sono immediatamente cogenti e prevalenti sulle previsioni dei
piani territoriali e urbanistici (art. 143, comma 9). Inoltre: a) le previsioni dei
piani paesaggistici non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti
nazionali o regionali di sviluppo economico; b) sono cogenti per gli strumenti
urbanistici dei Comuni e degli enti locali; c) sono prevalenti sulle disposizioni
contenute negli atti di pianificazione a incidenza territoriale previsti dalle
normative di settore; d) i Comuni e gli enti locali conformano o adeguano gli
strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale a tali previsioni entro due
anni dalla loro approvazione; e) eventuali limiti alla proprietà derivanti da
tali previsioni non sono oggetto di indennizzo;/) possono prevedere misure
di coordinamento con gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore,
nonché con i piani, programmi e progetti nazionali e regionali di sviluppo
economico (art. 145).

Le prescrizioni contenute nell'art. 145 del Codice forniscono i criteri di riferi-


mento per definire il raccordo tra pianificazione paesaggistica e altri strumenti
di pianificazione territoriale e urbanistica. Recentemente, su tale disposizione è
intervenuta anche la Corte costituzionale, la quale ha precisato che il «Codice
dei beni culturali e del paesaggio definisce dunque, con efficacia vincolante
anche per le Regioni, i rapporti tra le prescrizioni del piano paesaggistico e le
prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio - sia contenute in un atto di
pianificazione, sia espresse in atti autorizzativi puntuali, come il permesso di
costruire- secondo un modello di prevalenza delle prime, non alterabile a opera
della legislazione regionale» (sent. 29 gennaio 2016, n. 11). Anche il giudice am-
ministrativo, in più occasioni, ha sottolineato che la disciplina di tutela contenuta
nell'art. 145 del Codice assume il valore di norma costituzionale interposta e in
concreto prevede un principio di prevalenza della pianificazione paesaggistica
sulle altre pianificazioni, che la legislazione regionale non può alterare (Cons.
Stato, sez. VI, 26 gennaio 2017, n. 1183; 24 febbraio 2017, n. 889).
272 CAPITOLO 5

I piani regionali Un ultimo accenno può essere fatto ad alcune esperienze di pianificazione
approvati paesaggistica regionale.

Alla data del31 maggio 2017, solo quattro Regioni hanno portato a termine l'iter
di approvazione definitiva del proprio piano paesaggistico regionale (Ppr) e lo
hanno fatto in ordine sparso, seguendo percorsi diversi non solo relativamente
ai contenuti. Ha fatto da apripista la Regione Sardegna che nel 2006 (del.
G.r. 5 settembre 2006, n. 36n) ha elaborato un piano finalizzato a tutelare e
valorizzare l'identità ambientale, storica, culturale e insediativa del territorio
sardo, anche con lo scopo di tramandarlo alle generazioni future, proteggere
il paesaggio culturale e naturale e salvaguardare il territorio, promuovendone
anche forme di sviluppo sostenibile.
La Regione Puglia, che già nel2000 aveva redatto un piano urbanistico territo-
riale tematico per il Paesaggio, ai sensi della c.d.legge Galasso, con riferimento
soltanto ad alcune aree del territorio regionale, nel2015 ha approvato il Piano
paesaggistico territoriale regionale (Pptr) (del. G.r. 16 febbraio 2015, n. 176).
Anche in questo caso, il piano è stato costruito come uno strumento complesso,
finalizzato non solo alla tutela dei valori paesistici esistenti, ma anche indirizzato
verso la promozione di forme di valorizzazione del paesaggio, anche attraverso
processi di recupero e di riqualificazione, nonché di realizzazione di nuovi valori
paesistici, secondo quanto indicato dalla Convenzione e dal Codice. Il piano
pugliese è interessante sotto diversi profili: perché presenta una valenza di piano
territoriale con la conseguenza che opera come strumento di indirizzo per la
pianificazione a valle da parte degli enti locali e strategico per la predisposizione
di veri e propri progetti di territorio per il paesaggio regionale; perché promuove
l'adozione di innovativi strumenti di governance e forme di partecipazione per la
produzione sociale del paesaggio; perché è accompagnato anche dalla istituzione
per via legislativa dell'Osservatorio regionale per la qualità del paesaggio. Un
piano ambizioso, quindi, che non vuole solo adempiere al dettato civilistico,
ma anche proporsi come «strumento di ausilio all'attuazione di una strategia
che intende aprire nuovi orizzonti di sviluppo fondati sulla interpretazione
strutturale del territorio, dell'ambiente e del paesaggio e sul riconoscimento
sociale dei loro valori patrimoniali» [Barbanente 2015, 331].
La Regione Toscana, invece, ha preferito integrare il Piano di indirizzo terri-
toriale (Pit) dandogli valenza di piano paesaggistico (del. C.r. 27 marzo 2015,
n. 37). In tema di paesaggio il nuovo strumento si pone tre «metaobiettivi»:
promuovere una migliore conoscenza delle peculiarità identitarie espresse dal
territorio regionale e del ruolo che i suoi paesaggi possono svolgere nelle poli-
tiche di sviluppo della Regione; favorire una maggiore consapevolezza che una
più strutturata attenzione al paesaggio può portare alla costruzione di politiche
maggiormente integrate ai diversi livelli di governo; rafforzare il rapporto tra
paesaggio e partecipazione, tra cura del paesaggio e cittadinanza attiva.
Ultimamente anche la Regione Piemonte ha approvato il Ppr con l'obiettivo di
promuovere e diffondere la conoscenza del paesaggio piemontese e il suo ruolo
strategico per lo sviluppo sostenibile e l'uso consapevole del territorio, nonché
il minor consumo possibile del suolo, la salvaguardia dei valori paesaggistici e
il loro corretto inserimento nei contesti ambientali. In particolare, il Ppr pro-
muove quelle politiche dirette a favorire lo sviluppo equilibrato e sostenibile
del territorio, con particolare attenzione alla valorizzazione dei paesaggi iden-
titari piemontesi. Interessante in questo Piano è anche lo sforzo fatto, anche
grazie alla collaborazione del Mibact, per la puntuale identificazione dei beni
PAESAGGIO 273

paesaggistici (ricompresi nel «Catalogo dei beni paesaggistici del Piemonte)))


e degli ambiti, anche al fine di «vestire i vincoli)) e provare a definire per cia-
scuna area oggetto di dichiarazione di notevole interesse pubblico, specifiche
prescrizioni d'uso, ai sensi dell'art. 143, comma l, lett. b, del Codice. L'iter di
approvazione si è concluso con la sottoscrizione il14 marzo 2017 dell'accordo
previsto dall'art. 143, comma 2 del Codice e della successiva approvazione da
parte del Consiglio regionale.

7.3. L'autorizzazione paesaggistica

L'individuazione di un'area o un immobile come bene paesaggistico non


determina l'applicazione di un vincolo assoluto di intervento edilizio, di
modificabilità o di trasformazione. Il Codice, infatti, ammette sempre e senza
particolari formalità alcune tipologie di interventi, come, ad esempio, quelli
«di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di
restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore
degli edifici)) (art. 149, comma 1). Per tutti gli altri, invece, viene imposto un
regime di autorizzazione preventiva, con lo scopo di verificare che l'intervento
awenga nel rispetto del principio secondo il quale «i proprietari, possessori
o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree di interesse paesaggistico, tu-
telati dalla legge, [ ... ]non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni
che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione)) (art.
146, comma 1).
Il legislatore, pertanto, riserva in capo all'amministrazione pubblica un im-
portante potere di natura tecnico-discrezionale, attraverso il quale compiere
una valutazione a proposito della conformità di un intervento su di un bene
tutelato con le prescrizioni dettate proprio al fine di tutelare il valore pae-
saggistico del bene stesso.
Il Codice disciplina il procedimento ordinario preordinato al rilascio dell'auto- Il procedimento
rizzazione paesaggistica, rinviando a un regolamento la definizione di possibili ordinario
percorsi autorizzatori semplificati.

Secondo l'impostazione codicistica, l'autorizzazione paesaggistica deve essere


chiesta dal titolare del diritto sul bene all'amministrazione competente, cioè la
Regione, la quale molto spesso decentra tale competenza sugli enti locali (provin-
ce, Comuni o loro forme associative). L'amministrazione competente verifica la
completezza della documentazione e istruisce il procedimento; successivamente,
entro quaranta giorni trasmette la documentazione alla soprintendenza, alla
quale spetta fornire entro quarantacinque giorni un parere vincolante.
A proposito del parere reso dalla soprintendenza, la giurisprudenza ammi-
nistrativa ha avuto modo di precisare alcuni punti: in primo luogo, ai sensi
dell'art. 146 del Codice, la soprintendenza è chiamata a esercitare non più un
sindacato di mera legittimità sull'atto autorizzatorio, «ma una valutazione di
merito amministrativo, espressione dei nuovi poteri di cogestione del vincolo
paesaggisticm) (Cons. Stato, sez. VI, 4 giugno 2015, n. 2751); il parere, poi,
soprattutto se di contenuto negativo, deve essere sempre «puntualmente e
274 CAPITOLO 5

congruamente motivato» (Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6149);


infine, considerato che è vincolante ed espressione di una valutazione tecnico-
discrezionale dell'amministrazione, «non può peraltro sfuggire al sindacato
del giudice amministrativo per eccesso di potere, in sede di giurisdizione di
legittimità, qualora si sia in presenza dei vizi di difetti di motivazione, illogicità
manifesta ed errori di fatto» (Cons. Stato, sez. VI, 26luglio 2016, n. 3351).
Tornando al procedimento, se la soprintendenza esprime un parere positivo nei
termini previsti, l'amministrazione competente decide di conseguenza entro i
successivi venti giorni. Se, invece, il parere è negativo, è la stessa soprintendenza
a comunicare all'interessato il preawiso di diniego ai sensi dell'art. 10-bis, legge
241/1990, mentre l'amministrazione competente prowederà in conformità al
parere nei successivi venti giorni. Nel caso in cui la soprintendenza rimanga
inerte, l'amministrazione convoca una conferenza di servizi per superare lo
stallo procedurale. In ogni caso, decorsi sessanta giorni dal ricevimento della
documentazione da parte della soprintendenza senza che questa abbia espresso
il parere, l'amministrazione competente può procedere prescindendo dal parere.
Se, invece, è l'amministrazione competente a rimanere inerte dopo la ricezione
del parere, decorso il termine dei venti giorni, l'interessato può richiedere l' au-
torizzazione in via sostitutiva alla Regione, che vi prowede, anche mediante
un commissario ad acta, entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta,
owero allo stesso soprintendente qualora la Regione non abbia delegato la
funzione autorizzatoria ad altri enti, e sia essa stessa inadempiente (art. 146).
Si tenga, inoltre, presente che per le aree e gli immobili soggetti a vincolo
paesistico non basta l'eventuale titolo edilizio abilitativo per poter svolgere
un intervento sul bene tutelato, dovendosi, come visto, necessariamente
acquisire un'autorizzazione preventiva dell'autorità competente. Infatti, la
disciplina codicistica chiarisce che «i' autorizzazione paesaggistica costituisce
atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli
legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio», e non può essere rilasciata in
sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi.
Inoltre, l'autorizzazione è <<Valida per un periodo di cinque anni, scaduto il
quale l'esecuzione dei progettati lavori deve essere sottoposta a nuova auto-
rizzazione». Tuttavia, «i lavori iniziati nel corso del quinquennio di efficacia
dell'autorizzazione possono essere conclusi entro e non oltre l'anno successivo
la scadenza del quinquennio medesimo» (art. 146, comma 4).

Il procedimento Accanto al procedimento ordinario, il Codice immagina anche dei possibili


semplificato percorsi semplificati per gli interventi di lieve entità. L'art. 146, comma 9, del
Codice rinvia a un regolamento la definizione delle «procedure semplificate
per il rilascio dell'autorizzazione in relazione a interventi di lieve entità in
base a criteri di snellimento e concentrazione dei procedimenti>>. Per la Corte
costituzionale (sent. 24 luglio 2012, n. 207) il regolamento in questione è
espressione di «livelli essenziali delle prestazioni». È stato, pertanto, emanato
il d.p.r. 13 febbraio 2017, n. 31, contenente il «Regolamento recante indivi-
duazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti
a procedura autorizzatoria semplificata».

Il d.p.r. prevede due blocchi di interventi non soggetti ad autorizzazione


paesaggistica. Un primo blocco di interventi liberi è contenuto nell'allegato
PAESAGGIO 275

A, il quale esonera dall'obbligo di preventiva autorizzazione varie tipologie di


opere su beni paesaggistici, alcune anche significative, come, ad esempio, le
opere interne che modificano la destinazione d'uso ma non alterano l'aspetto
esteriore degli edifici, gli interventi di consolidamento statico degli edifici, a
condizione che non modifichino volume, altezza e altri elementi, gli interventi
per l'eliminazione delle barriere architettoniche, gli interventi per l'instal-
lazione di pannelli solari su coperture piane e non visibili dall'esterno e, per-
fino, gli interventi di fedele ricostruzione di edifici distrutti dopo le calamità
naturali. Un altro elenco, invece, riguarda alcuni interventi che possono essere
esonerati dall'obbligo di autorizzazione semplificata se riguardano aree ed
edifici vincolati dal piano paesaggistico, e ricadenti negli allegati A e B, purché
il provvedimento di vincolo o il piano paesaggistico contengano già le specifiche
prescrizioni d'uso intese ad assicurare la tutela del bene paesaggistico (art. 4).
Un altro allegato, invece, l'allegato B, contiene l'elenco degli interventi e opere
di lieve entità che sono assoggettati alla procedura semplificata di autorizza·
zione paesaggistica. Tale procedura può essere anche utilizzata per le istanze
di rinnovo di autorizzazioni paesaggistiche scadute da non più di un anno e
relative a interventi in tutto o in parte non eseguiti, purché il progetto risulti
conforme a quanto in precedenza autorizzato e alle specifiche prescrizioni di
tutela eventualmente sopravvenute (art. 7).
La procedura è definita dal regolamento secondo una logica di semplifica-
zione, che riguarda gli aspetti documentale (art. 8), procedimentale (art. 11)
e organizzativo (art. 12). Inoltre, il procedimento semplificato deve essere
contenuto in tempi tassativamente previsti, dato che si deve concludere con
un provvedimento da adottare entro sessanta dal ricevimento della domanda.

n riferimento alle politiche di semplificazione amministrative impone di dar


conto anche di una recente innovazione legislativa, disposta dalla l. 7 agosto
2015, n. 124 (c.d. legge Madia), la quale ha introdotto un nuovo articolo nel
testo della l. 7 agosto 1990, n. 241.

Si tratta dell'art. 17 -bis, il quale disciplina il silenzio assenso tra amministrazioni Silenzio assenso
pubbliche, immaginando l' operatività dell'istituto di semplificazione anche nei
casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque
denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici,
per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di
altre amministrazioni pubbliche, e l'assenso, il concerto o il nullaosta non viene
comunicato entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento
all'amministrazione procedente. Infatti, decorsi i termini ricordati «senza che
sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nullaosta, lo stesso si intende
acquisito» (commi l e 2).
La disposizione in questione rileva ai nostri fini, in quanto prevede che il silen- Amministrazioni
zio assenso operi anche nei casi in cui l'amministrazione procedente sia tenuta preposte alla tu·
a chiedere un atto di assenso o nulla osta ad amministrazioni «preposte alla tela del patrimo·
tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei nio
cittadini)), limitandosi solo ad ampliare, in queste ipotesi, la durata del termine
di attesa a novanta giorni, salvo il diverso termine previsto da disposizioni
speciali (comma 3 ).
Il silenzio assenso introdotto dalla legge Madia è endoprocessuale e di tipo
decisorio. Non è la prima volta che un meccanismo di semplificazione viene
276 CAPITOLO 5

previsto con riferimento all'azione amministrativa di competenza di amministra-


zioni poste a tutela del patrimonio culturale, dato che una dinamica simile è già
presente nell'art. 14-ter, comma 7, l. 24111990, a proposito del funzionamento
della conferenza di servizi.
Ogni qualvolta il legislatore estende l'operatività di strumenti di semplifica-
zione ad ambiti di azione amministrativa riservata ad enti preposti alla cura
di interessi sensibili, come quello ambientale, culturale o paesaggistico, i
rilievi critici e i dubbi di legittimità costituzionale della scelta legislativa non
mancano. Nel caso in questione, pur riconoscendo la primarietà dei valori
costituzionali rappresentati dal paesaggio e la preferenza per una valutazione
espressa in sede procedimentale degli stessi da parte delle amministrazioni a
ciò preposte, tali dubbi possono essere superati, immaginando che, in caso
di silenzio, l'amministrazione procedente possa assumere lo stesso il prov-
vedimento, ma sforzandosi anche di rappresentare e ponderare previamente
l'interesse sensibile non valutato dall'amministrazione che lo ha in carico
[Sciullo 2015].

8. I CONTROLLI E LE SANZIONI AMMINISTRATIVE E PENALI


Le funzioni amministrative in tema di paesaggio e beni paesaggistici non si
esauriscono solo nei compiti di tutela e valorizzazione degli stessi, dato che
il Codice prevede anche un'ulteriore funzione, a completamento dell'intero
sistema di amministrazione di questa importante parte del patrimonio cultu-
rale, consistente nell'attività di vigilanza su tali beni.
L'attività di vigi- La vigilanza sul paesaggio è attività prevalentemente preventiva e persegue
lanza l'obiettivo di assicurare il rispetto della disciplina codicistica da parte di
tutti i soggetti che per ragioni dominicali o istituzionali sono tenuti a darne
puntuale applicazione.
Precisa l'art. 15 5, comma l, del Codice che le funzioni di vigilanza sui beni
paesaggistici «sono esercitate dal ministero e dalle Regioni».
La funzione di vigilanza è orientata in due diverse direzioni, verso le ammini-
strazioni pubbliche e verso i privati. Una prima attività di controllo riguarda
le Regioni, le quali sono tenute a vigilare sull'ottemperanza alle disposizioni
del Codice da parte delle amministrazioni alle quali hanno delegato l'eserci-
zio delle competenze in materia di paesaggio (art. 155, comma 2). Il Codice
non specifica le modalità di esercizio di tale funzione da parte delle Regioni.
Spetta alle singole leggi regionali definire la disciplina puntuale dell'attività
di controllo, da esercitare mediante interventi che non si limitano a rilevare
solo gli aspetti formali degli atti, ma anche a valutare in termini più ampi e
sostanziali l'azione svolta dalle amministrazioni delegate. Il Codice, invece, so t-
tolinea l'obbligatorietà dell'attività di vigilanza regionale sulle amministrazioni
delegate, dato che immagina un intervento in via sostitutiva del ministero in
caso di in ottemperanza o persistente inerzia della Regione (art. 155, comma 2).
La funzione di vigilanza verso i privati è svolta dal ministero e dalle Regioni
e si esercita attraverso l'adozione di atti di diffida o di sospensione dei lavori.
Si tratta di una funzione preventiva, dato che può riguardare beni non an-
PAESAGGIO 277

cora assoggettati a vincolo ed è indirizzata a realizzare in via di urgenza un


intervento per evitare pregiudizi a beni che potrebbero avere una rilevanza
paesaggistica.
La valenza preventiva della funzione di vigilanza sulle attività dei privati La diffida
idonee a pregiudicare il valore paesaggistico di un bene o di un'area si coglie,
innanzi tutto, con riferimento alla prima misura cautelare prevista dall'art. 150
del Codice, ossia la diffida. Essa consiste in un ordine con il quale l' ammini-
strazione di tutela inibisce al privato di eseguire lavori senza autorizzazione
o, indipendentemente dall'autorizzazione, se la loro esecuzione può arrecare
pregiudizio al paesaggio.
La sospensione dei lavori può trovare fondamento nel mancato rispetto La sospensione
da parte del privato di una diffida che ordinava di non avviare un'attività deilavori
di trasformazione del territorio o del bene idonea a mettere in discussione
i valori paesaggistici da essi espressi oppure nella scoperta da parte delle
amministrazioni preposte alla vigilanza di lavori già avviati e potenzialmente
pregiudizievoli del paesaggio. Trattandosi di provvedimenti basati su va-
lutazioni discrezionali a proposito dell'effetto pregiudizievole delle attività
svolte, le misure cautelari debbono essere adeguatamente motivate, nonché
comunicate anche al Comune interessato. Entrambe, poi, hanno una durata
limitata, nel senso che perdono efficacia se entro novanta giorni dalla loro
adozione non intervenga la pubblicazione all'albo pretorio o la comunicazione
agli interessati della proposta di dichiarazione di notevole interesse dei beni
oggetto dell'intervento inibito (art. 150, comma 2). Il Codice, anche al fine
di tutelare la buona fede del privato che si è visto sospendere i lavori su di
un bene non ancora assoggettato a vincolo, prevede la facoltà per il privato
stesso di chiedere il rimborso delle spese sostenute per i lavori eseguiti fino
alla notifica della sospensione, se tale provvedimento non sia stato preceduto
da diffida. Tra l'altro, le opere già eseguite sono demolite a spese dell'autorità
che ha disposto la sospensione (art. 151).
La funzione di vigilanza sulle attività riguardanti il paesaggio e i beni pa- I procedimenti
esaggistici è poi integrata dalla previsione codicistica di due procedimenti sanzionatori
sanzionatori, di tipo amministrativo e di tipo penale, tra di loro autonomi,
anche se destinati a condizionarsi reciprocamente nei loro rispettivi esiti.
Partiamo dalle sanzioni amministrative e dal procedimento preordinato alla
loro adozione.
Nell'originaria versione del Codice, davanti alla violazione degli obblighi
e degli ordini preordinati alla tutela del paesaggio e dei beni paesaggistici,
l'amministrazione poteva, in molti casi, valutare se ordinare la rimessione in
pristino o, in alternativa, irrogare una sanzione pecuniaria.
La versione attualmente vigente dell'art. 167 del Codice, invece, afferma
che «in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I
della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino
a proprie spese». La riduzione in pristino è disposta dall'autorità con un
provvedimento che assegna al trasgressore anche un termine entro il quale
realizzare l'intervento.
278 CAPITOLO 5

Se spontaneamente il destinatario dell'ordine di riduzione in pristino non


esegue quanto disposto dall'autorità, questa è tenuta a provvedere d'ufficio
per mezzo del prefetto. li Codice, tuttavia, immagina anche il possibile ri-
medio di fronte all'eventuale inerzia da parte dell'amministrazione di tutela,
competente in prima battuta. In tale eventualità, infatti, l'intervento spetta al
direttore regionale, il quale si attiva su richiesta da parte dell'amministrazione
preposta alla tutela paesaggistica o decorsi centottanta giorni dall'accerta-
mento dell'illecito e previa diffida alla suddetta autorità, per la demolizione
dell'intervento, avvalendosi dell'apposito servizio tecnico-operativo del
ministero, ovvero delle modalità previste dall'articolo 41 del d.p.r. 6 giugno
2001, n. 380 (art. 167, comma 3 ).
In linea di principio, il Codice prefigura una insanabilità dell'abuso compiuto
su un bene o un'area vincolati attraverso interventi non autorizzati preventi-
vamente dall'amministrazione. Tuttavia, per tre ipotesi specifiche, puntual-
mente delimitate dal Codice, è possibile evitare la demolizione dell'intervento
realizzato, ottenendo dall'autorità amministrativa competente l'accertamento
della compatibilità paesaggistica dello stesso.

Si tratta dei casi in cui: a) i lavori sono stati realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, ma non hanno determinato creazione di
superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b)
sono stati impiegati materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c)
i lavori eseguiti sono configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria
o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (art.
167, comma 4 ). In queste ipotesi, il proprietario, possessore o detentore a
qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area su cui l'intervento è stato svolto pre·
senta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini
dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi.
L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio
di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi
entro il termine perentorio di novanta giorni. All'esito del procedimento, se
la compatibilità paesaggistica viene accertata, il trasgressore è tenuto solo al
pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato
e il profitto conseguito mediante la trasgressione, altrimenti si dovrà procedere
con la riduzione in pristino. La giurisprudenza ha più volte segnalato la neces·
sità di accompagnare i pareri della soprintendenza e le dichiarazioni positive o
negative di compatibilità paesaggistica con adeguata motivazione, in modo che
vengano evidenziate le ragioni che hanno spinto le amministrazioni a valutare
come compatibile o meno l'intervento realizzato con i valori paesaggistici
salvaguardati dal vincolo imposto su un immobile o su un'area (ad es., Tar
Campania, Napoli, sez. VII, 15 ottobre 2012, n. 4126).

Passando, poi, alle sanzioni penali, queste sono previste nell'art. 181 del
Codice. La disposizione, al suo primo comma, punisce coloro che eseguono
lavori sui beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione o in difformità di
essa, applicando in queste ipotesi le pene che, con riferimento agli abusi edilizi,
sono disposte dall'art. 44, lett. c, d.p.r. 380/2001, ossia l'arresto fino a due anni
e l'ammenda da 15.493 a 51.645 euro (c.d. contravvenzione paesaggistica).
PAESAGGIO 279

Secondo l'orientamento costante della Cassazione «il reato di cui all'art. 181,
comma l, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è reato di pericolo e, pertanto, per
la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per
l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti
soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere
i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici>> (Cass. Pen., sez. III, 28
dicembre 2011, n. 4847).

Nel comma successivo, invece, la disposizione codicistica disciplina il c.d.


delitto paesaggistico, per il quale è prevista la pena della reclusione, da uno
a quattro anni. Si tratta di un reato configurabile qualora i lavori abusivi
abbiano determinato un aumento dei manufatti superiore al 30% della vo-
lumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della
medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano
comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri
cubi (art. 181, c. l-bis). In questi casi, la condotta lesiva integra non più una
contravvenzione, come nel caso precedente, ma un delitto, punito, quindi,
con un inasprimento delle pene.

Tale regime, fino a poco fa, riguardava anche le ipotesi di lavori abusivi
compiuti su immobili o aree vincolati sulla base di un provvedimento o
tutelati ex art. 142. La dottrina aveva fin da subito segnalato l'illogicità della
diversità di trattamento riservata alle condotte illecite a seconda se compiute
su beni paesaggistici vincolati per provvedimento o per legge [Amorosino
2010a, 199]. La Corte costituzionale, tuttavia, è intervenuta per dichiarare
l'illegittimità costituzionale della disposizione, ritenendola affetta da manifesta
irragionevolezza e arbitrio, in quanto fondata su una evidente sperequazione
tra fattispecie omogenee che non trova alcuna logica giustificazione (Corte
cost. sent. 23 marzo 2016, n. 56). Per effetto di tale pronuncia si può dire
che «in tema di reati paesaggistici, integra la contravvenzione prevista dal
comma primo di detto articolo [ovvero, l'art. 181] ogni intervento abusivo
su beni vincolati paesaggisticamente, tanto in via provvedimentale che per
legge, configurandosi invece il delitto previsto dal successivo comma l-bis
nella sola ipotesi di lavori che superino i limiti volumetrici ivi indicati» (Cass.
pen., sez. III, 19 aprile 2016, n. 33047).

Anche per le sanzioni penali, però, il Codice immagina la possibilità che


il procedimento abbia un esito diverso da quello sanzionatorio. Infatti, le
sanzioni penali non si applicano qualora l'autorità amministrativa compe-
tente accerti la compatibilità paesaggistica degli interventi disposti, mentre
la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli pae-
saggistici, da parte del trasgressore estingue il reato (art. 181, commi 1-ter
e quinquies). In particolare, la compatibilità paesaggistica prevista dall'art.
181, comma 1-ter, appare esattamente sovrapponibile all'analogo istituto
previsto dall'art. 167, commi 4 e 5, tanto che in dottrina si è parlato, al
riguardo, di un «unico istituto, fornito di una doppia valenza, penale e
amministrativa» [Sciullo 2007b, 752].
280 CAPITOLO 5

LETTURE DI APPROFONDIMENTO

È stato per primo N.A. Falcone, Il paesaggio italico e la sua dz/esa. Studio giuridico-estetico, Firenze,
Alinari, 1914, a segnalare che «il paesaggio, sorgente sovrana di ogni ispirazione, attende ancora la
difesa delle sue bellezze» e a promuovere a tal fine una «soluzione giuridica». Ricostruiscono lepri·
me fasi di emersione del concetto di paesaggio nell'ordinamento giuridico nazionale L. Parpagliolo,
Codice delle antichità e degli oggetti d'arte: raccolta di leggi, decreti, regolamentz; circolari relativi alla
conservazione delle cose d'interesse storico-artistico e alla dzfesa delle bellezze naturali, II ed., Roma,
La Libreria dello Stato, 1932, e i diversi contributi contenuti in V. Cazzata (a cura di), Istituzioni e
politiche culturali in Italia negli anni Trenta, Roma, lpsz, 2001. Il diritto che successivamente in sede
nazionale - e ora anche internazionale ed europea - si è occupato di paesaggio è stato oggetto di
ricostruzioni di taglio generale come manuali (S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio,
Roma-Bari, Laterza, 2010; N. Assini e G. Cordini, Beni culturali e paesaggistici. Diritto interno, comu-
nitario, comparato e internazionale, Padova, Cedam, 2006; F. Miscioscia, I beni paesaggistici, in M.A.
Cabiddu e N. Grasso (a cura di), Diritto dei beni culturali e del paesaggio, II ed., Torino, Giappichelli,
2007; A. Crosetti, I.: ordinamento dei beni paesaggistici, in A. Crosetti e D. Vaiano (a cura di), Beni
culturali e paesaggistici, III ed., Torino, Giappichelli, 2011, pp. 179 ss.; A. Morrone, Lineamenti di
diritto dei beni culturali e del paesaggio, Milano, Giuffrè, 2014, p. 223 ss.), parti di trattato (G.F.
Cartei, Il paesaggio, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo
speciale, Milano, Giuffrè, 2003, vol. II, pp. 2109 ss.), voci enciclopediche o di dizionario (A. Predieri,
Paesaggio, in Enc. Dir., Milano, Giuffrè, 1981, vol. XXX, pp. 510 ss.; M. Immordino, Paesaggio (tutela
del), in Dig.disc. pubbl., Torino, Utet, 1995, vol. X, pp. 573 ss.; G.F. Cartei, Paesaggio, in S. Cassese
(sotto la direzione di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, Giuffrè, 2006, vol. V, pp. 4063 ss.; A.
Crosetti, Paesaggio, in Dig.disc. pubbl., Agg. I, Torino, Utet, 2008, pp. 543 ss.).

Sulla nozione di paesaggio così come elaborata nelle sedi non giuridiche è impossibile fornire un quadro
bibliografico completo considerato il numero dei contributi prodotti. In ogni caso, possono risultare
utili: R. Colantonio Venturelli, Il paesaggio, in «Nuova informazione bibliografica», 2006, pp. 637 ss.;
n
C. Tosco, Il paesaggio come storia, Bologna, Mulino, 2007; M. Jakob, Il paesaggio, Bologna, Muli- n
no, 2009; A. Roger, Breve trattato sul paesaggio, Palermo, Sellerio, 2009; Società Geografica Italiana, I
paesaggi italiani tra nostalgia e trasformazione. Rapporto annuale 2009, Roma, 2009; H. Kiister, Piccola
storia del paesaggio, Roma, Donzelli, 2010; S. Settis, Il paesaggio come bene comune, Napoli, La scuola di
Pitagora editrice, 2013; C. Tosco, Beni culturali e paesaggio: una storia italiana, in «Nuova informazione
bibliografica», 2015, pp. 105 ss.; P. Campo resi, Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano, Milano,
nSaggiatore, 2016; G. Volpe, Un patrimonio italiano. Beni culturali, paesaggio e cittadini, Torino, Utet,
2016. Per una ricostruzione del significato che è stato dato in sede giuridica al concetto di paesaggio: P.
Carpentieri, La nozione giuridica di paesaggio, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2004, pp. 405 ss.; S. Cassese,
Introduzione, in Id. (a cura di), I.:Italia: paesaggio e tem.torio, Roma, Gangemi, 2006; E. Boscolo, La
nozione giuridica di paesaggio identitaria ed il paesaggio «a strati», in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 57
ss.; C. Desideri, Paesaggio e paesaggi, Milano, Giuffrè, 2010; R. Fattibene, I.: evoluzione del concetto di
paesaggio tra norme e giurisprudenza costituzionale: dalla cristallizzazione all'identità, in «Federalismi.
it», 2016, n. 10. Sulla configurazione del paesaggio, non solo come bene da tutelare, ma anche come
diritto da rivendicare, si rinvia alle relazioni contenute in W. Cortese (a cura di), Diritto al paesaggio e
diritto del paesaggio, atti del convegno di Lampedusa, 21-23 giugno 2007, N apoli, Editoriale scientifica,
2008, in particolare ai contributi di W. Cortese, Configurazione di un diritto al paesaggio: una teoria
rivoluzionaria o un'ipotesi percorribile?, pp. 19 ss., e C. Barbati, Il paesaggio come realtà etico-culturale,
pp. 31 ss.; S. Settis, Architettura e democrazia, Torino, Einaudi, 2017.
PAESAGGIO 281

Sul paesaggio e la sua disciplina, anche in una prospettiva di ricostruzione evolutiva: G.F. Cartei, La
disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, Torino, Giappichelli, 1995; Tci, La
tutela del paesaggio in Italia, Roma, 1998; T. Alibrandi e P.G. Ferri, I beni culturali e ambientali, IV ed.,
Milano, Giuffrè, 2001; A. Mansi, La tutela dei beni culturali e del paesaggio, III ed., Padova, Cedam,
2004; G. Sciullo, Il codice dei beni culturali e del paesaggio: principi dispositivi ed elementi di novità,
in «Urb. app.», 2004, pp. 763 ss.; R. Tamiozzo (a cura di), Il Codice dei Beni culturali e del paesaggio,
Milano, Giuffrè, 2005; A.M. Angiuli e V. CaputiJambrenghi (a cura di), Commentario al codice dei
beni culturali e del paesaggio, Torino, Giappichelli, 2005; S. Cassese, Codici e codificazione: Italia e
Francia a confronto, in «Gior. dir. amm.», 2005, pp. 95 ss.; L. Casini, La codificazione del diritto dei beni
culturali in Italia e in Francia, in «Gior. dir. amm.», 2005, pp. 98 ss.; B.G. Mattarella, La codificazione
del diritto dei beni culturali e del paesaggio, in «Gior. dir. amm.», 2005, pp. 793 ss.; G. Trotta, G. Caia
e N. Aicardi (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, in «Le nuove leggi civ. comm.>>,
2005, nn. 5-6, pp. 1045 ss., e 2006, n. l, pp. 124 ss.; G. Cugurra, E. Ferrari e G. Pagliari (a cura di),
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e V. Piergigli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio tra teoria e prassi, Milano, Giuffrè,
2006; S. Civitarese Matteucci, La revt'sione del Codice del paesaggio: molto rumore per (poco o nulla), in
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W. Cortese, Il patrimonio culturale: profili normativi, III ed., Padova, Cedam, 2007; G. Galasso, La
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dei beni culturali, in «Aedon», 2008, n. 3; V. Mazzarelli, La disciplina del paesaggio dopo il d.lgs. n.
63/2008, in «Giom. dir. amm.», 2008, pp. 1068 ss.; W. Vaccaro Giancotti, Il patrimonio culturale nella
legz'slazione costituzionale e ordinan'a, Torino, Giappichelli, 2008; G. Ciaglia, La nuova disciplina del
paesaggio, Milano, lpsoa, 2009; R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, IV ed.,
Milano, Giuffrè, 2009; S. Settis, Paesaggio Costituzione Cemento, Torino, Einaudi, 2010; P. Urbani,
Per una critica costruttiva all'attuale dt'sciplina del paesaggio, in «Dir. ec.», 2010, pp. 41 ss.; P. Marzaro,
L'amminz'strazione del paesaggio. Pro/ili critici ricostruttivi di un sistema complesso, Torino, Giappichelli,
2011; V. De Lucia, La tutela del paesaggio, in «Ec. Cultura», 2011, pp. 379 ss.; M.A. Sandulli (a cura
di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, II ed., Milano, Giuffrè, 2012.

Sui problemi legati al governo del paesaggio e all'articolazione delle competenze: S. Amorosino, La
governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice
dei beni culturali e del paesaggio, in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 99 ss.; E. Buoso, Riflessioni sulla
ridefinizione dei ruoli di Stato e regioni dopo la modifica al Codice dei beni culturali e del paesaggio di
cui al D.Lgs. 63 del2008: le competenze legislative e le funzioni amministrative in materia di paesaggio,
in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 114 ss.; G. Falcon, I principi costituzionali del paesaggio (e il riparto
di competenze tra Stato e Regionz), in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 95 ss.; C.P. Santacroce, La gestione
dei vincoli paesaggistici tra ripensa menti centripeti e (ri-)/ormulazioni legislative centrt/ughe, in «Riv.
giur. urb.», 2009, pp. 219 ss.; P. Marzaro, Ept'stemologie del paesaggio: natura e limiti del potere di
valutazione delle amministrazioni, in «Dir. pubbl.», 2014, pp. 843 ss.; A. Clementi, Ridisegnare il
governo del paesaggio italiano, in «Parolechiave», 2016, pp. 69 ss.
282 CAPITOLO 5

Sul rapporto tra paesaggio, ambiente e altri interessi riconducibili al governo del territorio: M.S.
Giannini, «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in «Riv. trim. dir. pubbi.>>, 1973, pp.
15 ss.; P. Urbani, Urbanistica, tutela del paesaggio e interessi differenziati, in «Le Regioni», 1986, pp.
665 ss.; P. Carpentieri, Paesaggio, ambiente, urbanistica: interrelazioni e distinzioni, in «Ambiente»,
2003, n. 7; S. Civitarese Matteucci, Governo del territorio e paesaggio, in S. Civitarese Matteucci, E.
Ferrari e P. Urbani (a cura di), Il governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 225 ss.; M. Pelligra,
Il principio di «leale collaborazione» tra Stato, Regioni ed Enti locali nella tutela del paesaggio, in «Riv.
giur. Mezz.», 2010, pp. 1365 ss.; G. Santangelo, Paesaggio e governo del territorio: profili introduttivi
sulla legge, in «1st. fed.», 2010, pp. 5 ss.; P. Carpentieri, Paesaggio e Corti europee, in «Giustamm.it»,
2013, n. 5; G. Piperata, La tutela dell'ambiente, del paesaggio e dei beni culturali, in M.A Cabiddu (a
cura di), Diritto del governo del territorio, II ed., Torino, Giappichelli, 2014, pp. 84 ss.; C. Marzuoli
e N. Vettori, Paesaggio e interessi pubblici: principi, regole e procedure, in A. Marson (a cura di), La
struttura del paesaggio, Roma-Bari, Laterza, 2016, pp. 225 ss.
In particolare, sulla sentenza della Corte cost. 367/2007: S. Amorosino, La tutela del paesaggio spetta
in primis allo Stato ed è irriducibile al governo (regionale/locale) del territorio, in «Riv. giur. ed.», 2008,
I, pp. 64 ss.; P. Carpentieri, Tutela del paesaggio: un valore di spessore nazionale, in «Urb. app.», 2008,
pp. 309 ss.; M. Immordino, La dimensione «/orte» della esclusività della potestà legislativa statale sulla
tutela del paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del2007, in «Aedon», 2008, n. l.

Con riferimento alla rilevanza costituzionale del paesaggio e al suo significato: A.M. Sandulli, Il pae-
saggio nella Costituzione, in «Riv. giur. ed.», 1967, Il, pp. 72 ss.; A. Predieri, Significato della norma
costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Id., Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano,
Giuffrè, 1969, pp. 3 ss.; F. Merusi, Art. 9, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione.
Principi/ondamentali, Bologna, Zanichelli, 197 5, vol. l, 442 ss.; M.S. Giannini, Sull'art. 9 della Costitu-
zione, in Studi in onore diA. Falzea, Milano, Giuffrè, 1991, III, pp. 435 ss.; M. Cecchetti, Legislazione
statale e regionale per la tutela dell'ambiente: niente di nuovo dopo la riforma costituzionale del Titolo
V, in «Le Regioni», 2003, pp. 312 ss.; S. Civitarese Matteucci, Il paesaggio nel nuovo Titolo V, Parte
II, della Costituzione, in «Riv. giur. amb.», 2003, pp. 253 ss.; G. Manfredi, Il riparto di competenza
in tema di ambiente e paesaggio dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in
«Le Regioni», 2003, pp. 515 ss.; M. Cecchetti, Art. 9, in R. Bifulco, A. Celotto e M. Olivetti (a cura
di), La Costituzione italiana, Torino, Utet, 2006, pp. 217 ss.; R. Chiarelli, Profili costituzionali del
patrimonio culturale, Torino, Giappichelli, 2010; G. Severini, La tutela costituzionale del paesaggio
(art. 9 Cast.), in S. Battini, L. Casini, G. Vesperini e C. Vitale (a cura di), Codice di edilizia e urbani-
stica, Torino, Utet, 2013, pp. 3 ss.; G. Sabato, La tutela del patrimonio culturale nella giurisprudenza
costituzionale e amministrativa, in «Giorn. dir. amm.», 2017, pp. 116 ss.

Sulla Convenzione europea del paesaggio: A.A. Herrero de la Fuente, La Convenzione europea
sul paesaggio (20 ottobre 2000), in «Riv. giuri. amb.», 2001, pp. 893 ss.; G.F. Cartei (a cura di),
Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, Il Mulino, 2007; D. De Pretis,
Disciplina comunitaria e internazionale del paesaggio, in W. Cortese (a cura di), Diritto al paesaggio
e diritto del paesaggio, atti del convegno di Lampedusa, 21-23 giugno 2007, Napoli, Editoriale
scientifica, 2008, 43 ss.; G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice, in «Aedon», 2008,
n. 3; M. Renna, Ambiente e territorio nell'ordinamento europeo, in «Riv. it. dir. pubbl. com.», 2009,
pp. 649 ss.; Id. Ambiente e territorio, in G. Sciullo (a cura di), Ordinamento europeo e pubblica
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saggio, in «il Mulino», 2009, pp. 343 ss.; C. Drigo, Tutela e valorizzazione del paesaggio. Il panorama
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PAESAGGIO 283

Sui beni paesaggistici: P. Stella Richter, La nozione di patrimonio culturale, in «Foro amm. - CdS»,
2004, pp. 1280 ss.; G.F. Cartei, I.:individuazione dei beni paesaggistici nel Codice dei beni culturali
e del paesaggio: profili esegetici ed aspetti problematici, in <<WWW.giustamm.it», 2005; P. Carpentieri,
Paesaggio e beni paesaggistici (tra Codice e Convezione europea), in <<WWW.awocatiamministrativisti.
it», 2008; G. Severini, I giardini come beni del patrimonio culturale: storia di una legge e questioni
interpretative, in «Aedon», 2009, n. l. Con particolare riferimento ai centri storici e alle città d'arte:
G. Caia e G. Ghetti (a cura di), La tutela dei centri storici. Discipline giuridiche, Torino, Giappichelli,
1997; C. Lamberti e M.L. Campiani (a cura di), I centri storici tra norme e politiche, Napoli,Jovene,
2015; C. Videtta, I centri storici al crocevia tra disciplina dei beni culturali, disciplina del paesaggio e
urbanistica: profili critici, in «Aedon», n. 3, 2012; S. Fantini, Il centro storico come bene paesaggistico
a ~a/enza culturale, relazione al convegno «l centri storici tra norme e politiche», Gubbio, 6-7 giugno
2014, in «Aedon», 2015, n. 2; M. Cammelli, Città d'arte tra autonomia e regimi speciali, in «Aedon»,
2015, n. 2; A. Bartolini, Lo statuto delle città d'arte, in «Aedon», 2015, n. 2.

Sulle politiche di valorizzazione del paesaggio: S. Amorosino, La valorizzazione del paesaggio e del
patrimonio naturale, in «Riv. giur. ed.», 2009, III, pp. 109 ss.; Id., Tutela e valorizzazione del paesaggio
nella pianificazione regionale, in «1st. fed.», 2010, pp. 27 ss.; L. Casini, La valorizzazione del paesaggio,
in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2014, pp. 385 ss.; Id., Ereditare il futuro, Bologna, Il Mulino, 2016, pp.
141 ss.; G. Severini, La valorizzazione del paesaggio, in «Federalismi.it>>, 2006, n. 11; Id., Il patrimonio
culturale e il concorso dei privati alla sua valorizzazione, in <<WWW.giustizia-amministrativa.it», 2015.

A proposito degli strumenti di tutela del paesaggio, in particolare del piano paesaggistico: M. Fi-
lippi, Piano paesistico, in «Dig. disc. pubbl.», Torino, Utet, 1996, vol. XI, pp. 195 ss.; G. Sciullo,
Pianificazioni ambientali e piam/icazioni territoriali nello Stato delle autonomie, e G. Severini, La
pianificazione paesistica: estensione e contenuti, entrambi in F. Bassi e L. Mazzarolli (a cura di), Pia-
nificazioni territoriali e tutela dell'ambiente, Torino, Giappichelli, 2000, risp. pp. 5 ss. e pp. 101 ss.;
V. Mazzarelli, Il paesaggio dal vincolo al piano e ritorno, in E. Ferrari, N. Saitta e A. Tigano (a cura
di), Livelli e contenuti della pianificazione tem'toriale, Milano, Giuffrè, 200 l, pp. 215 ss.; J .L. Bermejo
Latre, La pianificazione del paesaggio, Rimini, Maggioli, 2002; M. D'Angelosante, Natura e limiti del
potere sostitutivo ministeriale per l'ipotesi di mancata approvazione regionale dei piani paesistici, in
«Riv. giur. amb.», 2003, pp. 571 ss.; G. D'Angelo, Nuovo Codice dei beni culturali e pianipaesaggistici,
in «Riv. giur. ed.», 2004, I, pp. 151 ss.; M. Pallottino, La pianificazione paesistica secondo il codice
dei beni culturali e del paesaggio, in «Riv. giur. urb.», 2004, pp. 525 ss.; P. Urbani, La pianz/icazione
paesaggistica, in «Giustamm.it», 2004, n. 7; S. Civitarese Matteucci, La pianz/icazione paesaggistica: il
coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione, in «Aedon», 2005, n. 3; S. Amorosino, l piani
paesaggistici, in A.L. Maccari e V. Piergigli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio tra
teoria e prassi, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 525 ss.; P. Urbani, La costruzione del piano paesaggistico, in
«Urb. app.», 2006, pp. 381 ss.; M. Immordino, I pianipaesaggistici nella giurisprudenza costituzionale,
in M.A. Sandulli, M.R. Spasiano e P. Stella Richter (a cura di), Il diritto urbanistico in 50 anni di
giurisprudenza della Corte costituzionale, Napoli, Editoriale scientifica, 2007, pp. 85 ss.; R. Chieppa,
Vecchie problematiche e nuove questioni in tema di piani e autorizzazionipaesaggistiche, in «Aedon»,
2008, n. 3; E. Boscolo, Il Piano paesaggistico della Sardegna tra beni paesaggistici e territori paesaggio,
in «Urb. app.», 2009, pp. 1494 ss.; A. Crosetti, La pianificazione paesaggistica in Piemonte, in «Riv.
giur. ed.», 2010, pp. 199 ss.; P. Lombardi, La pianificazione paesaggistica, in «Federalismi.it», 2012;
n. 22; G.F. Cartei, Autonomia locale e pianz/icazione del paesaggio, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2013,
pp. 703 ss.; G.F. Cartei e D. Traina (a cura di), Il piano paesaggistico della Toscana, Napoli, Editoriale
scientifica, 2016; A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio, Roma-Bari, Laterza, 2016.
284 CAPITOLO 5

Sui vincoli paesaggistici: M. Immordino, Vincolo paesaggistico e regime dei beni, Milano, Giuffrè,
1991; A. Bartolini, Art. 140, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio,
II ed., Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 559 ss.; A. Crosetti, La composizione degli interessi nel vincolo
indiretto: problemi di proporzionalità, in «Riv. giur. urb.», 2008, pp. 46 ss.; P. Marzaro, Il nuovo regime
del provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico: dal procedimento alla separazione delle
funzioni di tutela dei beni paesaggistici, in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 131 ss.; V. Parisio, Legittimità
e merito nel ricorso amministrativo contro i provvedimenti di vincolo, in <<Riv. giur. urb.», 2009, pp.
165 ss.; N. Aicardi, I vincoli paesaggistici tra Codice e l. r. 23/2009, in «1st. fed.>>, 2010, pp. 81 ss.; G.
Sciullo, I vincoli paesaggistici ex lege: origine e ratio, in «Aedon», 2012, n. 1-2.

Sull'autorizzazione paesaggistica: G. Comporti, L'autorizzazione paesaggistica: i rischi di isolamento,


in A.L. Maccari e V. Piergigli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio tra teoria e prassi,
Milano, Giuffrè, 2006, pp. 549 ss.; P. Carpentieri, Semplificazione e tutela del paesaggio, in «Riv.
giur. urb.», 2009, pp. 156 ss.; F. Cangelli, La disciplina procedimentale dell'autorizzazione paesaggi-
stica: l'impatto delle modifiche introdotte dal d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63, in «Riv. giur. urb.», 2009,
pp. 175 ss.; S. Amorosino e P. Carpentieri, Il regolamento di semplificazione delle autorizzazioni
paesaggistiche per gli interventi di lieve entità, in «Urb. app.», 2010, pp. 1381 ss.; S. Amorosino, Le
sette «novellette» legislative sul procedimento di autorizzazione paesaggistica, in «Urb. e app.», 2011,
12, pp. 1395 ss.; L. Corti, Autorizzazione unica per la costruzione e gestione di impianti eolici nella
Regione Puglia e attestazione di compatibilità paesaggistica, in «Urb. e app.», 2011, pp. 520 ss.; P.
Marzaro, I:autorizzazione paesaggistica semplificata nella disciplina del d.p.r. 9/uglio 2010, n. 139, in
«Riv. giur. urb.», 2012, pp. 259 ss.; E. Furlan, Il divieto di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica
in sanatoria e i recenti tentativi della giurisprudenza amministrativa di superare il dato normativa, in
«Riv. giur. urb.», 2013, II, pp. 90 ss.; S. Guarino, Sui limiti del «vecchio» potere ministeriale di annul-
lamento dell'autorizzazione paesaggistica, in «Riv. giur. amb.», 2013, pp. 594 ss.; R. Leonardi, I limiti
dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria tra tutela del paesaggio e del diritto di proprietà, in «Riv.
giur. ed.», 2013, I, pp. 474 ss.; M. Malo, Paesaggio: la Consulta ne ribadisce il valore costituzionale
fondamentale (sent. n. 96120 12) ma avalla il procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica,
in nome dei livelli essenziali delle prestazioni (sent. 207/2012), in «Le Regioni», 2013, pp. 231 ss.;
R. Rotoli, Autorizzazione paesaggistica, in «Riv. gir. amb.», 2013, pp. 85 ss.; E. Boscolo, Motivazione
dell'autorizzazione paesaggistica e attuazione del giudicato, in «Urb. e app.», 2014, pp. 930 ss.; G.
Mari, Le incertezze irriso/te in tema di autorizzazione paesaggistica, in «Riv. giur. ed.», 2014, pp. 103
ss.; E. Zampetti, La disciplina dell'autorizzazione paesaggistica tra esigenze di semplificazione e garanzie
costituzionali, in «Nuove autonomie>>, 2014, pp. 317 ss.; S. Amorosino, La Sopraintendenza non può
vanificare l'autorizzazione ambientale che salvaguarda il paesaggio, in «Urb. e app.», 2015, pp. 726 ss.;
E. Boscolo, I:inammissibilità dell'autorizzazione paesaggistica in sanatoria: riaffermazione del principio
e questioni sempre aperte, in «Urb. e app.», 2015, pp. 840 ss.; P. Carpentieri, Interesse paesaggistico
e provvedimenti autorizzativi, in «Giustamm.it», 2016. A proposito dell'operatività dell'istituto del
silenzio assenso rispetto alle amministrazioni preposte alla tutela del patrimonio culturale: G. Sciullo,
Legge Madia e amministrazione del patrimonio culturale: una prima lettura, in «Aedon», 2015, n. 3.

Sul profilo relativo ai controlli e alle sanzioni che anche da questi possono scaturire: A. Manna,
Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti penali, Milano, Giuffrè, 2005; M. Occhiena,
Adeguatezza ed efficienza del sistema sanziona/orio: profili amministrativi, in W. Cortese (a cura di),
Diritto al paesaggio e diritto del paesaggio, atti del convegno di Lampedusa, 21-23 giugno 2007,
Napoli, Editoriale scientifica, 2008, pp. 129 ss.; G. Sciullo, Art. 181, in M. Cammelli (a cura di), Il
Codice dei beni culturali e del paesaggio, II ed., Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 746 ss.
Cooperazione

l. PRINCIPI E DATI NORMATIVI

Le esigenze e le forme della cooperazione, come è risultato con evidenza


dall'introduzione e nei capitoli precedenti, costituiscono uno degli elementi
portanti del diritto del patrimonio culturale per il rilievo e la trasversalità da
cui è caratterizzato, e per questo sono state più volte sottolineate in sedi so-
vranazionali [Casini 2016, 61] ed europee, fin dal libro verde sul partenariato
pubblico-privato del2004. Per darvi una risposta, il nostro ordinamento offre
un complesso molto articolato di strumenti, introdotti dal legislatore o nati
dall'esperienza cui è dedicato il presente capitolo. Dunque, lungo una linea
ben lontana da imprudenti mitologie di amministrazione consensuale o dalla
ferrea e obsoleta sequenza interesse generale= mano pubblica= Stato= centro
=ministero presenti nelle istituzioni e nel dibattito pubblico [Cammelli 2012].
Le esigenze di cooperazione nascono da solide ragioni che appartengono a Esigenze di coo-
ordini e livelli diversi: gt'urtdt'che, in quanto richieste dal genetico (e costitu- peraztone
zionalizzato) pluralismo della materia e dei soggetti che vi operano, perché
doverosità di promozione e tutela delle istituzioni (art. 9 Cast.) e libertà di arte
e scienza (art. 33 Cost.) sono i poli di una necessaria e virtuosa tensione [Ainis
1991, 132], e dalle esigenze di raccordo imposte dalla «doppia titolarità» del
bene e dal doppio profilo (tutela e valorizzazione) dell'attività; t'stituzionalt',
per la complessa ripartizione competenze tra Stato, Regioni ed enti territoriali
nell'assetto delineato dagli artt. 117-118 Co st. e il continuo intreccio con
altri interessi pubblici connessi, dalle funzioni delle amministrazioni locali
in materia di pianificazione territoriale e urbanistica alle attività di studio e
ricerca svolte dall'Università; speet/iche e operative, che riguardano in parti-
colare i vari modi con cui i privati si rapportano alla vita e al funzionamento

Questo capitolo è di Marco Cammelli.


286 CAPITOLO 6

del patrimonio culturale in termini di esternalizzazione di funzioni, gestione


di servizi, sponsor o di mecenatismo (affrontati nei capp. 2 e 4).
Ragioni di collaborazione forti, dunque, che tra l'altro hanno portato di recente
la Corte costituzionale a richiedere modalità particolarmente intense come la
doverosità di intesa tra Stato e Regioni (sentt. 140/2015 e 25112016) ma con
esiti che destano più di una preoccupazione [Sciullo 2017].
Si può dunque assumere che nel nostro ordinamento il rilievo degli obiettivi
individuati e la conseguente doverosità ex art. Cost. del loro svolgimento
[Severini 2015, 324] nonché la pluralità dei soggetti pubblici e privati che vi
operano (art. l, commi 3 e 5, Cod.) rendano la cooperazione intesa nel senso
più ampio, a cominciare da quella interistituzionale (art. 5 Cod.), uno degli
elementi portanti del diritto del patrimonio culturale vigente.
Per questi motivi va corretta l'opinione secondo cui, data la prevalente riserva
allo Stato delle funzioni di tutela, la cooperazione va limitata ai soli compiti
di valorizzazione: opinione non condivisibile sia per quanto appena visto e
perché in termini più specifici un conto è la titolarità della funzione e altro sono
le modalità del relativo esercizio, sia perché lo stesso Codice, come vedremo
immediatamente, indica un'ampia e variegata rete di aree e di modalità di
Forme di coope- collaborazione affidate ad accordi o intese. I due termini sono usati spesso,
razione anche dal legislatore, in modo aspecifico e in particolare le intese assumono
un significato più preciso solo considerando i dati del caso concreto e cioè i
soggetti che vi prendono parte, che variano dagli apparati dello stesso soggetto
a rapporti tra istituzioni diverse fino a relazioni pubblico-privato, e l'oggetto
che va dal coordinamento di semplici aspetti organizzativi o di regolazioni
fino a vere e proprie codecisioni. Spesso alle intese si aggiungono veri e pro-
pri accordi che hanno forme, contenuti ed effetti dettati in via generale dagli
artt. 15 e ss. della l. 24111990 mentre di per sé l'intesa anche sub specie di
protocollo di intesa (v. art. 121 Cod.) quando ha oggetti specifici va piuttosto
riferita all'art. 11, comma 2, della stessa l. 241 e dunque regolata dai principi
del codice civile in materia di obbligazioni e contratti, sempre che non si limiti
alla semplice dichiarazione di intenti.

Accordi Nel Codice, per quanto riguarda gli accordi, oltre a quelli dedicati a profili gene-
rali come nelle ipotesi degli artt. 9, comma l (Mibact con Chiesa cattolica e altre
confessioni religiose), e 86 (con gli altri Stati membri della Ue per la reciproca
conoscenza e collaborazione in materia) i casi più frequenti riguardano la valo-
rizzazione, artt. 38, commi l e 2 (accordi per l'accessibilità al pubblico di beni
privati al cui restauro lo Stato ha contribuito; copia dell'accordo è trasmessa al
Comune o Città metropolitana); 40 (idem, per beni di Comuni e Regioni: nelle
forme più complesse, se c'è presenza di soggetti pubblici e privati, preceduti da
accordi programmatici, comma 2); 102, comma 4 (accordi per la fruizione di
luoghi o istituti di appartenenza pubblica); 102, comma 5 (accordi per il trasfe-
rimento «della disponibilità)) di istituti e luoghi dal ministero a Regioni o altri
enti pubblici territoriali per facilitarne la fruizione e valorizzazione in termini
di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza); 112, comma 4 (accordi per la
valorizzazione (strategie di valorizzazione, piani strategici di sviluppo) di beni
COOPERAZIONE 287

culturali di appartenenza pubblica, su scala regionale o subregionale e anche


beni privati); 113, comma 33 (accordo per la valorizzazione con il privato alle cui
attività o strutture di valorizzazione Stato o enti territoriali abbiano contribuito).
Ma anche in materia di tutela non mancano riferimenti, come nell'art. 5, com-
ma 3 (accordi per la tutela su manoscritti, libri e altro) e soprattutto in tema
di paesaggio: artt. 143, comma 2 (intese formalizzate in accordi per il piano
paesaggistico tra Mibact, ministero Ambiente, Regione, tra l'altro l'unico
tipizzato con esplicito richiamo all'art. 15 della l. 24111990), e 156, comma 3
(verifica e adeguamento del piano paesaggistico tramite intese Regioni-ministero
formalizzate in accordi).
Numerosi, infine, gli esempi di accordi in tema di organizzazione: v. artt. 24, com-
ma l (interventi su beni di soggetti pubblici, ove l'autorizzazione ex art. 21 può
essere sostituita da accordo); 29, comma 11 (accordi per formazione operatori
e attività di restauro con centri di soggetti pubblici e privati e determinazione
livelli di qualità dei corsi, comma 10); 42 (accordo per versamenti anticipati negli
archivi di Stato da parte di enti pubblici); 112, comma 9 (accordo per regolare
servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni
culturali e anche istituire forme consortili non imprenditoriali per la gestione di
uffici comuni, esteso alle associazioni culturali o di volontariato); 118, comma 2
(istituzione di centri di studio, regionali o interregionali, sul patrimonio culturale
e accordi per il concorso di università e altri soggetti pubblici o privati); 119,
commi l e 2 (accordi tra Mibact, altri ministeri o Regioni per l'istituzione di
progetti formativi e di aggiornamento).
Le intese, ancor più degli accordi, abbracciano temi generali come quelli indicati Intese
dagli artt. 82 (intesa Mibact-Esteri per la restituzione di beni usciti illecitamente
dal territorio nazionale); 133 (ministero e Regioni per le politiche di conserva-
zione e valorizzazione del paesaggio anche sulla base di studi, analisi e proposte
dell'Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio, istituito con decreto
del ministro, nonché dagli osservatori istituiti in ogni Regione con le medesime
finalità); 143, comma 2 (Regioni, Mibact e il ministero dell'Ambiente per la
definizione delle modalità di elaborazione congiunta dei piani paesaggistici);
147, comma 3 (Mibact e localizzazione opere di interesse della difesa e altre
amministrazioni statali); 156, commi 2 e 3 (intesa Mibact-Regioni per la verifica
dei piani paesaggistici).
Ma anche qui non manca l'ambito della valorizzazione, artt. 103, comma l
(intesa ministero-Regioni-enti territoriali per coordinare l'accesso a luoghi e
istituti pubblici); 114, comma 2 (intesa ministero-Conferenza Stato-Regioni
per la determinazione dei livelli minimi uniformi di qualità delle attività di
valorizzazione); 121, commi l e 2 (intesa ministero-Regioni-altri enti pubblici
e fondazioni bancarie, cui gli enti pubblici possono partecipare con propria
quota); 125 (intesa Mibact-lnterni per consultazione archivi riservati). Per la
Tutela, 52, comma 1-ter (intesa ministero-Regione-Comuni per i problemi delle
attività commerciali nei luoghi di interesse artistico); 146, comma 3 (modalità
dell'autorizzazione paesaggistica con d.p.c.m. d'intesa con la Conferenza Stato-
Regioni); 146, comma 9 (intesa per il regolamento di semplificazione di alcune
autorizzazioni paesaggistiche). Quanto all'Organizzazione, artt. 17, comma
4 (intese tra ministero ed enti proprietari per la catalogazione); 18, comma
2 (possibile intesa con Regioni ed enti pubblici per regolare le modalità di
vigilanza sui beni oggetto di verifica culturale ex art. 12); 29, comma 7 (intesa
ministero-Conferenza Stato-Regioni sui profili dei restauratori); 167, comma
3 (intesa Mibact-Difesa per la rimozione di opere illecitamente effettuate).
288 CAPITOLO 6

Come si può constatare, dunque, il numero e la varietà delle ipotesi, degli


ambiti e degli strumenti di collaborazione considerati dal Codice, provano per
intero il carattere centrale della cooperazione per il diritto dei beni culturali
e del paesaggio, almeno in termini di impostazione e di disciplina: diversa
invece, come vedremo, l'esperienza che in concreto se ne è fatta.
Naturalmente il Codice non esaurisce il regime giuridico delle forme di col-
laborazione per la presenza di altre fonti, a partire dalla Carta costituzionale
ove il principio è solennemente enunciato dall'art. 118, comma 3, Cost. che
chiede alla legge statale di disciplinare apposite «forme di intesa e coordina-
mento nella materia della tutela dei beni culturali».
Altrettanto può dirsi per aspetti più specifici: il fatto ad esempio che in
materia di forme di gestione l'art. 115 Cod. preveda solo la gestione diretta
o la concessione, eliminando così altre modalità operative che prima erano
previste, non esclude che alcune figure miste pubblico/privato sopravvivano
per essere contemplate in via generale dall'ordinamento comunitario e in
virtù della superiorità di quest'ultimo sulla disciplina nazionale [Sciullo
2009c].
Altri profili sono interessati da disposizioni generali in vario modo destinate
a incidere significativamente su aspetti della cooperazione, come ad esempio
il tema della sussistenza o meno (e, in caso positivo, con quali limiti) della
capacità giuridica di diritto privato in capo alla pubblica amministrazione,
evocato anche dall'art. 1.1-bis l. 24111990, la cui ricaduta in concreto, come
vedremo, riguarda la possibilità o meno per il Mibact di partecipare a società
o fondazioni di diritto comune; la portata delle disposizioni, tuttora vigenti,
in tema di programmazione negoziata di cui all'art. 2, commi 203 ss., l. 23
dicembre 1996, n. 662 («Misure di razionalizzazione della finanza pubblica»);
le ipotesi, ancora da determinare di partenariato tra Mibact e soggetti pubblici
e privati in tema di educazione e ricerca riferibili all'art. 151, comma 3, d.lgs.
18 aprile 2016, n. 50 («Nuovo codice dei contratti pubblici»).
Fin qui, dunque, i dati di diritto positivo. Ma naturalmente non si debbono
trascurare aspetti di contesto altrettanto importanti come il riordino orga-
nizzativo del ministero (v. cap. 2) che andando in direzione del chiarimento
delle funzioni e del supporto alle aree più innovative, come nel caso della
nuova direzione generale Educazione e Ricerca o la direzione generale unica
e le soprintendenze unificate [Sciullo 2016b] o l'autonomia dei musei e i Poli
museali con specifica missione in tema di valorizzazione, ne costituiscono
potenzialmente il presupposto. Non va infine sottovalutata l'importanza,
per la collaborazione amministrativa, delle c.d. piccole virtù cioè di semplici
comportamenti come tali non tipizzati né formalizzabili come lo scambio di
informazioni e dati disponibili, controlli incrociati di processo e di prodotto
o sedi di formazione e di aggiornamento integrate del personale operante in
diverse amministrazioni ma su ambiti comuni (Mibact, Regioni e ammini-
strazioni locali) che se adottati, e prima ancora adeguatamente considerati,
risolverebbero facilmente problemi che il groviglio di misure formali adottate
per venirne a capo spesso complica.
COOPERAZIONE 289

Le ipotesi della cooperazione, infine, si dividono per modalità e forme. Le


prime a loro volta possono riguardare forme strutturali, funzionali e miste.
La cooperazione strutturale, che consiste principalmente in figure miste come Cooperazione
società, fondazioni e consorzi, pur con alcune esperienze significative (per lo strutturale ...
più awiate in passato) versa oggi in una situazione di grande incertezza che
rischia tra l'altro di pregiudicare la portata degli stessi artt. 112, comma 5, e
115 Cod. che dovrebbero al contrario costituirne il caposaldo (v. in/ra). Più
facilmente praticate, invece, le forme di cooperazione funzionale che vedono ... e funzionale
soggetti diversi condividere le rispettive attività con contenuti e obblighi
reciproci di intensità molto variabile - dalla semplice espressione di intenti,
di valutazioni condivise o comuni progetti futuri propria di molti protocolli
di intesa, all'assunzione di obblighi reciproci resi stringenti da veri e propri
accordi amministrativi - che in gran parte riguardano la valorizzazione in
tutte le sue diverse accezioni.

2. GU ASSI DELLA COOPERAZIONE


L'analisi ravvicinata delle modalità e delle esperienze della cooperazione po-
trebbe essere condotta con più criteri, ad esempio per soggetti coinvolti o per
strumenti utilizzati, ma è preferibile porre al centro l'asse della cooperazione
inter-istituzionale e quello dei rapporti pubblico-privato, ugualmente rilevanti
ma funzionali a esigenze diverse- il coordinamento di politiche e azioni nel
primo, e il supporto culturale, finanziario e tecnico-operativo nel secondo- e
sottoposti a un regime giuridico conseguentemente differenziato.

2.1. Cooperazione interistituzionale

Come si è detto, questa esigenza permea l'intero Codice e si esprime con


varie modalità.
a) Programmazione negoziata. La prima e più ampia forma di cooperazione, Programmazione
peraltro tuttora vigente anche se messa in ombra con l'entrata in vigore del negoziata
Codice dal sistema, non del tutto simile, degli artt. 112 e 115 Cod., è quella
della programmazione negoziata e relativi accordi di valorizzazione [Gardini
2016,406].
Già negli anni Novanta lo sviluppo della cooperazione tra amministrazioni
statali e regionali è stato affidato, nella laconicità della normativa in materia,
a un sistema di elaborazione e programmazione degli interventi che si è poi
espresso attraverso gli istituti della programmazione negoziata [Renna 1999;
Zanetti 2000; Petraroia 2005].

Più in particolare, si è fatto ricorso agli strumenti disciplinati nella l. 23 dicembre


1996, n. 662 (finanziaria per il1997). Il modello di programmazione negoziata
descritto ai commi 203 ss. dell'art. 2 della legge citata si articola in tre momenti:
290 CAPITOLO 6

intesa istituzionale di programma, accordo di programma quadro e accordo di


programma semplice. La programmazione negoziata viene definita come una
forma di regolamentazione concordata tra soggetti pubblici o tra il soggetto
pubblico e la parte o le parti pubbliche o private per l'attuazione di interventi
diversi riferiti a un'unica finalità di sviluppo, che richiedono una valutazione
complessiva delle attività di competenza.
V intesa istituzionale di programma è l'accordo tra amministrazione centrale,
regionale o delle Province autonome con cui tali soggetti si impegnano a col-
laborare sulla base di una ricognizione programmatica delle risorse finanziarie
disponibili, dei soggetti interessati e delle procedure amministrative occorrenti,
per la realizzazione di un piano pluriennale di interventi d'interesse comune o
funzionalmente collegati.
V accordo di programma quadro è l'accordo con enti locali e altri soggetti pubblici
e privati promosso in attuazione di un'intesa istituzionale di programma per
la definizione di un programma esecutivo di interventi di interesse comune o
funzionalmente collegati.
V accordo di programma quadro indica in particolare: l.le attività e gli interventi
da realizzare, con i relativi tempi e modalità di attuazione e con i termini ridotti
per gli adempimenti procedimentali; 2. i soggetti responsabili dell'attuazione
delle singole attività e interventi; 3. gli eventuali accordi di programma ai sensi
dell'art. 34 del Tu enti locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267); 4. le eventuali
conferenze di servizi o convenzioni necessarie per l'attuazione dell'accordo;
5. gli impegni di ciascun soggetto, nonché del soggetto cui competono poteri
sostitutivi in caso di inerzie, ritardi o inadempienze; 6. i procedimenti di con-
ciliazione o definizione di conflitti tra i soggetti partecipanti all'accordo; 7. le
risorse finanziarie occorrenti per le diverse tipologie di intervento, a valere
sugli stanziamenti pubblici o anche reperite tramite finanziamenti privati; 8) le
procedure e i soggetti responsabili per il monito raggio e la verifica dei risultati.
Alle disposizioni della l. 662/1996 ha dato poi attuazione la delibera Cipe 21
marzo 1997 «Disciplina della programmazione negoziata».

Da questa normativa emergono alcuni significativi tratti della programmazione


negoziata. lnnanzitutto, si tratta di uno strumento suscettibile di applicazione
generale, vale a dire in tutti i «settori nei quali è indispensabile l'azione con-
giunta di organismi pubblici» perché «rappresenta l'ordinaria modalità del
rapporto tra governo nazionale e giunta regionale o di ciascuna Provincia
autonoma per favorire lo sviluppo» (art. l, delibera Cipe). La programmazione
negoziata prima di essere una procedura è dunque un quadro di riferimento
e un metodo di governo territoriale che privilegia il confronto e l'incontro
delle responsabilità istituzionali, in una logica di sussidiarietà e partenariato
fortemente segnata dalla prospettiva «federalista» di quella stagione.
Si immaginava infatti una determinante assunzione di responsabilità su scala
regionale del coordinamento programmatico territoriale anche di questo ambito
che avrebbe reso la Regione soggetto di promozione e di governo dei processi di
sviluppo locale e, contemporaneamente, interlocutore istituzionale prioritario
sul territorio sia del governo nazionale, sia di altri soggetti a vocazione pubblica
(ancorché giuridicamente privati), come le fondazioni di origine bancaria [Pe-
traroia 2006, 172]. Una prospettiva, negli anni successivi, molto ridimensionata.
COOPERAZIONE 291

nsecondo elemento generale riguarda la struttura ((a cascata)) della program-


mazione negoziata [Zanetti 2000, 2], poiché il sistema si sviluppa secondo
linee verticali e muove dal generale (l'intesa istituzionale) per arrivare al
particolare (l'accordo di programma o accordi semplici) per l'attuazione del
concreto intervento da realizzare.
L'ultimo profilo generale che emerge dalle disposizioni della l. 662/1996 è che
la programmazione negoziata non dovrebbe rappresentare soltanto lo stru-
mento per l'esercizio in comune di funzioni da parte di organismi pubblici ma
anche la definizione di un quadro organico nel quale troverebbe la possibilità
di inserirsi l'azione dei privati interessati agli interventi. Un sistema dunque
di forte programmazione negoziata, cui si collega anche la semplificazione
delle procedure, intrinseco agli strumenti concertativi e garanzia di concreta
e più rapida fattibilità degli interventi previsti.
Gli strumenti di programmazione negoziata assicurano inoltre l'integrazione
in senso non solo soggettivo ma anche funzionale, consentendo il persegui-
mento in un unico atto di obiettivi riconducibili a interessi pubblici diversi
(governo del territorio e valorizzazione dei beni culturali, ad esempio), sulla
scia di analoghi strumenti elaborati dal legislatore con specifico riguardo agli
interventi di recupero e riqualificazione delle città come l'art. 16, l. 179/1992
(«Norme per l'edilizia residenziale pubblica») in materia di programmi in-
tegrati di intervento.
Si tratta di un punto rilevante tanto più alla luce delle modifiche del 2008
del Codice a seguito delle quali, specificamente con riferimento al paesaggio,
si precisa che la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli
immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la
realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti e integrati (art. 6, comma
l, Cod.) e dunque sottolineando la connessione degli interventi di riqualifi-
cazione in senso stretto con quelli di valorizzazione e tutela del paesaggio
[Crosetti-Vaiano 2014, spec. cap. 6].
Se nel sistema dei beni culturali l'integrazione funzionale tipica degli strumenti
di programmazione negoziata si propone come possibilità di dare concreta
attuazione al principio della coerenza tra tutela e valorizzazione (art. 6, comma
2, Cod.), va anche detto che non sempre gli accordi stipulati ai sensi delle
disposizioni indicate sembrano averne interpretato pienamente lo spirito. n
che, unito a difficoltà cui si farà riferimento in seguito, ha sostanzialmente
lasciato isolata l'esperienza qui di seguito richiamata.

1126 maggio 1999, in attuazione dell'Intesa istituzionale di programma sotto-


scritta in data 3 marzo 1999 dal presidente del Consiglio dei ministri e dal presi-
dente della Regione Lombardia, è stato stipulato il primo accordo di programma
quadro fra il ministero per i Beni e le Attività culturali e la Regione Lombardia.
In attuazione dell'accordo, sono stati sottoscritti cinque specifici accordi di
programma relativi agli interventi di restauro e valorizzazione del Castello di
Vigevano (Pv) e di Palazzo Pallavicina di Cremona cui sono da aggiungere il
quadro di sviluppo territoriale per la valorizzazione turistica e culturale di un
territorio attiguo allago di Como, l'area dei <(Magistri Comancini>> e il caso del
292 CAPITOLO 6

sistema museale di Mantova costituito attraverso una convenzione che vincola i


diversi soggetti a: a) promuovere politiche di cooperazione tra gli aderenti del
sistema; b) attivare sinergie per lo sviluppo dei «distretti museali»; c) promuo-
vere e sostenere il ruolo di mediazione culturale del museo, nell'ottica di una
riduzione e razionalizzazione dei costi.

Disposizioni del b) Le disposizioni del Codice. Veniamo all'esame delle più significative di-
Codice sposizioni del Codice dedicate alla cooperazione istituzionale cominciando
dall'art. 5 del Codice, nel quale viene sottolineato il contributo delle Regioni e
degli altri enti territoriali nella collaborazione allo svolgimento delle funzioni
di tutela dei beni culturali.
In particolare l'art. 5, nella versione modificata dall'art. 16, comma 1-sexies,
del d.l. 19 giugno 2015, n. 79, disposizioni urgenti in materia di enti territo-
riali che ha abrogato il comma 2 e il precedente riconoscimento legislativo
di competenze alle Regioni, lascia aperta la possibilità di attribuire a queste
ultime l'esercizio delle funzioni di tutela relative a manoscritti, autografi,
carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni, non
appartenenti allo Stato «sulla base di specifici accordi o intese e previo parere
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Pro-
vince autonome di Trento e Bolzano, le funzioni di tutela su carte geografiche,
spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi
negativi e matrici, non appartenenti allo Stato» (comma 3).
Sempre attraverso lo strumento della Conferenza, prosegue il comma 4, e sulla
base dei principi di differenziazione e adeguatezza, possono essere individuate
ulteriori forme di coordinamento in materia di tutela con le Regioni che ne
facciano richiesta.
I commi 5 e 6 invece attribuiscono al ministero il compito di vigilare e in-
dirizzare le funzioni esercitate dalle Regioni, eventualmente utilizzando il
potere sostitutivo nei casi di perdurante inerzia e inadempienza, in modo da
assicurare un governo unitario e adeguato delle diverse finalità perseguite.
In questo contesto il ruolo degli altri enti territoriali rimane invece sullo
sfondo. L'art. 5 si limita infatti a prevedere che gli accordi o le intese di cui
al comma 3 possono contemplare particolari forme di cooperazione con gli
altri enti pubblici territoriali.
Negli artt. 6 e 7 del Codice con riguardo alla valorizzazione si precisa, in-
vece, che le disposizioni del Codice rappresentano i principi fondamentali
cui la legislazione regionale dovrà attenersi (art. 7, comma 1), si enuncia il
favor per la partecipazione dei privati (singoli o associati) alla valorizzazione
del patrimonio culturale e si ribadiscono, al comma 2 dell'art. 7 gli obiettivi
dell'armonizzazione, del coordinamento e dell'integrazione delle attività di
valorizzazione del patrimonio culturale.
Tra i numerosi riferimenti del Codice a varie ipotesi di accordi per lo svol-
gimento coordinato delle funzioni (artt. 24, 29, 38, 40, 41, 67, 86, 118, 119),
da sottolineare in particolare l'art. 102, comma 4, secondo il quale «al fine di
coordinare, armonizzare e integrare la fruizione relativamente agli istituti e ai
COOPERAZIONE 293

luoghi della cultura di appartenenza pubblica lo Stato, e per esso il ministero,


le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali definiscono accordi nell'ambito e
con le procedure dell'art. 112. In assenza di accordo, ciascun soggetto pubblico
è tenuto a garantire la fruizione dei beni di cui ha comunque la disponibilità».
ncomma 5 dell'articolo citato prevede, poi, che «mediante gli accordi di cui al
comma 4 il ministero può altresì trasferire alle Regioni e agli altri enti pubblici
territoriali, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, la
disponibilità di istituti e luoghi della cultura, al fine di assicurare un'adeguata
fruizione e valorizzazione dei beni ivi presenti».
c) Accordi di valorizzazione. Tuttavia, le disposizioni più rilevanti sono Accordi di valo-
quelle dettate dall'art. 112 in tema di valorizzazione dei beni culturali di ap- nzzaz10ne
partenenza pubblica, cui deve riconoscersi un ruolo centrale per l'apertura
ad altri soggetti pubblici e privati, per l'ampiezza dei contenuti e per alcune
peculiarità che si diranno. Gli accordi di valorizzazione, infatti, costituiscono
un ambito particolare (species) della più ampia famiglia (genus) degli accordi
amministrativi ex art. 15 l. 24111990, cui quindi vanno ricondotti per tutto
ciò che non è oggetto del particolare regime dettato dal Codice. Per questo, a
differenza degli accordi ex l. 24111990, sono aperti anche ai privati compresi
i soggetti non profit, possono riferirsi ad ambiti regionali o sub-regionali e
si ispirano al principio della netta separazione delle funzioni e dei soggetti
che le esercitano tra formulazione di indirizzi, loro specificazione e gestione
operativa [Gardini 2016, 406].
Come si è anticipato, all'indubbia rilevanza del disegno dell'art. 112 Cod.
non ha fatto seguito una corrispondente applicazione. È bene dare conto
dell'una e dell'altra.
Dal punto di vista/armale il rilievo dell'articolo è dovuto a due ragioni. La
prima è generale e consiste nella particolare e crescente importanza assunta
dalla valorizzazione, più volte richiamata [Casini 2016] (cap. 4 ), specie sul
versante delle relazioni con il governo del territorio.
La seconda ragione è l'art. 112 Cod. A seguito delle modifiche intervenute a
opera del d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156 infatti, l'art. 112 prevede un sistema
di concertazione articolato in tre fasi: strategica, di programmazione speci-
fica o pianificazione, di gestione. La cooperazione non è più dunque solo
finalizzata alla composizione, armonizzazione, integrazione delle competenze
dei differenti livelli di governo, ma si estende alla realizzazione di un sistema
integrato di valorizzazione dei beni, concepito quale occasione di un'azione
più ampia volta a favorire lo sviluppo di una determinata area [Barbati 2006,
117] e alla partecipazione dei privati.
Tra le modalità di cooperazione previste dall'art. 112, va sottolineata in par-
ticolare l'ipotesi più ampia, quella cioè degli accordi tra Stato, Regioni e altri
enti pubblici per la definizione di strategie e obiettivi comuni di valorizzazione,
nonché i relativi piani e programmi (comma 4) con la possibilità di costituire
appositi soggetti giuridici a partecipazione mista per il relativo sviluppo e messa
a punto (comma 5) ai quali potrà essere conferita la concessione in uso dei
beni culturali di cui le amministrazioni siano titolari.
294 CAPITOLO 6

Fasi n sistema, come osservato fin dai primi commenti [Severini 2006a, 741],
distingue dunque sul piano concettuale e giuridico (di quello operativo, si
dirà tra breve) tre fasi distinte:
- strategica, di identificazione delle linee portanti del progetto di valoriz-
zazione e conseguente identificazione del territorio interessato e dei beni
culturali e dei soggetti direttamente coinvolti (titolari, pubblici o privati, di
questi ultimi). Da notare che è a questo livello che va giocata l'integrazione
tra progetto di valorizzazione e infrastrutture o settori produttivi connessi;
- programmazione specifica, che consiste nella definizione in concreto degli
obiettivi e nella verifica dei tempi e modi della loro realizzazione;
- gestionale, di messa in opera delle diverse attività realizzata in via diretta
o indiretta (v. in/ra, cap. 5).
Queste fasi possono rimanere semplici momenti funzionali distinti all'interno
delle funzioni esercitate da un unico soggetto, nel caso in cui le amministra-
zioni pubbliche non costituiscano un soggetto ad hoc e scelgano la formula
della gestione diretta, o all'estremo opposto possono essere svolte da tre
soggetti distinti e cioè le singole amministrazioni pubbliche (accordo), gli or-
ganismi misti (programmazione specifica), i terzi scelti con gara per la gestione
in forma indiretta (gestione). Ma resta aperta anche un'ipotesi intermedia
limitata a due soggetti, quando al soggetto a partecipazione mista sia affidata
tanto la programmazione specifica che la gestione diretta degli interventi. Una
soluzione che rientra nella logica del sistema, basato sulla distinzione di fasi
e non necessariamente di soggetti, e che evitando la necessità di tre soggetti
distinti appare legittimata da quanto disposto dall'art. 115, comma 2, e dal
riferimento alla gestione diretta in forma consortile pubblica.
n rilievo concreto di questa complessa costruzione è rimasto invece parziale
non solo perché alcuni interventi ne sono rimasti al di fuori, come le fondazioni
di partecipazione (Museo egizio di Torino, Aquileia) riferibili a normative
precedenti e non casualmente qualificate eccezionali [Severini 2015b, 328]
o esiti dell'accordo di programma quadro tra Mibact e Regione Campania
(C. Elmo Napoli, Reggia di Caserta) che non hanno contemplato aperture ai
privati, ma per il fatto che l'art. 112 pur costituendo (insieme all'art. 115) il
punto di riferimento di importanti ma specifiche iniziative (Aquileia, 2006;
Venaria Reale, 2008; Villa reale di Monza, 2008; Roma capitale, 2015), che
saranno riprese tra breve in sede di partecipazione a soggetti privati, per il resto
e in particolare sul versante strategico e programmatico non ha conseguito
gli obiettivi che si proponeva.
Intanto, l'articolazione delle fasi pur corretta sul piano concettuale e consa-
pevole della necessità di evitare una lettura troppo rigida della sequenza e il
conseguente rischio, in caso di problemi su singoli elementi, di un «effetto
domino» sull'intero processo, ha incontrato un sistema amministrativo poco
propenso e preparato a procedere con queste modalità. Altrettanto e anzi più,
come vedremo tra breve, va detto in ordine alla soluzione operativa prospettata
e cioè la costituzione degli appositi soggetti giuridici cui affidare, da parte
di Mibact, Regioni ed enti territoriali, l'elaborazione e la specificazione dei
COOPERAZIONE 295

piani strategici di sviluppo e, se del caso, il conferimento di beni culturali in


uso e gestione (art. 115 Cod.).
li fatto è che il decreto ministeriale, che ai sensi del comma 7 del medesimo
art. 112 doveva prowedere alla definizione delle modalità e criteri per la
loro costituzione, non è stato adottato. Le ragioni probabilmente sono più
d'una e in parte potrebbero essere riferite alla circostanza che queste forme
di collaborazione trovavano una ragione particolare nella prospettiva del
sistema di cessioni di beni statali tracciata dal d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85
(c.d. federalismo demaniale) in base al quale il trasferimento a Regioni ed
enti locali di beni compresi nel demanio culturale dello Stato (art. 5, comma
5) era appunto subordinato all'adozione di accordi e programmi di valoriz-
zazione definiti con i contenuti e le modalità dell'art. 112, comma 4, Codice
[Sessa 2011]. Se è così, il sostanziale blocco del c.d. federalismo e dei relativi
trasferimenti ha probabilmente aggiunto altre ragioni alla tradizionale cautela
del ministero su questi terreni [Tarasco 2011b, 1085].
In ogni caso il sistema delineato dall'art. 112, pur rimasto inattuato nella sua
parte più ampia e programmatica, ha costituito la base di numerosi inter-
venti specifici mentre per il resto sono restate operanti le ipotesi di rapporto
consensuale diretto tra singoli enti, cui si riferiscono alcune delle esperienze
richiamate, e la clausola di salvaguardia generale del comma 6 secondo cui «in
assenza degli accordi di cui al comma 4, ciascun soggetto pubblico è tenuto
a garantire la valorizzazione dei beni di cui ha comunque la disponibilità».

Il Codice contempla singole ipotesi di collaborazione istituzionale a fini di Singole ipotesi


semplificazione come l'assorbimento nell'accordo dell'autorizzazione ex art.
21 per interventi su beni pubblici (art. 24) o gli accordi di collaborazione
Mibact, Regioni ed enti locali ex art. 15 l. 24111990 CTR per l'individuazione
congiunta degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti
a procedura semplificata ex d.p.r. 13 febbraio 2017, n. 31 (art. 146, comma 9),
a fini di valorizzazione (artt. 40, 102, comma 4, 102, comma 5, 103, comma l,
112, comma 9, 114, comma2, 118, comma2, 121, commi 1-2, 125) e di tutela in
materia di archivi (art. 42) e soprattutto di attività commerciali in luoghi o istituti
culturali, 52, comma l-bis e ter oggi con previsione di intesa Stato-Regione-
ente locale dopo la sentenza 140/2015 Corte cost., e con rilevanti applicazioni,
come il protocollo di intesa 3 giugno 2014 Mibact-Fvg per dettare ex art. 15
l. 24111990 una disciplina congiunta in tema di decoro urbano in senso ampio
e come la costituzione di un tavolo tecnico del decoro a Roma (aprile 2014) ex
art. 15 l. 24111990 le cui risultanze dovrebbero costituire il parametro per le
dichiarazioni di compatibilità riguardanti attività commerciali ed esercizi per i
turisti e una base per i piani di riordino di Roma Capitale.

2.2. Cooperazione pubblico-privato

La seconda direttrice della cooperazione riguarda le relazioni tra istituzioni


pubbliche e privato: anzi i (vari) privati, nelle molteplici accezioni già poste in
evidenza nell'introduzione. Molteplicità che è riflesso del principio pluralista
296 CAPITOLO 6

cioè della base costituzionale (artt. 9 e 33) dell'intera materia [Ainis 1991, 132]
ma che l'azione combinata di un approccio panpubblicistico ancora diffuso
unito a una lettura solo verticale della sussidiarietà tende a confinare impro-
priamente, come si è osservato, nella più ristretta (e commerciale) accezione
di impresa [Tarasco 2011b, 1069].
Cooperazione a) In merito alla modalità di cooperazione strutturale, cioè alla costituzione di
strutturale un apposito e distinto soggetto giuridico cui affidare i compiti richiesti (per
lo più di tipo gestionale), è necessaria qualche precisazione: intanto perché,
come si è appena visto a proposito dell'art. 112, comma 5, Cod., modalità
prioritariamente immaginate per finalità di cooperazione istituzionale possono
prevedere anche l'apporto dei privati; poi perché la possibilità, in quanto tale,
non è detto che si traduca nell'effettiva presenza di questi ultimi; infine, e
soprattutto, perché in questi casi le forme giuridiche in grado di assicurare la
presenza di una pluralità di soggetti sono di natura privatistica (come società,
fondazioni o altro) il che pone un problema ulteriore vale a dire se, quanto e
come il Mibact possa partecipare a questi soggetti.
In questi termini la questione dunque non riguarda il tema della coopera-
zione pubblico-privato ma semmai quello dell'uso di forme privatistiche da
parte del ministero. Naturalmente tra le due cose c'è un rapporto stretto
perché senza le seconde non sarebbe possibile la prima, ma non è vero il
contrario perché questa non è una conseguenza necessaria (potrebbero
partecipare solo soggetti pubblici oppure il Mibact essere, come avviene
in Ales s.p.a., in perfetta solitudine l'unico azionista) e perché comunque
sul piano concettuale restano due modalità (una di organizzazione, l'altra
di relazione) ben distinte.
È proprio in tema di legittimazione del Mibact alla partecipazione di soggetti
di diritto privato che il quadro si è fatto sempre più complesso. Non era così
all'origine, quando l'art. 10 del d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368 («Istituzione del
ministero per i Beni e le Attività culturali>>) autorizzava il ministero a costituire
o partecipare ad associazioni, fondazioni o società secondo modalità stabilite
da apposito regolamento, poi regolarmente adottato (d.m. 27 novembre 2001,
n. 491). I problemi sono nati dopo, con il primo decreto correttivo del Codice
(d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156) che, riordinando la materia e mettendo al centro
l'ipotesi dell'art. 112, comma 5, di cui si è appena detto, cioè la costituzione di
appositi soggetti per l'elaborazione e sviluppo dei piani di valorizzazione da
precisare con specifico regolamento (mai adottato), ha abrogato l'originario
art. 10 del d.lgs. 368/1998.
La situazione così, e su un punto importante come la possibilità o meno per
il ministero di fare ricorso a forme privatistiche cruciali per la stabile aggre-
gazione di più soggetti su progetti complessi, si è fatta decisamente surreale:
della vecchia disciplina abbiamo il regolamento ma non la disposizione legi-
slativa; in quella nuova c'è la base legislativa ma non c'è il regolamento, con
il risultato che non ci si può riferire né alla norma legislativa antecedente,
perché non c'è più, né a quella successiva, perché pur vigente non può essere
applicata per mancanza del richiesto regolamento.
COOPERAZIONE 297

In astratto, e così sembrano orientati anche i competenti uffici del Mibact, non
mancano elementi per superare l'impasse facendo leva sulla generale legittima-
zione all'uso della veste privatistica riconosciuta alla pubblica amministrazione
dall'art. l, comma l-bis, della legge 241/1990 e anche, ma con minore solidità,
sulla sopravvivenza del regolamento del2001 grazie alle previsioni dell'art.
130 Cod. Ma il problema in parte resta, complicato per di più da obiezioni
non del tutto persuasive avanzate dalla Corte dei Conti ad ammettere impegni
di spesa connessi a queste modalità di partecipazione. Ma resta soprattutto
l'ostacolo più pesante, perché queste forme di collaborazione, caratterizzate da
pluralità di soggetti, progetti complessi, scenari temporali di lungo periodo e
importanti risorse messe in gioco, richiedono per loro natura un quadro chiaro
e solido cui riferire presupposti, impegni assunti e reciproco affidamento la
cui mancanza o fragilità finisce per pregiudicare il resto.

In ogni caso, l'esperienza in atto delle partecipazioni ministeriali in tema di


valorizzazione, così come risulta da una recente nota (marzo 2017) dell'Ufficio
legislativo del Mibact, comprende ipotesi che come si può notare si basano o
su disposizioni precedenti al Codice o su altri commi dell'art. 112 rispetto a
quelli qui esaminati. In particolare:
- Fondazione Museo delle antichità egizie di Torino, primo caso applicativo
dei dettami del d.m. 491 del 2001, nella vigenza del Codice nella versione
originaria del2004;
- Fondazione Centro per la conservazione e il restauro «La Venaria Reale»,
costituita nel2005 ai sensi dell'articolo 29, commi 9 e 11, del Codice;
- Fondazione Aquileia costituita nel 2008 a seguito di apposito accordo di
valorizzazione;
- Consorzio Venaria Reale costituito nel2008 ai sensi dell'articolo 115, comma
2, Cod., a seguito dell'accordo di programma quadro sottoscritto in data 18
maggio 2001 tra lo stesso ministero, il ministero dell'Economia e delle Finanze
e la Regione Piemonte, attuativo dell'Intesa istituzionale di programma del22
marzo 2000 tra il governo e la Regione Piemonte;
- Consorzio Villa reale di Monza, costituito nel 2009, a seguito di apposito
accordo di valorizzazione;
- Fondazione Real sito di Carditello costituita nel2016, a seguito di apposito
accordo di valorizzazione.
In linea di massima, la partecipazione ministeriale risulta ispirata essenzialmente Principi
ai seguenti tre principi (e limiti):
- preferenza per la partecipazione a fondazioni imperniate intorno a un proget-
to di gestione di un bene o di un complesso di beni culturali di appartenenza
pubblica (preferibilmente statali), con esclusione della partecipazione a fonda-
zioni e associazioni che abbiano a oggetto mere attività culturali (la funzione di
promozione e sostegno delle attività culturali essendo di regola svolta mediante
erogazione di contributi e sussidi);
- preferenza per l'apporto al fondo di dotazione (indisponibile) mediante
conferimento del diritto d'uso del bene culturale statale, con esclusione di
una partecipazione al fondo di gestione di parte corrente con apporti di spesa
fissa e continuativa a carico del bilancio pubblico;
- possibilità di erogare finanziamenti <<a progetto•• e di sostenere l'attività
della fondazione mediante comando di personale.
298 CAPITOLO 6

Queste Fondazioni sono sottoposte alla vigilanza del ministero, ai sensi del
d.m. 27 marzo 2015 di ricognizione degli enti vigilati e di individuazione delle
direzioni generali cui spetta l'esercizio di tale attività.

Cooperazione b) Per quanto riguarda la cooperazione pubblico/privato sul piano funzio-


funzionale nale, il discorso è molto più vario [Fidone 2012] anche perché proprio da
questo angolo di osservazione è possibile cogliere fino in fondo le dinamiche
che hanno accompagnato l'evoluzione del ruolo dei privati nelle tre fasi dei
rapporti (bilaterali, trilaterali e multilaterali) con la pubblica amministrazione
[Casini 2016, 110]. Rinviando per i temi del mecenatismo e delle sponsorizza-
zioni, ampiamente innovati dal d.l. 31 maggio 2014, n. 125 (Art bonus), e dal
d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 («Nuovo codice dei contratti pubblici»), all'esame
compiuto nel capitolo 4, resta in questa sede da accennare ad alcune recenti
forme di partenariato pubblico-privato che sembrano destinate ad assumere
crescente importanza.
La prima, molto recente, va riferita all'art.l51, comma 3, del nuovo codice dei
contratti, ove apre la possibilità per il ministero di ricorrere a forme speciali
di partenariato pubblico o privato e va collocata più tra gli scenari possibili
che tra le esperienze acquisite. Recita infatti la disposizione:

«Per assicurare la fruizione del patrimonio culturale della Nazione e favorire


altresì la ricerca scientifica applicata alla tutela, il ministero dei Beni e delle
Attività culturali e del Turismo può attivare forme speciali di partenariato con
enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il recupero,
il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l'apertura alla pubblica
fruizione e la valorizzazione di beni culturali immobili, attraverso procedure
semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori rispet-
to a quelle previste dal comma 1». Sul punto, si veda la circolare esplicativa
dell'Ufficio legislativo, diffusa con nota del Segretariato generale, n. 28, del17
giugno 2016 (reperibile on line nel sito web del ministero).

Se sono evidenti le esigenze da cui muove, più incerta è invece la tenuta della
soluzione perché l'enunciazione di una generale ammissibilità del partenariato
o si fonda sulla (già) esistente capacità di diritto privato dell'Amministrazione,
il che è più che fondato come si è visto ma rende puramente dichiarativa
la disposizione, o ne presuppone invece la mancanza, che la formulazione
adottata nella sua genericità non pare idonea a correggere. L'esigenza, invece,
è e resta innegabile.

La pratica infatti ha dato vita a figure miste di difficile collocazione giuridica che
vanno dalla collaborazione scientifica alla cooperazione in azioni e manifesta-
zioni di valorizzazione del patrimonio, in Italia e all'estero (v. uscita temporanea
di beni culturali, art. 67 Cod.); dal concorso in attività prodromiche alla (o
integrative della) tutela, quali la ricerca sulle tecnologie e le scienze applicate
al restauro, la catalogazione, la redazione di inventari, alla ricerca archeologica,
anche nelle forme della concessione di cui all'articolo 89 del Codice; dalla colla-
borazione nell'attuazione delle misure di valorizzazione e di gestione delle aree
COOPERAZIONE 299

di rispetto annesse ai si ti Unesco agli stessi interventi di gestione e apertura alla


pubblica fruizione di tali siti. In breve, una pluralità di forme di partenariato,
che possono comportare anche la concessione in gestione di istituti e luoghi
della cultura poco valorizzati (su cui si veda il recente d.m. Mibact 6 ottobre
2015) e l'instaurazione di forme di collaborazione con soggetti del volontariato
e del terzo settore ex art. 118, ultimo comma, Cost.
In sintesi, si tratta di rapporti che pur andando in qualche caso oltre il mero
partenariato di tipo contrattuale non approdano a forme di vera e propria isti-
tuzionalizzazione rimanendo così sospesi tra le soluzioni più strutturate (come
fondazioni o associazioni costituite per la gestione di si ti culturali) e il carattere
limitato del singolo episodio di partenariato.

Si tratta dunque di attendere l'attuazione del comma 3 dell'articolo 151 del


nuovo codice dei contratti per verificare se e quanto a tali problemi possa
essere assicurata, per questa via, un'effettiva soluzione [Albisinni 2016, 51 O].
Occorre infine considerare l'art. 121, dedicato al tema degli accordi con le Accordi con fon-
fondazioni bancarie. La disposizione prevede che «il ministero, le Regioni e gli dazioni bancarie
altri enti pubblici territoriali, ciascuno nel proprio ambito, possono stipulare,
anche congiuntamente, protocolli di intesa con le fondazioni conferenti[ ... ]
al fine di coordinare gli interventi di valorizzazione sul patrimonio culturale e,
in tale contesto, garantire l'equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe
a disposizione. La parte pubblica può concorrere, con proprie risorse finan-
ziarie, per garantire il perseguimento degli obiettivi dei protocolli di intesa».
Le fondazioni dagli originari istituti di credito di natura pubblicistica con
il d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153 («Disciplina civilistica e fiscale degli enti
conferenti») sono state trasformate ex lege in soggetti privati dotati di piena
autonomia statutaria e gestionale, volti a perseguire scopi di utilità sociale e
di promozione dello sviluppo economico e tenuti a investire almeno il 50%
del reddito netto del patrimonio in settori normativamente definiti dai rispet-
tivi statuti. Con l'art. 11 della legge finanziaria per il2002 si è introdotto un
elenco di settori di attività ammessi tra i quali scegliere e in cui alle fondazioni
è consentito esplicare la propria attività. Come chiarito dalla Corte costitu-
zionale (sentt. 300 e 301 del2003), le fondazioni conservano natura di enti
appartenenti all'ordinamento civile, soggetti dell'organizzazione delle libertà
sociali, rispetto ai quali l'assegnazione di compiti di interesse generale da parte
della legge è costituzionalmente legittima solo a condizione che non venga
leso il principio di libertà sociale che le connota [Napolitano 2003, 1576].
A questa configurazione delle fondazioni di origine bancaria, risponde il
riferimento contenuto nell'art. 121 ad accordi su base volontaria, perché una
diversa lettura esporrebbe la norma a dubbi di conformità alla Costituzione
[Carpentieri 2005c, 552]. Le disposizioni dell'art. 121, rimaste immutate a
seguito delle riforme del biennio 2006-2008, hanno pertanto essenzialmente
un carattere promozionale [Tarasco 2006, 778], il cui dato più rilevante è
quello di suggerire e stimolare un raccordo tra pubblico (ministero, Regioni
ed enti locali) e privato (fondazioni), in vista della realizzazione di interventi
di valorizzazione sul patrimonio culturale.
300 CAPITOLO 6

In effetti, l'art. 121 rappresenta al tempo stesso il presupposto e la conse-


guenza della relazione tra le erogazioni delle fondazioni bancarie [Sau 2011]
e la promozione di azioni a tutela del patrimonio culturale con l'obiettivo di
realizzare forme di cooperazione tra pubblico e privato e di assicurare un
razionale impiego delle risorse.
I profili problematici sono invece essenzialmente due. Intanto, questa ipotesi
si inserisce in una realtà caratterizzata da una forte disparità di risorse dispo-
nibili nelle diverse aree territoriali del paese (più del 90% delle fondazioni
di origine bancaria collocate nel Centro-Nord), con rischi di disparità e
distorsioni evidenti. Resta inoltre aperta, sia pure su un piano diverso e più
tecnico-operativo, la necessità di coordinare queste ipotesi di cooperazione,
che usualmente richiedono una prospettiva almeno di medio periodo, con
il sistema di periodica definizione delle aree di intervento delle fondazioni
dettato dai commi 2 e 3, art. 11 della L 448/2001 che prevede una facoltà di
scelta ogni 3 anni dei settori rilevanti che teoricamente non potrebbe essere
impedita da impegni diversi assunti in queste ipotesi [Cammelli 2007b, 498].
Di fatto la cosa viene risolta sottoscrivendo accordi di durata non superiore
al triennio ma non è chi non veda gli inconvenienti che ne derivano, a sottoli-
neare ancora una volta la quantità di messe a punto necessarie per assicurare
la praticabilità di forme di coordinamento tra le Fondazioni e tra queste e il
«pubblico>>.

Esempi recenti di attuazione dell'art. 121 sono gli accordi sottoscritti nel2010
in Emilia-Romagna e Toscana tra Mibact, Regione e le associazioni regionali
delle fondazioni il cui antecedente è rappresentato dalla costituzione di un os·
servatorio paritetico MibactlAcri (Associazione delle Fondazioni italiane) del12
febbraio 2009 per lo scambio reciproco di informazioni e per lo studio di forme
di cooperazione reciproca a livello regionale. In concreto, gli accordi regionali
hanno proweduto a identificare di comune accordo le aree di intervento, le
modalità di definizione dei contenuti specifici e il concorso finanziario, suddiviso
in modo proporzionale tra ministero, Regione e fondazioni. Da notare che la
cooperazione tra livelli e realtà istituzionali genera relazioni positive non solo
tra soggetti contraenti ma anche all'interno di ciascuno di essi: nel Mibact con
il necessario coordinamento tra vertice ministeriale e strutture regionali, e tra
le stesse fondazioni (che nella sola Emilia-Romagna, ad es., sono 19).

Gli accordi sopra ricordati dell'art. 112, commi 4 e 9, e più in generale quelli
riconducibili all'art. 121, rappresentano forme stabili di collaborazione tra
fondazioni di origine bancaria ed enti pubblici che indicano l'emergere di
una zona grigia tra operating e gran! making nella quale le fondazioni non si
limitano a finanziare il progetto (fondazioni gran t making) ma intervengono
attivamente a partire dalla fase di elaborazione del progetto spingendosi
fino alla fase di gestione operativa (fondazioni-operating) [Leone 2013, 63].
Esempi di questo tipo di interventi, come la partnership tra Fondazione Cassa
di Risparmio di Roma ed Eur s.p.a. per la ristrutturazione del Palazzo della
Civiltà del Lavoro all'Eur o tra Comune di Siena e Fondazione Mps per la
COOPERAZIONE 301

realizzazione del progetto Santa Maria della Scala o le molteplici iniziative di


questa natura poste in essere dalla Fondazione di Venezia, testimoniano come
la realtà spesso offra esperienze miste o comunque difficilmente inquadrabili
nelle correnti classificazioni.

3. COOPERAZIONE: TEORIA E PRATICA


Al termine del percorso appena effettuato, non può non colpire il divario Difficoltà della
registrato tra forte domanda di cooperazione che nasce dal sistema e l'ampia cooperazione
varietà di strumenti di vario genere messi a disposizione dal legislatore, da un
lato, e la parziale impraticabilità di alcuni strumenti essenziali come quelli
previsti dall'art. 112 Cod. o il numero ridotto di esperienze di collaborazione
in atto, spesso frenate da incertezze e difficoltà quotidiane [Manfredi 2014].
Lo scarto tra i principi solennemente enunciati nelle sedi istituzionali e nelle
fonti più elevate, Costituzione compresa, e una messa in opera limitata per di
più frutto, in prevalenza, di normative antecedenti al Codice e dunque segno
di difficoltà non transitorie, non può passare inosservato.
Le ragioni sono numerose e certo andranno approfondite in altra sede, ma
qualche annotazione può essere operata fin d'ora.
Intanto pesano su entrambi gli assi (inter-istituzionale e pubblico-privato)
le più generali condizioni di instabilità del paese. La cooperazione, e in
particolare quella istituzionale, nasce da esigenze di medio-lungo periodo e
per raggiungere i risultati perseguiti richiede tempi almeno corrispondenti
e condizioni di continuità e stabilità. Ciò che manca al centro, per la forte
instabilità che segna maggioranze parlamentari ed Esecutivo e che parados-
salmente sembra mancare anche nei sistemi locali nei quali l'elezione diretta
di governatori e sindaci assicura certo la stabilità nel corso del mandato ma
sconta poi forti discontinuità alla scadenza e nell'avvicendamento.
Tutto questo, ed è il secondo aspetto, aumenta il peso specifico degli apparati
stabili. Ma l'organizzazione e il funzionamento degli apparati amministrativi
e i riferimenti professionali di quote significative dei dirigenti e del personale,
peraltro da tempo senza ricambio per il blocco delle politiche di spending
review, non sembrano troppo sensibili a quanto la cooperazione richiede
proprio sui punti chiave, e per questo più difficili da cambiare: le culture, e
dunque l'insieme di valori e dei riferimenti frutto della tradizione e dell'espe-
rienza, e gli incentivi, vale a dire ciò che in concreto spinge a tenere o a non
tenere una determinata condotta [Tarasco 2011a].
Sullo sfondo un profilo di metodo, che si è accennato nell'introduzione ma
che è bene riprendere nelle ultime pagine di un manuale giuridico. Pochi
temi, come la collaborazione tra soggetti pubblici e tra questi e i privati,
soffrono del dominante approccio iper-normativo con cui si affronta la
maggior parte dei problemi. Con un doppio, e negativo, risultato: quello di
numerose disposizioni che rimangono tali, quando non divengono esse stesse
ostacoli aggiuntivi, e l'altro di un'estesa sottovalutazione degli elementi che
302 CAPITOLO 6

l'esperienza insegna determinanti per la riuscita di qualunque intervento:


dalla disponibilità e scambio di dati tra amministrazioni al finanziamento di
apposite indagini preliminari senza le quali piani e programmi non possono
neppure nascere; da seri incentivi al fare, comprese premialità per azioni
collaborative di successo, a sedi integrate di formazione e aggiornamento del
personale e alla disponibilità di competenze (capacità tecniche e progettuali,
verificatori di processo e di prodotto, esperti di progettazione finanziaria e
di raccolta fondi) ormai indispensabili per ogni politica pubblica in materia.
Tutto ciò non toglie nulla al ruolo del giurista nelle istituzioni, anzi lo quali-
fica: chi ha una buona preparazione giuridica è il primo a esserne convinto.

LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Per approfondimenti del tema, oltre alla rivista «Aedon» www.aedon.mulino.it (edita e in rete
dal1998), si rimanda a: B. Accettura, L:accordo di programma tra il ministero per i beni culturali e
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Indice
analitico
Indice analitico

Accordi all'uscita dal territorio nazionale, 172 s.


con le fondazioni bancarie, 239, 299 s. caratteri, 152
di valorizzazione, 60, 165, 212, 293 paesaggistica, 273 ss.
Acquisto coattivo, 173, 179 s.
Agevolazioni tributarie Beni culturali
5 per mille, 234 categorie, 40 ss.
Art bonus, 15, 234 ss., 298
ex lege, 49 s.
disciplina del Tuir, 233 s.
immateriali, 35 s.
Ales s.p.a., 133 ss., 224,227,235,296
individuazione, 43 ss., vedi anche Beni cultu·
Alienazione
rali di proprietà privata e pubblica
di beni culturali privati, 164, 167 s.
«minori», 36
di beni culturali pubblici, 59, 151, 163 ss.,
nozione, 16, 31 ss.
167, 169
struttura, natura e caratteri, 34 s., 51 ss.
Archeologia preventiva, 96, 155
Archivi di Stato, 113, 129 s., 144, 160 Beni culturali di proprietà privata
Archivi e documenti, 159 s. come beni patrimoniali, 53
Arcus s.p.a., 25, 133 ss., 235 di interesse religioso, 41, 51, 159
Attività culturali, 36, 23 3 di privati non pro/it, 26, 45 s., 50, 59, 80s.,
Autonomia delle regioni in materia di beni 83, 168 s., 293
culturali, 20, 65 , 68 ss., 71 ss., 78 ss., 199 ss. di privati o imprese, 48, 50, 80, 83, 168
Autorizzazione dichiarazione dell'interesse, 47 ss., 50
agli interventi conservativi, 157 Beni culturali di proprietà pubblica
al distacco di affreschi, 162 come beni patrimoniali, 54 ss.
al prestito, 162 destinazione, 58
alla demolizione, 151 privatizzazione, 46
all'affissione, 161 silenzio-assenso, 46
all'alienazione, 163 ss. valorizzazione e dismissione, 59 s.
alla permuta, 167 verifica dell'interesse, 44 ss., 50
alla rimozione, 151 Beni librari, 34, 38, 49, 120 s., 131, 170,216
alla riproduzione, 215 Beni paesaggistici (o ambientali), 37 ss., 132,244,
alle modifiche, 151 246 ss., 258 ss., 263 ss., 277
allo smembramento, 151 s. Biblioteche pubbliche, 99, 130 s.
320 INDICE ANALITICO

Cartelli e mezzi di pubblicità, 161 problemi e prospettive, 23 ss.


Catalogazione, 23, 57 s., 108 vicenda storica, 13 ss.
Cessione di beni culturali in luogo del pagamento Distacco di affreschi, 162
di imposte, 178, 232 s. Distruzione, danneggiamento, usi non compati-
Circolazione in ambito internazionale (o dei bili (divieto di), 150 s.
beni)
esportazione dal territorio dell'Unione Euro- Edilizia (interventi di), 152 s.
pea, 170, 174 Erogazioni liberali, 232 ss.
ingresso nel territorio nazionale, 17 3 Espropriazione
norme dell'Unione Europea, 170 ss. di beni culturali, 180 ss.
principi, 170 ss. per fini strumentali, 180 ss.
restituzione e «ritorno», 17 4 s. per interesse archeologico, 181 s.
uscita dal territorio nazionale, 172 s.
Circolazione in ambito nazionale (o dei diritti) Federalismo demaniale, 28, 60, 295
dei beni culturali privati, 167 ss. Fondo di solidarietà nazionale, 220
dei beni culturali pubblici, 163 ss. Forme di gestione
denuncia, 168 s. appalto e concessione a terzi, 224 ss.
Comando carabinieri per la tutela del patrimonio esternalizzazioni, 20, 208, 286
culturale, 91 s. generalità, 206, 222
Comitati tecnico-scientifici, 102, 105 s. gestione diretta, 223 s.
Commercio gestione indiretta, 224
di beni culturali, 169 s. scelta della forma di gestione (i criteri), 224
esercizio in aree di valore culturale, 161, 193 s. Fruizione
Commissioni regionali per il patrimonio cultu- nozione, 52, 145, 147 ss., 195 ss., 199,202 s.
rale, 131 s. Fruizione collettiva (o uso generale)
Comodato da privati, 159 dei beni privati, 200 s., 204 ss., 217, 225
Conservazione, 17 s., 24, 65, 81, 145 ss., 149 ss., dei beni pubblici, 58, 65, 79 s., 122, 128,
155 ss., 177, 191 ss., 262 s. 204 ss., 214,217,219,224 ss., 263 s., 292,
Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici, 299
102 ss. gratuità o meno, 214
Contributi statali, 157 visita pubblica, 52, 214
Cooperazione Fruizione (o uso) individuale, 214 ss.
generalità, 285
interistituzionale, 289 ss. Governi territoriali per il sistema dei beni cul-
pubblico-privato, 295 ss. turali
Custodia coattiva, 159 forme e condizioni di autonomia, 68 ss.
funzioni, 75
Demanio culturale, 54 iniziative legislative, 136 ss.
Deposito, 159
Dichiarazione dell'interesse culturale Inalienabilità, 164 ss.
effetti, 47 lndividuazione dei beni culturali, 43 ss.
procedimento, 48 s. Infrastrutture s.p.a., 59
ricorso amministrativo, 49 Interventi sui beni culturali, 150 ss.
Dichiarazione di notevole interesse pubblico, Interventi sui beni paesaggistici, 273 ss.
132,266 s. Ispezione, 150
Diritto del patrimonio culturale Istituti e luoghi della cultura, 205, 207, 216 ss.
finalità, 17 ss., 20
generalità, 11 ss. Lavori su beni paesaggistici, 273 ss.
oggetto e metodo, 13 ss. Lavori sui beni culturali, 182 s.
INDICE ANALmCO 321

Manutenzione, 145, 155 s., 233 s., 273 di altri enti pubblici, 55
Mecenatismo culturale, 233 ss. Pennuta, 167
Ministero dei Beni e delle Attività culturali e Pianificazione paesaggistica, 268 ss.
del Turismo Poli museali regionali, vedi Ministero dei Beni e
amministrazione centrale, 93 ss. delle Attività culturali e del Turismo
amministrazione periferica, 112 ss. Prelazione, 17 8 s.
attribuzioni, 87 s. Prescrizioni di tutela indiretta, 161
capo di Gabinetto, 91 Prestito, 162, 225, 228 s.
direzioni generali, 93 ss. Prevenzione, 155 ss.
istituti ad autonomia speciale, 110 s. Professioni e tutela, 183 ss.
istituti centrali, l 07 ss. Programmazione negoziata, 289 ss.
istituzione, 83 ss. Protezione, 17, 19 s., 149 ss.
ministro, 88 ss.
organi consultivi centrali, 101 ss. Restauro, 155 s.
organismo indipendente di valutazione della Restituzione di beni culturali illecitamente usciti,
performance (Oiv), 91 s. 174 s.
organizzazione, 83 ss. Riproduzione, 215 s.
poli museali regionali, 127 ss., 218 s. Ritorno internazionale di beni culturali, 175
segretariati regionali, 113 s., 138 Ritrovamenti e scoperte
segretario generale, 100 s. appartenenza e qualificazione dei beni ritro-
soprintendenza speciale Archeologia, Belle vati, 176
Arti e Paesaggio di Roma, 111 s. concessione di ricerca, 176
soprintendenze, 115 ss. denuncia e obbligo di conservazione, 177
uffici di diretta collaborazione, 89 ss. riserva statale dell'attività di ricerca, 176
ufficio legislativo, 91
Mostre, 228 ss. Sanzioni
Musei statali amministrative per i beni culturali, 186
disciplina, 122, 218 ss. amministrative per i beni paesaggistici, 277 s.
dotati di autonomia speciale, 122 ss., 221 s. civili (nullità degli atti illegittimi), 186
fondazioni museali, 222 s. generalità, 184 s.
museo-ufficio, 221 penali per i beni culturali, 186 ss.
nozione, 121 penali per i beni paesaggistici, 278 ss.
Scuole di formazione e studio, 110
Opere d'arte contemporanee, 42 Servizi per il pubblico, 224 ss., 302
Sicurezza e vigilanza dei musei, 222
Paesaggio Silenzio-assenso, 46
ambiente e governo del territorio, 248 ss. Silenzio-inadempimento, 46 s.
Convenzione europea del, 39 s., 247, 255 ss. Siti Unesco, 192, 230 ss.
evoluzione legislativa, 244 ss. Soprintendenze, vedi Ministero dei Beni e delle
nozione, 33, 37 ss., 246 ss. Attività culturali e del Turismo
valorizzazione del, 209 ss., 263 ss. Sponsorizzazioni, 20, 203 ss., 236 ss.
Partenariato pubblico-privato, 239, 298 s. Strumenti finanziari
Patrimonio culturale capitale italiana della cultura, 213
disciplina costituzionale, 19 grandi progetti beni culturali, 213
nozione, 16 s., 33, 37,258 s. Studi di artista, 162
organizzazione, 23 ss. Sussidiarietà orizzontale (principio di), 74,81 s.
pluralismo degli attori, 20, 25 s., 65 Sussidiarietà verticale (principio di), 72
Patrimonio dello Stato s.p.a., 59
Patrimonio indisponibile Tutela dei beni culturali
dello Stato, 55 del decoro, 193
322 INDICE ANALITICO

funzioni amministrative (riparto), 74, 77 s., dei beni culturali di appartenenza pubblica,
199 s. 82,204 ss.
funzioni legislative (riparto), 69 s., 76 s., del paesaggio, 209 s., 263 ss.
198 ss., 254 s. funzioni amministrative (riparto), 72, 74,
funzioni regolamentari (riparto), 70 77 s., 79 s., 199 s.
nozione, 147 s. funzioni legislative (riparto), 69 s., 78 s.,
sviluppo della legislazione, 143 ss. 197 ss.
Tutela dei beni paesaggistici e del paesaggio, funzioni regolamentari (riparto), 70, 79
261 ss. nozione, 196 s., 203 s.
origini e sviluppo, 201 ss.
Unesco, 33, 192 s., 230 ss. Verifica dell'interesse culturale, 43 ss.
Vigilanza sui beni culturali, 150
Valorizzazione Vigilanza sui beni paesaggistici, 276 s.
attività, 206 ss. Vincoli paesaggistici, vedi Beni paesaggistici (o
dei beni culturali di appartenenza privata, ambientali)
83,204 ss. Vincoli storico-artistici, vedi Beni culturali

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