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culturale
il Mulino
Diritto del patrimonio culturale
ISBN 978-88-15-27223-2
ll
9 7888 1 5 272232
CARLA BARBATI
MARCO CAMMELLI
LORENZO CASINI
GIUSEPPE PIPERATA
GIROLAMO SCIULLO
Diritto
del patrimonio
culturale
il Mulino
ISBN 978-88-15-27223-2 Copyright© 2017 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati.
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grafico, digitale- se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore.
Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie
Questo volume ha origine nel progetto culturale che è stato alla base della fondazione, nel1998,
di «Aedon. Rivista di arti e diritto on line» (www.aedon.mulino.it) e che tuttora ne alimenta la
linea editoriale.
Alle pagine di «Aedon» si rinvia, dunque, per un'analisi più dettagliata della normativa citata
nel testo e per gli ulteriori approfondimenti sia dei temi trattati, sia delle modifiche legislative
che potranno intervenire in ordine a essi.
n volume, aggiornato agli ultimi provvedimenti dell'estate 2017' ha potuto contare sulla preziosa
collaborazione di Paola Capriotti, alla quale esprimiamo un sentito ringraziamento.
GLI AUTORI
Indice
2. OGGETIO E METODO
introduceva per la prima volta forti e stabili vincoli pubblicistici al regime dei
beni ancorché la proprietà fosse e rimanesse privata. È proprio qui la nascita
per questi beni di una sorta di «doppia titolarità» e il passaggio chiave, politico
e giuridico, che rimarrà tra i fondamenti della disciplina organica dell'intero
settore dettata trent'anni dopo dalla l. l giugno 193 9, n. l 089 (tutela delle cose
di interesse artistico o storico), e che, confermata e ulteriormente rafforzata dai
principi sanciti in materia dalla Costituzione italiana (artt. 9 e 42, comma 2),
rimarrà sostanzialmente invariata fino ai giorni nostri [Cassese 1976].
Altre estensioni hanno riguardato nel tempo tanto i soggetti che l'ambito og-
gettivo. Per i primi, è da ricordare l'applicazione ai beni degli enti pubblici e
delle persone giuridiche private senza fini di lucro, inclusi gli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti, del regime ordinario di tutela a fini di garanzia pre-
ventiva in attesa della verifica dell'interesse culturale (art. 12, comma l Cod.).
Quanto all'oggetto della disciplina, le più rilevanti estensioni si erano già
avute con la l. 29 giugno 1939, n. 1497, che tra i beni tutelati comprendeva
le bellezze naturali di particolare pregio (giardini, ville, parchi); con il d.l. 27
giugno 1985, n. 312 (c.d. decreto Galasso) e l'apposizione in tutto il paese di
vincoli ex lege per zone di particolare interesse ambientale [Crosetti 2001,55
e 171], infine, all'inizio del nuovo millennio, con d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42,
Codice dei beni culturali e del paesaggio, la cui disciplina ha riguardato- in
linea con la Convenzione europea del2000- anche il paesaggio e dunque agli
ambiti territoriali ai quali per i fattori naturali e l'impronta lasciata dall'azione
dell'uomo va riconosciuta una particolare qualità espressiva di identità. Date
le caratteristiche della storia del nostro paese questi beni paesaggistici caratte-
rizzano una larga parte del territorio nazionale, con il risultato che l'incidenza
del diritto del patrimonio culturale si è corrispondentemente estesa a un'area
molto più ampia di quella originaria. Vedremo tra breve le conseguenze che
ne sono derivate.
Vi è infine una ulteriore direttrice di espansione dell'ambito della disciplina,
visibilmente in atto in questi anni grazie al potente influsso della tecnologia
e della sua rapidissima evoluzione, tuttavia ancora priva di una chiara col-
locazione concettuale e giuridica. Si tratta di tutto ciò che muovendo dal
patrimonio culturale supera come fruizione e diffusione anche l'ambito di
attività tradizionalmente più prossime, come il turismo, aprendo per la forte
evocazione di significati e contenuti culturali che gli è riconosciuta un ampio
ventaglio di attività economiche e produzioni industriali che vanno dalla pub-
blicità al design e alla moda [Santagata 2007]. I fattori che generano questi
ampi rinvii al patrimonio culturale sono numerosi e rilevanti, tanto da farne
una «religione moderna)) per le istituzioni pubbliche [Fumaroli 1991], e in
forme spesso inedite esprimono domande e sensibilità di natura culturale
ormai proprie dell'intero pianeta [Casini 2010b, 11].
In tutto questo sono dominanti gli elementi dell'immagine e della comunica-
zione, trainati dalla tecnologia che ne rappresenta la premessa e lo strumento,
che incidono dunque non solo su singoli aspetti del diritto del patrimonio
culturale come il caso della liberalizzazione delle riproduzioni fotografiche
IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 15
dei beni culturali pubblici (art. 108, comma 3 Cod.) operata di recente dal
c.d. Art bonus (d.l. 31 maggio 2014, n. 125) ma, più a fondo, sull'oggetto della
nostra disciplina (cap. 4).
La novità infatti non consiste nella immaterialità dell'immagine [AA. W. 2014],
perché da sempre si è riconosciuta nel bene culturale sia una pane materiale
(la cosa, tavola o marmo o tela da cui e su cui è composta) che una pane
immateriale (il suo significato, il valore simbolico, il rimando a dati culturali
e universali), ciò che fin dall'inizio ha giustificato la tutela della «cosa>> come
mezzo per tutelarne il valore immateriale. La novità sta nel fatto che la qualità
degli strumenti oggi disponibili (in termini di riproduzione e di qualità dell'im-
magine) e la illimitata possibilità di farne uso e permetterne la circolazione
in pane svincola il bene immateriale dalla materialità [Morbidelli e Banolini
2016] con un doppio e inedito risultato: che non è più necessario passare
dalla «coseità» per incidere sul bene immateriale, che ormai può essere leso
autonomamente, come nel caso dell'ormai celebre pubblicità dell'immagine del
David di Michelangelo che imbraccia un potente fucile da guerra (2014) ma
nello stesso tempo ha una propria dimensione economica [Severini 2015a], e
che i mezzi della dematerializzazione diventano a loro volta elementi autonomi
e dunque suscettibili in determinati casi di porre anch'essi un problema di
diretta tutela (per le fotografie, v. an. 10, comma 4, lett. e, Cod.).
Infine, temi più strettamente domestici. Innanzitutto emergono elementi di
fatto decisamente nuovi come l'attenzione riservata al patrimonio culturale, un
tempo area riservata ad ambienti di particolare formazione e livello sociale e
oggetto, ormai da anni, di quotidiana attenzione da parte dell'opinione pub-
blica. Le ragioni non sono solo culturali: su questo terreno si proietta infatti la
consapevolezza di un contesto postmoderno [Montella 2012] che oggi più che
mai ne coglie, oltre ai significati appena visti, il rilievo istituzionale e sociale
(le identità), ambientale (paesaggio) e economico, dal turismo all'industria
creativa e ai distretti culturali e che anche in ragione della lunga crisi in atto
trova nuove ragioni per intervenire e operare in materia.
A queste si sono aggiunti motivi più recenti, come quelli sollevati dai gravi
eventi sismici della fine del2016 che, mettendo in luce insieme l'interdipen-
denza degli elementi (e delle relative politiche) e la fragilità e vulnerabilità di un
patrimonio che per le sue caratteristiche non ha eguali pongono, per qualsiasi
iniziativa di prevenzione o ricostruzione, esigenze specifiche e sistemiche di
raccordo con i profili di tutela e valorizzazione ancora maggiori di quanto in
precedenza sottolineato [Zanardi 2013a; Siviero 2013].
Esigenze, ed è questo il secondo aspetto innovativo, che dal 2014 hanno
registrato un complesso di interventi che hanno inciso in profondità sia sulla
organizzazione del ministero sia sulle politiche pubbliche in materia con l'in-
tento di affrontare alcuni nodi strutturali, primo dei quali l'adeguatezza della
organizzazione periferica degli apparati e l'autonomia dei musei come perno
per il rilancio delle azioni di valorizzazione, senza tralasciare l'altro (necessario)
versante rappresentato dalle possibili forme di collaborazione che i privati
sono in grado di assicurare. Aspetti certamente apprezzabili e determinanti per
16 IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE
l'intero sistema ancorché non esaustivi (profili come la disciplina del Codice
o quella del personale, ad esempio, sono rimasti all'esterno) e la cui messa in
opera richiede un tempo più lungo per essere considerata.
Elementi, in ogni caso, che hanno investito frontalmente un sistema ammi-
nistrativo pubblico (dunque, non solo statale: si veda l'esperienza regionale
in materia) in difficoltà ad affrontare i nuovi compiti e seriamente indebolito
nell'assolvere quelli tradizionali dalle politiche di contenimento della spesa
pubblica e dai conseguenti tagli di personale e risorse.
Sullo sfondo, come per tutto il sistema amministrativo italiano, la complessa
transizione della /orma di Stato dal modello unitario di origine napoleonica
verso un approdo ancora indefinito ma comunque distante, insieme, dal
passato e dai modelli noti di Stato regionale e federale. Una evoluzione così
ampia e tuttora lontana da un definitivo assestamento comporta profonde
implicazioni sullo studio e sulla esposizione della materia poiché rende
difficile, e talvolta prematuro, dare sistematicità alla disciplina, mentre
accentua le oscillazioni della giurisprudenza e il rilievo dello specifico dato
positivo e delle discipline speciali, che di queste incertezze sono insieme
causa ed effetto.
Dinamiche, dunque, nello stesso tempo sovranazionali e specifiche del nostro
paese, rispetto alle quali oggi non è facile indicare quale sia il punto di equili-
brio tra una grande tradizione, che va conservata, ed esigenze di innovazione
che premono e che ormai assumono caratteri di particolare urgenza. In un
testo dedicato alla didattica il primo dovere, come in ogni manuale, è quello
di garantire una rappresentazione lineare e sintetica dello stato dell'arte della
disciplina trattata. Ci siamo sforzati di assolverlo dando, nello stesso tempo,
conto delle trasformazioni in atto: per conoscere il presente e cercare di
comprendere meglio quello che ci aspetta.
3. FINAliTÀ
Veniamo allora alle finalità. Anche il diritto del patrimonio culturale, infatti,
è profondamente segnato come ogni disciplina giuridica dalla finalità perse-
guita ed è dunque interessato da ulteriori cambiamenti, oltre a quelli appena
richiamati. Una ragione in più per esaminare più da vicino i presupposti della
disciplina.
3.1. Presupposti
per questi fini (v. art. 29, comma 5, Cod.), il rinvio a clausole inevitabilmente
flessibili si traduca in una discrezionalità degli apparati predisposti talmente
ampia da sconfinare nella imprevedibilità e da non tenere conto, come talvolta
succede, neppure dei precedenti posti in essere dallo stesso ufficio.
La seconda, legata al fatto che le esigenze connesse alla valorizzazione e la
interdipendenza con altre politiche pubbliche mettono in luce la necessità di
valutazioni estese anche agli aspetti dinamici e intersettoriali del bene culturale
con esiti non solo impeditivi ma nello stesso tempo più ampi e più conformativi,
perché la sola considerazione storico-estetica del singolo bene può essere insuf-
ficiente o addirittura controproducente, se non estesa all'esame del contesto in
cui questo è inserito e di cui fa parte. Insufficiente, per essere ancora più chiari,
non solo per la mancata valutazione di «altri» interessi, ma anche per l'omessa
considerazione di dati ed elementi intrinseci allo stesso interesse culturale del
bene. Un esempio illuminante è offerto dalla fattispecie codicistica dei borghi
storici, definiti come «complessi di cose immobili che compongono un caratte-
ristico aspetto avente valore estetico e tradizionale» dall'art. 13 6, comma l, le t t.
c, Cod. senza alcun accenno alle esigenze abitative, alle attività economiche e
sociali, in breve alla vita che li anima e che li distingue dai borghi abbandonati.
n primo è il rischio, tutt'altro che remoto, del gioco a somma negativa degli
interessi coinvolti, e cioè dell'impasse provocata dalla contrapposizione tra gli
apparati di tutela e altri interessi pubblici, con il risultato del reciproco fronteg-
giarsi anche in sedi comuni senza un reale confronto. Con la conseguenza o del
nulla di fatto, perché i procedimenti si arrestano, o della soluzione «a strappo»,
perché assunta in via maggioritaria (conferenza di servizi) o per decisione finale
da parte di una sede istituzionale superiore (Consiglio dei ministri, Giunta
regionale). E dunque, di un esito non pienamente equilibrato, con i riflessi
che si possono immaginare in termini di affidabilità e tenuta giuridica della
soluzione adottata tra le parti del rapporto e rispetto ai terzi [Torchia 2016, 23].
rimedi che hanno finito addirittura per aggravare la situazione. In attesa della
verifica della sussistenza o meno dell'interesse culturale, infatti, a fini caute-
lativi si è esteso a un numero smisurato di beni in mano pubblica l'integrale
regime di protezione previsto per i beni culturali veri e propri, sovraccaricando
gli uffici competenti di pratiche in larga parte estranee alla loro missione isti-
tuzionale (la cui dimensione è in alcune valutazioni interne stimata vicina ai
due terzi del totale esaminato), oltre a lasciare i titolari dei beni nell'incertezza
sulla natura e disponibilità del proprio patrimonio.
su questi punti che sono intervenute, come si è detto, le riforme del 2014-
16 sia di riorganizzazione amministrativa sia di sostegno alla valorizzazione
(capp. 2 e 4).
5. SFIDE E PROSPETIIVE
Giunti a questo punto, possiamo indicare alcuni temi già oggi al centro di
forti processi di innovazione e destinati in ogni caso a incidere, quale che ne
IL DIRITTO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE 27
5.1. lnterdipendenza
5.2. Differenziazione
Nel concludere, dunque, non ci si può fermare al versante dello Stato e del
Mibact che certo meritano le maggiori attenzioni. Ognuno degli elementi
che da ultimo si sono ricordati, infatti, chiama in causa le Regioni e i sistemi
locali le cui difficoltà in più di un caso si sono aggiunte a quelle, ampiamente
illustrate, delle amministrazioni statali. Basti considerare che lo strumento a
cui qui si è dato particolare rilievo, come cornice adatta a favorire l'intreccio
tra profili territoriali e ambientali e la cura in termini di tutela e valorizzazione
del patrimonio culturale, è a oggi stato adottato da tre sole Regioni (Piemonte,
Puglia e Toscana).
Le ragioni sono tante, e non sempre le stesse in ognuna delle realtà interessate,
a dimostrazione del fatto che le esigenze di differenziazione non si fermano né
all'organizzazione interna dell'amministrazione né alla diversificata domanda
della società ma si estendono al cuore dell'assetto istituzionale, perché toccano
il versante centro/autonomie e l'impossibilità di porvi mano senza dare risposte
diverse a realtà diverse. È il tema che si è cercato di risolvere mezzo secolo
fa con l' awio del regionalismo, ed è una questione che resta pesantemente
sul tappeto, perché a fronte della impraticabilità costituzionale e concreta
di soluzioni seccamente alternative come un sistema unitario verticalizzato,
con un sovraccarico al centro dannoso e non gestibile, o l'improponibile
contrapposizione dualistica Stato/autonomie - cioè l'esatto opposto delle
politiche di cooperazione richieste dalla interdipendenza -, c'è da ritenere
che la soluzione forse più realistica resti appunto quella del regionalismo
differenziato, disciplinato dall'art. 116, comma 3, Cost.
È però necessario sottolineare che questa disposizione può essere utilizzata
in direzioni opposte: o per garantire a ciascun sistema, proprio grazie alla
diversità di regime e di assetto correlata ai diversi contesti, le auspicate
condizioni di unitarietà, assicurando cioè l'integrazione tra interventi statali,
regionali e locali oggi spesso mancanti; oppure come dualistica e netta sepa-
razione tra funzioni statali, da un lato, e un più ampio complesso di compiti
affidati all'autonomia regionale, dall'altro. In breve, la prima direzione declina
l'autonomia (regionale) speciale in termini di diversità operativa e garanzia
dell'unitarietà del settore qui in esame; la seconda disancora le politiche e le
attività sul patrimonio culturale dal centro e rischia di mettere in discussione
la soprawivenza stessa di un unitario ordinamento dei beni culturali inteso
come sistema.
Per scongiurare questi rischi, che restano attuali, non serve esorcizzare la
possibilità aperta dall'art. 116, comma 3, Cost. cercando di rimuoverla o
30 IL DIRITIO DEL PATRIMONIO CULTURALE: UNA INTRODUZIONE
LETTURE DI APPROFONDIMENTO
Per approfondimenti del tema, oltre alla rivista «Aedon», www.aedon. mulino.it (edita e in rete dal
1998), possono consultarsi i seguenti contributi: AA.VV., Unità e pluralismo culturale, in A 150 anni
dall'unz/icazione amministrativa italiana, Studi, a cura di L. Ferrara e D. Sorace, Firenze, Firenze
University Press, 2016, vol. VI; M. Ainis, Cultura e politica. Il modello costituzionale, Padova, Cedam,
1991; L. Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Bologna, Il Mulino, 20 16; L.
Covatta (a cura di), I Beni culturali tra tutela, mercato e territorio, Firenze, Passigli, 2012; S. Settis,
Italia S.p.A. L:assalto al patrimonio culturale, Torino, Einaudi, 2002; Id., Paesaggio, Costituzione,
cemento, Torino, Einaudi, 2010.
Sui problemi del patrimonio culturale e per la proposta di un approccio integrato: A. Emiliani, Una
politica dei beni culturali, Bologna, Bup, 2014.
Per un quadro aggiornato del regime dei beni culturali di interesse religioso dopo l'intesa tra Stato e
Cei del26 gennaio 2005: M. Madonna (a cura di), Patrimonio culturale di interesse religioso in Italia,
Venezia, Marcianum Press, 2007.
Sull'evoluzione del concetto di cultura e la sua incidenza sullo sviluppo socioeconomico dei sistemi
locali: P.L. Sacco, G. Ferilli e G. Tavano Blessi, Cultura e sviluppo locale, Bologna, Il Mulino, 2012.
Utili e significative, ma rare, le testimonianze rese dall'interno del ministero e dei suoi vertici. Di
recente: R. Cecchi, Abecedario. Come proteggere e valorizzare il patrimonio culturale italiano, Ginevra-
Milano, Skira, 2015.
Patrimonio e beni
Anche se già presente nella saggistica filosofica [Angle 1980, 147] e giuridica Origine e sviluppo
(ad esempio Grisolia [ 1952, 124 e 145], che la mutuò dal Rapporto degli esperti
redatto nel1949, per conto dell'Unesco, da G. Berlia; sul punto Ainis e Fiorillo
[2003, 1462], Rota [2002, 141] e Casini [2016, 48]), la locuzione nel campo
legislativo si fa risalire alla «Convenzione per la protezione dei beni culturali
in caso di conflitto» (Unesco, L'Aia, 1954), ratificata con la l. 7 febbraio 1958,
n. 279, ed è ripresa in un documento della X Conferenza generale dell'Unesco
(Nuova Delhi, 1956), nella «Convenzione concernente le misure da adottare
per vietare e interdire l'illecita importazione ed esportazione e trasferimento di
proprietà dei beni culturali» (Unesco, Parigi, 1970), nella «Raccomandazione
per la restituzione dei beni culturali» (N airobi, 197 6) e nella <<Raccomandazione
sulla sicurezza dei beni culturali mobili» (Parigi, 1978).
Nei documenti internazionali essa s'intreccia con la locuzione «patrimonio
culturale» (Cultura! Heritage), presente oltre che nelle convenzioni dell'Aia e
di Parigi già menzionate, nella «Convenzione culturale europea» (Parigi, 1954)
e nella «Convenzione sulla protezione del patrimonio mondiale, culturale e
naturale» (Unesco, Parigi, 1972), sulla quale v. Corte cost., sent. 22/2016, nella
«Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo», Unesco,
Dalle disposizioni del Codice appena richiamate si desume che, a diritto Tratti della no-
vigente, la nozione di bene culturale presenta i tratti della tipicità, della plu- zione di bene cul-
turale
ralità e della materialità.
corretta di bene culturale, la quale però richiede anche una previa qualificazione
da parte del legislatore. In altre parole una qualsivoglia testimonianza avente
valore di civiltà diventa bene culturale in senso giuridico solo se tale è consi-
derabile sulla base di una qualificazione, ossia di una fissazione di fattispecie,
operata dal legislatore. n che è come dire che il bene culturale è creato dal
legislatore [Cerulli lrelli 1988, 141] e che perciò esso risponde al principio di
tipicità [Stella Richter e Scotti 2002, 397].
Pluralità In secondo luogo detta qualificazione legislativa non presenta il tratto della
generalità, ma assume una caratterizzazione per tipi o categorie. Detto in altri
termini, come nel «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni
culturali e ambientali» (d'ora in poi Tu) [Catelani 2002, 93; Roccella 2002,
1101], non si configura nel Codice una nozione unitaria di bene culturale, ma
sussiste una pluralità di tipi di beni culturali [Pastori 2007b, 98 ss.].
Materialità Infine, i beni culturali, ai sensi del Codice, sono soltanto entità qua e tangi pos-
sunt, giacché le entità configurate dal legislatore come beni culturali- e cioè
quelle indicate dagli artt. lO e 11 Cod. e quelle in futuro individuabili- pre-
sentano il carattere della «materialità>>, trattandosi sempre di «cose» immobili
o mobili [Corte cast. sent. 9 marzo 1990, n. 118; Corso 2007c, 103; Severini
2011, 23 ss.; Morbidelli 2014, par. 7; Gualdani 2014, par. 2].
Tali caratteri, nel sistema del Codice, trovano una duplice conferma. Da un lato,
l'art. 184 ha abrogato l'art. 148, comma l, lett. a, del d.lgs. 112/1998, che poteva
consentire una considerazione del bene culturale non legata alla materialità;
dall'altro, l'art. 7 -bis detta una specifica disciplina per le espressioni di identità
culturale collettiva considerate dalle convenzioni Un esco, del2003 e del2005,
per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e
promozione delle diversità culturali. Nelle due convenzioni dette espressioni
di identità culturale hanno o possono avere natura immateriale (v. artt. l e 2
convenzione del2003 e art. 3 convenzione del2005). L'art. 7-bis le assoggetta
alla disciplina del Codice quando «siano rappresentate da testimonianze ma-
teriali e sussistano i presupposti e le condizioni per l'applicabilità dell'art. 10»,
ossia quando abbiano un substrato materiale e questo sia riconducibile ai tipi
di bene culturale previsti dal Codice.
Pur in presenza di tali caratteri, come notazione conclusiva, non si può fare
a meno di rilevare che la nozione di bene culturale quale accolta dal Codice
si presenta come un «contenitore ad ampio spettro» (al riguardo Giovanni
Urbani parlò di «buco nero, capace di inghiottire tutto [ .. .]: beni artistici,
storici, archeologici, architettonici, ambientali, archivistici, librari, demoetno-
antropologici, linguistici, audiovisivi e chi più ne ha più ne metta» [Zanardi
1999,56 s.]. li che, come è stato messo in luce [Casini 2016,50 e 55] ha de-
terminato una serie di ricadute problematiche, in particolare la disattenzione
verso i soggetti, le istituzioni, rispetto agli oggetti regolati, la sottovalutazione
del contesto ambientale in cui i beni sono inseriti, la tendenza a trascurare
taluni beni meno «attrattivi», quali quelli librari e archivistici. Non da ultimo,
aggiungo, il rischio che la «molteplicità» si traduca in sede applicativa in una
«eterogeneità» in grado di ripercuotersi, svilendola, sulla nozione stessa di
bene culturale. Di qui l'interesse di proposte «per una pluralità di nozioni di
beni patrimonio culturale, differenziate a seconda delle finalità[ ... ]: conser-
PATRIMONIO E BENI 35
nini 1976, 33] che le Rime del Petrarca sono un bene immateriale, in quanto
indiscutibile espressione letteraria, i manoscritti delle Rime, cioè gli originali
dell'opera, costituiscono bene culturale (ex art. 10, comma 4, lett. c, Cod.),
una mostra delle edizioni librarie succedutesi nel tempo delle Rime va ritenuta
un'attività culturale (secondo l'orientamento del giudice costituzionale), mentre
la recitazione in teatro delle stesse Rime è da considerarsi attività di spettacolo
(ex art. 156 del d.lgs. 112/1998).
Il dualismo di disciplina non è peraltro venuto meno nel corso degli anni.
La denominazione di «ministero per i Beni culturali e ambientali» fotografò
nel1974 tale distinzione, che anzi con la l. 8 agosto 1985, n. 431 (c.d. legge
Galasso) parve accentuarsi.
La sostituzione, da parte del Codice, della locuzione «beni paesaggistici» a quella Arnbiente-paesag-
di «beni ambientali» o «beni paesaggistici e ambientali», utilizzata dal Tu (art. gio, ambiente-in-
138 e rubrica del Titolo II), dalla precedente legislazione e dall'art. 117, comma quinamento
3, Cost., appare solo una variante lessicale, priva di rilievo semantico, anche se
in grado di meglio indicare la natura di tali beni [Civitarese Matteucci 2007,
521 s.]. Quello che è certo è che i beni considerati attengono al c.d. «ambiente-
paesaggio>>, mentre esulano in pieno dal c.d. «ambiente-inquinamento», formula
con la quale ci si riferisce ai diversi fattori che compongono l'ambiente (acqua,
aria, suolo ecc.) in vista della loro salvaguardia o recupero.
Categorie generali Per una più agevole comprensione della complessiva tipologia le categorie
generali (art. 10) possono essere raggruppate in ragione dei caratteri materiali
delle cose (e a prescindere dalla titolarità soggettiva) nei seguenti gruppi:
l. Le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico (commi l e 3, lett. a).
Non compongono una categoria specifica i beni culturali di interesse religio- Beni culturali di
so. Sotto il profilo del regime giuridico essi rientrano fra i beni appartenenti interesse religioso
a persone giuridiche private senza fine di lucro (in particolare è da ricordare
che, ai sensi della l. 20 maggio 1985, n. 222, gli enti e le istituzioni della Chiesa
cattolica, che abbiano acquisito la personalità giuridica nell'ordinamento italia-
no, assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e devono
essere iscritti nel registro delle persone giuridiche private; v. anche in/ra, par.
3). Vero è soltanto che, come si dirà in/ra al cap. 3, par. 2.2, l'art. 9 prevede il
modulo dell'accordo per l'esercizio dei compiti di tutela laddove vengono in
gioco esigenze di culto.
Come categorie speciali l'art. 11 considera una serie di cose il cui elenco è Categorie speciali
stato ampliato rispetto a quello previsto dal Tu.
la soglia temporale dei «cinquanta anni». Del pari all'art. 11, comma l, lett. d,
il termine «cinquanta» viene sostituito con «settanta».
Sempre analogamente all'impostazione seguita dalla l. 1089 e poi dal Tu, il Livellodiinteresse
Codice, specie per cose appartenenti a privati, pone un certo livello d'interesse
come elemento di definizione delle singole categorie (v. l' «interesse [artistico
ecc.] particolarmente importante» e l' «eccezionale interesse culturale» richiesti
dall'art. 10, comma 3). Previsioni di tal genere, per quanto capaci di deter-
minare incertezze applicative, rispondono all'esigenza di graduare l'ambito
di operatività della disciplina vincolistica, evitando una sua non ragionevole
ipertrofia, e al contempo a quella di non incidere oltre misura sulla proprietà
privata.
Perché una cosa (una tela, una statua, un edificio ecc.) sia qualificabile bene lndividuazione
culturale in senso giuridico e sia quindi assoggettata al relativo regime previsto
dal Codice, può non bastare che essa, per gli oggettivi caratteri presentati, sia
riconducibile a una delle categorie indicate dallo stesso Codice. In non pochi
casi è richiesto, infatti, l'intervento dell'autorità amministrativa che valuti la
sussistenza di detti caratteri. A tale evenienza ci si riferisce con l'espressione
«individuazione dei beni culturali», intendendo alludere specificamente a
quel procedimento posto in essere dalla pubblica amministrazione e volto
a identificare i beni culturali. Per effetto dell'individuazione la cosa risulta
appunto formalmente considerata bene culturale e pertanto sottoposta al
regime dettato dal Titolo I della parte seconda del Codice.
Per l'individuazione del bene culturale come «accertamento» del «valore Caratteri
culturale)) da compiersi con «atto amministrativo discrezionale, soggetto
al sindacato del giudice amministrativo)), v., ad esempio, Corte cost. sent.
118/1990.
È da dire che in tal uni casi tale procedimento non è richiesto (infra, par. 4.3) e
che in altri casi può non essere stato realizzato anche se previsto, e nondimeno
la cosa, che in ragione delle sue oggettive caratteristiche sia considerabile come
bene culturale, viene assoggettata al (pieno o parziale) regime giuridico dei
beni culturali (in/ra, par. 4.1). Ciò significa, in breve, che l'individuazione è
requisito sempre sufficiente ai fini dell'operatività della disciplina prevista
per i beni culturali, ma talora non necessario.
I meccanismi di individuazione sono vari, come del resto è varia la natura Appartenenza del
dell'atto in cui essi si sostanziano. Ciò dipende dall'appartenenza del bene bene culturale
culturale, ossia dall'identità del soggetto titolare della proprietà in ordine al
bene. Al riguardo sono da distinguere le seguenti situazioni: proprietà dello
Stato; proprietà di enti pubblici, territoriali (in particolare, Regioni, Province,
Comuni) e non, e di persone giuridiche private senza fine di lucro; proprietà
di persone fisiche e di persone giuridiche private con fine di lucro.
44 CAPITOLO l
Fra le persone giuridiche private senza fine di lucro sono esplicitamente ri-
compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (v. art. l, comma 5, art.
10, comma l, art. 30, comma 2, e art. 56, comma l, lett. b, Cod.) [Roccella
2008, par. 9; Sciullo 2008a, par. 3].
Inoltre è da tener conto delle diverse categorie cui i beni culturali vanno
ascritti.
I meccanismi di individuazione sono normati negli artt. 12 e 13 Cod., e con-
sistono rispettivamente nella «verifica» e nella «dichiarazione» dell'interesse
culturale.
Verifica dell'ime- Si tratta di una significativa novità rispetto alla disciplina del Tu.
resse culturale
L'art. 5 del Tu, riprendendo sostanzialmente quanto stabilito dagli artt. 4 e
58 della l. 1089/1939, prevedeva, infatti, che gli enti pubblici diversi dallo
Stato e le persone giuridiche private senza scopo di lucro presentassero al
ministero (se del caso anche con successive integrazioni) l'elenco descrittivo
delle cose di loro appartenenza aventi (presumibilmente) interesse artistico,
storico ecc. Così facendo, tali soggetti concorrevano all'individuazione, ossia
all'identificazione, dei beni culturali, compito questo al quale, nel caso di cose
di proprietà di altri soggetti privati (singoli o persone giuridiche con fine di
lucro), prowedeva il solo ministero, mediante la «dichiarazione» ex art. 6 del
decreto legislativo (in precedenza nota anche come «notifica»). Gli elenchi,
la cui trasmissione costituiva una mera segnalazione, anche quando validati
dal ministero, avevano un carattere meramente dichiarativo, tant'è che la non
inclusione in essi o nei loro aggiornamenti non era di ostacolo all'applicazione
della disciplina di tutela, sempre che le cose presentassero interesse culturale
e, di autore non più vivente, risalissero a oltre cinquant'anni (v. art. 5, comma
5, e art. 2, comma 6, d.lgs. 490/1999).
Questo sistema era fonte di non poche incertezze sul piano effettuale, sia
per la sottrazione al vincolo dell'inserimento in elenchi delle cose mobili e
immobili dello Stato - per i quali non si prevedeva nessun meccanismo di
individuazione -, sia per la generale inosservanza del vincolo nei casi previsti.
Pertanto, riprendendo quanto afferma la relazione di accompagnamento al
Codice, si può dire che per i beni culturali ad appartenenza pubblica operasse
«una presunzione generale di culturalità» (p. IV), solo in parte eliminata dagli
atti c.d. di «declaratoria», ossia recanti la dichiarazione di interesse storico,
artistico ecc., talora emessi dal ministero [Sciullo 2000a, 40 ss.]. Peraltro la
giurisprudenza, specie amministrativa, ha non di rado ritenuto che, ai fini
dell'applicabilità della disciplina di tutela, fosse necessario un qualche previo
atto dell'autorità ministeriale di «riconoscimento» della presenza dell'interesse
culturale (v., di recente Cons. Stato, sez. VI, 4010/2013 e 4497/2013; sulle tesi
in campo v. sez. VI, 3450/2007. Da ultimo, però, in un'apprezzabile- anche
per altri aspetti- sentenza, della sez. VI, 642/2017, si è riaffermato I' originario
consolidato orientamento in senso contrario).
PATRIMONIO E BENI 45
Elementi di novità furono portati dal d.p.r. 27 settembre 2000, n. 283. Da un lato,
come stimolo alla compilazione degli denchi, esso sancì, a regime, l'inalienabilità
degli immobili culturali, non inseriti, appartenenti al demanio degli enti minori
(art. 6, comma 2). Per altro verso, estese il vincolo della loro compilazione, con
il corredo dei «dati identificativi degli immobili interessati», alle amministra-
zioni statali coinvolte in processi di dismissione o valorizzazione di beni. Per
altro verso, infine, stabilì che il ministero, ricevuti gli denchi, provvedesse ad
«individua[re] gli immobili che manifestamente non rivest[ivano] interesse
storico e artistico e quelli la cui alienazione e conferimento in concessione o in
convenzione [erano] soggetti ad autorizzazione», in quest'ultimo caso eviden-
temente sulla base della riconosciuta presenza dell'interesse artistico e storico
(art. 19, commi l, 2 e 4). L'art. 12 Cod. riprende e perfeziona le previsioni del
d.p.r. 283/2000.
Detto in termini schematici, le cose mobili e immobili indicate all'art. 10, Procedimento
comma l (ossia quelle che, appartenendo a enti pubblici o a persone giuridiche
private senza scopo di lucro, presentino interesse artistico, storico ecc.), che
siano di autore non più vivente e risalgano a oltre cinquanta anni, se mobili,
o settanta, se immobili, vengono sottoposte a un apposito procedimento di Esito della verifica
verifica da parte del Mibact, volto ad accertare la sussistenza o meno di detto
interesse (art. 12, comma 2). In attesa della verifica, tali cose sono in via prov-
visoria soggette alla disciplina di tutela prevista dal Codice (art. 12, comma 1).
In particolare, sono in ogni caso inalienabili (art. 54, comma 2, lett. a). L'esito
della verifica- che è promossa d'ufficio o su richiesta dell'ente proprietario
-se positivo, comporta la definitiva sottoposizione del bene alla disciplina di
tutela, se negativo, la fuoriuscita da detta disciplina, la sdemanializzazione,
nel caso di bene demaniale, e la libera alienabilità (le due ultime conseguenze
peraltro si producono sempre che non vi ostino ragioni di regime giuridico
diverso da quello inerente i beni culturali) (art. 12, commi 4-7, art. 54, comma
2, lett. a, art. 56, comma 4-sexies).
Tale meccanismo, semplice nelle sue linee portanti e senz' altro condivisibile per
l'intento di superare la descritta situazione di incertezza dei beni pubblici con
possibile valenza culturale, fu anticipato, quanto alla sua previsione ed entrata
in vigore, dall'art. 10 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (il c.d. «maxidecreto
finanziario») conv. con mod. nella l. 24 novembre 2003, n. 326, che peraltro lo
riprese pressoché integralmente dallo schema del Codice deliberato il giorno
precedente dal Consiglio dei ministri, aggiungendovi peraltro, come subito si
dirà, il c.d. «silenzio-assenso».
Con riferimento alla condizione d'inalienabilità (che può definirsi provvisoria
quanto agli effetti e cautelare quanto alle finalità che persegue) prima della ve-
rifica, va sottolineato che essa è assoluta, cioè non suscettibile di essere superata
da eventuali autorizzazioni del ministero- anche se non preclude i trasferimenti
fra enti territoriali (art. 54, comma 3) -, concerne tanto i beni mobili che gli
immobili e prescinde dalla natura del bene, ossia non investe solo i beni che, una
volta accertato l'interesse culturale, comporrebbero i «beni culturali demaniali».
L'unica incertezza della disciplina riguarda il fatto se, oltre all'appartenenza del
bene a un soggetto pubblico o privato non pro/it, all'essere esso opera di un
46 CAPITOLO l
autore non più in vita e a risalire a oltre cinquanta anni o, a seconda dei casi,
settanta, si richieda anche un /umus (o parvenza) di culturalità. Nel silenzio
della norma la risposta affermativa pare la più equilibrata e aderente alla ratio
del meccanismo di accertamento previsto.
Quanto agli aspetti di regime della verifica, merita di rilevare anzitutto che, ai
fini di un esito positivo della stessa, occorre un interesse culturale «semplice»
-o come esattamente sottolinea la relazione di accompagnamento (pp. IV s.),
«senza aggettivazioni» -, e non quello «qualificato» viceversa richiesto per la
«dichiarazione» dei beni appartenenti a privati profit (v. art. 12, comma 2, in
rapporto all'art. 13 ). Inoltre, la verifica positiva è equiparata a tutti gli effetti
alla «dichiarazione>> previ~ta dall'art. 13, e pertanto il relativo prowedimento
va trascritto nei registri immobiliari (art. 12, comma 7).
Da ultimo è da ricordare che le disposizioni dell'art. 12 si applicano «anche
qualora i soggetti cui esse appartengono mutino in qualunque modo la loro
natura giuridica» (comma 9). La disposizione fa riferimento in particolare ai
casi di privatizzazione di enti pubblici, ma può riguardare anche la trasforma-
zione di enti privati non pro/it in soggetti con finalità di lucro. Essa sembra
implicare che, se la trasformazione interviene prima che sia stata effettuata la
verifica, la cosa sia soggetta a verifica e non a dichiarazione, ai sensi dell'art. 13,
e nel frattempo sia sottoposta a tutela prowisoria, mentre, se la trasformazione
interviene dopo, che la verifica effettuata conservi inalterati i suoi effetti.
li meccanismo della verifica fu anticipato dal d.l. 269/2003, che lo riprese dallo
schema del Codice approvato in precedenza dal Consiglio dei ministri, ma
con l'aggiunta di una tempistica per il suo svolgimento nel caso di immobili,
tempistica che nel corso dei lavori parlamentari di conversione in legge del
decreto venne perfezionata con l'introduzione del silenzio significativo (il c.d.
Silenzio-assenso <<silenzio-assenso»): <<La mancata comunicazione [dell'esito della verifica da
parte della soprintendenza regionale del Mibact all'Agenzia del demanio] nel
termine complessivo di centoventi giorni dalla ricezione della scheda [de-
scrittiva contenente i dati conoscitivi relativi ai singoli immobili inseriti negli
elenchi] equivale a esito negativo della verifica» (art. 27, comma 10). Sempre
nel decreto legge tale meccanismo concerneva gli immobili dello Stato e degli
altri enti pubblici, territoriali e non (art. 27, comma 2).
L'originario art. 12, comma 10, Cod., nel mantenere fermo quanto disposto
dall'art. 27, commi 8, 10, 12,13 e 13-bis del d.l. 269/2003, lasciò in vigore
il silenzio-assenso. La nuova stesura della disposizione, operata dal d.lgs. 24
marzo 2006, n. 156, recante le «Disposizioni correttive e integrative al d.lgs.
22 gennaio 2002, n. 42, in relazione ai beni culturali», ha però determinato
il suo superamento, essendosi limitato a prevedere che <<il procedimento di
verifica si conclude entro centoventi giorni dal ricevimento della richiesta»
(comma 10). Pertanto il mancato rispetto del termine risulta ora qualificabile
Silenzio-inadem- solo come <<silenzio-inadempimento», possibile oggetto di ricorso al giudice
pimento amministrativo.
La dichiarazione si riferisce alle cose indicate all'art. 10, comma 3 (comma 1).
48 CAPITOLO 1
Procedimento Venendo al procedimento è da dire che l'art. 14 prevede che il suo avvio spetti
al soprintendente di settore (competente per materia), d'ufficio o su richiesta
di un ente territoriale minore (comma 1). Per il resto la disciplina è modellata
secondo le regole fissate dalla l. 24111990, che già seguiva l'art. 7 del Tu. In
particolare dell'avvio va data comunicazione al proprietario, al possessore o al
detentore della cosa, soggetti questi ai quali andrà notificata la dichiarazione.
Nella comunicazione sono da indicare, tra l'altro, gli elementi identificativi del
bene, le ragioni che spingono a ravvisare la presenza dell'interesse qualificato
richiesto dall'art. 10, comma 3, e gli effetti cautelari discendenti dalla comuni-
cazione medesima, consistenti nell'applicazione immediata delle norme dettate
PATRIMONIO E BENI 49
dal capo II, dalla sez. I del capo III e dalla sez. I del capo IV del Titolo I della
parte seconda, in tema rispettivamente di vigilanza e ispezione, di protezione
e di circolazione in ambito nazionale, fino alla scadenza del termine del pro-
cedimento di dichiarazione.
I.: atto di dichiarazione va assunto dal ministero. Per i beni archivistici e, a
seguito dell'art. 5 del d.m. 23 gennaio 2016, per quelli librari spetta al titolare
della soprintendenza archivistica e bibliografica territorialmente competente
ai sensi dell'art. 36, comma 2, lett. b, del d.p.c.m. 17112014. Per gli altri beni
culturali il soprintendente archeologia, belle arti e paesaggio, competente per
territorio, istruisce e propone alla commissione regionale per il Patrimonio
culturale di riferimento l'atto di dichiarazione ai sensi dell'art. 4, comma l,
lett. l, del d.m. 23 gennaio 2016 e dell'art. 39, comma 2, lett. b, del d.p.c.m n.
171/2014. I.: art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B (supra, par. 3) prevede che
relativamente alle «cose di cui all'articolo 10, comma 3 lettera d-bis [quindi ad
appartenenza sia privata sia pubblica] la dichiarazione è adottata dal competente
organo centrale del ministero».
Avverso la dichiarazione, come pure contro l'atto conclusivo della verifica Ricorso ammini-
ex art. 12, l'art. 16 introduce rispetto al Tu la previsione di un ricorso ammi- strativo
nistrativo per motivi di legittimità e di merito (comma 1), specie per questo
aspetto più «appetibile» [Brocca 2007, 123 s.] di quello giurisdizionale, che
peraltro non resta precluso.
Per le cose menzionate dall'art. 10, comma 2, l'art. 13, comma 2, non richiede Beni culturali ex
la dichiarazione. Per esse, d'altro canto, non è prevista la verifica (arg. art. 12, lege
comma 1). Si tratta dei beni culturali <(ex lege» [Maglieri 2007, 114], per i
quali l'interesse culturale è considerato sussistere di per sé, senza la necessità
che intervenga un atto dell'autorità di tutela che ne accerti l'esistenza.
La qualificazione come bene culturale di una cosa, in conseguenza dei soli Qualificazione co·
caratteri oggettivi presentati o a seguito dell'individuazione, determina la me bene culturale
soggezione a una disciplina pubblicistica contenuta (fondamentalmente) nel
Codice, ma non comporta un'alterazione della relazione di appartenenza, in
particolare l'avocazione della cosa alla proprietà pubblica. La cosa mantiene
l'appartenenza pubblica o privata preesistente e conserva, di massima, inva-
riato il conness9 statuto proprietario. Ciò che è nuovo è, invece, la sottopo-
sizione a una disciplina pubblicistica che si sovrappone a quella che la cosa
aveva a prescindere dalla sua configurazione come bene culturale.
La configurazione in termini unitari dei beni culturali fu prospettata tempo Configurazione
addietro da Giannini [ 197 6, 21 ss.] e conserva tuttora attualità, perché an- unitaria dei beni
cora in grado di fornire una risposta adeguata ai problemi d'inquadramento culturali
offerti dalla materia.
npunto di partenza è dato dalla distinzione fra cosa e bene giuridico, ossia fra
un'entità che forma parte del mondo fisico o dello spirito e la sua attitudine a
soddisfare un interesse umano, e quindi a essere qualificata e disciplinata dal
diritto. La cosa che costituisce il (supporto del) bene culturale è oggetto di
una doppia qualificazione giuridica: in quanto possibile oggetto di interessi
economici -e quindi di diritti reali o obbligatori- essa è bene patrimoniale,
come tale disciplinata dalle norme dettate dal codice civile o di carattere
speciale in tema di diritti patrimoniali; in quanto portatrice di un «valore
culturale», rilevato dal legislatore o accertato in sede di individuazione, è bene
culturale, come tale assoggettata alle norme contenute (fondamentalmente)
nel Codice, che conferiscono al potere pubblico delle potestà concernenti
non l'utilizzazione patrimoniale della cosa, ma la sua conservazione e il suo
godimento da parte della collettività.
Di qui la coesistenza di due aree di regolamentazione giuridica, astrattamente Due aree di rego-
autonome l'una dall'altra, perché consideranti profili diversi della cosa (quello lamentazione giu-
economico, l'una, quello culturale, l'altra), ma necessariamente sovrapponen- ridica
tesi, con l'effetto di comportare limitazioni alle facoltà spettanti al soggetto
proprietario e ai suoi aventi titolo, giacché relative alla stessa entità.
Per chiarire ulteriormente: una tela, una statua, un edificio sono, da un lato,
beni patrimoniali, di proprietà di un soggetto, privato o pubblico, e possibile
oggetto di altri diritti reali o obbligatori, dall'altro, se presentanti un interesse
artistico, storico ecc., beni culturali, e perciò sottoposti a potestà pubblicistiche
che ne condizionano l'uso (c.d. gestione) e il trasferimento (c.d. circolazione).
Ai due diversi beni corrispondono due diversi e distinti valori: valore commer-
ciale e valore culturale, ciascuno dipendente da valutazioni e «logiche» diverse.
La distinzione fra cose e beni in senso giuridico risale a Pugliatti [ 1962, 195 ss.].
Il fenomeno della pluralità delle qualificazioni giuridiche, in forza del quale un Pluralità delle qua-
medesimo fatto naturale o umano è suscettibile di plurime valutazioni è cor- lificazioni giuridi-
rente nel mondo giuridico. Nel settore dei beni culturali vale la pena osservare che
che possono darsi anche tre qualificazioni della stessa cosa: nel caso dei beni
culturali d'interesse religioso, oltre alle due qualificazioni comuni a tutti i beni
52 CAPITOLO l
Elementi unifi- Di qui anche la configurazione del valore culturale come primo elemento
canti: valore cultu- unificante i beni culturali, in quanto capace di perimetrarne la categoria,
rale ... nonostante la molteplicità tipologica delle cose che la compongono.
... immaterialità... Altri elementi unificanti sono rappresentati dalla immaterialità e dalla pub-
blicità.
nbene culturale è bene immateriale, perché immateriale è il valore culturale
che opera da elemento di qualificazione della categoria.
Occorre peraltro tenere distinta l'immaterialità del bene culturale dalla ma-
terialità della cosa che funge da supporto del bene.
Come si è in precedenza rilevato (supra, par. 1), solo le cose materiali (entità
cioè del mondo fisico) sono prese in considerazione dal Codice e compongono
i tipi normativi dei beni culturali. Quando parla di immaterialità del bene cul-
turale la dottrina vuole esprimere l'idea che la cosa materiale (la tela, la statua,
l'edificio) è bene culturale perché dotata di un carattere (il <<Valore culturale»)
che è immateriale. L'immaterialità viene a connotare quindi il bene culturale
[sul valore immateriale dei beni culturali v. Morbidelli 2014, l ss.].
... pubblicità nbene culturale è, poi, bene pubblico, non in ragione della sua appartenenza,
ma «in quanto bene di fruizione» [Giannini 197 6, 31], e cioè nel senso della
necessaria fruibilità da parte della collettività del valore culturale. n carattere
pone in evidenza, in sin toni a con la lettura congiunta dei due commi dell'art.
9 Cost. [Rolla 1987, 61], la destinazione del bene culturale a fattore di pro-
mozione culturale, in quanto possibile oggetto di fruizione da parte della
generalità dei consociati. n che funge da base legittimante per l'assegnazione
alla pubblica amministrazione, da parte della legge, di poteri volti ad assicurare
la conservazione e il godimento del bene culturale.
La connessione fra i due commi dell'art. 9 Cost., come pure il loro fungere
da fondamento per una specifica disciplina di tutela del bene culturale anche
incidente sullo statuto della proprietà privata, emerge chiaramente nella giuri-
sprudenza della Corte costituzionale laddove si afferma che <<lo Stato, nel porsi
gli obiettivi della promozione e dello sviluppo della cultura, deve provvedere
alla tutela dei beni che sono testimonianza materiale di essa e assumono rilievo
strumentale per il raggiungimento di siffatti obiettivi» (sentenza n. 118/1990,
cit., p. 664) e che «l'esigenza di conservare e di garantire la fruizione da parte
della collettività delle cose di interesse storico e artistico [. .. ] giustifica, di
conseguenza, per tali beni l'adozione di particolari misure di tutela che si rea-
PATRIMONIO E BENI 53
Dopo aver considerato i caratteri dei beni culturali occorre ora analizzare i Beni culturali co-
tratti che essi presentano come beni patrimoniali, più esattamente la disciplina me beni patrirno-
giuridica che concerne le cose fungenti da supporto ai beni culturali, in quanto niali
oggetto -lo si è già precisato - di qualificazione come beni patrimoniali.
Tale disciplina è contenuta fondamentalmente nel codice civile, ma è necessa-
rio tener conto anche di disposizioni dettate in altri atti normativi tra i quali lo
stesso Codice, che, se in prevalenza si occupa dei profili dei beni culturali, non
manca di regolamentare altresì aspetti concernenti i beni patrimoniali sottesi.
Ne deriva pertanto una certa complessità di lettura, accentuata dall'evoluzione
non sempre lineare della legislazione. Va precisato poi che la circolazione dei
diritti sui beni sarà considerata nel successivo paragrafo 9.1, mentre in questo
ci si limiterà a esporre la sola disciplina di base.
Come si è accennato, il fatto che una cosa sia qualificata come bene culturale Beni di proprietà
non altera la relazione di appartenenza che la contraddistingueva prima privata
della qualificazione: la cosa è conservata nella proprietà preesistente. Di
qui la distinzione fra beni culturali di proprietà privata e quelli di proprietà
pubblica.
Per gli uni non c'è che fare rinvio in blocco alla disciplina codicistica.
54 CAPITOLO l
Beni di proprietà Sui beni culturali di proprietà pubblica occorre viceversa soffermarsi, giacché
pubblica la loro tipologia è diversificata, potendo essi rientrare in tutte e tre le classi in
cui si articolano i beni pubblici.
Demanio acciden- • Anzitutto fanno parte del demanio c.d. accidentale dello Stato, delle
tale Regioni a statuto ordinario, delle Province e dei Comuni, gli «immobili
riconosciuti d'interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi
in materia» e inoltre «le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi
e delle biblioteche».
Tale disciplina risulta dagli artt. 822, comma 2, 824, comma l, cod. civ. e dall'art.
11, comma l, della l. 16 maggio 1970, n. 281.
Demanio accidentale significa che le cose appena indicate possono essere di
proprietà pubblica (di titolarità degli enti territoriali- Stato, Regioni, Province
e Comuni- e di quelli non territoriali) o privata. Sono demaniali solo se appar-
tengono agli enti territoriali.
Va notato che per le cose in esame la qualificazione come bene culturale
è presupposto per la demanialità: un edificio dello Stato privo di interesse
artistico ecc. non è bene demaniale, ma patrimoniale (a meno che non sia
demaniale per altri profili).
È da rilevare altresì che, per le raccolte, la demanialità concerne il complesso
delle cose che le compongono, non le singole unità, sicché quando siano avulse,
nei modi di legge, dalle raccolte medesime, esse si sottraggono al regime dei
beni demaniali [Zanobini 1958, 133].
Demanio culturale I beni in questione, in base all'art. 53 Cod., costituiscono il nuovo genus del
«demanio culturale>>.
Demanio origina- • Ai sensi dell'art. 91, comma l, Cod. vanno ascritte al demanio (definibile
rio dello Stato come) originario dello Stato le cose immobili, indicate all'art. 10 Cod., «da
chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini».
Non sembra corretto definire tali cose come rientranti nel demanio c.d.
necessario dello Stato (cioè a esclusiva appartenenza di questo), dal momen-
to che l'art. 54, comma 3, ne consente la trasferibilità dallo Stato agli enti
territoriali minori. Resta comunque il dato che la loro titolarità può essere
dei soli enti territoriali.
PATRIMONIO E BENI 55
• Rientrano, viceversa, nel patrimonio indisponibile dello Stato le medesime Patrimonio indi-
cose, se mobili (art. 826, comma 2, cod. civ. e art. 91, comma l, Cod.). sponibile dello
Stato
È dubbio se le cose mobili indicate all'art. lO Cod., quando non costituiscano
oggetto di ritrovamento e appartengano allo Stato o ad altro ente pubblico,
rientrino nel patrimonio in disponibile dell'ente. In passato fu autorevolmente
sostenuta [Sandulli 1989, 779] la soluzione affermativa, sulla base degli artt. 23
ss. della l. 1089/1939- v. ora l'art. 56 Cod.- che sancivano l'alienabilità previa
autorizzazione di dette cose. Tuttavia, proprio perché non era (e continua a
non essere) prevista una vera inalienabilità, nel silenzio delle norme appare
preferibile ritenere che tali cose facciano parte del patrimonio disponibile,
sia pure con la sottoposizione, come consente l'art. 828, comma l, cod. civ., a
«regole particolari che le concernono».
È il caso di awertire che fra le cose mobili di cui all'art. 10, richiamate dall'art.
91, comma l, Cod. non possono ricomprendersi le raccolte dei musei, delle
pinacoteche, degli archivi e delle biblioteche, che, come sopra precisato, fanno
parte del demanio culturale ai sensi dell'art. 53, comma l, Cod.
• Sempre nel patrimonio indisponibile, ma di qualsiasi ente pubblico, rien- Patrimonio indi-
erano i beni ctÙturali - che non siano ad altro titolo demaniali o indisponibili sponibile
- consistenti in edifici sedi di uffici pubblici e in loro arredi o comunque
destinati a un pubblico servizio.
• Tutti gli altri beni ctÙturali pubblici non ascrivibili ai beni demaniali né a Beni disponibili
quelli patrimoniali indisponibili vanno considerati beni disponibili.
con il momento in cui il bene risulta riconducibile a uno dei tipi configurati
dalla norma come demaniali o patrimoniali indisponibili - talora a tal fine ri-
chiedendosi una certa destinazione da parte dell'amministrazione (è il caso dei
beni da ultimo indicati) -e sussista l'appartenenza da parte dell'ente pubblico
previsto dalla norma medesima. Tuttavia per gli immobili che compongono
il demanio culturale queste condizioni non paiono più sufficienti. L'art. 822,
comma 2, cod. civ. parla invero di «immobili riconosciuti d'interesse storico
[ ... ] a norma delle leggi in materia)), il che suggerisce la necessità che intervenga
un atto di riconoscimento di tale interesse per la riconducibilità di detti beni al
demanio culturale. E ora - a differenza che nel passato - il Codice ha previsto
nella verifica di cui all'art. 12 tale atto. Pertanto può concludersi che la dema-
nialità culturale, per gli immobili, richieda fra i requisiti anche l'esito positivo
della verifica (mentre ciò continua a non valere per le raccolte dei musei, delle
pinacoteche, degli archivi e delle biblioteche, che come precisato supra, par.
4.3, sono beni culturali ex lege).
... cessazione La cessazione poi della demanialità o della indisponibilità si verifica quando
il bene perde i caratteri del tipo previsto dalla norma al quale apparteneva- a
tal fine richiedendosi il venir meno dell'eventuale destinazione che costituiva
presupposto per la riconducibilità al tipo- oppure, quando ciò sia consentito
dalla legge, venga meno l'appartenenza all'ente pubblico (per un'eccezione
peraltro in/ra, in questo stesso paragrafo).
Regime dei beni • La disciplina dei beni demaniali è dettata dall'art. 823, comma l, cod.
demaniali civ., secondo il quale essi «sono inalienabili e non possono formare oggetto
di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che
lncommerciabilità li riguardano)). È questa la regola dell'incommerciabilità.
In termini generali si ritiene che la regola concerna solo i beni che non possono
che appartenere al demanio statale o che sono necessariamente legati a un certo
ente (ad esempio, le piazze di un centro urbano), mentre per quelli suscetti-
bili di appartenere anche ad altri enti territoriali valga la diversa regola della
trasferibilità, nel rispetto peraltro di un eventuale legame con un determinato
territorio. È da pensare, pertanto, che, ad esempio, un immobile d'interesse
storico possa passare dalla proprietà dello Stato a quella di un altro ente
territoriale, ma se l'immobile risulta strettamente legato a un certo territorio
(perché «emblema)), ad esempio, di una città), la sua trasferibilità sia ristretta
agli enti che annoverano quel territorio come elemento costitutivo [sul punto
Sandulli 1989, 798 s.].
Sottrazione alla ga- Tale regola si manifesta altresì nella sottrazione degli stessi beni alla garanzia
ranzia patrimoniale patrimoniale (non assoggettabilità a espropriazione forzata, né a esecuzione in
e all'espropriazione
forma specifica) e all'espropriazione per pubblica utilità (v. ora art. 4, comma
lnusucapibilità l, del d.p.r. 8 giugno 2001, n. 23 7) nonché nella inusucapibilità (acquisizione
della proprietà a seguito del possesso nel tempo).
PATRIMONIO E BENI 57
• A loro volta i beni patrimoniali indisponibili sono soggetti alla disciplina Regime dei beni
posta dall'art. 828, comma l, cod. civ., per la quale essi «non possono essere patrimoniali indi-
sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li ri- sponibili
guardano». La regola generale desumibile dalla disposizione è dunque quella
della non sottraibilità del bene alla finalità cui è destinato, che comporta la Non sottraibilità
nullità degli atti che determinino tale risultato (ex art. 1418 cod. civ.; v. ora alla destinazione
anche art. 164, comma l, Cod.).
Il che non esclude peraltro che in taluni casi ricorra una vera e propria ina- Inalienabilità
lienabilità. Pare questo il caso dei beni mobili oggetto di ritrovamenti, perché
«riservati» allo Stato, come si è detto, dagli artt. 91, comma l, Cod. e 826,
comma 2, cod. civ.
In generale, però, purché sia conservata la destinazione del bene, si ritengono Non soggezione
possibili l'alienazione ad altro ente pubblico al quale sia stato conferito il servizio all'espropriazione
pubblico espletato con il bene, l'usucapione, la costituzione di diritti reali a forzata
favore di terzi e l'espropriazione per pubblica utilità (in vista di un interesse
pubblico prevalente) (v. ora art. 4, comma2, d.p.r. 237/2001), mentre è esclusa
l'espropriazione forzata [Sandulli 1989,796 ss.; Casetta 2012, 214].
• Per i beni, infine, rientranti nel patrimonio disponibile vale, ai sensi dell'art. Regime dei beni
828, comma l, cod. civ., la disciplina comune (ai beni dei privati), fatta salva patrimoniali di-
la specifica regolamentazione contenuta nelle leggi che li riguardino. sponibili
La disciplina dei beni pubblici sinteticamente appena ricordata trova appli-
cazione anche ai beni culturali ad appartenenza pubblica come disciplina
di carattere generale o di base. Peraltro integrazioni e deroghe significative
- comportanti pertanto una disciplina di carattere speciale - sono presenti
nella legislazione di settore e in particolare nel Codice. Di esse occorre ora
fare indicazione.
Preliminarmente merita un cenno l'amministrazione dei beni culturali dello Stato Amministrazione
e degli enti pubblici. A qualunque tipo essi appartengono, l'amministrazione com-
pete ad apposite strutture dei vari enti. Nel caso dello Stato i beni, se immobili,
sono amministrati di massima dal ministero delle Finanze (art. l, comma l, del
r.d. 18 novembre 1923, n. 2440), ora ministero dell'Economia e delle Finanze,
per il tramite dell'Agenzia del demanio (artt. 23 e 65 del d.lgs. 30 luglio 1999, n.
300). Peraltro se assegnati a servizi governativi, essi s'intendono concessi in uso
gratuito ai ministeri che curano i servizi in questione e sono da questi amministrati
(art. l, comma 2, del r.d. 2440 e art. 21 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827).
Viceversa l'amministrazione dei beni mobili spetta al singolo ministero che li
ha in uso (art. l, comma 3, del r.d. 2440).
Dei beni immobili e mobili sono previsti inventari, distinti secondo i tipi di
appartenenza (art. 2 del r.d. 2440 e artt. l ss. del r.d. 827).
Simile all'inventariazione in termini materiali, ma diversa sotto il profilo fun- Catalogazione
zionale è la catalogazione dei beni culturali prevista dall'art. 17 Cod.
Mentre la prima tende a comporre l'elenco di tutti i beni posseduti da un ente
a prescindere dal loro valore culturale, la seconda si propone di raccogliere in
documenti denominati «schede» tutte le notizie di carattere storico, artistico
e giuridico concernenti i singoli beni culturali [Vaccaro Giancotti 2000, 67].
58 CAPITOlO l
Destinazione alla I beni culturali (come pure i beni paesaggistici) ad appartenenza pubblica
fruizione coli et- sono «destinati alla fruizione della collettività». Con tale previsione I' art.
ti va 2, comma 4, Cod. ha esteso a tutti i beni culturali pubblici l'affermazione
che il Tu, all'art. 98, riferiva ai soli beni demaniali. Peraltro, secondo la
stessa norma, la destinazione incontra un limite nelle «esigenze di uso isti-
tuzionale» dei beni e nella esistenza di «ragioni di tutela» (ossia esigenze
di conservazione) degli stessi. Il limite delle «esigenze di uso istituzionale))
viene meno nel caso dei beni culturali inalienabili, che secondo l'art. 54,
comma 4, possono essere utilizzati «esclusivamente secondo le modalità e
per i fini previsti dal Titolo II della [ ... ] parte [seconda])), concernente la
fruizione/valorizzazione.
In tema di alienabilità dei beni culturali alla disciplina civilistica si sovrappone Alienabilità
significativamente la disciplina di settore, specie quella contenuta negli artt.
53 ss. Cod. (l'argomento verrà trattato diffusamente in/ra, cap. 3, par. 3.1).
Per il momento è sufficiente osservare che, in deroga al regime generale dei
beni pubblici:
- non tutti i beni del demanio culturale sono inalienabili (arg. art. 54, commi
l e 2, e art. 55);
- all'opposto a essere inalienabili non sono solo beni del demanio culturale,
ma anche beni (o cose) facenti parte del patrimonio indisponibile e di quello
disponibile (art. 54, comma 2, lett. a e c).
È opportuno, infine, accennare al fatto che a partire dall'ultimo decennio Evoluzione nor·
dello scorso secolo i beni pubblici, e in particolare quelli dello Stato, sono stati mativa
interessati da un processo di razionalizzazione, valorizzazione e dismissione.
Tale processo è iniziato con il d.l. 5 dicembre 1991, n. 386, con v. nella l. 29
gennaio 1992, n. 35, ed è proseguito con una serie di atti normativi tra i quali
possono ricordarsi le ll. 23 dicembre 1996, n. 662 (art. 3, comma 86), 23
dicembre 1998, n. 448 (art. 19), 2 aprile 2001, n. 136, e il d.l. 25 settembre
2001, n. 351 (art. 3 ), con v. nella l. 23 novembre 2001, n. 410 [sul punto Mari
2002, 820 s.].
Il processo ha coinvolto anche i beni pubblici aventi natura di beni culturali. Patrimonio dello
Sono da segnalare al riguardo l'istituzione a opera del d.l. 15 aprile 2002, Stato s.p.a.
n. 63, conv. nella l. 15 giugno 2002, n. 112, della «Patrimonio dello Stato
s.p.a.» (con compiti di valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio
dello Stato) e l'autorizzazione, contenuta nel medesimo atto normativa, alla
Cassa depositi e prestiti di costituire «Infrastrutture s.p.a.» (con compiti di Infrastrutture
finanziamento soprattutto di infrastrutture e opere pubbliche) (artt. 7 e 8). s.p.a.
Per la prima società l'art. 33, comma 8 del d.l. 6luglio 2007, n. 2011, n. 98,
conv. dalla l. 15luglio 2011, n. 111, ha disposto lo scioglimento e la messa in
liquidazione, mentre per la seconda l'art. l, comma 79, della l. 23 dicembre
2005, n. 266, ha stabilito l'incorporazione nella Cassa depositi e prestiti s.p.a.
Alla Patrimonio dello Stato s.p.a. potevano essere trasferiti, a titolo gratuito, Regime giuridico
diritti su beni del demanio e del patrimonio disponibile e indisponibile dello
Stato. Il trasferimento di beni «di particolare valore artistico e storico [andava]
effettuato d'intesa con il ministro per i Beni e le attività culturali». ll trasfe-
rimento non modificava il regime giuridico, previsto dagli artt. 823 e 829,
comma l, cod. civ., dei beni demaniali trasferiti. Restavano comunque fermi
i vincoli gravanti sui beni trasferiti (art. 7, comma 10). Conseguentemente la
direttiva Cipe del 19 dicembre 2002 aveva stabilito che l'alienazione di beni
culturali da parte della società potesse avvenire solo nei casi consentiti dalla
legge e comunque previa autorizzazione del Mibact.
60 CAPITOLO 1
LETTURE DI APPROFONDIMENTO
Sui profili storici della normazione sui beni culturali: W. Vaccaro Gian cotti (a cura di), Beni e attività
culturali nell'evoluzione del sistema giuridico. La legge 1089/1939: dottrina, giurisprudenza, legislazione
a confronto, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1998; R. Balzani, Per le antichità e le belle arti.
La legge n. 364 del20 giugno 1909 e l'Italia giolittiana, Bologna, Il Mulino, 2004; L. Casini, I beni
culturali da Spadolini agli anni Duemila, in AA.W., Le amministrazioni pubbliche tra conservazione
e riforme. Omaggio degli allievi a Sabino Cassese, Milano, Giuffrè, 2009, pp. 423 ss.; C. Campanella,
Due secoli di tutela. Dagli stati preunitari alle leggi deroga, Firenze, Alinea, 2012; A. Emiliani, Leggi,
bandi e provvedimenti per la tutela dei beni artistici e culturali negli antichi stati italiani 1571-1860,
Firenze, Polistampa, 2015; G. Melis, Dal Risorgimento a Bottai e a Spadolini. La lunga strada dei beni
culturali nella storia dell'Italia unita, in «Aedon», 2016, n. 3.
Sul quadro costituzionale: F. Rimoli, L'arte, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo,
vol. Il: Diritto amministrativo speciale, II ed., Milano, Giuffrè, 2003, pp. 1513 ss.; F.S. Marini, Lo
statuto costituzionale dei beni culturali, Milano, Giuffrè, 2002; A. Mignozzi, La disciplina dei beni
culturali tra tradizione e innovazione. Tutela, gestione e valorizzazione, in F. Lucarelli (a cura di),
Ambiente, territorio e beni culturali nella giurisprudenza costituzionale, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 2006, pp. 319 ss.; G. Clemente di San Luca, La elaborazione del «diritto dei beni culturali»
nella giurisprudenza costituzionale, in «Aedon», 2007, n. l; F. Merusi, Pubblico e privato e qualche
dubbio di costituzionalità nello statuto dei beni culturali, in «Dir. amm.», 2007, pp. l ss.; S. Settis,
La tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e l'art. 9 cast., Napoli, Jovene, 2008; R. Chiarelli,
Pro/ili costituzionali del patrimonio culturale, Torino, Giappichelli, 2010; G. Volpe, Un patrimonio
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Sul Codice: M. Cammelli, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio: dall'analisi all'applicazione,
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ed.», 2004, pp. 140 ss.; G. Sciullo, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio: principi dispositivi
ed elementi di novità, in «Urb. app.», 2004, pp. 763 ss.; G. Severini, I principi del codice dei beni
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Codice dei beni culturali e del paesaggio, Roma, Bardi, 2004; A.M. Angiuli e V. CaputiJambrenghi,
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La codificazione del diritto dei beni culturali in Italia e in Francia, in «Gior. dir. amm.>>, 2005, pp.
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tra teoria e prassi, Milano, Giuffrè, 2006; M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del
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Con riferimento ai correttivi introdotti al Codice dai d.lgs. 26 marzo 2008, nn. 62 e 63, v. i com-
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Carpentieri, Il secondo «correttivo» del codice dei beni culturali e del paesaggio, in «Urb e app.»,
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Con riferimento al Codice: G. Pastori, Art. 10 e Art. 11, in Cammelli, Il codice, cit., pp. 97 ss.; G.
Famiglietti e D. Cadetti, Art. 10 e Art. 11, in Tarniozzo (a cura di), Il Codice, ci t., pp. 31 ss.; M. Ren-
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proprietà pubblica: aspetti pubblicistici, Padova, Cedam, 2008; F. Petrocelli Huebler, I beni culturali
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centro storico come bene paesaggistico a valenza culturale, in «Aedon», 2015, n. 2; L. Malnati, M.G.
Fichera e S. Martone, La tutela del patrimonio archeologico italiano: i limiti dell'attuale normativa e
nuove proposte di integrazione al Codice, in «Aedon», 2015, n. 3; G. Severini, Centri storici: occorre
62 CAPITOLO l
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PATRIMONIO E BENI 63
Possono inoltre utilmente consultarsi manuali e voci di enciclopedie e trattati, quali in particolare:
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nella legislazione costituzionale e ordinaria. Analisi, proposte e prospettive di riforma. Appendice di
aggiornamento, Torino, Giappichelli, 2009; A. Bartolini, voce Beni culturali (diritto amministrativo),
in Enc. dir, Annali VI, Milano, Giuffè, 2013, pp. 93 ss. F. Lemme, Compendio di diritto dei beni
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III ed., Padova, Cedam, 2013; A. Crosetti e D. Vaiano, Beni culturali e paesaggistici, IV ed., Torino,
Giappichelli, 2014; A. Morrone, Lineamenti di diritto dei beni culturali e del paesaggio, Milano, Giuffrè,
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Il nuovo diritto dei beni culturali, Venezia, Cafoscarina, 2016; M. Montella (a cura di), Economia e
gestione dell'eredità culturale, Padova, Cedam, 2016.
Organizzazione e soggetti
Salvo quanto si avrà modo di illustrare meglio, nelle pagine che seguono, è utile
ricordare, sin da ora, quanto stabilisce l'art. l del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42
e succ. mod, con il quale è stato approvato il «Codice dei beni culturali e del
paesaggio». In questa disposizione, volta a enunciare i principi della disciplina
codicistica, dopo essersi stabilito, nel comma l , che la Repubblica, in attua-
zione dell'art. 9 Cast., «tutela e valorizza il patrimonio culturale in coerenza
con le attribuzioni dell'art. 117 della Costituzione)), si specificano i compiti e
le funzioni spettanti ai diversi soggetti, precisando che: «Lo Stato, le Regioni,
le Città metropolitane, le Province e i Comuni assicurano e sostengono la con-
servazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la
valorizzazione)) (comma 3 ); che «gli altri soggetti pubblici, nello svolgimento
della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro
patrimonio culturale)) (comma 4). Ai soggetti privati, proprietari, possessori
o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale si chiede invece di
«garantirne la conservazione)) (comma 5), salva la possibilità loro riconosciuta,
Natura giuridica La natura giuridica del soggetto titolare di diritti sui beni culturali in~uisce
del soggetto e re- anche sul regime normativa dei singoli beni, dando fondamento alla grande
gime dei beni distinzione tra beni culturali di proprietà pubblica e beni culturali di proprietà
privata, sottoposti a taluni effetti a una disciplina differenziata.
2. LO STATO E LEAUTONOMIETERRITORIALI
Art. 9 Cost. La Costituzione italiana dedica ai beni culturali uno dei propri principi fon-
damentali. Nell'art. 9 si legge che: «1. La Repubblica promuove lo sviluppo
ORGANIZZAZIONE E SOGGETII 67
Come spesso accade con le norme costituzionali, anche l'art. 9 è stato oggetto
di estesi dibattiti, quanto al significato da assegnare alle sue enunciazioni.
Particolarmente discussa è stata l'accezione in cui assumere il termine Repub-
blica che, come risulta dai lavori preparatori della Costituzione, fu accolto, in
sostituzione dell'originario riferimento allo Stato, per «lasciare impregiudicata
la questione dell'autonomia regionale)).
Il termine Repubblica ricorre più volte nel testo costituzionale, dove non
appare sempre utilizzato nel medesimo significato. Talvolta, esso è impiegato
per riferirsi a ciò che, nel linguaggio giuridico, si definisce Stato-persona o
Stato-apparato, ossia allivello di governo centrale o nazionale, come nel caso
dell'art. 33 Cost. Altre volte, si usa per riferirsi allo Stato-ordinamento, ossia
allo Stato in tutte le articolazioni territoriali che lo compongono, come avviene
nell'art. 114 Cost. il cui comma l stabilisce che «La Repubblica è costituita dai
Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo StatO)).
Sebbene, nel passato, vi sia stato chi ha sostenuto che il rinvio alla Repubblica, La Repubblica co·
effettuato dall'art. 9 Cast., dovesse intendersi allo Stato-apparato, l'orienta- me Stato-ordina·
mento prevalente, oggi consolidato, è stato ed è nel senso di ritenere che il mento
riferimento sia allo Stato-ordinamento.
L'art. 9 Cast. può perciò annoverarsi fra le disposizioni che hanno introdotto
l'esigenza di definire il quadro delle competenze, ossia di stabilire quali dei
compiti da esso assegnati alla Repubblica, per il settore dei beni culturali,
spettino allo Stato centrale e quali alle autonomie territoriali.
Competenze dopo Con la l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, di modifica del Titolo V, parte seconda,
la l. cost. 3/2001 deUa Costituzione, la questione degli assetti delle competenze, anche nel
settore dei beni culturali, acquista un nuovo e diverso spessore.
n rafforzamento dell'autonomia da riconoscere alle articolazioni territoriali
della Repubblica, ossia ai livelli di governo substatali (Regioni, Province,
Città metropolitane, Comuni), conduce il legislatore costituzionale del2001
a sovvertire o, come altrimenti si preferisce dire, a «ribaltare» i principi che
sino allora reggevano i rapporti tra Stato centrale e autonomie territoriali.
nel comma l dell'art. 117, ossia il «rispetto della Costituzione [ ... ] dei vincoli
derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali)),
Guardando a quale sia, in base al Titolo V Cost., l'assetto delle competenze L'assetto delle
legislative nel settore dei beni culturali si deve, innanzi tutto, evidenziare che competenze legi-
slative
essi non rilevano, a tali effetti, come materia a sé stante.
Portando a ulteriore svolgimento la scelta operata, per il riordino delle fun-
zioni amministrative, dalla l. 15 marzo 1997, n. 59 e dal d.lgs. 31 marzo 1998,
n. 112 (v. in/ra, par. 2.2), la l. cost. 3/2001 fonda il riparto delle competenze
sulle funzioni (attività) delle quali i beni culturali possono essere oggetto.
In base a quanto dispone l'art. 117 Cost., alla potestà legislativa esclusiva Tutela alla potestà
dello Stato è riservata la «tutela (dell'ambiente, dell'ecosistema e) dei beni legislativa dello
Stato
culturali)) (comma 2, lett. s).
La <<Valorizzazione dei beni culturali (e ambientali))) è assegnata alla potestà La valorizzazione
legislativa concorrente (comma 3). Di conseguenza, secondo la configurazione alla potestà legisla-
di questo tipo di competenza, la legge statale sarebbe autorizzata a intervenire tiva concorrente
solo per la fissazione dei principi fondamentali, lasciando la restante disciplina
(c.d. «di dettaglio))) alla legge regionale.
Una qualificazione che, comunque, non può intendersi rimessa alla sola valuta-
zione del legislatore statale, dovendosi riconoscere la competenza della Corte
costituzionale a verificare l'effettiva natura di «principio» delle disposizioni.
Quanto all'efficacia condizionante dei principi fondamentali posti con legge
statale, è necessario ricordare altresì che, come chiarito dalla Corte costituzionale
(v. sent. 282/2002), le Regioni, per esercitare le proprie competenze legislative
di tipo concorrente, non devono attendere l'eventuale determinazione dei
principi fondamentali da parte dello Stato (in questo senso, anche art. l, L 5
giugno 2003, n. 131 e Corte cost. sent. 94/2003).
Peraltro, l'eventuale intervento legislativo statale, anche di dettaglio, in base a
una giurisprudenza costituzionale risalente e consolidata, continua ad applicarsi
sino a che le Regioni non legiferino in materia: solo da questo momento la legge
statale, di dettaglio, cede di fronte alla normativa regionale.
Questa poteva immaginarsi come una delle prime conseguenze di quella se-
parazione fra tutela e valorizzazione che, almeno agli effetti delle competenze
normative, sembrava introdotta dalla lettera della Costituzione: una separazione
che, pur idonea a consentire una migliore definizione dei ruoli spettanti ai diversi
livelli di governo, apriva anche nuovi e incerti scenari alla disciplina di settore, la
quale si sarebbe dovuta confrontare con le ineliminabili interferenze tra queste
due attività/funzioni [Barbati 2003, 149 e, sul punto, v. anche capp. l e 4].
L'art. 152 d.lgs. 112/1998, benché anteriore alla modifica del Titolo V Cost., a
giudizio della Corte, «conserva tuttora la sua efficacia interpretativa non solo
perché è individuabile una linea di continuità tra le legislazioni degli anni 1997-
1998, sul conferimento di funzioni alle autonomie locali, e la l. cost. 3/2001,
ma soprattutto perché è riferibile a materie-attività come, nel caso di specie,
la tutela, la gestione o anche la valorizzazione di beni culturali, il cui attuale
significato è sostanzialmente corrispondente con quello assunto al momento
della loro originaria definizione legislativa>>.
Di conseguenza, poiché la disposizione in esame «presuppone un criterio di
ripartizione delle competenze, che viene comunemente interpretato nel senso
che ciascuno>> dei livelli di governo interessati «è competente a espletare quelle
funzioni e quei compiti riguardo ai beni culturali, di cui rispettivamente abbia la
titolarità», ne deriva che, quando gli interventi abbiano a oggetto beni culturali
di «titolarità» statale, a esso spetta non soltanto la loro tutela, ma anche la loro
gestione, così come la disciplina della loro valorizzazione.
Questo criterio di riparto delle competenze, in materia di valorizzazione, attento
al soggetto pubblico cui spetta la «titolarità-disponibilità» del bene culturale,
è quello stesso poi accolto dal Codice, il quale ne estende le conseguenze alle
funzioni legislative (v. soprattutto, artt. 7 e 112 Cod., in/ra, par. 2.2).
Il riparto delle Quanto alle funzioni amministrative, il loro riparto fra i diversi livelli di go-
funzioni ammini- verno obbedisce ai principi enunciati nell'art_ 118, comma l, Cost_, dove si
strative legge che: «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che,
per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropo-
litane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione
e adeguatezza»_
Sussidiarietà Ed è appunto il principio di sussidiarietà (verticale), introdotto nel nostro
ordinamento positivo dalla l. 59/1997 e accolto nei medesimi termini dall'art.
118, nella riformulazione disposta in occasione della riforma costituzionale
del2001, a comportare che tra i diversi livelli di governo cui possono essere
assegnate competenze amministrative debba essere preferito quello inferiore,
più vicino alle collettività, ossia il Comune.
Differenziazione e Tuttavia, la disposizione costituzionale, accanto a esso, richiama anche i
adeguatezza principi di differenziazione e di adeguatezza. La conseguenza è che la scelta
per l'allocazione delle funzioni, presso il livello di governo comunale, deve
leggersi come un'indicazione di preferenza.
Lo scorrimento II disegno delineato dall'art. 118, comma l, Cast. non comporta dunque alcuna
delle funzioni rigidità nell'assetto delle competenze amministrative. Al contrario, reca in sé
l'idea dello scorrimento delle funzioni, da collocare presso il livello di governo
maggiormente adeguato a esercitarle. Pertanto, nel caso in cui la dimensione
delle funzioni, ossia la loro rilevanza e la complessità degli interventi in cui si
estrinsecano, faccia ritenere il Comune inadeguato a esercitarle, il principio e le
esigenze dell'adeguatezza comportano lo spostamento delle competenze verso
un livello di governo superiore. Una variabilità di assetti, indotta dai principi di
sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione che potrà investire anche il piano
delle funzioni legislative, secondo le indicazioni offerte dalla giurisprudenza
costituzionale nella sentenza 303/2003, conducendo allo spostamento verso
l'alto, e anche in capo allo Stato, delle stesse potestà legislative/normative che
servono, come impone il principio di legalità dell'azione amministrativa, alla
disciplina delle funzioni amministrative allocate presso il centro. Una deroga
che, comunque, richiede, fra le altre condizioni, quella della «previa intesa>>
con la Regione interessata [Bartole 2004].
In questo senso l'art. 118, comma 2, Cast., per il quale: «l Comuni, le Pro-
vince e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative pro-
prie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive
competenze».
delle realtà territoriali e delle funzioni con le quali ci si confronta e ancor più
potranno esserlo a seguito del ridi segno dell'amministrazione locale avviato
dalla l. 7 aprile 2014, n. 56, nota anche come legge Delrio.
Nell'intento di realizzare una semplificazione del sistema delle istituzioni Competenze am-
territoriali, a Costituzione invariata, con la l. 56/2014 si opera un profondo ministrative dopo
ripensamento del livello di governo intermedio, fra Stato e Regioni coin- il ridisegno del-
l' amministrazione
cidente, nell'esperienza del nostro ordinamento, con le Province e con le locale
Città metropolitane, trasformandole in enti di area vasta, con una differente
configurazione istituzionale e funzionale. Al contempo, anche i Comuni sono
interessati da un processo di riordino volto principalmente ad assicurare un
ambito dimensionalmente adeguato all'esercizio delle funzioni loro spettanti.
Al di là delle indicazioni che, in tal senso, fornisce la legge statale, molto è
demandato al legislatore regionale, al quale sono in tal modo rimesse scelte,
circa l'allocazione delle funzioni di spettanza delle amministrazioni locali e
le modalità organizzative del loro esercizio, che aprono a scenari ancor più
diversificati.
In particolare, occorre ricordare che, per effetto del riordino del sistema lo-
cale disposto dalla l. 56/2014, le province sono trasformate da enti autonomi,
elettivi, in enti di area vasta, di secondo grado, ossia non direttamente elettivi,
ma espressioni dei Comuni compresi nel loro ambito, connotandosi quali enti
intercomunali sia quanto a composizione dei loro organi di governo sia quanto
a competenze, definite e identificate direttamente dalla legge (art. l, comma
85) come loro funzioni fondamentali.
Al contempo, la L 56/2014 dà concreta istituzione alle Città metropolitane,
previste fra i livelli di governo già dalla legge costituzionale del2001, ma mai
venute in esistenza e a esse, parimenti considerate «enti di area vasta», assegna
specifiche «funzioni metropolitane», prevedendo che sia loro rimessa la scelta
di costituirsi in forma elettiva o come enti di secondo grado.
Il processo di riordino, pur rivolto in via diretta all'amministrazione del livello
intermedio, investe tuttavia anche gli altri governi territoriali. In particolare,
interviene sui Comuni con misure che ne impongono un'organizzazione
dimensionalmente adeguata all'esercizio delle funzioni, sia tramite il ricorso
obbligatorio a forme associate di esercizio delle funzioni, per i Comuni con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti, sia tramite processi di vera e propria
fusione. Questi ultimi potranno essere tanto quelli tradizionali, già previsti
dalla legge 142 del 1990 e poi dall'art. 15 del Tuel, come oggetto di una
competenza regionale, in esito ai quali la fusione conduce alla nascita di un
nuovo Comune, quanto fusioni «per incorporazione}}, quale «vicenda per un
verso aggregativa e, per altro verso, estintiva» (v. Corte cost. sent. 15/2014,
cons. in diritto, par. 6.2.2) introdotta dalla l. 56/2014, comma 130, e da
questa perciò configurata come oggetto di una competenza legislativa stata-
le. A differenza di quanto avviene nel caso delle fusioni tradizionali, quella
«per incorporazione» prevede la continuità del Comune incorporante che
vedrà comunque modificarsi i propri confini oltre che la propria situazione
finanziaria, succedendo ai Comuni incorporati, e pertanto soppressi, in tutti
i rapporti giuridici.
Il ruolo assegnato alle Regioni, all'interno di questo processo di riordino resta
centrale. Alle Regioni, la l. 56/2014 assegna infatti il compito di concorrere a
74 CAPITOLO 2
Il riparto delle L'applicazione al settore dei beni culturali dei criteri di riparto delle funzioni
funzioni ammini- amministrative, enunciati dalla Carta costituzionale, può dunque aprire a
strative soluzioni, anche per essi, variabili e innovative.
Quanto alla tutela, la lettera della Costituzione non impedisce, ma al contra-
rio consente di pensare che lo Stato possa conferire funzioni in materia alle
autonomie territoriali, specie regionali, venendo in tal modo a disarticolare
questa funzione e a riconoscere spazi per interventi delle Regioni.
Quanto alla valorizzazione, potranno essere le Regioni ad assegnare compiti
e funzioni ai livelli di governo inferiori, mentre, in base ai principi generali,
si deve escludere che esse possano attribuirne agli apparati statali.
Ed è sempre con riferimento alla tutela dei beni culturali che s'introduce
un ulteriore elemento di flessibilità, quanto agli assetti delle competenze,
laddove l'art. 118 Cost. prevede che la legge statale possa disciplinare forme
di coordinamento fra Stato e Regioni.
Un assetto che, quanto ai livelli locali, conosce anche le altre variabili indotte dal
processo di riordino voluto dalla L 56/2014. La trasformazione delle Province;
voluta da questa legge nei termini che si sono prima ricordati, e la circostanza
che gli interventi nel settore dei beni culturali non siano stati da essa annoverati
tra le funzioni fondamentali dei nuovi enti di area vasta, né delle Province né
delle Città metropolitane (art. l, commi 85 e 44) ha sostanzialmente rimesso
al legislatore regionale la scelta del livello di governo al quale assegnare le
attribuzioni e i beni che, in precedenza, erano loro imputati.
Nonostante le disponibilità del Mibact, inizialmente dichiarate, ad assorbire i
beni culturali di proprietà provinciale così da assicurarne continuità di tutela e
di valorizzazione, la scelta, operata in occasione dell'accordo stipulato, in sede
di Conferenza unificata, 1'11 settembre 2014, jn attuazione dell'art. l, comma
91, della L 56/2014, per la concreta attuazione del processo di riordino, è stata
nel senso di demandare alle Regioni la ricerca delle soluzioni per fare fronte,
anche quanto a risorse finanziarie, alle esigenze dei beni culturali già di proprietà
delle province. Il che ha condotto a comportamenti altamente differenziati.
Sebbene non siano mancate Regioni che hanno conservato tali attribuzioni in
capo ai nuovi enti di area vasta, ossia alle Province e alle Città metropolitane,
la maggior parte di esse ha preferito trattenere a sé queste funzioni, in via
definitiva o transitoria. [Tubertini 2016].
La sussidiarietà Accanto alla sussidiarietà verticale, che governa l'allocazione delle funzioni
orizzontale (rin- tra i livelli di governo, si colloca il principio di sussidiarietà orizzontale (art.
vio)
118, comma 4, Cost.), che informa, invece, la distribuzione dei compiti am-
ministrativi tra pubblico e privato (su questo v. capp. 4 e 6).
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 75
È su questo tessuto istituzionale che poggiano le soluzioni accolte dal d.lgs. li Codice dei beni
22 gennaio 2004, n. 42 con cui è stato approvato il Codice dei beni culturali cwturali e del pae-
e del paesaggio, corretto e integrato, in molte sue disposizioni, dai successivi saggio
decreti legislativi 24 marzo 2006, n. 156 e n. 157, e 26 marzo 2008, n. 62 e n.
63, nonché da altri più recenti provvedimenti.
Le scelte del Co- Il Codice cerca di offrire nuove, più esaurienti, risposte alla necessità di
dice in materia di comprendere in che cosa consistano le diverse funzioni-attività di cui i beni
tutela culturali possono essere oggetto e su queste configura i ruoli e le competenze
dei diversi soggetti pubblici.
Quanto alla tutela dei beni culturali che, si ricorda, l'art. 117, comma 2,
Cost. assegna alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, le funzioni
amministrative sono ripartite in base ai criteri fissati, principalmente, negli
artt. 4 e 5 Cod.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 77
L'art. 4, comma l, Cod. stabilisce che le funzioni in materia di tutela, al fine I compiti dello
di garantirne l'esercizio unitario, ai sensi dell'art. 118 Cost., sono attribuite Stato ...
al ministero per i Beni e le Attività culturali, il quale, come precisa il comma
2, le esercita sui beni culturali di appartenenza statale «anche se in consegna
o in uso ad amministrazioni o soggetti diversi dal ministero».
In questo modo, l'art. 4 Cod. mentre ripropone la scelta, già effettuata con
la L 15 marzo 1997, n. 59, di riservare le funzioni amministrative, in materia
di tutela, allo Stato centrale, introduce anche un parallelismo, ossia una cor-
rispondenza, tra funzioni legislative e funzioni amministrative, nel senso che
l'esercizio delle prime è, di massima, in dissociabile da quello delle seconde
(e viceversa), così che la titolarità delle funzioni legislative si accompagna a
quella delle funzioni amministrative.
Parallelismo che, a differenza di quanto avveniva nel vigore della Carta costi-
tuzionale dell948, non è più richiesto, per tutte le materie, dalla Carta costitu-
zionale del2001, come si evince dai principi posti per il riparto delle funzioni
amministrative dall'art. 118, comma l, Cost. (v. supra, par. 2.1).
Per quanto concerne le funzioni e i compiti delle autonomie territoriali, in ... e delle aurano-
materia di tutela, essi sono definiti, in primo luogo, dall'art. 5 Cod., intitolato mie territoriali
«Cooperazione delle Regioni e degli altri enti pubblici territoriali in materia
di tutela del patrimonio culturale>>.
li comma l della disposizione, stabilendo che <<le Regioni, nonché i Comuni, le
Città metropolitane e le Province», ossia gli «enti pubblici territoriali», «coo-
perano con il ministero nell'esercizio delle funzioni di tutela, in conformità a
quanto stabilito dal Titolo I della parte seconda del presente Codice» assegna
ai livelli di governo substatale un ruolo essenzialmente ausiliario.
Per effetto delle modifiche apportate dal d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito
con modificazioni dalla L 6 agosto 2015, n. 125, sono peraltro venute meno, nei
termini che si avrà modo di vedere più diffusamente nelle pagine che seguono
(spec. sub par. 7.3 ), le competenze proprie delle Regioni a esercitare le funzioni
di tutela su di una serie elencata di beni culturali, quali manoscritti, autografi,
carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni non ap-
partenenti allo Stato a esse assegnate dall'art. 4, comma l, Cod., e dal comma
78 CAPITOLO 2
2 dell'art. 5. Funzioni, che già erano state oggetto di delega alle Regioni per
opera dell'art. 9 del d.p.r. 14 gennaio 1972, n. 3.
Accordi o intese che, come precisa l'art. 5, comma5, Cod., possono prevedere
anche particolari forme di cooperazione con gli altri enti pubblici territoriali i
quali vengono, perciò stesso, annoverati dal legislatore tra i soggetti legittimati
a intervenire in materia di tutela dei beni culturali.
Peraltro, anche quando le funzioni di tutela siano esercitate dalle Regioni, il
ministero, secondo quanto dispone il comma 7 dell'art. 5, continua a eser-
citare <Je potestà di indirizzo e di vigilanza e il potere sostitutivo in caso di
perdurante inerzia o inadempienza)), attribuzioni che potrebbero definirsi
«a tutela della tutela)).
Le scelte in ma- Quanto alla valorizzazione, il Codice si occupa del riparto non solo delle
teria di valorizza- funzioni amministrative, ma anche di quelle legislative.
zwne
A questo fine, l'art. 7, comma l, Cod. definisce, innanzi tutto, quale sia il valore
da riconoscere alle norme che il Codice, ossia il legislatore statale, detta in
tema di valorizzazione: esse devono intendersi quali «principi fondamentali))
L'assetto delle fun- che, ai sensi dell'art. 117, comma 3, Co st., le leggi dello Stato sono chiamate a
zioni legislative porre e nel cui rispetto le Regioni eserciteranno la propria potestà legislativa.
Tuttavia, per comprendere appieno quale sia il ruolo del legislatore regionale,
in materia di valorizzazione, occorre considerare anche le successive disposi-
zioni dedicate, nella parte seconda, titolo II, alla «fruizione e valorizzazione)),
quali ambiti fra loro distinti, ma assoggettati alla medesima disciplina, quanto
al riparto delle competenze legislative.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 79
Così disponendo, il legislatore del Codice attenua quella che, dalla lettera
della Costituzione, e in particolare dal suo art. 117, appariva come una «se-
parazione» fra tutela e valorizzazione, quali ambiti assegnati alla competenza
di soggetti diversi.
Adeguandosi alle indicazioni offerte dalla Corte costituzionale, soprattutto
con la sentenza 26/2004, quasi coeva alla sua adozione (v. anche supra, par.
2.1) l'art. 7, comma l, Cod. propone un'interpretazione dell'art. 117, comma
3, Cost. che riduce il ruolo spettante alle Regioni, in materia di valorizzazione,
e apre a un intervento dello Stato che va oltre la sola fissazione dei principi
fondamentali di disciplina.
Al legislatore statale si assegna, infatti, la legittimazione a porre disposizioni
anche di dettaglio, ossia a dettare l'intera disciplina della funzione-attività di
valorizzazione, quando essa debba esercitarsi in relazione a beni culturali che
sono nella titolarità/disponibilità dello stesso Stato.
Dalla scelta, espressa nell'art. 7, comma l, Cod., in merito all'assetto delle L'assetto delle po·
competenze legislative, deriva altresì che lo Stato è legittimato a esercitare, testà regolamen ·
con riferimento ai propri beni culturali, anche quella potestà regolamentare in tari ...
materia di valorizzazione che, altrimenti, non sarebbe stata di sua spettanza, dal
momento che, per quanto si è ricordato, continua a disporne solo per le materie
assegnate alla sua competenza legislativa esclusiva (art. 117, comma 6, Cost.).
. .. e delle funzioni
Circa l'assetto delle funzioni amministrative, in materia di valorizzazione, il
amministrative
Codice non detta veri e propri criteri per il loro riparto, se si esclude il riferi-
80 CAPITOLO 2
Con il termine «privati>> ci si può riferire sia a persone fisiche, ossia a singoli
individui, sia a persone giuridiche, ossia a complessi organizzati di cose e/o di
persone, che abbiano chiesto e ottenuto il riconoscimento, da parte dello Stato,
come soggetti autonomi, distinti dalle singole persone che le compongono, sia
a enti o ad associazioni non riconosciute che, come tali, esistono, di fatto, pur
non acquisendo una soggettività piena agli effetti di legge.
Come si vedrà ulteriormente nel capitolo 5, i privati possono, poi, qualificarsi
sia come persone fisiche o persone giuridiche pro/it, la cui attività è orientata a
ottenere un vantaggio economico, sia come organizzazioni, prowiste o meno
ORGANIZZAZIONE E SOGGETII 81
Prescrizione che, in linea con quelle che sono le scelte sistematiche del Codice,
in merito alla disciplina della funzione-attività di valorizzazione, trova un più
compiuto svolgimento negli articoli del capo II, intitolato ai «Principi della
valorizzazione dei beni culturali».
I privati e la valo- È, infatti, l'art. 111 Cod. a ribadire, nel comma l, che alle attività di valo-
rizzazione rizzazione dei beni culturali «possono concorrere, cooperare o partecipare
soggetti privati», precisando, poi, nel comma 2, che <Ja valorizzazione è a
iniziativa pubblica o privata».
In tal modo, il legislatore precisa che la valorizzazione dei beni culturali non
deve intendersi come compito riservato ai soggetti pubblici. Al contrario, si può
avere anche una valorizzazione su iniziativa dei privati, così come la stessa valo-
rizzazione a iniziativa pubblica può aprirsi all'apporto, collaborativo, dei privati.
Sempre quanto alla valorizzazione a iniziativa privata, l'art. 111, nel comma
3, stabilisce che essa «è attività socialmente utile e ne è riconosciuta la finalità
di solidarietà sociale».
Una precisazione, quest'ultima, che ha lo scopo di consentire ai privati, che
agiscano per la valorizzazione dei beni culturali, di awalersi dei contributi e
delle sowenzioni oltre che delle normative, anche fiscali, di favore, previste
per le attività che presentino tali requisiti.
Altre indicazioni, utili a rappresentare quale ruolo possa essere assolto dai
privati, in materia di valorizzazione, e a quali condizioni, sono fornite dagli
artt. 112, 113 e 115 Cod. (su questo v. in/ra, cap. 4 ).
Quanto all'art. 112 Cod., ci si può, qui, limitare a ricordare che questa dispo-
sizione, con riferimento alla valorizzazione dei beni culturali di appartenenza
pubblica, prevede che i privati proprietari di beni possano essere interessati
dagli accordi per la valorizzazione stipulati fra i diversi livelli di governo, se vi
prestino il loro consenso.
Sempre l'art. 112 Cod., al comma 8, legittima i soggetti privati a partecipare ai
soggetti giuridici appositamente costituiti per l'elaborazione e lo sviluppo dei
piani strategici di sviluppo culturale, previsti nel comma 4.
I privati possono inoltre essere parti di quegli accordi, di portata più contenuta,
di cui parla il comma 9 dell'art. 112, ossia di quelli diretti a «regolare servizi stru-
mentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali>>.
Ed è sempre l'art. 112 Cod., a seguito dell'integrazione apportata con il d.lgs.
26/2008, a prevedere, nel suo comma 9, che «ulteriori accordi possono essere
stipulati dal ministero, dalle Regioni, dagli altri enti pubblici territoriali, da
ogni altro ente pubblico nonché dai soggetti costituiti ai sensi del comma 5,
con le associazioni culturali o di volontariato, dotate di adeguati requisiti, che
abbiano per statuto finalità di promozione e diffusione della conoscenza dei
beni culturali [allo scopo di] regolare servizi strumentali comuni destinati alla
fruizione e alla valorizzazione di beni culturali».
Disposizione che non è realmente innovativa, giacché riprende, sia pure con
correzioni e aggiustamenti, previsioni precedenti, sostituite dal Codice, nella
prima versione che ne diede il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, poi, abrogate dal
d.lgs. 156/2006 di sua modifica e, poi, reintrodotte con il d.lgs. 62/2008, il quale
reintroduce, in tal modo, il riconoscimento del ruolo che può essere assolto da
queste associazioni, sia pure limitando l'ambito degli accordi a quelli soli volti a
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 83
L'istituzione del Da allora, il governo e l'amministrazione presso il centro statale del patri-
Mi bac monio culturale sono affidati a un apposito dicastero, la cui configurazione
organizzati va e funzionale conoscerà ripetute modifiche, sino al riordino più
rilevante che ne fu disposto con il d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368.
Dando attuazione alla delega conferita dalla l. 15 marzo 1997, n. 59 e, in
particolare, dal suo art. 11, comma l, lett. a, ove si demandava al governo
di «razionalizzare l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri
e dei ministeri, anche attraverso il riordino, la soppressione e la fusione dei
ministeri», con il d.lgs. 368/1998, «ritenuto di dover procedere al riordino
dell'organizzazione amministrativa statale nei settori dei beni culturali e
delle attività culturali» e «nel quadro delle finalità indicate dall'art. 9 della
Costituzione e dall'art. 128 del Trattato istitutivo della Comunità europea»,
si istituisce il ministero per i Beni e le Attività culturali (Mibac) il quale
andava a sostituirsi al precedente apparato ministeriale con un nuovo as-
setto organizzativo, nuove attribuzioni e nuovi principi di disciplina della
sua aziOne.
L'istituzione del ministero per i Beni e le Attività culturali, per opera del citato
d.lgs. 368/1998, intendeva certamente rispondere alla volontà di potenziare
e adeguare il governo e l'amministrazione del settore alle nuove necessità dei
beni e delle attività culturali, ma soprattutto costituiva una delle tante tappe
del più ampio processo di riordino dell'amministrazione statale, avviato dalla
l. 59/1997. L'intento era di alleggerire (ossia, come preferisce dire il legislatore,
razionalizzare) gli apparati dell'amministrazione statale, intervenendo sui loro
assetti organizzativi e sulla mappa delle loro attribuzioni, favorendo gli accor-
pamenti e le conseguenti soppressioni, consentite o addirittu·ra rese opportune
dalla omogeneità delle competenze. Un'operazione tanto più necessaria, in
considerazione dello scorporo che si sarebbe effettuato di numerose funzioni,
per effetto dei conferimenti al sistema delle autonomie, volute dal «terzo de-
centramento>> avviato dalla l. 59/1997.
L'azione di riordino riguardava il complesso dei ministeri, in quanto la razio-
nalizzazione delle amministrazioni centrali impone contestualità e omogeneità
nelle misure. Le vicende che hanno interessato l'apparato ministeriale del set-
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 85
tore si sono, però, discostate da questo percorso. Innanzi tutto, perché il d.lgs.
112/1998, quanto al settore dei beni culturali, non ha disposto veri e propri
conferimenti di funzioni e compiti amministrativi. È così mancato quello che,
nel disegno della L 59/1997, doveva costituire il presupposto per il riordino
dell'amministrazione statale. Inoltre, la delega, conferita dalla L 59/1997, è stata
esercitata prima e indipendentemente dalla più complessiva opera di riforma
del centro che sarebbe stata effettuata con i d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e n.
303, rispettivamente intitolati alla «Riforma dell'organizzazione del governo,
a norma dell'art. 11 della L 15 marzo 1997, n. 59» e all' «Ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei ministri, a norma dell'art. 11 della L 15 marzo
1997, n. 59» [Sciullo 1999].
L'adozione del d.lgs. 368/1998 doveva, peraltro, rappresentare solo il primo di I reiterati riordini
una serie di numerosi provvedimenti, con i quali ne sono stati rivisti struttura del ministero
e attribuzioni, in un succedersi di riforme che hanno impegnato l'apparato
ministeriale in una continua ridefinizione della propria identità strutturale
e funzionale [Sciullo 2006b; Dente 2006], sino ai più recenti interventi di
modifica che ne hanno variato anche il nome in quello di ministero dei Beni
e delle Attività culturali e del Turismo (Mibact).
n. 233, poi modificato, sulla base della l. 6 agosto 2008, n. 113, e sempre per
ragioni di contenimento della spesa, dal d.p.r. 2 luglio 2009, n. 91. Da ultimo,
è intervenuto il quinto regolamento di organizzazione, adottato con il d.p.c.m.
29 agosto 2014, n. 171, il quale ha operato come «fonte>> di successive revisioni
di molte delle sue strutture centrali e periferiche (su cui v. in/ra).
Il d.p.c.m. 17112014 è stato dotato dalle leggi che ne hanno autorizzato l'a-
dozione, ossia dall'art. 16, comma 4, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito
con modificazioni, dalla l. 23 giugno 2004, n. 89, e dall'art. 14 della l. 29luglio
2014, n. 106, di conversione del d.l. 31 maggio 2014, n. 83, di una forza e di
una portata superiore a quella dei precedenti regolamenti di organizzazione.
A questo proposito, è necessario ricordare che, in base a quanto dispone l'art.
95, comma 3, Cost., spetta a una legge o comunque a un atto legislativo a
essa pariordinato, determinare «il numero, le attribuzioni e l'organizzazione
dei ministeri». Questa «riserva di legge» assoluta si riferisce all'istituzione e
disciplina dei ministeri, quali articolazioni del Consiglio dei ministri, come
tale preposti alla elaborazione dell'indirizzo politico-amministrativo. In
attuazione di questa previsione costituzionale, la prima determinazione del
loro numero e delle loro attribuzioni è stata disposta dal già ricordato d.lgs.
30 luglio 1999, n. 300. Quanto invece all'organizzazione interna dei ministeri,
quali apparati amministrativi, e alle norme di dettaglio sul funzionamento
degli uffici, in base a quanto dispone l'art. 97 della Costituzione, a esse si
provvede tramite atti normativi secondari, ossia tramite i regolamenti di cui
all'art. 17 della l. 23 agosto 1988, n. 400 e nel rispetto dei criteri per essi
enunciati nel comma 4-bis.
Tuttavia, dapprima con l'art. 2, comma 10-ter del d.l. 6 luglio 2012, n. 95,
convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135, e poi, con l'art.
16, comma 4, della l. 89/2014, che ha conferito rinnovata operatività alla prima
ORGANIZZAZIONE E SOGGETil 87
Quanto alle attribuzioni del Mibact, l'ambito della sua azione appare molto Le attribuzioni dd
ampio, tanto da poter dire non vi sia settore, riconducibile ai beni o alle attività Mibact
culturali, estraneo al suo intervento. In base a quanto dispone l'an. l del d.lgs.
368/1998, il ministero prowede infatti «alla tutela, gestione e valorizzazione
dei beni culturali e ambientali e alla promozione delle attività culturali».
A queste competenze si sono aggiunte quelle in materia di turismo, attribuite
al ministero all'atto della sua istituzione, poi a esso sottratte e da ultimo
riassegnate dalla l. 24 giugno 2013, n. 71, il cui an. l, comma 2, ha disposto
il trasferimento al ministero delle relative funzioni, già esercitate dalla Presi-
denza del Consiglio dei ministri, e delle inerenti risorse umane, strumentali e
finanziarie, stabilendone perciò, nel comma 3, anche il mutamento del nome
in ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo (Mibact).
Il ruolo del mi- li ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo è l'organo di
nistro direzione politica del ministero ed esercita le funzioni di indirizzo politico-
amministrativo, determinando gli obiettivi e i programmi del ministero non-
ché verificando la rispondenza a questi dei risultati conseguiti (art. 3 d.lgs.
368/1998 e art. l d.p.c.m. 17112014).
Separazione poli- A seguito dell'introduzione, negli anni Novanta, del principio di distinzione
tica/ amministra- delle competenze e delle responsabilità fra i soggetti titolari della funzione
z10ne d'indirizzo politico e i soggetti incaricati della gestione amministrativa, i
ministri, quali organi di governo, nominati dal presidente della Repubblica, su
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 89
proposta del presidente del Consiglio, cessano di operare anche come vertici
amministrativi dei loro apparati. I poteri di gestione amministrativa, finanziaria
e tecnica spettano, infatti, ai dirigenti e nei confronti dei loro prowedimenti
il ministro non dispone di poteri né di avocazione né di sostituzione.
Il ministro, per l'esercizio delle funzioni di indirizzo politico-amministra- Gli uffici di diretta
tivo, si awale del supporto di uffici di diretta collaborazione, costituiti collaborazione
da personale di staff, i cui vertici sono scelti e nominati dal ministro con
atto proprio e, perciò, sono titolari di un incarico fiduciario che ha durata
corrispondente a quello dell'organo politico (ministro) che lo ha conferito
[Torchia 2000, 141].
La disciplina degli uffici di diretta collaborazione è demandata ai singoli
ministeri che prowedono con proprio regolamento, sia pure nel rispetto
dei principi e dei criteri generali enunciati dalle disposizioni generali dettate
90 CAPITOLO 2
Questi principi e criteri generali furono, a suo tempo, enunciati dall'art. 7 del
d.lgs. 300/1999, il quale accolse le innovazioni introdotte sul punto con l'art.
14, comma 2, del d.lgs. 29/1993, oggi trasfusi nell'art. 14, comma 2, del d.lgs.
165/2001, ove si stabilisce che il ministro, per l'esercizio delle funzioni d'in-
dirizzo politico-amministrativo, «si awale di uffici di diretta collaborazione,
aventi esclusive competenze di supporto e di raccordo con l'amministrazione».
Un particolare rilievo è assegnato, nell'ambito degli uffici di diretta colla bo- Il capo di Gabi-
razione del Mibact, al capo di Gabinetto che, in base a quanto prevede l'art. netto
3, comma 8, del d.p.c.m., è individuato tra magistrati ordinari, amministrativi
e contabili, avvocati dello Stato, professori universitari di ruolo, dirigenti di
prima fascia dell'amministrazione dello Stato ed equiparati, nonché tra esperti,
anche estranei alla pubblica amministrazione, dotati di adeguata professionalità.
Al capo di Gabinetto che opera con il supporto dell'ufficio di Gabinetto, e può
essere coadiuvato da uno o due vice capi di Gabinetto, compete coordinare le
attività affidate agli uffici di diretta collaborazione del ministro, riferendone
al medesimo, e assicurare il raccordo tra le funzioni di indirizzo del ministro
e i compiti del Segretariato generale (art. 4, comma 2, d.p.c.m. 17112014).
Quanto agli altri uffici di diretta collaborazione, merita ricordare l'Ufficio L'Ufficio legisla·
legislativo, quale struttura chiamata a provvedere, fra l'altro, allo studio e alla tivo
definizione dell'attività normativa nelle materie di competenza del ministero,
in coordinamento con il Dipartimento degli affari giuridici e legislativi della
Presidenza del Consiglio dei ministri, e ad assicurare il raccordo permanente
con l'attività normativa del Parlamento (art. 5 d.p.c.m. 17112014).
Nel novero degli Uffici di diretta collaborazione, l'art. 3 del d.p.c.m. 171/2014
colloca anche l'Organismo indipendente di valutazione della performance L'Oiv
(Oiv), menzionato espressamente nello stesso titolo del decreto, fra gli oggetti
della sua disciplina. La previsione dell'Oiv, comunque, non innova l'articola-
zione degli Uffici di diretta collaborazione che, anche nel precedente assetto,
contemplavano la presenza di un Servizio di controllo interno, del quale l'Or-
ganismo indipendente di valutazione della performance è il sostituto, a norma
delle disposizioni generali contenute nell'art. 14 del d.lgs. 27 ottobre 2009, n.
150, come modificato dall'art. 11 del d.lgs. 25 maggio 2017, n. 74.
Carabinieri per la In una posizione a sé, benché collocato nel novero degli Uffici di diretta
tutela del patri- collaborazione, si trova il Comando carabinieri per la tutela del patrimonio
monio culturale culturale.
L'art. 10 del d.p.c.m. 17112014, ribadendo quanto disposto dai precedenti
regolamenti di organizzazione del ministero, e in conformità a quanto già pre-
vedeva l'art. 3 del d.lgs. 368/1998, lo colloca in una posizione di dipendenza
funzionale dal ministro, al quale «risponde».
della Difesa, su proposta del ministro dei Beni, delle Attività culturali e del
Turismo, previo concerto con il ministro dell'Interno e alle sue esigenze si
provvede mediante il «centro di responsabilità "Gabinetto e Uffici di diretta
collaborazione all'opera del ministro"» (art. 10, comma 2, d.p.c.m. 17112014).
L'Amministrazione centrale del Mibact si fonda, anche in base a quanto pre- Le direzioni ge-
vede il d.p.c.m. 17112014, sulle direzioni generali quali strutture di primo nerali
livello, poste sotto il coordinamento di un segretario generale.
L'art. 2 del d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171, con il quale è stato approvato il
«Regolamento di organizzazione del ministero dei Beni e delle Attività culturali
e del Turismo», nella sua originaria formulazione, stabiliva che il ministero
si articolasse in dodici uffici di livello dirigenziale centrale, individuati nel
suo art. 12.
Successivamente, sulla base di quanto previsto dall'art. l, comma 327, della l.
28 dicembre 2015, n. 208, si è provveduto a un'ulteriore riorganizzazione del
ministero, in esito alla quale, al fine dichiarato «di migliorare il buon anda-
mento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale», con l'art. l,
comma 2, del d.m. 23 gennaio 2016, n. 44 si è nuovamente intervenuti sulla
mappa degli uffici dirigenziali di livello generale, disponendo la fusione in una
sola struttura della direzione generale Archeologia e della direzione generale
Belle Arti e Paesaggio, quale misura organizzativa conseguente all'accorpa-
mento, su tutto il territorio nazionale, delle soprintendenze Archeologia e
delle soprintendenze Belle Ani e Paesaggio (su cui v. in/ra).
A seguito delle modifiche così apportate all'art. 12 del d.p.c.m. 17112014,
Le undici dire- l'amministrazione centrale del Mibact è articolata nelle seguenti undici di·
zioni generali rezioni generali:
Ancor più rilevante, quanto a impatto sul ruolo del ministero e sulle poli- Musei
tiche pubbliche del settore, è la direzione generale Musei (art. 20 d.p.c.m.
17112014). Con la sua istituzione s'innova l'assetto organizzativo pensato, in
precedenza, per le attività di valorizzazione del patrimonio culturale di com-
petenza statale. Una modifica concernente, in questo aspetto, l'amministra-
zione centrale del ministero, ma che porta con sé anche un profondo riordino
dell'amministrazione periferica, tanto da definirsi come l'asse intorno al quale
ruota la nuova organizzazione e, con essa, il nuovo ruolo che la riforma del
2014 ha inteso assegnare al Mibact in materia di valorizzazione del patrimonio
culturale. [Barbati 2015].
di valorizzazione del patrimonio culturale (art. 10, comma 2, lett. g); assicurare
comunque, tramite gli uffici periferici del ministero, che le attività di valoriz-
zazione siano compatibili con le esigenze della tutela, secondo i principi di cui
all'articolo 6 e i criteri di cui all'articolo 116 del Codice (art. 10, comma 2, lett.
i); elaborare, sentite le direzioni generali competenti per materia, linee guida in
materia di orari di apertura, bigliettazione e politiche dei prezzi per l'accesso ai
musei e ai luoghi della cultura statali, anche in forma integrata (art. 10, comma
2, lett. o); coadiuvare la direzione generale Bilancio nel favorire l'erogazione di
elargizioni liberali da parte dei privati a sostegno della cultura, anche attraverso
apposite convenzioni con gli istituti e i luoghi della cultura e gli enti locali; a tal
fine, promuovere progetti di sensibilizzazione e specifiche campagne di raccolta
fondi, anche attraverso le modalità di finanziamento collettivo (art. 10, comma
2, lett. s); coordinare l'elaborazione del progetto culturale di ciascun museo
all'interno del sistema nazionale, in modo da garantire omogeneità e specificità
di ogni museo, favorendo la loro funzione di luoghi vitali, inclusivi, capaci di
promuovere lo sviluppo della cultura (art. 10, comma 2, lett. v).
La direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, così unificata Archeologia, Belle
dall'art. 2 del d.m. 44/2016, svolge le funzioni e i compiti relativi alla tutela Arti e Paesaggio
dei beni di interesse archeologico, anche subacquei, dei beni storici, artistici
e demoetnoantropologici, ivi compresi i dipinti murali e gli apparati deco-
rativi, nonché alla tutela dei beni architettonici e alla qualità e alla tutela del
paesaggio. Esercita altresì i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento,
controllo, con riferimento all'attività di tutela esercitata dalle soprintendenze
Archeologia CTR e, solo in caso di necessità e urgenza, informato il segretario
generale, avocazione e sostituzione, anche su proposta del segretario regionale.
La direzione generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie ur- Arte e Architet-
bane, in base all'art. 16 del d.p.c.m. 171/2014, esercita le funzioni e i compiti tura contempo-
relativi alla qualità architettonica e urbanistica e alla promozione dell'arte ranee e Periferie
urbane
e dell'architettura contemporanee. Inoltre, promuove la riqualificazione e
il recupero delle periferie urbane e la formazione, in collaborazione con
le università, le Regioni e gli enti locali, in materia di conoscenza della
cultura e della qualità architettonica, urbanistica e del paesaggio, nonché
dell'arte contemporanea. Promuove la conoscenza dell'arte contemporanea
italiana all'estero, fatte salve le competenze del ministero degli Affari esteri
e d'intesa con il medesimo; promuove la creatività e la produzione artistica
contemporanea e ne diffonde la conoscenza, valorizzando, anche mediante
concorsi, le opere di giovani artisti. Promuove iniziative di riqualificazione
e valorizzazione delle periferie urbane, anche tramite apposite convenzioni
con enti territoriali ed enti locali, università e altri soggetti pubblici e privati.
Quanto agli altri uffici dirigenziali generali centrali, possono ricordarsi qui la Le altre direzioni
direzione generale Archivi deputata dall'art. 21 d.p.c.m. 17112014 a svolgere le generali
funzioni e i compiti relativi alla tutela e alla valorizzazione dei beni archivistici
(su cui v. in/ra, sub par. 7.5 .) e inoltre la direzione generale Biblioteche e Istituti
culturali. Di essa si occupa l'art. 22 d.p.c.m. 17112014, assegnandole funzioni
e compiti relativi alle biblioteche pubbliche statali, ai servizi bibliografici e
100 CAPITOLO 2
bibliotecari nazionali, agli istituti culturali, alla promozione del libro e della
lettura e alla proprietà intellettuale e al diritto d'autore.
Resta da dire dell'istituzione della direzione generale Turismo (art. 19 d.p.c.m.
171/2014), con la quale si è inteso adeguare l'amministrazione centrale del mini-
stero alle nuove competenze assegnategli in materia dall'art. l, commi 2 e 3, della
l. 24 giugno 2013, n. 71 e in relazione alle quali già si era disposto, con d.p.c.m. 21
ottobre 2013, il passaggio dell'Ufficio per le politiche del turismo dalla Presidenza
del Consiglio all'apparato ministeriale che diventava perciò stesso il Mibact. A
essa è affidato curare la programmazione, il coordinamento e la promozione delle
politiche turistiche nazionali. In particolare, per quanto qui interessa, al direttore
generale Turismo compete attivare, in raccordo con i segretariati regionali e con
gli enti territoriali, reti e percorsi di valorizzazione del patrimonio culturale e
curare la definizione, in raccordo con la direzione generale Archeologia, Belle
Arti e Paesaggio e con la direzione generale Musei, degli indirizzi strategici dei
progetti relativi alla promozione turistica degli itinerari culturali e di eccellenza
paesaggistica e delle iniziative di promozione turistica finalizzate a valorizzare
le identità territoriali e le radici culturali delle comunità locali (art. 19, comma
2, lett. g, d.p.c.m. 17112014). A essa spetta inoltre promuovere la realizzazione
di progetti di valorizzazione del paesaggio, anche tramite l'ideazione e la realiz-
zazione di itinerari turistico-culturali dedicati, nell'ambito del Piano strategico
nazionale per lo sviluppo del turismo in Italia, predisposti a cura delle Regioni e
degli enti locali, singoli o associati (art. 19, comma 2, lett. u, d.p.c.m. 17112014).
Secondo quanto dispone l'art. 6, comma 2, del d.lgs. 300/1999, come sostituito
dall'art. 2 del d.lgs. 6 dicembre 2002, n. 287, «Nei ministeri in cui le strutture
di primo livello sono costituite da direzioni generali può essere istituito l'ufficio
del segretario generale».
Natura fiduciaria n
segretario generale, come esplicita l'art. 11 del d.p.c.m. 17112014, opera
dell'incarico alle dirette dipendenze del ministro al quale è legato da un rapporto di
natura fiduciaria che è a base anche dell'incarico, conferito ai sensi dell'art.
19, comma 3, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni,
ossia «con decreto del presidente della Repubblica, previa deliberazione del
Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente» e ne spiega
anche la durata stabilita nel comma 8 dell'art. 19 del d.lgs. 165/2001 come
modificato, ove si dispone che tali incarichi «cessano decorsi novanta giorni
dalla fiducia al governo».
9 del medesimo articolo a richiedere che di questi incarichi sia data comuni-
cazione al Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati, allegando una
scheda contenente i titoli e le esperienze professionali dei soggetti prescelti.
I compiti del segretario generale sono definiti, in conformità alle disposizioni I compiti
generali contenute nell'art. 6 del d.lgs. 300/1999, dall'art. 11 del d.p.c.m.
171/2014, ove si stabilisce che «assicura il coordinamento e l'unità dell'azione
amministrativa, elabora le direttive, gli indirizzi e le strategie concernenti
l'attività complessiva del ministero, coordina gli uffici e le attività del mini-
stero, vigila sulla loro efficienza e rendimento e riferisce periodicamente al
ministro gli esiti della sua attività». Ed è sempre al segretario generale che
spetta coordinare le direzioni generali centrali e gli uffici dirigenziali generali
periferici del ministero, essendo direttamente responsabile nei confronti del
ministro dell'attività di coordinamento e della puntuale realizzazione degli
indirizzi da lui impartiti.
Nel successivo comma 2, questi compiti sono ulteriormente esplicitati, sia pure
in via solo esemplificativa. Molti di questi confermano attribuzioni delle quali
già disponeva in precedenza, molti invece sono diretti a rafforzarne il ruolo di
garante dei coordinamenti interni a un'amministrazione molto articolata, qual è
il Mibact e di snodo dei rapporti tra politica e amministrazione [Barbati 2015].
Sono del pari rafforzate anche talune sue competenze tecniche nei confronti
dell'amministrazione, sino ad attribuirgli il potere di sostituirsi ai responsabili
degli uffici generali centrali e periferici in caso di loro inerzie. Compiti che si
aggiungono a quelli di coordinamento dell'attività di tutela in base a criteri
uniformi e omogenei sull'intero territorio nazionale dei quali già disponeva.
Fra le altre nuove attribuzioni, vi è quella di curare «l'elaborazione, entro il
31 ottobre di ciascun anno, sulla base delle proposte e delle istruttorie curate
dalle direzioni generali centrali competenti, dagli istituti di cui all'articolo
30 e dai segretariati regionali, del Piano strategico "Grandi progetti beni
culturali", di cui all'articolo 7, comma l, della legge 29luglio 2014, n. 106,
mediante individuazione dei beni e dei siti di eccezionale interesse culturale e
di rilevanza nazionale per i quali sia necessario e urgente realizzare interventi
organici di tutela, riqualificazione, valorizzazione e promozione culturale,
anche a fini turistici».
Dal punto di vista organizzativo, l'art. 11, comma4, d.p.c.m. 171/2014 precisa
che «TI segretario generale costituisce centro di responsabilità amministrativa>>,
che si articola (a seguito del d.m. 12 gennaio 2017) in quattro uffici dirigen-
ziali di livello non generale (da sei che erano), compreso il servizio ispettivo.
TI Mibact, al pari di altri ministeri, si avvale, per il miglior esercizio delle pro- Amministrazione
prie funzioni e dei propri compiti, di un'amministrazione consultiva, ossia consultiva del Mi·
bact
di organismi collegiali permanenti chiamati a procurare elementi conoscitivi
102 CAPITOLO 2
La presenza di questi organi era già prevista nell'art. 4 del d.lgs. 368/1998,
come modificato dall'art. 3, comma l, del d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3. In base
a questa disposizione, l'amministrazione consultiva centrale del Mibact con-
templava il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, i comitati
tecnico-scientifici, i comitati regionali di coordinamento nonché, con clausola
di chiusura, perciò stesso generica, «gli altri organi istituiti in attuazione delle
vigenti disposizioni di legge». La loro composizione, i compiti e le incompa-
tibilità dei loro membri erano rinviate alla disciplina che ne avrebbero dettato
i regolamenti di organizzazione, adottati ai sensi dell'art. 17, comma 4-bis,
della l. 23 agosto 1988, n. 400. In tal modo, il decreto istitutivo dell'(allora)
Mibac conferiva un nuovo riconoscimento a organismi risalenti e già parte
dell'amministrazione del settore. Nel caso del Consiglio superiore, la sua
prima istituzione si deve, infatti, alla l. 27 giugno 1907, n. 386, con la quale
si creò, presso il ministero della Pubblica istruzione, il «Consiglio superiore
delle antichità e belle arti>>, successivamente costituito dal d.p.r. 3 dicembre
1975, n. 805, come «Consiglio nazionale per i beni culturali e ambientali». I
comitati tecnico-scientifici, previsti all'atto dell'istituzione del ministero, an-
davano invece a sostituire i comitati di settore che il d. p.r. 3 dicembre 1975, n.
805, prevedeva quali articolazioni del Consiglio nazionale per i beni culturali e
ambientali. Al d.lgs. 368/1998 si deve, invece, la prima previsione dei comitati
regionali di coordinamento, poi soppressi in occasione della riorganizzazione
effettuata con d.p.c.m. 171/2014 e sostituiti, con diverse attribuzioni e una
diversa collocazione, entro l'amministrazione periferica del Mibact e non più
nell'amministrazione consultiva, delle commissioni regionali per il Patrimonio
culturale.
Anche gli organi consultivi centrali del Mibact sono stati interessati, nel
tempo, da reiterati interventi volti a modificarne attribuzioni, struttura e
perciò anche composizione nonché capaci di incidere sul loro stesso ruolo,
sino a fare di alcuni di essi qualche cosa in più o di diverso: organi cioè non
solo consultivi, in quanto tali chiamati a esprimere pareri, ma anche pro-
positivi, ossia legittimati a sollecitare e a orientare l'attività deliberativa dei
vertici ministeriali [Sciullo 2007b]. La disciplina che oggi ne detta il d.p.c.m.
17112014 è, pertanto, solo la più recente espressione di un percorso di ride-
finizione e ripensamento dell'amministrazione consultiva, volto a coniugarne
la presenza, la composizione e gli interventi con le istanze di riduzione della
spesa complessiva sostenuta dalle amministrazioni pubbliche per gli organi
collegiali operanti presso di esse, già accolte nel nostro ordinamento con
l'art. 29 del d.l. 4luglio 2006, n. 233, conv. con mod. nella L 4 agosto 2006,
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 103
n. 248 e come tali all'origine delle riforme di cui furono oggetto con il d.p.r.
12 gennaio 2007, n. 2.
il Consiglio superiore beni culturali e paesaggistici trova una prima defini- Consiglio supe-
zione del proprio ruolo nell'art. 25 del d.p.c.m. 17112014, il quale ripetendo riore beni cultu-
la formulazione già accolta dal d. p.r. 23 3/2007, stabilisce che esso «è organo rali e paesaggistici
consultivo del ministero a carattere tecnico-scientifico in materia di beni
culturali e paesaggistici».
Una qualificazione che deriva dalla riforma di cui il Consiglio superiore è stato
oggetto con il d.p.r. 12 gennaio 2007, n. 2, il quale andò a sostituire la disciplina
che ne dettava l'art. 17 del regolamento di organizzazione del Mibact, approvato
con d.p.r. 10 giugno 2004, n. 173. Riforma, poi transitata nel d.p.r. 233/2007,
modificato dal d.lgs. 9112009 e, appunto, sollecitata dal già ricordato art. 29
del d.l. 233/2006, conv. con mod. nella L 248/2006, con il quale si richiedeva
alle amministrazioni di adottare misure per il «contenimento delle spese per
commissioni, comitati e altri organismi», che giunsero a investire lo stesso
quadro delle attribuzioni del Consiglio superiore.
In particolare, l'art. 25, comma 2, d.p. c.m. 17112014 prevede che il Consiglio su-
periore sia, tra l'altro sentito, ((obbligatoriamente», sui programmi nazionali per
i beni culturali e paesaggistici e sui relativi piani di spesa annuali e pluriennali,
predisposti dall'amministrazione oltre che sugli schemi di accordi internazio-
nali in materia di beni culturali. Pareri, dunque, in questi casi, obbligatori che,
in quanto tali, devono essere necessariamente richiesti dall'amministrazione,
la quale potrà discostarsene solo con idonea motivazione. Il Consiglio invece
può essere sentito, nell'espressione di pareri che è rimesso all'amministrazione
valutare se richiedere o meno, e perciò facoltativi, sui piani strategici di svilup-
po culturale e sui programmi di valorizzazione dei beni culturali e, fra l'altro,
come innovazione introdotta nel2014, sul Piano nazionale per l'educazione
al patrimonio culturale predisposto dalla direzione generale Educazione e
Ricerca. I pareri del Consiglio possono poi essere richiesti anche sugli schemi
di atti normativi e amministrativi generali afferenti la materia dei beni culturali
e paesaggistici e l'organizzazione del ministero nonché sui piani paesaggistici
elaborati congiuntamente con le Regioni.
Attività proposi- L'attività propositiva si esprime invece nella possibilità, già riconosciuta al
tiva del Consiglio Consiglio superiore, nei medesimi termini dal precedente regolamento di
organizzazione del2007, di «avanzare proposte al ministro su ogni questione
di carattere generale di particolare rilievo afferente la materia dei beni cul-
turali e paesaggistici», comprese dunque quelle che concernono le funzioni
di indirizzo politico (art. 25, comma 3, d.p.c.m. 17112014).
La sua composi- Quanto alla sua composizione, di esso, a norma dell'art. 25, comma 4,
zione d.p.c.m. 17112014, fanno parte i presidenti dei comitati tecnico-scientifici
e «otto eminenti personalità del mondo della cultura nominate, nel ri-
spetto del principio di equilibrio di genere, dal ministro, tre delle quali su
designazione della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. 28 agosto
1997, n. 281».
li Consiglio è integrato con tre rappresentanti del personale del ministero,
eletti da tutto il personale, quando esprime pareri sui programmi nazionali per
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 105
Si conferma, inoltre, nell'art. 25, comma 7, che i componenti del Consiglio su-
periore «non possono esercitare le attività di impresa previste dall'art. 2195 del
codice civile quando esse attengono a materie di competenza del ministero, né
essere amministratori o sindaci di società che svolgono le medesime attività; non
possono essere titolari di rapporti di collaborazione professionale con il mini-
stero; non possono essere presidenti o membri del Consiglio di amministrazione
di istituzioni o enti destinatari di contributi o altre forme di finanziamento da
parte del ministero né assumere incarichi professionali in progetti o iniziative il
cui funzionamento, anche parziale, è soggetto a parere del Consiglio superiore».
I comitati tecnico-scientifici, quali altri organi consultivi del ministero, sono I comitati tecnico-
individuati dall'art. 26 del d.p.c.m. 17112014 nei seguenti sette: comitato scientifici
tecnico-scientifico per I' archeologia; comitato tecnico scientifico per le belle
arti; comitato tecnico-scientifico per il paesaggio; comitato tecnico-scientifico
per l'arte e l'architettura contemporanee; comitato tecnico-scientifico per i
musei e l'economia della cultura; comitato tecnico-scientifico per gli archivi;
comitato tecnico-scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali.
soppressione, in attuazione di quanto previsto dall'art. 12, comma 20, del d.l.
6luglio 2012, n. 95, conv. con mod. dalla l. 7 agosto 2012, n. 135. Con questa
disposizione si stabiliva, infatti, con riguardo a tutti gli organismi collegiali
operanti presso le pubbliche amministrazioni, in regime di proroga, che le
loro attività fossero «definitivamente trasferite ai competenti uffici delle am-
ministrazioni nell'ambito delle quali operano». Previsione con la quale si dava
sviluppo a un disegno, già awiato con la legge finanziaria per il2002, prose-
guito con il d.l. 4 luglio 2006, n. 223 conv. con mod. dalla l. 4 agosto 2006, n.
248, per il riordino, inteso come riduzione, degli organismi collegiali operanti
presso le pubbliche amministrazioni, quale misura funzionale al contenimento
della spesa e allo snellimento dell'organizzazione pubblica [Barbati 2012].
Benché le procedure per il rinnovo dei comitati fossero state awiate, i ritardi
del ministero nelle designazioni dei componenti di sua competenza ne deter-
minarono l'assoggettamento alle misure soppressive previste dal d.l. 95/2012.
La presidenza del Consiglio infatti non ritenne di concedere la proroga che
il ministero, riconoscendo la perdurante utilità dei comitati, aveva richiesto.
Solo successivamente, anche in ragione delle numerose reazioni critiche solle-
citate dalla loro soppressione e dal conseguente venir meno della possibilità di
awalersi delle loro competenze tecniche, con la l. 112/2013 si è sancita la non
applicazione di queste norme generali «nei confronti degli organismi operanti
nei settori della tutela e della valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici
e delle attività culturali», disponendo che questi organismi fossero ricostituiti.
Il che è quanto awenne con il d.m. 6 giugno 2014.
La composizione dei comitati, disciplinata dall'art. 26, comma 4, del d.p.c.m. La composizione
17112014, è anch'essa il risultato di progressive modifiche, volte sia a ridurne dei comitati
il numero dei membri, oggi fissato, come già prevedeva il d.p.r. 223/2007, in
quattro, sia ad accrescere il numero di quelli scelti dal ministro.
L'art. 26, comma 4, stabilisce pertanto che ciascun comitato sia composto da
un rappresentante, eletto, al proprio interno, dal personale tecnico-scientifico
dell'amministrazione tra le professionalità attinenti alla sfera di competenza del
singolo comitato; da due esperti di chiara fama, in materie attinenti alla sfera
di competenza del singolo comitato, designati dal ministro; da un professore
universitario di ruolo nei settori disciplinari direttamente attinenti alla sfera
di competenza del singolo comitato, designato dal Consiglio universitario
nazionale, secondo una procedura che il d.p.c.m. del 2014 ha leggermente
modificato, prevedendo che la designazione Cun sia effettuata «sentite le
Consulte o Società scientifiche nazionali del settore)).
Il presidente e il vice presidente sono eletti nel proprio seno dai comitati,
assicurando che non siano espressione della medesima componente. E l'in-
cidenza del ministro si esprime anche nella previsione, contenuta nel comma
6, in base alla quale «nel caso in cui nessun candidato risulti eletto presidente
al termine del primo scrutinio, diviene presidente il componente designato
prioritariamente dal ministro)).
Ai componenti dei comitati tecnico-scientifici si applicano le incompatibilità
stabilite dall'art. 25 d.p.c.m. 17112014 per i componenti del Consiglio superiore
beni culturali e paesaggistici.
Strutture ad au- Con l'art. 30 del d.p.c.m. 17112014, e per effetto delle riforme che il nuovo
tonomia speciale regolamento di organizzazione introduce nelle articolazioni centrali e peri-
(art. 30 d.p.c.m. feriche del ministero, queste strutture diventano ancora una volta oggetto
17112014)
di nuove distinzioni tipologiche e di una ordinazione in categorie differenti,
accomunate più che dalla loro collocazione presso l'amministrazione centrale,
come aweniva nel precedente assetto, dalla speciale condizione di autonomia
che ne connota statuto e attività.
L'art. 30 del d.p.c.m. 171/2014 ne propone un elenco, aperto, capace di attrarre
al suo interno altre strutture cui siano riconosciute con decreto ministeriale le
medesime condizioni di autonomia speciale, assunta come tratto qualificante
e, pur nelle sue differenti declinazioni applicative, unificante.
La loro individuazione non può, pertanto, essere assegnata alla sola lettera
dell'art. 30 del d.p.c.m. 17112014, già interessata da integrazioni e da modifiche
conseguenti agli sviluppi assicurati, da prowedimenti successivi, al processo
di riorganizzazione dell'amministrazione centrale e periferica del Mibact.
Gli istituti centrali Volendo seguire l'ordine espositivo proposto dall'art. 30 del d.p.c.m. 17112014,
nel novero di queste strutture rientrano, innanzi tutto, gli istituti centrali.
Ai sensi dell'art. 30, comma l, del d.p.c.m. 171/2014, sono tali: «a) l'Istituto
centrale per il catalogo e la documentazione; b) l'Istituto centrale per il cata-
logo unico delle biblioteche italiane; c) l'Opificio delle pietre dure; d) l'Istituto
centrale per la demoetnoantropologia; e) l'Istituto centrale per il restauro e
la conservazione del patrimonio archivistico e librario; /J l'Istituto centrale
per gli archivi; g) l'Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi; ai quali si
aggiunge h) l'Istituto centrale per la grafica». Ad essi il d.m. 7. Aprile 2017
ha aggiunto i) l'Istituto centrale per l'archeologia.
L'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane (Iccu), con
sede in Roma, previsto, con tale denominazione, dal d.p.r. 805/1975, quando
subentrò al Centro nazionale per il catalogo unico creato nell951, promuove
e coordina l'attività di catalogazione e documentazione del patrimonio librario
conservato nelle biblioteche pubbliche e ne cura l'unificazione dei metodi, con
particolare riguardo alla realizzazione del Servizio bibliotecario nazionale (Sbn).
Coordina inoltre progetti di digitalizzazione e conservazione a lungo termine
delle memorie digitali. Ha come referente la direzione generale Biblioteche e
Istituti culturali.
L'Opificio delle pietre dure (Opd) di Firenze, ora sottoposto alle funzioni
d'indirizzo, di coordinamento e, d'intesa con la direzione generale Bilancio,
di vigilanza della direzione generale Educazione e Ricerca, erede di una lunga
tradizione che risale a Ferdinando I de' Medici, fu costituito con tale denomi-
nazione nell975. Svolge, con valenza sull'intero territorio nazionale, attività di
restauro, conservazione, ricerca e consulenza sui beni del patrimonio culturale
appartenenti allo Stato e ad altri enti pubblici, anche non territoriali nonché a
persone giuridiche private, senza fine di lucro. (art. l d.m. 7 ottobre 2008 che
ne disciplina l'ordinamento).
L'Istituto centrale per la demoetnoantropologia (Idea), con sede in Roma, istituito
allo scopo di rispondere all'esigenza di «dare nuovo slancio al patrimonio demo-
etnoantropologico come portatore di identità e valorizzazione socio economica»,
come si leggeva nella relazione illustrativa al d.p.r. 233/2007, opera per la tutela,
la salvaguardia, la valorizzazione e la promozione dei beni che costituiscono il
patrimonio etnoantropologico italiano oltre che delle diversità culturali.
L'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivi-
stico e librario (lcpal), sorto nel2007 (d.p.r. 233/2007) dall'accorpamento di
due precedenti strutture (Istituto centrale di patologia del libro e Centro di
fotoriproduzione legataria e restauro degli Archivi di Stato), con sede in Roma,
soggetto alle funzioni di coordinamento, indirizzo e vigilanza della direzione
generale Educazione e Ricerca, «svolge, con valenza sull'intero territorio
nazionale, attività di restauro, conservazione, ricerca e consulenza sui beni
archivistici e librari appartenenti allo Stato e ad altri enti pubblici, anche non
territoriali, nonché alle persone giuridiche private (art. l d.m. 7 ottobre 2008).
L'Istituto centrale per gli archivi (lcar), costituito dall'art. 6, comma 4, del
d.lgs. 368/1998, con sede in Roma, afferente alla direzione generale Archivi, ha
«competenze di definizione degli standard per l'inventariazione e la formazione
degli archivi, di ricerca e di studio, di applicazione di nuove tecnologie>>. Dal
2011, all'Istituto spetta anche il coordinamento tecnico-scientifico del Sistema
Archivistico Nazionale.
L'Istituto centrale per i beni sonori e audiovisivi, con sede in Roma, sottoposto
alle funzioni di coordinamento, indirizzo e vigilanza della direzione generale
Biblioteche e Istituti culturali, è stato configurato come tale e, perciò, costituito
con il d.p.r. 233/2007, quando è stato chiamato a subentrare alla Discoteca di
Stato della quale ha acquisito le risorse umane e tecniche nonché il compito
di documentare, valorizzare e conservare il patrimonio sonoro e audiovisivo
nazionale nonché di formulare standard e linee guida in materia di conservazione
e gestione dei beni sonori e audiovisivi.
L'Istituto centrale per la grafica ha assunto tale denominazione e qualificazione
con l'art. 30 del d.p.c.m. 17112014, quale erede del precedente Istituto nazionale
per la grafica sorto nel1975 dall'unione della Calcografia nazionale e del Gabi·
netto nazionale delle stampe. Ha il compito di tutelare, conservare e promuovere
11 0 CAPITOLO 2
Le scuole di for· Ed è presso questi Istituti centrali, in particolare presso l'Opificio delle
mazione e studio pietre dure e presso l'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del
patrimonio archivistico e librario che operano le scuole di formazione e
studio di cui si occupa l'art. 9 del d.lgs. 368/1998, prevedendo, per esse, la
possibilità di organizzare «corsi di formazione e specializzazione anche con
il concorso di Università e altre istituzioni ed enti italiani e stranieri», oltre
che di «partecipare e contribuire alle iniziative di tali istituzioni ed enti» (art.
9, comma 2, d.lgs. 369/1998).
In merito all'organizzazione e al funzionamento degli istituti centrali, l'art.
30, comma 5, del d.p.c.m. 17112014 prevede che essi, inclusa la dotazione
organica, possano essere definiti con uno o più decreti di natura non regola-
mentare, emanati ai sensi dell'art. 17, comma 4-bis, lett. e, della l. 400/1988
e dell'art. 4, commi 4 e 4-bis, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 e
successive modificazioni.
La direzione degli istituti centrali, in base a quanto dispone l'art. 30, comma
6, d.p.c.m. 17112014, è oggetto di un incarico conferito dai titolari delle strut-
ture dirigenziali generali dai quali dipendono, ossia dai Direttori generali di
riferimento.
Gli istituti ad au· L'art. 30, comma 2, lett. b del d.p.c.m. 171/2014 menziona poi gli istituti ad
tonomia speciale autonomia speciale, nel cui novero colloca strutture già incluse, in questa
tipologia, dal regolamento di organizzazione del2007. In particolare, prevede
l'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, la Biblioteca nazionale
centrale di Roma, la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, l'Archivio
centrale dello Stato e il Centro per il libro e la lettura. Nel2015 l'autonomia
speciale è stata altresì conferita all'Opificio delle pietre dure e all'Istituto
centrale per la grafica.
Sono, invece, «nuove», in ragione dei riordini che, nell'ambito della più am-
pia riorganizzazione del Mibact effettuata dal d.p.c.m. 17112014, ne hanno
modificato la configurazione e talvolta la denominazione, le altre strutture
elencate nell'art. 30.
La soprintendenza Fra queste, in primo luogo, quella che, in forza di provvedimenti correttivi
speciale di Roma successivi al d.p.c.m. 17112014, diventa la soprintendenza speciale Archeo-
logia, Belle arti e Paesaggio di Roma.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 111
L'art. 30, comma 2, lett. a, del d.p.c.m. 17112014, nella sua originaria formu-
lazione, collocava infatti, nel novero degli istituti ad autonomia speciale, sia
pure costituiti come uffici di livello dirigenziale generale, perciò differenti da
quelli sopra ricordati, la soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo
nazionale romano e l'area archeologica di Roma e la soprintendenza speciale
per Pompei, Ercolano e Stabia.
Il riordino del- Il Mibact, come altri ministeri, dispone anche di un'amministrazione perife-
l' amministrazione rica, ossia, per l'esercizio delle proprie funzioni e dei propri compiti, si avvale
periferica di sedi e di uffici dislocati sul territorio nazionale ed è uno fra i ministeri con
la più imponente articolazione territoriale.
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 113
I segretariati regionali del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del
Turismo sono i primi organi periferici menzionati nell'elenco dell'art. 31 del
d.p.c.m. 171/2014. Una collocazione che non riflette tanto la loro priorità,
nell'ambito dell'amministrazione periferica, quanto la loro vocazione a essere
sedi intermedie, di snodo e raccordo fra i diversi uffici operanti sul territorio
e fra questi e l'amministrazione centrale.
I segretariati regionali, nella disciplina che ne detta il d.p.c.m. 17112014, Compiti e ruoli
continuano ad assolvere principalmente il ruolo che era delle soprintendenze
regionali e che diventò delle direzioni regionali, sia pure in un quadro ordi-
namentale profondamente modificato, atto a ridurne l'incidenza sui processi
decisionali, di valenza tecnico-scientifica, degli altri uffici periferici.
Deboli raccordi In base a quanto dispone l'art. 31, comma l, del d.p.c.m. 17112014, i segreta-
con le autonomie riati regionali, ora configurati come uffici di livello dirigenziale non generale,
territoriali in ossequio al principio della riduzione delle posizioni di livello dirigenziale
generale, sono chiamati, come per il passato, ad assicurare <<il coordinamento
dell'attività delle strutture periferiche del ministero presenti nel territorio
regionale)), ma «nel rispetto della specificità tecnica degli istituti e nel quadro
delle linee d'indirizzo inerenti alla tutela emanate per i settori di competenza
dalle direzioni generali centrali». Clausola, con la quale si è inteso accrescere
la distanza organizzativa e funzionale delle strutture periferiche dai segreta-
riati regionali.
Essi curano inoltre «i rapporti del ministero e delle strutture periferiche con
le Regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella Regione», compito
in realtà reso debole, quasi svuotato di un significato sostanziale, dall'assenza
di strumenti utili allo scopo.
In proposito, si ricorda che questo compito era già attribuito alle soprinten-
denze regionali e continuò a connotare le direzioni regionali pensate, almeno
nelle intenzioni del ministero, come articolazioni periferiche chiamate a farsi
efficienti punti di riferimento per i rapporti con le istituzioni regionali senza
però che, allora come oggi, fossero definite soluzioni adeguate a questo fine,
tanto più necessarie stante l'assenza di sedi organizzati ve deputate a garantire
momenti di confronto-raccordo tra amministrazione periferica del Mibact e
autonomie territoriali [Barbati 2005].
Tuttavia, a definire compiutamente il ruolo del segretario regionale con- Il ruolo del segre-
corrono soprattutto le attribuzioni che il d.p.c.m. 171/2014 gli ha sottratto, tario regionale
rispetto a quelle che erano proprie del precedente direttore regionale.
Modifiche indirette, dunque, derivanti dalla scelta, operata in occasione della
riorganizzazione approvata nel2014, di non riconoscere più le altre strutture
periferiche come loro articolazioni, quali erano. Di conseguenza, ai segretari
regionali cessano di appartenere quei poteri di indirizzo, direzione e controllo
nonché avocazione e sostituzione che il regolamento del 2007 menzionava
fra le prime attribuzioni delle direzioni regionali. Ai segretari regionali, oggi,
spetta al più il potere di proporre ai direttori generali centrali di riferimento
l'avocazione degli atti di competenza dei soprintendenti (art. 32, comma 2,
lett. v, del d.p.c.m. 171/2014).
Nel novero degli organi periferici del ministero, l'art. 31 del d.p.c.m. 17112014
colloca le soprintendenze quali strutture che, in ragione delle loro competenze
tecniche, sono storicamente e tipicamente deputate, come precisa il successivo
art. 33, ad assicurare sul territorio la tutela del patrimonio culturale, tanto
che a esse, ovvero ai loro antecedenti organizzativi, si deve la stessa nascita
dell'idea di tutela e del modello di amministrazione che avrebbe poi connotato
gli apparati statali preposti e pertanto anche il ministero del settore.
Per una migliore comprensione del ruolo delle soprintendenze, al di là e ancor Il ruolo delle so-
prima dell'identificazione che le norme effettuano dei loro compiti, è opportuno printendenze
rammentare la genesi di questa soluzione organizzativa, risalente a un editto del
7 aprile 1820, emanato sotto il pontificato di Pio VII. Successivamente accolta
nell'Italia postunitaria, diede vita alla costituzione di strutture variamente
116 CAPITOLO 2
Unificazione delle A seguito delle modifiche apportate con il d.m. 23 gennaio 2016, in attuazione
soprintendenze di di quanto previsto dall'art. l, comma 327, della l. 28 dicembre 2015, n. 208,
settore le soprintendenze, già accorpate dal d.p.c.m. 171/2014 in quelle Archeologia
e Belle Arti e Paesaggio, conoscono un ulteriore processo di unificazione,
parallelo a quello che interessa le corrispondenti direzioni generali (su cui v.
supra, par. 6.1).
L'art. l, comma 2, del d.m. 23 gennaio 2016, «al fine di migliorare il buon
andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale)), dispone
infatti l'istituzione delle soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio,
«quale risultato della operazione di fusione e accorpamento, su tutto il ter-
ritorio nazionale, delle soprintendenze Archeologia e delle soprintendenze
Belle Arti e Paesaggio)). È la nascita della cosiddetta soprintendenza unica.
Calabria e la provincia di Vibo Valentia con sede a Reggio Calabria; per la Città
metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna, con sede a
Cagliari; per le province di Sassari e Nuoro, con sede a Sassari. In tale elenco
va ora inserito anche l'Ufficio del soprintendente speciale per la ricostruzione
post-sisma, con sede a Rieti.
Per quanto concerne, invece, la loro organizzazione interna, al fine dichiarato L'organizzazione
nel preambolo del d.m. 44/2016 di assicurare, nelle soprintendenze uniche, interna
«la presenza di tutte le professionalità specifiche richieste per un adeguato
svolgimento delle funzioni di tutela del patrimonio culturale)), sono articolate
in almeno sette aree funzionali individuate, dall'art. 4, comma 2, del d.m.
44/2016 nelle seguenti: organizzazione e funzionamento; patrimonio archeo-
logico, patrimonio demoetnoantropologico; paesaggio, educazione e ricerca.
A ciascuna area è preposto un responsabile incaricato, sulla base di apposita
procedura selettiva, dal soprintendente competente (art. 4, comma 2).
L'incarico di soprintendente, quale soggetto preposto a una unità dirigenziale
di livello non generale, è conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 5, del d.lgs.
30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, ossia dal dirigente della
direzione generale di afferenza che, nel caso, è appunto la direzione generale
(unica) Archeologia, Belle Arti e Paesaggio.
Ritorno allo Stato Al fine prioritario di «assicurare criteri e condizioni uniformi su tutto il terri-
della tutela dei be- torio nazionale per la tutela del patrimonio archivistico e librario)), l'art. 16,
ni librari comma 1-sexies, della l. 125/2015 modifica l'art. 5 del Codice, abrogandone
le previsioni che riconoscevano la competenza delle Regioni in materia di
tutela dei beni librari non appartenenti allo Stato, per attribuire loro solo
la possibilità di esercitarle ai sensi del comma 3 del medesimo art. 5 del
Codice, ossia «sulla base di specifici accordi od intese e previo parere)) della
Conferenza Stato-Regioni.
L'art. 5 del d.m. 23 gennaio 2016, n. 44 ha dunque previsto che competa alle
soprintendenze Archivistiche, capillarmente presenti sul territorio, esercitare
le funzioni di tutela anche sui beni librari, awalendosi del personale delle
biblioteche statali, e assumendo perciò la diversa denominazione di soprin-
tendenze archivistiche e bibliografiche, tranne che nelle Regioni Friuli-Venezia
Giulia, Sardegna e Sicilia.
In capo alle Regioni permangono, invece, le funzioni di valorizzazione e
promozione dei beni librari a esse già spettanti.
L'art. 5 del d.m. 44/2016 non si applica alle Regioni a Statuto speciale e alle pro-
vince autonome di Trento e Bolzano per le quali vale il rinvio a quanto previsto
dai rispettivi statuti e dalle relative norme di attuazione. In particolare, l'art.
5 d.m. 44/2016 dispone che nella Regione Trentino-Alto Adige, la soprinten-
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 121
II d.m. 44/2016 ha in tal modo recepito quanto era già stato oggetto di un
accordo, stipulato il 26 ottobre 2015, tra la direzione generale Biblioteche e
la direzione generale Archivi perché fossero le soprintendenze Archivistiche
a esercitare la tutela anche sui beni librari con la collaborazione del personale
delle biblioteche statali. Da rilevare, comunque, che con decreti ministeriali
del settembre 2016, volti a definire l'organico del ministero, si è inteso anche
accrescere il numero dei bibliotecari assegnati alle soprintendenze.
7.4. Musei
Fra gli organi periferici del ministero, l'art. 31 del d.p.c.m. 17112014 colloca I musei statali
anche i musei o, come è opportuno precisare, di là dalla sintesi espressiva del
regolamento di organizzazione, i musei statali.
I musei statali erano già previsti fra gli organi periferici del ministero. A occu-
parsene erano, in particolare, gli artt. 16 e 17, comma l, del d.p.r. 233/2007,
sia pure nell'ambito di previsioni molto scarne, tanto che per ricostruirne
l'ordinamento, l'assetto organizzativo, le funzioni e i compiti era necessario
riferirsi ad altri complessi normativi e, segnatamente, al Codice.
Definizione, questa, del Codice con cui s'identifica quello che, nell'esperienza
italiana, costituisce il modello prevalente di museo ovvero il «museo in senso
proprio», quale luogo della cultura connotato da un collegamento funzionale
ai beni culturali e, perciò, alle esigenze di protezione e conservazione per fini
di pubblica fruizione da essi espresse e soddisfatte, tramite lo statuto speciale
al quale sono sottoposti.
Il nuovo statuto Ciò che più incide sullo statuto giuridico dei musei è comunque la possibilità,
giuridico dei mu- riconosciuta dall'art. 14, comma 2 e 2-bis, della l. 106/2014, di riconoscere a
sei tal uni di essi, provvisti di rilevante interesse nazionale, un'autonomia speciale,
scientifica, finanziaria, contabile e organizzativa, pur conservandoli sotto la
ORGANIZZAZIONE E SOGGffil 123
Come si legge nell'art. 30, comma 4, del d.p.c.m. 17112014, con decreti mini-
steriali di natura non regolamentare, nel rispetto dell'invarianza della spesa,
possono essere individuati eventuali altri organismi istituiti come autonomi ai
sensi dell'art. 14, comma 2, della l. 106/2014 nonché possono essere ascritti ai
musei, di cui al comma 3 del medesimo articolo 30, ulteriori istituti o luoghi della
cultura. Decreti che, si prevede espressamente, possono anche ridenominare
gli istituti da essi regolati.
Distinzione che non influisce sul loro grado di autonomia organizzativa e con-
tabile, ma solo sulle linee di comando nelle quali sono inserite e sul trattamento
economico dei responsabili. Pertanto, pur dipendendo tutti funzionalmente
(art. 35, comma 3, d.p.c.m. 17112014) dalla direzione generale Musei alla quale
compete anche approvarne i bilanci e i conti consuntivi, quando sono costituiti
come uffici dirigenziali di livello generale si trovano in rapporto diretto con il
segretario generale del ministero, che può anche sostituirsi alloro responsabile,
in caso di perdurante inerzia. Se configurati invece come uffici di livello diri-
genziale non generale sono sottoposti alle funzioni di indirizzo, coordinamento,
controllo e, in caso di necessità e urgenza, informato il segretario generale,
avocazione e sostituzione della direzione generale Musei.
Sono pertanto dotati di autonomia speciale, quali uffici di livello dirigenziale
generale, la Galleria Borghese, la Galleria degli Uffizi, la Galleria nazionale d' ar-
te moderna e contemporanea di Roma; le Gallerie dell'Accademia di Venezia;
il Museo di Capodimonte; la Pinacoteca di Brera; la Reggia di Caserta (art. 30,
comma 3, lett. a, d.p.c.m. 17112014). Sono dotati di autonomia speciale, ma
costituiti quali uffici di livello dirigenziale non generale: la Galleria dell'Acca-
demia di Firenze; le Gallerie Estensi di Modena; la Galleria nazionale d'Arte
antica di Roma; il Museo nazionale del Bargello; il Museo archeologico nazio-
nale di Napoli; il Museo nazionale archeologico di Reggio Calabria; il Museo
nazionale archeologico di Taranto; Paestum; il Palazzo Ducale di Mantova; il
Palazzo Reale di Genova; i Musei Reali di Torino (art. 30, comma 3, lett. b,
d.p.c.m. 17112014); la Galleria nazionale delle Marche, la Galleria nazionale
dell'Umbria (d.m. 8 maggio 2015).
124 CAPITOLO 2
Con l'art. 6 del d.m. 23 gennaio 2016, n. 44, si è inoltre prevista, al fine precipuo
«di valorizzare il patrimonio archeologico, storico, artistico e demoetnoantropo-
logico della Nazione», l'istituzione di altri istituti e musei di rilevante interesse
nazionale ai quali attribuire, con uno o più decreti ministeriali, la condizione
di autonomia speciale di cui all'art. 30 del d.p.c.m. 17112014. In particolare
sono stati riconosciuti come tali: il Museo nazionale romano, e a seguito della
riorganizzazione disposta dal d.m. 15/2017, il Parco archeologico del Colosseo
(v. supra), quali uffici di livello dirigenziale generale periferico e inoltre, quali
uffici di livello dirigenziale non generale periferici, il Complesso monumentale
della Pilotta di Parma, il Museo delle civiltà con sede a Roma Eur; il Museo
nazionale etrusco di Villa Giulia; il Museo storico e il Parco del Castello di
Miramare; il Parco archeologico dei Campi Flegrei; il Parco archeologico
dell'Appia antica; il Parco archeologico di Ercolano; il Parco archeologico
di Ostia Antica; Villa Adriana e Villa d'Este. Per disposizione dell'art. 4 del
d.m. 15/2017, inoltre, la soprintendenza speciale Pompei e il direttore a essa
preposto hanno assunto la denominazione di Parco archeologico di Pompei e
di direttore del Parco archeologico di Pompei (v. supra).
È sempre il d.m. 23 dicembre 2016 a stabilire, nel suo art. 4, che, nell'amministra-
zione dei musei statali, è assicurata la presenza di almeno cinque aree funzionali:
direzione; cura e gestione delle collezioni, studio, didattica, ricerca; marketing,
fundraising, servizi e rapporto con il pubblico, pubbliche relazioni; amministra-
zione, finanze e gestione delle risorse umane; strutture, allestimenti e sicurezza.
Gli organi La rilevanza delle scelte compiute dal legislatore in materia di organizzazione
dei musei dotati di autonomia speciale si palesa, innanzi tutto, nella configu-
razione degli organi ai quali spetta garantire lo svolgimento della missione
del museo, verificare l'economicità, l'efficienza e l'efficacia dell'attività del
museo oltre che la qualità scientifica dell'offerta culturale e delle pratiche
di conservazione, fruizione e valorizzazione dei beni in consegna al museo.
0RGANIUAZIONE E SOGGffil 125
In base all'art. 8 del d.m. 23 dicembre 2014, tali organi sono: il direttore, il
Consiglio di amministrazione, il Comitato scientifico, il Collegio dei revisori
dei conti.
Un ruolo centrale, in questo assetto, compete al direttore del museo, la cui Il direttore
figura, già a opera della L 106/2014 e del d.p.c.m. 17112014, diventa oggetto
di un riconoscimento prima mancante nell'esperienza delle strutture museali
italiane, affermandosi anche come tramite delle principali innovazioni che
investono le funzioni e il ruolo del museo.
Al direttore, definito dall'art. 5 del d.m. 23 dicembre 2014, custode e inter-
prete dell'identità e della missione del museo, nel rispetto degli indirizzi del
ministero, compete, infatti, la gestione del museo nonché l'attuazione e lo
sviluppo del suo progetto culturale e scientifico e, in base a quanto dispone
l'art. 30, comma 6, del d.p.c.m. 17112014, con l'atto di conferimento dei
relativi incarichi, possono essere conferite anche le funzioni di direttore del
Polo museale regionale.
ma anche di tutela sui beni mobili loro in consegna, senza l'autorizzazione del
soprintendente, al quale compete, in base all'art. 4 del medesimo decreto, au-
torizzare l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali,
tranne che in questo caso. Ai direttori compete altresì concedere l'uso dei beni
culturali dati loro in consegna.
Altrettanto significativo, agli effetti della centralità della sua figura, è quanto
dispone l'art. 30, comma 6, del d.p.c.m. 17112014, in merito alle modalità di
conferimento dell'incarico di direttore. Per i musei prowisti di autonomia spe-
ciale e costituiti come uffici dirigenziali, la disposizione prevede che l'incarico
possa essere assegnato secondo le modalità stabilite dall'art. 14, comma 2-bis,
del d.l. 31 maggio 2014, n. 83, convertito dalla l. 29luglio 2014, n. 106, ossia
«con procedure di selezione pubblica, per una durata da tre a cinque anni, a
persone di particolare e comprovata qualificazione professionale in materia
di tutela e valorizzazione dei beni culturali e in possesso di una documentata
esperienza di elevato livello nella gestione di istituti e luoghi della cultura)),
ossia a personale che può non appartenere all'amministrazione del settore,
potendo anche essere scelto in contesti internazionali.
Dal punto di vista procedurale, l'art. 30, comma 6, del d.p.c.m. 17112014
precisa che per gli incarichi di direzione dei musei di livello dirigenziale ge-
nerale si osservino le modalità stabilite dall'art. 19, comma 4, d.lgs. 165/2001
e pertanto siano conferiti con decreto del presidente del Consiglio dei mini-
stri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro
competente. Per i musei di livello dirigenziale non generale gli incarichi sono
invece conferiti dal direttore generale Musei ai sensi dell'art. 19, comma 5,
d.lgs. 165/2001.
li Comitato scientifico, composto dal direttore del museo che lo presiede, Il Comitato scien-
da un membro designato dal ministro, uno designato dal Consiglio superiore tifico
beni culturali e paesaggistici, uno dalla Regione e uno dal Comune dove ha
sede il museo svolge funzione consultiva a favore del direttore sulle questioni
di carattere scientifico nell'ambito di attività dell'Istituto (art. 12 d.m. 23
dicembre 2014). I suoi componenti designati per una durata di cinque anni,
confermabili una sola volta, sono comunque scelti fra professori universitari
di ruolo in settori attinenti all'ambito disciplinare di attività dell'istituto o fra
esperti di particolare e comprovata qualificazione scientifica e professionale
in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali.
Quanto al Collegio dei revisori dei conti, composto da tre membri effettivi, di Il Collegio dei re-
cui un funzionario del ministero dell'Economia e delle Finanze con funzioni visori dei conti
di presidente, e da due membri supplenti, con mandato di tre anni, confer-
mabili una sola volta, a esso compete svolgere le attività relative al controllo
di regolarità amministrativo-contabile (art. 13 d.m. 23 novembre 2014).
In base a quanto stabilisce l'art. 31 del d.p.c.m. 171/2014, sono organi perife-
rici del Mibact, in particolare articolazioni periferiche della direzione generale
Musei, anche i Poli museali regionali. Introdotti con la riorganizzazione del
ministero, operano quali nuove strutture di riferimento e di afferenza, su
base regionale o interregionale, dei musei e degli istituti della cultura che
non usufruiscono dell'autonomia speciale riconosciuta, nei termini ricordati,
a taluni musei.
La loro concreta individuazione è rimessa, dall'art. 34 del d.p.c.m. 17112014,
a un successivo decreto ministeriale, chiamato a effettuare queste scelte nel
rispetto del limite numerico, di diciassette Poli museali, operanti in una o
più Regioni, a esclusione della Regione Sicilia, Trentina-Alto Adige e Valle
d'Aosta, fissato dal regolamento di organizzazione.
È stato perciò il d.m. 23 dicembre 2014, dedicato all'«Organizzazione e al
funzionamento dei musei statali» che, al fine di assicurarne l'attivazione, ha
provveduto a individuarli, in apposito Allegato, anche tramite l'elencazione,
128 CAPITOLO 2
comunque aperta a successive integrazioni, dei musei e degli altri luoghi della
cultura assegnati, in prima applicazione, a ognuno di essi (v. art. 16).
In base a quanto dispone l'Allegato 3 del d.m. 23 dicembre 2014, sono pertanto
istituiti i Poli museali regionali di Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia
Giulia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo,
Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna. A ognuno di essi
sono imputati beni e complessi, anche museali, dai quali il successivo d.m. 23
gennaio 2016 andrà a scorporame alcuni, riconosciuti di rilevante interesse
nazionale, come tali suscettibili di ottenere, con appositi decreti, lo statuto di
autonomia speciale, previsto dall'art. 30, commi 2 e 3, del d.p.c.m. 171/2014,
che ne comporta la sottrazione alla gestione da parte del Polo museale regionale.
Le funzioni dei Per quanto concerne le funzioni dei Poli museali regionali, è innanzi tutto l'art.
Poli museali re- 34 del d.p.c.m. 17112014 a prevedere che a essi compete assicurare «sul territo-
gionali rio l'espletamento del servizio pubblico di fruizione e di valorizzazione degli
istituti e dei luoghi della cultura in consegna allo Stato o allo Stato comunque
affidati in gestione, ivi inclusi quelli afferenti agli istituti di cui all'art. 30, comma
2, lett. a, e comma 3», ossia agli istituti e ai musei dotati di autonomia speciale.
Una competenza che vuole essere funzionale alla definizione di «strategie e
obiettivi comuni di valorizzazione, in rapporto all'ambito territoriale di com-
petenza» e a promuovere «l'integrazione dei percorsi culturali di fruizione e, in
raccordo con il segretario regionale, dei conseguenti itinerari turistico-culturali».
Ed è a questi fini che l'art. 34, comma l, prevede che il direttore del Polo
museale regionale riunisca periodicamente, in conferenza, con cadenza almeno
mensile, i direttori dei Musei, insistenti nella Regione, ivi inclusi quelli dotati
di autonomia speciale.
Il direttore del Al direttore del Polo museale regionale spetta, d'altro canto, promuovere
Polo museale re- la costituzione di un sistema museale regionale integrato, favorendo la crea-
gionale zione di poli museali comprendenti gli istituti e i luoghi della cultura statali
e quelli delle amministrazioni pubbliche presenti nel territorio oltre che di
altri soggetti pubblici e privati; garantire omogeneità di servizi e di standard
qualitativi nell'intero sistema museale regionale (art. 34 d.p.c.m. 17112014).
A lui compete anche elaborare e approvare, previo parere della direzione
generale Musei, i progetti relativi alle attività e ai servizi di valorizzazione,
ivi inclusi i servizi da affidare in concessione, al fine della successiva messa a
gara degli stessi (art. 15 d.m. 23 dicembre 2014).
li direttore del Polo museale regionale si definisce, pertanto, come il soggetto
chiamato a promuovere l'avvio e la realizzazione «dal basso», ossia proce-
dendo dai territori e dai sistemi museali regionali che è chiamato a costituire,
di quel sistema museale nazionale immaginato quale soluzione organizzativa
finalizzata «alla messa in rete dei musei italiani e alla integrazione dei servizi e
delle attività museali» (art. 7 d.m. 23 dicembre 2014 ). Ed è perciò al direttore
del Polo museale che spetta anche programmare, indirizzare, coordinare e
monitorare tutte le attività di gestione, valorizzazione, comunicazione e pro-
mozione del sistema museale nazionale nel territorio regionale.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 129
Anche gli Archivi di Stato e le Biblioteche sono annoverati, dall'art. 31, comma
l, del d.p.c.m. 17112014, fra gli organi periferici del ministero.
Gli Archivi di Quanto agli Archivi di Stato, il d.p.c.m. 17112014 se ne occupa nell'art. 37 per
Stato riconoscere loro piena autonomia tecnico-scientifica e identificarne le funzioni
in quelle di tutela e valorizzazione, comprensiva della pubblica fruizione, dei
beni archivistici in loro consegna nonché di tutela degli archivi, correnti e di
deposito, dello Stato.
In merito alle loro capacità di soggetti giuridici, l'art. 37 del d.p.c.m. 17112014
stabilisce che gli Archivi di Stato, al pari dei Musei, possono sottoscrivere, per
fini di didattica, convenzioni con enti pubblici e istituti di studio e ricerca.
Possono inoltre prowedere all'acquisto di beni e servizi in economia ed effet-
tuare lavori sino a un importo di 100.000 euro, chiedendo, in caso di assenza
di personale tecnico-amministrativo o per altre esigenze di carattere organiz-
zativo, al Segretariato regionale di svolgere, per queste attività, le funzioni di
stazione appaltante.
Alla direzione generale Archivi compete, fra l'altro, con riferimento all'attività di
tutela degli Archivi di Stato come delle soprintendenze Archivistiche, esercitare
i poteri di direzione, indirizzo, coordinamento, controllo e, in caso di necessità
e urgenza, informato il segretario generale, avocazione e sostituzione, anche su
proposta del segretario regionale. Inoltre, è sempre alla direzione generale che
spetta definire le linee guida ed elaborare gli standard cui dovranno attenersi,
nella loro attività, gli Archivi di Stato.
Le Biblioteche Delle Biblioteche pubbliche statali si occupa l'art. 38 del d.p.c.m. 17112014,
pubbliche statali dedicando loro previsioni sostanzialmente analoghe a quelle pensate per gli
Archivi di Stato. A esse sono assegnate funzioni di «conservazione e valoriz-
zazione del patrimonio bibliografico)), del quale sono tenute ad assicurare la
pubblica fruizione. Ed è poi l'art. 3 del d.m. 23 novembre 2014 a precisare
che esse sono dotate di autonomia tecnico-scientifica, chiamate a svolgere i
propri compiti tenendo conto della specificità delle raccolte, della tipologia
degli utenti e del contesto territoriale in cui ciascuna è inserita.
Anche alle Biblioteche pubbliche statali l'art. 38 del d.p.c.m. 17112014 rico-
nosce, dunque, la possibilità di sottoscrivere, per fini di didattica, convenzioni
con enti pubblici e istituti di studio e ricerca, prowedere all'acquisto di
beni e servizi in economia, effettuare interventi conservativi sul patrimo-
nio bibliografico e sugli immobili in consegna, di importo non superiore a
100.000 euro, superati i quali la gestione degli interventi passa al Segretariato
regionale. Come per gli Archivi di Stato a esse è possibile chiedere, in caso di
assenza di personale tecnico-amministrativo o per altre esigenze di carattere
organizzativo, al Segretariato regionale di svolgere, per queste attività, le
funzioni di stazione appaltante.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 131
Si ricorda, inoltre, che a seguito dell'istituzione, con l'art. 5 del d.m. 23 gennaio
2016, delle soprintendenze Archivistiche e bibliografiche, conseguente alla
scelta di ricondurre in capo allo Stato la tutela dei beni librari (art. 16, comma
1-sexies, d.l. 78/2015, convertito con modifiche in l. 125/2015, su cui v. supra,
par. 7.3), si è stabilito che, con riferimento alla tutela dei beni librari, le soprin-
tendenze possono avvalersi del personale delle Biblioteche statali.
Non a caso, l'art. 20 del d.m. 23 dicembre 2014 precisa che, in questo caso,
gli Archivi e le Biblioteche continuano a dipendere, funzionalmente, gli uni
dalla direzione generale Archivi, le altre dalla direzione generale Biblioteche
ai cui vertici compete su proposta del direttore del museo o del Polo museale
regionale competente, nominarne il direttore.
Da ricordare che, fra le attribuzioni della direzione generale Archivi e della di-
rezione generale Biblioteche e Istituti culturali, vi è anche la promozione di poli
archivistici e di poli bibliotecari, per il coordinamento dell'attività degli istituti
che svolgono funzioni analoghe nell'ambito dello stesso territorio (artt. 21 e 22
del d. p.c.m. 17112014). Previsione peraltro meramente facoltizzante, a differenza
di quella che concerne la necessaria costituzione dei Poli museali regionali.
Strutture di rac- La composizione palesa la vocazione di questi organismi a operare quali strut-
cordo ture di raccordo fra le diverse articolazioni periferiche, presenti nel territorio
della Regione. In quanto tali, le commissioni sono chiamate a coordinare e
armonizzare l'attività di tutela e di valorizzazione nel territorio regionale,
favorendo l'integrazione inter-e multidisciplinare tra i diversi istituti nonché
garantendo una visione olistica del patrimonio culturale. A esse spetta inoltre
svolgere «un'azione di monitoraggio, di valutazione e di autovalutazione)) (art.
39, comma l, d.p.c.m. 17112014).
Di questa funzione sono espressione le attribuzioni assegnate, consultive e di
amministrazione attiva, in gran parte derivate dai compiti che erano propri
delle direzioni regionali, così sottolineandone l'attitudine a essere strumenti
per un coordinamento orizzontale fra le strutture dell'amministrazione pe-
riferica, capace di favorire quella omogeneità nei criteri di intervento delle
tante articolazioni periferiche perseguita, per fini di razionalizzazione e di
superamento della frammentazione delle competenze, anche dall'istituzione
della soprintendenza (unica) Archeologia, Belle arti e Paesaggio (d.m. 44/2016,
su cui v. supra, par. 7.2).
In base a quanto dispone l'art. 39, comma 2, d.p.c.m. 17112014, alle commis-
sioni compete in particolare, fra l'altro: verificare la sussistenza dell'interesse
culturale nei beni appartenenti a soggetti pubblici e a persone giuridiche private
senza fine di lucro, ai sensi dell'articolo 12 del Codice; dichiarare, su proposta
delle competenti soprintendenze, l'interesse culturale delle cose, a chiunque
appartenenti, ai sensi dell'articolo 13 del Codice; dettare, su proposta delle
competenti soprintendenze, prescrizioni di tutela indiretta ai sensi dell'articolo
45 del Codice; autorizzare gli interventi di demolizione, rimozione definitiva,
nonché di smembramento di collezioni, serie e raccolte, da eseguirsi ai sensi
dell'articolo 21, comma l, lett. a, be c, del Codice, fatta eccezione per i casi di
urgenza, nei quali l'autorizzazione è rilasciata dalla competente soprintendenza,
che informa contestualmente il segretario regionale; autorizzare, su proposta
del soprintendente, le alienazioni, le permute, le costituzioni di ipoteca e di
pegno e ogni altro negozio giuridico che comporti il trasferimento a titolo
oneroso di beni culturali, ai sensi degli articoli 55, 56, 57 -bis e 58 del Codice;
adottare, su proposta del soprintendente e previo parere della Regione, ai sensi
dell'articolo 138 del Codice, la dichiarazione di notevole interesse pubblico
relativamente ai beni paesaggistici, ai sensi dell'articolo 141 del medesimo
Codice; esprimere l'assenso del ministero, sulla base dei criteri fissati dal
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 133
8. LE SOCIETÀ STRUMENTALI
Il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, per l'esercizio
dei propri compiti, si avvale anche di soggetti appositi, costituiti in forma
di società. Soggetti, perciò, formalmente di diritto privato, ma di natura so-
stanzialmente pubblica che agiscono come strumenti operativi del Mibact,
il quale esercita e mantiene il controllo su di esse.
Il ricorso alla figura societaria per interventi nel settore dei beni culturali è stata,
a lungo, una scelta molto diffusa presso le amministrazioni locali. Al contrario,
presso il livello statale, la sperimentazione di questi modelli, anche quando
previsti dal legislatore, ha incontrato difficoltà e resistenze. Solo il settore delle
attività culturali e, in particolare, dello spettacolo ha conosciuto significativi
utilizzi di questi modelli organizzativi.
A seguito di quanto disposto con l'art. l, comma 322, della l. 28 dicembre Ales s.p.a.
2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), «al fine di assicurare risparmi della spesa
pubblica e di razionalizzare le società strumentali del ministero dei Beni e
delle Attività culturali e del Turismo», questo strumento è oggi individuato
in Ales s.p.a., società in cui è stata fusa, per incorporazione, Arcus s.p.a. e la
cui struttura organizzativa è stata conseguentemente articolata in due o più
divisioni, una delle quali chiamata a proseguire le funzioni della società Arcus.
e dell'art. 20, commi 3 e 4, della l. 24 giugno 1997, n. 196, ill7 dicembre 1998,
per volontà e iniziativa dell'allora Mibac e di Italia Lavoro s.p.a.
Per comprendere appieno il significato dell'intervento legislativo volto a istituire
Ales quale società strumentale unica, è opportuno ricordare le complesse vicen-
de che hanno interessato Arcus s.p.a., nata come società destinata a sostituire la
mai costituita Sibec s.p.a. (art. lO della l. 8 ottobre 1997, n. 352). Lo scopo di
Arcus era evidenziato dal suo oggetto sociale, predeterminato dall'art. 2, comma
l, della l. 291/2993, ove si stabiliva che essa era chiamata a operare per «la pro-
mozione e il sostegno finanziario, tecnico-economico e organizzativo di progetti
e altre iniziative di investimento per la realizzazione di interventi di restauro e
recupero dei beni culturali e di altri interventi a favore delle attività culturali e
dello spettacolo, nel rispetto delle funzioni costituzionali delle Regioni e degli
enti locali». Uno strumento dunque essenzialmente finanziario, provvisto della
veste privata della società per azioni ma di natura sostanzialmente pubblica,
con capitale sociale interamente sottoscritto dal ministero dell'Economia e delle
Finanze, sottoposto al controllo della Corte dei Conti, rispetto al quale l'ingresso
di altri soci, anche privati, era solo eventuale e comunque destinato a occupare
una posizione di minoranza. Questo modello organizzativo si rivelò ben pre-
sto inadeguato ad assolvere le finalità per le quali era stato immaginato, ossia
agevolare l'utilizzo e il reperimento di risorse finanziarie anche esterne, specie
private, aprendosi al contributo e al coinvolgimento di altri attori sia pubblici
sia privati in progetti innovativi di restauro, recupero e, in genere, promozione
del patrimonio culturale. Come ebbe a rilevare anche la Corte dei Conti, nella
relazione sull'esercizio 2006, il ruolo di Arcus pareva essersi ridotto a quello di
«mera agenzia strumentale>>, per interventi spesso obbedienti a esigenze con-
tingenti, al di fuori di adeguate programmazioni da parte degli stessi ministeri
di riferimento (l'allora Mibac e Infrastrutture) e di regole procedimentali che
assicurassero trasparenza e imparzialità, tanto da suggerire un ripensamento
del modello anche in vista della sua soppressione. E Arcus s.p.a., costituitasi
solo nel 2004, venne sottoposta nel 2006 a una gestione commissariale che
si protrasse per due anni, sino a quando, nel2012, il ministro per i Beni e le
Attività culturali dichiarò, in audizione al Senato, l'intenzione di procedere
al ripensamento del modello e al graduale rientro delle funzioni assegnate ad
Arcus all'interno della normale programmazione ministeriale. Questo benché
nel frattempo qualche cosa fosse iniziato a cambiare nelle modalità operative
di Arcus, tanto da indurre la Corte dei Conti, in una determinazione del2012,
a rilevare come le potenzialità di Arcus fossero ormai da imputarsi ai ritardi
e alle inadempienze dei ministeri dei quali era strumento. L'atteggiamento
critico delle sedi governative si tradusse nella scelta di disporre, con l'art. 12,
commi 24-28, del d.l. 95/2012, recante «Disposizioni urgenti per la revisione
della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini» (convertito, con
modificazioni, nella l. 7 agosto 2012, n. 135) la sua messa in liquidazione, quale
misura resa necessaria dal contenimento della spesa pubblica. Ma anche questa
messa in liquidazione che avrebbe dovuto condurre alla gestione di Arcus da
parte di un Commissario fu superata con il c.d. decreto del fare, ossia il d.l.
21 giugno 2013, n. 69 (convertito con modificazioni nella l. 9 agosto 2013, n.
98), il cui art. 39, comma l-bis, dispose l'abrogazione dell'art. 12, commi 24-30
del decreto del2012, stabilendo nel successivo comma 1-ter che, con decreto
del ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il
ministro delle Infrastrutture e dei trasporti e con il ministro dell'Economia e
delle finanze, si provvedesse alla revisione del regolamento di Arcus s.p.a. e alla
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 135
La legge di stabilità 2016, nel suo art. l, comma 3 23, definisce la configura-
zione della nuova Ales s.p.a. come società la cui partecipazione azionaria
è interamente attribuita al Mibact cui compete adottarne lo Statuto. Ed è
appunto lo Statuto, approvato con d.m. 3 febbraio 2016, n. 61, a determi-
narne, in conformità alle indicazioni offerte dalla legge, l'assetto societario
e organizzativo interno, le modalità di funzionamento, la durata e l'oggetto
sociale.
Di Ales, quale società a capitale interamente pubblico, con sede principale
a Roma, e una sede secondaria a Napoli, lo Statuto dichiara innanzi tutto
la sottoposizione alla vigilanza, in via esclusiva, del Mibact cui spetta eser-
citare i diritti dell'azionista, secondo gli indirizzi impartiti dal ministro,
mediante la direzione generale Bilancio, in conformità al modello dell'in
house providing e secondo modalità stabilite nel «Regolamento per l'indirizzo
e il controllo analogo su Ales s.p.a.>>, approvato con decreto del direttore
generale Bilancio.
Per quanto concerne le attribuzioni di Ales, è l'art. 3 dello Statuto a precisare Le attribuzioni di
che «La Società svolge prevalentemente per il Mibact e secondo le direttive e Ales
gli indirizzi vincolanti dello stesso, l'esercizio di attività e la realizzazione di
iniziative volte alla gestione, valorizzazione e tutela dei beni culturali in ambito
nazionale e internazionale, nonché alla realizzazione di attività culturali e alla
promozione e al sostegno finanziario, tecnico-economico e organizzativo di
progetti e altre iniziative di investimento per la realizzazione di interventi di
restauro e recupero di beni culturali e di altri interventi a favore delle attività
culturali e dello spettacolo, anche attraverso la ricerca di sponsor>>, potendo,
sia pure non in via principale, ma solo se necessario al raggiungimento del suo
scopo sociale, compiere, nell'ambito delle direttive e degli indirizzi impartiti
dal Mibact, tutte le operazioni commerciali, industriali, finanziarie, mobiliari
e immobiliari utili.
136 CAPITOLO 2
L'oggetto sociale della nuova Ales coincide sostanzialmente con quello a essa
assegnato dallo Statuto del 17 gennaio 2010 che, innovando il ruolo della
società, ne ampliò significativamente il ruolo. Configurata originariamente,
sulla base dell'art. 20, commi 3 e 4 della l. 24 giugno 1997, n. 196, come
società le cui azioni erano detenute per il 70% da Italia Lavoro s.p.a. e per il
30% dal Mibact, ha successivamente conosciuto significative modifiche della
sua compagine sociale, della sua collocazione ordinamentale e, soprattutto,
della sua missione. All'atto della sua prima istituzione, Ales s.p.a. era, infatti,
pensata come servente alle esigenze del settore culturale, ma quale società
funzionale del ministero del Lavoro, il suo scopo prioritario era assorbire,
creando opportunità occupazionali, una parte dei lavoratori addetti a lavori
socialmente utili, già impegnati presso l'allora Mi ba c. A questo fine, la società
diventava affidataria, in via diretta, di servizi finalizzati alla conservazione, va-
lorizzazione e fruizione dei beni culturali per strutture centrali e periferiche del
ministero, svolgendo le funzioni tipiche di un'impresa che agisce nell'indotto
del settore, con commesse riguardanti attività di servizio nei musei e nelle aree
archeologiche, manutenzione degli impianti di vario genere e di aree verdi
oltre che supporto per mostre temporanee o aperture prolungate. Con l. 18
giugno 2009, n. 69 (art. 26), al fine di garantire la continuità occupazionale del
personale impiegato, ne fu modificata la collocazione, trasferendo la parteci-
pazione azionaria detenuta da Italia Lavoro s.p.a. al ministero per i Beni e le
Attività culturali, per configurarla altresì come società a capitale interamente
pubblico che il regolamento di organizzazione del ministero adottato con d.p.r.
23 3/2007 riconduceva all'allora nuova direzione generale per la Valorizzazione
del patrimonio culturale. Ales diventava, in tal modo, società in house del
ministero, legittimata a esercitare tutte le attività di valorizzazione degli istituti
e dei luoghi di cultura.
La questione del ruolo regionale, nel settore dei beni culturali, non può con-
siderarsi «nuova>>. Semmai, è questione che, da quando il legislatore ha inteso
offrirvi risposta, si è confrontata con modifiche del contesto, dapprima ammi-
nistrativo, poi istituzionale e, da ultimo, anche organizzativo-ordinamentale
le quali ne hanno comportato ricorrenti ridefinizioni, alcune operate in sede
interpretativa, segnatamente per il tramite di interventi del giudice costituzio-
nale, molte confluite in provvedimenti di riscrittura del quadro normativa di
riferimento. E sono proprio queste ricorrenti modifiche a spiegare come molte
di queste previsioni legislative non abbiano ancora ricevuto attuazione o, co-
munque, abbiano impedito l'affermazione o il consolidamento di esperienza
che possano dirsi in rapporto diretto, di attuazione, con le indicazioni offerte
dal legislatore costituzionale e ordinario.
Già all'atto dell'istituzione dell'allora <<nuovo» ministero, per opera del d.lgs.
368/1998, si rilevò come la presenza di un apparato ministeriale provvisto di
una struttura pesante, pensata per un'azione che non era solo di governo, ma
anche di amministrazione attiva del settore condizionasse il ruolo delle auto-
nomie [Pastori 2005], stante le forti interdipendenze da sempre intercorrenti
tra assetto dell'amministrazione centrale e istanze del decentramento.
Se si rammentano, d'altro canto, le attribuzioni delle direzioni centrali del
Mibact, come ridefinite dal d.p.c.m. 17112014 e dal d.m. 44/2016 (v. supra,
par. 6.1) è agevole scorgere come gli enti territoriali vengano in considera-
zione, principalmente, fra i soggetti con i quali stipulare convenzioni per il
miglior esercizio delle funzioni proprie delle diverse articolazioni centrali,
in pressoché nulla distinte da altri soggetti pubblici o privati (v. art. 2 d.m.
44/2016, per la direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio; art.
16 per la direzione generale Arte e Architettura contemporanea; art. 21 per
la direzione generale Archivi e art. 22 per la direzione generale Biblioteche).
Solo per la direzione generale Musei si prevede un rapporto più pronunciato
138 CAPITOLO 2
È tuttavia indubbio che, per una compiuta verifica del ruolo assolto o che
potrà essere assolto dalle autonomie territoriali, come «soggetti del sistema
dei beni culturali», è necessario sia considerare l'attuazione che si è data
delle disposizioni legislative sia valutare le soluzioni organizzative accolte per
l'esercizio delle funzioni.
Debolezza degli n rendimento delle azioni di ogni amministrazione dipende, infatti, per gran
assetti organizza- parte, dalla presenza o dall'assenza di apparati e di uffici adeguati e le incer-
ti vi tezze che da sempre circondano l'individuazione dei compiti assegnati alle
autonomie, tanto più oggi dopo le trasformazioni indotte al sistema locale
dalla L 56/2014, non hanno certo favorito, né incentivato, la ridefinizione
dei loro assetti organizzativi. Quando si guarda perciò alle scelte dei governi
territoriali e, in particolare, dalle Regioni, non emergono soluzioni univoche
né quanto a distribuzione delle deleghe fra i diversi assessori né quanto a
strutture cui imputare l'esercizio delle funzioni in materia.
Molto, d'altro canto, dovrà essere adeguato al nuovo assetto delle funzioni
che si andrà a definire in esito alla L 56/2014. A questo saranno chiamate
soprattutto le Regioni che hanno scelto di assorbire i compiti prima espletati
in materia dalle Province, nonché i Comuni impegnati in una riorganizzazione
dimensionalmente adeguata all'esercizio delle proprie competenze. Un pro-
cesso che, sia pure in misura minore e al momento non prevedibile, investirà
anche le nuove Province, quali enti di area vasta cui spettano compiti di
supporto tecnico-amministrativo ai Comuni, e le nuove Città metropolitane,
del pari alla ricerca di un proprio ruolo.
ORGANIZZAZIONE E SOGGETTI 141
LETTURE DI APPROFONDIMENTO
Sui principi costituzionali, in materia di beni culturali, oltre alle indicazioni riportate al capitolo l, sub
1: G. Sciullo, Beni culturali e rz/orma costituzionale, in «Aedon>), 2001, n. l; M. Cammelli, Il nuovo
titolo V della Costituzione e la finanziaria 2002: note, in «Aedon>), 2002, n. l; A. Poggi, Dopo la revi-
sione costituzionale: i beni culturali e gli scogli del «decentramento possibile», ivi; D. Nardella, I beni
e le attività culturali tra Stato e Regioni e la riforma del Titolo V della Costituzione, in «Dir. pubbb),
2002, n. 2, pp. 671 ss.; F.S. Marini, Lo statuto costituzionale dei beni culturali, Milano, Giuffrè, 2002;
G. Clemente di San Luca e R. Savoia, Manuale di diritto dei beni culturali, Napoli,Jovene, 2008.
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culturali in Europa, Bologna, Il Mulino, 1992; M.P. Chiti, Beni culturali, in M.P. Chiti e G. Greco
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pp. 378 ss.; A. Fantin, La cultura e i beni culturali nell'ordinamento comunitario dopo la Costituzione
europea, in «Aedom), 2005, n. 3.
Sugli assetti delle competenze: G. Sciullo, Beni culturali e principi della delega, M. Cammelli, Il de-
centramento difficile, M. Ainis, Il decentramento possibile, tutti in «Aedon>), 1998, n. l; S. Cassese, I
beni culturali: dalla tutela alla valorizzazione, in «Gior. dir. amm.)), 1998, n. 7, pp. 673 ss.; i commenti
al capo V del d.lgs. 112/1998 di G. Pitruzzella e G. Corso, in G. Falcon, Lo stato autonomista, Bo-
logna, TI Mulino, 1998, pp. 491 ss.; G. Sciullo, Musei e codecisione delle regole, in «Aedom), 2001,
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Italia: situazione in atto e tendenze, in «Aedon>), 2004, n. 3; L. Casini, Valorizzazione e fruizione dei
beni culturali, in «Gior. dir. amm.)), 2004, n. 5, pp. 478 ss.; D. Vaiano, Art. 6, in «Le nuove leggi
civili commentate)), 2005, nn. 5-6, pp. 1083 ss.; D. Sorace, L'amministrazione pubblica del patrimonio
culturale tra Stato e Regioni: dalla sussidiarietà al «principio dell'intesa» (una prima lettura del Codice
dei beni culturali e ambientali), in «le Regioni)), 2005, n. 3, pp. 315 ss.; P. Carpentieri, Art. 6, in R.
Tamiozzo (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, Giuffrè, 2005, pp. 17 ss.; G.
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435 ss.; G. Clemente di San Luca, La elaborazione del «diritto dei beni culturali» nella giurisprudenza
costituzionale, in «Aedon>), 2007, n. l; G. Clemente di San Luca e R. Savoia, Manuale di diritto dei
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alla sua valorizzazione, in «Riv. giur. Edil)), 2015, pp. 323 ss.
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Amorosino, Riflessioni sul futuribile ministero per le attività e i beni culturali e sul riparto di funzioni
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nistero: questioni risolte e problemi aperti, in «Aedon>), 1999, n. l; G. Pastori, Il ministero per i Beni e
le Attività culturali: il ruolo e la struttura centrale, in «Aedon>), 1999, n. l; C. Barbati, Le funzioni del
ministero per i Beni e le Attività culturali nella più recente legislazione, G. Sciullo, Organi di consulenza,
strutture tecniche autonome e scuole, L. Bobbio, Lo stato e i beni culturali: due innovazioni in periferia,
G. Pitruzzella, L:organizzazione perz/erica del ministero e gli attorz· istituzionali locali, tutti in «Aedon>),
1999, n. l; G. Corso, Relazione conclusiva alla Giornata di studio su <<I..:Istituzione del ministero per i
142 CAPITOLO 2
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«Aedom), 2000, n. 2; M. Cammelli, Il regolamento del ministero al controllo della Corte dei Conti. Ovve-
ro: se il buon giorno si vede dal mattino, in «Aedom), 2000, n. 3; G. Endrici, Le figure di coordinamento
nell'organizzazione del Mbac, in «Aedom), 2000, n. 3; L. Torchia, Gli uffici di diretta collaborazione nel
nuovo ministero per i Beni e le Attività culturali, in «Aedon>), 2001, n. 2; Atti della giornata di studio,
Il riordino del ministero nel sistema dei beni culturali, Roma, 25 novembre 2005, in «Aedon>), 2005, n.
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L'organizzazione centrale; G. Sciullo, L'organizzazione peri/enea; C. Barbati, I rapporti con le autonomie
territoriali; S. Foà, I raccordi fra ministero e privati; F. Merusi, Qualche osservazione finale sulla recente
n'organizzazione del Mbac; A. Roccella, L'organizzazione instabile: direzioni regioni e soprintendenze nei
recenti provvedimenti del ministero per i Beni e le Attività culturali, tutti in «Aedon>), 2005, n. 3; M.
Cammelli, Nuovo governo e vecchi problemi: qualche suggestione, in «Aedom), 2006, n. 2; Id., Ossimori
istituzionali: l'instabile immobilità della organizzazione ministeriale, tutti in «Aedon>), 2006, n. 3; S.
Bonini Baraldi, La riforma del ministero tra «giuridificazione» e «managerializzazione», in «Aedon>),
2007, n. l; G. Sciullo, Mibac e valorizzazione, in «Aedom), 2009, n. l; A. Blasini, Dirigenza pubblica
e beni culturali: un modello per tutta l'amministrazione?, in «Gior. dir. amm.)), 2015, n. 6, pp. 845
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M. Cammelli, Bonus cultura e riorganizzazione del ministero: navigazione difficile, direzione giusta, in
«Aedom), 2014, n. 2; L. Casini, Il «nuovo» statuto giuridico dei musei italiani, in «Aedom), 2014, n.
3; M. Cammelli, Il grimaldello dei tagli di spesa nella riorganizzazione del Mibact, in «Aedon>), 2015,
n. l; G. Pastori, La rz/orma dell'amministrazione centrale del Mibact tra continuità e discontinuità, in
«Aedom), 2015, n. l; G. Sciullo, La rz/orma dell'amministrazione perz/erz'ca, in «AedoM, 2015, n. l;
P. Forte, I nuovi musei statali: un primo passo nella giusta direzione, in «Aedom), 2015, n. l; A. Sau,
Turzsmo culturale: alcune considerazioni a margine delle nuove competenze del Mibact, in Federalismi.it,
2015; D. Girotta, L'organizzazione del Mibact nel sistema delle fonti, in «Aedom), 2016, n. 2; G. Sciullo,
In tema di ordine delle fonti nell'organizzazione ministeriale, in «Aedon>), 2016, n. 2; M. Cammelli, I
tre tempi del ministero dei Beni culturali, in «Aedon>), 2016, n. 3; L. Casini, La rz/orma del Mibact tra
mito e realtà, in «Aedon)), 2016, n. 3.
Sulle autonomie territoriali e i beni ctÙturali: G. Morbidelli, L'azione regionale e locale per i beni
culturali in Italia, in «le Regioni)), 1987, n. 5, pp. 942 ss.; C. Barbati, Decentramento e beni culturali
tra tutela e valorizzazione, in «Le istituzioni del federalismm), 1997, n. 2, pp. 388 ss.; G. Sciullo, Beni
e attività culturali nei primi progetti di legge regionali di attuazione del d./g. 112/1998, in «Aedon>),
1998, n. 2; C. Barbati, Nuova disciplina dei beni culturali e ruolo delle autonomie, in «Aedon>), 2000,
n. 2; G. Marchi, I beni e le attività culturali nelle scelte de/legislatore regionale, in «Aedom), 2000, n.
3; A. l unti, Il nuovo sistema museale umbro nella legge regionale 22 dicembre 2003, n. 24, in «Aedon>),
2005, n. l; C. Tubertini, L'organizzazione regionale per i beni e le attività culturali, ivi; C. Tubertini,
I beni e le attività culturali nei nuovi statuti regionali, in «Aedom), 2005, n. 2; A. Garlandini, L'inter-
vento delle regioni a favore dei musei: uno scenario in profondo cambiamento, in <<.Aedon>), 2006, n.
2; G. Sciullo, Autonomia differenziata e beni culturali, in «Aedon)), 2008, n. l; C. Barbati, Territori
e cultura: quale rapporto?, in «Aedon>), 2011, n. 2.
Tutela
In questo e nei successivi paragrafi ci si occuperà della tutela. Essa costituisce Funzioni
una delle funzioni (da intendersi come complessi di attività) che le ammi-
nistrazioni pubbliche espletano in ordine ai beni culturali (e paesaggistici).
Ciascuna funzione si caratterizza per le finalità generali cui tende e si articola Istituti
in istituti, owero nuclei di disciplina che concernono situazioni relative ai
beni culturali regolamentandole alla luce delle finalità proprie della singola
funzione.
Le funzioni relative ai beni culturali hanno acquisito evidenza normativa in Tutela
momenti temporali diversi. La prima a emergere è stata appunto la tutela.
L'esigenza di assicurarla rappresenta il motivo ispiratore degli iniziali inter-
venti legislativi nel campo dei beni culturali ed è alla base del resto della l.
1089/1939.
Le prime disposizioni in tema di tutela si fanno risalire a talune bolle papali Sviluppo della le-
del secolo XV, volte a evitare il danneggiamento di edifici (la Cum almam gislazione
nostram urbem di Pio II del1462) e lo spoglio di marmi dalle chiese (la Cum
provida di Sisto IV del 1474) [Casini 2001, 656], e ad alcuni prowedimemi
adottati in Toscana nei secoli XVI e XVII (divieti di rimozione d'insegne e
iscrizioni da palazzi antichi, di esportazione di dipinti dal Granducato senza
licenza dell'autorità) [Ainis e Fiorillo 2003, 1449 s.]. Il primo provvedimento
organico di salvaguardia, che influenzò la legislazione degli Stati preunitari, è
costituito dall'editto del cardinale Pacca, emanato nel1820, sotto il pontificato
di Pio VII, nel quale, oltre a norme restrittive dell'esportazione delle raccolte
artistiche, furono dettate misure per la conservazione e il restauro di beni e per
la catalogazione delle cose d'arte presenti nelle chiese e negli edifici assimilati,
da realizzarsi tramite una denuncia alla commissione delle Belle Arti.
Le funzioni nel Tu Inoltre le funzioni come definite nel d.lgs. 112/1998 non trovarono un pieno
riscontro nel Tu.
Le funzioni nel Nel nuovo art. 117 Cost., risultante dopo la riforma del Titolo V operata dalla
nuovo art. 117 l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, le funzioni in tema di beni culturali sembrano
Cost. polarizzarsi nella tutela e nella valorizzazione.
Con valenza sostanziale (e non solo organizzativa) nel Codice - di cui la Le funzioni nel
Corte sottolinea l' autoqualificazione (art. l, comma l) «come normativa di Codice
attuazione dell'articolo 9 della Costituzione» e perciò il carattere di «para-
metro interposto» (sentenza 194/2013) vengono individuate come funzioni
la tutela e la valorizzazione (unitamente alla fruizione), chiamate a realizzare
comuni finalità generali dell'ordinamento, ossia, in attuazione dell'art. 9 Cost.,
a «preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a
promuovere lo sviluppo della cultura» (art. l, commi l e 2).
N el configurare tali funzioni il Codice ha tenuto conto dei beni culturali- e più
in generale del patrimonio culturale, comprensivo anche dei beni paesaggistici
(supra, cap. l, par. l)- nella loro duplice valenza: «come valore da preservare
e come risorsa e servizio da rendere)) [Pastori 2004].
La nozione di tutela è fornita dall'art. 3, comma l, secondo cui essa «consiste Tutela
nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di
un'adeguata attività conoscitiva, a individuare i beni costituenti il patrimonio
culturale e a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica
fruizione)), mentre il comma 2 aggiunge che <J' esercizio delle funzioni di tutela
si esplica anche attraverso provvedimenti volti a conformare e regolare diritti
e comportamenti inerenti al patrimonio culturale)).
Come tipologia di attività la tutela consiste pertanto sia in «regolazione [disci- Tipologia
plina normativa] e amministrazione giuridica ["esercizio delle funzioni"] dei
beni culturali)), sia in «intervento operativo [attività] di protezione e difesa dei
beni stessi)) [Pastori 2007 a, 66]. Tre sono le finalità che definiscono l'ambito Finalità
della tutela e al contempo rappresentano il titolo fondante della disciplina nor-
mativa in nome della funzione: l'individuazione (ossia la qualificazione di una
148 CAPITOLO 3
Istituti La disposizione dell'art. 3 offre la nozione di tutela. Per gli istituti in cui essa
si articola occorre fare riferimento alle successive disposizioni del Codice, in
particolare, per i beni culturali, a quelle contenute nei vari capi del Titolo I
della parte seconda.
Va notato che le finalità cui si è fatto cenno erano presenti anche nell'art. 148,
comma l, lett. c, del d.lgs. 112/1998. L'art. 3 Cod. segna però una novità: nel
primo «ogni attività» riconducibile a esse costituiva tutela, nel secondo solo
«l'esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività)) alle stesse orientate,
espressione questa che evidentemente rinvia a una sede normativa in cui la
disciplina è dettata e le funzioni sono definite. Emerge pertanto un concetto
normativa, e perciò tipizzato, di tutela. In altre parole, fra le attività astrattamen-
te rivolte a riconoscere, conservare e proteggere il bene culturale, compongono
la tutela solo quelle che il legislatore ha ritenuto di disciplinare come in essa
rientranti [Sciullo 2007a, 76].
Può osservarsi che gli istituti disciplinati dal Codice non si discostano fonda-
mentalmente da quelli in precedenza normati: almeno per i beni culturali non è
stato disatteso il criterio della delega («né l'abrogazione degli strumenti attuali))
di tutela, art. 10, comma 2, lett. d, della l. 6luglio 2002, n. 137). Nondimeno
la tipizzazione della tutela presenta significative ricadute. In particolare spiega
perché non ogni attività astrattamente rivolta a una delle finalità che conno-
tano la tutela rientri nel suo ambito. Ad esempio la conservazione, una delle
finalità menzionate dall'art. 3, comma l, è al tempo stesso considerata, come la
fruizione e la valorizzazione, attività che deve essere svolta «in conformità alla
normativa di tutela)) e quindi, al pari delle altre due presupposta come un aliud
rispetto alla tutela. L'apparente anomalia si scioglie ove si consideri che ciò che
dell'attività di conservazione non è normativizzato come tutela, risulta estraneo
alla disciplina e all'esercizio della funzione, ma incontra un limite nell'assetto
della stessa, in particolare per quei profili ispirati da finalità di conservazione.
Non di meno la tutela, nella configurazione degli istituti che attualmente la
caratterizzano, si presenta come una funzione oltremodo «pervasiva)). Questo
spiega, come indicazione di riforma, la prospettazione di «cerchi concentrici))
di tutela, nel più ristretto dei quali le esigenze di protezione/conservazione
risulterebbero prevalenti, mentre, in quello più lato, esse si misurerebbero con
la pluralità degli interessi insistenti sul bene culturale, dando luogo a forme di
regolazione differenziate [sul punto Covatta 2012, 24 s.].
Da ultimo merita di essere ricordata la tesi [Aicardi 2005, 1067] secondo
la quale dall'art. 3 e dalle altre disposizioni del Codice discenderebbe, «in
definitiva, una nozione di tutela coincidente con ogni disciplina [. .. ] avente
l'effetto di regolare, limitare, vietare, escludere o in altro modo conformare i
TUTELA 149
Per completare il quadro delineato della tutela occorre fare cenno al rapporto Rapporto tra le
che intercorre tra le funzioni relative ai beni culturali. funzioni
Secondo l'art. 6, comma 2, la valorizzazione va «attuata in forme compatibili
con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze)), mentre per l'art. l,
comma 6 «le attività concernenti la conservazione, la fruizione e la valo-
rizzazione del patrimonio culturale [ ... ] [vanno] svolte in conformità alla
normativa di tutela)).
Riprendendo quanto previsto dal Tu (art. 97), il Codice, dunque, non si limita a
fissare la regola secondo la quale la valorizzazione non si sottrae alla disciplina
della tutela, ma esprime altresì una chiara gerarchia tra le due funzioni. In
particolare il godimento pubblico non può mettere in forse o, peggio, andare
a scapito dell'integrità e della sicurezza del bene.
Come si vedrà, anche l'utilizzazione in genere del bene culturale non può recare
pregiudizio alla sua conservazione e comunque deve risultare compatibile con
il suo carattere storico o artistico (artt. 20 e 106).
2. PROTEZIONE E CONSERVAZIONE
Vigilanza e ispe- Va premesso che allo stesso ambito vanno ascritte altresì la vigilanza e l'ispe-
zione zione- dei beni culturali nonché delle cose di cui all'art. 12, comma l (ossia
quelle di interesse culturale, di autore non più vivente, ultracinquantennali,
se mobili, o ultrasettantennali, se immobili, di proprietà di soggetti pubblici
o privati senza fini di lucro e non ancora sottoposte a verifica), e delle aree
interessate da prescrizioni di tutela indiretta ex art. 45 -, oggetto degli artt.
18 e 19, che compongono il capo II del medesimo Titolo. Come si legge nella
relazione illustrativa dello schema del Codice, si tratta di «poteri strumentali
all'esercizio di tutte le funzioni di tutela». Quello di vigilanza è attribuito al
Mibact (art. 18, comma 1). Per le modalità di esercizio, relativamente alle cose
di cui all'art. 12, comma l, appartenenti agli enti territoriali diversi dallo Stato,
il ministero può procedere anche mediante forme di intesa e di coordinamento
con le Regioni (art. 18, comma 2). n potere di ispezione è assegnato dall'art.
19 all'esercizio dei soprintendenti al fine di accertare l'esistenza e lo stato di
conservazione o di custodia dei beni culturali nonché l'ottemperanza alle
prescrizioni di tutela indiretta. È previsto un preavviso (del detentore) non
inferiore a cinque giorni, fatti salvi i casi di estrema urgenza.
oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione, nonché, nel caso
degli archivi, lo smembramento.
Interventi in ma- Apposita disciplina procedurale ricevono gli interventi in materia edilizia
teria edilizia pubblica e privata che investono beni culturali.
Secondo l'art. 22, fuori dai casi in cui si ricorre alla conferenza di servizi e alla
Via, l'autorizzazione va rilasciata entro centoventi giorni dalla presentazione
della domanda, salva la protrazione del termine per incombenti istruttori (ri-
chiesta di chiarimenti o di elementi integrativi di giudizio; accertamenti di natura
TUTELA 153
La recente approvazione del d.p.r. 13 febbraio 2017, n. 31, recante l'indivi- Prospettive
duazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti
a procedura autorizzatoria semplificata (v. in/ra, cap. 5) pone sul tappeto il
tema di una variazione normativa in qualche misura analoga a proposito degli
interventi sui beni culturali. Si tratta di un tema da valutare con attenzione, che
presumibilmente passa per la previa <<Vestizione» dei vincoli su tali beni (ossia
per la previa indicazione da parte dell'autorità di tutela delle condizioni del
loro possibile utilizzo) e che può interessare anzitutto i beni immobili storici
e artistici (c.d. beni architettonici), ma che l'estensione del concetto di bene
culturale (supra, cap. l, par. 1), da un lato, e l'appena illustrato ampio spettro
degli interventi soggetti ad autorizzazione (aspetto evidente dell'attuale «per-
vasività» della tutela, supra, par. 1), dall'altro, rendono senz'altro di attualità.
Una deroga alla disciplina dell'art. 21 è prevista altresì dall'art. 27, che consente Lavori prowisori
al proprietario (possessore o detentore) l'esecuzione di interventi senza previa urgenti
approvazione.
154 CAPITOLO 3
Sospensione o L'art. 28, poi, disciplina l'ordine di sospensione o inibizione degli interventi
inibizione degli (il c.d. fermo dei lavori), provvedimento assegnato alla competenza del so-
interventi printendente, organo meglio in grado di garantirne la tempestiva assunzione.
Esso può avere una duplice natura: di autotutela, quando è rivolto ad assicurare
l'osservanza della disciplina dettata in tema di interventi, e cautelare, quando
tende a preservare da mutamenti la situazione di fatto (della cosa) in vista di
una sua successiva qualificazione giuridica (come bene culturale) per effetto
della quale i mutamenti richiederebbero l'assenso dell'autorità.
In via di autotutela, la sospensione può essere comminata, anzitutto, nel caso
di interventi «iniziati contro il disposto degli artt. 20, 21, 25,26 e 27)), ossia
qualora si tratti di interventi vietati, di interventi intrapresi senza autorizza-
zione oppure in violazione della disciplina sulla conferenza di servizi o sulla
Via oppure di interventi condotti in difformità dall'autorizzazione rilasciata
(comma 1).
La disposizione non precisa la durata della sospensione. In ragione della na-
tura dell'atto è da pensare che la sospensione valga, a seconda dei casi, fino al
rilascio dell'autorizzazione o fino alla revoca della misura sospensiva da parte
del soprintendente (che accerti che gli interventi sono stati ricondotti all'auto-
rizzazione rilasciata) [Roccella 2007b, 171].
La sospensione o l'inibizione dell'avvio in via cautelare concerne interventi
relativi alle cose di cui all'art. 10 Cod., per le quali non si sia già proceduto
all'individuazione come beni culturali ai sensi dell'art. 12 o 13 (comma 2).
In questo caso la misura è subordinata alla circostanza che l'avvio del procedi-
mento di verifica o di dichiarazione sia comunicato non oltre trenta giorni dalla
ricezione dell'ordine sospensivo o interdittivo. Altrimenti l'ordine si «intende
revocatm) (ossia, perde efficacia) (comma 3 ).
La comunicazione del tempestivo avvio del procedimento di dichiarazione
comporta una sorta di «consolidamento)) degli effetti della misura sospensiva
o inibitoria [Alibrandi e Ferri 2001, 349], giacché, a norma dell'art. 14, essa
determina l'applicazione in via cautelare delle disposizioni previste dal capo
III, sez. I (comma 4), applicazione peraltro non a tempo indeterminato, ma solo
fino alla scadenza del termine del procedimento di dichiarazione (comma 5).
Tale termine è attualmente fissato dal d.m. 13 giugno 1994, n. 495, e succ. mod.,
e varia, a seconda delle ipotesi, da centoventi a duecentodieci giorni.
Ragioni di ordine sistematico inducono a ritenere che, anche nel caso di
comunicazione di tempestivo avvio del procedimento di verifica, la misura
cautelare venga meno alla scadenza del termine previsto per la conclusione del
procedimento [sul punto Roccella 2007b, 172].
Concludendo sulla misura sospensiva o inibitoria in via cautelare, deve osservarsi
che la sua ratio (evitare interventi pregiudizievoli su cose ancora non sottoposte
a tutela), per le cose soggette a verifica, non tiene conto della previsione dell'art.
12, comma l, che sottopone dette cose «alle disposizioni della presente parte
[comprese quelle del Titolo l, capo III, sez. l] fino a quando non sia stata
effettuata la verifica di cui al comma b).
TUTELA 155
Con significativa novità rispetto al Tu, l'art. 28, comma 4, disciplina la c.d. Archeologia pre-
archeologia preventiva. ventiva
Mentre le misure di protezione tendono a garantire il bene culturale da interventi Misure di conser-
pregiudizievoli dell'uomo, quelle di conservazione, disciplinate dalla sez. II del vazwne
capo III, si connotano in particolare per una finalità di salvaguardia del bene da
fattori naturali e in generale pongono un obbligo di fare a carico del detentore.
Secondo l'art. 29, comma l, la conservazione è assicurata da una «coerente, Restauro
coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione
e restauro», con tali termini intendendosi le attività volte rispettivamente
a «limitare le situazioni di rischio», al «controllo delle condizioni del bene
culturale e al mantenimento dell'integrità, dell'efficienza funzionale e dell'i-
dentità del bene», e all' «integrità materiale e al recupero del bene medesimo,
alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali» (art. 29, commi
2-4). In questo quadro il restauro rappresenta il momento finale delle misure
conservative, prevalentemente orientate verso l'intervento ex ante rispetto al
verificarsi dell'evento lesivo.
Obbligo di con- L'art. 30 pone in capo a tutti i detentori di beni ctÙturali l'obbligo di garantirne
servazwne la conservazione, conformandosi nel caso di soggetti pubblici e assimilati alle
prescrizioni del soprintendente.
TUTELA 157
Un obbligo specifico, esteso anche alle persone giuridiche private senza fini
di lucro, è quello di fissare i beni culturali di loro appartenenza nel luogo di
destinazione nel modo indicato dal soprintendente (art. 30, comma 2). Dal che
può determinarsi il sorgere di un c.d. vincolo pertinenziale di un bene culturale
mobile rispetto a un bene immobile in genere anch'esso culturale.
In assenza della (o comunque indipendentemente dalla) iniziativa del proprie- Interventi imposti
tario, possessore o detentore, l'amministrazione può attivarsi per interventi
relativi a beni culturali (interventi c.d. imposti).
Vigente il Tu era controversa la loro natura. Si sosteneva, infatti, che essi dove- Natura
vano essere di restauro [Baldi 2000, 68], oppure che potevano risolversi anche
in interventi di salvaguardia, cioè su elementi esterni al bene [Guccione 2000,
155]. Il tenore letterale dell'art. 32 e la ratio della disposizione depongono ora
nel secondo senso.
1 58 CAPITOLO 3
Interventi sui beni N orme particolari sono dettate in tema di interventi conservativi concernenti
culturali di enti beni culturali dello Stato o di enti territoriali.
territoriali
Fermo restando la responsabilità primaria del Mibact, come per l'applicazione
degli artt. 21 s. viene richiamato il principio della cooperazione interorganica e
intersoggettiva. Più in dettaglio, nel caso di beni statali in consegna o in uso di
altra amministrazione o di diverso soggetto, il Mibact prowede sentiti i mede-
simi (art. 39, comma 1). Salvo diverso accordo, la progettazione e l'esecuzione
degli interventi, sono assunte dall'amministrazione o dal soggetto interessato,
ferma restando la competenza del Mibact in ordine al rilascio dell'autorizzazione
sul progetto e alla vigilanza sullo svolgimento dei lavori (art. 39, comma 2).
Nel caso di enti territoriali, salvo le ipotesi di assoluta urgenza, le misure
conservative c.d. imposte sono stabilite anch'esse previo accordo con l'ente
interessato (art. 40, comma 1).
TUTELA 159
Per i beni culturali mobili è previsto altresì l'istituto della custodia coattiva Custodia coattiva
(art. 43 ). li Mibact può disporre il trasporto e «temporaneamente» la custodia
di tali beni in pubblici istituti, privandone della disponibilità il proprietario.
Con significativo ampliamento di quanto già previsto dall'art. 48 del Tu, Comodato
l'art. 44 Cod. consente ai direttori degli archivi e degli istituti che abbiano in
amministrazione o in deposito raccolte o collezioni artistiche ecc. di ricevere
in comodato da privati proprietari beni culturali mobili per consentirne la
fruizione da parte della collettività (comma 1).
Anche in questo caso è necessario l'assenso del competente organo del mini-
stero. Salvo diverso accordo le spese di conservazione e custodia sono a carico
dell'ente depositante.
Norme speciali sono, infine, dettate in tema di archivi e documenti, con obbli- Archivio e docu-
menti
ghi di tenuta in ordine, inventariazione e di conservazione organica degli stessi.
160 CAPITOLO 3
Altre forme di Nella sez. III del capo III sono previste altre fonne di protezione che integrano
protezione quelle disposte nelle due sezioni precedenti.
Misure di tutela Le misure più importanti, definibili di «tutela ambientale», sono disciplinate
ambientale dagli artt. 45-47 e 49. Esse tendono a preservare soprattutto la «cornice am-
bientale» di un immobile, ossia il contesto originario dell'edificio o quello
sviluppatosi nel corso del tempo.
Divieto di distacco L'art. 50, comma l, vieta il distacco degli affreschi ecc. non autorizzato dal soprin-
di affreschi tendente, come misura volta a garantire l'integrità della cosa oggetto del distacco.
ll comma 2 estende tale disciplina alle vestigia della Prima guerra mondiale.
Studi di artista L'art. 51 preclude che sia modificata la destinazione d'uso degli studi d'artista
e che ne sia rimosso il contenuto (opere, documenti e simili), quando esso,
considerato nel suo complesso e nel contesto in cui è inserito, sia stato dichiarato
d'interesse storico particolarmente importante ai sensi dell'art. 13 (comma l). La
stessa disposizione (comma 2) vieta altresì la modifica della destinazione d'uso
degli studi di artista adibiti a tale funzione da almeno vent'anni e rispondenti alla
tradizionale tipologia a lucernaio (siano cioè forniti di apertura a vetri sul tetto).
In ambedue i casi l'esigenza tenuta presente dal legislatore è quella di conservare
la destinazione d'uso del locale interessato, esigenza alla quale nel primo caso si
aggiunge anche l'intendimento di conservare inalterato l'insieme degli oggetti
(opere, documenti ecc.) che lo caratterizzano.
Nel Tu la corrispondente disposizione (art. 52) precludeva altresì l'esecuzione di
prowedimenti di rilascio ai sensi della normativa in tema di locazioni. Il Codice
ha tenuto conto della pronuncia della Corte costituzionale 4 giugno 2003, n.
185, che aveva rawisato l'incostituzionalità di tale previsione.
Prestito per mo- Da ultimo l'art. 48 sottopone ad autorizzazione dell'autorità di tutela il prestito
stre ed esposizioni per mostre ed esposizioni, in genere, di beni culturali mobili, pubblici e privati.
L'autorizzazione va rilasciata tenendo conto delle esigenze conservative del
bene ed è subordinata all'adozione di misure volte a garantire l'integrità e
la copertura assicurativa del bene (commi 3 e 4). L'assicurazione, nel caso di
mostre promosse dal ministero o con la partecipazione dello Stato, può essere
sostituita da una garanzia statale.
3. CIRCOLAZIONE
Ascrivibili all'area della tutela, ma significativamente connotati altresì dalla
finalità di garantire la fruibilità del bene culturale, risultano gli istituti disc i-
plinati dal Codice al capo IV, Titolo I, della parte seconda, sotto la rubrica
«Circolazione in ambito nazionale», e concernenti la circolazione dei diritti
relativi al bene culturale.
Circolazione in È bene sottolineare che questo capo non si differenzia dal successivo «Circola-
ambito nazionale zione in ambito internazionale» sotto un profilo, verrebbe da dire, «geografico)),
e internazionale I due capi invero concernono fenomeni diversi, anche se eventualmente connessi.
La «Circolazione in ambito nazionale)) tratta della circolazione dei diritti relativi
al bene culturale, in particolare, laddove ammesso, del trasferimento del diritto
di proprietà. La «Circolazione in ambito internazionale)) si occupa dell'uscita dal
(o dell'ingresso nel) territorio nazionale del bene culturale. Sicché può ricorrere
circolazione del diritto sul bene senza circolazione del bene e viceversa.
L'art. 24 della l. 1089/1939 ammetteva, in presenza di certe condizioni, l'alie- Evoluzione della
nabilità dei beni culturali purché autorizzata dall'autorità ministeriale. La di normativa
poco successiva disciplina civilistica sancì invece, nel caso dei beni demaniali,
la incommerciabilità (art. 823, comma 1), aprendo un'antinomia per lungo
tempo oggetto di discussione [Alibrandi e Ferri 2001, 461 s.].
Con l'art. 12, comma 3, della l. 15 maggio 1997, n. 127, il legislatore stabilì che
alle «alienazioni di beni immobili di interesse storico-artistico dello Stato, dei
Comuni e delle Province si applica[ssero] le disposizioni di cui agli artt. 24 e
seguenti della l. l o giugno 1939, n. 1089» (quindi il regime dell'alienabilità previa
autorizzazione). Poi, però, con l'art. 2, comma 24, della l. 16 giugno 1998, n.
191, dispose l'abrogazione della disposizione appena citata (perciò ritornando
al regime dell'inalienabilità).
L'art. 54 del Tu sancì la sottoposizione al regime proprio del demanio pubblico
dei beni costituenti il demanio storico, artistico, archivistico e bibliografico,
mentre per la generalità degli altri beni culturali degli enti pubblici fu prevista
l'alienabilità previa autorizzazione del ministero (art. 55, comma l, lett. a, be
c, e comma 2).
Nel frattempo la l. 23 dicembre 1998, n. 448- intervenuta dopo la scadenza
del termine (l o novembre 1998) fissato per l'entrata in vigore delle disposizioni
legislative di cui poteva tener conto il Tu (sulla base dell'art. l della l. 8 otto·
bre 1997, n. 352 e succ. mod.)- affidò a un regolamento di delegificazione il
compito di definire le ipotesi di alienabilità degli immobili d'interesse storico
e artistico degli enti territoriali. In attuazione di tale legge fu emanato il d.p.r.
7 settembre 2000, n. 283, che, in deroga all'art. 54 del Tu, ammise, nel rispetto
di determinate condizioni, l'alienabilità degli immobili costituenti il demanio,
storico, artistico ecc. (art. 1), a esclusione di taluni beni dichiarati inalienabili (i
beni riconosciuti monumenti nazionali, i beni con riferimento alla storia politica
ecc., indicati all'art. 2, comma l, lett. b del Tu, i beni d'interesse archeologico e
quelli documentanti l'identità e la storia delle istituzioni pubbliche, collettive
ed ecclesiastiche) (art. 2).
Sempre il Tu previde per i beni culturali delle persone giuridiche private senza
fini di lucro l'alienabilità previa autorizzazione (art. 55, comma 3), assoggettando
allo stesso regime le collezioni o serie di oggetti, dichiarati di «eccezionale inte-
resse)), appartenenti a privati in genere (art. 55, comma l, lett. c, e comma 2).
164 CAPITOLO 3
Alienazione In via preliminare è bene chiarire che con il termine «alienazione)) (e derivati)
gli artt. 54-57 Cod. fanno riferimento non a un istituto giuridico specifico, ma
a un effetto che può conseguire da più istituti [con riguardo al Tu, Alibrandi
e Ferri 2001, 467 s.], consistente nel trasferimento del diritto di proprietà, a
titolo oneroso o gratuito, e nella costituzione o traslazione di un diritto reale
di godimento (ad esempio servitù) o di garanzia (ad esempio ipoteca). La co-
stituzione di ipoteca e di pegno e la cessione in pagamento sono esplicitamente
menzionate rispettivamente dall'art. 56, comma 4-quinquies, e dall'art. 57.
Va segnalato che per effetto dell'art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B (supra,
cap. l, par. 3) il termine «cinquanta)) verrebbe sostituito da «settanta)).
di appartenenza statale (ad esempio, spiagge, porti). Vero è che da tale tra-
sferimento sono esclusi i «beni appartenenti al patrimonio culturale» (art. 5,
comma 2), ma si prevede che, nell'ambito di specifici accordi di valorizzazione
e programmi di sviluppo culturale, definiti in base all'art. 112, comma 4, del
Codice (in/ra, capp. 4 e 6), lo Stato proweda al trasferimento di beni culturali ai
sensi appunto dell'art. 54, comma 3. Detto meccanismo era destinato a operare
in sede di prima applicazione del decreto, entro un anno dalla sua entrata in
vigore (art. 5, comma 5), ma se ne è disposta altresì la possibilità di utilizzo a
cadenza biennale (art. 7).
La «inalienabilità cautelare» rappresenta una vera e propria novità del Codice. Inalienabilità cau-
Prima, con l'art. 5 del Tu, si prevedeva che le cose di interesse storico ecc. degli tela re
enti territoriali (si badi) diversi dallo Stato e delle persone giuridiche private
senza fini di lucro fossero soggette, indipendentemente dalla inclusione in
elenchi, alla disciplina di tutela (e quindi anche a quella in tema di circolazione
dei diritti), sulla base di una presunzione generale di culturalità. Ora è stabilito
che le cose appartenenti ai soggetti indicati all'art. 10, comma l (ossia agli
enti pubblici in genere e quelli privati senza fini di lucro), che siano opera
di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre cinquanta anni,
se mobili, o a oltre settanta anni, se immobili (peraltro per effetto dell'art. l,
comma 175, del d. d.l. S. 2085-B, supra, cap. l, par. 3, la soglia verrebbe elevata
a settanta anni anche per le cose mobili), siano inalienabili fino a quando non
si concluda il procedimento di verifica previsto dall'art. 12 (comma 2, lett. a).
B) Tutti gli altri beni culturali appartenenti a enti pubblici sono suscettibili Beni alienabili,
di alienazione totale o parziale, previa autorizzazione del ministero (artt. 55, previa autorizza-
ZIOne
56 e 58).
166 CAPITOLO 3
Infatti:
- quanto ai presupposti: la richiesta di alienazione va corredata dall'indicazione
della destinazione d'uso in atto e prevista in futuro per il bene, delle misure volte
ad assicurarne la conservazione, degli obiettivi di valorizzazione attesi nonché
delle modalità della futura fruizione pubblica (comma 2, lett. a-e); arrecare
pregiudizio alla conservazione, alla fruizione pubblica o comunque non risulti
compatibile con il carattere culturale del bene (comma 3-bis);
- quanto alle condizioni: il prowedimento di autorizzazione deve contenere
prescrizioni in ordine alle misure di conservazione e alle modalità di fruizione
pubblica del bene, e pronunciarsi sulla congruità delle misure di valorizzazio-
ne indicate (comma 3, lett. a-c); dette prescrizioni vanno riportate nell'atto di
alienazione, del quale costituiscono obbligazione ai sensi dell'art. 1456 cod. civ.
e oggetto di apposita clausola risolutiva espressa, e devono essere trascritte nei
registri immobiliari (art. 55-bis, comma l);
- quanto al regime giuridico: l'autorizzazione ad alienare comporta la sde-
manializzazione del bene culturale, ma non lo sottrae alla disciplina di tutela
(art. 55, comma 3-quinquies), in particolare gli interventi che lo concernono
richiedono di essere preventivamente autorizzati ai sensi dell'art. 21 (art. 55,
comma 3-sexies). Ciò significa che con l'autorizzazione si accerta non che è
venuto meno l'interesse culturale del bene, ma solo la non necessità dello statuto
di bene pubblico ai fini della tutela (e del godimento pubblico) dello stesso.
Nel caso di inosservanza delle prescrizioni fissate è prevista la risoluzione del
contratto (art. 55-bis, comma 2).
Da notare che nel caso di beni mobili di enti territoriali l'autorizzazione è su-
bordinata anche alla condizione che essi non presentino interesse per le raccolte
pubbliche (art. 56, comma 4).
Le collezioni o serie di oggetti e le raccolte librarie sono quelle previste dall'art.
10, comma 2, lett. c, e comma 3, lett. e.
C) Per i beni culturali appartenenti a persone giuridiche private senza fine Beni di persone
di lucro (compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti) vale lo stesso giuridiche private
regime indicato sub B) 2, ossia la loro alienazione è soggetta ad autorizzazione senza fini di lucro
ministeriale (art. 56, comma l, lett. b). L'autorizzazione è richiesta altresì nel
caso di vendita anche parziale di collezioni o serie di oggetti, di raccolte librarie
nonché di archivi o singoli documenti (art. 56, comma 2, le t t. a e b). Peraltro il
presupposto richiesto è meno stringente di quello previsto per i beni culturali
pubblici, limitandosi l'art. 57, comma 5, a stabilire che dall'alienazione «non
derivi un grave danno alla conservazione o al pubblico godimento» del bene.
È da tenere presente che anche per le cose mobili o immobili (opere ultracin-
quantennali, se mobili, e ultrasettantennali, se immobili, e di autore non più
vivente) appartenenti a soggetti privati senza fine di lucro trova applicazione
l'inalienabilità cautelare, in attesa che intervenga la verifica (art. 54, comma
2, lett. a).
La permuta dei beni culturali pubblici e privati alienabili previa autorizzazione Permuta
nonché di singoli beni appartenenti a pubbliche raccolte è anch'essa soggetta ad
autorizzazione, ma in questo caso l'atto di consenso presuppone che si determini
un incremento del patrimonio culturale nazionale oppure un arricchimento
delle pubbliche raccolte (art. 58).
La disciplina dettata ai commi l-4-quater dall'art. 56 (per le alienazioni di beni Altri atti
mobili demaniali, di beni pubblici non demaniali e di beni dei privati senza fine
di lucro) viene estesa dal comma 4-quinquies dello stesso articolo alla costitu-
zione di ipoteca e di pegno e agli atti che tra i loro effetti possono comportare
l'alienazione dei beni culturali ivi indicati.
168 CAPITOLO 3
Beni di altri sog- D) Per gli altri beni culturali privati vale il principio della libera disponibilità.
getti privati
Rispetto alla disciplina del Tu (ex art. 55, comma l, lett. c, e comma 2) non risulta
più prevista l'autorizzazione nel caso di alienazione di collezioni o serie di oggetti
appartenenti a privati persone fisiche o persone giuridiche con fine di lucro.
Denuncia La circolazione dei diritti sui beni culturali comprende anche l'istituto della
denuncia.
Secondo l'art. 59, comma l (versione vigente), «gli atti che trasferiscono, in
tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o, limitatamente ai beni mobili,
la detenzione di beni culturali sono denunciati al ministero».
L'inosservanza delle norme previste in tema di circolazione dei diritti sui beni Inosservanza delle
culturali, oltre a essere sanzionata sul piano penale dall'art. 173, determina norme in tema di
conseguenze su quello civilistico. circolazione: effetti
Secondo l'art. 164 «1. Le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in gene-
re, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della parte
seconda, o senza l'osservanza delle condizioni o modalità da esso prescritte,
sono nulli. 2. Resta sempre ferma la facoltà del ministero di esercitare il diritto
di prelazione ai sensi dell'art. 61, comma 2».
La disposizione del comma l nella sua generalità richiede che vengano distinte
le differenti ipotesi prospettabili.
Nel caso di alienazione di beni demaniali nei casi vietati dall'art. 54 o senza Casistica
l'autorizzazione ministeriale nei casi ammessi dall'art. 55 o senza la sussisten-
za dei requisiti o delle condizioni previsti per il suo rilascio (art. 55, commi
2-3-bis e 3-quater) è da pensare che la nullità sia di carattere assoluto, stante
l'incommerciabilità come situazione propria dei beni demaniali. Invero è la
(valida) autorizzazione ad alienare che comporta la sdemanializzazione del
bene culturale ai sensi dell'art. 55, comma 3.
Nel caso di alienazione degli altri beni di soggetti pubblici o di soggetti privati
non profit senza l'osservanza della disciplina in tema di autorizzazione (art. 56,
commi 3-4-ter), la nullità sembra atteggiarsi in termini relativi, giacché a essere
violato è l'interesse storico e artistico a garanzia del quale è prevista l' autoriz-
zazione. Portatore di tale interesse è il Mibact, sicché solo questi pare abilitato
a far valere la nullità (Cass. 24 maggio 2005, n. 10920, e Cass., sezioni unite, 26
gennaio 1994, n. 728, in «Foro it.», 2006, I, 1880, e 1994, I, 1053; Cass. 26 aprile
1991, n. 4559, in «Cons. Stato>>, 1991, II, p. 1477). Peraltro in sede dottrinaria si
prospetta la tesi secondo la quale la nullità relativa di cui all'art. 164 rappresenti
propriamente un caso di inefficacia del contratto [De Maria 2004, 680 s.].
Nel caso, infine, di omessa denuncia, consistendo la violazione non nell'inos-
servanza di un divieto (assoluto o relativo) posto alla commerciabilità del bene,
ma solo nel mancato compimento di un atto successivo e distinto rispetto al
negozio traslativo, sembra persuasiva la tesi che ritiene trattarsi di inefficacia
piuttosto che di nullità [Alibrandi e Ferri 2001, 491].
Questa qualificazione pare del resto meglio spiegare la salvezza, prevista dal
comma 2 dell'art. 164, della facoltà per il Mibact di esercitare il diritto di prela-
zione, risultando invero non lineare che gli effetti discendenti da un atto siano
dalla legge a un tempo considerati inesistenti (in conseguenza della nullità) ed
esistenti (ai fini della prelazione).
Sulla disposizione dell'art. 146 v. di recente Cons. Stato, VI, 642/2017, secondo
cui la nullità (peraltro intesa in senso proprio) del contratto per mancanza della
previa autorizzazione non è legata all'esercizio del diritto di prelazione.
Brevemente sulle norme in tema di commercio dagli artt. 63 e 64 Cod. Commercio di be-
Nel caso di commercio di beni rientranti nelle categorie di cui alla lettera ni culturali
A dell'Allegato A (beni sottoposti alla disciplina speciale di tutela per l'e-
170 CAPITOLO 3
Circolazione dei Della circolazione dei beni si occupa il capo V del Titolo I della parte seconda,
beni articolato in cinque sezioni concernenti rispettivamente i «Principi in materia
di circolazione internazionale», l' «Uscita dal territorio nazionale e ingresso
nel territorio nazionale», l' «Esportazione dal territorio dell'Unione Europea>>,
la «Disciplina in materia di restituzione, nell'ambito dell'Unione Europea,
di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato membro» e la
«Disciplina in materia di interdizione dell'illecita circolazione internazionale
dei beni culturali».
Diritto nell'Unio· Ai fini di una più agevole comprensione della sistematica seguita dal Codice
ne Europea occorre premettere alcuni cenni di inquadramento della circolazione dei beni
culturali secondo la normativa dell'Unione Europea.
Art. 36 del Tfue Come è noto, fra i principi fondamentali dell'Unione figura quello della libera
circolazione delle merci con i conseguenti divieti di dazi doganali, di restrizioni
quantitative all'importazione e all'esportazione nonché di qualsiasi misura di
effetto equivalente (artt. 23, 28 e 29 Trattato Ce ora artt. 28, 34 e 35 Tfue).
Sebbene non fossero mancate voci diverse, la Corte di Giustizia già con la pro-
nuncia 10 dicembre 1968, Commissione/Italia, c. 7/68 (in «Racc.>> 1968, p. 562)
ritenne che i beni culturali dovessero agli effetti del Trattato essere considerati
merci e come tali soggetti alle norme comunitarie, «salvo le deroghe espressa-
mente previste dal Trattato». L'art. 36 Tfue prevede che le disposizioni degli
artt. 34 e 35 «lascino impregiudicati i divieti o restrizioni[. .. ] all'esportazione
TUTELA 171
Divieto di uscita A) Apre la sez. I -bis l'art. 65, che sottopone i beni culturali a un generale
divieto di uscita definitiva dal territorio dello Stato.
Essa concerne:
a) i beni mobili indicati nell'art. 10, commi 1-3 (comma l);
b) le cose mobili appartenenti a enti pubblici e privati senza fine di lucro che
siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga a oltre cinquanta
anni (per effetto dell'art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B, supra, cap. l, par.
3, la soglia salirebbe a settanta anni), fino a quando non sia stata effettuata la
verifica (comma 2, lett. a);
c) le cose a chiunque appartenenti che, pur rientrando nelle categorie indicate
all'art. 10, comma 3- ma, tenuto conto della previsione del comma l, non ancora
individuate come beni culturali-, il ministero abbia preventivamente escluso
dall'uscita, per periodi temporali definiti, «perché dannosa per il patrimonio
culturale)) (comma 2, lett. b).
Uscita definitiva B) L'art. 65, comma 3, sottopone, invece, ad autorizzazione l'uscita definitiva
sottoposta ad au- di altre cose con rilievo culturale.
torizzazione
Esse sono:
a) le cose appartenenti (tenuto conto della previsione del comma l) a privati,
singoli e a persone giuridiche con fini di lucro, che siano opera di autore non
più vivente, con esecuzione risalente a oltre cinquanta anni e che «presentino
interesse culturale)) (per effetto dell'art. l, comma 175, del d.d.l. S. 2085-B,
supra, cap. l, par. 3, la soglia temporale salirebbe a settanta anni, inoltre
si richiederebbe che il loro valore superi le soglie «indicate nella lettera B
dell'allegato A)) del Codice);
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati che «presentino
interesse culturale));
c) le cose rientranti nelle categorie di cui all'art. 11, comma l, lett. /, g, h
(fotografie, mezzi di trasporto ultra settantacinquennali, beni e strumenti di
interesse per la storia della scienza ultracinquantennali ecc.).
Da notare che nei casi sub a) e b) si tratta di cose non ancora individuate o non
individuabili come beni culturali in assenza dell'interesse qualificato richiesto
dall'art. 10, comma 3, lett. a, b.
Attestato di libera Per le cose sub a)-c) è previsto che l'interessato richieda un «attestato di libera
circolazione circolazione)), previa denuncia e presentazione degli stessi ai competenti uffici
di esportazione, indicando altresì il valore venale. L'ufficio emette o nega, con
atto motivato (in relazione all'assenza o alla presenza nella cosa dell'interesse
culturale storico, artistico ecc. tale da giustificare la individuazione della cosa
come bene culturale), l'attestato, che ha validità triennale (che diventerebbe
TUTELA 173
quinquennale per effetto dell'art. 53 del d.d.l. S. 2085; v. supra, cap. l, par.
3 ). In caso di diniego, il bene è sottoposto al procedimento di dichiarazione
d'interesse e all'applicazione delle misure di salvaguardia ex art. 14 (art. 68).
L'interessato può presentare ricorso al ministero (art. 69).
È ammesso che entro novanta giorni dalla denuncia il Mibact o la Regione eser-
citi la facoltà di acquisto coattivo del bene, per il valore indicato nella denuncia
e accertato dall'ufficio di esportazione (art. 70) (in/ra, par. 5).
L'art. l, comma 176, del d.d.l. S. 2085-B, supra, cap. l, par. 3, prevede l'intro-
duzione di un apposito «passaporto» per le opere, di durata quinquennale, per
agevolare l'uscita e il rientro delle stesse nel e dal territorio nazionale.
Esportazione dal Dell'esportazione dei beni culturali dal territorio dell'Unione Europea si
territorio d eli 'U- occupa la sez. II agli artt. 73 e 74, che dettano norme di esecuzione del re-
nione Europea golamento Ce 116/2009. Tale regolamento, nell'obiettivo di evitare che beni
fuoriusciti illecitamente da uno Stato membro siano esportati all'esterno
dell'Unione passando per il territorio di altro Stato membro dalla legislazione
meno rigorosa, ha previsto che, ai fini dell'esportazione verso paesi non
dell'Unione dei beni culturali indicati in allegato, debba essere presentata una
licenza di esportazione rilasciata dallo Stato membro competente.
Restituzione dei La sez. III, come accennato, si occupa della restituzione, nell'ambito dell'U-
beni culturali ille- nione Europea, di beni culturali illecitamente usciti dal territorio di uno Stato
citamente usciti da membro e contiene la disciplina di recepimento della direttiva Ue 2014/60.
uno Stato dell'U-
nione Europea
Tale direttiva contiene significative innovazioni rispetto alla disciplina dettata
dalla direttiva Cee 93n, in particolare: nozione di bene culturale (ai fini della
sua applicazione) sganciata dall'appartenenza a categorie predeterminate
dalla norma comunitaria, ampliamento dei termini procedurali (per la verifica
dell'interesse culturale) e processuali (per l'esercizio dell'azione di restituzio-
ne, ridefinizione del regime dell'indennizzo a favore del possessore del bene
restituito Buonomo [2014, par. 3]). Il suo campo di applicazione è delimitato,
sul piano temporale, dalla data del1 o gennaio 1993 (data di realizzazione del
mercato unico) e, su quello materiale, dai «beni culturali usciti illecitamente»
dai confini di uno Stato dell'Unione (art. 75, comma 1).
La restituzione è ammessa:
a) per i beni che, in applicazione delle disposizioni dello Stato membro, sono
qualificati come appartenenti al patrimonio culturale dello Stato medesimo, ai
sensi dell'art. 36 Tfue (art. 75, comma 2).
Azione di restitu- «Illecita>> è reputata l'uscita dal territorio di uno Stato membro awenuta in
zione violazione della legislazione di tale Stato, oppure quella determinata dal mancato
tempestivo rientro dopo un'uscita temporanea (art. 75, comma 4). In presenza
di tali presupposti lo Stato membro dell'Unione Europea dal cui territorio il
bene è uscito (Stato richiedente) può esercitare l'azione di restituzione davanti
all'autorità giudiziaria ordinaria italiana (tribunale del luogo in cui il bene si
trova) nei confronti del possessore o detentore. L'atto di citazione va notificato
al Mibact (art. 77).
Da sottolineare è la circostanza che, sulla base della direttiva, solo lo Stato da
cui è uscito illecitamente il bene è legittimato ad agire, a prescindere quindi
dalla situazione proprietaria del bene medesimo.
TUTELA 175
Quando esercitata dallo Stato italiano, l'azione è promossa dal Mibact, d'intesa
con il ministero degli Affari esteri (art. 82).
Nel conflitto fra l'interesse dello Stato richiedente e quello del possessore o Equo indennizzo
detentore del bene, ricorrendo i presupposti sopra indicati, riceve sempre tutela
il primo (art. 9 della direttiva). Il possessore, a condizione che provi di aver
acquisito in buona fede il possesso del bene, ha solo titolo a un equo inden-
nizzo (art. 79, commi l e 2), da corrispondersi da parte dello Stato richiedente
contestualmente alla restituzione del bene (art. 80, comma 1).
Nel caso di azione esercitata dallo Stato italiano, se il bene restituito non Custodia e acqui·
appartiene allo Stato, il Mibact provvede alla sua custodia fino alla consegna sizione del bene
all'avente diritto, il quale la può richiedere entro cinque anni dalla pubblicazione
dell'apposito avviso nella «Gazzetta Ufficiale». Decorso il termine, il bene è
acquisito dal demanio dello Stato per essere assegnato a un museo, biblioteca
o archivio dello Stato o di altro ente pubblico al fine di assicurarne la tutela e
la fruizione (art. 83).
La sez. IV, infine, richiama all'art. 87 le norme della Convenzione dell'Uni- L. 7 giugno 1999,
droit sul ritorno internazionale dei beni culturali rubati o illecitamente n. 213
esportati, adottata a Roma nel1995 e la cui ratifica è stata autorizzata dalla l.
7 giugno 1999, n. 213. La Convenzione, entrata in vigore in Italia il1 o aprile
2000, ha lo scopo di prevedere una disciplina uniforme fra gli Stati aderenti
in tema di «restituzione» dei beni culturali rubati al legittimo proprietario e
trasferiti all'estero e di «ritorno» nello Stato di provenienza dei beni culturali
illecitamente esportati.
Ali' art. 87 -bis viene richiamata altresì la convenzione Un esco sulla illecita
importazione, esportazione e trasferimento di beni culturali, adottata a Parigi
il14 novembre 1970, cui ha dato esecuzione la l. 30 ottobre 1975, n. 873.
4. RITROVAMENTI E SCOPERTE
Ritrovamenti e Nel capo VI sempre del Titolo I il Codice disciplina il rinvenimento di beni
scoperte culturali, sia come risultato - potendosi al riguardo distinguere fra «ritrova-
menti)) e «scoperte)) a seconda che il rinvenimento sia esito di un'attività a
ciò indirizzata oppure un evento meramente accidentale - sia come attività
rivolta al rinvenimento.
Si è già notato che, ai sensi dell'art. 91, i beni indicati all'art. 10 da chiunque
e in «qualunque modo ritrovati)) (per effetto quindi di ritrovamento o di
scoperta) appartengono allo Stato. Occupiamoci ora di altri aspetti.
Attività di ricerca: L'attività volta al rinvenimento di beni culturali, in particolare di quelli archeo-
riserva allo Stato logici, in breve definibile come attività di ricerca, è dali' art. 88 fatta oggetto
di riserva a favore dello Stato.
In caso di rinvenimento fortuito (scoperta) si prevedono a carico dello sco- Denuncia e con-
pritore gli obblighi di denuncia e di conservazione temporanea. servazione tem-
poranea
La denuncia deve awenire entro ventiquattro ore al soprintendente, al sindaco
owero all'autorità di pubblica sicurezza, la conservazione è prevista, di mas-
sima, nelle condizioni e nel luogo dove il bene è stato rinvenuto, con diritto al
rimborso delle spese sostenute (art. 90).
I diritti dello scopritore, come quelli del proprietario dell'immobile in cui è Premio
awenuto il rinvenimento e del concessionario dell'attività di ricerca (purché
questa non rientri fra i suoi scopi istituzionali o statutari), sono disciplinati dagli
artt. 92 e 93. A favore di tali soggetti è previsto un premio correlato al valore
del bene ritrovato. Alla sua determinazione prowede il Mibact o, in caso di
non accettazione da parte degli interessati, un terzo, nominato dalle parti o
dal presidente del Tribunale. Il premio può essere corrisposto anche mediante
rilascio di parte dei beni rinvenuti.
Per la tutela degli oggetti archeologici e storici rinvenuti nei fondali marini al di Convenzione Une-
là del limite del mare territoriale l'art. 94 rinvia alla disciplina della convenzione sco sulla protezio-
Unesco sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, adottata a Parigi ne del patrimonio
il2 novembre 2001 e ratificata dalla l. 23 ottobre 2009, n. 157. culturale subac-
queo.
Cessione di beni Oltre a tali strumenti viene indicata la cessione di beni culturali in luogo del
culturali in paga- pagamento di imposte - prevista dalla L 2 agosto 1982, n. 512, ora normata
mento di imposte dal d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, e menzionata dall'art. 57 Cod. - peraltro
precisandosi che, a differenza che negli altri casi, lo Stato non opera con poteri
imperativi [Alibrandi e Ferri 2001, 500 e 540 ss.]. Proprio per questo motivo,
tenendo conto che negozi strutturalmente non dissimili possono intervenire
anche fra soggetti privati (datio in solutum), si sarebbe orientati a escludere
tale figura dal novero degli acquisti privilegiati.
Prelazione La prelazione consiste nel potere da parte del Mibact o, in caso di rinuncia,
di altro ente territoriale interessato di acquistare beni culturali alienati a titolo
oneroso o conferiti in società, rispettivamente al medesimo prezzo stabilito
nell'atto di alienazione ovvero al medesimo valore determinato nell'atto di
conferimento (art. 60, comma 1).
nel caso in cui il corrispettivo pattuito nel contratto non sia previsto in denaro, lo
Stato lo corrisponde con l'equivalente in denaro (art. 60, comma 2).
In relazione a tali caratteri la p relazione artistica non appare inquadrabile fra le Natura
dichiarazioni negoziali, ma, espressione di un potere pubblicistico, consiste in
un atto amministrativo, di trasferimento unilaterale della proprietà, ancorché
assunto sulla base di una volontà del proprietario di trasmettere ad altri la
titolarità del bene.
La p relazione va esercitata entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla Modalità di eser-
data di ricezione della denuncia di cui all'art. 59, tramite notifica all'alienante e CIZIO
all'acquirente, e produce effetti dall'ultima notifica (art. 62, comma 3 ). In penden-
za del termine l'alienazione resta sospensivamente condizionata (e non inefficace,
come prevedeva l'art. 60, comma 4, del Tu [per le differenze De Maria 2007b,
293 ]). In particolare l'alienante non può consegnare il bene (art. 61, commi 1-3 ).
Stante il disposto dell'art. 164, comma 2, non risulta necessario, ai fini dell'eser-
cizio della p relazione, che intervenga la denuncia. Questa rappresenta un onere
per le parti, serve cioè a far decorrere il termine per l'esercizio della p relazione.
Trattandosi di un vero e proprio atto amministrativo, l'atto di p relazione richiede Motivazione
di essere motivato circa le ragioni che lo sopportano (v. ad esempio Cons. Stato,
sez. VI, 3 aprile 1992, n. 226, in «Cons. Stato», 1992, l, p. 585).
Sugli accennati tratti della prelazione artistica v., nello stesso senso, Corte cast.
sent. 269/1995, che ha ritenuto non costituzionalmente illegittimo l'istituto,
anche quando il suo esercizio avvenga a notevole distanza di tempo dall'alie-
nazione in conseguenza di una non tempestiva (o omessa) denuncia. Secondo
la Corte costituzionale il fondamento dell'istituto si rinviene nell'art. 9 Cast.,
risultando esso volto a «salvaguardare beni cui sono connessi interessi primari
per la vita culturale del paese>> (sentt. 269/1995 e 221/2007).
L'art. 62 Cod. stabilisce che il soprintendente, ricevuta la denuncia di un atto Prelazione a fa·
soggetto a p relazione, ne dia comunicazione alla Regione, alla Provincia e al vore degli enti ter-
Comune nel cui territorio si trova il bene. Tali enti possono manifestare entro ritoriali minori
venti giorni dalla denuncia la proposta di prelazione, indicando le specifiche
finalità di valorizzazione che la sorreggono. Entro lo stesso termine il Mibact
può rinunciare all'esercizio della prelazione, trasferendone la facoltà all'ente
interessato che adotta il provvedimento, notificandolo all'alienante e all'acqui-
rente entro sessanta giorni dalla denuncia.
Il d.p.r. 283/2000 prevedeva esplicitamente, nel caso di alienazione di beni
culturali demaniali, la prelazione, a seconda delle ipotesi, a favore dello Stato,
degli enti territoriali minori e degli enti di cui all'art. 11, comma l, del d.lgs. 20
novembre 1990, n. 356 (fondazioni bancarie). Nel silenzio del Codice è da pen-
sare che anche in questo caso trovino applicazione le norme appena considerate.
Espropriazione di l. L'espropriazione di beni culturali (art. 95) può concernere mobili oltre che
beni culturali ... immobili ed essere disposta a favore non solo dello Stato, ma anche di altri enti
pubblici e privati senza scopo di lucro.
La funzione che assolve risulta dalla formula secondo la quale essa è utilizzabile
quando «risponda a un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela
ai fini della fruizione pubblica dei beni». Ne deriva che l'istituto non si pone
come mezzo ordinario per incrementare il patrimonio pubblico di beni culturali
- a ciò risultando più idonei gli altri due istituti appena esaminati- ma come
strumento in qualche modo straordinario, in presenza appunto di un interesse
«importante» [Alibrandi e Ferri 2001, 602], concernente la valorizzazione del
bene culturale che ne costituisce l'oggetto. Benché indicato con una formula
non del tutto limpida («tutela ai fini della fruizione pubblica>>), l'istituto sembra
logicamente da ascrivere all'area della valorizzazione piuttosto che a quella
della tutela, come suggerirebbe la sua collocazione all'interno del Codice, i
fini meramente conservativi essendo infatti ampiamente garantiti dall'insieme
degli strumenti previsti dal Titolo I della parte seconda.
... e altre espro- Per l'orientamento prevalente [v. ibidem, 601 e 606], l'espropriazione di beni
priazioni culturali si differenzierebbe dall'ordinaria espropriazione per pubblica utilità,
perché la mera acquisizione del bene realizzerebbe in sé l'interesse pubblico,
senza essere inscindibilmente connessa all'esecuzione di un'opera pubblica.
È da rilevare, però, che tale elemento distintivo sembra appannarsi alla luce
di quanto disposto dall'art. l, comma 2 (v. anche art. 13, comma 8), del d.p.r.
327/2001 (Testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità, d'ora
in avanti anche Tuepu), che considera opera pubblica «anche la realizzazione
degli interventi necessari per l'utilizzazione da parte della collettività di beni
[. .. ] di cui non è prevista la materiale modificazione o trasformazione».
Espropriazione 2. L'espropriazione per fini strumentali è prevista dall'art. 96 per cose immobili,
per fini strumen- non consistenti in beni culturali, al fine di «isolare e restaurare beni culturali
tali immobili, assicurarne la luce o la prospettiva, garantirne o accrescerne il decoro
o il godimento da parte del pubblico, facilitarne l'accesso».
La finalità riecheggia quella perseguita dalle c.d. prescrizioni di tutela indiretta
di cui all'art. 45. Tuttavia le due misure hanno un campo di azione diverso: le
TUTELA 181
Per le tre fattispecie espropriative valgono regole diverse in tema di procedi- Procedimento e
mento e di indennizzo. indennizzo
Per l'espropriazione di beni culturali vengono in rilievo gli artt. 95 e 99. Nel
caso di espropriazione promossa dal Mibact a beneficio dello Stato o di persona
giuridica privata senza fine di lucro, il procedimento è incardinato per intero
presso il ministero (art. 95, commi l e 3). Viceversa, nel caso di espropriazione
a favore di altri soggetti pubblici, il Mibact è competente ad autorizzare l'e-
sproprio e a dichiarare la pubblica utilità, mentre il resto della procedura è di
spettanza dell'ente beneficiario (art. 95, comma 2). Tutto ciò è in applicazione
della nuova disciplina delle competenze in materia espropriativa dettata dal
Tuepu (art. 6, commi l e 9). L'indennità di esproprio è commisurata al prezzo
che il bene avrebbe nel mercato nazionale (art. 99, comma 1). Si tratta di un
criterio più vantaggioso per il proprietario rispetto a quelli ordinari vigenti in
materia espropriativa. Per il pagamento (e per le modalità di determinazione)
dell'indennità l'art. 99, comma 2, rinvia alla disciplina generale in tema di
espropriazioni (ossia agli artt. 20 s. e 26 ss. Tuepu).
Per gli aspetti non specificamente disciplinati - nella singolare assenza di un
rinvio alle norme generali in materia espropriativa da parte dell'art. 100 Cod.
(e in precedenza da parte del Tu), cui fa riscontro il non riferimento dell'art. 52
del Tuepu a tale espropriazione- sono stati ritenuti applicabili gli artt. 66-73
del r.d. 363/1913- tuttora conservato transitoriamente in vigore dall'art. 130
Cod. -, nonché, nel caso di esproprio immobiliare, le disposizioni della l. 25
giugno 1865, n. 2359, richiamate dall'art. 68 di detto regolamento [ad esempio,
Carletti 2000, 315]. Altri peraltro optano per il ricorso in via analogica alla
disciplina del Tuepu [Gasparri 2007a, 405].
Per l'espropriazione per fini strumentali e per interesse archeologico vengono
in rilievo gli artt. 98 e 100.
182 CAPITOLO 3
La specialità, che fino alla legge 11 febbraio 1994, n. 109 (c.d. Merloni) aveva
caratterizzato il settore, si era riproposta con la l. l o agosto 2002, n. 166 (c.d.
Merloni-quater), con il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 30, e con il precedente codice
dei contratti pubblici (d.lgs. 163/2006).
Specialità della L'esigenza di specialità della disciplina nasce dalla centralità del fine conser-
disciplina vativo (ossia volto ad assicurare la tutela del bene oggetto dell'intervento) dei
lavori su beni culturali, con la conseguente prevalenza di criteri qualitativi su
quelli di ordine economico nella scelta e nell'esecuzione dei lavori. li che si
riflette in particolare sulla qualificazione degli operatori chiamati a intervenire,
sui criteri di aggiudicazione delle gare, sul non «assorbimento» dei lavori su
beni culturali in altri tipi di lavori a essi connessi pur se quantitativamente
prevalenti, nonché su una progettazione più flessibile nella impostazione dei
livelli e nella esecuzione dei lavori [ampiamente Carpentieri 2016b, 1015 ss.;
Sau 2017, par. 2].
È da aggiungere che i citati artt. 145 ss. in parte contengono una disciplina
in sé compiuta, in parte dettano principi che vanno sviluppati da apposito
regolamento da emanarsi dal ministro dei beni e delle attività culturali e del
turismo di concerto con il ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
TUTELA 183
Molteplici sono le figure professionali coinvolte nelle attività in cui si scom- Figure professio-
pone la tutela. Ne dà un quadro pressoché completo l'art. 9-bis del Codice nali e tutela
con riferimento peraltro anche ai compiti relativi alla valorizzazione e alla frui-
zione, parlando di «archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi,
antropologi fisici, restauratori di beni ctÙturali e collaboratori restauratori di
beni ctÙturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni
culturali e storici dell'arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza
professionale».
Al riguardo l'art. 2 della l. 22luglio 2014, n. 110, prevede la istituzione presso Elenchi
il Mibact di «elenchi nazionali di archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetno-
antropologi, antropologi fisici, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia
applicate ai beni culturali e storici dell'arte in possesso di requisiti individuati»
con decreto ministeriale (commi l e 2). Tali elenchi peraltro, precisa il comma
3, «non costituiscono sotto alcuna forma albo professionale», sicché l'iscri-
zione nell'elenco non rappresenta condizione necessaria per l'esercizio della
corrispondente attività.
L'art. 29 del Codice si occupa dei profili di competenza dei restauratori, stabi-
lendo al comma 6 una riserva di attività a favore di tale figura con riferimento
«al restauro sui beni culturali mobili e superfici decorate di beni architettonici
[tali dovendosi intendere genericamente i beni immobili culturali]», fermo
quanto disposto dalla normativa in materia di progettazione ed esecuzione di
184 CAPITOLO 3
Generalità Nel capo I del Titolo I e nel capo I del Titolo II della parte quarta il Codice si
occupa delle sanzioni, nell'ordine, amministrative e penali relative alla parte
seconda concernente i beni culturali (con analoga progressione il capo II del
Titolo I e il capo II del Titolo II sempre della parte quarta contengono le san-
zioni amministrative e penali a proposito dei beni paesaggistici). La sequenza
delle disposizioni riflette la scelta sistematica operata dal d.lgs. 42/2004 (ana-
loga del resto a quella compiuta dal Tu del 1999, consistente in una stretta
connessione fra sanzioni amministrative e sanzioni penali, le seconde spesso
chiamate a «doppiare» le prime, ed entrambe poste a presidio delle disposizioni
sostanziali poste dal Codice, anzi molto spesso, come puntualmente rilevato
TUTELA 185
[Manes 2011, 306], volte a «tutela di funzioni)), ossia dei compiti di vigilanza
e di intervento sui beni culturali affidati all'autorità amministrativa.
In ogni caso le fattispecie sanzionate sul piano amministrativo e quelle san-
zionate sul piano penale appaiono entrambe riconducibili a tre categorie
incentrate rispettivamente:
a) nella inosservanza di precetti direttamente posti dalla disciplina ammini-
strativa sostanziale:
ad es., nell'art. 161 si sanziona sul piano amministrativo (esecuzione a spese del
trasgressore delle opere necessarie alla reintegrazione oppure nell'impossibilità
del pagamento di una somma di danaro) la inosservanza delle prescrizioni
imposte nell'atto di concessione di ricerca archeologica ex art. 89, quando da
essa sia derivato un danno alla cosa ritrovata, mentre per la medesima inosser-
vanza (anche se non abbia causato danno alla cosa) l'art. 175, comma l, lett. a,
prevede l'arresto e l'ammenda.
ad es., sempre dalla previsione dell'art. 160, commi l e 4, viene sanzionato sul
piano amministrativo anche il restauro compiuto senza autorizzazione prevista
dall'art. 21, quando abbia danneggiato il bene culturale; sul piano penale il
restauro senza autorizzazione (pur senza danno per il bene) è punito dall'art.
169, comma l, lett. a.
Sanzioni ammini- Le sanzioni amministrative comprendono figure differenti sul piano della
strative tipologia e del regime giuridico. A parte la misura in realtà civilistica della
«nullità», prevista dall'art. 164, dei contratti posti in essere in violazione
dei divieti o senza l'osservanza delle condizioni o modalità prescritte (alla
quale si è già fatto riferimento, supra, par. 3 .l), sono contemplati due diversi
complessi di misure: le sanzioni amministrative (in senso stretto) e le misure
ripristinatorie o alternative.
Sanzioni ammini- Le sanzioni amministrative (in senso stretto) presentano una natura essenzial-
strative (in senso mente punitiva e si rivolgono direttamente al responsabile della violazione di
stretto) un precetto normativa. Pertanto, in genere, non sono commisurate al danno
eventualmente cagionato.
Misure ripristina- Le misure ripristinatorie o alternative, viceversa, assolvono fondamentalmente
torie o alternative alla funzione di ristabilire l'ordine fattuale violato e, orientate alla cosa oggetto
di tutela da parte della norma, tendono a riportarla nella situazione anteriore
alla violazione. Quando, per motivi di necessità o di opportunità si trasformino
in una misura alternativa di carattere pecuniario, questa si commisura al valore
della lesione prodotta o a quanto è necessario per la sua rimozione.
Sanzioni penali Quanto alle sanzioni penali, merita anzitutto di essere ricordato che esse
consistono, in alcuni casi, nella reclusione e nella multa, in altri, nell'arresto
e nell'ammenda, componendo rispettivamente fattispecie di delitti (art t. 173,
174, 176 e 178) e fattispecie di contravvenzioni (artt. 169-172, 175, 180).
Delitti e contrav- La distinzione fra delitti e contravvenzioni è importante sotto il profilo dell'e-
venzJOm lemento soggettivo (solo a proposito dei primi essendo richiesto il dolo- non
essendo prevista la rilevanza della condotta colposa, v. art. 42, comma 2, c.p.),
nonché sotto il profilo del rilievo da assegnare alla conoscenza o all'ignoranza
TUTELA 187
del carattere culturale del bene cui la condotta si riferisce come pure della ne-
cessità di acquisire preventivamente rispetto all'espletamento di certe attività un
atto di consenso dell'amministrazione (l'eventuale ignoranza o l'errore colposo
su un elemento normativo del fatto escludendo la punibilità solo nel caso di
delitti, v. art. 47, comma l, c.p.).
In secondo luogo può rilevarsi che le fattispecie di reato sono costruite sovente
in termini di reato di pericolo astratto e talora di pericolo indiretto rispetto
alla lesione del bene culturale.
Così ad es. un astratto giudizio di pericolosità è rintraccia bile nelle condotte di Reati di pericolo
demolizione, rimozione o restauro «senza autorizzazione» (art. 169, comma l, astratto e di peri-
lett. a), mentre nell'esecuzione, in casi di assoluta urgenza, di lavori in dispensa- colo indiretto
bili a prevenire danni al bene culturale «senza darne immediata comunicazione
alla soprintendenza>> (art. 169, comma l,lett. c)- esecuzione che può in con-
creto essere vantaggiosa per il bene- a essere tutelata direttamente è piuttosto
la funzione esercitata dall'autorità amministrativa, a sua volta posta a presidio
del bene [sul punto Manes 2011, 295].
Ancora, è da tenere presente che alle fattispecie delineate dal d.lgs. 42/2004 si
affiancano quelle previste dal codice penale (in particolare, art. 635, comma
2 n. l; art. 639, comma 2, e art. 733: «danneggiamento», «deturpamento e
imbrattamento di cose altrui» e «danneggiamento al patrimonio archeologico,
storico o artistico nazionale»).
Le seconde si distinguono dalle prime sia perché contemplano ipotesi di reati Reati previsti dal
di danno (ossia con effettiva lesione del bene culturale), sia perché non pre- codice penale
suppongono un particolare rapporto (dalla proprietà alla mera detenzione)
con il bene culturale leso.
Inoltre, può osservarsi che il livello di effettività delle sanzioni penali previste
dal Codice è «tendenzialmente scarso» [Manes 2003, 247].
Ciò per vari motivi: la struttura contravvenzionale di taluni reati, con i con- Ridotta effettività
seguenti ridotti termini di prescrizione (ex art. 157 c.p.) rende improbabile la
definizione del processo con sentenza definitiva; la tendenziale esiguità dei
margini edittali della pena riduce la possibilità dell'esecuzione in concreto della
sanzione anche in caso di condanna definitiva; lo stesso dicasi per il trattamento
premiale, consistente nella riduzione della pena, previsto in taluni casi di reato
sanzionati in misura più pesante (art. 177).
Alla sanzione penale pertanto residua sovente una funzione di sola «preven-
zione generale positiva».
Da ultimo va ricordato che in data 22 giugno 2017 è stato approvato in prima
lettura dalla Camera un d.d.l. di riforma della disciplina sanzionatoria in tema
di reati contro il patrimonio culturale (AC 4220-A). Il disegno di legge, che si
pone sulla scia di varie proposte avanzate nella presente e nelle passate legi-
188 CAPITOLO 3
LETTURE DI APPROFONDIMENTO
Sulla funzione di tutela concernente i beni culturali: F. S. Marini, La «tutela» e la «valorizzazione dei
beni culturali» come «materie-attività» nella più recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in
«Giur. cost.», 2004, pp. 197 ss.; E. Jayme, La protezione delle opere d'arte nazionali: tendenze attuali
ed esperienze tedesche, in «Riv. giur. urb.)>, 2008, pp. 339 ss.; Modelli di composizione degli interessi
nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, Atti del Convegno, Padova 18-19 maggio 2007,
in «Riv. giur. urb.», 2008, pp. 9 ss.; G. Bobbio, La tutela giuridica del contesto culturale, in «Riv. giur.
urb.», 2009, pp. 397 ss.; E. Cavalieri, La tutela dei beni culturali. Una proposta di Giovanni Urbani
e B. Zanardi, La mancata tutela del patrimonio culturale in Italia, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2011,
pp. 473 ss. e 431 ss.; P. Carpentieri, Semplificazione e tutela, e G. Severini, Tutela del patrimonio
culturale, discrezionalità tecnica e principio di proporzionalità, in «Aedon>) 2016, n. 3; S. Mabellini,
Tutela dei beni culturali nel costituzionalismo multilivello, Torino, Giappichelli, 2016; G. Sabato,
La tutela del patrimonio culturale nella giurisprudenza costituzionale e amministrativa, in «Gior. dir.
amm.», 2017, n. l, pp. 116 ss.
Con riferimento al Codice: G. Pastori, Tutela e valorizzazione dei beni culturali in Italia: situazione
in atto e tendenze, in «Aedon», 2004, n. 3; G. Sciullo, Il Codice dei beni culturali e del paesaggio:
principi dispositivi ed elementi di novità, in «Urb. e app.», 2004, pp. 763 ss.; G. Severini, I principi del
codice dei beni culturali e del paesaggio, in «Gior. dir. amm.», 2004, pp. 469 ss.; A.L. Tarasco, Benz;
patrimonio e attività culturali: attori privati e autonomie territoriali, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 2004; R. Tamiozzo, Art. 3, in Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, coordinato da
Tamiozzo, cit., pp. 10 ss.; G. Trotta, Premessa sistematica, N. Aicardi, Art. 3, in G. Trotta, G. Caia e
N. Aicardi (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pp. 1045 ss., 1064 ss.; M. Nuzzo,
La tutela dei beni culturali mobili e immateriali, in F. Lucarelli (a cura di), Ambiente, territorio e beni
culturali nella giurisprudenza costituzionale, cit., pp. 419 ss.; G. Sciullo, La tutela dei beni librari, in
«Aedon», 2006, n. 2; G. Corso, Art. l, G. Sciullo, Art. 3, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei
beni culturali e del paesaggio, cit., pp. 55 ss., 60 ss.; A. Roccella, La conservazione: gli art!. 18-52 e G.
Sciullo, La tutela: gli artt. 1-15, in «Aedon», 2008, n. 3; C. Balocchini, Il vincolo pertinenziale quale
strumento di tutela per le collezioni e gli studi di artista? Brevi osservazioni sull'evoluzione dell'istituto
e sulle conseguenze civili e fiscali, in «Aedon>>, 2009, n. 2.
Sullo stesso tema, con un taglio non giuridico, risultano significativi: S. Settis, Battaglie senza eroi,
Milano, Electa, 2005; R. Cecchi, I beni culturali, Milano, Spirali, 2006.
TUTELA 189
Sulla vigilanza e l'ispezione: V. Sessa, Art. 18, e A. Roccella, Art. 19, in Cammelli, Il Codice, cit., pp.
134 ss.; P. Caputi Jambrenghi, Art. 18 [s.], in Trotta, Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1176 ss.; R.
Tamiozzo, Art. 18 [s.], in Il Codice, coordinato da Tamiozzo, cit., pp. 94 ss.
Sui ritrovamenti e le scoperte: C. Marzuoli, Art. 88 [ss.], in Cammelli, Il Codice, cit., pp. 365 ss.;
G. Calderoni, Art. 88 [ss.], in Trotta, Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1383 ss.; R. Tamiozzo, Art. 88
[ss.], in Il Codice, coordinato da Tamiozzo, cit., pp. 379 ss.; G. Manfredi, La nuova disciplina della
consultabilità dei documenti degli archivi: gli artt. 122 e 123, C. Marzuoli, Ritrovamenti, scoperte ed
espropriazione: gli artt. 88-100, in «Aedon», 2008, n. 3.
Sulla circolazione dei beni culturali: M.R. Cozzuto Quadri, La circolazione delle «Cose d'arte», Napoli,
Jovene, 1997; A. Serra e F. Florian, Art. 53 [ss.], D. Nardella, Art. 65, F. Lafarge, Art. 73 [s.], D.
Nardella, Art. 75, in Cammelli, Il Codice, ci t., pp. 245 ss., 300 ss., 319 ss. e 332 ss.; G. Famiglietti e D.
Carletti, Art. 53 [ss.], G. Famiglietti, D. Carletti e G. Veccia, Art. 65 [ss.], in Il Codice, coordinato da
Tamiozzo, cit., pp. 233 ss. e 295 ss.; A. Morbidelli, Art. 53 [ss.], F. Saitta, Art. 65 [ss.], A. Lanciotti,
Art. 73 [ss.], in Trotta, Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1283 ss., 1316 ss. e 1349 ss.; A. Ferri, La prefa-
zione storico-artistica, in Lucarelli, Ambiente, cit., pp. 387 ss.; M. Frigo, La circolazione internazionale
dei beni culturali. Diritto internazionale, diritto comunitario e diritto interno, Milano, Giuffrè, 2007;
A Giuffrida, Contributo allo studio della circolazione dei beni culturali in ambito nazionale, Milano,
Giuffrè, 2008; A. Serra, I.: alienazione e l'utilizzazione dei beni culturali pubblici, in <<Aedon», 2008,
n. 3; E. Valente, G. Roccia e M. De Rocchis, La circolazione dei beni culturali, Polistampa, 2008; F.
Lafarge, La circolazione internazionale dei beni culturali dopo le modifiche al Codice, in «Aedon»,
2009, n. 1.; G. Tempesta, Beni culturali circolazione giuridica e interesse religioso, Bari, Cacucci, 2012;
Centro di difesa sociale, Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale. Un'analisi di diritto
interno, comparato e internazionale, Milano, Giuffè, 2015.
Sugli acquisti privilegiati: F. De Maria, Art. 60 [ss.], D. Nardella, Art. 70 e W. Gasparri, Art. 95 [ss.],
in Cammelli, Il Codice, cit., pp. 282 ss., 311 ss. e 386 ss.; G. Famiglietti, D. Cadetti e G. Veccia, Art.
60 [ss.], Art. 70, R. Tamiozzo, Art. 95 [ss.], in Il Codice, coordinato da R. Tamiozzo, cit., pp. 270 ss.,
316 ss. e 417 ss.; M. Palmeri, Art. 60 [ss.], F. Saitta, Art. 70, G. Calderoni, Art. 95 [ss.], in Trotta,
Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1306 ss., 1334 ss. e 1402 ss.; A. Gualdani, La prefazione artistica e
il caso dell'archivio Vasari di Arezzo, in «Aedon», 2010, n. 3; G. Torelli, L'acquisizione sanante nel
codice dei beni culturali e del paesaggio, in «Aedon», 2016, n. 2.
Sui lavori pubblici, in particolare sul restauro: M. Guccione, Art. 29, in Cammelli, Il Codice, cit.,
pp. 177 ss.; G. Garzia e B. Lubrano, Art. 29, in Trotta, Caia e Aicardi, Codice, cit., pp. 1213 ss.; B.
190 CAPITOLO 3
Sulle figure professionali e sulla loro formazione: A.L. Tarasco, La formazione alla gestione del pa-
trimonio culturale: pregiudizi e nuovi orizzonti, in «Aedon», 2001, n. l; G. Servello, La qualifica di
restauratore tra tutela e valorizzazione dei beni culturali, in «Le nuove leggi civ. comm.», 2004, pp.
41 ss.; A. Sau, Un passo avanti nella disciplina della formazione dei restauratori: il decreto del Miur 2
marzo 2011, in «Aedon», 2011, n. 2.
Sulle sanzioni amministrative e penali: A Manna, Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti
penali, Milano, Giuffrè, 2005; P. Cerbo,Art. 160 [ss.] e F. De Maria, Art. 164, in Cammelli, Il Codice,
cit., pp. 653 ss. e 675 ss.; R. Tamiozzo, Art. 160 [ss.], in Il Codice, coordinato da Tamiozzo, cit., pp.
728 ss.; S. Manacorda e A. Visconti (a cura di), Beni culturali e sistema penale. Atti del Convegno
(Milano, 16 gennaio 2013), Milano, Vita e Pensiero, 2013.
aRroill4
Valorizzazione e gestione
La dinamica degli Tra le principali caratteristiche del patrimonio culturale vi è quella di essere
interessi un insieme di beni portatori di numerosi e diversi interessi, sia pubblici che
privati, spesso in contrasto tra loro, cui possono collegarsi altrettante situazioni
giuridiche (supra, cap. 1).
Gli esempi di queste relazioni sono innumerevoli.
Conservazione vs Un caso interessante - perché riguarda un paese tradizionalmente meno
ricostruzione orientato verso la tutela- è la vicenda della casa dello scrittore Edgar Allan
Poe (1809-1849) a New York. Nel2001, quando la New York University
(Nyu) decise di costruire un nuovo edificio nel Village, a Manhattan, il
progetto originario prevedeva di demolire due dimore storiche, la Judson
House e l'Edgar Allan Poe House. A séguito della protesta dei cittadini,
accompagnata da un'azione legale, Nyu, pur avendo vinto la causa, preferì
modificare il progetto. Il risultato è stato quello di realizzare una c.d. «inter·
pretive reconstructiom), che fu in grado di soddisfare pressoché tutte le parti
(Nyu, l' Historic Districts Council, i comitati di quartiere e altre associazioni):
le facciate delle due case furono ricostruite così come si presentavano nel
XIX secolo, usando pezzi di materiale recuperati durante i lavori. Alcuni
fecero tuttavia notare che, in realtà, nessuno degli originali mattoni color
salmone venne usato per la ricostruzione. Altri risposero che la casa di Poe
era stata profondamente modificata negli oltre 150 anni successivi a quando
lo scrittore vi abitò.
Il patrimonio Un secondo esempio, utile a comprendere la dimensione ultrastatale degli
mondiale interessi in questione, è offerto dalla tutela dei siti Unesco riconosciuti come
patrimonio mondiale dell'umanità. Quando vi è il rischio di compromettere
il valore eccezionale e universale di un sito inserito nella lista del patrimonio
mondiale, esso può essere iscritto nella c.d. «Danger list)). Ciò si verifica
spesso in zone di conflitto (come è successo, da ultimo, in Siria), ma può
avvenire anche quando vi siano iniziative o progetti di trasformazione urbana
o di realizzazione di infrastrutture tali da compromettere la salvaguardia del
tessuto urbanistico o paesaggistico dove il sito o monumento è situato: è, ad
esempio, quel che si è realizzato a Dresda, quando il sito della valle d'Elba fu
addirittura cancellato dalla lista a séguito della costruzione di un nuovo ponte;
oppure è quanto avvenuto a Liverpool, nel caso dell'antico porto mercantile
oggetto di un piano di riqualificazione ritenuto troppo invasivo dal Comitato
per il patrimonio mondiale; o, ancora, è quanto potrebbe avvenire a Venezia,
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 193
in base ai moniti già esternati dall'Unesco, a causa del passaggio nella laguna
delle grandi navi da crociera.
Un terzo esempio, di particolare rilevanza in Italia, attiene al contemperamento Tutela vs commer-
tra tutela del decoro dei beni culturali ed esercizio delle attività commerciali. cio
Le ricorrenti polemiche circa l'esigenza di non avere una eccessiva presenza
di ambulanti nei siti ad alta affluenza di visitatori, così come la necessità di
preservare le botteghe storiche ed evitare radicali trasformazioni dei contesti
urbani, evidenziano un ulteriore caso di conflitto tra diversi interessi, tutti
comunque meritevoli di tutela.
In materia di tutela del decoro, il legislatore è intervenuto più volte dal2004 a La tutela del de-
oggi. Dapprima, l'articolo 52, comma 1-ter, del Codice dei beni culturali e del coro
paesaggio ha stabilito che, «al fine di assicurare il decoro dei complessi monu-
mentali e degli altri immobili del demanio culturale interessati da flussi turistici
particolarmente rilevanti, nonché delle aree a essi contermini, i competenti
uffici territoriali del ministero, d'intesa con la Regione e i Comuni, adottano
apposite determinazioni volte a vietare gli usi da ritenere non compatibili con le
specifiche esigenze di tutela e di valorizzazione, comprese le forme di uso pub-
blico non soggette a concessione di uso individuale, quali le attività ambulanti
senza posteggio, nonché, ove se ne riscontri la necessità, l'uso individuale delle
aree pubbliche di pregio a seguito del rilascio di concessioni di posteggio o di
occupazione di suolo pubblico». La disposizione prevede altresì la possibilità
di revocare, salvo indennizzo, le autorizzazioni già concesse che risultino non
più compatibili con le esigenze di tutela del decoro.
Successivamente, il d.lgs. 25 novembre 2016, n. 222, riguardante la «Indivi-
duazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata
di inizio di attività (Scia), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei
regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi
dell'articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», ha previsto che, proprio per
le finalità indicate dall'articolo 52 del Codice dei beni culturali e del paesag-
gio, il Comune, d'intesa con la Regione, sentito il competente soprintendente
del ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, può adottare
deliberazioni volte a delimitare, sentite le associazioni di categoria, zone o
aree aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico in
cui è vietato o subordinato ad autorizzazione l'esercizio di una o più attività
di cui al presente decreto, individuate con riferimento al tipo o alla categoria
merceologica, in quanto non compatibile con le esigenze di tutela e valorizza-
zione del patrimonio culturale. Infine, l'articolo 22, comma 5-quinquies, del
d.l. 50/2017, conv. nella L 96/2017, ha previsto che «[a]l fine di assicurare la
tutela del decoro del patrimonio culturale e la sicurezza pubblica, il Comune,
d'intesa con la Regione, sentito il competente soprintendente del ministero dei
Beni e delle Attività culturali e del Turismo, può adottare deliberazioni volte a
regolare l'accesso e la circolazione, nel proprio centro storico, di veicoli elettrici
e di velocipedi, utilizzati a fini turistici, che abbiano più di due ruote o che
comunque trasportino tre o più persone, incluso il conducente».
Questi esempi- come altri migliaia- mostrano che il patrimonio culturale può
dar vita a complesse questioni giuridiche, oltre che politiche ed economiche.
li nuovo edificio di Nyu fu il risultato di un bilanciamento di interessi: da un
194 CAPITOLO 4
Classificazione de- La scienza giuridica ha perciò tentato in più occasioni di fornire una classifica-
gli interessi zione dei diversi interessi pubblici collegati al patrimonio culturale.
Sabino Cassese, ad esempio, per i beni culturali, ha distinto tra: conservazione,
finalizzata a preservare fisicamente i beni; ritenzione, riguardante la circolazione
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 195
non sono stati più concepiti come materia elitaria, riservata a pochi, ma come
importante strumento di sviluppo della cultura. Così, a partire dagli anni
Sessanta del Ventesimo secolo, anche grazie a una lettura congiunta dei due
commi dell'art. 9 Cost., comincia ad affiancarsi, alla finalità di conservare e
proteggere i beni culturali, quella di accrescere la loro conoscenza e la loro
fruizione pubblica. Tale mutamento è strettamente connesso, è evidente, alla
nascita della nuova locuzione bene culturale prima descritta (cap. l). La conse-
guenza è stata che, dopo alcuni tentativi di perseguire questi due fini pubblici
rimanendo all'interno della tutela, distinguendo tra una tutela «statica» e una
tutela «dinamica», si è preferito fare ricorso al termine valorizzazione per
indicare appunto una nuova funzione amministrativa.
Tutela vs valoriz. Tutela e valorizzazione, perciò, sono le due principali funzioni che inter-
zazione vengono in materia di patrimonio culturale. Se l'ambito d'azione è lo stesso,
differenti e conflittuali, però, possono essere i fini di queste due attività. Questa
conflittualità trova la propria area critica nell'accessibilità ai beni, lì dove la
tutela si preoccupa di regolamentarla e di ridurla, mentre la valorizzazione
tende ad accrescerla. Si pensi, per esempio, alla Domus aurea, a Roma: esigenze
di conservazione permettono la contemporanea presenza, nelle stanze sotter-
ranee dell'antica dimora imperiale, di poche persone per volta, scaglionate in
turni orari. È chiaro che, in questo caso, la tutela ottimale consisterebbe nel
non consentire alcun accesso ai visitatori; tuttavia, la necessità di valorizzare
e, dunque, di rendere godibile la splendida domus, giustifica la scelta di as-
sicurarne comunque la fruizione, in forme compatibili con il mantenimento
dell'integrità fisica e la protezione del bene.
La tutela, quindi, «è diretta principalmente a impedire che il bene possa
degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale; ed
è significativo che la prima attività in cui si sostanzia la tutela è quella del ri-
conoscere il bene culturale come tale. La valorizzazione è diretta soprattutto
alla fruizione del bene culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di
conservazione attiene a quest'ultima nei luoghi in cui awiene la fruizione e
ai modi di questa» (così Corte cost. sent. 9/2004 ).
Gli interventi di tutela e di valorizzazione variano in base al tipo di bene, se
mobile o immobile, se pubblico o privato, se culturale o paesaggistico. In ogni
caso, non necessariamente tra di esse vi è un rapporto di conflitto. Ferma
restando la supremazia, innanzitutto dal punto di vista logico, della tutela,
un'attività di valorizzazione, quale ad esempio lo spostamento di un'opera
d'arte in un museo, può avere l'effetto di assicurare una migliore conserva-
zione, oltre che una maggior fruizione.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, come visto (supra, capp. 2 e 3),
fornisce una definizione sia di tutela, sia di valorizzazione. Tra i principi gene-
rali, peraltro, emerge in modo netto il ruolo fondamentale attribuito a queste
due funzioni, in quanto si afferma, in primo luogo, che, in attuazione dell'art.
9 Cost., la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale; in secondo
luogo, che «la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono
a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a
promuovere lo sviluppo della cultura>> (art. l, commi l e 2, d.lgs. 42/2004).
Quanto alle definizioni, la tutela, come visto (cap. 3 ), «consiste nell'esercizio
delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata
attività conoscitiva, a individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e
a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione»
(art. 3, comma l, d.lgs. n. 42/2004). La valorizzazione (cap. 2) «consiste
nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere
la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni
di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte
delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della
cultura. Essa comprende anche la promozione e il sostegno degli interventi
di conservazione del patrimonio culturale» (art. 6, comma l, d.lgs. 42/2004).
Per quel che riguarda il rapporto tra le due funzioni, la valorizzazione è at-
tuata in forme compatibili con la tutela e tali da non pregiudicarne le esigenze
(art. 6, comma 2, d.lgs. 42/2004); le attività concernenti la conservazione, la
fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale sono comunque svolte
in conformità alla normativa di tutela (art. l, comma 6, d.lgs. 42/2004).
diverse forme di cooperazione tra tutti questi soggetti, poiché essi debbono
perseguire il coordinamento, l'armonizzazione e l'integrazione delle attività di
valorizzazione dei beni pubblici (art. 7, comma 2, d.lgs. 42/2004). Pertanto,
al fine di coordinare, armonizzare e integrare la fruizione e la valorizzazione
dei beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica, lo Stato tramite
il ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali definiscono appositi
accordi (artt. 102 e 112, d.lgs. 42/2004) (in/ra, par. 2.6 e cap. 5).
Nel riparto di competenze nel settore dei beni culturali, dunque, si applica,
nel caso della tutela, la clausola relativa all'esercizio unitario delle funzioni,
dato che tale attività è mantenuta in capo allo Stato. Nell'ipotesi della valo-
rizzazione, è adottato un criterio in base al quale il soggetto pubblico che
dispone del bene potrà svolgere la funzione nel modo più adeguato.
Se si sposta la prospettiva a livello europeo, si registra, invece, una piena ap-
plicazione del principio di sussidiarietà nel distribuire le funzioni tra Unione
Europea e Stati membri. Alla prima, infatti, non spettano compiti diretti di
tutela, salvo che con riferimento alla salvaguardia del patrimonio culturale
di importanza europea e alla circolazione dei beni e alla loro esportazione
fuori del territorio dell'Unione. Quanto alla valorizzazione, l'amministrazione
comunitaria svolge attività di impulso e di sostegno finanziario: si pensi ai
programmi europei c.d. Pon.
2. LA FUNZIONE DI VALORIZZAZIONE
La lunga, e per certi versi tortuosa, storia della valorizzazione mostra le dif-
ficoltà dell'ordinamento italiano nel regolare una funzione amministrativa
<(diversa~> dalla tutela; ed è esemplare di come troppo spesso la «lotta» per
il riparto delle attribuzioni prevalga sulla corretta individuazione del fine
pubblico che una funzione dovrebbe perseguire.
Tutto ha inizio in Francia un secolo fa, nel1918, quando Marcel Proust, nella Le origini del vo-
Recherche, includeva l' «arte di "valorizzare"» tra «les Arts du Néant», le Arti cabolo
del Nulla, insieme con l' «arte di saper "riunire", [ ... ] di "stare nell'ombra", di
"fungere da tramite"». Un anno dopo, in Italia, Piero Gobetti usò per la prima
volta il vocabolo nella lingua italiana, ma in un contesto diverso da quello dei
beni culturali. Nella relazione alla legge sulla protezione delle bellezze naturali,
202 CAPITOLO 4
presentata nel 1920 in Senato, Benedetto Croce citò Nitti nel richiamare la
necessità di «difendere e mettere in valore, nella più larga misura possibile,
le maggiori bellezze d'Italia, quelle naturali e quelle artistiche».
Lo sviluppo della Nel1964, l'espressione valorizzazione inizia a essere usata in modo stabile e
funzione continuativo con riferimento al patrimonio culturale, per indicare ogni atti-
vità, diversa dalla tutela, volta a perseguire la fruizione, la promozione e la
diffusione della conoscenza. Nel1998, la funzione di valorizzazione dei beni
culturali acquisisce piena dignità giuridica e, nel200 l, è inserita- al pari della
tutela- nell'art. 117 della Costituzione. Nel2004, invece, la valorizzazione
è ridimensionata dal Codice e, soprattutto, perde tra le sue finalità proprio
quella per la quale essa è stata ideata, la fruizione, che, viceversa, è assorbita
in parte dalla tutela.
Nel 2009, è creata una struttura del ministero dedicata alla valorizzazione,
un'apposita direzione generale, con l'obiettivo di mettere in primo piano i
compiti attivi di promozione e di sviluppo della cultura assegnati allo Stato.
Una direzione generale per la valorizzazione, tuttavia, sarebbe servita nel
1974-75, quando per la prima volta in un testo normativa fu stabilito che il
ministero «tutela e valorizza» il patrimonio storico e artistico, senza che fosse
ancora ben chiaro il significato e la portata di una tale espressione. Solo dopo
trentacinque anni, la valorizzazione, già consacrata nella Costituzione e più
volte definita dal legislatore e dalla Corte costituzionale, ha trovato pieno
riconoscimento anche in termini organizzativi all'interno del ministero.
I ritardi dell'ordinamento nel disciplinare la valorizzazione si sono rivelati
anche controproducenti, alimentando le tesi che considerano la valorizzazione
unicamente come ago della bilancia nel ripartire le competenze tra Stato
e Regioni, senza cogliere le potenzialità di questa funzione per sviluppare
nuove e più avanzate forme di fruizione del patrimonio culturale. Le vicende
della valorizzazione hanno così corso il rischio di rappresentare un'ulteriore
occasione mancata per rilanciare le politiche dei beni culturali in Italia, dato
che il legislatore si è preoccupato prevalentemente di ripartire i compiti tra
Stato, Regioni ed enti locali, invece di dotare questa funzione di mezzi, istituti
e procedure. Con il paradossale risultato di dare vita a un sofisticato livello di
regolazione dei profili della fruizione e dell'accessibilità, concepito però più
per delimitare le competenze che per soddisfare le esigenze delle collettività.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 203
Nella prima ipotesi, l'art. 112 stabilisce che lo Stato, le Regioni e gli altri enti
pubblici territoriali assicurano la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e
nei luoghi della cultura, mentre la valorizzazione degli altri beni culturali pub·
blici è assicurata compatibilmente con lo svolgimento degli scopi istituzionali
cui detti beni sono destinati. Il medesimo articolo prevede, poi, un complesso
sistema di accordi tra le amministrazioni per garantire una leale cooperazione
nell'assolvimento della funzione (v. in/ra, par. 4; cap. 6).
Nella seconda ipotesi, invece, I' art. 113 dispone che «le attività e le strutture di
valorizzazione, a iniziativa privata, di beni culturali di proprietà privata possono
beneficiare del sostegno pubblico da parte dello Stato, delle Regioni e degli altri
enti pubblici territoriali>>; le misure di sostegno sono adottate tenendo conto
della rilevanza dei beni culturali a cui si riferiscono.
In secondo luogo, il Codice distingue tra la fruizione degli istituti e dei luoghi
della cultura di appartenenza pubblica (art. 102) e la fruizione di beni culturali
di proprietà privata (art. 104).
Nel primo caso sono dettate disposizioni analoghe a quelle contenute nell'art.
112, con riferimento alla valorizzazione. Nel secondo caso, è previsto che
possano essere assoggettate a visita da parte del pubblico per scopi culturali
alcune categorie di beni; le modalità di visita sono concordate tra il proprietario
e il ministero.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 205
lnnanzirutto, vi sono due espresse previsioni del Codice dei beni culturali e del
paesaggio dedicate allo studio, alla ricerca e alla promozione della diffusione
della conoscenza.
L'articolo 118 stabilisce che il ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici
territoriali, anche con il concorso delle università e di altri soggetti pubblici e
privati, realizzano, promuovono e sostengono, anche congiuntamente, ricerche,
studi e altre attività conoscitive aventi a oggetto il patrimonio culturale. Inoltre,
al fine di garantire la raccolta e la diffusione sistematica dei risultati degli studi,
delle ricerche e delle attività svolte in collaborazione con le università o altri
soggetti pubblici e privati, il ministero e le Regioni possono stipulare accordi
per istituire, a livello regionale o interregionale, centri permanenti di studio e
documentazione del patrimonio culturale, prevedendo il concorso delle uni·
versità e di altri soggetti pubblici e privati.
L'articolo 119 prevede poi che il ministero può concludere accordi con i mi·
nisteri della Pubblica istruzione e dell'Università e della Ricerca, le Regioni
e gli altri enti pubblici territoriali interessati, per diffondere la conoscenza
del patrimonio culturale e favorirne la fruizione. Con tali accordi, i respon·
sa bili degli istituti e dei luoghi della cultura di cui all'articolo 10 l possono
stipulare apposite convenzioni con le università, le scuole di ogni ordine e
grado, appartenenti al sistema nazionale di istruzione, nonché con ogni altro
istituto di formazione, per l'elaborazione e l'attuazione di progetti formativi e
di aggiornamento, dei connessi percorsi didattici e per la predisposizione di
materiali e sussidi audiovisivi, destinati ai docenti e agli operatori didattici. I
percorsi, i materiali e i sussidi tengono conto della specificità dell'istituto di
formazione e delle eventuali particolari esigenze determinate dalla presenza
di persone con disabilità. Più di recente, la legge n. 127 del2015 e il relativo
decreto legislativo attuativo in materia di promozione della cultura umanistica
hanno ulteriormente rafforzato le modalità di collaborazione tra scuole e istituti
e luoghi della cultura.
li segnale più evidente della crescente attenzione data dallo Stato alla diffusone
della conoscenza del patrimonio culturale è rappresentato dalla istituzione,
nel20 14, di un'apposita direzione generale del ministero dedicata all'Educa-
zione e Ricerca e dalla creazione, nel2015, di un'apposita Scuola dei beni e
delle attività culturali e del turismo. Tra i compiti della direzione generale, si
208 CAPITOLO 4
I risultati sono evidenti nel Codice: da un lato, basta contare gli articoli dedicati La disciplina del
alla valorizzazione dei beni culturali (30) e quelli dedicati alla valorizzazione del Codice
paesaggio e dei beni paesaggistici (pochi commi); dall'altro lato, è sufficiente
guardare le aggiunte progressivamente apportate nel2006 e nel2008 per col-
mare questa lacuna, a partire dali' articolo 6 sulla valorizzazione del patrimonio
culturale. Scienza giuridica e giurisprudenza hanno quindi trascurato questa
funzione, a favore di quella «gemella>> per i beni culturali [Severini 2006b;
Amorosino 2009; Ciaglia 2009; Casini 2016].
Proprio per rendere più espliciti i caratteri della valorizzazione del paesaggio,
nel2006-2008 si è dovuto chiarire nel Codice sia, all'art. 6, che «In riferimen·
to al paesaggio, la valorizzazione comprende altresì la riqualificazione degli
immobili e delle aree sottoposti a tutela compromessi o degradati, ovvero la
realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti e integrati»; sia, all'art. 131,
comma 5, che «[!]a valorizzazione del paesaggio concorre a promuovere lo
sviluppo della cultura. A tale fine le amministrazioni pubbliche promuovono
e sostengono, per quanto di rispettiva competenza, apposite attività di cono·
scenza, informazione e formazione, riqualificazione e fruizione del paesaggio
nonché, ove possibile, la realizzazione di nuovi valori paesaggistici coerenti e
integrati. La valorizzazione è attuata nel rispetto delle esigenze della tutela».
In sostanza, il Codice, da un lato, come visto, ha dotato la valorizzazione
dei beni culturali di mezzi, istituti e procedure (basti pensare agli accordi
di valorizzazione di cui all'art. 112 oppure alle sponsorizzazioni); dall'altro
lato, non ha però adeguatamente affinato le norme sulla valorizzazione del
paesaggio. Il vocabolo compare una manciata di volte e, di fatto, in contrap-
posizione alla tutela. Si pensi ai contenuti del piano, che, per le aree tutelate
. .a_kge determina «prescrizioni d'uso intese ad assicurare la conservazione dei
caratteri distintivi di dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione»
(art. 143, comma l, lett. c, del Codice; si v. anche la lett. g, con riguardo a
contesti degradati).
per il pubblico e tutto ciò che ruota intorno ai beni culturali: l'accento è così
più sul contenitore che sul contenuto.
Per il paesaggio, come si vedrà meglio più avanti (cap. 5), questo non è
possibile, perché non vi è intervento su di esso che non lo modifichi. La va-
lorizzazione recupera, in tal modo, un significato diverso e, per alcuni aspetti,
simile a quello di «restauro». Di conseguenza, la valorizzazione del paesaggio
è sì una operazione di ripristino, come la riqualificazione di contesti degra-
dati, come è anche un intervento che «crea» nuovi valori paesaggistici; ma è
altresì attività diretta ad assicurare la fruizione e l'uso. Sotto questo profilo,
la realizzazione di itinerari ciclabili o di passeggiate o di vie tematiche è forse
tra gli esempi più noti.
-------- non può che riguardare diretta-
Le caratteristiche Se, quindi, la valorizzazione del paesaggio
della funzione di mente il suo oggetto- diversamente dal caso dei beni culturali, in cui essa può
valorizzazione del anche agire in via indiretta, come nei servizi aggiuntivi (la Corte costituzionale
paesaggio
lo ha messo in evidenza già nella sentenza 9 del 2004) - quel che occorre
davvero ripensare è la funzione di tutela. Nel paesaggio, la valorizzazione è
in molti casi in sé stessa già una forma di tutela, o di restauro, che in aggiunta
deve commisurarsi con tutti gli altri interessi pubblici e privati che gravano
sul territorio (cap. 4 ).
Il fine della funzione di valorizzazione del paesaggio, allora, è ripristinare,
aggiungere, far fruire: dunque trasformare. Una trasformazione che dovrà
cambiare in base alla materia, ossia all'oggetto della funzione stessa. La
valorizzazione del paesaggio presenta così caratteristiche diverse a seconda
del tipo di bene considerato: per le bellezze naturali, sarà più simile per
certi versi a quanto si verifica per i beni culturali; per le aree tutelate ex lege,
sarà per taluni aspetti simile a una disciplina urbanistica oppure del tutto
assente, in modo analogo alla tutela integrale prevista nelle aree naturali
protette; per tutto il resto del territorio, si avrà una valorizzazione di tipo
sostanzialmente urbanistico lasciata all'iniziativa delle singole Regioni e dei
Comuni (cap. 5).
In conclusione, tre sono gli aspetti centrali della valorizzazione del paesaggio
che vanno qui segnalati.
Primo, si tratta di una funzione che, ancor più che per i beni culturali, non
può prescindere dalle specificità del suo oggetto: se il paesaggio è percezione
del territorio, la sua tutela implica in sé un elemento di fruizione e, dunque,
di valorizzazione. Secondo, vi è una connessione inscindibile tra tutela e
valorizzazione del paesaggio, in misura maggiore rispetto a quanto si verifica
per i beni culturali: basti pensare ai siti Unesco (in/ra, par. 3.7). Terzo, vi è
ancora un ritardo del legislatore statale nel dotare questa funzione di mezzi,
istituti e procedure, che appaiono troppo legati a una politica di sola tutela.
Sotto questo ultimo profilo, le Regioni sono andate molto più avanti, ma in-
contrano un forte limite nel fatto che esse operano su aree non riconosciute
come beni paesaggistici (e dunque assoggettate alla disciplina prevista per i
vincoli urbanistici indennizzabili).
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 211
In particolare, l'articolo 112, comma 4, del Codice stabilisce che Stato, Regioni e
altri enti territoriali, tramite accordi, oltre a definire strategie e obiettivi comuni
di valorizzazione, elaborano i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale
e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. Inoltre, gli
accordi possono essere conclusi su base regionale o subregionale, in rapporto ad
ambiti territoriali definiti, e promuovono altresì l'integrazione, nel processo di
valorizzazione concordato, delle infrastrutture e dei settori produttivi collegati.
Il comma 5 prevede che l'elaborazione e lo sviluppo dei piani strategici di svi-
luppo culturale possano essere affidati ad appositi soggetti giuridici, costituiti
dallo Stato, per il tramite del ministero e delle altre amministrazioni statali
eventualmente competenti, dalle Regioni e dagli altri enti pubblici territoriali.
A questi soggetti - che possono denominarsi «organismi per la valorizzazio-
ne)) - possono partecipare privati proprietari di beni culturali suscettibili di
essere oggetto di valorizzazione, nonché persone giuridiche private senza fine
di lucro, anche quando non dispongano di beni culturali che siano oggetto
della valorizzazione, a condizione che l'intervento in tale settore di attività sia
per esse previsto dalla legge o dallo statuto. Con apposito decreto del mini-
stro, purtroppo mai emanato, sono definiti modalità e criteri in base ai quali il
ministero costituisce questi soggetti giuridici o vi partecipa.
Inoltre, anche indipendentemente dagli accordi previsti dall'art. 112, comma 4,
possono essere stipulati accordi tra lo Stato, per il tramite del ministero e delle
altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le Regioni, gli altri enti
pubblici territoriali e i privati interessati, per regolare servizi strumentali comuni
destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali; con gli accordi
medesimi possono essere anche istituite forme consortili non imprenditoriali
per la gestione di uffici comuni (articolo 112, comma 9, del Codice).
Rispetto alla sua versione originaria, l'art. 112 del Codice è stato quindi mo-
dificato e aggiornato lungo tre direttrici.
lnnanzitutto, è stato con il tempo affinato e arricchito il sistema degli accordi Il sistema degli
tra soggetti pubblici; tali accordi, infatti, possono avere un ambito di applica- accordi
zione più ristretto (sub-regionale e non solo regionale, come era previsto in
precedenza) e si presentano più definiti nei contenuti (vi è il riferimento ad
appositi piani strategici di sviluppo culturale) e nelle finalità.
Inoltre, è stata prevista un'apposita soluzione organizzativa per lo svolgimento
delle attività di valorizzazione: è il caso degli organismi per la valorizzazione,
ossia i soggetti giuridici contemplati dall'art. 112, comma 5, costituiti da Stato,
212 CAPITOLO 4
Il coinvolgimento Infine, sono state ampliate le ipotesi di coinvolgimento dei privati: questi
dei privati possono partecipare non solo agli accordi, ma anche alla costituzione degli
organismi per la valorizzazione, nonché agli accordi per lo svolgimento di
servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione dei beni
culturali. Differenti, però, le modalità di partecipazione: per quanto riguarda
gli accordi, ai privati proprietari di beni eventualmente inclusi nella sfera di
operatività degli interventi programmati di valorizzazione, è richiesto solo il
consenso (essi, dunque, non partecipano formalmente agli accordi); nel caso
degli organismi per la valorizzazione, invece, possono partecipare tanto i pri-
vati proprietari dei beni oggetto di intervento, quanto altri enti senza scopo
di lucro, purché l'iniziativa rientri nei loro fini statutari; infine, nell'ipotesi di
servizi strumentali, possono partecipare tutti i privati interessati.
L'attuazione delle disposizioni sugli accordi previste dal Codice si è rilevata
particolarmente difficile e complessa (cap. 6). Pochi sono stati infatti gli
accordi di valorizzazione, seppur con un incremento negli ultimi anni (si se-
gnalano, tra gli altri, quelli relativi a Venaria Reale, alla Villa Reale di Monza,
alla Reggia di Carditello, all'area archeologica centrale di Roma). L'assenza
del previsto decreto attuativo, inoltre, ha di fatto impedito la formazione dei
c.d. organismi per la valorizzazione. In aggiunta, la cronica diffidenza verso
il privato ha reso non semplice il coinvolgimento di associazioni o fondazioni
nella gestione di siti culturali. Un tentativo al riguardo è stato il bando per
la concessione in uso a privati di beni immobili del demanio culturale dello
stato non aperti alla fruizione pubblica o non adeguatamente valorizzati,
pubblicato dal ministero alla fine del2016, mediante il quale sono stati offerti
alla gestione di enti no profit 13 siti culturali di proprietà statale.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 213
Per l'anno 2015, sono state selezionate come Capitali italiane della cultura, ex ae-
quo, le città finaliste della competizione Capitale europea della cultura 2019 (vinta
da Matera), ossia Ravenna, Cagliari, Lecce, Perugia e Siena. Per il2016, Capitale
italiana della cultura è stata Mantova, per il2017, Pistoia; per il2018, Palermo.
3. lA FRUIZIONE E lA GESTIONE
3.1. Fruizione pubblica e fruizione individuale
Apenure al pub- A completamento delle regole sui criteri di accesso agli istituti e ai luoghi della
blico e vigilanza cultura statali, occorre menzionare il decreto del ministro dei Beni e delle At-
tività culturali e del Turismo 30 giugno 2016, recante «Criteri per l'apertura al
pubblico, la vigilanza e la sicurezza dei musei e dei luoghi della cultura statali>>.
L'articolo l di tale decreto, abrogando il precedente atto del1993, stabilisce che
i musei e i luoghi della cultura dello Stato, ivi inclusi i monumenti, le gallerie, le
aree e i parchi archeologici, i parchi, le ville e i giardini, sono aperti, di regola,
tutti i giorni feriali e festivi, a eccezione del l o gennaio e del25 dicembre, e fatta
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 21 5
Con riguardo alla &uizione (uso) individuale, il Codice (art. 106) stabilisce,
innanzitutto, che lo Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali pos-
sono concedere l'uso dei beni culturali che abbiano in consegna, per finalità
compatibili con la loro destinazione culturale, a singoli richiedenti. Per i beni
in consegna al ministero, quest'ultimo determina il canone dovuto e adotta
il relativo provvedimento. Per gli altri beni, invece, la concessione in uso è
subordinata all'autorizzazione del ministero, rilasciata a condizione che il
conferimento garantisca la conservazione e la fruizione pubblica del bene e
sia assicurata la compatibilità della destinazione d'uso con il carattere storico-
artistico del bene medesimo. Con l'autorizzazione possono essere dettate
prescrizioni per la migliore conservazione del bene.
La riproduzione di beni culturali che consista nel trarre calchi, per contatto, La riproduzione
dagli originali di sculture e di opere a rilievo in genere, di qualunque materiale
tali beni siano fatti, è di regola vietata (art. l 07 del Codice). Questa riproduzione
è consentita solo in via eccezionale e nel rispetto delle modalità stabilite con
apposito decreto ministeriale. Sono invece consentiti, previa autorizzazione
del soprintendente, i calchi da copie degli originali già esistenti nonché quelli
ottenuti con tecniche che escludano il contatto diretto con l'originale. Nelle
altre ipotesi, il ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono
consentire la riproduzione, nonché l'uso strumentale e precario, dei beni
culturali che abbiano in consegna, comunque nel rispetto dei diritti d'autore.
TI Codice, inoltre, regola anche i canoni di concessione e i corrispettivi con·
nessi alle riproduzioni di beni culturali (art. 108). Questi sono determinati
dali' autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto: a) del carattere
delle attività cui si riferiscono le concessioni d'uso; b) dei mezzi e delle modalità
di esecuzione delle riproduzioni; c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli
216 CAPITOLO 4
spazi e dei beni; d) dell'uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei
benefici economici che ne derivano al richiedente. I canoni e i corrispettivi
sono corrisposti, di regola, in via anticipata. Nessun canone è dovuto per le
riproduzioni richieste da privati per uso personale o per motivi di studio,
ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché
attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso
delle spese sostenute dall'amministrazione concedente.
Infine, quanto alla riproduzione, nel 2014 sono state rese libere una serie di
ipotesi, essenzialmente legate all'ormai diffuso uso personale di smartphone e
fotocamere digitali negli istituti e nei luoghi della cultura (talora eccessivo, se
si pensa alle polemiche per l'uso del c.d. sel/ie-stick). Si tratta delle seguenti
attività svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera mani-
festazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza
del patrimonio culturale: l) la riproduzione di beni culturali diversi dai beni
bibliografici e archivistici attuata con modalità che non comportino alcun
contatto fisico con il bene, né l'esposizione dello stesso a sorgenti luminose
né, all'interno degli istituti della cultura, né l'uso di stativi o treppiedi; 2) la
divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legitti-
mamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte a
scopo di lucro, neanche indiretto.
Neanche tali novità sono bastate, però, ad adeguare la normativa in materia di
fruizione e uso individuale alle innovazioni derivanti dalla tecnologia digitale.
D'altra parte, l'impianto legislativo in materia sconta ancora un ritardo sotto
questo profilo, specialmente se si considera l'ambito dei beni archivistici e
librari, dove I' attuazione della direttiva sul riutilizzo dei dati nel settore pub-
blico, a opera del d.lgs. n. 102 del 2015 e dei decreti ivi previsti, dovrebbe
auspicabilmente migliorare le modalità di consultazione. Inoltre, con il d.d.l.
S. 2085-B sono state previste ulteriori forme di liberalizzazione.
La Digita! library Da ultimo, quanto alle iniziative dirette alla digitalizzazione del patrimonio
culturale, anche al fine di migliorarne la fruizione, deve essere menzionata
l'istituzione di un apposito servizio presso l'Istituto centrale per il catalogo
e la documentazione (lccd) del ministero, denominato Servizio per la digita-
lizzazione del patrimonio culturale- Digitallibrary (decreto del ministro dei
Beni e delle Attività culturali e del Turismo 23 gennaio 2017). La struttura
ha il compito di assicurare il coordinamento di tutti i programmi di digitaliz-
zazione del patrimonio culturale di competenza del ministero medesimo, nel
contesto di un Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale.
Per quel che attiene ai luoghi e agli istituti della cultura, con tale espressione si
indicano i musei, le aree archeologiche e i parchi archeologici, le biblioteche,
gli archivi e i complessi monumentali.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 217
Ai sensi dell'articolo 101, comma 2, del d.lgs. n. 42 del2004, si intende per: a) Istituti e luoghi
<<museo», una struttura permanente che acquisisce, cataloga, conserva, ordina ed della cultura
espone beni culturali per finalità di educazione e di studio; b) «biblioteca», una
struttura permanente che raccoglie, cataloga e conserva un insieme organizzato
di libri, materiali e informazioni, comunque editi o pubblicati su qualunque
supporto, e ne assicura la consultazione al fine di promuovere la lettura e lo
studio; c) «archivio», una struttura permanente che raccoglie, inventaria e
conserva documenti originali di interesse storico e ne assicura la consultazione
per finalità di studio e di ricerca; d) «area archeologica», un sito caratterizzato
dalla presenza di resti di natura fossile o di manufatti o strutture preistorici
o di età antica; e) «parco archeologico», un ambito territoriale caratterizzato
da importanti evidenze archeologiche e dalla compresenza di valori storici,
paesaggistici o ambientali, attrezzato come museo all'aperto; f) «complesso
monumentale», un insieme formato da una pluralità di fabbricati edificati
anche in epoche diverse, che con il tempo hanno acquisito, come insieme,
un'autonoma rilevanza artistica, storica o etnoantropologica.
Il Codice, come visto, traccia innanzi tutto una distinzione, tra questi istituti, A p parte n enza
fondata sulla dicotomia pubblico-privato: se sono appartenenti a soggetti pubblica/privata
pubblici, essi sono destinati «alla pubblica fruizione ed espletano un servizio
pubblico» (art. 101, c. 3, d.lgs. 42/2004); se, invece, sono appartenenti a sog-
getti privati, e sono aperti al pubblico, essi «espletano un servizio privato di
utilità sociale» (art. 101, c. 4, d.lgs. 42/2004). In merito a tale ultimo aspetto,
la distinzione prospettata appare utile nell'ottica di applicare differenti regimi
giuridici agli istituti culturali pubblici e a quelli privati, ma solleva alcune per-
plessità: viene usata, infatti, una nozione di servizio pubblico intesa in senso
esclusivamente soggettivo, poiché una prestazione dai medesimi contenuti
assume, a seconda della natura giuridica del titolare del servizio, connotati
pubblici o privati (sul punto, si rinvia al capitolo sui servizi pubblici). Infine,
la linea di distinzione tracciata dalla disposizione è netta solamente in teoria,
in quanto nella prassi può essere assai difficile determinare la pubblicità o
meno dell'istituto culturale; al riguardo, sembra da accogliere l'interpretazione
che identifica il regime giuridico di un museo in base alla natura del soggetto
cui appartengono i beni in esso custoditi.
Questa distinzione ha trovato applicazione anche nella disciplina sull'esercizio La fruizione come
del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei servizio pubblico
diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui alla legge n. 146 del essenziale
1990. Il d.l. 146 del2015, conv. nella legge 182 del2015, infatti, nell'inserire
«l'apertura al pubblico di istituti e luoghi della cultura» tra i servizi pubblici
essenziali indicati dalla citata legge 146 del1990, ha fatto esclusivo riferimento
a quelli di appartenenza pubblica di cui all'art. 101, comma 3, del Codice [Zoli,
2015; Piperata 2015]. In sede di conversione in legge del decreto, peraltro,
è stata inserita una disposizione particolarmente rilevante (articolo 01), che
va ben al di là dello sciopero, in base alla quale «In attuazione dell'articolo
9 della Costituzione, la tutela, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio
culturale sono attività che rientrano tra i livelli essenziali delle prestazioni di
cui all'articolo 117, comma 2, lett. m, della Costituzione, nel rispetto degli sta-
218 CAPITOLO 4
I musei statali La disciplina dei musei in Italia, come visto (v. supra, cap. 2), è stata inte-
ramente riconsiderata nel 2014, quando il d.l. n. 83 del 2014, convertito
nella legge n. 106 del2014, ha previsto che, al fine di adeguare l'Italia agli
standard internazionali in materia di musei e di migliorare la promozione
dello sviluppo della cultura, anche sotto il profilo dell'innovazione tec-
nologica e digitale, potessero essere individuati i poli museali e gli istituti
della cultura statali di rilevante interesse nazionale che costituiscono uffici
di livello dirigenziale [Ferrara, Lucarelli e Savy 2017; Forte 2015; Cavalieri
2015; Amorosino 2015]. In conseguenza di tale previsione, ben 30 istituti
hanno ottenuto lo stato di uffici dirigenziali; ogni museo A è dotato di
un proprio statuto, in conformità con quanto previsto dall'International
Council of Museums (Icom). I relativi incarichi, come visto (v. cap. 2), pos-
sono essere conferiti, con procedure di selezione pubblica internazionale,
per una durata da tre a cinque anni, a persone di particolare e comprovata
qualificazione professionale in materia di tutela e valorizzazione dei beni
culturali e in possesso di una documentata esperienza di elevato livello nella
gestione di istituti e luoghi della cultura, anche in deroga ai contingenti di
cui all'art. 19, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e
successive modificazioni, e comunque nei limiti delle dotazioni finanziarie
destinate a legislazione vigente al personale dirigenziale del ministero. La
durata di tali incarichi è stata fissata in quattro anni e i direttori, nel caso
abbiano ricevuto una valutazione positiva del loro operato, possono essere
confermati, per una sola volta, per altri quattro anni (articolo 22, decreto
legge n. 50 del2017).
La riforma del2014 ha agito innanzitutto lungo due principali linee di azione:
la creazione di un sistema museale nazionale e il riconoscimento di maggiore
autonomia agli istituti.
Il sistema museale In primo luogo, è stata costituita una direzione generale centrale, dotata di
nazionale articolazioni periferiche su tutto il territorio nazionale, dedicata ai musei. Si
tratta, rispettivamente, della direzione generale Musei e dei Poli museali
regionali.
Con specifico riguardo alla gestione degli istituti e dei luoghi della cultura
statali, un aspetto centrale è quello delle risorse finanziarie. Il Codice prevede
(articolo 110), in particolare, che i proventi derivanti dalla vendita dei biglietti
220 CAPITOLO 4
di ingresso agli istituti e ai luoghi della cultura, nonché dai canoni di conces-
sione e dai corrispettivi per la riproduzione dei beni culturali, siano versati ai
soggetti pubblici cui gli istituti, i luoghi o i singoli beni appartengono o sono
in consegna, in conformità alle rispettive disposizioni di contabilità pubblica.
Solamente dal2014, in realtà, i proventi degli istituti e dei luoghi della cultura
statali restano o sono riassegnati a quelli che li hanno effettivamente prodotti.
In precedenza, tali introiti erano versati direttamente all'erario.
Il Fondo di soli- Oggi, dunque, quanto incassato da un museo o sito statale sarà effettivamente
darietà nazionale destinato a quest'ultimo. Inoltre, al fine di razionalizzare e rendere più traspa-
rente ed efficiente la distribuzione delle risorse, con il decreto del ministro dei
Beni e delle Attività culturali 19 ottobre 2015, recante «Sostegno degli istituti
e dei luoghi della cultura statale», è stato previsto un apposito Fondo di soli-
darietà nazionale, alimentato di base con una quota del20% degli incassi da
bigliettazione provenienti da ciascun istituto o luogo della cultura statale. In
questo modo, il ministero può procedere a un riequilibrio finanziario dei siti
eventualmente in difficoltà.
I dati del2016, peraltro, hanno evidenziato risultati molto positivi in termini di
visitatori e, conseguentemente, di introiti per lo Stato: 44,5 milioni di ingressi
nei luoghi della cultura statali con oltre 172 milioni di euro, con un incremento
rispettivamente del 4% e del 12% rispetto al 2015. Si tratta del terzo anno
consecutivo di crescita per i musei statali che da 38 milioni di biglietti nel2013
sono passati a 44,5 milioni nel2016: 6 milioni di visitatori in più in un triennio
che rappresentano un incremento del 15% nel periodo considerato, con un
incremento degli incassi di 45 milioni di euro.
La riforma dei musei statali del2014, come anticipato (cap. 2), ha previsto
diversi modelli organizzativi per gli istituti e i luoghi della cultura statali.
Con riguardo ai musei, vi sono tre principali ipotesi: il museo-ufficio; il
museo-ufficio dirigenziale dotato di autonomia speciale; il museo-fondazione
[Sciullo 2015a; Forte 2015].
Ai Poli museali regionali, in quanto uffici cui afferiscono più istituti, da ge-
stire in forma singola o integrata, compete invece, come anticipato, il ruolo
strategico di preservare i caratteri peculiari del patrimonio culturale italiano
e delle sue collezioni museali. L'intento è quello di favorire la creazione di
sistemi misti, costituiti da musei statali, di altre amministrazioni e di privati. In
questo modo potrà essere assicurata la fruizione del museo-territorio italiano.
Il direttore del Polo museale è infatti chiamato a coordinare i diversi musei
a esso afferenti, alcuni dei quali in futuro potranno eventualmente anche
divenire istituti autonomi. Grazie all'azione della direzione generale Musei e
di Poli museali regionali, dunque, dovrà procedersi all'attivazione del sistema
museale nazionale. Tale sistema, mutuando l'esperienza di altri Paesi, come
la Francia e il Regno Unito, dovrebbe assicurare adeguati meccanismi di
accreditamento, valutazione e monitoraggio, basati sull'adozione di standard
minimi e procedure condivise tra lo Stato e le Regioni.
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 221
n primo modello organizzativo è quello dei musei in quanto tali che, a parte Il museo come
quelli dotati di autonomia speciale, restano uffici non dirigenziali dei Poli istituzione
museali regionali. L'autonomia tecnico-scientifica di queste strutture è stata
espressamente riconosciuta. n d.m. 23 dicembre 2014, riprendendo la defi-
nizione dell'Icom, ha imposto, per questi musei come per quelli dirigenziali,
l'approvazione sia di uno statuto, sia di un documento di trasparenza contabile.
Soprattutto, ogni museo ha un direttore - in questo caso un funzionario con
incarico ad hoc- e sono previste aree funzionali, ognuna assegnata a una o più
unità di personale responsabile, quali cura e gestione delle collezioni, studio,
didattica e ricerca, marketing,fundraising, servizi e rapporti con il pubblico; am-
ministrazione, finanze, gestione delle risorse umane e delle relazioni pubbliche;
strutture, allestimenti e sicurezza. Tutto ciò in coerenza con il d.m. 10 maggio
2001, recante «Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard
di funzionamento e sviluppo dei musei» e con gli standard elaborati dall'Icom.
nsecondo modello è quello dei musei (e parchi archeologici) con autonomia Gli istituti dotati
speciale, dotati di status dirigenziale, sopra esaminata (cap. 2). Con specifico di autonomia spe·
riguardo alla gestione di tali istituti, può qui aggiungersi che si tratta di una ci aie
soluzione sperimentata sin dal1997, per la soprintendenza speciale di Pompei,
e che rappresenta nella sostanza la massima forma di autonomia configurabile
per uffici che rimangano, allo stesso tempo, uffici dirigenziali di un ministero.
Gli istituti dotati di autonomia speciale non sono enti pubblici, perché restano
privi della personalità giuridica e rimangono strutture del ministero, al pari di
ogni altro ufficio dello stesso. Da ciò deriva anche il fatto che le spese per il
personale sono comunque pagate dal ministero e neanche figurano nel bilancio
dei singoli istituti. È evidente, perciò, che forme di maggiore autonomia, ove
ritenuto necessario, possono essere realizzate mediante l'adozione di altre
soluzioni organizzative, quali l'ente pubblico o la fondazione.
Negli istituti dotati di autonomia speciale operano, come visto, anche un
consiglio di amministrazione, un comitato scientifico e un collegio dei revi-
sori dei conti (cap. 2). Anche in questo caso, i compiti attribuiti a tali organi
debbono essere conciliati con la peculiare autonomia che caratterizza gli
istituti, che sono comunque diretti da un dirigente secondo le regole proprie
della pubblica amministrazione. La necessità di identificare in modo chiaro
poteri e responsabilità dei direttori ha quindi portato il ministero, almeno
nella fase iniziale della riforma, a configurare gli organi collegiali dei musei
essenzialmente come strutture di supporto (come evidenzia la circostanza che
sia il consiglio di amministrazione, sia il comitato scientifico sono presieduti dal
direttore stesso). Tale scelta non è priva di conseguenze gestionali, soprattutto
laddove dovessero sorgere tensioni tra direttore e componenti degli organi
collegiali. Una conferma che il modello organizzativo prescelto per gli istituti
con autonomia speciale è ancora in fase di rodaggio e solo dopo qualche anno
potrà meglio valutarsi se procedere o meno verso maggiori forme di autonomia.
possibilità, per tali strutture, di costituire, negli anni 2017 e 2018, tramite
contratti di collaborazione, segreterie tecniche che supportino il buon anda-
mento degli istituti, nonché le attività di tutela del patrimonio culturale e le
iniziative di promozione affidate agli istituti medesimi (art. 22 del d.l. 50 del
2017). Una situazione assimilabile è stata già affrontata e risolta positivamente
con riguardo alla soprintendenza speciale di Pompei, chiamata a svolgere
compiti di tutela e valorizzazione particolarmente rilevanti e complessi nell'a-
rea archeologica e nell'ambito del Grande Progetto Pompei (art. 2, comma
5 del d.l. 83 del2014).
La sicurezza e la Tra gli elementi comuni alla gestione dei due modelli considerati, vi è, oltre alla
vigilanza sopra richiamata disciplina della bigliettazione e degli orari di apertura (fermi
rimanendo i diversi poteri legati alla natura dirigenziale o meno dell'ufficio),
il tema della sicurezza e vigilanza.
Le fondazioni mu- Il terzo modello è quello della fondazione museale, uno strumento che
seali dovrebbe essere inteso in modo virtuoso quale mezzo in grado di coniugare
pubblico e privato [Mitzman 2012]. Si tratta di una fattispecie usata in alcuni
casi (si pensi al Museo egizio di Torino o al Maxxi a Roma), ma non priva
di difficoltà in sede applicativa. Non esiste, infatti, un modello unico adatto
per tutti i musei. Significativo, del resto, è che l'lstat distingua solo tra musei
pubblici e musei privati e tra 3 forme di gestione (diretta, consortile o in
concessione). Il modello della fondazione non è positivo o negativo in sé:
si tratta di uno strumento organizzativo e, in quanto tale, neutro, che potrà
essere adottato solo ove ricorrano determinate condizioni [Baia Curioni
2012; Manfredi 2014]. Ad esempio, la scelta di prevedere questo modello
è spesso adottata in ambito locale, al fine di creare una rete o un sistema
integrato di musei civici (è quanto awiene a Venezia). Se non si tiene conto
delle specificità proprie di ogni singola situazione, si avrebbero altri casi di
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 223
lenta e difficile attuazione, come è stato appunto per il Museo egizio e per
il Maxxi. Senza tralasciare le problematiche legate al regime giuridico del
personale: basti citare, ancora una volta, il caso del Museo egizio, che ha
visto ridursi di oltre 1'80% il numero di dipendenti dopo la trasformazione
in Fondazione.
I modelli organizzativi di musei statali qui delineati perseguono un obiettivo La missione dei
prioritario: trasformare davvero il museo in una empowering institution, muse1
inserita nella comunità e nel territorio in cui il museo vive e si sviluppa. Il
museo deve essere un luogo capace di ben conservare i beni affidatigli, di
generare conoscenza e dialogo fra culture, anche attraendo i visitatori per
trattenerli, educarli, divertirli e farli tornare. Non a caso, la Raccomandazione
Unesco 2015 sulla protezione e sulla promozione di musei e collezioni, della
loro diversità e del loro ruolo nella società prevede la ricerca e la educazione,
insieme con la tutela e la comunicazione, tra le funzioni principali del museo.
Con riguardo agli altri istituti e luoghi della cultura statali, mentre i parchi e Archivi e biblio-
le aree archeologici trovano essenzialmente la medesima disciplina dei musei, teche
per archivi e biblioteche occorre una menzione a parte. Anche qui vi sono
ipotesi di istituti dotati di autonomia speciale, come nel caso dell'Archivio
centrale dello Stato e delle due Biblioteche nazionali di Roma e di Firenze.
Poi, le caratteristiche di archivi e biblioteche, in termini di autonomia tecnico-
scientifica e di rapporti con la rispettiva direzione generale, sono le stesse,
siano essi uffici di livello dirigenziale o uffici non dirigenziali, comunque con
un direttore/funzionario delegato. Infine, può esservi il caso di accorpamenti
funzionali tra biblioteche, archivi e musei.
L'articolo 3, comma 6, del d.m. 27 novembre 2014 stabilisce che «al fine di
migliorare la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale e in coerenza
con ragioni di carattere storico, artistico, architettonico o culturale, con uno o
più decreti ministeriali può essere disposto l'accorpamento di istituti e luoghi
della cultura, quali musei, archivi e biblioteche, operanti nel territorio del me-
desimo Comune». La norma prevede una mera facoltà, per ora realizzata solo in
pochissimi casi, assegnando biblioteche a musei ospitati nel medesimo edificio
(è avvenuto, ad esempio, a Milano, Modena, Parma e Torino, rispettivamente
per le biblioteche Braidense a Brera, Estense alle Gallerie estensi, Palatina al
Complesso monumentale della Pilotta e Reale ai Musei reali).
La gestione indi- b) la gestione indiretta è attuata tramite concessione a terzi delle attività di
retta valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata, da parte delle ammini-
strazioni cui i beni pertengono, mediante procedure di evidenza pubblica,
sulla base della valutazione comparativa di specifici progetti. La concessione
può anche essere rilasciata, qualora siano conferitari dei beni dagli organismi
per la valorizzazione previsti dall'articolo 112, comma 5, del Codice (supra,
par 2.5). A questi soggetti possono partecipare anche privati proprietari di
beni culturali suscettibili di essere oggetto di valorizzazione, nonché persone
giuridiche private senza fine di lucro, anche quando non dispongano di beni
culturali che siano oggetto della valorizzazione, a condizione che l'intervento
in tale settore di attività sia per esse previsto dalla legge o dallo statuto. In ogni
caso, i privati che eventualmente partecipano a questi soggetti giuridici non
possono essere individuati quali concessionari delle attività di valorizzazione.
La forma indiretta è scelta «al fine di assicurare un miglior livello di valoriz-
zazione dei beni culturali» e deve essere realizzata nel rispetto dei parametri
dei livelli di qualità della valorizzazione di cui all'articolo 114 del Codice.
Inoltre, la scelta tra le due forme di gestione è attuata mediante «valutazione
comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia,
sulla base di obiettivi previamente definiti>>.
A queste ipotesi, vanno aggiunte quelle di affidamento in concessione a sog-
getti senza scopi di lucro, mediante procedure pubbliche.
Da queste disposizioni è possibile osservare, ancora una volta, come la di-
cotomia pubblico-privato agisca sui profili organizzativi della valorizzazione
instaurando un sistema di alternative gestionali: tra forma diretta e forma
indiretta; gestione diretta dell'amministrazione o tramite forma consortile
pubblica (o anche mediante società in house, se presente: è il caso di Ales
per il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo- cap. 2);
affidamento a terzi da parte dell'amministrazione oppure da parte di appositi
soggetti giuridici conferitari dei beni.
Nel2008, peraltro, i «servizi aggiuntivi» sono stati ridenominati «servizi per I serv1z1 per il
il pubblico», tornando quindi alla formula usata dal testo unico del 1999 pubblico
(«servizi di assistenza culturale e di ospitalità») e abbandonando l'originaria
dizione proposta dalla l. 4/1993, la c.d.legge «Ronchey». Nell'attuale quadro
concepito dal Codice, in cui le attività di valorizzazione sono definite dall'art.
111 e le attività per garantire la fruizione sono classificate, lo si è visto, come
«servizio pubblico» o «servizio privato di utilità sociale» (in base alla natura
giuridica dell'istituto della cultura), la formula «servizi aggiuntivi» sembrava
forse più appropriata. Sarebbe stato opportuno, invece, intervenire sull'elenco
di servizi riportato all'articolo 117, dove sono indicate, a volte, attività ricon-
ducibili nell'ambito della valorizzazione in senso pieno (come l'organizzazione
di mostre e manifestazioni culturali).
Quanto alla natura giuridica dei servizi aggiuntivi, è evidente che non tutte
le ipotesi contemplate dall'articolo 117 del Codice sono identiche, non da
ultimo con riguardo al rischio di impresa per gli eventuali privati coinvolti.
La Corte di Cassazione (sez. un., n. 24824/2015) ha chiarito che l'affidamento Appalto vs con-
dei servizi aggiuntivi da parte dell'amministrazione può presentare profili di cess10ne
promiscuità tra i caratteri dell'appalto e della concessione, e che assume valenza
dirimente il criterio della prevalenza delle attività oggetto dell'affidamento.
Pertanto, mentre al servizio di caffetteria o di ristorazione può essere agevol-
mente attribuita la natura concessoria, l'affidamento di altri servizi, come quelli
di biglietteria (oltre che di pulizia e vigilanza), che possono- ma non debbono
necessariamente- integrare la eventuale concessione, sono invece configurabili
come appalto di servizio pubblico, «rilevando l'assunzione da parte della p.a.
della veste di acquirente di determinate utilitates dal privato, anche a favore
di terzi individuati, contro il pagamento di un corrispettivo» (Cass, sez. un., n.
24824/2015). Analogamente, il Consiglio di Stato (ad. plen., n. 19 del2013) ha
ben precisato che «sia nell'art. 115 sia nell'art. 117 del Codice, si parli di forma
integrata con riferimento alla "gestione", ossia con riguardo non al dato proce-
durale della gara, bensì alla modalità di svolgimento dei servizi, in esecuzione
di un rapporto di carattere unitario. Milita in tal senso anche il disposto di cui
all'art. 117, comma 5, dove si stabilisce che "I canoni di concessione dei servizi
sono incassati e ripartiti ai sensi dell'articolo 110", disposizione quest'ultima
nella quale si disciplina in modo unitario il versamento "i proventi derivanti
dalla vendita dei biglietti di ingresso agli istituti e ai luoghi della cultura, nonché
226 CAPITOLO 4
dai canoni di concessione e dai corrispettivi per la riproduzione dei beni cul-
turali" _Il comma 3 dello stesso art_ 110, inoltre, dispone: «l proventi derivanti
dalla vendita dei biglietti d'ingresso agli istituti e ai luoghi appartenenti o in
consegna allo Stato sono destinati alla realizzazione di interventi per la sicu-
rezza e la conservazione dei luoghi medesimi, ai sensi dell'articolo 29, nonché
all'espropriazione e all'acquisto di beni culturali, anche mediante esercizio della
prelazione». La norma chiarisce che, quando l'Amministrazione si determina
per il sistema della gestione indiretta tramite concessione a norma dell'art.
115, comma 3, persegue l'interesse pubblico mediante una operazione di cui è
componente essenziale il profilo finanziario, in modo da non rinunciare a quei
proventi che avrebbe acquisito nel sistema della gestione diretta.
La natura giuri- La natura giuridica del servizio aggiuntivo affidato, dunque, non dipende
dica dei servizi dalla procedura di gara seguita per l'affidamento, ma dal concreto rapporto
che si instaura tra amministrazione e privato. E non esiste oggi alcuna norma
che imponga all'amministrazione di adottare forme di c.d. global service o
altre modalità di affidamento congiunto dei servizi: come dimostrato anche
dalla intervenuta abrogazione- a opera dell'articolo 8 del d.l. n. 64 del2010,
conv. l. n. 100 del2010- dell'articolo 14 del d.l. n. 159 del2007, con v. l. n.
222 del2007, che aveva invece imposto alle amministrazioni l'affidamento in
forma integrata delle varie tipologie di servizi di cui all'articolo 117 del Codice.
I servizi aggiuntivi permettono una fruizione dei beni culturali più ampia, e
assicurano maggiori entrate alle pubbliche amministrazioni, migliorando la
conservazione fisica dei beni e consentendo ulteriori interventi di valorizza-
zione. Per essere redditizio un servizio aggiuntivo deve però poter contare su
di un numero consistente di visitatori; ora, considerata la particolare struttura
del patrimonio culturale italiano, caratterizzata da un elevato numero di centri
medio-piccoli, non sempre i servizi possono essere convenientemente attivati.
Inoltre, la redditività dei servizi aggiuntivi non è del tutto comprovata; anzi,
persino negli Stati Uniti, dove il merchandising trova il massimo sviluppo, solo
una piccola parte delle entrate dei musei proviene dalla vendita di servizi.
Comunque si è registrato un progressivo aumento del numero dei servizi
aggiuntivi istituiti in Italia.
Negli ultimi anni, però, la disciplina dei servizi aggiuntivi è stata oggetto di
forti critiche, soprattutto per quanto riguarda il regime di proroga che ha
caratterizzato le concessioni. Alcuni hanno osservato, inoltre, che gli istituti
e i luoghi della cultura non dovrebbero sistematicamente procedere a una
esternalizzazione dei servizi, ma potrebbero svolgere in forma diretta almeno
quelli aventi un carattere più marcatamente culturale, quale ad esempio
l'organizzazione di mostre. Anche per queste ragioni, l'art. 14, comma 2, del
d.l. n. 83 del2014, conv.legge n. 106 del2014, ha previsto che gli istituti e i
luoghi della cultura dotati di autonomia svolgono, di regola, in forma diretta
i servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico di cui all'art. 117,
comma 2, lett. a e g, del Codice, vale a dire il servizio editoriale e di vendita
riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici,
ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali Oett. a),
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 227
La necessità di riequilibrare il rapporto tra parte pubblica e parte privata nel La criticità del si-
settore del patrimonio culturale, del resto, era stata sottolineata anche dalla stema delle con-
Commissione per il rilancio dei Beni culturali e del Turismo e per la riforma del cessioni
ministero in base alla disciplina sulla revisione della spesa, la quale, nell'ottobre
2013, aveva rilevato che «[i]) novero delle concessioni per i "servizi al pubblico"
previste dal Codice dei beni culturali è piuttosto ampio. [. .. ]Le regole esistenti,
irrigidite dalle prescrizioni contenute nelle procedure di gara, sguarnite da ogni
analisi di sostenibilità economica e non inserite all'interno di un reale progetto
pubblico di valorizzazione (con interventi in tempi certi e rapidi, ad esempio di
restauro), hanno prodotto una progressiva disaffezione delle imprese private
verso il modello delle concessioni. La ridottissima partecipazione alle gare ne
è eloquente testimonianza. La qualità dell'intervento pubblico in materia di beni
culturali è condizione necessaria per la qualità dell'intervento privato. I servizi per
il pubblico aventi carattere commerciale (librerie, caffetterie) hanno bisogno di
spazi adeguati e di progetti di investimento mai attuati, specie nelle aree archeo-
logiche (Roma, Pompei) frequentate da milioni di visitatori all'anno. Quanto
al problema dell'organizzazione di mostre - questione altamente controversa
per quel che riguarda il ruolo dell'intervento privato-, andrebbe in ogni caso
tenuta distinta la funzione di ideazione delle mostre, la loro programmazione,
il vaglio della loro scientificità, tutti aspetti per cui va assicurato un ruolo forte
dell'amministrazione pubblica, dalla loro organizzazione materiale, che può
essere concessa ai privati, preferibilmente con convenzioni legate a singole
iniziative. Naturalmente, tali convenzioni dovrebbero contenere clausole ben
chiare e precise, che riservino alla soprintendenza concedente la scelta delle
iniziative, la loro cura scientifica e il controllo; e affidino ai privati concessionari
il supporto finanziario e organizzativo».
La disciplina complessiva della materia, in effetti, non sembra aver favorito una
effettiva concorrenza. La gestione diretta è rimasta ipotesi sulla carta, per varie
ragioni, non ultima il prolungato blocco delle assunzioni nel settore pubblico
e le carenze di specifiche professionalità. n sistema di gare si è arenato, gene-
n
rando ritardi e proroghe delle concessioni in essere. ministero ha mostrato
una sostanziale incapacità nell'assumere il ruolo di centrale di committenza.
Tutto questo ha determinato, per un verso, la scelta di fare ricorso in misura
maggiore ad Ales, società in house del ministero deputata anche allo svolgi-
mento di servizi museali. Per altro verso, la necessità di rivolgersi alla Consip
s.p.a. per bandire nuove gare e uscire dall'impasse (anche mediante apposita
disposizione legislativa: art. 16, co. l, del d.l. n. 78 del2015, conv. in L n. 125
del2015). Tale scelta si pone del resto in coerenza con le politiche di spending
review adottate negli ultimi anni, in base alle quali lo Stato ha incoraggiato
e premiato la concentrazione delle stazioni appaltanti in un unico soggetto.
L'accordo con Consip s.p.a., in particolare, ha avuto il duplice obiettivo di L'accordo Mibact-
assicurare trasparenza ed efficienza nelle gare per l'affidamento dei servizi Consip
e di recuperare un ruolo centrale dell'amministrazione nella progettazione
culturale e scientifica.
228 CAPITOLO 4
In base all'accordo tra il ministero e Consip s.p.a., sono stati individuati di-
versi tipi di gare. La prima gara, bandita a luglio 2015, ha a oggetto i servizi
operativi - dalla pulizia al facchinaggio, sino alla manutenzione del verde,
ad esempio- negli istituti e i luoghi della cultura statali. Un secondo tipo di
gare prevede una serie di procedure, anche queste bandite da Consip s.p.a.,
aventi a oggetto i servizi per il pubblico, dalla biglietteria alla ristorazione.
In questo caso le procedure, partite nel2016, sono in un numero variabile
tra quaranta e cinquanta. I bandi sono predisposti sulla base del progetto
culturale elaborato dai musei e dai Poli museali. Sono quindi questi uffici
a programmare l'offerta al pubblico, stabilendo quali servizi è opportuno
e necessario gestire in house o reperire sul mercato, così come quelli da
affidare al terzo settore. Si tratta di un lavoro molto complesso, che richiede
un'attenta valutazione della sostenibilità economica, ma che implica anche
scelte di politica culturale che si è opportunamente deciso di riservare all'am-
ministrazione pubblica.
Le fasi organizza- Tra i casi più interessanti di servizi per il pubblico e del loro rapporto con
tive la funzione di valorizzazione, vi è l'organizzazione di mostre. Si tratta di
un'attività complessa, in cui è possibile individuare più fasi: l'iniziativa, che
può essere direttamente dell'ente o istituto, ma anche di un altro soggetto,
accompagnata da uno studio di fattibilità tecnico-economica; la progetta-
zione, che deve prevedere i dettagli dell'allestimento con le singole voci di
costo (materiali, illuminazione, sicurezza, eventuale trasporto di opere ecc.);
l'approvazione del progetto; l'esecuzione. Infine, l'attività è sempre preceduta
da una programmazione, indispensabile se solo si pensa, ad esempio, alla rete
nazionale e internazionale di contatti tra i diversi enti e istituti culturali per
il prestito di opere d'arte. In ognuna di queste fasi, è evidente la necessità di
una costante interazione tra le pubbliche amministrazioni e i privati, i quali,
a seguito della stipula di appositi contratti, possono comparire nelle vesti di
promotori, progettisti, restauratori, finanziatori, assicuratori.
Nonostante tale complessità fosse nota sin dalla organizzazione delle prime
esposizioni d'arte, la materia delle mostre non era di fatto disciplinata nella
legge n. 1089 del 1939, in cui il termine «mostre)) compariva una sola volta.
Fu necessaria una legge ad hoc, la n. 50 del1940 (Disciplina delle mostre d'arte
antica), sostituita dalla n. 328 del1950 (Modificazioni all'attuale disciplina delle
mostre d'arte), poi recepita nel Tu del1999 e, infine, nel Codice (motivo per
cui in questi atti il termine mostre compare più volte).
Il sistema della il sistema della Convenzione è stato poi arricchito da raccomandazioni e linee
convenzione Une- guida approvate dall'D n esco (le Operational Guidelines /or the Implementation
sco o/the World Heritage Convention). Gli Stati che decidano di candidare propri
si ti, inoltre, debbono adattare le proprie amministrazioni alle esigenze richieste
da questo sistema (per esempio creando organismi ad hoc: negli Stati Uniti ci
sono lo US National Park Service e lo US Committee o/ the IcomOS, organi che
sviluppano standard e procedure per stabilire quali siti americani candidare).
Tutti i siti iscritti nella lista debbono avere «adeguate long-term legislative,
regulatory, institutional and/or traditional protection and management to en-
sure their safeguarding. This protection should include adequately delineated
boundaries. Similarly States Parties should demonstrate adeguate protection
at the national, regional, municipal, and/or traditionallevel for the nominated
property. They should append appropriate texts to the nomination with a
clear explanation of the way this protection operates to protect the property»
(par. 97).
La Danger list Una volta che un sito è stato iscritto, esistono specifici meccanismi diretti ad
assicurare il rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione e dalle linee guida,
che hanno introdotto anche meccanismi di controllo quali il c.d. «name and
VALORIZZAZIONE E GESTIONE 231
shame», tramite la c.d. Danger List. Questi meccanismi possono essere attivati
anche da organizzazioni non governative o comunità locali. In questi casi, il
World Heritage Committee può intervenire al fine di assicurare la protezione
dei siti, limitando in tal modo la sovranità degli Stati. Ma, come visto, tutte
le procedure hanno inizio a livello nazionale e una scarsa partecipazione
delle popolazioni in sede nazionale può anche indebolire i procedimenti
sovranazionali: è quanto awenuto negli Stati Uniti, per il celebre parco di
Yellowstone, con riguardo ad alcune attività minerarie.
Sotto il profilo della gestione, il sistema dei si ti Unesco ha stabilito nuove forme La cooperazione
di cooperazione·tra organizzazioni internazionali, amministrazioni nazionali tra livelli di go-
e altri soggetti. Inoltre, la procedura per proporre nuove candidature- ossia verno
la formazione della c.d. tentative list, in cui sono elencati i siti che uno Stato
ritiene meritevoli di essere iscritti nella lista del patrimonio mondiale - deve
coinvolgere tutti i principali stakeholders, per esempio i «site managers, local
and regional governments, local communities, NGOs and other interested
parties an d partners» (par. 64). Sono previsti anche nuovi strumenti giuridici,
come il piano di gestione per i siti, ideato per progettare interventi sia di tu-
tela, sia di fruizione e di valorizzazione delle aree. Ai sensi delle Operational
Guidelines, par. 108, infatti, <<Each nominated property should have an ap-
propriate management plan or other documented management system which
must specify how the Outstanding Universal Value of a property should be
preserved, preferably through participatory means».
L'esperienza di Tra le esperienze più rilevanti, merita di essere citato il caso di Pompei, per
Pompei il quale sono state sperimentate diverse forme di gestione, anche a séguito
dell'intervento dell'Unesco. In particolare, il crollo della schola armaturarum
nel 2010 ha determinato l'avvio delle procedure di monitoring Unesco, che
hanno portato il governo italiano ad attivarsi per reperire fondi europei e
approvare un progetto dedicato, il c.d. Grande progetto Pompei. Il nuo·
vo Piano di gestione del sito è stato firmato entro la fine del 2013, come
richiesto. Sempre nel 2013 e nel 2014, il Grande progetto è stato dotato
di un'apposita struttura, che si è affiancata alla soprintendenza (ora Parco
archeologico) di Pompei. In particolare, il d.l. n. 91 del 2013 e il d.l. n. 83
del 2014, regolando anche i profili urbanistici di riqualificazione urbanistica
e di risanamento ambientale, per un verso, hanno sottolineato la necessità di
configurare appositi modelli organizzativi e procedimentali per la gestione
dei siti Unesco; per l'altro, hanno identificato la principale caratteristica del
sito archeologico di Pompei, quello di essere una città «vera», che come tale
dovrebbe quindi essere gestita.
Le amministrazioni preposte alla gestione dei beni culturali, del resto, sono
da tempo costrette a ricercare risorse esterne, coinvolgendo anche soggetti
privati, e a sviluppare ricette addizionali: si pensi al caso dei finanziamenti
reperiti grazie al gioco del lotto in Italia, quando nel 1996 fu introdotta la
giocata infrasettimanale proprio per destinare risorse al patrimonio culturale,
sull'esempio della Nationallottery nel Regno Unito.
In questo paragrafo sono esaminati, in particolare, tre aspetti. Dapprima è
ricostruita la disciplina delle agevolazioni fiscali volte a favorire il mecenatismo
culturale, con specifica attenzione al c.d. Art bonus. Poi sono analizzati i ca-
ratteri delle sponsorizzazioni nel settore del patrimonio culturale. Infine, sono
presi in considerazione gli accordi tra pubblico e privato, nonché le speciali
forme di partenariato di cui all'articolo 151 del codice dei contratti pubblici.
Tutti questi interventi si rintracciano oggi negli articoli 15 e 100 del Testo unico La disciplina del
delle imposte sui redditi (Tuir), di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986 n. 917. Tali Tuir
disposizioni prevedono agevolazioni fiscali per le persone fisiche e per gli enti
non commerciali (una detrazione di imposta del19% di quanto speso o erogato)
e per le persone giuridiche (deducibilità dal reddito imponibile di quanto speso
o erogato), con riguardo a: le spese sostenute dai soggetti obbligati alla manu-
tenzione, protezione o restauro di beni culturali (articoli 15, lett. g, e 100, lett.
e) e alle erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle Regioni, degli
enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di comitati organizzatori
appositamente istituiti con decreto del ministro per i Beni culturali e ambien-
tali, di fondazioni e associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro,
che svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione
di rilevante valore culturale e artistico o che organizzano e realizzano attività
culturali, effettuate in base ad apposita convenzione, per l'acquisto, la manu-
tenzione, la protezione o il restauro di beni culturali, ivi comprese le erogazioni
effettuate per l'organizzazione in Italia e all'estero di mostre e di esposizioni di
rilevante interesse scientifico-culturale delle cose anzidette, e per gli studi e le
ricerche eventualmente a tal fine necessari, nonché per ogni altra manifestazione
234 CAPITOLO 4
ipotesi era già prevista dal Tuir (articoli 15, lett. h, e 100, lett. f si è però
innalzata la percentuale del beneficio (dalla detrazione del19% al credito di
imposta del65%).
In secondo luogo, è stata introdotta una ipotesi nuova, per certi aspetti di-
rompente rispetto al sistema previgente, ossia la donazione per il sostegno
di istituti e luoghi della cultura di appartenenza pubblica: non importa per
che cosa si dona, è il fatto che la donazione sia per un museo, un archivio o
una biblioteca, o una fondazione lirico-sinfonica o un teatro di tradizione,
che consente di applicare l'Art bonus.
In terzo luogo, vi sono le erogazioni liberali in denaro effettuate per la realiz-
zazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti
delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza
scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo. Anche in
questo caso, si tratta di una ipotesi già contemplata dal Tuir (articoli 15, lett.
i, e 100, lett. g).
L'Art bonus è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei
limiti del15% del reddito imponibile, ai soggetti titolari di reddito d'impresa
nei limiti del 5 per mille dei ricavi annui. I limiti quantitativi, poi, riprendono
quelli della legislazione francese (ad esempio il limite del5 per mille dei ricavi
per le imprese, identico a quello adottato in Francia).
4.2. Le sponsorizzazioni
però, sono state sollevate anche critiche: in primo luogo, è stata messa in
dubbio la legittimità dell'uso di tale strumento da parte delle pubbliche
amministrazioni, mancando una specifica normativa; in secondo luogo, il
carattere spiccatamente economico di tal une operazioni di sponsorizzazione
ha suscitato forti timori in ordine a una possibile «commercializzazione» del
patrimonio ctÙturale. Basti menzionare le difficoltà procedurali che hanno
caratterizzato la sponsorizzazione del Colosseo da parte di un noto brand di
calzature, nonché le polemiche che ne sono seguite.
A partire dagli anni Novanta del XX secolo, le sponsorizzazioni nel settore del
patrimonio ctÙturale hanno progressivamente trovato una propria disciplina
legislativa [U ngari 2014; Chieppa 2013].
lnnanzitutto, vi è l'articolo 120 del Codice, in base al quale è sponsorizza- La disciplina del
zione di beni culturali «ogni contributo, anche in beni o servizi, erogato per Codice dei beni
la progettazione o l'attuazione di iniziative in ordine alla tutela owero alla ctÙturali e del pae-
saggio
valorizzazione del patrimonio ctÙturale, con lo scopo di promuovere il nome, il
marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività del soggetto erogante.
Possono essere oggetto di sponsorizzazione iniziative del ministero, delle
Regioni, degli altri enti pubblici territoriali nonché di altri soggetti pubblici o
di persone giuridiche private senza fine di lucro, owero iniziative di soggetti
privati su beni culturali di loro proprietà. La verifica della compatibilità di
dette iniziative con le esigenze della tutela è effettuata dal ministero in confor-
mità alle disposizioni del Codice (comma 1). Inoltre, la promozione awiene
attraverso l'associazione del nome, del marchio, dell'immagine, dell'attività
o del prodotto all'iniziativa oggetto del contributo, in forme compatibili
con il carattere artistico o storico, l'aspetto e il decoro del bene ctÙturale
da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione
(comma 2). Infine, con il contratto di sponsorizzazione sono altresì definite
le modalità di erogazione del contributo, nonché le forme del controllo, da
parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell'iniziativa cui il contributo
si riferisce (comma 3).
Sotto il proftlo procedurale, la disciplina delle sponsorizzazioni è oggi dettata La disciplina del
dagli articoli 19 e 151 del codice dei contrati pubblici, d.lgs. n. 50 del2016. codice dei con-
Tali norme regolano i contratti di sponsorizzazione di lavori, servizi o forniture tratti pubblici
relativi ai beni ctÙturali, o finalizzati al sostegno degli istituti e luoghi della
cultura, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione.
238 CAPITOLO 4
I profili procedu- In particolare, rispetto alla disciplina previgente, quella introdotta nel2016
rali ha notevolmente semplificato le procedure previste per giungere alla stipu-
lazione di questa tipologia di contratti. Le disposizioni di riferimento sono
all'art. 19 del Codice, che tratta, in generale, i contratti di sponsorizzazione,
a cui rinvia l'art. 151, comma l. La procedura consiste semplicemente
nell'obbligo di pubblicare l'offerta di sponsorizzazione per trenta giorni
sul sito dell'amministrazione, con la conseguente possibilità, trascorso
detto termine, che il contratto possa essere «liberamente negoziato», nel
rispetto dei principi di imparzialità e parità di trattamento fra gli operatori
interessati. Debbono restare fermi, inoltre, i requisiti soggettivi generali di
ordine morale dello sponsor e, ovviamente, gli indispensabili requisiti tec-
nico-professionali di qualificazione dell'impresa esecutrice dell'intervento.
Il comma 2 dell'articolo 151, poi, ribadisce che l'amministrazione preposta
alla tutela dei beni culturali impartisce opportune prescrizioni in ordine alla
progettazione, all'esecuzione delle opere e/o forniture e alla direzione dei
lavori e collaudo degli stessi.
dal legislatore all'articolo 112 del Codice, con riferimento agli accordi di
valorizzazione e al non semplice percorso ivi previsto per il coinvolgimento
di soggetti privati (supra, par. 2.6 e in/ra, cap. 6). A conferma di ciò, il fatto
che la gran parte degli accordi di valorizzazione fino a oggi stipulati ha visto
essenzialmente partecipare soggetti pubblici (Stato, Regioni, Comuni) e non
soggetti privati.
Una ipotesi rilevante è rappresentata dal caso delle fondazioni bancarie, per Le fondazioni
le quali il Codice ha previsto una specifica disposizione (articolo 121), in base bancarie
alla quale il ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, ciascuno
nel proprio ambito, possono stipulare, anche congiuntamente, protocolli di
intesa con le fondazioni conferenti di cui alle disposizioni in materia di ristrut-
turazione e disciplina del gruppo creditizio, che statutariamente perseguano
scopi di utilità sociale nel settore dell'arte e delle attività e beni culturali, al
fine di coordinare gli interventi di valorizzazione sul patrimonio culturale e,
in tale contesto, garantire l'equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe
a disposizione (cap. 6).
Proprio per rendere più agevole la diffusione di forme di collaborazione, an- Le forme di parte-
che strutturate, tra pubblico e privato, l'articolo 151 del codice dei contratti nariato
pubblici ha introdotto, al comma 3, una specifica forma di partenariato nel
settore del patrimonio culturale. Essa si differenzia dalla fattispecie generale
disciplinata dallo stesso codice agli articoli 180 ss., in cui la cooperazione è
diretta a garantire il finanziamento, la realizzazione o gestione di un'opera
pubblica a fini remunerativi e la individuazione del partner deve avvenire
mediante procedure a evidenza pubblica (secondo la c.d. finanza di progetto).
L'ipotesi prevista dall'art. 151, comma 3, ha finalità peculiari, relative al mi-
glioramento della fruizione del patrimonio culturale e della ricerca scientifica,
con attività dirette al recupero, al restauro, alla manutenzione programmata,
alla gestione, all'apertura alla pubblica fruizione e alla valorizzazione di beni
culturali immobili.
Il tratto distintivo di questa speciale forma di partenariato è che la scelta del
soggetto privato con cui costituire il partenariato non è soggetta a formale
procedura a evidenza pubblica, ma può realizzarsi mediante le stesse modalità
previste per la sponsorizzazione o anche ulteriori procedure semplificate, la
cui concreta definizione è affidata all'amministrazione pubblica, nello svol-
gimento delle proprie funzioni.
Alla base di questa disposizione, non priva di problematiche applicative
(cap. 6), vi è stata la necessità di offrire un fondamento legislativo a una
prassi diffusa di cooperazione tra pubblico e privato che, con il tempo, non
ha ricevuto un appropriato inquadramento giuridico. Basti pensare al caso
del Parco archeologico di Ercolano, che riceve da numerosi anni ingenti
finanziamenti, a titolo di liberalità, dalla Fondazione Hewlett Packard, sulla
base di un accordo prima di sponsorizzazione- quando non vi era un quadro
normativo definito - e oggi ai sensi dell'articolo 151, comma 3, del codice
dei contratti pubblici.
240 CAPITOLO 4
LETTURE DI APPROFONDIMENTO
G. Alpa, Imprese e beni culturali. Il ruolo dei privati per conservazione, restauro e fruizione, in «Quad.
reg.>>, 1987, pp. 507 ss.; S. Arnorosino, Il nuovo ordinamento dei musei statali, in «Urbanistica e
Appalti», 2015, n. lO; S. Baia Curioni e L. Forti, Note sull'esperienza delle concessioni per la gestione
del patrimonio culturale in Italia, in «Aedon», 2009, n. 3; M. Bencivenni, R. Dalla Negra e P. Grifoni,
Monumenti e istituzioni, vol. 1: La nascita del servizio di tutela dei monumenti in Italia, Firenze, Ali-
n
nea, 1987; L. Bobbio (a cura di), Le politiche dei beni culturali in Europa, Bologna, Mulino, 1992;
M. Cammelli, Decentramento e «outsourcing;; nel settore della cultura: il doppio impasse, in «Dir.
pubb.», 2002, pp. 261 ss.; A. Carandini, La forza del contesto, Roma-Bari, Laterza, 2017; L. Casini,
La valorizzazione dei beni culturali, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2001, pp. 651 ss.; Id., La codificazione
del diritto dei beni culturali in Italia e in Francia, in «Gior. dir. amm.», 2005, n. l, pp. 98-104; Id.,
Pubblico e privato nella valorizzazione dei beni culturali, in «Gior. dir. amm.», 2005, n. 7, pp. 785-791;
Id., Il mito di Sisz/o ovvero la quarta riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, in
«Gior. dir. amm.», 2010, n. 10, pp. 1006-1014; Id., Valorizzazione del patrimonio culturale pubblico:
il prestito e l'esportazione di beni culturali, in «Aedon», 2012, nn. 1-2; Id., Il decreto valore cultura:
«senza pietre non c'è arco;;, in «Gior. dir. amm.», 2014, n. 2, pp. 117-131; Id., «Le parole e le cose;;:
la nozione giuridica di bene culturale nella legislazione regionale, in «Gior. dir. amm.», 2014, n. 3; Id.,
«Noli me tangere;;: i beni culturali tra materialità e immaterialità, in «Aedon», 2014, n. l; Id., «Todo es
peregrino y raro ... ;;: Massimo Severo Giannini e i beni culturali, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2015, n. 3,
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Paesaggio
paesaggio che può essere data. Delle competenze e degli strumenti di azione
pubblica in materia di paesaggio si parlerà nei paragrafi successivi, con una
ricostruzione limitata alla disciplina vigente e all'interpretazione giurispruden-
ziale che ne è stata fornita. Invece appare fin da subito opportuno soffermarsi
L'evoluzione legi- sugli altri elementi, considerata la possibilità di descriverne l'evoluzione, a
slativa partire da quella riguardante il dato legislativo, che può essere riassunta in
cinque differenti fasi:
La scoperta del a) la scoperta. La scoperta legislativa del paesaggio e dei beni paesaggistici,
paesaggio sia pur in una prospettiva concettuale molto diversa rispetto a quella attuale,
risale ai primissimi anni del Novecento. Una prima legge, la L 16luglio 1905,
n. 411 (riguardante la conservazione della Pineta di Ravenna), regolamentò un
intervento a tutela di un bene specifico, mentre un successivo provvedimento
legislativo, la L 11 maggio 1922, n. 778 (c.d. legge Croce), immaginò un primo
regime giuridico generalizzato per beni immobili e bellezze panoramiche
meritevoli di conservazione «a causa della loro bellezza naturale o della loro
particolare relazione con la storia civile e letteraria)) (art. 1). Si trattava di un
sistema di protezione di tali beni incentrato sul ruolo del ministero dell'Istru-
zione e affidato agli strumenti della dichiarazione di notevole interesse pub-
blico e dell'autorizzazione preventiva per ogni intervento sui beni vincolati.
Nell'intenzione, quindi, del legislatore il sistema di interventi ipotizzato avrebbe
dovuto tutelare il paesaggio, considerato come «la rappresentazione materiale
e visibile della Patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le
sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e
vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta
successione dei secoli)) (Relazione illustrativa della legge 11 giugno 1922, n. 77 8,
«Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse
storico)), Atti parlamentari, Legislatura XXV, Senato del Regno, tornata del25
settembre 1920; richiamata anche in Corte cost., sent. 309/2011 );
Il primo disegno b) il primo disegno organico. Nel 1939, su proposta di Giuseppe Bottai,
orgamco ministro dell'epoca, venne delineato un primo disegno organico di interventi,
fondato su due provvedimenti legislativi, la L l giugno 1939, n. 1089, «Tu-
tela delle cose d'interesse artistico e storico)), e la 29 giugno 1939, n. 1497,
«Protezione delle bellezze naturali)), che definivano la tutela dei beni cultu-
rali e del paesaggio come importante funzione pubblica, da assolvere con i
modi e le azioni in tali leggi previste. Numerosi i parallelismi tra i due quadri
regolativi, a conferma di una già presente visione tendente ad accomunare
i due oggetti di tutela in un unico contesto patrimoniale. Per il paesaggio,
però, a differenza del testo legislativo previgente, il nuovo regime giuridico
- presto completato con il regolamento di esecuzione, r.d. 3 giugno 1940, n.
1357- conteneva alcune importanti novità. lnnanzitutto, i beni individuabili
come bellezze naturali furono disarticolati in due categorie, definite bellezze
individue (ossia, cose immobili con cospicui caratteri di bellezza naturale o
singolarità geologica, nonché ville, giardini e parchi, che si caratterizzano
per la non comune bellezza) e bellezze d'insieme (ossia, complessi di cose
immobili che compongono un caratteristico aspetto avente carattere estetico
PAESAGGIO 245
La revisione del e) la revisione del sistema. L'ordinamento del paesaggio e dei beni paesaggi-
sistema stici, così come configurato grazie alla soprawivenza della disciplina organica
prerepubblicana e alle innovazioni introdotte vigente un nuovo impianto
costituzionale, per effetto della delega contenuta nell'art. l, l. 8 ottobre 1997,
n. 352, è stato interamente riversato in un Testo unico, contenuto nel d.lgs. 29
ottobre 1999, n. 490, destinato a raccogliere in un unico contesto regolativo
«le disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali». n Tu
non aveva portata innovativa, ma si limitava a raccogliere tutte le disposi-
zioni legislative vigenti in materia di beni culturali e ambientali, ammettendo
«esclusivamente le modificazioni necessarie per il loro coordinamento for-
male e sostanziale, nonché per assicurare il riordino e la semplificazione dei
procedimenti» (art. l, comma 2, lett. b, l. 352/1997).
Tuttavia, dopo pochi anni, una nuova delega legislativa (art. lO della legge 6
luglio 2002, n. 137), resasi necessaria a seguito delle modifiche costituzionali
del200 l, ha autorizzato il governo a predisporre un Codice in materia di beni
culturali e ambientali, questa volta con l'obiettivo di procedere a un riassetto
anche incisivo della disciplina di riferimento, in modo da adeguarla al dettato
costituzionale e ai vari cambiamenti ordinamentali registrati anche a livello
europeo e internazionale e da rivederne alcuni aspetti fondamentali. In virtù
di tale delega è stato, quindi, emanato il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, conte-
nente il Codice dei beni culturali e del paesaggio, successivamente ritoccato
proprio in quelle parti dedicate al paesaggio da alcuni decreti correttivi: i
d.lgs. 24 marzo 2006, nn. 156 e 157, e i d.lgs. 26 marzo 2008, nn. 62 e 63.
nCodice ha profondamente inciso sul regime giuridico in tema di paesaggio,
operando in più direzioni: rivedendo i rapporti tra le amministrazioni pubbli-
che e, in primis, quelli tra Stato, Regioni e amministrazioni locali; ampliando le
funzioni amministrative in tema di paesaggio, in modo da affiancare alla tutela
anche la valorizzazione; potenziando i vari strumenti di azione; rendendo più
efficiente il sistema sanzionatorio.
Ma al Codice (soprattutto nella versione derivante dalla novella apportata
nel 2008) si deve ascrivere anche un'altra importante innovazione, questa
volta riconducibile all'intervento sulla nozione stessa di paesaggio, la quale
non solo viene cristallizzata in una definizione, ma viene anche differenziata
rispetto a quella di bene paesaggistico, salvo, però, immaginare una ricompo-
sizione concettuale finale, comune anche con i beni culturali, sotto un unico
contesto rappresentato dalla definizione di patrimonio culturale, così come
prevista dall'art. 2.
La nozione di pae- La nozione di paesaggio è, ora, contenuta nell'art. 131, comma l, del Co-
saggio dice, che lo definisce come «il territorio espressivo di identità, il cui carattere
deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni». Una
definizione, questa, molto distante dalla nozione che era stata accolta nella
l. 1497/1939 e che sottoponeva a salvaguardia solo quelle bellezze naturali
di cui si dichiarava l'interesse in base alloro valore estetico. In altri termini,
il precedente sistema legislativo individuava i beni e ne assicurava la tutela
solo a condizione che si potessero identificare come «bellezze>>, dotate cioè
PAESAGGIO 247
prescritta autorizzazione)) (v. Cass. Pen., sez. III, 16 febbraio 2006, n. 11128;
Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4079).
Ancora più difficile è individuare una dimensione autonoma del paesaggio Paesaggio e go·
nell'ambito del concetto di governo del territorio, i cui confini tendono a verna del territo-
essere sempre di più ampliati. «Governo del territorio» è la locuzione che si no ...
preferisce utilizzare per indicare quel complesso fenomeno giuridico destinato
a regolare e ordinare i molteplici usi che possono interessare un determinato
ambito spaziale, con attenzione anche alla composizione di una pluralità di
interessi, la cui dimensione pubblica è spesso rilevante.
250 CAPITOLO 5
Tale preferenza si giustifica per una pluralità di ragioni: una, in primo luogo,
formale, dato che è stato lo stesso legislatore costituzionale, con la riforma del
Titolo V della Costituzione nel 2001, a preferire l'espressione «governo del
territorio» rispetto alla più tradizionale «urbanistica» nella definizione delle
materie di competenza legislativa concorrente; poi, perché il territorio rappre-
senta sempre di più la sede di una pluralità di interessi, non solo urbanistici o
edilizi, che richiedono un governo unitario o un coordinamento su scala più
ampia; infine, perché si tratta di una formula così generica ed elastica da potersi
adattare di volta in volta a fenomeni diversi e che richiederebbero specifici
distinguo oppure da poter essere utilizzata come felice sintesi dietro la quale
collocare quegli intrecci, altrimenti inestricabili, tra valori, interessi, regolazioni
e tutele che hanno in comune un identico spazio territoriale di riferimento.
Non deve meravigliare, pertanto, se il Giudice delle leggi arriva a registrare che
la locuzione «governo del territorio)) indica un campo ben più ampio della sola
urbanistica, in quanto «ricomprende tutto ciò che attiene all'uso del territorio e
alla realizzazione di impianti e attività)) (Corte cost., sentt. 307/2003 e 196/2004 ).
Ma quali sono i valori e gli interessi che si intrecciano dietro il sipario del
«governo del territorio))? Sono alcuni valori primari, come l'uso ordinato
del suolo, l'edilizia, la localizzazione delle opere pubbliche, ma un ruolo
indiretto spetta anche all'ambiente, al paesaggio e al patrimonio culturale.
Tutti beni che la Costituzione pone in primo piano: per l'art. 9la Repubblica
«tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione)), mentre
nell'art. 117 tutti gli interessi in questione vengono presi in considerazione ai
fini del riparto della competenza legislativa, senza contare, poi, tutte le altre
disposizioni che indirettamente possono valere ai fini della tutela degli stessi.
L'intreccio tra i valori ricordati riverbera anche sui soggetti legittimati a
tutelarli soprattutto in sede legislativa, sulle tipologie di azioni che possono
avere a oggetto gli stessi, sui confini e sull'autonomia delle rispettive materie.
Si prenda, ad esempio, il caso della ripartizione della competenza legislativa
tra Stato e Regioni fatta dal nuovo testo dell'art. 117 Cost. È facile notare che
alla potestà esclusiva dello Stato viene riconosciuto un ruolo a proposito della
«tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali)) (art. 117, comma
2, lett. s, Cost.), ma allo stesso tempo si affidano alla competenza legislativa
concorrente con le Regioni il governo del territorio, la valorizzazione dei beni
culturali e ambientali e la promozione e organizzazione di attività culturali.
A sua volta, come visto, l'art. 9 Cost. obbliga tutti i livelli istituzionali che
compongono la Repubblica a concorrere alla tutela del patrimonio culturale
e del paesaggio.
Quindi, non è facile capire come differenziare l'intervento legislativo dello
Stato rispetto a quello delle Regioni e su quali oggetti si può concentrare il
primo e su quali, invece, il secondo. Infatti, se debba essere il legislatore sta-
tale o questi insieme a quello regionale a dettare la disciplina di riferimento
per gli interessi ambientali, urbanistici e culturali è una scelta affidata a un
criterio fondato sull'individuazione di materie i cui confini non sono sempre
circoscritti o alla differenza tra tutela e valorizzazione che non sempre è
percepibile nella sua chiarezza.
PAESAGGIO 251
La Corte costituzionale è più volte intervenuta per provare a districare la que- ... nella giurispru-
stione, in modo da risolvere i conflitti di competenza e fornire i parametri per denza della Corte
evitare il loro insorgere. costituzionale
La Corte ha, in primo luogo, registrato il fatto che il territorio rappresenta un
dato spaziale, sede di una pluralità di interessi di rilievo pubblicistico. Come
affermato espressamente, «sul territorio gravano più interessi pubblici: quelli
concernenti la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura spetta
in via esclusiva allo Stato, e quelli concernenti il governo del territorio e la
valorizzazione dei beni culturali e ambientali (fruizione del territorio), che
sono affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni>> (sent.
367 /2007). Ha anche riconosciuto una preferenza della tutela paesaggistica
rispetto alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza con-
corrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione
dei beni culturali e ambientali. Un riconoscimento di preferenza, tra l'altro, da
salutare favorevolmente, in quanto conferma di quel rapporto gerarchico, voluto
dall'art. 9, comma 2, Cost., tra l'ordinamento della tutela del paesaggio e quello
del governo del territorio, spesso banalizzato o contrastato nella legislazione
attuativa [Severini 2013,6 s.]. In ogni caso, sono questi sempre due tipi diversi
di tutela, che possono essere coordinati fra loro, ma che debbono necessaria-
mente restare distinti (v. sempre sent. 367/2007, ma anche sent. 272/2009).
Ciò comunque non significa che solo lo Stato possa prowedere alla disciplina
delle procedure e degli strumenti per assicurare la conservazione dei beni am-
bientali e paesistici, ben potendo le Regioni intervenire attraverso le proprie
sfere di competenza legislativa nelle medesime materie, al fine di elevare il
livello di tutela previsto dalla legislazione statale. La competenza dello Stato,
quindi, non esclude il concorso di normative regionali, soprattutto se destinate a
contribuire alla tutela dell'ambiente, sia pur passando dalla materia della salute
o del governo del territorio. In pratica, e utilizzando le parole del giudice delle
leggi, «in materia di tutela dell'ambiente e del paesaggio, la disciplina statale
costituisce un limite minimo di tutela non derogabile dalle Regioni, ordinarie o
a statuto speciale, e dalle Province autonome. Gli "standard minimi di tutela"
stabiliti dallo Stato in materia di tutela dell'ambiente vanno intesi nel senso che lo
Stato assicura una tutela adeguata e non riducibile dell'ambiente valevole anche
nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome. Non
è pertanto consentito introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale
che dettano una disciplina uniforme valevole su tutto il territorio nazionale,
nel cui ambito deve essere annoverata l'autorizzazione paesaggistica» (Corte
cost. sent. 101/2010, ma anche sentt. 12/2009, e 272/2009).
Anche a proposito della differenza tra tutela e valorizzazione e con particolare
riferimento ai beni culturali, la Corte costituzionale ha provato a fare chiarezza,
sottolineando la necessità di considerare tali aree non tanto ambiti oggettivi e
definiti di competenza, quanto «materie-attività», «materie trasversali» rispetto
alle quali coesistono più competenze normative (sentt. 26/2004 e 232/2005).
Sulla base di tale impostazione concettuale, la Corte ha anche sviluppato due
diversi approcci alla soluzione dell'intreccio prospettato: uno teleologico e l'altro
dominicale. Sotto il primo profilo, le due materie-attività si differenziano per
le differenti finalità cui tendono, in quanto mentre la tutela deve essere vista
come attività finalizzata alla conservazione del bene, la valorizzazione, invece,
rappresenta precipuamente un'attività finalizzata alla fruizione dello stesso (v.
Corte cost., sent. 9/2004). Sotto il secondo profilo, inoltre, la Corte costitu-
zionale ha precisato che la competenza legislativa in materia di valorizzazione
252 CAPITOLO 5
Riguardo al primo aspetto, è evidente che l'art. 9, comma 2, Cost., ha avuto l'effetto
di costituzionalizzare la tutela del paesaggio come compito primario spettante ai
pubblici poteri. Ha colto bene tale profilo il Giudice costituzionale, il quale ha
sempre sottolineato non solo la distinzione tra la tutela del paesaggio e altre azioni
di governo del territorio (come si è avuto modo di ricordare, ma v. già la sentenza
della Corte cost., 24luglio 1972, n. 141), ma ha anche qualificato il paesaggio come
«un valore primario e un obiettivo costituzionale)), la cui tutela prevale su altri
interessi tutelati anch'essi dalle amministrazioni pubbliche di riferimento (Corte
cost. sentt. 27 giugno 1986, n. 151; l aprile 1985, n. 94; 22luglio 1987, n. 183; 10
marzo 1988, n. 302; 30 maggio 2008, n. 180; 22luglio 2009, n. 226; 23 novembre
2011, n. 309). In altri termini, «il concetto di paesaggio indica, innanzitutto, la
morfologia del territorio, riguarda cioè l'ambiente nel suo aspetto visivo. Ed è per
questo che l'art. 9 della Costituzione ha sancito il principio fondamentale della
"tutela del paesaggio" senza alcun' altra specificazione. In sostanza, è lo stesso
aspetto del territorio, per i contenuti ambientali e culturali che contiene, che è
di per sé un valore costituzionale)) (Corte cost. sent. 7 novembre 2007, n. 367).
Il secondo aspetto si riferisce al richiamo del concetto di Nazione. A essa vie-
ne rapportato non solo il patrimonio storico-artistico, ma anche il paesaggio.
Tale riferimento ha rappresentato la base su cui è stato possibile fondare la
ricostruzione del valore identitaria del paesaggio e della sua valenza in chiave
storico-culturale, piuttosto che meramente estetica. Il paesaggio, quindi, ha
una dimensione nazionale; e nazionale è anche l'azione di tutela, considerato
che il Codice, riprendendo evidentemente il passaggio della disposizione
costituzionale, circoscrive la sua portata di complesso regolativo finalizzato
alla salvaguardia del paesaggio, «relativamente a quegli aspetti e caratteri che
costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in
quanto espressione di valori culturali)) (art. 131, comma 2).
L'ultimo aspetto attiene all'incardinamento in capo alla Repubblica dei compiti
di tutela del paesaggio. Il concetto di Repubblica richiama alla mente un altro
articolo della Costituzione, l'art. 114, ai sensi del quale proprio la Repubblica
viene definita come entità costituita da «Comuni, dalle Province, dalle Città
metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato)). La tutela del paesaggio, quindi,
254 CAPITOLO 5
Non vi sono altri articoli della nostra Costituzione nei quali venga richiamato
espressamente il concetto di paesaggio. Tuttavia, molte disposizioni costi-
tuzionali sono destinate a incidere lo stesso sulla disciplina giuridica e sulle
funzioni amministrative relative al paesaggio e ai suoi beni, in particolare quelle
disposizioni che trovano collocazione nel Titolo V riformato. Una su tutte
L'art. 117 Cast. di tali disposizioni merita, qui, di essere richiamata, l'art. 117 Cost.: questo
articolo non menziona il paesaggio tra le materie utilizzate per ripartire la
potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni ordinarie, con la conseguenza che
si è a lungo dibattuto su quale titolo competenziale far valere al riguardo e
sulla possibilità di inquadrare il paesaggio in altre materie previste dalla stessa
disposizione costituzionale.
Il quadro costituzionale è alla base del diritto del paesaggio. Al quadro costi-
tuzionale, oggi, con rinnovato entusiasmo si continua ancora a guardare anche
per fondare un nuovo concetto di diritto al paesaggio, ulteriore attributo
della cittadinanza, da tutelare dinanzi ai giudici e da rivendicare di fronte alle
amministrazioni. Punto di partenza di tale costruzione è ancora una volta la
Costituzione e la centralità che essa attribuisce alla cultura nell'insieme dei diritti
riconosciuti ai cittadini: diritto alla cultura che «comporta una presa di possesso,
da parte dei cittadini, di un patrimonio di bellezza e di memorie accumulato
nei secoli. Ed è un possesso che avviene a titolo di sovranità: attraverso la voce
della Carta fondamentale dello Stato la comunità dei cittadini, fonte delle leggi
e titolare dei diritti, identifica nel patrimonio storico-artistico e nel paesaggio
[. .. ] un ingrediente essenziale di democrazia, di eguaglianza, di libertà. Un
privilegio della cittadinanza» [Settis 2017, 11].
(d.lgs. 157 /2006) e nel 2008 (d.lgs. 63/2008) proprio con riferimento alla
disciplina del paesaggio.
Secondo una prima lettura [in particolare, Cartei 2013,717 ss.], tra la Con- RiflessionisulCo-
venzione e il Codice c'è una divaricazione evidente a partire dalla nozione di dice del2004
paesaggio presa a riferimento: per la prima, il termine paesaggio avrebbe una
pluralità di accezioni e la corrispondente nozione avrebbe carattere evolutivo,
in quanto contenente anche i profili ecologici e le implicazioni sociali delle
politiche del paesaggio, mentre nel Codice troverebbe conferma la concezione
culturale dello stesso. Inoltre, mentre il Codice ripropone un modello centripeto
fondato sull'accentramento delle funzioni in capo all'amministrazione statale
e una gerarchia formale tra gli interessi, la Convenzione, invece, valorizzereb·
be il ruolo degli enti territoriali e delle loro popolazioni, alle quali andrebbe
ricondotta la valenza paesaggistica di un determinato territorio.
Altra dottrina, invece, ha ritenuto meno marcate le distanze tra Convenzione e
Codice e ha preferito evidenziare i tanti punti di contatto e le influenze prodotte
dalla prima sul secondo. Quanto ai punti in comune, per prima cosa è stata
segnalata l'introduzione nel Codice della nozione di paesaggio (art. 131), la quale
«è lessicalmente diversa da quella della Convenzione, ma nella sostanza a essa
riportabile» [Sciullo 2008b; Carpentieri 2008a; ma anche Severini 2013, 31 ss.].
Inoltre, è ascrivibile anche alla Convenzione, la scelta del legislatore italiano di
distinguere il paesaggio dai beni paesaggistici e di ridefinire la pianificazione
paesaggistica, la cui funzione è oramai quella di prendersi cura del paesaggio
in tutte le sue possibili forme e finanche di creare nuovi valori paesaggistici.
La disciplina dei «siti Un esco)) è stata già approfondita nel capitolo che precede, Si ti Unesco
soprattutto a proposito delle problematiche che si registrano con riferimento
agli interventi di valorizzazione e di gestione ad essi rivolti. Tuttavia, può essere
opportuno spendere qualche altra notazione al fine di segnalare l'importanza
che i "siti Unesco" hanno acquisito in una prospettiva di tutela del paesaggio
nella legislazione nazionale più recente. Tali si ti, infatti, per un lato, si pongono
come porzioni di paesaggio da individuare e salvaguardare rispetto ad eventuali
iniziative di trasformazione territoriale. E difatti tra i vari compiti attribuiti
258 CAPITOLO 5
5. I BENI PAESAGGISTICI
Per effetto delle novelle intervenute successivamente alla ratifica della Con-
venzione europea del paesaggio, il Codice, accanto alla nozione di paesaggio,
disciplina anche i beni paesaggistici. Se nel passato si poteva accettare l'uso
come sinonimi delle espressioni paesaggio e beni paesaggistici (e anche
beni ambientali), oggi, invece, in seguito alla nuova impostazione seguita
dal Codice, è da riconoscere l'esistenza tra i due concetti di un rapporto
dicotomico, dovuto al fatto che non esiste una perfetta coincidenza tra i due
oggetti. L'innovazione concettuale e regolativa, owiamente ha determinato
difficoltà interpretative non di poco conto, tenuto anche presente che i con-
cetti di paesaggio e di beni paesaggistici interferiscono anche con quelli di
beni culturali e di patrimonio culturale all'interno del sistema codicistico di
tutela e valorizzazione.
Paesaggio, beni Proviamo a sciogliere qualcuna di queste difficoltà interpretative, prendendo
paesaggistici e p a- singolarmente in considerazione le varie interferenze. Un buon punto di
trirnonio culturale partenza è rappresentato dal rapporto tra paesaggio e beni culturali. Sono,
questi, concetti che fanno riferimento a beni la cui tutela - insieme ad altre
funzioni, come la valorizzazione - sono considerati un compito diffuso a
partire dalla Carta costituzionale. Come ricordato, per molti anni, il regime
di protezione di questi beni era dettato da due distinte fonti risalenti all'or-
dinamento pre-repubblicano, ossia la l. 1497/1939, che si occupava delle
bellezze naturali, mentre la l. 1089/1939, invece, disciplinava la tutela delle
cose d'interesse artistico e storico. Altri innesti legislativi, come visto, sono
stati successivamente realizzati, come quello contenuto nella l. n. 43111985
(c.d. legge Galasso), la quale ha rafforzato gli strumenti di tutela dei profili
naturalistici del nostro territorio. Oggi, grazie al d.lgs. 42/2004, contenente
il Codice, i regimi giuridici relativi ai due ambiti, culturale e paesaggistico,
sono stati accorpati in un unico testo legislativo. Ciò ha anche determinato
l'elaborazione di una nozione unica di patrimonio culturale, composto dai
beni paesaggistici e dai beni culturali, verso la quale vengono indirizzate le
funzioni pubbliche ricordate (art. 2). In pratica, si supera la dicotomia tra
paesaggio e patrimonio storico-artistico e si unifica l'oggetto della tutela che
l'art. 9 Cost. impone alla Repubblica, anche se continuano a soprawivere due
PAESAGGIO 259
distinte sottocategorie, quella dei beni culturali e quella dei beni paesaggistici,
caratterizzate dalla sottoposizione a principi comuni, ma a regimi differenti.
In particolare, alla tutela dei beni paesaggistici è dedicata la parte terza del
Codice.
Ma veniamo, ora, al rapporto tra il paesaggio e i beni paesaggistici. Si è detto
sopra del nuovo modo di intendere il paesaggio nella prospettiva concettuale
e interpretativa che si è affermata, anche grazie, da ultimo, alla Convenzione
europea del paesaggio. Di tale cambiamento vi è traccia nel Codice, in diversi
passaggi e a partire dalla definizione che il testo legislativo dà di tali beni.
Paesaggio non è più (e solo) un mero e astratto valore estetico, ma «il territo-
rio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali,
umani e dalle loro interrelazioni» (art. 131, comma 1). Il paesaggio, tuttavia,
non è menzionato nella ricordata disposizione che definisce il patrimonio
culturale. Per previsione legislativa, infatti, oltre che dai beni culturali, il
patrimonio culturale è composto dai beni paesaggistici, che sono immobili
e aree individuate come tali, in quanto «costituenti espressione dei valori
storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni
individuati dalla legge o in base alla legge» (art. 2, comma 3 ). Per tali beni
il Codice assicura una tutela «relativamente a quegli aspetti e caratteri che
costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale,
in quanto espressione di valori culturali» (art. 131, comma 2). L'esercizio
di questa azione di tutela può importare l'adozione di provvedimenti che
conformano diritti e condizionano l'uso dei beni oggetto della tutela stessa
(art. 3, comma 2).
I beni paesaggistici sono, poi, indicati dall'art. 134 del Codice, il quale elenca
quei beni che possono essere assoggettati, attraverso il vincolo, a uno specifico
regime di tutela. La nozione di paesaggio presa in considerazione dal Codice,
però, è ancora più ampia e non coincide solo con i singoli beni paesaggistici,
dato che può comprendere, oltre a questi, altre aree altrettanto tutelate per
i valori paesaggistici che esse esprimono. In altri termini, il paesaggio «si
rivela un cerchio più ampio di quello rappresentato dai beni paesaggistici»
[Sciullo 2008b, ma anche Marzuoli 2008 e Marzaro 2011,22 ss.], in quanto
comprendente sia quei beni individuati e vincolati sia contesti esterni a questi
ultimi riconosciuti meritevoli di una tutela paesaggistica.
Come è stato segnalato [Marzuoli 2008] il paesaggio rappresenta il genere, il Le tipologie dei
bene paesaggistico, invece, la specie. E in tale prospettiva il Codice prova a beni paesaggistici
ridisegnare la categoria dei beni paesaggistici, inserendo in questa altri beni
oltre a quelle tipologie già note in quanto originariamente previste nella l.
1497/1939. Accanto ai beni paesaggistici individuati e tutelati in quanto dichia-
rati di notevole interesse pubblico, infatti, vengono ricondotti alla categoria in
questione anche i beni direttamente individuati con legge, nonché altri oggetti
a valenza paesaggistica e perciò tutelati, identificati dal piano paesaggistico.
Al riguardo la disposizione codicistica è alquanto chiara, in quanto fornisce
le coordinate per identificare tre classi di beni paesaggistici a seconda dell'o-
rigine del vincolo (art. 134 ):
260 CAPITOLO 5
l. gli immobili e le aree (ad esempio, le cose immobili che hanno cospicui
caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi
compresi gli alberi monumentali; le ville, i giardini e i parchi; i complessi
di cose immobili come i centri storici; le bellezze panoramiche) individuati
attraverso un procedimento amministrativo, finalizzato all'adozione di una
dichiarazione di notevole interesse pubblico del bene (artt. 136 ss.). In que-
sta categoria, quindi, vengono ricompresi i beni che nel previgente sistema
venivano definite bellezze naturali, con una novità rappresentata dai centri e
nuclei storici, in passato non considerati;
2. le aree direttamente individuate come beni paesaggistici dalla legge (art.
142), come ad es., alcuni territori costieri; alcuni fiumi e torrenti; i ghiacciai;
i parchi e le riserve nazionali o regionali; le zone gravate da usi civici; le zone
umide; le zone di interesse archeologico. Anche in questo caso, si tratta di
una categoria già nota, in quanto riprende alcuni beni e aree qualificati come
beni paesaggistici nella c.d. Legge Galasso;
3. le ulteriori aree o immobili anch'essi individuati ex art. 136 e sottoposti a
tutela da parte dei piani paesaggistici (art. 143). È questa la classe più inno-
vativa, dato che per l'individuazione dei beni un importante ruolo ricognitivo
e identificativo è riconosciuto al piano paesaggistico.
La disposizione codicistica, quindi, individua diverse categorie di beni pae-
saggistici, alcune delle quali non sempre sono di facile definizione. È il caso
dei centri e nuclei storici, che- come si è visto -l'art. 136 in modo innova-
tivo ricomprende tra i beni paesaggistici, senza però darne una definizione
puntuale o fornire criteri utili per una loro individuazione o delimitazione.
I centri urbani Ma la questione dei centri storici, di cosa siano, come individuarli e a quale
regime giuridico sottoporli, non è nuova. Il problema venne sollevato già nel
1960 con la c.d. Carta di Gubbio, dichiarazione approvata a conclusione di
un convegno tra amministratori, urbanisti, architetti e giuristi, dedicato alla
salvaguardia e al risanamento dei centri storici. La commissione Franceschini,
per prima nel 1967, li qualificò beni culturali ambientali, definendoli «zone
delimitabili costituenti strutture insediative, urbane e non urbane, che, presen-
tando particolare pregio per i loro valori di civiltà, devono essere conservate al
godimento della collettività». Ai centri storici venne fatto riferimento anche nella
c.d.legge ponte, legge 6 agosto 1967, n. 765, in quanto considerati agglomerati
urbani di «carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale». La
successiva circolare del ministero dei Lavori pubblici del 28 ottobre 1967, n.
3210, specificò i criteri per l'individuazione di tale carattere (ossia «a) strutture
urbane in cui la maggioranza degli isolati contengano edifici costruiti in epoca
anteriore al 1860, anche in assenza di monumenti od edifici di particolare va·
lore artistico; b) strutture urbane racchiuse da antiche mura in tutto o in parte
conservate, ivi comprese le eventuali propaggini esterne che rientrino nella
definizione del punto a); c) strutture urbane realizzate anche dopo il1860, che
nel loro complesso costituiscano documenti di un costume edilizio altamente
qualificato»). Oggi, il Codice ricomprende i «centri e nuclei storici» tra i beni cui
riconoscere la tutela paesaggistica, attraverso il procedimento di dichiarazione
di notevole interesse pubblico di cui agli artt. 138 ss.
PAESAGGIO 261
paesaggistico. I vincoli, poi, hanno anche una funzione eli ricognizione, poiché
attraverso la loro apposizione è possibile individuare concretamente i beni
paesaggistici. Pertanto, come segnalato dalla dottrina, i vincoli consentono
di rendere effettiva la tutela del paesaggio e la loro apposizione può avvenire
per «l'attribuzione della qualificazione (il "vincolo"), sulla base di un giudizio
compiuto o direttamente dalla legge per categorie tipologiche (morfologiche
o ubicazionali) (nel Codice, per i beni paesaggistici: art. 142), o in base alla
legge da un provvedimento amministrativo - individuo o di pianificazione
paesistica - di ricognizione tecnica del carattere originario con conseguente
qualificazione particolare del luogo (artt. 136, 143, 156)» [Severini 2013, 23].
... tipologie ... Il Codice, infatti, prevede tre tipologie di vincolo paesaggistico. Una prima
tipologia (vincolo per provvedimento) è quella tradizionale del vincolo ap-
posto con un provvedimento amministrativo che dichiari il notevole interesse
pubblico di tipo paesaggistico di immobili o aree indicate dall'art. 136 (art.
140). Una seconda tipologia ricomprende i vincoli (vincoli di secondo tipo
o ex lege) che trovano la loro fonte direttamente nella previsione legislativa
contenuta nell'art. 142. La tipizzazione legislativa, tuttavia, da sola non basta,
in quanto deve essere accompagnata dalla ricognizione degli stessi in sede di
pianificazione, dato che spetta ai piani paesaggistici procedere all'individuazione
e alla determinazione delle prescrizioni di utilizzo di tali beni (art. 143, comma
llett. c). L'ultimo tipo di vincolo (vincolo del terzo tipo) è quello rappresentato
dai vincoli che possono essere posti attraverso il piano paesaggistico. Ai sensi
dell'art. 143, comma l, lett. d, ad esempio, spetta al piano anche il compito di
«eventuale individuazione di ulteriori immobili o aree, di notevole interesse
pubblico a termini dell'articolo 134, comma l, lettera c, loro delimitazione e
rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione
delle specifiche prescrizioni d'uso, a termini dell'articolo 138, comma 1». O
ancora, sempre con il piano paesaggistico si possono individuare «tÙteriori
contesti, diversi da quelli indicati all'articolo 134, da sottoporre a specifiche
misure di salvaguardia e di utilizzazione» (art. 143, comma l, lette): previsio-
ne che per alcuni interpreti giustificherebbe l'identificazione di una nuova e
autonoma categoria di vincoli, c.d. del quarto tipo [Carpentieri 2008b, 691].
I vincoli, poi, possono essere «nudi» o «vestiti)), Sono «nudi)) i vincoli paesag-
gistici che si limitano a individuare il bene e dichiararne la natura paesaggistica;
sono invece <<Vestiti)) quei vincoli che, oltre a individuare il bene, ne disciplinano
l'uso. Il Codice ha previsto un obbligo di vestizione dei vincoli del primo tipo per
i provvedimenti adottati successivamente all'entrata in vigore del Codice stesso.
L'art. 140, comma 2, infatti, ha precisato che «la dichiarazione di notevole inte-
resse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione
dei valori espressi dagli aspetti e caratteri pecwiari del territorio considerato)).
Per i vincoli «nudi)), invece, emanati in precedenza, è stato attribuito alle Regioni
e al ministero il compito di «rivestirli)), integrando le dichiarazioni di notevole
interesse pubblico (art. 141 bis). I vincoli ex lege, poi, nascono sempre «nudi)),
anche se spetta al piano paesaggistico l'importante compito di ricognizione e
vestizione [Sciullo 2012]. Per i vincoli del terzo tipo, infine, è sempre il piano
paesaggistico a darne le prescrizioni d'uso.
Attraverso il vincolo paesaggistico, quindi, si limita il diritto di proprietà su
di un determinato bene, arrivando persino a disciplinarne l'uso specifico, in
ragione del valore paesaggistico che esso esprime. La ricaduta del vincolo
PAESAGGIO 267
sul diritto di proprietà del titolare del bene paesaggistico può essere tale da
annullare tutte le facoltà che tale diritto normalmente importa. È per questo
che in passato era stato posto il problema dell'indennizzabilità di tale vincolo. . .. loro indenniz-
La risposta data dalla Corte costituzionale con una nota sentenza (Corte cost. zabilità
sent. 29 maggio 1968, n. 56) fu diversa da quella invece formulata a proposito
dei vincoli urbanistici. Infatti, con la pronuncia citata venne esclusa- alla luce
degli artt. 9, comma 2, e 42, comma 2, Cost. -l'indennizzabilità del vincolo
paesaggistico, in quanto esso non comprime il diritto di proprietà, il quale «è
nato con il corrispondente limite e con quel limite vive; né aggiunge al bene
qualità di pubblico interesse non indicate dalla sua indole)), Alcune innovazioni
apportate dal Codice al sistema dei vincoli ha spinto parte della dottrina a ria-
prire il dibattito sulla loro indennizzabilità. Secondo alcuni interpeti, infatti,
andrebbero indennizzati i proprietari di quei beni colpiti da vincoli paesaggistici
posti con un provvedimento <<Vestito)) o da vincoli del terzo tipo posti con il
piano paesaggistico, in quanto in entrambi i casi la compressione del diritto
di proprietà deriverebbe non dalla legge, ma da una scelta amministrativa
[Bartolini 2007, 563 ss.; Cartei 2005].
È utile ricordare che il prowedimento di vincolo può essere adottato anche dal
ministero. li Codice, infatti, fa salvo il potere ministeriale di dichiarare il notevole
interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136, su proposta
motivata del soprintendente e previo parere della Regione interessata, che deve
essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta (art.
138, comma 3). Si tratta di un parere autonomo e non meramente sostitutivo
rispetto a quello attribuito alle Regioni (Cons. Stato, sez. VI, n. 914/2016).
Si è a lungo dibattuto in dottrina sulla natura da riconoscere al vincolo posto
attraverso il procedimento ricordato. Per alcuni la dichiarazione di notevole
interesse pubblico sarebbe un accertamento costitutivo, per altri un atto di cer·
tazione, per altri ancora un atto meramente dichiarativo [per una ricostruzione
delle diverse posizioni: Immordino 1995, 580; Cartei 2006, 4067]. Recente·
mente, tuttavia, alla luce di quanto previsto nel Codice soprattutto a proposito
dell'obbligo di vestire i vincoli, si propende per riconoscere al prowedimento
una natura mista di atto che, allo stesso tempo, ha portata dichiarativa della
valenza paesaggistica del bene ed effetto costitutivo del vincolo sul bene stesso
[Amorosino 2010a, 90; Severini 2013, 20].
I profili più innovativi, invece, si possono cogliere già nell'art. 13 5, il quale fissa
i principi portanti dell'attività di pianificazione del paesaggio. lnnanzitutto, al
suo primo comma viene previsto l'obbligo per lo Stato e le Regioni di assicurare
«che tutto il territorio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato
e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo co-
stituiscono. A tale fine le Regioni sottopongono a specifica normativa d'uso il
territorio mediante piani paesaggistici, owero piani urbanistico-territoriali con
specifica considerazione dei valori paesaggistici [ ... ]. L'elaborazione dei piani
paesaggistici awiene congiuntamente tra ministero e Regioni limitatamente ai
beni paesaggistici)).
Da tale previsione si ricava che l'attività di pianificazione del paesaggio è da
considerarsi obbligatoria per le Regioni, che l'esercitano insieme al ministero
solo per i beni paesaggistici, mentre per il «paesaggio residuo)) procedono auto-
nomamente. L'attività di pianificazione non è fine a sé stessa, ma è strumentale
PAESAGGIO 269
li Codice non si limita a definire gli obblighi e i principi generali sulla piani-
ficazione paesaggistica, ma prova anche a dettare una dettagliata disciplina
degli aspetti relativi alle finalità e alle funzioni che tali strumenti perseguono, il
procedimento di formazione da seguire e il regime di efficacia da riconoscere
al piano anche rispetto ad altri strumenti di pianificazione. Lo scopo è quello
di configurare un minimo regolativo in materia di pianificazione paesaggistica
valido per tutte le Regioni.
L'art. 143 si occupa dei contenuti del piano, ai quali corrispondono altrettante
finalità e funzioni che allo stesso possono essere riconosciute. È stato segnalato
che, stante il tenore dell'art. 143, è possibile distinguere tra contenuti obbli-
gatori e contenuti facoltativi del piano e, in seconda battuta, classificarli in tre
diverse tipologie: conoscitivi, precettivi e propositivi [Lombardi 2012, 10].
L'elaborazione dei piani, pertanto, presuppone sempre l'analisi del territorio e
delle sue dinamiche di trasformazione; il piano, poi, contiene diverse attività di
ricognizione riguardanti il territorio oggetto di pianificazione, mediante l'analisi
delle sue caratteristiche paesaggistiche, immobili e delle aree dichiarati di note-
vole interesse pubblico, le aree vincolate ex lege; contiene anche la ricognizione
di eventuali ulteriori contesti da sottoporre a vincolo; deve, inoltre, fornire le
specifiche prescrizioni d'uso per i beni individuati; individua le aree gravemente
compromesse, indicando anche i relativi interventi di recupero, riqualificazione
e valorizzazione; definisce le misure necessarie per il corretto inserimento, nel
contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione del territorio. Come
270 CAPITOLO 5
si può notare, quindi, il piano paesaggistico non è uno strumento con il quale le
Regioni si limitano a registrare i vincoli esistenti, ma possono anche far emergere
nuovi e ulteriori valori paesaggistici meritevoli di tutela.
Il caso Tuvixeddu Un'importante precisazione del ruolo che la pianificazione paesaggistica può
svolgere nella tutela e valorizzazione del paesaggio è stata effettuata dalla
giurisprudenza in occasione del caso Tuvixeddu.
I piani regionali Un ultimo accenno può essere fatto ad alcune esperienze di pianificazione
approvati paesaggistica regionale.
Alla data del31 maggio 2017, solo quattro Regioni hanno portato a termine l'iter
di approvazione definitiva del proprio piano paesaggistico regionale (Ppr) e lo
hanno fatto in ordine sparso, seguendo percorsi diversi non solo relativamente
ai contenuti. Ha fatto da apripista la Regione Sardegna che nel 2006 (del.
G.r. 5 settembre 2006, n. 36n) ha elaborato un piano finalizzato a tutelare e
valorizzare l'identità ambientale, storica, culturale e insediativa del territorio
sardo, anche con lo scopo di tramandarlo alle generazioni future, proteggere
il paesaggio culturale e naturale e salvaguardare il territorio, promuovendone
anche forme di sviluppo sostenibile.
La Regione Puglia, che già nel2000 aveva redatto un piano urbanistico territo-
riale tematico per il Paesaggio, ai sensi della c.d.legge Galasso, con riferimento
soltanto ad alcune aree del territorio regionale, nel2015 ha approvato il Piano
paesaggistico territoriale regionale (Pptr) (del. G.r. 16 febbraio 2015, n. 176).
Anche in questo caso, il piano è stato costruito come uno strumento complesso,
finalizzato non solo alla tutela dei valori paesistici esistenti, ma anche indirizzato
verso la promozione di forme di valorizzazione del paesaggio, anche attraverso
processi di recupero e di riqualificazione, nonché di realizzazione di nuovi valori
paesistici, secondo quanto indicato dalla Convenzione e dal Codice. Il piano
pugliese è interessante sotto diversi profili: perché presenta una valenza di piano
territoriale con la conseguenza che opera come strumento di indirizzo per la
pianificazione a valle da parte degli enti locali e strategico per la predisposizione
di veri e propri progetti di territorio per il paesaggio regionale; perché promuove
l'adozione di innovativi strumenti di governance e forme di partecipazione per la
produzione sociale del paesaggio; perché è accompagnato anche dalla istituzione
per via legislativa dell'Osservatorio regionale per la qualità del paesaggio. Un
piano ambizioso, quindi, che non vuole solo adempiere al dettato civilistico,
ma anche proporsi come «strumento di ausilio all'attuazione di una strategia
che intende aprire nuovi orizzonti di sviluppo fondati sulla interpretazione
strutturale del territorio, dell'ambiente e del paesaggio e sul riconoscimento
sociale dei loro valori patrimoniali» [Barbanente 2015, 331].
La Regione Toscana, invece, ha preferito integrare il Piano di indirizzo terri-
toriale (Pit) dandogli valenza di piano paesaggistico (del. C.r. 27 marzo 2015,
n. 37). In tema di paesaggio il nuovo strumento si pone tre «metaobiettivi»:
promuovere una migliore conoscenza delle peculiarità identitarie espresse dal
territorio regionale e del ruolo che i suoi paesaggi possono svolgere nelle poli-
tiche di sviluppo della Regione; favorire una maggiore consapevolezza che una
più strutturata attenzione al paesaggio può portare alla costruzione di politiche
maggiormente integrate ai diversi livelli di governo; rafforzare il rapporto tra
paesaggio e partecipazione, tra cura del paesaggio e cittadinanza attiva.
Ultimamente anche la Regione Piemonte ha approvato il Ppr con l'obiettivo di
promuovere e diffondere la conoscenza del paesaggio piemontese e il suo ruolo
strategico per lo sviluppo sostenibile e l'uso consapevole del territorio, nonché
il minor consumo possibile del suolo, la salvaguardia dei valori paesaggistici e
il loro corretto inserimento nei contesti ambientali. In particolare, il Ppr pro-
muove quelle politiche dirette a favorire lo sviluppo equilibrato e sostenibile
del territorio, con particolare attenzione alla valorizzazione dei paesaggi iden-
titari piemontesi. Interessante in questo Piano è anche lo sforzo fatto, anche
grazie alla collaborazione del Mibact, per la puntuale identificazione dei beni
PAESAGGIO 273
Si tratta dell'art. 17 -bis, il quale disciplina il silenzio assenso tra amministrazioni Silenzio assenso
pubbliche, immaginando l' operatività dell'istituto di semplificazione anche nei
casi in cui è prevista l'acquisizione di assensi, concerti o nulla osta comunque
denominati di amministrazioni pubbliche e di gestori di beni o servizi pubblici,
per l'adozione di provvedimenti normativi e amministrativi di competenza di
altre amministrazioni pubbliche, e l'assenso, il concerto o il nullaosta non viene
comunicato entro trenta giorni dal ricevimento dello schema di provvedimento
all'amministrazione procedente. Infatti, decorsi i termini ricordati «senza che
sia stato comunicato l'assenso, il concerto o il nullaosta, lo stesso si intende
acquisito» (commi l e 2).
La disposizione in questione rileva ai nostri fini, in quanto prevede che il silen- Amministrazioni
zio assenso operi anche nei casi in cui l'amministrazione procedente sia tenuta preposte alla tu·
a chiedere un atto di assenso o nulla osta ad amministrazioni «preposte alla tela del patrimo·
tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei nio
cittadini)), limitandosi solo ad ampliare, in queste ipotesi, la durata del termine
di attesa a novanta giorni, salvo il diverso termine previsto da disposizioni
speciali (comma 3 ).
Il silenzio assenso introdotto dalla legge Madia è endoprocessuale e di tipo
decisorio. Non è la prima volta che un meccanismo di semplificazione viene
276 CAPITOLO 5
Si tratta dei casi in cui: a) i lavori sono stati realizzati in assenza o difformità
dall'autorizzazione paesaggistica, ma non hanno determinato creazione di
superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b)
sono stati impiegati materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica; c)
i lavori eseguiti sono configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria
o straordinaria ai sensi dell'articolo 3 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (art.
167, comma 4 ). In queste ipotesi, il proprietario, possessore o detentore a
qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area su cui l'intervento è stato svolto pre·
senta apposita domanda all'autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini
dell'accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi.
L'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio
di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi
entro il termine perentorio di novanta giorni. All'esito del procedimento, se
la compatibilità paesaggistica viene accertata, il trasgressore è tenuto solo al
pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato
e il profitto conseguito mediante la trasgressione, altrimenti si dovrà procedere
con la riduzione in pristino. La giurisprudenza ha più volte segnalato la neces·
sità di accompagnare i pareri della soprintendenza e le dichiarazioni positive o
negative di compatibilità paesaggistica con adeguata motivazione, in modo che
vengano evidenziate le ragioni che hanno spinto le amministrazioni a valutare
come compatibile o meno l'intervento realizzato con i valori paesaggistici
salvaguardati dal vincolo imposto su un immobile o su un'area (ad es., Tar
Campania, Napoli, sez. VII, 15 ottobre 2012, n. 4126).
Passando, poi, alle sanzioni penali, queste sono previste nell'art. 181 del
Codice. La disposizione, al suo primo comma, punisce coloro che eseguono
lavori sui beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione o in difformità di
essa, applicando in queste ipotesi le pene che, con riferimento agli abusi edilizi,
sono disposte dall'art. 44, lett. c, d.p.r. 380/2001, ossia l'arresto fino a due anni
e l'ammenda da 15.493 a 51.645 euro (c.d. contravvenzione paesaggistica).
PAESAGGIO 279
Secondo l'orientamento costante della Cassazione «il reato di cui all'art. 181,
comma l, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, è reato di pericolo e, pertanto, per
la configurabilità dell'illecito, non è necessario un effettivo pregiudizio per
l'ambiente, potendo escludersi dal novero delle condotte penalmente rilevanti
soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere
i valori del paesaggio e l'aspetto esteriore degli edifici>> (Cass. Pen., sez. III, 28
dicembre 2011, n. 4847).
Tale regime, fino a poco fa, riguardava anche le ipotesi di lavori abusivi
compiuti su immobili o aree vincolati sulla base di un provvedimento o
tutelati ex art. 142. La dottrina aveva fin da subito segnalato l'illogicità della
diversità di trattamento riservata alle condotte illecite a seconda se compiute
su beni paesaggistici vincolati per provvedimento o per legge [Amorosino
2010a, 199]. La Corte costituzionale, tuttavia, è intervenuta per dichiarare
l'illegittimità costituzionale della disposizione, ritenendola affetta da manifesta
irragionevolezza e arbitrio, in quanto fondata su una evidente sperequazione
tra fattispecie omogenee che non trova alcuna logica giustificazione (Corte
cost. sent. 23 marzo 2016, n. 56). Per effetto di tale pronuncia si può dire
che «in tema di reati paesaggistici, integra la contravvenzione prevista dal
comma primo di detto articolo [ovvero, l'art. 181] ogni intervento abusivo
su beni vincolati paesaggisticamente, tanto in via provvedimentale che per
legge, configurandosi invece il delitto previsto dal successivo comma l-bis
nella sola ipotesi di lavori che superino i limiti volumetrici ivi indicati» (Cass.
pen., sez. III, 19 aprile 2016, n. 33047).
LETTURE DI APPROFONDIMENTO
È stato per primo N.A. Falcone, Il paesaggio italico e la sua dz/esa. Studio giuridico-estetico, Firenze,
Alinari, 1914, a segnalare che «il paesaggio, sorgente sovrana di ogni ispirazione, attende ancora la
difesa delle sue bellezze» e a promuovere a tal fine una «soluzione giuridica». Ricostruiscono lepri·
me fasi di emersione del concetto di paesaggio nell'ordinamento giuridico nazionale L. Parpagliolo,
Codice delle antichità e degli oggetti d'arte: raccolta di leggi, decreti, regolamentz; circolari relativi alla
conservazione delle cose d'interesse storico-artistico e alla dzfesa delle bellezze naturali, II ed., Roma,
La Libreria dello Stato, 1932, e i diversi contributi contenuti in V. Cazzata (a cura di), Istituzioni e
politiche culturali in Italia negli anni Trenta, Roma, lpsz, 2001. Il diritto che successivamente in sede
nazionale - e ora anche internazionale ed europea - si è occupato di paesaggio è stato oggetto di
ricostruzioni di taglio generale come manuali (S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio,
Roma-Bari, Laterza, 2010; N. Assini e G. Cordini, Beni culturali e paesaggistici. Diritto interno, comu-
nitario, comparato e internazionale, Padova, Cedam, 2006; F. Miscioscia, I beni paesaggistici, in M.A.
Cabiddu e N. Grasso (a cura di), Diritto dei beni culturali e del paesaggio, II ed., Torino, Giappichelli,
2007; A. Crosetti, I.: ordinamento dei beni paesaggistici, in A. Crosetti e D. Vaiano (a cura di), Beni
culturali e paesaggistici, III ed., Torino, Giappichelli, 2011, pp. 179 ss.; A. Morrone, Lineamenti di
diritto dei beni culturali e del paesaggio, Milano, Giuffrè, 2014, p. 223 ss.), parti di trattato (G.F.
Cartei, Il paesaggio, in S. Cassese (a cura di), Trattato di diritto amministrativo. Diritto amministrativo
speciale, Milano, Giuffrè, 2003, vol. II, pp. 2109 ss.), voci enciclopediche o di dizionario (A. Predieri,
Paesaggio, in Enc. Dir., Milano, Giuffrè, 1981, vol. XXX, pp. 510 ss.; M. Immordino, Paesaggio (tutela
del), in Dig.disc. pubbl., Torino, Utet, 1995, vol. X, pp. 573 ss.; G.F. Cartei, Paesaggio, in S. Cassese
(sotto la direzione di), Dizionario di diritto pubblico, Milano, Giuffrè, 2006, vol. V, pp. 4063 ss.; A.
Crosetti, Paesaggio, in Dig.disc. pubbl., Agg. I, Torino, Utet, 2008, pp. 543 ss.).
Sulla nozione di paesaggio così come elaborata nelle sedi non giuridiche è impossibile fornire un quadro
bibliografico completo considerato il numero dei contributi prodotti. In ogni caso, possono risultare
utili: R. Colantonio Venturelli, Il paesaggio, in «Nuova informazione bibliografica», 2006, pp. 637 ss.;
n
C. Tosco, Il paesaggio come storia, Bologna, Mulino, 2007; M. Jakob, Il paesaggio, Bologna, Muli- n
no, 2009; A. Roger, Breve trattato sul paesaggio, Palermo, Sellerio, 2009; Società Geografica Italiana, I
paesaggi italiani tra nostalgia e trasformazione. Rapporto annuale 2009, Roma, 2009; H. Kiister, Piccola
storia del paesaggio, Roma, Donzelli, 2010; S. Settis, Il paesaggio come bene comune, Napoli, La scuola di
Pitagora editrice, 2013; C. Tosco, Beni culturali e paesaggio: una storia italiana, in «Nuova informazione
bibliografica», 2015, pp. 105 ss.; P. Campo resi, Le belle contrade. Nascita del paesaggio italiano, Milano,
nSaggiatore, 2016; G. Volpe, Un patrimonio italiano. Beni culturali, paesaggio e cittadini, Torino, Utet,
2016. Per una ricostruzione del significato che è stato dato in sede giuridica al concetto di paesaggio: P.
Carpentieri, La nozione giuridica di paesaggio, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2004, pp. 405 ss.; S. Cassese,
Introduzione, in Id. (a cura di), I.:Italia: paesaggio e tem.torio, Roma, Gangemi, 2006; E. Boscolo, La
nozione giuridica di paesaggio identitaria ed il paesaggio «a strati», in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 57
ss.; C. Desideri, Paesaggio e paesaggi, Milano, Giuffrè, 2010; R. Fattibene, I.: evoluzione del concetto di
paesaggio tra norme e giurisprudenza costituzionale: dalla cristallizzazione all'identità, in «Federalismi.
it», 2016, n. 10. Sulla configurazione del paesaggio, non solo come bene da tutelare, ma anche come
diritto da rivendicare, si rinvia alle relazioni contenute in W. Cortese (a cura di), Diritto al paesaggio e
diritto del paesaggio, atti del convegno di Lampedusa, 21-23 giugno 2007, N apoli, Editoriale scientifica,
2008, in particolare ai contributi di W. Cortese, Configurazione di un diritto al paesaggio: una teoria
rivoluzionaria o un'ipotesi percorribile?, pp. 19 ss., e C. Barbati, Il paesaggio come realtà etico-culturale,
pp. 31 ss.; S. Settis, Architettura e democrazia, Torino, Einaudi, 2017.
PAESAGGIO 281
Sul paesaggio e la sua disciplina, anche in una prospettiva di ricostruzione evolutiva: G.F. Cartei, La
disciplina del paesaggio tra conservazione e fruizione programmata, Torino, Giappichelli, 1995; Tci, La
tutela del paesaggio in Italia, Roma, 1998; T. Alibrandi e P.G. Ferri, I beni culturali e ambientali, IV ed.,
Milano, Giuffrè, 2001; A. Mansi, La tutela dei beni culturali e del paesaggio, III ed., Padova, Cedam,
2004; G. Sciullo, Il codice dei beni culturali e del paesaggio: principi dispositivi ed elementi di novità,
in «Urb. app.», 2004, pp. 763 ss.; R. Tamiozzo (a cura di), Il Codice dei Beni culturali e del paesaggio,
Milano, Giuffrè, 2005; A.M. Angiuli e V. CaputiJambrenghi (a cura di), Commentario al codice dei
beni culturali e del paesaggio, Torino, Giappichelli, 2005; S. Cassese, Codici e codificazione: Italia e
Francia a confronto, in «Gior. dir. amm.», 2005, pp. 95 ss.; L. Casini, La codificazione del diritto dei beni
culturali in Italia e in Francia, in «Gior. dir. amm.», 2005, pp. 98 ss.; B.G. Mattarella, La codificazione
del diritto dei beni culturali e del paesaggio, in «Gior. dir. amm.», 2005, pp. 793 ss.; G. Trotta, G. Caia
e N. Aicardi (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, in «Le nuove leggi civ. comm.>>,
2005, nn. 5-6, pp. 1045 ss., e 2006, n. l, pp. 124 ss.; G. Cugurra, E. Ferrari e G. Pagliari (a cura di),
Urbanistica e paesaggio, Napoli, Esi, 2006; G.N. Carugno, W. Mazzitti e C. Zucchelli, Codice dei beni
culturali. Annotato con la giun'sprudenza, II ed., Milano, Giuffrè, 2006; G. Leone e A.L. Tarasco (a
cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Padova, Cedam, 2006; A. L. Maccari
e V. Piergigli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio tra teoria e prassi, Milano, Giuffrè,
2006; S. Civitarese Matteucci, La revt'sione del Codice del paesaggio: molto rumore per (poco o nulla), in
«Aedon», 2006; A. Accadia, L. Alfidi e G. Panassidi, I beni culturali e paesaggt'stici, Milano, Il Sole-24
Ore, 2007; G. Caia, Beni culturali e paesaggio nel recente Codice: i pn.ncipi e la nozione di patrimonio
culturale, in Studi in onore di Leopoldo Mazzarolli, Padova, Cedam, 2007, vol. III, pp. 161 ss.; M.
Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, II ed., Bologna, Il Mulino, 2007;
W. Cortese, Il patrimonio culturale: profili normativi, III ed., Padova, Cedam, 2007; G. Galasso, La
tutela del paesaggio in Italia. 1984-2005, Napoli, Editoriale scientifica, 2007; G. Sciullo, Territorio e
paesaggio, in «Aedon», 2007, n. 2; P. Carpentieri, Il secondo «correttivo» del Codice dei beni culturali
e del paesaggio, in «Urb. e appalti», 2008, pp. 681 ss.; C. Marzuoli, Il paesaggio nel nuovo Codice
dei beni culturali, in «Aedon», 2008, n. 3; V. Mazzarelli, La disciplina del paesaggio dopo il d.lgs. n.
63/2008, in «Giom. dir. amm.», 2008, pp. 1068 ss.; W. Vaccaro Giancotti, Il patrimonio culturale nella
legz'slazione costituzionale e ordinan'a, Torino, Giappichelli, 2008; G. Ciaglia, La nuova disciplina del
paesaggio, Milano, lpsoa, 2009; R. Tamiozzo, La legislazione dei beni culturali e paesaggistici, IV ed.,
Milano, Giuffrè, 2009; S. Settis, Paesaggio Costituzione Cemento, Torino, Einaudi, 2010; P. Urbani,
Per una critica costruttiva all'attuale dt'sciplina del paesaggio, in «Dir. ec.», 2010, pp. 41 ss.; P. Marzaro,
L'amminz'strazione del paesaggio. Pro/ili critici ricostruttivi di un sistema complesso, Torino, Giappichelli,
2011; V. De Lucia, La tutela del paesaggio, in «Ec. Cultura», 2011, pp. 379 ss.; M.A. Sandulli (a cura
di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, II ed., Milano, Giuffrè, 2012.
Sui problemi legati al governo del paesaggio e all'articolazione delle competenze: S. Amorosino, La
governance e la tutela del paesaggio tra Stato e Regioni dopo il secondo decreto correttivo del Codice
dei beni culturali e del paesaggio, in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 99 ss.; E. Buoso, Riflessioni sulla
ridefinizione dei ruoli di Stato e regioni dopo la modifica al Codice dei beni culturali e del paesaggio di
cui al D.Lgs. 63 del2008: le competenze legislative e le funzioni amministrative in materia di paesaggio,
in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 114 ss.; G. Falcon, I principi costituzionali del paesaggio (e il riparto
di competenze tra Stato e Regionz), in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 95 ss.; C.P. Santacroce, La gestione
dei vincoli paesaggistici tra ripensa menti centripeti e (ri-)/ormulazioni legislative centrt/ughe, in «Riv.
giur. urb.», 2009, pp. 219 ss.; P. Marzaro, Ept'stemologie del paesaggio: natura e limiti del potere di
valutazione delle amministrazioni, in «Dir. pubbl.», 2014, pp. 843 ss.; A. Clementi, Ridisegnare il
governo del paesaggio italiano, in «Parolechiave», 2016, pp. 69 ss.
282 CAPITOLO 5
Sul rapporto tra paesaggio, ambiente e altri interessi riconducibili al governo del territorio: M.S.
Giannini, «Ambiente»: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in «Riv. trim. dir. pubbi.>>, 1973, pp.
15 ss.; P. Urbani, Urbanistica, tutela del paesaggio e interessi differenziati, in «Le Regioni», 1986, pp.
665 ss.; P. Carpentieri, Paesaggio, ambiente, urbanistica: interrelazioni e distinzioni, in «Ambiente»,
2003, n. 7; S. Civitarese Matteucci, Governo del territorio e paesaggio, in S. Civitarese Matteucci, E.
Ferrari e P. Urbani (a cura di), Il governo del territorio, Milano, Giuffrè, 2003, pp. 225 ss.; M. Pelligra,
Il principio di «leale collaborazione» tra Stato, Regioni ed Enti locali nella tutela del paesaggio, in «Riv.
giur. Mezz.», 2010, pp. 1365 ss.; G. Santangelo, Paesaggio e governo del territorio: profili introduttivi
sulla legge, in «1st. fed.», 2010, pp. 5 ss.; P. Carpentieri, Paesaggio e Corti europee, in «Giustamm.it»,
2013, n. 5; G. Piperata, La tutela dell'ambiente, del paesaggio e dei beni culturali, in M.A Cabiddu (a
cura di), Diritto del governo del territorio, II ed., Torino, Giappichelli, 2014, pp. 84 ss.; C. Marzuoli
e N. Vettori, Paesaggio e interessi pubblici: principi, regole e procedure, in A. Marson (a cura di), La
struttura del paesaggio, Roma-Bari, Laterza, 2016, pp. 225 ss.
In particolare, sulla sentenza della Corte cost. 367/2007: S. Amorosino, La tutela del paesaggio spetta
in primis allo Stato ed è irriducibile al governo (regionale/locale) del territorio, in «Riv. giur. ed.», 2008,
I, pp. 64 ss.; P. Carpentieri, Tutela del paesaggio: un valore di spessore nazionale, in «Urb. app.», 2008,
pp. 309 ss.; M. Immordino, La dimensione «/orte» della esclusività della potestà legislativa statale sulla
tutela del paesaggio nella sentenza della Corte costituzionale n. 367 del2007, in «Aedon», 2008, n. l.
Con riferimento alla rilevanza costituzionale del paesaggio e al suo significato: A.M. Sandulli, Il pae-
saggio nella Costituzione, in «Riv. giur. ed.», 1967, Il, pp. 72 ss.; A. Predieri, Significato della norma
costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Id., Urbanistica, tutela del paesaggio, espropriazione, Milano,
Giuffrè, 1969, pp. 3 ss.; F. Merusi, Art. 9, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione.
Principi/ondamentali, Bologna, Zanichelli, 197 5, vol. l, 442 ss.; M.S. Giannini, Sull'art. 9 della Costitu-
zione, in Studi in onore diA. Falzea, Milano, Giuffrè, 1991, III, pp. 435 ss.; M. Cecchetti, Legislazione
statale e regionale per la tutela dell'ambiente: niente di nuovo dopo la riforma costituzionale del Titolo
V, in «Le Regioni», 2003, pp. 312 ss.; S. Civitarese Matteucci, Il paesaggio nel nuovo Titolo V, Parte
II, della Costituzione, in «Riv. giur. amb.», 2003, pp. 253 ss.; G. Manfredi, Il riparto di competenza
in tema di ambiente e paesaggio dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in
«Le Regioni», 2003, pp. 515 ss.; M. Cecchetti, Art. 9, in R. Bifulco, A. Celotto e M. Olivetti (a cura
di), La Costituzione italiana, Torino, Utet, 2006, pp. 217 ss.; R. Chiarelli, Profili costituzionali del
patrimonio culturale, Torino, Giappichelli, 2010; G. Severini, La tutela costituzionale del paesaggio
(art. 9 Cast.), in S. Battini, L. Casini, G. Vesperini e C. Vitale (a cura di), Codice di edilizia e urbani-
stica, Torino, Utet, 2013, pp. 3 ss.; G. Sabato, La tutela del patrimonio culturale nella giurisprudenza
costituzionale e amministrativa, in «Giorn. dir. amm.», 2017, pp. 116 ss.
Sulla Convenzione europea del paesaggio: A.A. Herrero de la Fuente, La Convenzione europea
sul paesaggio (20 ottobre 2000), in «Riv. giuri. amb.», 2001, pp. 893 ss.; G.F. Cartei (a cura di),
Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, Il Mulino, 2007; D. De Pretis,
Disciplina comunitaria e internazionale del paesaggio, in W. Cortese (a cura di), Diritto al paesaggio
e diritto del paesaggio, atti del convegno di Lampedusa, 21-23 giugno 2007, Napoli, Editoriale
scientifica, 2008, 43 ss.; G. Sciullo, Il paesaggio fra la Convenzione e il Codice, in «Aedon», 2008,
n. 3; M. Renna, Ambiente e territorio nell'ordinamento europeo, in «Riv. it. dir. pubbl. com.», 2009,
pp. 649 ss.; Id. Ambiente e territorio, in G. Sciullo (a cura di), Ordinamento europeo e pubblica
amministrazione, Bologna, Bup, 2009, pp. 27 ss.; M. Sassatelli, Europeizzazione e politiche del pae-
saggio, in «il Mulino», 2009, pp. 343 ss.; C. Drigo, Tutela e valorizzazione del paesaggio. Il panorama
europeo, in «www.giurcost.it», 2010.
PAESAGGIO 283
Sui beni paesaggistici: P. Stella Richter, La nozione di patrimonio culturale, in «Foro amm. - CdS»,
2004, pp. 1280 ss.; G.F. Cartei, I.:individuazione dei beni paesaggistici nel Codice dei beni culturali
e del paesaggio: profili esegetici ed aspetti problematici, in <<WWW.giustamm.it», 2005; P. Carpentieri,
Paesaggio e beni paesaggistici (tra Codice e Convezione europea), in <<WWW.awocatiamministrativisti.
it», 2008; G. Severini, I giardini come beni del patrimonio culturale: storia di una legge e questioni
interpretative, in «Aedon», 2009, n. l. Con particolare riferimento ai centri storici e alle città d'arte:
G. Caia e G. Ghetti (a cura di), La tutela dei centri storici. Discipline giuridiche, Torino, Giappichelli,
1997; C. Lamberti e M.L. Campiani (a cura di), I centri storici tra norme e politiche, Napoli,Jovene,
2015; C. Videtta, I centri storici al crocevia tra disciplina dei beni culturali, disciplina del paesaggio e
urbanistica: profili critici, in «Aedon», n. 3, 2012; S. Fantini, Il centro storico come bene paesaggistico
a ~a/enza culturale, relazione al convegno «l centri storici tra norme e politiche», Gubbio, 6-7 giugno
2014, in «Aedon», 2015, n. 2; M. Cammelli, Città d'arte tra autonomia e regimi speciali, in «Aedon»,
2015, n. 2; A. Bartolini, Lo statuto delle città d'arte, in «Aedon», 2015, n. 2.
Sulle politiche di valorizzazione del paesaggio: S. Amorosino, La valorizzazione del paesaggio e del
patrimonio naturale, in «Riv. giur. ed.», 2009, III, pp. 109 ss.; Id., Tutela e valorizzazione del paesaggio
nella pianificazione regionale, in «1st. fed.», 2010, pp. 27 ss.; L. Casini, La valorizzazione del paesaggio,
in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2014, pp. 385 ss.; Id., Ereditare il futuro, Bologna, Il Mulino, 2016, pp.
141 ss.; G. Severini, La valorizzazione del paesaggio, in «Federalismi.it>>, 2006, n. 11; Id., Il patrimonio
culturale e il concorso dei privati alla sua valorizzazione, in <<WWW.giustizia-amministrativa.it», 2015.
A proposito degli strumenti di tutela del paesaggio, in particolare del piano paesaggistico: M. Fi-
lippi, Piano paesistico, in «Dig. disc. pubbl.», Torino, Utet, 1996, vol. XI, pp. 195 ss.; G. Sciullo,
Pianificazioni ambientali e piam/icazioni territoriali nello Stato delle autonomie, e G. Severini, La
pianificazione paesistica: estensione e contenuti, entrambi in F. Bassi e L. Mazzarolli (a cura di), Pia-
nificazioni territoriali e tutela dell'ambiente, Torino, Giappichelli, 2000, risp. pp. 5 ss. e pp. 101 ss.;
V. Mazzarelli, Il paesaggio dal vincolo al piano e ritorno, in E. Ferrari, N. Saitta e A. Tigano (a cura
di), Livelli e contenuti della pianificazione tem'toriale, Milano, Giuffrè, 200 l, pp. 215 ss.; J .L. Bermejo
Latre, La pianificazione del paesaggio, Rimini, Maggioli, 2002; M. D'Angelosante, Natura e limiti del
potere sostitutivo ministeriale per l'ipotesi di mancata approvazione regionale dei piani paesistici, in
«Riv. giur. amb.», 2003, pp. 571 ss.; G. D'Angelo, Nuovo Codice dei beni culturali e pianipaesaggistici,
in «Riv. giur. ed.», 2004, I, pp. 151 ss.; M. Pallottino, La pianificazione paesistica secondo il codice
dei beni culturali e del paesaggio, in «Riv. giur. urb.», 2004, pp. 525 ss.; P. Urbani, La pianz/icazione
paesaggistica, in «Giustamm.it», 2004, n. 7; S. Civitarese Matteucci, La pianz/icazione paesaggistica: il
coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione, in «Aedon», 2005, n. 3; S. Amorosino, l piani
paesaggistici, in A.L. Maccari e V. Piergigli (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio tra
teoria e prassi, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 525 ss.; P. Urbani, La costruzione del piano paesaggistico, in
«Urb. app.», 2006, pp. 381 ss.; M. Immordino, I pianipaesaggistici nella giurisprudenza costituzionale,
in M.A. Sandulli, M.R. Spasiano e P. Stella Richter (a cura di), Il diritto urbanistico in 50 anni di
giurisprudenza della Corte costituzionale, Napoli, Editoriale scientifica, 2007, pp. 85 ss.; R. Chieppa,
Vecchie problematiche e nuove questioni in tema di piani e autorizzazionipaesaggistiche, in «Aedon»,
2008, n. 3; E. Boscolo, Il Piano paesaggistico della Sardegna tra beni paesaggistici e territori paesaggio,
in «Urb. app.», 2009, pp. 1494 ss.; A. Crosetti, La pianificazione paesaggistica in Piemonte, in «Riv.
giur. ed.», 2010, pp. 199 ss.; P. Lombardi, La pianificazione paesaggistica, in «Federalismi.it», 2012;
n. 22; G.F. Cartei, Autonomia locale e pianz/icazione del paesaggio, in «Riv. trim. dir. pubbl.», 2013,
pp. 703 ss.; G.F. Cartei e D. Traina (a cura di), Il piano paesaggistico della Toscana, Napoli, Editoriale
scientifica, 2016; A. Marson (a cura di), La struttura del paesaggio, Roma-Bari, Laterza, 2016.
284 CAPITOLO 5
Sui vincoli paesaggistici: M. Immordino, Vincolo paesaggistico e regime dei beni, Milano, Giuffrè,
1991; A. Bartolini, Art. 140, in M. Cammelli (a cura di), Il Codice dei beni culturali e del paesaggio,
II ed., Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 559 ss.; A. Crosetti, La composizione degli interessi nel vincolo
indiretto: problemi di proporzionalità, in «Riv. giur. urb.», 2008, pp. 46 ss.; P. Marzaro, Il nuovo regime
del provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico: dal procedimento alla separazione delle
funzioni di tutela dei beni paesaggistici, in «Riv. giur. urb.», 2009, pp. 131 ss.; V. Parisio, Legittimità
e merito nel ricorso amministrativo contro i provvedimenti di vincolo, in <<Riv. giur. urb.», 2009, pp.
165 ss.; N. Aicardi, I vincoli paesaggistici tra Codice e l. r. 23/2009, in «1st. fed.>>, 2010, pp. 81 ss.; G.
Sciullo, I vincoli paesaggistici ex lege: origine e ratio, in «Aedon», 2012, n. 1-2.
Sul profilo relativo ai controlli e alle sanzioni che anche da questi possono scaturire: A. Manna,
Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti penali, Milano, Giuffrè, 2005; M. Occhiena,
Adeguatezza ed efficienza del sistema sanziona/orio: profili amministrativi, in W. Cortese (a cura di),
Diritto al paesaggio e diritto del paesaggio, atti del convegno di Lampedusa, 21-23 giugno 2007,
Napoli, Editoriale scientifica, 2008, pp. 129 ss.; G. Sciullo, Art. 181, in M. Cammelli (a cura di), Il
Codice dei beni culturali e del paesaggio, II ed., Bologna, Il Mulino, 2007, pp. 746 ss.
Cooperazione
Accordi Nel Codice, per quanto riguarda gli accordi, oltre a quelli dedicati a profili gene-
rali come nelle ipotesi degli artt. 9, comma l (Mibact con Chiesa cattolica e altre
confessioni religiose), e 86 (con gli altri Stati membri della Ue per la reciproca
conoscenza e collaborazione in materia) i casi più frequenti riguardano la valo-
rizzazione, artt. 38, commi l e 2 (accordi per l'accessibilità al pubblico di beni
privati al cui restauro lo Stato ha contribuito; copia dell'accordo è trasmessa al
Comune o Città metropolitana); 40 (idem, per beni di Comuni e Regioni: nelle
forme più complesse, se c'è presenza di soggetti pubblici e privati, preceduti da
accordi programmatici, comma 2); 102, comma 4 (accordi per la fruizione di
luoghi o istituti di appartenenza pubblica); 102, comma 5 (accordi per il trasfe-
rimento «della disponibilità)) di istituti e luoghi dal ministero a Regioni o altri
enti pubblici territoriali per facilitarne la fruizione e valorizzazione in termini
di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza); 112, comma 4 (accordi per la
valorizzazione (strategie di valorizzazione, piani strategici di sviluppo) di beni
COOPERAZIONE 287
Disposizioni del b) Le disposizioni del Codice. Veniamo all'esame delle più significative di-
Codice sposizioni del Codice dedicate alla cooperazione istituzionale cominciando
dall'art. 5 del Codice, nel quale viene sottolineato il contributo delle Regioni e
degli altri enti territoriali nella collaborazione allo svolgimento delle funzioni
di tutela dei beni culturali.
In particolare l'art. 5, nella versione modificata dall'art. 16, comma 1-sexies,
del d.l. 19 giugno 2015, n. 79, disposizioni urgenti in materia di enti territo-
riali che ha abrogato il comma 2 e il precedente riconoscimento legislativo
di competenze alle Regioni, lascia aperta la possibilità di attribuire a queste
ultime l'esercizio delle funzioni di tutela relative a manoscritti, autografi,
carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni, non
appartenenti allo Stato «sulla base di specifici accordi o intese e previo parere
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Pro-
vince autonome di Trento e Bolzano, le funzioni di tutela su carte geografiche,
spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi
negativi e matrici, non appartenenti allo Stato» (comma 3).
Sempre attraverso lo strumento della Conferenza, prosegue il comma 4, e sulla
base dei principi di differenziazione e adeguatezza, possono essere individuate
ulteriori forme di coordinamento in materia di tutela con le Regioni che ne
facciano richiesta.
I commi 5 e 6 invece attribuiscono al ministero il compito di vigilare e in-
dirizzare le funzioni esercitate dalle Regioni, eventualmente utilizzando il
potere sostitutivo nei casi di perdurante inerzia e inadempienza, in modo da
assicurare un governo unitario e adeguato delle diverse finalità perseguite.
In questo contesto il ruolo degli altri enti territoriali rimane invece sullo
sfondo. L'art. 5 si limita infatti a prevedere che gli accordi o le intese di cui
al comma 3 possono contemplare particolari forme di cooperazione con gli
altri enti pubblici territoriali.
Negli artt. 6 e 7 del Codice con riguardo alla valorizzazione si precisa, in-
vece, che le disposizioni del Codice rappresentano i principi fondamentali
cui la legislazione regionale dovrà attenersi (art. 7, comma 1), si enuncia il
favor per la partecipazione dei privati (singoli o associati) alla valorizzazione
del patrimonio culturale e si ribadiscono, al comma 2 dell'art. 7 gli obiettivi
dell'armonizzazione, del coordinamento e dell'integrazione delle attività di
valorizzazione del patrimonio culturale.
Tra i numerosi riferimenti del Codice a varie ipotesi di accordi per lo svol-
gimento coordinato delle funzioni (artt. 24, 29, 38, 40, 41, 67, 86, 118, 119),
da sottolineare in particolare l'art. 102, comma 4, secondo il quale «al fine di
coordinare, armonizzare e integrare la fruizione relativamente agli istituti e ai
COOPERAZIONE 293
Fasi n sistema, come osservato fin dai primi commenti [Severini 2006a, 741],
distingue dunque sul piano concettuale e giuridico (di quello operativo, si
dirà tra breve) tre fasi distinte:
- strategica, di identificazione delle linee portanti del progetto di valoriz-
zazione e conseguente identificazione del territorio interessato e dei beni
culturali e dei soggetti direttamente coinvolti (titolari, pubblici o privati, di
questi ultimi). Da notare che è a questo livello che va giocata l'integrazione
tra progetto di valorizzazione e infrastrutture o settori produttivi connessi;
- programmazione specifica, che consiste nella definizione in concreto degli
obiettivi e nella verifica dei tempi e modi della loro realizzazione;
- gestionale, di messa in opera delle diverse attività realizzata in via diretta
o indiretta (v. in/ra, cap. 5).
Queste fasi possono rimanere semplici momenti funzionali distinti all'interno
delle funzioni esercitate da un unico soggetto, nel caso in cui le amministra-
zioni pubbliche non costituiscano un soggetto ad hoc e scelgano la formula
della gestione diretta, o all'estremo opposto possono essere svolte da tre
soggetti distinti e cioè le singole amministrazioni pubbliche (accordo), gli or-
ganismi misti (programmazione specifica), i terzi scelti con gara per la gestione
in forma indiretta (gestione). Ma resta aperta anche un'ipotesi intermedia
limitata a due soggetti, quando al soggetto a partecipazione mista sia affidata
tanto la programmazione specifica che la gestione diretta degli interventi. Una
soluzione che rientra nella logica del sistema, basato sulla distinzione di fasi
e non necessariamente di soggetti, e che evitando la necessità di tre soggetti
distinti appare legittimata da quanto disposto dall'art. 115, comma 2, e dal
riferimento alla gestione diretta in forma consortile pubblica.
n rilievo concreto di questa complessa costruzione è rimasto invece parziale
non solo perché alcuni interventi ne sono rimasti al di fuori, come le fondazioni
di partecipazione (Museo egizio di Torino, Aquileia) riferibili a normative
precedenti e non casualmente qualificate eccezionali [Severini 2015b, 328]
o esiti dell'accordo di programma quadro tra Mibact e Regione Campania
(C. Elmo Napoli, Reggia di Caserta) che non hanno contemplato aperture ai
privati, ma per il fatto che l'art. 112 pur costituendo (insieme all'art. 115) il
punto di riferimento di importanti ma specifiche iniziative (Aquileia, 2006;
Venaria Reale, 2008; Villa reale di Monza, 2008; Roma capitale, 2015), che
saranno riprese tra breve in sede di partecipazione a soggetti privati, per il resto
e in particolare sul versante strategico e programmatico non ha conseguito
gli obiettivi che si proponeva.
Intanto, l'articolazione delle fasi pur corretta sul piano concettuale e consa-
pevole della necessità di evitare una lettura troppo rigida della sequenza e il
conseguente rischio, in caso di problemi su singoli elementi, di un «effetto
domino» sull'intero processo, ha incontrato un sistema amministrativo poco
propenso e preparato a procedere con queste modalità. Altrettanto e anzi più,
come vedremo tra breve, va detto in ordine alla soluzione operativa prospettata
e cioè la costituzione degli appositi soggetti giuridici cui affidare, da parte
di Mibact, Regioni ed enti territoriali, l'elaborazione e la specificazione dei
COOPERAZIONE 295
cioè della base costituzionale (artt. 9 e 33) dell'intera materia [Ainis 1991, 132]
ma che l'azione combinata di un approccio panpubblicistico ancora diffuso
unito a una lettura solo verticale della sussidiarietà tende a confinare impro-
priamente, come si è osservato, nella più ristretta (e commerciale) accezione
di impresa [Tarasco 2011b, 1069].
Cooperazione a) In merito alla modalità di cooperazione strutturale, cioè alla costituzione di
strutturale un apposito e distinto soggetto giuridico cui affidare i compiti richiesti (per
lo più di tipo gestionale), è necessaria qualche precisazione: intanto perché,
come si è appena visto a proposito dell'art. 112, comma 5, Cod., modalità
prioritariamente immaginate per finalità di cooperazione istituzionale possono
prevedere anche l'apporto dei privati; poi perché la possibilità, in quanto tale,
non è detto che si traduca nell'effettiva presenza di questi ultimi; infine, e
soprattutto, perché in questi casi le forme giuridiche in grado di assicurare la
presenza di una pluralità di soggetti sono di natura privatistica (come società,
fondazioni o altro) il che pone un problema ulteriore vale a dire se, quanto e
come il Mibact possa partecipare a questi soggetti.
In questi termini la questione dunque non riguarda il tema della coopera-
zione pubblico-privato ma semmai quello dell'uso di forme privatistiche da
parte del ministero. Naturalmente tra le due cose c'è un rapporto stretto
perché senza le seconde non sarebbe possibile la prima, ma non è vero il
contrario perché questa non è una conseguenza necessaria (potrebbero
partecipare solo soggetti pubblici oppure il Mibact essere, come avviene
in Ales s.p.a., in perfetta solitudine l'unico azionista) e perché comunque
sul piano concettuale restano due modalità (una di organizzazione, l'altra
di relazione) ben distinte.
È proprio in tema di legittimazione del Mibact alla partecipazione di soggetti
di diritto privato che il quadro si è fatto sempre più complesso. Non era così
all'origine, quando l'art. 10 del d.lgs. 20 ottobre 1998, n. 368 («Istituzione del
ministero per i Beni e le Attività culturali>>) autorizzava il ministero a costituire
o partecipare ad associazioni, fondazioni o società secondo modalità stabilite
da apposito regolamento, poi regolarmente adottato (d.m. 27 novembre 2001,
n. 491). I problemi sono nati dopo, con il primo decreto correttivo del Codice
(d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156) che, riordinando la materia e mettendo al centro
l'ipotesi dell'art. 112, comma 5, di cui si è appena detto, cioè la costituzione di
appositi soggetti per l'elaborazione e sviluppo dei piani di valorizzazione da
precisare con specifico regolamento (mai adottato), ha abrogato l'originario
art. 10 del d.lgs. 368/1998.
La situazione così, e su un punto importante come la possibilità o meno per
il ministero di fare ricorso a forme privatistiche cruciali per la stabile aggre-
gazione di più soggetti su progetti complessi, si è fatta decisamente surreale:
della vecchia disciplina abbiamo il regolamento ma non la disposizione legi-
slativa; in quella nuova c'è la base legislativa ma non c'è il regolamento, con
il risultato che non ci si può riferire né alla norma legislativa antecedente,
perché non c'è più, né a quella successiva, perché pur vigente non può essere
applicata per mancanza del richiesto regolamento.
COOPERAZIONE 297
In astratto, e così sembrano orientati anche i competenti uffici del Mibact, non
mancano elementi per superare l'impasse facendo leva sulla generale legittima-
zione all'uso della veste privatistica riconosciuta alla pubblica amministrazione
dall'art. l, comma l-bis, della legge 241/1990 e anche, ma con minore solidità,
sulla sopravvivenza del regolamento del2001 grazie alle previsioni dell'art.
130 Cod. Ma il problema in parte resta, complicato per di più da obiezioni
non del tutto persuasive avanzate dalla Corte dei Conti ad ammettere impegni
di spesa connessi a queste modalità di partecipazione. Ma resta soprattutto
l'ostacolo più pesante, perché queste forme di collaborazione, caratterizzate da
pluralità di soggetti, progetti complessi, scenari temporali di lungo periodo e
importanti risorse messe in gioco, richiedono per loro natura un quadro chiaro
e solido cui riferire presupposti, impegni assunti e reciproco affidamento la
cui mancanza o fragilità finisce per pregiudicare il resto.
Queste Fondazioni sono sottoposte alla vigilanza del ministero, ai sensi del
d.m. 27 marzo 2015 di ricognizione degli enti vigilati e di individuazione delle
direzioni generali cui spetta l'esercizio di tale attività.
Se sono evidenti le esigenze da cui muove, più incerta è invece la tenuta della
soluzione perché l'enunciazione di una generale ammissibilità del partenariato
o si fonda sulla (già) esistente capacità di diritto privato dell'Amministrazione,
il che è più che fondato come si è visto ma rende puramente dichiarativa
la disposizione, o ne presuppone invece la mancanza, che la formulazione
adottata nella sua genericità non pare idonea a correggere. L'esigenza, invece,
è e resta innegabile.
La pratica infatti ha dato vita a figure miste di difficile collocazione giuridica che
vanno dalla collaborazione scientifica alla cooperazione in azioni e manifesta-
zioni di valorizzazione del patrimonio, in Italia e all'estero (v. uscita temporanea
di beni culturali, art. 67 Cod.); dal concorso in attività prodromiche alla (o
integrative della) tutela, quali la ricerca sulle tecnologie e le scienze applicate
al restauro, la catalogazione, la redazione di inventari, alla ricerca archeologica,
anche nelle forme della concessione di cui all'articolo 89 del Codice; dalla colla-
borazione nell'attuazione delle misure di valorizzazione e di gestione delle aree
COOPERAZIONE 299
Esempi recenti di attuazione dell'art. 121 sono gli accordi sottoscritti nel2010
in Emilia-Romagna e Toscana tra Mibact, Regione e le associazioni regionali
delle fondazioni il cui antecedente è rappresentato dalla costituzione di un os·
servatorio paritetico MibactlAcri (Associazione delle Fondazioni italiane) del12
febbraio 2009 per lo scambio reciproco di informazioni e per lo studio di forme
di cooperazione reciproca a livello regionale. In concreto, gli accordi regionali
hanno proweduto a identificare di comune accordo le aree di intervento, le
modalità di definizione dei contenuti specifici e il concorso finanziario, suddiviso
in modo proporzionale tra ministero, Regione e fondazioni. Da notare che la
cooperazione tra livelli e realtà istituzionali genera relazioni positive non solo
tra soggetti contraenti ma anche all'interno di ciascuno di essi: nel Mibact con
il necessario coordinamento tra vertice ministeriale e strutture regionali, e tra
le stesse fondazioni (che nella sola Emilia-Romagna, ad es., sono 19).
Gli accordi sopra ricordati dell'art. 112, commi 4 e 9, e più in generale quelli
riconducibili all'art. 121, rappresentano forme stabili di collaborazione tra
fondazioni di origine bancaria ed enti pubblici che indicano l'emergere di
una zona grigia tra operating e gran! making nella quale le fondazioni non si
limitano a finanziare il progetto (fondazioni gran t making) ma intervengono
attivamente a partire dalla fase di elaborazione del progetto spingendosi
fino alla fase di gestione operativa (fondazioni-operating) [Leone 2013, 63].
Esempi di questo tipo di interventi, come la partnership tra Fondazione Cassa
di Risparmio di Roma ed Eur s.p.a. per la ristrutturazione del Palazzo della
Civiltà del Lavoro all'Eur o tra Comune di Siena e Fondazione Mps per la
COOPERAZIONE 301
LETTURE DI APPROFONDIMENTO
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dal1998), si rimanda a: B. Accettura, L:accordo di programma tra il ministero per i beni culturali e
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turale, in «Ec. Cult.)), n. l, pp. 79 ss. servizio pubblico essenziale, in «Aedom), n. 3.
Indice
analitico
Indice analitico
Manutenzione, 145, 155 s., 233 s., 273 di altri enti pubblici, 55
Mecenatismo culturale, 233 ss. Pennuta, 167
Ministero dei Beni e delle Attività culturali e Pianificazione paesaggistica, 268 ss.
del Turismo Poli museali regionali, vedi Ministero dei Beni e
amministrazione centrale, 93 ss. delle Attività culturali e del Turismo
amministrazione periferica, 112 ss. Prelazione, 17 8 s.
attribuzioni, 87 s. Prescrizioni di tutela indiretta, 161
capo di Gabinetto, 91 Prestito, 162, 225, 228 s.
direzioni generali, 93 ss. Prevenzione, 155 ss.
istituti ad autonomia speciale, 110 s. Professioni e tutela, 183 ss.
istituti centrali, l 07 ss. Programmazione negoziata, 289 ss.
istituzione, 83 ss. Protezione, 17, 19 s., 149 ss.
ministro, 88 ss.
organi consultivi centrali, 101 ss. Restauro, 155 s.
organismo indipendente di valutazione della Restituzione di beni culturali illecitamente usciti,
performance (Oiv), 91 s. 174 s.
organizzazione, 83 ss. Riproduzione, 215 s.
poli museali regionali, 127 ss., 218 s. Ritorno internazionale di beni culturali, 175
segretariati regionali, 113 s., 138 Ritrovamenti e scoperte
segretario generale, 100 s. appartenenza e qualificazione dei beni ritro-
soprintendenza speciale Archeologia, Belle vati, 176
Arti e Paesaggio di Roma, 111 s. concessione di ricerca, 176
soprintendenze, 115 ss. denuncia e obbligo di conservazione, 177
uffici di diretta collaborazione, 89 ss. riserva statale dell'attività di ricerca, 176
ufficio legislativo, 91
Mostre, 228 ss. Sanzioni
Musei statali amministrative per i beni culturali, 186
disciplina, 122, 218 ss. amministrative per i beni paesaggistici, 277 s.
dotati di autonomia speciale, 122 ss., 221 s. civili (nullità degli atti illegittimi), 186
fondazioni museali, 222 s. generalità, 184 s.
museo-ufficio, 221 penali per i beni culturali, 186 ss.
nozione, 121 penali per i beni paesaggistici, 278 ss.
Scuole di formazione e studio, 110
Opere d'arte contemporanee, 42 Servizi per il pubblico, 224 ss., 302
Sicurezza e vigilanza dei musei, 222
Paesaggio Silenzio-assenso, 46
ambiente e governo del territorio, 248 ss. Silenzio-inadempimento, 46 s.
Convenzione europea del, 39 s., 247, 255 ss. Siti Unesco, 192, 230 ss.
evoluzione legislativa, 244 ss. Soprintendenze, vedi Ministero dei Beni e delle
nozione, 33, 37 ss., 246 ss. Attività culturali e del Turismo
valorizzazione del, 209 ss., 263 ss. Sponsorizzazioni, 20, 203 ss., 236 ss.
Partenariato pubblico-privato, 239, 298 s. Strumenti finanziari
Patrimonio culturale capitale italiana della cultura, 213
disciplina costituzionale, 19 grandi progetti beni culturali, 213
nozione, 16 s., 33, 37,258 s. Studi di artista, 162
organizzazione, 23 ss. Sussidiarietà orizzontale (principio di), 74,81 s.
pluralismo degli attori, 20, 25 s., 65 Sussidiarietà verticale (principio di), 72
Patrimonio dello Stato s.p.a., 59
Patrimonio indisponibile Tutela dei beni culturali
dello Stato, 55 del decoro, 193
322 INDICE ANALITICO
funzioni amministrative (riparto), 74, 77 s., dei beni culturali di appartenenza pubblica,
199 s. 82,204 ss.
funzioni legislative (riparto), 69 s., 76 s., del paesaggio, 209 s., 263 ss.
198 ss., 254 s. funzioni amministrative (riparto), 72, 74,
funzioni regolamentari (riparto), 70 77 s., 79 s., 199 s.
nozione, 147 s. funzioni legislative (riparto), 69 s., 78 s.,
sviluppo della legislazione, 143 ss. 197 ss.
Tutela dei beni paesaggistici e del paesaggio, funzioni regolamentari (riparto), 70, 79
261 ss. nozione, 196 s., 203 s.
origini e sviluppo, 201 ss.
Unesco, 33, 192 s., 230 ss. Verifica dell'interesse culturale, 43 ss.
Vigilanza sui beni culturali, 150
Valorizzazione Vigilanza sui beni paesaggistici, 276 s.
attività, 206 ss. Vincoli paesaggistici, vedi Beni paesaggistici (o
dei beni culturali di appartenenza privata, ambientali)
83,204 ss. Vincoli storico-artistici, vedi Beni culturali