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FACEBOOK,

INSTAGRAM, TWITTER E …

PENSATE
DAVVERO DI
CONOSCERLI?
Ecco come usarli e non far(si) danni

A cura di Federica Seneghini


Testi di: Martina Pennisi, Alice Scaglioni, Greta Sclaunich,
Federica Seneghini, Chiara Severgnini

Prefazione di Nicola Saldutti


Facebook, Instagram, Twitter e …
PENSATE DAVVERO DI CONOSCERLI?
Ecco come usarli e non far(si) danni
A cura di Federica Seneghini
©2021 RCS MediaGroup S.p.A.

Testi di Martina Pennisi, Alice Scaglioni, Greta Sclaunich,


Federica Seneghini, Chiara Severgnini

Prefazione di Nicola Saldutti

Finito di stampare nel mese di Novembre 2021


per conto di RCS MediaGroup S.p.A.
presso ELCOGRAF

Pubblicazione in abbinamento gratuito a Corriere della Sera

Printed in Italy
LE NUOVE CONNESSIONI, PER LA CRESCITA

Sono tempi intermittenti, questi. Nei quali i modi di comunicare


tra le persone, le istituzioni, le community, gli Stati, le imprese, si
sono modificati e si modificano continuamente. Basta osservare
come ciascuno di noi utilizza (o non utilizza) i social network, il
nuovo tessuto connettivo, che ha consentito a molti di affrontare
la pandemia con le sensazione di essere meno soli. Eppure dentro
questo multiverso, come comincia a chiamarlo Facebook, ci sono
aspetti che possono diventare rischiosi per la stessa tenuta delle
relazioni. Due lati di un mondo che ha profondamente mutato il
modo di costruire legami, condividere la bellezza, persino creare
e gestire imprese. Questo è il grande cambiamento, paragonabile
alla rivoluzione industriale. Allora fu il vapore a cambiare il desti-
no dei telai meccanici, qui è la dimensione individuale a trasfor-
marsi. Basti solo pensare alla «quotazione» degli e delle influencer
che raccolgono numeri milionari di seguaci (follower).
Reti sociali, appunto. Attraverso le quali trasmettiamo immagini
di noi, pensieri, riflessioni, richieste di lavoro, identità, emozioni,
interessi. Una dimensione che fino a qualche tempo fa qualcuno
si ostinava a definire virtuale. Invece quello che è accaduto in que-
sti anni, tutto sommato recenti visto che la parola appare per la
prima volta nel 2004, è che la dimensione dei social network e
quella della vita «reale» si sono sempre di piu intrecciate, interse-
cate. Qualche volta persino confuse. Qualcuno comincia a parlare
con insistenza della necessità di una sorta di «emancipazione tec-
nologica» che non riguardi necessariamente la generazione Z, ma

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che cominci a interessare tutte le fasce di età. Il fenomeno dell’eco,


del sentire persino le proprie opinioni confermate dal rimbombo
social, dei post che si rincorrono. Ma anche l’accesso a mondi pri-
ma irraggiungibili, la sensazione di un colloquio diretto con figure
considerate di riferimento. Oppure le nuove occasioni di lavoro
costruite grazie alla rete di LinkedIn.
Ecco, il bisogno di tessere relazioni, costruire futuro, anche con
l’ausilio dei mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione è una
forza insopprimibile. Per questo è necessario conoscerli, studiarli,
talvolta prenderne le distanze. Queste pagine che avete tra le mani
(di carta per parlare di social, proprio a confermare la tesi che vi-
viamo ormai in piu dimensioni contemporaneamente) vogliono
essere utili proprio a questo: a farli conoscere in maniera un po’
piu approfondita per poterli utilizzare al meglio nella vita quoti-
diana, limitando i rischi di un cattivo utilizzo. Quando si posta
una foto, un testo, quali sono i nostri diritti? Quali sono i nostri
doveri per non abusare di questo diritto nei confronti delle altre
persone? Non vuole e non può essere un manuale completo, ma
una bussola sì. Veloce, come i tempi che viviamo.

 Nicola Saldutti

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1 - DICIASSETTE ANNI DI SOCIAL NETWORK

S econdo l’enciclopedia Treccani, l’espressione «social network» in-


dica «siti internet o tecnologie che consentono agli utenti di con-
dividere immagini, testi, video e audio e di interagire tra loro». Era il
24 luglio 2004, quando la parola comparve per la prima volta sul Cor-
riere della Sera. Nell’articolo le «reti sociali» venivano descritte come
«strumenti agevoli per tenere i contatti con la propria cerchia di amici-
zie o di lavoro». Dodici anni dopo, il settimanale Time eleggeva come
persona dell’anno un simbolico «tu», cioè tutte le persone che hanno
partecipato all’esplosione della democrazia digitale.
Oggi sono oltre 41 milioni gli italiani attivi sui social (We are
Social, 2021). A livello globale Facebook sfiora i 2,8 miliardi di
iscritti, Instagram oltre 1,2 miliardi. I cinesi di WeChat seguono
a ruota con 1,2 miliardi di utenti, TikTok ha da poco raggiunto
1 miliardo di utenti attivi. I social, che in un primo tempo molti
avevano snobbato considerandoli semplici passatempi o fenome-
ni destinati ad avere vita breve, sono ancora qui. Utili per tutti. E
potenti. Facebook, Instagram, TikTok & Co hanno riscritto le re-
gole della pubblicità, hanno lanciato e amplificato grandi battaglie
–, da #MeToo a #BlackLivesMatter –, hanno cambiato per sempre
il nostro modo di informarci.
Ma si tratta anche di strumenti che hanno fatto emergere que-
stioni spinose come il diritto alla privacy, il cyberbullismo, le fake
news, le gigantesche «bolle» in cui ognuno di noi è immerso ogni
giorno che rendono confuso il panorama dell’informazione. Sia-
mo tutti più o meno consapevoli del rischio che i social esaltino il
pensiero più diffuso tra i nostri amici, schiacciando quello diverso
dal nostro e rendendo dunque difficile l’esercizio di un (sempre
necessario) senso critico.

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Per questo è importante sapere usare bene questi strumenti.


Come costruire la propria identità digitale? Come parlare alla pro-
pria community? Come funzionano gli algoritmi che regolano Fa-
cebook e le altre piattaforme?
A volte pensiamo di avere la situazione sotto controllo. Finché
troll e haters – che sono sempre esistiti, non li ha inventati la Rete
- ci fanno sentire sotto attacco e indifesi.
Sapere chi seguire, costruendo feed utili e selezionati, diventa
dunque fondamentale. Bisogna pensare agli obiettivi, chiedendoci
sempre, prima di aprire un account e dedicarci del tempo, a cosa
mi serve? Sarà in grado di gestirlo? E i miei figli, che passano così
tanto tempo su TikTok, sono al sicuro? Chi è la generazione Z? E
gli influencer, cosa fanno esattamente?
Capire tutto questo non facile, ma è necessario.
Fa parte del mondo in cui viviamo.

LA CLASSIFICA: MILIONI DI UTENTI DEI SOCIAL NETWORK IN ITALIA

Facebook - 31
Instagram - 25
Linkedin - 15
Snapchat - 3,5
Twitter - 2,80
Fonte: We Are Social - Hootsuite 2021

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2 - COME RACCONTARSI SUI SOCIAL


I social sono nati per connettere le persone. E il modo migliore
per farlo sono le emozioni, che stimolano (e consolidano) il senso
di vicinanza e di comunità, insieme alle idee, i valori e la capacità
di raccontare il nostro brand, ovvero noi stessi. Come raccontarsi,
quindi, sul proprio profilo?
La prima regola da tenere a mente è adattarsi alla piattaforma:
ogni social ha un suo linguaggio, cui deve essere applicato lo
storytelling. Una volta individuata la piattaforma che si vuole usa-
re, bisognerà adattare il racconto a essa, prediligendo i contenuti
più adatti a uno o all’altro social network. Pensando a come otti-
mizzare un profilo, la prima cosa da cui partire sono le informa-
zioni di base dell’utente: nome, foto e biografia.

IL NOME UTENTE
Il nome deve essere in linea con il brand personale, quindi nome
e cognome se normalmente è così che l’utente è riconoscibile; il
nickname con cui è già conosciuto su altre piattaforme o tramite
altri mezzi di comunicazione (televisione, radio, editoria) o an-
cora il nome dell’azienda, se il profilo è associato a un marchio
commerciale.

LA FOTO PROFILO
La foto profilo deve aiutare un potenziale follower a dare un volto
all’utente o a renderlo riconoscibile. Se si parla di una persona,
un ritratto in primo piano è l’ideale, dato che sui social il volto
di un utente ha un valore di engagement più alto. Importante: se
abbiamo un profilo su social network diversi è consigliabile usare
sempre la stessa foto profilo.

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LA BIO
La biografia deve far capire chi siamo e di cosa ci occupiamo, sen-
za risultare insipida. Quindi sì a link a siti web e menzioni di pro-
fili che siano coerenti e che allo stesso tempo possano arricchirla e
renderla più interessante.

I CONTENUTI
Ogni social ha un suo linguaggio, ma ci sono regole che vanno
bene per tutti. Il filo rosso che lega ogni contenuto è lo storytel-
ling. Cosa vogliamo postare? Come vogliamo farlo? Al netto
delle differenze tra le piattaforme, possiamo pubblicare foto, te-
sti brevi o lunghi, caroselli (più contenuti in un unico post, che
siano tutte foto, video o un mix dei due), video, post con link.
A questi si aggiungono le dirette: video live con cui l’utente può
interagire con i propri follower. Ogni social ha una sezione de-
dicata alla creazione di contenuti, da cui si possono selezionare
foto, video, aggiungere testo o link (quest’ultimo è possibile solo
su Facebook, Twitter e LinkedIn) e confezionarli prima di pub-
blicarli. Per esempio si possono modificare le foto e i video ag-
giungendo filtri, scegliere l’ordine dei contenuti di un carosello,
inserire emoticon e hashtag.

COME ESSERE RICONOSCIBILI


Sperimentare e alternare i vari formati serve a mantenere vivo
l’interesse dei follower, ma l’importante è non perdere di vista
lo storytelling: sono perfetti quei dettagli (colore dei post, stile di
scrittura, temi di cui si parla, messaggi e valori) che insieme con-
tribuiscono a creare un racconto riconoscibile. Un piccolo trucco
è rendere il profilo armonioso, nei colori e nello stile che si sceglie
di adottare. Ci sono siti e applicazioni che consentono di creare

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facilmente post per i social: Canva, per citarne uno, è utile e com-
pleto anche nella sua versione gratuita (canva.com). L’obiettivo:
essere sempre riconoscibili.

3 - COS’È UNA COMMUNITY E COME


SI COSTRUISCE
Una community è un insieme di utenti legati fra loro da interessi
comuni e che, in base a questi, si scambiano esperienze e punti
di vista. Non necessariamente coincide con l’insieme di chi segue
un profilo e per questo «scorciatoie» come l’acquisto di follower
a pagamento non aiuta nella creazione di una community, anzi.
Pensiamo alle persone che seguiamo: quante di queste non ricor-
diamo nemmeno perché le abbiamo aggiunte e di quante, invece,
osserviamo post e stories con interesse, interagendo attraverso
commenti e messaggi privati? La differenza tra seguire qualcuno
ed essere membro di una community è esattamente questa.

A COSA SERVE?
La community è come un circolo virtuale in cui incontrare perso-
ne che hanno i nostri stessi interessi e con cui scambiarci pareri,
idee e novità su un determinato tema. Per chi lavora con i social,
avere una community di riferimento è essenziale: molte aziende
oggi puntano ai «micro-influencer» (dai 10 mila ai 100 mila fol-
lowers) e addirittura ai «nano influencer» (dai mille ai 10 mila fol-
lower) proprio perché hanno community piccole ma molto forti e
omogenee, spesso focalizzate su temi di nicchia.

COME SI CREA?
Il primo passo è decidere su quali temi specializzarsi e a chi ri-

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volgersi. Il secondo, capire cosa offrire alla propria community


e in che modo coinvolgerla. Il modo più semplice e immediato è
raccontare una storia, ma questo non significa che si debba rac-
contare la propria vita privata (a meno che non lo si desideri).
Significa invece creare qualcosa di personale, un «noi» condiviso
su argomenti comuni in cui gli altri si possano riconoscere e che
diventerà la base della discussione. Ricordiamoci sempre che in
questa conversazione virtuale siamo parte attiva: proprio come in
un circolo facciamo in modo che non si tratti di un dialogo a sen-
so unico. Per esempio rispondendo ai messaggi privati, commen-
tando i contenuti altrui, intervenendo quando i toni rischiano di
alzarsi. Prendiamo spunto anche dalle community di cui noi stessi
facciamo parte, prendendo la parola sul tema del giorno quando è
nelle nostre corde, sperimentando strumenti diversi e coinvolgen-
do altri content creator.

IL RUOLO DELLA MESSAGGISTICA


Molti content creator sono presenti su più social (qualche indi-
cazione su quale privilegiare e come farlo al meglio nel capitolo
2). Alcuni però provano anche ad andare oltre, per esempio de-
clinando i propri contenuti anche su piattaforme diverse come
blog, podcast o newsletter; puntando sulle applicazioni di mes-
saggistica, come WhatsApp o Telegram e creando dei gruppi ai
quali aggiungere via via gli utenti che lo richiedono. Il vantaggio:
community più sicure, forti ed esclusive che portano, in alcuni
casi, a incontri dal vivo (eventi e occasioni che puntano a far co-
noscere i propri membri nella vita reale). Molti influencer usano
i gruppi sulle chat di messaggistica anche per assicurare ai propri
follower contenuti in anteprima, come codici sconto o link a pro-
mozioni dedicate.

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COME SI MANTIENE?
Con costanza, restando attivi sia nella creazione e condivisione
di contenuti che nell’interazione con i membri della communi-
ty. Con coerenza: non bisogna per forza bloccarsi su determinati
temi, ma è importante tenere presente perché la community ci
segue e cosa si aspetta da noi. Con trasparenza e onestà: chieden-
do sempre il permesso di ripostare commenti e messaggi privati;
menzionando o taggando i contenuti altrui che ricondividiamo;
se si lavora con delle aziende ricordandosi sempre di specifica-
re se i contenuti sono #gifted o #suppliedby (regalati), #affiliated
(quando, per esempio, si promuove un codice sconto ricevendo in
cambio una percentuale), #adv, #inpartnershipwith o #incollabo-
razionecon (a pagamento, cioè l’azienda ha pagato un content cre-
ator per pubblicare quel contenuto in particolare e sponsorizzare
il proprio prodotto o servizio). Ricordiamoci sempre: facciamo
parte di altre community e comportiamoci sempre come vorrem-
mo che gli altri si comportassero con noi.

COME DIFENDERSI DA TROLL E HATERS


I troll sono utenti che partecipano alle discussioni per disturbare
e provocare litigi, mentre gli hater sono i cosiddetti «leoni da ta-
stiera» e possono arrivare a minacce serie. La prima cosa da fare,
dunque, quando veniamo attaccati sui social, è capire se dall’altra
parte ci sono troll e/o haters oppure persone con le quali si può
intavolare un dialogo costruttivo. In questo secondo caso si può
aprire una discussione, altrimenti meglio rispondere con ironia
o non rispondere affatto (soprattutto se si tratta di profili falsi).
Se gli attacchi sono particolarmente violenti, si possono bloccare
questi profili; se contengono insulti e minacce si può valutare la
denuncia alla Polizia postale.

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LE PAROLE SONO IMPORTANTI


Il Manifesto della comunicazione non ostile, dell’Associazione
Parole O_Stili, è una carta che elenca dieci princìpi di stile utili a
migliorare lo stile e il comportamento di chi sta in Rete. È edito
dall’Associazione Parole O_Stili (www.paroleostili.com), una com-
munity contro la violenza 2.0 che intende far riflettere sull’influen-
za delle parole nella società e sull’importanza di sceglierle con cura.
«L’obiettivo è sensibilizzare contro la violenza delle parole. Ci ri-
volgiamo a tutti i cittadini consapevoli del fatto che virtuale è re-
ale», spiega Rosy Russo, ideatrice del progetto, «e che l’ostilità in
Rete ha conseguenze concrete, gravi e permanenti nella vita delle
persone. Il nome Parole O_Stili vuole giocare con la parola ostili,
intesa proprio nel termine di ostilità, e stili ovvero come i diversi
stili di comunicazione che possiamo decidere di adottare in rete».
«La Rete è ormai il luogo privilegiato dell’incitamento all’intolle-
ranza e alla diffamazione - continua Rosy Russo - noi abbiamo
l’ambizione di ridefinire lo stile con cui ci relazioniamo online e
offline».
Nato nel 2017 il Manifesto della comunicazione non ostile è sta-
to tradotto in 34 lingue, è stato declinato per sei diversi ambiti,
è diventato il protagonista della formazione di oltre 1 milione di
studenti e 250 mila insegnanti attraverso la piattaforma www.an-
cheioinsegno.it. Ha ispirato cinque progetti editoriali e ha ricevu-
to la Medaglia di Rappresentanza del Presidente della Repubblica.
Decine di aziende nazionali e internazionali lo utilizzano come
strumento di divulgazione e cambiamento.
Ecco dunque le linee guida da tenere a mente quando si scrive sui
social. Suggerimenti per costruire una comunicazione responsa-
bile e inclusiva e per rendere la Rete un luogo accogliente e sicuro
per tutti.

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IL MANIFESTO DELLA COMUNICAZIONE NON OSTILE


1) Virtuale è reale
Dico e scrivo in rete solo cose che ho il coraggio di dire di persona.
2) Si è ciò che si comunica
Le parole che scelgo raccontano la persona che sono: mi
rappresentano.
3) Le parole danno forma al pensiero
Mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel
che penso.
4) Prima di parlare bisogna ascoltare
Nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e
apertura.
5) Le parole sono un ponte
Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli
altri.
6) Le parole hanno conseguenze
So che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi.
7) Condividere è una responsabilità
Condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi.
8) Le idee si possono discutere.
Le persone si devono rispettare
Non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un ne-
mico da annientare.
9) Gli insulti non sono argomenti
Non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi.
10) Anche il silenzio comunica
Quando la scelta migliore è tacere, taccio.

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4 - NON SOLO FACEBOOK: INSTAGRAM,


TIKTOK, TWITTER, YOUTUBE E LINKEDIN
Tralasciata l’impronta comune – creare relazioni – in realtà le
piattaforme che riuniamo sotto il cappello di «social network»
sono molto diverse tra loro, per linguaggio, per utenti e per scopo.
Non esiste un social migliore degli altri. Tutto dipende da cosa
cerchiamo, da cosa vogliamo raccontare, da come lo vogliamo
fare e a chi vogliamo rivolgerci.

TIKTOK
Se l’obiettivo è parlare alla generazione Z – (le persone nate tra la
metà degli anni Novanta e la fine dei Duemila, di cui parliamo nel-
le prossime pagine), la scelta migliore è TikTok. L’età media degli
utenti è più bassa rispetto a quella delle altre piattaforme e il lin-
guaggio mescola divertimento e attivismo: si alternano trend iro-
nici con video che riportano messaggi come la lotta per la parità
di genere, la denuncia di abusi, l’importanza della salute mentale
e la difesa del Pianeta. Nell’estate del 2021 TikTok ha superato un
miliardo di utenti attivi al mese (secondo We are social, nell’aprile
2021 erano 732 milioni).

LINKEDIN
Vogliamo trovare un lavoro o connetterci con persone per sentir-
ci stimolati dall’apporto di idee, riflessioni e spunti professionali?
Nulla è più indicato di LinkedIn. Il social di proprietà di Micro-
soft dichiara 774 milioni di iscritti, ma non bisogna pensare che
sia utile solo per cercare lavoro (e si possa quindi dimenticare di
avere un profilo quando non si è alla ricerca di un’opportunità). Il
profilo LinkedIn è una vera e propria vetrina professionale, dove

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Facebook, Instagram, Twitter e …

le persone possono visualizzare il racconto che vogliamo fare della


nostra vita lavorativa.

YOUTUBE
Siamo musicisti, cantanti, attori o divulgatori – o semplicemen-
te lavoriamo con la nostra immagine? YouTube ha contribuito a
far conoscere migliaia di creator – le persone che guadagnano con
i contenuti che postano online – che hanno iniziato caricando sul
proprio canale video girati nella loro cameretta. Ha oltre due miliar-
di di utenti attivi ed è una piattaforma di video sharing che consente
di caricare e fruire di filmati di varia durata. Vi si trovano recensioni,
video di esibizioni, notizie, live streaming e di base è gratuito (con
alcune limitazioni): c’è poi la possibilità di iscriversi alla versione
Premium, che consente di guardare i video senza pubblicità, scari-
care i filmati per guardarli offline e riprodurli in background. Utenti
attivi al mese: oltre 2,2 miliardi (fonte: We are social, aprile 2021).

TWITTER
Twitter è molto usato da chi commenta l’attualità, specialmente
politici, comunicatori e giornalisti. È un social più «di nicchia»
rispetto agli altri: conta 396 milioni di utenti al mese (fonte: We
are social, aprile 2021). Consente di condividere brevi messaggi di
testo (tweet, ndr), video, foto e link, per un conteggio massimo di
280 caratteri. Si possono usare gli hashtag (#qualcosa) per tagga-
re un nostro tweet in un contenitore più ampio, le menzioni per
inserire un altro profilo nel tweet, scrivere un pensiero più lungo
e articolato concatenando più tweet insieme a formare un thread.

INSTAGRAM
Instagram è la piattaforma prediletta dagli amanti della fotogra-

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fia e dell’estetica, dagli influencer (o aspiranti tali), che possono


costruire uno storytelling articolato e originale grazie ai diversi
formati di contenuti che il social consente di pubblicare (Story,
Reel, video in verticale, dirette, caroselli, foto), ma anche dalle
aziende, vista la possibilità ampiamente sdoganata di vendere e
acquistare direttamente dalla app. Dal 2012 fa parte dell’azienda
Facebook. Utenti attivi al mese: oltre 1,2 miliardi in tutto il mon-
do (fonte: We are social, aprile 2021).

FACEBOOK
Ultimo, ma non per importanza, Facebook: fondato nel febbraio
2004, oggi conta oltre 2,7 miliardi di utenti attivi al mese (fonte:
We are social, gennaio 2021). Rimane un porto sicuro per chi
vuole muovere i primi passi su un social, sia per costruirsi una
community, aderire a una già esistente, riallacciare i rapporti
con persone lontane o fare business. Consente di aprire profili
singoli, pagine aziendali, gruppi aperti o chiusi per riunire più
persone, vendere su Marketplace. Come Instagram, dà la pos-
sibilità di postare varie tipologie di contenuti, dalle fotografie ai
video, ma anche caroselli, link, post di testo, story, condividere
«stati d’animo» e «attività», dialogare in «stanze» private (che
altro non sono che degli spazi per effettuare videochiamate tra
utenti).

5 - INFLUENCER, QUESTI SCONOSCIUTI


Secondo il nuovo Devoto Oli, un influencer è «una persona in gra-
do di condizionare i gusti e le scelte di un determinato pubblico».
Attori, sportivi, cantanti che si fanno pagare per promuovere pro-
dotti attraverso le loro pagine social o personaggi nativi digitali,

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vale a dire nati ed esplosi online. Da Chiara Ferragni, che su In-


stagram ha ormai oltre 23 milioni di follower, a tutta una miriade
di piccole celebrità nei settori più disparati. Siamo più portati ad
acquistare un prodotto quando ce lo consiglia qualcuno che co-
nosciamo. È per questo che le aziende vogliono promuovere i loro
marchi attraverso i volti familiari delle star sui social, spendendo
una parte dei loro budget pubblicitari nel cosiddetto influencer
marketing.
«Gli influencer più forti sono quelli con un engagement rate – il
tasso di interazione – più alto», spiega Alessandro Bogliari, cofon-
datore e CEO di The Influencer Marketing Factory, agenzia con
sede a New York e a Miami che funge da intermediaria tra brand e
influencer. «Noi riceviamo le richieste delle aziende che hanno bi-
sogno di pubblicità, individuiamo le personalità adatte in base agli
obiettivi della campagna e al pubblico da raggiungere e cerchiamo
di portare in porto la collaborazione».
Con i loro post – cliccati, commentati e condivisi migliaia e miglia-
ia di volte – gli influencer riescono a spingere gli utenti a comprare
un prodotto, a visitare una città o un museo, a scegliere un libro
piuttosto che un altro. Di fatto, a spendere del denaro. Ed è questo
il loro valore: per questo sono così importanti per le aziende.

QUANTI SONO GLI INFLUENCER IN ITALIA?


La risposta più semplice è: non si sa. Secondo alcune stime in
Italia quelli con più di 10mila follower sono quasi 100mila su
Instagram, 11mila su Youtube, 72mila su TikTok. Ma altre piat-
taforme di ricerca influencer fanno calcoli diversi. «Sono numeri
da prendere con le pinze, visto che non esiste un elenco ufficia-
le o un albo. Gli unici a dati a disposizione sono il numero di
follower, le loro demografiche e altri dati di approfondimento

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Facebook, Instagram, Twitter e …

chiamati insights – sintetizza Bogliari – È fondamentale però ef-


fettuare, dopo una prima analisi quantitativa, quella qualitativa
per definire se una persona possa essere realmente definita un
influencer o meno».

QUANTO COSTANO I SERVIZI DI UN INFLUENCER?


Non c’è un listino prezzi. «Tutto dipende dal brand, dalla cam-
pagna, dal numero di follower, che devono essere reali e vengo-
no verificati con software appositi. Ma soprattutto dal numero di
persone che si riescono a raggiungere. C’è chi si accontenta degli
omaggi e chi raggiunge cifre a quattro-cinque-sei zeri».
«Le tariffe degli influencer che si occupano di finanza sono in me-
dia più alte, perché si tratta di ambienti in cui girano più soldi. Bi-
sogna poi fare una distinzione sul tipo di contenuti. Farsi un selfie
con un prodotto ha prezzi diversi rispetto a creare un contenuto
di livello più alto che può arrivare ad impegnare un influencer
anche per diversi giorni di lavoro».
La precisione con cui si riesce a intercettare il target desiderato
e l’efficacia della campagna giustifica i prezzi, che possono esse-
re anche molto alti. Spiega Bogliari: «Se scelti bene, gli influencer
possono far aumentare in modo visibile e rapido gli acquisti onli-
ne di ciò che pubblicizzano».

6 - I SOCIAL SONO SICURI PER I RAGAZZI?


La prima cosa da tenere a mente è che i social non sono sicuri per
le ragazze e i ragazzi nella misura in cui non lo è il parchetto sotto
casa, se i genitori non sono alla finestra, o la strada in direzione
della scuola, se viene percorsa senza la supervisione di un adulto.
Piattaforme come TikTok, Instagram e Youtube altro non fanno

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Facebook, Instagram, Twitter e …

che replicare online le problematiche della vita offline, e rischia-


no anche di amplificarle, in virtù delle caratteristiche proprie di
Internet.

CYBERBULLISMO, SEXTING E GROOMING


Il cyberbullismo, per esempio: rispetto alla sua versione non di-
gitale può coinvolgere molte più persone che prendono in giro
o insultano la vittima e non ha limiti spazio-temporali oggettivi,
perché i social, a differenza della scuola o degli altri contesti fisici
in cui possono perpetuarsi gli attacchi, non chiudono mai.
Altri fenomeni sono nati o si sono sviluppati soprattutto con l’av-
vento del digitale: il sexting – l’invio di foto sessualmente esplicite,
praticato dal 17% dei più giovani (fonte: InternetMatters.org) ma
di cui il il 90% degli adolescenti e dei pre-adolescenti non ha mai
parlato con i genitori (fonte: Telefono Azzurro) – o il grooming
– l’adescamento online di minori, che spesso rimbalza da una
piattaforma all’altra: del 25% dei 9-17enni americani che ha avuto
interazioni sessualmente esplicite su Internet con maggiorenni,
più della metà di chi ha bloccato il predatore è stato ricontattato
altrove (fonte: Thorn) –.
Il neuropsichiatra infantile e fondatore di Telefono Azzurro Er-
nesto Caffo ha spiegato che «i fattori di rischio maggiori sono la
precocità dell’uso degli strumenti digitali e il fatto che per molti
bambini e adolescenti questa esperienza viene fatta in solitudine.
I codici di riferimento spesso determinati dal mondo degli adulti
portano ovviamente i bambini a delle prove e a delle esperienze
che possono essere delicate e a volte tossiche. Bisogna individua-
re precocemente questi fattori di rischio e affrontarli con una
maggiore attenzione da parte degli adulti per evitare il contat-
to con materiali che possono essere ansiogeni e tossici. Servono

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inoltre piattaforme che siano sempre più attente a non far acce-
dere i minori a contatti, relazioni e linguaggi che hanno altre età
e ad altre esperienze emotive».

COSA FARE
La prima cosa da tenere in conto è il fatto che la creazione di un
profilo sulla maggior parte delle piattaforme dovrebbe essere ri-
servata agli over 13 e che le piattaforme stesse non sono autorizza-
te a trattare i dati dei cittadini europei di età inferiore ai 14 anni.
Genitori, insegnanti, fratelli e sorelle maggiori dovrebbero vigila-
re sul rispetto di questi limiti. E adoperarsi per acquisire le infor-
mazioni necessarie per affiancare i più piccoli nella navigazione
(che può avvenire anche senza creare per forza un profilo): come
funzionano i social, chi sono i personaggi più noti, quali sono le
trappole.
Ci sono alcuni strumenti utili per fare un monitoraggio un po’
più attivo. Su tutti Family Link, un’app di Google disponibile sia
per Android sia per iOS che permette di gestire le app del minore,
bloccare il suo smartphone da remoto o rintracciare la posizione
in cui si trova.
Anche TikTok consente di associare il proprio profilo a quello del
minore e di gestire il tempo trascorso sull’applicazione o limitare
o disattivare la ricezione di messaggi privati.
Su Instagram, invece, tutti i profili degli under 18 sono automati-
camente impostati come privati. Questo vuol dire che devono ac-
cettare l’eventuale richiesta di utenti che vogliono vedere e com-
mentare i loro post, Storie o Reel o aggirare del tutto l’ostacolo
decidendo di passare alla modalità pubblico. Il consiglio è di vigi-
lare su queste e sulle altre impostazioni dei profili. E di informarsi
e aggiornarsi: l’unica vera arma è il dialogo.

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Facebook, Instagram, Twitter e …

7 - L’ALGORITMO DELLA NOSTRA VITA


«Algoritmo» è una parola antica, ma designa qualcosa di estre-
mamente contemporaneo. Il termine, stando al dizionario, indica
ogni «schema o procedimento sistematico di calcolo», ma la defi-
nizione non rende appieno giustizia al ruolo degli algoritmi nella
nostra vita quotidiana. Online, sono ovunque: ci propongono film
su Netflix, smistano le nostre mail, ordinano i risultati dei motori
di ricerca. Sui social, poi, la fanno da padroni. Chi siede nei cda
di Facebook, Twitter e TikTok li considera una risorsa preziosa,
da custodire e perfezionare di continuo. Chi guarda con preoc-
cupazione alla crescita vertiginosa di queste società li mette alla
sbarra (e non a caso: dalle fake news agli effetti di Facebook & Co
sulla salute mentale, le questioni più spinose hanno gli algoritmi al
centro). Chi sui social ci lavora - pubblicitari, influencer, comuni-
catori, giornalisti - cerca di sfruttarli a proprio vantaggio. Vediamo
come.

A COSA SERVONO
Gli algoritmi sono i motori invisibili dei cosiddetti «feed», cioè le
porzioni dei social dove possiamo vedere i contenuti degli «amici»
(su Facebook), degli account che abbiamo deciso di «seguire» (su
Instagram e Twitter) e della nostra «rete di collegamenti» (su Lin-
kedIn). In origine, i social mostravano tutto ciò che era stato po-
stato, dai contenuti più recenti fino a quelli più vecchi, ma tra 2014
e 2017 il «feed cronologico» è stato gradualmente abbandonato.
Oggi un algoritmo passa al setaccio i materiali, seleziona ciò che
ritiene più «rilevante» per noi e ce lo propone nel feed, penalizzan-
do il resto. Ma su che base? Qui sta il punto: ci arriveremo. Prima,
però, completiamo il quadro. C’è un algoritmo anche dietro Explo-

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re, la sezione di Instagram che propone video, foto e reel realizzati


da persone che non abbiamo scelto di «seguire», nonché dietro
l’irresistibile flusso di contenuti proposto da TikTok ai suoi utenti.

COME FUNZIONANO
Gli algoritmi sono protetti da segreto industriale, dunque solo gli
ingegneri dei social sanno nel dettaglio come funzionano. Certo,
l’esperienza aiuta a captare alcuni trend e a capire quali buone pra-
tiche garantiscono migliori risultati. Online si trovano centinaia
di guide «definitive» agli algoritmi social che promettono di inse-
gnare a creare contenuti potenzialmente «virali», dunque in grado
di conquistare grande visibilità. Queste guide possono essere utili,
ma vanno prese cum grano salis. Anche perché l’algoritmo non è
statico. Nel biennio 2015-16, ad esempio, quello di Facebook dava
maggior rilevanza ai contenuti video rispetto a foto e testi, ma nel
2018 il social ha fatto una parziale marcia indietro. Fu un brusco
risveglio per le testate giornalistiche Usa che avevano optato per
un deciso - e improvvido - «pivot to video».

LE PAROLE CHIAVE: VIRALITÀ ED ENGAGEMENT


Come surfisti, i social media manager cercano di capire in quale
direzione va l’onda algoritmica per cavalcarla al meglio. Ma come?
Anche se non esistono ricette garantite di successo, ci sono alcuni
concetti di base da cui è bene partire. A cominciare da «engage-
ment», ovvero «coinvolgimento». Il termine indica una delle ca-
ratteristiche che contribuiscono a rendere un contenuto interes-
sante agli occhi degli algoritmi: la capacità di indurre gli utenti a
interagire con like, commenti, condivisioni. Tra una foto che su-
scita poco «engagement» e una che ne suscita molto, gli algoritmi
prediligeranno sempre la prima, perché Facebook & Co puntano

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a trattenere gli utenti il più a lungo possibile. Un contenuto «coin-


volgente» viene proposto a più persone, affinché l’engagement ge-
neri altro engagement. Per i social, è un circolo virtuoso e per chi
ha creato il contenuto in questione è come aver pescato il jolly.
Ma il meccanismo ha luci ed ombre. Anche contenuti carichi di
odio e fake news possono risultare molto coinvolgenti: quando
vincono la lotteria algoritmica, ci rimettiamo tutti. Postilla neces-
saria su TikTok. Il suo algoritmo è stato definito «comunista» dal
chief marketing officer di Buzzoole ed esperto di social Vincenzo
Cosenza. Il motivo? Quando TikTok intuisce le potenzialità di un
video realizzato da un esordiente o da un account di nicchia, lo
pesca nel mare di contenuti e gli dà una chance di visibilità che
su altre piattaforme è più difficile conquistarsi, se non si ha già
un vasto seguito. Così si spiega, ad esempio, il successo strepitoso
dell’italiano Khaby Lame, che proprio grazie al social è diventato
in breve tempo una celebrità.

LA VOSTRA NICCHIA
Sui social, tutti sognano la viralità assoluta. Ma, da svegli, è meglio
puntare alle nicchie. Lo stesso contenuto può risultare poco interes-
sante se proposto a un pubblico generico, ma esplosivo se indirizza-
to alle persone giuste. L’intervista a un regista sarà commentatissima
su una pagina Facebook dedicata al cinema, ma può passare quasi
inosservata se proposta al pubblico di una pagina dedicata al giardi-
naggio. L’algoritmo lo sa: propone contenuti agli iscritti (anche) sul-
la base dei loro interessi, sia quelli dichiarati esplicitamente (ad es.
l’utente X segue tanti profili dedicati alla moda), sia quelli deducibili
dai suoi comportamenti (ad es. l’utente X ha interagito molto di più
con foto con l’hashtag #fashionweek che con quelle con l’hashtag
#serieA). È bene ricordarlo, comportandosi di conseguenza.

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8 - I MIEI DATI SONO AL SICURO?


Sono anni impegnativi per i nostri dati. Pensiamo solo agli ultimi
cinque: dal caso di Cambridge Analytica, la società di consulenza
politica britannica che ha usato in modo improprio le informa-
zioni di decine di milioni di profili di utenti di Facebook, anche
nell’ambito della campagna elettorale che ha portato all’elezione
di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti del 2016, ai nu-
merosi attacchi dei criminali informatici che hanno portato al fur-
to, alla pubblicazione e alla vendita di dati personali in Rete.

COSA FARE
Quando si parla di social network, i primi responsabili della pri-
vacy e della sicurezza delle nostre informazioni siamo noi. Ormai
tutte le principali piattaforme permettono di limitare la visione
di post e contenuti a una cerchia ristretta di persone, e soprat-
tutto per quelli privati o con dettagli privati (un’immagine da cui
si capisce dove viviamo di preciso, per esempio) conviene farlo.
Riflettiamo sempre: cosa è troppo rischioso pubblicare in Rete? E
ancora: consideriamo con attenzione le impostazioni cosiddette
di default, ovvero quello che i vari Instagram o TikTok ci propon-
gono nel momento dell’apertura del profilo. È sempre opportuno
leggere le opzioni che vengono proposte, soprattutto quelle ine-
renti aspetti delicati, come per esempio il riconoscimento facciale.

PASSWORD, SICUREZZA E AGGIORNAMENTI


Una delle prime cose da fare è visitare il sito https://haveibeen-
pwned.com e inserire nella casella di ricerca il proprio indirizzo
email. Scopriremo così se i nostri dati sono stati compromessi in
un data breach (il termine tecnico che indica il furto di dati). L’ul-

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timo ha coinvolto a inizio ottobre la piattaforma di video strea-


ming Twitch, a cui sono stati sottratti più di 100 GB di dati. In
caso i nostri dati siano stati violati, non è il caso di farsi prendere
dal panico. Bisogna cambiare subito la password, usarne una si-
cura ed evitare di usare la stessa su diverse piattaforme. Inoltre:
sistemi operativi degli smartphone e singole app vanno sempre
aggiornati, perché potrebbero contenere miglioramenti di sicu-
rezza o interventi per tappare eventuali falle.

9 - CHE COS’È LA GENERAZIONE Z?


Smanettoni per natura, ma dipendenti dai social. Dinamici, ma
ansiosi. Liberi dai pregiudizi, ma insicuri. Di stereotipi sui gio-
vanissimi se ne sentono molti, spesso contraddittori. Incasellare
in pochi aggettivi intere fette della popolazione – in Italia i cosid-
detti «zoomer», ovvero i ragazzi della generazione Z, sono circa
9 milioni – è un esercizio azzardato: il rischio di appiattire tutte
le complessità è alto. D’altro canto, il concetto di «generazione»
è utile: aiuta a mettere a fuoco i cambiamenti sociali. Vediamo
alcune delle caratteristiche principali della generazione Z, quella
di coloro che sono nati, grosso modo, tra 1995 e 2009. Quanto ai
ragazzi e alle ragazze venuti al mondo negli Anni 10 del nuovo
millennio – la «generazione alpha» – non hanno ancora l’età per
iscriversi ai social (fissata a 13 anni).

UNA GENERAZIONE TECNOLOGICA


Iniziamo con il rapporto con la tecnologia. Gli zoomer non hanno
mai usato un telefono a disco, né riavvolto un vhs nel videoregi-
stratore. La maggior parte di loro non ha mai sentito il suono di
un modem 56k che si collega a internet, né ha dovuto contingen-

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tare il tempo passato online per paura di far lievitare la bolletta.


Al contrario, gli zoomer sono cresciuti in un’epoca di connessioni
sempre più veloci, economiche e accessibili. Hanno visto sbocciare
l’era dell’on demand e si sono abituati ad avere sempre a disposizio-
ne tutto, in pochi clic. Non a caso – secondo una recente indagine di
Buzzoole – navigare su Internet è l’attività principale per il 74% di
loro, mentre la tv tradizionale (quella fatta di palinsesti fissi) perde
continuamente importanza ai loro occhi. Più di 9 ragazzi su 10 usa-
no lo smartphone ogni giorno, soprattutto per comunicare (il 72%
ha almeno una app di messaggistica) o consultare i social (che circa
3 zoomer su 4 guardano almeno una volta all’ora).

FIGLI DELLA LORO EPOCA


Solo gli zoomer più vecchi hanno visto lo skyline di New York
con le Torri Gemelle integre e per quasi tutti le lire sono solo un
ricordo sbiadito, oppure un modo di dire («sono in giro senza una
lira») e nulla più. Concepiscono l’Europa unita come un dato di
fatto e, grazie ai low cost, hanno viaggiato più di tutte le genera-
zioni che li hanno preceduti. Nei loro ricordi d’infanzia ci sono
attentati terroristici (dall’11 settembre ai fatti di Parigi del 2015,
passando per la strage di Nizza) e crisi economiche continue. La
loro giovinezza è stata segnata dalla pandemia, che per gli zoomer
ha significato un’interruzione forzata della socialità, ma anche de-
gli studi o dell’ingresso nel mondo del lavoro. E poi, c’è la questio-
ne ambientale: secondo il Millennial Survey 2021 di Deloitte, il
climate change è la preoccupazione principale del 41% dei ragazzi
della generazione Z.

ANSIOSI PER FORZA


Crisi climatica, incertezza economica, tensioni internazionali e, in

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ultimo, persino una pandemia: non sorprende constatare che la


generazione Z sia ansiosa. Secondo l’Unicef, oggi nel mondo più
di 1 adolescente su 7 convive con un disturbo mentale e in quat-
tro casi su dieci si tratta di ansia o di depressione. La tecnologia
e i social giocano, in questo, un ruolo ambivalente. Da un lato,
possono compensare le distanze fisiche: durante il lockdown, in
particolare, sono stati salvifici, per la Dad – Didattica a distanza
– come per la socialità. Dall’altro, però, possono esporre i più gio-
vani, soprattutto i più fragili, a uno stress continuo, alimentando
insicurezza e isolamento.

VIETATO SOTTOVALUTARLI
Nonostante tutte le sue fragilità, però, la Z non è una generazione
sconfitta. Anzi. Gli zoomer hanno visto fratelli e sorelle maggio-
ri – i Millennial – patire a causa del precariato, e sembrano aver
imparato a destreggiarsi nel mondo del lavoro con maggior flessi-
bilità. La loro disaffezione alla politica (che, secondo il Rapporto
Giovani 2020 dell’Istituto Toniolo, riguarderebbe circa il 20% dei
giovani italiani) non va letta necessariamente come un disinte-
resse rispetto al bene comune. Il 12,5% dei giovanissimi fa volon-
tariato regolarmente, per esempio, e le oceaniche manifestazioni
dei Fridays for Future mostrano che gli zoomer sono disposti a
scendere in piazza per i temi che più gli stanno a cuore.

10 - COME I SOCIAL STANNO CAMBIANDO


IL MONDO DELL’EDITORIA?
Giornalismo e social network sono ormai un binomio indissolu-
bile. I motivi sono essenzialmente tre.
1) Le piattaforme sono una fonte di informazione di cui le reda-

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zioni non possono fare a meno. 2) Sono un soggetto da spiegare.


3) Sono uno strumento tramite cui le redazioni distribuiscono le
notizie ai lettori.
Ma c’è di più: «Le testate hanno perso autorità sul loro prodotto»
– spiega Sergio Splendore, sociologo dei media e docente presso
l’Università statale di Milano. «In prevalenza i canali attraverso
cui la loro informazione passa non sono più sotto il controllo degli
editori, bensì nelle mani di media company globali che utilizzano
algoritmi non conoscibili, costruiti su logiche estranee al giorna-
lismo professionale. Questo punto è cruciale. Tra i diversi aspetti
che chiama in gioco ci sono anche i profitti che passano da que-
gli stessi editori a quelle media company globali. Gli accordi rag-
giunti in Australia o in Francia per potere remunerare il lavoro di
quegli editori ne sono ulteriore dimostrazione. Inoltre, la notizia
ha perso la sua contestualizzazione: non è più inserita in una cor-
nice di senso che fissa una agenda, che attribuisce priorità, ormai
“viaggia” autonomamente di condivisione in condivisione, di ba-
checa in bacheca, di like in like. Ciò non significa che il lettore ha
perso le possibilità di ottenere informazioni che contestualizzino
e attribuiscano una gerarchia a quella notizia, ma che non le riceve
più dal prodotto notiziario».

I SOCIAL COME FONTE DI INFORMAZIONE


Nel 2010 il principe William e Kate Middleton annunciarono il
loro matrimonio con un tweet. Nel 2016, in Minnesota, la compa-
gna di Philando Castile – 32enne nero colpito da cinque proiettili
sparati da un agente di polizia bianco – trasmetteva i suoi ultimi
istanti di vita in diretta su Facebook. Il 14 agosto del 2018 il grido
disperato del tecnico informatico Davide Di Giorgio, che per caso
filmò il crollo del ponte Morandi di Genova dalla finestra del suo

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Facebook, Instagram, Twitter e …

ufficio e lo pubblicò su Facebook 10 minuti dopo la tragedia, fece


il giro del mondo. «Volevo solo riprendere la pioggia», dirà in se-
guito. Milioni di foto, testi e video ogni secondo vengono messi
in rete e raccontano il mondo in cui viviamo. Il 15 aprile 2019 le
primissime immagini del fumo che avvolgeva Notre Dame furono
postate su Twitter. Si tratta di materiale con cui i giornalisti di tut-
to il mondo devono fare i conti. E che devono verificare, soprat-
tutto quando si tratta di user generated content (UGC), «contenu-
ti disponibili su Internet creati dagli utenti». Una rivoluzione, nel
mondo del giornalismo. Pensiamoci un momento: come sarebbe
stato stato raccontato l’11 settembre 2001 se Facebook fosse già
stato nelle nostre vite?

QUANDO I SOCIAL FANNO NOTIZIA


I social stessi, ormai, fanno notizia. A marzo 2020, in piena pan-
demia, l’iniziativa su Gofundme per potenziare le terapie intensive
del San Raffaele lanciata da Chiara Ferragni e Fedez ha raccolto
quasi 4,5 milioni. È stato il crowdfunding più grande d’Europa e
tra le 10 più grandi campagne del mondo e ha permesso tra marzo
e fine maggio di raccogliere circa 17 milioni di euro per ospeda-
li, associazioni e organizzazioni. Oppure: nel 2018, il 2 maggio la
società Cambridge Analytica dichiarò la bancarotta a causa dello
scandalo in cui era stata travolta con Facebook. Si tratta di feno-
meni che vanno seguiti e analizzati e hanno un impatto sulla poli-
tica, sull’economia e sulle vite delle persone.

COSA FA IL CORRIERE SUI SOCIAL


I giornali devono essere dove si trovano i lettori. «Non è solo un
imperativo economico», riprende Sergio Splendore. «Lo è anche
rispetto al senso più stretto che si dà all’idea del giornalismo come

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servizio pubblico. Se il giornalismo vuole essere al servizio dei let-


tori e del pubblico, i lettori e il pubblico sono lì e lì bisogna anda-
re a prenderseli. Invitarli. Lì bisogna conversare. Lì bisogna far
capire che il giornalismo prodotto con professionalità è cosa ben
diversa. Non è una partita facile da vincere, ma è l’unico campo in
cui si può giocare».
Per questo il Corriere ha una sua pagina su Facebook, Twitter, In-
stagram e LinkedIn. Su queste piattaforme pubblica ogni giorno
una selezione ragionata delle inchieste, delle interviste, degli edi-
toriali e degli approfondimenti che si trovano sull’edizione di car-
ta o sul sito. Articoli, video, foto, infografiche, ma anche e soprat-
tutto contenuti creati ad hoc per ogni piattaforma, nella lingua dei
social. Tweet che riassumono le notizie del giorno in 280 caratteri,
gallery su Facebook, dirette su Instagram.
I social non sono né semplici vetrine, né meri distributori di link,
ma media veri e propri, con il loro linguaggio, le loro regole e i
loro difetti da sperimentare sul campo. E, ormai lo sappiamo, i
lettori si aspettano sui social la stessa autorevolezza che trovano
sul giornale di carta. Ogni giorno tentiamo di accontentarli. Per-
ché dal 1876 la chiave per il quotidiano di via Solferino è sempre
la stessa. «Parlare chiaro» al suo pubblico.

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