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CONSIGLI PER UN GIUSTO CONSUMO DI SALE e DI POTASSIO


Prof Giuseppe Piccoli * Dott Franca Giacchino **

Nella prevenzione e nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, delle malattie


cardiovascolari e delle malattie renali il ruolo negativo di un consumo elevato di
sodio (nell’alimentazione il sale ne è la fonte principale) è ben conosciuto, e queste
conoscenze sono alla base delle raccomandazioni per una sua riduzione di medici e
di numerose Organizzazioni e Società Scientifiche.
Sono raccomandazioni importanti nella vita quotidiana, perchè abitualmente
consumiamo il sale in eccesso, spesso sino al doppio di quanto raccomandato, con
effetti negativi importanti, in parte mediati da un aumento dei valori della pressione
arteriosa, in parte da essa indipendenti.
In genere, quando si parla di un consumo eccessivo di sale, si pensa al salino a
tavola e al sale impiegato in cucina. Ma non è così: questa è infatti la quota minore
del consumo (in genere dal 10 a oltre il 35-40%), mentre gran parte del sodio che
introduciamo è già presente nei cibi che acquistiamo.
Ridurre il consumo di sale spesso non è semplice: questi appunti si propongono
appunto di facilitare le scelte.

Nella prevenzione dell’ipertensione arteriosa e del danno cardiovascolare e renale il


ruolo del potassio è meno citato rispetto a quello del sodio, nonostante sia molto
importante. Al contrario del sodio, è spesso consumato in quantità troppo ridotta, e
ciò facilita la comparsa dell’ipertensione e di danni cardiovascolari e anche renali.
Il suo apporto è assicurato da un’ampia serie di alimenti, e la fonte principale è
costituita dai vegetali, che assicurano anche un apporto importante di fibre, calcio,
magnesio e di numerosi elementi fitoattivi.
Anche per il consumo di potassio è quindi opportuno tener presenti delle regole
spesso trascurate, che abbiamo qui riassunte, ricordando che un’alimentazione
sana dovrebbe assicurare un equilibrio corretto consumo di tra sodio e di potassio.

I rapporti tra sodio e potassio e malattie cardiovascolari e renali non sono però
semplici, e le relazioni sono rese più complesse da singole condizioni individuali,
legate ad esempio all’età, all’etnia, e all’entità di un danno renale, cardiovascolare o
metabolico eventualmente presente.
Relazioni e interrelazioni sono ulteriormente complicate dall’influenza della dieta nel
suo insieme, della quale è la qualità, e non solo la quantità che conta, e
dall’influenza dello stile di vita.
Anche in questo caso, vale la regola che “una stessa scarpa non va bene per tutti”.
Pur con questa limitazione, conoscere alcuni principi di base per il consumo di sodio
e potassio è importante per sani e ammalati, e per questo li presentiamo qui.

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
Nefrologia, Dialisi e Trapianto Ospedale Molinette
** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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CONSIGLI PER UN GIUSTO CONSUMO DI SALE e DI POTASSIO
Prof Giuseppe Piccoli * Dott Franca Giacchino **

1) IL SALE E IL SODIO Il 40% del sale (NaCl) è costituito da sodio. I termini sale e sodio
sono spesso usati come sinonimi. Il sodio è indispensabile alla vita. La maggioranza delle
persone lo assume in eccesso, anche più del doppio di quanto raccomandato, e si
espone ad effetti negativi, più evidenti in caso di una condizione di ipertensione “sensibile al
sale”. Molto sodio nella dieta facilita la comparsa dell’ipertensione arteriosa con
conseguenti danni cardiocircolatori e l’aggrava, limita l’effetto degli ipotensivi; favorisce
e aggrava gli edemi; indipendentemente dall’ipertensione favorisce: ictus, ipertrofia
cardiaca, osteoporosi, calcolosi renale, neoplasie gastriche; può aggravare un danno renale
e la proteinuria. Evitare un consumo elevato di sale limita questi rischi, riduce la pressione
negli ipertesi, e potenzia gli ipotensivi; è utile negli obesi; riduce gli edemi; favorisce
l’azione antiproteinurica di ACE inibitori e sartanici. L’effetto è maggiore negli anziani e negli
ipertesi; nei normotesi la diminuzione della pressione si verifica solo se il consumo è elevato.

Come introduciamo il sodio? Distinguiamo un apporto:


1) discrezionale = sale aggiunto nella preparazione dei cibi e a tavola. A seconda delle
abitudini individuali, costituisce dal 10 -20 % a oltre il 35% di quanto consumiamo.
2) non discrezionale = sale aggiunto nella preparazione di molti alimenti: pane (può arrivare
sino al 30% del consumo giornaliero), insaccati, prosciutti, pesce salato o affumicato,
formaggi stagionati o parzialmente stagionati, cibi precotti o in scatola, salse, dadi etc.
Rappresenta dal 50% all’80% del consumo; una giusta scelta dei cibi la riduce.
3) non discrezionale = sodio già presente in verdura e frutta (dal 2 al 10% del consumo).
4) occasionale: sodio contenuto in farmaci (ad es. citrato di sodio o bicarbonato di sodio)

Quanto sale dovremmo consumare?


In Italia il consumo medio è di circa 160 mmoli al giorno (9,4 g di sale). Alcune Agenzie
Sanitarie ne raccomandano meno di 100 mmoli (5,8 g di sale).
Consumarne questa quantità è utile specialmente a chi ha oltre 45-50 anni, o una familiarità
ipertensiva, e agli ipertesi. Le nuove linee guida dell’American Heart Association (AHA), più
rigorose che in passato, definiscono valori di 120-129 mm Hg e meno 80-89 mm Hg come
pressione “elevata” e come ipertensione in fase 1 valori sistolici di 130-139 mmHg oppure
diastolici di 80-89 mmHg, e sottolineano l’importanza della riduzione del sodio in queste
situazioni non più considerate come normali oltre che nei soggetti tradizionalmente
considerati come ipertesi. Un giusto consumo è inoltre importante per chi ha una malattia
renale o cardiaca. Per chi è a rischio elevato di danno cardiovascolare, può essere utile
un’introduzione ancora inferiore, di 65 mmoli. E’ un obiettivo difficile, che può tuttavia non
essere indicato in anziani, in diabetici, in certe nefropatie e nello scompenso cardiaco.

Come possiamo calcolare la quantità di sale che introduciamo giornalmente?


La quantità complessiva di sale introdotta può essere indicata visivamente, ad esempio in
cucchiaini. E’ un’indicazione non corretta in quanto indica solo la quantità aggiunta in cucina
o a tavola e non quella di sodio, ben superiore, già presente negli alimenti. A sua volta il
riferimento solo a tabelle del contenuto di sodio degli alimenti, è parziale e approssimato.
Seguire i consigli per un giusto consumo di sale è in genere sufficiente a ridurne un eccesso.
Per una valutazione precisa, si sfrutta invece il fatto che il sodio eliminato con le urine in
24 ore corrisponde all’85-90% di quello introdotto, in assenza di perdita extrarenali, come
diarrea o sudorazioni importanti, e quindi utilizziamo la sodiuria su urine di 24 ore, dopo
alcuni giorni di dieta abituale (evitare: fatiche e pasti al ristorante, o “impegnativi”), indicata in
millimoli (mmol) o in milliequivalenti (mEq): 1 mmol e 1 mEq corrispondono a 23 mg di
sodio, ricordando. Nel nostro ambiente, la sodiuria è 150 - 200 mmol/24 ore (alcuni
laboratori considerano normali 200 mmol o più, che sono eccessivi); un apporto di 80
mmoli/24 ore è consigliato da alcune linee guida; 100-110 mmol sono spesso accettabili.
Meno 80 sono indicati in condizioni particolari. In assenza di edemi, 40-50 mmol/24 ore o
meno, indicano un apporto molto ridotto che può essere rischioso in alcune malattie e in
parte degli anziani; l’opportunità di una restrizione a questi livelli è da valutare con il medico.
I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
Nefrologia, Dialisi e Trapianto Ospedale Molinette
** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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COME POSSIAMO RIDURRE IL SODIO CHE CONSUMIAMO?


Non è raro che un paziente riceva dal medico il consiglio di ridurre il consumo di
sale. Come si può mettere in pratica questo consiglio?

1) Evitare il consumo abituale, non occasionale, di:


- Salumi, prosciutti crudi e cotti, bresaola, carni salate, pesce salato o affumicato,
pesce e carne in scatola
- Alimenti preconfezionati o di rosticceria
- Formaggi stagionati o parzialmente stagionati
- Conserve alimentari salate, zuppe preparate in commercio, cibi precotti
- Dadi, salse, ad esempio di soia, ketchup, maionese in commercio, senape;
- Merendine, patatine, snack salati, crackers soprattutto se salati in superficie;
attenzione ai sandwich e i tramezzini
- Pizze (è permessa occasionalmente la “margherita”)
- Cereali per la colazione (attenzione al loro contenuto in sale)
- Bicarbonato e citrato di sodio, se non espressamente prescritti dal medico
2) Preferire nell’alimentazione di ogni giorno:
Pane sciapo (pane toscano o pane azzimo), grissini senza sale, crackers non salati,
Pasta, riso, zuppe, primi piatti, verdura fresca, cotta e cruda, servita in tavola non
salata e in genere secondi, uova, cotti con pochissimo sale.
Carni bianche o rosse e pesce freschi o congelati non in scatola o preparati
Latte, yogurth, formaggio freschi poco salati (es ricotta, mozzarella)
Aromi e spezie naturali per dar gusto ai cibi poco salati: rosmarino, cipolla,
peperoncino, prezzemolo, aglio, aceto di vino, aceto balsamico, aceto di mele,
succo di limone
3) E’ necessario ridurre progressivamente il sale impiegato in cucina e nelle
verdure, ricordando che una giusta via sta ancora una volta nel mezzo:
1) in dose moderata il gusto del sale è naturalmente attraente, e accentua il sapore
dei cibi: senza un po’ di sale alcuni cibi tendono a perdere il loro gusto
2) molto sale maschera però il sapore di parecchi cibi (anche per questo i piatti dei
ristoranti e in commercio ne sono spesso ricchi)
3) la riduzione del sale impiegato nella cottura dei cibi deve essere graduale, in 8 –
12 settimane per permettere alle papille gustative di adeguarsi al “nuovo” gusto. La
riduzione del sale nei cibi deve essere accettabile per tutta la famiglia: chi lo
vuole, aggiunge sale nel suo piatto.
4) Prestare attenzione alle etichette delle confezioni dei cibi preparati: 1 g di
cloruro di sodio contiene 396 mg di sodio (17,23 mmol); la quantità giornaliera di
sodio raccomandata, 2300 (100 mmol), è contenuta in 5,8 g di sale. Mezz’etto di
prosciutto crudo ne contiene sino a 54 mmol: mezza dose giornaliera. Attenzione
a mense e ristoranti!
Alcuni sali hanno un contenuto ridotto di sodio. E’ meglio non usarli e modificare il
gusto al sale. Non usare sostituti del sale contenenti potassio, se c’è un danno
renale o si assumono certi ipotensivi (ad esempio, ACE inibitori e antagonisti
recettoriali) o diuretici risparmiatori di potassio (esempio spironolattone e il
canreonato di potassio). Buona parte dello iodio proviene dal sale: se lo riduciamo,
è necessario usare sale addizionato con iodio. Se la riduzione del consumo di
sale è fatta per un problema di salute, d’accordo con il medico, è utile controllare
una sodiuria di 24 ore dopo tre-quattro settimane di dieta.
I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
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2) IL POTASSIO: UN ELEMENTO DA NON TRASCURARE

Nell’alimentazione contemporanea il consumo di potassio è spesso carente. E’ stato


calcolato che in USA solo il 2-3% degli adulti ha un apporto di potassio corretto.
secondo le Dietary guidelines for Americans, 2010, di 4700 mg/d, adeguato al
consumo di sodio.
Nei soggetti sani, un basso apporto di potassio è associato a un aumento del rischio
di comparsa di un’ipertensione arteriosa, soprattutto se il consumo di sale è elevato,
e di malattie cardiovascolari, particolarmente di lesioni coronariche e di ictus.
Un apporto elevato di potassio si associa invece a una pressione arteriosa più
bassa, a una riduzione di eventi negativi cardiovascolari, a una diminuzione della
mortalità cerebrovascolare e da ogni causa, e a minori probabilità di un declino
funzionale renale, sia nei soggetti sani sia in quelli con funzione renale ancora
normale, ma a rischio di nefropatia per diabete o malattie cardiovascolari. L’effetto
utile di un consumo elevato di potassio è più evidente quando quello di sale è
elevato; è presente con apporto di sodio tra 87 e 174 mmoli 24 ore; aumenta
quando supera 174 mmol; è più evidente nei soggetti con “sensibilità al sale”.

Come introduciamo il potassio. Un apporto adeguato è assicurato da frutta e


verdura, preferibili ai supplementi di sali di potassio, in genere da evitare in chi ha
un danno renale o assume alcuni tipi di farmaci, come sotto indicato.

Come si valuta l’introduzione del potassio. Quanto dovremmo consumarne?


Come per il sodio, è abituale il riferimento a valori millimoli (mmoli) piuttosto che in
milligrammi o grammi. Una millimole corrisponde a 39 mg di potassio. Il consumo è
calcolato moltiplicando per 1.3 il valore della potassiuria di 24 ore, in assenza di
insufficienza renale, nella quale l’eliminazione intestinale aumenta anche del 50%.
Negli adulti sani il consumo raccomandato è tra 70 e 120 mmoli/die:
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) raccomanda almeno 90 mmoli di
potassio per tutti gli adulti, tranne per chi ne abbia una compromissione
dell’eliminazione urinaria. Negli adulti con funzione renale normale, 90-120 mmol/die
riducono la pressione e i rischi di stroke e sono considerati come ottimali. Non
esistono invece Non esistono dati precisi sull’apporto massimo più vantaggioso.
Un rapporto ottimale del consumo di sodio e potassio è intorno all’unità
(rispettivamente circa 90 e circa 100 mmol die).

In chi può essere negativo un apporto di potassio elevato? Il problema riguarda


soprattutto chi ha un danno renale o assume alcuni tipi di farmaci.
Le Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (KDOQI) raccomandano meno di
60 mmol/die in caso di danno in stadio 3 (filtrato glomerulare, spesso indicato come
e-GFR, inferiore a 60 ml min) e stadio 4 (e-GFR inferiore a 30 ml/min/1.73 mq) .
La Kidney Disease Improving Global Outcome (KDIGO 2012) raccomanda meno
di 90 mmoli/die per chi ha un danno renale, o un’ipertensione o una “pre-
ipertensione” (definita secondo la precedente classificazione del JNC 7, ora
superata, da valori di 120-139 su 80-89 mm Hg) “qualora non controindicato”, e una
riduzione in caso di iperpotassiemia. In queste persone è preferibile che la
potassiemia non superi 4.5 mEq/L. Un consumo elevato e l’uso di supplementi sono
da evitare in chi assume farmaci come ad es. spirolonactone, eplerenone, amiloride,
I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
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e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

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triamterene, sulfametossazolo, trimetoprim, o ipotensivi ACE inibitori, antagonisti
recettoriali. In tutte queste situazione l’apporto è da individualizzare.

Il potassio negli alimenti

La maggior parte degli alimenti contiene del potassio.


E’ il consumo di verdura e frutta che ne assicura quantità ottimali.
Anche tra gli alimenti vegetali esistono differenze marcate: ad esempio le patate e i
legumi ne sono particolarmente ricchi; tra la frutta è nota la ricchezza di potassio
delle banane e della frutta secca.
Chi è interessato può consultare l’elenco presente nel portale “renalgate”, che
riporta in rosso, gli alimenti che ne sono ricchi, da consumare con moderazione in
caso di danno renale avanzato o quando se ne voglia evitare l’aumento o, viceversa
da preferire. quando se ne debba aumentare il consumo.
In quest’ultima circostanza, è senz’altro preferibile adottare un’alimentazione varia,
con almeno con 5-6 porzioni al giorno di verdura e frutta.
Gli schemi utili, che non rientrano nelle finalità di questa rassegna, sono numerosi.
Tra tutti, ricordiamo la “dieta mediterranea” e la dieta DASH (Dietary Approaches to
Stop Hypertension).
Garantire un elevato apporto di potassio non esaurisce i vantaggi di
un’alimentazione ricca di frutta e verdura: tra i molti, sono da ricordare un elevato
quantitativo di fibre, utili a livello intestinale, e un ottimo apporto di vitamine e
sostanze antiossidanti. Per sfruttare al meglio questo apporto è utile un consumo di
“vegetali di cinque colori”, per ampliare l’apporto di numerose sostanze fitochimiche,
non solo vitamine. Alcuni esempi:
Giallo: limoni, arance, albicocche, pesche, uva bianca, mele gialle, carote, peperoni
gialli, granoturco, patate dolci.
Verde: lattuga e insalate a foglie verdi, spinaci, cavolo, zucchini, asparagi, fagiolini,
piselli, carciofi etc.
Bianco/bruno: pesche bianche, pere, banane, datteri, cavolfiore, cipolle, patate.
Rosso: uva rossa, mele rosse, arance rosse, fragole, lamponi, ciliegie, melone;
insalata rossa; radicchio; peperoni rossi; pomodori.
Bleu e porpora: mirtilli, barbabietole; insalata belga; cavolo rosso; alcuni asparagi.

Per facilitare il controllo dell’apporto, alcune Agenzie Sanitarie (e il nostro Ministero


della Sanità) hanno proposta la regola del “five-a-day”: cinque porzioni al giorno di
frutta e verdura (ciascuna di circa 80 grammi).
Successivamente è stato proposto di aumentare le porzioni a 7, e più recentemente
sono stati dimostrati i vantaggi di un apporto ancora maggiore. Secondo questo
studio, ogni 200 g di frutta e verdura consumati in più, sino a 800 g al giorno,
consentono una riduzione dell’8% delle malattie coronariche, del 16% per lo stroke,
dell’8% per la malattie totali cardiovascolari. Un apporto di 600 g al giorno consente
a sua volta una riduzione del 3% dei tumori.

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

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Opinioni e riferimenti bibliografici (*)

Sui rapporti negativi tra eccessivo consumo di sale e danno cardiovascolare esiste
in medicina un ampio consenso fondato su numerose e valide ricerche, e riassunto
in linee guida di società scientifiche e organizzazioni sanitarie per la popolazione
generale e per gruppi di soggetti a rischio.
Alcuni degli obiettivi proposti nell’ultimo decennio sono tuttavia molto restrittivi.
E proprio sui bassi livelli di consumo indicati da alcune linee guida, nel timore che
degli effetti negativi possano annullare o ridurre i benefici della restrizione, si è
accesa una vivace polemica.
L’utilità di una sistematica, importante riduzione del consumo di sale nella
popolazione generale e in alcuni gruppi di soggetti è stata messa in dubbio. Alcune
raccomandazioni sono state attenuate.
Polemiche e discussioni non sono però concluse, e per alcune questioni non è
possibile presentare conclusioni definitive, ma soltanto delle opinioni, eventualmente
suscettibili di correzioni.

(*) Per risalire ai lavori scientifici citati nel testo, identificata la pubblicazione in bibliografia,
si può riportarla, utilizzando la procedura copia e incolla in un motore di ricerca ad es
Google.
A seconda dei lavori è accessibile il riassunto (quando pubblicato nella rivista) o il testo
completo (“Free”)

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Opinioni e riferimenti bibliografici

INDICE

1) Pressione arteriosa “sodio sensibile” e “sodio resistente” (“sale sensibile” e “sale


resistente”) Un paradigma importante,
non ancora utilizzabile nella pratica clinica pag 8

2) Sodio: raccomandazioni delle linee guida (2008-2017). Una panoramica con contrasti
e incertezze pag 9

3) Consensi e critiche alle linee guida sul consumo di sale pag 11

4) Strategie per ridurre il sale nella preparazione degli alimenti.


Un problema aperto pag 13

5) Controllare l’apporto di sodio e i valori pressori non è sufficiente ad affrontare bene


la prevenzione dell’ipertensione e delle lesioni cardiovascolari associate pag 14

6) Danno renale e consumo ridotto di sodio: un paradigma non assoluto pag 15

7) Apporto di sodio e diabete. Alcuni dati inattesi pag 18

8) Apporto di sodio e insufficienza cardiaca. L’utilità di una sistematica restrizione è un


paradigma superato pag 20

9) Sodio e sale: qualche equivalenza per ridurre le difficoltà interpretative. pag 21

10) Sodio. Nomenclatura: difficoltà di definire alcune situazioni pag 22

11) Importanza del consumo di Potassio.


Un primo attore spesso dimenticato pag 24

12) Valutazione del consumo di potassio pag 25

13) Quanto potassio dovremmo consumare ogni giorno?


Raccomandazioni delle linee guida pag 25

14) Effetti potenzialmente negativi di un apporto di potassio molto elevato pag 26

15) Dieta e potassio pag 26

16) Apporto di potassio in presenza di danno renale. Rischi e timori pag 26

17) Importanza di una dieta corretta per un buon controllo


dell’ipertensione arteriosa pag 27

18) Alcune informazioni supplementari sul potassio pag 28

19) Classificazione dell’ipertensione arteriosa pag 29

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e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

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20) Classificazione del danno renale cronico pag 30

21) Bibliografia pag 34

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1) Pressione arteriosa “sodio sensibile” e “sodio resistente” (“sale sensibile”


e “sale resistente”) Un paradigma di grande interesse, non ancora utilizzabile
nella pratica clinica

Il consumo di sale è un elemento determinante e modificabile nella comparsa


dell’ipertensione arteriosa, come è stata dimostrato da numerosi studi, quali
l’INTERSALT (182) e il PURE (181, 142).
L’entità dell’aumento conseguente a quello dell’apporto di sodio è soggettiva, varia
nel tempo, e non è un fenomeno di “tutto o niente”, ma presenta un continuum da
variazioni assenti o modeste (“sale resistenza”), a molto evidenti (“sensibilità al
sale”),e in tal caso la pressione è definita “sale sensibile” o “sodio sensibile” (57,83,
169, 170). La sodio-sensibilità è un fenomeno complesso (57): il rene è in posizione
centrale, ma concorrono fattori ereditari, metabolici, endoteliali, neuro-ormonali, e di
compartimentazione, soprattutto cutanea (59, 166, 167, 206).
E’ più frequente in alcune etnie (soggetti dell’Africa Subsahariana, Afro-americani,
cinesi), nelle donne (in quelle con sindrome metabolica è stato documentato (101)
un elevato consumo di sale), in età superiori a 45 anni, negli ipertesi, nella sindrome
metabolica, nell’obesità, nel diabete e nel danno renale cronico (1, 153).
Nel nostro ambiente sono sodio sensibili il 30-50% degli ipertesi (un 33% sono “sale
resistenti”) e un 25% dei normotesi (un 60% sono “sale resistenti”) (5, 72, 169, 170).
E’ una sindrome importante per i rapporti con l’ipertensione e i conseguenti danni
d’organo, e anche per un’associazione con la mortalità e un rischio accresciuto di
danni cardiovascolari indipendenti dai livelli pressori, solo parzialmente spiegata da
una serie di potenziali fattori aterogeni presenti in queste condizioni (167).
Per la sua diagnosi ci si riferisce alla variazione dei valori pressori medi dopo due
periodi con differenti apporti di sodio (167), ma non esiste un modello
standardizzato di studio (57).
Il protocollo, considerato “di referenza”, prevede dei regimi alimentari con, secondo
l’American Heart Association (AHA), un apporto di sodio di almeno 250 mmol/die
per una settimana, e per un’altra settimana di 50 mmol/die, o meno, con una
successione che può essere invertita.
Secondo una definizione recente (57), è presente una “sodio sensibilità” se alla fine
delle due settimane la differenza dei valori della pressione arteriosa media è di 8-10
mm Hg o più negli ipertesi, e di 3-5 mm Hg o più nei normotesi.
Non disponiamo di una terapia per modificare la sensibilità al sale, e per la sua
complessità questa diagnosi non è entrata nella pratica clinica (90, 167).
L’elevata incidenza di un’ipertensione sale sensibile in anziani, specialmente se
donne, nel diabete, nella sindrome metabolica, in condizioni di sovrappeso, di danno
renale cronico e in alcune etnie consiglia però una sistematica valutazione
dell’apporto di sodio in questi ipertesi in caso di difficile controllo pressorio, anche a
prescindere da una diagnosi precisa, con una sodiuria/24 ore (65). Formule per
risalire da un esame spot alla sodiuria/24 ore non sono valide per i singoli pazienti,
ma solo per indagini su popolazioni, (183, 184, 186, 187).
In queste situazioni, la correzione di un elevato consumo abituale di sale è utile per
migliorare il controllo dei valori pressori, e può apportare altri vantaggi, come la
riduzione della proteinuria, della microalbuminuria e della mortalità (14, 53, 54,147,
170, 174, 190). La sola restrizione sodica non esaurisce tuttavia le possibilità di
intervento: per le relazioni con meccanismi ormonali, endoteliali, ionici, elevati introiti

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
Nefrologia, Dialisi e Trapianto Ospedale Molinette
** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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di potassio, calcio, vitamine, antiossidanti e l’aderenza a diete come la dieta DASH
e la dieta mediterranea possono infatti essere utili nei soggetti sodio sensibili (207).

2) Sodio: raccomandazioni delle linee guida. Una panoramica con contrasti


incertezze

Le malattie cardiovascolari sono la più comune causa modificabile di morte. Per


ogni aumento di 20 mm Hg al disopra di 115 mmHg si raddoppia il rischio di malattia
cardiaca e ictus.
Nella loro comparsa è spesso in causa l’ipertensione arteriosa, molto diffusa nella
popolazione generale: in USA 1 su 3 adulti è iperteso e solo la metà dei casi ha una
ipertensione ben controllata; un altro individuo su tre ha una pre-ipertensione.
Numerosi studi hanno evidenziato strette relazioni tra ipertensione e consumo di
sale, e che una riduzione del suo consumo può ridurre i valori pressori, essere
sinergica all’impiego di ipotensivi, e ridurre le malattie cardiovascolari, e la mortalità
correlata e da ogni causa (98).
Secondo il Global Burden of Diseases Nutrition and Chronic Diseases Expert
Group, 1,65 milioni di casi di morte da cause cardiovascolari, intervenute nel 2010 in
sessantasei Paesi, erano attribuibili a un consumo di sodio superiore al limite di
riferimento di 2 g die (102). E’ stato calcolato che una riduzione di soli 400 mg/die
(circa 20 mmoli) potrebbe ridurre di 28.000 i decessi annui in USA (44).
Per affrontare questo problema i membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
(WHO) si sono impegnati a ridurre del 30% i consumi entro il 2025. Tra le varie
nazioni che hanno sviluppata questa politica, l’approccio del Canada è esemplare
(41,143, 160, 195, 196, 197, 198, 199).
Numerose organizzazioni sanitarie hanno proposte delle linee guida per la
popolazione generale o per gruppi di pazienti particolarmente a rischio (6) – tabella
1 -. La maggior parte raccomanda consumi inferiori a 100 mmol/24 ore per la
popolazione generale, talora con livelli ancora minori, da circa 90 a circa 65
mmol/24 ore, per tutti o per alcune sottopopolazioni.
In Italia il consumo medio giornaliero è di 150 - 185 mmoli; in Piemonte sono
frequenti valori di circa 200 o più mmoli.
Adottare le raccomandazioni delle linee guida sul consumo di sale non è tuttavia
semplice perché le abitudini delle persone sono spesso difficili da modificare, per le
differenze di alimentazione quotidiana in differenti regioni, e per il sempre più
frequente consumo di pasti in mense, self service o ristoranti, e di cibi preparati che
spesso contengono molto sale.
A queste raccomandazioni non mancano inoltre critiche e negazioni, che hanno
suscitato polemiche molto vivaci che è opportuno conoscere.

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
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Livelli di consumo di sodio raccomandati dalle principali linee guida (in


millimoli) (89)

2006 Heart Foundation of Australia (200) popolazione generale <100 mmol/die


ipertesi <70 mmol/die

2008 ADA normotensione, ipertensione <100 mmol/die


se diabete o insufficienza cardiaca sintomatica < 87 mmol/die

2010 ADA (164) nei diabetici 100 mmol/die

European Ass. for the Study of Diabetes: “restrizione finalizzata al miglior controllo
della pressione”

2010 HHS e USDA popolazione generale <100 mmol/die


se età >51 anni, Afroamericani, ipertensione arteriosa,
diabete e malattia renale cronica <65 mmol/die

2010 AHA per l’intera popolazione americana <65 mmol/die

2012 WHO per l’intera popolazione <87 mmol /die

2012 KDIGO se danno renale cronico e ipertensione sistolica o


diastolica o pre-ipertensione: “quando non controindicato” <90 mmol/die

2012 European Guidelines on cardiovascular disease prevention


in clinical practice < 87 mmol/die

2013 ESH/ESC 87 - 102 mmol/die

2014 ASH e ISH riduzione del consumo di sodio, ma senza un target

2015 HHS e USDA popolazione generale <100 mmol/die


negli ipertesi <87mmol/die

2015-2020 Center for Nutr. Policy and Promotion Dietary Guidelinelines for
Americans <100 mol/die
ma se età oltre 50 anni, Afro-americani, ipertesi,
diabetici tipo 2,danno renale <65 mmol/die

ADA: American Diabetes Association; AHA: American Heart Association; WHO: World Health Organisation;
KDIGO: Kidney Disease Improving Global Outcomes; ESH/ESC: European Society of Hypertension e
European Society of Cardiology; HHS and USDA: Departement of Health and Human Services and U.S.
Departement of Agriculture; ASH and ISH: American Society of Hypertension and International Society of
Hypertension; NHMRC: National Health and Medical Research Council

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

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3) Consensi e critiche alle linee guida sul consumo di sale.

Molte delle linee guida proposte tra il 2008 e il 2016, indicano un target di apporto
sodico inferiore a 100 mmol/die.
In base a studi che hanno dimostrato la possibilità di ridurre i valori pressori
diminuendo il consumo di sodio sino a 2300 - 1500 mg/die (100 - 65 mmol/die) (7,
10, 15), alcune agenzie (ad esempio WHO e AHA) li indicano come target per la
popolazione generale, o per soggetti selezionati (ultracinquantenni, Afro-americani,
ipertesi, presenza di un danno renale cronico, diabete, insufficienza cardiaca). Un
altro livello di riferimento raccomandato è 2000 mg/die (87 mmol), in quanto è stato
sostenuto che, nel mondo, annualmente 1.65 milioni di persone muoiono per un
consumo superiore a questa soglia.
La situazione non è però chiara come sarebbe auspicabile.
Per parte delle linee guida i target, ad esempio di 100 mmol/die o meno, sono valori
soglia di apporti “inferiori”, (45, 46, 146), e viene quindi lasciata aperta la possibilità
che tanto meno sia tanto meglio.
In contrasto con questa politica di riduzione è stato sostenuto che importanti
restrizioni dell’apporto sodico comporterebbero rischi maggiori dei vantaggi sperati,
particolarmente per la mortalità, e questo ha alimentato critiche e negazioni, sino
alla proposta di un’ipotesi alternativa al paradigma dei rapporti tra sodio e
ipertensione, che attribuisce un ruolo negativo allo zucchero, ridimensionando
drasticamente il ruolo del sodio(49, 50).
Centrali alle critiche sono le conclusioni di uno studio dello IOM (Istituto di Medicina
USA 2013), che confermava una relazione tra elevato apporto di sodio e rischio di
danno cardiovascolare, ma rilevava che le informazioni erano insufficienti per
affermare che un basso apporto, inferiore a 100 mmol/die, fosse associato a un
aumento o a una riduzione del rischio di malattia cardiovascolare nella popolazione
generale, e inoltre che un consumo molto basso di sodio può associarsi a eventi
negativi in presenza di insufficienza cardiaca, malattie cardiovascolari, diabete, o di
un danno renale cronico (15).
Una meta-analisi successiva, includente 275.000 soggetti, aveva dimostrata una
curva a U di mortalità cardiovascolare e da ogni causa, con valori superiori in chi
consumava oltre 215 mmol/die o meno di 115 mmol/die di sodio/die, rispetto a chi
ne consumava tra 115 e 215 mmol/die (68).
Gli studi e le prese di posizione che sostengono l’opposizione a una riduzione
importante del consumo di sodio ormai numerose (3, 17, 24, 26, 27, 32, 47, 48, 49,
51, 96, 97, 106, 107, 108, 109, 110, 137, 180, 181). Di particolare importanza è lo
studio PURE che ha indicata per la pressione sistolica una curva più ripida con
consumi di oltre 5 g/die rispetto a circa di 3 g/die, soprattutto in anziani e in ipertesi
(181) ma ha anche evidenziata una curva a U di mortalità cardiovascolare e da ogni
causa, e stroke con morte o ospedalizzazione con un aumento associato a
un’escrezione di 333 o più mmol/die o di meno di 130 mmol/die (106).
Un rischio maggiore di malattie e di eventi cardiovascolari con un apporto di sodio
sia elevato (>261 mmol/die) sia basso (<130 mmol/die) è stato confermato anche da
una meta analisi in adulti sani con un apporto abituale di sodio “basso” (<115
mmol), “abituale basso” (115–165 mmol); “abituale elevato” (166–215 mmol), ed
“elevato” (>215 mmol) (107).

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

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Gli effetti negativi della riduzione del consumo di sodio sarebbero dovuti a
un’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e del sistema simpatico,
a un aumento di colesterolo e trigliceridi, a una riduzione della tolleranza all’insulina,
e alla facilitazione di un’iponatremia (47, 48, 107).
Anche questi dati sono però, a loro volta, contestati.
Gli effetti negativi metabolici sono stati infatti documentati in studi a breve termine
con apporti molto ridotti, e non sono stati confermati, almeno per consumi tra 50 e
150 mmol/die (2, 63, 73). Anche contestate sono le curve di mortalità a U o a J,
perché spesso basate su valutazioni indirette del consumo di sodio, con rischio di
errori sino al 50%, e per la possibile esistenza di un rapporto inverso (chi ha una
malattia cardiocircolatoria o renale ha un rischio di morte elevato, e consuma meno
sale) (12, 184, 185), e la mancata conferma di studi metodologicamente rigorosi
(22, 25).

Al momento quali conclusioni, pratiche e prudenti, si possono fare? Il dibattito


continua (3, 44, 55). L’associazione tra consumo elevato di sale e aumento dei
rischi cardiovascolari è ben documentata (20, 21, 22, 24, 25, 30, 31, 35, 36, 37, 38,
39, 44, 138, 201, 202, 203), e parte delle polemiche riguardano apporti ridotti,
spesso al di là della possibilità di ottenerli e mantenerli a lungo, o conseguono a
studi metodologicamente non rigorosi (22, 62, 75, 132).
Le critiche non possono bloccare la correzione di un consumo eccessivo,
certamente dannoso. In favore di una riduzione di un apporto di sodio elevato deve
inoltre essere ricordato che esso può favorire alcune malattie indipendentemente
dall’ipertensione: ictus, ipertrofia cardiaca, osteoporosi (91), calcolosi renale,
neoplasia gastrica, e inoltre che aggrava un danno renale e l’entità di una
proteinuria eventualmente presenti. Al momento non vi sono elementi per ritenere
che un target intorno a 100 mmol/die per gli adulti, come raccomandato da più linee
guida, come quelle USA (113, 151), sia di massima da rifiutare. Anche se difficile da
attuare e da mantenere, questo livello di riferimento può essere considerato come
efficace per la maggioranza degli adulti, ipertesi e non (e spesso ci si accontenta di
valori superiori), ed è stato definito come un’accettabile punto di equilibrio tra quanto
si può fare e la presenza eventuale di un nadir delle curve a J (34), tenendo
presente che nelle curve a U più ricordate la tendenza ad un aumento del rischio si
inizia ad osservare al di sotto di 115 – 130 mmol/die.
In riferimento alla possibile esistenza di questo tipo di curve di mortalità e di altri
possibili effetti negativi, prudenzialmente deve quindi essere considerato come
superato il paradigma “tanto meno: tanto meglio”, e devono essere attenuate le
raccomandazioni più strette, sia per la popolazione generale, sia per alcune
categorie di soggetti, in particolare anziani, nefropatici, diabetici e cardiopatici, che
hanno un comportamento del ricambio sodico differente dal normale (89). Sul piano
pratico ciò richiede in alcune categorie di soggetti una valutazione individuale del
target del consumo di sodio, eventualmente con una misurazione diretta della
sodiuria di 24 ore.

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4) Strategie per ridurre il sale nella preparazione degli alimenti. Un problema


aperto

I rapporti tra eccesso di consumo di sodio e consumo di cibi preparati o in ristoranti


sono ben documentati, come i vantaggi economici di una politica rivolta a ridurlo
(150).
La FDA ha proposto delle linee guida volontarie per la riduzione del sale nella
preparazione industriale dei cibi e nei ristoranti (135) e delle norme che valorizzano
il controllo dei consumatori (44), invitati a un controllo sistematico del contenuto in
sodio dei cibi preparati (159).
Tra le numerose iniziative il New York City Health Department ha coordinata la
National Salt Reduction Initiative (NSRI), gruppo di collaborazione di oltre 90 stati,
autorità sanitarie locali e nazionali che si propone di ridurre il consumo di sodio degli
Americani del 20% attraverso un impegno volontario a ridurre il sodio nel cibo
preparato e nei ristoranti (135).
Il programma “the American Heart Association’s Heart-Check Food Certification” è a
sua volta progettato per assistere i consumatori nella selezione dei cibi nei negozi e
nei ristoranti. “Heart-Check mark” è il simbolo riportato sul contenitore dei cibi e nel
menù dei ristoranti che indica una certificazione dell’American Heart Association
sulla sicurezza per il cuore del cibo, incluso il contenuto di sodio.
Anche auspicabile è una maggior diffusione di consultare le etichette che riportano il
contenuto di sodio degli alimenti preparati (44).
In UK il programma di riduzione del consumo di sodio ne ha consentita un’effettiva,
significativa riduzione (141). In Piemonte la richiesta di ridurre il contenuto di sodio
nel pane normale ha avuta una buona adesione. In molte panetterie è disponibile
del pane azimo. Il successo in alcune aree dell’adesione di ristoranti a un impego
ridotto di sale dovrebbe indurre ad estenderne la sperimentazione nella nostra
Regione.

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5) Controllare l’apporto di sodio e i valori pressori non è sufficiente per


affrontare bene la prevenzione, il trattamento dell’ipertensione e delle lesioni
cardiovascolari associate.

Un corretto controllo dell’ipertensione arteriosa e l’associazione agli ipotensivi di un


giusto consumo di sale debbono essere associati a un giusto apporto di potassio e a
una dieta complessivamente corretta (60, 78, 94, 99), consumo di alcool
compreso, e a un corretto stile di vita, in una valutazione complessiva, non limitata
ai soli valori pressori (126).
La dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension) (18, 29, 42, 43, 71, 111,
114, 120, 123, 128, 163) è differente da quella abituale in numerosi paesi, per il
maggior contenuto di frutta, vegetali, latticini a basso contenuto di grassi, cereali
interi, carni bianche, pesce, fibre, e minore di cani rosse, zuccheri, colesterolo. Si è
dimostrata capace di ridurre i valori pressori a tutti i livelli di consumo di sodio (128).
Il DASH-Sodium Collaborative Research Group ha dimostrato che l’effetto
combinato sulla pressione arteriosa della restrizione di sodio (consumo di 150, 100
e 50 mmol/die) e della dieta DASH era nettamente maggiore di quello della
restrizione isolata del sodio a dieta libera, oppure della dieta DASH con apporto di
sodio abituale. La riduzione da 100 a 50 mmol/die del consumo consentiva un
effetto due volte maggiore rispetto a quello da 150 a 100 mmol/die con entrambi i
tipi di dieta (18). Anche prospettato è stato un effetto utile della dieta Dash nella
prevenzione del danno renale (123), indipendentemente dalle caratteristiche
demografiche, dei fattori di rischio renali e della funzione renale basale (42), e un
suo effetto più evidente in soggetti sale-sensibili (117). Una variazione della dieta
DASH iposodica, includente una moderata quantità di carne rossa in più giorni alla
settimana (“Vitality diet”), si è dimostrata efficace nella riduzione della pressione
arteriosa in donne in post.-meopausa (105).
La dieta mediterranea contiene abbondanti vegetali e frutti, cereali, pane integrale,
noci, semi, olio di oliva come principale sorgente di grassi, moderate quantità di latte
e latticini, basse quantità di carne rossa e moderate di carni bianche e di pesce;
moderate quantità di vino rosso (11, 12, 19, 124, 148). Recentemente
aggiornata(122), è stata riconosciuta come un regime associato a una riduzione di
mortalità da ogni causa, dei fattori di rischio cardiovascolari, di alcune neoplasie e di
alcune malattie neurodegenerative e di sviluppare un diabete di tipo 2 (122). I suoi
favorevoli effetti sulla funzione endoteliale, l’infiammazione, il profilo lipidico e la
pressione arteriosa concorrono al rallentamento della progressione del danno
funzionale e al miglioramento della sopravvivenza dei pazienti con danno renale
cronico (121).

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6) Consumo ridotto di sodio in presenza di un danno renale: un paradigma


non assoluto

L’ipertensione arteriosa è, con il diabete, una delle due prime cause di danno renale
terminale, ed è un fattore indipendente della sua progressione (192, 66).
Nell’obiettivo del controllo pressorio si colloca la riduzione del consumo di sale nei
nefropatici cronici (157, 161), consigliata da tutte le linee guida, ma talora trascurata
nella pratica clinica (189).
Per la restrizione sodica nelle nefropatie croniche, tradizionalmente, ci si riferiva al
controllo degli edemi, e prima della sintesi dei moderni diuretici, era per questo
soprattutto utilizzata la dieta di Kempner, con un apporto di sodio di 150 mg/24 ore
(176, 179).
L’importanza, ben più ampia, di un sistematico controllo del consumo di sodio nelle
nefropatie è stata riconosciuta successivamente, con la dimostrazione dei rapporti
tra consumo di sodio e ipertensione, e dei rapporti tra riduzione del suo consumo e il
potenziamento della terapia ipotensiva e dei provvedimenti antiproteinurici e di
nefroprotezione, e delle relazioni tra ipertensione, consumo di sale e danno
cardiovascolare e renale.
Tra le ricerche sui rapporti tra consumo di sodio ed evoluzione del danno renale non
diabetico (alla nefropatia diabetica è dedicato un paragrafo successivo) ne
ricordiamo alcune di maggior interesse.
- L’effetto di un trattamento con Ramipril 5 mg die, con tre differenti apporti di sale,
contrapposto all’assenza di inibizione, è stato studiato in 672 pazienti non diabetici
della casistica degli studi REIN e REIN 2. Età: 18-70 anni, proteinuria: > 1 g/24 ore;
follw-up di 26,2 + 15,6 mesi, clearance media della creatinina: 43,8 e 40,1 ml/min
(147). Sia i pazienti con ACE inibizione che quelli senza ACE inibizione e una
sodiuria maggiore di 200 mEq/g di creatininuria avevano un’incidenza di
insufficienza renale terminale rispettivamente 2,4 e 3,3 volte superiore a quella dei
pazienti con un rapporto sodiuria/creatininuria mEq/g tra 100 e 200, o meno di 100.
Un aumento dell’apporto di sodio corrispondente a 125 mEq/g di creatinina urinaria
si accompagnava a un aumento del rischio d’insufficienza renale terminale del 61%.
Nonostante un controllo pressorio simile, la proteinuria decresceva di più nei
soggetti con basso apporto sodico che in quelli con apporto di sodio elevato, nei
quali l’effetto antiproteinurico del ramipril si riduceva nel tempo. L’evoluzione
funzionale era risultata indipendente dai valori pressori, e questo fatto è stato
atttribuito a valori maggiori di proteinuria presenti in concomitanza di una più elevata
sodiuria (147).
- La modulazione dell’effetto antiproteinurico dell’ACE inibizione da parte
dell’apporto di sodio è stata confermata con la dimostrazione che un apporto di 200
mmol riduceva l’effetto antiproteinurico del Lisinopril, mentre una sua riduzione a 50
mmol lo rievidenziava (14).
- Un’ulteriore conferma che la riduzione del sale si accompagna a una riduzione
della pressione, del consumo di ipotensivi e della proteinuria è venuta da una meta
analisi di otto studi con 258 partecipanti (in 139: riduzione del consumo di sale tra
52 e 141 mmoli) (171)
- In pazienti con danno renale cronico (GFR 15-59 ml/min/1.73 mq, pressione
arteriosa: 130-169 mmHg) la restrizione del consumo di sodio a 60-80 mmol/die vs
180-200 mmol/die riduceva il volume extracellulare, i valori pressori e dimezzava la
proteinuria e l’albuminuria senza effetti negativi. Proteinuria e albuminuria si
riducevano anche in assenza di una riduzione pressoria (177).
I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
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** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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- Un apporto elevato di sodio (>3,6 g die) è risultato associato a un rischio
aumentato di eventi negativi renali maggiori, in una popolazione di 544365 individui
tra 51 e 70 anni, mentre il rischio era ridotto da un apporto elevato di potassio (131).
- Un effetto positivo di rallentamento dell’evoluzione del danno cronico indipendente
dal controllo dell’ipertensione è stato messo in luce da Cianciaruso in due gruppi di
pazienti con insufficienza renale cronica (creatinina clearance: 24+2 e 28+2 ml/min)
seguiti per tre anni, rispettivamente con un regolare consumo di sodio >200 mEq/die
e <100 mEq/die: il gruppo con minore consumo aveva un più lento declino
funzionale (175).
- In presenza di un danno renale, un elevato consumo di sodio richiede spesso un
elevato dosaggio di diuretici, che non ne sembrano annullare l’effetto negativo, forse
per un’incompleta correzione del sovraccarico idrosalino e/o la presenza di effetti
collaterali, come l’ipopotassiema e l’iperuricemia (189).

Questi studi confermano quindi l’opportunità di un controllo sistematico del consumo


di sodio in corso di trattamento ipotensivo e/o antiproteinurico delle nefropatie
croniche, particolarmente nei soggetti con proteinuria intensa, in quelli con edemi, o
con sovrappeso od obesi, e più in generale quando non si ottengano valori pressori
ottimali.
Mentre pressione arteriosa, proteinuria ed edemi sono elementi di valutazione
immediata, l’identificazione di un aumento dei volumi non tradotto da edemi o da un
evidente aumento del peso non è invece semplice. In assenza di insufficienza
cardiaca e di un danno renale avanzato, il NT-proBNP può essere indicativo (191),
ma nell’insufficienza renale i suoi valori aumentano, riducendone il valore
semeiotico.

Queste osservazioni potrebbero far concludere che per il consumo di sodio dei
nefropatici cronici valga regolarmente il principio “tanto meno: tanto meglio”.
Questa generalizzazione non è però giustificata, innanzitutto per la possibile
esistenza, già ricordata, di una curva a U di mortalità cardiovascolare, correlata non
solo ad un eccesso, ma anche a una marcata riduzione dell’apporto sodico.
Inoltre non può essere trascurata l’eventuale presenza di una sodiuria obbligata che
può configurare una “nefrite con perdita di sale” di alcune nefropatie congenite, ma
non è rara per quanto attenuata, in alcune nefropatie interstiziali o nel danno renale
avanzato, e che a seguito di una restrizione sodica inappropriata può causare una
disidratazione e un peggioramento funzionale renale.
Si aggiunga che il consenso per una restrizione salina importante è stato attenuato
da una meta analisi di 36 pubblicazioni in soggetti con danno renale lieve, dalla
quale non è risultata un’evidenza robusta che una riduzione del consumo di sale a
lungo termine prevenga il danno renale o ne rallenti l’evoluzione (104), in accordo
con lo studio di Smyth che aveva confermata un’associazione tra evoluzione
negativa del danno renale ed elevato consumo di sale (>4,6 d/die), ma
un’incertezza nei confronti di possibili effetti più utili di un basso consumo <100
mol/die, rispetto a uno moderato (133).

A fronte di una situazione così complessa, non può quindi stupire che le
raccomandazioni delle linee guida sul consumo di sale in presenza di un danno
renale cronico, non siano omogenee.
- Il Center for Nutrition Policy and Promotion raccomanda un apporto di 65
mmol/24 ore per i soggetti ad alto rischio, compresi quelli con danno renale cronico
(113). Altre linee guida sono più liberali.
I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

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- Le linee guida KDIGO 2012 raccomandano un target di consumo inferiore a 90
mmol al giorno per i soggetti con danno renale cronico e ipertensione arteriosa
sistolica, o diastolica, o pre-ipertensione, “qualora non controindicato”, eccezione
che sottolinea come la restrizione a questi livelli non sia utile in tutte le nefropatie
croniche. In accordo con la varietà delle nefropatie croniche, le KDIGO ricordano
anche che, nel danno renale cronico, l’evidenza che una restrizione dell’apporto
sodico possa ridurre sistematicamente i valori pressori è limitata (139).
- Per rallentarne la progressione del danno renale, la KHA-CARI Autosomal
Dominant Polycystic Kidney Disease Guideline raccomanda 100 mmol/die nei
policistici con un GFR tra 25 e 60 ml/min/1.73mq.(145).
- Il CKD-treatment Working Group della Società Italiana di Nefrologia raccomanda
una restrizione in pazienti con un danno renale e ipertensione arteriosa e/proteinuria
patologica a 2 g/die (87 mmol di sodio), a meno di “controindicazioni per una
deplezione di volume”, e suggerisce di non ridurre l’apporto di sodio a meno di 1500
mg/die (<3 g di sale; 65 mmol) nel danno avanzato (14). Il gruppo di lavoro rileva
anche che edemi renali beneficiano di una restrizione, ma con valori ottimali non
noti (14).
- La Società Canadese di Nefrologia raccomanda una riduzione, nei pazienti il cui
consumo di sodio sia superiore, a un livello flessibile tra 2.7 e 3 g die (117-143
mmol/die), sottolinea che nei nefropatici a questo range corrisponde il minor numero
di effetti negativi e non concorda su un livello uniforme di apporto inferiore a 2 g die
(4).

In sintesi, tenuto conto delle differenti nefropatie croniche e delle possibili differenze
delle lesioni (particolarmente tubulo-interstiziali), è necessario riconoscere che in
presenza di un danno renale un elevato apporto di sodio è da evitare, e che una
restrizione è particolarmente utile soprattutto in caso di apporto elevato (92), ma che
non vi può essere un livello ottimale di restrizione, comune a tutte le classi di danno
e a differenti nefropatie all’interno delle diverse classi, e che la sua entità deve
essere individualizzata e prudente.

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7) Apporto di sodio e diabete. Alcuni dati inattesi.


-
Nel diabete un controllo dei valori pressori riduce il rischio di ictus e di danno
cardiovascolare e rallenta la progressione del danno renale correlato alla malattia
(87, 129). Anche in questa malattia, i rapporti tra sodio ed ipertensione sono ben
documentati (152), e la risposta pressoria alla restrizione di sodio, di massima, è
simile a quella dei soggetti non diabetici (33).
Due studi illustrano bene i rapporti tra riduzione del sale e controllo della pressione
nel diabete di tipo 2 .
- Nel primo, in diabetici di tipo 2 una dieta con 85+14 mmol/die di sodio potenziava
l’effetto ipotensivo e antiproteinurico del Losartan (50 mg die), con una riduzione
pressoria analoga a quella ottenibile con un secondo ipotensivo (80).
- Nel secondo, in diabetici di tipo 2 con apporto di sale abituale inferiore a 100 o
maggiore di 200 mmol/die, le relazioni tra consumo di sodio ed effetto della terapia
ipotensiva sono risultate un continuum, dal potenziamento alla riduzione. Un
supplemento sodico di 100 mmol/die, sia a bassi sia ad alti livelli di apporto basale,
riduceva di un 50% l’effetto sia del telmisartan sia del telmisartan +
diidroclorotiazide; durante la somministrazione del supplemento di sale, la
diiidroclorotiazide aumentava del 35% l’effetto ipotensivo del telmisartan, senza
annullare l’effetto negativo sull’albuminuria del maggior apporto di sodio,
indipendentemente dai valori pressori (54).
Una diminuzione del consumo di sodio può essere utile sull’evoluzione della
nefropatia diabetica: è quanto è stato dimostrato in diabetici di tipo 2 con rapido
declino funzionale (-9.8 ml/min/anno), con una riduzione dell’apporto di sodio da
circa 170 a circa 130 mmol/die (84).
A queste osservazioni favorevoli, si contrappongono alcuni studi osservazionali in
diabetici di tipo I e 2 che hanno evidenziata l’associazione di una più elevata
mortalità con una bassa escrezione giornaliera di sodio (144).
L’associazione in diabetici di tipo 2 tra bassa escrezione giornaliera di sodio e
aumento della mortalità cardiovascolare e da ogni causa è stata confermata in 588
pazienti seguiti sino a oltre 9 anni, nei quali una bassa escrezione di sodio (v.medio
96 mmol/die) era associata a un aumento di mortalità rispetto a consumi maggiori
(56). Una curva di mortalità a U è stata osservata in diabetici di tipo 1 seguiti per 10
anni, nei quali l’apporto ottimale è risultato essere tra 100 e 150 mmol/die (144).
In diabetici di tipo 2 senza ipotensivi, vi era un rapporto inverso tra consumo di sale
e albuminuria, con un rischio relativo del 3.9, per meno 8 g verso 10-12 g/die (127),
richiamando l’attenzione sul cosiddetto “paradosso del sale” nel diabete (aumento
dell’iperfiltrazione della fase iniziale del danno renale) (232, 233).
Come per altre popolazioni, quali responsabili degli eventi negativi, sono suggerite
l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, del sistema simpatico e
modificazioni funzionali endoteliale (67).
Nel caso del diabete, parte degli effetti negativi sono stati attribuiti alle anormalità
del ricambio sodico a livello corporeo totale, renale e cellulare, e a un suo eventuale
ruolo differente rispetto ai non diabetici (152).
L’interpretazione dei dati della letteratura sui rapporti tra sodio e danno renale nei
diabetici è tuttavia difficile per l’eterogeneità delle casistiche, per età, gravità della
malattia, complicazioni e trattamento, e per la possibile presenza di una nefropatia
non diabetica, eventualmente sovrapposta. La prevalenza di questa condizione non
è ben definita per fattori etnici, politiche bioptiche e di arruolamento dei pazienti, ma
in alcune casistiche supera il 30% (209, 212, 212, 213, 214, 215, 216, 217).
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Ricordiamo che, tra i diabetici, sono infatti comuni le nefropatie glomerulari (215,
217) e interstiziali (217), e che sono frequenti le lesioni vascolari arterio-
arteriolosclerotiche, la malattia renale ischemica e l’embolia colesterinica (103, 130,
134, 136, 212, 213).

Anche nel caso del diabete, per la presenza di dati contrastanti e la carenza di
informazioni sull’effetto della restrizione sodica a lungo termine, non è dunque
possibile identificare un target di consumo valido per tutti i pazienti (33), ed è
opportuno adottare un approccio prudente, come indicato dall’American Diabetes
Association (ADA) che consiglia una riduzione a 100 mmol/die (in precedenza
consigliava un apporto inferiore a 87 mmol/die), analoga a quella della popolazione
generale, con eventuali ulteriori restrizioni individuali (164).

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8) Apporto di sodio e insufficienza cardiaca. L’utilità di una sistematica


drastica restrizione è un paradigma superato.

Nell’insufficienza cardiaca, la restrizione del consumo di sale è una


raccomandazione tradizionale, ripresa da tutte le linee guida, ma le indicazioni non
sono omogenee; si può addirittura concludere che manchi l’evidenza di una
specifica raccomandazione ( 70, 88), e non mancano segnalazioni di un aumento di
rischio in pazienti con insufficienza cardiaca con un consumo di sale molto ridotto
(157). La situazione è resa più complessa dal fatto che, in queste condizioni,
l’attivazione del sistema simpatico e di quello renina-angiotensina-aldosterone
conseguenti alla restrizione sodica possono causare una ritenzione preferenziale di
acqua e causare un’iponatremia, che a sua volta può essere aggravata da una
restrizione alimentare del sodio (48).
Di conseguenza, a differenza che per l’intera popolazione, per la quale una recente
Task Force dell’American Heart Association (AHA) ha raccomandato un consumo
di sodio inferiore a 65 mmol (7), in presenza di un’insufficienza cardiaca, alcune
linee guida indicano target maggiori.
Le Heart Failure Society of America Clinical Practice Guidelines (2006)
raccomandano 87 – 130 mmol/die nella sindrome clinica di insufficienza cardiaca,
mentre il target è di meno di 87 mmol/die in caso di insufficienza moderata o severa
(79).
Le linee guida American College of Cardiology Foundation (ACCF)/American
Hearìt Association (AHA) 2013 raccomandano 65 mmoli/die per gli stadi A e B
(soggetti ad alto rischio senza alterazioni strutturali cardiache o con alterazioni
strutturali asintomatici), ma indicano come opportuna una restrizione a circa 130
mmol/die per gli stadi C e D (soggetti con sintomi attuali o pregressi di insufficienza
cardiaca con alterazioni strutturali e pazienti con danno terminale) (162).
Sono in accordo con questa posizione i risultati di uno studio che ha confrontato
soggetti con apporto di sodio “normale” (120 mmol/die) e basso (80 mmol/die) +
furosemide 250-500 mg/die due volte al giorno e un controllo dell’apporto idrico. I
soggetti con l’apporto di 120 mmol/die avevano un numero minore di rientri
ospedalieri e una riduzione significativa dei livelli plasmatici di BNP, aldosterone e
renina (115,116).
Questa situazione ha portato a prospettare la possibilità che, per conservare
un’euvolemia, sia più vantaggioso mantenere un certo livello di apporto sodico
contemporaneo a un dosaggio elevato di diuretici dell’ansa, piuttosto che affidarsi a
una restrizione sodica importante, eventualmente incerta (88).

In caso di insufficienza cardiaca, sembrano dunque prudenti le raccomandazioni


delle American College of Cardiology Foundation(ACCF) / Heart Failure
Society of America (AHA) Clinical Practice Guidelines di fornire un apporto di
sodio in un range da valori prossimi a 87 sino a 130 mmol/die (2-3 g/die), con i
valori meno ristretti, prossimi a 130 mmol, per i pazienti con sindromi di maggior
gravità, in trattamento con diuretici. Importante è anche l’invito a una maggior
attenzione alle condizioni di iposodiemia, non di rado trascurate nella pratica clinica
(168).

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9) Sodio e sale: qualche equivalenza per ridurre le difficoltà interpretative

Le difficoltà nelle raccomandazioni sul consumo di sodio sono anche legate


all’indifferente impiego come sinonimi dei termini di sale o di sodio, e
dall’indicazione del loro apporto in milligrammi, grammi o millimoli (mmol) o
milliequivalenti (mEq): 1 gr di NaCl contiene circa 400 mg di sodio (Na) ossia 17,39
mEq (o mmol) di Na.

Equivalenze di valori di sale e sodio di più comune impiego, in mg e millimoli


(mmol) e miliequivalenti /mEq). 1 mmmol e 1 mEq di sodio corrispondono
entrambi a 23 mg di sodio

sale sodio sodio

g mg mmol/mEq

1 400 17,39

2,5 1000 44

3,8 1495 65

5 2000 87 consumo/die raccomandato in alcune linee guida

5,8 2300 100 consumo/die più comunemente raccomandato

7.5 3000 130

9,2 3680 160 consumo medio/die in Italia


variazioni regionali: 150-185
12,5 5000 217

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10) Sodio. Nomenclatura: difficoltà di definire alcune situazioni

Una difficoltà della nomenclatura è legata all’assenza di accordo sulla definizione di


apporto “fisiologico”, “normale”, “ridotto” ed “elevato”. Si tenga però presente che:
- lo sviluppo dell’uomo è avvenuto con un basso consumo di sale: nel Paleolitico, di
circa 1,7 g/die (sodio: 690 mg; circa 30 mmoli). A lungo, è stato poi di circa 2,5 g die
(42,5 mmoli di sodio)
- studi metabolici hanno indicato che, nell’adulto sano, può essere mantenuto a
lungo un soddisfacente bilancio di sodio con un basso apporto, tra 0,25 e 0,9 g die
di sale (sodio: 100-375 mg/die; 4,25–15,4 mmoli).
- è stato calcolato che il 97% della popolazione globale consuma tra 7,5 e 12,5 g di
sale (3000 – 5000 mg di sodio (130 – 217 mmoli) (21). In Italia il consumo medio è
di 160 mmoli/24 ore.
In alcuni gruppi umani un’escrezione sodica di meno di 1000 mg di sodio (43 mmoli,
equivalenti a circa 2,5 g di sale) è associata a una bassa prevalenza di ipertensione
arteriosa (21). Anche in rapporto a questo dato, e pur riconoscendo che il valore
esatto resta da definire, la World Hypertension League ha indicato per gli adulti
sani un livello di consumo di 2,5 g di sale al giorno come normale (fisiologico), ed ha
recentemente proposto una nomenclatura per il consumo di sale e la sua riduzione
(21), raccomandando nell’adulto un consumo giornaliero (meno di 5 g al giorno ; 87
mmmoli), i più bassi delle linee guida.

sale mg sodio mmol

apporto ancestrale < 2,5 g/die <1000 <43

raccomandato < 5g/die <2000 <87

elevato > 5 – 10 g/die >2000 – 4000 >87 - 174

molto elevato > 10 – 15 g/die >4000 – 6000 >174 - 261

estremamente elevato >15 g/die > 6000 >261

Da Campbel NR e Coll Proposed Nomenclature fior Salt Intake and for Reduction in Dietary Salt (23)

Nomenclatura per il consumo di sale (World Hypertension League, World Action


on Salt & Health, e the Australian Division of World Action on Salt & Health).

Il consumo è calcolato in base alla sodiuria/24 ore, eseguita in più giorni, gold
standard di valutazione. In assenza di perdite extrarenali (sudore, diarrea), di una
sindrome edemigena, di uso di diuretici, o di un danno grave cardiaco, renale o
epatico, l’85-90% del sodio introdotto è eliminato con le urine (riferimento abituale:
90%). L’impiego alternativo di un dosaggio su un campione spot di urine con
impiego di equazioni non è raccomandato nello studio di singoli casi.

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Questa nomenclatura sottolinea come il consumo di sale abituale nel nostro
ambiente è elevato, o molto elevato (il valore medio italiano è di 9,4 g die; sodio:
3760 mg; circa 163 mmoli), e consente un riferimento per i singoli pazienti.
La classificazione non si applica ai cibi, per i quali vale la regola che il consumo di
quelli senza sale aggiunto permette di mantenere facilmente il consumo di sodio
entro i limiti raccomandati. Una dieta carneo-vegetariana senza alimenti
prepreparati contiene di massima meno di 2 g di sale/24 ore (circa 86 mmoli); una
dieta vegetariana, senza aggiunte di sale ne contiene meno di 1,25 g/24 ore (circa
54 mmoli) (23).

Altre definizioni del consumo di sodio sono numerose e discordanti. Ricordiamo, a


titolo esemplificativo:
Il consumo abituale di sodio “Usual intake” è di 3000-5000 mg die (130-217 mmol
die) (21)
Normal sodium diet: 100 mmol/die; low sodium diet: 50 mmol/die; high sodium
diet 150 mmol/die (115)
Normal sodium diet: 120 mmol die; low sodium diet 80 mmol die (115, 116);
Normal sodium diet: 121 mmol/die; low sodium diet: 78 mmol/die (46)
Higher, medium, and lower sodium levels: (140, 104, 62 mmol/d) (DASH-Sodium
trial) (111)
Low sodium intake as that recommended by guidelines (<2.3g/day), moderate
intake: 2.3–4.6g/day, and high intake: twice the upper limit recommended by
guidelines (>4.6g/day) (133)

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11) Importanza del consumo di Potassio. Un primo attore spesso dimenticato

Nella nostra alimentazione, il potassio è spesso uno degli elementi più carenti
rispetto alle necessità, nonostante che il suo consumo sia molto importante (93,
149), anche più di quello del sodio.
Come per il sodio, è comune un riferimento indifferente a grammi, milliequivalenti e
millimoli, termine più comune. Un millimole e un milliequivalente corrispondono
entrambi a 39 mg. di potassio.
Nella popolazione generale un basso apporto di potassio è associato a un aumento
del rischio di ipertensione arteriosa, soprattutto quando il consumo di sodio è
elevato (181), di malattie cardiovascolari (particolarmente di lesioni coronariche e di
ictus), di resistenza all’insulina e di diabete (52).
Un apporto elevato di potassio si associa invece a una pressione arteriosa più
bassa (5, 6), a una riduzione di eventi cardiovascolari negativi, a una diminuzione
della mortalità cerebrovascolare e da ogni causa (40, 52, 93), ed a minori probabilità
declino funzionale renale, nella popolazione generale e in soggetti con funzione
renale normale, ma a rischio di nefropatia per diabete o malattie cardiovascolari
(16).
L’effetto benefico di un aumento del consumo di potassio è più evidente nei soggetti
con un consumo di sodio più elevato: già rilevabile per valori tra 2 e 4 g/die (87 –
174 mmol) ha una maggiore evidenza oltre 4 g/die (174 mmol); l’effetto ipotensivo è
più evidente nei soggetti sodiosensibili.
Valori di introduzione maggiori di 90 possono ridurre l’incidenza dell’ipertensione: la
versione 2100 kcal della dieta DASH che ha un apporto di circa 4.7 g die di potassio
(120 mmol) assicurato da frutta e vegetali può appunto consentire una riduzione dei
valori pressori (5).
In 5511 soggetti del PREVEND study (28 – 75 anni, normotesi senza terapia
ipotensiva; follow-up mediano: 7.6 anni; potassiuria mediana 70 mmol/die
corrispondenti a un introduzione di 91 mmol/die) quelli nel più basso interquartile di
potassiuria (maschi < 68mmol/24 ore; donne <58 mmol/24 ore) avevano un rischio
di sviluppare un’ipertensione di 1,2 rispetto a quelli dei due terzili più elevati. Circa 1
su 16 casi incidenti di ipertensione era attribuibile a un basso introito di potassio
(86).
Nello studio PURE, che ha confermata l’associazione positiva tra valori pressori e
consumo elevato di sodio e rischio di morte e di eventi cardiovascolari, un consumo
di potassio oltre 1,5 g die (38 mmol/die) e di sodio tra 3 e 6 g die (130 – 260
mmol/die), erano associati a una riduzione del rischio di morte e di eventi
cardiovascolari (181).
Per quanto riguarda il rapporto tra consumo di potassio e prevenzione del danno
renale, su oltre 5315 soggetti dello studio PREVEND, liberi inizialmente da
insufficienza renale, in un’osservazione media di 10.3 anni (85), bassi valori di
potassiuria (<70 mmol/die) equivalenti a un consumo di circa 90 mmol die si
associavano a un rischio maggiore di sviluppare un danno renale cronico (eGFR <
60 ml/min/1.73mq e/o UAE < 30 mg/die). Ogni decremento di potassiuria di 21
mmol/24 ore si associava ad un aumento del 16% del rischio di sviluppare un danno
renale cronico. L’associazione era più stretta negli ipertesi.
Nello studio di Sharma (adulti dello studio NHANES dei quali il 7,3% aveva un
eGFR < 60 ml/min) un’eliminazione di potassio del più basso interquartile (<44,5

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
Nefrologia, Dialisi e Trapianto Ospedale Molinette
** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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mmol/die) si associava a un rischio superiore al 44% di sviluppo di un danno renale,
rispetto agli interquartili maggiori (>86 mmol/die) (140).

12) Valutazione del consumo di potassio

Alla valutazione del consumo di potassio basata su questionari è preferibile il ricorso


alla potassiuria 24 ore che corrisponde a meno dell’80% della quota ingerita.
Secondo la WHO può essere calcolato moltiplicando per 1.3 il valore della
potassiuria di 24 ore. E molto variabile di giorno in giorno e per questo se sono
necessari valori precisi è bene ripetere il controllo per più giorni.
Per gli stretti rapporti tra sodio e potassio, numerosi studi sottolineano che il
rapporto sodiuria/potassiuria è un utile elemento di giudizio: è soddisfacente un
rapporto prossimo all’iso-osmolarità, come raccomandato dalla WHO (apporto di
potassio di oltre 90 mmol/die e di sodio < 100 mmol die (149).
Negli USA è stato calcolato un introito medio di 3.200 mg die nei maschi e di 2.403
nelle donne (156)

13) Quanto potassio dovremmo consumare ogni giorno? Raccomandazioni


delle linee guida

Per gli adulti sani, i valori consigliati sono compresi tra 70 e 120 mmol/die.
Il Joint WHO/Food and Agriculture Organisation Expert Consultation
raccomanda un apporto di almeno 90 mmol/die per gli adulti (234).
La World Health Organisation (WHO) suggerisce almeno 90 mmol/die per gli
adulti, ipertesi e non, con eccezione di quelli con una compromissione
dell’eliminazione urinaria di potassio (158), e un rapporto molare tra sodio e
potassio di circa uno.
Per la popolazione generale sana, in USA, Canada, Corea sono raccomandati
valori superiori, 120 mmol/die, ritenuti sicuri in assenza di un danno renale (156).
Le Hypertension Canada’s 2016 Canadian Hypertension Education Program
Guidelines (CHEP) raccomandano un aumento del consumo di potassio nei
soggetti non a rischio di iperpotassiemia. La raccomandazione è di grado A, che
indica una forte evidenza, in base a studi di alta qualità.

Un apporto elevato di potassio non è da consigliare a tutti. Non lo è in chi ha un


danno renale, una potassiemia maggiore di 4.5 mEq/L. e in chi usa farmaci che
possono causare un aumento dei livelli ematici (come spirolonactone, eplerenone,
amiloride, triamterene, sulfametossazolo, trimetoprim), in chi usa ACE inibitori,
antagonisti recettoriali o sartani, spironolattone, eplerenone.
Le NKF-KDOQI 2004 hanno raccomandato un controllo della potassiemia nei
soggetti con e-GFR < 60 ml/min o con un potassiemia basale > 4.5 mEq/L entro
quattro settimane dall’inizio di un trattamento che la può aumentare (per altre linee
guida la raccomandazione è per entro dodici settimane), ma la raccomandazione è
spesso trascurata (156, 193, 194).

Apporto ottimale di potassio. Non esistono dati precisi sull’apporto più


vantaggioso senza effetti negativi. Studi di alta qualità hanno dimostrato che negli
adulti con funzione renale normale un apporto di 90-120 mmol/die riduce i valori
pressori ed è associato a minori rischi di stroke, ma non consentono di identificare
un livello ottimale preciso (2, 188). Soggetti impegnati in attività fisica intensa,

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
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** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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soprattutto se in ambienti con temperatura elevata ne devono aumentare
l’introduzione.

14) Effetti potenzialmente negativi di un apporto di potassio elevato

In presenza di un danno renale è soprattutto temibile l’iperpotassiemia (valori


normali: tra 3,5–3.8 e 5-5.5 mmol/L a seconda dei laboratori), eventualmente
favorita da una condizione di acidosi e dalla somministrazione di ACE
inibitori/antagonisti recettoriali. I soggetti con più elevati valori di potassiemia sono a
rischio di morte (173, 178). Sono state segnalate un’associazione tra potassiuria
elevata e rischio di progressione del danno renale, ma questa osservazione non è
stata confermata (93) e un’associazione tra apporto molto elevato di potassio ed
effetto negativo sulle concentrazioni ematiche di lipidi e catecolamine.

15) Dieta e potassio

Un apporto elevato di potassio è assicurato da un consumo abbondante di frutta e


verdura (74), ed è previsto dalle diete DASH e mediterranea. Solo occasionalmente
ci si affida a un supplemento di sali di potassio, pericoloso in chi ha un danno renale
e in chi assume ACE inibitori, antagonisti recettoriali e antialdosteronici.
Alcune Agenzie Sanitarie hanno proposto la regola del “five-a-day”: cinque porzioni
al giorno di frutta e verdura (ciascuno di circa 80 g) (9, 125). Successivamente è
stato proposto un aumento delle porzioni a 7 (due di frutta e cinque di vegetali) (28,
112, 118), e più recentemente sono stati prospettati i vantaggi di un apporto ancora
maggiore (61, 64, 77). Ogni 200 g/die di frutta e verdura, sino a 800 g,
consentirebbero una riduzione dell’8% delle malattie coronariche, del 16% per lo
stroke, dell’8% per la malattie cardiovascolari. Un apporto di 600 g al giorno
consentirebbe una riduzione del 3% dei tumori.
Queste indicazioni non sono automaticamente valide per i pazienti con un danno
renale e per chi sta assumendo farmaci che possono causare una ritenzione di
potassio (ACE inibitori, antagonisti recettoriali, diuretici antialdosteronici), situazioni
nelle quali l’apporto desiderato dovrà essere individualizzato.

16) Apporto di potassio in presenza di danno renale. Rischi e timori

Tradizionalmente, in presenza di danno renale si è prestata attenzione


all’ipopotassiemia da farmaci o da danno renale tubulo-interstiziale, e soprattutto
all’iperpotassiemia da farmaci, o secondaria a un’insufficienza renale avanzata.
Il rischio di iperpotassiemia è legato al livello funzionale renale, a un’acidosi, a una
malattia concomitante che può alterarne il bilancio, come il diabete, e all’impiego di
farmaci che possono influenzarne l’escrezione renale, e all’introduzione di potassio.
I fattori predittivi di rischio di iperpotassiemia, da verificare prima di un’eventuale
raccomandazione di aumentare l’apporto di potassio, sono quindi:
- - un eGFR < 60 ml/min/1.73 mq. Il rischio aumenta notevolmente quando l’e-GFR
scende sotto i 45 ml/min. Non disponiamo di dati che indichino a partire da quale
livello di danno renale i pazienti sviluppino un’iperpotassiemia a seguito di un
consumo elevato (156) Le NFK-KDOQI (2004) raccomandano un apporto
giornaliero di potassio tra 51 e 102 mmol nello stadio 3 e 4 del danno cronico (155,
156)
- - una potassiemia basale > 4,5 mEq/L che richiede cautela sia per un consiglio di
aumento del consumo sia in caso di impiego di farmaci che la possono aumentare.
I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

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In caso iperpotassiemia, è obbligatoria una riduzione del consumo abituale,
contemporaneo all’analisi delle eventuali altre cause
- - un’acidosi
- - l’impiego di farmaci anti renina-angiotensiva – aldosterone. Abitualmente, la
monoterapia con uno di questi farmaci non accresce sostanzialmente il rischio di
iperpotassiemia in assenza di ipotensione o di deplezione di volume, ma è sempre
opportuno non ignorare questa eventualità. Gli antialdosteronici aumentano
marcatamente il rischio di iperkaliemia in presenza di un danno di stadio 3 o
maggiore
- - l’impiego di altri farmaci che aumentano la potassiemia (ad es. trimetoprim e
sulfametossazolo, amiloride, triamterene).

In adulti con danno renale i rapporti tra consumo di potassio ed evoluzione del
danno renale sono controversi.
Nello studio CRIC in presenza di valori di GFR compresi tra 20 e 70 ml/min, una
potassiuria di 67.1 mmol/24 ore o più era associata a un rapporto di rischio di 1.59
per la progressione del CKD, e di 0.98 e di 1.42 rispettivamente per la mortalità da
ogni causa, e il rischio composto di progressione del danno renale e mortalità da
ogni causa (100).
Al contrario, negli studi ONTARGET e TRASCEND su 28.879 pazienti con alto
rischio cardiovascolare (nel 32% con e-GFR < 60 ml/min/mq) una potassiuria
moderata (mediana 54 mmol/die) o elevata (mediana 69 mmol/die) era associata a
minori probabilità di danno renale nei confronti del terzo più basso (potassiuria
mediana 43,4 mmol/die) (204).
Entrambi gli studi rilevano tuttavia che un apporto di potassio inferiore a quanto
raccomandato per la popolazione generali di adulti (< 67 mmol/die nello studio CRIC
e valori mediani di 69 ml/negli studi ONTARGET e PREVEND) aveva un effetto
potenzialmente negativo, o non protettivo nei confronti del danno renale nei soggetti
con e-GFR < 45 ml/min (85)

17) Importanza di una dieta corretta per un buon controllo


dell’ipertensione arteriosa

Come già ricordato, I trattamenti non farmacologici più importanti nella prevenzione
e nella correzione dell’ipertensione arteriosa sono: il controllo del peso corporeo, la
dieta DASH e la dieta mediterranea (pag 14), un giusto consumo di sale e potassio,
la riduzione di un eventuale eccessivo consumo di alcool e una vita fisicamente
attiva.

Per dettagli su “Dieta di cinque colori”:

- Mangia a colori! Frutta e verdura 5 porzioni al ... - Ministero della Salute (95)
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_opuscoliPoster_5_allegato.pdf

- Eat a rainbow | Nutrition Australia


http://www.nutritionaustralia.org/national/resource/eat-rainbow

- Ogni giorno 5 porzioni e 5 colori | Fondazione Umberto Veronesi


https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/alimentazione/ogni-giorno-5-porzioni-e-5-colori

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

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Chi è interessato a valutazioni più dettagliate sul contenuto di sodio e di


potassio negli alimenti può consultare su internet le

Tabelle di composizione degli alimenti - INRAN – Istituto Nazionale di Ricerca per gli
alimenti e la nutrizione.
http://online.scuola.zanichelli.it/cappellivannucchi/files/2012/11/Tabelle_Cappelli_Vanucchi_5959.pdf

I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
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essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
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18) Alcune informazioni supplementari sul potassio

Potassio equivalenze tra grammi (g), millimoli (mmol) e milliequivalenti (mEq)

Potassio 1 mmol = 1 mEq = 39.10 mg


g mmol o mEq

1 25.6
2 51,28
3 76.92
3,5 89.5
4 102,56

Significato della potassiuria Circa l’80% del potassio introdotto è eliminato con le
urine. La WHO consiglia un fattore di correzione di 1,3 per calcolare il potassio
consumato dalla potassiuria. Mancano dati sul rapporto potassiuria/potassio
consumato in presenza di danno renale, specialmente se avanzato

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19) Classificazione dell'ipertensione arteriosa secondo il 7° Joint National


Committe

Normotensione = pressione inferiore a 120 /80 mmHg (millimetri di mercurio)


Pre ipertensione = 120-139/80-89 mmHg
Ipertensione = valori sistolici (PA massima) equali o maggiori di 140 mmHg oppure
diastolici (PA minima) eguali o maggiori di 90 mmHg

Recentemente gli studi sull’automisurazione della pressione a domicilio hanno fatto modificare
parzialmente la definizione dell’ipertensione arteriosa:
Ipertensione: valori pressori eguali o maggiori di 140/90 mmHg nello studio medico
Ipertensione: valori pressori eguali o maggiori di 135/85 mmHg a casa (automisurazione)

A fine 2017 l’American Heart Association, l’American College of Cardiology,


assieme ad altre 8 associazioni hanno proposte delle nuove categorie della
pressione arteriosa (231)

Pressione arteriosa normale: < 120/80 mm Hg


Pressione elevata: sistolica tra 120 e 129 mmHg e diastolica inferiore a 80 mm Hg
Ipertensione stadio 1: sistolica tra 130 e 139 oppure diastolica tra 80 e 90 mm Hg
Ipertensione stadio 2: sistolica di 140 o più, o diastolica di alemo 90 o più mm Hg
Crisi ipertensive: sistolica superiore a 180 e/o diastolica superiore a 120 mm Hg

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consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
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20) Classificazione del danno renale cronico

Categoria eGFR(ml/min(1,73mq) descrizione

G1 > 90 Filtrato glomerulare normale o elevato

G2 60-89 Filtrato lievemente ridotto rispetto


ai dati di un giovane adulto
G3A 45-59 Filtrato ridotto lievemente - moderatamente

G3B 30-44 Filtrato ridotto moderatamente - severamente

G4 15-29 Filtrato glomerulare severamente ridotto

G5 <15 insufficienza renale

tab. 7.3e 1 Classificazione KDIGO *: categorie funzionali, in rapporto ai valori del


GFR ** normalizzato per la superficie corporea (4, 139, 222). La classe 3 è stata
scissa nelle sottoclassi: 3A e 3B. Le categorie inferiori corrispondono a una prognosi
peggiore, con maggior rischio di insufficienza renale terminale e di mortalità
cardiovascolare e da ogni causa.
Nell’adulto, oltre i 20 anni, la malattia renale cronica (CKD) è definita in base alla
presenza, per tre o più mesi, in almeno due controlli, di un GFR <60 ml/ min/1,73mq
o di un marker di danno renale: albuminuria (ACR >30mg/g; AER >30 mg/die);
anormalità elettrolitiche o altre alterazioni secondarie a disordini tubulari; alterazioni
del sedimento, ad es: microematuria, esclusa una causa urologica; alterazioni
morfologiche alla diagnostica per immagini; reperto bioptico di nefropatia, trapianto
di rene.
La soglia di 60 ml/min/1,73 mq per la diagnosi di CKD, corrisponde a circa il 50%
del valore normale nella donna ed è stata stabilita con un criterio basato sul rischio
di insufficienza renale e di mortalità da ogni causa e cardiovascolare; non tiene
conto dell’età.

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essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
Nefrologia, Dialisi e Trapianto Ospedale Molinette
** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
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essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
Nefrologia, Dialisi e Trapianto Ospedale Molinette
** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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Prof Giuseppe Piccoli * Dott Franca Giacchino **

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I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
consigli del medico, e hanno soltanto funzione di indirizzo e spiegazione, per facilitare la comprensione dei consigli sanitari, che devono
essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
e ad ottimizzare quello di potassio, spesso deficitario negli individui sani.

*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
Nefrologia, Dialisi e Trapianto Ospedale Molinette
** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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I consigli e le indicazioni contenute in questo documento sono basate su opinioni personali e non sono prescrizioni sanitarie sostitutive dei
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essere personalizzati, e delle indicazioni di organizzazioni sanitarie internazionali finalizzate a ridurre un abituale, eccessivo consumo di sale
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*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
Nefrologia, Dialisi e Trapianto Ospedale Molinette
** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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*- Past President della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università di Torino e della Divisione di
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** - Presidente della FIR Piemonte e Valle d’Aosta; già Primario della Divisione di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Civile di Ivrea
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