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Perché Adam, dopo avere trasgredito il precetto divino “non mangerai”, si nasconde?
La risposta non è semplice anche perché il focus narrativo del testo biblico non è sul
nascondimento ma sulla domanda che il Signore Dio pone ad Adam: “Dove sei? ()” (Gen 3,9).
Il nascondimento fa da corona alla domanda divina: la precede, e in questo caso riguarda
Adam e la sua donna (Gen 3,8); la segue e riguarda il solo Adam (Gen 3,10).
Non si può, di conseguenza, affrontare il tema del nascondimento senza tenere come
punto di riferimento quel “Dove sei?” che risuona, a partire dal sesto giorno della creazione, come
il grido di Dio in cerca del’uomo e come, di riflesso, della risposta di un’umanità che si pone, fin da
subito, in cerca di Dio per trovarlo e per tornare a lui.
Lo spunto per comprendere e approfondire la portata delle parole del testo biblico ce lo
fornisce Martin Buber in un passo significativo che riporto per intero:
“In ogni tempo Dio interpella l’uomo: “Dove sei nel tuo mondo? Dei giorni e degli
anni a te assegnati ne sono trascorsi già molti: nel frattempo tu fin dove sei arrivato
nel tuo mondo?” “Adamo sei tu. E a te che Dio si rivolge chiedendoti: ‘Dove sei?’”.
Ogni volta che Dio pone una domanda di questo genere non è perché l’uomo gli
faccia conoscere qualcosa che lui ancora ignora: vuole invece provocare nell’uomo
una reazione suscitabile per l’appunto solo attraverso una simile domanda, a
condizione che questa colpisca al cuore l’uomo e che l’uomo da essa si lasci colpire
al cuore. Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per sfuggire alla
responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo, perché ogni uomo è
Adamo e nella situazione di Adamo. Per sfuggire alla responsabilità della vita che si è
vissuta, l’esistenza viene trasformata in un congegno di nascondimento. Proprio
nascondendosi così e persistendo sempre in questo nascondimento “davanti al volto
di Dio”, l’uomo scivola sempre, e sempre più profondamente, nella falsità. Si crea in
tal modo una nuova situazione che, di giorno in giorno e di nascondimento in
nascondimento, diventa sempre più problematica. E una situazione caratterizzabile
con estrema precisione: l’uomo non può sfuggire all’occhio di Dio ma, cercando di
nascondersi a lui, si nasconde a se stesso. Anche dentro di sé conserva certo
qualcosa che lo cerca, ma a questo qualcosa rende sempre più, difficile il trovarlo. Ed
è proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di Dio: vuole turbare l’uomo,
distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli vedere dove lo ha condotto una
strada sbagliata, far nascere in lui un ardente desiderio di venirne fuori. 2 A questo
punto tutto dipende dal fatto che l’uomo si ponga o no la domanda. Indubbiamente,
quando questa domanda giungerà all’orecchio, a chiunque “il cuore tremerà”. Ma il
congegno gli permette ugualmente di restare padrone anche di questa emozione del
cuore. La voce infatti non giunge durante una tempesta che mette in pericolo la vita
dell’uomo; è “la voce di un silenzio simile a un soffio”, ed è facile soffocarla. Finché
questo avviene, la vita dell’uomo non può diventare cammino. Per quanto ampio sia
il successo e il godimento di un uomo, per quanto vasto sia il suo potere e colossale
1
la sua opera, la sua vita resta priva di un cammino finché egli non affronta la voce.
Adamo affronta la voce, riconosce di essere in trappola e confessa: “Mi sono
nascosto”. Qui inizia il cammino dell’uomo. Il ritorno decisivo a se stessi è nella vita
dell’uomo l’inizio del cammino, il sempre nuovo inizio del cammino umano. Ma è
decisivo, appunto, solo se conduce al cammino: esiste infatti anche un ritorno a se
stessi sterile, che porta solo al tormento, alla disperazione e a ulteriori trappole.”1
Se il cammino dell’uomo inizia da questo nascondimento di Adam, è dalle parole del testo
biblico che dobbiamo partire per trovare le strade da percorrere.
“Disse (Adamo): E’ la tua voce quella che ho ascoltato nel Giardino e ha avuto timore perché ero
nudo e mi sono nascosto.”
Le parole di Adamo, in risposta alla domanda del Signore Dio: “Dove sei?”, sono anticipate
nella narrazione dei versetti precedenti; in particolare al versetto è detto 8:
1
Martin Buber, Il cammino dell’uomo, Qiqajon, Magnano (Bi), 1990, pp. 21-23
2
Il temere () è, per diversi, aspetti sorprendente. Ci aspetteremmo, infatti, una voce
verbale del tipo; “ho provato vergogna”, in continuità con quanto detto in Genesi 2,25; “ed erano
tutti e due nudi () e non ne provavano vergogna ()”.
Il verbo temere () apre una diversa prospettiva: indica, seguendo la via interpretativa
indicata dal Midrash, che Adam si sta progressivamente umanizzando, vale a dire: da Adam ha-
rishon sta divenendo adam/uomo.
Passo dopo passo.
Il primo passo è indicato dalla diversità delle parole utilizzate per indicare la nudità, prima e
dopo la trasgressione.
In Genesi 2, 25, prima della trasgressione, la parola che indica che Adam ed Eva erano nudi
è , mentre in Genesi 3, 7, dopo la trasgressione, è . La prima indica una nudità
inconsapevole (quasi passiva), non percepita e non pertinente nella comprensione che l’uomo ha
di sé e del suo rapporto col mondo e con Dio. La seconda, invece, mostra la consapevolezza che
l’uomo ha del proprio stato a partire dal corpo la cui nudità si mostra come fragilità e atto di
accusa. Il fatto che la parola sia doppiamente difettiva (mancano la mater lectionis jod del plurale
e la mater lectionis waw che scrive la vocale shureq) ci insegna che la condizione straordinaria e
eccezionale di Adam ha-rishon si sta trasformando progressivamente in quella di semplice
adam/uomo. Inoltre la lettera jod scritta nella base radicale della parola e non nella desinenza del
plurale, ci mostra che la condizione creaturale dell’uomo giunge al suo compimento: allo jetser
tov, l’inclinazione al bene, viene aggiunto lo jetser ha-ra’, l’inclinazione al male, necessario per la
trasgressione (e per la vita). In tal modo la creazione dell’uomo viene portata a compimento,
secondo quanto insegna Gen 2,7.
C’è, inoltre, una nudità fisica ed una nudità morale.
La nudità morale è legata al precetto in quanto l’uomo, dopo la trasgressione, è “nudo del
precetto”.
Così insegna il Midrash:
“E seppero di essere nudi – pur essendo uno solo il precetto che era stato dato loro, ne furono
denudati2.” (Bereshìt rabbà 19, 6).
La nudità fisica, invece, è legata alla percezione del corpo e alle convezioni che
regolamentano la sua ostensione agli occhi sia di Dio (regole cultruali) sia dell’altro uomo (regole
sociali). Riconoscere di essere nudi palesa l’umanità dell’uomo e ne determina la necessità di
coprirsi per celare quelle parti del corpo che sono necessarie per compiere il precetto “crescete e
moltiplicatevi” ma che non devono essere mostrate perché legate alla vita e all’impurità che essa
porta con sé.
Secondo passo.
Il rapporto che lega l’uomo al suo creatore è un rapporto di ‘avodà, “servizio”, nella vita e
con la vita così come nel culto, e di jir’à, “timore”, non di paura ma di rispetto e di necessaria
sottomissione, come è detto: “Il timore del Signore è il principio della sapienza (Proverbi 1,7). Il
2
Il precetto divino protegge una persona così come una vestito la copre e la ripara.
3
timore di Adamo, pertanto, non è la paura del giudizio divino, ma la posizione della distanza, fino
ad allora ignorata e non necessaria, che separa l’umano dal divino, Adam dal suo Creatore, il
vivere nel Giardino dal vivere nel mondo “vero”.
Terzo passo.
La conquista vera di Adam, padre dell’umanità, è la morte. Ancora una volta è una
particolarità del testo, un dettaglio apparentemente insignificante, a darci questo insegnamento.
In Genesi 3,8 è detto che Adam e la sua donna si nascosero ב ְַ֖תֹוְך ֵעָ֥ץ הַגָׁ ִּֽן, “in mezzo
all’albero/legno del Giardino”.
Perché è usato il singolare?
Per insegnarci che si tratta di un albero specifico, quel fico con le cui foglie avevano
intrecciato le cinture con cui coprirsi (Gen 3,7); quel fico da cui, secondo un’interpretazione data
dalla tradizione rabbinica, Eva aveva colto il frutto proibito. Ma quel singolare ci fa anche
comprendere che è col legno degli alberi che si fabbricheranno le bare con le quali saranno sepolti
i figli di Adam.
E’ detto nel Midrash:
“Ha detto rabbi Levi: E’ un’allusione ( )רמזalla generazioni che da lui discenderanno che saranno
poste in bare di legno ()עץ.” (Bereshìt rabbà 19,8).
Nel versetto (Genesi 3,8) è usato per la prima volta nella Bibbia il verbo nascondersi
(), e la tradizione ebraica si chiede come avrebbero potuto l’Adam ha-rishon (e la sua donna)
3
celarsi sotto l’albero, se la sua statura andava da una estremità all’altra del mondo4. La risposta sta
nell’abbassamento della statura/condizione di Adam ha-rishon e nella progressiva e conseguente
conquista della condizione umana, così come ci è propria.
Insegna il Midrash:
ויתחבא האדם ואשתו א"ר איבו גרעה קומתו ונעשה של ק' אמה
“E si nascose Adam e sua moglie – Ha detto rabbi Ajbù: Si abbassò la loro statura e divenne di
cento cubiti5” (Bereshìt rabbà 19,8).
Nella conquista delle condizione umana sta anche l’occultarsi di Adam e della sua donna.
Perché si nasconde?
Nel testo biblico il verbo è usato 35x; la forma correlata 4x.
3
4
Cfr Bereshit rabbà 8,1.
5
Il cubito biblico è di 44,45 cm. Cento cubiti sarebbero, pertanto, 44,45 m. Il midrash riprende quanto affermato in
bChagigà 12° dove si dice che Dio pose la sua mano sulla testa di Adam e ne abbassò la statura. I cento cubiti sono
desutni dal passo biblico portato come prova, Salmo 139,5: Tu hai posto il tuo palmo su di me. Palmo è che ha
valore numerico di 100 (20+80).
4
Diamo la parola ad una delle voci che, all’interno della tradizione rabbinica, ha affrontato il
problema.
ְוכָׁתּוב ֶאחָׁד.שמְעּו אֶת קֹול ה' אֱֹלהִּים מִּתְ ַהלְֵך ַבגָׁן לְרּו ַח הַיֹום ְ ִּ ח] ַוי,שנֶ ֱאמַר [בראשית ג ֶ ,ַאחַת ְבגַן עֵדֶ ן ִּמנַי ִּן
ָׁ ק ָָׁׁרא לָָׁאדָׁ ם וְָאמַר לֹו ָׁלמָׁה ב ַָׁרחְת. שֹופֵט צֶדֶ ק ֶו ֱאמֶת, יָׁשַב לֹו בְדִּ ין ֱאמֶת. ב] ּדֹודִּ י י ַָׁרד ְלגַנֹו,אֹומֵר [שה"ש ו
ִּירא כִּי
ָׁ ש ַמעְתִּ י ַבגָׁן ָׁוא
ָׁ י] אֶת קֹלְך,שנֶ ֱאמַר [בראשית ג ֶ ,ש ַמעְתִּ י ו ְָׁרעֲדּו ַעצְמֹותַ י ָׁ ש ְמעֲך ִּ ָאמַר ְל ָׁפנָׁיו,ִּמ ָׁפנָׁי
מֶה ָׁהי ָׁה.שנֶ ֱאמַר כִּי עֵיר ֹם ָאנֹכִּי ֶ , כִּי עֵיר ֹם ָאנֹכִּי ִּמצִּּוּוי,ִּירא ִּמ ַמ ֲעשַי
ָׁ ָׁוא, ָׁו ֵא ָׁחבֵא מִּפ ֹ ֲעלִּי.עֵיר ֹם ָאנֹכִּי ָׁו ֵא ָׁחבֵא
כֵיוָׁן שֶָאכַל ִּמפֵרֹות ָׁהאִּילָׁן נִּ ְפשַט עֹור צִּפ ֶֹרן, עֹור שֶל צִּפ ֶֹרן ַו ֲענַן כָׁבֹוד ְמ ֻכסֶה ָׁעלָׁיו,לְבּושֹו שֶל ָאדָׁ ם ה ִָּׁראשֹון
שנֶ ֱאמַר [שם יא] וַי ֹאמֶר מִּי ִּהגִּיד לְך כִּי עֵיר ֹם אָׁתָׁ ה ֲהמִּן ֶ , ו ְָׁרָאה ַעצְמֹו עָׁר ֹם ְונִּסְתַ לֵק ֲענַן ַהכָׁבֹוד ֵמ ָׁעלָׁיו,ֵמ ָׁעלָׁיו
.'ָׁהעֵץ ֲאשֶר ִּצּוִּיתִּ יך וְגֹו
“Da dove sappiamo che (il Santo benedetto egli sia) discese nel Gan Eden? Da quanto è scritto: E
ascoltarono la voce del Signore Dio che camminava nel Giardino (Gen 3, 8), e ancora è scritto: Il
mio amato è sceso nel suo giardino (nell’aiuola del balsamo/della loro vergogna) (Ct 6,2). Si è
seduto (il Santo benedetto egli sia) nel tribunale della verità e ha giudicato secondo giustizia e
verità.
Chiamò Adam e gli disse: Perché sei fuggito dal mio cospetto?
Disse al suo cospetto: Ho ascoltato il tuo annuncio e le mie ossa tremarono, come è detto: Ho
ascoltato la tua voce nel Giardino e ho avuto timore perché ero nudo e mi sono nascosto. Mi sono
nascosto dalla mia opera ( )מִּפ ֹ ֲעלִּיe ho avuto timore delle mie azioni () ִּמ ַמ ֲעשַי, perché sono nudo
dal precetto, come è detto: perché ero nudo.
Qual era il vestito di Adam ha-rishon? Una pelle di onice e la nube della gloria lo ricoprivano. Ma
quando mangiò del frutto dell’albero fu spogliato della pelle di onice e la nube della gloria se ne
partì via da lui, come à detto: Chi ti ha raccontato che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di
cui ti avevo ordinato di non mangiare? (Gen 3,11)” (Pirqé de-rabbi Eliezer 14).
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בראשית פרק ב
:ָאכ ֹל ת ֹאכֵ ִּֽל ָ֥ ֵאמ ֹר ִּמ ָ֥כ ֹל ֵעִּֽץ־ה ַָׁגַ֖ן ָּ֑ ִָּֽאדם ל
ַ֖ ָׁ ָׁ(טז) ַוי ְ ַצ ֙ו י ְק ָׁ ֹו֣ק אֱ ֹל ִִּ֔הים עַל־ה
:ֹאכַ֖ל ִּמ ֶ ָּ֑מנּו ִּּ֗כי ְביָֹ֛ום ֲא ָׁכלְךָ֥ ִּמ ֶ ַ֖מנּו ָ֥מֹות תָׁ מִּּֽות
ַ (יז) ּו ֵמ ֵּ֗עץ ה ַ ַּ֙ד ַע ֙ת ֣טֹוב ו ִָָׁׁ֔רע ֹלָ֥ א ת
“16. Il Signore Dio diede ordine all’uomo dicendo: Di ogni albero/legno del giardino mangerai
mangiando, 17. ma dall’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangerai, perché nel
giorno in cui ne mangerai, morendo morirai.” (Gen 2,16-17)
Mangiare dell’albero/legno, e quindi trasgredire al precetto divino, non porta solo alla
conoscenza del bene e del male, ma anche e soprattutto alla morte. Quell’albero, in altre parole, è
la porta, necessaria ed inevitabile, verso la condizione umana che si fa tale solo nella caducità e nel
ritorno a quella terra da cui proviene. La morte non è l’effetto diretto di quella trasgressione ma la
nuova prospettiva che si apre ad Adam e ad alla sua discendenza
Il nascondersi, allora, è l’effetto necessario della presa di coscienza dell’uomo che ora sa
non essere destinato al Gan Eden ma alla terra sulla quale potrà camminare, senza più scorza
protettiva, verso la morte. Nel Gan Eden, ora, adam/uomo non può che provare vergogna e timore
perché che quello non è (più) il luogo del suo esserci, qui ed ora.
Nella risposta di Adam è posto un elemento universale: il destino dell’umanità. Mentre,
infatti, nel versetto 8 sono Adam e la sua donna a nascondersi così come apprendiamo dalla voce
narrante, nel versetto 10 è il solo Adam ad affermare: “Mi sono nascosto”. La forma verbale usata,
unitamente a quella che la precede (“e ho avuto timore”), lascia intendere che il nascondersi non è
un’azione compiuta e portata a termine ma un farsi quasi continuo, come se Adam intendesse
dire: “è, da ora in poi, nella mia natura il nascondermi”.
Potremmo, allora, così tradurre il versetto 10:
“Disse (Adamo): E’ la tua voce quella che ho ascoltato nel Giardino e, di conseguenza, mi sono
posto nella condizione di temere perché sono nudo, e di nascondermi” (Gen 3,10).
Ma, come ci indica Jonathan Pacifici, è possibile un’altra modalità interpretativa che punta
non sull’acquisto della condizione umana ma sul cammino di teshuvà che riporta l’uomo al suo
Creatore:
“Il giorno di Rosh Hashanà, che è anche chiamato il giorno del concepimento del
mondo, è nel pensiero rabbinico il sesto giorno della creazione, il giorno della
creazione di Adam, nel Venerdì primordiale. In quello stesso giorno, come noto,
Adam pecca, viene giudicato e perdonato. Interessate l'operazione che compiono
Adam e Chavà dopo aver peccato. In primo luogo si rendono conto di essere nudi,
dunque rivelati, e si coprono con cinture. Poi "ascoltarono la voce del Signore Iddio
che procede nel giardino nel vento del giorno, e si nascose Adam e sua moglie
dinanzi al Signore Iddio dentro l'albero del giardino" (Genesi III,8)
In qualche modo il difficile processo di ritorno a D-o parte proprio da questo coprirsi,
da questo nascondersi. Solo una volta che l'uomo si nasconde nell'albero del
giardino, l'albero della vita, la Torà, Iddio chiede 'Dove sei?'. Il nascondersi di Adam
non può essere letto in maniera infantile rinunciando a quanto la Torà ci dice
espressamente. Adam si nascose nella Torà. Adam si coprì dell'introspezione della
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propria anima alla ricerca di sé, del suo ruolo, dei suoi errori e della possibile
riparazione. Ed Iddio dà voce al suo interrogativo nel chiedergli 'Dove sei?'
Il nascondersi, l'introspezione, il capire dove si è, divengono dunque dei passi
imprescindibili nel percorso del ritorno a D-o. Moshè cerca il perdono Divino per
Israele, celandosi nell'anfratto della roccia, Jeoshua passa una notte di introspezione
e studio dopo essere stato ammonito dall'Angelo, Jonà giunge alla sua Teshuvà nel
ventre della barca prima ed in quello del pesce dopo, Eliau Hannavì si nasconde nella
stessa grotta del Sinai, lo stesso Chonì HaMeagghel si 'circoscrive' dentro ad un
cerchio nel pavimento, Rabbì Elazer ben Doridià raggiunge la sua tragica Teshuvà nel
nascondere la sua testa tra le ginocchia mentre piangeva e così molti altri.
La Teshuvà inizia con l'introspezione.”6
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Tratto da: https://digilander.libero.it/parasha/archivio%2063/6348.htm
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Prima lettura.
Si può intendere che l’oggetto del nostro dovere e del nostro obbligo sia indicato dalla
/alef finale della parola: +, “io sono tenuto a ricercare la /alef (= ’elohim/Dio)”. E’ la
via della teshuvà e della ricerca continua della strada che porta a Dio lungo la via della santità
tracciata dalla Torà.
Seconda lettura.
L’obbligo e il dovere non sono unidirezionali (dall’uomo a Dio) ma bidirezionali (dall’uomo a
Dio e da Dio all’uomo). Questa lettura ci è indicata dalla presenza della lettera /alef all’inizio e
alla fine della parola: + +. La prima /alef indica , “io”, mentre la seconda /alef è
, “Io”. L’io di Adam e l’Io di Dio.
Si può intendere, allora, in questo modo: “io sono tenuto ad andare all’Io (di Dio) e l’Io (di
Dio) è tenuto a venire a me”.
E’ la via del reciproco svelamento a partire dal nascondimento.
Non c’è uomo senza Dio e, se è possibile dirlo, non c’è Dio senza l’uomo.