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Dott. (Ph.D.

) Francesco ZAMPIERI

Geopolitica del Mare, “zona grigia” e guerra


ibrida negli ultimi anni nel “Mediterraneo
Allargato”
Attività di ricerca nell’ambito del Master di II livello in
“Geopolitica e Sicurezza Globale”

Roma, Marzo 2023


2
Indice

Indice p. 3

§ 1. Il concetto di Competition Continuum come “nuovo” paradigma delle Relazioni p. 5


Internazionali

§ 2. Competition continuum e guerra p. 6

§ 3. La minaccia ibrida e la guerra ibrida p. 9

§ 4. La grey zone: definizione e caratteristiche p. 13

§ 5. Cina e Russia e le rispettive diverse interpretazioni della Grey Zone p. 17

§ 6. Dominio marittimo e attività nella Grey Zone p. 21

§ 6.1 Il maritime domain e le operazioni nella Grey Zone in Estremo Oriente: p. 27


il caso cinese

§ 6.2 La proliferazione e il rafforzamento delle Guardie Costiere nell’Asia p. 30


orientale

§ 6.3 Guardie Costiere e Paragunboat Diplomacy p. 34

§ 6.4 Possibili e reali casi di applicazione della Grey Zone nel “Mediterraneo p. 35
Allargato”.

§ 6.5 Il force build-up russo e le Grey Zone Operations di Mosca nella regione p. 39
del Mar Nero e nel Mediterraneo orientale

§ 6.6 Dal Golfo Persico al Mediterraneo: le Grey Zone Operations della p. 46


Repubblica Islamica dell’Iran

§ 7. Conclusioni p. 48

Bibliografia p. 49

3
4
§ 1. Il concetto di Competition Continuum come “nuovo” paradigma delle Relazioni Internazionali
Il concetto di competition continuum – creato dal pensiero strategico-militare statunitense –
descrive «un contesto di competizione duratura, caratterizzato da un misto di cooperazione,
competizione al di sotto del conflitto armato, conflitto armato vero e proprio»1.

Fonte: U.S. Army, FM 3-94. Armies, Corps, And Division Operations, July 2021, p. 1-8

La cooperazione può coinvolgere alleati e amici ma anche avversari; la competizione al di sotto del
conflitto armato è finalizzata a migliorare la propria condizione strategica, prestando però
attenzione a non “escalare” verso forme di confronto che potrebbero rivelarsi controproducenti; la
condizione di conflitto, invece, prevede il ricorso alla potenza militare per mantenere o riguadagnare
una posizione di vantaggio strategico.
Tuttavia, l’esistenza di potenze grandi, medie e piccole – Cina, Russia, Iran e Corea del Nord – critiche
nei confronti dell’ordine mondiale o status-seeker, fa venire meno lo spazio per la cooperazione,
creando, invece, un contesto di competizione permanente2. Questa condizione di competizione
permanente nasce dall’attrito tra la cooperazione – impossibile a fronte delle sfide poste da chi
rifiuta l’ordine mondiale vigente – e le forme più estreme di contrapposizione cui questo rifiuto può
tendere. La competizione non riguarda solo gli attori statuali ma anche quelli non-statuali, parimenti
critici nei confronti dell’ordine costituito: in questo modo, indipendentemente dalla loro natura,
tutti gli attori sono protagonisti di una competizione continua per assicurarsi vantaggi in campo
diplomatico, economico e strategico3 e tutti impegnano le risorse di cui sono dotati4. Dunque, se è
vero che la competizione è la condizione prevalente nel moderno sistema internazionale, il vecchio
concetto di “escalation” va sostituito con quello della circolarità della condizione competitiva5. Il
risultato è la sostituzione della classica rappresentazione lineare di due estremi (dalla pace alla
guerra) – all’interno del quale si collocano tutte le diverse fasi della competizione permanente – con
una nuova interpretazione. Essa può essere rappresentata come una figura con andamento ciclico,
nella quale si passa dalla normale condizione di competizione (competition) a quella di conflitto
(conflict), cui segue un ritorno alla condizione di competizione (return to competition). Il passaggio
dalla competizione al conflitto si verifica quando viene oltrepassata la soglia della violenza: la
competizione può crescere esponenzialmente fino a raggiungere la soglia della violenza e, a quel
punto, si entra nel conflitto. Per evitarlo, si può ricorrere alla deterrenza o alla negoziazione e,
dunque, scegliere di tornare ad una condizione di competizione. Dunque, competizione, conflitto e
ritorno alla competizione sono tutti parte di un continuum e descrivono le relazioni che sussistono
tra gli Stati nel sistema internazionale. A volte può succedere che sia necessario entrare in una

1
U.S. Army, FM 3-94. Armies, Corps, And Division Operations, July 2021.
2
Joint Chiefs of Staff, Joint Concept for Integrated Campaigning, 16 March 2018.
3
Joint Doctrine Note 1-19, Competition Continuum, 03 June 2019.
4
Nella competizione, gli Stati possono impiegare tutti gli strumenti della potenza – diplomatici, informativi, militari ed
economici (DIME). Il potere nazionale è definito come la somma di tutte le risorse o strumenti a disposizione di una
nazione nel perseguimento degli obiettivi nazionali. Il potere nazionale deriva da vari elementi, detti anche strumenti o
attributi; questi possono essere suddivisi in due gruppi in base alla loro applicabilità e origine: “nazionali” e “sociali”.
Tra gli strumenti o attribuiti “nazionali”, includiamo la geografia, le risorse e la popolazione. Gli strumenti o attributi
sociali comprendono quelli economici, politici, militari, psicologici e informativi.
La frase strumenti del potere nazionale si riferisce agli strumenti che un Paese utilizza per influenzare altri Paesi o
organizzazioni internazionali o anche attori non statali.
5
K. McCoy, «In The Beginning, There Was Competition: The Old Idea Behind The New American Way Of War», 04/11/18,
Modern War Institute, https://mwi.usma.edu/beginning-competition-old-idea-behind-new-american-way-war/

5
condizione di scontro violento prima che uno dei due soggetti receda dai propri propositi e accetti
di tornare in una condizione di competizione al di sotto del livello di violenza. Altre volte, invece,
l’esercizio di una credibile deterrenza o l’azione negoziale possono bloccare l’escalation verso la
guerra.

Negotiate
Violence Deter
Threshold

Fonte: Rielaborazione dell’autore da Gen. D.G. Perkins, Multi-Domain Battle. The Advent of Twenty-First Century War,
Military Review, November-December 2017

§ 2. Competition continuum e guerra


La guerra risiede nel continuum della competizione e, secondo le interpretazioni più tradizionali, si
trova sempre al di là della soglia della violenza. Già Clausewitz, però, scriveva che, a fronte di una
natura che resta immutata, la guerra può assumere molte forme: più precisamente, la guerra è il
«…luogo di confluenza di tutte le tendenze politiche, giuridiche e culturali della propria epoca [e, al
tempo stesso, ne è anche] il loro smascheramento»6. Dunque, per prima cosa, occorre comprendere
bene il contesto internazionale di riferimento: fatto ciò, si potrà analizzare quale rapporto esso abbia

6
A. Colombo, Il governo mondiale dell’emergenza. Dall’apoteosi della sicurezza all’epidemia dell’insicurezza, Milano
2022, Raffaello Cortina Editore, p. XII.
Anche i Marines concordano con questa interpretazione, scrivendo che «La guerra totale e la pace perfetta raramente
esistono nella pratica. Invece, sono estremi tra i quali esistono le relazioni tra la maggior parte dei gruppi politici. Questa
gamma comprende la competizione economica di routine, la tensione politica o ideologica più o meno permanente e le
crisi occasionali tra i gruppi».
U.S. Marine Corps Staff, MCDP 1, Warfighting, April 2018, p. 1-4.

6
con la guerra e quali forme essa assuma. L’ordine mondiale americano-centrico, nato all’indomani
della vittoria degli Stati Uniti sull’Unione Sovietica, mostra chiaramente i sintomi di una profonda
crisi e trasformazione rispetto alla sua “età aurea”, collocabile tra la metà degli anni Ottanta e gli
anni Novanta del XX secolo. Lo scenario odierno è caratterizzato sempre più dal paradigma
dell’emergenza e dell’insicurezza e, come ha scritto Alessandro Colombo, «le emergenze
consolidatesi attorno alla guerra ucraina sono solo le ultime di una serie pressoché ininterrotta di
emergenze già dichiarate negli anni precedenti: l’emergenza terrorismo tra gli attentati dell’11
settembre 2001 in America e le repliche europee a Madrid nel 2004 e a Londra nel 2005;
l’emergenza economica dalla crisi finanziaria del 2007-2008 alla crisi del debito sovrano europeo tra
il 2012 e il 2015; la nuova emergenza terrorismo in seguito all’ondata di attentati dell’ISIS tra il 2015
e il 2019; pochi mesi più tardi, l’emergenza sanitaria seguita alla diffusione della pandemia di Covid-
19 all’inizio del 2020»7. Questa condizione di emergenza perenne ha spinto i controllori dell’ordine
internazionale a sviluppare nuove forme di sorveglianza e prevenzione delle possibili perturbazioni
della “normalità”. In quest’ottica, la guerra è diventata un “normale” strumento per la sorveglianza
e la prevenzione di nuove minacce o per “silenziare” i potenziali contestatori dell’ordine
internazionale. In particolare, l’Occidente ha agito lungo due direttrici apparentemente
contraddittorie: da un lato, ha pubblicamente spinto alla massima esecrazione l’idea stessa della
guerra come strumento per “regolare” e “manutenere” l’ordine mondiale; dall’altro lato, ergendosi
a custode della presunta “migliore” e “universale” interpretazione dell’ordine mondiale – cioè
l’ordine liberal-democratico – ha spalancato la porta alla legittimazione della “guerra giusta”, quella
finalizzata a colpire gli aspiranti oppositori a tale ordine. Ne è derivato che, dal 1991 in avanti, le
guerre sono state sempre più guerre finalizzate ad arginare “emergenze” di vario tipo, da quelle dei
revisionisti dell’“ordine mondiale perfetto” a quella del terrorismo. Ciò ha comportato una
degradazione della guerra da atto politico a provvedimento di polizia. In altre parole – scrive
Alessandro Colombo – si è rovesciato il paradigma clausewitziano della guerra ovvero quello
secondo cui la guerra sarebbe uno degli strumenti di cui si serve la politica per raggiungere i propri
scopi: come ricordava Clausewitz, proprio perché la guerra è un’azione politica, essa è giustificabile
solo se sono stati chiaramente identificati e presentati le ragioni politiche della stessa ovvero scopi,
strategie, costi, ecc. Al contrario, da trent’anni a questa parte, si è preteso di legare la guerra al
concetto di giustizia, finendo così per subordinare questo esercizio della violenza organizzata –
questo è la guerra – non a scopi politici ma a presunte categorie morali e a presunte situazioni di
emergenza da contenere8. Ciò ha portato allo sviluppo di una sorta di “automatismo”
nell’immediato ricorso alla guerra – ogniqualvolta si palesi una minaccia o un’emergenza – poiché
la guerra è stata derubricata ad azione finalizzata a ripristinare l’ordine e la legalità internazionali,
quasi fosse una profilassi o un antidoto (bellicoso, però) rispetto al rischio che siano gli altri – i
nemici, ridotti a soggetti delegittimati – a fare la guerra. Si è così obliterato l’imperativo di fissare
bene gli scopi politico-strategici di ogni guerra e, soprattutto, di farlo prima che essa inizi: questa
disattenzione agli scopi politici, come ha ben osservato Ullman, ha provocato una profonda crisi del
processo strategico9. Conseguenza ultima di tutto ciò è stata un’ulteriore spinta ad esacerbare quelli

7
Ivi, p. X.
8
Ivi, pp. 159-203.
Per un esame ancora più approfondito dell’evoluzione della guerra, si rimanda ad altri due volumi di A. Colombo: La
guerra ineguale: pace e violenza nel tramonto della società internazionale, Il Mulino, Bologna 2006; ID., La grande
trasformazione della guerra contemporanea, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2015.
9
H. Ullman, Anatomy of Failure: Why America Loses Every War It Starts, Annapolis 2017, Naval Institute Press.
L’autore richiama la necessità di un “brain based approach” alla guerra, il cui primo elemento è costituito dalla necessità
di ritornare a definire bene gli obiettivi politici del ricorso alla violenza organizzata, prima di scatenarla; al contrario –
questa è la critica di Ullman – troppo spesso gli Stati Uniti e con essi l’intero Occidente hanno intrapreso guerre
nell’ignoranza del nemico e delle sue motivazioni e pure del teatro d’operazioni.

7
che sono i caratteri più precipui della guerra contemporanea: immanenza, informalità e
asimmetria/a-reciprocità. La prima di queste caratteristiche è identificabile nella crescente
militarizzazione di ogni crisi: poiché l’Occidente si è eretto a giudice e “sommo sacerdote”
dell’“ordine perfetto”, qualsiasi perturbatore dello stesso va punito immediatamente, con la
massima severità: conseguentemente, la guerra ha perduto le proprie condizioni di eccezionalità ed
è diventata immanente.
La guerra, però, è diventata anche informale – e qui siamo alla seconda delle sue caratteristiche –
proprio in virtù della sua trasformazione in azione di polizia perenne, perdendo così tutti i suoi tratti
distintivi: la cesura politico-giuridica rispetto al tempo di pace; l’identificazione dei limiti spazio-
temporali; la distinzione tra i soggetti della guerra, con il ritorno alla “privatizzazione” della stessa e
con l’erosione della sua dimensione di “atto di Stato” e “tra gli Stati”.
Infine, in virtù della crescente dicotomia tecnologica che si è creata tra l’Occidente e gli “altri”, la
guerra è diventata sempre più “a-simmetrica” e “a-reciproca” sia in termini di “spazi” in cui essa
viene “giocata” sia in termini di “effetti” sia in termini di costi. Si potrebbe obiettare che la crescente
“democratizzazione della tecnologia” – resa possibile dalla disponibilità diffusa di tecnologie
informatiche e di armamenti complessi (dai sistemi missilistici ai droni pilotati o semi-autonomi) –
abbia ridotto l’asimmetria e l’a-reciprocità ma così non è stato: l’Occidente, sempre più “post-
eroico” – ovvero, sempre meno disposto a perdere risorse umane e materiali nella guerra – continua
a spingere sulla leva della propria superiorità tecnologica e continua a ricorrere, abbondantemente,
a forme di guerra per procura, come dimostrato anche dal conflitto russo-ucraino. La
democratizzazione e la diffusione della tecnologia hanno però provocato anche un’altra
conseguenza – condivisa sia dall’Occidente sia da quanti si oppongono all’ordine da esso “incarnato”
e custodito – ovvero la “fine” della distinzione tra tecnologie militari e tecnologie civili, una
caratteristica che si è sommata a quelle descritte precedentemente – immanenza, informalità,
asimmetria e a-reciprocità – contribuendo ulteriormente a modificare le forme della guerra. Così,
tutto lo spazio che esiste tra i due estremi “teorici” della conflittualità – la pace assoluta e la guerra
totale – è riempito da una pluralità di atti competitivi che assumono un andamento crescente in
termini di violenza esercitabile. «Quando pensiamo alla competizione e alla guerra – scrivono i
Marines – i punti principali sono riconoscere che la guerra è un atto politico che usa la violenza per
raggiungere i propri obiettivi ma anche che essa fa pure parte di un più ampio spettro di altri atti
competitivi che non prevedono l’uso della violenza»10. Pertanto, diventa essenziale identificare il
limes che separa le diverse forme della competizione dalla guerra vera e propria. Esso non può che
essere indicato nella “soglia della violenza”: tutto ciò che si trova al di qua della stessa rientra nelle
forme della normale competizione economica o geopolitica, nella “guerra politica” o nelle
operazioni afferenti alla cosiddetta grey zone; la guerra ibrida invece – sebbene compresa per la
maggior parte delle sue manifestazioni al di qua della soglia della violenza – diventa conflitto vero e
proprio quando la oltrepassa, cioè quando prevede l’uso violento della forza militare; infine, ben
oltre la soglia della violenza si collocano la guerra convenzionale e la guerra totale. Questa
distinzione può apparire contraddittoria rispetto a quanto scritto precedentemente ma non è così.
Innanzitutto, perché anche le forme meno violente della competizione fanno, comunque, parte di
un confronto che è immanente e, spesso, informale, asimmetrico e a-reciproco. In secondo luogo,
perché una delle caratteristiche della contemporaneità è proprio rappresentata dalla crescente
militarizzazione delle azioni “politico-diplomatiche” intraprese dagli Stati: essa è la conseguenza di
quella equivalenza tra guerra e provvedimento di polizia e di quella “normalizzazione” della guerra
cui si è fatto accenno sopra. In quest’ottica, anche le misure che rientrano nella short of war o nella

10
U.S. Marine Corps, Competing MCDP 1-4, 2020, pp. 1-11.

8
grey zone tra pace e guerra – tradizionalmente intese – sembrano spingere inevitabilmente verso
l’esercizio della violenza organizzata.

Fonte: MCDP 1, Warfighting

§ 3. La minaccia ibrida e la guerra ibrida


Per provare a “mettere un po’ di ordine” nelle labili distinzioni che ancora permangono all’interno
dello spazio occupato dalla short of war, occorre cominciare a chiarire alcuni aspetti che, troppo
spesso, sono oggetto di confusione. Innanzitutto, bisogna fare alcune precisazioni in merito ai
concetti di “guerra ibrida” e grey zone perché, sovente, essi vengono confusi – mentre sono
parzialmente distinguibili – e perché si sono registrati troppi tentativi di separarne la dimensione
militare da quella civile quando, invece, la distinzione è pressoché invisibile; infine, bisogna metterli
in correlazione con il concetto di guerra multidominio.
Frank Hoffman – uno dei massimi studiosi di guerra ibrida – nel 2009 la definì come una forma di
guerra nella quale «un avversario impiega, simultaneamente e in modo mutevole in rapporto alla
situazione, un mix di armi convenzionali, tattiche irregolari, terrorismo e azioni criminali all’interno
dello spazio di battaglia, allo scopo di conseguire i propri obiettivi politici»11. Poco dopo quella prima
definizione, Hoffman precisò meglio la propria idea di “guerra ibrida” scrivendo che essa «è una
forma di guerra basata sull’impiego di capacità convenzionali e forze regolari, di tattiche e
formazioni irregolari, di azioni terroristiche tutte in grado di sviluppare forme di violenza e
coercizione indiscriminate e forme di disordine criminale. Queste svariate attività possono essere
condotte da diversi tipi di unità distinte, o da una stessa unità, ma generalmente operanti con uno
stretto coordinamento a livello strategico, operativo e tattico, all’interno del battlespace12, in modo
da conseguire sinergici effetti nella dimensione fisica e psicologica del conflitto»13. Nelle definizioni
di Hoffman, le hybrid wars appaiono ben caratterizzate da una flebilissima distinzione tra forze

11
F.G. Hoffman, “Hybrid vs. compound war. The Janus choice: Defining today’s multifaceted conflict,” Armed Forces
Journal, October 1, 2009, http://armedforcesjournal.com/hybrid-vs-compound-war/.
12
Il concetto di battlespace (campo di battaglia) rimanda sia alla dimensione fisica dei tre domini o ambienti tradizionali
della guerra (terra, mare, aria) cui aggiungere quello spaziale, sia alla dimensione “immateriale” del dominio cibernetico
e di quello “informativo/cognitivo”, sebbene l’accesso anche a questi ultimi avvenga con strumenti e mezzi materiali.
13
F.G. Hoffman, «Hybrid Warfare and Challengies», JFQ 52/2009.

9
regolari e irregolari o, meglio ancora, da una loro convergenza: infatti, la hybrid warfare14 combina
la letalità dei conflitti statali con il fanatismo delle forze irregolari. I protagonisti di questi conflitti
(Stati, gruppi sponsorizzati da Stati o attori indipendenti) già oggi, e ancor più in futuro, potranno
facilmente accedere alle più moderne capacità militari, compresi i sistemi criptati di comando e
controllo e i sistemi missilistici e robotizzati ad altre prestazioni; queste forze sono già in grado di
utilizzare strumenti ad alta tecnologia come le armi antisatellite e di orchestrare attacchi cyber
contro obiettivi strategici e finanziari.
Nel 2013, l’allora Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate della Federazione russa, Valery
Gerasimov, espose quella che fu definita come “Dottrina Gerasimov” ma che meglio sarebbe da
indicare come teoria della “guerra non lineare”. Gerasimov sottolineò come nel XXI secolo fosse
diminuita la distinzione tra la condizione di pace e quella di guerra, innanzitutto perché «le guerre
non vengono più dichiarate e perché, anche dopo che sono iniziate, procedono secondo uno schema
sconosciuto. [In secondo luogo, notò che] il ruolo dei mezzi non militari per raggiungere obiettivi
politici e strategici è cresciuto e, in molti casi, ha superato il potere e l’efficacia delle armi. […] Gli
scontri frontali di grandi formazioni di forze a livello strategico e operativo stanno gradualmente
diventando un ricordo del passato [mentre] le azioni asimmetriche sono sempre più utilizzate,
consentendo l’annullamento dei vantaggi di un nemico nei conflitti armati. Tra tali azioni vi è un uso
sempre più ampio di misure politiche, economiche, informative, e di altro tipo non militare,
applicate in coordinamento con la potenziale azione destabilizzante della popolazione. Tutto ciò è
integrato da mezzi militari che agiscono occultamente e che possono appoggiarsi all’esecuzione di
azioni di conflitto informativo e all’impiego di forze per operazioni speciali»15.
Successivamente, anche lo US Army fornì la propria definizione di guerra ibrida, indicandola come
«la diversa e dinamica combinazione di forze regolari, irregolari, gruppi terroristici, criminali o una
combinazione di due o più di questi elementi, tutti uniti e protesi a conseguire reciproci vantaggi»16.
Il dibattito in merito alla relativa “novità” della guerra ibrida, alla sua collocazione nel “competition
continuum” o in merito alle distinzioni tra guerra ibrida, grey zone e guerra politica è tutt’altro che
concluso o definito. Tutta questa discussione è determinata da una certa elusività nella coerenza
delle definizioni, prova della difficoltà nell’indicare chiaramente quali strategie e tattiche
dovrebbero essere incluse nella guerra ibrida o in altre forme di competizione, più o meno violenta.
Ciò che emerge abbastanza chiaramente è che la guerra ibrida – che ha per protagonisti attori
statuali e no, forze convenzionali e non convenzionali – è anche il prodotto di alcuni “fattori
geopolitici” che hanno mutato lo scenario internazionale: ve ne sono alcuni di carattere politico,
altri di tipo storico-culturale, altri di ordine economico o tecnologico-militare.
Innanzitutto, la trasformazione delle strutture di governo di molti Paesi “instabili” – segnatamente,
gli Stati dell’area MENA e saheliana o sorti dalle ceneri dell’ex impero sovietico o qualche stato in
Africa, Asia e nell’America centrale e meridionale, tutte aree nelle quali si assiste ad una crisi delle
locali strutture di governo – ha comportato l’emergere di vari gruppi politici o politico-religiosi o
politico-economici o criminali che si contendono il controllo del territorio e che diventano soggetti
della guerra. Questi gruppi ampliano la definizione dei soggetti della guerra – non più di pertinenza
dei soli attori statuali – e le sue forme.

14
Qui si usano i termini inglesi per distinguere l’azione del “fare la guerra”, cioè del combattere (warfare) dalla guerra
come “prodotto” del combattimento (war).
15
Valery Gerasimov, «The Value of Science Is in the Foresight: New Challenges Demand Rethinking the Forms and
Methods of Carrying out Combat Operations», Voyenno-Promyshlennyy Kurier (Military-industrial courier), 26 February
2013, riportato in J. Derleth, « Russian New Generation Warfare. Deterring and Winning at the Tactical Level», Military
Review, September-October 2020, Army University Press.
16
US Army Doctrine Publication 3-0, Unified Land Operations, October 2011.

10
In secondo luogo, vanno considerate anche le rivendicazioni storiche e le differenze religiose e
ideologiche: la dimensione culturale ha un impatto enorme nella genesi di nuovi conflitti. Nel
Grande Medio Oriente, la crisi delle dittature secolariste filosovietiche o filoccidentali, ispirate al
principio del pan-arabismo, ha determinato la necessità di riempire quel vuoto politico-ideologico e
culturale con la riscoperta delle più profonde radici religiose e identitarie. In Africa (ad es. in Sudan
o in Nigeria) assistiamo ad una lotta feroce tra la componente islamica e quella cristiano/animista
della popolazione. In Ucraina e in altre regioni dell’ex-impero sovietico, le spinte filoccidentali delle
élite al governo hanno determinato la reazione delle minoranze russofone della popolazione, alla
ricerca di un rafforzamento dei legami con la madrepatria russa, fino all’intervento diretto di
quest’ultima.
Anche il peso degli interessi nazionali di tipo strategico-militare non va taciuto: molto spesso, gli
elementi culturali si saldano con i più tradizionali interessi politico-strategici degli Stati costituiti.
Putin, ad esempio, è intervenuto in Ucraina per ristabilire una buffer zone tra la Russia e l’avanzante
NATO/UE. Turchia, Giordania, Arabia Saudita, Israele, ecc. sono pesantemente coinvolti nella crisi
siriana perché devono innanzitutto difendere i propri confini e interessi nazionali rispetto alla
proiezione dell’Iran.
Infine, vanno considerati i recenti cambiamenti di ordine tecnologico-materiale applicati alla
guerra. Nella hybrid warfare, i gruppi combattenti, grazie anche al sostegno economico degli Stati
sponsor, hanno accesso a tecnologie informatiche, comunicative e d’arma molto sofisticate. In
questo senso, le “primavere arabe” con il massiccio ricorso ai telefoni cellulari, alla localizzazione
GPS, alle piattaforme social e così via sono state paradigmatiche. L’accesso alla tecnologia, però, si
trasforma ben presto in un sistema d’arma: in Libano, Hezbollah – grazie all’aiuto dell’Iran – ha
potuto impiegare sistemi d’arma complessi quali missili antinave “C-802”, missili anticarro e
antiaerei, razzi, ecc., distruggendo un totale di 18 carri armati «Merkava» israeliani, pari al 40% delle
perdite israeliane; sempre Hezbollah ha impiegato anche UAV ed UCAV di costruzione iraniana, con
un’autonomia di 450 km ed un carico bellico di 50 kg di esplosivo; Hezbollah è riuscito anche a
disturbare le comunicazioni radio e cellulari israeliane, in una sorta di battesimo del fuoco delle
proprie capacità cyber. In Ucraina, dal 2014 al 2022, i ribelli filorussi – grazie all’aiuto dei reparti
militari di Mosca, sia pure privati dei contrassegni – hanno potuto impiegare missili antiaerei a guida
radar, MANPADS17, artiglieria antiaerea e sono stati in grado di abbattere venti velivoli ucraini tra
mezzi ad ala fissa ed elicotteri ed un velivolo di linea della Malaysian Airlines. In futuro, sarà ancora
più evidente il ricorso alla tecnologia, mediante attacchi cyber, come peraltro già realizzato dai
separatisti filorussi in Ucraina, per attaccare le strutture nemiche (anche al di fuori del battlespace)
militari, economiche, informative, ecc.
Erik Reichborn-Kjennerud e Patrick Cullen – del Norwegian Institute of International Affairs – hanno
ideato un modello interpretativo per l’analisi dell’hybrid warfare, combinando i fattori comuni che
sono identificabili per le due diverse tipologie di attori hybrid: quelli statuali e quelli non statuali18.
Secondo i due studiosi, esistono profonde similitudini concettuali nelle strategie impiegabili da
questi due soggetti, nonostante essi siano tra loro diversissimi. Questa unitarietà di strategie
andrebbe identificata nel carattere asimmetrico e multimodale di questa forma di guerra, sia
sull’asse orizzontale sia su quello verticale, e nella crescente enfasi che viene posta sulla creatività,
sull’ambiguità e sugli elementi cognitivi della guerra.

17
MANPADS è l’acronimo di man-portable air-defense systems ed indica un sistema missilistico antiaereo, a corto raggio,
trasportabile a spalla.
18
Reichborn-Kjennerud, Erik; Cullen, Patrick, What is Hybrid Warfare? Norwegian Institute of International Affairs, 2016.

11
Un modello per la Hybrid Warfare

Escalation verticale
Military
Political
Economic
Civil
Information
Intensità

Escalation
orizzontale
Sincronizzazione

Il modello interpretativo delle hybrid wars di Reichborn e Kjennerud

Il modello interpretativo elaborato dai Erik;


Fonte: Reichborn-Kjennerud, due Cullen,
studiosiPatrick,
norvegesi
Whatchiarisce
is Hybridcome gli attori hybrid
Warfare?
possano usare gli strumenti Norwegian Institute
propri della of International
potenza Affairs,
(gli strumenti MPECI:2016
Militari, Politici, Economici,
10
Civili e Informativi) contro le vulnerabilità PMESII (Politiche, Militari, Economiche, Sociali,
Informative e Infrastrutturali) di un avversario per sovrastarlo e raggiungere così i propri obiettivi.
Infatti, la caratteristica dell’attore hybrid è l’impiego di tutti gli strumenti di potenza di cui dispone,
declinandoli sulle vulnerabilità del proprio avversario. L’obiettivo da conseguire è quello di cambiare
lo stato percepito o reale di un sistema o degli elementi di quel sistema, allo scopo di raggiungere il
fine prefissato; in tal senso, la hybrid warfare è piuttosto simile alla teoria militare occidentale del
comprehensive approach19 e delle effects based operations20. In sostanza, la hybrid warfare richiede
un elevato grado di comando e controllo (centralizzati) e un coordinamento strategico di tutti i
fattori di potenza di cui si dispone.
Come mostra la figura, i mezzi – ovvero gli elementi della potenza di un attore (militari, politici,
economici, civili, informativi) – possono essere incrementati o diminuiti sia sul piano verticale (cioè
se ne può aumentare o diminuire l’intensità di impiego) sia sul piano orizzontale (cioè possono
essere più o meno sincronizzati tra loro o impiegati congiuntamente). Questo impiego incrementale
o decrementale può riguardare la totalità dei fattori di potenza o solo alcuni di essi: ad esempio, è
possibile incrementare verticalmente lo spettro d’impiego di uno dei fattori considerati mentre,

19
Il termine viene impiegato in ambito NATO per indicare la necessità di coordinamento di tutte le parti, civili e militari,
che agiscono nell’area di crisi attraverso un approccio omnicomprensivo. Scrive la NATO: «Da una prospettiva militare,
un approccio globale si fonda su una consapevolezza situazionale condivisa, la comprensione e il riconoscimento che, a
volte, attori non militari possono sostenere i militari e viceversa. La NATO contribuisce a un approccio globale attraverso
quattro aree chiave: pianificazione militare e conduzione delle operazioni, lezioni apprese, addestramento, istruzione
ed esercitazioni, interazione con attori non militari e comunicazioni strategiche. Nell’area della pianificazione, il
contributo militare allo stato finale è espresso come obiettivi strategici militari».
NATO, Allied Joint Doctrine for Civil-Military Cooperation, AJP-9, (Edition A Version 1), November 2018, p. 1-2.
20
Sono definite Effected Based Operations (EBO) le operazioni concepite e pianificate per raggiungere un determinato
risultato strategico o determinati effetti (diretti, indiretti e a cascata) sul nemico, mediante l’applicazione sinergica e
cumulativa di strumenti militari e non militari (diplomatici, psicologici ed economici) a tutti i livelli del conflitto.
S. Mariani (a cura di), Le Effects-Based Operations. Possibili declinazioni in ambito nazionale, Progetto di Ricerca C5/Z,
Centro Militare di Studi Strategici (CeMiSS), Dicembre 2006, Centro Alti Studi Difesa.
P.K. Davis, Effects-Based Operations. A Grand Challenge for the Analytical Community, 2001, RAND Corporation,
https://www.rand.org/content/dam/rand/pubs/monograph_reports/2006/MR1477.pdf.

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contemporaneamente, si diminuisce sul piano orizzontale il loro impiego in modo sincronizzato o la
sincronizzazione di uno di essi rispetto agli altri. L’escalation, poi, può essere seguita da fasi di de-
escalation e viceversa e diverse possono essere le stesse modalità di escalation o de-escalation: ad
esempio, ci può essere una fase di escalation nella preparazione del campo di battaglia (mappatura
delle cyber capabilities dell’avversario; creazione di argomentazione “legali” per la legal warfare;
esercitazioni militari, ecc.) ed una fase di de-escalation circa la sincronizzazione di queste azioni.
Nella hybrid warfare gli spazi fisici tradizionali del battlespace (terra, mare, aria e spazio) sono
sempre più affiancati da nuovi spazi sociali (politici, economici, culturali e cyber) di importanza
crescente. Anzi, la crescente importanza dei mezzi politici, economici, informativi, umanitari e di
altri non militari per il conseguimento degli obiettivi strategici prefissati riduce l’importanza dei
mezzi militari e del potere militare.
Dunque, se la caratteristica dominante della guerra ibrida è quella di essere, contemporaneamente,
più forme diverse di guerra, il conflitto russo-ucraino rientra per forza di cose nella categoria. Come
ha ben scritto Valter Coralluzzo, il conflitto russo-ucraino verrà ricordato per essere stato,
contemporaneamente, tante guerre. Innanzitutto, esso è un conflitto nel quale – come in molte
altre guerre post-1945 – appare difficile determinare la vittoria definitiva di una delle parti in causa.
In secondo luogo – coerentemente con quanto visto in occasione di altre guerre più o meno ibride
– accanto alle forze regolari, operano soggetti privati e semi-privati fino all’ossimoro di un privato –
Elon Musk che ha messo al servizio degli Ucraini il proprio sistema satellitare “Starlink” – che ha
dichiarato guerra ad uno Stato (la Russia). Ancora, nel corso del conflitto, abbiamo visto un impiego
massiccio di droni e di azioni nel dominio cibernetico, una continua dilatazione del campo di
battaglia con l’azzeramento delle differenze tra combattenti e non combattenti – l’interruzione nelle
forniture di energia elettrica (weaponization dell’energia) ne è stata una manifestazione – e
l’incremento delle operazioni nel dominio umano/cognitivo, in ciò rappresentando una sorta di
turning point21.

§ 4. La grey zone: definizione e caratteristiche


Sebbene non esista un’univoca definizione di cosa sia la grey zone, potremmo indicare l’azione che
si svolge nella stessa come «uno sforzo o una serie di sforzi destinati a far avanzare i propri obiettivi
di sicurezza a spese di un rivale, utilizzando altri mezzi oltre a quelli associati all’attività di governo
di routine e al di sotto dei mezzi associati al conflitto militare diretto tra rivali. Impegnandosi in un
approccio da zona grigia, un attore cerca di evitare di attraversare una soglia che sfocia in una guerra
aperta»22. Dunque, nella grey zone rientrano le principali forme di competizione e la maggior parte
delle azioni che non prevedono il combattimento su vasta scala o le guerre maggiori: in sintesi,
possono rientrare nella categoria citata le attività di propaganda e disinformazione, il dispiegamento
di forze militari e la condotta di esercitazioni in prossimità di aree contese, l’addestramento militare
e il trasferimento di equipaggiamento a beneficio di forze alleate o di proxy di vario tipo, la
militarizzazione di alcune aree contese, l’uso di sanzioni economiche e commerciali, la guerra
economica, la competizione tecnologica, gli attacchi informatici, il supporto ad attori statuali o
meno23.

21
V. Coralluzzo, «Verso un ritorno delle guerre tradizionali tra grandi potenze?», in A. Colombo-P. Magri (a cura di),
Ritorno al futuro. Rapporto ISPI 2023, Milano 2023, Ledizioni LediPublishing, pp. 47-61.
22
K. Hicks-A. Hunt Friend (edited by), By Other Means. Part I: Campaigning in the Gray Zone, Center for Strategic and
International Studies (CSIS), July 2019, Rowman & Littlefield, p. 4.
Per una ricostruzione del dibattito intorno al concetto di Guerra ibrida e di Grey Zone, si rimanda a D. Stoker and C.
Whiteside, (2020) «Blurred Lines: Gray-Zone Conflict and Hybrid War—Two Failures of American Strategic Thinking»
Naval War College Review: Vol. 73 : No. 1 , Article 4, https://digital-commons.usnwc.edu/nwc-review/vol73/iss1/4
23
A.H. Cordesman, Chronology of Possibile Russian Gray Area and Hybrid Warfare Operations, Working Draft: December
8, 2020, Center for Strategic & International Studies (CSIS), p. 11.

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Spesso, il concetto di grey zone è stato identificato con quello di hybrid war o, peggio ancora,
utilizzato come sinonimo. In realtà, occorre fare una distinzione tra i due concetti o, meglio,
comprendere buona parte delle operazioni della hybrid warfare nel grande insieme delle operazioni
proprie della grey zone. Il discrimen tra le due sarebbe rappresentato dal fatto che, mentre la grey
zone si arresta alla “soglia della violenza”, la guerra ibrida, nella sua forma più estrema, la supera.
Il concetto di grey zone non è un’invenzione recente, in quanto le attività ad essa associate sono
tutt’altro che innovative. È chiaro, dunque, che spesso si è preferito utilizzare il termine grey zone –
quando la stessa non è stata tout-court fusa con la guerra ibrida – per indicare atti politico-militari
che erano facilmente ascrivibili a vecchie categorie politico-strategiche e che, in quanto tali,
avrebbero richiesto una risposta diversa da quella fornita, una risposta decisamente più
“escalatoria” ma, al contempo, problematica sul piano dell’accettabilità politica e strategica24. Il
fatto che si sia preferito ricorrere ad espressioni come grey zone o “guerra ibrida” indica
semplicemente la volontà politica di non agire come si sarebbe dovuto, preferendo trincerarsi dietro
la presunta novità del metodo utilizzato per giustificare un’inattività determinata da considerazioni
strategiche25. Fatta questa premessa, qui non si vuole misconoscere gli elementi di novità o le
peculiarità delle azioni rientranti nella grey zone ma, semplicemente, si vuole precisare che non
tutto ciò che si ascrive alla grey zone è ad essa esclusivamente pertinente e che non tutto ciò che la
caratterizza è una novità. Ancora una volta, è necessario fare riferimento alla definizione di guerra
e all’ampio spettro della competition continuum per non cadere nell’errore di attribuire elementi di
novità a ciò che, invece, non lo è affatto. Scrivono i Marines: «La guerra totale e la pace perfetta
raramente esistono nella pratica. Invece, sono estremi tra i quali esistono le relazioni tra la maggior
parte dei gruppi politici. Questa gamma comprende la competizione economica di routine, la
tensione politica o ideologica più o meno permanente e le crisi occasionali tra i gruppi»26. La guerra
è l’atto estremo, la forma più violenta di quella competition continuum precedentemente esaminata
mentre le azioni nella grey zone ne rappresentano la forma non violenta, sebbene non
necessariamente pacifica. Dunque, la dinamica delle operazioni nella gray zone è, in parte, distinta
dalla hybrid warfare: nella gray zone, la forza militare ricopre un ruolo deterrente e l’azione si
mantiene sempre al di qua della soglia della violenza, mentre nella hybrid warfare, la soglia della
violenza può essere superata e si può entrare nel regno della guerra ovvero nel regno in cui si usa la
violenza per raggiungere gli obiettivi politici.
Le azioni nell’ambito della grey zone sono alcune tra le forme più articolate e complesse della
competizione perché richiedono una notevole capacità di coordinare tra loro forze e risorse diverse
e un’elevata capacità di risk management. Normalmente, chi ricorre alla grey zone lo fa per
complicare il processo di decision-making in merito all’(il)legalità delle sue azioni in una “situazione
di contrasto” e, dal punto di vista degli altri Stati, ciò rende più difficile assumere risposte risolute e
definite.

D. Belo-D. Carment, Grey-Zone Conflict: Implications for Conflict Management, Calgary 2019, Canadian Global Affairs
Institute, p. 1.
24
Ad esempio, la sottrazione al governo di Kiev del controllo sulla penisola della Crimea (2014), sebbene sia stata
attribuita ad attori non identificabili e, ufficialmente, sia stata dissociata da altre, più evidenti, iniziative del governo
russo, in realtà è stata poco diversa una “tradizionale” aggressione militare: in quanto tale e con riferimento alla Carta
delle Nazioni Unite, avrebbe richiesto ben altra risposta da parte della comunità internazionale.
25
O. Jonsson, «Myth 1: Russia is waging “grey zone” warfare», in AA.VV., Myths and misconceptions around Russian
military intent. How they affect Western policy, and what can be done, Chatam House, 14 July 2022,
https://www.chathamhouse.org/2022/06/myths-and-misconceptions-around-russian-military-intent/myth-1-russia-
waging-grey-zone
26
U.S. Marine Corps Staff, MCDP 1, Warfighting, April 2018, p. 1-4.

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Le azioni nella grey zone si prestano particolarmente ad essere praticate dalle potenze revisioniste
dell’ordine mondiale, per tutta una serie di caratteristiche peculiari della grey zone stessa, così
riassumibili:
• assenza di confini fisici e istituzionali, condizione che richiede una leadership che sia in grado
di agire con la massima libertà e a livello strategico, una condizione nella quale le democrazie
liberali sono spesso in difficoltà, a causa dei meccanismi di check and balancing che
disciplinano i poteri statuali27;
• massiccio impiego di tutte le risorse nazionali, non solo di quelle militari in virtù del fatto che
le operazioni nella grey zone sono tipiche dei soggetti che si sentono militarmente più deboli
e che, dunque, vogliono evitare il confronto militare aperto con un avversario percepito
superiore, spostando il confronto anche in altri ambiti28.
Le ricerche più recenti hanno delimitato a sette macro-aree la pertinenza degli strumenti da grey
zone29.
Macro area Strumento Descrizione
Impiego di social media e di altri mezzi
di comunicazione – in aggiunta a quelli
più tradizionali – allo scopo di
Operazioni di informazione e
Informativa diffondere la narrativa dello Stato,
disinformazione
attraverso la propaganda e per
suscitare dubbi, dissenso e
disinformazione nei Paesi stranieri.
Uso di strumenti coercitivi per
influenzare la situazione politica e il
Politica Coercizione politica
processo decisionale all’interno dello
Stato bersaglio.
Uso di strumenti coercitivi sul piano
economico – ad esempio,
finanziamenti illeciti o ricatto
Economica Coercizione economica
energetico – per conseguire obiettivi
politici o provocare danni economici
all’avversario.
Impiego di mezzi cibernetici (hacking,
virus, altri mezzi per condurre le
Operazioni cibernetiche operazioni informatiche) allo scopo di
provocare distruzioni fisiche, sabotaggi
o danni politico-economici.
Altro Attività di disturbo o degradazione
delle capacità spaziali dell’avversario,
agendo sui suoi sistemi di accesso allo
Operazioni spaziali
spazio e sfruttamento dello stesso o
sugli effetti derivanti dal controllo degli
assetti spaziali.
Impiego diretto o indiretto di gruppi
Militare Supporto a proxy non-statuali o para-statuali per
condurre intimidazioni militari,

27
Un efficace esempio di assenza di confini fisici e istituzionali può essere identificato nell’impiego di risorse militari
nella competizione cibernetica, magari solo per sottrarre all’avversario segreti industriali o commerciali o, ancora,
l’impiego di agenzie civili in azioni che, normalmente, spetterebbero alle forze militari: al riguardo, si pensi a molte
Guardie Costiere – ad ordinamento civile – che vengono impiegate in missioni di paragunboat diplomacy a sostegno di
rivendicazioni statuali su spazi acquei contesi.
28
Esempi di impiego di tutte le risorse si trovano non solo nell’uso di strumenti quali la diplomazia, la propaganda, la
pressione economica, ecc. ma anche nell’impiego di milizie private, milizie di cittadini (es. la milizia marittima cinese,
ecc.) in associazione agli altri strumenti del potere statuale.
29
Rielaborazione dell’autore da K. Hicks-A. Hunt Friend (edited by), By Other Means. Part I, ecc., cit., p. 7.

15
assumere il controllo di un territorio o
di parte dello stesso o per conseguire
specifici obiettivi politici e di sicurezza.
Utilizzo di forze civili o paramilitari –
con collegamenti diretti con il potere
militare nazionale sia in termini di
Provocazione da parte di forze
finanziamento sia in termini di
controllate dallo Stato
comunicazioni – per affermare i diritti
dello Stato senza il formale impiego
delle forze armate regolari.

Esistono azioni, strumenti e tecniche diverse per dare concretezza a queste sette aree della grey
zone ma, soprattutto, esistono livelli di intensità diversi con i quali si può impiegare detti
strumenti30:
Intensità Economico Militare Informativo Politico Altro
Minaccia nucleare;
movimenti e Supporto
manovre militari; all’opposizione
creazione di interna, agli
situazione di “fatto esiliati ai
compiuto”; guerriglieri e alle
azioni clandestine milizie
su larga scala per Ampie e insorgenti;
Attacchi
indebolire un complesse Attività di
cibernetici su
governo; attività di rivendicazione
vasta scala;
esercizio mirato di propaganda; su larga scala e
Blocco impiego di
forme di violenza; importanti con vasta eco
economico; assetti non
impiego di forze attività di nei fora
Fascia alta sanzioni; militari (Guardia
per guerra non disinformazione internazionali a
coercizione Costiera, flotta
convenzionale e contro- supporto degli
energetica da pesca, ecc.)
(forze speciali; informazione intenti
per favorire
operatori per favorire revisionisti;
occupazioni de
clandestini, ecc.) azioni intensi sforzi per
facto
per condurre azioni revisioniste; cambiare le
che siano regole e la
plausibilmente distribuzione dei
negabili; vantaggi;
supporto a stipula di nuove
violenze su larga alleanze;
scala condotte da firma di trattati
proxy o alleati
Esercitazioni
militari su larga
Dialogo con
scala;
l’opposizione
Segnali militari;
Sviluppo e politica
Moderate azioni Attacchi
Negazione diffusione di avversaria;
militari covert per cibernetici
settoriale narrative Limitati sforzi
Fascia centrale conseguire mirati o azioni
mirata; storiche; nei fora
determinati di pirateria
sanzioni limitate limitate attività internazionali
obiettivi; cibernetica
di propaganda. per rivedere le
Moderato
regole;
appoggio ai proxy;
accordi regionali
Aumento/riduzione
della presenza

30
Michael J. Mazarr, Mastering the Gray Zone: Understanding a Changing Era of Conflict, Carlisle (PA) 2015, Strategic
Studies Institute-United States Army War College Press, p. 59.

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militare in
determinate aree
Utilizzo dei fora
Piccole azioni globali per
Politiche coperte per affermare
commerciali; conseguire obiettivi su
Diplomazia Limitati attacchi
Fascia bassa coercizione determinati rivendicazioni
informativa cibernetici
economica obiettivi; continue;
implicita Limitato appoggio creazione di
ai proxy legami
internazionali

Quello presentato nella tabella soprastante non è un elenco che esplora tutte le opzioni possibili,
ma solo una scheda relativa alle diverse iniziative cui possono ricorrere le potenze decise a sfruttare
le possibilità offerte dalla grey zone. Nessuna delle possibilità presentate nella tabella è
necessariamente finalizzata a conseguire, da sola, una vittoria almeno così come viene intesa in
riferimento al classico impiego dello strumento militare. L’utilizzo dell’uno o dell’altro strumento
non è esclusivo; al contrario, le diverse opzioni presentate possono essere utilizzate in maniera
combinata e coordinata. La chiave del successo in una campagna nella zona grigia non è costituita
dagli strumenti, quanto dal modo graduale e incrementale con cui vengono impiegati.

§ 5. Cina e Russia e le rispettive diverse interpretazioni della Grey Zone


Stili e modalità applicazione delle misure tipiche della grey zone differiscono da attore ad attore. Ad
esempio, la Russia ha dimostrato di avere un approccio piuttosto “muscolare” alla grey zone. Mosca
studia questa opzione strategica da parecchio tempo e – almeno sino all’invasione dell’Ucraina, nel
febbraio 2022 – pareva fosse l’opzione militare preferita dal Cremlino. A corroborare quest’ipotesi
concorreva anche quanto avevano scritto, nel 2010, Sergei Chekanov e Sergey Bogdanov, secondo i
quali il futuro delle operazioni militari avrebbe visto un impiego indiretto della forza militare31. Poi,
il generale Gerasimov – cui, addirittura, si volle attribuire la creazione di una nuova dottrina – fece
intendere che la “nuova guerra” avrebbe esaltato la sovversione politica, l’impiego dei proxy, gli
interventi militari sotto forma di manovre in prossimità dei confini disputati o con limitate violazioni
degli stessi, la deterrenza coercitiva e la manipolazione nei negoziati, la diplomazia coercitiva,
l’assistenza economica, la minaccia di sanzioni energetiche, le operazioni di propaganda e
informazione, gli attacchi informatici e le minacce nucleari implicite.
Per contro, la Cina ha sempre fatto minore ricorso alle forze militari, preferendo muoversi
nell’ambito della coercizione politico-economica o nell’impiego di assetti meno identificabili come
“militari” o legati all’uso legalizzato della forza. Ecco spiegato perché la Cina ricorre ad agenzie civili
(la Milizia Marittima, la Guardia Costiera) per supportare le proprie strategie da grey zone o perché
Pechino modella il contesto internazionale a proprio favore, impiegando le leve geopolitiche e
geoeconomiche – ad esempio, tramite l’iniziativa One Belt One Road (OBOR) – o ricorrendo alla
manipolazione informativa, mediante la creazione di una narrativa ad essa favorevole (tramite
l’azione degli Istituti Confucio ed un utilizzo intelligente dello sharp power); tutto ciò, mentre le
occupazioni de facto degli atolli o degli scogli contesi pongono le basi – in caso do mancata
contestazione – per una futura appropriazione de jure32.

31
S.G. Chekinov and S.A. Bogdanov, «Asymmetrical Actions to Maintain Russia’s Military Security», Military Thought,
No. 1, 2010.
32
Nello specifico, Pechino ha sostenuto le proprie rivendicazioni nel South China Sea con «narrative» e (autoprodotta)
documentazione storica ad essa favorevoli; ha inviato centinaia di «volontari» marittimi a presidiare fisicamente le aree
rivendicate; ha creato (2013) una nuova e potente Guardia Costiera, nata dall’integrazione di cinque preesistenti agenzie

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