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nell’età dell’indistinzione
– Claudio Vercelli, 27.01.2020
Scenario Una sfida ben espressa dalla risoluzione del Parlamento Ue che riconfigura sotto
la categoria dei «totalitarismi» le molteplici vicende che portarono alla guerra e allo
sterminio degli ebrei
Ad oramai quasi vent’anni dalla sua istituzione il Giorno della Memoria registra le sue
anchilosità, manifestando limiti e difficoltà in parte prevedibili ed in parte inediti. Non c’è
solo la stanchezza da ripetizione ma anche il rischio di una cristallizzazione di modalità e
contenuti, destinati quindi a distanziare piuttosto che ad avvicinare. Ma i veri temi di una
riflessione collettiva di merito debbono confrontarsi con l’intera partita delle prassi della
memoria che i paesi occidentali, ed in particolare quelli europei, in questi ultimi tre decenni
hanno fatto propria. Non meno che con le trasformazioni politiche che stanno
caratterizzando l’intero Continente, trattandosi queste ultime di una partita completamente
aperta.
A TALE RIGUARDO, il fatto stesso che l’oggetto del discorso memorialistico sia
eurocentrico (il genocidio degli ebrei, i fascismi continentali, la crisi dell’Europa prebellica e
la Seconda guerra mondiale), inevitabilmente circoscrive le possibilità di comunicazione con
quella parte di popolazione le cui radici riposano nell’immigrazione e con una irrisolta storia
postcoloniale. Con cui deve comunque confrontarsi, poiché la cittadinanza europea sarà
sempre più spesso ibrida. Si tratta infatti di un meticciato che non si proietta sul piano della
condivisione culturale, semmai rafforzando i processi identitari basati sulla razzizzazione
delle relazioni sociali e sulla etnicizzazione dello spazio pubblico.
Contrapporre ad una dinamica che sta ridisegnando non solo i confini politici ma anche e
soprattutto la composizione dei mercati del lavoro e, con essi, i patti sociali di cittadinanza,
discorsi esclusivamente basati sulla solerzia della buona volontà, ispirati ad una pedagogia
dell’esempio e della rettitudine, rischia di rivelarsi un’arma spuntata.
L’occupazione del campo del discorso sull’antisemitismo da parte di alcuni esponenti della
destra illiberale europea, che lo stanno piegando, in un gioco di paradossi, a proprio
beneficio, è indice di questa deriva. Va in questo senso, purtroppo, la questione ombra della
risoluzione del Parlamento europeo approvata nel settembre dell’anno scorso, che annulla
qualsiasi distinzione di ordine storico, riconfigurando sotto la categoria dei «totalitarismi» le
complesse e molteplici vicende che portarono alla guerra mondiale, come anche allo
sterminio degli ebrei. Si tratta di una deliberata deformazione non tanto della storia in sé
ma della sua percezione e rielaborazione nel presente. In omaggio ad un duplice
meccanismo basato sulla parificazione e sull’intercambiabilità di ruoli, di responsabilità, di
disegni politici e di azioni.
IL DISPOSITIVO, in una sorta di par condicio, opera quindi verso l’annullamento dei profili
di colpa, facendovi subentrare un’implicita corresponsabilità, dove nella notte, poiché tutte
le vacche sono scure, nessuna è veramente distinguibile dalle altre. L’omaggio obbligato ai
nazionalismi dell’Est che è sottointeso ad una tale operazione politica, è esattamente
antitetico, ovvero specularmente capovolto, al lavoro svolto per identificare la natura del
processo genocidario nel Novecento. Il filtro, in questo caso, opera non nel senso di
identificare e condannare la radicalità del politico quand’esso si pensa come totalità, ma di
legittimare l’autoritarismo, ovvero il concreto obiettivo delle democrature dell’Europa
orientale, come fattore di stabilizzazione.
Il Giorno della Memoria non ha alcuna responsabilità in queste dinamiche, poiché di esse
non ne è causa bensì effetto. Ma sarebbe buona cosa, esaurite le legittime e necessarie
ricorrenze, ragionare sul deficit di cultura politica che esso stesso ci segnala.
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