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MACROECONOMIA
Ria ssu n t o t e st o
Cor so di Econ om ia polit ica , M cGr a w - H ill, 2 0 1 3
1.6 Riepilogo_____________________________________________________________________________ 12
2.8 Riepilogo_____________________________________________________________________________ 21
3.5 Riepilogo_____________________________________________________________________________ 31
4.5 Riepilogo_____________________________________________________________________________ 37
5.6 Riepilogo_____________________________________________________________________________ 45
6.9 Riepilogo_____________________________________________________________________________ 55
7.7 Riepilogo_____________________________________________________________________________ 65
8.5 Riepilogo_____________________________________________________________________________ 69
La macroeconomia rinuncia allo studio dei particolari per occuparsi del quadro generale: è lo
studio dell’economia intesa come sistema.
La microeconomia e la macroeconomia seguono approcci differenti per analizzare i meccanismi
che regolano il sistema economico. La prima enfatizza la conoscenza particolareggiata del singolo
mercato, tralasciando però le interazioni di un mercato con gli altri.
La macroeconomia studia l’interazione tra differenti parti dell’economia, semplificando il sistema
economico in alcuni fenomeni economici fondamentali (macrovariabili). In particolare analizza le
variabili economiche aggregate che sintetizzano il sistema economico nazionale. Il suo obiettivo è
quello di comprendere il comportamento delle variabili economiche aggregate per riuscire a
intervenire in alcuni andamenti non corretti di tali variabili.
1.2 I dati
L’analisi delle macro-varibili aggregate si concentra prevalentemente sui dati dell’inflazione, della
crescita economica e della disoccupazione tra diversi sistemi economici. La macroeconomia cerca
di comprendere i meccanismi relativi alla contabilità nazionale, alla creazione di moneta e
all’inflazione.
1.3 Introduzione
Un sistema economico comprende molti milioni di unità di decisione economica (attori economici):
famiglie, imprese, enti pubblici. Insieme, le singole decisioni individuali determinano la spesa
complessiva del sistema economico, il reddito e il livello della produzione di beni e servizi.
Il flusso circolare del reddito. Un primo modello semplificato di un sistema economico chiuso
(che tralascia l’attività nel settore pubblico e del settore
estero), può aiutare a descrivere le differenti transazioni
tra attori economici (famiglie e imprese). La tab. 17.3
mostra come le famiglie offrono i propri fattori di
produzione alle imprese, che li usano per produrre beni e
servizi. Da tali transazioni derivano dei flussi monetari
(pagamenti) corrispondenti: le famiglie ottengono una
remunerazione come corrispettivo dei fattori offerti.
Successivamente le famiglie usano le proprie entrate per
acquistare beni e servizi dalle imprese, restituendo ciò
che avevano ottenuto dall’offerta dei fattori di produzione. Il flusso circolare del reddito (fig. 17.2)
mostra i flussi reali e monetari di scambio tra famiglie e imprese.
In un’economia di mercato il flusso interno rappresenta i trasferimenti reali tra famiglie e imprese,
mentre il flusso esterno indica i corrispondenti flussi monetari.
La fig. 17.2 suggerisce che esistono tre modi di misurare l’ammontare dell’attività produttiva di un
sistema economico. Si possono di fatti utilizzare:
L’insieme dei pagamenti è il corrispettivo dei trasferimenti di risorse reali. Supponendo che tutti i
pagamenti vengano spesi per acquistare risorse o nei e servizi reali, ecco che le tre misure
possibili coincidono. Il reddito derivante dall’offerta dei fattori deve essere uguale alla spese delle
famiglie, poiché si assume che tutto il reddito sia speso. Il valore della produzione (output) deve
essere uguale alla spesa per i beni e servizi poiché si ipotizza che tutti i beni siano venduti. In
questo schema semplificato di un modello economico chiuso si evince che: il livello dell’attività
economica può essere valutato misurando la spesa complessiva, il valore della produzione o il
reddito totale.
Tale schema, utile per osservare alcune interazioni delle variabili macroeconomiche, si rivela
troppo semplificato, in quanto tralascia molte caratteristiche importanti del mondo reale: risparmio,
investimenti, spesa pubblica, tasse, transazioni tra imprese e con i mercati esteri. Per tener conto
di tutte queste variabili si rende necessario un sistema di contabilità nazionale che, innanzi tutto,
definisca le macrovariabili in gioco, in modo tale da poterle inserire nel modello del flusso circolare
del reddito.
Per comprendere il concetto di valore aggiunto, supponiamo di avere un sistema costituito da solo
n. 4 imprese: un produttore di acciaio, un produttore di macchinari per l’industria automobilistica,
un produttore di pneumatici, un produttore automobilistico che vende direttamente ai consumatori
finali.
Il produttore di acciaio ricava 4000€ dalla vendita dell’acciaio (3000€ produttore di automobili +
1000€ produttore macchinari); se il produttore di acciaio è anche proprietario dei minerali grezzi, il
suo valore aggiunto è di 4000€. I ricavi del produttore di acciaio servono a pagare i salari, le
eventuali rendite comunque finiscono alle famiglie proprietarie dell’impresa. Quindi i redditi prodotti
sono complessivamente pari a 4000€. Essendo però l’acciaio un bene intermedio, in quanto
impiegato per la produzione di macchinari e automobili, la spesa delle imprese di 4000€ non
costituisce la spesa per l’acquisto di un bene finale. Il produttore di macchinari spende 1000€ per
comprare l’acciaio come bene intermedio; tali macchinari verranno rivenduti al produttore di
automobili per un costo di 2000€, creando un valore aggiunto di 1000€ (2000€-1000€). Questo
valore aggiunto creato accresce il reddito delle famiglie proprietarie dell’impresa che produce i
macchinari. Come il produttore di acciaio, il produttore di pneumatici fabbrica un bene intermedio
che non compare nella colonna della spesa per i beni intermedi. Se egli possiede gli alberi da
gomma, tutto il valore della produzione (500€) costituisce anche il valore aggiunto e contribuisce
alla creazione del reddito delle famiglie proprietarie dell’impresa. Il produttore di automobili ha
speso 3000€ per l’acciaio e 500€ per i pneumatici. In realtà ha speso anche 2000€ per i
macchinari, che però, non sono un bene intermedio, ma un bene finale utilizzato per la produzione
di automobili. Per calcolare il valore aggiunto della produzione di automobili bisognerà sottrarre dal
valore finale dell’automobile (5000€), il valore dei beni intermedi utilizzati (3000€+500€), ottenendo
un valore aggiunto di 1500€: ciò che serve a pagare i fattori acquistati dall’impresa o costituisce
profitto per l’impresa stessa. Alla fine il produttore di automobili vende le automobili alle famiglie,
quali consumatori finali. A questo punto le automobili diventano un bene finale e il valore di 5000€,
rientra nella colonna della spesa per i beni finali. Il valore complessivo di tutte le transazioni è di
11500€, ma la cifra sovrastima il valore effettivo prodotto dal sistema economico. In questo
sistema chiuso, in cui i consumatori finali sono le famiglie che impiegano il reddito percepito, ma
che sono anche i proprietari delle imprese, il valore aggiunto, le spese per i beni finali e i reddito
creato dal sistema coincidono (7000€).
Gli investimenti e il risparmio. Nell’esempio precedente il valore dei beni e servizi finali e del
reddito sara pari a 7000€; ma se le famiglie spendono 5000€ per l’acquisto delle auto, cosa ne
faranno le famiglie del resto del proprio reddito? Per risolvere questa differenza di 2000€, vengono
introdotti i concetti di investimento e risparmio. Modificando lo schema del flusso del reddito (fig.
17.3) 2000€ escono dal flusso sotto forma di risparmio ma, poiché il PIL è di 7000€, la differenza
rientra nel flusso sotto forma di investimenti delle imprese (2000€) per l’acquisto dei macchinari.
L’investimento è definito come la spesa per l’acquisto di beni capitali (beni strumentali), effettuata
dalle imprese. Il risparmio è quella parte del reddito delle famiglie che non viene spesa per
acquistare beni e servizi di consumo.
Nel circuito interno le imprese producono i beni di consumo, destinati alle famiglie (5000€) e i beni
di investimenti destinati alle imprese (2000€), nel circuito esterno, che si riferisce ai trasferimenti in
moneta, il risparmio costituisce un prelievo dal flusso circolare (2000€), mentre la spesa per
investimento un’immissione nel flusso circolare (2000€).
In un’economia di mercato, alcune istituzioni finanziarie giocano un ruolo fondamentale nel guidare
il risparmio delle famiglie verso le imprese che desiderano liquidità per investirla in beni capitali.
Ma cosa succede se le imprese non riescono a vendere tutto l’output prodotto? Per affrontare il
problema viene introdotto il concetto di scorte, che sono costituite dal valore dei beni o fattori delle
produzione che saranno venduti o utilizzati in successivi cicli produttivi. Le scorte sono descritte
come parte del capitale d’esercizio. Poiché i beni in magazzino non sono utilizzati nel processo
produttivo nemmeno venduti nell’anno corrente, questi stock sono classificati come beni capitali.
Un aumento nelle scorte è considerato un investimento nel capitale d’esercizio. Una diminuzione
delle scorte è da considerarsi come un investimento negativo o un disinvestimento.
Il Governo e il settore estero. Le entrate del Governo pervengono sia dalle imposte dirette Td,
che colpiscono redditi e patrimoni, sia dalle imposte indirette Ti, che colpiscono i trasferimenti di
ricchezza, beni e servizi. Le entrate pubbliche devono far fronte a due tipi di spesa: il Governo
realizza la spesa pubblica per beni e servizi G (salari dipendenti, acquisto materiale, strade, ecc.);
inoltre spende denaro per trasferimenti B o altre forme di benefici verso soggetti economici
(pensioni, sussidi, contributi). Quindi i trasferimenti B sono dei pagamenti ai quali non è associato
lo scambio di alcun bene o servizio. Essi non si aggiungono al reddito nazionale e neppure al
prodotto nazionale e non sono compresi nel PIL.
Le tasse e i trasferimenti ridistribuiscono il reddito esistente e il potere di acquisto da alcuni
soggetti al altri. Al contrario la spesa pubblica per beni e servizi G genera un incremento del
prodotto e aggiunge nuova capacità di spesa alle famiglie che ricevono un reddito per aver fornito i
fattori della produzione. Quindi è inserita nel PIL, poiché si tratta di una spesa per beni e servizi
finali da parte di un particolare consumatore: lo Stato.
Lo scopo di un sistema di contabilità nazionale è quello di fornire un insieme coerente di definizioni
e misure del prodotto nazionale. Tuttavia alcune imposte (IVA) comportano un divario tra il prezzo
pagato dal consumatore e il prezzo che il produttore riceve. In tal senso si può valutare la
produzione nazionale ai prezzi di mercato, che comportano le imposte indirette, o ai prezzi ricevuti
dai produttori al netto delle imposte indirette.
Il PIL ai prezzi di mercato misura il prodotto interno comprendendo le imposte indirette su beni e
servizi. Il PIL al costo dei fattori misura la produzione interna escludendo le imposte indirette su
beni e servizi. Il PIL ai prezzi di mercato è quindi maggiore al PIL al costo dei fattori di una misura
pari all’ammontare delle imposte riscosse sotto forma di imposte indirette.
Si consideri ora un’economia aperta che effettua transazioni con altri Paesi. Le esportazioni X
misurano il valore delle merci prodotte all’interno del sistema economico, ma vendute all’estero. Le
importazioni Z misurano il valore delle merci prodotte all’estero, ma acquistate per essere
impiegate nell’economia nazionale. I beni di importazione Z non fanno parte del prodotto nazionale
e quindi non appariranno nella misura del PIL, che si riferisce alla misura del valore aggiunto dei
prodotti nazionali. Tuttavia la spesa per i beni di importazione deve apparire dal lato della spesa
finale. Per risolvere il problema si misura la spesa complessiva per C (spesa beni di consumo), I
(investimenti), G (spesa pubblica) e X (esportazioni), a cui si sottrae la spesa complessiva per le
importazioni Z.
Abbiamo visto che in un sistema economico chiuso il valore dei beni e servizi prodotti, il reddito
ottenuto dalle famiglie e la spesa per i beni e servizi, coincidono. Questo meccanismi funziona
ugualmente introducendo il settore pubblico e il settore estero.
Quando vi è un reddito netto dell’estero positivo o negativo tra l’Italia e il resto del mondo, la
misura del PIL non coincide più con i redditi ottenuti dai cittadini italiani. Per tale motivo si
useranno i termini Prodotto Nazionale Lordo (PNL) o Reddito Nazionale Lordo (RNL) per
indicare il PIL corretto in base ai redditi netti dall’estero.
IL PNL (RNL) misura il reddito complessivo ottenuto dai fattori di produzione nazionali
indipendentemente dal Pese nel quale questi fattori sono stati utilizzati. Il PNL (RNL) è uguale al
PIL più i redditi netti dall’estero.
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Nella quarta colonna della fig. 17.4 è introdotto il concetto di Prodotto Nazionale Netto (PNN),
che si ottiene sottraendo dal PNL il valore relativo all’ammortamento, ovvero al deprezzamento
che il capitale fisico (macchinari e immobili) subisce nel corso dell’anno. L’ammortamento è la
misura della perdita di valore dei beni capitali nel periodo di un anno, quando questi sono impiegati
all’interno del processo produttivo.
La quinta colonna introduce il ruolo delle imposte indirette. Sottraendo al PNN ai prezzi di mercato
le imposte indirette si ottiene il PNN al costo dei fattori o Reddito Nazionale. Tali redditi derivanti
dall’impiego dei fattori produttivi sono costituiti da salari dei lavoratori dipendenti, dai redditi dei
lavoratori autonomi, dalle rendite o dai profitti derivanti dall’impiego di capitale.
Il flusso circolare del reddito completo. Utilizzando il reddito delle famiglie Y per misurare il PIL
ai prezzi di mercato il valore aggiunto o la produzione netta dell’economia è data da:
Y = C + I + G + XN
XN = esportazioni nette, cioè al netto delle importazioni
Ma i redditi delle famiglie beneficiano anche dei trasferimenti B, ma sono ridotte dalle tasse dirette
Td. Questo introduce il concetto di reddito disponibile = Y + B – Td. Il reddito disponibile è il
reddito delle famiglie al netto delle imposte dirette e una volta aggiunti di trasferimenti. Esso
mostra la disponibilità effettiva delle famiglie per la spesa in beni di consumo e per il risparmio.
1.6 Riepilogo
La macroeconomia analizza l’economia nel suo complesso.
La macroeconomia sacrifica il dettaglio per focalizzarsi sull’interazione tra i diversi settori
dell’economia. Le famiglie forniscono i fattori produttivi alle imprese che investono. Le imprese
pagano i fattori produttivi, trasferendo redditi alle famiglie che acquistano i beni e servizi finali
prodotti dalle imprese. Questo è il flusso circolare del reddito.
Il Prodotto interno Lordo (PIL) è il valore del prodotto generato dai fattori della produzione
disponibili a un’economia. Può essere misurato attraverso tre modi: valore aggiunto, reddito dei
fattori produttivi e spesa.
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I prelievi dal flusso circolare del reddito sono, prima di tutto, pagamenti delle imprese alle famiglie
che non ritornano automaticamente alle imprese sotto forma di spesa per beni e servizi finali. I
prelievi corrispondono al risparmio, alle imposte nette e alle importazioni. Le immissioni sono,
prima di tutto, fondi di ricavo per le imprese che non derivano dalle spese delle famiglie. Gli
investimenti delle imprese, la spesa pubblica del Governo e le esportazioni sono immissioni. Per
definizione i prelievi totali sono uguali alle immissioni totali.
Il PIL ai prezzi di mercato misura il prodotto includendo la tassazione indiretta.
Il PIL al costo dei fattori misura il prodotto sottraendo la tassazione indiretta.
Il PNL, o RNL, è il PIL al quale sono aggiunti i redditi netti dall’esterno.
Il Reddito Nazionale è il prodotto nazionale netto, cioè al netto degli ammortamenti.
Il PIL nominale misura il PIL ai prezzi correnti. Il PIL reale misura il PIL a prezzi costanti. Corregge,
cioè, il valore del PIL nominale all’inflazione, grazie all’utilizzo del deflattore.
Il PIL pro capite divide il PIL per la popolazione. Misura un valore medio e quindi non è indicativo
del benessere individuale di ciascun cittadino.
Il PIL reale e quello pro capite sono misure approssimative del benessere nazionale e individuale.
Non misurano le attività che non hanno mercato come l’inquinamento, i lavori domestici, la felicità.
Poiché è difficile poter realizzare misurazioni di tutte queste attività, il PIL rimane la misura più
diffusa quale prima approssimazione delle performance di un sistema economico.
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Il consumo. Le famiglie acquistano beni e servizi (circa 80% del reddito disponibile). Il reddito
disponibile è il reddito che le famiglie ricevono dalle imprese. A questo bisogna sommare ciò che
famiglie ricevono dallo Stato sotto forma di trasferimenti e sottrarre le imposte dirette pagate allo
Stato. In pratica è il reddito netto che le famiglie hanno a disposizione per il consumo e il risparmio.
Molti sono i fattori che influenzano il consumo e il risparmio di ogni famiglia e dunque il livello
complessivo del consumo e del risparmio nazionale. Semplificando si può ipotizzare che la spesa
aggregata per i beni di consumo delle famiglie aumenti all’aumentare del reddito disponibile
(semplificazione della funzione del consumo).
La fig. 18.1 mostra l’esistenza di una relazione diretta tra il reddito e i consumi delle famiglie.
La funzione del consumo. La fig. 18.2 mostra un ipotetico esempio della relazione tra spesa per i
beni di consumo e reddito disponibile. La funzione di consumo è una linea retta di pendenza
positiva descritta da un valore dell’intercetta A e una pendenza positiva c, intesa come incremento
verticale. Nella fig. 18.2 l’intercetta che taglia l’asse
verticale è pari al valore di A che corrisponde al consumo
autonomo, ovvero quel consumo che non dipende dal
livello di reddito (consumo minimo necessario alla
sopravvivenza).
La pendenza della funzione del consumo c è la
propensione marginale al consumo (PMgC), che indica
la frazione di 1€ aggiuntivo di reddito disponibile che le
famiglie spendono per acquistare beni di consumo.
Il risparmio, invece, costituisce quella parte di reddito che
non viene spesa per i beni di consumo. Poiché per ogni
euro aggiuntivo di reddito le famiglie desiderano spendere
c euro per beni di consumo, ne consegue che (1 – c) euro
vengono risparmiati. Per tale motivo la somma della
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2.6 Il moltiplicatore
Il moltiplicatore dice quanto il livello del prodotto varierà a seguito di uno spostamento della spesa
aggregata. Il moltiplicatore è maggiore di 1 perché, per ogni variazione delle componenti autonome
della spesa, le variazioni finali della spesa aggregata saranno sempre superiori (moltiplicate).
La misura di tale moltiplicatore dovrà essere in qualche modo legata alla propensione marginale al
consumo. Moltiplicatore = 1/ (1 - c) Quanto è maggiore la PMgC tanto maggiore sarà il valore del
moltiplicatore.
Moltiplicatore e PMgS. La parte rimanente di un’unità addizionale di reddito che non sarà spesa
per l’acquisto di beni di consumo verrà risparmiata. Quindi (1 – c) sarà uguale a PMgS, la
propensione marginale al risparmio.
La propensione marginale a risparmio PMgS, indica la frazione di unità addizionale di reddito che
le famiglie decidono di risparmiare.
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del desiderio di risparmiare aumenterà la spesa e aumenterà il livello del reddito di equilibrio. La
società beneficerà di un maggiore output e di una maggiore occupazione.
Se invece si ipotizza che l’economia si trovi in piena occupazione, le cose cambiano. Se
l’economia si trova in un equilibrio di lungo periodo e in piena occupazione, un aumento del
desiderio di risparmiare condurrà ad una riduzione dei consumi. Tale riduzione, però, potrebbe
essere compensata da un aumento degli investimenti, portando il livello della spesa aggregata al
livello della spesa di piena occupazione. Di conseguenza, nel lungo periodo, il sistema economico
potrebbe beneficiare di un aumento del desiderio di risparmiare.
2.8 Riepilogo
La spesa aggregata è la spesa programmata per i beni e servizi. La funzione della spesa mostra la
relazione tra il reddito e la spesa per beni e servizi.
Nell’analisi si è ipotizzata l’esclusione delle esportazioni e delle importazioni, nonché del ruolo del
Governo nell’economia. L’analisi si è concentrata sul consumo delle famiglie e sull’investimento
delle imprese. L’investimento è costante.
Il consumo dipende dal reddito disponibile. Al netto della tassazione e dei trasferimenti, il reddito
disponibile è pari al reddito totale.
Il consumo autonomo è il consumo programmato per un reddito nullo. La propensione marginale al
consumo è la frazione di consumo per un 1€ di reddito in più. La propensione marginale al
risparmio è la frazione di risparmio per 1€ in più di reddito. Poiché il reddito è consumato o
risparmiato, la somma delle due propensioni è pari a 1.
Dato il livello generale dei prezzi, il sistema economico o il mercato reale è in equilibrio quando la
spesa è pari al reddito. In equilibrio, il consumo programmato è pari al risparmio programmato. La
condizione di equilibrio non significa che il prodotto sia al suo livello potenziale. Significa, soltanto,
che il reddito è pari alla spesa.
Il prodotto è determinato dalla spesa. Per un dato livello di prezzo dei fattori produttivi e dei beni e
servizi finali, in caso di eccesso di offerta, le imprese e i fornitori di fattori produttivi sono pronti ad
offrire quanto richiesto dai consumatori.
Quando la domanda eccede il prodotto, è necessario che le imprese investano e le famiglie non
risparmino, così che si ritorni alla condizione di equilibrio.
Un aumento degli investimenti determina un maggiore output di equilibrio. L’incremento del reddito
innesta un incremento della spesa per i consumi.
Il moltiplicatore è il rapporto tra la variazione del reddito e la variazione della spesa autonoma che
l’ha causata. Nel modello trattato il moltiplicatore è pari a 1/(1-PMgC) o 1/PMgS. Il moltiplicatore
eccede sempre l’unità per frazioni positive di PMgC e PMgS.
Il paradosso della parsimonia mostra come una riduzione della propensione al risparmio porta a un
maggio prodotto o reddito di equilibrio o viceversa, ma nessuna variazione nel risparmio
programmato, sempre pari all’investimento programmato.
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- M2: somma di M1 più alcune attività aggiuntive che possono essere utilizzate per effettuare
pagamenti, ma a un costo maggiore rispetto alla moneta cartacea o agli assegni.
- M3: somma di M2 più altre attività aggiuntive che hanno la caratteristica di essere meno liquide
rispetto a M2, cioè convertite in moneta a costi più alti.
- Il reddito o prodotto reale (Y). Un aumento del reddito o del prodotto reale aggregato fa
aumentare la quantità di beni e servizi che si desiderano acquistare e vendere. Quando, per
esempio, economia entra in una fase di espansione, i consumi aumentano, il giro di affari cresce e
per assecondare il maggior numero di transazioni, aumenta la necessità di detenere un
ammontare maggiore di moneta. Ne consegue che un’espansione del prodotto reale accresce la
domanda di moneta.
- Il livello dei prezzo (P). all’aumentare dei prezzi di beni e servizi, la quantità di moneta
necessaria per effettuare le transazioni cresce. Quindi, un incremento del livello dei prezzi
comporta un aumento della domanda di moneta.
La moneta corrente e le attività affini detenute nelle banche prendono il nome di riserve bancarie.
In questa fase le riserve bancarie equivalgono al 100% dei depositi bancari. Le riserve bancarie
sono detenute nelle casseforti delle banche, invece di circolare tra il pubblico, non sono
considerate come parte dell’offerta di moneta. Diversamente i depositi, che possono essere
utilizzati per effettuare transazioni, sono considerati come moneta. Quindi dopo l’introduzione delle
banche di custodia l’offerta di moneta del sistema eurolandia è ancora pari a 1M€.
Dopo un po’ i banchieri commerciali capiscono che non è necessario mantenere riserve pari al
100% dei depositi. Solo una parte delle monete entrano ed escono dalla banca per transazioni, ma
la gran parte dei depositi giacciono nelle casseforti. Dopo aver analizzato la situazione, i banchieri
concludono che il mantenimento di riserve pari al 10% dei depositi è sufficiente a soddisfare i flussi
in entrata e in uscita. Il restante 90% può essere prestato in cambio di interessi.
Una volta concessi i prestiti lo stato patrimoniale delle banche è cambiato. Le riserve bancarie si
sono ridotte a 100000€, ovvero al 10% dei depositi bancari. Ora il rapporto tra riserve-depositi,
ovvero la frazione che le banche detengono come riserve, detto tasso di riserva, è pari al 10%.
Una tale tipologia di sistema bancario, nel quale le banche detengono meno riserve che depositi, è
detto sistema bancario a riserve frazionali.
Dal sistema bancario sono usciti 900000€ come prestiti e ora si trovano nella disponibilità del
pubblico. Come in precedenza, supponendo che il pubblico preferisca i depositi bancari rispetto ai
contanti, anche i 900000€ saranno nuovamente immessi nel sistema bancario. Una volta effettuato
il deposito lo stato patrimoniale consolidato delle banche avrà un attivo pari a 1.9M€ (1M€ moneta
+ 900000€ prestiti) e un passivo di 1.9M€ di depositi. Ora l’offerta di moneta del sistema
economico è pari a 1.9M€; l’esistenza di un sistema bancario commerciale ha permesso la
creazione di nuova moneta.
L’esistenza di riserve in eccesso innesca un processo di espansione dei prestiti e depositi che
terminerà solo quando le riserve saranno pari al 10% dei depositi. L’offerta di moneta, che equivale
al totale dei depositi, al termine del processo equivale a 10M€. L’esistenza di un sistema bancario
a riserva frazionale ha moltiplicato l’offerta di moneta per un fattore 10, rispetto ad un sistema privo
di banche o con riserve bancarie pari al 100% dei depositi.
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La somma della moneta circolante detenuta dai soggetti non bancari (CUR) e delle riserve presso
le banche (RES) costituiscono la base monetaria H, spesso chiamata moneta ad alto potenziale.
Quindi H = CUR + RES.
Le banche centrali controllano la somma della moneta corrente e delle riserve monetarie, ma non
la suddivisione di questa somma nelle sue due componenti.
Ora si ipotizza che i soggetti non bancari detengano una frazione costante (cr – rapporto depositi-
contanti) dei loro depositi in moneta circolare per cui CUR = crD. Inoltre sappiamo che le riserve
bancarie sono una frazione rr dei depositi, per cui RES = rrD. Da ciò si ricava che H = crD + rrD.
Per D = 1/(cr+rr)*H. il rapporto (1+cr)/(cr+rr) è noto come il moltiplicatore della moneta e misura
come l’offerta di moneta reagisca alla variazione di 1€ della base monetaria.
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Nella fig. 25.4 si è visto che il tasso di interesse nominale è determinato dall’equilibrio nel mercato
della moneta. Se, per una serie di motivi, la BCE decide di abbassare il tasso di interesse, per
ottenere tale obbiettivo deve espandere l’offerta di moneta, immettendo nuova moneta con cui
acquista titoli di Stato e aumentando la quantità di riserve messe a disposizione del sistema
bancario.
Nella fig. 25.5 si presentano gli effetti di un incremento dell’offerta di moneta ottenuto come
descritto sopra. Se inizialmente l’offerta di moneta è M, l’equilibrio di mercato si realizza nel punto
E, dove il tasso di interesse nominale è i. Ipotizzando un’operazione di acquisto di titoli a mercato
aperto, si ottiene un aumento dell’offerta di moneta a M1. Tale espansione fa spostare verso dx la
curva verticale di offerta di moneta, con conseguente spostamento del punto di equilibrio da E a F.
Nel punto F il punto di equilibrio del
tasso nominale di interesse è
diminuito da i a i1. Comprando titoli
di stato la BCE provoca una
riduzione dei tassi di interesse
nominale.
Nel caso in cui la BCE decida di
aumentare i tassi di interesse, si
imporrà come obbiettivo di ridurre
l’offerta di moneta. A tale scopo
ricorre ad operazioni di vendita nel mercato aperto, per cui vengono venduti titoli di Stato in cambio
di moneta, riducendo in tal modo la quantità di riserva messa a disposizione del sistema bancario.
Quindi tenere sotto controllo in tasso di interesse nominale e l’offerta di moneta non sono due
operazioni separate.
Una delle ragioni per cui la BCE utilizza il tasso di interesse nominale quale obbiettivo delle
politiche monetarie, consiste nel fatto che il tasso di interesse sintetizza al meglio l’impatto
complessivo degli interventi delle banche centrali. Inoltre, i mercati finanziari monitorizzano
costantemente i tassi di interesse, cosa che risulta più complessa se si deve misurare la quantità
di moneta in circolazione nel sistema economico.
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modo per finanziarsi è quello di ricorrere al mercato finanziario, che applica tassi di interesse più
elevati, dettando le proprie condizioni. Di conseguenza il costo del finanziamento aumenta,
aggravando ulteriormente la situazione e aumentando il rischio che la crisi si estenda anche ad
altri Stati.
Una soluzione allo studio è quella dell’emissione di Euro-bond: obbligazioni in € emesse da un
apposito istituto finanziario diverso dalla BCE, finanziato dai paesi aderenti all’Eurozona, che
garantiscono la solvibilità di tali obbligazioni, raccogliendo i mezzi finanziari necessari per
sostenere il deficit dei paesi in difficoltà.
3.5 Riepilogo
La moneta e le sue funzioni. Per moneta si intende qualsiasi valore che possa essere utilizzato
per effettuare acquisti (moneta, conti correnti). La moneta serve come mezzo di scambio quando è
utilizzata per acquistare beni e servizi. L’utilizzo della moneta come mezzo di scambio elimina il
baratto e le necessità legate alla ricerca della doppia coincidenza dei bisogni. La moneta serve,
inoltre, come unità di conto e come riserva di valore.
In pratica vi sono due misure di base della moneta M1 e M2. La prima misura è più ristretta ed è
costituita principalmente dalla moneta corrente e dalle disponibilità presenti sui conti correnti. La
seconda è più ampia e comprende, oltre a M1, alcune attività aggiuntive utilizzare per i pagamenti.
C’è una terza misura, M3, che comprende attività meno liquide rispetto alle precedenti.
La domanda di moneta. In riferimento all’economia nel suo complesso, la domanda di moneta
rappresenta l’ammontare di ricchezza che gli individui, le famiglie e le imprese scelgono di
detenere sotto forma di moneta. Il costo opportunità insito nel detenere moneta è misurato dal
tasso di interesse nominale i, che costituisce il rendimento ottenibile da attività alternative quali le
obbligazioni/azioni; il corrispondente beneficio consiste nell’utilità della moneta ai fini delle
transazioni.
Un aumento del PIL reale (Y) o del livello dei prezzi (P) accresce il volume delle transazioni in
termini nominali e, di conseguenza, fa salire la domanda di moneta riferita all’economia nella sua
totalità. Sulla domanda di moneta incidono inoltre innovazioni tecnologiche e finanziarie, come
l’introduzione dei bancomat e dei pagamenti con carte di credito, che si ripercuotono sui costi o sui
benefici derivanti dal detenere moneta.
La curva di domanda di moneta mette in relazione la domanda di moneta riferita all’intera
economia con il tasso di interesse nominale. Poiché un incremento del tasso di interesse nominale
fa salire il costo opportunità del detenere moneta, la suddetta curva ha pendenza negativa.
I cambiamenti riguardanti fattori diversi del tasso di interesse nominale che sono in grado di
incidere sulla domanda di moneta possono provocare spostamenti della curva corrispondente. Se,
per esempio, il PIL reale o il livello dei prezzi aumenta, la domanda di moneta sale e la rispettiva
curva si sposta verso dx; se uno dei due parametri diminuisce, la curva si sposta verso sx.
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aggregata AD e della funzione degli investimenti programmati I, a parità di risparmio, può portare
ad un nuovo equilibrio Y1.
La funzione IS mostra le differenti combinazioni tra reddito
e tassi di interesse per le quali la spesa aggregata è uguale
al prodotto e dunque vi è un equilibrio nel mercato dei beni
e servizi o mercato reale.
La fig. 21.2 mostra la funzione IS. Essa è ricavata per un
dato livello di spesa pubblica e di tasse, e per una data
previsione sul reddito e i prodotti futuri. Mantenendo
costanti queste macro-variabili, livelli più bassi di tassi di
interesse fanno aumentare sia la domanda di beni di
consumo di quella dei beni di investimento. In
corrispondenza di un tasso di interesse r1, la spesa
aggregata e il reddito di equilibrio di breve periodo Y1 sono
maggiori del livello Y0, che si ottiene invece in
corrispondenza del tasso r0.
La pendenza della funzione IS. La funzione IS ha pendenza negativa. Nel mercato reale dei
beni e servizi, al’’aumentare del tasso di interesse diminuisce il reddito nazionale a causa della
riduzione degli investimenti e del consumo autonomo. La pendenza della funzione IS dipende
dalla reattività della spesa aggregata ai tassi di interesse. Quanto più l’investimento e il consumo
autonomo reagiscono a una data variazione del tasso di interesse, tanto più piatta sarà la
funzione IS. Al contrario, se la variazione del tasso di interesse comporta solo una piccola
variazione del reddito nazionale, la funzione IS sarà molto ripida.
Gli spostamenti della funzione IS. Movimenti lungo la funzione IS mostrano come il tasso di
interesse influenzi la spesa aggregata e il reddito di equilibrio. Ma vi sono altri cambiamenti della
spesa aggregata che fanno spostare la funzione IS. Un aumento dell’ottimismo delle imprese sulla
domanda futura determinerà un aumento degli investimenti e dunque uno spostamento verso dx
della funzione IS. Una previsione di aumento del reddito futuro delle famiglie sposterà la funzione
della spesa aggregata verso dx (a causa dell’aumento del consumo) e di conseguenza la funzione
IS si sposterà verso dx. anche un aumento della spesa pubblica farà aumentare la spesa
aggregata. In questi casi, a qualsiasi tasso di interesse, il reddito in equilibrio diviene maggiore
rispetto alla situazione precedente.
La funzione LM: mostra le combinazioni tra il tasso di interesse e reddito nazionale che
garantiscono un equilibrio nel mercato monetario. I punti della funzione rappresentano
l’uguaglianza tra la domanda reale di moneta (liquidità L) e l’offerta reale di moneta (M). Da qui la
funzione LM.
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La domanda reale di
moneta aumenta con il
reddito Y ma diminuisce
con il tasso di interesse
r. Se c’è equilibrio nel
mercato della moneta, la
domanda reale coincide
con l’offerta reale. La fig.
21.3 mostra sia
l’equilibrio del mercato
monetario tramite
l’incontro della funzione di domanda reale LL e di offerta reale L0, sia la funzione LM crescente,
che rappresenta l’equilibrio di mercato della moneta per combinazioni di tasso d’interesse e
reddito.
La pendenza della funzione LM. La pendenza della funzione LM è positiva. Qualunque aumento
(diminuzione) del reddito provoca un forte aumento (diminuzione) del tasso di interesse e ciò può
incidere sulla ripidità della funzione. Tanto più la quantità domandata è reattiva al reddito, tanto più
il tasso di interesse può essere influenzato dalle politiche monetarie. Tanto più la quantità di
moneta domandata non è reattiva al tasso di interesse, tanto più la funzione LM sarà ripida.
Gli spostamenti della funzione LM. Una data funzione LM riflette una certa politica monetaria.
Movimenti lungo la funzione indicano dei cambiamenti del tasso di interesse per adattare la politica
esistente a cambiamenti nel reddito. Gli spostamenti della funzione, invece, indicano un
cambiamento della politica monetaria. Una data politica monetaria è una particolare relazione tra lo
stato dell’economia e il tasso di interesse determinato dalla Banca Centrale. Uno spostamento
verso l’alto della funzione LM riflette una politica monetaria restrittiva. Per un qualsiasi livello di
reddito i tassi di interesse sono più alti rispetto alla politica
precedente (spostamento sx fig. 21.3 b). Perseguire un
obbiettivo monetario significa applicare e modificare i tassi di
interesse per mantenere lo stock di moneta nominale a un
certo livello.
Una politica monetaria espansiva implica per qualsiasi livello di
reddito, viceversa, una riduzione del tasso di interesse
(spostamento dx fig. 21.3 b).
L’equilibrio nel mercato dei beni e servizi e in quello
monetario. Il modello IS-LM consente di studiare entrambe i
mercati nello stesso grafico. La fig. 21.4 mostra sia la curva
della funzione IS, che mostra i possibili equilibri nel mercato di
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beni e servizi, sia la curva della funzione LM, che mostra i possibili equilibri nel mercato
monetario. Nel punto E entrambi i mercati raggiungono contemporaneamente l’equilibrio. Il
mercato reale e il mercato monetario interagiscono nel determinare i livelli del tasso di interesse di
equilibrio r* e del redito di equilibrio Y*.
LM verso dx, determinando un nuovo equilibrio in E1, al quale la BC, che persegue precisi
obbiettivi monetari, potrebbe non aver preventivato.
4.5 Riepilogo
Una data politica fiscale è caratterizzata da determinate combinazioni di spesa pubblica e aliquote
fiscali. Una data politica monetaria è caratterizzata da una implicita regola di politica monetaria
grazie alla quale si determinano i tassi di interesse nel mercato monetario, al fine di generare una
determinata offerta di moneta.
La funzione IS mostra combinazione del tasso di interesse e reddito compatibili con l’equilibrio di
breve periodo nel mercato reale, cioè dei beni e servizi. Minori tassi di interesse causano aumenti
della spesa aggregata e del reddito di equilibrio. Si possono rappresentare spostamenti della
funzione IS in ragione di variazioni delle componenti della spesa aggregata.
La funzione LM mostra le combinazioni di tasso d’interesse e reddito compatibile con l’equilibrio di
breve periodo del mercato monetario quando la Banca Centrale persegue un obbiettivo monetario.
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Un maggior reddito è associato a un maggiore tasso di interesse per mantenere l’equilibrio della
domanda e offerta di moneta.
L’intersezione di IS e LM mostra l’equilibrio contemporaneo di reddito e tasso di interesse nel
mercato dei beni e servizi e nel mercato monetario.
Data una precisa politica monetaria, una politica fiscale espansiva determina un aumento del
reddito, della domanda di moneta e dei tassi di interesse, così spiazzando o parzialmente
riducendo i consumi e gli investimenti privati.
Data una precisa politica fiscale, una politica monetaria espansiva determina minori tassi di
interesse e maggiore reddito.
Il mix di politica monetaria e politica fiscale influisce sul tasso di interesse e sul reddito di equilibrio.
L’equivalenza ricardiana afferma che per un dato valore di spesa pubblica, il settore privato non è
influenzato da quando il Governo decide di finanziarlo. Un taglio delle imposte, oggi, non ha effetto
sulla spesa aggregata poiché le imposte future aumenteranno della stessa entità.
L’equivalenza ricardiana è vera solo in teoria. Questo effetto è mitigato dalla sola consapevolezza
che, salvo che la spesa pubblica sia anch’essa tagliata, le imposte sono destinate ad aumentare
nel futuro.
Le politiche della domanda stabilizzano il reddito. Le politiche fiscali hanno un riscontro non
immediato: il maggiore loro impatto è determinato dal funzionamento degli stabilizzatori automatici.
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La teoria quantitativa della moneta afferma che una variazione dello stock nominale di moneta
offerta comporta una equivalente variazione percentuale nel livello dei prezzi (e dei salari
monetari), ma non ha alcun effetto reale sul prodotto e sull’occupazione.
La moneta, i prezzi e il legame causale. Secondo Milton Fridman l’inflazione è un fenomeno
monetario. Aumenti sostenuti del livello dei prezzi sono possibili solo se anche la quantità
monetaria nominale sta aumentando.
La quantità domandata di moneta reale è costante? La domanda reale di moneta M/P dipende
dal reddito e dal costo opportunità di trattenere moneta (lo spread tra il tasso di interesse sulle
attività finanziarie e qualsiasi tasso d’interesse derivante dal trattenere moneta).
Nei paesi dove il reddito reale è in crescita aumenterà anche la domanda di moneta.
Paesi diversi fanno fronte a differenti gradi di competizione finanziaria e di conseguenza avranno
diversi spread tra tassi di interesse finanziari e tassi derivanti dal detenere moneta.
I Paesi in cui i livelli di inflazione sono alti, è più probabile che debbano far fronte a elevati tassi di
interesse nominali, elevati spread e ad un elevato costo nel trattenere moneta.
Anche a seguito del processo di aggiustamento di queste macrovariabili, le variazioni del reddito
reale e dei tassi d’interesse sono in grado di modificare notevolmente la domanda reale di moneta.
L’inflazione. L’equazione M/P = L (Y, r), implica che il tasso di crescita della domanda di moneta
debba essere uguale al tasso di crescita dell’offerta di moneta, per mantenere inalterato il livello
dei prezzi. Se l’inflazione è la variazione del livello dei prezzi, allora il è, più il.
tasso di crescita dell’offerta = tasso di crescita della + tasso di
nominale di moneta domanda reale di moneta inflazione
Tale ipotesi sostiene che i tassi di interesse reali non variano di molto. Se lo facessero vi
sarebbero rilevanti eccessi di domanda o di offerta di prestiti. Quindi una più alta inflazione deve
essere compensata da un più alto livello di tassi d’interesse nominali per mantenere in equilibrio il
tasso di interesse reale.
L’iperinflazione. Per iperinflazione si intende una situazione in cui il tasso di inflazione raggiunge
livelli particolarmente elevati. In tale situazione, in cui vi è un continuo aumento dell’inflazione e dei
tassi di interesse, la domanda reale di moneta si riduce. La fuga dalla moneta consiste nel collasso
della domanda reale di moneta che si realizza quando c’è un’alta inflazione e alti tassi di interesse
nominali, che rendono troppo costoso detenere la moneta.
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breve periodo PC1. Dato che è necessario del tempo affinché i tassi di interesse influenzino la
domanda, questo spostamento potrebbe durare uno o due anni. Al contrario, una diminuzione
della domanda porta, nel breve periodo, il sistema nel punto B. la BC modifica i tassi di interesse
per riportare velocemente il sistema di nuovo al punto di equilibrio E.
La curva di Phillips di breve periodo mostra che, nel breve periodo, un aumento della
disoccupazione causa una diminuzione dell’inflazione. L’altezza della curva di Phillips di breve
periodo indica l’inflazione attesa. In corrispondenza dell’equilibrio di lungo periodo nel punto E, le
aspettative sono soddisfatte.
Da quanto sopra emerge che è sbagliato ritenere che la curva di Phillips mostri un trade-off
permanete tra disoccupazione e inflazione. Essa indica, invece, un trade-off temporaneo che si
realizza nell’intervallo di tempo in cui il sistema economico risponde a uno shock della domanda
aggregata.
La velocità dei movimenti lungo la curva dipende da due variabili: il grado di flessibilità dei salari
nominali, e quindi dei prezzi, e il livello fino al quale la politica monetaria aggiusta i tassi di
interesse per ristabilire la domanda più velocemente. Una completa flessibilità dei salari
ristabilirebbe immediatamente la curva di Phillips verticale e la curva di offerta aggregata verticale.
Rapidi cambiamenti dei tassi di interesse, potrebbero
controbilanciare gli shock della domanda, ristabilendo il livello
di lungo periodo della produzione, della disoccupazione e
dell’inflazione.
Se gli aggiustamenti dei salari e dei prezzi sono più lenti,
tanto più tempo impiegherà il sistema economico a reagire.
La politica monetaria può compensare uno shock della
domanda una volta che sia stato riconosciuto.
Le aspettative e la credibilità. La fig. 23.6 mostra cosa
succede nel caso in cui un nuovo governo decida di ridurre
l’inflazione. Si supponga che il sistema economico si trovi nel
punto di equilibrio di lungo periodo E, con una curva di
Phillips di breve periodo PC1. Il tasso di inflazione è pari a p1
e il governo intende abbassarlo a p2, raggiungendo il punto di
equilibrio F. Nel breve periodo le imprese sono vincolate ad
accordi salariali che dipendono tal vecchio tasso di inflazione
p1. Se l’inflazione diminuisce i salari reali saranno troppo alti:
le imprese riducono la produzione e diminuisce
l’occupazione. Il sistema di muove lungo la curva di Phillips di
breve periodo, dal punto E al punto A.
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Nello scenario ottimistico, i lavoratori credono alle promesse del Governo e accettano una
riduzione del salario, aspettandosi che non vi sia una riduzione del salario reale poiché calerà
l’inflazione a p2. Il sistema economico si sposterà su una nuova curva di Phillips PC2, dal punto A
al punto B. il tasso di inflazione si è ridotto rapidamente: l’ultimo passo è il graduale spostamento
lungo la curva dal punto B al nuovo punto di equilibrio di lungo periodo F.
Nello scenario pessimistico, i lavoratori non credono alle promesse dell’autorità: essi pensano che
il tasso di inflazione rimarrà a p1 e non accetteranno riduzioni del salario. Se i lavoratori si stanno
sbagliando, i salari reali e la disoccupazione aumentano senza che l’inflazione diminuisca. Il
sistema rimarrà sulla curva PC1 e il tentativo di ridurre l’inflazione sarà fallito.
Uno shock dell’offerta aggregata. Nel lungo periodo, a parità di altre condizioni, la curva di
Phillips è verticale in corrispondenza del tasso naturale di disoccupazione U*, ma dal momento
che variano anche altre variabili, U* non è fisso. Cambiamenti del tasso naturale di disoccupazione
riflettono shock permanenti dell’offerta. Uno shock permanente dell’offerta modifica il tasso
naturale di disoccupazione e il reddito potenziale. Uno shock temporaneo dell’offerta lascia questi
valori di lungo periodo invariati, ma sposta la curva di Phillips
di breve periodo e la funzione dell’offerta aggregata di breve
periodo.
La curva di Phillips di breve periodo si sposta per due
ragioni: il tasso di crescita dei salari cambia se l’inflazione
attesa cambia; oppure un cambiamento nella quantità di
prodotto offerto dall’impresa o nella domanda di lavoro, dato
un certo tasso di crescita dei salari.
La fig. 23.7 mostra una contrazione temporanea dell’offerta
aggregata. La curva di Phillips di breve periodo si sposta
verso l’alto da PC1 a PC2. Se la politica monetaria
ammortizza lo shock il tasso di inflazione obbiettivo aumenta
da p1 a p2. Il sistema economico sposta l’equilibrio da E a F
senza alcuna variazione del livello di produzione e di
disoccupazione, ma al costo dell’aumentare l’inflazione. Dato che si tratta di uno shock
temporaneo, il sistema ritorna gradualmente al punto di equilibrio di lungo periodo E, con un altro
adeguamento della politica monetaria.
Ma può verificarsi l’ipotesi in cui la politica monetaria non può ammortizzare completamente uno
shock dell’offerta. Questo significa un aumento dell’inflazione e una diminuzione della produzione,
con conseguente aumento della disoccupazione. Per controbilanciare questo shock, la politica
monetaria fa diminuire lievemente la domanda aggregata, con conseguenza di far aumentare
lievemente l’inflazione e la disoccupazione. Il sistema economico si sposta dal punto di equilibrio E
al punto G. la produzione diminuisce nonostante l’aumento dell’inflazione.
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La stagflazione indica un periodo nel quale sia l’inflazione sia la disoccupazione aumentano. Essa
è dovuta a una contrazione dell’offerta aggregata.
Cinquant’anni di disoccupazione e inflazione. Originariamente la curva di Phillips sembrava
mostrare un trad-off permanente tra inflazione e disoccupazione; inoltre essa suggeriva che sia
l’inflazione che la disoccupazione potessero essere contenute a livelli molto bassi.
Ora si sa che la curva di Phillips può essere verticale in corrispondenza del tasso naturale di
disoccupazione. Un aumento del tasso naturale di disoccupazione costituisce una delle ragioni
fondamentali dell’aumento della disoccupazione, ma non è l’unica ragione.
La curva di Phillips mostra un trade-off temporaneo tra inflazione e disoccupazione, mentre il
sistema economico si sta assestando a seguito di uno shock della domanda aggregata e sta
progressivamente tornado al prodotto di piena occupazione. L’altezza della curva di Phillips
dipende dalle aspettative circa il futuro dell’inflazione.
5.6 Riepilogo
La teoria quantitativa della moneta afferma che variazioni del livello generale dei prezzi sono
causati da un equivalente variazione dello stock nominale di moneta offerta. In pratica, i prezzi non
si adattano immediatamente alle variazioni della moneta nominale, così che i tassi di interesse e il
reddito devono variare, determinando variazioni della domanda reale di moneta. Solo nel lungo
periodo variazioni dei prezzi sono associabili a variazioni dello stock nominale di moneta.
L’ipotesi di Fisher recita che una variazione dell’1% dell’inflazione determina un’equivalente
variazione dei tassi nominali d’interesse così che i tassi di interesse reali varino modestamente.
Poiché il tasso nominale di interesse è il costo del detenere moneta, un’elevata inflazione riduce la
domanda reale di moneta. La fuga dalla liquidità durante l’iperinflazione suffraga questa tesi.
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Per un governo solvibile, non c’è necessità di una stretta relazione tra deficit e variazioni dello
stock nominale di moneta offerta. Nel lungo periodo, tuttavia, se le emissioni di obbligazioni per
finanziare il deficit determinano un eccessivo indebitamento, si innesta una spirale per la quale non
è possibile continuare ad emettere obbligazioni. O si stampa moneta o si adotta una politica fiscale
restrittiva.
La curva di Phillips di lungo periodo è perpendicolare in corrispondenza del tasso naturale di
disoccupazione. Se l’inflazione è prevista, il sistema si adatta e non vi sono ripercussioni.
La curva di Phillips di breve periodo rappresenta il rapporto di scambio tra disoccupazione e
inflazione in risposta a uno shock della domanda aggregata. Shock dell’offerta aggregata
determinano spostamenti della curva di Phillips. L’altezza della curva di Phillips di breve periodo
dipende dalla crescita della massa monetaria e dall’inflazione attesa. La curva di Phillips si
abbassa se si prevede che l’inflazione sia più bassa in futuro.
Shock temporanei dell’offerta possono determinare spostamenti nella curva di Phillips. La
stagflazione rappresenta la contemporanea presenza di inflazione e disoccupazione.
I costi dell’inflazione riflettono le illusioni monetarie e l’incapacità di comprendere come
l’inflazione possa essere conseguenza di uno shock che inevitabilmente ha ridotto i salari reali. I
costi dell’inflazione dipendono da quanto non si è in grado di anticiparla e da quanto comporti
adattarsi.
I costi delle suole e quelli dei menu sono l’inevitabile onere dell’inflazione e sono più elevati,
tanto più è elevata l’inflazione stessa.
L’inflazione inattesa redistribuisce il reddito e la ricchezza di coloro che devono ricevere un
reddito nominale a coloro che devono corrisponderlo.
L’incertezza sull’inflazione impone costi a chi è avverso al rischio.
L’incertezza è ancora più alta quando l’inflazione è già alta.
Le politiche dei redditi possono accelerare la contrazione di aspettative inflazionistiche, con una
repentina deflazione senza una considerevole recessione. È difficile che tali politiche siano di
successo nel lungo periodo. Solo una modesta crescita della moneta può determinare una bassa
inflazione nel lungo periodo.
L’indipendenza delle Banche Centrali rimuove la tentazione dei politici alla facile emissione di
nuova moneta.
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AC. Per mantenere il tasso di cambio fisso, la BCE deve offrire una quantità AC in più sul mercato
per controbilanciare l’eccesso di domanda. La BCE deve garantire la convertibilità dei $ in € e
quindi emettere nuovi € per un ammontare pari a = (AC * e1)*$. Le riserve valutarie in $ della BCE
aumenteranno esattamente dello stesso ammontare.
Le riserve valutarie di una banca centrale consistono nell’ammontare di valuta straniera detenuto
dalle BC.
Si suppone ora che la domanda di € si sposti a sx, nella posizione DD2. L’equilibrio di mercato,
senza l’intervento della BCE, verrebbe raggiunto nel punto D. il mercato dovrebbe scambiare ad
un tasso di cambio inferiore a e1. Se la BCE si impegna a difendere il tasso di cambio fisso e1, vi
sarà un eccesso di offerta pari al segmento AE. Se € è convertibile in $ (1€=1$), la BC deve ora
acquistare €, che pagherà vendendo (AE * e1)*$: ammontare prelevato dalle riserve valutarie della
BC.
Quando la BC è costretta a comprare o a vendere per sostenere un tasso di cambio fisso, si dice
che la BC interviene nel mercato valutario.
Se la domanda di fluttua tra DD1 e DD2, la BCE è in grado di mantenere il tasso di cambio e1 nel
lungo periodo. Quando la domanda è DD1 la BCE accumulerà riserve valutarie, quando la
domanda è DD2, essa diminuirà le proprie riserve, fino a che questo sarà sostenibile.
Se, invece, la domanda di € fosse in media DD2, la BCE esaurirebbe poco alla volta le sue riserve
monetarie, nel tentativo di sostenere il tasso di cambio e1. In queste circostanze, si affermerebbe
che l’€ è sopravvalutato, ossia che il suo valore internazione è troppo alto rispetto a quello che
dovrebbe essere il tasso di equilibrio di lungo periodo. In casi estremi le autorità monetarie
possono rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale, per ottenere un prestito di valuta straniera.
Ma si tratterebbe di una soluzione temporanea. A meno che la domanda di € non aumenti, nel
lungo periodo sarà necessario svalutare €.
In un regime di cambi fissi, una svalutazione (rivalutazione) della parità di una moneta consiste in
una riduzione (aumento) del tasso di cambio che i Governi si erano impegnati a mantenere.
I tassi di cambio variabili (fluttuanti). In un regime di tassi di cambio variabili, il tasso di cambio
è determinato dall’equilibrio delle forze di mercato, senza alcun intervento delle BC. Nella fig. 25.2
quando la domanda di € si sposta da DD a DD1 o a DD2, il punto di equilibrio si sposta dal punto A
al punto B o D. Nella realtà esiste un regime di tassi di cambio misto, che presuppone che le BC
possano intervenire per compensare cambiamenti improvvisi della domanda o dell’offerta di valuta.
Tutte le transazioni internazionali che danno origine ad un afflusso di saranno crediti; tutti i flussi in
uscita di € saranno registrati come debiti.
La bilancia di conto corrente è quella sezione della bilancia dei pagamenti che registra i flussi di
merci, servizi, redditi e trasferimenti con il resto del mondo.
Tra i movimenti di merci sono registrati i flussi monetari associati allo scambio di beni (auto, vino);
tra i movimenti di servizi sono registrati i flussi monetari derivanti dallo scambio di servizi (turismo,
servizi bancari). Il saldo di queste due voci è chiamato saldo commerciale.
Il saldo della bilancia commerciale non coincide con il saldo del conto corrente: a quest’ultimo
bisogna aggiungere altre due voci. I redditi (da lavoro il cui compenso è trasferito in Europa; da
capitale quando i profitti derivano da investimenti all’estero); i trasferimenti, nei quali rientrano le
rimesse degli emigranti stabilmente all’esterno.
Avere un surplus della bilancia di conto corrente significa che i flussi monetari provenienti
dall’esterno sono superiori alle spese effettuate all’estero. Avere un deficit di bilancia di conto
corrente, significa che le spese effettuate all’estero sono superiori ai redditi provenienti dall’estero.
Nella sezione conto capitale, rientrano le cessioni e acquisizioni di attività intangibili, quali brevetti,
diritti d’autore, valore dell’avviamento commerciale.
La terza sezione dei pagamenti è costituita dal conto finanziario: qui vengono registrati i movimenti
di capitale. Sono distinti in: investimenti diretti, investimenti di portafoglio, strumenti finanziari
derivati da altri investimenti.
Infine, la voce errori e omissioni costituisce un aggiustamento statistico non necessario nel caso i
tre precedenti aggregati non fossero stati calcolati correttamente.
La bilancia dei pagamenti è la somma algebrica delle voci della bilancia di conto corrente,
capitale e conto finanziario.
In realtà, il saldo complessivo della bilancia dei pagamenti è sempre uguale a zero: questo perché
la voce riserve ufficiali della BC compensa esattamente qualsiasi saldo passivo (attivo) nella
somma di tutte le altre voci.
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La parità del potere d’acquisto. In che misura il tasso di cambio nominale sarebbe dovuto variare
per mantenere costante il tasso di cambio reale al suo livello iniziale?
La parità del potere d’acquisto indica il valore che il tasso nominale dovrebbe assumere per
mantenere invariato il tasso di cambio reale.
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6.9 Riepilogo
Il tasso di cambio è il prezzo della moneta nazionale espresso in valuta estera. Una diminuzione
(aumento) del tasso di cambio è chiamato deprezzamento (apprezzamento).
La domanda di moneta nazionale nel mercato estero dipende dalle esportazioni, dalla domanda di
beni e servizi nazionali da parte degli stranieri; l’offerta di moneta nazionale dipende dalle
importazioni, dagli acquisti di beni e servizi stranieri. I regimi di tassi di cambio variabili
determinano l’equilibrio di domanda e offerta di valuta senza la necessità di interventi governativi,
di BC o autorità monetarie.
In un regime di tassi di cambio fissi il Governo e le autorità monetarie rispondono a un eccesso di
offerta di € diminuendo le riserve di valute straniere. Un eccesso di domanda di €, in un regime di
cambi fissi, determina un aumento delle riserve valutarie straniere.
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Nella bilancia dei pagamenti i flussi monetari possono essere in entrata (a credito) o in uscita (a
debito). La bilancia di conto corrente include i flussi di merci e servizi, i trasferimenti di reddito. A
queste voci di bilancia commerciale si devono algebricamente aggiungere le rimesse di capitale, le
cancellazioni/estinzioni di debiti, i trasferimenti unilaterali privati e pubblici. La bilancia di conto
capitale riguarda alcuni asset particolari, come gli intangibili (in genere di modesto rilievo). Il conto
finanziario riguarda l’acquisto e la vendita di asset finanziari stranieri. La bilancia dei pagamenti
mostra la somma dei saldi delle tre sezioni precedenti, alle quali si aggiunge la voce errori ed
omissioni.
In un regime di tassi di cambio variabili, il surplus della bilancia di conto corrente può essere
compensato da un deficit del conto finanziario. In un regime di cambi fissi i correttivi sono stabiliti
dai governi, le autorità monetarie, le BC anche agendo sulle riserve valutarie.
Il tasso di cambio reale misura il prezzo relativo alle merci provenienti da diversi Paesi e valutate in
un’unica valuta. Un aumento del tasso di cambio reale determina una riduzione della competitività
nazionale.
La parità del potere di acquisto indica il valore che il tasso di cambio nominale dovrebbe assumere
per mantenere invariato il tasso di cambio reale.
Un aumento del reddito nazionale (estero) determina un aumento delle importazioni (esportazioni).
Un aumento del tasso di cambio reale riduce le esportazioni, aumenta le importazioni e riduce le
esportazioni nette.
Gli investitori di fondi internazionali comparano il tasso di interesse/rendimento nazionale con
quello dei mercati stranieri. La perfetta mobilità dei capitali deriva dalla possibilità di trasferire fondi
da una valuta all’altra non appena il tasso di rendimento di un paese si dimostri più redditizio di
quello di un altro.
Esiste la parità di rendimento tra attività finanziarie in valuta quando le variazioni attese nel tasso
di cambio annullano la differenza tra il tasso di rendimento delle attività finanziarie nazionali ed
estere.
L’equilibrio interno è dato dalla piena occupazione. L’equilibrio esterno è dato da un saldo della
bilancia commerciale pari a zero. Un aumento del prodotto potenziale nazionale, a causa, per
esempio, della scoperta di nuove risorse, determina un apprezzamento del tasso di cambio reale
per mantenere il pareggio della bilancia commerciale.
Più elevati asset stranieri netti e più elevati flussi di rendimento in entrata comportano un più
elevato tasso di cambio reale per mantenere l’equilibrio esterno.
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7 Il commercio internazionale
Obiettivi di apprendimento
- Comprendere le dinamiche del commercio internazionale
- Sapere che cosa si intende per vantaggio comparato e quali sono i benefici del commercio
internazionale
- Conoscere le dinamiche del vantaggio comparato
- Spiegare perché uno stesso prodotto sia oggetto di scambi bidirezionali
- Analizzare gli strumenti della politica commerciale
- Descrivere le ragioni dei dazi doganali
Il commercio internazionale è oggi globale ed è in grado di mutare gli equilibri economici e politici
mondiali; oltrepassa le frontiere dei singoli stati e i governi possono monitoralo e “gestirlo” in
maniera diversa rispetto al commercio interno; utilizza un sistema di pagamenti internazionali con
valute diverse.
Il commercio internazionale rispecchia le condizioni esistenti in termini di scambi e
specializzazione. Le differenze nella disponibilità di materie prime e fattori di produzione tra Paese
e Paese determinano disparità nei costi di produzione e nei prezzi dei beni. Attraverso gli scambi
internazionali i Paesi offrono sul mercato mondiale i prodotti che riescono a produrre a costi
relativamente bassi e si approvvigionano di ciò che viene prodotto a costi inferiori in altri Paesi.
Questi vantaggi aumentano se sussistono economie di scala nei processi produttivi: ogni singola
nazione si concentra su determinati beni in modo da ridurre i costi di produzione.
valore aggiunto apportato al sistema produttivo è modesto, pur se il volume dei flussi lordi è
cospicuo. Negli ultimi 50 anni la tendenza degli scambi internazionali evidenzia una riduzione dei
prodotti primari e una forte crescita nel settore manifatturiero.
I problemi fondamentali del commercio mondiale. Il commercio mondiale è cresciuto più
rapidamente del reddito mondiale e sta diventando sempre più importante. La metà degli scambi
internazionali si svolge fra Paesi ricchi, che rappresentano anche i principali mercati di
esportazione per i Paesi meno sviluppati. Un terzo del commercio riguarda prodotto primari, la
parte rimanente prodotti manifatturieri. Questo quadro generale aiuta a spiegare alcuni dei
problemi fondamentali del commercio internazionale.
Prezzi delle materi prime. I paesi meno sviluppati sostengono di essere sfruttati da quelli
industrializzati che acquistano materie prime a prezzi bassi per poi rivendere i loro manufatti a
prezzi più alti.
Misure protettive nel settore agricolo. Nei paesi ricchi gli agricoltori ricevono sussidi e sono
tutelati dall’applicazione di alti dazi doganali sui prodotti agricoli d’importazione. I paesi meno
sviluppati lamentano che l’esclusione delle loro importazioni dai mercati più ricchi non solo riduce i
volumi dei prodotti che sono in grado di vendere, ma spinge al ribasso i prezzi se la loro offerta
deve essere totalmente assorbita dai rimanenti mercati mondiali.
Esportazioni di manufatti dai Paesi meno sviluppati. Questi paesi vogliono provvedere
autonomamente alla produzione di manufatti da esportare alle nazioni ricche; tuttavia queste
esportazioni nei paesi industrializzate sono viste come una minaccia per i posti di lavoro.
Globalizzazione. La riduzione dei costi di trasporto, la limitazione delle misure protezionistiche,
stanno poco a poco erodendo la divisione dei mercati nazionali, con il conseguente incremento
della concorrenza tra i vari Paesi. Secondo i Paesi poveri tuttavia, l’intero processo è governato
dalle nazioni ricche che agiscono in base ai propri interessi egoistici.
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I costi e i prezzi. Si ipotizza inoltre che i lavoratori USA abbiano un salario di 6$/ora e quelli
europei di 3€/ora. In assenza di scambi internazionali, ognuno dei due Paesi provvede alla
produzione di entrambi i beni e i costi del lavoro per unità di prodotto equivalgono ai prezzi interni a
cui i beni vengono venduti.
Il fabbisogno di lavoro per unità di prodotto è, in termini assoluti, più basso negli USA rispetto
all’Europa per entrambe i prodotti. Tuttavia negli USA la produttività del lavoro è relativamente più
alta per i lettori DVD che per le camicie. In Europa per produrre un lettore DVD occorre una
quantità di ore di lavoro pari al 50%, mentre per una camicia il tempo impiegato è superiore del
20%. Queste differenze relative in termini di produttività costituiscono la base per lo sviluppo del
commercio internazionale.
Il ruolo del commercio internazionale. I due Paesi intrattengono rapporti commerciali. Se
ognuna delle due aree geografiche concentra la propria produzione sul bene che è in grado di
realizzare a costi relativamente più bassi, insieme esse realizzano un output maggiore di entrambi
i beni. Il commercio comporta un beneficio netto, ovvero consente di ottenere una quantità di
prodotto aggiuntivo da suddividere tra i due Paesi.
Il libero mercato fornisce gli incentivi adatti perché questo tipo di scambi abbia luogo. Poiché i due
Paesi sono legati da rapporti commerciali, si sviluppa un mercato dei cambi e viene stabilito un
tasso di cambio in equilibrio tra le due monete. I due paesi scambieranno tra loro i prodotti solo
quando si avrà un tasso di cambio in equilibrio che consentirà ad entrambe di esportare la propria
merce.
Il vantaggi comparato. A prescindere dal vantaggio assoluto di un Paese nella produzione di
determinati beni a costi più bassi che altrove, esiste sempre un tasso di cambio in corrispondenza
del quale questo Paese può produrre almeno un bene a costi più ridotti che in altri Paesi. In
corrispondenza del tasso di cambio di equilibrio, la nazione riesce ad esportare almeno un
prodotto, in modo da pagare le proprie importazioni.
Il vantaggi assoluto misura la capacità di un Paese di produrre un determinato bene a costi più
bassi rispetto a tutti gli altri. Il vantaggi comparato indica la capacità di un Paese di produrre un
determinato bene a costi relativamente minori di quelli sostenuti per la produzione di altri beni, a
prescindere dal fatto che detenga o meno un vantaggio assoluto in relazione ai beni in esame.
La legge del vantaggio comparato afferma che i Paesi di specializzano nella produzione di beni
che comporta costi relativamente più bassi. Benché in termini assoluti negli USA il fabbisogno di
lavoro per i lettori DVD e le camicie sia inferiore, il costo relativo dei DVD è più basso e quello delle
camicie è più alto che i Europa. Quindi gli USA hanno un vantaggio a scambiare con l’Europa ad
un tasso di cambio di equilibrio (compreso in un range tra 1,33$/€ e 1,67$/€).
I tipi di produzione e di scambi commerciali dipendono dal vantaggio comparato e dai costi relativi,
poiché il livello del tasso di cambio di equilibrio è legato alle differenze esistenti in termini di
vantaggio assoluto.
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Una molteplicità di beni. Il principio del vantaggio comparato vale anche quando si prendono in
considerazione molti prodotti. Gli USA detengono un vantaggio assoluto nella produzione di
computer, automobili, televisori, prodotti tessili, mentre l’Europa gode di un vantaggi assoluto nella
produzione di vetro e calzature. Il vantaggio assoluto, tuttavia, non svolge un ruolo diretto
nell’analisi, perché ciò che importa è il vantaggio comparato. Il tasso di cambio di equilibrio si
colloca a livello intermedio che consente di portare esattamente in equilibrio gli scambi
commerciali tra le due aree geografiche.
Le differenze nel rapporto capitale-lavoro. Il vantaggio comparato di un Paese rispetto ad altri
non dipende necessariamente da differenze di carattere tecnologico, ma può riflettere disparità
relative all’offerta di fattori produttivi (dotazione di capitale assoluta; dotazione capitale per
lavoratore o relativa).
I costi relativi derivanti dall’utilizzo dei diversi fattori di produzione incidono sul prezzo relativo dei
beni. I beni ottenuti da un processo produttivo ad alta intensità di lavoro sono relativamente più
costosi in Europa rispetto alla Cina; invece i beni ad alta intensità di capitale favorisce il mercato
Europeo. Di conseguenze l’Europa, con una dotazione di capitale relativamente abbondante
rispetto a quella del lavoro, esporterà verso la Cina prodotti ad alta intensità di capitale. Viceversa
la Cina, dove è disponibile una quantità relativamente elevata di lavoro, esporta prodotti ad alta
intensità di lavoro.
Secondo l’interpretazione di Ricardo, il vantaggio comparato ovvero le differenze sul piano
internazionale tra i costi di produzione relativi è determinato, in primo luogo, dalle disparità
esistenti in ambito tecnologico che a loro volta determinano differenze nel livello relativo della
produttività fisica e del fabbisogno di lavoro per unità di prodotto. In secondo luogo, anche se i
Paesi hanno accesso alla stessa tecnologia, i prezzi interni relativi dei beni possono essere diversi
perché i costi relativi di utilizzo dei fattori di produzione differiscono da un paese all’altro.
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acquistare automobili pari a Qd, corrispondente al punto G sulla curva della domanda, mentre le
imprese interne sono disposte ad offrire una quantità pari Qs che corrisponde al punto C sulla
curva dell’offerta. Il quantitativo dato dalla differenza tra Qd e Qs viene importato dall’estero.
L’equilibrio in presenza di un dazio. Supponiamo che ora venga imposto un dazio sulle
importazioni di automobili del 20%. Gli importatori applicano un prezzo di 12000€ per i maggiori
costi sostenuti. Per questo prezzo gli importatori sono disposti a vendere qualsiasi quantità di
autovetture nel mercato interno. Il prezzo interno, comprensivo del dazio, sale al di sopra del
prezzo mondiale (10000€). Provocando un aumento dei prezzi interni delle automobili, il dazio fa
salire la produzione europea da Qs a Q¹s. esso protegge i produttori europei alzando il prezzo
interno in corrispondenza del quale le importazioni diventano competitive. Passando da C a E
lungo la curva dell’offerta, i produttori interno che hanno costi marginali compresi tra 10000€ e
12000€ riescono a rimanere sul mercato praticando il costo più alto. L’aumento del prezzo spinge
anche i consumatori a spostarsi lungo la curva della domanda passando da G a F e facendo
scendere la domanda da Qd a Q¹d. La fig. 29.3 mostra l’effetto combinato di un incremento della
produzione interna e di una riduzione del consumo interno.
I costi e i benefici di un dazio. La fig. 29.4 mostra i costi e benefici dell’imposizione di un dazio,
dove vengono distinti i costi netti per la collettività dai trasferimenti da un gruppo all’altro di soggetti
all’interno del siste-
ma economico.
Quando una si-
tuazione iniziale di
equilibrio in con-
dizioni di libero
scambio viene im-
posto un dazio,
l’aumento del prez-
zo interno com-
porta sia alcuni
trasferimenti sia un
puro speco di ri-
sorse. Una parte di
denaro viene tra-
sferita dai consumatori al Governo e ai produttori (trasferimenti). Facendo salire il prezzo interno,
la presenza di un dazio provoca una sovraproduzione (nazionale) e un sottoconsumo (nazionale)
del bene. Tale spreco è misurato dai triangoli A e B.
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Perché vengono applicati i dazi doganali? Benefici per pochi, costi per molti. Un dazio
imposto su un particolare bene avvantaggia l’industria che lo produce. I soggetti direttamente
coinvolti spingeranno sui governati perché assumano tale provvedimento necessario per la loro
sopravvivenza. Se il dazio viene applicato, il relativo costo sotto forma di prezzo al consumo più
alto viene re-distribuito su un insieme più ampio di persone, generalmente meno rumorose e
organizzate per difendere i loro interessi.
Dazi versus sussidi. Spesso l’introduzione di un dazio è un provvedimento politicamente più
facile da attuare, poiché all’apparenza incrementa le entrate, mentre un sussidio sembra ridurle.
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7.7 Riepilogo
Il commercio mondiale è cresciuto rapidamente negli ultimi quarant’anni ed è dominato dai Paesi
sviluppati. I beni primari ne costituiscono il 25% in termini di volumi di scambi. Il resto è costituito
dall’output dell’industria manifatturiera.
I Paesi intrattengono scambi commerciali quando all’estero possono acquistare a prezzi più
convenienti che sul mercato nazionale. Le differenze nelle dotazioni dei fattori produttivi e nelle
tecnologie riflettono le differenze nei costi di produzione. Le economie di scala determinano la
specializzazione a livello internazionale.
I Paesi producono quei beni nella cui produzione hanno un vantaggio comparato, hanno cioè un
costo relativamente minore. Sfruttando le differenze nei costi opportunità, il commercio
internazionale determina un vantaggio per tutte le economie.
Quando le tecnologie e le innovazioni superano i confini nazionali, le dotazioni relative dei fattori
produttivi determinano differenze nei costi relativi. I Paesi producono ed esportano quei beni per i
quali hanno la migliore – relativamente –dotazione di fattori produttivi.
Il commercio intrasettoriale è favorito dalle economie di scala e dalla domanda per prodotti
differenziati.
Perché il commercio internazionale sia in equilibrio, ogni Paese deve essere caratterizzato dal
vantaggio comparato nella produzione di almeno un bene.
Sebbene il commercio internazionale vada a vantaggio della comunità globale nel suo complesso,
non sono esclusi meccanismi di compensazione tra chi guadagna e chi perde.
Aumentando il prezzo sul mercato nazionale, una tariffa o dazio riduce il consumo e aumenta
l’output nazionale. Le importazioni sono destinate a diminuire.
Una tariffa può avere due effetti distorsivi: sovra-produzione delle imprese nazionali, il costo
marginale eccede il prezzo mondiale, e scarsa domanda da parte dei consumatori, il cui beneficio
marginale eccede il prezzo mondiale.
La tariffa o dazio ottimale consente di eguagliare il costo marginale sociale al beneficio marginale
sociale. Tuttavia, i dazi sono, spesso, soluzione second best. Un contributo o aiuto alla produzione
e/o imposta sul consumo possono avere un costo sociale inferiore.
Gli aiuti alle esportazioni aumentano i prezzi nazionali riducendo il consumo ma stimolano
l’offerta e quindi, le esportazioni. Possono comunque comportare una perdita sociale. I beni vengo
esportati a un prezzo inferiore al costo marginale sociale e al beneficio marginale per i consumatori
nazionali.
Le politiche tariffarie e non tariffarie sono oggi in disuso. Le politiche protezionistiche hanno
un costo sociale.
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periodo è in grado di influenzare qualsiasi equilibrio di lungo periodo. Ciò significa che possono
esserci diversi equilibri di lungo periodo.
Il dare importanza o meno all’isteresi, fa orientare gli economisti verso un atteggiamento più o
meno interventista per impedire le recessioni.
La formazione delle aspettative. La maggioranza degli economisti crede che le aspettative per il
futuro giochino un ruolo determinante circa il comportamento attuale di una comunità. Ma gran
parte del disaccordo tra gli economisti deriva dal modo in cui tali aspettative si formano.
Aspettative esogene. Alcuni economisti, analizzando il comportamento di un economia, trattano
le aspettative come esogene o date: la loro analisi mostra solo le conseguenze di una variazione
delle aspettative. Le aspettative esogene non sono spiegate all’interno dello stesso modello
macroeconomico.
Aspettative estrapolate. Sono le aspettative in base alle quali il futuro è prevedibile in base ai dati
del passato recente. Secondo tale approccio si è in grado di fornire una semplice regola empirica
di ciò che avviene nel mondo reale.
Aspettative razionali. L’ipotesi delle aspettative razionali afferma che, in media, la gente sia in
grado di fare congetture corrette sul futuro.
Il breve e il lungo periodo. Alcune politiche economiche possono generare benefici nel breve
periodo ma costi nel lungo periodo, o viceversa. L’opinione degli economisti non è però concorde
sul trade-off tra questi guadagni e queste perdite. In parte le misure d’intervento proposte dai
diversi gruppi di economisti riflettono differenze di giudizioso sull’importanza relativa del breve e
del lungo periodo.
Quanto più si crede che i mercati riescano a raggiungere velocemente un equilibrio, tanto meno
sarà data importanza a politiche economiche che abbiano effetti sul breve periodo. Si darà più
rilevanza a politiche dell’offerta che si pongano come obiettivo quello di aumentare il prodotto
potenziale di lungo periodo. Al contrario, quanto maggiore sarà la preoccupazione per un alto
livello di disoccupazione nel breve periodo, tanto più si attribuirà rilevanza agli effetti positivi indotti
da un ritorno veloce alla piena occupazione. Minore, in questi casi, sarà la preoccupazione di
ridurre il reddito da piena occupazione nel lungo periodo. In modo simile, quanto più ci si concentra
sull’analisi di brevissimo periodo, tanto più si possono trattare le aspettative come un fattore
esogeno. Se invece si è interessati all’analisi di lungo periodo, si deve tener conto del fatto che le
aspettative cambiano nel corso del tempo.
massimo, solo in grado di alterare la composizione della domanda aggregata. Il livello complessivo
della domanda aggregata sarebbe, comunque, quello della piena occupazione. Per queste ragioni
l’isteresi non è rilevante. Qualsiasi livello delle disoccupazione venga osservato, quello è il tasso
naturale di disoccupazione. Variazioni della disoccupazione sono dovute a incentivi
microeconomici che alternano il tasso stesso.
I teorici dei cicli reali. I teorici di questa scuola di pensiero appartengono alla famiglia della
macroeconomia neoclassica. Entrambi gli approcci credono che i mercati siano sempre in
equilibrio e che vi siano aspettative razionali. I neoclassici sottolineano l’importanza dell’effetto
“sorpresa” delle politiche monetarie almeno fino a che le aspettative non vi si adeguano, spiegando
in questo modo le fluttuazioni del prodotto attorno al prodotto potenziale. I sostenitori dei cicli reali
sostengo, invece, che le fluttuazioni del prodotto siano proprio fluttuazione del prodotto potenziale.
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8.5 Riepilogo
Uno dei principali problemi della macroeconomia è quello di osservare se i mercati raggiungano un
equilibrio e in quanto tempo impieghino a raggiungerlo.
Quando il sentiero percorso da un’economia nel breve periodo è in grado di influenzare qualsiasi
equilibrio di lungo periodo si parla di isteresi. Ciò significa che ci possono essere diversi equilibri di
lungo periodo.
Le aspettative circa il futuro giocano un ruolo rilevante nel comportamento attuale di una
collettività. Tuttavia è difficile misurarle. L’approccio allo studio delle aspettative è allora triplice:
quelle esogene non sono spiegate all’interno dello stesso modello macroeconomico; quelle
estrapolate sono le aspettative in base alle quali il futuro è prevedibile in ragione dei dati del
passato recente; quelle razionali sono congetture tendenzialmente corrette sul futuro.
La macroeconomia neoclassica è basata su due principi fondamentali: i mercati sono sempre in
equilibrio e le aspettative in gioco sono razionali.
I monetaristi moderati credono che un sistema economico possa riuscire da solo a ritornare alla
piena occupazione, nell’arco di alcuni anni. Perciò, l’effetto di un aumento dello stock di moneta
sarebbe semplicemente quello di far aumentare il livello dei prezzi.
I keynesiano moderati credono che un sistema economico possa essere in grado di ritornare da
solo alla piena occupazione. Il processo di aggiustamento dei prezzi e salari sarebbe però lento e
potrebbe durare molti anni.
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