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L’Art Brut oggi

C’è una domanda fondamentale che accompagna gran parte della riflessione psicoanalitica, in
particolare quella lacaniana: che cos’è un soggetto e soprattutto, come si diventa un soggetto?
C’è un motivo se parto dalla psicoanalisi per parlare di Art Brut o Outsider Art, ma per capirlo
bisogna iniziare dagli albori.
In principio era l’Altro. L’Altro da cui ognuno nasce innanzi tutto, madre, padre, famiglia, società,
cultura. L’Altro che incide marchi sul corpo nascente di ciascuno di noi. E ciascuno di noi nella vita
ripropone questi marchi in varie forme, a volte patologiche, anzi sempre patologiche se non
accadesse un’altra cosa, che accade, ma non sempre, non a tutti. Agli artisti sì.
Che cosa accade? Accade che ad un certo punto ci si rende conto, più o meno consciamente, che
quell’Altro che ci ha marchiato è lui stesso marchiato da qualcun’Altro e via così all’infinito. Allora
le opzioni sono due: rimanere schiacciati passivamente in un determinismo acefalo, oppure
prendere atto che in questo processo infinito vi è tuttavia un margine di libertà, che è quello che ci
rende umani e non animali. Del marchio che ci ha marchiato, dunque, se ne può fare qualcosa, ed
ognuno lo fa a modo suo, non c’è una regola ma una libertà alla quale siamo condannati.
Separarsi dall’Altro significa quindi diventare un soggetto. Rimanere completamente soli,
realmente soli, con quel marchio e con il proprio corpo immersi in un linguaggio che sembra non
parlare di noi, sembra che non ci sia niente che possa dire di quella solitudine. Se ci si limitasse a
separarsi, però, si rimarrebbe soli e senza scampo: si è soli, ma non senza scampo. E non è dalla
solitudine che si scappa ma dal grigiore che questa porterebbe con sé se non ci fosse l’invenzione.
L’invenzione. È qui il punto. L’invenzione non è qualcosa che accade e basta. È un atto. E chi meglio
dell’artista incarna la figura di colui che inventa, di colui che se ne fa qualcosa della traccia che l’ha
scritto, che dimostra la potenza della libertà che germoglia in ogni vita umana? L’arte non è una
consolazione, non è un sogno ad occhi aperti, non è un delirio né una credenza: queste sono
soluzioni, quelle patologiche di cui dicevo prima, basate sulla certezza, adottate dalla maggioranza
delle persone di fronte all’inesorabile solitudine data dalla morte dell’Altro. L’arte al contrario è
una forma di soggettivazione basata sulla potenza e sulla volontà di cercare una risposta pur
sapendo che non esiste, è una ricerca infinita mossa dalla passione, come lo dovrebbe essere ogni
ricerca che si muova verso un “sapere” vero, è come trasformare l’odio in amore.
Un certo genere di arte dimostra tutto questo in modo lampante e l’Art Brut fa parte di questo
genere di arte. Mi ha sempre affascinato pensare che nel tetro silenzio alternato alle grida di un
luogo come l’ospedale psichiatrico, ci siano stati soggetti che hanno deciso di compiere l’atto di
disegnare, di creare qualcosa. Vedo, in questa operazione, l’immenso sforzo di trovare qualcosa
che possa far dire, a chi la compie, “esisto, sono qualcuno, aldilà di tutto quello che avete fatto di
me”, vedo l’eterna scintilla che alimenta il desiderio più nascosto che nell’opera nasce, prende
vita.
Così è nata l’Art Brut. Ma oggi, nel 2017, che cos’è l’Art Brut?
Quando l’ho scoperta ero un po’ ingenua e animata da un forte entusiasmo proprio di chi si
avvicina per la prima volta a qualcosa. E quando c’è una grande passione a muoverci, allora si va a
fondo delle cose. E così ho scoperto che esiste il mercato dell’arte, o meglio, sapevo già molto
bene che esisteva il mercato dell’arte ma non avevo messo in conto che l’Art Brut potesse averci a
che fare, le due cose nella mia testa erano separate, non le avevo neanche mai accostate. Ho fatto
un viaggio di un mese in Europa, Germania, Francia, Austria e Svizzera, a visitare tutti i Musei e le
Gallerie di Art Brut, Outsider Art, arte marginale, arte irregolare, arte degenerata, arte naif, arte di
qua arte di là, e più vedevo e più viaggiavo e più il mio entusiasmo si spegneva. Allora è soltanto
un innamoramento che nel giro di qualche mese lascerà il posto alla disillusione? Mi chiedevo. La
risposta è No.
Mi è venuto in aiuto Hegel nel dare una risposta alla questione. Tesi: c’è l’Art Brut, genuina, pura,
immediata. Antitesi: c’è il mercato dell’arte che snatura tutto quanto. Sintesi: il mondo è molto più
complesso di così e non è fatto di opposti che si annullano l’uno nell’altro ma di una rete intricata
di eventi ed agenti che insieme contribuiscono a formare un sistema, un linguaggio, e, volenti o
nolenti, in questo linguaggio ci siamo sempre immersi. Il mercato non uccide l’Art Brut e l’Art Brut
continua ad esistere anche se c’è il mercato. Non ci sono il buono e il cattivo e poi il cattivo muore
e vince il bene. Questa è una favola, una credenza, una certezza consolante e patologica.
L’Art Brut non è purezza senza macchia e il mercato non è un oscuro giogo che la sporca. È da
ingenui, appunto, vederla così. Wolfli, per esempio, come spiega Bianca Tosatti in un’intervista,
chiamava “opere per il pane” i dipinti che sapeva di poter cedere in vendita ai medici e al
personale dell’ospedale psichiatrico in cui era recluso. Sapeva dunque come piacere, che cosa
volevano i suoi fruitori. Il mercato, un certo tipo di mercato, c’è bisogno di dirlo, d’altro canto, non
vuole sopprimere la genuinità degli artisti, quanto piuttosto dare loro una possibilità ed un posto
nel mondo. Come fuggire allora da quel tipo di mercato che invece sembra appiattire la potenza
generativa dell’arte ad un mero scambio di oggetti o ancor peggio usarla per elevare la potenza di
chi lavora all’interno di esso?
È molto semplice, e qui è stato Lacan a venirmi in aiuto: c’è qualcosa di irriducibile nel desiderio
rispetto alla domanda. Per quanto riguarda la psicoanalisi questo significa che quando il bambino
piange (per fare un esempio, ma questo vale per tutti i soggetti e per tutte le domande oltre al
pianto), non sta chiedendo solo il cibo, non ha solo un bisogno che deve essere soddisfatto, ma sta
chiedendo di essere riconosciuto come un soggetto dalla madre o da chi al suo posto, sta
chiedendo di essere il desiderio del suo Altro, e dunque in quest’ottica il desiderio più che ad una
soddisfazione è legato ad una mancanza, una mancanza strutturale, non una mancanza di
qualcosa.
Traslato nel mondo dell’arte questo significa che rispetto alla domanda del mercato, ci sarà
sempre qualcosa di irriducibile e che rimarrà libero da interferenze nell’opera d’arte, e che la
mancanza che il mercato vorrebbe colmare così come fa ogni sistema capitalistico, non verrà mai
colmata, ed è proprio da questa mancanza che scaturisce la ricerca infinita di una risposta pur
sapendo che non c’è, la potenza generativa del desiderio che vediamo materializzata nell’opera
d’arte, l’invenzione che nasce dalla libertà. È attraverso questa mancanza che si diventa un
soggetto.

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