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Mariela Castrillejo
La tesi che vorrei dimostrare in questa lezione è che l’anoressia non esiste. Potrei capire il vostro
stupore di fronte alla mia proposta: parlare durante ore solo di anoressia per concludere che non
esiste l’anoressia. Seguitemi, sarà più chiaro man mano che andiamo avanti con il nostro discorso.
1. Godimento
La dimensione del godimento sarà l’epicentro della lezione sull’anoressia-bulimia. Godimento
della privazione nell’anoressia, della rinuncia, masochistico, superegoico, godimento narcisistico
dell’immagine speculare. Godimento sregolato nella bulimia, insaziabile, della pulsione orale, del
cibo.
Il termine godimento in Lacan si ricollega da un lato all'idea di un eccesso, e dall’altro alla pulsione
di morte freudiana. Si tratta di un’esperienza che non c’entra con il piacere, con l’armonia, con il
limite ma è un’esperienza di intensa eccitazione che si confonde con la sofferenza. Questa
sperimentazione del eccesso e dell’intensità causa una fissazione di godimento che spinge alla
ripetizione dell’esperienza.
Il godimento anoressico-bulimico trova nel corpo il suo campo di battaglia, è nel corpo che il
soggetto anoressico-bulimico incontra il reale di un godimento masochistico senza limiti.
C’è una versione romantica dell’anoressia, che si riferisce all’anoressia di struttura isterica. Il
sintomo anoressico nevrotico ha un senso che viene letto come un appello all’Altro, come domanda
d’amore all’Altro. In questa lettura il no dell’anoressica è un modo di chiedere il dono d’amore che
è diverso dalla cura, che è diverso dalla soddisfazione del bisogno. Ma, la clinica più attuale, la
Clinica del vuoto, rimanda piuttosto all’anoressia di taglio psicotico. Dove non c’è alcuna domanda
rivolta all’Altro ma un’esasperazione della dimensione individuale che esclude la intersoggettività.
In questa dimensione oscura e silenziosa che rifiuta il legame con l’Altro, troviamo nel godimento
anoressico-bulimico l’osso duro, lo scoglio fondamentale ad ogni possibile trattamento
dell’anoressia-bulimia.
2. Diffusione dell’anoressia-bulimia
Anoressia e bulimia sono sintomi alla moda: questo lo affermava Hilde Bruch; cosa intendiamo
oggi con questa affermazione? La diffusione epidemica dell’anoressia-bulimia è un effetto sul
soggetto dell’influenza esercitata dell’industria della moda? Non credo basti. Possiamo rapidamente
fare coincidere la diffusione epidemica della patologia con la diffusione mediatica? Potremmo
sentire a volte, che una ragazza è diventata anoressica perché ha voluto emulare una modello vista
in un giornale, ma è troppo poco per determinare la causa di uno scatenamento della patologia.
Comunque possiamo coincidere in qualche modo con l’affermazione della Bruch, non per la
causalità diretta tra l’industria della moda e l’incidenza dei casi stessi, ma sono sintomi alla moda
per l’attualità storica del fenomeno anoressico-bulimico nella società del capitalismo avanzato.
Ci sono state due trasformazioni fondamentali nell’arco della storia dell’anoressia-bulimia. Un
mutamento riguarda la trasversalità sociale della malattia: negli anni sessanta l’anoressia era una
malattia tipica tra i borghesi, attualmente sarebbe già da mettere in discussione che cosa vuol dire il
concetto di borghesia oggi. L’anoressia si trova in tutte le classi sociali, così come si è distribuita la
ricchezza occidentale, così si è distribuita anche l’anoressia-bulimia.
L’altro cambiamento è inerente al cambiamento della fascia di età dell’esordio: prima era una
malattia con insorgenza tipica nell’adolescenza, adesso non più, la fascia di età è cambiata,
troviamo anoressie nell’infanzia e anoressie che appaiono in donne quarantenni.
C’è una dialettica tra anoressia e discorso sociale ed è in questo che l’anoressia è un sintomo alla
moda, è un sintomo attuale. Questa dialettica tra fenomeno anoressico-bulimico e discorso sociale
mette in evidenza la crisi generale dell’Ideale. L’anoressia è un sintomo nuovo, non perché il
fenomeno lo scopriamo adesso per la prima volta, ma per come il fenomeno anoressico-bulimico si
allaccia all’Altro sociale. Come è questo Altro? In quest’epoca l’Altro è inesistente, latitante, c’è
stato un crollo dell’Ideale. L’Ideale non serve più come bussola che orienta al soggetto nel trovare
un’identificazione, un riconoscimento nell’Altro. L’identificazione non è più verticale, verticale
come la descriveva Freud in Psicologia delle masse, quando spiegava l’identificazione al leader.
Adesso l’identificazione è orizzontale con l’altra ragazza anoressica, con le altre ragazze
anoressiche, col gruppo monosintomatico delle anoressiche, con le altre della comunità pro ana.
Questo fenomeno d’identificazione al simile lo troviamo, non solo nell’anoressia e nella bulimia,
ma in tutti i nuovi sintomi, tuttavia nell’ambito dell’anoressia-bulimia troviamo questa forma
neosegregativa d’identificazione allo stesso modo di godimento nella sua forma più paradigmatica,
più emblematica. Le anoressiche e le bulimiche formano un gruppo monosintomatico nel sociale,
non inteso come gruppo monosintomatico terapeutico, ma un gruppo che si reperisce nel sociale
come un insieme di maschere che procurano un’identificazione immaginaria.
Questo moto perpetuo di riempimento bulimico e svuotamento è molto in sintonia col discorso
sociale, col discorso del capitalista, che rinnova costantemente l’offerta di oggetti di consumo
sempre nuovi. È interessante fare una riflessione sul concetto di nuovo, il nuovo coglie la
dimensione inafferrabile dell’oggetto del desiderio. Per quanto tempo un oggetto è nuovo? Appena
lo abbiamo non è più nuovo. Le automobili nuove ad esempio, sono quelle non ancora vendute,
ferme dai concessionari. Nel momento che si inizia a guidare una macchina appena comprata non è
più un automobile 0 km, non è più nuova e di conseguenza si deprezza.
Una mia paziente, Luigina, una donna molto bella e intelligente di circa quarant’anni rifletteva sul
nuovo, sulla caducità e sulla bellezza dell’immagine. Diceva che ogni ruga lasciata dal tempo era
per lei, un segno che la sua vita le aveva lasciato, era una notte che non aveva dormito, era un
bicchiere in più che aveva bevuto, era il pianto per una perdita, era il suo sorriso sotto il sole estivo,
insomma, erano le tracce della sua storia. Ma s’interrogava su se sarebbe riuscita a sostenere questa
sua posizione. Se sarebbe riuscita ad amare le cicatrici della sua vita per sempre. La mia paziente
era un’attrice e non sapeva per quanto tempo l’avrebbe pensato così, diceva che ad esempio i denti
oggi vanno sostituiti, perché è un segno di trascuratezza in una persona la mancanza di un dente e
chissà quando, anche una ruga - si domandava - sarebbe stata considerata un segno di trascuratezza.
Avrebbe dovuto indietreggiare nella sua posizione per non sentirsi esclusa?
Oggi però, c’è un culto dell’immagine lontana da ogni possibilità umana. Mi ricordo di una
pubblicità che ho visto a fine anni novanta a Trieste. C’erano dei manifesti, dove Sofia Loren
presentava dei gelati con la pelle liscia, senza alcuna ruga. All’epoca, non conoscevo ancora, la
magia dei programmi di grafica e fotoritocco. Dunque, per un attimo qualcosa mi è sfuggito un
contrasto per un momento incomprensibile.
Ho vissuto una simile esperienza quando da ragazza ho visto per la prima volta un quadro di
Magritte: L’impero della luce. Sono rimasta affascinata, sospesa per un tempo nel percepire
qualcosa di surreale nella tela che raffigura una comune casa e un albero sotto il cielo, ma senza
afferrare qual era la causa di questo effetto d’irrealtà. Fino a quando, dopo un attimo, ho capito che
il segreto era nel contrasto della luce: sotto la notte buia, e sopra il cielo luminoso.
Il contrasto tra l’immagine della donna matura e la sua pelle adolescenziale creava lo stesso effetto
d’irrealtà del dipinto di Magritte.
C’è qualcosa del passaggio del tempo che può essere visto con orrore, l’orrore della castrazione,
della caducità, della morte. Ma se c’è qualcosa del passaggio del tempo che può essere visto con
orrore, possiamo anche dire che c’è qualcosa di perturbante se il tempo che passa lo fa senza
lasciare traccia.
Quando la mancanza si degrada in vuoto?
La mancanza è questa dialettica tra l’oggetto perso, la significazione del vuoto che ha lasciato
quell’oggetto e la spinta a ricercare un altro oggetto che possa sostituirlo, come metafora, al posto
di quel oggetto perduto. Il vuoto è quella stessa mancanza ma non simbolizzata, perché qualcosa è
andato male nell’intervento del padre, qualcosa è andato male nel no, nella proibizione, nella
separazione dell’oggetto c’è stato un difetto.
Allora resta un vuoto non simbolizzato, e un vuoto si può riempire, nel riempirlo o nell’illusione di
riempirlo si ostacola il movimento del desiderio, c’è il troppo pieno e se c’è un troppo pieno non si
desidera niente.
4. Declinazioni dell’oggetto
Ci sono diverse declinazioni sull’oggetto. L’oggetto dell’anoressia è il “niente”. Noi possiamo
reperire tre posizioni dell’oggetto in Freud. Nei Tre saggi per una teoria sessuale Freud parla
dell’oggetto come surrogato, cosa vuol dire? Che l’oggetto è un oggetto che sostituisce quello
perduto, l’oggetto del soddisfacimento. La seconda definizione dell’oggetto in Freud è in Pulsioni e
loro destini dove Freud descrive l’oggetto come variabile. Perché variabile? Perché quello che conta
è la soddisfazione pulsionale più che l’oggetto che, appunto, può cambiare. La terza posizione è
quella dell’oggetto come insostituibile, è quello che è in “lutto e melanconia”, viene meno la
caratteristica della variabilità dell’oggetto, c’è un nucleo permanente dell’oggetto perduto che fissa
il soggetto a quella perdita, l’oggetto è sempre presente.
Quale sarà l’oggetto della nostra paziente anoressico-bulimica? Il cibo, l’immagine, il niente? Come
il rapporto con l’oggetto nel singolo caso? L’analista può diventare l’oggetto nel transfert?
Perché il sintomo divide il soggetto? Freud definiva l’inconscio, come un territorio straniero
interno. Il sintomo è una formazione di questo territorio straniero interno, l’inconscio che porta
dentro di sé una verità rimossa. Questa verità rimossa divide il soggetto, impossibilita il soggetto di
essere uno, in qualche modo c’è una divisione tra desiderio e Ideale. A volte questa divisione,
questo momento dove il proprio Ideale crolla dice qualcosa al soggetto diviso, dice che il soggetto
non coincide col proprio Ideale. Il sintomo freudiano classico è una formazione dell’inconscio e
porta con sé una verità rimossa, qualcosa di prezioso, qualcosa di essenziale. Quello che fa il
sintomo, più precisamente la funzione del sintomo, è orientarci nel capire il nostro desiderio, le
nostre scelte, il nostro stile di godimento. Dunque un sintomo, non è da cancellare prima che sia
interpretata la verità che racchiude.
Possiamo stabilire chiaramente una differenza tra quello che è un sintomo per la medicina e quello
che è un sintomo analitico, soprattutto per sottolineare un modo diverso di porsi davanti al sintomo.
Il sintomo medico è relativo a una clinica dello sguardo, con quello che si vede, e l’obiettivo del
medico è guarirlo.
Il sintomo analitico non si vede, e se si vede troppo come nel caso dell’anoressia un’analista
dovrebbe guardare da un’altra parte, non lasciarsi affascinare dell’anoressia, indirizzarsi verso
un’altra scena o per dirlo in un altro modo non farsi distrarre dalla evidenza del sintomo. Un
analista ascolta il paziente e fa parlare il sintomo e finché non legge quello che la sofferenza ha
scritto nel corpo del soggetto, non è il caso di fare sparire il sintomo, perché così facendo, facciamo
sparire quella verità soggettiva rimossa che sta spingendo per venire a galla.
Riprendiamo il secondo punto del sintomo nevrotico freudiano: il sintomo particolarizza il soggetto.
Particolarizza perché il soggetto non sa governare il godimento particolare del sintomo che non
rientra nell’universale del Discorso sociale. Il sintomo dunque, è il risultato di un conflitto, questo
conflitto si gioca tra le esigenze particolari di soddisfacimento pulsionale che lotta contro i limiti
contrapposti del discorso universale. Da una parte c’è l’istanza del godimento particolare, dall’altra
parte il programma universale della civiltà.
È questo che enunciava Freud in Il disagio della civiltà, diceva che il soggetto può vivere nella
civiltà se rinuncia a qualcosa, questa perdita è la rinuncia pulsionale, noi lacaniani possiamo dire
che il prezzo è la perdita di godimento.
Riprendiamo il discorso precedente quando si parlava della mancanza, la mancanza è anche quel
vuoto che lascia questa perdita originaria di godimento, perdita di godimento a cui deve sottoporsi
ogni soggetto per umanizzarsi, per parlare. Per vivere insieme agli altri c’è un prezzo da pagare: una
perdita. Allora, la tesi di Freud è che questa perdita, che la rinuncia pulsionale siano anche causa di
sofferenza. Dunque, in ogni modo si gode, non c’è via di scampo. Anche la sofferenza della
rinuncia è un modo di godimento masochistico. Quindi, quando si gode, si gode e quando non si
gode, si gode pure. Ci sono modalità diverse di godimento e nell’epoca vittoriana era più frequente
la modalità della rinuncia, la sofferenza a causa della rinuncia alle pulsioni sessuali e aggressive.
Nella società odierna la nuova funzione sociale del sintomo rovescia radicalmente la funzione della
divisione soggettiva e della particolarizzazione del soggetto. Se il sintomo classico divideva il
soggetto era a causa di un conflitto tra il particolare soggettivo e l’universale sociale. I nuovi
sintomi, l’anoressia-bulimia in particolare modo, solidificano il soggetto anziché dividerlo. Perché?
Perché offrono un’identità. È una delle prime cose che ascoltiamo in un colloquio preliminare:
“sono un’anoressica”, “sono una bulimica”, è una questione che riguarda l’identità. Particolarmente
nell’anoressia l’unità è segnata dall’identificazione con l’Ideale, l’Ideale del corpo magro. Il
particolare del sintomo non produce una segregazione ma invece l’integrazione del particolare
sintomatico nel universale sociale.
Bosch è l’autore di un quadro fondamentale, La Nave dei Folli, attorno a cui Foucault fa ruotare la
propria interpretazione dell’esperienza medioevale della follia, analizzandone i significati impliciti.
Foucault per definire quella che era la segregazione nella sua Storia della Follia nell'Età Classica
descriveva la stultifera navis, la nave dove i folli venivano caricati, una nave che vagava senza poter
approdare in nessun porto. La follia era qualcosa che non si poteva integrare e che bisognava tenere
lontana. La diversità dell’Altro veniva segregata. Una volta la diversità, l’allontanamento
dall’Ideale, veniva separato, esiliato, rinchiuso, isolato. La nave dei folli citata da Foucault è un
esempio emblematico estremo. Adesso no è più così, adesso c’è un’integrazione che non ha
precedenti. Da una parte la diversità non è una diversità soggettiva, particolarizzata, ma è invece,
una diversità uniforme. In italiano uniforme vuol dire anche divisa, una divisa che non divide,
prende la forma dell’Uno, tutte le anoressiche sono uguali. Una diversità che uniforma, che fa
gruppo. Questo gruppo uniforme è assimilato nel sociale, il sociale accomuna senza chiedere
rinunce, senza perdite, anzi c’è un più di valore. Il valore aggiunto si tratta di un’identità che non
passa per la soggettivazione. Non c’è conflitto tra Particolare e Universale ma integrazione, non c’è
divisione soggettiva ma solidificazione identitaria.
7. Scatenamento adolescenziale
Lo scatenamento dell’anoressia-bulimia si ritrova oggi trasversalmente riguardo alle età dello
sviluppo, ma perché l’adolescenza resta comunque, un momento cruciale per l’anoressia-bulimia?
Perché l’adolescenza è un passaggio fondamentale per la soggettivazione, è quel momento che ci
permette di diventare soggetti soggettivati. C’è già un soggetto nell’adolescenza, però resta un
momento di scelta, di decisione, di riscrivere il proprio copione, dire riscrivere è forse un po’ troppo
ottimista, però si possono fare delle modifiche consistenti, in questo senso la riscrittura è scegliere
la propria strada, la decisione di seguire il proprio desiderio fa che si possa parlare delle scelte
personali, di soggettivare la propria storia, una specie di seconda opportunità.
La soggettivazione è una sinfonia che viene interpretata in due movimenti. Nel primo tempo, il
tempo dell’infanzia, il soggetto è strutturalmente oggettivato, è preso nelle reti del fantasma
dell’Altro. Ma questa posizione di oggetto è strutturale nell’infanzia, implica il posto che il bambino
ha avuto dai genitori.
Il bambino arriva, nel migliore dei casi, con un desiderio che lo aspetta, questo pone dei problemi
perché non necessariamente il desiderio preesistente coinciderà col desiderio del soggetto. Il
soggetto dovrà farci i conti, dovrà reinterrogare quel desiderio
La madre di Chiara, una mia paziente anoressico-bulimica, voleva una bambola. Sempre meglio
essere una bambola che niente e poi ci sono diversi tipi di bambola. In questo caso c’era una
bambola in particolare, quella preferita dalla madre più che dalla figlia, questa bambola in
particolare era di quelle di porcellana, una bambola custodita con cura dalla madre di Chiara che
non permetteva alla figlia di giocare con quella bambola. Una bambola da guardare, fragile, perfetta
nei suoi vestiti di pizzo che non ha su di se i segni del tempo. Chi ha avuto modo di giocare con le
bambole saprà quanto i capelli delle bambole si rovinino col tempo. Chiara doveva essere per la
madre come quella bambola di porcellana bionda, sempre immobile, sempre imperturbabile, sempre
disponibile, sempre perfetta nei suoi boccoli dorati. Il lavoro di Chiara sarà staccarsi
dall’identificazione alla bambola morta della madre. Questo è un lavoro che si fa nell’adolescenza.
Staccarsi da un copione che era stato scritto per noi.
Il primo momento dunque, era il tempo dell’alienazione del soggetto nel desiderio dell’Altro, dove
il desiderio soggettivo è annullato dalla domanda dell’Altro, il secondo tempo è il momento della
separazione dell’Altro. I concetti della psicoanalisi di cui parliamo sono figure che noi ritroviamo
nel nostro quotidiano: dal bravo bambino che riveste totalmente il desiderio dei genitori al ragazzo
adolescente che si rivela al desiderio dei genitori, perché per un adolescente essere amato dall’Altro
genitoriale importa un po’ di meno se tutto va bene. Il conflitto adolescenziale è un segno di che
tutto va bene. A volte nell’anoressia manca il conflitto generazionale, c’è una mancanza di
separazione dal desiderio dell’Altro, le ragazze anoressiche sono brave a scuola, negli sport,….
Forse non più adesso, ma una volta il non mangiare era il modo che avevano le bambine per
ribellarsi, un modo di comportarsi male. Non mi mangia!, si lamentavano le mamme di un tempo.
Adesso non abbiamo mamme particolarmente preoccupate se un figlio a volte non mangia tanto o
rifiuta qualche pietanza, questo vuol dire che non è tanto rilevante l’Ideale materno del figlio che
“deve mangiare”. Riprenderò questo punto: le mamme sono cambiate.
Alienazione e separazione sono i segni che scandiscono il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, il
passaggio dal desiderio dell’Altro, dell’essere nella rete del desiderio dell’Altro alla propria
versione, alla costruzione del proprio fantasma; si fanno delle modifiche importanti, si riscrive con i
dati che abbiamo ricevuto, anche l’analisi serve a compiere questo lavoro di riscrittura della propria
storia soggettiva. Nell’anoressia questa separazione dall’Altro non è riuscita molto bene.
Per questo l’anoressia è un no all’Altro, questo no funziona come supplenza, come stampella, è un
sostegno che serve a separarsi dall’Altro. Come in tutti i nuovi sintomi c’è una separazione assoluta
dall’Altro, senza dialettica.