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Studi Trentini. Arte a. 96 2017 n. 1 pagg.

11-21

Aldo Gorfer e la cultura alpina*


Gian Maria Varanini

 Questo saggio funge da introduzione a una raccolta di studi dedicati al giornalista


e storico Aldo Gorfer (Cles, 1921 – Trento, 1996), collocandone l’attività sullo sfondo
delle trasformazioni che hanno riguardato le Alpi e la cultura alpina nella seconda metà
del secolo XX.
 This essay serves as an introduction to a collection of studies devoted to journalist and
historian Aldo Gorfer (Cles, 1921 – Trento, 1996). It places his figure and activity on the
background of the transformations that concerned the Alps and Alpine culture in the second
half of the 20th century.

1.

L a mia generazione (quella nata negli anni Cinquanta) ha fatto in tempo a


intravedere e a toccare con mano, nel proprio quotidiano, gli ultimissimi
scampoli di quella ‘civiltà tradizionale alpina’, della scomparsa della quale Al-
do Gorfer è stato un consapevole e accorato testimone. Fu infatti nei primissi-
mi anni Settanta che egli pubblicò alcuni testi significativi dedicati a quel mon-
do che scompariva, corredati da splendidi apparati fotografici che fanno par-
te integrante della ‘lettura’ del contesto: la monografia La Valle dei Mocheni
(1971), e soprattutto le raccolte degli articoli apparsi sul quotidiano “L’Adige”.
Si tratta dei reportages sull’abbandono dei villaggi di montagna, risalenti per lo
più al 1968 (Solo il vento bussa alla porta, 1970) e delle interviste ai residenti nei
masi tirolesi più isolati (Gli eredi della solitudine, 1973). Quest’ultimo volume
è importante certamente in quanto dedicato da un trentino alla ‘civiltà alpina’
tirolese; ma a mio avviso Gorfer andò a cercare, nei masi che visitò (in val d’Ul-
timo, in val Martello, ad Acereto, a Fundres… davvero nel Sudtirolo più pro-
fondo), forse ancor più la ‘solitudine’ degli ultimi protagonisti di un mondo in
via di scomparsa, che non la tirolesità1. Ritengo che egli allora non percepisse,

*
Ringrazio Marcello Bonazza ed Emanuele Curzel, che hanno letto una prima versione di questo sag-
gio, per alcuni suggerimenti molto importanti; e inoltre Andrea Pase, Peris Persi e Franco Farinelli.
1
Nella Premessa, del resto, Gorfer ricorda in generale che “la preoccupazione, reale, di un abbando-
no della montagna e di una conseguente degradazione dell’ambiente finora tenuta a freno dalla seco-
lare attività umana, è attualissima” (p. 5), nel testo menziona le analoghe situazioni di “segregazione
dei contadini di montagna” del Trentino, del Bellunese, della Valtellina, ove peraltro a differenza del

 Aldo Gorfer alla chiesa di San Martino, presso Castel Thun, in una foto di Flavio Faga-
11
nello, 1970 c.
o non considerasse dal suo punto di vista dirimente (anche per le sue tradizio-
ni familiari, parzialmente tedescofone), alcuna distinzione tra i due mondi, e
in questo fu senz’altro diversissimo dal ‘nazionalista’ Antonio Zieger, dal qua-
le pure (se ne accennerà più avanti) qualcosa imparò. Anche se in seguito non
poté non constatare che il Sudtirolo salvaguardò e difese in modo ben diverso
dal Trentino, senza risparmio di mezzi anche finanziari, la sua ‘civiltà contadi-
na’ e i suoi stereotipi.
Anche altri esponenti della cultura trentina, in quei medesimi anni – crucia-
li per la presa di coscienza di un fenomeno da tempo in atto –, manifestarono la
stessa percezione di un passaggio di civiltà, di una trasformazione in fase acuta e
irreversibile, e anzi ormai consumata. Particolarmente efficaci (anche se egli scri-
veva, a differenza di Gorfer, per un pubblico ristretto di storici e di specialisti)
sono le parole dello storico della letteratura e del cristianesimo Claudio Leonar-
di. In un sofferto intervento a un convegno di storia della val di Fassa, lo studio-
so roveretano constatava con disincanto che l’equilibrio si era irreparabilmente
rotto nel secondo dopoguerra, quando (a motivo, a suo avviso, anche delle scelte
della Chiesa conciliare) la “società radicale”, “il mondo radicale, con le sue spin-
te anarchiche e libertarie, l’edonismo legato al benessere individuale”, aveva pre-
valso: “il turismo e i mass-media hanno portato la città e il suo modo di vivere
fino sulla punta Penia”. Ed egli era profondamente scettico sulla prospettiva che
“le valli alpine diventassero l’arcadia di massa, e che questa possa essere una so-
luzione per la città come per la montagna”; ovvero che fosse una buona propo-
sta restaurare le valli ladine “come una riserva degli indiani nell’America di og-
gi”, “una facciata turistica come ultimo esito del ghetto civile”, dal momento che
“il senso cristiano della vita, che è il passato di queste valli, l’ultima e più radica-
le giustificazione delle possibilità di incontro tra genti diverse per una conviven-
za degna dell’uomo, non può più riproporsi nelle forme precedenti”. Pertanto
anche “in questo angolo ladino”, egli concludeva, bisogna cominciare a riflettere
(contemperando con l’economia e con una politica che tenga conto delle regioni
e non degli stati) “se è possibile trovare qualche ragione e qualche fede… in cui
ritrovare il senso della vita e della storia, che sono patrimonio di tutti”2.
Non è questione, in questa sede, se condividere o meno queste idee, che og-
gi possono lasciarci perplessi. Ma è significativo che negli stessi anni due per-
sonalità così diverse manifestassero analoghe convinzioni, che nel caso di Leo-
nardi si limitarono alla suggestiva e lucida espressione di una disillusione e di
un sentimento nostalgico3, mentre l’impegno del giornalista Gorfer aveva già

Sudtirolo “si nota un trapasso, anche se faticoso” (Gli eredi della solitudine, p. 33). Mentre è forse
un po’ diverso l’approccio dei due più tardi volumi dedicati al Sudtirolo, I segni della storia (1982) e
Il pane di sant’Egidio (1983), presto tradotti in tedesco (come ricorda Ezio Chini nel suo contributo
in questo fascicolo, Aldo Gorfer e Le valli del Trentino: l’attualità di una narrazione, testo corrispon-
dente a nota 49), così come Gli eredi della solitudine.
2
Citazioni in Varanini, Le ricerche di ambito trentino di Claudio Leonardi, a pp. 460-461.
3
Per quanto in alcuni studi Leonardi abbia finemente approfondito aspetti importanti della religiosi-
tà tradizionale trentina.

12
alle spalle un interesse consolidato da almeno un quindicennio. Del resto, i se-
gnali in quegli anni sono molti. Il 1972 è anche l’anno dell’istituzione del mu-
seo degli usi e costumi della gente trentina, primo punto d’arrivo dell’attività in
Trentino di Giuseppe Šebesta; e pochi anni più tardi (1976) giungeva a conclu-
sione anche l’itinerario di ricerca (iniziato peraltro diversi anni prima, alla fine
degli anni Cinquanta) di Cole e Wolf, con l’edizione della famosa monografia
sulla “frontiera nascosta” dell’alta val di Non4.
I due volumi del 1970 e 1972 nascevano dunque sul terreno di una sensibi-
lità diffusa, che Gorfer aveva non solo recepito, ma forse anche contribuito in
modo importante a creare nel pubblico trentino, soprattutto a partire dagli an-
ni Sessanta, con la sua intensissima attività. Già a quella altezza cronologica in-
fatti egli aveva posto mano a tutti i cantieri principali di ricerca e di divulga-
zione che avrebbe tenuto aperti tutta la vita: i castelli, la descrizione geografi-
co-storica delle valli, la ‘storia’ del paesaggio, la tutela dell’ambiente, oltre na-
turalmente alle vicende storiche della città di Trento5.

2.

Gorfer non ebbe di fatto rapporti con la ricerca internazionale, né sul piano
della ricerca storica stricto sensu e tradizionalmente intesa né sul piano dell’an-
tropologia culturale e dell’etnografia; e non risulta neppure abbia avuto molti
contatti al di fuori dell’ambiente trentino, anche se non lo si può definire una
figura del tutto isolata. Parallelismi, tangenze, termini di confronto a proposito
della sua attività e del suo modo di concepire la società tradizionale e il passa-
to possono invero essere trovati, in Italia e nelle Alpi. Non sono rare infatti in
quegli anni, in contesti italiani, figure di ‘difensori’ delle ‘identità’ territoriali e
locali, e di ricercatori attenti, provvisti di specializzazioni scientifiche diverse.
Ed è logico che sia così, perché i fenomeni di fuoruscita dalla civiltà rurale tra-
dizionale, e di transizione al ‘moderno’, non riguardano certo solo il Trentino,
ma l’Italia tutta (stante il suo tumultuoso sviluppo degli anni Cinquanta e Ses-
santa) e la catena alpina nel suo insieme.
Gli si può accostare in primo luogo il geografo di origine veronese Euge-
nio Turri, che al di fuori dell’ambiente universitario elaborò a partire dagli an-
ni Settanta i concetti di antropologia e di semiologia del paesaggio, secondo li-
nee piuttosto innovative rispetto alla cultura geografica italiana anche accade-
mica6. Ma Turri fu anche attentissimo nell’analisi di territori specifici (e conti-

4
Per una contestualizzazione storiografica si veda Leonardi, Laudatio. A prova della perdurante vi-
talità dei temi che erano al cuore della monografia di Cole e Wolf, The Hidden frontier, si veda Un-
gleichheit an der Grenze.
5
Si veda Bibliografia di Aldo Gorfer, pp. 73-128.
6
Basti qui il rinvio a titoli come Antropologia del paesaggio (1974, 1981, 2008), Semiologia del paesag-

13
gui al Trentino: la Lessinia, Caprino Veronese, il Monte Baldo)7, nonché pre-
occupato e nostalgico rievocatore della società rurale tradizionale, se non pro-
prio laudator temporis acti. Non sorprende dunque che negli anni Novanta egli
abbia collaborato con Gorfer – “aedo della trentinità” come ebbe a definirlo in
mortem – per lo studio di luoghi e conseguentemente di tematiche veronesi e
trentine ad un tempo, di comune interesse (l’Alto Garda, Brentonico)8.
A proposito di geografia, mette conto ricordare qui che in generale andreb-
be approfondito (e ciò non è avvenuto in nessuno dei contributi editi in questo
fascicolo di “Studi Trentini. Arte”) il significato della formazione geografica di
Gorfer, che com’è noto si laureò in Lettere a Urbino con una tesi di geografia
di argomento trentino, sostenuta con Giovanni Maria Villa. Di questo docente,
formatosi nell’anteguerra a Firenze col grande geografo, naturalista ed esplora-
tore Giotto Dainelli, e dunque verosimilmente indirizzatosi a interessi geomor-
fologici (e glaciologici), non si sa molto; ma dall’elenco delle sue pubblicazioni
si può se non altro apprezzare la varietà degli interessi: oltre alla geomorfolo-
gia di ambito prevalentemente marchigiano coltivata sin dagli anni Trenta, stu-
diò la casa rurale, persino le ricadute geografiche dell’uso dell’energia nuclea-
re, e manifestò un vivo impegno didattico (dispense, libri di testo per le scuo-
le medie)9. Ma per quanto riguarda Gorfer conta, mi pare, il fatto che egli ab-
bia comunque fatto questa scelta disciplinare, laureandosi non giovanissimo
(oltre i trent’anni, quand’era già un giornalista fatto e finito e localmente affer-
mato) probabilmente per motivi di avanzamento di carriera. La tesi riguardava
la morfologia del lago di Molveno; ma al di là di questo della formazione geo-
grafica ricevuta più di qualcosa restò a Gorfer, come si constata dalla sicurezza
delle sue descrizioni paesaggistiche e dall’appropriatezza del lessico usato (non
solo nelle Valli del Trentino, ma anche ad esempio nelle asciutte note a piè di
pagina degli Eredi della solitudine).
Tornando alle figure paragonabili a quella del giornalista trentino, a motivo
del coerente attaccamento a un territorio e di una sensibilità latamente e pre-

gio italiano (1979, 1990), Il paesaggio come teatro (1998), La megalopoli padana (2000) e Il paesaggio
e il silenzio (2004); per i rinvii bibliografici puntuali si veda L’occhio del geografo.
7
La Lessinia. La natura e l’uomo nel paesaggio (1969); Il Monte Baldo (Verona 1971); Dentro il paesag-
gio. Caprino e il Monte Baldo. Ricerche su un territorio comunale (1982); cfr. L’occhio del geografo, an-
che per i volumi curati con Gorfer cui accenno nel testo (Brentonico e il monte Baldo, 1993; Là dove
nasce il Garda, 1994).
8
La definizione “aedo della trentinità” si legge nel necrologio di Gorfer (Turri, Il geografo dell’anima).
Turri partecipò anche alla miscellanea Per Aldo Gorfer, con il contributo Il viaggio verso l’atopia, pp.
917-936.
9
Si veda l’elenco al sito http://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib, ad vocem (consultato il 31 luglio 2017).
Non risultano necrologi del Villa nelle principali riviste geografiche italiane (“Rivista geografica ita-
liana”, “Bollettino della Società geografica italiana”). Da informazioni fornite ad Andrea Pase da Pe-
ris Persi, già docente di Geografia a Urbino, che ringrazio, consterebbe che il Villa abbandonò ab-
bastanza presto la carriera universitaria, anche in conseguenza dell’ostracismo della quale fu fatta se-
gno per motivi politici, nel secondo dopoguerra, la scuola di Dainelli (che era stato fortemente com-
promesso col regime fascista). Ma si tratta di informazioni da verificare ulteriormente.

14
cocemente ecologica e di tutela, possono essergli accostati altri studiosi atti-
vi in altri territori veneti contigui al Trentino, peraltro tra di loro diversissimi.
Si tratta del veronese Pierpaolo Brugnoli (n. 1932), che ha dedicato al ‘terri-
torio-laboratorio’ della Valpolicella una semisecolare multiforme attenzione10;
per certi versi anche del medico e alpinista bellunese Giovanni Angelini (1905-
1990)11; e infine, ancor più appropriatamente, del vicentino (di montagna) Te-
renzio Sartore (1928-2006; provvisto rispetto a Gorfer di una preparazione fi-
lologico-erudita certamente più solida12). E l’esemplificazione potrebbe sicura-
mente essere ampliata, con miscele e con reazioni chimiche sempre diverse tra
i diversi elementi dell’attaccamento nostalgico, della conoscenza storico-criti-
ca, dell’intervento attivo di tutela e difesa.

3.

Tornando all’evoluzione d’insieme degli studi, dopo gli anni Settanta l’at-
tenzione alla storia e alla cultura della montagna che Gorfer aveva suggesti-
vamente sollecitato nell’opinione pubblica trentina si sviluppò enormemente,
nella direzione di specialismi scientifici che egli, per carenza di formazione di
base o per volontà (all’epoca, era già più che cinquantenne e di lì a poco pen-
sionato) non si sentì di seguire, né sul piano della ricerca storica propriamente
detta, né su quello dell’indagine etnografica e antropologica.
La storia delle Alpi – e come ulteriore coincidenza (ma non di sole coinci-
denze si tratta) va ricordato che il 1972 fu anche l’anno di costituzione dell’Ar-
gealp, istituzione sovranazionale alla quale Aldo Gorfer in quanto giornalista
prestò attenzione13 – ha fatto negli ultimi cinquant’anni progressi enormi, sia
dal punto di vista dell’accumulo delle conoscenze nei campi più vari dello sci-

10
Sul quale si veda Varanini, Premessa, pp. VII-IX. Oltre alla Valpolicella, il territorio d’elezione di
Brugnoli è costituito dalla città di Verona e in generale dall’ambiente veronese. Anche Brugnoli par-
tecipò nel 1992 alla miscellanea Gorfer.
11
Per un cenno si veda l’anonima scheda biografica all’URL http://www.angelini-fondazione.it/chi-sia-
mo/giovanni-angelini/ (consultato il 30 luglio 2017).
12
I parallelismi con Gorfer sono molti: l’attenzione alla tutela ambientale sin dai primi anni Settanta
(con la proposta della creazione di un Parco delle Piccole Dolomiti e del Pasubio), la cura di un’ope-
ra monumentale dedicata al mondo contadino tradizionale di un territorio definito (Civiltà rurale di
una valle veneta. La val Leogra, 1976; ma si veda anche La sapienza dei nostri padri. Vocabolario tec-
nico-storico del dialetto del territorio vicentino, 2002), una certa vena e degli interessi letterari (come
testimonia anche la raccolta postuma di scritti Una terra, una storia, una fede, del 2008, e l’attività nel
Gruppo italiano scrittori di montagna). La memoria del Sartore è ancora viva nella cultura vicenti-
na; nel settembre 2016 l’Accademia Olimpica di Vicenza gli ha dedicato un convegno nel decennale
della morte (Identità e prospettive di una civiltà. Ripensando Terenzio Sartore, 10 settembre 2016).
13
E due anni dopo (1974) si svolse a Trento un importante convegno, promosso dal CAI, su L’avveni-
re delle Alpi, che portò alla redazione di un “Piano d’azione” (Bertoldi, L’avvenire delle Alpi, pp. 34-
35). L’interesse per le Alpi in quegli anni è confermato, fra i tanti, dal convegno Le Alpi e l’Europa
(Milano 1973), gli atti del quale furono curati da storici come Paul Guichonnet, Jean-François Ber-
gier e Arno Borst, oltre che da politici come Piero Bassetti.

15
bile (la storia demografica ed economica, la storia delle istituzioni civili ed ec-
clesiastiche, la storia dell’arte e delle testimonianze artistiche)14, sia dal punto
di vista ‘disciplinare’, nel senso che si è creato un recinto di studi transnazio-
nale e transdisciplinare, con una sua organizzazione (ad esempio, alcune rivi-
ste scientifiche)15 e una sua autonomia. Tra l’altro, in alcuni contesti anche ita-
liani gli approfondimenti degli storici hanno profondamente influenzato anche
l’etnografia e l’antropologia alpina e l’hanno per così dire sollecitata, se non
costretta, a ripensarsi: basti citare al riguardo le ricerche di Laurence Fontai-
ne, di Raoul Merzario sull’emigrazione dalle Alpi svizzere, di Pierpaolo Viazzo
e di Marco Aime su alcune comunità del versante meridionale delle Alpi occi-
dentali, ma anche ricerche friulane e trentine che hanno insistito sulla mobilità
delle popolazioni alpine del versante italiano in età medievale e moderna. Con
tanti saluti allo schema della ‘tradizione’, del conservativismo, dell’immobilità.
Si passa insomma, in buona sostanza, dall’economia di villaggio immobile e ‘in
equilibrio’ alla relazione e al movimento16.
Sul piano della ricerca storica in senso stretto, non si poteva chiedere un
aggiornamento su queste tematiche complesse, negli anni Settanta e Ottan-
ta – quando prese consistenza a Trento l’interesse scientifico per la montagna,
in ambito accademico-universitario –, a un uomo ormai anziano che era arri-
vato negli anni Quaranta al giornalismo “per interessi letterari”17, e si era for-
mato all’indagine storica (sulle fonti documentarie, e su quelle iconografiche e
più tardi ‘materiali’) sostanzialmente da autodidatta negli anni Cinquanta. Si sa
del resto che Gorfer ebbe allora un solo punto di riferimento di qualche spes-
sore nella cultura trentina – l’attempato storico nazionalista Antonio Zieger18,
che collaborò con lui e ne guidò concretamente i primi passi19, in particola-
re sino alla prima versione della magna opera sui Castelli del Trentino. Questa
povertà del contesto locale – con tutto il rispetto per Zieger – è ulteriormen-
te confermata dal fatto che nella prima edizione del lavoro sulle Valli del Tren-
tino (1959) Gorfer si riallaccia consapevolmente al modello di un’opera come
la Guida del Trentino di Ottone Brentari20, che risaliva al positivismo di oltre

14
A parte i grandi vecchi Bergier e Guichonnet, mi limito a ricordare tra gli infiniti nomi possibili di
fine Novecento Mathieu per una importante sintesi storica (Mathieu, Storia delle Alpi), da un’altra
prospettiva Bätzing per una sintesi geografica (Bätzing, Le Alpi), e ancora Rigaux e Boscani Leoni
per la circolazione artistico culturale, ecc. ecc.
15
Mi riferisco a “Storia delle Alpi / Geschichte der Alpen”.
16
Si veda in breve, a mero titolo esemplificativo, Fontaine, Migration and Work; Viazzo, Lo studio
dell’emigrazione; La montagna mediterranea una fabbrica d’uomini?; Montagna e pianura. Scambi e
interazioni.
17
Agostini, Intervista, p. 22.
18
Su Zieger si vedano i diversi saggi raccolti in Antonio Zieger. Il destino italiano, pp. 39-138.
19
“Intanto frequentavo Antonio Zieger, lo storico. Era un autore discusso, ma io ne serbo un ricordo
grato per l’aiuto che mi diede. Se ho imparato a fare le schede lo devo anche a lui” (Agostini, Inter-
vista, p. 22).
20
“Ottone Brentari è stato il mio maestro. Non ho la presunzione di avere ricalcato le sue orme, ché un

16
sessant’anni prima. Come dire che egli era costretto a trovare in qualche mo-
do alimento in un clima culturale abissalmente lontano, radicalmente diverso,
ma per lui ancora significativo, quello della cultura storica vitalissima del Tren-
tino anteguerra: il Trentino del geografo Cesare Battisti (da Gorfer molto ap-
prezzato anche come scienziato) e delle tante pubblicazioni periodiche atten-
te alla ‘storia paesana’, come gli studiosi di primo Novecento definivano la sto-
ria locale21. La prima metà del Novecento coi suoi –ismi era stata in altre paro-
le una mera parentesi.
Lo sforzo che negli anni Cinquanta e Sessanta Gorfer dovette compiere, da
solo, per maturare una sensibilità non selettiva e assai ricca per tutti gli aspet-
ti della storia del territorio (il paesaggio agrario, le istituzioni comunitarie e si-
gnorili, la storia sociale…) fu davvero notevole. E per un tempo non lungo,
ma neppure brevissimo restò uno sforzo relativamente isolato. La perduran-
te importanza a livello locale delle ricerche di Gorfer (e anche i riconoscimen-
ti da parte di storici autorevoli, che non gli mancarono nei decenni successi-
vi22) dipese – oltre che dal loro oggettivo valore e dall’approccio umile e sag-
gio dell’autore, che non considerò mai ‘chiuse’ le proprie ricerche ma via via le
riprese e le ripropose – dalla lunga staticità e arretratezza della ricerca storica
sul Trentino medievale e moderno, che caratterizzò il secondo dopoguerra si-
no agli anni Settanta, all’incirca.
A fortiori Gorfer non fu in grado di seguire l’altra possibile linea di appro-
fondimento specialistico che le sue stesse ricerche avevano lasciato intravede-
re, quella etnografica e antropologica. Era una sensibilità che solo parzialmen-
te gli apparteneva. Non va dimenticato al riguardo il fatto che l’esperienza del
giornalista trentino alla presidenza del museo di San Michele all’Adige non fu,
qualche anno più tardi (1985-1986), né lunga né particolarmente significativa.
Va detto al riguardo, peraltro, che San Michele espresse, almeno nell’esposizio-
ne e nell’impianto originario (altro discorso è stato, negli ultimi decenni, quel-
lo del dibattito culturale e metodologico), una concezione abbastanza rigida e
molto ‘šebestiana’ sul piano etnografico; una concezione strettamente legata al

lavoro come il suo è senza pari. Mi sono limitato a seguire le sue tracce cercando di dare ai Trenti-
ni e a quanti amano il Trentino una sintesi più completa possibile di questo meraviglioso lembo del-
le Alpi”. Il passo è stato opportunamente valorizzato da Chini, Aldo Gorfer e Le valli del Trentino:
l’attualità di una narrazione, in questo fascicolo, testo corrispondente a nota 3. La voluminosa opera
di Brentari (oltre 1500 pp. nell’edizione anastatica del 2003; forse anche per questo suo analitico de-
scrittivismo Gorfer la prese a modello) uscì in vari tomi dal 1891 al 1902.
21
Fra le tante ricostruzioni di quella congiuntura, mi permetto di rinviare (solo perché è la più recen-
te, e ha il pregio di un certo qual aggiornamento storiografico) a Varanini, Irredentismi storiografici,
pp. 275-299.
22
Per quanto riguarda le compilazioni castrensi, mi è occorso in particolare di segnalare l’apprezza-
mento manifestato da un critico esigente come Paolo Cammarosano, in una importante rassegna sto-
riografica sul tema del castello medievale edita negli atti del convegno Castelli: storia e archeologia
(Cuneo 1983): Varanini, Cenni di storiografia castellana trentina, p. 88. Ma si veda anche, in questo
fascicolo, il contributo a più mani Il progetto APSAT, i castelli del Trentino e Aldo Gorfer.

17
rapporto comunità rurale / ambiente e a una mitizzata autosufficienza della co-
munità contadina di agricoltori, pastori, boscaioli.
In questo ambito, d’altronde, gli sviluppi degli ultimi decenni ‘post-mo-
derni’ (con l’economia globalizzata che tutti ci governa; e con la temutissi-
ma, anche da Gorfer23, omogeneizzazione culturale, e appiattimento degli sti-
li di vita) fatalmente obbligano a ripensare di nuovo e a storicizzare ancora
una volta le forme e i contenuti di quelle identità (alpino-montanare? di val-
le? di provincia e di regione?) che al tempo di Gorfer e da Gorfer erano sta-
te descritte. È un portato inevitabile dei tempi. Lo dimostra il fatto che in
tutta Italia, oggi, si prende coscienza del fatto che i musei etnografici e rura-
li creati ovunque negli anni Sessanta e soprattutto Settanta debbono essere
oggetto di un ripensamento profondo. “In pochi decenni i mutamenti inter-
corsi hanno reso lontana e arcaica la memoria narrata dai musei; le forme di
vita evocate sono diventate fatalmente distanti rispetto all’esperienza sociale
di quanti sono rimasti nelle aree rurali e tanto più di quanti abitano i centri
urbani o abbiano deciso di ritornare a vivere con nuovi atteggiamenti e stru-
menti nelle campagne”24.
In questo senso l’opera di Gorfer ci appare oggi per certi versi superata, an-
che perché come si è detto le coordinate interpretative da lui adottate rimase-
ro – per sempre e con pochi aggiornamenti25 – quelle che aveva intuito e appli-
cato nel quindicennio forse più intensamente produttivo della sua attività, fra
la seconda metà degli anni Cinquanta e la fine dei Sessanta. Mi riferisco qui in
particolare ai volumi sulle Valli del Trentino: a proposito delle quali, va detto
peraltro che il fatto puro e semplice di aver posto al centro del suo discorso di
ricostruzione paesaggistica e storica quei ‘comprensori’ territoriali, ignorando
e nei fatti contraddicendo la prospettiva ‘nazionalistica’ insita nel concetto di
Trentino, alla Zieger, e quella del principato vescovile alla Kögl (il volume del
quale risaliva proprio a quegli anni), comportava un cambio di visuale, un ro-
vesciamento di prospettiva che costituisce forse uno dei suoi meriti maggiori.
L’interpretazione del paesaggio alpino e della presenza abitativa (non si dimen-

23
“Io ho un timore. Temo l’uniformità dei costumi, della cultura, delle teste”: con questa affermazio-
ne Gorfer chiudeva l’intervista resa in occasione del Festschrift del 1992 (Agostini, Intervista, p. 27).
Nella stessa occasione dichiarava: “Il Trentino non sfugge a una condizione generale di tutti i Pae-
si: quella di vedere attenuata, ridotta, poco riconoscibile la propria identità. Mi pare che un po’ al-
la volta ci rassomigliamo tutti: vestiamo tutti nello stesso modo, mangiamo le stesse cose, guardiamo
gli stessi spettacoli, imprechiamo alla stessa maniera. Spariscono i dialetti, ed è una cosa molto brut-
ta”. Altra volta Gorfer scrisse della “tristezza dell’uniformità”. Si vedano al riguardo anche le analo-
ghe espressioni usate da Gorfer in una intervista del 1996, citate da Ezio Chini nel suo contributo in
questo fascicolo (testo corrispondente a nota 11).
24
Così osserva Padiglione, Editoriale. Il post-agricolo e l’antropologia, pp. 3 e ss. L’autore auspica un
profondo ripensamento “prima che la distanza diventi insanabile frattura e i musei etnografici alla
deriva, non rinnovandosi sul piano della ricerca e dei linguaggi, diventino esposizioni storiche (per
tema e per prospettiva)”.
25
Qualche input gli venne forse dalle amichevoli relazioni con importanti studiosi villeggianti nel Pine-
tano, come Vito Fumagalli (che contribuì anche lui alla miscellanea in onore di Gorfer del 1992).

18
tichi che negli anni Sessanta Gorfer studiò quei luoghi, ove solo il vento bussa-
va alla porta delle case: così come accadeva nella montagna feltrina o nella Les-
sinia veronese) richiedeva una conoscenza delle ‘pratiche’ che forse Gorfer ini-
zialmente non possedeva, mentre sicuramente intuiva la centralità della comu-
nità (di valle, più che di provincia) come attore sociale protagonista.
Queste considerazioni non tolgono nulla, in ogni caso, alla grandezza e
all’importanza di Gorfer come divulgatore, come comunicatore, come scrit-
tore sensibile all’arte, oltre che alla dimensione storica della realtà umana ed
ambientale; né al fascino che tuttora promana dalla lettura della prosa un po’
antiquata e manierata degli Eredi della solitudine, dall’inquieta e solidale pie-
tà che anima Gorfer in quelle interviste alle donne e agli uomini dei masi ti-
rolesi.

19
Referenze fotografiche

Trento, Soprintendenza per i beni culturali, Archivio fotografico storico, Fondo Fla-
vio Faganello: p. 10.

Bibliografia

Piero Agostini, Intervista con Gorfer, in Per Aldo Gorfer, pp. 19-27.
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