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LEZIONE 26
IL CARRO DELLA VITA
DI ŚRI MADHUSUDAN SAI
È un’analogia molto bella. Ora sappiamo che dobbiamo procedere dalla nostra
realizzazione fisica e mentale verso la realizzazione del Divino. Perciò si tratta di un
viaggio e di che tipo di viaggio? Non si tratta di andare all’esterno, poiché il viaggio è
dentro di noi.
Yama dice che per intraprendere tale viaggio abbiamo bisogno di un veicolo,
come per andare in qualsiasi luogo abbiamo bisogno di un’automobile o di un altro
mezzo di locomozione. A quei tempi, naturalmente, non c’erano le automobili come
oggi. Quali erano i mezzi di trasporto? I carri. Il nostro Yama sta cercando di spiegare
questo concetto a Naciketa in modo affascinante. Dovete comprendere le incredibili
capacità di Yama come insegnante e rendervi conto anche dell’età di Naciketa poiché
Yama sta insegnando a un bambino più o meno delle scuole medie ciò che riguarda la
vita e ciò che necessita per viverla e per giungere all’obbiettivo finale.
Osservate come egli insegni bene e come fornisca un esempio molto calzante. Si
comporta come gli insegnanti della scuola elementare e media che devono fornire
degli esempi tratti dalla vita quotidiana che i bambini conoscono e poi spiegare di che
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cosa si tratta. Si può spiegare molte volte a un bambino che cosa sia un cane, senza
riuscire a farglielo capire, ma, se gli si mostra un cane, il bambino capisce
immediatamente e non è più necessaria alcuna spiegazione. Allo stesso modo, se
volete spiegare un concetto astratto a un ragazzino o a un bambino dovete usare delle
metafore, fare degli esempi, in modo che egli possa comprendere.
Molto tempo fa mi raccontarono una barzelletta. Una persona incontrò un amico
dopo venti, venticinque anni che non lo vedeva e si mise a rincorrerlo per picchiarlo.
La moglie gli chiese: “L’hai rincontrato dopo venticinque anni: perché gli corri dietro
per picchiarlo?”.
L’uomo rispose: “Quando eravamo a scuola mi chiamava ippopotamo”.
“Dunque, quando andavate a scuola ti chiamava ippopotamo. Perché, solo
adesso, vuoi corrergli dietro per picchiarlo?”.
“Perché ieri, quando siamo andati allo zoo, finalmente ho scoperto che cos’è un
ippopotamo. Ora so il significato dell’appellativo che mi
dava venticinque anni fa. Sono davvero così brutto,
grosso e grasso?”. Per questo motivo rincorre ora
l’amico per picchiarlo. Se avesse visto un ippopotamo
allora, avrebbe capito come mai l’amico lo chiamasse
così, ma non capì perciò, a quel tempo, non lo picchiò.
Allo stesso modo, i bambini hanno bisogno di
esempi concreti che mostrino loro come funzionano le cose. Se si tratta di un animale
o di un uccello, può essere mostrato loro, ma se è qualcosa di astratto, come si può
fare? Bisogna usare un’allegoria o una metafora per poterglielo insegnare.
Yama, dunque, sta insegnando a Naciketa e gli sta dicendo: “Pensa all’ātman,
che si trova dentro di noi, come al passeggero di un carro”. A quei tempi esistevano
solo carri tirati da cavalli.
Yama dice: “Pensa al tuo ātman come al passeggero”. Di che cosa? Di questo
śarīra (corpo) che è il carro. E chi è il passeggero? L’ ātman. Chi è l’auriga?
buddhiṁ tu sārathiṁ, la buddhi, il vostro intelletto, la vostra intelligenza,
vijñāna, è l’auriga del carro,
viddhi, manaḥ pragrahameva ca, la vostra mente rappresenta le redini che
vengono chiamate pragraha.
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Chi sono i cavalli e dove vanno? Questa è la prossima domanda da porsi per
completare l’analogia.
Yama dice:
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indriyamanoyuktam. Poiché è dotato di indriya, degli organi dei sensi e della
mente, che sperimenta tutte queste cose tramite gli organi dei sensi stessi, l’ ātman è
il bhokta (colui che usufruisce, gode, gioisce).
Qui viene detto che l’ ātman “si gode la cavalcata”. Chi? L’ ātman, che è il
passeggero.
Dunque, voi siete l’ ātman che è il passeggero, che usufruisce del “giro in
carrozza”, con l’aiuto dei sensi e della mente che sono in grado di raccogliere ogni
tipo di interazioni con il mondo e poi passarvele. Qui viene detto che in questo modo
voi usufruite di questa “cavalcata” che è la vita. Questo è ciò che manīṣiṇaḥ (persone
intelligenti) dicono.
Ora cerchiamo di andare un po’ più in profondità. Ci sono cinque cavalli e
ciascuno di loro rappresenta un senso: śabda, udito, sparśa, tatto, rūpa, vista, rasa,
gusto, gandha, olfatto.
I cinque cavalli
rappresentano i cinque
organi dei sensi.
śabda - suono
sparśa - tatto
rūpa - vista
rasa - gusto
gandha - olfatto
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Śabda è l’udito poi c’è sparśa, che è il tatto e rūpa, la vista, rasa è il gusto e
gandha è l’odorato. Cinque sensi svolgono il loro compito e corrono verso cosa?
Qualcosa di bello da vedere: “Corriamo!”.
Qualcosa di brutto da vedere: “Corriamo più forte!”.
Qualcosa di bello da ascoltare: “Ascoltiamo!”.
Dei pettegolezzi, uno scandalo: “Ascoltiamo con maggior attenzione!”.
Del buon cibo satvico: “Mangiamo!”.
Del buon cibo rajasico o tamasico: “Corriamo a mangiarne di più!”.
Ecco come sono i sensi (indriya): sono cavalli selvaggi. Ecco perché alcuni
dicono: “Non voglio ascoltare queste cose ma perché poi finisco per starle a sentire?
Non voglio fare queste cose ma perché finisco per farle? Non voglio parlare di queste
cose ma perché finisco per parlarne?”. Perché i sensi hanno un istinto proprio.
Ecco perché Arjuna, dopo aver ascoltato molti discorsi di Kṛṣṇa, chiese: “atha
kena prayukto ’yaṁ pāpaṁ carati pūruṣhaḥ| anicchanapi vārṣṇeya balādiva
niyojitaḥ, perché ci comportiamo male, per quale ragione commettiamo dei
peccati?”.
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Ci sono due aspetti: kāma e krodha. Kāma è il desiderio.
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in un certo modo. Come c’è una tecnica per controllare i cavalli, esiste anche una
tecnica per controllare i sensi. Lasciati a sé stessi, porteranno solo rovina e
diventeranno selvaggi. È l’abilità del conducente che porta a tenere i sensi sotto
controllo. Perciò questo auriga, questo conducente, la buddhi, deve sapere come usare
la mente per controllare i cavalli e portarli sulla strada giusta. Se li lasciate liberi vi
porteranno dove vogliono. Se aveste solo un cavallo ve la cavereste ancora bene ma,
invece, dovete controllare contemporaneamente cinque cavalli.
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Ecco perché Adi Śaṅkarācārya dice, nella sua opera Vivekacūḍāmaṇi: “śabdādibhiḥ
pañcabhirev pañca pañcatvamāpuḥ svaguṇena baddhāḥ”, ci sono cinque śabdādi,
che significa śabda, sparśa, rūpa, rasa, gandha. Essi legano le persone a causa di
svaguṇa, che significa la natura.
(Il cervo, l’elefante, la falena, il pesce e l’ape: questi cinque sono morti, legati all’uno o
all’altro dei cinque sensi, a causa del loro attaccamento. Che cosa tocca all’uomo che è
attaccato a tutti e cinque?) - Vivekacūḍāmaṇi, 76
L’udito vuole sentire, il naso vuole odorare, la pelle vuole toccare, la lingua
vuole gustare o parlare. Gli occhi vogliono vedere. Ognuno di essi ha il proprio
compito. Questi cinque elementi, a causa della loro natura (svaguṇa), legano l’essere
umano.
Śaṅkarācārya fa poi degli esempi: kuraṅgamātaṅgapataṅgamīna
bhṛṅgā naraḥ pañcabhirañcitaḥ kim.
Secondo la natura di questi animali, essi sono legati dalla
spinta dei sensi che li conduce alla rovina:
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Kuraṅga è il cervo che viene inseguito dal cacciatore. Nella foresta il cacciatore
provoca un leggero fruscìo con le foglie secche e il
cervo, attratto da quel suono irresistibile, va in
quella direzione. Esso è completamente succube del
senso dell’udito e va per forza in quella direzione.
Quando arriva vicino al cacciatore, c’è una rete ad
aspettarlo per catturarlo. Adesso il cervo perderà la
vita: verrà tagliato, mangiato e la sua pelle verrà
usata per farne dei sandali o qualsiasi altra cosa. Il
cervo è spacciato, poiché non è stato capace di controllare uno dei “cavalli”, un
senso, quello dell’udito, śabda.
Poi c’è sparśa, il tatto, che corrisponde all’elefante, mātaṅga. Che cosa fa
l’elefante? Come si catturano gli elefanti? È molto difficile catturare un grosso
elefante. I cacciatori mandano una femmina
addestrata nella foresta affinché vada a strofinarsi
contro il maschio. Il maschio impazzisce per il
contatto con la femmina e dimentica ogni cosa.
Come se fosse ipnotizzato da quel tocco, comincia a
seguire la femmina ovunque vada. La femmina è
stata addestrata e le è stata promessa una grossa
quantità di erba affinché ritorni indietro con
l’elefante maschio. Essa ritorna dal cacciatore, il
maschio la segue e viene catturato con una grossa rete. Ora, a causa di quella
debolezza del senso del tatto, tutta la vita dell’elefante sarà in prigionia, e dovrà
portare pesi per gli esseri umani e fare ogni tipo di tamasha (messa in scena). Sarà
sempre sotto il controllo del mahut (addestratore). Guardatelo: era indipendente,
libero e si muoveva felicemente nella foresta. Questo è il problema legato ai sensi:
“Questo sì che è bello!”, e vi catturano.
Ecco perché Arjuna dice balādiva niyojitaḥ: “Come se fossi costretto,
influenzato, ipnotizzato, sono inerme davanti ai sensi. Che cos’è?”. Dice che è così
che funzionano i sensi, che sono fatti in questo modo. E cosa si può fare? Non si può
fare nulla, deve intervenire la mente, la buddhi,
l’intelletto per controllare i sensi.
Poi c’è pataṅga. Pataṅga è la falena che vede la
luce o il fuoco e ne viene attratta. Vedrete molti di
questi insetti specialmente dopo la pioggia. Se
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accendete la luce, arriveranno e ci si metteranno sopra sapendo molto bene che
verranno uccisi, nonostante questo non possono farne a meno come se fossero
costretti (balādiva niyojitaḥ) a farsi ammazzare. È molto strano ma funziona così.
Poi c’è mīna, il pesce. Il pescatore usa l’amo sul quale mette un vermiciattolo. Il
pesce si avvicina e pensa: “In qualche modo riuscirò a
imbrogliare il pescatore, prenderò il verme e non rimarrò
bloccato”. Finora nessun pesce è stato capace di farlo.
Tutti i pesci che sono andati nei centri commerciali sono
stati catturati in qualche modo. Nessuno ha detto: “Vado
al centro commerciale soltanto per guardare, non toccherò
nulla e tornerò indietro illeso”. Non è mai successo.
Chiunque vi sia andato, è stato sicuramente catturato, non
tanto fisicamente, comunque coltivando un desiderio
mentale che d’ora in poi lo perseguiterà e, di conseguenza, non sarà in pace e non
dormirà pacificamente finché non avrà ciò che desidera. Il pesce viene catturato a
causa dell’amo e di quel vermicello e viene preso per sempre. Ora il pesce è morto e
verrà mangiato entro la sera. A causa del gusto, del desiderio di gustare, ha perso la
vita.
L’ultimo è bhṛṅgā. Quest’ape va nei fiori per
odorarli e assaggiarne il nettare. Il nettare appiccicoso
dei fiori la fanno inebriare e così vi cade dentro. Il fiore
si chiude e l’ape viene ingoiata dal fiore invece di
mangiarlo. Questo avviene a causa del senso
dell’olfatto.
Śaṅkarācārya dice che questi animali sono condizionati da un solo senso mentre
l’uomo è influenzato da tutti e cinque. Kuraṅgamātaṅgapataṅgamīna bhṛṅgā naraḥ
pañcabhirañcitaḥ kim.
È così: se l’essere umano chiude gli occhi, le orecchie lo portano alla rovina; se
chiude le orecchie, il naso lo porta alla rovina; se chiude il naso, il tatto lo porterà alla
rovina; se evita l’uso del tatto, il gusto lo porterà alla rovina: in un modo o nell’altro i
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sensi lo trascineranno in tutte le direzioni. Questo è il nostro problema più grande,
quello legato ai sensi.
Indriyehi viṣaye grahanam kṛtva, i sensi sono stati creati per godere di viṣaya,
dei piaceri dei sensi.
Parāñci khāni vyatṛṇat svayambhūh, tutti i sensi sono stati creati da Dio in
modo da essere rivolti soltanto all’esterno e mai all’interno.
(L’Auto-esistente, Dio, ha reso i sensi così difettosi che hanno la tendenza ad andare
all’esterno e di conseguenza l’uomo osserva l’universo esterno e non il Sé interno (Atman).
Alcuni saggi, tuttavia, desiderosi dell’immortalità, con gli occhi lontani dagli oggetti dei sensi
(i sensi volti internamente) vedono l’Atman dentro di sé.) - Kaṭhopaniṣad 2,1,1
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Vediamo un po’. E come sono collegati i sensi e l’intelletto? Sono collegati dalla
mente. Se i sensi tirano la mente verso di
loro e l’intelletto dall’altra parte è come il
tiro alla fune. Conoscete il tiro alla fune?
Se i sensi tirano la mente verso di loro, la
fune verso di loro, vincono. Se la buddhi è
forte abbastanza per tirare la mente verso
di sé, vince. Questo tiro alla fune avviene
continuamente dentro di noi. I sensi
dicono continuamente: “Facciamo questo, ascoltiamo quello, andiamo là, assaggiamo
questo, tocchiamo quello, incontriamo quelle persone”, e la buddhi dice: “No, no, no,
non va bene. Questo è preyo marga (sentiero del piacevole) e non è śreyo marga
(sentiero del buono)”. “Questo non è ciò che dà la felicità suprema, questo non è ciò
che ci rende pacifici in eterno, non facciamolo”.
La mente è confusa: “Dovrei ascoltare i sensi o dovrei ascoltare l’intelletto?”.
Invariabilmente finisce per ascoltare i sensi che portano un piacere immediato:
piacere immediato, ‘spaghetti istantanei’, ‘conti istantanei’, ogni cosa è istantanea nel
mondo di oggi, nessuno ha pazienza. E se poi devono pagare un prezzo molto più alto
in seguito? Non ci pensano nemmeno, nessuno ci pensa, seguono ciò che gli viene
detto per poter essere immediatamente felici. Mangiano, toccano, gustano, odorano,
ascoltano e sono felici, senza andare oltre. Ecco perché queste società di marketing,
specialmente di ‘shopping on line’, prosperano così tanto: il motivo è che le società di
‘shopping on line’ offrono una gratificazione istantanea. Se volete una cosa, vi basta
ordinarla.
Non avete soldi? Non preoccupatevi, vi faremo credito. Non potete pagare il
debito? Rifinanzieremo il prestito passandolo a un’altra società. Nemmeno loro
pagano, allora rifinanzieremo a terzi e se non funziona non vi resta che suicidarvi
perché questa è l’ultima opzione che avete, altrimenti le banche vi staranno alle
costole. Ecco perché la gente si suicida dopo aver chiesto dei prestiti: hanno preso in
prestito più di quello che potevano ripagare, prediligendo un piacere immediato.
Adesso la loro vita è ridotta in schiavitù. Di chi sono schiavi? Delle proprie idee,
delle automobili, delle case, dei piaceri e delle vacanze. Ogni cosa è EMI (rata
mensile equiparata). Chiedete qualsiasi cosa e potrete pagare in comode rate, ma le
rate non sono mai comode, in realtà sono scomode ma ci fanno credere che sia tutto
facile. Solo in seguito diventa tutto scomodo, quando si ha veramente bisogno dei
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soldi per qualcosa di molto importante, come quando qualcuno è malato in famiglia e
ha bisogno di cure o ha bisogno di aiuto finanziario. Come potrete aiutarlo? Pensate
che le banche vi lasceranno in pace? Diranno: “Prima paga le rate e dopo, se avanza
qualcosa potrai mangiare”. E siamo caduti tutti in questa trappola come i kuraṅga,
mātaṅga, pataṅga, mīna, bhṛṅgā (cervo, elefante, falena, pesce, ape). Siamo caduti
come se vi fossimo stati costretti. Perché? Perché ci paragoniamo con gli altri. “I miei
amici hanno un’auto nuova, mentre invece io ne ho ancora una vecchia. Come hanno
comprato la macchina? Hanno fatto un prestito, lo farò anch’io”. Ed è così che ci
uccidiamo.
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Il pericolo è costituito dai cinque sensi e dalla gratificazione dei sensi stessi. Chi
può controllarli? La buddhi. Che tipo di buddhi? Ci sono tre tipi di buddhi che tutti
hanno a disposizione: buddhi satvica, rajasica e tamasica. Qual è la qualità di
ciascuna buddhi?
La buddhi satvica discrimina correttamente.
Pravṛttiṁ ca nivṛttiṁ ca, dharma adharma, kāryākārye, bhayābhaye:
discrimina tra tutte queste cose.
Che cos’è pravṛtti? Significa ciò che si basa sull’istinto. Che cos’è nivṛtti? È
prendere le decisioni basandosi sulla suprema bontà.
Poi c’è kāryākārye: kārya significa ciò che si deve fare secondo le regole di
buona condotta e morali, akārya significa ciò che non si deve fare.
bhayābhaye: bhaya significa ciò che porta come conseguenza la paura. Gli
errori portano alla paura, mentre abhaya significa ciò che ci porta ad essere privi di
paura, perché non siamo condizionati, non abbiamo paura delle rate, non abbiamo più
paura delle banche, perché non siamo mai caduti in quella trappola.
La buddhi satvica ci insegna anche la discriminazione suprema: mokṣaṁ ca
bandhaṁ ca..Ci insegna la differenza tra ciò che ci condiziona e ciò che invece ci
rende completamente liberi. Ecco perché viene chiamata buddhiḥ sā sāttvikī,
intelletto satvico.
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La buddhi satvica è la buddhi che dice esattamente ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato, ciò che si deve fare e ciò che non si deve fare, ciò che porta alla paura e ciò
che porta all’assenza di paura e infine ciò che conduce alla libertà e ciò che porta
invece alla schiavitù.
Buddhi
(cosa devo scegliere?)
La buddhi satvica riesce a Aiuta a comprendere ciò che
discriminare correttamente. dà la libertà suprema.
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Il secondo tipo di buddhi è la buddhi rajasica. Che cosa pensa la buddhi
rajasica? Fraintende e non recepisce correttamente. Questo viene spiegato da Kṛṣṇa
nella Bhagavad Gītā. Questo tipo di buddhi pensa: “yayā dharmam adharmaṁ ca
kāryaṁ cākāryam eva ca”.
Che cos’è il dharma? Che cos’è l’adharma? Che cos’è kārya? Significa ciò che
si deve fare e ciò che non si deve fare.
Ayathāvat prajānāti. La buddhi rajasica capisce in modo diverso da come è
stato insegnato.
Ayathāvat prajānāti buddhiḥ sā pārtha rājas. La buddhi rajasica fraintende,
non capisce correttamente.
Poi abbiamo la buddhi tamasica. Significa che se vi si dice di andare a destra,
voi invece andate a sinistra oppure siete confusi. Questo tipo di buddhi non riesce a
prendere delle decisioni o prende delle decisioni sbagliate perché capisce male.
La buddhi satvica discrimina, la buddhi rajasica, invece vive nell’illusione,
moha. Come sarà la buddhi tamasica?
La buddhi tamasica è la terza, la peggiore fra le buddhi. Che cosa fa?
adharmaṁ dharmam iti. Scambia il dharma con l’adharma, la retta azione con
l’azione scorretta. Perché? yā manyate tamasāvṛitā, a causa del buio mentale, perché
nella mente non c’è buon senso, c’è quel buio che fa scambiare il dharma con
l’adharma.
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E cosa avviene? Sarvārthānviparītānśca buddhiḥ sā pārtha tāmasī. È una
buddhi (un intelletto) che pensa tutto al contrario. “Vai a destra” e andrà a sinistra,
farà esattamente il contrario. Ecco perché quando dite agli studenti: “Non andare lì
vicino”, andranno proprio lì. “Non andare là”, andranno proprio là. “Non incontrare
quella persona”, andranno a incontrare quella persona. “Non guardare dentro la
scatola”: è fatta, apriranno la scatola e non staranno fermi. Faranno tutte le cose al
contrario: questa è la buddhi tamasica.
La buddhi di Duryodhana era tamasica. Arjuna e Duryodhana andarono a chiedere
aiuto a Kṛṣṇa (prima della battaglia di Kurukshetra). Arjuna andò a sedersi ai piedi
di Kṛṣṇa, mentre Duryodhana si sedette proprio vicino alla Sua testa. Kṛṣṇa inscenò
una commedia, aprì un occhio e li vide entrambi ma poi decise: “Aprirò gli occhi e
vedrò Arjuna per primo, proprio per far sentire
Duryodhana più a disagio”.
Aprì gli occhi e disse: “Oh, Arjuna, quando
sei arrivato?”.
“Anch’io sono qui!” esclamò Duryodhana.
“Oh, Duryodhana, quando sei arrivato?”.
“Sono arrivato prima di Arjuna”.
“Oh, davvero? Io, però, ho visto Arjuna per
primo, perciò chiederò a lui cosa vuole”.
Duryodhana era agitato e pensò: ‘Ora, se Arjuna chiede tutto l’esercito di Kṛṣṇa,
io sarò nei guai’.
Arjuna, invece, chiese: “Voglio Te, fra il Tuo esercito e Te, scelgo Te”.
Duryodhana era molto felice e pensò: ‘Arjuna è uno sciocco, non sa ciò che è
giusto e ciò che è sbagliato’. In realtà, era Duryodhana che non sapeva ciò che era
giusto e non era certo Arjuna a sbagliare.
Duryodhana, allora, disse: “Va bene, ora che Arjuna ha scelto per primo e ha
scelto Te, io mi accontenterò del tuo esercito. Per me va bene”, ma nel profondo del
suo cuore, egli saltava di gioia. “Ho ottenuto l’intero esercito, questo sciocco di
Arjuna si è preso Kṛṣṇa che non può nemmeno combattere ma deve fare soltanto
l’auriga del carro”.
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Ma che auriga scelse Arjuna? Egli scelse
come auriga la buddhi, l’intelletto che lo portò
al successo e alla vittoria mentre Duryodhana
scelse tutto l’esercito, lasciandosi alle spalle la
buddhi, scelse i sensi e la mente lasciandosi
alle spalle l’intelletto e dove andò a finire? E a
cosa lo portò? Alla rovina.
L’auriga, chi guida il carro, deve essere la
buddhi, come Kṛṣṇa fu l’auriga di Arjuna. Arjuna scelse la buddhi invece dei sensi e
della mente. Duryodhana scelse i sensi e la mente invece dell’intelletto.
Aveva ottenuto molti cavalli ma non sapeva come controllarli. Arjuna, invece
disse: “Io avrò il giusto auriga e lui saprà come controllare qualsiasi cavallo io gli
affidi”. Questo è il significato della storia del carro, che è la storia della nostra vita.
Fu così che Arjuna ottenne la vittoria mentre Duryodhana affrontò la sconfitta.
Perciò affidate tutti i vostri cavalli, gli indriya, i sensi e la mente nelle mani della
buddhi, ma di quale buddhi? La buddhi satvica. La buddhi satvica è la
discriminazione divina, non la discriminazione umana, non basata sui sensi: datela in
mano a Dio.
Nella Bhagavad Gītā, nel dodicesimo capitolo, Kṛṣṇa lo spiega molto bene:
mayyeva mana ādhatsva mayi buddhiṁ niveśaya | nivasiṣyasi mayyeva ata
ūrdhvaṁ na sanśayaḥ || “Dammi la tua mente”, dice Kṛṣṇa, “Affidami le redini,
dammi la tua buddhi”. Che cosa significa? “Immergi la tua buddhi nella mia buddhi.
Fa’ che Io diventi il tuo auriga, dammi questa possibilità”.
E poi, che cosa avviene?
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Mayyeva mana ādhatsva mayi buddhiṁ niveśaya | nivasiṣyasi mayyeva,
avendo offerto tutto a Me, essendoti abbandonato a Me,
ata ūrdhvaṁ na sanśayaḥ certamente evolverai, non c’è alcun dubbio. Poiché
tutte le altre buddhi ti tirano giù e ti fanno involvere mentre invece se consegni la
buddhi nelle mani di Dio o pensi come penserebbe Dio, evolvi.
Ecco perché vi dico sempre: “Comportatevi come se foste Dio, perché è ciò che
siete. Parlate come se foste Dio, pensate come se foste Dio, agite come se foste Dio”.
Usate quel tipo di buddhi. Se qualcosa che fate non è in armonia con la vostra natura
divina, dite immediatamente a voi stessi: “Perché mi sto comportando in questo
modo? Questo si concilia con la mia natura divina? È in armonia con la mia natura
divina? Se non lo è, che io non lo faccia!”. È così semplice: viveka (discriminazione)
e vairagya (distacco). La buddhi deve essere dotata di queste due qualità: ecco perché
è il conducente.
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Al giorno d’oggi ci sono le automobili. Avete un’automobile che è il corpo,
avete un conducente che è la buddhi e poi c’è il volante che è manas, la mente.
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condizioni e l’autista sa guidare bene, potete godervi la gita e guardare il paesaggio,
osservando gli alberi, le montagne e tutto il resto. Se, invece non avete un buon
autista, avrete continuamente il cuore in gola e penserete: “Questo tipo, da un
momento all’altro, provocherà un incidente!”.
Immaginiamo che si tratti di un autista satvico che vi saluti la mattina dicendo:
“Buongiorno, signore, dove andiamo oggi?”.
Voi risponderete: “Andiamo in questo o quel luogo”.
Immaginiamo che lui non conosca la direzione giusta e ogni tanto vi chieda:
“Signore, devo girare a destra o a sinistra?”, voi risponderete: “Prima a destra e poi a
sinistra”, e lui seguirà semplicemente le vostre istruzioni e, con prudenza, senza
accelerare, rispettando i cartelli e senza causare danno a nessuno né a sé stesso, vi
porterà a destinazione. Questa è la buddhi satvica.
Poi c’è la buddhi rajasica: che cosa farà? Non vi saluterà la mattina e deciderà
dove andare senza ascoltarvi. “Oggi andiamo a Bangalore”. Si può fare così? Non vi
ascolta per niente. Che tipo di autista è? Questa
buddhi è la buddhi rajasica: va per i fatti suoi
e fa ciò che vuole senza pensare. Se le dite di
girare a destra girerà a sinistra, se le dite di
andare dritto, tornerà sui suoi passi. Tutto
questo avviene con la buddhi rajasica che è
come un autista ubriaco che all’improvviso
cambia corsia e non capisce bene le istruzioni
date dal passeggero. La macchina va a zig zag e all’improvviso cambia corsia, poi
frena, accende le luci, succede di tutto. Pensate alla sofferenza del passeggero con un
autista ubriaco.
La buddhi tamasica è anche peggio. Perché? È un autista ubriaco, cieco e anche
sordo. Pensate ora alla vostra gita in automobile:
l’autista non vi ascolta, perché non sente, è sordo, non
vede niente e inoltre è ubriaco. Questa è la buddhi
tamasica. Cosa farà questa buddhi? Nella vita creerà
soltanto incidenti. Dunque, quando avvengono degli
incidenti è perché la vostra buddhi è scivolata nella
categoria inferiore di buddhi tamasica.
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Quando avvengono degli incidenti è perché la nostra buddhi
è caduta a livello di buddhi tamasica.
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La buddhi discrimina e decide cosa fare.
Il corpo compie le attività.
Buddhya niścittyah: la buddhi decide cosa fare con queste cose. E il corpo è
karma kṛtena, compie le attività, è il carro.
Dunque, l’esperienza raccolta dai sensi viene trasmessa alla mente che la passa
alla buddhi e la buddhi decide se si tratta di una cosa buona, cattiva o sbagliata.
Immaginiamo che vediate una cosa: immediatamente la vostra mente raccoglie
l’esperienza che va alla buddhi ed essa dice: “No, è una cosa sbagliata, non
guardarla”. Immediatamente la mente dirà agli occhi: “Chiudetevi o guardate da
un’altra parte”. Tutto questo avviene in una frazione di secondo dentro di noi, poiché
c’è un algoritmo che va avanti e indietro e controlla il nostro corpo. Come in
un’automobile, in cui ogni cosa avviene molto velocemente poiché vi è implicata una
grande quantità di conoscenza elettronica e ingegneristica che fa in modo che le
decisioni possano essere eseguite in modo veloce, anche dentro di noi, c’è un
procedimento analogo in corso.
Quando, però, la buddhi funziona male, cominciano i problemi. È qui che ci va
tutto male: buddhisāśatpraṇaśyati, se la buddhi non funziona siete rovinati e nessuno
vi può più aiutare.
La buddhi può essere anche molto agitata, cañcala. Arjuna dice: “Cañcalaṁ hi
manaḥ kṛṣṇa pramāthi balavaddṛiḍham. È molto difficile, vāyoriva, controllare la
mente, difficile come controllare l’aria”.
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La parte ‘buddhi’ prende le decisioni, la parte ‘manas’ raccoglie solo le
informazioni, la parte ‘citta’ le immagazzina, ‘ahaṁkāra’ identifica. Perciò manas è
la parte pensante e buddhi è l’aspetto che prende le decisioni.
Quindi solo la parte ‘buddhi’ della mente prende le decisioni e viene chiamata
vijñānamayakośa (involucro dell’intelletto). Abbiamo manomayakośa (involucro
mentale) e vijñānamayakośa da cui provengono le decisioni. Infine
ānandamayakośa (involucro dell’esperienza/ beatitudine) sperimenta la felicità.
Se in ogni momento aveste pensato a Dio non avreste potuto commettere
nessun errore, non sarebbe stato possibile. Tutti gli errori, nella nostra vita,
avvengono quando non pensiamo a Dio, quando la nostra buddhi e la nostra mente
non sono abbandonate a Dio: quello è l’unico momento in cui facciamo degli errori.
Altrimenti non faremmo mai errori nella vita. Pensate a voi stessi: negli ultimi
quindici giorni e all’insieme di errori che avete fatto ora rispetto alla quantità di errori
compiuti in tanti altri periodi simili della vostra vita. Notate la differenza, vero? State
compiendo sempre lo stesso numero di errori? Anche se ora fate degli errori, ne siete
consapevoli: “Sto facendo un errore”. In precedenza gli errori venivano compiuti
inconsciamente, inconsapevolmente. Inoltre eravate arroganti e dicevate: “Non ho
mai fatto un errore”. Ora, come prima cosa, evitate gli errori e se li fate avete la
consapevolezza che si tratta di un errore: “Oggi ho parlato troppo, ho pensato a quelle
cose in maniera non necessaria, ho discusso senza motivo”. Questa coscienza si sta
svegliando lentamente in voi e cosa significa? La vostra buddhi, lentamente si sta
trasformando da rajasica in satvica, si sta purificando e questo è il segreto di una vita
felice.
Quando la buddhi è completamente sotto il controllo del vostro ātman, la
Divinità, la buddhi fa tutto ciò che l’ātman dice. L’autista non decide, ma ascolta il
passeggero. Il passeggero gli dice: “Oggi andiamo alla stazione, andiamo da quella
parte”. Lui vi porterà alla stazione dei treni e non a quella degli autobus. Allo stesso
modo la buddhi dovrebbe essere completamente sotto il controllo dell’ātman; manas,
la mente, dovrebbe essere sotto il controllo di buddhi; e gli indriya (i sensi)
dovrebbero essere sotto il controllo di manas: soltanto allora la vita diventerà un
viaggio felice, altrimenti dovrete lottare per tutta la vita. Un cavallo o l’altro vi
tireranno nella direzione sbagliata. Il vostro carro devierà da una parte e dall’altra e
non arriverà a destinazione, anzi avrà degli incidenti e voi starete male al suo interno.
Tutta la sofferenza avviene a causa di questa disconnessione tra l’ātman, la buddhi,
manas e indriya.
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Perciò riflettete su questo concetto del carro e usatelo al meglio per voi. L’altro
giorno mi hanno chiesto: “Se non riesco a controllare cinque cavalli
contemporaneamente, che cavallo devo controllare per primo?”.
Prima controllate la lingua perché quello è il peggior cavallo. Questa lingua,
benché sia così morbida, è estremamente ruvida e più affilata di una spada. La sua
carne è morbida ma è più dura del ferro. Questo è il problema della lingua:
controllatela. Se controllate la lingua, avete il controllo su due cose: rasana e jihva.
Rasana è quando la lingua gusta e jihva è quando parla.
Perciò, se controllate la lingua, potete controllare due dei vostri cavalli. Quali
sono i due cavalli? Uno è quello del cibo e l’altro quello della parola. È una cosa
buona controllare la lingua. Perciò, prima di aprire la bocca, di mangiare o di parlare,
pensate: “È bene o è male per me mangiare questo?”. In questa maniera cominciate a
controllare un organo. Cominciate con la lingua, parlate meno e mangiate in modo
appropriato. È così che comincerà il progresso spirituale, un passo alla volta, e
lentamente otterrete il controllo di tutti i cavalli, altrimenti è molto, molto, molto
difficile.
Questo è il concetto del carro e dei cavalli e del conducente del carro. Meditate
su questa idea finché questa idea verrà compresa pienamente e allora direte: “Non ce
la faccio, la mia buddhi non è capace di controllare la mia vita e io abbandono la mia
buddhi in Dio”. Che cosa significa? “Sia fatta la Tua volontà, non la mia!”. Questo è
l’abbandono della buddhi a Dio ed è così che Dio prende in mano le redini.
E come prende in mano le redini, in che modo fa le cose? Questo lo vedremo nei
prossimi śloka. E come avviene l’abbandono? Gli indriya devono essere abbandonati
alla mente, la mente deve essere abbandonata alla buddhi, la buddhi deve essere
abbandonata all’ātman e l’ātman deve essere abbandonata al Paramātman. Questo è
il modo in cui condurre la propria vita e non al contrario. Questo lo impareremo nei
prossimi śloka. Per oggi è abbastanza.
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Prestate attenzione a queste che sono le verità più profonde espresse nella
maniera più pratica. Non ci potrebbe essere un modo migliore di insegnare la
spiritualità e le verità spirituali se non procedere passo dopo passo, in modo logico,
come fa la Kaṭhopaniṣad. Comincia con l’osservazione e l’indagine, eliminando ciò
che è sbagliato e scegliendo ciò che è giusto.
Poi prosegue spiegando che bisogna essere molto determinati, molto concentrati
e diligenti e infine bisogna scegliere solo il Brahman sopra ogni altra cosa. Questa
non può essere una scelta fra le tante, ma deve essere l’unica.
La persona che ha sviluppato questo tipo di concentrazione e determinazione
può essere scelta per conoscere la Verità.
Da qui comincia lentamente la descrizione. Come si comincia a camminare su
questo sentiero? Yama non dice: “Solo perché l’hai voluto, Esso si rivelerà a te”, ma
prima di rivelarsi il Brahman controllerà. Che cosa controllerà? Se:
nāvirato duścaritā (non desistete dalle cattive azioni)
aśānto (non siete pacifici)
asamāhitaḥ (non avete la mente concentrata)
aśāntamānaso (la vostra mente non è in pace)
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È così che potrete coltivare śāntamānasa, una mente calma e pura e potrete
desistere da compiere azioni sbagliate. Non avrete nemmeno l’impazienza di essere
liberati o realizzati. Quando tutte queste qualità fondamentali saranno sviluppate e
anche grazie a mumukṣutvam (intenso desiderio per la liberazione), al momento
giusto, Brahman vi si rivelerà. Questo è, ora, il procedimento logico della
Kaṭhopaniṣad.
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