Sei sulla pagina 1di 7

LOPĀMUDRĀ E AGASTYA

Asceti, animali e foglie di palma


Di

Nunzia Coppola Meskalila


L’ORIGINE E LE FONTI

La storia di Lopāmudrā e Agastya è inclusa in una categoria particolare del Rig Veda, composta dai sei
inni dialogici, detti saṃvāda-sūktas. Ogni inno narra un mito, presentandolo come un breve dramma.
Quello di Lopāmudrā e Agastya è numerato con il 1.179 ed è il primo dei sei su menzionati. La coppia
di asceti compare varie volte anche nell’Atharvaveda, nel Rāmāyana, nel Mahābhārata, nei Purana e in
altri testi sacri, tra cui “Devi Baghavatam” e “Lalitā Sahasranāma”. Questo racconto è una mia libera
sintesi estratta dalle fonti scritte e da quelle orali trasmessemi da Guru Langta Baba di Tarapith e Guru
Jay Kali Brama Mahākāla Vināsini.

I LUOGHI

Gangādwara: letteralmente, "Il cancello o porta del Gange", l’odierna Haridwar, ai piedi
dell'Himalaya, India del Nord.
Sahyadri: catena montagnosa del cosiddetto Western Ghat, regione dal fiume Tapti a Kanya Kumari,
India del Sud.
Vidarbha: regione del Mahārasthra, India.
Vindhyāchal, distretto di Mirzapur, Uttar Pradesh; in questa città si trovano tre templi dedicati al Dio
Shiva e tre dedicati alla Dea nei suoi aspetti benefici e terribili. I templi sono costruiti ai vertici di due
triangoli che s’intrecciano, formando la stella cosmica. Il triangolo con la punta in giù indica l’energia
femminile, quello con la punta in su rappresenta l’energia maschile.

I NOMI

Il nome Lopāmudrā formato da Lopā-perdita e mudrā-sigillo-gesto rituale, significa la mudrā della


perdita o il gesto rituale della perdita. Come vedremo, ella nacque dall’unione degli organi e delle
caratteristiche che alcuni animali avevano perso. Lopāmudrā, chiamata anche Kaushītaki, Varaprada e
Kaveri, fu la prima donna filosofa.

Scrittrice, poetessa e asceta, Lopāmudrā fu la prima donna ad affermare che la vita sessuale, la
tenerezza, le emozioni e il sentimento possono coesistere con la vita ascetica. Infatti, scrisse un
famosissimo inno del Rigveda in cui spiegava al marito l’importanza della tenerezza tra i coniugi.

1
Agastya è l’autore di 25 inni inseriti nel primo maṇḍala del Rig Veda. Il nome Agastya o Agasti,
formato da Aga (immobile-montagna-anfora) e Asti (lanciare-esistere-piegatore-piegare), significa
lanciatore o piegatore di montagne, oppure colui che vive nell’anfora. Egli nacque dalle acque di una
giara. Due saggi (Rishi) affascinati dalla vista della bellissima ninfa Urvashi, persero il seme che cadde
nelle acquee del vaso; dopo un certo tempo, dalla giara emerse un nano che fu chiamato Agastya e
anche Kumbha (Giara) Muni (asceta), l’asceta della giara. Il Rig Veda lo descrive con il nome "vrsam"
colui dal cui seme emerge la pioggia. Nel Jataka mālā, il saggio è comparato a una nuvola che si
trasforma in pioggia per il terreno assetato. Agastya offrì anche un contributo astrologico di estensione
oceanica: Nadi Jodhidam, un incredibile database di oroscopi scritti sulle foglie di palma.

BREVE PELLEGRINAGGIO RESPIRATORIO IL MITO E POI UNA METAFORA.


Esercitazione con SO (INSPIRO) E HAM (ESPIRO)
Fai respiri liberi.
Emana un profondo, lungo e udibile sospiro.
Respira, liberamente, poni attenzione uditiva sull’espirazione.
Continua, cercando di allungare il tempo dell’espirazione.
Ora, 4 respiri liberi.
E ora inizia il pellegrinaggio in un frammento del tuo Karma. Ascolta, prima di eseguire
Accompagna il suono SO all’inspirazione e il suono HAM all’espirazione. 12 volte.
Qualcosa sta cambiando nella tua percezione … puoi sentire "il suono del tuo animale".
Stai sentendo il suono del tuo animale.
Stai emettendo questo suono.
Fissa l’animale, ripetendo 4 volte SOHAM.
Inizia la lettura attiva. Una persona legge e le altre visualizzano a occhi chiusi.

2
IL MITO

Circa 5000 anni or sono, il saggio nano Agastya, viaggiando per il cosmo, arrivò nella dimensione
degli avi. In quei luoghi misteriosi, vide i corpi sottili di alcuni defunti sospesi con la testa all’ingiù. “Si
stanno, forse, preparando per un lungo viaggio agli Inferi?” pensò l’asceta. Non ebbe nemmeno il
tempo di darsi una risposta, quando le anime così gli parlarono: "Figliolo carissimo, noi siamo i tuoi
avi. Ti esortiamo a sposarti. Devi generare un figlio che possa offrirci le libagioni sacrificali per
liberarci. Abbiamo bisogno dei riti sacrificali per uscire da questa dimensione di passaggio. Da
moltissimi anni, stiamo meditando con la testa in giù per avere la fortuna di incontrarti e di persuaderti
a salvarci.”.

Preoccupato per la sorte dei suoi cari, Agastya decise di prendere moglie. La cosa, purtroppo, non era
così semplice. Nessuna donna avrebbe voluto lasciare una vita comoda per andare a vivere in
eremitaggio nella foresta; inoltre, la vita ascetica, lo studio e l’insegnamento richiedevano grandi doti
mentali, umanitarie e spirituali. E poi, quale donna avrebbe voluto sposare un vecchio nano?

Quando capì che non avrebbe mai trovato una sposa, il vecchio si arrese. Poi, in una notte di novilunio,
visualizzò la Dea nella forma di una donna speciale. Meravigliosa e unica, la donna aveva le
caratteristiche e i tratti migliori dei più preziosi animali: gli occhi di una cerva, il portamento di una
leonessa, il collo di un cigno, la voce di un usignolo, il colore lucente di una pantera, la memoria di un
elefante, la fedeltà di un cane, l’astuzia di un serpente, la sensualità di un gatto, la fierezza e
l’intelligenza di un cavallo, la tenerezza di un delfino, la regalità di una tigre, la simpatia di una
scimmia, la laboriosità di una formica, la leggerezza di una libellula, la bellezza di una farfalla dai
colori ammalianti, l’eleganza dell’antilope, la saggezza del gufo, ecc. Il suo corpo era costituito di
sostanza sottile celeste; dunque, le mancava il corpo fisico. Aveva bisogno di nascere da un corpo
umano per assumere la sostanza fisica.

In quel periodo, il re di Vidarbha era intento a seguire penitenze molto dure per ottenere un figlio.
Allora, Agastya gli promise di renderlo fertile in cambio di una promessa: se fosse nata una femmina,
all’età giusta egli sarebbe tornato per sposarla. Appena il re accettò, Agastya chiese alla creatura sottile
di passare nel seme del re Vidarbha e di impiantarsi nell’utero della regina, affinché potesse nascere
con un corpo umano.

Nonostante volesse un maschio, quando nacque la bambina, il re l’accolse con gioia e la chiamò
Lopāmudrā, ossia mudrā della perdita, quasi avvertisse che cosa gli animali avevano perduto per darlo
a lei.
La bambina possedeva tutte le virtù. Sin dalla più tenera età, trovava le risposte alle domande più
astruse. In effetti, fu la prima filosofa bambina. Amava la meditazione e la Dea Lalitā Tripurāsundarī.
A soli sette anni, Lopāmudrā promise alla sua Dea che un giorno, sarebbe stata utile all’umanità,
trasformandosi in un fiume.
Ella crebbe bella, buona, intelligente e saggia. Le sue doti scoraggiavano tutti quelli che chiedevano la
sua mano. Troppo difficile convivere con una donna perfetta!
Al momento giusto, Agastya chiese la mano della giovane. Il padre della ragazza sprofondò in un
immenso stato d’angoscia, la madre restò muta dal dolore: non volevano che la figlia sposasse il
vecchio nano e andasse a vivere da eremita, senza alcuna sicurezza materiale. Tuttavia, avevano un
debito con l’asceta e temevano la sua reazione. Il conflitto bruciava e turbava il cuore dei poveri
genitori. Fu la stessa Lopāmudrā a risolvere il problema, convincendo il padre a darla in sposa ad
Agastya. Ella, però, pose due condizioni al futuro marito: la prima era di voler sempre seguire Agastya,

3
fino al giorno di un evento speciale. Si riservò di rivelare la seconda condizione, al momento
opportuno. Il saggio accettò.
Subito dopo le nozze, la principessa dagli occhi di cerbiatta si liberò dei gioielli e dei ricchi abiti,
indossò la pelle di un cervo, seguì il marito a Gangādwara e poi nel Sud a Sahyadri. Con molto piacere,
ella si dedicò alla vita ascetica e alla conoscenza della Sri Vidyā. Il saggio intanto aveva dimenticato la
promessa fatta ai suoi avi ed era semplicemente felice di condividere le giornate con la sua principessa
nuda. Di notte, preferiva meditare.

Dopo alcuni anni, Lopāmudrā si stancò dell’astensione e scrisse un magnifico poema di due stanze per
chiedere al marito attenzione e amore; varie frasi furono spese per lamentarsi della freddezza e della
mancanza di emozioni del marito.

Dopo aver letto l’inno, Agastya guardò la moglie con nuovi occhi. In lui, iniziò a risvegliarsi una strana
sensazione, ma non capiva di che cosa si trattasse. Poi, ricordò il giuramento fatto ai suoi avi.

Un giorno, vedendo la moglie uscire dalle acque del fiume, egli desiderò fare l’amore con lei. Non
essendo abituato alle arti amatorie, egli corse per unirsi frettolosamente e goffamente alla moglie.
Lopāmudrā lo fermò e gli comunicò le sue regole: "Per quanto riguarda la vita da eremita, io ho seguito
le tue abitudini e ho condiviso con te tutte le austerità richieste dalla condizione ascetica. Per ciò che
concerne l’unione dei nostri corpi, io resto una principessa. Ti accetterò solo in un letto reale,
incastonato di gemme preziose e preparato con le stoffe più pregiate. Dovrai giungere al mio letto,
adornato di fiori profumati e di preziosi gioielli. Io ti accoglierò, adornata con i gioielli degni del mio
rango.”

Confuso e preoccupato, Agastya così rispose alla moglie: “Donna bellissima dalla vita di vespa, io non
possiedo tali ricchezze!”

4
La saggia gli rispose: "Amato, tu non sei un asceta ordinario. Tu puoi creare ciò che vuoi con un solo
gesto. Puoi far apparire qualsiasi cosa dal nulla. Devi solo utilizzare i tuoi poteri. Dunque, fa’ ciò che ti
ho chiesto”.

Intenerito dall’ingenuità della moglie, il saggio rispose: "Mia amata Lopāmudrā, ciò che affermi
corrisponde a verità. Dovresti sapere, però, che io non ho scelto la vita ascetica per utilizzarne i poteri
conseguiti. Io non desidero compromettere la vita ascetica per ottenere beni mondani. Sino a oggi, tu
non mi hai chiesto niente, perciò io vorrei accontentarti. Ti prego, chiedimi qualsiasi altra cosa."

Dopo un lungo silenzio, Lopāmudrā rispose: “O saggio appesantito dall’opulenza ascetica, la mia
stagione non durerà a lungo, perciò non ho altre richieste, al di fuori di questa. Tuttavia, non desidero
alleggerire il tuo ascetismo. Trova il modo per accontentarmi, senza sfruttare la tua virtù. “

Allora, Agastya decise di elemosinare i gioielli presso tutti i re. Per prima, si recò dal re Srutarvan, ma
al momento di chiedere aiuto, fu assalito da un forte senso di colpa. Si fece coraggio e così si rivolse al
re: "Sire, io sono venuto ad elemosinare gioielli e stoffe preziose. Ti prego, offrimi ciò che chiedo,
purché questo non causi perdita o ingiuria ad altri.”.

Quando il re gli mostrò il bilancio in cui le spese (che includevano grandi opere di beneficenza) erano
uguali alle entrate, Agastya rinunciò all’aiuto. Si recò dal re Vradhnaswa, ma anche con lui accadde la
stessa cosa. Lo stesso avvenne con altri monarchi. Infine, l’ultimo re visitato, Trasadasyu, spiegò ad
Agastya: “Grande saggio, solo un sovrano demone può aiutarti perchè possiede grandi capitali
accumulati a discapito dei sudditi. Dunque, recati dai fratelli demoni Ilwala e Vatapi”.

I due demoni fratelli possedevano strani poteri. Vatapi poteva trasformarsi in qualsiasi creatura. Ilwala
conosceva il mantra della vita e perciò, era capace di riportare in vita chiunque, chiamandolo per nome.
L’incantesimo funzionava, anche se la creatura era stata tagliata a pezzi; anzi, le membra si
ricongiungevano e la persona si ricomponeva in un attimo. I due fratelli usavano il loro potere
congiunto per distruggere i nemici. Una volta, Vatapi che si era trasformato in un ariete, fu tagliato a
pezzi e la sua carne fu offerta ai sacerdoti. Dopo che i bramini ebbero mangiato, Ilwala gridò il nome
del fratello. I pezzi di carne nel ricomporsi fecero scoppiare l’intestino dei sacerdoti, uccidendoli.
Agastya decise di sfidare i due demoni ed annunciò che se fosse riuscito a neutralizzare il loro
incantesimo, avrebbe chiesto uno scotto. I due acconsentirono e lo invitarono a mangiare. Intanto,
Vatapi si era trasformato nel capretto offerto a cena e contava di far scoppiare il corpo del saggio.
Agastya, avendo capito l’inganno, mangiò la carne che Ilwala gli offrì. Dopo il pasto, si passò una
mano sullo stomaco ed esclamò: “Jirnam, jirnam vathaapi jeernam”. Si trattava di un gioco di parole
dal doppio significato “Digerito, digerito, Vathapi è stato digerito”, oppure “Il cibo mangiato sarà ben
digerito”. Agastya stava usando il dono della parola che diventa profezia istantanea. Stava utilizzando il
suo potere, proprio come gli aveva chiesto la moglie, ma in una maniera più complessa e pericolosa.
Quando Ilwala chiamò per nome il fratello, come risposta, ottenne una grossa eruttazione. Poi Agastya
ridendo, gli disse: "Tuo fratello non può uscire perché l’ho completamente digerito.”.
Ilwala fu sconvolto dal dolore per la morte del fratello, ma volle essere fedele al patto stabilito e chiese
al saggio di formulare un desiderio. Agastya fece la stessa richiesta proposta agli altri re. Ilwala, allora,
gli offrì molto più di quanto richiesto, tra cui un carro alato d’oro per raggiungere l’eremitaggio in un
lampo. L’eremita regalò i beni eccedenti ai re che aveva visitato e tenne per sé solo quelli richiesti dalla
moglie.
Si presentò alla principessa, come da lei richiesto. Quando si coricarono, Lopāmudrā si liberò di tutti i
gioielli e delle stoffe preziose. Ritornò nuda e affermò che non le interessavano e che non li avrebbe
indossati mai più. Poi espresse il desiderio di avere un figlio dotato di una potente energia. Allora, il
5
santo nano comprese che sua moglie aveva preteso gli ornamenti, solo per chiedere maggiore
attenzione.
Dopo il concepimento, il saggio si ritirò nella foresta a meditare. Lopāmudrā portò avanti la gravidanza
per sette anni, poi partorì un figlio circonfuso di luce che fu chiamato Dridhasyu e divenne un gran
poeta. Da grande, egli si occupò dei riti funebri per liberare i suoi antenati ed aiutarli a raggiungere la
dimensione cosmica.
Molti anni dopo la nascita del figlio, durante un pellegrinaggio, Agastya svenne nel pieno della notte.
Lopāmudrā prese il marito sulle spalle per trasportarlo all’eremitaggio. Sfortunatamente, mentre si
chinava per scansare i rami di un albero, il piede penzolante del marito calpestò un eremita seduto che
infuriato, gridò: “Colui a cui appartiene questo piede morirà, prima dell’alba”. Lopāmudrā rispose:
“Allora, io non permetterò che il sole sorga!”
E così fu: la Terra sprofondò nel buio e la vita terrestre rischiava di perire. Quando i Deva
scongiurarono la donna di ritirare la maledizione e di salvare il pianeta, ella chiese in cambio
l’immunità di Agastya. E così, il vecchio nano fu salvo.
I due eremiti continuarono la loro lunga vita di ascesi, di amore, studio, insegnamento e pellegrinaggio.
Lopāmudrā scrisse vari inni e si dedicò all’insegnamento della filosofia divina. Quando era stanca di
camminare, si rimpiccioliva e trasformandosi in acqua, si rifugiava nel kamandalu (anfora con manico
che gli asceti usano per trasportare l’acqua) del marito.
Poi accadde che la Terra fu afflitta da una calamitosa siccità causata dal demone Shurapadma che
impediva alla pioggia di scendere. Le sofferenze degli umani, degli animali e della natura erano
indescrivibili. Lopāmudrā capì che era arrivato il suo momento. All’alba, quando Agastya si recò al
lago per le abluzioni quotidiane, ella gli comunicò di volerlo seguire, nascosta nell’anfora. Fece un
salto e si accoccolò nel recipiente. Arrivato al lago, Agastya appoggiò il vaso dietro una roccia e andò a
immergersi. Immediatamente, Lopāmudrā invocò Ganesha, il Dio che rimuove gli ostacoli. Il Dio si
trasformò in un corvo e volando accanto alla roccia, fece cadere il recipiente.
L’acqua sgorgò e bagnò le zolle aride. La Terra emise un grido di gioia. Le onde sembravano danzare,
moltiplicandosi all’infinito e formando gorghi e ghirigori. Nacque il fiume Kaveri. Sembrava che tutta
la natura ridesse. Agastya, invece, era sotto shock e gridava, piangendo: "Perché lo hai fatto?"
Correndo, cercava di afferrare l’acqua, ma non riusciva a trattenerla. Poi, sentì la voce cristallina della
sua compagna di vita e di meditazione: “Questa era la mia seconda condizione: restare con te, sino al
momento della mia metamorfosi. Ora è avvenuta e io ti saluto.”
Il santo comprese che non poteva impedirle di portare a termine il suo progetto karmico. Si arrese alla
realtà, benedì il nuovo corso d’acqua e partì. Commosso da tanto amore, Ganesha volle premiare il
santo, ispirandogli il primo data base astrologico. Agastya scrisse sulle foglie di palma il tema natale di
tutti gli esseri presenti e futuri.
Alla sua morte, Agastya si trasformò nell’omonima stella del Sud che egli, molti anni prima (4000-
5000 A.C.), era stato in grado di scorgere, attraversando la montagna di Vindhyāchal. Era Canopus
(Alpha Carinae).

LA STELLA

Nella mitologia Hindu, Canopus o stella del sud o Agastya è un astro molto bello, colorato e radioso.
Secondo il Vishnu Purana, a nord di questa stella e a sud delle tre costellazioni lunari (Nákṣatrā) Mulā,
Purvashadha e Uttarashadha, vi è una strada che conduce verso il Pitrloka, la regione degli avi. Mulā,
governata dal Nodo lunare sud (Ketu), si estende da 0°00' a 13°20' del Sagittario. Il suo simbolo è la
coda di un leone o un pungolo per elefanti. Purvashadha è governata da Venere. Si estende da 13°20' a
26°40' del Sagittario e il suo simbolo è una zanna d'elefante. Uttarashadha, governata dal Sole, si
estende da 26°40 Sagittario a 10°00' Capricorno e il su simbolo è una piccola capanna. La coda del
leone, la zanna di elefante e una capanna sono le immagini che accompagnano i defunti verso la loro
6
dimora transitoria. La Srimad-Bhāgavata (5.26.5) afferma che questa regione è connessa con alcuni
pianeti oscuri e si estende al sud dell’Universo, sotto il Bhu-mandala, ossia il sistema planetario
terreno.   

In India, Canopus o Agastya annuncia l’arrivo dei monsoni e la purificazione dei territori, attraverso
la pioggia e l’ingrossamento dei fiumi che rendono possibile la vita.

OROSCOPI SCRITTI SULLE FOGLIE DI PALMA


In varie città dell’India, si trovano oroscopi scritti su vecchie cataste di foglie di palma. A
Kanchipuram, una città del Sud, pellegrini da tutta l’India e dal mondo si recano per conoscere il
proprio futuro, restando in attesa del loro turno per ore o per giorni. Le previsioni sulle foglie sono
scritte in Tamil arcaico. L’età dei pandit che le leggono, va dai venti ai trenta anni; la scrittura è molto
scolorita, perciò richiede un’ottima capacità visiva. La consulenza avviene in tre stretti cubicoli. Una
volta trovata la foglia corrispondente al nativo, la lettura è fatta ad alta voce. Le predizioni di Agastya
non sono mai fataliste; molto può essere cambiato dalla volontà del nativo e dalla sua capacità di
reagire agli eventi in modo consapevole. Anzi, la caratteristica di questa reazione influisce sul karma
personale. Ognuno può scegliere il percorso preferito per apprendere a reagire nel modo giusto.

Come dono personale, raccogli questa metafora e se ti fa piacere, prova a farla risuonare, senza
interpretarla, né analizzarla.
“Dalle parti interiori del ragno emerge il filo.
Costruisce la ragnatela, percorrendo il filo.
Riassorbe il filo, dissolvendo la tela”.
Lascia che questa metafora vaghi in te, attraverso il ricordo. È possibile che nasca un’occasione per
incontrarci. Allora, volendo, potremmo fermarci per scambiare le nostre piccole luci sulla metafora.
Potremmo anche raccoglierle e costruire una TELA.

Potrebbero piacerti anche