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KATHOPANIṣAD

LEZIONE 25

Jīvātman e Paramātman
(ulteriori spiegazioni)

Di Śrī Madhusudan Sai

dvaita (dualità)
Brahman è reale, ma anche il mondo è reale.
Il devoto e Dio sono separati, sono realtà indipendenti.

viśiṣṭa advaita (monismo condizionato)


Esiste soltanto Brahman.
Il mondo e gli individui sono forme differenti di Brahman.
Il devoto è una scintilla divina.

advaita (monismo)
Esiste soltanto Brahman.
Il devoto e Dio sono la stessa cosa, sono Uno.

Ieri abbiamo parlato di dvaita, viśiṣṭa advaita e advaita bhava. In dvaita il


devoto è da una parte e il Signore è da qualche altra parte: l’uomo e Dio sono due
cose distinte. Dvaita significa due, dvaya. Viśiṣṭa advaita, invece, è una sorta di unità
particolare, in modo separato, in modo viśiṣṭa. Tuttavia vi è unità, poiché si tratta di
advaita, che significa ‘non due’ e non di dvaita, che significa due. In ultimo abbiamo
parlato di advaita, nel quale non vi è il concetto di dualità, esiste soltanto l’Uno.

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Qualcuno mi ha domandato: “Che cos’è tutto ciò? Dato che questo è un concetto
molto importante potresti fornirci ulteriori spiegazioni?”. In effetti è davvero
importante per riuscire a comprendere la Kaṭhopaniṣad.
Quando finì la guerra, Sri Rama, di fronte a tutto il sabha (corte), chiese ad
Hanuman: “Chi sei?”. Non che Rama non sapesse chi fosse Hanuman, non che
Hanuman non sapesse chi fosse e non che la gente non sapesse chi fosse Hanuman.
Tutti lo sapevano, eppure quando un Maestro pone una domanda apparentemente
ovvia come: “Da dove vieni? Come ti chiami? Chi sono i tuoi genitori? Qual è lo
scopo della tua vita?” non dovreste interpretare quella domanda a livello materiale:
“Vengo da Chikkaballapur, vengo da Bangalore, il mio obiettivo nella vita è diventare
ingegnere, medico o insegnante….”. Queste domande sono molto più profonde e
dovreste meditarci sopra.

dehabuddhyā tu dāṣo’haṁ
jivabuddhyā tvadamśakaḥ|
ātmabuddhyā tvamevāham
iti me niścitā matiḥ||

(Quando penso di essere il corpo, allora sono il tuo servitore.


Quando invece mi considero il jīvā, l’anima individuale, sono una parte di Te.
Quando mi vedo come ātman, il Supremo Sé, io sono Uno con Te.
Di questo sono fermamente convinto).

Eppure sebbene Rama sapesse benissimo chi fosse Hanuman, avendo


combattuto insieme in guerra, gli chiese davanti a tutti: “Chi sei tu?”. Hanuman però
non rispose: “Io sono Hanuman, figlio di Anjana, Vayuputra (figlio di Vayu); io sono
colui che ha combattuto in guerra al tuo fianco”. Non rispose in questo modo, ma
piuttosto disse:
dehabuddhyā tu dāṣo’haṁ: quando
penso di essere questo corpo, sono il Tuo
servitore;
jivabuddhyā tvadamśakaḥ|: quando
credo di essere il jiva, allora sono una
parte di Te, amśa di Te;
ātmabuddhyā tvamevāham: quando
penso di essere l’ātman stesso allora sono soltanto Te, non vi è più alcuna differenza;
iti me niścitā matiḥ||: di questo sono fermamente convinto.

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Quando penso a me stesso come un corpo fisico
allora sono il tuo servitore
deha: corpo
indriya: sensi
manas: raccolta di pensieri
citta: memoria
buddhi: capacità di discriminare
ahaṁkāra: identificazione

Quando sento la presenza della Divinità dentro di me,


mi considero come una parte di Te
Il jīvātman (l’anima individuale) è un riflesso
(o una scintilla) del Paramātman (del Supremo Sé).

Quando sento di essere l’ātman sono certo


che Tu e io siamo Uno.

Non è una credenza confusa: potrebbe essere così oppure no. Assolutamente no,
non vi è alcuna incertezza o confusione. Egli afferma: “Sono molto sicuro che questo
è ciò che sono. Quando penso: ‘Io sono questo corpo’, allora mi identifico con il
corpo fisico e sono un Tuo servitore. Quindi il corpo e gli indriya, la mente, citta,
buddhi e ahaṁkāra, l’identificazione con il corpo, quando tutti questi aspetti sono
insieme e penso soltanto a loro, allora credo di essere semplicemente il Tuo servitore.
Ma quando vado un pochino più in profondità e percepisco la presenza della Divinità
dentro di me, percepisco l’ātman o il jīvātman dentro di me, io sono una parte di Te,
Rama, non sono separato da Te”. Come quando vedete il riflesso del Sole in un
recipiente pieno d’acqua. “Ma se alzo lo sguardo e vedo il Sole, allora realizzo che io
sono il Sole, che non sono né il recipiente, né l’acqua e tanto meno il riflesso. Io sono
il Sole stesso, allora credo di essere Te e non ci sono dubbi al riguardo”.
Questa è una semplice formula per ricordare la differenza fra dvaita, viśiṣṭa
advaita e advaita. Gli dvaitin credono di essere il corpo e la mente e che debbano
adorare Dio per poi avere accesso al vaikunta (paradiso di Vishnu), al kailaśa (dimora

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di Shiva), al brahmaloka (regno di Brahma) o dovunque sia, poiché per costoro è lì
che risiede il Signore. Invece i viśiṣṭa advaitin affermano: “Il Signore non si trova
soltanto lì, Egli risiede ovunque e anche nel mio cuore e quindi posso trovare Dio nel
mio cuore meditando costantemente sul principio della Divinità che è dentro di me”.
Proprio come il riflesso del Sole nel recipiente. Quindi continuano a meditare sul
riflesso del Sole dicendo a loro stessi: “Questo Sole, che è dentro di me, si trova
anche al di fuori di me. Tuttavia questo è un piccolo riflesso, mentre quello è il
grande Sole. Quel grande Sole è Dio e questo piccolo riflesso sono io”.

Vi è un unico Sole che si riflette


in tutti i vasi.
Tu sei proprio quel Sole.

Il riflesso è come il jīvātman.


Il Sole è come il Paramātman.

Costoro la pensano in questo modo. Ma è questo l’approccio corretto? Se ci


pensate: da dove proviene questo riflesso? Proviene dal grande Sole lassù. Pertanto
quando alzate lo sguardo, dopo un po’ di tempo vi rendete conto che esiste un Sole
soltanto, che si riflette in tutti i recipienti pieni d’acqua. Quindi voi non siete né il
recipiente, né l’acqua e tanto meno il riflesso. In verità voi siete quel Sole: questa è la
realizzazione. Questa è advaita, la dualità non esiste più. Allora chiederete: “E il
corpo, l’acqua nel recipiente e il riflesso? Non crediamo più a tutto ciò?”.
Vi rispondo che quelle sono tutte modificazioni di me, che non sono il vero me.
La mia verità è il Sole e tutto il resto è semplicemente il riflesso di quel Sole in quel
vaso pieno d’acqua messo in modo che il Sole vi si possa riflettere. Affinché il
Paramātman si potesse riflettere in questo jagat (mondo), è stato creato il corpo, è
stata creata la mente. In questo modo il riflesso del Paramātman è stato reso visibile.
Se non fosse stato per questo non ci sarebbe stato bisogno di un corpo e di una mente,
saremmo sempre stati un tutt’uno con il Sole.
Se ci pensate bene, se approfondite e vi domandate: “Che cosa sostiene tutta la
creazione?”. Il cibo che cresce nel terreno, del quale ci nutriamo insieme allo spazio e
all’acqua. Ma tutto ciò da che cosa dipende? Da quell’unico Sole. L’intero sistema
solare, di cui la Terra fa parte, esiste grazie al Sole. Senza il Sole non ci sarebbe il
sistema solare e quindi nemmeno la Terra. Quindi sono la gravità del Sole e tejas, la
sua luce e il suo calore, che consentono la vita sulla Terra e che consentono alla Terra

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di restare nella sua posizione. La Terra ruota intorno al Sole e ciò si verifica grazie
alla forza gravitazionale che il Sole esercita sulla Terra. Quindi il sistema solare esiste
grazie al Sole e non grazie alla Terra.
Analogamente questo jagat esiste soltanto grazie a Dio, a Brahman. Tutto il
resto è un riflesso, una reazione, un’ eco di quello stesso Brahman. Potrebbe sembrare
che il recipiente, l’acqua e il riflesso del Sole nell’acqua siano cose diverse, ma senza
il Sole originario non sarebbero esistite la Terra e quindi nemmeno l’argilla, il vaso e
l’acqua. Nulla sarebbe possibile se non esistesse il Sole che è l’origine di tutto.
Anche gli scienziati affermano che la Terra
non esisterebbe se non ci fosse il Sole nel sistema
solare. E se la Terra non ci fosse, dove sareste voi
e dove sarei io? Nessuno esisterebbe. Quindi
anche per la scienza è molto evidente che la Terra
esiste soltanto grazie al Sole e, grazie all’esistenza
della Terra, esistono l’argilla, l’acqua, il vaso e il
riflesso. Se si approfondisce si comprende che
tutti questi elementi esistono semplicemente grazie a quell’unico Sole.
Tutti credono nell’esistenza di un solo Dio. C’è stata una conferenza sull’unità di
tutti i pensieri, sul tema: ‘Esiste un solo Dio’. Al termine della conferenza tutti
dicevano: “Sì, certo, c’è un solo Dio”. Erano d’accordo all’unanimità. Poi però
cominciarono a discutere fra loro. Allora l’organizzatore della conferenza domandò:
“Per quale motivo litigate? Proprio adesso abbiamo convenuto che esiste un solo Dio.
Anche i musulmani hanno dichiarato che esiste un solo Dio e così anche i cristiani e
gli indù. Allora perché litigate?”. “Litighiamo per stabilire quale Dio sia quell’unico
Dio. È il Dio degli indù quell’unico Dio o forse è il Dio dei musulmani quell’unico
Dio?”.
E così furono nuovamente confusi. In quale vaso è il vero riflesso? È il mio
riflesso che è reale o è il tuo riflesso che è reale? E così ricomincia la discordia.
Quindi questo concetto per cui i riflessi sono diversi e pertanto anche i Soli debbono
essere diversi è un’illusione. Ecco perché è da tempo che ripeto che jīvātman è un
concetto che è stato introdotto per comprendere il concetto più elevato di
Paramātman. Per noi che siamo così abituati ad avere un corpo e a identificarci con
il corpo è molto difficile immaginare noi stessi senza corpo.

Dio appare all’uomo come un essere


soprannaturale separato.

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Questa credenza è stata concessa affinché l’uomo
gradualmente sviluppasse la comprensione di Dio.

Un topolino penserà che Dio sia un grande topo. Un gattino penserà che Dio sia
un grande gatto. Un elefantino penserà che Dio sia un grande elefante e un essere
umano penserà che Dio sia un grande uomo, un superuomo, dotato di poteri
soprannaturali, che gli esseri umani non hanno e soltanto Dio ha e quindi è un essere
umano soprannaturale, è un superuomo. Ma non è così.
Tuttavia questo pensiero è stato consentito affinché gli uomini sviluppassero una
certa comprensione. Proprio come un bambino piccolo che non riesce a comprendere
che il Sole né sorge, né tramonta. Se direte ad un bambino che il Sole è fermo, che
non sorge e non tramonta, ma che è la Terra che ruota, non capirà e vi risponderà:
“Ma la Terra non ruota, io sono qui in piedi e non la vedo ruotare. Che cosa mi stai
dicendo? Piuttosto vedo che il Sole sorge e tramonta!”.
Quel bimbo non sa che mentre dormiva, la Terra ha ruotato di 180º. Quando si
sveglia pensa di essere sempre nella stessa posizione, non sente di aver girato assieme
alla Terra. Quindi, come lo si può spiegare a un bambino? Infatti l’insegnamento che
si impartisce ai bambini delle elementari è: questa è la direzione est, quello invece è
l’ovest, come fate a saperlo? Il Sole sorge a est e tramonta a ovest”. Il concetto di
jīvātman arriva fino a questo punto. Se però, innanzitutto, non si comprende il
concetto di jīvātman, non sarà possibile comprendere poi il concetto di Paramātman.
Bisogna compiere un passo per volta: prima si imparano i numeri, poi le
addizioni, le sottrazioni e le divisioni, in seguito le equazioni, i calcoli e i limiti e
infine la matematica astratta e la topologia. Non si può cominciare subito con
l’insegnamento della topologia, poiché non verrebbe compresa e si entrerebbe in
confusione. Non si capirebbero le dimensioni, le coordinate e i limiti.
È bene procedere per gradi e la Kaṭhopaniṣad ci guida passo dopo passo.
Vājaśravasa credeva in dvaita. Egli credeva di dover eseguire dei rituali per poter
andare in paradiso, dove Dio lo avrebbe benedetto per tutto quello che gli aveva
offerto. Questa è dvaita bhava. Allora Naciketa andò da Yama e gli domandò se è
quella la Verità. Yama rispose: “No!” e gradualmente gli insegnò una specie di viśiṣṭa
advaita dicendogli: “In realtà il jīvātman dimora in te”. Tuttavia allo stesso tempo gli
diede la possibilità di discriminare dicendogli: “In effetti non ce n’è uno, sono due.
Uno è il Sole originale e l’altro è il suo riflesso”.

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La Verità però è che entrambi sono la stessa cosa: se non ci fosse il Sole
originale esisterebbe il riflesso? No. Quindi, allo stesso modo, senza il Paramātman,
il jīvātman, che è il riflesso interiore dentro al nostro cidākāśa, non potrebbe esistere.
Pertanto vi è il Paramātman originale che è intatto, immacolato e incontaminato. Si
dice che il Paramātman sia nitya, śuddha, buddha, mukta, nirmala svarūpinam
(eterno, puro, illuminato, libero e incarnazione della sacralità), ma appare anche come
quel Sole che è stato catturato all’interno di una pentola d’acqua. Quella è
un’illusione, ma il bambino è molto felice e dice: “Ho catturato il Sole e l’ho messo
dentro al mio recipiente pieno d’acqua!”.

Quando il Paramātman viene condizionato


ovvero catturato nello spazio di un corpo
e di una mente viene chiamato jīvātman.

Quel bambino sente di aver catturato il vero Sole ed è proprio così che anche noi
concepiamo il jīvātman, nel senso che quel Paramātman è stato catturato nel corpo e
nella mente.
Quando il Paramātman è confinato, ovvero catturato nello spazio di un corpo e
una mente, viene definito jīvātman. Avviene un cambiamento, proprio come quando
un uomo si sposa e viene chiamato ‘marito’: quell’uomo è diventato un marito. Ma
quel marito non è più un uomo? Sì lo è ancora. Il vero uomo è il marito? No,
quell’uomo esisteva già prima e poi si è sposato ed è diventato un marito. Se non
fosse esistito l’uomo originario non
sarebbe potuto esistere nemmeno il
marito.
Tuttavia il comportamento dell’uomo
originale è diverso dal comportamento del
marito, poiché si suppone che il marito si
debba comportare bene. Di fronte alla
moglie si deve comportare come un marito e con i suoceri ancor meglio. Così viene
condizionato dovendosi comportare da marito. Ma prima del matrimonio chi era? Era
semplicemente un uomo che aveva un determinato comportamento. Adesso però si
comporta diversamente dato che è diventato un marito.
Questo è il concetto di Paramātman e jīvātman. Il Paramātman è paragonabile
alla persona originale e il jīvātman è paragonabile al marito, che è entrato a far parte
di una vita familiare e perciò viene definito marito. Un domani, se avrà dei figli, verrà

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chiamato padre e se in seguito avrà dei nipoti verrà chiamato nonno, poiché quello
stesso uomo è diventato marito, padre e nonno. Ma chi è la persona che era in
origine? L’uomo.
Questi sono tutti i condizionamenti di quell’uomo e cioè quell’individuo in
determinate ‘condizioni’ modifica il suo comportamento. Quindi il Paramātman,
quando si presume venga catturato nel nostro cuore, proprio come il riflesso del Sole
che viene catturato nel vaso pieno d’acqua, proprio come quell’uomo che viene
catturato nel marito, allora viene chiamato jīvātman.
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Vediamo ora un concetto molto importante del Vedānta, uno dei concetti chiave:
il corpo, come potete ben vedere, subisce dei cambiamenti, mentre il jīvātman
interiore non subisce alcun cambiamento.
Le lampadine possono essere sostituite, ma l’elettricità non subisce alcun
cambiamento. Quando la luce attraversa vetrate
colorate sembra che sia cambiata, ma in verità non
cambia; la luce è pura, incolore. Sembra diversa
soltanto perché è passata attraverso un vetro blu,
verde, rosso o giallo. Per esempio l’elettricità che
scorre nelle lampadine di diversi colori sembra
che abbia colori differenti. Allora possiamo
affermare che l’elettricità sia diventata blu o
gialla? No, eppure sembrerebbe così. Quando
l’elettricità scorre nella lampadina blu sembra che sia diventata elettricità blu.
Qualcuno potrebbe dire: “Oggi dalla compagnia elettrica ho ricevuto
un’elettricità speciale: era blu!”. Questa è immaginazione. Allo stesso modo quando
la luce passa attraverso una vetrata colorata, nonostante la luce sia priva di colore,
improvvisamente sembra colorata. La luce laterale diventa rossa, il fascio di luce
adiacente diventa verde e quello successivo diventa giallo. Questa è l’idea del
condizionamento.
Quando quella luce pura passa attraverso
uno stato, una condizione, ne viene condizionata,
upādhi, così manifesta attributi e proprietà
differenti dalle caratteristiche originali.

Quando la luce pura passa attraverso una condizione, viene condizionata e


sembra differente da ciò che era in origine, in sanscrito upādhi o upādhika: questo è

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il concetto di jīvātman. Tutti noi possediamo un corpo e una mente: qualcuno ha una
mente pura, qualcun altro ce l’ha agitata, qualcuno ha una mente scortese, mentre
altri ce l’hanno compassionevole. Per questo motivo il Paramātman sembra diventare
un jīvātman gentile o compassionevole, oppure scortese e maleducato. Lo stesso vale
per gli elettrodomestici: è sempre la stessa elettricità che passa attraverso il
frigorifero e la lavatrice, eppure in un caso il risultato sarà il raffreddamento e
nell’altro caso dei panni lavati e puliti.
Quella stessa elettricità scorre nei diversi
elettrodomestici e poi si manifesta con risultati
differenti, svolge ruoli diversi. Analogamente
quello stesso Paramātman che si manifesta
attraverso quella determinata persona è
chiamato jīvātman. Pertanto tutti questi corpi,
questi nomi e queste forme sono illusioni.
Illusione significa che è immaginazione
pensare che Dio sia diventato di colore
marrone oppure un nero, un caucasico, un asiatico, un americano o un europeo.
Questo è il nostro concetto di Dio, poiché in verità il Paramātman non è cambiato;
soltanto la pelle e il corpo nei quali il Paramātman si manifesta sono cambiati.
Ecco perché un grande vaso non rifletterà un Sole più grande rispetto al Sole che
si potrà vedere riflesso in un vaso più piccolo. Il Sole è sempre lo stesso; le differenze
sono esteriori e questo è il concetto di jīvātman.
Adesso vediamo come si fa a integrare il concetto elevato che siamo il
Paramātman e non siamo il jīvātman. Dobbiamo uscire da questo condizionamento e
cioè aprire quella bottiglia, versare l’acqua e guardare di che colore è. Vi dovete
interiorizzare, dovete andare in profondità, dovete promuovere l’indagine interiore in
modo da scoprire la verità da soli. Chi lo fa è un brahmānveṣamāṇa, colui che
investiga sul Brahman, che gradualmente si avvicina sempre di più alla Verità. Costui
viene anche definito ekātmapratyayasāra: colui che prende quel pensiero e che torna
indietro per rintracciarne l’origine.

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Brahmānveṣamāṇa è colui che
ricerca il Brahman o che ha
sviluppato uno spirito di indagine
investigativa sul Brahman.
Ekātmāpratyayasāra-anusarana è
colui che segue i pensieri sino a
rintracciarne l’origine per
scoprire quale sia la fonte dalla
quale derivano.

L’origine di tutto è quell’acqua pura e limpida, priva di colore, che la bottiglia


faceva sembrare colorata. Se ci si limita a guardare quella bottiglia non si scopre la
Verità, ma quando la si beve si comprende che si tratta sempre della stessa acqua, che
ha lo stesso sapore.

Pertanto è la mente che colora il Paramātman, proprio come la luce che


attraversa il vetro colorato si colora, proprio come l’elettricità che passa attraverso le
lampadine colorate o come l’acqua che si trova nelle bottiglie di colori diversi e
pertanto sembra che abbia un colore diverso. Allo stesso modo il Paramātman, che
interagisce con il corpo e la mente, è chiamato jīvātman e i jīvātman sembrano
apparentemente uno diverso dall’altro. Alcuni sono puri di cuore, altri sono duri, altri
sono spirituali e altri ancora sono materialisti e mondani.

In realtà non è il jīvātman che agisce, piuttosto sono la mente e il corpo che si
sovrappongono al Paramātman; proprio come il vetro colorato attraverso il quale
passa la luce, anche il Paramātman deve passare attraverso la mente e il corpo e così
si colora: questo è il concetto di jīvātman.
Pertanto il primo śloka dice: “Ne esistono due nello stesso spazio”. Che cosa
sono questi due? L’originale e il riflesso, la luce e l’ombra, chāya atapa: atapa
significa luce e chāya significa ombra.
L’ombra non potrebbe esistere
se non ci fosse la luce
atapa: luce
chāya: ombra,
immagine riflessa

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Eppure la luce esiste
anche in assenza di ombra

Senza la luce l’ombra non può esistere, tuttavia la luce può esistere senza
l’ombra. L’ombra non può sussistere senza la luce, ma la luce può esistere anche in
assenza di ombra. Il marito non può esistere se non c’è l’uomo, ma l’uomo può non
essere un marito. Allo stesso modo il Paramātman può esistere senza il jīvātman,
mentre il jīvātman non può esistere senza il Paramātman. Pertanto sedetevi e
trascrivetelo sui vostri quaderni e poi meditate su questo concetto: in che modo il
Paramātman è diventato jīvātman attraverso l’interazione con la mente e con il corpo
e di come menti differenti pensino in modo diverso, ‘muṇḍe muṇḍe matirbhinnā’,
abbiano abitudini diverse, simpatie, antipatie e preferenze diverse.
A qualcuno piace l’upma e a qualcun altro no e così via. Questi tipi di simpatie e
antipatie sono tipiche delle menti individuali. Da dove provengono queste preferenze
o questi rifiuti? Dipendono dal tempo che abbiamo trascorso vivendo in un certo
modo. Chi è nato e vissuto nell’India meridionale adorerà il cibo tipico di quelle
zone, mentre chi è nato nell’India settentrionale amerà il cibo dell’India del Nord,
agli europei piacerà il cibo europeo, mentre agli americani quello americano.
Pertanto il gusto di ciascun individuo si modella in base al periodo di tempo
trascorso in un determinato territorio, in un determinato momento storico e in una
determinata situazione: desha, kāla, paristhiti (spazio, tempo e circostanze) è upādhi
(condizionamento). In questo modo ognuno ha sviluppato le proprie simpatie,
antipatie e abitudini. Ma queste abitudini possono essere modificate? Certo che
possono cambiare! Ci vorrà un certo periodo di tempo, ma le abitudini possono
cambiare grazie alle compagnie giuste, alla comprensione corretta, all’approccio
giusto, a una buona educazione, a una buona guida, a dei buoni consigli e allo sforzo
appropriato.
Le abitudini possono essere modificate dato che non sono nate insieme a noi, ma
le abbiamo acquisite nel tempo. Possiamo cambiare l’abitudine a credere che l’acqua
sia rossa, verde o blu, indagando, interrogandoci e scoprendo la verità. La verità è che
il jīvātman altro non è che il Paramātman.
Ecco perché Hanuman molto intelligentemente rispose a Rama: “Quando penso
di essere soltanto il corpo sono il Tuo servitore, quando penso di essere il jīvātman
sono una parte di Te, sono un Tuo riflesso, sono una versione modificata di Te;
quando credo di essere l’ātman io e Te siamo la stessa cosa, non esiste più la dualità,
non ci sono più due entità separate e allora non sono più confuso. La confusione

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esiste soltanto nelle condizioni precedenti”. Queste sono advaita, viśiṣṭa advaita e
dvaita.
Mi hanno domandato: “Come mai a seconda del luogo nel quale ci troviamo
percepiamo vibrazioni differenti? In alcuni posti percepiamo una buona vibrazione,
mentre in altri la vibrazione è negativa”. Le vibrazioni non sono altro che energia e
ieri abbiamo capito che tutto lo spazio è energia. E=mc² è la formula che converte la
massa in energia. Quest’energia può essere forte oppure debole; la forza nucleare può
essere debole oppure forte. Esistono anche altri tipi di forze come la forza
elettromagnetica, la forza gravitazionale e altro ancora.

Tutti i pensieri che generiamo


sono forme di energia

Tutti i pensieri che generiamo sono soltanto energia. Queste energie occupano i
luoghi nei quali siamo e quando la nostra mente si trova in posti nei quali sono
immagazzinate energie tali, allora i nostri pensieri vengono influenzati dai pensieri
che sono rimasti immagazzinati in quel luogo.
Quattro ladri si mettono insieme, compiono una rapina pensando al bottino e poi
scappano, ma anche se sono andati via la loro energia si trova ancora in quel luogo e
quando noi passiamo di lì ci influenza. Proprio come Rama, Lakshmana e Sita che
stavano attraversando il Danḍakāraṇya. Camminavano in questo ordine: Rama era il
primo, dietro di lui c’era Sita e in ultimo
Lakshmana.
Appena entrarono nel Danḍakāraṇya,
Lakshmana iniziò a rimproverare Rama: “Per
colpa tua ci troviamo in questa foresta. Guarda
il piede di madre Sita che è ferito, livido e
sanguinante. Stiamo tutti soffrendo. Che idea
folle hai avuto nel voler attraversare il
Vanavasa? Kaikeyi ha ritirato la sua promessa
e ti ha pregato di tornare a palazzo, ma tu non hai voluto”.
Sita, che aveva udito tutto, era molto turbata, così chiese a Rama: “Che cosa
devo fare? Che cosa sta succedendo a Lakshmana?”. Rama le rispose semplicemente:
“Summa iru, mantieni la calma” e continuò a camminare. Quando uscirono dal
Danḍakāraṇya, improvvisamente Lakshmana si rese conto di ciò che stava
blaterando, cadde ai piedi di Rama e si scusò. Sita era nuovamente confusa: “Che

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cosa sta succedendo?”. Allora Rama spiegò: “La foresta era infestata di demoni e
diavoli ai quali la Divinità non piace, che sono intrisi di pensieri tamasici e rajasici.
Perciò quando Lakshmana stava camminando in quella foresta, la sua mente era
ancora molto agitata a causa di ciò che era accaduto a Vanavasa e quando vi è una
negatività nella mente questa diviene ancora più forte”. Quindi, quando una persona
tale attraversa un ambiente negativo, per lui diviene ancora più negativo. Rama,
invece, non veniva affatto controllato dalla mente, lui era sempre śuddha caitanya
(pura Coscienza), Egli dimorava costantemente nell’ātman: ‘Io sono Brahman, io
sono il Paramātman, non sono il corpo e la mente’.
Laksmana invece non aveva pensieri di questo tipo, infatti nel Ramayana
rappresenta la mente, Rama rappresenta l’ātman e Sita rappresenta la prakṛti (natura).
Quindi Iśvara (il Signore), jīva (l’anima individuale) e jagat (il mondo) sono Rama,
Lakshmana e Sita che sono sempre insieme. Prakṛti non ha uno svabhāva
(sentimento) proprio, mentre manas (la mente) ce l’ha ed è proprio manas svabhāva
che pensa continuamente in modo positivo o negativo. L’ātman invece rimane
intatto, incontaminato come lo spazio.
Ecco perché Rama non viene toccato da ciò che accade; invece Lakshmana è
agitato perché si associa con ciò che accade e Sita segue semplicemente, non ha voce
in capitolo. Se non ci fosse l’ātman, potrebbero esistere il corpo e la mente? No,
poiché dipendono dall’esistenza dell’ātman, ovvero Rama, e non è certo Rama che
dipende da loro. Egli procedeva da solo nella foresta, quando Sita e Lakshmana si
unirono a Lui: “Vengo anch’io, vengo anch’io!”. E fu così che cominciarono i
problemi.
Se l’ātman si fosse aggirato nella foresta da solo, non ci sarebbe stato nessun
attacco e nessun rapimento, non sarebbe successo nulla. Ma dato che l’ātman era
accompagnato dalla mente e dal corpo, si verificarono tutti i problemi del Ramayana.
Quindi siamo fatti così, il jīvātman è lo stato confusionale del Paramātman, che viene
modificato dal corpo e dalla mente. La lampadina rossa e l’acqua rossa equivalgono
al jīvātman.
Torniamo adesso alla domanda di quel ragazzo: “Perché mi sento male oppure
bene? È una conseguenza della mia immaginazione?”. In verità tutto è frutto
dell’immaginazione. Dal punto di vista del Brahman affermare: ‘Io sono buono’ è
immaginazione, ‘io sono cattivo’ è immaginazione, ‘io sono mondano’ è
immaginazione, ‘io sono spirituale’ è immaginazione. Per il Brahman tutto è
immaginazione; l’acqua nella bottiglia non è né rossa, né verde e nemmeno blu: tutto
ciò è immaginazione.

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Pertanto ‘buono’ o ‘cattivo’ nella società è immaginazione ed è così che vi
stabilite nel Rama tattva (Verità divina). Se siete nel Lakshmana tattva (‘verità’
mentale) tutto sembrerà reale e di conseguenza ne soffrirete. Quindi se vi volete
elevare al di sopra della dualità, dovrete raggiungere il Rama tattva, ovvero l’ātma
Rama, questo è il punto. Ecco perché tutte le volte che viene cantato il bhajan ‘andar
rama, bāhar rama, ghaṭ ghaṭ vāsi rama’ vengo automaticamente catapultato in
quell’Unità, poiché in ogni vaso, ghaṭa, c’è soltanto Rama.
Questo Rama non è diverso da quel Rama; in ognuno vi è sempre lo stesso
Rama, l’ātma Rama, questo è il punto. Invece Lakshmana è diverso in ogni vaso e
questo è il problema. Pertanto, ‘buono’ o ‘cattivo’, a un livello più alto, è
immaginazione. Ma se non avete raggiunto quel livello elevato dovete fare i conti con
il mondo. Ecco perché advaita darśanam jñānam: conoscerete la Verità soltanto
quando diventerete la Verità, non vi è un altro modo.
La vera meditazione si verifica quando
nella mente non compaiono né nomi, né forme

Tale condizione pura della mente, priva


di pensieri, è nota come brahmasvarūpa.

La condizione di assenza della mente dovuta


all’assenza di pensieri è detta amanībhāva.

Quando nella mente non vi è alcun nome e cioè parole, forme, ovvero oggetti,
allora quella è la vera meditazione. Quella condizione pura della mente che è priva di
pensieri è il brahmasvarūpa, la mente in quel caso viene detta amanībhāva, nessuna
mente. Assenza di mente significa che c’è, ma che allo stesso tempo non c’è, poiché
non sta pensando. La mente comincia a esistere quando pensa.

Ṛtam pibantau sukṛtasya loke guhām praviṣṭau parame parārdhe|


chāyātapau brahma-vido vadanti, pañcāgnayo ye ca tri-ṇāciketāḥ||

(Sono due coloro che godono dei risultati delle azioni compiute
nel mondo; costoro sono nascosti nella grotta suprema
del cuore e sono come la luce e l’ombra. Questo è ciò
che proclamano i conoscitori del Brahman, i capifamiglia (coloro che
preservano i cinque tipi di fuoco sacro) e coloro che eseguono
il sacrificio di Naciketa per tre volte) - Kaṭhopaniṣad 1.3.1

Ṛtam pibantau sukṛtasya loke, ieri abbiamo udito questo.

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Questa reazione inevitabile, ovvero karmaphala (frutto dell’azione), è ṛtam,
pibantau, viene goduto da entrambi;
sukṛtasya loke, qualunque cosa venga compiuta in questo mondo, l’azione o i
risultati dell’azione sono inevitabili e vengono goduti da entrambi, poiché entrambi
sono entrati nella grotta segreta, quella dimensione che si trova dentro il proprio
cuore,
parame parārdhe: quella è la dimora finale nella quale sono entrati e si
nascondono. E come sono?
chāyātapau: sono come l’ombra e la luce. Sono come l’oggetto e il suo riflesso.
Significa che l’uno dipende dall’altro e sono molto differenti fra loro.

Il jīvātman e il Paramātman che dimorano nella grotta del cuore


presentano delle evidenti differenze, nei loro attributi:

Jīvātman – anima individuale Paramātman – il Supremo Sé

prigioniero libero

vincolato privo di restrizioni

limitato infinito

La comprensione del jīva è catturata, vincolata e finita, mentre il concetto di


Paramātman è infinito, illimitato e libero. Sono diversi l’uno dall’altro, sono
l’opposto l’uno dell’altro eppure convivono. Dove? Nello spazio del cuore che è il
cidākāśa, lo spazio della consapevolezza.

I tre tipi di spazio

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būtākāśa lo spazio fisico (azione)

cittākāśa lo spazio mentale (pensieri)

cidākāśa lo spazio della coscienza


(consapevolezza)

Vi è uno spazio fisico, lo spazio dell’azione, uno spazio mentale, lo spazio del
pensiero e poi c’è lo spazio della consapevolezza. Entrambi dimorano nello spazio
della consapevolezza. Potete conoscerli soltanto attraverso la consapevolezza, non
pensando e nemmeno agendo. Quindi queste due persone si nascondono lì. Anche i
brahmavida, i pañcagni e i trinaciketa affermano che entrambi dimorano lì e che
godono dei frutti di tutte le azioni, che sono inevitabili.
Inoltre ieri abbiamo spiegato che uno è il jīvātman, l’ombra, e l’altro è il
Paramātman, l’oggetto, la luce e che sembra che entrambi alla fine godano dei frutti
dell’azione. Ecco l’immaginazione: ora ne sapremo di più.
Lo śloka successivo:

Yas seturījānānām akṣaram brahma yat param|


abhayam titīrṣatām pāram nāciketaṁ śakemahi||
(Siamo venuti a conoscenza del rituale sacrificale Naciketa che è come un ponte per
coloro che eseguono le offerte sacrificali e siamo venuti a conoscenza anche
dell’indistruttibile Supremo Brahman, laddove vi è assenza di paura, l’altra sponda
per coloro che desiderano attraversare l’oceano del saṁsara) – Kaṭhopaniṣad 1.3.2

Questa è la conclusione di quello che è successo finora. Yama dice a Naciketa:


Nāciketaṁ śakemahi;
śakemahi significa che abbiamo capito, che abbiamo ricevuto la conoscenza
riguardo il naciketa agni, come eseguirlo, che è come il setu, come il ponte per i
ījānānām, per coloro che compiono i sacrifici.
Dove conduce questo ponte? Vi porta a abhayam titīrṣatām pāram,

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abhayam significa il coraggio,
titīrṣatām significa la riva, che vi porta alla riva dell’impavidità.
Inoltre dice che abbiamo appreso anche l’altro aspetto di akṣaram brahma yat
param, di ciò che è il supremo akṣaram, l’indistruttibile Brahman.
Finora abbiamo imparato due cose: la prima è come eseguire un naciketa agni e
la seconda è come raggiungere le sponde dell’impavidità. Paure come: morirò,
diventerò povero, soffrirò, invecchierò, tutte queste paure vengono distrutte
eseguendo il naciketa agni. E dove si va? Fino al livello del Virāta della propria
esistenza, oltre gli svarga loka, (paradiso più alto).
Un’altra cosa che abbiamo imparato è akṣaram param brahma. Il naciketa agni
vi conduce nei cieli più elevati e l’Oṁ come akṣaram param brahma, vi fa
comprendere la realtà finale senza forma.
Yama conclude dicendo che abbiamo appreso queste due cose e inoltre introduce
il concetto di chi gode del risultato di qualunque cosa noi facciamo, sia che si tratti di
un naciketa agni o che meditiamo sull’akṣaram param brahma. Due persone che
dimorano nel nostro cuore ne godono: uno è il Paramātman e l’altro è il jīvātman,
che è il Paramātman condizionato. In realtà non ce ne sono due, ce n’è soltanto uno,
ma sembra che siano due; sono come l’oggetto e il suo riflesso.
Se entrate in una stanza nella quale c’è uno specchio vedrete il vostro riflesso: se
mangiate, anche il riflesso mangia. Allora quante persone stanno mangiando?
Soltanto uno mangia, ma sembra che siano due. Questa è la spiegazione del jīvātman
e del Paramātman. Sembra che entrambi stiano sperimentando i risultati delle azioni,
di qualunque cosa facciano il corpo e la mente. La verità è che non mangiano
entrambi, eppure sembra che sia così per via della nostra immaginazione.
Quando mettete il naivedyam davanti alla statua di Kṛṣṇa, pensate che Kṛṣṇa lo
mangi tutto? Credete che lo mangerà, che gli piacerà, ma a livello fisico non accade
nulla. Quella piuttosto è una credenza che avete sviluppato, credete che Kṛṣṇa lo
apprezzi.
Lo stesso vale per tutte le azioni che compiamo, crediamo che Dio, che dimora
dentro di noi, stia godendo di tutte le azioni che gli offriamo attraverso la mente e il
corpo. Tuttavia, in realtà, non vi sono due persone, ma soltanto una. Anche se
immaginassimo che uno mangi e che l’altro sia soltanto il suo riflesso, che sembra
che stia mangiando, la verità è che soltanto uno sta sperimentando ed è il testimone di
tutto ciò che accade.

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