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Nadif Aisha 2^C

“Il postino”, un capolavoro direttamente dall’ormai lontano 1994 donatoci dal celebre ed assai amato
Massimo Troisi e Michael Radford. Tratto dal romanzo “Il postino di Neruda”, meglio conosciuto come
“Ardiente Paciencia” o “El cartero de Neruda” nel paese d’origini, la regia italiana ci ripropone la trama
originale dello scrittore cileno Antonio Skarmeta, apportando semplicemente delle leggere modifiche.
Nonostante i primi ciak battuti da Troisi furono sull’isola di Pantelleria, gran parte del film è ambientate
sull’isola di Salina, sulla quale fu girato, nel 1963, anche un altro celebre film: “Il gattopardo”. Per quanto
riguarda il contenuto, troviamo una storia che se interpretata con occhio giusto, può rivelarsi più profonda
di quello che sembra. Qui ci ritroviamo Troisi nei panni del curioso e ambizioso Mario Ruoppolo,
protagonista principale del film. Mario è un celibe uomo dagli occhi curiosi che, rifiutatosi di mandare
avanti il mestiere di famiglia ovvero il pescatore, si ritrova a fare il postino presso l’unico ufficio postale del
paese, il quale direttore lo assume pur non potendo garantire a Mario un salario alto. Il suo compito è uno
solo, recapitare la posta al allora celebre poeta Pablo Neruda, mandato in esilio sull’isola dal governo
cileno, allora controllato da un governo centralizzato, a causa delle sue ideologie comuniste per nulla ben
accolte dal popolo. Comincia così il graduale percorso di Mario verso la conoscenza del misterioso poeta, il
quale inizialmente risulta essere chiuso, ma che man a mano che il suo postino va a porgli visita, inizia ad
abituarsi alla sua presenza. Alcuni giorni più tardi della conoscenza del poeta vediamo il nostro Mario
invaghirsi della bellissma e giovane Beatrice Russo, interpretata da Maria Grazia Cucinotta, cameriera e
barista nell’osteria di famiglia. In questo particolare momento del film scopriamo finalmente l’importanza
del personaggio di Neruda, il quale aiuta il giovane postino ad approcciarsi alla ragazza tramite la poesia.
Qui vediamo il nostro protagonista che apprende da Neruda il significato di un metafora, nonostante
avesse già dimostrato attraverso le parole di possedere qualche capacità di formulare qualche sottoforma
di pensiero a sfondo pseudo poetico spesso espresso in maniera un po’ goffa. Possiamo notare in questo
momento del film il modo in cui il protagonista, dopo aver appreso qualche elemento di base della poesia,
incomincia a nutrire un sogno assai ambizioso, quello di diventare poeta; infatti, essendo un personaggio
parecchio curioso, non si risparmia in alcun modo a porre numerose domande al poeta, quale all’ennesima
domanda posta dal postino, risponde con una frase che durante la visione del film non può non rimanere
impressa nella mente del pubblico: “la poesia se spiegata diventa banale”, parole piene di nient’altro che
verità. A livello personale, quest’opera cinematografica di stampo italiano non fa altro che ricordarmi
quanto i film italiani contemporanei a quello in questione siano, in termini di qualità, più che superiori alle
pellicole italiane a noi contemporanee. Si può dire dunque che sia per contenuto che per originalità
quest’opera eccelle nel suo campo. Se si pone attenzione ai dettagli infatti si nota come anche attraverso la
tecnologia e il montaggio il film sia tutto una metafora. Basta anche solamente notare come il piccolo paese
di ambientazione e l’abitazione di Neruda siano due mondi completamente opposti nonostante si trovino
entrambi nello stesso raggio kilometrico. Il primo viene infatti mostrato come se fosse “spento”, i colori
infatti sono tutti interamente dai sottotoni beije e grigiastri, questo a parer mio può rappresentare vari
aspetti come per esempio il fatto che in paese regnasse l’ignoranza di un popolo che si accontenta con il
suo misero lavoro da pescatore senza gettare uno sguardo al mondo esterno, al contrario della casa del
poeta dove notiamo subito come i colori si fanno più brillanti e accesi, simbolo di un piccolo angolo fiorente
di cultura. Le interpretazioni però possono essere varie. Questo film però è anche la prova di come,
nonostante il forte accento meridionale, anche gli elementi che costituiscono in sé la semplicità possono
essere pilastri di grandi capolavori. Per questo motivo a parer mio personale, il pubblico si affezione poi al
personaggio di Mario Ruoppolo, quale semplice ed ingenuo, a tal punto da rimanere con un senso di
tristezza nel cuore una volta giunti ai titoli di coda

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