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Le Leggi Razziali

Del 1938
Il 10 novembre 1938 il Consiglio dei ministri approvava le leggi razziali
fasciste, annunciate per la prima volta da Benito Mussolini il 18 settembre
1938 a Trieste. Si trattava di una serie di provvedimenti legislativi e
amministrativi, in vigore in Italia tra il 1938 e il 1945, volti a penalizzare le
persone ebree. Ma la discriminazione fu solo colpa del fascismo? O in Italia
il germe dell’ antisemitismo trovò un terreno fecondo?
L'Italia non divenne antisemita, ma gli italiani "fecero in un certo senso
l'orecchio” e si abituarono inconsciamente a certi argomenti
convincendosi che, in fondo, qualcosa di vero dovesse pur esservi. Gli
effetti si videro con le leggi per la difesa della razza promulgate a partire
dal settembre 1938. Per la Chiesa avevano "alcuni lati buoni".
"Discriminare e non perseguitare" fu la posizione più o meno ufficiale. Ma
«la discriminazione era persecuzione, la più barbara e la più ingiusta che
da secoli la terra italiana avesse conosciuta», ha scritto De Felice.
Fino al 1938, nel programma politico del Partito fascista non vi erano
indicazioni antisemite e il tesseramento era aperto anche agli ebrei.
L'assenza di un antisemitismo programmatico però non implica che il
partito fascista fosse «fondamentalmente non antisemita».
Il 16 febbraio 1938 venne pubblicata la nota della «Informazione
diplomatica n.14», contenente la prima esplicita pubblica presa di
posizione di Mussolini sulla questione ebraica. La nota, in modo
contraddittorio, smentì che il governo fascista fosse in procinto di varare
«una politica antisemita» su scala nazionale, ma confermava la volontà di
«vigilare sull'attività degli ebrei venuti di recente nel nostro Paese e di far
sì che la parte degli ebrei nella vita complessiva della Nazione non risulti
sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e all'importanza numerica
della loro comunità». Da questa nota si poteva dedurre che l'intenzione del
regime fosse quella di affermare una linea basata sull'
«ipotesi proporzionalistica», che rappresentava comunque una grave
forma di limitazione dei diritti degli ebrei. In realtà - secondo lo storico
Collotti - non si trattava soltanto degli ebrei di recente insediamento in
Italia: «si trattava di dare una visibilità agli ebrei italiani per poterne
affermare l'estraneità alla razza e quindi operarne la separazione, la
segregazione»

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