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INTERPRETARE PLATONE

INTERPRETARE PLATONE
SAGGI SUL PENSIERO ANTICO
A cura di Maria Luisa Gatti e Pia De Simone

Introduzione di Maria Luisa Gatti

VITA E PENSIERO
Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e testi
Collana fondata da Giovanni Reale
e diretta da Maria Luisa Gatti e Roberto Radice
146

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Comitato di redazione
P. De Simone, M.L. Gatti, R. Radice

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INTERPRETARE PLATONE
SAGGI SUL PENSIERO ANTICO

A cura di Maria Luisa Gatti e Pia De Simone

Introduzione di Maria Luisa Gatti

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Franco Ferrari
(Università di Salerno/Università di Pavia)

Il Bene e il demiurgo: identità o gerarchia?


Il conflitto delle interpretazioni nel medioplatonismo*

1. Il medioplatonismo: un progetto comune ma soluzioni diverse

Il cosiddetto “medioplatonismo”, vale a dire quella fase della storia del pla-
tonismo antico compresa tra il I secolo a.C., periodo in cui operarono figure
come Antioco di Ascalona ed Eudoro di Alessandria, e la composizione delle
Enneadi di Plotino nel III secolo d.C., non fu un indirizzo filosofico vero e
proprio1. Ciò non significa che i pensatori platonici attivi in questo periodo
non furono consapevoli degli elementi di novità che segnarono il distacco
dall’esegesi scettico-accademica di Platone, imperante durante il periodo el-
lenistico (da Arcesilao a Filone di Larissa). In alcuni di questi autori questa
consapevolezza prese la forma del ricorso, per autodefinirsi, all’appellativo
πλατωνικός contrapposto all’aggettivo ἀκαδημαϊκός, con il quale si indica-
vano i sostenitori dell’interpretazione scettica2. In generale, come è a tutti ben
noto, il medioplatonismo si caratterizzò per il ritorno a un’esegesi dogmatica
e sistematica di Platone, cioè per l’attribuzione al fondatore dell’Accademia
di una serie di dottrine positive – δόγματα appunto – nel campo della “fisi-
ca”, cioè dell’ontologia e della teologia, e poi dell’etica, della psicologia,
dell’antropologia, della demonologia e della cosmologia.
Il riconoscimento della comune tendenza a presentare la filosofia di Pla-
tone in forma dogmatica e sistematica3 non deve tuttavia oscurare l’esisten-

*
Questo saggio riproduce, con sostanziali modifiche, il testo di una relazione presentata al
colloquio internazionale Post-Hellenistic Theology tenutosi a Tübingen nel novembre 2017.
1
Sull’origine e la validità della categoria storiografica di “medioplatonismo” rinvio a
Ferrari 2018a, e soprattutto Catana 2013, passim; si veda anche Donini 1982, pp. 9-30.
2
Si veda in proposito Glucker 1978, pp. 206-225 e Bonazzi 2003, pp. 208-211. Ho di-
scusso questo ordine di problemi in Ferrari 2012, pp. 72-77.
3
Insieme all’opzione “sistematica” e “dogmatica”, gli autori medioplatonici condivisero
240 FRANCO FERRARI

za di significative divergenze tra gli autori platonici di questo periodo. Le


dottrine che i filosofi medioplatonici assegnarono a Platone furono diverse e
talora apertamente in contrasto le une con le altre. In questi secoli coesistono
immagini di Platone differenti e alternative (aristotelizzante, pitagorizzante
e stoicizzante), come testimonia del resto la composizione di un certo nu-
mero di scritti di carattere storiografico, nei quali gli autori medioplatonici
cercavano di legittimare la loro interpretazione anche attraverso una perso-
nale ricostruzione della storia del platonismo (opere di questo genere furono
composte da Antioco, Plutarco, Attico e Numenio)4.
Questa situazione è stata efficacemente descritta da Heinrich Dörrie verso
la metà degli anni 70. Lo studioso tedesco, il quale avrebbe una decina di
anni dopo varato il grandioso progetto del Platonismus in der Antike, scrive-
va: «Der Platonismus war längst nicht so stark dogmatisiert wie die Stoa seit
den Zeiten Senecas und Epiktets. Rigorismus hat dem Platonismus immer
fern. Toleranz hat ihm immer nahe gelegen. Das schloss freilich nicht aus,
dass man sich von Katheder zu Katheder bekämpfte; aber die Polemik blieb
in der Regel durchaus sachlich»5.
La più celebre delle polemiche che coinvolse i filosofi medioplatonici è
senza dubbio quella relativa alla corretta interpretazione della Weltentstehung
descritta nel Timeo, ossia dell’esposizione della generazione dell’universo
contenuta nel lungo monologo tenuto dal personaggio principale del dialogo.
La progressiva affermazione dell’esegesi metaforico-didascalica, inaugurata
nell’ambito della prima Accademia e poi rivitalizzata a partire da Eudoro di
Alessandria nel I secolo a.C., fu tenacemente avversata da Plutarco e Attico,
che cercarono in tutti i modi di sostenere le ragioni di un’esegesi letterale
del testo del Timeo e di promuovere dunque una cosmologia temporalista
secondo la quale l’universo è stato realmente generato dal demiurgo6. Agli
argomenti “temporalisti” di Plutarco e Attico replicò Lucio Calveno Tauro

un metodo, consistente nell’esegesi accurata dei dialoghi, tanto che questa fase della storia del
platonismo si caratterizza anche per l’impostazione marcatamente filologica che accomunò
questi autori: cfr. Donini 1994, passim, Ferrari 2012, pp. 77-88 e 2017, pp. 39-51.
4
Cfr. Ferrari 2017, pp. 36-39, con gli opportuni riferimenti alla letteratura critica.
5
Dörrie 1976b, p. 186. Sull’assenza nel I secolo a.C. di un platonismo unificato e sul
processo che ha portato a questa unificazione cfr. Donini 1994, pp. 5027-5035.
6
Sul dibattito antico relativo al significato della generazione dell’universo esposta nel
Timeo rimane insuperato lo studio di Baltes 1976.
IL BENE E IL DEMIURGO: IDENTITÀ O GERARCHIA? 241

nel suo celebre Ὑπόμνημα εἰς τὸν Τίμαιον, che giocò un ruolo decisivo nella
definitiva affermazione del paradigma didattico-didascalico ed eternalista7.
Un altro motivo di contrasto tra i filosofi medioplatonici fu rappresentato
dall’atteggiamento da assumere nei confronti della dottrina aristotelica delle
categorie, che alcuni integrarono all’interno del “sistema” platonico, mentre
altri, come Lucio e Nicostrato, criticarono aspramente.
Gli autori medioplatonici ebbero posizioni differenti anche intorno a una
serie di questioni di carattere metafisico, come ad esempio quella relativa alla
natura delle idee, alla loro collocazione ontologica e al rapporto con l’intellet-
to divino. Alcuni, come Alcinoo (Didasc. 164,27-31) e forse Attico (fr. 9,40
Des Places), sostennero la concezione secondo la quale le idee sono “pensieri
di Dio” (νοήματα τοῦ θεοῦ)8, mentre altri, come Plutarco, Apuleio e Nume-
nio, non sembrano avere aderito a questa celebre dottrina9. Non c’è dubbio,
però, che la divergenza più significativa nel campo della metafisica riguardò
la questione dell’esistenza o meno di una gerarchia all’interno del mondo in-
telligibile e in particolare l’ammissione di una divinità superiore al demiurgo.
Si tratta in realtà di un problema strettamente connesso all’esegesi della
metafisica di Platone e che può venire riassunto nel seguente interrogativo:
l’idea del Bene della Repubblica e il demiurgo del Timeo sono identici, op-
pure rappresentano due principi diversi, collocati in un ordine gerarchico che
prevede la subordinazione del demiurgo al Bene10?

2. La teologizzazione dell’ontologia e l’identità tra il Bene e il demiurgo

In effetti, come scriveva Matthias Baltes all’inizio del suo commento alle
testimonianze antiche relative al rapporto tra l’idea del Bene e il demiurgo,

7
La figura di Tauro è oggetto del recente studio di Petrucci 2018, pp. 26-145, il quale,
tuttavia, non ritiene che l’esegesi eternalista propagandata da questo commentatore platonico
del II secolo possa considerarsi “metaforica”, dal momento che essa rappresenterebbe una
versione alternativa dal punto di vista degli esiti teorici rispetto a quella di Plutarco e Attico,
dei quali condividerebbe l’approccio letteralista.
8
Cfr. Dillon 2011 e soprattutto Michalewski 2014, pp. 69-96 e 2017, pp. 132-139.
9
Sull’assenza in Plutarco della concezione delle idee come pensieri di Dio rinvio a Fer-
rari 1996, pp. 128-134; per Apuleio cfr. Moreschini 2015, pp. 255-259.
10
Sulla questione del rapporto in Platone tra l’idea del Bene e il demiurgo mi permetto
di rinviare a Ferrari 2017/2018, con i rimandi bibliografici pertinenti.
242 FRANCO FERRARI

«Völlig unklar ist bei Platon das Verhältnis der Idee des Guten zum Demiur-
gen»11. Gli interpreti medioplatonici di Platone non fanno che confermare
questa oscurità. Tuttavia, a differenza della polemica relativa alla natura del-
la cosmogenesi, il dibattito intorno al rapporto (di identità o di subordinazio-
ne) tra il demiurgo e l’idea del Bene non fu condotto in maniera esplicita e
diretta, o almeno i documenti a nostra disposizione non sembrano riportare
le tracce di una vera e propria polemica tra i sostenitori della tesi dell’identità
tra idea del Bene e demiurgo e i partigiani della distinzione tra questi due
principi. Ciò non significa, però, che gli autori coinvolti in questo dibattito
non formularono argomenti, sia di carattere filosofico, sia di natura esegeti-
ca, finalizzati a supportare la loro posizione. In questa sede mi riprometto di
ricostruire a grandi linee i termini nei quali prese forma questo confronto.
Nel medioplatonismo si fronteggiarono dunque due tendenze: a) quel-
la che Baltes definì die konservative Richtung des mittleren Platonismus,12
espressa da Plutarco, Attico, Apuleio, Massimo di Tiro e altri ancora, assunse
l’identità tra il demiurgo e l’idea del Bene; ad essa si oppose b) l’orientamen-
to di autori come Alcinoo e Numenio (forse anticipati da Eudoro), i quali
distinsero i due principi, collocando il Bene al vertice della gerarchia metafi-
sica e attribuendo al demiurgo un ruolo di carattere cosmologico13.
Prima di entrare in medias res, esaminando alcuni degli argomenti portati
in favore dell’una e dell’altra posizione, è necessario fare una premessa di
ordine generale, consistente nel richiamo alla circostanza che tutti gli autori
medioplatonici sembrano accomunati dalla tendenza a operare una sorta di
teologizzazione dell’ontologia, ossia a decretare il primato nella gerarchia
dell’essere a entità divine. Ciò significa che le realtà che occupano il vertice
della scansione ontologica non sono più, come accadeva in Platone, le idee,
bensì uno o più dèi, talora espressamente identificati con il Bene e il demiur-
go dei dialoghi platonici. La metafisica medioplatonica comporta una sorta
di communicatio idiomatum, ossia il trasferimento dei caratteri dell’essere a
una o più divinità.
Un caso emblematico di questa tendenza si trova nel De E apud Delphos
di Plutarco, un dialogo che mette in scena un’indagine a più voci finaliz-

Baltes 1998, p. 264.


11

Baltes 1999, p. 84.


12

13
Una ricostruzione accurata delle diverse posizioni si trova in Opsomer 2005; si veda
anche Ferrari 2015.
IL BENE E IL DEMIURGO: IDENTITÀ O GERARCHIA? 243

zata a individuare il significato della E che si trova nel tempio di Apollo a


Delfi14. L’ultima risposta, quella che rispecchia il punto di vista dell’autore,
viene fornita nella finzione drammatica dal filosofo platonico Ammonio, ma-
estro di Plutarco, e consiste nel riconoscimento dell’opposizione tra la natura
mortale (θνητὴ φύσις), sottoposta al divenire e mai identica a se stessa (e
perciò inconoscibile), e l’essere autentico (ὄντως ὄν), eterno, ingenerato e
incorruttibile, il quale si sostanzia in Dio, a sua volta identificato con Apol-
lo (De E, 392 A-393D = Baust. 204.2 Dörrie-Baltes). Si tratta di un’entità
completamente sottratta alla dimensione temporale, racchiusa in un eternità
acronica, priva di passato e di futuro, e dunque compressa in un presente sen-
za tempo15. L’Ammonio di Plutarco trasferisce al Dio i caratteri dell’essere
platonico, inaugurando, o più plausibilmente rafforzando, quella tendenza
teologizzante destinata a percorrere, sia pure con accenti diversi, tutto il me-
dioplatonismo.
Come anticipato, l’accentuazione della componente teologica dell’on-
tologia assunse forme diverse negli autori medioplatonici. In particolare il
principale motivo di disaccordo concerne la questione del rapporto tra il de-
miurgo del Timeo e l’idea del Bene di cui si parla nei libri VI e VII della
Repubblica. La convinzione che queste due entità vadano identificate, rap-
presentino cioè un principio unico, collocato al vertice della gerarchia onto-
logica, fu certamente la più diffusa in questa fase della storia del platonismo.
Essa fu condivisa da Plutarco, al quale sembra attribuibile, pur con qualche
incertezza, la tesi della coalescenza tra demiurgo, modello intelligibile e idea
del Bene16, da Apuleio17, da Massimo di Tiro e da altri platonici di questo
periodo.
Se in Plutarco (e negli altri autori ora menzionati) la tesi dell’identità tra
demiurgo e idea del Bene viene assunta per lo più in maniera implicita, essa

14
Sulla struttura, il contenuto e le finalità di questo dialogo cfr. Ferrari 2010, passim.
15
Sul platonismo di Ammonio in questa celebre sezione del De E è fondamentale Opso-
mer 2009, pp. 155-161. Si veda anche il commento di Baltes 2008, pp. 588-591.
16
De Iside, 372 E-F, 373 E-F, 382 C-E, An. pr. 1015 B-C (= Baust. 114.1 Dörrie-Baltes),
e soprattutto De sera, 550 D; cfr. anche Def. orac. 435 E-436 E (= Baust. 112 Dörrie-Baltes),
dove si assiste a una sorta di “compressione” delle cause razionali (agente, modello e fine).
In generale sulla metafisica di Plutarco si veda Zambon 2002, pp. 112-127, Ferrari 2005, pp.
14-18, e Opsomer 2005, pp. 87-96.
17
Sulla teologia di Apuleio cfr. Moreschini 2015, pp. 219-249.
244 FRANCO FERRARI

trova una formulazione inequivoca in Attico, ossia nel platonico che ha so-
stenuto con maggiore veemenza l’opportunità di assumere un’interpretazio-
ne letterale del testo dei dialoghi. Proclo ci informa sia della identità stabilita
da Attico tra queste due entità, sia delle aporie alle quali essa dà luogo:
<Ἀττικὸς> δέ, ὁ τούτου διδάσκαλος, αὐτόθεν τὸν δημιουργὸν εἰς ταὐτὸν
ἄγει τἀγαθῷ, καίτοι ἀγαθὸς μὲν καλεῖται παρὰ τῷ Πλάτωνι, τἀγαθὸν δὲ οὔ,
καὶ νοῦς προσαγορεύεται, τἀγαθὸν δὲ αἴτιον ἁπάσης οὐσίας καὶ ἐπέκεινα
τοῦ ὄντος ἐστίν, ὡς ἐν <Πολιτείᾳ> μεμαθήκαμεν. τί δ’ ἂν εἴποι καὶ περὶ
τοῦ παραδείγματος; ἢ γὰρ πρὸ τοῦ δημιουργοῦ ἐστι, καὶ ἔσται τι τἀγαθοῦ
πρεσβύτερον, ἢ ἐν τῷ δημιουργῷ, καὶ ἔσται πολλὰ τὸ πρῶτον, ἢ μετὰ τὸν
δημιουργόν, καὶ τἀγαθόν, ὃ μηδὲ θέμις εἰπεῖν, εἰς τὰ μετ’ αὐτὸ ἐπιστραφήσεται
κἀκεῖνα νοήσει.

Attico, il maestro di costui (scil.: Arpocrazione), identifica immediatamente


il demiurgo con il Bene, sebbene esso sia chiamato da Platone “buono” e non
il Bene, e sia definito intelletto, mentre il Bene è la causa di tutto l’essere
ed è al di là dell’ente, come abbiamo imparato nella Repubblica. Che cosa
poi potrebbe dire Attico del modello? O precede il demiurgo, e allora ci sarà
qualcosa che risulta più importante del Bene; o si trova nel demiurgo, e allora
il primo sarà molteplice; o è posteriore al demiurgo, e allora il Bene, cosa che
non è neppure concesso dire, si rivolgerà verso cose che sono dopo di lui e
penserà quelle (Procl. In Tim. I 305,6-16 = Attic. fr. 12 Des Places = Baust.
128.2 Dörrie-Baltes)18.

Proclo non nasconde il suo giudizio molto polemico nei confronti della tesi
di Attico, spiegando le ragioni per le quali essa risulta insostenibile, sia per-
ché poco rispettosa dei testi platonici, sia perché filosoficamente inaccettabi-
le. Egli non indica, invece, gli argomenti che Attico avrebbe portato in favore
dell’identità tra Bene e demiurgo. Si può, però, tentare di ricostruire a grandi
linee, e in via inevitabilmente congetturale e ipotetica, il ragionamento di
Attico. Egli avrebbe potuto argomentare pressappoco in questi termini: dal
momento che nel VI libro della Repubblica l’idea del Bene viene collocata
al vertice del mondo intelligibile e viene considerata come il principio delle
idee, che nel VII libro essa viene definita esplicitamente come τὸ ἄριστον ἐν
τοῖς οὖσι (532c6-7), ossia il migliore degli enti, e dal momento che nel Timeo

18
Su questa celebre testimonianza cfr. Baltes 1998, pp. 269-70, Opsomer 2005, pp. 73-
79 e Michalewski 2014, pp. 48-50.
IL BENE E IL DEMIURGO: IDENTITÀ O GERARCHIA? 245

si dice che il Dio, cioè il demiurgo, rappresenta τῶν νοητῶν ἀεί τε ὄντων
τὸ ἄριστον (37a1), cioè il migliore degli enti intelligibili eterni, sembra – o
quantomeno sembrò ad Attico – del tutto naturale identificare queste due
entità. Il Bene è il principio e la causa delle idee, e per questo è il migliore tra
gli intelligibili, mentre il demiurgo, secondo il Timeo, rappresenta il migliore
tra gli enti intelligibili eterni: dunque il Bene e il demiurgo sono identici.
Le obiezioni che Proclo indirizza contro la tesi dell’identità tra Bene e
demiurgo appaiono, almeno a prima vista, ragionevoli, se non altro dal suo
punto di vista esegetico, e mettono in luce le aporie che un simile punto di
vista sembra comportare. In effetti la posizione di Attico, oltre a non apprez-
zare adeguatamente la distinzione tra l’aggettivo maschile ἀγαθός, riferito al
demiurgo, e il neutro sostantivato αὐτὸ τὸ ἀγαθόν, non è in grado di fornire
una collocazione adeguata al modello intelligibile, ossia al mondo delle idee,
come emerge dal ragionamento di Proclo: se a) esso precede il demiurgo,
identico all’idea del Bene, si deve concludere che precede anche il Bene,
che invece dovrebbe costituire il principio delle idee e dell’intera realtà; se,
invece, b) il paradigma si trova nel demiurgo, allora il principio, ossia il
Bene, dovrebbe risultare molteplice; se, infine, c) il modello è inferiore al
demiurgo-Bene, allora quest’ultimo dovrebbe rivolgersi a qualcosa di infe-
riore. Come si vede, l’ipotesi dell’identità tra Bene e demiurgo appare incon-
sistente rispetto ad alcuni teoremi fondamentali della metafisica di Platone e
va dunque respinta19.
Forse proprio allo scopo di ovviare a simili difficoltà, autori come Alci-
noo e Numenio respinsero la tesi dell’identità tra idea del Bene e demiurgo
e assegnarono al Bene una collocazione superiore, relegando il demiurgo al
ruolo di “secondo Dio”.

3. Verso la gerarchizzazione della teologia

In Alcinoo, il misterioso autore del Didascalicus, un manuale di filosofia pla-


tonica risalente al II secolo d.C., la subordinazione del demiurgo a un principio
superiore emerge all’interno dell’esposizione di una gerarchia teologico-me-
tafisica tripartita, dalla quale potrebbero non essere assenti considerazioni di

19
È possibile che Attico, pur senza identificare il mondo intelligibile con il Bene-demiur-
go, abbia stabilito una stretta connessione tra queste entità, concepite come due aspetti di un
medesimo atto; si veda, a proposito di questa ipotesi, Michalewski 2017, pp. 132-139.
246 FRANCO FERRARI

natura logica. Si tratta di un testo molto celebre che merita di venire riportato
integralmente:

Ἐπεὶ δὲ ψυχῆς νοῦς ἀμείνων, νοῦ δὲ τοῦ ἐν δυνάμει ὁ κατ᾽ ἐνέργειαν πάντα
νοῶν καὶ ἅμα καὶ ἀεί, τούτου δὲ καλλίων ὁ αἴτιος τούτου [καὶ ὅπερ ἂν ἔτι
ἀνωτέρω τούτων ὑφέστηκεν], οὗτος ἂν εἴη ὁ πρῶτος θεός, αἴτιος ὑπάρχων
τοῦ ἀεὶ ἐνεργεῖν τῷ νῷ τοῦ σύμπαντος οὐρανοῦ. Ἐνεργεῖ δὲ ἀκίνητος, αὐτὸς
ὢν εἰς τοῦτον, ὡς καὶ ὁ ἥλιος εἰς τὴν ὅρασιν, ὅταν αὐτῷ προσβλέπῃ, καὶ ὡς
τὸ ὀρεκτὸν κινεῖ τὴν ὄρεξιν ἀκίνητον ὑπάρχον· οὕτω γε δὴ καὶ οὗτος ὁ νοῦς
κινήσει τὸν νοῦν τοῦ σύμπαντος οὐρανοῦ.

Poiche l’intelletto è migliore dell’anima e l’intelletto in atto che pensa con-


temporaneamente e sempre tutte le cose è migliore di quello in potenza, e più
bella di questo è la sua causa [e ciò che eventualmente ci sia ancora più in
alto di queste cose], questa sarà il primo Dio, che è causa per l’intelletto di
tutto quanto il cielo dell’essere sempre in atto. Agisce su quello [l’intelletto
del cielo], pur essendo immobile, come anche il sole agisce sulla vista quando
essa si rivolge a lui, e come l’oggetto desiderato muove il desiderio restando
immobile. In questo modo anche questo intelletto muoverà l’intelletto di tutto
il cielo (Alcin. Didasc. 164,18-26 = Baust. 188.1 Dörrie-Baltes)20.

Il passo di Alcinoo sembra distinguere tre entità e quattro condizioni: a)


l’anima, ossia presumibilmente l’anima del mondo; b) l’intelletto cosmico,
cioè il demiurgo, che presenta due momenti, uno b1) potenziale e l’altro b2)
attuale; c) la causa del passaggio dell’intelletto cosmico da uno stato poten-
ziale a uno attuale. Questa causa è per Alcinoo il primo Dio, che dunque è
inequivocabilmente distinto dal demiurgo. Il seguito del ragionamento indu-
ce a ritenere che anche questo primo Dio rappresenti un intelletto, sebbene
superiore all’intelletto cosmico. Si tratta evidentemente di un intelletto me-
tacosmico, ossia superiore al demiurgo, al quale spetta invece il compito di
guidare il movimento ordinato dell’universo. Nella parte conclusiva del bra-
no riportato Alcinoo identifica implicitamente questo principio con il primo
motore immobile del libro Lambda della Metafisica di Aristotele e con l’idea
del Bene della Repubblica di Platone. Egli colloca dunque al vertice della

20
Su questa celebre sequenza si veda Baltes 2008, pp. 323-329, al quale si deve la pro-
posta, ampiamente condivisibile, di espungere le parole collocate tra parentesi quadre, dovute
probabilmente a un filosofo neoplatonico, desideroso di attribuire ad Alcinoo l’ammissione di
un principio superiore all’intelletto metacosmico (p. 324).
IL BENE E IL DEMIURGO: IDENTITÀ O GERARCHIA? 247

gerarchia teologico-metafisica un intelletto supremo, concepito come causa


finale dell’intero universo; questo intelletto metacosmico, al quale vengono
trasferite le caratteristiche del Bene platonico e del motore immobile ari-
stotelico, muove, senza muoversi, l’intelletto demiurgico, che costituisce la
causa diretta del movimento del cosmo21.
È probabile che in Alcinoo, e poi anche in Numenio, la distinzione tra un
primo Dio, trascendente e inattivo (almeno dal punto di vista cosmologico)
e il demiurgo avesse l’obiettivo di affrancare il principio supremo da ogni
commistione con l’universo fisico. Per questi platonici il primo Dio è solo
principio ontologico e non cosmologico; la generazione e la guida dell’uni-
verso sono affidati al demiurgo, il quale riceve dal primo Dio il paradigma
eterno, cioè le idee, e lo trasmette, nei limiti del possibile, alla materia.
La distinzione del demiurgo dall’idea del Bene e soprattutto l’identifica-
zione del primo Dio con il Bene e del secondo Dio con il demiurgo, emerge
in maniera ancora più chiara che in Alcinoo nei frammenti del dialogo in
sei libri Περὶ τἀγαθοῦ di Numenio di Apamea. Sebbene i documenti a no-
stra disposizione non consentano di ricostruire in maniera precisa la sequen-
za argomentativa sviluppata in questo scritto, è verisimile che inizialmente
Numenio giungesse a individuare l’essere (τὸ ὄν) in ciò che è incorporeo,
sempre identico a se stesso, immutabile ed eterno (frr. 3-6 e 8 Des Places),
escludendo in questo modo la materia, il corpo e ciò che è composto22; suc-
cessivamente, senza giustificare questo passaggio (almeno nei frammenti di
cui siamo in possesso), Numenio si concentrava sulla sfera divina, indagando
le caratteristiche del primo e del secondo Dio (frr. 11-22), identificati rispet-
tivamente con il Bene e con il demiurgo. È probabile che nella transizione
dalla sfera ontologica a quella propriamente teologica giocasse un qualche
ruolo il richiamo alla nozione di causa e dunque al ruolo che il piano divino
esercita sia come generatore ontologico, sia come demiurgo dell’universo
sensibile. Comunque le cose stiano, la distinzione tra i due principi viene

21
Sui caratteri del primo Dio di Alcinoo si veda Dillon 1996, pp. 281-284 e soprattutto
Opsomer 2005, pp. 79-83. Sulla distinzione in Alcinoo tra un Dio trascendente e uno cosmi-
co-demiurgico si veda Alt 1993, pp. 14-27 e Donini 2011, passim.
22
Sulla strategia per mezzo della quale Numenio circoscrive l’essere alla sfera incorpo-
rea e intelligibile cfr. Frede 1987, pp. 1050-1054, Burnyeat 2005, pp. 152-159 e Karamanolis
2006, pp. 139 sgg.
248 FRANCO FERRARI

presentata in maniera enfatica e indubbiamente efficace in un celebre fram-


mento, tratto dal VI libro dello scritto Sul Bene:

Ἐπειδὴ ᾔδει ὁ Πλάτων παρὰ τοῖς ἀνθρώποις τὸν μὲν δημιουργὸν


γιγνωσκόμενον μόνον, τὸν μέντοι πρῶτον νοῦν, ὅστις καλεῖται αὐτοόν,
παντάπασιν ἀγνοούμενον παρ᾽ αὐτοῖς, διὰ τοῦτο οὕτως εἶπεν ὥσπερ ἄν τις
οὕτω λέγοι· ‘Ὦ ἄνθρωποι, ὃν τοπάζετε ὑμεῖς νοῦν οὐκ ἔστι πρῶτος, ἀλλ᾽
ἕτερος πρὸ τούτου νοῦς πρεσβύτερος καὶ θειότερος’.

Poiché Platone sapeva che presso gli uomini solo il demiurgo è conosciuto,
mentre il primo intelletto, che viene chiamato “essere in sé”, risulta presso di
loro completamente sconosciuto, per questo si è espresso come uno che af-
fermi: “Uomini, quell’intelletto che voi congetturate non è il primo, ma esiste
un altro intelletto, prima di questo, più anziano e più divino” (Numen. fr. 17
Des Places = Baust. 189.4 Dörrie-Baltes)23.

Per Numenio la natura del primo intelletto è tale da renderne difficile la stes-
sa conoscenza, sebbene la qualifica di παντάπασιν ἀγνοούμενος qui evocata
non sia probabilmente da assumere in senso assoluto, bensì in riferimento
alla maggioranza degli uomini, poiché, trattandosi pur sempre di un intellet-
to, esso non può sottrarsi del tutto a una forma intellettuale di apprensione.
L’utilizzo del comparativo πρεσβύτερος, accanto a θειότερος, rimanda alla
trattazione contenuta nel VI libro della Repubblica, dove la superiorità del
Bene nei confronti dell’essere viene caratterizzata sulla base della πρεσβεία
e della δύναμις, ossia della primarietà e della capacità generante.
È noto come una posizione molto simile a quella di Numenio si ritrovi
in un testo misterioso risalente al II secolo d.C., e spesso affiancato alle te-
stimonianze numeniane. Si tratta della raccolta degli Oracoli Caldaici, un
documento contenente presunte rivelazioni divine (θεοπαράδοτα), destina-
to ad assumere una rilevanza eccezionale nel platonismo almeno a partire
da Giamblico24. Il frammento 7 della raccolta oracolare presenta consistenti
analogie con il testo di Numenio sopra riportato, poiché anch’esso stabilisce

23
Cfr. il commento di Baltes 2008, pp. 361 sgg.; si veda anche Zambon 2002, pp. 222-
224 e Bonazzi 2017/2018, pp. 129-130.
24
Per una presentazione del contesto di produzione e del contenuto filosofico degli Ora-
coli Caldaici cfr. Zambon 2002, pp. 250-294, Seng 2016 e Ferrari 2018b, con le opportune
segnalazioni bibliografiche.
IL BENE E IL DEMIURGO: IDENTITÀ O GERARCHIA? 249

una chiara distinzione tra il Dio supremo, qui chiamato “padre” o “intelletto
paterno” (νοῦς πατρικός), e il demiurgo del cosmo, al quale il padre affida la
generazione e la guida dell’universo:

Πάντα γὰρ ἐξετέλεσσε πατὴρ καὶ νῷ παρέδωκε / δευτέρῳ, ὃν πρῶτον


κληΐζετε πᾶν γένος ἀνδρῶν

Tutte le cose infatti il Padre portò a perfezione e le affidò / al secondo intel-


letto, che tutto il genere degli uomini chiamate primo. (OC fr. 7 Des Places =
Baust. 197.7d Dörrie-Baltes)25.

Come in Numenio, anche nel frammento oracolare si attribuisce agli uomini


(comuni) una conoscenza limitata, circoscritta al solo intelletto demiurgico
e dunque una sostanziale incapacità di risalire al primo intelletto, ossia al
Dio supremo. Il richiamo a questo parallelo consente di sottolineare come
la distinzione tra il Dio supremo e quello cosmico-demiurgico fosse ormai
abbastanza diffusa nel platonismo del II secondo, tanto da coinvolgere anche
un testo estraneo ai circuiti della filosofia praticata nelle scuole.
La gerarchizzazione della sfera divina assume in Numenio caratteri molto
definiti che investono tanto la componente esegetica, ossia la sua presun-
ta presenza nei testi platonici, quanto quella propriamente filosofica, ossia
la consistenza teorica di una simile concezione. In questa sede è possibile
richiamare solo alcuni degli elementi nei quali prende forma il programma
gerarchizzante della teologia numeniana.
La trascendenza assoluta del primo Dio viene garantita dalla sua colloca-
zione nella sfera intelligibile e separata della realtà, mentre il secondo Dio,
cioè il demiurgo, presenta una natura doppia, poiché è rivolto agli intelligi-
bili, di cui si serve come modello, ma ordina il mondo sensibile: «è chiaro
che il primo Dio sarà stabile, mentre il secondo è mosso; che il primo si
trova nelle realtà intelligibili, mentre il secondo sia in quelle intelligibili sia
in quelle sensibili» (fr. 15,2-5 Des Places: Δηλονότι ὁ μὲν πρῶτος θεὸς ἔσται
ἑστώς, ὁ δὲ δεύτερος ἔμπαλίν ἐστι κινούμενος· ὁ μὲν οὖν πρῶτος περὶ τὰ
νοητά, ὁ δὲ δεύτερος περὶ τὰ νοητὰ καὶ αἰσθητά).
In Numenio la preoccupazione di preservare il principio della realtà da
ogni contaminazione con la sfera sensibile si manifesta nell’assegnazio-

25
Su questo celebre oracolo e in generale sulla teologia caldaica cfr. Baltes 2008, pp.
484-492.
250 FRANCO FERRARI

ne ad esso di una totale inattività sul piano cosmico: «il primo Dio resta
inoperoso in tutte le attività ed è re, mentre il dio demiurgico esercita la
guida, muovendosi per l’universo» (fr. 12,13-14: τὸν μὲν πρῶτον θεὸν ἀργὸν
εἶναι ἔργων συμπάντων καὶ βασιλέα, τὸν δημιουργικὸν δὲ θεὸν ἡγεμονεῖν δι’
οὐρανοῦ ἰόντα). Questo non significa, tuttavia, che il primo Dio, ossia l’idea
del Bene, sia completamente immobile. In effetti gli appartiene, secondo
Numenio, un movimento connaturato al proprio essere, cioè un movimento
interno alla sfera intelligibile, che è irriducibile al movimento spaziale tipi-
co del dominio fenomenico. Numenio sembra riconoscere la natura per certi
aspetti sorprendente, se non proprio paradossale, di una simile concezione.
In effetti, dopo avere dichiarato che il primo Dio si trova negli intelligibili,
mentre il secondo tanto negli intelligibili quanto nei sensibili, invita il suo
interlocutore a non sorprendersi di fronte a una simile concezione, dal mo-
mento che ancora più sorprendente si rivela il rapporto del primo Dio con il
movimento:

πολὺ γὰρ ἔτι θαυμαστότερον ἀκούσῃ. Ἀντὶ γὰρ τῆς προσούσης τῷ δευτέρῳ
κινήσεως τὴν προσοῦσαν τῷ πρώτῳ στάσιν φημὶ εἶναι κίνησιν σύμφυτον,
ἀφ᾽ ἧς ἥ τε τάξις τοῦ κόσμου καὶ ἡ μονὴ ἡ ἀΐδιος καὶ ἡ σωτηρία ἀναχεῖται
εἰς τὰ ὅλα.

Ascolterai infatti qualcosa di molto più sorprendente. Poiché sostengo che,


in rapporto al movimento inerente al secondo [Dio], la quiete inerente al pri-
mo [Dio] è un movimento connaturato, dal quale si diffondono in tutte le
cose l’ordine del cosmo, la permanenza eterna e la conservazione (Numen.
fr. 15,6-10 Des Places = Baust. 197.3 Dörrie-Baltes).

L’aspetto paradossale di questa concezione risiede nella circostanza che l’im-


mobilità del primo Dio sembra identificarsi con un movimento connaturato
(σύμφυτος κίνησις), vale a dire con un movimento noetico che appartiene
alla sfera intelligibile della realtà. È probabile che una simile affermazio-
ne vada compresa alla luce delle tesi contenute nel Sofista platonico, dove
il movimento costituisce uno dei “generi sommi” che percorrono il mondo
intelligibile26. Secondo Numenio, la natura del mondo intelligibile, con il

26
Ragionevole mi pare dunque il suggerimento di Dillon 1996, p. 369. Si veda anche
Baltes 2008, p. 473 sgg., il quale osserva che «ist diese Unbewegtheit keine tote Ruhe, son-
dern eine dem Ersten Gott eigentümliche Bewegung».
IL BENE E IL DEMIURGO: IDENTITÀ O GERARCHIA? 251

movimento noetico che lo attraversa, rappresenta la causa ultima, sebbene


indiretta (ossia mediata dall’intelletto demiurgico) dell’ordine e della stabi-
lità dell’universo.
Il documento più significativo nel quale Numenio si serve della distinzio-
ne tra il primo e il secondo Dio per tentare di proporre un quadro metafisico
articolato e consistente è certamente il fr. 16, dove il richiamo ai due intel-
letti, identificati rispettivamente con il Bene e con il demiurgo, è innestato
all’interno di una riflessione ampia e non priva di risvolti problematici:

Εἰ δ᾽ ἔστι μὲν νοητὸν ἡ οὐσία καὶ ἡ ἰδέα, ταύτης δ᾽ ὡμολογήθη πρεσβύτερον


καὶ αἴτιον εἶναι ὁ νοῦς, αὐτὸς οὗτος μόνος εὕρηται ὢν τὸ ἀγαθόν. Καὶ γὰρ
εἰ ὁ μὲν δημιουργὸς θεός ἐστι γενέσεως, ἀρκεῖ τὸ ἀγαθὸν οὐσίας εἶναι
ἀρχή. Ἀνάλογον δὲ τούτῳ μὲν ὁ δημιουργὸς θεός, ὢν αὐτοῦ μιμητής, τῇ δὲ
οὐσίᾳ ἡ γένεσις, <ἣ> εἰκὼν αὐτῆς ἐστι καὶ μίμημα. Εἴπερ δὲ ὁ δημιουργὸς
ὁ τῆς γενέσεώς ἐστιν ἀγαθός, ἦ που ἔσται καὶ ὁ τῆς οὐσίας δημιουργὸς
αὐτοάγαθον, σύμφυτον τῇ οὐσίᾳ […] Συλλελογισμένων δ’ ἡμῶν ὀνόματα
τεσσάρων πραγμάτων τέσσαρα ἔστω ταῦτα· ὁ μὲν πρῶτος θεὸς αὐτοάγαθον·
ὁ δὲ τούτου μιμητὴς δημιουργὸς ἀγαθός· ἡ δ’ οὐσία μία μὲν ἡ τοῦ πρώτου,
ἑτέρα δ’ ἡ τοῦ δευτέρου· ἧς μίμημα ὁ καλὸς κόσμος, κεκαλλωπισμένος
μετουσίᾳ τοῦ καλοῦ.

Se l’essere, ossia l’idea, è intelligibile, e se si conviene che l’intelletto è pre-


cedente e causa di esso, risulta che questo stesso solo è il Bene. Se infatti
il Dio demiurgo è principio della generazione, al Bene è sufficiente essere
principio dell’essere. Il Dio demiurgo si rapporta ad esso, di cui è imitatore,
in modo analogo a come la generazione si rapporta all’essere, di cui è copia e
imitazione. Se il demiurgo della generazione è buono, il demiurgo dell’essere
sarà senz’altro il Bene in sé, connaturato all’essere. […] Se riassumiamo,
occorre porre quattro nomi per quattro realtà: il primo Dio, Bene in sé; il suo
imitatore, il demiurgo, buono; l’essere del primo e quello del secondo; imita-
zione dell’essere è la bellezza del cosmo, che è abbellito in virtù della parte-
cipazione al bello (Numen. fr. 16 Des Places = Baust. 128.1 Dörrie-Baltes)27.

Si tratta di un frammento che presenta formidabili difficoltà esegetiche, che


hanno indotto recentemente i commentatori ad avanzare ipotesi interpreta-
tive non prive di acume e sottigliezza, anche se inevitabilmente segnate da

27
Su questo frammento si veda il commento di Baltes 1998, pp. 265-269. Utili osserva-
zioni si trovano anche in Vorwerk 2010, p. 91.
252 FRANCO FERRARI

un elevato tasso di congetturalità28. Per gli scopi di questo contributo è suf-


ficiente richiamare l’attenzione a) sulla distinzione tra il Bene e il demiur-
go cosmico, identificati rispettivamente con il primo e il secondo Dio, b)
sull’assegnazione al Bene di una funzione causale rispetto all’essere, ossia
al mondo delle idee, e c) sulla relazione imitativa che lega il demiurgo al
Bene, da una parte, e il divenire all’essere, dall’altra. Quanto al secondo
punto, bisogna riconoscere che la documentazione a nostra disposizione non
consente di chiarire in maniera inequivoca il modus quo della causalità che
il Bene esercita nei confronti dell’essere: talora Numenio sembra orientato a
concepire in senso noetico questa causalità, come se l’οὐσία venisse generata
dal νοῦς, mentre in altri testi prevale l’idea che il primo Dio, identico al Bene
in sé, costituisca l’essenza dell’essere (αὐτοόν), ossia dell’essere intelligibile
(οὐσία καὶ ἰδέα), che è tale, cioè incorporeo, sempre identico a sé, eterno e
immutabile, perché partecipa del Bene, che costituisce qualcosa di simile
all’“idea dell’essere” (per es. frr. 19 e 20)29.
Numenio rappresenta certamente tra i medioplatonici il più acuto soste-
nitore di un’interpretazione gerarchica della metafisica del platonismo. Nei
frammenti e nelle testimonianze a lui riconducibili una simile concezione
viene supportata sia da richiami puntuali al testo dei dialoghi, sia da argo-
menti di natura propriamente filosofica. Senza arrivare ad assegnare al prin-
cipio della realtà una vera e propria trascendenza noetico-ontologica30, egli
consegna ai suoi successori un impianto metafisico che prepara e in qualche
modo anticipa le soluzioni che il neoplatonismo si avvia a proporre a partire
da Plotino.

4. Un caso esemplare di divergenza esegetica: Tim. 28c3-5

Tutti gli autori di questo periodo erano convinti che la loro posizione filoso-
fica rispecchiasse una corretta interpretazione delle affermazioni di Platone

28
Si cfr., ad esempio, Müller 2012, pp. 126-132 e Bonazzi 2017/2018, pp. 131-136.
29
Si veda la discussione in Frede 1987, pp. 1062-1063. Di questo ordine di problemi si
è occupata anche Fabienne Jourdan in un ponderoso lavoro ancora inedito dedicato alla rac-
colta, al commento sistematico e all’interpretazione di tutti i documenti relativi a Numenio.
30
La celebre formula ἐποχούμενον ἐπὶ τῇ οὐσίᾳ (fr. 2,16) riferita alla collocazione del
Bene non comporta trascendenza ontologica, ma una forma di superiorità accompagnata da
contatto. Si veda in proposito Jourdan 2017/2018, p. 161 sgg., che traduce monté sur l’essen-
ce. Che la relazione causale tra il primo intelletto e le idee non comporti una vera e propria
separazione viene precisato anche da Vorwerk 2010, p. 90.
IL BENE E IL DEMIURGO: IDENTITÀ O GERARCHIA? 253

e da esse in qualche misura anche derivasse. Ciò spiega perché il medesimo


passo platonico poté dare luogo a interpretazioni del tutto diverse. Esiste
un testo, molto celebre, che rappresenta un eccellente “banco di prova” per
misurare le differenti strategie con le quali sia i sostenitori dell’identità tra
demiurgo e idea del Bene, sia i fautori della distinzione tra questi due princi-
pi hanno tentato di piegare le parole platoniche alle loro esigenze.
Si tratta del passo in cui Timeo, all’inizio del suo lungo monologo, dichia-
ra a proposito della causa (αἴτιον) del cosmo, che τὸν μὲν οὖν ποιητὴν καὶ
πατέρα τοῦδε τοῦ παντὸς εὑρεῖν τε ἔργον καὶ εὑρόντα εἰς πάντας ἀδύνατον
λέγειν, ossia che «è un’impresa trovare l’artefice e il padre di questo universo
e per chi lo trova è impossibile parlarne a tutti» (Tim. 28c3-5). Si tratta di
un’affermazione che ha esercitato un’influenza enorme sulla tradizione pla-
tonica antica, collocandosi all’origine sia della concezione dell’indicibilità
del principio31, sia della formulazione di una gerarchia di entità divine.
A proposito del modo in cui i medioplatonici hanno inteso questa celebre
e misteriosa affermazione, bisogna fare una premessa, consistente nell’osser-
vazione che, sebbene nel testo di Platone non ci sia alcuna menzione di Dio,
poiché la dichiarazione di Timeo sembra riferirsi semplicemente alla causa
(ancora imprecisata) del cosmo, gli interpreti medioplatonici hanno riferito
i due appellativi, cioè “artefice” e “padre”, a Dio: alcuni a un unico Dio, che
sarebbe insieme padre e artefice dell’universo, altri a due divinità distinte.
A proposito della surrettizia introduzione di Dio si possono menzionare due
esempi che mi sembrano particolarmente indicativi.
Plutarco, il quale a questo passo ha dedicato una delle sue Platonicae
quaestiones, esordisce chiedendosi: Τί δήποτε τὸν ἀνωτάτω θεὸν πατέρα
τῶν πάντων καὶ ποιητὴν προσεῖπεν, ossia «Perché [Platone] ha definito il
Dio supremo padre e artefice di tutte le cose?» (Plat. Quaest 2. 1000 E).
Analogamente Apuleio, nel De Platone et eius dogmate, riporta il passo pla-
tonico introducendovi il richiamo a Dio, che nell’originale risulta del tutto
asssente: Platonis haec verba sunt: θεὸν εὑρεῖν τε ἔργον, εὑρόντα τὲ εἰς
πολλοὺς ἐκφέρειν ἀδύνατον (I 191 = Baust. 188.2 Dörrie-Baltes). Come si
vede, lo scrittore latino non menziona i due appellativi presenti nel testo di
Platone, ma riferisce l’intera proposizione unicamente a Dio, che invece è
assente dal testo platonico32. L’introduzione di Dio da parte di Plutarco e

31
Cfr. in proposito Whittaker 1983.
32
Cfr. Vorwerk 2010, pp. 87-88.
254 FRANCO FERRARI

Apuleio rappresenta un ulteriore indizio di quel processo di teologizzazione


dell’ontologia platonica sopra segnalato.
Ad ogni modo, non c’è dubbio che la presenza nel testo platonico dei due
appellativi sembra apparentemente giocare in favore degli interpreti che am-
mettono una gerarchizzazione all’interno della sfera divina. L’esempio più
esplicito di questo tipo di esegesi si incontra in Numenio, il quale, secondo
una celebre testimonianza di Proclo, avrebbe assegnato l’appellativo di “pa-
dre” al primo Dio, identico al Bene, e quello di “artefice” al secondo Dio,
cioè al demiurgo:

Νουμήνιος μὲν γὰρ τρεῖς ἀνυμνήσας θεοὺς πατέρα μὲν καλεῖ τὸν πρῶτον,
ποιητὴν δὲ τὸν δεύτερον, ποίημα δὲ τὸν τρίτον· ὁ γὰρ κόσμος κατ᾽ αὐτὸν ὁ
τρίτος ἐστὶ θεός· ὥστε ὁ κατ᾽ αὐτὸν δημιουργὸς διττός, ὅ τε πρῶτος θεὸς καὶ
ὁ δεύτερος, τὸ δὲ δημιουργούμενον ὁ τρίτος.

Numenio, celebrando i tre dèi, chiama padre il primo, artefice il secondo e


prodotto il terzo. Per lui, infatti, il cosmo rappresenta il terzo Dio. In questo
modo secondo lui il demiurgo è doppio, ossia il primo e il secondo Dio, men-
tre il terzo rappresenta il prodotto demiurgico (Procl. In Tim. I 303,27-304,3
= Numen. fr. 21 Des Places = Baust. 197.4 Dörrie-Baltes)33.

Recependo una “trascrizione” del testo che doveva essere ai suoi tempi mol-
to diffusa (attestata anche in Plutarco), Numenio inverte implicitamente l’or-
dine dei due appellativi e legge il passo del Timeo come se Platone avesse
scritto πατέρα καὶ ποιητήν, invece di ποιητὴν καὶ πατέρα. Egli può affermare
che il demiurgo è doppio perché, come ha mostrato nel frammento 16, anche
il primo Dio, vale a dire il Bene in sé, è demiurgo, non della generazione,
cioè del cosmo, bensì dell’essere, ossia del mondo delle idee.
Non è qui possibile affrontare la vexatissima quaestio relativa all’attri-
buzione a Numenio di una teologia tripartita. In effetti, una simile Dreigöt-
terlehre gli viene assegnata solo da Proclo (cfr. anche il fr. 22), mentre nei
frammenti che contengono le parole di Numenio si parla solo di due dèi, il
secondo dei quali sarebbe “doppio” (fr. 11,13-14)34. In ogni caso, l’assegna-
zione al cosmo della qualifica di “terzo Dio” non può sorprendere un lettore

33
Su questa testimonianza si veda Zambon 2002, pp. 223 sgg., Baltes 2008, pp. 474-477,
Vorwerk 2010, pp. 88-93 e Ferrari 2014, pp. 61-65.
34
Su tutta la questione rinvio a Frede 1987, pp. 1057-1061 e Müller 2010, passim.
IL BENE E IL DEMIURGO: IDENTITÀ O GERARCHIA? 255

del Timeo, perché in alcuni passi del dialogo si dice che il cosmo è un θεός, e
in particolare un θεὸς αἰσθητός, ossia un Dio sensibile (cfr. per es. Tim. 92c).
In ogni caso un interprete orientato a leggere in senso gerarchico la meta-
fisica del platonismo, come in effetti era Numenio, poteva trovare nei due
appellativi del Timeo, soprattutto una volta invertitone l’ordine, un eccellente
sostegno in favore di una simile esegesi.
L’interpretazione gerarchica della teologia di Platone proposta da Nume-
nio, cioè la separazione del demiurgo dall’idea del Bene e la sua subordi-
nazione ad esso, sembra adattarsi al testo del Timeo. È tuttavia interessante
osservare che un rappresentante della konservative Richtung des mittleren
Platonismus riuscì a fornire un’interpretazione delle parole platoniche ra-
dicalmente diversa da quella di Numenio, trovando in esse un argomento in
favore dell’ammissione di un solo Dio, che è contemporaneamente padre e
artefice.
Come anticipato, Plutarco dedicò una delle Platonicae quaestiones al si-
gnificato della celebre affermazione contenuta nel Timeo. Dopo avere sugge-
rito una soluzione nella quale viene enfatizzata la natura vivente del cosmo,
giustificando in questo modo il ricorso dell’appellativo di “padre”, Plutarco
si chiede se non sia possibile articolare meglio una simile risposta, e lo fa
tentando di precisare in che senso Dio è sia artefice sia padre dell’universo:

Τούτων δὲ μάλιστα τῆς Πλάτωνος ἁπτομένων δόξης, ἐπίστησον εἰ κἀκεῖνο


λεχθήσεται πιθανῶς· ὅτι, δυεῖν ὄντων ἐξ ὧν ὁ κόσμος συνέστηκε, σώματος
καὶ ψυχῆς, τὸ μὲν οὐκ ἐγέννησε θεὸς ἀλλά, τῆς ὕλης παρασχομένης,
ἐμόρφωσε καὶ συνήρμοσε, πέρασιν οἰκείοις καὶ σχήμασι δήσας καὶ ὁρίσας
τὸ ἄπειρον· ἡ δὲ ψυχή, νοῦ μετασχοῦσα καὶ λογισμοῦ καὶ ἁρμονίας, οὐκ
ἔργον ἐστὶ τοῦ θεοῦ μόνον ἀλλὰ καὶ μέρος, οὐδ᾽ ὑπ᾽ αὐτοῦ ἀλλ᾽ ἀπ᾽ αὐτοῦ
καὶ ἐξ αὐτοῦ γέγονεν.

Dal momento che queste spiegazioni colgono bene l’opinione di Platone,


considera se ciò che segue sia detto in maniera plausibile: essendo due le cose
di cui il cosmo è costituito, il corpo e l’anima, dio non ha generato il primo,
ma, offrendoglisi la materia, l’ha ordinata e armonizzata, legando e definendo
l’indeterminato per mezzo di limiti appropriati e di figure; invece l’anima,
venendo a partecipare di intelletto, calcolo e armonia, non è solo prodotto
di Dio ma anche una sua parte, non è venuta all’essere [solo] per l’azione
256 FRANCO FERRARI

efficiente di quello, ma deriva da quello ed è costituita di quello (Plut. PQ 2.


1001B-C = Baust. 202 Dörrie-Baltes)35.

Non è qui possibile analizzare nel dettaglio i singoli aspetti della soluzione
proposta da Plutarco. Si possono tuttavia fare alcune considerazioni che con-
sentono di apprezzarne l’originalità e la profondità teorica. A differenza di
Numenio, che aveva riferito i due appellativi platonici a due entità diverse,
cioè al primo e al secondo Dio, Plutarco li attribuisce alla medesima divi-
nità, che è sia padre sia artefice. Non si tratta tuttavia di una soluzione che
rinuncia a fornire una spiegazione accurata delle parole platoniche. In effetti,
secondo Plutarco, i due appellativi non sono affatto indistinti, ma indicano
due funzioni differenti, cioè due attività svolte dalla stessa divinità, la quale
è artefice demiurgico del corpo del mondo, e padre dell’anima del mondo.
Plutarco cerca di spiegare il ricorso da parte di Platone ai due appellativi
senza rinviare all’ipotesi che essi si riferiscano a due entità diverse, alla ma-
niera di Numenio, ma richiamando l’attenzione sulle differenti entità sulle
quali si esercita l’azione di Dio. Egli parte dalla constatazione che il cosmo è
costituito di due componenti, vale a dire il corpo e l’anima. Dio è ποιητής del
corpo del mondo, in quanto ordina la materia preesistente ricorrendo a prin-
cipi di natura matematica. Ma è anche πατήρ dell’anima cosmica, in quanto
trasmette al sostrato psichico precosmico una parte di se stesso. Ciò significa
che l’anima cosmica è costituita anche a partire dalla οὐσία divina: si tratta
probabilmente della οὐσία ἀμέριστος (o ἀμερής) che entra nella composi-
zione dell’anima del mondo, secondo l’esegesi che Plutarco (nel De animae
procreatione in Timaeo) fornisce del passo 35a1 sgg. del Timeo. Da questo
punto di vista, si può affermare che Dio non ha solo ordinato l’anima del
mondo, ma l’ha anche generata, in quanto ha trasmesso ad essa una parte
di sé.
A proposito di quest’ultimo punto, vale la pena spendere due parole sul
ricorso da parte di Plutarco alla cosiddetta Theilersche Reihe, ossia alla de-
scrizione metonimica e preposizionale della causalità esercitata da Dio36.
Plutarco sostiene che l’anima non è solo il prodotto (ἔργον) dell’attività de-
miurgica di Dio, effettuata per mezzo dell’ordinamento matematico della
sostanza psichica, ma deriva biologicamente da Dio (ἀπ’ αὐτοῦ) e dunque è

35
Cfr. Baltes 2008, pp. 577-580, Vorwerk 2010, pp. 85-87 e Ferrari 2014, pp. 65-68.
36
Cfr. Dörrie 1976a, passim.
IL BENE E IL DEMIURGO: IDENTITÀ O GERARCHIA? 257

costituita di esso (ἐξ αὐτοῦ). Questo dovrebbe significare che Dio è contem-
poraneamente causa efficiente (ὑπ’ αὐτοῦ)37, origine (ἀπ’ αὐτοῦ) e in qualche
misura anche causa materiale (ἐξ αὐτοῦ) dell’anima del mondo.
Non si può negare che la soluzione escogitata da Plutarco sia brillante dal
punto di vista filosofico ed elegante dal punto di vista esegetico. Egli riesce
a fornire una spiegazione sensata del passo platonico, senza ricorrere alla
gerarchizzazione della sfera divina che sarà adottata qualche decennio dopo
da Numenio.

5. Qualche conclusione

Vorrei concludere questo contributo formulando alcune considerazioni di


ordine generale. Esse riguardano il profilo complessivo della teologia me-
dioplatonica.
La prima di queste considerazioni non può che riguardare il fatto che
tutti gli autori medioplatonici hanno valorizzato pienamente l’esistenza e la
funzione di una sfera trascendente e divina della realtà. Da questo punto di
vista, quella medioplatonica è veramente una teologia “post-ellenistica”, in
quanto segna il recupero di una dimensione eclissatasi durante l’epoca elle-
nistica, con i sistemi stoico ed epicureo, e anche all’interno della tradizione
platonica, egemonizzata dallo scetticismo. In secondo luogo vale la pena
sottolineare la tendenza, comune a pressoché a tutti i medioplatonici, a ope-
rare una teologizzazione dell’ontologia, cioè ad attribuire il primato causale
a una o più divinità.
La subordinazione della dimensione ontologica, rappresentata dalle idee,
a quella teologica ha radici antiche e si basa su un’interpretazione dualistica
del Timeo, già testimoniata in Teofrasto, il quale, a proposito di questo dia-
logo, affermava che nella filosofia della natura in esso sviluppata Platone
«intende ammettere due principi, da una parte il sostrato come materia, che
definisce ricettacolo universale, e dall’altra come causa e motore ciò che rife-
risce alla potenza di Dio e del Bene» (Theophr. Phys. Op. fr. 9 Diels = Baust.
119.1 Dörrie-Baltes: δύο τὰς ἀρχὰς βούλεται ποιεῖν τὸ μὲν ὑποκείμενον ὡς
ὕλην, ὃ προσαγορεύει πανδεχές, τὸ δὲ ὡς αἴτιον καὶ κινοῦν, ὃ περιάπτει τῇ

37
L’assegnazione a Dio anche della funzione di causa efficiente dell’anima del mondo
richiede di inserire, almeno nella resa italiana, un secondo μόνον, ricavato, in base a un prin-
cipio di simmetria, da quello presente nella sezione di testo immediatamente precedente.
258 FRANCO FERRARI

τοῦ θεοῦ καὶ τῇ τοῦ ἀγαθοῦ δυνάμει)38. In questo resoconto della teoria dei
principi del Timeo le idee sono assenti, assorbite presumibilmente dal Dio e
dal Bene. Già a questo stadio della ricezione del pensiero platonico è attiva
quella tendenza a unificare le cause razionali, assegnando la priorità al Dio,
che dovrebbe assumere in sé anche la funzione delle idee. Nel corso della
storia del platonismo antico il primato di Dio sulle idee assumerà, come è
noto, differenti forme, che vanno dalla celebre concezione delle idee come
“pensieri di Dio”, alla attribuzione alle idee del ruolo di semplici “concause”
della generazione del mondo (per esempio in Attico).
All’interno di questo quadro, i filosofi medioplatonici svilupparono po-
sizioni autonome e tra loro anche conflittuali. Sebbene le nostre fonti non
attestino l’esistenza di una vera e propria polemica, simile a quella che ri-
guardò la questione della generazione del mondo, non c’è dubbio che il tema
dell’ammissione di un solo Dio, demiurgo del cosmo e identico al Bene, o di
una gerarchia di divinità, con al vertice un primo Dio affrancato da ogni fun-
zione demiurgico-cosmologica, fu uno dei principali motivi di controversia
nel corso di questa delicata fase della storia del platonismo. La posizione ge-
rarchizzante, inizialmente minoritaria, prese lentamente il sopravvento, fino
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Zambon 2002 = M. Zambon, Porphyre et le moyen-platonisme, Paris, Vrin 2002.


INDICE DELLA MATERIA TRATTATA

Introduzione di Maria Luisa Gatti 5

PLATONE

GABRIELE CORNELLI
La seconda navigazione “pitagorica” di Platone. La matematica
pitagorica e il sistema di derivazione platonico 23

MARIA LUISA GATTI


“Niente di giusto dopo il tramonto del sole”. Bene, sole, giustizia
e virtù nel Cratilo di Platone 43

RICHARD HUNTER
Alcibiades the laughter-maker 83

MAURIZIO MIGLIORI
Un approccio multifocale alla metafisica di Platone 101

ROBERTO RADICE
Senza il Demiurgo niente sarebbe conoscibile del mondo naturale.
Riflessioni sul concetto di creazione 129

FRANCO TRABATTONI
La partecipazione nel Parmenide 151

CHRISTIAN VASSALLO
Paradossi (pre)platonici della speranza nel Fedone: fisica,
conoscenza, escatologia 167
284

IL PLATONISMO

PIA DE SIMONE
“Gli uomini buoni sono amici degli dèi”. Il rapporto tra eudaimonia
e conoscenza in Plutarco 219

FRANCO FERRARI
Il Bene e il demiurgo: identità o gerarchia? Il conflitto delle
interpretazioni nel medioplatonismo 239

FEDERICO M. PETRUCCI
Un dio non artigiano? Apuleio e la divulgazione di una teologia
medioplatonica 263

Indice della materia trattata 283


Finito di stampare
nel mese di giugno 20
da LegoDigit srl
Lavis (TN)

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